IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
2.
Identità nazionale:
dal Cantone alla Confederazione
2.1.
La festa nazionale cantonale
219
La Repubblica Elvetica istituì la prima festa nazionale con lo scopo di suscitareunsentimento nazionale svizzero:la prima festa del «giuramento civico»venne celebrata solennemente il 26 agosto 1798. Con la caduta dell’Elvetica e per quasi tutto l’Ottocento, il sentimento nazionale si manifestò con l’attaccamento al proprio Cantone.
I politici ticinesi si sforzarono di rafforzare questo senso di appartenenza alla patria con i
programmi scolastici (in special modo attraverso l’insegnamento della storia patria e l’educazione civica) e con manifestazioni pubbliche. Con decreto del 7 giugno 1831, il Gran
Consiglio istituì la festa nazionale religiosa cantonale, più conosciuta come Festa della
Riforma, e scelse la prima domenica di luglio per ricordare la riforma costituzionale dell’anno precedente. Nel 1832, la Dieta federale scelse la terza domenica di settembre quale Festa federale di digiuno e ringraziamento, per tutta la Confederazione. Solo nel 1899
venne infine decisa la celebrazione di una festa patriottica svizzera il primo di agosto.
Il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone del Ticino sulla proposizione del Consiglio di Stato
Considerando che il dì 4 di luglio è l’anniversario della giornata in cui
nel 1830 i Circoli del Cantone accettarono la Riforma del patrio Statuto, proposta dai
supremi Consigli;
Considerando che l’unione e la concordia di quella memorabile giornata
furono un grande e singolare benefizio dalla Divina Provvidenza compartito a questa
Repubblica,
decreta:
I. La prima Domenica di luglio di ciascun anno sarà festeggiata come Solennità Nazionale Religiosa del Cantone Ticino.
II. Una tal festa sarà celebrata in tutte le Chiese Parocchiali del Cantone mediante l’esposizione del SS. Sacramento. Dopo la Messa solenne sarà cantato l’Inno
Ambrosiano.
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
III. La festa sarà annunciata nella sera precedente col suono delle campane.
IV. Vi interverranno tutte le autorità ed i Funzionari pubblici.
V. Il Parroco, o per esso altri Sacerdoti, esporrà al Popolo con analogo discorso i motivi e l’importanza di una tale Solennità.
VI. La presente Legge sarà stampata, pubblicata, affissa ai luoghi soliti ed
eseguita.
Lugano, 7 Giugno 1831
Bullettino officiale della Repubblica e Cantone del Ticino, vol. XIV, 1832, p. 148-149
2.2.
Una gara di tiro al bersaglio
Durante tutto l’Ottocento, le feste federali di tiro, di ginnastica e di canto
e musica furono considerate come manifestazioni di passione nazionale e adesione ai
principi di libertà e democrazia, più che dei passatempi veri e propri. Il primo tiro federale si svolse ad Aarau nel 1824 e il Ticino lo organizzò per la prima volta nel 1883 a
Lugano, in concomitanza con la prima esposizione nazionale di Zurigo e nell’anno immediatamente successivo all’apertura della galleria del San Gottardo. Già in precedenza erano stati organizzati in Ticino numerosi tiri al bersaglio, specialmente dopo la fondazione della Società dei Carabinieri Ticinesi (avvenuta nel 1832), espressione del
radicalismo politico. Come risulta dall’articolo relativo al tiro di Lugano del 1842, queste gare si trasformavano in vere e proprie feste civiche, con banchetti, brindisi e discorsi che esaltavano il sentimento patriottico e inneggiavano ai valori del liberalismo e
della democrazia. Le celebrazioni storiche, con i cortei e le recite in costume che di solito facevano da cornice, come pure le feste e i raduni patriottici organizzati dalle società civiche, costituivano dei veri e propri riti, atti a favorire, con i loro miti e simboli federali, lo sviluppo di una coscienza nazionale.
Fra i tanti bei discorsi che si sono pronunciati in questa solenne occasione, ne gode l’animo nell’annunziare il plauso ch’ebbe a riscuotere il nostro concittadino avvocato Jauch Giovanni parlando pei ticinesi; e meglio d’ogni lode valga il trascrivere qui la sua allocuzione di cui i nostri Confederati vollero la stampa:
Confederati!
Bello, grandioso, imponente, straordinario spettacolo è questo: veder migliaia di Carabinieri dalle lontane non meno che vicine parti della Confederazione qui
accorsi ad esercitarsi nel maneggio dell’arma essenzialmente svizzera: vederli tutti portar sulla fronte il nobile orgoglio del libero cittadino, e gli uni agli altri sconosciuti pur
tutti ravvisarsi al sentimento del patrio amore, che traspira a ciascheduno dal volto. E
questa sacra tribuna, e i canti patriotici, e quel fremito d’acclamazioni, che scoppia alle
voci di Libertà e di Patria, tutto ciò forma al cuore ed alla immaginazione del Patriota
una catena di soavi idee, un incanto.
Ignominia, eterna ignominia a colui al quale non trepida il cuore di gioia,
non cadono le lagrime, la fantasia non si turba piacevolmente al respirare questa celestiale atmosfera. A lui natura negò il più bello, ed il più grande degli affetti, che è l’amore di Patria: quest’uomo indifferente e gelato, seppur vi sia, è da meno d’un bruto.
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
221
Genio onnipossente della libertà, deh tu m’inspira due sole parole, che
sian degne della generosa e varia adunanza che m’ascolta, parole, che sien degne di
questa festa divina.
Io vedo, o Carabinieri, che tutti scambievolmente vi porgete la mano di
fratelli: odo le vostre parole, e tutte hanno un medesimo suono di patria: come uguale
è l’arma di cui vi valete, così uguali sono i sentimenti d’ognuno: il cuore dell’uno si
traffonde nel cuore dell’altro, come le diverse bandiere là collocate s’intrecciano, e si
abbracciano carezzevolmente fra loro. All’aspetto di questa universale e veramente fraterna concordia, l’anima mia s’imparadisa, e mi sento forzato ad esclamar vivamente:
Non è vero, che la nostra patria comune sia lacerata da intestine discordie. Chi l’accusa
di questo è l’invidioso straniero. – Venga egli sotto questa sacra volta, e ci vedrà tutti
affratellati in un sol sentimento, l’amor della Patria, l’amor della libertà, l’amor del sociale progresso. Né noi siamo qui pochi, né d’un’età sola, né d’un sol grado, ma infiniti noi siamo, ed ogni Cantone, ogni età, ogni grado ha qui mandato il suo contingente.
Ah, noi siamo i veri rappresentanti dell’Elvezia. – Sì, ve lo dico, meglio che qualunque
altra convocazione, noi rappresentiamo la Svizzera intiera.
Io non ho tardato sin’ora a convincermi, che lo spirito del Carabiniere è
spirito di liberalismo e concordia. Co’ miei occhi stessi lo vidi. – Or fa un anno, la libertà del Canton Ticino era assalita37. I Carabinieri accorsero tutti. Marciammo, combattemmo al grido di viva la patria. Né accader poteva altrimenti: il Carabiniere non stringe
a vano esercizio la Carabina in sua destra, né serve ad idee stagnanti, o di retrogrado
corso: egli è, per sua natura, l’amico sviscerato e fedele della libertà, è la vanguardia
del progresso, è l’uom della Patria.
Il Repubblicano della Svizzera italiana, 29 luglio 1842
2.3.
La festa federale di ginnastica a Lugano
Nell’agosto del 1894 si tenne a Lugano la festa federale di ginnastica, la
prima in Ticino dopo la sua istituzione nel 1832. Anche in questa occasione non mancò
lo sfoggio di retorica patriottica e democratica. Discorsi, opuscoli e articoli di giornale
sottolinearono l’importanza di un’attività che, combinando sapientemente sforzo fisico
e disciplina, contribuiva alla formazione del cittadino. Inevitabili risultarono quindi i riferimenti ai protagonisti, reali o leggendari, della storia greca e svizzera, autentici difensori della patria contro il nemico esterno e dei valori repubblicani e democratici.
La cerimonia di presentazione della bandiera federale fu semplice e grandiosa. Davanti ai ginnasti schierati sul campo, la sezione ginevrina cantò un coro Les
vieux suisses (di F. Chavannes); indi il signor Baud, presidente del Comitato d’Organizzazione della festa di Ginevra, presentò le bandiere federali con un breve e bellissimo discorso. Ne diamo una pallida traduzione:
37. Si riferisce al tentativo controrivoluzionario del 1841, prontamente represso con le armi
dai Carabinieri e conclusosi con la condanna a morte dell’avvocato locarnese Giuseppe
Nessi.
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
«Signori del Comitato d’Organizzazione, Amici ginnasti,
Col fervido slancio dei ginnasti vostri fratelli, noi vi apportiamo la bandiera federale. Essa sventolerà con orgoglio in questo paese, che attira e trattiene quanti
amano le bellezze della natura, quelle bellezze che Dio ha profuso alla nostra cara patria. È la seconda volta ch’essa viene nel Ticino, ed anche questa seconda volta essa vi
viene presentata, o amici ticinesi, da mani ginevrine. Molti che assistettero a quella prima festa, oggi non sono più: ma quali e quanti progressi ha fatto nel frattempo la ginnastica, come le son cresciute intorno le simpatie, quanto grande si è fatta la sua potenza!
Se la ginnastica ha potuto compiere un cammino così trionfale, egli è
ch’essa contiene un’intrinseca virtù: essa c’insegna ad amare la patria, – ad esser forti
non di una forza brutale ma virile, – essa sviluppa lo spirito di fratellanza, la franchezza.
Fedeltà, Forza, Franchezza, Fratellanza, – tale è la divisa dei ginnasti
svizzeri: oh possano questi sentimenti crescer sempre più nel Ticino, all’ombra di questa bandiera federale della festa di Lugano!
Io ve la consegno con piacere, o amici di Lugano; essa sventolerà con orgoglio in questo incantevole giardino della patria elvetica.»
Gli rispose il sig. avv. Francesco Azzi, presidente del Comitato d’Organizzazione, col discorso seguente:
«Concittadini del Comitato di Ginevra, Ginnasti,
Le Feste svizzere sono sempre l’espressione della patria e della libertà.
Lo Svizzero adora i suoi monti, i suoi campi, la terra ove nacque, la tomba ove dormono gli avi, e l’amor della patria lo rende capace delle più forti abnegazioni, dei sacrifici
più grandi.
Signori! or son due anni si costituivano in Lugano i Comitati per preparare la Festa Federale ginnastica alla madre Svizzera. L’amore della patria faceva tacere
qualsiasi discussione politica in essi, faceva di Lugano una città di fratelli. Il Ticino doveva dare l’esempio alla Confederazione svizzera che anche su questa plaga della patria battevano cuori di patrioti, cuori di giovani che alle idee della repubblica educano
la intelligenza e il cuore. Ecco ora la prova che il Ticino ha fede inconcussa, devozione
profonda, spirito di sagrificio. Lugano, ascoltando la voce dei suoi patriottici affetti, ha
reso possibile questa Festa, ha reso possibile il fausto avvento di questa bandiera che è
simbolo di libertà, sotto la quale i ginnasti d’oggi sarebbero pronti a ritornare i Winkelried e gli Stanga della storia nostra38. La scuola della ginnastica non è scuola di invidia come avveniva in Grecia. Le Olimpiadi non furono i migliori esercizi patri; esse
segnavano la pace di pochi giorni fra le città elleniche. Nessuno, né Leonida, né Milziade, cadeva gridando: Viva la Grecia; essi cadevano salutando una città, Sparta, Tebe
o Atene. Ma il concetto della libertà, della fraternità non esisteva.
È la ginnastica svizzera che insegnò a legare le giovani generazioni ed
oggi noi abbiamo legioni di ginnasti che sono legioni di patriotti. Ecco perché qui oggi
sono accorsi inglesi, austriaci, italiani, americani del Nord – perché le feste nostre sono
feste di libertà e scuola di patriottismo.
Ecco la bandiera che giunge dalle rive del Rodano, accompagnata dalla
brillante legione dei ginevrini, accompagnata da 4 mila ginnasti; ecco la bandiera che
38. La celebrazione delle virtù militari degli antichi Confederati offre all’oratore la possibilità di ricordare agli ospiti la figura del capitano Carlo Francesco Stanga di Giornico.
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
223
78. Cartolina commemorativa della festa organizzata per l’inaugurazione della nuova palestra locarnese.
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
giunge a Lugano esaudendo un desiderio che otto anni or sono sembrava un sogno. Bandiera, che sei l’emblema della Patria, sventola sulla nostra città, sventola sui monti e
sui piani ticinesi, apporta anche a noi tanta potenza da rivaleggiare coi confederati, apporta tutto il carattere, tutte le virtù che deve avere il cittadino repubblicano.
Con questi sentimenti, o ginnasti da qualunque plaga convenuti, ginnasti svizzeri ed esteri, vi do il benvenuto; e dichiaro aperta la Festa federale ginnastica
del 1894 al grido di: Viva la Svizzera, vivano i ginnasti».
Ambedue questi discorsi furono vivamente applauditi. Poi le file si sciolsero, accompagnati dai monitori e dai quartiermastri, si recarono ai rispettivi alloggi.
Corriere del Ticino, 6 agosto 1894
2.4.
La Repubblica e Cantone del Ticino compie cento anni
Per le «Feste centenarie ticinesi» del 1903, le celebrazioni durarono parecchi mesi. Il 20 maggio ebbe luogo in Gran Consiglio la commemorazione ufficiale
della nascita del Cantone. Dal 6 al 13 settembre a Bellinzona si tennero esposizioni e
feste popolari. Il 10 settembre, giornata ufficiale della celebrazione, venne inaugurato
il monumento dell’indipendenza e l’obelisco; un corteo allegorico di carri sfilò attraverso la città e i partecipanti poterono visitare un’esposizione di agricoltura. La ricorrenza venne celebrata anche nei comuni e fu l’occasione per la messa in cantiere di
opere pubbliche, come la sistemazione di alcuni tratti della strada della Verzasca, necessaria per permettere il trasporto dell’obelisco dalle cave della valle verso la capitale. Le autorità comunali dovettero pure organizzare intrattenimenti di carattere educativo per i propri concittadini, mentre gli allievi delle scuole comunali avevano già
beneficiato in precedenza di una giornata di vacanza.
Il Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone del Ticino
Alle lodevoli Municipalità del Cantone.
In esecuzione del decreto legislativo 13 andante che dichiara giorno di
Festa Nazionale il 20 maggio 1903, ed incarica il Consiglio di Stato di provvedere a che
il fausto giorno in cui, cento anni or sono, si è costituito il primo Gran Consiglio della
Repubblica Ticinese, venga solennemente commemorato in tutti i Comuni del Cantone
– vi invitiamo a dare gli ordini opportuni, affinché, – giusta l’annesso programma, – le
campane del vostro Comune suonino a festa dalle ore 8.30 alle 8.45 pom. del 19 e dalle
10 alle 10.15 ant. del giorno 20 andante. Che se poi, potrete di vostra iniziativa ottenere
che vi si aggiungano anche altre manifestazioni di patriottica letizia, come, imbandieramento delle case, luminarie e fuochi di gioia, ve ne saremo d’altrettanto più grati.
Nella speranza, che metterete ogni cura per soddisfare a questo doveroso atto di riconoscenza verso i patrioti che aprirono la via alle nostre libertà e democratiche franchigie, vi porgiamo i sensi della nostra distinta stima.
Bellinzona, 14 maggio 1903
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
225
Programma della festa nazionale del 20 maggio 1903.
Alla vigilia (giorno 19) alle 81/2 pom.
Suono delle campane per un quarto d’ora consecutivo in tutti i Comuni
del Cantone
Ordine del giorno per il 20 maggio.
Ore 6 ant. - Al Capoluogo Diana.
Ore 9 ant. - In tutte le Scuole del Cantone, commemorazione della Costituzione del Primo Gran Consiglio ticinese in Bellinzona il 20 maggio 1903, per cura
dei rispettivi docenti; dopo di che viene accordata vacanza alla scolaresca.
Ore 10 ant. - Riunione del Gran Consiglio e del Consiglio di Stato nell’Aula Legislativa. – Appello nominale.
Suono delle campane in tutti i Comuni del Cantone come alla vigilia, a
Bellinzona al suono delle campane si associa il rombo del cannone.
La musica cittadina e le Società Patriottiche si radunano nel giardino sottostante e nei vestiboli del Palazzo.
Le bandiere delle Società prendono posto nelle tribune
I rappresentanti delle Magistrature, dei Municipi e gli invitati, ai lati del
Bureau.
Distribuzione delle medaglie commemorative ai Deputati del Gran Consiglio e Consiglieri di Stato.
Discorso inaugurale e commemorazione storica del Presidente del Gran
Consiglio.
Presentazione del Busto di Vincenzo D’Alberti primo Presidente del Piccolo Consiglio nel 1803 da parte della cittadinanza Olivonese che ne fa dono allo Stato.
Discorso del Presidente del Consiglio di Stato.
Corteggio, inaugurazione della lapide commemorativa alla prima Residenza dei Consigli della Repubblica.
Discorso del Direttore della Pubblica Educazione.
Ore 121/2 merid. - Banchetto
Ore 8 pomerid. - Concerto popolare.
Foglio officiale del Cantone Ticino, 15 maggio 1903, p. 63-64
2.5.
Il Ticino e l’Italia
Nel corso dell’Ottocento appare la duplice natura del sentimento patrio
dei Ticinesi: da un lato l’attaccamento alla Confederazione svizzera, dall’altra i legami,
di natura culturale ed economica con la Lombardia. L’élite radicale ticinese poteva
tranquillamente rivendicare l’attaccamento alla patria svizzera e sostenere la causa risorgimentale italiana; l’irredentismo italiano e soprattutto l’affermazione del fascismo
resero conflittuale questo rapporto. Dal 1912 al 1935, L’Adula, fondato e redatto da Teresa Bontempi (1883-1968) e da Rosetta Colombi, difese l’italianità delle terre ticinesi
contro l’invadenza economica e culturale degli svizzero-tedeschi e contro le tendenze accentratrici della Confederazione. Con le sue pubblicazioni si attirò, sin dall’inizio, l’accusa di irredentismo. Dopo la prima guerra mondiale, con l’adesione al fascismo della
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
79. Disegno del corteo storico-allegorico sfilato per le strade di Bellinzona nel 1903, in occasione del primo centenario dell’indipendenza cantonale. Particolare con musicanti in
costume, personaggi celebri e carro con i 22 Cantoni e Elvezia.
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
227
Colombi (moglie del gerarca Piero Parini), si accentuò la tendenza filoitalica, che portò
alla chiusura del giornale, decretata dal Consiglio federale nel 1935. Il testo seguente è
tolto da un articolo del linguista Carlo Salvioni (1858-1920), contrario all’istituzione di
un’università ticinese, necessità sostenuta invece dal letterato italiano Giuseppe Prezzolini. Nella sua replica a Prezzolini, Salvioni insisteva invece sulla necessità di rafforzare i legami con le università italiane per difendere l’italianità del Cantone.
Chi dovrebbe istituire la nuova università? Ne’ giornali ticinesi, vedo invocata la Confederazione. Con poca saggezza, a veder mio. La costituzione federale
svizzera non dà adito a un simile intervento. Essa prevede sì la possibilità di una università elvetica; ma nessun ticinese certamente s’illude che questa possa avere la sua
sede di qua dall’Alpi. Quando verrà, – s’è destino che venga, – essa non potrà essere
se non la trasformazione in federale d’una delle maggiori tra le università cantonali già
esistenti, e avrà carattere bilingue, sarà francese e tedesca, con prevalenza dell’uno o
dell’altro idioma, a seconda che la sua sede si fissi a Ginevra da una parte, a Berna, Zurigo o Basilea dall’altra. Quanto all’italiano, il politecnico federale di Zurigo è lì per
dirci con ogni sicurezza ch’esso vi sarà poco men che ignoto.
Escluso così che la Confederazione possa o voglia mai fondare un’università nel Ticino, ci si può chiedere se almeno sia lecito aspettarsi da essa un soccorso
finanziario tanto valido che, ammassato col denaro eventualmente fornito dal cantone,
riesca a dar vita non ad una università compiuta, ma a un corso, a un paio di facoltà, le
meno costose: quella di diritto, e quella di lettere e filosofia. Sarebbe anche questa una
grande illusione. La Confederazione ha l’autorità, è vero, di sussidiare e in effetto sussidia opere di pubblica cultura, che anche promuove; viene in aiuto a scuole professionali, all’insegnamento elementare. Ma non mi consta che a nessun titolo sovvenga alcuna
delle esistenti università cantonali. Essa se ne astiene anzi studiosamente un po’ per non
suscitare rivalità, un po’ e soprattutto per non compromettere il principio e la forza della
futura università federale. Ben si potrebbero invocare, nel caso del Ticino, le condizioni
eccezionali di questo cantone, povero e l’unico di lingua italiana; ma, a tacere anche
che la invocazione non sarebbe dignitosa, che sentirebbe l’accattonaggio, sarebbe pur
allora impossibile che la Confederazione, anche se sensibile a tali ragioni, praticamente
s’arrendesse; non fosse altro per incoraggiare l’assalto che, dimentiche di quelle particolari circostanze del Ticino o accampando esse pure delle condizioni per altra via singolari, darebbero al bilancio federale le già esistenti università cantonali.
Quando il Ticino proprio volesse una propria università, non potrebbe
dunque contare che sulle forze sue. E queste non sono certo tali da consentirgli la istituzione nemmeno di quelle due facoltà che, come s’è detto, potrebbero sole esser prese
in ragionevole considerazione; riuscendo intuitivo che la pura spesa d’impianto delle
facoltà di medicina e di scienze trascenderebbe di gran lunga la efficienza economica
d’un paese che vede striminzito il proprio bilancio soprattutto per il peso soverchio con
cui su di esso gravano la istruzione elementare e la media. […]
Stabilita in tal modo la impossibilità economica dell’impresa, può parer
superfluo e accademico l’insistere sulle ragioni di altro ordine che si possono accampare, e si sono accampate, in favore o contro di essa. Ma pur mi sia permesso dirne una,
non ancora messa fuori da altri, e ch’è di grande portata in ordine soprattutto all’idea
che informa tutta la discussione: quella cioè che l’università ticinese sarebbe come il
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
fulcro e la salvaguardia della italianità intellettuale del paese. Orbene, la esperienza che
credo avere delle cose scolastiche del Ticino (dove ho visto tedeschi insegnar l’italiano
ne’ ginnasi, tedeschi insegnar latino e greco nel liceo), la nota invadenza dei tedeschi,
ai quali spiana la via l’ammirazione e accondiscendenza supina che verso di essi sogliono avere le sfere dirigenti del Ticino, tutto ciò mi fa temere che l’Università ticinese riuscirebbe anzi che a un focolare d’italianità, a un nuovo e più forte veicolo del germanesimo, e che lo stesso titolare della cattedra di Letteratura italiana finirebbe presto o
tardi coll’essere un tedesco. In tali condizioni, io riterrei più consono alle contingenze
reali, riterrei che la questione della difesa della italianità intellettuale del Ticino sarebbe
impostata in modo più pratico, ove si mirasse per intanto ad ottenere:
1. che la Confederazione riconosca valida la laurea in medicina ottenuta dai
ticinesi nelle università italiane. […]
2. che non si ammettano nelle scuole medie se non insegnanti forniti di una
laurea universitaria italiana.
3. che si esiga, per l’abilitazione all’esercizio dell’avvocatura e del notariato, la licenza liceale di Lugano o di un liceo di lingua italiana.
4. che in quelle cariche pubbliche, per le quali sono richiesti una laurea o
un diploma ad essa corrispondente, sia data la preferenza, caeteris paribus, al candidato che quel documento abbia ottenuto in un istituto italiano.
5. che si istituiscano delle borse di studio, coll’obbligo di studiare in una
università italiana, a favore di quelli tra i ticinesi che intendon dedicarsi alle discipline
storico-letterarie e filosofiche, o alla matematica e alle scienze fisico-naturali e che, naturalmente, s’impegnino, una volta laureati, ad insegnare per alcun tempo nelle scuole
del cantone.
Queste proposte muovono dal concetto che ogni vera e seria coltura s’assomma e s’impernia nel sicuro possesso della lingua materna; che a raggiunger questo
possesso deve tendere ogni sforzo della scuola; che ogni materia, sia essa letteraria o
scientifica, deve esservi ammannita in chiara e corretta lingua, di modo che ogni insegnante sia come il collaboratore naturale del docente d’italiano; che anche le lingue forestiere (che son tanta parte de’ programmi scolastici ticinesi) non s’edifican bene nell’intelletto se non sul solido fondamento della lingua propria.
L’Adula, 26 settembre 1912
2.6.
Timori per l’intedeschimento del Ticino
Per buona parte dell’Ottocento, gli stranieri residenti nel Cantone Ticino
provenivano dagli Stati italiani: si trattava per lo più di braccianti e operai; non mancavano però insegnanti e liberi professionisti, molti dei quali in esilio a causa delle loro
convinzioni politiche. Con la costruzione delle prime ferrovie e in particolar modo dopo
l’apertura della galleria del San Gottardo, si stabilirono in Ticino numerosi germanofoni, impiegati dalle società ferroviarie o nelle attività legate al turismo. L’esistenza di
scuole di lingua tedesca per i loro figli suscitò le proteste di coloro che temevano per
l’italianità del Cantone. Brenno Bertoni (1860-1945), avvocato liberale radicale, attivamente impegnato in politica e professore di diritto all’Università di Berna, difese l’i-
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
229
talianità del Ticino ma si convertì poi all’elvetismo nell’epoca del fascismo. In questo
articolo si pronunciò contro il rischio che presentava per l’identità ticinese l’arrivo di
svizzero-tedeschi dotati di mezzi finanziari e membri di una comunità dominante nell’ambito della Confederazione.
L’uomo del nord viene verso il sud in cerca del sole. Presumere di fermarlo è pressappoco come impedire l’acqua di andare in giù e il fumo di andare in sù.
Lo sviluppo ferroviario ha dato la grande spinta: l’abbassamento delle tariffe, il telegrafo, il telefono, l’acqua potabile, le buone scuole, tutte le istituzioni del progresso non
faranno che accelerare «lo fatale andare». Se dopo la guerra si confermasse la tensione
dei rapporti fra la Germania e l’Italia, tutti coloro che andavano a cercare il sole laggiù
si fermeranno qui da noi. […]
L’accaparramento dei terreni a scopo industriale, non potrà anch’esso che
aggravarsi con la supposta guerra economica del futuro. Se il tedesco non potrà avere
i maccheroni di Napoli li comanderà… ai pastai italiani del Ticino, che si sforzeranno
di servire il cliente colla massima premura.
L’acquisto di aziende agricole è anche prevedibile, data la disistima tutta… spagnuola in cui noi teniamo l’agricoltura; e stiamo pur certi che il contadino tedesco non conoscerà l’umiltà del nostro povero picch39. […]
Un po’ più di confederati propietari di ville nei nostri distretti non costituiscono una minaccia per la nostra vita morale. Qualche industria di più, qualche buona
azienda agricola, purché riesca, non farà piangere nessuno dei nostri figli anche se il
proprietario si chiami Schmid o Weber. La fratellanza è fin qui un dovere della nostra
costituzione politica.
Un motivo di allarmarsi esiste solo a riguardo di quegli stranieri, o di quei
confederati imbevuti di idee straniere, che introducono delle idee e dei costumi a noi
inaccettabili: la superiorità della loro razza, la missione della loro stirpe, l’invadenza,
l’appartarsi e il costituirsi di piccole camorre, l’assumere un’aria di protezione insolente, ecc. ecc.
Che fare a questo riguardo?
Chiudere le frontiere non è da pensarci. Reagire nel senso di rendere agli
indesiderabili indesiderabile il soggiorno ticinese è cosa possibile, ma estremamente
difficile e delicata. Essa esige anzitutto la più rigorosa distinzione fra svizzeri e stranieri, poi rischia di far fiasco, rendere loro più uniti e noi più disuniti, perché molti sono
gli interessati a vendere od affittare.
In conclusione, lottare contro l’immigrazione di capitali e di capitalisti è
impresa da dovervi rinunciare, tanto è ardua. Il meglio sarà dunque accettare l’inevitabile e il concentrare la lotta nel dominio dello spirito.
A questa lotta due fattori sono essenziali.
Anzitutto rimanere nella cerchia dei sentimenti svizzeri. La coesistenza
di diversi elementi etnici in una sola società democratica è una idea svizzera, una tradizione ed una necessità svizzere. Uscire da questo terreno sicuro per porsi in quello del
nazionalismo razzaiuolo sarebbe fare il giuoco dell’avversario e condannarsi all’insuccesso. I pangermanisti non domandano di meglio che di portare la contesa sul terreno
39. Contadino; poveraccio, disgraziato.
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
del naturalismo materialista del quale sono gli inventori. È la legge della prevalenza del
più forte di cui si sono fatti un dogma politico. Raccomandarsi ad influenze italiane,
sieno pure d’ordine meramente letterario, sarebbe il peggiore degli spropositi; sarebbe
cioè fare il giuoco dei germanofili e degli unitaristi d’oltr’alpi, mettendo in sospetto i
ticinesi. Anche sotto questo riguardo adunque bisogna stare sul terreno nostro.
Sulterreno deltradizionalismosvizzerocoltiviamo poscialanostra educazione latina ed italiana, quello che è la nostra italianità. Solo con l’elevare il grado della
nostra coltura, della nostra civiltà resisteremo alla forza penetrativa della famosa Kultur.
In questo scopo finale potrò cader d’accordo non solo col Colombi,ma anche conl’Adula.
Dicesi che i due Borromei, St. Carlo e Federico, si adoperassero ad elevare il grado d’istruzione del clero e del popolo svizzero e particolarmente ticinese, per far
argine alla riforma minacciante a traverso le brecce alpine. Raccomando lo stesso sistema. Il problema della nostra resistenza alla invasione etnica dipende dalle nostre scuole
e dal nostro desiderio di sapere. Il sig. Colombi ha fatto la statistica «desolante» degli acquisti immobiliari fatti dai «teutoni» a Lugano. Faccia la statistica delle ore di cultura generale che si professano a Lugano, delle Signore, dei docenti e dei giovanetti che le frequentano e ne sarà riconfortato. È un movimento, un crescendo che nessuno avrebbe
supposto pochi anni or sono. Si estenda questa lotta salutare in tutti i nostri centri minori
e non saranno più i pochi invasori che conquisteranno noi, ma noi a conquistarli.
Il Dovere, 27 aprile 1918
2.7.
Contro le tentazioni irredentistiche in Ticino
Le tentazioni irredentistiche avevano ormai contagiato le redattrici dell’Adula. Con l’avvento del fascismo e la sua aggressiva politica estera, anche la difesa
ad oltranza dell’italianità ad opera del poeta Francesco Chiesa (1871-1973), nume tutelare della vita culturale cantonale, appariva alquanto pericolosa. Non mancarono quindi le reazioni da parte di intellettuali ticinesi che manifestarono il loro attaccamento alla
patria elvetica. Arminio Janner (1886-1949), insegnante al ginnasio e alla scuola magistrale, fu professore di letteratura italiana all’Università di Basilea. A partire dagli anni
Venti si occupò dei rapporti culturali e politici fra Ticino, Italia e Svizzera, difendendo
strenuamente la linea filoelvetica, contro le tendenze italofile. Nel 1925, la prestigiosa
rivista culturale zurighese Wissen und Leben dedicò un numero speciale al Ticino, pubblicando anche un articolo di Janner: che cosa significa essere svizzero per un ticinese.
E sulla maggiore o minore importanza che per le tre stirpi ha l’elemento
ideale, o, in altre parole, l’obbligo morale del convivere, vogliamo ora soffermarci ancora un poco, poiché essa ci conduce a distinguere svizzeri di tradizione, che non hanno
bisogno, per restar svizzeri, d’idealismo politico, e svizzeri d’elezione, che sono, e restano svizzeri, appunto per questo idealismo. Non inorridiscano i semplicisti dell’amor
patrio, i quali credono che l’amore per la Svizzera non possa essere che uno solo, unico
ed eguale in tutti, come avviene dell’amor patrio di ogni altro paese. Gli svizzeri tedeschi sono svizzeri di tradizione, il che vuol dire svizzeri per una realtà affettiva interna.
Così pure, nella loro grande maggioranza, gli svizzeri francesi, sebbene per loro esista
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
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pure l’elemento volitivo politico e morale. Essi, svizzeri tedeschi e svizzeri francesi,
sono in fondo la vera Svizzera, poiché hanno radici nel suolo, e radici nella storia, e
non solo convergenze ideali. Essi hanno, nei secoli scorsi creato la Svizzera secondo i
loro bisogni e le loro concezioni di libertà, essi l’hanno fatta grande e stimata, per lei
hanno combattuto e vinto. Tutte le tappe dell’antica storia svizzera sono vive nell’anima
popolare, tutte le battaglie combattute sono ancora presenti col nome di città e di villaggi conosciuti, ancor oggi abitati, e dove si fanno annualmente sagre commemorative;
molti canti patriottici sono ancora quelli dell’epoca gloriosa, tramandati da padre in figlio; la stessa libertà pare un retaggio sacro degli antenati che per lei pugnarono e morirono. Tutto ciò crea negli animi una idea viva, quasi corporale della patria; un idea che
domina, in certi istanti, tutti i sentimenti tutte le riflessioni tutte le azioni.
Non così nel Ticino. Per noi ticinesi la patria svizzera non è una realtà
sentimentale, ma una realtà intellettuale e morale, e non potrebbe essere altrimenti. Non
c’è storia in comune fra ticinesi e confederati, se non cento anni di pacifica convivenza
politica. La quale ha sì potuto creare una «mentalità politica» comune, ma non una «storia» comune. Il tempo dei landvogti non conta, poiché esso non servì certo molto ad
avvicinare i ticinesi ai loro padroni. I ticinesi non combatterono, non soffrirono, non si
esaltarono mai in una piena comunione d’odio e d’amore cogli altri svizzeri. La storia
del Ticino fino a cento anni fa, è la storia di un angolo di terra lombarda, inserita per
contingenze storiche, in uno stato tutto diverso. I confini stessi mostrano il risultato dell’arbitrio diplomatico: se è italiano Como, dovrebbe esserlo anche Lugano, ché non c’è
soluzione di continuità né per la lingua né per la religione, né per tradizioni culturali e
per abitudini di vita. Del resto come diventò svizzero il Ticino, avrebbero potuto diventare svizzera anche l’Ossola e la Valtellina, già in mano ai confederati e poi riperdute o
ricedute. La più nobile attività dei ticinesi, l’attività artistica, è tutta entro le tradizioni
italiane, e i nostri maestri sono tipici artisti italiani. È quindi impossibile che un ticinese sia proprio «svizzero» come un bernese o un lucernese: egli si è unito e resta unito
a quelli per una volontà politica e morale, pur essendo, nella tradizione, del tutto diverso. Sarà lui pure uno svizzero sincero e leale, poiché vuol rimaner fedele alla parola
data, ma non sentirà mai eccessivamente l’elemento sentimentale della patria svizzera,
non si entusiasmerà mai troppo per canti e per cortei.
Tale modo d’essere svizzeri – e cioè svizzeri d’elezione – porta però con
sé, naturalmente, dei pericoli. Se un ticinese non può alzarsi fino alla concezione d’un
patriottismo puramente ideale e morale,egli è perduto per la Svizzera. Chi crede solo nella propria razza e nella propria coltura, chi non crede in una possibile fraternità di popoli diversi entro un unico stato,non potrà mai capire perché il Ticino debba essere svizzero.
Il pericolo dunque pel Ticino, ora che l’Italia è grande e forte, e che può
fare una propaganda nazionalista ardente ed attiva, è che i giovani ticinesi perdano a
poco a poco il senso dell’ideale elvetico, e si lascino attrarre entro le spire di un sentimento nazionale italiano, per il loro entusiasmo giovanile meno lontano, meno astratto,
più afferrabile. La possibilità di un qualche focolaio irredentista esiste già ora nel Ticino, e se non si pensa ai ripari sarà ancora maggiore nell’avvenire. E ciò non tanto per
possibili errori politici da parte svizzera quanto per l’inevitabile forza suggestiva che
sulle giovani menti esercita l’unità linguistica, culturale e nazionale dell’Italia.
Wissen und Leben, 1925, p. 20-22
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
2.8.
La radio e la Svizzera italiana
La radio in Ticino nacque come Ente autonomo per la radiodiffusione
nella Svizzera italiana (EIARSI), trasformatosi poi in Cooperativa per la radiodiffusione nella Svizzera italiana (CORSI) nel 1938. Le trasmissioni iniziarono il 22 maggio
1932 per 400 abbonati, il 60% dei quali tedescofoni. Inizialmente poco diffusa e osteggiata dai tradizionalisti, soprattutto durante la guerra la radio divenne subito un mezzo
di comunicazione di massa. Concepita come strumento educativo e d’informazione ma
anche di intrattenimento, la radio era in grado di raggiungere gran parte della popolazione. Con una distribuzione mirata di apparecchi riceventi nelle scuole e nelle regioni
di montagna, essa contribuì alla modernizzazione delle campagne e alla diffusione del
sentimento di appartenenza alla nazione svizzera, in un momento in cui la difesa spirituale del paese si imponeva come scelta politica di importanza vitale. Il discorso di Guglielmo Canevascini, presidente del Consiglio di Stato, si riferisce alla nuova sede della
radio, inaugurata il 28-29 ottobre 1933.
La inaugurazione della stazione radiofonica del Ceneri e dello Studio di
Campo Marzio è un avvenimento del più alto interesse per tutta la Svizzera italiana.
Va ricordato che ancora qualche anno fa la radio era poco conosciuta nel Ticino (nel
1929 si contava un apparecchio ogni 117 abitanti, mentre la media Svizzera era di uno
ogni 47 abitanti); era considerata un perditempo o un lusso per i ricchi. E quando il Governo cantonale chiedeva la costruzione di un impianto speciale per la Svizzera italiana,
la rivendicazione non scosse la indifferenza generale, e oltre Gottardo incontrò non pochi ostacoli. Come spesso succede la sua importanza doveva solo più tardi essere riconosciuta.
Si approfittò della riorganizzazione della radiodiffusione svizzera e del
fatto che la Confederazione ne assumeva il monopolio, affidando alle associazioni la
gestione degli studi, sotto il suo controllo, per domandare che il canton Ticino e le valli
italiane del Grigione fossero poste su piede di uguaglianza. Come la Svizzera francese
e la Svizzera tedesca avevano già assicurati i loro nuovi impianti (Sottens e Beromünster) a grande potenza, la Svizzera italiana doveva avere il proprio. Con ciò essa manifestava il desiderio di rendersi indipendente dalle emissioni estere spesso contrarie ai
suoi sentimenti e alle sue idealità politiche; e la volontà di esprimere la vita del suo popolo in armonica collaborazione con i confederati di altre lingue, per l’alta missione sociale e umana a cui oggi più che mai è chiamata la nostra piccola repubblica.
Le discussioni furono assai lunghe nelle commissioni speciali e fuori,
prima che si arrivasse ad una intesa. A noi importa sapere che dalle avare concessioni
iniziali si passò al pieno riconoscimento del nostro diritto. E qui dobbiamo ringraziare
il Dipartimento federale delle comunicazioni, particolarmente la Direzione dei telefoni
e telegrafi, e i dirigenti delle società svizzere di radiodiffusione per la comprensione
dimostrata e per la spontaneità del loro aiuto, appena il problema, quale era da noi posto per la prima volta, ha potuto essere chiarito.
Ottenuta la stazione a spese della Confederazione, rimaneva da ottenere
la lunghezza di onda e rimaneva la creazione dello Studio. È noto che la Svizzera non
aveva che due lunghezze di onda riconosciute dai trattati internazionali. Rivendicata la
terza per la Svizzera italiana, l’ha finalmente ottenuta quest’anno dalla conferenza di
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Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
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80. Copertina del Radioprogramma del 25 febbraio 1933 con il primo tecnico della RSI
Carlo Pestoni.
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
Lucerna, che parzialmente riparava all’insuccesso della precedente conferenza di Madrid. Quanto allo «Studio» si è provveduto mediante l’Ente autonomo per la radiodiffusione nella Svizzera italiana sempre ad iniziativa del Consiglio di Stato che, come si
legge nel suo messaggio, nella radio vedeva un mezzo efficacissimo di coltura e ricreazione e di aiuto alle campagne e alle remote valli.
Da quando lo Studio è aperto, ampio e moderno nel nuovo palazzo di
Campo Marzio, e lavora, sia pure con mezzi ridotti e solo per poche ore al giorno, sorgono attorno l’attenzione e l’interesse del pubblico, si formano gli amici e gli appassionati e la radio si diffonde rapidamente, come alle previsioni. Possiamo essere certi che
quando esso, dal gennaio 1934, funzionerà in pieno, la radio – amica benefica – romperà l’isolamento di ogni villaggio e di ogni famiglia del Ticino e del Grigioni italiano.
Certo che rimane ancora molto da fare e da perfezionare. Ma si arriverà.
Abbiamo la certezza che il canton Ticino assolverà interamente il compito che si è assunto rimpetto alle altre regioni della Svizzera.
Uno stato repubblicano e democratico come il nostro deve avere un concetto chiaro e onesto della radio. La radio non deve essere solo svago e diletto; ma anche
e soprattutto uno strumento di elevazione delle masse. È così che noi la vogliamo; e se
così non fosse, avrebbe ragione quel melanconico giornale luganese che recentemente
ne contestava la necessità e la utilità. La radio deve dare tutte le manifestazioni della
vita ed alla vita essere interamente legata. Essa chiama libertà e nella libertà solamente
può educare ed elevare.
In tanti paesi la radio, mirabile conquista della civiltà, è purtroppo diventata monopolio esclusivo di plutocrazie, di governi, di dittature e strumento di dominio
e di asservimento. Facciamo che da noi così non sia mai, facciamo che la radio sia invece, oggi e sempre, del popolo e per il popolo.
Radioprogramma, 29 ottobre 1933
2.9.
La «difesa spirituale» della Svizzera
Dalla metà degli anni Trenta si affermò in Svizzera un movimento politico
e culturale che perseguiva l’affermazione dei valori nazionali contro il totalitarismo fascista, nazista e, più tardi, comunista. Questo movimento fu definito «difesa spirituale»,
dalla parole impiegate dal suo principale promotore, il Consigliere federale Philipp
Etter (1891-1977). Con il suo messaggio del 9 dicembre 1938, il Consiglio federale diede alla «difesa spirituale» la sua formulazione ufficiale: condanna del razzismo, del nazionalismo etnico e della dittatura; strenua difesa dei valori elvetici; pacifica convivenza di quattro culture, democrazia e federalismo, dignità dell’uomo. La difesa di questi
valori era considerata un dovere sia per i cittadini sia per lo Stato. La lotta contro la propaganda nazista e fascista venne affidata in particolare a una fondazione indipendente
di diritto privato, Pro Helvetia, creata con decreto federale del 5 aprile 1939. Alla sezione Esercito e focolare fu attribuito il compito di svolgere una propaganda discreta fra i
soldati e la popolazione civile per il consolidamento del morale e della volontà di difesa,
indeboliti di fronte ai grandi successi militari della Germania nazista. Dopo la guerra
Pro Helvetia continuò la sua attività ma fu convertita alla promozione della cultura.
2.
Identità nazionale: dal Cantone alla Confederazione
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81. Esposizione nazionale del 1939 a Zurigo: «Diverse le origini, le lingue e le confessioni
eppure una nazione».
IV.
Mentalità, cultura e tempo libero
Lo Stato non ha solo lo scopo di promuovere il benessere materiale dei
cittadini con la legislazione, l’amministrazione della giustizia e con le previdenze sociali, da una parte, e di proteggere, dall’altra, con la difesa nazionale, questo benessere,
contro ogni attacco dall’estero. Una concezione materialistica siffatta che ponesse allo
Stato questo solo compito conterrebbe, in sé, il pericolo di mettere in forse, col lungo
andare, l’esistenza dello Stato stesso, specialmente in tempi di disagio economico, di
lunga crisi e di miseria. Sono invece i principi spirituali che hanno fatto nascere e hanno
organicamente plasmato lo Stato nel corso della sua storia, che ad esso danno vita e vitalità perenne. Lo Stato poggia su una volontà e su uno spirito, comune a tutti i suoi cittadini, su un’idea in cui tutti volontariamente consentono, e che li unisce perciò nei loro
sentimenti e pone in ombra e annulla ciò che può servire a disgiungerli.
Se questa idea è grande e forte, e se è viva nella coscienza popolare, allora il popolo è pronto, in ogni tempo e in ogni pericolo, a sacrificare tutto per il bene
dello Stato e a sopportare le più dure prove del disagio economico. Se il popolo ha coscienza costante della grandezza e della forza spirituale della comunità e dello Stato
che forma, esso sarà al riparo da qualsiasi esterna insidiosa influenza. Di più: questa
idea che è alla base dello Stato e lo plasma, verrà a coincidere con una missione particolare che ad esso la storia assegna nella vita delle Nazioni, missione cui lo Stato ha servito nel passato, adempie nel presente e adempirà nell’avvenire.
Con ciò è definito, nei suoi fini essenziali, il compito della difesa spirituale del nostro Paese. Questo compito consiste nell’inculcare al nostro popolo i principi spirituali che costituiscono le basi della Confederazione, nel far presente ad esso il
carattere particolare del nostro Paese e del nostro Stato; consiste nel fortificare la sua
fede nella forza creatrice del nostro spirito nazionale, nel temprare la sua forza alla resistenza. È necessario, inoltre, che il nostro popolo comprenda, e senta sempre, l’importanza della missione storica della Svizzera e dello spirito svizzero per la vita collettiva
dei popoli europei; e che noi abbiamo, con la propaganda, a ispirare simpatia all’estero
per questa missione della Svizzera. E come il nostro Stato è nato e vive di uno spirito
svizzero e di una cultura svizzera, che hanno dato al nostro Paese i lineamenti politici
e la forma speciale di Stato che esso ha, noi dobbiamo avantutto mobilitare le forze spirituali e intellettuali del nostro Paese per farle servire a una grand’opera di difesa e di
propaganda, questa: mantenere lo spirito svizzero, non solamente con misure negative,
ma con un’azione positiva e creatrice.
Quali sono ora le forze costanti, le linee permanenti che formano il carattere spirituale del nostro Paese e la natura particolare del nostro Stato? Ne indicheremo
tre e ad esse noi attribuiremo importanza essenziale. Sono:
1. L’appartenenza del nostro Paese alle tre grandi culture dell’Occidente e
l’esistenza e la vitalità di queste tre culture nella Svizzera;
2. il vincolo federale e la particolare natura della democrazia svizzera;
3. il rispetto della dignità e della libertà umana.
Foglio Federale, 21 dicembre 1938, p. 796-798
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