Alfredo Roma
Il trasporto aereo
Lo scenario Europeo e italiano
Indicazioni per una azione di governo
Maggio 2006
Sommario
Parte prima .............................................................................................................2
Analisi storico-economica del trasporto aereo...................................................... 2
1. Lo sviluppo degli anni novanta........................................................................ 2
2. Le previsioni di crescita................................................................................... 3
3. La redditività delle compagnie aeree. Fattori esogeni e criticità......................4
Parte seconda........................................................................................................ 11
Il mercato del trasporto aereo nell’Unione europea........................................... 11
1. Il mercato del trasporto aereo in Europa e le differenze con il mercato
statunitense ........................................................................................................ 11
2. L’intervento dell’Unione europea: le sentenze della Corte di Giustizia sugli
accordi bilaterali siglati da otto Stati membri con gli Stati Uniti....................... 12
3. Gli effetti delle Sentenze c.d. ‘open sky’ sul futuro della politica europea del
trasporto aereo: il venir meno delle competenze, in materia, dei singoli Stati
membri .............................................................................................................. 14
4. Il problema degli slots................................................................................... 16
5. Le compagnie low-cost................................................................................ 17
6. Criticità degli aeroporti comunitari................................................................ 21
Parte terza............................................................................................................. 23
Il mercato italiano.................................................................................................24
1. Le compagnie aeree........................................................................................24
2. Il caso Alitalia................................................................................................ 24
3. Il decreto sui requisiti di sistema................................................................... 25
4. Aeroporti - La situazione Italiana.................................................................. 27
5. Il cargo aereo................................................................................................. 29
5.1 Cargo aereo – La situazione italiana........................................................... 30
5.2. Prospettive di sviluppo dei servizi di logistica nel settore del cargo aereo 31
6. La riforma del codice della navigazione – Parte aerea..................................33
7. Il ruolo della pubblica autorità di aviazione civile. Il problema della sicurezza
e della protezione del passeggero....................................................................... 36
8. I servizi di controllo del traffico aereo. L’Ente Nazionale di Assistenza al
Volo (ENAV)..................................................................................................... 38
Parte quarta.......................................................................................................... 38
Conclusioni e linee guida per una azione di governo......................................... 39
1. Considerazioni conclusive............................................................................. 39
2. Linee guida per una azione di governo
.................................................... 39
__________________________________________
Parte prima
Analisi storico-economica del trasporto aereo
1. Lo sviluppo degli anni novanta
Il trasporto aereo è per definizione transnazionale. Una analisi del quadro
economico complessivo del mercato dei servizi aerei che mi appresto a svolgere
non può essere circoscritta all’Italia, ma deve tener necessariamente conto delle
variazioni dei mercati e della situazione economica internazionale.
A questo si deve aggiungere il fatto che il settore in parola è stato interessato,
negli ultimi due decenni, da processi di liberalizzazione e privatizzazione che
hanno avuto rilevanti ripercussioni sugli operatori del trasporto aereo, nonché da
2
un ruolo sempre crescente, per quanto riguarda il mercato europeo, delle
istituzioni comunitarie, che hanno generato profonde trasformazioni sia
nell’ambito del trasporto aereo, sia nel comparto dei servizi ad esso funzionali
quali, ad esempio, i servizi aeroportuali.
Nel periodo compreso tra il 1991 ed il 2001 la crescita del settore in esame è
stata molto elevata in termini di passeggeri/km, come dimostrano le tabelle (1 e
2) predisposte dalla IATA (International Air Transport Association) e pari al
106,2% per i primi dieci vettori europei e al 72,8% per i primi cinque statunitensi.
Tab. 1
Tab. 2
Dalle stesse tabelle allegate si evince, inoltre, che le quote di mercato dei
principali vettori non sono sostanzialmente cambiate nell’ultimo decennio.
2. Le previsioni di crescita
Nel 2005 si è registrato (Fonti IATA – ICAO) un discreto aumento (6,7%) del
traffico aereo mondiale. Tale risultato è inferiore a quello eccezionalmente elevato
del 2004 (15,6%), ma tuttavia coerente con uno sviluppo più omogeneo previsto
per gli anni prossimi, come mostra la tab.3. Mentre l’elevato aumento di traffico
del 2004 riflette l’aumento del PIL mondiale dello stesso anno (ne vedremo
successivamente la correlazione), la crescita prevista per il periodo 2005-2010 è
(ancora una volta) in linea con le previsioni di crescita dell’economia mondiale
per lo stesso periodo.
Tab.3
3
Il mercato Italiano ha registrato nel 2005 un aumento del 5,5% di passeggeri
trasportati (vicino alla media europea) e del 5% del cargo. Il mercato italiano offre
maggiori potenzialità di sviluppo, poiché volano mediamente solo due cittadini su
dieci, contro la media europea di cinque cittadini su dieci.
La crescita del traffico aereo continua ad essere guidata dall’andamento
dell’economia mondiale e da una sempre maggiore concorrenza sui prezzi causata
dall’entrata nel mercato delle compagnie low-cost e dai vincoli che impediscono
di regolamentare gli eccessi di capacità in alcune regioni. Conseguentemente,
ancorché i vettori registrino un aumento di passeggeri, al contempo subiscono una
riduzione dello yield (tab.4), ovvero del ricavo per passeggero.
Tab.4
3. La redditività delle compagnie aeree. Fattori esogeni e criticità
A fronte di questo consistente aumento del traffico aereo non troviamo,
tuttavia, corrispondenti risultati economici per i vettori. Infatti, i loro risultati sono
4
stati negativi fino al 1993, per divenire poi positivi dal 1994 al 2000 e crollare
dopo l’11 settembre 2001 (v. tabella 5).
Secondo la IATA, nel 2001 le perdite complessive dei vettori sono risultate
pari a 18 miliardi di dollari, mentre nel 2002 tali perdite hanno raggiunto i 13
miliardi di dollari.
Questo andamento economico del settore in esame, caratterizzato dall’assenza
di adeguata redditività, ha indotto le compagnie aeree ad individuare nuove
strategie di mercato quali, ad esempio, accordi ed alleanze attuati a livello
internazionale. Tra questi ricordiamo, a titolo esemplificativo, le alleanze
internazionali di: Star Alliance - Sky Team - Oneworld - Qualiflyer Group Wings Alliance, alleanze che rappresentano il 70% del traffico mondiale. Tale
quota è destinata ad aumentare se si tiene conto dei vari accordi di franchising,
code-sharing, wet e dry lease conclusi tra diverse compagnie aeree per rotte
interne e internazionali.
Tab.5
I fatti dell’11 settembre hanno creato, come è noto, un terremoto nell’ambito
del trasporto aereo ed hanno inevitabilmente costretto gli operatori del settore a
fare delle analisi più approfondite, con riferimento ad una crisi strutturale del
sistema, presente già in tempi antecedenti agli eventi terroristici in parola.
Gli effetti diretti dell’11 settembre si sono, quindi, aggiunti a fattori di crisi
preesistenti comportando, nell’immediato, la cancellazione di un rilevante numero
di prenotazioni, specialmente per viaggi-vacanza e verso il continente nord
americano, in una percentuale pari al 33% nel periodo settembre 2001-gennaio
2002.
In seguito, il mercato ha iniziato una lenta ripresa che lo sta portando, ora, agli
stessi livelli di crescita del 2000. Di certo per circa 18 mesi si è interrotto quel
trend di crescita che era stato previsto, pari al 5% annuo, anche per il periodo
2001-2005.
Hanno, inoltre, inciso sulle previsioni di redditività delle compagnie aeree le
misure di sicurezza a terra (security) messe in atto dopo l’11 settembre, che
rappresentano sicuramente un costo rilevante per le imprese.
Non bisogna, infine, dimenticare l’aumento dei costi assicurativi per i rischi di
guerra e terrorismo praticati dalle compagnie assicuratrici, aumenti in molti casi
pari a cinque volte l’ammontare dei premi corrisposti precedentemente a tali fatti.
Dalla guerra in Irak nel 2003, infine, il costo del carburante si è praticamente
raddoppiato aumentando sensibilmente il costo dei voli, soprattutto per quelle
compagnie che non avevano fatto una copertura a termine (hedging), tra le quali
Alitalia.
Le variabili appena elencate non possono non essere tenute in debita
considerazione in occasione dell’analisi dei fattori di rischio del mercato in
questione, proprio in ragione del fatto che quest’ultimo è estremamente mutevole
e rischioso, fortemente esposto a fattori esogeni, come l’attacco alle twin towers
ha dimostrato.
5
Inoltre, l’efficienza e la redditività del mercato del trasporto aereo sono
estremamente sensibili all’andamento dei mercati ad esso contigui, basti pensare
in proposito agli effetti sul trasporto aereo della condotta, nell’ultimo decennio,
degli enti di gestione degli aeroporti comunitari.
Diretta è poi la relazione (vedi tabella 6) tra la redditività del settore aereo e
l’andamento del PIL mondiale.
Tab.6
Per
quanto
riguarda l’Unione Europea, la IATA ha cercato di quantificare il peso sopportato
dalle compagnie aeree a causa dei seguenti fattori: normativa di settore tesa a
liberalizzare il mercato, mancanza di aiuti governativi dopo l’11 settembre, costi
assicurativi, costi per la sicurezza, costo della congestione di molti aeroporti
europei, normativa inadeguata su servizi resi in regime di monopolio, etc.
La tabella 7 mostra un dettaglio di tali costi per anno.
Tab.7
6
Non vi è dubbio che le compagnie aeree rappresentano, per molteplici ragioni,
l’anello debole della catena del valore. In primo luogo va ricordato che la
Comunità europea consente, fin dal 1997, ad ogni compagnia aerea con sede nel
territorio dell’Unione di esercitare liberamente le rotte domestiche e
intracomunitarie.
Per tale ragione, la maggior parte delle compagnie di bandiera, e tra queste
Alitalia, si sono trovate a dover competere, anche sul territorio nazionale, con una
agguerrita concorrenza, soprattutto delle compagnie low-cost. Basti pensare a
come Ryanair si è espansa sui mercati domestici dei Paesi comunitari.
Chi non ha saputo liberarsi delle vecchie incrostazioni date dall’esubero di
personale, da contratti di lavoro eccessivamente onerosi, da flotte disomogenee e
obsolete, ha perso rilevanti quote di mercato a vantaggio di nuove compagnie (c.d.
new entrants) o di quelle capaci di procedere ad efficaci ristrutturazioni in tempi
brevi.
Le tabelle che seguono (8 e 9) indicano con chiarezza la debolezza delle
compagnie aeree in relazione agli altri attori del mercato, per quanto riguarda il
ritorno sul capitale investito e i margini operativi intesi come ritorno sulle vendite.
Tab.8
7
Tab. 9
L’elevato costo del carburante e la forte competitività sui prezzi hanno portato a
registrare per le compagnie aeree, per il 2005 (per il quinto anno consecutivo),
consistenti perdite di bilancio. La IATA stima, per il 2005 (i dati definitivi non
sono ancora disponibili) una perdita di 7,4 miliardi di dollari per i vettori, con
valori maggiori nel nord America e minori in Europa dove si è provveduto a
istituire la fuel surcharge destinata a compensare parte dell’aumento del costo del
carburante.
La tabella che segue (10) mostra l’andamento del prezzo del petrolio,
rapportato al prezzo del carburante nel settore aereo, per il periodo 1986-2005.
Occorre ricordare che le previsioni sul prezzo del petrolio sono considerate dagli
economisti come le più incerte e non basate su dati quantificabili secondo i
modelli econometrici; questa variabile, nelle previsioni di costo dei vettori per gli
anni fino al 2010, è mantenuta costante sui prezzi di ora, considerato che lo shock
petrolifero è già avvenuto dopo il 2003 e ci si aspetta che non ne avvengano altri
fino a quella data.
La successiva tabella 11 indica le previsioni della crescita economica mondiale
fino al 2009, rapportate all’aumento previsto di passeggeri. Secondo tali
previsioni si ipotizzano fattori di crescita più elevati per i Paesi in via di sviluppo,
dove la crescita del PIL ha maggiore influenza sulla domanda di viaggi per affari,
rispetto ai Paesi industrializzati nei quali, comunque, la crescita media mondiale
resterà nell’intorno del 5% annuo.
Vorrei infine osservare che le previsioni di crescita fino al 2009, seppure
calcolate sulla PPP (Purchasing Power Parity) appaiono inferiori a quelle di
organismi internazionali come, ad esempio, l’IMF.
Tab.10
8
Tab.11
La tabella che segue (12 – Fonte ICAO - IATA) mostra l’andamento dei
profitti (operating profit e net profit) delle compagnie aeree del mondo, con le
previsioni per il 2006. Il grafico evidenzia un andamento positivo per quasi tutti
gli anni novanta, il crollo del 2001 a seguito dell’attacco alle torri gemelle e una
lenta ripresa dal 2004 in poi dove, ad un aumento del margine operativo
corrisponde, tuttavia, come si è detto, ancora una perdita netta di esercizio.
9
Tab.12
20.000
Operating profit
15.000
Net profit
$ millions
10.000
5.000
0
-5.000
-10.000
-15.000
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005F 2006F
In questa prima parte abbiamo incentrato la nostra analisi sui vettori aerei poiché
essi rappresentano, come si è detto, l’anello debole e sensibile della catena del
valore. Più di altri operatori essi risentono dell’andamento dell’economia
mondiale, dei difficili rapporti politici tra i Paesi di aree diverse, dei conflitti
bellici, della concorrenza internazionale più agguerrita e di norme relative alla
sicurezza, all’ambiente o alla protezione del consumatore che possono tradursi in
costi ulteriori.
Altri operatori del settore, al contrario, godono di posizioni di assoluto
privilegio. Possiamo citare in proposito il controllo del traffico aereo (ATM), la
grande distribuzione e le gestioni aeroportuali che operano in regime di
monopolio o quasi monopolio. L’ATM è responsabile del controllo dello spazio
aereo di un Paese, quindi della sicurezza nazionale. Per tale ragione, il processo di
liberalizzazione del servizio e di privatizzazione dell’ATM appare assai
complesso.
Tra i Paesi più evoluti nel campo dell’aviazione civile, la Gran Bretagna è stato
il primo ad effettuare la privatizzazione dei servizi di ATM, cedendo il 42% del
NATS (National Air Traffic Services) a sette compagnie aeree, il 4% alla BAA,
che gestisce i sette più importanti aeroporti del Regno Unito, e un altro 3% ad
azionisti minori. Così la quota dello Stato nel NATS è scesa al 49%. Lo Stato ha
comunque concluso con il NATS un rigido contratto che prevede consistenti
penali nel caso di ritardi nei voli imputabili a tale operatore.
Contemporaneamente, si sono formate diverse società private che forniscono
servizi di ATM per la fase di avvicinamento e decollo, basati sulle strutture e
necessità di singoli aeroporti, migliorando, in tal modo, l’efficienza e l’operatività
dell’aeroporto.
Il progetto europeo del Cielo Unico prevede la riduzione dei centri europei di
controllo del traffico aereo da 58 a 22 circa. Questo obiettivo ha già spinto i più
forti service providers europei, come quello tedesco, a valutare possibilità e
opportunità di acquisire service providers minori o ad offrire i loro servizi ad altri
10
Paesi europei. Da questa evoluzione del mercato ci si può aspettare che altri Paesi
seguiranno la strada inglese della privatizzazione per poter operare con maggior
flessibilità nel mercato stesso.
Nei capitoli che seguono verranno analizzati i punti deboli del mercato in
esame che hanno influito negativamente sullo stesso, rallentando il processo di
sviluppo auspicato dalle istituzioni comunitarie al fine di rendere le imprese
europee in grado di competere con i vettori statunitensi. Questi, come sarà detto in
prosieguo, hanno beneficiato dagli anni settanta dello scorso secolo di un vasto
processo di deregulation che ha favorito la presenza sul mercato di un numero
crescente di vettori, vettori che hanno messo in atto, in tempi di poco successivi,
processi di fusioni ed acquisizioni allo scopo di poter contenere i costi ed offrire
servizi appetibili all’utenza. Successivi interventi di liberalizzazione dei servizi
ancillari al trasporto aereo hanno favorito la crescita dei vettori statunitensi a
discapito delle compagnie comunitarie.
Attraverso l’esposizione delle criticità del mercato europeo, e della mancata
liberalizzazione di alcuni settori chiave per la crescita dello stesso, darò conto
nelle pagine che seguono delle iniziative che le istituzioni comunitarie stanno
adottando per rilanciare le compagnie aeree europee a livello mondiale.
Parte seconda
Il mercato del trasporto aereo nell’Unione europea
1. Il mercato del trasporto aereo in Europa e le differenze con il mercato
statunitense
Il mercato europeo del trasporto aereo rappresenta un giro d’affari di 100
miliardi di Euro, pari all’1,2% del PIL europeo. Oltre 130 compagnie aeree
europee, con una flotta di circa 4.500 aerei, hanno trasportato nel 2003 580
milioni di passeggeri, di cui 370 milioni all’interno dell’Unione Europea, pari al
35% del traffico mondiale passeggeri. Gli aeroporti aperti al traffico commerciale
sono oltre 450. Questa attività ha creato 2,8 milioni di posti di lavoro indiretti,
pari al 3% della forza lavoro dell’UE.
Tali dati, significativi per l’economia europea, rivelano un mercato ancora
incompiuto se raffrontati ai numeri del mercato statunitense.
Per meglio comprendere la differenza che ha sempre caratterizzato i due
principali mercati mondiali del trasporto aereo, quello americano e quello
europeo, occorre rimarcare un dato: se il numero dei passeggeri trasportati da
compagnie USA è pari a 100, le compagnie europee a stento giungono al numero
di 40. Al riguardo occorre, tuttavia, considerare che gli Stati Uniti dispongono del
64% della flotta civile mondiale e controllano più della metà del trasporto aereo.
Inoltre, il processo d’incremento del numero dei vettori nell’Unione europea è
avvenuto molti anni più tardi rispetto agli Stati Uniti, ritardando il conseguente
processo di consolidamento.
11
All’opposto, negli Stati Uniti, ove il numero dei vettori è aumentato in misura
considerevole tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, il successivo,
inevitabile, processo di consolidamento ha portato alla costituzione di sette grandi
vettori, che in un prossimo futuro potrebbero essere non più di quattro. In Europa
il processo di consolidamento deve ancora iniziare (basti considerare che vi
operano tuttora più di venti vettori di medie-grandi dimensioni, le cosiddette
compagnie di bandiera) e tale affermazione mi pare sostenibile, pur considerando
l’accordo stipulato da qualche anno tra KLM ed Air France.
Non penso, infatti, che tale accordo sia sufficiente per risolvere i problemi
strutturali delle compagnie europee. Credo, infatti, che solamente un più vasto
processo di alleanze e/o fusioni, capace di creare massa critica, possa ridurre i
costi di struttura e rendere le compagnie europee competitive nel mercato
mondiale, soprattutto nei confronti delle compagnie statunitensi. A questo
proposito mi piace ricordare che la prima compagnia europea dispone di un
numero di aerei inferiore alla quarta statunitense.
La consapevolezza del forte squilibrio tra compagnie americane ed europee e la
rilevante capacità di penetrazione dei mercati delle prime, ha indotto la
Commissione europea a promuovere azioni legali nei confronti dei Paesi
comunitari firmatari di accordi di open sky con gli Stati Uniti, azioni tese – in
ultima istanza - a favorire il consolidamento dei vettori comunitari.
2. L’intervento dell’Unione europea: le sentenze della Corte di Giustizia sugli
accordi bilaterali siglati da otto Stati membri con gli Stati Uniti
In più occasioni la Commissione Europea ha messo in discussione la validità e
legittimità degli accordi open sky1 firmati da alcuni Paesi comunitari arrivando ad
impugnare, il 18 Dicembre 1998, la validità degli stessi innanzi alla Corte di
Giustizia delle Comunità europee, sostenendo l’assoluta contrarietà di alcune loro
clausole, ed in specie della c.d. clausola di nazionalità, alle norme sul diritto di
stabilimento sancite dall’art.43 (ex art.52) del Trattato UE. É importante osservare
che in virtù di tali accordi i vettori statunitensi hanno goduto di un agevole
accesso alle rotte intracomunitarie ed hanno, nel contempo, imposto alle
compagnie comunitarie di accettare la clausola in parola.
1
Gli accordi “open sky”, conclusi su base bilaterale riconoscono le tradizionali libertà
dell’aria, compresa la libertà di effettuare traffici tra due Paesi diversi da quello della propria
nazionalità utilizzando uno scalo centrale nel territorio del proprio paese o addirittura
indipendentemente da questo. In particolare con gli Stati Uniti d’America i Paesi comunitari hanno
concluso accordi del tipo “open sky”, che prevedono l'eliminazione di restrizioni quantitative
riguardo alle frequenze dei voli ed alla capacità. Tali accordi si connotano per la presenza di diritti
di rotta e di traffico illimitati, volti ad assicurare un collegamento tra qualsiasi punto degli Stati
Uniti e qualsiasi punto del Paese europeo parte dell’accordo, senza restrizioni quanto ai punti
intermedi e ai punti situati al di là. Essi contemplano, quindi, flessibilità nella scelta degli itinerari,
la condivisione dei terminali ed il diritto di assicurare il traffico di quinta libertà. Prevedono,
inoltre, la fissazione dei prezzi secondo il sistema della “doppia disapprovazione”, la possibilità di
accordi di code-sharing, impegni espliciti in favore dell'utilizzo e dell'accesso non discriminatorio
dei sistemi informatici di prenotazione, nonché, infine, regimi piuttosto liberali in materia di carico
e di conversione e trasferimento in patria dei ricavi.
12
Per comprendere le implicazioni della clausola di nazionalità negli accordi in
esame è sufficiente sottolineare come il suo inserimento consente a ciascuna delle
parti dell’accordo di rifiutare i diritti ivi previsti ai vettori designati dall’altra parte
contraente che non siano di proprietà o sotto il controllo di soggetti di tale parte.
Il venir meno di quest’ultimo requisito implica, infatti, la possibilità per lo Stato
contraente di revocare, sospendere o limitare i permessi o le autorizzazioni
concesse. Ciò significa che, se un vettore designato da una parte dell’accordo,
perde la nazionalità dei quel Paese (a seguito, ad esempio, di una sua fusione od
alienazione), l’altra parte ha diritto di negare al nuovo subentrante il diritto di
esercitare le rotte oggetto dell’accordo bilaterale.
La Comunità europea ha lamentato, a più riprese, la complessità e, più in
generale, la restrittività di tali accordi, che si differenziano, sotto questo profilo,
da altri accordi assunti in diversi mercati e che vantano un livello di apertura alla
concorrenza ben più avanzato rispetto a quelli in esame (basti pensare, per
rimanere nel settore dei servizi, al trasporto marittimo, ai servizi di
telecomunicazioni, ai servizi bancari).
Le conseguenze della negoziazione di simili accordi sono state ricordate anche in
tempi relativamente recenti dalla Commissione europea (Comunicazione del 19
novembre 2002, n. 649, sulla quale si tornerà a breve) la quale, pur non negando i
vantaggi che tali accordi possono comportare, vista la possibilità per i vettori aerei
comunitari di estendere le rotte tra le parti per offrire servizi illimitati di quinta
libertà ad altri Paesi, ha evidenziato come, in definitiva, gli accordi in parola
offrano vantaggi economici in misura ben più rilevante per i vettori statunitensi.
La Commissione UE ha infatti osservato che tali servizi non hanno molto valore
negli Stati Uniti, visto che le destinazioni ulteriori da servire ritenute interessanti
sotto il profilo economico sono relativamente poche, ma in altre parti del mondo,
dove coesistono molti mercati internazionali vicini tra loro - ed è il caso dell'UE -,
essi si rivelano molto utili. In pratica tali diritti offrono ai vettori statunitensi
l'accesso al mercato interno europeo, mentre il mercato interno USA rimane
strettamente chiuso agli operatori stranieri.
La Corte di Giustizia, il 5 Novembre 2002, si è espressa sul ricorso della
Commissione censurando le clausole di tali accordi destinate a privilegiare i
vettori appartenenti allo Stato membro parte dell’accordo. Le decisioni adottate
contro gli Stati firmatari degli accordi censurati stanno modificando in misura
considerevole il quadro del trasporto aereo europeo2.
Due sono i punti fondamentali delle sentenze della Corte UE: con il primo, la
Corte ha statuito la contrarietà al diritto comunitario delle clausole di nazionalità,
ovvero delle clausole che impongono allo Stato che ha sottoscritto l’accordo, la
proprietà e il controllo della compagnia aerea che esercita la linea, con la
conseguente facoltà, per l’altra parte dell’accordo, al venir meno di tale requisito,
di negare le autorizzazioni per l’esercizio delle rotte nel proprio Paese. Il secondo
2
Cause C-466/98, C-467/98, C-468/98, C-469/98, C-471/98, C-472/98, C-475/98 e C476/98 contro Regno Unito, Danimarca, Svezia, Finlandia, Belgio, Lussemburgo, Austria,
Germania, in G.U.C.E. 21 dicembre 2002, C 323.
13
attiene alla competenza della Comunità a negoziare la totalità degli accordi
bilaterali tra i Paesi comunitari e i paesi extra-comunitari.
La Commissione, come ha ricordato la Corte a questo riguardo, vanta sin dal
1996 un mandato ‘ristretto’ per la negoziazione degli accordi bilaterali, ovvero un
mandato per la negoziazione solo di alcuni aspetti degli accordi in parola, quali ad
esempio le questioni legate alla sicurezza, all’ambiente, all’overbooking, alla slot
allocation, ovvero a tutte quelle materie nelle quali oramai gli Stati membri sono
privi di competenza a decidere, spettando quest’ultima, come è noto, alla
Comunità. In occasione della firma degli otto accordi bilaterali gli Stati membri,
come ha stabilito la Corte, non hanno minimamente tenuto conto di tale
competenza ‘concorrente’ della Commissione, per alcune delle materie oggetto
degli accordi.
Il venir meno della clausola di nazionalità favorirà le aggregazioni (fusioni,
acquisizioni) tra imprese del trasporto aereo, capaci di rendere i vettori europei
competitivi a livello internazionale. Proprio questa clausola è stata finora il vero
impedimento al processo di consolidamento delle compagnie europee in quanto la
fusione avrebbe di fatto portato alla nullità degli accordi bilaterali (ASA Air
Service Agreements) in essere.
3. Gli effetti delle Sentenze c.d. ‘open sky’ sul futuro della politica europea del
trasporto aereo: il venir meno delle competenze, in materia, dei singoli Stati
membri
Il 19 novembre 2002, ovvero pochi giorni dopo le sentenze open sky, la
Commissione ha adottato la prima di due importanti comunicazioni che hanno
condotto alla elaborazione del pacchetto di misure approvato il 5 giugno 2003 e
che rappresentano l’attuale politica del trasporto aereo in Europa. Con la prima
comunicazione essa tratteggia le conseguenze delle sentenze sull’intera politica
comunitaria del trasporto aereo. E’ una comunicazione di fondamentale
importanza nella quale la Commissione delinea non solo quali saranno i passi da
adottarsi a breve per porre le basi della nuova politica comunitaria negli accordi
bilaterali (e dunque la concessione di un mandato a suo favore per negoziare gli
accordi con gli USA), ma quali saranno le strategie future della Comunità europea
nel settore del trasporto aereo.
La seconda comunicazione viene adottata il 26 febbraio 2003. E’ questa, a
differenza della prima, una comunicazione che delinea, a distanza di qualche mese
dalle sentenze della Corte, gli strumenti normativi grazie ai quali la Comunità
potrà giungere alla realizzazione dei principi di politica del trasporto aereo già
tracciati.
Tali proposte prendono forma il 28 maggio 2003 ed in tale occasione il
Consiglio europeo elabora tre nuovi documenti relativi alle ‘Relazioni esterne nel
settore dell’aviazione civile’ ed intitolati nel seguente modo:
a) Progetto di decisione del Consiglio che autorizza la Commissione ad
avviare negoziati con gli Stati Uniti nel settore del trasporto aereo
(9927/03)
14
b) Progetto di decisione del Consiglio che autorizza la Commissione ad
avviare negoziati con paesi terzi sulla sostituzione di alcune disposizioni
degli accordi bilaterali vigenti con un accordo comunitario (9928/03)
c) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo
alla negoziazione e all'applicazione di accordi in materia di servizi aerei
stipulati dagli Stati membri con i paesi terzi (9929/03).
Le conseguenze sulla politica del trasporto aereo di tale pacchetto di misure
sarà, innanzitutto, quella di aprire gli accordi bilaterali esistenti a tutti i vettori
comunitari, con il definitivo abbandono della clausola di nazionalità.
Ciò accadrà sia negli accordi con gli USA, grazie al primo mandato ottenuto
dalla Commissione, sia per gli altri accordi bilaterali firmati individualmente dai
Paesi membri con gli Stati non comunitari diversi dagli USA, grazie al secondo
mandato. Gli Stati membri saranno tenuti quindi alla distribuzione dei diritti di
traffico tra i vari vettori senza limitazioni, nel senso che se i diritti di traffico
saranno sufficienti per tutti i vettori comunitari che desiderino entrare in quel
mercato, essi avranno il diritto di intervenirvi. Per l’eventualità in cui la domanda
dovesse superare l’offerta di diritti, si ricorrerà a procedure concorsuali.
Altra conseguenza, anche questa di importanza fondamentale, va ricercata nelle
competenze effettivamente rimaste in capo agli Stati membri. A mio parere il
pacchetto di misure del 5 giugno lascia ben poco alla competenza dei singoli Stati
membri.
Apertamente, o in modo implicito, la Comunità europea ha, di fatto, privato gli
Stati membri di autonomia in materia. Ancorché per i futuri accordi, la
competenza, rimanga nella potestà dei singoli Stati membri, per la loro
conclusione il regolamento richiede il diretto coinvolgimento del Consiglio e della
Commissione che dovranno dare il loro assenso in merito ai termini di un nuovo
accordo. L’eventuale mancanza di tale assenso da parte delle Istituzioni
comunitarie avrà l’effetto di privare, di fatto, lo Stato membro della potestà di
concludere l’accordo.
Da queste decisioni appare evidente che saranno le compagnie più forti ad
avvantaggiarsene costringendo le minori ad aggregarsi per non perdere quote di
mercato quindi, in conclusione, la decisione della Corte potrà in effetti favorire il
processo di consolidamento auspicato.
A tutt’oggi (Aprile 2006) 50 Stati extra-comunitari hanno accettato la
designazione della Comunità europea, 329 accordi bilaterali di traffico sono stati
resi conformi alle nuove direttiva comunitarie e sono iniziati i negoziati per la
firma di 17 accordi orizzontali.
A seguito di quanto esposto finora, penso che le imprese comunitarie debbano
adottare da subito una strategia diretta al loro consolidamento, quindi a creare
quella massa critica che consenta loro di competere con le compagnie americane.
Tale processo darebbe ulteriore impulso al superamento della mentalità
monopolistica, tipica delle aziende di Stato, che purtroppo ancora caratterizza
taluni vettori e che conduce inevitabilmente ad un eccesso di personale, a
problemi connessi all’eterogeneità della flotta nonché, come si è detto, alla
mancanza di alleanze internazionali.
Mi pare, d’altra parte, che i fallimenti di Sabena e Swissair evidenzino
chiaramente la situazione insostenibile delle tradizionali compagnie di bandiera,
15
se non si interviene con pesanti processi di ristrutturazione e con la conclusione di
efficaci alleanze internazionali.
La formazione di gruppi sopra auspicata è senz’altro un processo positivo;
occorre allora cercare di favorire la concorrenza tra gli stessi, abbattendo le
barriere che oggi la ostacolano come i grandfather rights nella assegnazione degli
slots che da tempo, ma senza successo, l’UE sta cercando di regolamentare in
modo da aprire il mercato del trasporto aereo ai vettori new entrants.
4. Il problema degli slots
Forse vale la pena ritornare su un tema già accennato e considerato un
ostacolo alla crescita delle compagnie aeree: il sistema di assegnazione della
bande orarie (i cosiddetti slots) e i grandfather’s rights. La Commissione europea
in uno studio recente ha evidenziato come una delle maggiori difficoltà
dell’attuale sistema di assegnazione delle bande orarie risieda nel raggiungimento
di un giusto equilibrio tra gli interessi dei vettori aerei già insediati e dei nuovi
concorrenti negli aeroporti congestionati. Infatti, se i vettori insediati hanno
interesse a consolidare ulteriormente la loro posizione in un aeroporto, i vettori
aerei con un’attività relativamente contenuta o non ancora attivi aspirano ad
ampliare i loro servizi.
Inoltre, in vari aeroporti contraddistinti da fenomeni di congestione, le regole
esistenti, basate in gran parte sul principio dei “diritti acquisiti”, sono state
ritenute non sufficientemente flessibili per garantire la disponibilità di bande
orarie e ottimizzare l’uso efficiente di una scarsa capacità aeroportuale: gli slot
relativi alle fasce orarie più appetibili, infatti, rimangono ancora una prerogativa
dei vettori tradizionali.
La disciplina introdotta dal Regolamento CE n. 93/95, basandosi sul principio
dei “diritti acquisiti” (i c.d. grandfather’s rights) e sulla regola secondo la quale le
bande orarie devono essere utilizzate o altrimenti sono revocate (la c.d. use-it or
lose-it rule), è apparsa non adeguatamente flessibile e idonea a consentire
l’accesso al mercato di nuovi vettori o il potenziamento dell’attività dei vettori già
presenti.
La conseguenza è stata che, da un lato, taluni operatori hanno finito con il
considerare le bande orarie come ‘beni’ di loro proprietà, creando un ostacolo alla
concorrenza e, dall’altro, gli aeroporti hanno sostenuto di essere titolari delle
stesse sul presupposto che esse sarebbero inestricabilmente connesse
all’infrastruttura aeroportuale.
E’ da anni al vaglio della Comunità europea un testo di modifica dell’attuale
regolamento che disciplina a livello comunitario la distribuzione degli slot, e che
ha avuto una battuta d’arresto a seguito dei tragici eventi dell’11 settembre 2001,
a seguito dei quali la Comunità europea ha preferito differire l’adozione di misure
volte a favorire la competizione tra vettori per non incidere su un mercato in forte
crisi.
16
5. Le compagnie low-cost
Le tradizionali compagnie aeree comunitarie non possono non considerare la
forte spinta alla concorrenza data in questi ultimi anni dalle compagnie low-cost o
no-frills.
E’ certo che le compagnie tradizionali (tra le quali naturalmente Alitalia) ben
difficilmente, mantenendo l’attuale assetto ed organizzazione, potranno proporre
sul mercato tariffe più competitive rispetto a quelle delle compagnie low-cost,
anche ricorrendo a più economici sistemi di vendita dei biglietti via internet.
Non va trascurato, infatti, che sono ancora numerosi i fattori che incidono sui
costi dell’impresa tradizionale, e che essi non sono legati esclusivamente ai
maggiori costi della distribuzione del biglietto o ad una più attenta cura del
passeggero a bordo, ma dipendono da un’impostazione aziendale ingessata da
strutture estremamente costose.
Basti pensare ad esempio ai costi di una flotta eterogenea e in buona parte
obsoleta come quella di Alitalia, che comprende 10 tipi di aerei diversi, rispetto ai
costi di gestione sostenuti da una compagnia come Ryanair, che possiede una
flotta giovane e costituita da aerei di un unico modello; a parità di numero di
aerei, Alitalia deve impiegare circa il 20% in più di personale navigante.
Ulteriori incrementi dei costi derivano, poi, dalla manutenzione, diversa per
ogni differente tipo di velivolo e da costose giacenze dei pezzi di ricambio.
Incidono, inoltre, sui maggiori costi dei vettori tradizionali i contratti di lavoro,
frutto di accordi raggiunti in periodi di quasi-monopolio e caratterizzati da costosi
privilegi totalmente sconosciuti ai contratti adottati delle compagnie low-cost, che
in un periodo di crisi del trasporto aereo hanno potuto imporre condizioni
estremamente vantaggiose.
Incide ulteriormente sulla difficoltà di contenere le tariffe aeree la tradizionale
politica di scelta delle rotte da esercire. L’impostazione tradizionale, maturata in
un mercato chiuso alla concorrenza, ha fatto sì che i vettori tradizionali operino
dagli aeroporti maggiori con diritti di approdo e partenza e con tariffe di handling
più elevati rispetto agli aeroporti minori, scelti dai vettori low-cost.
La scelta di questi ultimi è stata peraltro “premiata” anche di recente dalla
Commissione UE che, in una comunicazione del dicembre 2005 (2005/C 312/01),
ha escluso la contrarietà al diritto comunitario ed al divieto di aiuti di Stato dei
finanziamenti erogati dallo Stato o da enti territoriali a vettori che aprano nuove
rotte (c.d. aiuti start up) da aeroporti regionali.
Questo ha finito per avallare finanziamenti di cui hanno beneficiato in passato i
vettori low-cost sotto forma di compensi elargiti da aeroporti regionali per forme
di pubblicità degli aeroporti stessi effettuate in modi diversi (con opuscoli a bordo,
con la vendita di prodotti gastronomici, con l’apposizione dei loghi e
denominazioni sulla carlinga dell'aereo, dell’aeroporto in questione), quale
corrispettivo per l’apertura di nuove rotte che, comunque, hanno portato
consistenti vantaggi economici all’aeroporto e al territorio circostante con l’arrivo
di nuovi passeggeri.
La tabella 13 (Fonte Eurocontrol) illustra la crescita delle compagnie low-cost
in Europa dal 2001 al 2006 rapportata a quella avvenuta negli Stati Uniti e nei
17
Paesi Asiatici. Nel periodo in esame i voli low-cost sono passati dal 3% al 16%
del totale voli.
Nel 2005 circa 140 milioni di persone hanno viaggiato con compagnie low
cost, mentre nel 2004 erano state 85 milioni. Secondo l’OAG (Official Airline
Guides), dal 2001 i voli in Europa di queste compagnie sono sestuplicati arrivando
al 20% dell’offerta di posti. Ciò significa che un passeggero su 5 viaggia low-cost.
Al contrario le compagnie tradizionali crescono ad un ritmo di poco superiore al
4%.
Tab.13
Circa l’origine dei voli dai diversi Paesi europei, le tabelle che seguono (14 e
15) mostrano la maggior presenza nel Regno Unito, dove in effetti il fenomeno ha
avuto origine, seguito da Germania, Spagna e Italia.
18
Tab.14
La tab.15 evidenzia la presenza delle compagnie low-cost nei vari Paesi.
Poiché il grafico esclude i sorvoli, i dati mostrano l’effettiva presenza delle
compagnie low-cost nel territorio. Se l’Italia ha una penetrazione delle low cost
piuttosto rilevante, la Francia ha invece limitato tale presenza nei suoi aeroporti e
ciò probabilmente allo scopo di non indebolire le proprie compagnie tradizionali,
che hanno sempre beneficiato di una politica protettiva da parte del governo
francese.
19
Tab.15
Le compagnie low-cost che operano in Italia sono 36 e sono operative su 31
aeroporti, collegando le nostre città con 87 destinazioni europee.
Aeroporti come Bergamo, Ciampino, Pisa e Treviso hanno avuto una
esplosione di traffico grazie a queste compagnie. Solo Ciampino ha avuto nel
2005 un aumento del 65% del traffico. Nel 2005 Ryanair e Easyjet hanno
trasportato rispettivamente 33 milioni e 30 milioni di passeggeri. Solo le tre
maggiori compagnie europee hanno imbarcato più passeggeri delle compagnie
low-cost; Lufthansa ha imbarcato 49 milioni, Air France 47 milioni e British
Airways 36 milioni. Easyjet dispone di 110 aerei e Ryanair di 100 aerei, in
massima parte nuovi. Ciò consente pochi fermi macchina per le operazioni di
manutenzione e garantisce minori consumi.
Per meglio comprendere i vantaggi competitivi che un vettore come Ryanair
può offrire nel nostro Paese, è sufficiente paragonare i dati appena esaminati con
quelli offerti da Alitalia. Per il medio-raggio (settore in cui opera Ryanair)
Alitalia, oltre a 46 moderni Airbus, impiega ancora 85 MD 80 con una vita media
di 20 anni, aerei che dovranno essere presto sostituiti per ragioni di inquinamento
e per gli eccessivi costi di manutenzione e consumo.
Sicuramente costituirà uno stimolo positivo alla concorrenza la recente
decisione dei vettori low-cost, ed in particolare di Ryanair, di intensificare i
collegamenti tra gli aeroporti italiani. La forte competitività ed aggressività delle
compagnie low-cost consentirà di evidenziare grandi differenze di prezzo tra le
rotte caratterizzate dalla loro presenza e quelle che ne sono prive. Infatti, a
20
tutt’oggi, e nonostante la liberalizzazione sia avvenuta nel 1997, nelle rotte
coperte solo da uno o due vettori le tariffe si mantengono elevate, laddove, a
parità di lunghezza della tratta, nelle rotte caratterizzate dalla presenza di una
maggior concorrenza e di operatori low-cost i prezzi sono di gran lunga inferiori.
Non vi è dubbio che le tariffe proposte dalle compagnie low-cost diventeranno
sempre di più parametri di riferimento anche per le compagnie maggiori al fine di
mantenere una sufficiente attrattività per il consumatore. E’ interessante notare in
proposito che la tariffa media applicata da Ryanair sui voli operati nel 2003 è stata
di 46 Euro!
Questo fenomeno – nato in Gran Bretagna, ma in via di espansione nel resto
d’Europa – ha indotto le compagnie maggiori, come Lufthansa, ad effettuare voli
a basso costo, anche attraverso compagnie minori controllate.
Credo, in definitiva, che si possa senza alcun dubbio affermare che il tipo di
servizio offerto dalle compagnie low-cost rappresenti il futuro modo di volare.
Queste compagnie non si sono ancora affacciate al settore del lungo raggio (ci fu
solo l’interessante esperienza della Virgin negli anni settanta), ma c’è da aspettarsi
che tra non molto anche tali rotte saranno operate da compagnie low-cost. Forse
l’unica ragione che ha impedito ad oggi alle compagnie low-cost di affacciarsi al
mercato del lungo raggio è stata l’esistenza degli accordi bilaterali di traffico che
consentivano ai Paesi di designare i vettori di bandiera per l’esercizio delle
relative rotte. La decisione della Corte del 5 Novembre 2002, di cui si è dato
conto, potrà sicuramente aprire questo mercato anche alle compagnie low-cost.
I vettori comunitari dovranno trovare nuove strategie al fine di non dover
subire una concorrenza che si basa su una nuova e moderna filosofia
imprenditoriale che si sposa perfettamente con la domanda e che risulta, pertanto,
vincente per la maggior parte delle fasce di consumatori. Si noti che un numero
sempre maggiore di aziende spingono i loro dirigenti a volare con compagnie
low-cost.
In conclusione, le compagnie low-cost rappresentano un fenomeno assai
importante ed inarrestabile. Oggi essi costituiscono un problema per le compagnie
tradizionali che con difficoltà stanno ancora perseguendo una politica di riduzione
di costi e di entrata in alleanze internazionali. Questo fenomeno, oggi avvertito da
molti come una criticità del sistema, potrà essere il motore di un nuovo assetto del
mercato che offrirà al consumatore servizi maggiormente aderenti alla domanda.
6. Criticità degli aeroporti comunitari
Come si è anticipato, negli aeroporti comunitari stiamo assistendo ai medesimi
fenomeni di aggregazione di cui si è fatto cenno con riguardo ai vettori aerei.
Infatti, i principali hubs europei tendono a fare sistema, acquisendo partecipazioni
negli aeroporti minori, che vengono così destinati al feederaggio con una
conseguente maggior crescita degli stessi hubs.
21
Nonostante questa tendenza sussistono dei limiti oggettivi al processo di
aggregazione che sta interessando gli aeroporti comunitari e tali limiti sono dati
dal loro forte congestionamento.
Uno studio dell’ECAC precedente all’11 settembre 2001 aveva stimato che nel
2005 il 7% (e il 15% nel 2010) della domanda di slots, negli aeroporti europei con
un traffico annuo superiore ai 5 milioni di passeggeri, sarebbe stata insoddisfatta.
La tabella 16 evidenzia le percentuali di traffico che potrebbero restare
insoddisfatte fino al 2010 a causa delle carenze nelle infrastrutture dei principali
aeroporti europei.
Tab.16
Tale stato di cose è legato in modo particolare a due ragioni. La prima riguarda
la limitazione dei voli notturni per ragioni di inquinamento acustico, limitazione
che ha così ristretto il tempo di operatività degli aeroporti. Occorre altresì
considerare che le municipalità hanno consentito in molti casi la costruzione di
abitazioni in luoghi sempre più prossimi ai sedimi aeroportuali acuendo il
problema dell’inquinamento. La seconda ragione risiede nella inadeguatezza delle
strutture aeroportuali. La pianificazione e la realizzazione di nuove strutture
aeroportuali richiedono diversi anni (da tre a sette) per trovare compimento.
Dall’inizio degli anni novanta l’aumento del traffico aereo è avvenuto a tassi
talmente elevati da non consentire un rapido adeguamento di tali strutture.
La successiva tabella 17 evidenzia chiaramente che i ritardi avvengono nelle
fasi di atterraggio e decollo – non in rotta – che sono i colli di bottiglia del volo e
dove c’è, quindi, congestionamento. Circa la responsabilità, Eurocontrol (fonte di
entrambe le tabelle 17 e 18) la attribuisce per il 53% ai vettori e per il 18% agli
aeroporti. Non modeste sono le cause per meteo avverse che arrivano all’11%.
Infine, non trascurabili sono anche i ritardi dovuti ai controlli di sicurezza che
interessano il 4% dei voli.
22
Tab.17
Tab.18
Parte terza
23
Il mercato italiano
1. Le compagnie aeree
In Italia, fino a dieci anni fa il mercato era appannaggio di circa dieci
compagnie. Ora se ne contano 35 - delle quali solamente un paio presentano
bilanci in attivo - evidenziando un andamento esattamente contrario a quello
auspicato dalla Commissione europea. Di queste 35 compagnie, la maggior parte
sono di modeste dimensioni con l’eccezione di Alitalia che, comunque, si può
definire una compagnia di medie dimensioni e con un ruolo solo regionale. A
seguito della decisione della Corte di Giustizia e dei successivi interventi della
Commissione europea, il nostro mercato potrebbe essere caratterizzato da processi
di consolidamento con riflessi positivi sulle compagnie aeree. Se questo non
dovesse avvenire, il mercato italiano potrebbe essere oggetto di conquista da parte
di compagnie straniere che hanno saputo ristrutturarsi sotto la spinta della
Commissione europea.
Nei paragrafi che seguono verranno evidenziate le criticità che ancora
caratterizzano il mercato del trasporto aereo nel nostro Paese e che lo rendono
assai poco competitivo. Anche i più recenti interventi delle autorità nazionali
hanno avuto l’effetto di assecondare, come vedremo, posizioni di privilegio degli
operatori del settore, a discapito di una completa liberalizzazione capace di
portare le nostre imprese di settore a competere nel mercato comunitario del
trasporto aereo.
Tra questi interventi va sin d’ora segnalato il decreto di riforma della parte
aeronautica del Codice della navigazione. Tale intervento riformatore, se da un
lato ha saputo adeguare la normativa interna alla più recente disciplina
comunitaria, dall’altro non ha saputo cogliere l’occasione per garantire l’avvio di
processi di liberalizzazione e privatizzazione nel settore del trasporto aereo
auspicati da tempo sia dalle autorità comunitarie che nazionali.
2. Il caso Alitalia
Tra le imprese che non hanno saputo liberarsi delle incrostazioni delle
compagnie di bandiera possiamo senz’altro annoverare Alitalia che, secondo il
Rapporto Lek (commissionato dall’UE in relazione agli aiuti di Stato elargiti ad
Alitalia negli anni novanta) del settembre 2000, aveva un’eccedenza di circa 5.000
persone, una flotta composta di 10 tipi di aerei diversi i quali, inevitabilmente,
producono maggiori costi e rigidità.
Non bisogna, infatti, dimenticare che già dalla metà degli anni ottanta gli aerei
sono stati costruiti col concetto di flight deck unico, ovvero con una cabina di
pilotaggio con caratteristiche pressoché identiche per un’intera famiglia di
aeromobili. Operare con uno o, al massimo, due famiglie di aerei, significa ridurre
sostanzialmente gli investimenti per la manutenzione, limitare le costose giacenze
di parti di ricambio degli aeromobili e impiegare un minor contingente (pari
all’incirca al 20%) di personale navigante.
24
Purtroppo, la situazione di Alitalia a quasi sei anni dall’emissione del Rapporto
Lek non pare sostanzialmente diversa.
Si sostiene da più parti che il mancato decollo di Malpensa avrebbe fortemente
acuito la crisi di Alitalia. Questa affermazione non tiene conto, a mio parere, che
al momento dell’apertura del nuovo aeroporto di Malpensa (alla fine del 1998)
Alitalia disponeva di meno di 30 macchine di lungo raggio (di cui la metà
piuttosto obsolete), mentre Air France disponeva già, a quel tempo, di oltre 100
aeromobili con tali caratteristiche; dopo l’accordo con KLM il gruppo dispone ora
di 160 macchine, Lufthansa di 140 e British Airways di 134. Un hub è tale se in
esso ha base di armamento una forte compagnia e una compagnia forte è quella
che effettua molti collegamenti di lungo raggio. Non è un caso, quindi, che i tre
hubs europei siano Londra, Parigi e Francoforte. Si potrebbe allora affermare
l'opposto e cioè che la debolezza di Alitalia è responsabile, in buona parte, del
mancato sviluppo di Malpensa.
Da allora Alitalia è stata costretta a chiudere diversi collegamenti
intercontinentali per destinazioni servite da Parigi, Londra e Francoforte con
diverse frequenze settimanali, collegamenti alimentati da Air France, Lufthansa e
British Airways con più collegamenti giornalieri da tutti gli aeroporti del nord
Italia. Questi collegamenti intercontinentali, permanendo la situazione di carenza
in Alitalia di macchine di lungo raggio, potrebbero in futuro essere assegnati dalla
Commissione ad altre compagnie europee a seguito della nuova politica
comunitaria in materia di accordi bilaterali di traffico.
Alitalia è una compagnia molto debole nel mercato, ormai ridotta, come si è
detto, a compagnia regionale. Negli ultimi anni si è trovata spesso vicina ad una
situazione di stato di insolvenza. Le ragioni risalgono sostanzialmente a una
gestione che non ha mai saputo affrontare i veri problemi della compagnia. In
particolare si sono spesso fatte assunzioni di personale senza le specifiche
competenze per affrontare la vivace concorrenza del settore.
Non è stata fatta una lungimirante politica della flotta, concentrando la scelta
su due sole famiglie di aerei. Questo ha portato a enormi costi di manutenzione e
di gestione delle scorte dei pezzi di ricambio. I rapporti con i sindacati sono stati
troppo accomodanti, accumulando nei contratti di lavoro privilegi ora difficili da
eliminare.
Infine, il management ha compromesso il possibile accordo con KLM che
poteva rafforzare sensibilmente la posizione di Alitalia nel mercato europeo. Il
successivo accordo con Air France è legato a condizioni di ristrutturazione e
privatizzazione sulle quali governo e management non pare vogliano prendere
decisioni risolutive. L’unico atto del governo è stato, alla fine del 2005,
l’approvazione di un decreto (decreto sui requisiti di sistema), di cui si parla nel
capitolo seguente, che è stato oggetto più di critiche che di approvazioni.
3. Il decreto sui requisiti di sistema
Il 5 Ottobre 2005 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri un decreto legge
sui cosiddetti “requisiti di sistema”. Il decreto legge in parola intende intervenire
sulla catena del valore nel settore del trasporto aereo con l’intento di correggere la
distribuzione dei margini di profitto tra i diversi attori. La spinta ad adottare tale
25
decreto è sorta a seguito degli incrementi dei prezzi del carburante, e dell’acuirsi
della crisi di Alitalia, con l’intento di rivedere le tariffe e i diritti per i servizi di
navigazione aerea e aeroportuale a vantaggio di tutti i vettori aerei. Purtroppo
Alitalia beneficerà in misura piuttosto ridotta (non oltre il 30%) di tali riduzioni.
L’intervento ha ricevuto scarsa approvazione e molte critiche perchè non pare
in verità finalizzato ad accelerare la completa attuazione del vigente quadro
normativo, pensato da tempo proprio per impedire il sorgere di situazioni di
disequilibrio, né pare in sintonia con la riforma della parte aeronautica del codice
della navigazione.
Le perplessità attengono, innanzitutto, agli effetti del decreto con riguardo alla
riduzione dei diritti aeroportuali, suscettibili di incidere anche sull’iter
organizzativo delle gestioni aeroportuali.
Il decreto, modificando la legge n. 537/93, stabilisce che i diritti aeroportuali
saranno determinati secondo criteri fissati dal CIPE con decreto interministeriale.
Esso ribadisce (all’art. 7) la necessità che, nella determinazione dei diritti
aeroportuali, trovi applicazione un principio di trasparenza e di ancoraggio ai costi
effettivamente sostenuti e a una normale remunerazione del capitale investito; tale
intervento volto a consentire il recupero di economicità dei gestori e il riequilibrio
dei diritti risulta, tuttavia, disatteso dal tenore delle disposizioni successive.
Il decreto stabilisce, infatti, che la misura iniziale dei diritti e l’obiettivo di
recupero della produttività vengano determinati, tra l’altro, tenendo conto di una
quota di non meno del 50% del margine conseguito in relazione ad attività non
regolamentate. Sono queste le attività commerciali esercitate nel sedime
aeroportuale. La previsione in esame, che pecca per assoluta genericità, colpisce
particolarmente i migliori gestori – ovvero quelli che hanno sviluppato una
rilevante attività commerciale - riducendo sensibilmente le tariffe aeroportuali.
Inoltre, l’art. 8 impone, ancorché per un periodo transitorio (ma non
dimentichiamoci che la delibera CIPE che sancisce il principio del price cap è
dell’agosto del 2000 e, ad oggi, non ha trovato applicazione!), una riduzione dei
diritti, in misura proporzionale alla diminuzione dei canoni demaniali, senza avere
riguardo ai volumi di traffico e alla redditività dell’aeroporto, nonché alla media
europea riferita alle migliori gestioni.
Tale ultima misura potrebbe quindi incidere sulle previsioni di
programmazione pluriennale della dinamica dei proventi aeroportuali,
costringendo i gestori a rivedere i piani pluriennali presentati per ottenere la
gestione totale, con l’effetto di protrarre l’iter della sua concessione.
Probabilmente tale intervento poteva essere evitato da un’azione più incisiva
per la conclusione dei processi, iniziati con una legge risalente al 1993, di
privatizzazione delle società di gestione aeroportuale al fine di indurre le stesse ad
agire in base a principi di economicità ed efficienza, processo a tutt’oggi
ostacolato dal mancato rilascio delle concessioni aeroportuali e dalla mancata
sottoscrizione dei contratti di programma. Poteva essere altresì evitato dalla
immediata applicazione della delibera CIPE dell’Agosto 2000 e dall’effettiva
applicazione della direttiva di liberalizzazione dei servizi di handling aeroportuale
(attuata in Italia con d.lgs. n. 18/99), consentendo la realizzazione di dinamiche
concorrenziali che avrebbero potuto dare oggi buoni frutti.
Non dimentichiamoci che la riforma della parte aerea del codice della
navigazione (di cui si farà cenno in seguito) fa propri questi principi di origine
26
comunitaria, con la finalità di aprire al mercato i servizi aeroportuali e ritagliare,
invece, al gestore aeroportuale compiti di amministrazione, gestione e
coordinamento del sistema aeroportuale.
L’avere ancorato la riduzione dei diritti ad una diminuzione dei canoni
demaniali ha spinto, poi, a porre a carico del bilancio dello Stato le minori entrate
per l’ENAC. Anche tale iniziativa non pare in sintonia con la legge n. 250/97 che
istitutiva l’Ente in questione, prevedendo la sua trasformazione in ente pubblico
economico non oltre il 31 luglio 1999. In realtà, l’introduzione di meccanismi di
finanziamento statale probabilmente allontana dal perseguimento di livelli di
autonomia economico-finanziaria necessari per la trasformazione.
In conclusione, il decreto in esame pare complicare il quadro normativo del
settore senza raggiungere il reale obiettivo di un concreto aiuto ad Alitalia. Anzi,
buona parte dei benefici offerti dal decreto (70%) vanno a favore delle compagnie
straniere che operano in Italia e che, quindi, potranno impiegare gli sconti
percepiti per una più efficace concorrenza ai danni delle compagnie nazionali.
4. Aeroporti - La situazione Italiana
Un fattore che sicuramente sta giocando un ruolo fondamentale nell’attuale
sistema del trasporto aereo è quello della liberalizzazione dei servizi di ground
handling aeroportuale, avvenuta a seguito dell’intervento della Comunità europea
e tuttora in fase di attuazione in alcuni Paesi comunitari, compresa l’Italia. Credo
di poter affermare che proprio il mancato completamento di questo processo di
liberalizzazione produce effetti negativi sul mercato del trasporto aereo.
Nonostante dal 1999 (d.lg. 18/99) l’Italia abbia avviato un processo di
liberalizzazione dei servizi aeroportuali, gli aeroporti nazionali hanno ritardato
tale processo di apertura alla concorrenza, favoriti da una normativa nazionale che
poneva onerose condizioni per i nuovi ingressi e spesso abusi di posizione
dominante (ostacoli all’ingresso di nuovi operatori di handling, ritardo nella messa
a disposizione degli spazi per consentire loro di operare, obbligo di assumere la
manodopera in esubero alle dipendente del gestore aeroportuale). Su tali
comportamenti è intervenuta negli ultimi due anni l’Antitrust anche con interventi
sanzionatori.
Di recente anche la Corte UE ha sanzionato l’Italia per l’ostacolo alla
liberalizzazione aeroportuale (sentenza del dicembre 2004, con la quale si
condanna l’Italia per avere adottato, nella fase della liberalizzazione, una norma
che obbligava il nuovo entrante ad assumere la manodopera in esubero dell’ex
monopolista).
A ciò si aggiunga il fatto che ancora oggi i gestori aeroportuali acconsentono,
al mero scopo di soddisfare l’imposizione della concorrenza in aeroporto,
all’ingresso di nuove società spesso da loro stessi controllate e con esclusione di
operatori terzi, accampando ragioni di scarsità di spazi disponibili.
Una politica delle tariffe che non risente ancora dei benefici effetti della
liberalizzazione dei servizi di handling non può che incidere negativamente sulle
tariffe aeree soprattutto in quegli aeroporti maggiori, non regionali, dai quali
tradizionalmente operano i vettori principali.
Si deve poi considerare che il processo di privatizzazione delle società di
27
gestione aeroportuale attuato a livello nazionale, ancorché stia procedendo
lentamente, è senz’altro finalizzato a favorire una gestione efficiente e volta, in
ultima analisi, a stimolare la concorrenza all’interno dell’aeroporto, con
ripercussioni positive nel più ampio settore del trasporto aereo.
Costituisce di certo un freno alla completa attuazione di quest’ultimo processo
l’atteggiamento degli enti locali, normalmente proprietari della maggioranza delle
quote delle società di gestione, che si mostrano restii a cedere un’attività che
genera profitto.
Avendo inoltre riguardo ad una delle due privatizzazioni delle società di
gestione avvenute in Italia, ovvero quella della società Aeroporti di Roma, essa
presenta a mio parere dei punti di debolezza (basti pensare in proposito
all’operazione di leverage che ha indebitato l’impresa in misura tale da limitarne i
piani di sviluppo e a peggiorare la qualità dei servizi) che inducono a meditare,
anche in questo caso, sul fatto che talora processi finalizzati a promuovere la
concorrenza non sortiscono gli effetti sperati se attuati in assenza di efficaci forme
di controllo volte a garantire l’effettivo perseguimento dei fini prestabiliti.
Devo comunque osservare che non necessariamente la permanenza di società
pubbliche pone un ostacolo al perseguimento delle regole di concorrenza nel
mercato dei servizi aeroportuali ed, al riguardo, mi sembra che possano costituire
un valido esempio di tale circostanza le gestioni effettuate da municipalità in
ambito internazionale quali quelle di Chicago e Francoforte.
Con riferimento ai processi di privatizzazione e liberalizzazione che stanno
coinvolgendo i nostri aeroporti, ricordo che in altri paesi comunitari come la Gran
Bretagna, dove la privatizzazione degli aeroporti è avvenuta da tempo, il gestore
aeroportuale si è man mano ritirato da una gestione diretta dei servizi a terra per
diventare il coordinatore di tutte le attività air side o land side dell’aeroporto. In
questo modo si è eliminato il conflitto di interessi che impedisce lo sviluppo della
concorrenza all’interno dell’aeroporto. Con la riforma del Codice della
navigazione (di cui si parlerà più avanti), si è cercato, anche nel nostro Paese, di
indirizzare il gestore verso questo più moderno ruolo di gestione.
Un altro elemento di debolezza del nostro sistema aeroportuale è
l’assenza di una programmazione di utilizzo e sviluppo sia a livello
nazionale che regionale.
Come avrò modo di esaminare nelle conclusioni del presente lavoro, ritengo
quanto mai necessario che le autorità di Governo redigano entro breve un piano
nazionale degli aeroporti, concordato con le regioni. Prima di ciò è però
necessario che l’autorità di Governo tracci una linea di politica economica che
tiene conto della politica industriale in generale, degli obiettivi per i trasporti e per
il trasporto aereo in particolare.
Un esempio di carenza di processi di pianificazione aeroportuale è offerto dalla
Lombardia dove, a sette anni dall’apertura del nuovo aeroporto di Malpensa,
ancora oggi il Comune (azionista di maggioranza) e la Regione non trovano un
accordo sulla distribuzione del traffico tra Malpensa, Linate, Bergamo e BresciaMontichiari.
È ben vero che Malpensa sconta un processo di avvio partito in ritardo rispetto
agli altri grandi aeroporti comunitari; mentre infatti Malpensa iniziava a muovere i
28
primi passi verso un processo di parificazione agli hub europei, Londra, Parigi e
Francoforte si erano già affermati nel mercato europeo. Talune scelte di
progettazione adottate a Malpensa lasciano, infatti, perplessi, e tra queste si può
citare l’aerostazione localizzata a lato delle piste, anziché tra le stesse, che si è
rivelata di ostacolo all’operatività complessiva dello scalo. Tuttavia, non
dobbiamo dimenticare, in proposito, che lo sviluppo di un hub è basato sulla
presenza di un vettore forte, sia sul piano dell’efficienza, sia delle dimensioni.
Come abbiamo detto più volte, un vettore forte è quello che dispone di molte
macchine di lungo raggio e Alitalia, che è la maggiore compagnia italiana dispone
di sole 23 macchine di tale tipo. Malpensa, quindi, per le ragioni esposte, non ha
grandi possibilità di sviluppo, soprattutto di diventare un vero hub.
Nell’attuale situazione, una strategia possibile sarebbe quella di mantenere
Malpensa come aeroporto principale del nord per traffico passeggeri, costruendo
nel breve periodo una terza pista orientata nord-est/sud-ovest (da utilizzarsi per i
decolli), e ridurre il traffico di Linate. Non possiamo, infatti, dimenticare che
quest’ultimo è caratterizzato da problemi ambientali di non scarso rilievo.
Infine, mi pare che concentrare a Bergamo i couriers e destinare BresciaMontichiari al traffico all cargo (che se lasciato a Malpensa creerebbe problemi di
viabilità sull’autostrada A8 e problemi di piazzole di sosta nell’aeroporto)
potrebbe essere una soluzione maggiormente proficua dell’attuale.
Non bisogna, infatti, dimenticare che Brescia-Montichiari (già sedime militare
che non presenta problemi ambientali), oltre alla sua posizione baricentrica al
nord Italia, è facilmente collegabile con l’interporto di Verona, e risulta quindi
aderente ai principi dell’intermodalità previsti dai progetti europei di sviluppo dei
trasporti.
Infine, nella fase di pianificazione si dovrà tener conto anche del trasporto
ferroviario che nei collegamenti di corto raggio – specialmente con l’alta velocità
– è fortemente competitivo all’aereo. Si pensi al Parigi-Bruxelles e alla tratta
Parigi-Londra o Napoli-Roma e Bologna-Roma in Italia.
5. Il cargo aereo
In questo esame del trasporto aereo non può essere ignorato il settore cargo. Il
cargo aereo è un settore in continua crescita ed evoluzione, in particolar modo nei
paesi asiatici dove si è rilevata nel solo 2004 una crescita superiore al 12%. In
Italia si sviluppa a tassi inferiori rispetto alla media mondiale ed europea perché
non è mai stato oggetto di particolare attenzione, specialmente da parte di Alitalia
quando era la compagnia di bandiera.
Le previsioni della IATA per il periodo 2004-2008 indicano un aumento medio
del 6% che per l’Europa si distribuisce tra il 7% verso l’Asia, il 6,1% verso il
medio oriente e il 5,6% verso l’Africa.
In particolare, il mercato europeo del cargo, che rappresenta quasi un quarto
del mercato mondiale, ha registrato un aumento del 10% nel 2004, soprattutto
grazie agli hubs di Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Bruxelles.
Lo scalo di Francoforte, ad esempio, rappresenta il primo scalo cargo
d’Europa, e l’ottavo a livello mondiale, con 1.766.000 tonnellate, molte delle
29
quali sono generate dal mercato italiano; infatti, per le ragioni che saranno di
seguito esaminate, buona parte delle merci, in partenza per via aerea dal nostro
paese, vengono trasportate su strada verso gli hubs del nord Europa già con i
sigilli doganali, il cosiddetto “aviocamionabile”.
L’Italia, pertanto sembra soffrire una certa arretratezza nel settore cargo aereo,
rispetto ai principali paesi europei e vanno accuratamente esaminate le cause di
questo fenomeno per predisporre gli opportuni rimedi.
5.1 Cargo aereo – La situazione italiana
Il mercato italiano degli agenti merci aerei può essere, dati alla mano, definito
maturo e dinamico, se solo si pensa che dal 1991 ad oggi le aziende del settore
sono passate da 215 a circa 300. Inoltre, l’Italia, in termini di fatturato di noli
aerei, con oltre 700 milioni di Euro, è il secondo Paese europeo dopo la Germania.
La vera ragione della nostra arretratezza va dunque ricercata altrove.
In primo luogo va constatata la mancanza, negli anni passati, di voli diretti
cargo dai nostri aeroporti e con destinazioni di lungo raggio, elemento che ha
inevitabilmente aperto il mercato a numerosi vettori stranieri, che hanno
adeguatamente sviluppato l’aviocamionabile, ovvero il trasferimento via camion
delle merci dal territorio italiano verso gli aeroporti europei, con l’inevitabile
conseguenza di alimentare il cargo operato da compagnie non italiane dagli altri
aeroporti europei. Tale risultato appare ancora più paradossale se solo si pensa
che, ad esempio, verso il mercato cinese il nostro export è secondo, in Europa,
solo a quello tedesco e il nostro import quarto dopo quello di Germania, Olanda e
Gran Bretagna.
Ma vi sono altre e più profonde ragioni, che hanno drasticamente inciso sulla
debolezza del nostro cargo aereo e che possono essere individuate
nell’inadeguatezza e frammentazione delle nostre infrastrutture, nell’incapacità di
fare sistema e nella carenza dei servizi offerti. A tale proposito dobbiamo ancora
una volta ricordare come in Italia non sia stata ancora compiutamente attuata la
liberalizzazione dei servizi di handling. In aeroporti come Pisa, Napoli, Verona,
Bologna, Torino, i servizi di handling sono ancora forniti in gran parte dal gestore
aeroportuale, più attento a sviluppare servizi per i passeggeri che per il cargo.
Infine, ma non per ordine d’importanza, va rilevata la complessità delle
procedure burocratiche in aeroporto dove operano oltre 10 enti non coordinati, se
non per mere ragioni di ordine pubblico, dall’ENAC.
Un errore fondamentale, inoltre, che nel corso degli anni è stato commesso, è
stato quello di ritenere il trasporto aereo delle merci quale settore in qualche modo
isolato, scollegato dagli altri settori della filiera produttiva. Questo atteggiamento
rende inevitabilmente il cargo aereo sempre meno competitivo e attento a
garantire elevati servizi qualitativi, con la conseguenza, sicuramente non
secondaria, di raggiungere inadeguate economie di scala, di far aumentare il
traffico veicolare sulle strade e, conseguentemente, l’inquinamento ambientale,
nonché di sviluppare un tasso ancora modesto di occupazione rispetto alle
potenzialità del settore.
A questo si aggiunga una poco lungimirante strategia delle società di gestione
aeroportuale e degli “handlers” che, favoriti da posizioni di fatto dominanti, poco
o nulla fanno per la crescita del sistema integrato di trasporto aereo delle merci,
30
ricercando ed ottenendo alti margini di guadagno piuttosto che creare le
condizioni per far crescere i volumi e le economie di scala ed innescare un circolo
virtuoso “migliori servizi”  “maggior traffico”  “costi unitari più bassi” 
“maggiore fatturato”, etc.
Un ulteriore elemento di debolezza del nostro Paese è causato dal modello
“piccolo è bello” erroneamente enfatizzato per lungo tempo in Italia. Tale modello
ha indotto a ritenere positiva, sotto il profilo dello sviluppo economico del Paese,
la presenza di un numero elevato di aziende importatrici-esportatrici di piccole
dimensioni (176.000 con una media di 30 addetti). Queste imprese, tuttavia,
nell’esportazione e nell’importazione di merci hanno sempre lasciato
all’acquirente o venditore estero l’onere del prelievo o della consegna della stessa,
e quindi, in altri termini, della scelta del mezzo di trasporto e delle relative
pratiche amministrative.
Inevitabilmente, quindi, le imprese estere di trasporto hanno sempre influito
sulla logistica distributiva dei prodotti in entrata o in uscita dall’Italia, frenando
così lo sviluppo di una cultura logistica e di trasporto capace di favorire le imprese
nazionali e indurre alla realizzazione delle necessarie infrastrutture.
A fronte di quanto esposto, quindi, non si può non condividere il contenuto del
patto della logistica, redatto a livello ministeriale, che riconosce i ritardi
considerevoli scontati dal nostro Paese e dovuti prevalentemente alla mancanza di
adeguate infrastrutture, logistiche e di accesso, così come alle farraginose
procedure amministrative rispetto alle esigenze del trasporto aereo.
Va rilevato, tuttavia, come tale patto sia ancora totalmente inattuato.
5.2. Prospettive di sviluppo dei servizi di logistica nel settore del cargo aereo
La situazione appena illustrata e il rilievo del ritardo scontato dal nostro Paese
nel settore in esame, deve spingere ad approfittare di questo “gap”, per dare il via
a nuove e stimolanti opportunità e contribuire in maniera determinante allo
sviluppo del nostro paese.
Si possono già rilevare alcuni positivi passi in avanti a livello dei vettori che
hanno scelto lo scalo di Montichiari come base operativa, scalo che avrebbe
enormi possibilità di sviluppo essendo baricentrico a tutto il nord Italia e, quale ex
sedime militare, dotato di una vasta zona di rispetto suscettibile di limitare i
problemi ambientali legati all’inquinamento acustico.
Tuttavia questo non è di certo sufficiente a creare un processo virtuoso di
sviluppo del cargo aereo in Italia che porti a risultati confrontabili con quelli degli
altri principali Paesi Europei.
Da questo punto di vista, la Spagna ci offre un esempio molto interessante di
politica dei trasporti con la CLASA (Centros Logisticos Aeroportuarios SA),
un’agenzia pubblica dedicata alla promozione del cargo aereo attraverso:
•
•
•
la costruzione, la gestione o l’affitto di cargo centres;
l’integrazione delle proprie strutture con le altre modalità di trasporto e
con i distretti logistici;
un dialogo costante con i vettori aerei presentando le necessità di apertura
di nuove rotte;
31
•
l’analisi dei movimenti di merci e destinazioni per razionalizzare i
collegamenti.
La CLASA rappresenta anche la cargo community spagnola per gli interventi
sul territorio gestendo altresì la circolazione delle informazioni.
Dal modello appena indicato, si potrebbe mutuare soprattutto la creazione dei
Regional Cargo Hubs, presso i quali confluiscono le merci prodotte nei distretti
produttivi vicini.
Qualunque sia la forma scelta, comunque, gli obiettivi di simili distretti
dovrebbero essere quelli di seguito indicati:
•
•
•
•
•
•
portare al cargo aereo anche le imprese che normalmente utilizzano altri
mezzi di trasporto (ad esempio merci deperibili; si pensi al caso della
Sicilia le cui primizie ortofrutticole giungono nel mercato di Francoforte
via camion due giorni dopo quelle del Kenya spedite per via aerea;
sviluppare collegamenti diretti – anche favorendo vettori stranieri - per
evitare l’aviocamionabile;
favorire una gestione integrata della logistica tra le imprese di un distretto;
gestire una efficiente rete di collegamento tra produttori, spedizionieri,
handlers, vettori aerei e gestori aeroportuali;
gestire i flussi informativi circa i volumi, le destinazioni, le frequenze;
promuovere l’intermodalità nei casi opportuni.
Questa entità potrebbe essere costituita da una agenzia pubblica che operi
secondo obiettivi di logistica integrata, inserita nelle politiche locali in materia di
trasporti e logistica.
Quanto proposto in precedenza appare coerente con una moderna visione della
logistica, non più basata su un concetto geografico, ma secondo un concetto più
vasto di supply chain, quindi di supply chain management definito da Hau Lee
come “l’integrazione dei flussi fisici, informativi e finanziari relativi ai materiali
in una rete di aziende che fabbricano e distribuiscono prodotti e servizi dalle fonti
di approvvigionamento ai consumatori finali”.
Gli elementi chiave per un efficiente supply chain management sono la rapidità
e la creazione di reti, l’adozione di scelte infrastrutturali tali da realizzare la
massima integrazione tra le varie modalità di trasporto e la realizzazione della
sincronizzazione dei nodi all’interno della catena logistica.
Il ciclo del trasporto diventa in tal modo parte del processo di produzione ed è
definibile come time definite poiché necessita di un coordinamento preciso tra le
varie fasi del sistema, richiedendo tempi certi. La strategia del time definite è
tipica del trasporto aereo. Si ricorderà, da questo punto di vista, che Lufthansa
offre una serie di servizi personalizzati basati sul lead time come il Tdflash, che
assicura la consegna entro la notte.
Il time definite poggia la sua efficienza, proprio sulla creazione di hub, distretti
logistici nei quali vi è una concentrazione di servizi e infrastrutture.
Inutile dire che questa impostazione richiede, oltre alla realizzazione degli
obiettivi compresi nel patto per la logistica, una programmazione a livello di
governo che si basa su altre scelte non ancora effettuate; tra queste una efficiente
32
politica nazionale dei trasporti e della logistica, la creazione di sistemi
aeroportuali regionali come suggerito dall’UE, una spinta decisiva verso la
liberalizzazione dei servizi di handling e la concessione delle gestioni totali agli
aeroporti, processo, quest’ultimo, spesso rallentato da interventi normativi
caratterizzati da finalità ben diverse dallo sviluppo dei flussi logistici, come ad
esempio il recente decreto sui requisiti di sistema illustrato in precedenza.
Appare fondamentale, quindi, la comune ricerca della produttività ed il
recupero di competitività da parte di tutti gli operatori del settore. E’ una strategia
che viene applicata con successo non solo sugli aeroporti più noti e dal traffico
merci consolidato (Londra, Francoforte, Parigi, Amsterdam), ma anche nei
confronti di quelli emergenti (quali ad esempio Vienna, Budapest, Bratislava) che
stanno attraendo molte compagnie aeree “all cargo” soprattutto dall’area
geografica del “far East”.
6. La riforma del codice della navigazione – Parte aerea
Con il decreto legislativo n. 96/05, unitamente al decreto integrativo e
correttivo recentemente approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri (2
marzo 2006 ed in corso di pubblicazione) si è finalmente posto mano, dopo vari
tentativi falliti, alla revisione della parte aeronautica del codice della navigazione,
gravata da una disciplina ritenuta unanimemente inadeguata risalendo ad oltre
sessanta anni fa, quando la dimensione economico-imprenditoriale del trasporto
aereo era evidentemente solo agli inizi.
La riforma ha interessato circa 250 articoli del vecchio codice previgente:
sono stati affrontati gli aspetti nevralgici del quadro ordinamentale e organizzativo
dell’aviazione civile, come la proprietà e la gestione degli aeroporti, i servizi aerei
e aeroportuali, i compiti e la responsabilità dei soggetti, pubblici e privati, operanti
nei settori degli aeroporti e del trasporto aereo.
Le linee guida della riforma sono:
a) l’individuazione di un’unica autorità di vigilanza (ENAC), in linea con
la normativa comunitaria sul single sky, e la doverosa separazione fra regolazione,
controllo e certificazione, da un lato, e fornitura dei servizi di navigazione aerea,
dall’altro.
b) l’introduzione di una disciplina moderna e dettagliata in materia di
aeroporti e concessioni di gestione aeroportuale (elementi del tutto carenti ed
inadeguati nel vecchio codice), comprese le funzioni principali di quest’ultimo. E’
stato tra l’altro dato rilievo legislativo anche alla certificazione dei gestori
aeroportuali rilasciata dall'ENAC. Con una norma transitoria inserita nel decreto
recante il nuovo codice (art. 3, comma 2, D.lgs.. 96/05), nell’ottica di sollecitare il
completamento delle procedure in corso per il rilascio delle concessioni, si è
previsto, decorso inutilmente un anno (23 giugno 2006), l’intervento di un
commissario nominato dal Ministro. Sono state altresì introdotte, con il medesimo
mezzo, nuove norme, compatibili col diritto comunitario, per tutelare i lavoratori
in caso di ingresso di nuovi operatori di handling negli aeroporti a seguito della
liberalizzazione.
33
Un ruolo prioritario viene riconosciuto, nel progetto in esame, ai gestori
aeroportuali, non più confinati, sul piano istituzionale, al mero compito di
coordinatori delle attività aeroportuali, come contemplato dal D.Lgs. n. 18/99, ma
adibiti a funzioni di garanti della operatività dell’aeroporto e del complesso delle
attività che in esso si svolgono, per l’ottenimento dei massimi livelli di efficienza,
continuità nell’operatività dell’aeroporto e sicurezza.
La riforma valorizza, quindi, il ruolo imprenditoriale dell’ente gestore e si pone
in sintonia con l’attuale quadro normativo che prevede la concessione della
realizzazione delle infrastrutture aeroportuali e della gestione dei servizi
aeroportuali in gestione totale all’ente gestore.
Circa le gestioni aeroportuali, la nuova disciplina prevede un limite massimo
di 40 anni. Un così lungo termine di durata se, da un lato, uniforma la nuova
disciplina alle concessioni totali già rilasciate per un analogo periodo a diversi
aeroporti nazionali, non pare, d’altro canto, in sintonia con gli orientamenti
espressi in materia di concessioni nel diritto comunitario, né con il nuovo ruolo,
marcatamente imprenditoriale riconosciuto dal nuovo quadro normativo al gestore
aeroportuale. Il rilascio della concessione avviene sulla base di piani strategici di
sviluppo che non possono essere basati su una visibilità di 40 anni, visto che in
uno scenario così mutevole come quello attuale, le aziende considerano attendibile
un piano che non superi i 5 anni.
Va evidenziato, infine, che l’impianto normativo in questione contempla un
meccanismo di selezione del gestore effettuata tramite procedura concorrenziale,
introducendo, per la prima volta, criteri di trasparenza e imparzialità nella
selezione del gestore;
c) l’aggiornamento della disciplina dei vincoli alla proprietà privata nelle
zone limitrofe agli aeroporti, individuando soggetti interessati e rispettive
responsabilità, le procedure di garanzia e le relazioni fra gli organi amministrativi
dell’aviazione civile e gli enti territoriali, senza dimenticare la tematica
dell’inquinamento acustico, in relazione al dimostrato impatto che l’attività
aeronautica ha sulle attività umane, e più specificamente sugli insediamenti
abitativi, nelle vicinanze degli aeroporti.
d) l’individuazione, in modo puntuale, delle responsabilità di tutti i
soggetti che operano in aeroporto, introducendo il controllo c.d. gate to gate sul
movimento degli aeromobili a carico di ENAV s.p.a., già peraltro previsto dalla
citata legge 265 del 2004.
La riforma mira a valorizzare le professionalità dell’ente di assistenza al volo,
consolidando in esso quest’ultima specificità, mentre l’attività squisitamente
regolamentare dovrà essere trasferita all’ENAC. Peraltro, la necessità di
ricollocare una serie di funzioni di regolamentazione nell’Ente Nazionale per
l'Aviazione Civile al fine di configurare l’ENAV come “service provider” era
stata più volte avanzata dal presidente dell’ENAC in parecchie occasioni fin dal
2001 quando lo stesso era presidente dell’ENAC e dell’ECAC ed era membro del
gruppo di alto livello (HLG) costituito dalla Vice Presidente Loyola De Palacio
per la definizione del progetto ‘Single Sky’ , progetto che ravvisa in tale soluzione
la via da seguire per poter procedere alla ridefinizione dei compiti dei fornitori dei
servizi di assistenza al volo;
34
e) la soppressione della figura del direttore di aeroporto, come figura
tipizzata prevista dal codice, senza però diminuire le garanzie di sicurezza, visto
che sono state incardinate direttamente in capo all’ENAC, che vi provvederà
secondo le più idonee misure organizzative, e quindi tramite adeguate strutture
periferiche, le relative funzioni di polizia e di vigilanza;
f) si è ritenuto opportuno, conformemente all’obiettivo primario di
migliorare il livello di tutela dei diritti del passeggero, obbligare i vettori aerei a
prevedere idonee forme di pubblicità verso gli utenti nel caso di accordi di natura
commerciale tra più compagnie, come nel caso di un volo condiviso tra due
compagnie in code sharing, imponendo obblighi di informazione e procedure
trasparenti anche in caso di inclusione in liste di attesa;
g) armonizzazione e semplificazione della disciplina amministrativa degli
aeromobili e dei titoli professionali aeronautici;
h) revisione generale della contrattualistica, con l’adeguamento alla
normativa comunitaria e internazionale della disciplina in materia di servizi aerei
nonché di contratto di trasporto aereo, in questo caso con particolare riguardo
anche alla tutela degli utenti.
Tra le modifiche da ultimo apportate vanno segnalate:
l’ulteriore rafforzamento delle funzioni di controllo dell’ENAC,
anche in materia di condizioni di applicabilità dei servizi
antincendio in ambito aeroportuale;
l’eliminazione della distinzione fra aerodromo e aeroporto (in
favore di quest’ultimo), in quanto la normativa internazionale non
li distingue e sotto l’aspetto tecnico-giuridico le due nozioni
possono rendersi equivalenti;
l’eliminazione, per l’individuazione dei beni appartenenti al
demanio, di ogni riferimento al criterio dell’istituzione
dell’aeroporto da parte dello Stato, lasciando solo quello
dell’appartenenza allo Stato, come è, del resto, nell’articolo 822
del codice civile; la dizione «aeroporti di rilevanza nazionale» è
stata sostituita con «aeroporti d’interesse nazionale», in
conformità dell’espressione adottata nell’art. 104, comma 1, lett.
(bb), del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e si è inoltre aggiunta la
menzione dei sistemi aeroportuali;
per le aviosuperfici, è stato aggiunto un riferimento alla
compatibilità della destinazione urbanistica delle aree;
per quanto riguarda la concessione di gestione aeroportuale, si è
precisato che il partecipante alla gara comunitaria deve istituire in
Italia una sede secondaria e che il contratto di programma,
stipulabile successivamente alla convenzione, deve recepire la
vigente disciplina di regolazione aeroportuale, emanata dal CIPE
in materia di investimenti, corrispettivi e qualità;
nell’elenco dei compiti del gestore aeroportuale, sono stati
aggiunti: la proposta all’ENAC di applicazione di sanzioni;
35
-
-
l’applicazione diretta, in casi di necessità e urgenza, di misure
interdittive di carattere temporaneo;
per i piani di rischio comunali in ordine alle zone gravate da
servitù aeroportuali, si è prevista la possibilità di eventuali
direttive regionali;
in materia di polizia degli aeroporti, sono stati chiariti i rapporti
fra l’ENAC e i soggetti pubblici che operano negli aeroporti;
poiché poteva sorgere il dubbio se nella definizione di aeromobile
rientrassero i mezzi a pilotaggio remoto (UAV), essi vi sono stati
espressamente compresi;
una notevole innovazione è il considerare come aeromobili anche
gli apparecchi per il volo da diporto o sportivo, pur escludendo per
essi l’applicabilità del libro primo della parte seconda del codice,
cioè di tutta la parte che riguarda l’ordinamento amministrativo
della navigazione aerea;
sono state ulteriormente semplificate varie procedure in tema di
regime amministrativo degli aeromobili e di rilascio delle licenze
per i servizi aerei; è stata rivista, eliminando alcune incongruenze,
la disciplina dei contratti (locazione, noleggio, trasporto, anche di
merci), nonché quella sulla responsabilità per danni a terzi sulla
superficie, conformandole alla disciplina internazionale.
Pare importante, infine, quanto disposto in materia di rilascio delle licenze per
l’esercizio dei servizi di trasporto aereo di competenza dell’ENAC. La nuova
disciplina, in armonia con la normativa comunitaria, chiede al vettore di fornire
adeguata prova del possesso di requisiti amministrativi, finanziari e assicurativi.
E’ questo un tema di particolare attualità perché connesso alla sicurezza del
trasporto aereo.
7. Il ruolo della pubblica autorità di aviazione civile. Il problema della sicurezza
e della protezione del passeggero
In questo contesto non vi è alcun dubbio che gli obiettivi primari dell’autorità
pubblica di aviazione civile restano quelli di garantire un alto grado di sicurezza
nelle fasi del trasporto sia in volo sia nelle operazioni a terra (safety e security).
Inoltre, l’autorità deve continuare a promuove iniziative, e adottare misure, volte a
proteggere i diritti del passeggero e a preservare l’ambiente.
Safety – Le imprese di costruzione aeronautica producono aerei sempre più
sicuri e affidabili; per contro il fattore umano rimane la causa dell’80% degli
incidenti e inconvenienti aeronautici. Esso quindi costituisce oggetto di analisi
sempre più accurate alle quali seguono le recommendations al mondo aeronautico.
In questo campo l’autorità di aviazione civile, effettuando controlli costanti e
capillari, deve innanzitutto garantire che le compagnie aeree si formino con
capitali adeguati a garantire la corretta applicazione delle norme di sicurezza (in
questo senso la Comunità europea ha introdotto delle regole precise nel terzo
pacchetto di misure del 1992); a ciò deve aggiungersi la disponibilità di personale
in possesso dei requisiti previsti dalla normativa comunitaria ed internazionale
(ICAO) per la tutela della safety. In questa prospettiva, severi controlli devono
36
essere effettuati su: produttori, manutentori, sul training del personale navigante
per garantire la compliance con le norme internazionali in materia di safety.
La serie di incidenti dell’estate 2005 (per quanto ci riguarda ricordo l’ATR 42
tunisino ammarato nei pressi di Trapani) ha messo in evidenza la necessità che
l’ICAO effetti più frequenti ed efficaci controlli sulle autorità di aviazione civile
di molti Paesi aeronauticamente meno evoluti. Scopo di questi controlli è quello di
verificare che le procedure di ispezione su vettori, manutentori e aeroporti di quei
Paesi siano efficaci e rispondano alle misure di sicurezza stabilite dall’ICAO
stesso. La sicurezza, infatti, ha una diretta correlazione con l’efficacia di tali
procedure.
La lista nera delle compagnie aeree, pubblicata di recente dall’Unione Europea,
comprende compagnie che hanno modesto movimento nell’UE. Sarebbe forse più
utile, per tutte le compagnie, stabilire un rating di sicurezza al pari di quanto viene
fatto in campo finanziario.
Security – Dopo l’11 settembre sono state emesse, ai fini di perseguire i
fini della security, norme dalla Comunità, dagli Stati Uniti e dall’ICAO, norme
non sempre armonizzate tra loro. Permane, quindi, il problema di trovare il giusto
equilibrio tra le diverse misure prospettate, onde evitare ostacoli e ritardi al
traffico aereo.
Protezione dell’ambiente – Questo problema è particolarmente sentito in
Europa a causa della forte densità abitativa anche nei pressi degli aeroporti, fonti
di inquinamento acustico ed atmosferico.
L’autorità di aviazione civile deve essere cosciente di questi problemi,
favorendo le valutazioni di impatto ambientale con sistemi tecnologicamente
avanzati, trovando poi soluzioni tecniche e giuridiche relative al sorvolo che
permettano di rispettare gli standard internazionali.
La vera partita su questo problema si gioca, per la verità, con la progressiva
messa al bando degli aerei più rumorosi e più inquinanti (capitolo II e III
dell’Annesso 16 ICAO). Questo progetto in origine ha un costo rilevante ma, ove
incentivato, può sicuramente portare ad enormi vantaggi per la sicurezza e la
protezione dell’ambiente e, nel lungo termine, vantaggi economici per i vettori
aerei e per i costruttori di aeromobili.
Protezione del passeggero - E’ importante che le autorità di aviazione
civile operino continui e puntuali controlli sulla qualità dei servizi resi dai vari
operatori del trasporto aereo, come pure sul prezzo dei servizi, specialmente in
presenza di accordi di collaborazione come code-sharing, dry e wet lease,
franchising, etc.
Vale la pena fare un’ultima osservazione sull’ENAC. L’Ente, nelle intenzioni
del legislatore (D.L. 250/97), era stato concepito come un ente dotato di larga
autonomia, tanto che lo stesso decreto istitutivo aveva previsto entro il 31 luglio
1999 la sua trasformazione in ente pubblico economico. L’Ente doveva quindi
diventare una vera autorità per l’aviazione civile come nei Paesi anglosassoni
dove, appunto, tale ente si chiama Civil Aviation Authority. Al contrario, nel
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tempo tale autonomia è stata sempre più ridotta da una vigilanza ogni giorno più
stringente del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.
8. I servizi di controllo del traffico aereo. L’Ente Nazionale di Assistenza al
Volo (ENAV)
Dal 2002 l’ENAV è stata trasformata in SPA; il 100% del suo capitale è
detenuto dal Ministero dell’Economia.
Negli ultimi anni, sotto il controllo del management rinnovato di recente,
ENAV ha goduto di una relativa pace sindacale, come non era mai avvenuto in
passato, che ha permesso alla Società di raggiungere risultati positivi nella
gestione, e di migliorare il servizio offerto. Inoltre, di recente l’ENAV ha
acquisito il ramo d’azienda di Vitrociset che assicura la manutenzione degli
apparati, di proprietà dell’ENAV, presenti negli aeroporti italiani, internalizzando
in tal modo il servizio, come da tempo aveva raccomandato il Parlamento italiano.
Tuttavia, in relazione a quanto esporto al par. 3) della prima parte,
relativamente all’esperienza della Gran Bretagna, credo sarebbe saggio prevedere
che, in futuro, altri service providers europei possano affacciarsi sulla scena
italiana e offrire i loro servizi a prezzi competitivi. L’ENAV dovrebbe studiare
strategie che ne aumentino l’efficienza migliorando la sua competitività nel
mercato e la rendano, al contrario, capace di essere essa stessa in grado di offrire
servizi, ad esempio, a Paesi dell’est europeo.
L’ENAV aveva, in un primo tempo, aderito al progetto CEATS, progetto che
prevedeva la costituzione a Vienna di un unico centro di controllo del traffico
aereo in rotta (oltre i 20.000 piedi di altitudine) per otto Paesi dell’Europa centroorientale. Due anni fa, a seguito di problemi sindacali che interessavano il centro
di controllo di Padova, l’ENAV pare abbia rinunciato al progetto con l’appoggio
del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. In alternativa al progetto CEATS,
era stata prospettata la possibilità di essere parte attiva nel progetto Giustiniano
che prevedeva il controllo della parte meridionale dei Balcani dal centro di
controllo ENAV di Brindisi.
A mio parere, entrambi i progetti dovrebbero essere esaminati nuovamente e
discussi con Eurocontrol.
Parte quarta
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Conclusioni e linee guida per una azione di governo
1. Considerazioni conclusive.
Non vi è dubbio che il trasporto aereo in Italia versi in una sostanziale
situazione di abbandono da parte delle istituzioni. Se da un lato l’intervento della
parte pubblica deve via via ridursi sul piano gestionale, non si deve dimenticare
che si tratta comunque di un servizio pubblico che necessita di una
regolamentazione diretta a favorirne lo sviluppo con poche regole, ma chiare, a
difesa del consumatore e dell’industria nazionale.
Occorre allora disegnare una chiara ed efficace azione di Governo che rimedi ai
problemi esistenti e tracci le linee di una politica di sviluppo coerente con le
strategie economiche e dei trasporti.
2. Linee guida per una azione di governo
Le linee guida che dovrebbero indirizzare un’azione di governo moderna e
attenta allo scenario nazionale e internazionale potrebbero prevedere i seguenti
interventi:
1. L’accorpamento del Ministero dei Trasporti con quello delle
Infrastrutture ha finito per indebolire il ruolo dei trasporti che
rappresentano un elemento fondamentale per lo sviluppo economico
del Paese perché sono la base della comunicazione, cioè di quella
attività che ha rivoluzionato la vita umana negli ultimi 30 anni. Il
Ministero dei Trasporti è già di per sé complesso comprendendo i
trasporti terrestri, marittimi e aerei che hanno problemi diversi tra loro.
Ritengo, pertanto, necessario separare il Ministero delle Infrastrutture
da quello dei Trasporti. Il Ministero dei Trasporti potrebbe forse essere
unito al turismo. Nel Ministero dei Trasporti dovrebbe esserci un
sottosegretario con delega per l’aviazione civile e un dipartimento per
il trasporto aereo per definire le linee guida strategiche per
l’ordinamento e lo sviluppo del settore.
2. Definire le linee di politica economica per lo sviluppo del trasporto
aereo e della logistica, coerenti con la programmazione economica del
Paese.
3. Restituire all’ENAC una forte autonomia operativa identificandola
come la vera autorità per l’aviazione civile, limitando gli interventi di
vigilanza da parte del Ministero dei Trasporti.
4. Studiare per l’ENAV una strategia che rafforzi la sua capacità
competitiva nel mercato. Rivedere e discutere con Eurocontrol il
progetto CEATS e il progetto Giustiniano. Non escluderei neppure la
possibilità di una parziale privatizzazione di ENAV. Un primo passo
potrebbe essere uno spin-off delle attività di torre (avvicinamento e
decollo) in una società (per ora controllata) che, sulla base del modello
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inglese, possa stipulare con i singoli aeroporti accordi di servizi ATM
su misura per aumentare l’operatività e la sicurezza dell’aeroporto.
5. Favorire un processo di consolidamento delle compagnie aeree. Sono
circa 35 le compagnie aeree italiane dedicate al trasporto passeggeri,
troppe per un mercato come l’Italia. In Francia e Germania varie
compagnie minori sono comunque sotto il controllo di Air France e di
Lufhansa. La nostra Autorità antitrust, che in passato si è opposta ad
accordi tra compagnie3, ha dimostrato, in altri settori, una maggiore
apertura vedendo, ad esempio, positivamente il consolidamento delle
banche. A maggior ragione tale Autorità non dovrebbe ostacolare il
consolidamento delle compagnie aeree che vanno viste (ed il cui
mercato va valutato) in un contesto comunitario, e non meramente
nazionale, proprio per il carattere di transnazionalità del trasporto
aereo.
6. Prendere atto che i voli low-cost rappresentano per la grande massa il
modo di volare del futuro e che, comunque, generano profitti per
l’aeroporto e per il territorio circostante. Ritengo quindi che sia una
buona iniziativa quella di prevedere strumenti per incentivare la nascita
di compagnie low-cost anche in Italia.
7. Definire una politica di sviluppo per il cargo aereo e la logistica
attuando il patto per la logistica prevedendo, se occorre, la
costituzione di una agenzia pubblica che operi per il perseguimento di
obiettivi di logistica integrata nel settore della produzione e del
trasporto delle merci, come descritto nella parte terza di questo lavoro.
8. Il problema Alitalia: Alitalia dovrebbe avere una gestione manageriale
capace di evitare il fallimento della Compagnia. Gli interventi degli
ultimi due anni non sono stati risolutivi. L’aumento di capitale di 1
Beuro servirà per 400 Meuro a restituire il prestito ponte; gli altri 600
Meuro, se non si prenderanno decisioni radicali, serviranno alla
gestione ordinaria fino all’inizio del 2006 e si aggiungeranno agli altri
3,4 Beuro persi da Alitalia dal 1998 ad oggi.
Alitalia ha tre punti di forza:
o Il 50% del mercato interno (tuttavia in calo costante);
o Gli accordi bilaterali di traffico per molte rotte con Paesi extra UE
sono inutilizzati, accordi che dopo la sentenza della Corte di Giustizia
del 5 Novembre 2002 l’UE negozierà a nome di tutti i Paesi europei;
ciò significa che sulle rotte internazionali oggetto degli accordi
potranno operare, soprattutto se non utilizzate, altri vettori comunitari;
o Il terzo punto che mi accingo ad esporre se apparentemente può
sembrare un punto di debolezza, può diventare un punto di forza per il
3
Gli accordi di code-sharing sono stati oggetto di censura da parte dell’Autorità
Antitrust nazionale, che ne ha sottolineato l’illegittimità alla luce della normativa a tutela
della concorrenza e del mercato. Se, come si è visto, gli accordi in parola hanno assunto nel
corso degli anni un significato ed una valenza sul piano economico-commerciale di
indiscusso valore, essi sono stati ritenuti capaci, in talune occasioni, di compromettere la
piena e fattiva applicazione delle regole di concorrenza nel mercato del trasporto aereo
(Provv. 13 gennaio 1999, n. 6793, in Boll. 1999, n. 2).
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rinnovo della flotta della Compagnia: Alitalia è proprietaria di 85 MD
80 che devono essere sostituiti con altri aerei più moderni perché
obsoleti e diseconomici, e potrebbero avere presto problemi di
compatibilità ambientale. Il loro rinnovo potrebbe portare ad una
maggiore efficienza e dinamicità del vettore.
Non sono i piani industriali (se ne sono fatti tanti) o accordi sindacali che
possono da soli risolvere il problema di Alitalia.
Una possibile via di uscita potrebbe essere un negoziato con il Governo francese
che prevede:
o La cessione ad Air France da parte dello Stato italiano di una
quota del 20/30% di Alitalia;
o L’impegno a sostituire gli 85 MD 80 con altrettanti Airbus.
L’impegno finanziario sarebbe assai elevato (circa 4,5 miliardi
di Euro, al lordo di quanto si può ricavare dalle vendita degli
MD 80). L’operazione potrebbe essere fatta da Fintecna (con
l’aiuto delle banche) che poi cederebbe gli aerei in leasing ad
Alitalia;
o Entrata immediata di Alitalia nell’accordo Air France-KLM;
o Co-governance franco-italiana per Alitalia.
Resta una incognita: alcuni fondi americani hanno investito 500 milioni di euro
nell’aumento di capitale di Alitalia. Ma perché investire in un settore sconsigliato
dai gestori di patrimoni e, soprattutto, in una società che produce perdite? Non
sarebbe inaspettato che dietro tali fondi ci fosse una compagnia aerea che per ora
non vuole apparire, ma che in futuro, risolti alcuni problemi di Alitalia, si
potrebbe presentare con un consistente pacchetto azionario. Se fosse Lufthansa, ad
esempio, l’accordo con Air France-KLM potrebbe essere compromesso.
Il problema della scelta dell’hub italiano: Il dibattito tutt’oggi aperto tra le
autorità pubbliche di Roma e Milano sulla scelta di Malpensa o Fiumicino quale
base di armamento di Alitalia e di hub principale del nostro Paese, mi permette di
spezzare una lancia a favore di Fiumicino.
Quest’ultimo aeroporto ha quattro piste, con possibilità di costruirne una
quinta, è facilmente raggiungibile con treno o auto e non ha le limitazioni
operative di Malpensa. Considerato che Malpensa è da anni cannibalizzato dal
feederaggio che tutti gli aeroporti del nord Italia fanno (mediamente con quattro
collegamenti giornalieri) verso Londra, Parigi e Francoforte, portando a termine
l’accordo tra Alitalia e il gruppo Air France-KLM, si potrebbe puntare su
Fiumicino come hub verso l’emisfero sud del globo utilizzando la consistente
flotta di lungo raggio del gruppo. La scelta delle destinazioni dovrebbe essere fatta
evitando sovrapposizioni con Atene e Madrid che hanno di recente aumentato la
capacità dei loro aeroporti.
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9. In linea con quanto previsto al punto 2), mi pare oltremodo opportuna
la predisposizione di un piano nazionale e regionale degli aeroporti
attribuendo ad ognuno una destinazione precisa: passeggeri, merci,
low-cost, charters. Le strutture aeroportuali dedicate ad un tipo di
traffico aumentano l’efficienza del trasporto aereo. In parte questo è
già avvenuto tra Fiumicino e Ciampino o tra Venezia e Treviso. Da più
parti si sostiene che in Italia ci sono troppi aeroporti, ma se si guarda la
mappa degli aeroporti europei si vede che l’Italia ha una densità
aeroportuale assai inferiore a quella di Francia e Germania (Italia 78,
Francia 250, Germania 300).
Negli altri Paesi è molto più sviluppata l’aviazione generale che
comprende anche la business aviation e che utilizza molti aeroporti
minori. In Italia gli aerei di aviazione generale sono circa 900, contro i
10.000 della Germania o i 3.000 della Svizzera.
10. Arrivare a una vera liberalizzazione dei servizi di handling negli
aeroporti. Le tariffe di handling in Italia sono ancora tra le più elevate
d’Europa.
11. Rivedere i criteri di rilascio delle concessioni di gestione aeroportuale
accelerando l'iter burocratico. Attualmente vengono rilasciate per 40
anni sulla base di piani per lo stesso periodo che non hanno alcuna
validità. La visibilità sullo sviluppo di business per un’impresa non
arriva a cinque anni a causa di uno scenario esterno estremamente
mutevole. Sarebbe meglio concedere le autorizzazioni a tempo
indeterminato (come avviene nel mondo anglosassone) sulla base di
piani a 5/10 anni al massimo e ritirarle in caso di cattiva gestione che
non tenga conto degli obiettivi di un servizio pubblico. Su questo tema
esiste un’errata presa di posizione dell’Agenzia del Demanio che
vorrebbe gestire le concessioni sui sedimi aeroportuali, sedimi che il
D.L. 295/97 assegna all’ENAC.
12. Incentivare la privatizzazione degli aeroporti;
13. Abrogare il decreto sui requisiti di sistema;
14. Rivedere il D.L. 18/99 sulla liberalizzazione dei servizi di handling
aeroportuale;
15. Applicare, o rivedere, la delibera CIPE dell’agosto 2000.
Roma, maggio 2006
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Studio sul trasporto aereo