Alfredo Roma Il trasporto aereo Lo scenario Europeo e italiano Indicazioni per una azione di governo Maggio 2006 Sommario Parte prima .............................................................................................................2 Analisi storico-economica del trasporto aereo...................................................... 2 1. Lo sviluppo degli anni novanta........................................................................ 2 2. Le previsioni di crescita................................................................................... 3 3. La redditività delle compagnie aeree. Fattori esogeni e criticità......................4 Parte seconda........................................................................................................ 11 Il mercato del trasporto aereo nell’Unione europea........................................... 11 1. Il mercato del trasporto aereo in Europa e le differenze con il mercato statunitense ........................................................................................................ 11 2. L’intervento dell’Unione europea: le sentenze della Corte di Giustizia sugli accordi bilaterali siglati da otto Stati membri con gli Stati Uniti....................... 12 3. Gli effetti delle Sentenze c.d. ‘open sky’ sul futuro della politica europea del trasporto aereo: il venir meno delle competenze, in materia, dei singoli Stati membri .............................................................................................................. 14 4. Il problema degli slots................................................................................... 16 5. Le compagnie low-cost................................................................................ 17 6. Criticità degli aeroporti comunitari................................................................ 21 Parte terza............................................................................................................. 23 Il mercato italiano.................................................................................................24 1. Le compagnie aeree........................................................................................24 2. Il caso Alitalia................................................................................................ 24 3. Il decreto sui requisiti di sistema................................................................... 25 4. Aeroporti - La situazione Italiana.................................................................. 27 5. Il cargo aereo................................................................................................. 29 5.1 Cargo aereo – La situazione italiana........................................................... 30 5.2. Prospettive di sviluppo dei servizi di logistica nel settore del cargo aereo 31 6. La riforma del codice della navigazione – Parte aerea..................................33 7. Il ruolo della pubblica autorità di aviazione civile. Il problema della sicurezza e della protezione del passeggero....................................................................... 36 8. I servizi di controllo del traffico aereo. L’Ente Nazionale di Assistenza al Volo (ENAV)..................................................................................................... 38 Parte quarta.......................................................................................................... 38 Conclusioni e linee guida per una azione di governo......................................... 39 1. Considerazioni conclusive............................................................................. 39 2. Linee guida per una azione di governo .................................................... 39 __________________________________________ Parte prima Analisi storico-economica del trasporto aereo 1. Lo sviluppo degli anni novanta Il trasporto aereo è per definizione transnazionale. Una analisi del quadro economico complessivo del mercato dei servizi aerei che mi appresto a svolgere non può essere circoscritta all’Italia, ma deve tener necessariamente conto delle variazioni dei mercati e della situazione economica internazionale. A questo si deve aggiungere il fatto che il settore in parola è stato interessato, negli ultimi due decenni, da processi di liberalizzazione e privatizzazione che hanno avuto rilevanti ripercussioni sugli operatori del trasporto aereo, nonché da 2 un ruolo sempre crescente, per quanto riguarda il mercato europeo, delle istituzioni comunitarie, che hanno generato profonde trasformazioni sia nell’ambito del trasporto aereo, sia nel comparto dei servizi ad esso funzionali quali, ad esempio, i servizi aeroportuali. Nel periodo compreso tra il 1991 ed il 2001 la crescita del settore in esame è stata molto elevata in termini di passeggeri/km, come dimostrano le tabelle (1 e 2) predisposte dalla IATA (International Air Transport Association) e pari al 106,2% per i primi dieci vettori europei e al 72,8% per i primi cinque statunitensi. Tab. 1 Tab. 2 Dalle stesse tabelle allegate si evince, inoltre, che le quote di mercato dei principali vettori non sono sostanzialmente cambiate nell’ultimo decennio. 2. Le previsioni di crescita Nel 2005 si è registrato (Fonti IATA – ICAO) un discreto aumento (6,7%) del traffico aereo mondiale. Tale risultato è inferiore a quello eccezionalmente elevato del 2004 (15,6%), ma tuttavia coerente con uno sviluppo più omogeneo previsto per gli anni prossimi, come mostra la tab.3. Mentre l’elevato aumento di traffico del 2004 riflette l’aumento del PIL mondiale dello stesso anno (ne vedremo successivamente la correlazione), la crescita prevista per il periodo 2005-2010 è (ancora una volta) in linea con le previsioni di crescita dell’economia mondiale per lo stesso periodo. Tab.3 3 Il mercato Italiano ha registrato nel 2005 un aumento del 5,5% di passeggeri trasportati (vicino alla media europea) e del 5% del cargo. Il mercato italiano offre maggiori potenzialità di sviluppo, poiché volano mediamente solo due cittadini su dieci, contro la media europea di cinque cittadini su dieci. La crescita del traffico aereo continua ad essere guidata dall’andamento dell’economia mondiale e da una sempre maggiore concorrenza sui prezzi causata dall’entrata nel mercato delle compagnie low-cost e dai vincoli che impediscono di regolamentare gli eccessi di capacità in alcune regioni. Conseguentemente, ancorché i vettori registrino un aumento di passeggeri, al contempo subiscono una riduzione dello yield (tab.4), ovvero del ricavo per passeggero. Tab.4 3. La redditività delle compagnie aeree. Fattori esogeni e criticità A fronte di questo consistente aumento del traffico aereo non troviamo, tuttavia, corrispondenti risultati economici per i vettori. Infatti, i loro risultati sono 4 stati negativi fino al 1993, per divenire poi positivi dal 1994 al 2000 e crollare dopo l’11 settembre 2001 (v. tabella 5). Secondo la IATA, nel 2001 le perdite complessive dei vettori sono risultate pari a 18 miliardi di dollari, mentre nel 2002 tali perdite hanno raggiunto i 13 miliardi di dollari. Questo andamento economico del settore in esame, caratterizzato dall’assenza di adeguata redditività, ha indotto le compagnie aeree ad individuare nuove strategie di mercato quali, ad esempio, accordi ed alleanze attuati a livello internazionale. Tra questi ricordiamo, a titolo esemplificativo, le alleanze internazionali di: Star Alliance - Sky Team - Oneworld - Qualiflyer Group Wings Alliance, alleanze che rappresentano il 70% del traffico mondiale. Tale quota è destinata ad aumentare se si tiene conto dei vari accordi di franchising, code-sharing, wet e dry lease conclusi tra diverse compagnie aeree per rotte interne e internazionali. Tab.5 I fatti dell’11 settembre hanno creato, come è noto, un terremoto nell’ambito del trasporto aereo ed hanno inevitabilmente costretto gli operatori del settore a fare delle analisi più approfondite, con riferimento ad una crisi strutturale del sistema, presente già in tempi antecedenti agli eventi terroristici in parola. Gli effetti diretti dell’11 settembre si sono, quindi, aggiunti a fattori di crisi preesistenti comportando, nell’immediato, la cancellazione di un rilevante numero di prenotazioni, specialmente per viaggi-vacanza e verso il continente nord americano, in una percentuale pari al 33% nel periodo settembre 2001-gennaio 2002. In seguito, il mercato ha iniziato una lenta ripresa che lo sta portando, ora, agli stessi livelli di crescita del 2000. Di certo per circa 18 mesi si è interrotto quel trend di crescita che era stato previsto, pari al 5% annuo, anche per il periodo 2001-2005. Hanno, inoltre, inciso sulle previsioni di redditività delle compagnie aeree le misure di sicurezza a terra (security) messe in atto dopo l’11 settembre, che rappresentano sicuramente un costo rilevante per le imprese. Non bisogna, infine, dimenticare l’aumento dei costi assicurativi per i rischi di guerra e terrorismo praticati dalle compagnie assicuratrici, aumenti in molti casi pari a cinque volte l’ammontare dei premi corrisposti precedentemente a tali fatti. Dalla guerra in Irak nel 2003, infine, il costo del carburante si è praticamente raddoppiato aumentando sensibilmente il costo dei voli, soprattutto per quelle compagnie che non avevano fatto una copertura a termine (hedging), tra le quali Alitalia. Le variabili appena elencate non possono non essere tenute in debita considerazione in occasione dell’analisi dei fattori di rischio del mercato in questione, proprio in ragione del fatto che quest’ultimo è estremamente mutevole e rischioso, fortemente esposto a fattori esogeni, come l’attacco alle twin towers ha dimostrato. 5 Inoltre, l’efficienza e la redditività del mercato del trasporto aereo sono estremamente sensibili all’andamento dei mercati ad esso contigui, basti pensare in proposito agli effetti sul trasporto aereo della condotta, nell’ultimo decennio, degli enti di gestione degli aeroporti comunitari. Diretta è poi la relazione (vedi tabella 6) tra la redditività del settore aereo e l’andamento del PIL mondiale. Tab.6 Per quanto riguarda l’Unione Europea, la IATA ha cercato di quantificare il peso sopportato dalle compagnie aeree a causa dei seguenti fattori: normativa di settore tesa a liberalizzare il mercato, mancanza di aiuti governativi dopo l’11 settembre, costi assicurativi, costi per la sicurezza, costo della congestione di molti aeroporti europei, normativa inadeguata su servizi resi in regime di monopolio, etc. La tabella 7 mostra un dettaglio di tali costi per anno. Tab.7 6 Non vi è dubbio che le compagnie aeree rappresentano, per molteplici ragioni, l’anello debole della catena del valore. In primo luogo va ricordato che la Comunità europea consente, fin dal 1997, ad ogni compagnia aerea con sede nel territorio dell’Unione di esercitare liberamente le rotte domestiche e intracomunitarie. Per tale ragione, la maggior parte delle compagnie di bandiera, e tra queste Alitalia, si sono trovate a dover competere, anche sul territorio nazionale, con una agguerrita concorrenza, soprattutto delle compagnie low-cost. Basti pensare a come Ryanair si è espansa sui mercati domestici dei Paesi comunitari. Chi non ha saputo liberarsi delle vecchie incrostazioni date dall’esubero di personale, da contratti di lavoro eccessivamente onerosi, da flotte disomogenee e obsolete, ha perso rilevanti quote di mercato a vantaggio di nuove compagnie (c.d. new entrants) o di quelle capaci di procedere ad efficaci ristrutturazioni in tempi brevi. Le tabelle che seguono (8 e 9) indicano con chiarezza la debolezza delle compagnie aeree in relazione agli altri attori del mercato, per quanto riguarda il ritorno sul capitale investito e i margini operativi intesi come ritorno sulle vendite. Tab.8 7 Tab. 9 L’elevato costo del carburante e la forte competitività sui prezzi hanno portato a registrare per le compagnie aeree, per il 2005 (per il quinto anno consecutivo), consistenti perdite di bilancio. La IATA stima, per il 2005 (i dati definitivi non sono ancora disponibili) una perdita di 7,4 miliardi di dollari per i vettori, con valori maggiori nel nord America e minori in Europa dove si è provveduto a istituire la fuel surcharge destinata a compensare parte dell’aumento del costo del carburante. La tabella che segue (10) mostra l’andamento del prezzo del petrolio, rapportato al prezzo del carburante nel settore aereo, per il periodo 1986-2005. Occorre ricordare che le previsioni sul prezzo del petrolio sono considerate dagli economisti come le più incerte e non basate su dati quantificabili secondo i modelli econometrici; questa variabile, nelle previsioni di costo dei vettori per gli anni fino al 2010, è mantenuta costante sui prezzi di ora, considerato che lo shock petrolifero è già avvenuto dopo il 2003 e ci si aspetta che non ne avvengano altri fino a quella data. La successiva tabella 11 indica le previsioni della crescita economica mondiale fino al 2009, rapportate all’aumento previsto di passeggeri. Secondo tali previsioni si ipotizzano fattori di crescita più elevati per i Paesi in via di sviluppo, dove la crescita del PIL ha maggiore influenza sulla domanda di viaggi per affari, rispetto ai Paesi industrializzati nei quali, comunque, la crescita media mondiale resterà nell’intorno del 5% annuo. Vorrei infine osservare che le previsioni di crescita fino al 2009, seppure calcolate sulla PPP (Purchasing Power Parity) appaiono inferiori a quelle di organismi internazionali come, ad esempio, l’IMF. Tab.10 8 Tab.11 La tabella che segue (12 – Fonte ICAO - IATA) mostra l’andamento dei profitti (operating profit e net profit) delle compagnie aeree del mondo, con le previsioni per il 2006. Il grafico evidenzia un andamento positivo per quasi tutti gli anni novanta, il crollo del 2001 a seguito dell’attacco alle torri gemelle e una lenta ripresa dal 2004 in poi dove, ad un aumento del margine operativo corrisponde, tuttavia, come si è detto, ancora una perdita netta di esercizio. 9 Tab.12 20.000 Operating profit 15.000 Net profit $ millions 10.000 5.000 0 -5.000 -10.000 -15.000 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005F 2006F In questa prima parte abbiamo incentrato la nostra analisi sui vettori aerei poiché essi rappresentano, come si è detto, l’anello debole e sensibile della catena del valore. Più di altri operatori essi risentono dell’andamento dell’economia mondiale, dei difficili rapporti politici tra i Paesi di aree diverse, dei conflitti bellici, della concorrenza internazionale più agguerrita e di norme relative alla sicurezza, all’ambiente o alla protezione del consumatore che possono tradursi in costi ulteriori. Altri operatori del settore, al contrario, godono di posizioni di assoluto privilegio. Possiamo citare in proposito il controllo del traffico aereo (ATM), la grande distribuzione e le gestioni aeroportuali che operano in regime di monopolio o quasi monopolio. L’ATM è responsabile del controllo dello spazio aereo di un Paese, quindi della sicurezza nazionale. Per tale ragione, il processo di liberalizzazione del servizio e di privatizzazione dell’ATM appare assai complesso. Tra i Paesi più evoluti nel campo dell’aviazione civile, la Gran Bretagna è stato il primo ad effettuare la privatizzazione dei servizi di ATM, cedendo il 42% del NATS (National Air Traffic Services) a sette compagnie aeree, il 4% alla BAA, che gestisce i sette più importanti aeroporti del Regno Unito, e un altro 3% ad azionisti minori. Così la quota dello Stato nel NATS è scesa al 49%. Lo Stato ha comunque concluso con il NATS un rigido contratto che prevede consistenti penali nel caso di ritardi nei voli imputabili a tale operatore. Contemporaneamente, si sono formate diverse società private che forniscono servizi di ATM per la fase di avvicinamento e decollo, basati sulle strutture e necessità di singoli aeroporti, migliorando, in tal modo, l’efficienza e l’operatività dell’aeroporto. Il progetto europeo del Cielo Unico prevede la riduzione dei centri europei di controllo del traffico aereo da 58 a 22 circa. Questo obiettivo ha già spinto i più forti service providers europei, come quello tedesco, a valutare possibilità e opportunità di acquisire service providers minori o ad offrire i loro servizi ad altri 10 Paesi europei. Da questa evoluzione del mercato ci si può aspettare che altri Paesi seguiranno la strada inglese della privatizzazione per poter operare con maggior flessibilità nel mercato stesso. Nei capitoli che seguono verranno analizzati i punti deboli del mercato in esame che hanno influito negativamente sullo stesso, rallentando il processo di sviluppo auspicato dalle istituzioni comunitarie al fine di rendere le imprese europee in grado di competere con i vettori statunitensi. Questi, come sarà detto in prosieguo, hanno beneficiato dagli anni settanta dello scorso secolo di un vasto processo di deregulation che ha favorito la presenza sul mercato di un numero crescente di vettori, vettori che hanno messo in atto, in tempi di poco successivi, processi di fusioni ed acquisizioni allo scopo di poter contenere i costi ed offrire servizi appetibili all’utenza. Successivi interventi di liberalizzazione dei servizi ancillari al trasporto aereo hanno favorito la crescita dei vettori statunitensi a discapito delle compagnie comunitarie. Attraverso l’esposizione delle criticità del mercato europeo, e della mancata liberalizzazione di alcuni settori chiave per la crescita dello stesso, darò conto nelle pagine che seguono delle iniziative che le istituzioni comunitarie stanno adottando per rilanciare le compagnie aeree europee a livello mondiale. Parte seconda Il mercato del trasporto aereo nell’Unione europea 1. Il mercato del trasporto aereo in Europa e le differenze con il mercato statunitense Il mercato europeo del trasporto aereo rappresenta un giro d’affari di 100 miliardi di Euro, pari all’1,2% del PIL europeo. Oltre 130 compagnie aeree europee, con una flotta di circa 4.500 aerei, hanno trasportato nel 2003 580 milioni di passeggeri, di cui 370 milioni all’interno dell’Unione Europea, pari al 35% del traffico mondiale passeggeri. Gli aeroporti aperti al traffico commerciale sono oltre 450. Questa attività ha creato 2,8 milioni di posti di lavoro indiretti, pari al 3% della forza lavoro dell’UE. Tali dati, significativi per l’economia europea, rivelano un mercato ancora incompiuto se raffrontati ai numeri del mercato statunitense. Per meglio comprendere la differenza che ha sempre caratterizzato i due principali mercati mondiali del trasporto aereo, quello americano e quello europeo, occorre rimarcare un dato: se il numero dei passeggeri trasportati da compagnie USA è pari a 100, le compagnie europee a stento giungono al numero di 40. Al riguardo occorre, tuttavia, considerare che gli Stati Uniti dispongono del 64% della flotta civile mondiale e controllano più della metà del trasporto aereo. Inoltre, il processo d’incremento del numero dei vettori nell’Unione europea è avvenuto molti anni più tardi rispetto agli Stati Uniti, ritardando il conseguente processo di consolidamento. 11 All’opposto, negli Stati Uniti, ove il numero dei vettori è aumentato in misura considerevole tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, il successivo, inevitabile, processo di consolidamento ha portato alla costituzione di sette grandi vettori, che in un prossimo futuro potrebbero essere non più di quattro. In Europa il processo di consolidamento deve ancora iniziare (basti considerare che vi operano tuttora più di venti vettori di medie-grandi dimensioni, le cosiddette compagnie di bandiera) e tale affermazione mi pare sostenibile, pur considerando l’accordo stipulato da qualche anno tra KLM ed Air France. Non penso, infatti, che tale accordo sia sufficiente per risolvere i problemi strutturali delle compagnie europee. Credo, infatti, che solamente un più vasto processo di alleanze e/o fusioni, capace di creare massa critica, possa ridurre i costi di struttura e rendere le compagnie europee competitive nel mercato mondiale, soprattutto nei confronti delle compagnie statunitensi. A questo proposito mi piace ricordare che la prima compagnia europea dispone di un numero di aerei inferiore alla quarta statunitense. La consapevolezza del forte squilibrio tra compagnie americane ed europee e la rilevante capacità di penetrazione dei mercati delle prime, ha indotto la Commissione europea a promuovere azioni legali nei confronti dei Paesi comunitari firmatari di accordi di open sky con gli Stati Uniti, azioni tese – in ultima istanza - a favorire il consolidamento dei vettori comunitari. 2. L’intervento dell’Unione europea: le sentenze della Corte di Giustizia sugli accordi bilaterali siglati da otto Stati membri con gli Stati Uniti In più occasioni la Commissione Europea ha messo in discussione la validità e legittimità degli accordi open sky1 firmati da alcuni Paesi comunitari arrivando ad impugnare, il 18 Dicembre 1998, la validità degli stessi innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, sostenendo l’assoluta contrarietà di alcune loro clausole, ed in specie della c.d. clausola di nazionalità, alle norme sul diritto di stabilimento sancite dall’art.43 (ex art.52) del Trattato UE. É importante osservare che in virtù di tali accordi i vettori statunitensi hanno goduto di un agevole accesso alle rotte intracomunitarie ed hanno, nel contempo, imposto alle compagnie comunitarie di accettare la clausola in parola. 1 Gli accordi “open sky”, conclusi su base bilaterale riconoscono le tradizionali libertà dell’aria, compresa la libertà di effettuare traffici tra due Paesi diversi da quello della propria nazionalità utilizzando uno scalo centrale nel territorio del proprio paese o addirittura indipendentemente da questo. In particolare con gli Stati Uniti d’America i Paesi comunitari hanno concluso accordi del tipo “open sky”, che prevedono l'eliminazione di restrizioni quantitative riguardo alle frequenze dei voli ed alla capacità. Tali accordi si connotano per la presenza di diritti di rotta e di traffico illimitati, volti ad assicurare un collegamento tra qualsiasi punto degli Stati Uniti e qualsiasi punto del Paese europeo parte dell’accordo, senza restrizioni quanto ai punti intermedi e ai punti situati al di là. Essi contemplano, quindi, flessibilità nella scelta degli itinerari, la condivisione dei terminali ed il diritto di assicurare il traffico di quinta libertà. Prevedono, inoltre, la fissazione dei prezzi secondo il sistema della “doppia disapprovazione”, la possibilità di accordi di code-sharing, impegni espliciti in favore dell'utilizzo e dell'accesso non discriminatorio dei sistemi informatici di prenotazione, nonché, infine, regimi piuttosto liberali in materia di carico e di conversione e trasferimento in patria dei ricavi. 12 Per comprendere le implicazioni della clausola di nazionalità negli accordi in esame è sufficiente sottolineare come il suo inserimento consente a ciascuna delle parti dell’accordo di rifiutare i diritti ivi previsti ai vettori designati dall’altra parte contraente che non siano di proprietà o sotto il controllo di soggetti di tale parte. Il venir meno di quest’ultimo requisito implica, infatti, la possibilità per lo Stato contraente di revocare, sospendere o limitare i permessi o le autorizzazioni concesse. Ciò significa che, se un vettore designato da una parte dell’accordo, perde la nazionalità dei quel Paese (a seguito, ad esempio, di una sua fusione od alienazione), l’altra parte ha diritto di negare al nuovo subentrante il diritto di esercitare le rotte oggetto dell’accordo bilaterale. La Comunità europea ha lamentato, a più riprese, la complessità e, più in generale, la restrittività di tali accordi, che si differenziano, sotto questo profilo, da altri accordi assunti in diversi mercati e che vantano un livello di apertura alla concorrenza ben più avanzato rispetto a quelli in esame (basti pensare, per rimanere nel settore dei servizi, al trasporto marittimo, ai servizi di telecomunicazioni, ai servizi bancari). Le conseguenze della negoziazione di simili accordi sono state ricordate anche in tempi relativamente recenti dalla Commissione europea (Comunicazione del 19 novembre 2002, n. 649, sulla quale si tornerà a breve) la quale, pur non negando i vantaggi che tali accordi possono comportare, vista la possibilità per i vettori aerei comunitari di estendere le rotte tra le parti per offrire servizi illimitati di quinta libertà ad altri Paesi, ha evidenziato come, in definitiva, gli accordi in parola offrano vantaggi economici in misura ben più rilevante per i vettori statunitensi. La Commissione UE ha infatti osservato che tali servizi non hanno molto valore negli Stati Uniti, visto che le destinazioni ulteriori da servire ritenute interessanti sotto il profilo economico sono relativamente poche, ma in altre parti del mondo, dove coesistono molti mercati internazionali vicini tra loro - ed è il caso dell'UE -, essi si rivelano molto utili. In pratica tali diritti offrono ai vettori statunitensi l'accesso al mercato interno europeo, mentre il mercato interno USA rimane strettamente chiuso agli operatori stranieri. La Corte di Giustizia, il 5 Novembre 2002, si è espressa sul ricorso della Commissione censurando le clausole di tali accordi destinate a privilegiare i vettori appartenenti allo Stato membro parte dell’accordo. Le decisioni adottate contro gli Stati firmatari degli accordi censurati stanno modificando in misura considerevole il quadro del trasporto aereo europeo2. Due sono i punti fondamentali delle sentenze della Corte UE: con il primo, la Corte ha statuito la contrarietà al diritto comunitario delle clausole di nazionalità, ovvero delle clausole che impongono allo Stato che ha sottoscritto l’accordo, la proprietà e il controllo della compagnia aerea che esercita la linea, con la conseguente facoltà, per l’altra parte dell’accordo, al venir meno di tale requisito, di negare le autorizzazioni per l’esercizio delle rotte nel proprio Paese. Il secondo 2 Cause C-466/98, C-467/98, C-468/98, C-469/98, C-471/98, C-472/98, C-475/98 e C476/98 contro Regno Unito, Danimarca, Svezia, Finlandia, Belgio, Lussemburgo, Austria, Germania, in G.U.C.E. 21 dicembre 2002, C 323. 13 attiene alla competenza della Comunità a negoziare la totalità degli accordi bilaterali tra i Paesi comunitari e i paesi extra-comunitari. La Commissione, come ha ricordato la Corte a questo riguardo, vanta sin dal 1996 un mandato ‘ristretto’ per la negoziazione degli accordi bilaterali, ovvero un mandato per la negoziazione solo di alcuni aspetti degli accordi in parola, quali ad esempio le questioni legate alla sicurezza, all’ambiente, all’overbooking, alla slot allocation, ovvero a tutte quelle materie nelle quali oramai gli Stati membri sono privi di competenza a decidere, spettando quest’ultima, come è noto, alla Comunità. In occasione della firma degli otto accordi bilaterali gli Stati membri, come ha stabilito la Corte, non hanno minimamente tenuto conto di tale competenza ‘concorrente’ della Commissione, per alcune delle materie oggetto degli accordi. Il venir meno della clausola di nazionalità favorirà le aggregazioni (fusioni, acquisizioni) tra imprese del trasporto aereo, capaci di rendere i vettori europei competitivi a livello internazionale. Proprio questa clausola è stata finora il vero impedimento al processo di consolidamento delle compagnie europee in quanto la fusione avrebbe di fatto portato alla nullità degli accordi bilaterali (ASA Air Service Agreements) in essere. 3. Gli effetti delle Sentenze c.d. ‘open sky’ sul futuro della politica europea del trasporto aereo: il venir meno delle competenze, in materia, dei singoli Stati membri Il 19 novembre 2002, ovvero pochi giorni dopo le sentenze open sky, la Commissione ha adottato la prima di due importanti comunicazioni che hanno condotto alla elaborazione del pacchetto di misure approvato il 5 giugno 2003 e che rappresentano l’attuale politica del trasporto aereo in Europa. Con la prima comunicazione essa tratteggia le conseguenze delle sentenze sull’intera politica comunitaria del trasporto aereo. E’ una comunicazione di fondamentale importanza nella quale la Commissione delinea non solo quali saranno i passi da adottarsi a breve per porre le basi della nuova politica comunitaria negli accordi bilaterali (e dunque la concessione di un mandato a suo favore per negoziare gli accordi con gli USA), ma quali saranno le strategie future della Comunità europea nel settore del trasporto aereo. La seconda comunicazione viene adottata il 26 febbraio 2003. E’ questa, a differenza della prima, una comunicazione che delinea, a distanza di qualche mese dalle sentenze della Corte, gli strumenti normativi grazie ai quali la Comunità potrà giungere alla realizzazione dei principi di politica del trasporto aereo già tracciati. Tali proposte prendono forma il 28 maggio 2003 ed in tale occasione il Consiglio europeo elabora tre nuovi documenti relativi alle ‘Relazioni esterne nel settore dell’aviazione civile’ ed intitolati nel seguente modo: a) Progetto di decisione del Consiglio che autorizza la Commissione ad avviare negoziati con gli Stati Uniti nel settore del trasporto aereo (9927/03) 14 b) Progetto di decisione del Consiglio che autorizza la Commissione ad avviare negoziati con paesi terzi sulla sostituzione di alcune disposizioni degli accordi bilaterali vigenti con un accordo comunitario (9928/03) c) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla negoziazione e all'applicazione di accordi in materia di servizi aerei stipulati dagli Stati membri con i paesi terzi (9929/03). Le conseguenze sulla politica del trasporto aereo di tale pacchetto di misure sarà, innanzitutto, quella di aprire gli accordi bilaterali esistenti a tutti i vettori comunitari, con il definitivo abbandono della clausola di nazionalità. Ciò accadrà sia negli accordi con gli USA, grazie al primo mandato ottenuto dalla Commissione, sia per gli altri accordi bilaterali firmati individualmente dai Paesi membri con gli Stati non comunitari diversi dagli USA, grazie al secondo mandato. Gli Stati membri saranno tenuti quindi alla distribuzione dei diritti di traffico tra i vari vettori senza limitazioni, nel senso che se i diritti di traffico saranno sufficienti per tutti i vettori comunitari che desiderino entrare in quel mercato, essi avranno il diritto di intervenirvi. Per l’eventualità in cui la domanda dovesse superare l’offerta di diritti, si ricorrerà a procedure concorsuali. Altra conseguenza, anche questa di importanza fondamentale, va ricercata nelle competenze effettivamente rimaste in capo agli Stati membri. A mio parere il pacchetto di misure del 5 giugno lascia ben poco alla competenza dei singoli Stati membri. Apertamente, o in modo implicito, la Comunità europea ha, di fatto, privato gli Stati membri di autonomia in materia. Ancorché per i futuri accordi, la competenza, rimanga nella potestà dei singoli Stati membri, per la loro conclusione il regolamento richiede il diretto coinvolgimento del Consiglio e della Commissione che dovranno dare il loro assenso in merito ai termini di un nuovo accordo. L’eventuale mancanza di tale assenso da parte delle Istituzioni comunitarie avrà l’effetto di privare, di fatto, lo Stato membro della potestà di concludere l’accordo. Da queste decisioni appare evidente che saranno le compagnie più forti ad avvantaggiarsene costringendo le minori ad aggregarsi per non perdere quote di mercato quindi, in conclusione, la decisione della Corte potrà in effetti favorire il processo di consolidamento auspicato. A tutt’oggi (Aprile 2006) 50 Stati extra-comunitari hanno accettato la designazione della Comunità europea, 329 accordi bilaterali di traffico sono stati resi conformi alle nuove direttiva comunitarie e sono iniziati i negoziati per la firma di 17 accordi orizzontali. A seguito di quanto esposto finora, penso che le imprese comunitarie debbano adottare da subito una strategia diretta al loro consolidamento, quindi a creare quella massa critica che consenta loro di competere con le compagnie americane. Tale processo darebbe ulteriore impulso al superamento della mentalità monopolistica, tipica delle aziende di Stato, che purtroppo ancora caratterizza taluni vettori e che conduce inevitabilmente ad un eccesso di personale, a problemi connessi all’eterogeneità della flotta nonché, come si è detto, alla mancanza di alleanze internazionali. Mi pare, d’altra parte, che i fallimenti di Sabena e Swissair evidenzino chiaramente la situazione insostenibile delle tradizionali compagnie di bandiera, 15 se non si interviene con pesanti processi di ristrutturazione e con la conclusione di efficaci alleanze internazionali. La formazione di gruppi sopra auspicata è senz’altro un processo positivo; occorre allora cercare di favorire la concorrenza tra gli stessi, abbattendo le barriere che oggi la ostacolano come i grandfather rights nella assegnazione degli slots che da tempo, ma senza successo, l’UE sta cercando di regolamentare in modo da aprire il mercato del trasporto aereo ai vettori new entrants. 4. Il problema degli slots Forse vale la pena ritornare su un tema già accennato e considerato un ostacolo alla crescita delle compagnie aeree: il sistema di assegnazione della bande orarie (i cosiddetti slots) e i grandfather’s rights. La Commissione europea in uno studio recente ha evidenziato come una delle maggiori difficoltà dell’attuale sistema di assegnazione delle bande orarie risieda nel raggiungimento di un giusto equilibrio tra gli interessi dei vettori aerei già insediati e dei nuovi concorrenti negli aeroporti congestionati. Infatti, se i vettori insediati hanno interesse a consolidare ulteriormente la loro posizione in un aeroporto, i vettori aerei con un’attività relativamente contenuta o non ancora attivi aspirano ad ampliare i loro servizi. Inoltre, in vari aeroporti contraddistinti da fenomeni di congestione, le regole esistenti, basate in gran parte sul principio dei “diritti acquisiti”, sono state ritenute non sufficientemente flessibili per garantire la disponibilità di bande orarie e ottimizzare l’uso efficiente di una scarsa capacità aeroportuale: gli slot relativi alle fasce orarie più appetibili, infatti, rimangono ancora una prerogativa dei vettori tradizionali. La disciplina introdotta dal Regolamento CE n. 93/95, basandosi sul principio dei “diritti acquisiti” (i c.d. grandfather’s rights) e sulla regola secondo la quale le bande orarie devono essere utilizzate o altrimenti sono revocate (la c.d. use-it or lose-it rule), è apparsa non adeguatamente flessibile e idonea a consentire l’accesso al mercato di nuovi vettori o il potenziamento dell’attività dei vettori già presenti. La conseguenza è stata che, da un lato, taluni operatori hanno finito con il considerare le bande orarie come ‘beni’ di loro proprietà, creando un ostacolo alla concorrenza e, dall’altro, gli aeroporti hanno sostenuto di essere titolari delle stesse sul presupposto che esse sarebbero inestricabilmente connesse all’infrastruttura aeroportuale. E’ da anni al vaglio della Comunità europea un testo di modifica dell’attuale regolamento che disciplina a livello comunitario la distribuzione degli slot, e che ha avuto una battuta d’arresto a seguito dei tragici eventi dell’11 settembre 2001, a seguito dei quali la Comunità europea ha preferito differire l’adozione di misure volte a favorire la competizione tra vettori per non incidere su un mercato in forte crisi. 16 5. Le compagnie low-cost Le tradizionali compagnie aeree comunitarie non possono non considerare la forte spinta alla concorrenza data in questi ultimi anni dalle compagnie low-cost o no-frills. E’ certo che le compagnie tradizionali (tra le quali naturalmente Alitalia) ben difficilmente, mantenendo l’attuale assetto ed organizzazione, potranno proporre sul mercato tariffe più competitive rispetto a quelle delle compagnie low-cost, anche ricorrendo a più economici sistemi di vendita dei biglietti via internet. Non va trascurato, infatti, che sono ancora numerosi i fattori che incidono sui costi dell’impresa tradizionale, e che essi non sono legati esclusivamente ai maggiori costi della distribuzione del biglietto o ad una più attenta cura del passeggero a bordo, ma dipendono da un’impostazione aziendale ingessata da strutture estremamente costose. Basti pensare ad esempio ai costi di una flotta eterogenea e in buona parte obsoleta come quella di Alitalia, che comprende 10 tipi di aerei diversi, rispetto ai costi di gestione sostenuti da una compagnia come Ryanair, che possiede una flotta giovane e costituita da aerei di un unico modello; a parità di numero di aerei, Alitalia deve impiegare circa il 20% in più di personale navigante. Ulteriori incrementi dei costi derivano, poi, dalla manutenzione, diversa per ogni differente tipo di velivolo e da costose giacenze dei pezzi di ricambio. Incidono, inoltre, sui maggiori costi dei vettori tradizionali i contratti di lavoro, frutto di accordi raggiunti in periodi di quasi-monopolio e caratterizzati da costosi privilegi totalmente sconosciuti ai contratti adottati delle compagnie low-cost, che in un periodo di crisi del trasporto aereo hanno potuto imporre condizioni estremamente vantaggiose. Incide ulteriormente sulla difficoltà di contenere le tariffe aeree la tradizionale politica di scelta delle rotte da esercire. L’impostazione tradizionale, maturata in un mercato chiuso alla concorrenza, ha fatto sì che i vettori tradizionali operino dagli aeroporti maggiori con diritti di approdo e partenza e con tariffe di handling più elevati rispetto agli aeroporti minori, scelti dai vettori low-cost. La scelta di questi ultimi è stata peraltro “premiata” anche di recente dalla Commissione UE che, in una comunicazione del dicembre 2005 (2005/C 312/01), ha escluso la contrarietà al diritto comunitario ed al divieto di aiuti di Stato dei finanziamenti erogati dallo Stato o da enti territoriali a vettori che aprano nuove rotte (c.d. aiuti start up) da aeroporti regionali. Questo ha finito per avallare finanziamenti di cui hanno beneficiato in passato i vettori low-cost sotto forma di compensi elargiti da aeroporti regionali per forme di pubblicità degli aeroporti stessi effettuate in modi diversi (con opuscoli a bordo, con la vendita di prodotti gastronomici, con l’apposizione dei loghi e denominazioni sulla carlinga dell'aereo, dell’aeroporto in questione), quale corrispettivo per l’apertura di nuove rotte che, comunque, hanno portato consistenti vantaggi economici all’aeroporto e al territorio circostante con l’arrivo di nuovi passeggeri. La tabella 13 (Fonte Eurocontrol) illustra la crescita delle compagnie low-cost in Europa dal 2001 al 2006 rapportata a quella avvenuta negli Stati Uniti e nei 17 Paesi Asiatici. Nel periodo in esame i voli low-cost sono passati dal 3% al 16% del totale voli. Nel 2005 circa 140 milioni di persone hanno viaggiato con compagnie low cost, mentre nel 2004 erano state 85 milioni. Secondo l’OAG (Official Airline Guides), dal 2001 i voli in Europa di queste compagnie sono sestuplicati arrivando al 20% dell’offerta di posti. Ciò significa che un passeggero su 5 viaggia low-cost. Al contrario le compagnie tradizionali crescono ad un ritmo di poco superiore al 4%. Tab.13 Circa l’origine dei voli dai diversi Paesi europei, le tabelle che seguono (14 e 15) mostrano la maggior presenza nel Regno Unito, dove in effetti il fenomeno ha avuto origine, seguito da Germania, Spagna e Italia. 18 Tab.14 La tab.15 evidenzia la presenza delle compagnie low-cost nei vari Paesi. Poiché il grafico esclude i sorvoli, i dati mostrano l’effettiva presenza delle compagnie low-cost nel territorio. Se l’Italia ha una penetrazione delle low cost piuttosto rilevante, la Francia ha invece limitato tale presenza nei suoi aeroporti e ciò probabilmente allo scopo di non indebolire le proprie compagnie tradizionali, che hanno sempre beneficiato di una politica protettiva da parte del governo francese. 19 Tab.15 Le compagnie low-cost che operano in Italia sono 36 e sono operative su 31 aeroporti, collegando le nostre città con 87 destinazioni europee. Aeroporti come Bergamo, Ciampino, Pisa e Treviso hanno avuto una esplosione di traffico grazie a queste compagnie. Solo Ciampino ha avuto nel 2005 un aumento del 65% del traffico. Nel 2005 Ryanair e Easyjet hanno trasportato rispettivamente 33 milioni e 30 milioni di passeggeri. Solo le tre maggiori compagnie europee hanno imbarcato più passeggeri delle compagnie low-cost; Lufthansa ha imbarcato 49 milioni, Air France 47 milioni e British Airways 36 milioni. Easyjet dispone di 110 aerei e Ryanair di 100 aerei, in massima parte nuovi. Ciò consente pochi fermi macchina per le operazioni di manutenzione e garantisce minori consumi. Per meglio comprendere i vantaggi competitivi che un vettore come Ryanair può offrire nel nostro Paese, è sufficiente paragonare i dati appena esaminati con quelli offerti da Alitalia. Per il medio-raggio (settore in cui opera Ryanair) Alitalia, oltre a 46 moderni Airbus, impiega ancora 85 MD 80 con una vita media di 20 anni, aerei che dovranno essere presto sostituiti per ragioni di inquinamento e per gli eccessivi costi di manutenzione e consumo. Sicuramente costituirà uno stimolo positivo alla concorrenza la recente decisione dei vettori low-cost, ed in particolare di Ryanair, di intensificare i collegamenti tra gli aeroporti italiani. La forte competitività ed aggressività delle compagnie low-cost consentirà di evidenziare grandi differenze di prezzo tra le rotte caratterizzate dalla loro presenza e quelle che ne sono prive. Infatti, a 20 tutt’oggi, e nonostante la liberalizzazione sia avvenuta nel 1997, nelle rotte coperte solo da uno o due vettori le tariffe si mantengono elevate, laddove, a parità di lunghezza della tratta, nelle rotte caratterizzate dalla presenza di una maggior concorrenza e di operatori low-cost i prezzi sono di gran lunga inferiori. Non vi è dubbio che le tariffe proposte dalle compagnie low-cost diventeranno sempre di più parametri di riferimento anche per le compagnie maggiori al fine di mantenere una sufficiente attrattività per il consumatore. E’ interessante notare in proposito che la tariffa media applicata da Ryanair sui voli operati nel 2003 è stata di 46 Euro! Questo fenomeno – nato in Gran Bretagna, ma in via di espansione nel resto d’Europa – ha indotto le compagnie maggiori, come Lufthansa, ad effettuare voli a basso costo, anche attraverso compagnie minori controllate. Credo, in definitiva, che si possa senza alcun dubbio affermare che il tipo di servizio offerto dalle compagnie low-cost rappresenti il futuro modo di volare. Queste compagnie non si sono ancora affacciate al settore del lungo raggio (ci fu solo l’interessante esperienza della Virgin negli anni settanta), ma c’è da aspettarsi che tra non molto anche tali rotte saranno operate da compagnie low-cost. Forse l’unica ragione che ha impedito ad oggi alle compagnie low-cost di affacciarsi al mercato del lungo raggio è stata l’esistenza degli accordi bilaterali di traffico che consentivano ai Paesi di designare i vettori di bandiera per l’esercizio delle relative rotte. La decisione della Corte del 5 Novembre 2002, di cui si è dato conto, potrà sicuramente aprire questo mercato anche alle compagnie low-cost. I vettori comunitari dovranno trovare nuove strategie al fine di non dover subire una concorrenza che si basa su una nuova e moderna filosofia imprenditoriale che si sposa perfettamente con la domanda e che risulta, pertanto, vincente per la maggior parte delle fasce di consumatori. Si noti che un numero sempre maggiore di aziende spingono i loro dirigenti a volare con compagnie low-cost. In conclusione, le compagnie low-cost rappresentano un fenomeno assai importante ed inarrestabile. Oggi essi costituiscono un problema per le compagnie tradizionali che con difficoltà stanno ancora perseguendo una politica di riduzione di costi e di entrata in alleanze internazionali. Questo fenomeno, oggi avvertito da molti come una criticità del sistema, potrà essere il motore di un nuovo assetto del mercato che offrirà al consumatore servizi maggiormente aderenti alla domanda. 6. Criticità degli aeroporti comunitari Come si è anticipato, negli aeroporti comunitari stiamo assistendo ai medesimi fenomeni di aggregazione di cui si è fatto cenno con riguardo ai vettori aerei. Infatti, i principali hubs europei tendono a fare sistema, acquisendo partecipazioni negli aeroporti minori, che vengono così destinati al feederaggio con una conseguente maggior crescita degli stessi hubs. 21 Nonostante questa tendenza sussistono dei limiti oggettivi al processo di aggregazione che sta interessando gli aeroporti comunitari e tali limiti sono dati dal loro forte congestionamento. Uno studio dell’ECAC precedente all’11 settembre 2001 aveva stimato che nel 2005 il 7% (e il 15% nel 2010) della domanda di slots, negli aeroporti europei con un traffico annuo superiore ai 5 milioni di passeggeri, sarebbe stata insoddisfatta. La tabella 16 evidenzia le percentuali di traffico che potrebbero restare insoddisfatte fino al 2010 a causa delle carenze nelle infrastrutture dei principali aeroporti europei. Tab.16 Tale stato di cose è legato in modo particolare a due ragioni. La prima riguarda la limitazione dei voli notturni per ragioni di inquinamento acustico, limitazione che ha così ristretto il tempo di operatività degli aeroporti. Occorre altresì considerare che le municipalità hanno consentito in molti casi la costruzione di abitazioni in luoghi sempre più prossimi ai sedimi aeroportuali acuendo il problema dell’inquinamento. La seconda ragione risiede nella inadeguatezza delle strutture aeroportuali. La pianificazione e la realizzazione di nuove strutture aeroportuali richiedono diversi anni (da tre a sette) per trovare compimento. Dall’inizio degli anni novanta l’aumento del traffico aereo è avvenuto a tassi talmente elevati da non consentire un rapido adeguamento di tali strutture. La successiva tabella 17 evidenzia chiaramente che i ritardi avvengono nelle fasi di atterraggio e decollo – non in rotta – che sono i colli di bottiglia del volo e dove c’è, quindi, congestionamento. Circa la responsabilità, Eurocontrol (fonte di entrambe le tabelle 17 e 18) la attribuisce per il 53% ai vettori e per il 18% agli aeroporti. Non modeste sono le cause per meteo avverse che arrivano all’11%. Infine, non trascurabili sono anche i ritardi dovuti ai controlli di sicurezza che interessano il 4% dei voli. 22 Tab.17 Tab.18 Parte terza 23 Il mercato italiano 1. Le compagnie aeree In Italia, fino a dieci anni fa il mercato era appannaggio di circa dieci compagnie. Ora se ne contano 35 - delle quali solamente un paio presentano bilanci in attivo - evidenziando un andamento esattamente contrario a quello auspicato dalla Commissione europea. Di queste 35 compagnie, la maggior parte sono di modeste dimensioni con l’eccezione di Alitalia che, comunque, si può definire una compagnia di medie dimensioni e con un ruolo solo regionale. A seguito della decisione della Corte di Giustizia e dei successivi interventi della Commissione europea, il nostro mercato potrebbe essere caratterizzato da processi di consolidamento con riflessi positivi sulle compagnie aeree. Se questo non dovesse avvenire, il mercato italiano potrebbe essere oggetto di conquista da parte di compagnie straniere che hanno saputo ristrutturarsi sotto la spinta della Commissione europea. Nei paragrafi che seguono verranno evidenziate le criticità che ancora caratterizzano il mercato del trasporto aereo nel nostro Paese e che lo rendono assai poco competitivo. Anche i più recenti interventi delle autorità nazionali hanno avuto l’effetto di assecondare, come vedremo, posizioni di privilegio degli operatori del settore, a discapito di una completa liberalizzazione capace di portare le nostre imprese di settore a competere nel mercato comunitario del trasporto aereo. Tra questi interventi va sin d’ora segnalato il decreto di riforma della parte aeronautica del Codice della navigazione. Tale intervento riformatore, se da un lato ha saputo adeguare la normativa interna alla più recente disciplina comunitaria, dall’altro non ha saputo cogliere l’occasione per garantire l’avvio di processi di liberalizzazione e privatizzazione nel settore del trasporto aereo auspicati da tempo sia dalle autorità comunitarie che nazionali. 2. Il caso Alitalia Tra le imprese che non hanno saputo liberarsi delle incrostazioni delle compagnie di bandiera possiamo senz’altro annoverare Alitalia che, secondo il Rapporto Lek (commissionato dall’UE in relazione agli aiuti di Stato elargiti ad Alitalia negli anni novanta) del settembre 2000, aveva un’eccedenza di circa 5.000 persone, una flotta composta di 10 tipi di aerei diversi i quali, inevitabilmente, producono maggiori costi e rigidità. Non bisogna, infatti, dimenticare che già dalla metà degli anni ottanta gli aerei sono stati costruiti col concetto di flight deck unico, ovvero con una cabina di pilotaggio con caratteristiche pressoché identiche per un’intera famiglia di aeromobili. Operare con uno o, al massimo, due famiglie di aerei, significa ridurre sostanzialmente gli investimenti per la manutenzione, limitare le costose giacenze di parti di ricambio degli aeromobili e impiegare un minor contingente (pari all’incirca al 20%) di personale navigante. 24 Purtroppo, la situazione di Alitalia a quasi sei anni dall’emissione del Rapporto Lek non pare sostanzialmente diversa. Si sostiene da più parti che il mancato decollo di Malpensa avrebbe fortemente acuito la crisi di Alitalia. Questa affermazione non tiene conto, a mio parere, che al momento dell’apertura del nuovo aeroporto di Malpensa (alla fine del 1998) Alitalia disponeva di meno di 30 macchine di lungo raggio (di cui la metà piuttosto obsolete), mentre Air France disponeva già, a quel tempo, di oltre 100 aeromobili con tali caratteristiche; dopo l’accordo con KLM il gruppo dispone ora di 160 macchine, Lufthansa di 140 e British Airways di 134. Un hub è tale se in esso ha base di armamento una forte compagnia e una compagnia forte è quella che effettua molti collegamenti di lungo raggio. Non è un caso, quindi, che i tre hubs europei siano Londra, Parigi e Francoforte. Si potrebbe allora affermare l'opposto e cioè che la debolezza di Alitalia è responsabile, in buona parte, del mancato sviluppo di Malpensa. Da allora Alitalia è stata costretta a chiudere diversi collegamenti intercontinentali per destinazioni servite da Parigi, Londra e Francoforte con diverse frequenze settimanali, collegamenti alimentati da Air France, Lufthansa e British Airways con più collegamenti giornalieri da tutti gli aeroporti del nord Italia. Questi collegamenti intercontinentali, permanendo la situazione di carenza in Alitalia di macchine di lungo raggio, potrebbero in futuro essere assegnati dalla Commissione ad altre compagnie europee a seguito della nuova politica comunitaria in materia di accordi bilaterali di traffico. Alitalia è una compagnia molto debole nel mercato, ormai ridotta, come si è detto, a compagnia regionale. Negli ultimi anni si è trovata spesso vicina ad una situazione di stato di insolvenza. Le ragioni risalgono sostanzialmente a una gestione che non ha mai saputo affrontare i veri problemi della compagnia. In particolare si sono spesso fatte assunzioni di personale senza le specifiche competenze per affrontare la vivace concorrenza del settore. Non è stata fatta una lungimirante politica della flotta, concentrando la scelta su due sole famiglie di aerei. Questo ha portato a enormi costi di manutenzione e di gestione delle scorte dei pezzi di ricambio. I rapporti con i sindacati sono stati troppo accomodanti, accumulando nei contratti di lavoro privilegi ora difficili da eliminare. Infine, il management ha compromesso il possibile accordo con KLM che poteva rafforzare sensibilmente la posizione di Alitalia nel mercato europeo. Il successivo accordo con Air France è legato a condizioni di ristrutturazione e privatizzazione sulle quali governo e management non pare vogliano prendere decisioni risolutive. L’unico atto del governo è stato, alla fine del 2005, l’approvazione di un decreto (decreto sui requisiti di sistema), di cui si parla nel capitolo seguente, che è stato oggetto più di critiche che di approvazioni. 3. Il decreto sui requisiti di sistema Il 5 Ottobre 2005 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri un decreto legge sui cosiddetti “requisiti di sistema”. Il decreto legge in parola intende intervenire sulla catena del valore nel settore del trasporto aereo con l’intento di correggere la distribuzione dei margini di profitto tra i diversi attori. La spinta ad adottare tale 25 decreto è sorta a seguito degli incrementi dei prezzi del carburante, e dell’acuirsi della crisi di Alitalia, con l’intento di rivedere le tariffe e i diritti per i servizi di navigazione aerea e aeroportuale a vantaggio di tutti i vettori aerei. Purtroppo Alitalia beneficerà in misura piuttosto ridotta (non oltre il 30%) di tali riduzioni. L’intervento ha ricevuto scarsa approvazione e molte critiche perchè non pare in verità finalizzato ad accelerare la completa attuazione del vigente quadro normativo, pensato da tempo proprio per impedire il sorgere di situazioni di disequilibrio, né pare in sintonia con la riforma della parte aeronautica del codice della navigazione. Le perplessità attengono, innanzitutto, agli effetti del decreto con riguardo alla riduzione dei diritti aeroportuali, suscettibili di incidere anche sull’iter organizzativo delle gestioni aeroportuali. Il decreto, modificando la legge n. 537/93, stabilisce che i diritti aeroportuali saranno determinati secondo criteri fissati dal CIPE con decreto interministeriale. Esso ribadisce (all’art. 7) la necessità che, nella determinazione dei diritti aeroportuali, trovi applicazione un principio di trasparenza e di ancoraggio ai costi effettivamente sostenuti e a una normale remunerazione del capitale investito; tale intervento volto a consentire il recupero di economicità dei gestori e il riequilibrio dei diritti risulta, tuttavia, disatteso dal tenore delle disposizioni successive. Il decreto stabilisce, infatti, che la misura iniziale dei diritti e l’obiettivo di recupero della produttività vengano determinati, tra l’altro, tenendo conto di una quota di non meno del 50% del margine conseguito in relazione ad attività non regolamentate. Sono queste le attività commerciali esercitate nel sedime aeroportuale. La previsione in esame, che pecca per assoluta genericità, colpisce particolarmente i migliori gestori – ovvero quelli che hanno sviluppato una rilevante attività commerciale - riducendo sensibilmente le tariffe aeroportuali. Inoltre, l’art. 8 impone, ancorché per un periodo transitorio (ma non dimentichiamoci che la delibera CIPE che sancisce il principio del price cap è dell’agosto del 2000 e, ad oggi, non ha trovato applicazione!), una riduzione dei diritti, in misura proporzionale alla diminuzione dei canoni demaniali, senza avere riguardo ai volumi di traffico e alla redditività dell’aeroporto, nonché alla media europea riferita alle migliori gestioni. Tale ultima misura potrebbe quindi incidere sulle previsioni di programmazione pluriennale della dinamica dei proventi aeroportuali, costringendo i gestori a rivedere i piani pluriennali presentati per ottenere la gestione totale, con l’effetto di protrarre l’iter della sua concessione. Probabilmente tale intervento poteva essere evitato da un’azione più incisiva per la conclusione dei processi, iniziati con una legge risalente al 1993, di privatizzazione delle società di gestione aeroportuale al fine di indurre le stesse ad agire in base a principi di economicità ed efficienza, processo a tutt’oggi ostacolato dal mancato rilascio delle concessioni aeroportuali e dalla mancata sottoscrizione dei contratti di programma. Poteva essere altresì evitato dalla immediata applicazione della delibera CIPE dell’Agosto 2000 e dall’effettiva applicazione della direttiva di liberalizzazione dei servizi di handling aeroportuale (attuata in Italia con d.lgs. n. 18/99), consentendo la realizzazione di dinamiche concorrenziali che avrebbero potuto dare oggi buoni frutti. Non dimentichiamoci che la riforma della parte aerea del codice della navigazione (di cui si farà cenno in seguito) fa propri questi principi di origine 26 comunitaria, con la finalità di aprire al mercato i servizi aeroportuali e ritagliare, invece, al gestore aeroportuale compiti di amministrazione, gestione e coordinamento del sistema aeroportuale. L’avere ancorato la riduzione dei diritti ad una diminuzione dei canoni demaniali ha spinto, poi, a porre a carico del bilancio dello Stato le minori entrate per l’ENAC. Anche tale iniziativa non pare in sintonia con la legge n. 250/97 che istitutiva l’Ente in questione, prevedendo la sua trasformazione in ente pubblico economico non oltre il 31 luglio 1999. In realtà, l’introduzione di meccanismi di finanziamento statale probabilmente allontana dal perseguimento di livelli di autonomia economico-finanziaria necessari per la trasformazione. In conclusione, il decreto in esame pare complicare il quadro normativo del settore senza raggiungere il reale obiettivo di un concreto aiuto ad Alitalia. Anzi, buona parte dei benefici offerti dal decreto (70%) vanno a favore delle compagnie straniere che operano in Italia e che, quindi, potranno impiegare gli sconti percepiti per una più efficace concorrenza ai danni delle compagnie nazionali. 4. Aeroporti - La situazione Italiana Un fattore che sicuramente sta giocando un ruolo fondamentale nell’attuale sistema del trasporto aereo è quello della liberalizzazione dei servizi di ground handling aeroportuale, avvenuta a seguito dell’intervento della Comunità europea e tuttora in fase di attuazione in alcuni Paesi comunitari, compresa l’Italia. Credo di poter affermare che proprio il mancato completamento di questo processo di liberalizzazione produce effetti negativi sul mercato del trasporto aereo. Nonostante dal 1999 (d.lg. 18/99) l’Italia abbia avviato un processo di liberalizzazione dei servizi aeroportuali, gli aeroporti nazionali hanno ritardato tale processo di apertura alla concorrenza, favoriti da una normativa nazionale che poneva onerose condizioni per i nuovi ingressi e spesso abusi di posizione dominante (ostacoli all’ingresso di nuovi operatori di handling, ritardo nella messa a disposizione degli spazi per consentire loro di operare, obbligo di assumere la manodopera in esubero alle dipendente del gestore aeroportuale). Su tali comportamenti è intervenuta negli ultimi due anni l’Antitrust anche con interventi sanzionatori. Di recente anche la Corte UE ha sanzionato l’Italia per l’ostacolo alla liberalizzazione aeroportuale (sentenza del dicembre 2004, con la quale si condanna l’Italia per avere adottato, nella fase della liberalizzazione, una norma che obbligava il nuovo entrante ad assumere la manodopera in esubero dell’ex monopolista). A ciò si aggiunga il fatto che ancora oggi i gestori aeroportuali acconsentono, al mero scopo di soddisfare l’imposizione della concorrenza in aeroporto, all’ingresso di nuove società spesso da loro stessi controllate e con esclusione di operatori terzi, accampando ragioni di scarsità di spazi disponibili. Una politica delle tariffe che non risente ancora dei benefici effetti della liberalizzazione dei servizi di handling non può che incidere negativamente sulle tariffe aeree soprattutto in quegli aeroporti maggiori, non regionali, dai quali tradizionalmente operano i vettori principali. Si deve poi considerare che il processo di privatizzazione delle società di 27 gestione aeroportuale attuato a livello nazionale, ancorché stia procedendo lentamente, è senz’altro finalizzato a favorire una gestione efficiente e volta, in ultima analisi, a stimolare la concorrenza all’interno dell’aeroporto, con ripercussioni positive nel più ampio settore del trasporto aereo. Costituisce di certo un freno alla completa attuazione di quest’ultimo processo l’atteggiamento degli enti locali, normalmente proprietari della maggioranza delle quote delle società di gestione, che si mostrano restii a cedere un’attività che genera profitto. Avendo inoltre riguardo ad una delle due privatizzazioni delle società di gestione avvenute in Italia, ovvero quella della società Aeroporti di Roma, essa presenta a mio parere dei punti di debolezza (basti pensare in proposito all’operazione di leverage che ha indebitato l’impresa in misura tale da limitarne i piani di sviluppo e a peggiorare la qualità dei servizi) che inducono a meditare, anche in questo caso, sul fatto che talora processi finalizzati a promuovere la concorrenza non sortiscono gli effetti sperati se attuati in assenza di efficaci forme di controllo volte a garantire l’effettivo perseguimento dei fini prestabiliti. Devo comunque osservare che non necessariamente la permanenza di società pubbliche pone un ostacolo al perseguimento delle regole di concorrenza nel mercato dei servizi aeroportuali ed, al riguardo, mi sembra che possano costituire un valido esempio di tale circostanza le gestioni effettuate da municipalità in ambito internazionale quali quelle di Chicago e Francoforte. Con riferimento ai processi di privatizzazione e liberalizzazione che stanno coinvolgendo i nostri aeroporti, ricordo che in altri paesi comunitari come la Gran Bretagna, dove la privatizzazione degli aeroporti è avvenuta da tempo, il gestore aeroportuale si è man mano ritirato da una gestione diretta dei servizi a terra per diventare il coordinatore di tutte le attività air side o land side dell’aeroporto. In questo modo si è eliminato il conflitto di interessi che impedisce lo sviluppo della concorrenza all’interno dell’aeroporto. Con la riforma del Codice della navigazione (di cui si parlerà più avanti), si è cercato, anche nel nostro Paese, di indirizzare il gestore verso questo più moderno ruolo di gestione. Un altro elemento di debolezza del nostro sistema aeroportuale è l’assenza di una programmazione di utilizzo e sviluppo sia a livello nazionale che regionale. Come avrò modo di esaminare nelle conclusioni del presente lavoro, ritengo quanto mai necessario che le autorità di Governo redigano entro breve un piano nazionale degli aeroporti, concordato con le regioni. Prima di ciò è però necessario che l’autorità di Governo tracci una linea di politica economica che tiene conto della politica industriale in generale, degli obiettivi per i trasporti e per il trasporto aereo in particolare. Un esempio di carenza di processi di pianificazione aeroportuale è offerto dalla Lombardia dove, a sette anni dall’apertura del nuovo aeroporto di Malpensa, ancora oggi il Comune (azionista di maggioranza) e la Regione non trovano un accordo sulla distribuzione del traffico tra Malpensa, Linate, Bergamo e BresciaMontichiari. È ben vero che Malpensa sconta un processo di avvio partito in ritardo rispetto agli altri grandi aeroporti comunitari; mentre infatti Malpensa iniziava a muovere i 28 primi passi verso un processo di parificazione agli hub europei, Londra, Parigi e Francoforte si erano già affermati nel mercato europeo. Talune scelte di progettazione adottate a Malpensa lasciano, infatti, perplessi, e tra queste si può citare l’aerostazione localizzata a lato delle piste, anziché tra le stesse, che si è rivelata di ostacolo all’operatività complessiva dello scalo. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare, in proposito, che lo sviluppo di un hub è basato sulla presenza di un vettore forte, sia sul piano dell’efficienza, sia delle dimensioni. Come abbiamo detto più volte, un vettore forte è quello che dispone di molte macchine di lungo raggio e Alitalia, che è la maggiore compagnia italiana dispone di sole 23 macchine di tale tipo. Malpensa, quindi, per le ragioni esposte, non ha grandi possibilità di sviluppo, soprattutto di diventare un vero hub. Nell’attuale situazione, una strategia possibile sarebbe quella di mantenere Malpensa come aeroporto principale del nord per traffico passeggeri, costruendo nel breve periodo una terza pista orientata nord-est/sud-ovest (da utilizzarsi per i decolli), e ridurre il traffico di Linate. Non possiamo, infatti, dimenticare che quest’ultimo è caratterizzato da problemi ambientali di non scarso rilievo. Infine, mi pare che concentrare a Bergamo i couriers e destinare BresciaMontichiari al traffico all cargo (che se lasciato a Malpensa creerebbe problemi di viabilità sull’autostrada A8 e problemi di piazzole di sosta nell’aeroporto) potrebbe essere una soluzione maggiormente proficua dell’attuale. Non bisogna, infatti, dimenticare che Brescia-Montichiari (già sedime militare che non presenta problemi ambientali), oltre alla sua posizione baricentrica al nord Italia, è facilmente collegabile con l’interporto di Verona, e risulta quindi aderente ai principi dell’intermodalità previsti dai progetti europei di sviluppo dei trasporti. Infine, nella fase di pianificazione si dovrà tener conto anche del trasporto ferroviario che nei collegamenti di corto raggio – specialmente con l’alta velocità – è fortemente competitivo all’aereo. Si pensi al Parigi-Bruxelles e alla tratta Parigi-Londra o Napoli-Roma e Bologna-Roma in Italia. 5. Il cargo aereo In questo esame del trasporto aereo non può essere ignorato il settore cargo. Il cargo aereo è un settore in continua crescita ed evoluzione, in particolar modo nei paesi asiatici dove si è rilevata nel solo 2004 una crescita superiore al 12%. In Italia si sviluppa a tassi inferiori rispetto alla media mondiale ed europea perché non è mai stato oggetto di particolare attenzione, specialmente da parte di Alitalia quando era la compagnia di bandiera. Le previsioni della IATA per il periodo 2004-2008 indicano un aumento medio del 6% che per l’Europa si distribuisce tra il 7% verso l’Asia, il 6,1% verso il medio oriente e il 5,6% verso l’Africa. In particolare, il mercato europeo del cargo, che rappresenta quasi un quarto del mercato mondiale, ha registrato un aumento del 10% nel 2004, soprattutto grazie agli hubs di Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Bruxelles. Lo scalo di Francoforte, ad esempio, rappresenta il primo scalo cargo d’Europa, e l’ottavo a livello mondiale, con 1.766.000 tonnellate, molte delle 29 quali sono generate dal mercato italiano; infatti, per le ragioni che saranno di seguito esaminate, buona parte delle merci, in partenza per via aerea dal nostro paese, vengono trasportate su strada verso gli hubs del nord Europa già con i sigilli doganali, il cosiddetto “aviocamionabile”. L’Italia, pertanto sembra soffrire una certa arretratezza nel settore cargo aereo, rispetto ai principali paesi europei e vanno accuratamente esaminate le cause di questo fenomeno per predisporre gli opportuni rimedi. 5.1 Cargo aereo – La situazione italiana Il mercato italiano degli agenti merci aerei può essere, dati alla mano, definito maturo e dinamico, se solo si pensa che dal 1991 ad oggi le aziende del settore sono passate da 215 a circa 300. Inoltre, l’Italia, in termini di fatturato di noli aerei, con oltre 700 milioni di Euro, è il secondo Paese europeo dopo la Germania. La vera ragione della nostra arretratezza va dunque ricercata altrove. In primo luogo va constatata la mancanza, negli anni passati, di voli diretti cargo dai nostri aeroporti e con destinazioni di lungo raggio, elemento che ha inevitabilmente aperto il mercato a numerosi vettori stranieri, che hanno adeguatamente sviluppato l’aviocamionabile, ovvero il trasferimento via camion delle merci dal territorio italiano verso gli aeroporti europei, con l’inevitabile conseguenza di alimentare il cargo operato da compagnie non italiane dagli altri aeroporti europei. Tale risultato appare ancora più paradossale se solo si pensa che, ad esempio, verso il mercato cinese il nostro export è secondo, in Europa, solo a quello tedesco e il nostro import quarto dopo quello di Germania, Olanda e Gran Bretagna. Ma vi sono altre e più profonde ragioni, che hanno drasticamente inciso sulla debolezza del nostro cargo aereo e che possono essere individuate nell’inadeguatezza e frammentazione delle nostre infrastrutture, nell’incapacità di fare sistema e nella carenza dei servizi offerti. A tale proposito dobbiamo ancora una volta ricordare come in Italia non sia stata ancora compiutamente attuata la liberalizzazione dei servizi di handling. In aeroporti come Pisa, Napoli, Verona, Bologna, Torino, i servizi di handling sono ancora forniti in gran parte dal gestore aeroportuale, più attento a sviluppare servizi per i passeggeri che per il cargo. Infine, ma non per ordine d’importanza, va rilevata la complessità delle procedure burocratiche in aeroporto dove operano oltre 10 enti non coordinati, se non per mere ragioni di ordine pubblico, dall’ENAC. Un errore fondamentale, inoltre, che nel corso degli anni è stato commesso, è stato quello di ritenere il trasporto aereo delle merci quale settore in qualche modo isolato, scollegato dagli altri settori della filiera produttiva. Questo atteggiamento rende inevitabilmente il cargo aereo sempre meno competitivo e attento a garantire elevati servizi qualitativi, con la conseguenza, sicuramente non secondaria, di raggiungere inadeguate economie di scala, di far aumentare il traffico veicolare sulle strade e, conseguentemente, l’inquinamento ambientale, nonché di sviluppare un tasso ancora modesto di occupazione rispetto alle potenzialità del settore. A questo si aggiunga una poco lungimirante strategia delle società di gestione aeroportuale e degli “handlers” che, favoriti da posizioni di fatto dominanti, poco o nulla fanno per la crescita del sistema integrato di trasporto aereo delle merci, 30 ricercando ed ottenendo alti margini di guadagno piuttosto che creare le condizioni per far crescere i volumi e le economie di scala ed innescare un circolo virtuoso “migliori servizi” “maggior traffico” “costi unitari più bassi” “maggiore fatturato”, etc. Un ulteriore elemento di debolezza del nostro Paese è causato dal modello “piccolo è bello” erroneamente enfatizzato per lungo tempo in Italia. Tale modello ha indotto a ritenere positiva, sotto il profilo dello sviluppo economico del Paese, la presenza di un numero elevato di aziende importatrici-esportatrici di piccole dimensioni (176.000 con una media di 30 addetti). Queste imprese, tuttavia, nell’esportazione e nell’importazione di merci hanno sempre lasciato all’acquirente o venditore estero l’onere del prelievo o della consegna della stessa, e quindi, in altri termini, della scelta del mezzo di trasporto e delle relative pratiche amministrative. Inevitabilmente, quindi, le imprese estere di trasporto hanno sempre influito sulla logistica distributiva dei prodotti in entrata o in uscita dall’Italia, frenando così lo sviluppo di una cultura logistica e di trasporto capace di favorire le imprese nazionali e indurre alla realizzazione delle necessarie infrastrutture. A fronte di quanto esposto, quindi, non si può non condividere il contenuto del patto della logistica, redatto a livello ministeriale, che riconosce i ritardi considerevoli scontati dal nostro Paese e dovuti prevalentemente alla mancanza di adeguate infrastrutture, logistiche e di accesso, così come alle farraginose procedure amministrative rispetto alle esigenze del trasporto aereo. Va rilevato, tuttavia, come tale patto sia ancora totalmente inattuato. 5.2. Prospettive di sviluppo dei servizi di logistica nel settore del cargo aereo La situazione appena illustrata e il rilievo del ritardo scontato dal nostro Paese nel settore in esame, deve spingere ad approfittare di questo “gap”, per dare il via a nuove e stimolanti opportunità e contribuire in maniera determinante allo sviluppo del nostro paese. Si possono già rilevare alcuni positivi passi in avanti a livello dei vettori che hanno scelto lo scalo di Montichiari come base operativa, scalo che avrebbe enormi possibilità di sviluppo essendo baricentrico a tutto il nord Italia e, quale ex sedime militare, dotato di una vasta zona di rispetto suscettibile di limitare i problemi ambientali legati all’inquinamento acustico. Tuttavia questo non è di certo sufficiente a creare un processo virtuoso di sviluppo del cargo aereo in Italia che porti a risultati confrontabili con quelli degli altri principali Paesi Europei. Da questo punto di vista, la Spagna ci offre un esempio molto interessante di politica dei trasporti con la CLASA (Centros Logisticos Aeroportuarios SA), un’agenzia pubblica dedicata alla promozione del cargo aereo attraverso: • • • la costruzione, la gestione o l’affitto di cargo centres; l’integrazione delle proprie strutture con le altre modalità di trasporto e con i distretti logistici; un dialogo costante con i vettori aerei presentando le necessità di apertura di nuove rotte; 31 • l’analisi dei movimenti di merci e destinazioni per razionalizzare i collegamenti. La CLASA rappresenta anche la cargo community spagnola per gli interventi sul territorio gestendo altresì la circolazione delle informazioni. Dal modello appena indicato, si potrebbe mutuare soprattutto la creazione dei Regional Cargo Hubs, presso i quali confluiscono le merci prodotte nei distretti produttivi vicini. Qualunque sia la forma scelta, comunque, gli obiettivi di simili distretti dovrebbero essere quelli di seguito indicati: • • • • • • portare al cargo aereo anche le imprese che normalmente utilizzano altri mezzi di trasporto (ad esempio merci deperibili; si pensi al caso della Sicilia le cui primizie ortofrutticole giungono nel mercato di Francoforte via camion due giorni dopo quelle del Kenya spedite per via aerea; sviluppare collegamenti diretti – anche favorendo vettori stranieri - per evitare l’aviocamionabile; favorire una gestione integrata della logistica tra le imprese di un distretto; gestire una efficiente rete di collegamento tra produttori, spedizionieri, handlers, vettori aerei e gestori aeroportuali; gestire i flussi informativi circa i volumi, le destinazioni, le frequenze; promuovere l’intermodalità nei casi opportuni. Questa entità potrebbe essere costituita da una agenzia pubblica che operi secondo obiettivi di logistica integrata, inserita nelle politiche locali in materia di trasporti e logistica. Quanto proposto in precedenza appare coerente con una moderna visione della logistica, non più basata su un concetto geografico, ma secondo un concetto più vasto di supply chain, quindi di supply chain management definito da Hau Lee come “l’integrazione dei flussi fisici, informativi e finanziari relativi ai materiali in una rete di aziende che fabbricano e distribuiscono prodotti e servizi dalle fonti di approvvigionamento ai consumatori finali”. Gli elementi chiave per un efficiente supply chain management sono la rapidità e la creazione di reti, l’adozione di scelte infrastrutturali tali da realizzare la massima integrazione tra le varie modalità di trasporto e la realizzazione della sincronizzazione dei nodi all’interno della catena logistica. Il ciclo del trasporto diventa in tal modo parte del processo di produzione ed è definibile come time definite poiché necessita di un coordinamento preciso tra le varie fasi del sistema, richiedendo tempi certi. La strategia del time definite è tipica del trasporto aereo. Si ricorderà, da questo punto di vista, che Lufthansa offre una serie di servizi personalizzati basati sul lead time come il Tdflash, che assicura la consegna entro la notte. Il time definite poggia la sua efficienza, proprio sulla creazione di hub, distretti logistici nei quali vi è una concentrazione di servizi e infrastrutture. Inutile dire che questa impostazione richiede, oltre alla realizzazione degli obiettivi compresi nel patto per la logistica, una programmazione a livello di governo che si basa su altre scelte non ancora effettuate; tra queste una efficiente 32 politica nazionale dei trasporti e della logistica, la creazione di sistemi aeroportuali regionali come suggerito dall’UE, una spinta decisiva verso la liberalizzazione dei servizi di handling e la concessione delle gestioni totali agli aeroporti, processo, quest’ultimo, spesso rallentato da interventi normativi caratterizzati da finalità ben diverse dallo sviluppo dei flussi logistici, come ad esempio il recente decreto sui requisiti di sistema illustrato in precedenza. Appare fondamentale, quindi, la comune ricerca della produttività ed il recupero di competitività da parte di tutti gli operatori del settore. E’ una strategia che viene applicata con successo non solo sugli aeroporti più noti e dal traffico merci consolidato (Londra, Francoforte, Parigi, Amsterdam), ma anche nei confronti di quelli emergenti (quali ad esempio Vienna, Budapest, Bratislava) che stanno attraendo molte compagnie aeree “all cargo” soprattutto dall’area geografica del “far East”. 6. La riforma del codice della navigazione – Parte aerea Con il decreto legislativo n. 96/05, unitamente al decreto integrativo e correttivo recentemente approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri (2 marzo 2006 ed in corso di pubblicazione) si è finalmente posto mano, dopo vari tentativi falliti, alla revisione della parte aeronautica del codice della navigazione, gravata da una disciplina ritenuta unanimemente inadeguata risalendo ad oltre sessanta anni fa, quando la dimensione economico-imprenditoriale del trasporto aereo era evidentemente solo agli inizi. La riforma ha interessato circa 250 articoli del vecchio codice previgente: sono stati affrontati gli aspetti nevralgici del quadro ordinamentale e organizzativo dell’aviazione civile, come la proprietà e la gestione degli aeroporti, i servizi aerei e aeroportuali, i compiti e la responsabilità dei soggetti, pubblici e privati, operanti nei settori degli aeroporti e del trasporto aereo. Le linee guida della riforma sono: a) l’individuazione di un’unica autorità di vigilanza (ENAC), in linea con la normativa comunitaria sul single sky, e la doverosa separazione fra regolazione, controllo e certificazione, da un lato, e fornitura dei servizi di navigazione aerea, dall’altro. b) l’introduzione di una disciplina moderna e dettagliata in materia di aeroporti e concessioni di gestione aeroportuale (elementi del tutto carenti ed inadeguati nel vecchio codice), comprese le funzioni principali di quest’ultimo. E’ stato tra l’altro dato rilievo legislativo anche alla certificazione dei gestori aeroportuali rilasciata dall'ENAC. Con una norma transitoria inserita nel decreto recante il nuovo codice (art. 3, comma 2, D.lgs.. 96/05), nell’ottica di sollecitare il completamento delle procedure in corso per il rilascio delle concessioni, si è previsto, decorso inutilmente un anno (23 giugno 2006), l’intervento di un commissario nominato dal Ministro. Sono state altresì introdotte, con il medesimo mezzo, nuove norme, compatibili col diritto comunitario, per tutelare i lavoratori in caso di ingresso di nuovi operatori di handling negli aeroporti a seguito della liberalizzazione. 33 Un ruolo prioritario viene riconosciuto, nel progetto in esame, ai gestori aeroportuali, non più confinati, sul piano istituzionale, al mero compito di coordinatori delle attività aeroportuali, come contemplato dal D.Lgs. n. 18/99, ma adibiti a funzioni di garanti della operatività dell’aeroporto e del complesso delle attività che in esso si svolgono, per l’ottenimento dei massimi livelli di efficienza, continuità nell’operatività dell’aeroporto e sicurezza. La riforma valorizza, quindi, il ruolo imprenditoriale dell’ente gestore e si pone in sintonia con l’attuale quadro normativo che prevede la concessione della realizzazione delle infrastrutture aeroportuali e della gestione dei servizi aeroportuali in gestione totale all’ente gestore. Circa le gestioni aeroportuali, la nuova disciplina prevede un limite massimo di 40 anni. Un così lungo termine di durata se, da un lato, uniforma la nuova disciplina alle concessioni totali già rilasciate per un analogo periodo a diversi aeroporti nazionali, non pare, d’altro canto, in sintonia con gli orientamenti espressi in materia di concessioni nel diritto comunitario, né con il nuovo ruolo, marcatamente imprenditoriale riconosciuto dal nuovo quadro normativo al gestore aeroportuale. Il rilascio della concessione avviene sulla base di piani strategici di sviluppo che non possono essere basati su una visibilità di 40 anni, visto che in uno scenario così mutevole come quello attuale, le aziende considerano attendibile un piano che non superi i 5 anni. Va evidenziato, infine, che l’impianto normativo in questione contempla un meccanismo di selezione del gestore effettuata tramite procedura concorrenziale, introducendo, per la prima volta, criteri di trasparenza e imparzialità nella selezione del gestore; c) l’aggiornamento della disciplina dei vincoli alla proprietà privata nelle zone limitrofe agli aeroporti, individuando soggetti interessati e rispettive responsabilità, le procedure di garanzia e le relazioni fra gli organi amministrativi dell’aviazione civile e gli enti territoriali, senza dimenticare la tematica dell’inquinamento acustico, in relazione al dimostrato impatto che l’attività aeronautica ha sulle attività umane, e più specificamente sugli insediamenti abitativi, nelle vicinanze degli aeroporti. d) l’individuazione, in modo puntuale, delle responsabilità di tutti i soggetti che operano in aeroporto, introducendo il controllo c.d. gate to gate sul movimento degli aeromobili a carico di ENAV s.p.a., già peraltro previsto dalla citata legge 265 del 2004. La riforma mira a valorizzare le professionalità dell’ente di assistenza al volo, consolidando in esso quest’ultima specificità, mentre l’attività squisitamente regolamentare dovrà essere trasferita all’ENAC. Peraltro, la necessità di ricollocare una serie di funzioni di regolamentazione nell’Ente Nazionale per l'Aviazione Civile al fine di configurare l’ENAV come “service provider” era stata più volte avanzata dal presidente dell’ENAC in parecchie occasioni fin dal 2001 quando lo stesso era presidente dell’ENAC e dell’ECAC ed era membro del gruppo di alto livello (HLG) costituito dalla Vice Presidente Loyola De Palacio per la definizione del progetto ‘Single Sky’ , progetto che ravvisa in tale soluzione la via da seguire per poter procedere alla ridefinizione dei compiti dei fornitori dei servizi di assistenza al volo; 34 e) la soppressione della figura del direttore di aeroporto, come figura tipizzata prevista dal codice, senza però diminuire le garanzie di sicurezza, visto che sono state incardinate direttamente in capo all’ENAC, che vi provvederà secondo le più idonee misure organizzative, e quindi tramite adeguate strutture periferiche, le relative funzioni di polizia e di vigilanza; f) si è ritenuto opportuno, conformemente all’obiettivo primario di migliorare il livello di tutela dei diritti del passeggero, obbligare i vettori aerei a prevedere idonee forme di pubblicità verso gli utenti nel caso di accordi di natura commerciale tra più compagnie, come nel caso di un volo condiviso tra due compagnie in code sharing, imponendo obblighi di informazione e procedure trasparenti anche in caso di inclusione in liste di attesa; g) armonizzazione e semplificazione della disciplina amministrativa degli aeromobili e dei titoli professionali aeronautici; h) revisione generale della contrattualistica, con l’adeguamento alla normativa comunitaria e internazionale della disciplina in materia di servizi aerei nonché di contratto di trasporto aereo, in questo caso con particolare riguardo anche alla tutela degli utenti. Tra le modifiche da ultimo apportate vanno segnalate: l’ulteriore rafforzamento delle funzioni di controllo dell’ENAC, anche in materia di condizioni di applicabilità dei servizi antincendio in ambito aeroportuale; l’eliminazione della distinzione fra aerodromo e aeroporto (in favore di quest’ultimo), in quanto la normativa internazionale non li distingue e sotto l’aspetto tecnico-giuridico le due nozioni possono rendersi equivalenti; l’eliminazione, per l’individuazione dei beni appartenenti al demanio, di ogni riferimento al criterio dell’istituzione dell’aeroporto da parte dello Stato, lasciando solo quello dell’appartenenza allo Stato, come è, del resto, nell’articolo 822 del codice civile; la dizione «aeroporti di rilevanza nazionale» è stata sostituita con «aeroporti d’interesse nazionale», in conformità dell’espressione adottata nell’art. 104, comma 1, lett. (bb), del D.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e si è inoltre aggiunta la menzione dei sistemi aeroportuali; per le aviosuperfici, è stato aggiunto un riferimento alla compatibilità della destinazione urbanistica delle aree; per quanto riguarda la concessione di gestione aeroportuale, si è precisato che il partecipante alla gara comunitaria deve istituire in Italia una sede secondaria e che il contratto di programma, stipulabile successivamente alla convenzione, deve recepire la vigente disciplina di regolazione aeroportuale, emanata dal CIPE in materia di investimenti, corrispettivi e qualità; nell’elenco dei compiti del gestore aeroportuale, sono stati aggiunti: la proposta all’ENAC di applicazione di sanzioni; 35 - - l’applicazione diretta, in casi di necessità e urgenza, di misure interdittive di carattere temporaneo; per i piani di rischio comunali in ordine alle zone gravate da servitù aeroportuali, si è prevista la possibilità di eventuali direttive regionali; in materia di polizia degli aeroporti, sono stati chiariti i rapporti fra l’ENAC e i soggetti pubblici che operano negli aeroporti; poiché poteva sorgere il dubbio se nella definizione di aeromobile rientrassero i mezzi a pilotaggio remoto (UAV), essi vi sono stati espressamente compresi; una notevole innovazione è il considerare come aeromobili anche gli apparecchi per il volo da diporto o sportivo, pur escludendo per essi l’applicabilità del libro primo della parte seconda del codice, cioè di tutta la parte che riguarda l’ordinamento amministrativo della navigazione aerea; sono state ulteriormente semplificate varie procedure in tema di regime amministrativo degli aeromobili e di rilascio delle licenze per i servizi aerei; è stata rivista, eliminando alcune incongruenze, la disciplina dei contratti (locazione, noleggio, trasporto, anche di merci), nonché quella sulla responsabilità per danni a terzi sulla superficie, conformandole alla disciplina internazionale. Pare importante, infine, quanto disposto in materia di rilascio delle licenze per l’esercizio dei servizi di trasporto aereo di competenza dell’ENAC. La nuova disciplina, in armonia con la normativa comunitaria, chiede al vettore di fornire adeguata prova del possesso di requisiti amministrativi, finanziari e assicurativi. E’ questo un tema di particolare attualità perché connesso alla sicurezza del trasporto aereo. 7. Il ruolo della pubblica autorità di aviazione civile. Il problema della sicurezza e della protezione del passeggero In questo contesto non vi è alcun dubbio che gli obiettivi primari dell’autorità pubblica di aviazione civile restano quelli di garantire un alto grado di sicurezza nelle fasi del trasporto sia in volo sia nelle operazioni a terra (safety e security). Inoltre, l’autorità deve continuare a promuove iniziative, e adottare misure, volte a proteggere i diritti del passeggero e a preservare l’ambiente. Safety – Le imprese di costruzione aeronautica producono aerei sempre più sicuri e affidabili; per contro il fattore umano rimane la causa dell’80% degli incidenti e inconvenienti aeronautici. Esso quindi costituisce oggetto di analisi sempre più accurate alle quali seguono le recommendations al mondo aeronautico. In questo campo l’autorità di aviazione civile, effettuando controlli costanti e capillari, deve innanzitutto garantire che le compagnie aeree si formino con capitali adeguati a garantire la corretta applicazione delle norme di sicurezza (in questo senso la Comunità europea ha introdotto delle regole precise nel terzo pacchetto di misure del 1992); a ciò deve aggiungersi la disponibilità di personale in possesso dei requisiti previsti dalla normativa comunitaria ed internazionale (ICAO) per la tutela della safety. In questa prospettiva, severi controlli devono 36 essere effettuati su: produttori, manutentori, sul training del personale navigante per garantire la compliance con le norme internazionali in materia di safety. La serie di incidenti dell’estate 2005 (per quanto ci riguarda ricordo l’ATR 42 tunisino ammarato nei pressi di Trapani) ha messo in evidenza la necessità che l’ICAO effetti più frequenti ed efficaci controlli sulle autorità di aviazione civile di molti Paesi aeronauticamente meno evoluti. Scopo di questi controlli è quello di verificare che le procedure di ispezione su vettori, manutentori e aeroporti di quei Paesi siano efficaci e rispondano alle misure di sicurezza stabilite dall’ICAO stesso. La sicurezza, infatti, ha una diretta correlazione con l’efficacia di tali procedure. La lista nera delle compagnie aeree, pubblicata di recente dall’Unione Europea, comprende compagnie che hanno modesto movimento nell’UE. Sarebbe forse più utile, per tutte le compagnie, stabilire un rating di sicurezza al pari di quanto viene fatto in campo finanziario. Security – Dopo l’11 settembre sono state emesse, ai fini di perseguire i fini della security, norme dalla Comunità, dagli Stati Uniti e dall’ICAO, norme non sempre armonizzate tra loro. Permane, quindi, il problema di trovare il giusto equilibrio tra le diverse misure prospettate, onde evitare ostacoli e ritardi al traffico aereo. Protezione dell’ambiente – Questo problema è particolarmente sentito in Europa a causa della forte densità abitativa anche nei pressi degli aeroporti, fonti di inquinamento acustico ed atmosferico. L’autorità di aviazione civile deve essere cosciente di questi problemi, favorendo le valutazioni di impatto ambientale con sistemi tecnologicamente avanzati, trovando poi soluzioni tecniche e giuridiche relative al sorvolo che permettano di rispettare gli standard internazionali. La vera partita su questo problema si gioca, per la verità, con la progressiva messa al bando degli aerei più rumorosi e più inquinanti (capitolo II e III dell’Annesso 16 ICAO). Questo progetto in origine ha un costo rilevante ma, ove incentivato, può sicuramente portare ad enormi vantaggi per la sicurezza e la protezione dell’ambiente e, nel lungo termine, vantaggi economici per i vettori aerei e per i costruttori di aeromobili. Protezione del passeggero - E’ importante che le autorità di aviazione civile operino continui e puntuali controlli sulla qualità dei servizi resi dai vari operatori del trasporto aereo, come pure sul prezzo dei servizi, specialmente in presenza di accordi di collaborazione come code-sharing, dry e wet lease, franchising, etc. Vale la pena fare un’ultima osservazione sull’ENAC. L’Ente, nelle intenzioni del legislatore (D.L. 250/97), era stato concepito come un ente dotato di larga autonomia, tanto che lo stesso decreto istitutivo aveva previsto entro il 31 luglio 1999 la sua trasformazione in ente pubblico economico. L’Ente doveva quindi diventare una vera autorità per l’aviazione civile come nei Paesi anglosassoni dove, appunto, tale ente si chiama Civil Aviation Authority. Al contrario, nel 37 tempo tale autonomia è stata sempre più ridotta da una vigilanza ogni giorno più stringente del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. 8. I servizi di controllo del traffico aereo. L’Ente Nazionale di Assistenza al Volo (ENAV) Dal 2002 l’ENAV è stata trasformata in SPA; il 100% del suo capitale è detenuto dal Ministero dell’Economia. Negli ultimi anni, sotto il controllo del management rinnovato di recente, ENAV ha goduto di una relativa pace sindacale, come non era mai avvenuto in passato, che ha permesso alla Società di raggiungere risultati positivi nella gestione, e di migliorare il servizio offerto. Inoltre, di recente l’ENAV ha acquisito il ramo d’azienda di Vitrociset che assicura la manutenzione degli apparati, di proprietà dell’ENAV, presenti negli aeroporti italiani, internalizzando in tal modo il servizio, come da tempo aveva raccomandato il Parlamento italiano. Tuttavia, in relazione a quanto esporto al par. 3) della prima parte, relativamente all’esperienza della Gran Bretagna, credo sarebbe saggio prevedere che, in futuro, altri service providers europei possano affacciarsi sulla scena italiana e offrire i loro servizi a prezzi competitivi. L’ENAV dovrebbe studiare strategie che ne aumentino l’efficienza migliorando la sua competitività nel mercato e la rendano, al contrario, capace di essere essa stessa in grado di offrire servizi, ad esempio, a Paesi dell’est europeo. L’ENAV aveva, in un primo tempo, aderito al progetto CEATS, progetto che prevedeva la costituzione a Vienna di un unico centro di controllo del traffico aereo in rotta (oltre i 20.000 piedi di altitudine) per otto Paesi dell’Europa centroorientale. Due anni fa, a seguito di problemi sindacali che interessavano il centro di controllo di Padova, l’ENAV pare abbia rinunciato al progetto con l’appoggio del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti. In alternativa al progetto CEATS, era stata prospettata la possibilità di essere parte attiva nel progetto Giustiniano che prevedeva il controllo della parte meridionale dei Balcani dal centro di controllo ENAV di Brindisi. A mio parere, entrambi i progetti dovrebbero essere esaminati nuovamente e discussi con Eurocontrol. Parte quarta 38 Conclusioni e linee guida per una azione di governo 1. Considerazioni conclusive. Non vi è dubbio che il trasporto aereo in Italia versi in una sostanziale situazione di abbandono da parte delle istituzioni. Se da un lato l’intervento della parte pubblica deve via via ridursi sul piano gestionale, non si deve dimenticare che si tratta comunque di un servizio pubblico che necessita di una regolamentazione diretta a favorirne lo sviluppo con poche regole, ma chiare, a difesa del consumatore e dell’industria nazionale. Occorre allora disegnare una chiara ed efficace azione di Governo che rimedi ai problemi esistenti e tracci le linee di una politica di sviluppo coerente con le strategie economiche e dei trasporti. 2. Linee guida per una azione di governo Le linee guida che dovrebbero indirizzare un’azione di governo moderna e attenta allo scenario nazionale e internazionale potrebbero prevedere i seguenti interventi: 1. L’accorpamento del Ministero dei Trasporti con quello delle Infrastrutture ha finito per indebolire il ruolo dei trasporti che rappresentano un elemento fondamentale per lo sviluppo economico del Paese perché sono la base della comunicazione, cioè di quella attività che ha rivoluzionato la vita umana negli ultimi 30 anni. Il Ministero dei Trasporti è già di per sé complesso comprendendo i trasporti terrestri, marittimi e aerei che hanno problemi diversi tra loro. Ritengo, pertanto, necessario separare il Ministero delle Infrastrutture da quello dei Trasporti. Il Ministero dei Trasporti potrebbe forse essere unito al turismo. Nel Ministero dei Trasporti dovrebbe esserci un sottosegretario con delega per l’aviazione civile e un dipartimento per il trasporto aereo per definire le linee guida strategiche per l’ordinamento e lo sviluppo del settore. 2. Definire le linee di politica economica per lo sviluppo del trasporto aereo e della logistica, coerenti con la programmazione economica del Paese. 3. Restituire all’ENAC una forte autonomia operativa identificandola come la vera autorità per l’aviazione civile, limitando gli interventi di vigilanza da parte del Ministero dei Trasporti. 4. Studiare per l’ENAV una strategia che rafforzi la sua capacità competitiva nel mercato. Rivedere e discutere con Eurocontrol il progetto CEATS e il progetto Giustiniano. Non escluderei neppure la possibilità di una parziale privatizzazione di ENAV. Un primo passo potrebbe essere uno spin-off delle attività di torre (avvicinamento e decollo) in una società (per ora controllata) che, sulla base del modello 39 inglese, possa stipulare con i singoli aeroporti accordi di servizi ATM su misura per aumentare l’operatività e la sicurezza dell’aeroporto. 5. Favorire un processo di consolidamento delle compagnie aeree. Sono circa 35 le compagnie aeree italiane dedicate al trasporto passeggeri, troppe per un mercato come l’Italia. In Francia e Germania varie compagnie minori sono comunque sotto il controllo di Air France e di Lufhansa. La nostra Autorità antitrust, che in passato si è opposta ad accordi tra compagnie3, ha dimostrato, in altri settori, una maggiore apertura vedendo, ad esempio, positivamente il consolidamento delle banche. A maggior ragione tale Autorità non dovrebbe ostacolare il consolidamento delle compagnie aeree che vanno viste (ed il cui mercato va valutato) in un contesto comunitario, e non meramente nazionale, proprio per il carattere di transnazionalità del trasporto aereo. 6. Prendere atto che i voli low-cost rappresentano per la grande massa il modo di volare del futuro e che, comunque, generano profitti per l’aeroporto e per il territorio circostante. Ritengo quindi che sia una buona iniziativa quella di prevedere strumenti per incentivare la nascita di compagnie low-cost anche in Italia. 7. Definire una politica di sviluppo per il cargo aereo e la logistica attuando il patto per la logistica prevedendo, se occorre, la costituzione di una agenzia pubblica che operi per il perseguimento di obiettivi di logistica integrata nel settore della produzione e del trasporto delle merci, come descritto nella parte terza di questo lavoro. 8. Il problema Alitalia: Alitalia dovrebbe avere una gestione manageriale capace di evitare il fallimento della Compagnia. Gli interventi degli ultimi due anni non sono stati risolutivi. L’aumento di capitale di 1 Beuro servirà per 400 Meuro a restituire il prestito ponte; gli altri 600 Meuro, se non si prenderanno decisioni radicali, serviranno alla gestione ordinaria fino all’inizio del 2006 e si aggiungeranno agli altri 3,4 Beuro persi da Alitalia dal 1998 ad oggi. Alitalia ha tre punti di forza: o Il 50% del mercato interno (tuttavia in calo costante); o Gli accordi bilaterali di traffico per molte rotte con Paesi extra UE sono inutilizzati, accordi che dopo la sentenza della Corte di Giustizia del 5 Novembre 2002 l’UE negozierà a nome di tutti i Paesi europei; ciò significa che sulle rotte internazionali oggetto degli accordi potranno operare, soprattutto se non utilizzate, altri vettori comunitari; o Il terzo punto che mi accingo ad esporre se apparentemente può sembrare un punto di debolezza, può diventare un punto di forza per il 3 Gli accordi di code-sharing sono stati oggetto di censura da parte dell’Autorità Antitrust nazionale, che ne ha sottolineato l’illegittimità alla luce della normativa a tutela della concorrenza e del mercato. Se, come si è visto, gli accordi in parola hanno assunto nel corso degli anni un significato ed una valenza sul piano economico-commerciale di indiscusso valore, essi sono stati ritenuti capaci, in talune occasioni, di compromettere la piena e fattiva applicazione delle regole di concorrenza nel mercato del trasporto aereo (Provv. 13 gennaio 1999, n. 6793, in Boll. 1999, n. 2). 40 rinnovo della flotta della Compagnia: Alitalia è proprietaria di 85 MD 80 che devono essere sostituiti con altri aerei più moderni perché obsoleti e diseconomici, e potrebbero avere presto problemi di compatibilità ambientale. Il loro rinnovo potrebbe portare ad una maggiore efficienza e dinamicità del vettore. Non sono i piani industriali (se ne sono fatti tanti) o accordi sindacali che possono da soli risolvere il problema di Alitalia. Una possibile via di uscita potrebbe essere un negoziato con il Governo francese che prevede: o La cessione ad Air France da parte dello Stato italiano di una quota del 20/30% di Alitalia; o L’impegno a sostituire gli 85 MD 80 con altrettanti Airbus. L’impegno finanziario sarebbe assai elevato (circa 4,5 miliardi di Euro, al lordo di quanto si può ricavare dalle vendita degli MD 80). L’operazione potrebbe essere fatta da Fintecna (con l’aiuto delle banche) che poi cederebbe gli aerei in leasing ad Alitalia; o Entrata immediata di Alitalia nell’accordo Air France-KLM; o Co-governance franco-italiana per Alitalia. Resta una incognita: alcuni fondi americani hanno investito 500 milioni di euro nell’aumento di capitale di Alitalia. Ma perché investire in un settore sconsigliato dai gestori di patrimoni e, soprattutto, in una società che produce perdite? Non sarebbe inaspettato che dietro tali fondi ci fosse una compagnia aerea che per ora non vuole apparire, ma che in futuro, risolti alcuni problemi di Alitalia, si potrebbe presentare con un consistente pacchetto azionario. Se fosse Lufthansa, ad esempio, l’accordo con Air France-KLM potrebbe essere compromesso. Il problema della scelta dell’hub italiano: Il dibattito tutt’oggi aperto tra le autorità pubbliche di Roma e Milano sulla scelta di Malpensa o Fiumicino quale base di armamento di Alitalia e di hub principale del nostro Paese, mi permette di spezzare una lancia a favore di Fiumicino. Quest’ultimo aeroporto ha quattro piste, con possibilità di costruirne una quinta, è facilmente raggiungibile con treno o auto e non ha le limitazioni operative di Malpensa. Considerato che Malpensa è da anni cannibalizzato dal feederaggio che tutti gli aeroporti del nord Italia fanno (mediamente con quattro collegamenti giornalieri) verso Londra, Parigi e Francoforte, portando a termine l’accordo tra Alitalia e il gruppo Air France-KLM, si potrebbe puntare su Fiumicino come hub verso l’emisfero sud del globo utilizzando la consistente flotta di lungo raggio del gruppo. La scelta delle destinazioni dovrebbe essere fatta evitando sovrapposizioni con Atene e Madrid che hanno di recente aumentato la capacità dei loro aeroporti. 41 9. In linea con quanto previsto al punto 2), mi pare oltremodo opportuna la predisposizione di un piano nazionale e regionale degli aeroporti attribuendo ad ognuno una destinazione precisa: passeggeri, merci, low-cost, charters. Le strutture aeroportuali dedicate ad un tipo di traffico aumentano l’efficienza del trasporto aereo. In parte questo è già avvenuto tra Fiumicino e Ciampino o tra Venezia e Treviso. Da più parti si sostiene che in Italia ci sono troppi aeroporti, ma se si guarda la mappa degli aeroporti europei si vede che l’Italia ha una densità aeroportuale assai inferiore a quella di Francia e Germania (Italia 78, Francia 250, Germania 300). Negli altri Paesi è molto più sviluppata l’aviazione generale che comprende anche la business aviation e che utilizza molti aeroporti minori. In Italia gli aerei di aviazione generale sono circa 900, contro i 10.000 della Germania o i 3.000 della Svizzera. 10. Arrivare a una vera liberalizzazione dei servizi di handling negli aeroporti. Le tariffe di handling in Italia sono ancora tra le più elevate d’Europa. 11. Rivedere i criteri di rilascio delle concessioni di gestione aeroportuale accelerando l'iter burocratico. Attualmente vengono rilasciate per 40 anni sulla base di piani per lo stesso periodo che non hanno alcuna validità. La visibilità sullo sviluppo di business per un’impresa non arriva a cinque anni a causa di uno scenario esterno estremamente mutevole. Sarebbe meglio concedere le autorizzazioni a tempo indeterminato (come avviene nel mondo anglosassone) sulla base di piani a 5/10 anni al massimo e ritirarle in caso di cattiva gestione che non tenga conto degli obiettivi di un servizio pubblico. Su questo tema esiste un’errata presa di posizione dell’Agenzia del Demanio che vorrebbe gestire le concessioni sui sedimi aeroportuali, sedimi che il D.L. 295/97 assegna all’ENAC. 12. Incentivare la privatizzazione degli aeroporti; 13. Abrogare il decreto sui requisiti di sistema; 14. Rivedere il D.L. 18/99 sulla liberalizzazione dei servizi di handling aeroportuale; 15. Applicare, o rivedere, la delibera CIPE dell’agosto 2000. Roma, maggio 2006 42