Supplemento al n. 258/2011 di Animazione Sociale | € 8 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità I Supplementi di Animazione Sociale si propongono come uno spazio ideale in cui di volta in volta possano trovare ospitalità materiali a tema significativi per i lettori. Tali materiali sono prodotti in maniera autonoma da organismi ed enti appassionati al lavoro sociale ed educativo ed interessati a diffondere rapidamente il frutto del loro lavoro, nell’intento di incrementare la circolazione delle idee e di alimentare il dibattito e il confronto. Pur affrontando tematiche convergenti rispetto ai contenuti sviluppati dalla rivista, i materiali pubblicati nei Supplementi sono da considerarsi a cura degli enti promotori. L’obiettivo? Fare della rete attivata dalla rivista a livello nazionale un luogo di comunicazione e di scambio tra i diversi mondi operanti nell’ambito dell’animazione sociale e culturale. Provincia di Torino Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Gli apprendimenti del Programma Fragili Orizzonti Provincia di Torino Servizio Solidarietà Sociale Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Gli apprendimenti del Programma Fragili Orizzonti Il progetto Fragili Orizzonti è il titolo del «Programma di politiche pubbliche di contrasto alla vulnerabilità sociale e alla povertà», intrapreso dalla Provincia di Torino a partire dal 2005. Il Programma è stato reso possibile dalla partecipazione delle amministrazioni locali, dei consorzi socioassistenziali e delle reti sociali, consentita dalla scelta della Provincia di coinvolgere direttamente gli Uffici di piano locali. IL SEMINARIO A conclusione della fase sperimentale, nel marzo 2011, Banca popolare etica in collaborazione con la Provincia ha organizzato il seminario «Fragili Orizzonti allo specchio» di valutazione complessiva dell’intera esperienza. Nelle pagine seguenti proponiamo alcune analisi presentate in quell’occasione. Le elaborazioni sull’asset building e sul microcredito, possibili grazie ai dati raccolti da Banca popolare etica, sono il frutto della collaborazione tra Nadia Lambiase, Antonella Ferrero, Daniela Alfonzi ed Enrico Chiarle. Il materiale è reperibile su: www.provincia.torino.gov.it - canale politiche sociali Gli autori Daniela Alfonzi - Ufficio programmazione territoriale - Servizio solidarietà sociale della Provincia di Torino - [email protected] • A. Barbara Bisset - Ufficio programmazione territoriale - Servizio solidarietà sociale della Provincia di Torino - [email protected] • Enrico Chiarle - Ufficio sistema informativo - Servizio solidarietà sociale della Provincia di Torino - [email protected] • Giuseppe Costa - Università di Torino - [email protected] • Antonella Ferrero - Ufficio sistema informativo - Servizio solidarietà sociale della Provincia di Torino - [email protected] • Franco Floris - direttore di Animazione Sociale - ffloris@gruppoabele. org • Nadia Lambiase - Ufficio progetti di Banca popolare etica [email protected] • Maurizio Marino - Servizio Epidemiologia ASL To3 Grugliasco - [email protected] • Alessandro Mostaccio - Movimento Consumatori di Torino - [email protected] • Mariagiuseppina Puglisi - Assessore Politiche attive di cittadinanza, diritti sociali e parità della Provincia di Torino - [email protected] Hanno collaborato: Loreta Alimhillaj - Ufficio progetti di Banca popolare etica - [email protected] • Alberto Buracchi - Ufficio sistema informativo - Servizio solidarietà sociale della Provincia di Torino - [email protected] • Antonio Caiazzo - Arpa Piemonte - [email protected] • Natalina Vaschetti Ufficio sistema informativo - Servizio solidarietà sociale della Provincia di Torino - [email protected] Foto: Mirko Isaia (copertina) • Irene Floris (interno) Realizzato in collaborazione con Animazione Sociale Per Informazioni Provincia di Torino - Assessorato Politiche attive di cittadinanza, diritti sociali e parità - Servizio solidarietà sociale - Ufficio programmazione territoriale - Corso G. Lanza 75 - 10131 Torino [email protected] • [email protected] sito: www.provincia.torino.gov.it - canale politiche sociali SUPPLEMENTO AL NUMERO 258/2011 DI ANIMAZIONE SOCIALE Animazione Sociale mensile per gli operatori sociali Corso Trapani 95 - 10141 Torino Direttore responsabile Franco Floris Registrato al Tribunale di Torino il 12.1.1988 nr. 3874 Redazione: tel. 011 3841048 [email protected] Abbonamenti: tel. 011 3841046 fax 011 3841047 [email protected] Stampato presso Stampatre - Torino sommario 4 Introduzione Dare vita a circuiti virtuosi di infrastrutture sociali Mariagiuseppina Puglisi 9 Il percorso di Fragili Orizzonti La posta in gioco nel contrasto alla vulnerabilità Sei anni di sperimentazione di Fragili Orizzonti/1 Daniela Alfonzi, A. Barbara Bisset Ambiti di contrasto alla vulnerabilità Sei anni di sperimentazione di Fragili Orizzonti/2 Daniela Alfonzi, A. Barbara Bisset Da quale eredità ripartire? Sei anni di sperimentazione di Fragili Orizzonti/3 Daniela Alfonzi, A. Barbara Bisset 37 Le partnership in azione L’avvio di nuove forme di welfare civile Appunti sul rapporto tra Provincia di Torino e Banca etica Nadia Lambiase Esperienze di consumo consapevole Autodeterminare i consumi alimentari con i Gruppi di acquisto collettivo Alessandro Mostaccio Esiti della misura del microcredito individuale Appunti di un percorso in otto territori torinesi Enrico Chiarle Esiti della misura dell’asset building Appunti di un percorso in otto territori torinesi Antonella Ferrero Alla ricerca di un modello di valutazione Come valutare gli interventi di microcredito e asset building? Maurizio Marino, Giuseppe Costa 93 Alcuni apprendimenti Le ricadute sociali ed educative della vulnerabilità Alla ricerca di una logica sociale Franco Floris Per fare della vulnerabilità una sfida pubblica Il delinearsi di cinque grandi aree di intervento Franco Floris Pensare l’azione nell’evolversi dei vissuti La partecipazione, risorsa nel contrasto alla vulnerabiltà Franco Floris 4 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Introduzione Dare vita a circuiti virtuosi di infrastrutture sociali Mariagiuseppina Puglisi Precarietà, incertezza, instabilità, vulnerabilità sono caratteristiche costitutive dei viventi ma oggi sono divenute condizioni strutturali della dimensione sociale, dunque non fenomeni confinati all’interno di determinate tipologie o categorie sociali quanto il tratto distintivo della nostra stessa contemporaneità. Costretti a ripensare la nostra collocazione nel mondo Eppure non siamo tutti vulnerabili allo stesso modo e nella medesima misura e, anzi, dobbiamo evitare il rischio di banalizzare le differenze, in termini di disuguaglianze sociali e di genere, di opportunità e capacità, che segnano sia le singole esistenze sia specifici gruppi sociali ed essere attenti a ricostruire ed aggiornare le mappe di una condizione sociale in rapido movimento. Eppure «stare in società», «essere società» dovrebbe avere esattamente la funzione di rendere più sopportabili e affrontabili i disagi e le difficoltà connesse al corso di vita, di ridurre le disparità e «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» La cultura politica che certe scelte economiche sottendono, il cambiamento dei riferimenti valoriali e la scarsità di risorse dedicate convergono verso una progressiva destrutturazione del sistema di welfare che abbiamo fin qui conosciuto, ci impongono un welfare ormai residuale, tipicamente centrato sul singolo, sul «fai da te», che chiede ad ognuno di misurarsi in solitudine con la spendibilità Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Introduzione delle proprie risorse e con l’efficacia delle proprie reti, un welfare che smette di essere tale rievocando piuttosto i codici della carità e della beneficenza. La perdurante crisi economica, inoltre, ha aggravato le situazioni di povertà degli strati di popolazione disagiati e di impoverimento dei ceti tradizionalmente garantiti rendendo sempre più evidenti le insufficienze e i limiti del nostro welfare, scarsamente orientato a sistemi di protezione adeguati ai nuovi fenomeni che – per loro natura – non possono essere compensati esclusivamente a livello locale. Stiamo attraversando una fase al termine della quale molto sarà cambiato, un periodo che ci costringe a ripensare le nostre identità, le aspettative, i desideri, la nostra collocazione nel mondo: come affrontiamo questa sfida, quali risposte sappiamo trovare, quali idealità abbiamo da mettere in campo dicono dell’esito futuro, se siamo destinati a «spiaggiare» come accade a certi mammiferi sconvolti dall’improvvisa inospitalità del loro habitat naturale o se viceversa riusciremo a costruire una società più equa fondata sull’esercizio dei diritti e la partecipazione alla cosa pubblica. Una pista di lavoro che interroga tutte le politiche In ambito sociale, le nuove domande di aiuto accompagnate paradossalmente dalla riduzione delle risorse per le politiche, dalla precarietà delle stesse organizzazioni istituzionali, dall’inadeguatezza del sistema di protezione, ci pongono questioni a cui occorre dare ascolto e risposte che non vanno confinate nella sola dimensione assistenziale-riparativa, ma devono essere in grado di interrogare tutte le politiche. Non possiamo né fermarci né appartarci a progettare, dobbiamo «camminare domandando», ciascuno nel proprio ambito, nella funzione e con la dotazione che possiede, proponendo percorsi, collettivi e partecipati, forti nella proposta ma flessibili negli sviluppi, capaci di auto imparare, di sperimentare e valutare, di fare nel contempo ricerca e azione, accentando l’inadeguatezza ed essendo consapevoli della limitatezza e parzialità del nostro agire soggettivo rispetto al contesto dato. Questi, sono convinta, siano stati il compito e la funzione di questa Provincia che abbiamo affidato, seppur non esclusivamente, al Programma «Fragili Orizzonti» di contrasto alla vulnerabilità e alla povertà: offrire una pista di lavoro per affrontare problematiche dirompenti e relativamente nuove agli «esperti/addetti ai lavori», siano essi operatori sociali, amministratori locali, o gli attori della società responsabile organizzata. L’adesione e la partecipazione generosa e intelligente di quest’insieme di soggetti è stata essenziale ed a ciascuno 5 6 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Introduzione e tutti loro che va la mia personale riconoscenza ed il mio autentico ringraziamento. L’intento è stato duplice: da un lato ampliare la platea dei potenziali fruitori e implementare la dotazione di concreti strumenti di intervento sperimentando possibili innovazioni di prodotto e di processo per rinnovare il legame di fiducia con le istituzioni; dall’altro fare cultura mettendo a valore le competenze analitiche dei territori nella interpretazione dei fenomeni sociali per restituire ai cittadini chiavi di lettura e di comprensione e per offrire loro opportunità di aiuto pro-attive. Elementi di potenzialità di indirizzo e sviluppo In questi anni, dunque, si è dato vita ad un’interessante esperienza laboratoriale che ha messo al lavoro una pluralità di soggetti e che ci permette oggi di avere una visione più realistica e precisa dei mutamenti sociali, delle esigenze che segnano il nostro territorio, di ampliare il repertorio delle azioni di sostegno, di valutare i limiti dell’azione e di disporre di elementi sufficienti per una eventuale nuova fase di progettazione. Nella varietà di esperienze cui le concrete sperimentazioni hanno dato luogo vi sono alcuni aspetti che occorre richiamare per le loro potenzialità di indirizzo e sviluppo. In primo luogo, uno spunto metodologico per lo svolgimento di politiche sociali sempre più chiamate a costruire strategie per fronteggiare problemi non immediatamente riferibili o risolvibili nell’area assistenziale, ma sempre più a rischio di frammentarsi ed esaurirsi in singole e ridotte prestazioni: i Servizi sociali hanno svolto un ruolo centrale e determinante, per la ricchezza del saper fare e del saper essere, per il patrimonio di professionalità, per la ricchezza di strumenti analitici, operativi, relazionali, per la conoscenza del territorio e delle reti sociali, in sostanza per la regia complessiva delle azioni di «Fragili Orizzonti» nel proprio territorio, ma non necessariamente da ciò deve conseguire la gestione diretta e il carico di cura della persona o del nucleo in difficoltà. Piuttosto diviene essenziale la predisposizione di dispositivi organizzativi adeguati alle caratteristiche multidimensionali delle problematiche, a integrare perciò nella pratica professionale le politiche che possono concorrere al benessere della popolazione. La trasversalità nelle politiche, da quelle sociali a quelle per il lavoro, l’abitare, la salute e l’ambiente, è indispensabile per ottimizzare l’impiego di risorse, per intensificare l’efficacia degli interventi, per sperimentare nuove modalità operative e per rinnovare le nostre organizzazioni, tracciarne nuovi confini e un nuovo mandato. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Introduzione Strettamente collegati al punto precedente si situano sia il tema della comunicazione, inter/intra istituzionale e con i soggetti della società, sia il tema della rete. Per quanto attiene il nostro argomento, è del tutto evidente che l’elemento informativo e maggiormente unidirezionale della comunicazione era necessario proprio in relazione ai tratti innovativi del nostro Programma, sia rispetto ai potenziali beneficiari sia in relazione all’introduzione delle nuove misure, ma in relazione alla esigenza di mettere a punto quei dispositivi organizzativi per l’integrazione tra le politiche, appare determinante l’attenzione e la cura, e dunque l’onere, nel dare luogo a contesti discorsivi atti a sviluppare la dimensione circolare della comunicazione. La costituzione ed il mantenimento di una rete sociale permanente dipende perciò prioritariamente dall’investimento nell’ambito comunicativo ed in seconda istanza da un equilibrato esercizio, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale e verticale, delle proprie funzioni. Non posso esimermi infine, poiché il dibattito politico attuale lo sollecita, dal sottolineare con forza come la Provincia di Torino abbia assolto pienamente e democraticamente il ruolo attivo di Ente intermedio di governo e di coordinamento di vasta area espressamente riconosciuto dalla normativa vigente ed abbia saputo stimolare e ispirare, non solo nel nostro territorio, l’avvio di sperimentazioni analoghe contribuendo a dar vita ad un circuito virtuoso di nuove infrastrutture sociali e di reciproci apprendimenti che fanno la salute della nostra società. Certa che il nostro impegno sarà di lunga durata voglio salutarvi con l’auspicio delle parole del poeta Kàfavis: quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. Mariagiuseppina Puglisi Assessore Politiche Attive di Cittadinanza, Diritti Sociali e Parità corso G. LAnza 75 - 10131 Torino tel. 011 861 3155/3156/3157 e-mail: [email protected] 7 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti Il percorso di Fragili Orizzonti In un tempo di crescente vulnerabilità sociale e impoverimento di fasce di popolazione finora esenti da tali problemi, si moltiplicano le azioni che fanno appello alla capacità di autorganizzazione fra cittadini, alla beneficenza privata, al richiamo alla responsabilità e all’intraprendenza individuale dentro un orizzonte neoliberista che fa dell’impoverimento una colpa soggettiva. Così facendo si considera la vulnerabilità e l’impoverimento una questione privata o di solidarietà e di carità. Ma privatizzare la povertà è impoverente per tutti, per le persone e per i loro nuclei familiari, per il tessuto sociale che perde coesione e prospettiva, per la pubbliche istituzioni che abbandonano i cittadini a un mercato di taglio liberista. È possibile agire altrimenti, per lo più in un tempo in cui molti cittadini fanno fatica ad arrivare a fine mese, mentre le politiche sociali vanno incontro a tagli che mettono in discussione il quadro dei diritti di cittadinanza? Il Programma Fragili Orizzonti, avviato quando la vulnerabilità ormai si era insediata ma era ancora un «problema non visto» nelle sue dimensioni e nei suoi effetti mentre era già in atto un progressivo taglio delle risorse per i servizi, ha cercato delle risposte all’interrogativo. In una duplice direzione. Da una parte assumendo la vulnerabilità come «sfida pubblica», dall’altra mobilitando le risorse sociali in una logica di «responsabilità civica», di compito di cittadinanza. È con queste chiavi di lettura che possono essere lette le pagine che seguono, in cui si analizzano i percorsi di Fragili Orizzonti nei sei anni di lavoro. 9 10 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti La posta in gioco nel contrasto alla vulnerabilità Sei anni di sperimentazione di Fragili Orizzonti/1 Daniela Alfonzi, A. Barbara Bisset Nel 2005, dopo un percorso di approfondimento e discussione nelle Commissioni consiliari competenti, il Consiglio provinciale di Torino deliberò il «Programma triennale di politiche pubbliche di contrasto alla vulnerabilità sociale e alla povertà - Fragili Orizzonti» (1), costituito da un insieme articolato e coordinato di azioni da sperimentare, alcune destinate direttamente alla popolazione, altre alla ricerca/ azione sui temi del lavoro, dell’abitare e della salute. Una sperimentazione rivolta alla vulnerabilità sociale Si era pressoché all’inizio del quinquennio amministrativo e la deliberazione aveva l’ampiezza e la portata di un vero e proprio programma di mandato. L’ambizione era duplice: passare dalla teoria alla pratica, cioè dagli studi sociologici alla messa in campo di strumenti per affrontare le problematiche di una condizione sociale emergente, la vulnerabilità appunto, introducendo nel sistema di welfare locale alcune sperimentazioni e, d’altro lato, sulla scorta dell’operatività, agire sul fronte culturale per costruire una nuova narrazione del sociale, quanto più possibile socializzata tra tecnici e decisori politici, in grado di dare conto dei mutamenti sociali e delle nuove sfide cui sono chiamate le politiche e i servizi sociali. «È importante sottolineare che approssimarsi alla vulnerabilità sociale e delineare un programma di lavoro... è stata una scelta voluta e ricercata... una scelta politica, (1) Il Programma è attualmente in capo all’assessore Mariagiuseppina Puglisi; la proposta iniziale si deve all’allora assessore Eleonora Artesio, successivamente sostituita dall’assessore Salvatore Rao. Una rilettura del lavoro svolto nel primo triennio è stata offerta in: Provincia di Torino, Politiche pubbliche di contrasto alla vulnerabilità. Il Programma Fragili Orizzonti, supplemento al n. 6-7/2008 di «Animazione Sociale», pp. 9-24. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti non obbligata da compiti istituzionali» (2) e in sintonia con quanto i Piani di zona dei territori individuavano come una delle questioni emergenti: l’affacciarsi, cioè, alle porte dei Servizi, di poveri «anomali», «lo scollamento tra esigenze nuove e prassi abituali» (3) e la conseguente sollecitazione a non rimanere confinati nel perimetro tradizionalmente tracciato, ben esemplificato dalla soglie di reddito per gli interventi di assistenza economica, ma realizzare interventi di sostegno diversi da quelli abituali, adattabili e personalizzabili. Il Programma, attraverso l’interlocuzione con gli Uffici di piano che, aderendovi, ne sono divenuti partner, ha fissato una cornice definita dall’oggetto (la vulnerabilità sociale) e dalle azioni specifiche di sostegno al credito, al risparmio, al consumo responsabile, destinate ai cittadini e corredate dalle risorse, economiche e operative, necessarie per la loro realizzazione. È stato rinviato al gruppo di lavoro locale l’onere del coinvolgimento della società civile per definirne obiettivi, criteri e modalità. La fisionomia della sperimentazione e il suo esito non sono uniformi e sono frutto delle varie applicazioni e dell’adattamento alle specifiche condizioni locali e alle particolari caratteristiche degli attori concretamente in gioco nella realizzazione del Programma. La fase sperimentale, attraversata da aggiustamenti, riflessioni, evoluzioni, instabilità e incertezze, ha coinvolto otto territori consortili (4) (divenuti in seguito nove con l’inserimento del territorio del moncalierese) e messo al lavoro un significativo numero di tecnici, politici, associazioni del Terzo settore. Tale fase si è conclusa con la presentazione e la discussione dei dati ricavati nel triennio di lavoro (5), che saranno via via proposti nella presente pubblicazione. Attraversiamo ora una fase di transizione volta a dare continuità alle azioni, pur con nuove modalità che le rendano economicamente sostenibili. «Povertà grigie» quasi invisibili Ben prima dello scatenarsi della crisi economico-finanziaria del 2008, il ventennio trascorso ha segnato la crescita delle disuguaglianze sociali Cappelli C., Tracciare orizzonti possibili, in Provincia di Torino, op. cit. Ibidem. (4) I Consorzi socioassistenziali raggiunti dalle azioni sono: InReTe di Ivrea, Cisap di Collegno-Grugliasco, Cisa di Rivoli, Cissa di Pianezza, Cssac di Chieri, Cidis di Orbassano, Ciss 38 di Cuorgnè, Ciss di Pinerolo, Cissa di Moncalieri; dei 315 Comuni della provincia di Torino, sono coinvolti complessivamente 151 amministrazioni comunali, ben il 47,9% di tutti i Comuni del territorio provinciale pari a 751.799 unità di popolazione (il 53,9% della popolazione della Provincia, esclusa la Città di Torino). (5) Seminario «Fragili Orizzonti allo specchio» del 30 marzo 2011. Il materiale del seminario è reperibile nella sezione «politiche sociali» del sito istituzionale www.provincia.torino. gov.it (2) (3) 11 12 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti attraverso il trasferimento della ricchezza verso l’alto, dal reddito dei lavoratori dipendenti a quello della rendita e del profitto correlata a importanti processi di impoverimento e precarizzazione del lavoro. Processi che non sono stati accompagnati da un efficace sistema di protezione sociale sotto il profilo della tutela del reddito e degli ammortizzatori sociali, di misure generali, omogenee, non categoriali. Nel sistema di welfare italiano permane, infatti, un impianto categoriale che, eludendo il tema delle trasformazioni del mondo del lavoro, continua a riservare la garanzia e la tutela del reddito esclusivamente ad alcuni segmenti del mercato del lavoro, mentre scarse o inesistenti sono le garanzie per i lavoratori di altri settori e per le tipologie contrattuali atipiche. I livelli di protezione e di diritti sociali sono legati alla condizione occupazionale. Prevalgono i trasferimenti monetari, pur poco generosi, rispetto all’erogazione di servizi, mentre alla famiglia è affidato un ruolo di ammortizzatore sociale e un carico di cura pressoché esclusivo, rispetto al quale lo Stato interviene solo in forma sussidiaria a fronte di un suo eventuale fallimento. L’esito di questi processi è ben registrato da quanti, nelle istituzioni pubbliche o nelle formazioni intermedie, siano esse associazioni, sindacati o altro tipo di organizzazioni, si trovino a contatto con la domanda di nuove fasce di cittadini e ne verifichino la progressiva difficoltà a far fronte alle spese quotidiane o a mantenere il proprio tenore di vita anche per bisogni fondamentali: spesso la domanda di aiuto di chi non è ancora abbastanza o totalmente povero non ha esito sia per mancanza di strumenti e risorse adatte sia per insufficienza di dispositivi dedicati. Un deficit, insomma, di pensiero analitico e progettuale. A dimostrazione, seppur empirica, è la preoccupante situazione degli enti gestori delle funzioni socioassistenziali, che sempre più si trovano a dover sommare alla spesa storica data dagli utenti antichi, cronicizzati, le nuove richieste di assistenza economica, quelle dei «poveri» recenti: le risorse dedicate si vanno esaurendo fin dai primi mesi dell’anno, mentre nelle prospettive future, per effetto dell’aggiornamento degli Isee, i Comuni vedranno crescere non solo la domanda di assistenza economica, ma anche di rette sociali per i servizi a domanda individuale o per la riduzione dei tributi. A partire da questo contesto, dunque, dalla considerazione sui limiti del nostro sistema di welfare e dalla percezione di un bisogno emergente, hanno preso avvio i passi verso la «presa in carico» di quel fenomeno di instabilità e malessere ampiamente diffuso, di «povertà grigia» vergognosa e quasi invisibile che aveva bisogno di parole per dirsi, per essere riconoscibile, riconosciuta e affrontata. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti Le parole per dirlo: conoscere per riconoscere Costruire e condividere una visione generale dell’oggetto, sistematizzare le conoscenze e le percezioni frammentarie è stato il primo gradino di un lavoro proseguito poi nel tempo. L’instabilità crescente come chiave di lettura della realtà sociale Per svolgere il tema ci si è rivolti a quanto la letteratura di settore andava proponendo e che ci ha ispirato e guidato nel percorso conoscitivo. Negli ultimi decenni, infatti, sullo sfondo delle riflessioni teoriche – da Ulrich Beck a Niklas Luhmann, da Anthony Giddens a Zygmunt Bauman – con ampi ragionamenti su rischi, insicurezze e nuove forme di disagio sociale e psicologico che ne derivano, il tema della vulnerabilità sociale ha fatto la sua comparsa nel quadro delle scienze sociali, con punti di vista di volta in volta focalizzati più sugli aspetti di povertà e di esclusione sociale piuttosto che sulle implicazioni soggettive dei processi di globalizzazione e di flessibilizzazione del lavoro. Il fenomeno della crescente instabilità dell’inserimento nei principali sistemi di integrazione sociale (lavoro, famiglia, sistema di welfare) – che riguarda strati sociali sempre più ampi, non necessariamente marginali e tradizionalmente «garantiti», che si trovano a sperimentare significative riduzione di risorse senza tuttavia che ciò implichi la caduta in processi di esclusione sociale vera e propria –, è stato collocato al centro dell’attenzione come chiave di lettura della mutata realtà sociale. La situazione di diffuso disagio che investe i ceti più deboli e la classe media trova la sua origine nel mutamento del paradigma produttivo e nella compressione dei redditi da lavoro, ma l’aumento della componente dell’incertezza individuale, secondo Felice Roberto Pizzuti, pare in buona parte conseguente «alla traslazione di un numero crescente di rischi, da quello legato all’andamento economico al rischio occupazionale, dal rischio finanziario a quello demografico, da soggetti tradizionalmente ritenuti forti (la collettività, il sistema delle imprese) agli individui e alle famiglie... con l’indebolimento di quei meccanismi, pubblici e privati, che ne permettevano la socializzazione... Individui e famiglie appaiono oggi sempre più insicuri e sono esposti a eventi dai quali prima erano, almeno in parte, protetti. Insicuri del proprio lavoro, spesso precario, insicuri della propria professionalità, soggetta a veloce obsolescenza; insicuri del tenore di vita che potrà garantire la propria pensione; insicuri di come potranno far fronte alle cure necessarie a un bambino piccolo o a un anziano non autosufficiente; 13 14 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti esposti all’incertezza della congiuntura economica, dell’inflazione, dei rendimenti finanziari» (6). Lo smarrimento del presente si unisce alla paura del futuro Secondo Nicola Negri (7), non si tratta di una condizione passeggera, ma «cresce la popolazione che risulta versare in condizioni di vulnerabilità. La ragione è che i sistemi sociali postfordisti stentano a generare situazioni di vita sicure. Significa una quotidianità che si fa “normalmente” insicura, un lavoro non più a tempo indeterminato oppure sufficientemente remunerativo, famiglie sempre più lunghe e strette poste davanti al dilemma se lavorare entrambi, marito e moglie, oppure crescere i figli e assistere i vecchi... La vulnerabilità è oggi il problema della nostra società, confrontata con lo smarrimento del presente, la paura del futuro». Ancora le parole di Nicola Negri, questa volta con Chiara Saraceno: «La povertà ha un carattere processuale e multidimensionale e gli indicatori normalmente utilizzati per rilevarla (mancanza di reddito, bassa istruzione, dipendenza da sostanze, “carriere” di marginalità ecc.) non vanno considerati separatamente, secondo logiche di causa-effetto, ma occorre studiare le interconnessioni nel tempo tra i fattori relativi alla situazione personale, alle risorse a disposizione, alla capacità del soggetto di conoscerle e utilizzarle, alla percezione di sé e all’autostima, all’etichettamento sociale» (8). Microfratture lavorative e relazionali che generano precarietà Secondo Robert Castel, in una visione dinamica e processuale «il percorso di impoverimento di un potenziale soggetto può avvenire transitando nel corso della vita tra l’area dell’integrazione (inserimento stabile in circuiti occupazionali e disponibilità di solidi supporti relazionali, specialmente familiari) all’area della disaffiliazione, in cui versano i soggetti in condizione di povertà estrema (caratterizzata da processi di decomposizione e abbandono del sé, incapacità di controllo dello spazio fisico, profonda rottura dei legami sociali, perdita della capacità di trasformare i beni in opportunità di vita). Questa transizione avviene attraverso microfratture nell’esperienza dei soggetti, tanto a livello lavorativo che a livello relazionale, che Pizzuti F. R., Rapporto sullo Stato Sociale 2008, Utet, Torino 2008, pp. 43-64. Negri N., La vulnerabilità sociale, in «Animazione Sociale», agosto/settembre 2006, pp.15-19. (8) Negri N., Saraceno C., Politiche contro la povertà in Italia, il Mulino, Bologna 1996. (6) (7) Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti generano situazioni di precarietà e fragilità: è l’area della vulnerabilità sociale» (9). La prospettiva dinamica consente di distinguere le situazioni croniche o ricorrenti, da altre più transitorie. Le prime in cui la reversibilità è compromessa o frequenti sono le lunghe ricadute; le seconde in cui il disagio materiale è provvisorio e non è in grado di intaccare le aspirazioni e le capacità di inserimento sociale (10). Questa prospettiva suggerisce, inoltre, di focalizzare l’attenzione sulla messa in campo di interventi di prevenzione della condizione di povertà e dello scivolamento nell’area della disaffiliazione e sulla necessità di politiche universalistiche di sostegno del reddito. La vulnerabilità sociale, la «povertà grigia» – condizione nella quale rientrano a pieno titolo quei lavoratori che non riescono a garantire a sé e alle proprie famiglie delle condizioni di vita accettabili, poiché se «fino a un paio di decenni fa, l’espressione working poor sarebbe stata considerata un ossimoro... la figura del “povero al lavoro” ha fatto stabilmente il suo ingresso nel nostro mondo sociale» (11) – risulta caratterizzata da un malessere delle persone che si trovano a vivere periodi di incertezza, insicurezza e difficoltà di tipo economico e che, se non sufficientemente sostenute, rischiano di cadere in condizioni di povertà ed esclusione sociale. Una maggiore esposizione al rischio La massificazione della «società del rischio» (12) investe diversi ceti sociali, ma in maniera diseguale: «incertezza e rischio che investono la società nel suo complesso non nascondono il fatto che esistano alcuni gruppi sociali più esposti... La società dell’individualizzazione e della vulnerabilità accentua e non riduce le disuguaglianze: quanto meno perché richiede più diversificate risorse individuali per fronteggiare il rischio» (13). (9) Castel R. citato in Francesconi C., Segni di impoverimento. Una riflessione socio-antropologica, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 27-71. Cfr. Castel R. (intervista a), Il ritorno dell’individuo per difetto. Come progettare la vita in assenza di «proprietà sociale»?, in «Animazione Sociale», 05, 2006, pp. 3-10. (10) Moretti C., Vulnerabilità e nuovo welfare. «Fragili Orizzonti» nella sperimentazione sociale, prova finale anno 2008/09, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Scienze Politiche, corso di studio in Scienze Sociali, relatore prof. Dario Rei. La tesi è consultabile nella sezione «politiche sociali» del sito web della Provincia. (11) Revelli M., Poveri, noi, Einaudi, Torino 2010, pp. 43-47. 12) Beck U., La società del rischio. Verso una nuova modernità, Carocci, Roma 2000. (13) Cooperativa Apiceuropa (a cura di), Lessico ragionato della vulnerabilità, in Caritas diocesana di Torino, In precario equilibrio. Vulnerabilità sociali e rischio povertà, Ega, Torino 2009, pp. 27-38. Vedi anche Negri N., Saraceno C., Povertà e vulnerabilità sociale in aree sviluppate, Carocci, Roma 2003. 15 16 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti L’interazione tra le tipologie ritenute più fragili (14) con «la precarizzazione del lavoro, la non autosufficienza in ampie fasce della popolazione (non solo quella degli anziani), i movimenti migratori dal sud Italia e dal sud del mondo» (15), rende maggiormente vulnerabili ed esposti al rischio di produrre danni conclamati, deprivazione e/o esclusione. È importante sottolineare che la vulnerabilità sociale è una categoria analitico-metodologica e non una tipologia precisa di individui o una nuova categoria di «utenti». Il concetto stesso di vulnerabilità deve essere inteso in senso dinamico, come fenomeno non statico determinato da «una serie di eventi sfortunati», perciò molto difficile da intercettare sia per la ritrosia degli stessi soggetti a riconoscersi come tali (e quindi a chiedere aiuto) sia per la caratterizzazione più incerta rispetto all’esclusione sociale o alla povertà. Vivere assediati dall’impotenza La difficoltà di individuazione di un target preciso, con la conseguente difficoltà a intercettare e a praticare dispositivi comunicativi verso i potenziali destinatari delle azioni, ha costituito una problematica spesso portata alla discussione nei Tavoli locali, un vero limite allo sviluppo quantitativo di alcune azioni del Programma, nello specifico per le azioni di microcredito individuale e di asset building. Un target difficile da individuare Gli effetti di queste problematiche si possono vedere nello scostamento tra il numero dei contatti e i prestiti effettivamente erogati, ma si pone qui un punto di domanda più generale che riguarda le modalità e le pratiche che hanno tendenzialmente uniformato i servizi, al di là delle intenzionalità soggettive: innanzitutto l’identità dei servizi appare legata in esclusiva al trattamento della marginalità. Non solo: sono gli utenti a cercare il servizio che, data la scarsità di risorse a fronte delle diffuse emergenze, rischia di viversi come assediato nell’impotenza; la domanda rischia spesso di essere burocraticamente catalogata ed esaurita in base ai requisiti di accesso più che a strategie complessive; l’ascolto, strumento essenziale dei mestieri di aiuto, rischia di ripiegare difensivamente in pura formalità; gli utenti, sempre gli stessi da generazioni, sono diventati «Le famiglie con figli e un solo reddito; famiglie composte da un single anziano; adulti single in posizione occupazionale stabile; adulti single in posizione occupazionale instabile; famiglie monogenitoriali (un genitore e figli in età minore), famiglie composte da stranieri provenienti da Paesi a forte pressione migratorie con figli in età minore», in Ranci C., Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, il Mulino, Bologna 2002, pp. 14-15. (15) Ibidem. (14) Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti assistiti. Con il venir meno delle risorse per le prestazioni sembra esaurirsi lo spazio operativo del servizio stesso. La definizione precisa di una tipologia appare perciò sotto certi aspetti un falso problema e rimanda piuttosto a un nuovo mandato da disegnare per i servizi sociali: uscire dal «fortino», tanto dai luoghi fisici quanto dalla «gabbia» della sola prestazione assistenziale, per allestire strategie nei gruppi naturali, nelle situazioni informali, rivitalizzando la partecipazione. «Serve lavoro “di rete” in una welfare community che vede il compito essenziale degli operatori sociali nella costruzione, ricostruzione, di legami sociali attraverso la diretta attivazione dei cittadini per la presa in carico dei loro problemi individuali e collettivi. Serve una rinnovata capacità di tornare a relazionarsi in maniera costruttiva (non più strumentale e sfruttatoria) con attori di tutto quell’arcipelago del “sociale” non professionale che, fortunatamente, ancora popola i nostri territori» (16). E ancora, «serve una rinnovata capacità degli operatori professionali del sociale di evidenziare con forza che le aggregazioni urbane devono essere “educative”, che non basta guardare all’assetto urbanistico ed economico-commerciale, che occorre dare attenzione alla salute e alla qualità delle relazioni che nascono e si rigenerano continuamente nella città. Dare attenzione, investire sulla qualità dei legami, delle connessioni tra i punti-rete sensibili e positivi a partire dai rapporti interpersonali (tra vicini di casa, tra chi frequenta luoghi di aggregazione, tra chi ha in comune problemi simili ma anche risorse per affrontarli, tra gruppi-associazioni-movimenti che hanno saperi ed esperienze da spendere). Dare attenzione anche a chi, nell’economia profit, ha intelligenze da mettere a disposizione e volontà imprenditoriali di investire nel sociale» (17). Solo così potremo contribuire a ridare fisionomia, identità e coesione al nostro mondo. Quelli che non sono abbastanza poveri ma neanche abbastanza ricchi Che la vulnerabilità e la precarietà siano condizioni costitutive di ogni vivente è nozione condivisa, che si sia tutti vulnerabili allo stesso modo, almeno socialmente, è vero solo a livello astratto. Il campione – statisticamente non significativo – delle persone che si sono avvicinate al microcredito e all’asset building ci ha sollecitato Garena G., Ci si può affezionare al lavoro sociale?, in «Animazione Sociale», 249, gennaio, 2011, pp. 36-81. Ibidem. (16) (17) 17 18 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti a una maggiore precisione cromatica, nel tentativo di cogliere le numerose sfumature di intensità di questa «povertà grigia». All’inizio, l’intento del microcredito era di favorire la realizzazione di progetti di sviluppo personali o del nucleo. La realtà si è rivelata differente: si è incontrata una popolazione di persone sprovviste del sostegno di reti sociali, fortemente gravate da debiti dovuti per lo più all’insufficienza di reddito, nonostante il 64% degli interessati sia occupato; su 375 contatti (ma il numero di passaggi per la richiesta di informazioni è stato molto superiore), quelli effettivamente erogati sono stati 131. La differenza tra i due gruppi, il target iniziale e quello reale, la dice lunga su un bisogno che non ha trovato accoglienza, una «sfumatura» di «non abbastanza poveri/non abbastanza ricchi», esclusi sia dall’assistenza economica quanto dall’accesso alla misura; la casa, in affitto per il 46% e di proprietà per il 21%, rappresenta una spesa centrale, incomprimibile nel bilancio famigliare; del resto, nel corso della sperimentazione, i criteri reddituali di accesso sono stati più volte rimodulati per ridurre l’effetto di esclusione: di fatto si è trattato di un mettere a confronto la percezione dei tecnici con la concretezza delle situazioni e di ripensare il concetto stesso di vulnerabilità cui ci si era riferiti (18). Un generale processo di declassamento e riallineamento verso il basso A mettere con i piedi per terra nelle sue coordinate sociali la vulnerabilità ci aiuta l’Istat che ha scomposto l’insieme delle famiglie classificate come «povere assolute» e rilevato che 591.000 famiglie, quasi il 50%, è costituito da gruppi in cui il lavoro è presente in modo significativo (19): 170.000 famiglie, il 15,1%, sono coppie monoreddito operaio con figli minori residenti nel Mezzogiorno; un altro 11%, 124.000 famiglie, sono single e monogenitori operai del Centro-Nord e 110.000, il 9,8%, sono coppie monoreddito di imprenditori e impiegati con famiglie di quattro componenti o più residenti nel Centro-Sud: «Sono il lembo estremo, il margine inferiore di un sistema del lavoro diffusamente delabrato, segnato da un generale processo di declassamento e di riallineamento verso il basso di buona parte delle tradizionali figure del lavoro, (18) Gabi è assistente domiciliare, è romena e vive a Torino da più di un decennio. Racconta che nelle case in cui va a badare agli anziani la pagano sempre meno, le danno sempre meno ore di lavoro e lesinano anche sul cibo: «Eppure li vedi in giro, vanno, vengono, stanno bene, sembrano ricchi, ma io che li vedo in casa, vedo che non hanno soldi, che risparmiano su tutto e che hanno paura e non sanno come cavarsela, hanno corpi di nebbia, non lo sanno neanche loro e diventano cattivi, ti trattano male, sembra che gli porti via qualcosa...». (19) Rapporto Commissione di indagine sull’esclusione sociale 2009, in Revelli M., Poveri noi, Einaudi, Torino 2010, pp. 48-51. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti costrette a riconfigurare aspettative di consumo e autorappresentazioni di status, condizione materiale e livello di coscienza e di autocoscienza, interrompendo appunto il percorso di ascesa delle successive generazioni». (20) A questo gruppo si sommano quanti, a causa della diminuzione del reddito per la perdita del lavoro o la cassa integrazione, hanno subito un grave peggioramento delle condizioni di vita, «ovunque il lavoro operaio di fascia bassa subisce l’impatto diretto della crisi. Più delle povertà tradizionali. Più delle emarginazioni storiche». (21) Nel ceto medio impoverito, sono circa 19 milioni le persone che, per livello di reddito o di spesa mensile, perché proprietari della casa in cui abitano o per lo stile di consumo che praticano, non possono essere definite povere. Si trovano appena un po’ sopra ai poveri «ufficiali», ma su di loro grava il rischio di sperimentare la povertà: «Sono i quasi 4 milioni di individui che arrivano a fine mese con grande difficoltà e che non potrebbero affrontare una spesa imprevista di 700 euro; i 3 milioni e mezzo in difficoltà per la spesa quotidiana, i quasi 6 milioni censiti come vulnerabili, i più distanti dalle fasce basse degli assolutamente, e anche dei relativamente poveri» (22). Revelli M., op. cit., pp. 48-51. Ibidem, pp. 59-77. (22) Ibidem, pp. 78-88. (20) (21) 19 20 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti Ambiti di contrasto alla vulnerabilità Sei anni di sperimentazione di Fragili Orizzonti/2 Daniela Alfonzi, A. Barbara Bisset La vulnerabilità, dunque, si presenta come fenomeno multidimensionale legato a processi che non si esauriscono nella sola dimensione economica, ma coinvolgono la salute, l’istruzione, l’abitazione, il lavoro, la collocazione territoriale, stili di vita, affetti e relazioni: «Non si può agire su una sola causa, servono azioni in più ambiti, all’interno di un disegno complessivo» (1). Se il fenomeno appare delineato nelle sue linee generali, ben diverso è cimentarsi nel dar vita a un sistema di interventi che, senza chiudersi nell’individuazione di categorie precostituite di specifici utenti o particolari tipologie di bisogno, si prefigga di offrire strumenti duttili, elastici, malleabili, modificabili e rimodulabili, assumendosi la fatica e le incognite della navigazione a vista e dell’apprendimento in itinere, indirizzati da alcuni semplici riferimenti di base: multidimensionalità e dinamicità della condizione di vulnerabilità (che richiedono una coerente molteplicità di azioni); tempestività del sostegno (necessaria per evitare il cronicizzarsi della situazione e lo scivolamento verso condizioni di disagio); pluralità di luoghi di accesso (per attenuare gli effetti di stigmatizzazione e di auto-etichettamento). Il Programma è stato perciò impostato su cinque temi – reddito, consumo, abitazione, lavoro, salute – con l’intenzione di offrire alle istituzioni locali un repertorio di azioni per sperimentare nuove forme di welfare locale destinate a quei cittadini solitamente non raggiunti da misure ordinarie di sostegno economico (2) e che hanno coinvolto, nell’ambito del progetto complessivo, una pluralità di attori, interni ed esterni all’ente, nella progettazione di Cappelli C., op. cit., pp. 15-16. Rei D., Welfare attivo: il laboratorio della protezione sociale. Integrare gli assetti, qualificare i servizi, personalizzare gli interventi di welfare, in «Iriscenari», 14, 2008. (1) (2) Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti azioni trasversali ai diversi ambiti di competenza. È stata costituita una rete di partner che a vario titolo hanno cooperato a costruire le azioni del Programma. Il ruolo svolto dalla Provincia è mutato nel corso dello sviluppo dei progetti: per alcuni si è mantenuto un investimento diretto – microcredito, asset building, Gruppi d’acquisto collettivo – per altri si è trattato di un sostegno nella fase iniziale, mentre altri progetti ancora sono terminati. L’azione politica su lavoro, casa e salute In un’ottica di politiche integrate interassessorili e interistituzionali, il Programma si è sviluppato con due linee di azione distinte: la prima, di ricerca per la progettazione degli interventi, sui temi del lavoro, della casa e della salute, si è conclusa nel 2008; la seconda, di azioni rivolte ai cittadini attraverso i Comuni e i Consorzi socioassistenziali, è tuttora operativa. Politiche del lavoro Il gruppo di lavoro, a cui hanno partecipato alcuni Servizi della Provincia di Torino (Servizio solidarietà sociale, Servizio pari opportunità, Servizio politiche del lavoro, Servizio agricoltura e Servizio pianificazione sviluppo sostenibile), del Comune di Torino e del Comune di Ivrea, della cooperazione sociale, finalizzato alla rilevazione delle opportunità di lavoro per fasce di popolazione vulnerabile e alla promozione di azioni per l’occupazione in nuovi ambiti lavorativi legati all’ambiente e all’agricoltura, ha concluso i suoi lavori con la pubblicazione e la diffusione di un opuscolo, la Rubrica delle opportunità, che cataloga i servizi per il lavoro nei vari territori. Il gruppo di lavoro, inoltre, ha elaborato in un documento le proposte per «l’inserimento al lavoro di persone vulnerabili nell’ambito della gestione dei rifiuti». Politiche abitative Il gruppo di lavoro, a cui hanno partecipato alcuni settori della Provincia (Servizio solidarietà sociale, Servizio pari opportunità e Servizio pianificazione territoriale), dell’Azienda territoriale per la casa, della Regione Piemonte, del Comune di Torino e di altri Comuni che hanno aderito al Programma, finalizzato a rilevare il fabbisogno abitativo e diffondere alcune esperienze significative di social housing, ha concluso la sua attività. La Provincia ha dato vita all’Osservatorio sul fabbisogno abitativo. Inoltre si è diffusa in alcuni territori provinciali l’attività di facilitazione dell’incontro 21 22 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti domanda/offerta abitativa e per la diffusione dei contratti concordati sull’esempio della torinese Agenzia sociale per la casa Lo.Ca.Re. promossa dalla Città di Torino. Politiche per la salute Dedicata al tema del rapporto tra fragilità clinica e vulnerabilità sociale; l’indagine svolta in partenariato con la Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) e con l’Osservatorio dell’Azienda sanitaria locale To3 della Regione Piemonte, si è conclusa. La ricerca/indagine ha coinvolto il territorio di Torino e due della provincia – ex Asl 3, 4 di Torino, 8 di Moncalieri e 10 di Pinerolo – e 1.878 assistiti. Sono stati analizzati i questionari somministrati a più di 1.878 pazienti, attraverso il coinvolgimento di 32 medici di base. Nel convegno «La malattia che impoverisce, la povertà che fa ammalare», realizzato nel marzo 2009, sono stati presentati i risultati della ricerca: è stata verificata l’applicabilità, nel contesto dell’ambulatorio del medico di base, di uno strumento di rilevazione delle diverse dimensioni della vulnerabilità/fragilità clinica, sociale, di reti, utilizzando scale validate in ambito sanitario e sociologico; è stato studiato l’impatto della vulnerabilità sociale sull’accesso e sulla continuità dei percorsi sociosanitari rilevanti per la salute e l’impatto della malattia nell’innescare percorsi di vulnerabilità sociale; è stata individuata l’utilità di istituire un canale di comunicazione tra medico di base, in veste di sensore precoce, e operatori sociali per la segnalazione di stati di vulnerabilità/fragilità. Le azioni rivolte ai cittadini Le azioni rivolte ai cittadini sono essenzialmente di due tipi: una di sostegno al credito e al risparmio (con programmi di microcredito individuale e di asset building), l’altra di sostegno al consumo (gruppi d’acquisto collettivo, rete alimentare sociale, last minute market, il carrello della spesa, carta amica). Microcredito individuale Il microcredito individuale dà la possibilità a persone altrimenti non bancabili di ottenere un prestito; sostituisce alle garanzie fidejussorie le garanzie morali fornite dal debitore e dalla sua rete sociale. Presta fino a un massimo di 5.000 € con un tasso di interesse del 4,5 (3) (restituibili in 36 mesi e con un periodo di pre-ammortamento (3) Costo medio del credito al consumo in Italia secondo un’indagine parlamentare del 2010 della Commissione Finanze della Camera dei Deputati). Banche: costo medio credito al consumo: 10%; carte credito revolving: 17%; credito finalizzato: 12%; prestiti personali: 11%; prestiti cessione del quinto: 9%. Intermediari non bancari: importi inferiori a 5.000 €: 14,4%; Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti fino a 6 mesi) per far fronte alla crisi dei redditi. Sono state introdotte modifiche che consentono al beneficiario di rinegoziare il periodo di ammortamento che può, complessivamente, arrivare fino a 54 mesi. La finalità dell’azione è offrire un’opportunità per prevenire crisi di liquidità, situazioni di indebitamento, di cattivo uso degli strumenti finanziari e per dare supporto a progetti di sviluppo individuale. La Provincia ha istituito un Fondo di garanzia di 450.000 € che genera prestiti sino a 900.000 € (50% Provincia, 50% Banca etica). Il partner di progetto è la Banca popolare etica che partecipa ai tavoli di lavoro territoriali, compie l’istruttoria bancaria, eroga il prestito, accompagna i beneficiari nel corso della restituzione, ne monitora l’andamento e cura la formazione degli operatori in front line. I partner territoriali sono i partecipanti ai tavoli di lavoro costituiti nell’ambito degli Uffici di Piano locali esistenti per la predisposizione e attuazione dei Piani di zona del sociale, cui partecipano una pluralità di attori istituzionali e organismi del Terzo settore. Variano a seconda dei territori; in alcuni casi capofila dell’azione è un Comune. Il tavolo di lavoro locale, cui partecipano anche la Provincia e la Banca, definisce i requisiti di accesso e le finalizzazioni dell’azione, organizza le modalità, i flussi comunicativi e organizzativi, le campagne di comunicazione, monitora e valuta l’efficacia dell’attività ed elabora e propone le eventuali modifiche. L’azione è operante nel territorio consortile di Chieri, Ivrea, Pinerolo, Rivoli, Collegno-Grugliasco, Moncalieri, Pianezza, Cuorgné e Orbassano. Asset building «Risparmia e raddoppi!» L’asset building è la costruzione di un piccolo, patrimonio personale come opportunità per fronteggiare imprevisti, dare corso a un progetto e come opportunità di ripensare gli stili di consumo. Offre l’opportunità di realizzare un risparmio finalizzato per un progetto significativo. La somma risparmiata viene integrata, fino a un massimo di 1.500 €, da una di pari importo erogata a fondo perduto dalla Provincia. È un’azione caratterizzata da una forte valenza formativa che insiste sulle capacità di autodeterminazione della persona, ne sollecita la progettualità e rafforza il senso di autoefficacia e autostima. Sotto importi superiori: 11%; carte di credito revolving: 19%. Sono stati segnalati casi di carte di credito revolving: 50%. 23 24 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti il profilo culturale sollecita comportamenti di autoregolazione e riflessivi sui consumi (4). Il partner di progetto è Banca etica che partecipa ai Tavoli di lavoro territoriali, accompagna il progetto con incontri individuali e collettivi con i beneficiari, monitora l’andamento dell’azione. La Fondazione culturale Responsabilità etica Onlus eroga l’integrazione al termine del percorso di risparmio. I partner territoriali sono i partecipanti ai tavoli di lavoro costituiti nell’ambito degli Uffici di Piano di zona cui partecipano una pluralità di attori istituzionali e del Terzo settore. Variano a seconda dei territori, in alcuni casi un Comune è capofila dell’azione. Il Tavolo di lavoro locale è lo stesso del microcredito individuale. L’azione è operante nel territorio consortile di Chieri, Ivrea, Pinerolo, Rivoli, Grugliasco, Moncalieri, Pianezza, Cuorgné e Orbassano. Gruppi d’acquisto collettivo Il progetto dei Gruppi d’acquisto collettivo (Gac) «Collettivo è meglio!» prevede la promozione e la gestione di Gruppi d’acquisto, biologici e non, secondo la prassi della filiera corta, del rapporto con produttori di prossimità, il cosiddetto «Km 0» nella dimensione di un’attività socializzante. Finalità dell’azione è operare sul versante relazionale e sociale della vulnerabilità, contribuendo a dare vita e sostenere reti comunitarie con opportunità di partecipazione attiva alla vita sociale; sul versante culturale l’obiettivo è sviluppare e sostenere il consumo responsabile, la sensibilità ecologica e la riduzione dell’impatto ambientale delle attività umane. Il partner di progetto è il Movimento consumatori di Torino che opera da piattaforma centrale degli acquisti, verifica la qualità dei prodotti, gestisce le attività inerenti gli acquisti e la distribuzione attraverso propri «facilitatori» che accompagnano ogni gruppo e svolgono compiti logistici, di relazione e di animazione. I partner territoriali sono i partecipanti ai tavoli di lavoro costituiti nell’ambito degli Uffici di Piano locali esistenti per la predisposizione e attuazione dei Piani di zona del sociale cui partecipano una pluralità di attori istituzionali e organismi del Terzo settore. Variano a seconda dei territori, in alcuni casi un Comune è capofila dell’azione. (4) Si vedano, a proposito di esperienze di asset building consolidate e del loro ambito di applicazione, gli interventi di: Carol Wayman (senior legislative director Cfed - Corporation for Enterprise Development, Usa), Asset building: la chiave per passare dalla povertà all’autosufficienza finanziaria; Norm Leckie (ricercatore Social Research and Demonstration Corporation, Canada), Asset building: la forza delle valutazioni come supporto alle politiche sociali. Le relazioni, svolte al convegno «Fragili Orizzonti delle vite contemporanee ovvero della stabile precarietà» nell’aprile del 2009, sono disponibili nella sezione «politiche sociali» del sito web istituzionale www.provincia.torino.gov.it Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti L’azione è inserita nel Piano strategico provinciale per la sostenibilità di questa Provincia, deliberato nell’agosto del 2008. Nel territorio provinciale sono attivi 12 Gac per un totale di 1.312 iscritti. Il listino dei Gac è costituito da circa 80 referenze di prodotti biologici e, in collaborazione con Coldiretti, di prodotti da agricoltura a lotta integrata. I prezzi, competitivi se paragonati a prodotti omologhi del circuito convenzionale, non sono aumentati di pari passo con l’inflazione, costituendo, quindi, un discreto argine contro l’incremento della spesa alimentare familiare. «Informati, è meglio» La Provincia, con Banca etica e Movimento consumatori di Torino, ha organizzato una serie di moduli informativi/formativi sui temi del consumo responsabile e della finanza etica. Gli incontri sono a disposizione dei territori sede delle azioni, con il duplice scopo di fare cultura e promuovere le azioni. I percorsi, a cura di Movimento consumatori di Torino e Banca etica, vertono su numerosi argomenti: stili di vita, alimentazione, mutui, contratti e utenze, prodotti bancari, uso del danaro. Rete alimentare sociale L’azione prevede la raccolta della merce invenduta, ma ancora perfettamente commestibile presso il Centro Agro Alimentare di Torino-Caat e la sua successiva distribuzione ad associazioni caritative del territorio provinciale. I partner sono Banco alimentare Piemonte che assicura la raccolta e distribuzione della merce, il Caat che partecipa attivamente ospitando l’azione e monitorandola, l’Asl To3 che garantisce il rispetto dei criteri igienico-sanitari. Al tavolo di lavoro hanno partecipato il Servizio agricoltura e il Servizio ambiente della Provincia. L’azione è stata inserita nel Piano strategico provinciale per la sostenibilità di questa Provincia, approvato nell’agosto del 2008. Last minute market Il Comune di Settimo Torinese da un lato, il Consorzio In.Rete dall’altro, hanno progettato e organizzato, insieme ad associazioni e cooperative locali, la raccolta di merce invenduta, in collaborazione con esercizi commerciali della grande e media distribuzione. La merce così raccolta viene distribuita alla popolazione in stato di bisogno. L’azione è inserita nel Piano strategico provinciale per la sostenibilità di questa Provincia, approvato nell’agosto del 2008. 25 26 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti Le azioni concluse Come si è già accennato, alcuni progetti sono giunti al termine. • Carta Amica. Con un’intesa che ha coinvolto Provincia e Ascom, Codè-Crai, Auchan, Associazione del commercio, del turismo e dei servizi della Provincia di Torino, la Carta Amica è una tessera anonima che garantisce al possessore uno sconto per acquisti di alimentari e per le consumazioni. Il progetto è terminato. • Il carrello della spesa. Con un’intesa tra Provincia e Novacoop è stata sperimentata un’iniziativa con la quale i consumatori hanno potuto acquistare a prezzo contenuto un insieme di prodotti indispensabili per confezionare un pasto per quattro persone. Il progetto è terminato. • Responsabilità sociale di impresa. Sul problema del carovita, sono state siglate due distinte intese con Coop da un lato, e Crai dall’altro e con Cgil-Cisl-Uil di Torino, valido in tutti i punti vendita del territorio provinciale: Coop si è impegnata a mettere in vendita un tipo di pane al prezzo di 1 € al kg e un insieme di prodotti a prezzo scontato alle casse; Crai ha definito un gruppo di cinque prodotti a prezzo bloccato per sei mesi e uno sconto del 25% sugli acquisti destinato a tutti i pensionati. Il progetto è terminato. • Responsabilità sociale di impresa. La Giunta provinciale ha deliberato uno schema di intesa con le organizzazioni delle imprese agricole, le associazioni di tutela dei consumatori, Cgil-Cisl-Uil di Torino, per favorire la diffusione dei mercati dei contadini e il commercio con i gruppi d’acquisto a prezzi contenuti. Il convergere di molteplici competenze Fin dal suo nascere, il Programma ha fatto perno sulla partecipazione di una molteplicità di attori sociali. La Provincia Il Servizio solidarietà sociale dell’Assessorato alle Politiche attive di cittadinanza, diritti sociali e parità (5), attraverso l’Ufficio di Programmazione territoriale, a cui dal 2009 è stata affidata la responsabilità del Programma e assegnata la relativa risorsa umana per una più coerente articolazione tra le azioni progettuali e le attività di supporto alla programmazione locale (in primis Piani di zona e Piani e profili di salute), si occupa della regia complessiva del progetto, quindi della sua diffusione, sviluppo, monitoraggio, analisi ed elaborazione di strategie. (5) Fino a maggio 2009, l’Assessorato era denominato «Assessorato alle Politiche sociali» con la collocazione in staff al dirigente della responsabilità del Programma e della relativa unità di personale a esso assegnata. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti La partecipazione ai vari tavoli di lavoro costituisce il collegamento, la comparazione e il tramite per la diffusione delle migliori pratiche. Per la realizzazione di tali compiti si avvale periodicamente del prezioso e proficuo contributo dell’Ufficio Sistema informativo del Servizio solidarietà sociale che mette a disposizione le sue competenze metodologiche-statistiche, nonché i dati statistici necessari per l’analisi e l’elaborazione di strategie programmatorie operative e di valutazione del Programma stesso. Il Tavolo di lavoro locale È costituito nell’ambito dell’Ufficio di piano locale; riunisce periodicamente gli attori territoriali per organizzare, valutare e monitorare l’andamento dell’operatività; individua il target, definisce i parametri reddituali, i criteri di ammissione e le finalizzazioni del credito e del risparmio; individua l’ubicazione del gruppo d’acquisto. Ai tavoli partecipa la Provincia di Torino, Banca etica e Movimento consumatori. Comune/Consorzio Per il microcredito individuale, fornisce le informazione ai cittadini e contribuisce a pubblicizzare l’azione, protocolla le domande, verifica le informazione sul richiedente, verifica l’esistenza di una rete sociale di garanti, verifica la presenza di interventi da parte dei Servizi Sociali o del Comune, invia la domanda alla Banca. Per l’asset building, fornisce le informazioni ai cittadini, riceve le domande, compila la graduatoria, concede i locali per gli incontri. Per i gruppi d’acquisto, fornisce le informazioni ai cittadini e contribuisce a pubblicizzare l’azione, individua e concede i locali e l’attrezzatura strumentale (telefono e computer). Banca popolare etica Per il microcredito individuale: istruisce le domande, delibera il prestito, dopo l’opportuno coinvolgimento della rete sociale; se necessario chiede un patronage non economicamente impegnativo e accompagna il percorso di restituzione; opera la formazione degli operatori, pubblici o del Terzo settore, coinvolti; elabora, in collaborazione con la Provincia di Torino, il materiale pubblicitario per diffondere l’informazione sull’azione. Le garanzie morali del debitore e della sua rete sociale sostituiscono le garanzie fidejussorie, perciò sia nella fase della presentazione della domanda sia all’insorgere di problemi di restituzione, la rete sociale si attiva per facilitare la restituzione, anche rinegoziando con la Banca il piano di ammortamento. L’aspetto relazionale costituisce, infatti, una delle differenze sostanziali con il mercato 27 28 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti bancario convenzionale, ed è anche ciò che rende più costosa questa forma di credito, ma le assicura una valenza educativa/formativa di indubbio valore sia per la persona che per il sistema. Per l’asset building: organizza e gestisce il percorso di formazione dei beneficiari con incontri individuali e collettivi; organizza e gestisce i moduli formativi; elabora, in collaborazione con la Provincia, il materiale pubblicitario per diffondere l’informazione sull’azione. Sportello di accoglienza Per il microcredito, costituito da: Consorzio, Sportello sociale, associazioni, uffici comunali, previa formazione del personale; accoglie le/i potenziali beneficiari, ritira le domande, compila la scheda di accoglienza di Banca etica, aiuta alla compilazione del modulo del bando, ove presente; invia al Comune o al Consorzio le istanze ricevute. Movimento consumatori Seleziona i fornitori dei gruppi d’acquisto e contratta con gli stessi i prezzi dei prodotti a listino; garantisce la qualità dei prodotti con ulteriori analisi di laboratorio; gestisce i gruppi attraverso la figura dei cosiddetti «facilitatori», coordinatori del gruppo; organizza eventi collaterali anche a titolo formativo; elabora, in collaborazione con la Provincia di Torino, il materiale pubblicitario per diffondere l’informazione sui gruppi stessi. Partner di territorio Oltre ai partner di progetto, partecipano al Programma, direttamente e in varie forme, numerosi partner territoriali tra i quali l’Associazione di Promozione della salute mentale, l’Associazione Arcobaleno, la Fondazione Ruffini, Federconsumatori Pinerolo, Chiesa Valdese Pinerolo, Chiesa Cattolica Pinerolo, Circolo Arcipicchia Rivoli, Circolo Arci Caffè Neruda Torino, Banco Alimentare Piemonte, Associazione Base 202, Gruppi di Volontariato Vincenziano, Caritas parrocchiali, Associazione Acat Monte S. Giorgio, Associazione Avulss, Associazione Progetto Davide, Comunità cristiana di base di Piossasco, Associazione Gruppo Caritas Don Luigi Balbiano, Cooperativa Il Margine, Coldiretti, Crab, Comitato di Borgata San Pietro 2, Sportello Spazio donna-Banca del tempo, Croce Rossa italiana - Comitato locale di Moncalieri, Carità senza frontiere, Centro d’ascolto Emmaus, Organizzazioni sindacali. Beneficiari Le azioni comportano una significativa attivazione del beneficiario, con la personale partecipazione ai percorsi proposti: la proposta è mettere in gioco la propria disponibilità a ristrutturare Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti o almeno ripensare il bilancio familiare e il proprio stile di vita e di consumo, aderire ad attività collettive e fare gruppo. Valutazione di efficacia La valutazione dell’efficacia delle azioni di sostegno economico, la rilevazione, analisi, elaborazione dei dati sociodemografici è stata affidata al Servizio epidemiologico Asl To3. L’indagine viene compiuta somministrando, in collaborazione con Banca popolare etica, un questionario all’inizio del percorso di credito o di risparmio e uno al termine per verificare gli eventuali mutamenti intervenuti, la validità del supporto ottenuto e la cosiddetta soddisfazione del cliente. Sono stati previsti, inoltre, dei focus group con gli attori di territorio per monitorare la soddisfazione del cliente istituzionale e valorizzare gli spunti progettuali. Comunicazione sociale Il Programma si è avvalso di un’attività di comunicazione sociale sui temi della vulnerabilità. Sono stati organizzati convegni, conferenze stampa, presentazioni pubbliche e articoli per varie pubblicazioni. Le azioni sono pubblicizzate mettendo a disposizione dei territori materiale cartaceo, pieghevoli e locandine: è stata ideata un’immagine coordinata e un logo identificativo del Programma. Il materiale è disponibile sul sito web istituzionale dell’Ente. È stato pubblicato, nel 2008, un primo supplemento di Animazione Sociale, alla cui redazione hanno partecipato i territori coinvolti nella sperimentazione. 29 30 Una cascina per ricostruire lo «spazio comune» Il percorso di Fragili Orizzonti Da quale eredità ripartire? Sei anni di sperimentazione di Fragili Orizzonti/3 Daniela Alfonzi, A. Barbara Bisset La fase sperimentale del Programma Fragili Orizzonti ci lascia in eredità numerosi punti di forza e alcune criticità da cui ripartire per trasformare le misure del Programma in interventi ordinari a disposizione delle istituzioni pubbliche locali. Alcuni punti di forza da mettere a frutto Iniziamo con il sottolineare alcuni punti di forza e alcune linee operative positive che possono essere eventualmente raccolte e sviluppate. Le innovazioni di prodotto Le azioni sperimentate rappresentano un’innovazione anche per i soggetti pubblici che le hanno promosse; la platea dei potenziali fruitori è stata estesa con opportunità rivolte a fasce sociali tradizionalmente estranee all’area dell’assistenza economica, e si è ampliato il repertorio degli interventi sociali con attenzione alle caratteristiche e alle modalità proprie dei soggetti vulnerabili, ravvivando per questa via relazioni fiduciose tra servizi e popolazione e favorendo la partecipazione e l’esercizio della cittadinanza attiva. Particolare rilievo va posto all’impiego dell’asset building e del microcredito nell’ambito dei cittadini-utenti dei servizi sociali, cioè in condizioni socioeconomiche abbondantemente vulnerate, perché potenzialmente fecondo di nuove piste di intervento sia in termini di contenimento della spesa per erogazioni puramente economiche (sempre meno praticabili anche a fronte della progressiva esiguità delle risorse disponibili) sia in termini di percorsi di riorganizzazione di sé, poiché, se è vero che il danaro è Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti divenuto l’equivalente universale, ciò consente di scambiarlo con tutto, siano servizi, formazione, percorsi di altro tipo. Si è contribuito a promuovere la cultura sul fenomeno della vulnerabilità sociale, con interessanti gemmazioni di nuovi progetti e protagonisti, e a diffondere, valorizzare e praticare i temi del consumo responsabile, della critica al consumismo a favore della sobrietà per operare una riconfigurazione dei bisogni e dell’immagine di sé. Le innovazioni di processo Con la costituzione di gruppi di lavoro multidisciplinari e secondo il principio della sussidiarietà, si è investito fortemente sulla collaborazione tra più uffici e tra servizi di diversi assessorati (Lavoro, Ambiente, Agricoltura) di questa Provincia, sul coinvolgimento di più istituzioni ed enti pubblici; sono stati individuati partner di progetto per la definizione dei modelli organizzativi e la gestione operativa e partner locali con la costituzione di Tavoli di lavoro locali a partire dagli Uffici di Piano esistenti per la predisposizione e attuazione dei Piani di zona per la gestione e il monitoraggio delle azioni; sono stati coinvolti partner del Terzo settore territoriali per la costruzione di una rete sociale di accompagnamento. I partner di progetto, individuati sulla base di autocandidature, hanno coprogettato le misure partecipando perciò alla loro impostazione fin dall’inizio e in maniera determinante, mettendosi in gioco e divenendo essi stessi volano culturale. I territori hanno aderito alla sperimentazione sulla base di un’attenzione ai temi della vulnerabilità sociale già emersa nei Piani di zona del sociale, quindi il Programma ha offerto concretamente l’opportunità di agire in quell’ambito con risorse e strumenti nuovi. Il lavoro di individuazione e coinvolgimento dei partner di territorio – associazioni, sindacati, fondazioni, chiese, gruppi di cittadini organizzati – la loro partecipazione ai Tavoli di lavoro, ha consentito scambi proficui, responsabilizzazione di ognuno ed elaborazioni collettive. La valorizzazione dei legami di fiducia Per scelta metodologica le azioni sono state definite dalla Provincia e dai partner di progetto nei loro tratti perimetrali, mentre i soggetti territoriali, gli operatori e le associazioni hanno avuto la possibilità e l’onere di modularne modalità e contenuti specifici in stretto riferimento alle realtà e agli obiettivi localmente individuati; ciò ha consentito l’attivazione e il protagonismo degli attori locali e un lavoro di indagine condiviso i cui risultati sono divenuti patrimonio comune. 31 32 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti Gli enti locali hanno avuto occasione di ravvivare la relazione con i cittadini valorizzando i legami di fiducia nelle istituzioni. I beneficiari, inoltre, hanno sperimentato la possibilità di affrontare le proprie difficoltà in una dimensione di sostegno dignitoso (perché centrato sulla messa in campo delle proprie capacità) e socializzante, infrangendo così la percezione di isolamento e di inadeguatezza individuale. Infine, è stato predisposto un sistema di monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle azioni sia interno all’Ente – a cura dell’Ufficio sistema informativo – sia esterno – a cura del Servizio epidemiologia Asl To3 – cui ha collaborato efficacemente anche Banca popolare etica con la costruzione di due specifici database (1). Le innovazioni realizzate Le azioni, sia quelle economiche, sia quelle sul consumo, hanno costituito un effettivo aiuto, attivato relazioni positive ed esteso la rete della solidarietà. A titolo esemplificativo, segnaliamo alcune innovazioni realizzate: • integrazione sociosanitaria con l’asset building a Ivrea; • integrazione con azioni di sostegno a lavoratori con il microcredito a Venaria Reale (Consorzio Cissa di Pianezza) e Ivrea; • integrazione sociale con il Gruppo di acquisto a Piossasco (Consorzio Cidis di Orbassano), Ivrea, Torino, Pinerolo; • sperimentazione di asset building e microcredito anche in ambito strettamente assistenziale a Rivoli, Pianezza, Pinerolo; • diffusione dei Gruppi di acquisto collettivo, in particolare con sperimentazioni, anche in ambito ospedaliero, in relazione all’adozione di stili di vita salubri e a percorsi di cura per particolari patologie; • arricchimento del catalogo dell’assistenza sociale economica; • germinazione e diffusione di progetti analoghi in ambito regionale e nazionale con conseguente sviluppo di opportunità di confronto e circolarità di apprendimenti; • protocollo di intesa tra Ministero del Welfare e Unione province italiane per la diffusione del microcredito con l’apertura di sportelli nei Centri per l’impiego. Limiti e criticità emerse negli interventi L’esperienza di lavoro ha portato a confrontarsi anche con limiti e criticità. (1) Si veda l’articolo di Marino M., Costa G. e coll., Alla ricerca di un modello di valutazione, alle pagine 85-94 di questo supplemento. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti La difficoltà di uscire da un’ottica assistenziale L’autonomia dei Tavoli di lavoro e l’eterogeneità dei componenti, sommate alla difficoltà di comunicazione con i potenziali beneficiari – e di far loro conoscere le opportunità offerte – hanno rallentato i tempi, costretto a numerosi aggiustamenti e aumentato il carico di lavoro di ciascuno. In particolare, per quel che riguarda il microcredito, la difficoltà di uscire da una mentalità meramente assistenziale, del contributo a fondo perduto, ha contraddistinto una lunga fase temporale e richiesto incontri, dibattiti, riflessioni, assunzione di decisioni faticose e imposizione di limiti precisi. Va sottolineata la difficoltà di tradurre il modello del microcredito «classico», insediato in una comunità di dimensioni ridotte e regolato dal controllo sociale di relazioni gruppali, con quello inserito in una dimensione anonima e individualista: questa rilevante differenza ha generato un interessante filone di riflessioni sull’accompagnamento del creditore, non solo al fine di ottenere la restituzione del prestito e ridurre al massimo le condotte opportunistiche e truffaldine, ma anche come opportunità per costruire e rafforzare la rete sociale di sostegno. Comunicazione tra enti valorizzando il personale Dal punto di vista dell’organizzazione complessiva del Programma, l’esperienza induce a riflettere su due aspetti rivelatisi fondamentali: la carenza di risorse per contribuire alla valorizzazione del personale dedicato dagli enti territoriali coinvolti e la comunicazione tra enti istituzionali. Nell’impostazione del Programma, infatti, non è stata prevista, per motivi attinenti alla disponibilità di risorse e per limiti di progettazione, la possibilità di riconoscere il carico di lavoro in capo al personale degli enti coinvolti. Ciò ha significato, viste le ricorrenti condizioni di saturazione degli operatori sociali, che non vi potessero essere unità di personale dedicate, almeno parzialmente, allo sviluppo locale del progetto, cosicché quante vi hanno lavorato lo hanno fatto ritagliandosi «acrobaticamente» spazi e tempi e aumentandosi ulteriore carico di lavoro. Il secondo aspetto, la comunicazione tra gli enti è correlato alla non facile comunicazione con i soggetti vulnerabili che proprio per non essere una categoria precisa ma una condizione diffusa e intermittente richiedono necessariamente una impostazione trasversale del Programma: le azioni non possono essere confinate nell’ambito dei servizi assistenziali, ma devono esserci molteplici 33 34 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti fonti di informazione in modo che quanti operano a vario titolo nei servizi pubblici siano informati e coinvolti, tanto da poter recepire con attenzione le richieste di aiuto e indirizzarle utilmente verso gli strumenti adatti. Significa che l’Ufficio istruzione, l’Ufficio casa, l’Ufficio lavoro del Comune, ma anche il Centro per l’impiego, il medico di base e l’Asl dovrebbero poter essere «sensori precoci» del bisogno, in condizione di fornire l’informazione e di indirizzare verso i luoghi preposti. In un simile quadro il ruolo dei servizi sociali, essenziale per la regia e il coordinamento dell’attività, potrebbe essere più defilato rispetto al carico di lavoro diretto. Il concetto in sé è banale, ma banale non ne risulta la realizzazione che richiede, invece, tempo, risorse, alleanze e convergenze, al momento ancora insufficienti. Un difficile equilibrio tra costi e sostenibilità economica Il microcredito, sorprendentemente, si è rivelato come la più difficile tra le azioni messe in campo: la spiegazione è già stata in parte esplicitata; vi è da aggiungere che individui e famiglie ricorrono ormai al credito al consumo e all’indebitamento come forma consueta e privata di integrazione al bilancio e che molte delle situazioni che abbiamo intercettato erano già gravemente segnate da questa condotta. Quindi, non solo «siamo arrivati tardi», ma la scarsità di mezzi è tanto severa e perdurante da limitare fortemente e rendere inefficace la modesta somma a disposizione. La crisi occupazionale ha investito duramente il nostro territorio e sta comportando la generalizzata riduzione dei redditi per la cassa integrazione, la riduzione dell’orario di lavoro quando non anche la perdita dell’occupazione e/o la disoccupazione, perciò tanto la capacità di risparmio delle famiglie quanto la possibilità di restituzione del debito sono rese più difficili, ma un po’ per la capacità di adattamento delle azioni, un po’ per la determinazione degli enti del territorio che vi leggono una pratica di dignità delle persone e dei servizi, esso mantiene aperta un’opportunità di aiuto altrimenti non rintracciabile. Il tema dei costi e della sostenibilità economica delle azioni è ovviamente centrale per la riprogettazione del Programma: i costi della fase sperimentale, necessari e anche generativi, «costi di apprendimento» (2) legati all’esigenza di mettere a punto una pratica nuova – modificandola e aggiustandola strada facendo attraverso la discussione nei Tavoli locali – e alla necessità di individuare e Si veda l’articolo di Lambiase N., L’avvio di nuove forme di welfare civile, pp. 36-46 di questo supplemento. (2) Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Il percorso di Fragili Orizzonti sperimentare modalità operative e amministrative innovative, né possono né devono essere immaginati come il costo di riferimento per la fase ordinaria e perciò andranno ridefiniti e ridistribuiti. Le parole chiave sono compartecipazione e sinergia: compartecipazione, dunque, tra gli enti pubblici che vorranno inserire nella loro programmazione le azioni, tra i partner di progetto che già in una certa misura contribuiscono, dell’associazionismo, dei beneficiari. E poi sinergia, cioè tempo e risorse da dedicare affinché le azioni specifiche, queste e altre che potranno nascere, rappresentino le tessere di un puzzle che va costruito insieme ai soggetti che a vario titolo hanno al centro del loro agire la manutenzione del sociale e l’esercizio dei diritti come struttura portante della coesione sociale. Non ultimo in importanza, va ricordato anche il tema dell’avvicendarsi della rappresentanza politica o del personale tecnico, cui sono sicuramente assuefatti quanti lavorano negli enti pubblici, ma che ha avuto un peso significativo per il Programma che, essendo sperimentale e proseguendo nel tempo, ha dovuto a ogni cambio di amministrazione misurarsi con le nuove sensibilità e le diverse condizioni che via via si presentavano, con i relativi effetti di rallentamento e conseguente aumento di costi. 35 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Le partnership in azione Parlare di partnership non è riducibile, nella logica di Fragili Orizzonti, a mettere insieme risorse finanziarie per un progetto comune. La partnership è vista anzitutto come un modo di pensare o, se si vuole, un modo di mobilitare pensiero intorno a un problema complesso, non padroneggiabile da nessuno, facendo spazio al contributo di tutti per mettere a fuoco ipotesi di lavoro sostenibili che portano a ridefinire il lavoro di ogni attore rispetto al problema e che prendono forma in molteplici azioni, valorizzando le caratteristiche distintive di ogni organizzazione. Per questo motivo, nel rielaborare Fragili Orizzonti, è diventato importante fare spazio alle diverse riletture dei contenuti della partnership da parte delle organizzazioni che avevano accettato di lavorare insieme per contrastare la vulnerabilità nei diversi esiti. E dunque alle riletture da parte delle istituzioni provinciali vengono ad accompagnarsi le riletture da parte dei due attori principali sul campo insieme ai servizi sociali territoriali: la Banca etica e il Movimento consumatori. Si giunge in tal modo a una sorta di valutazione partecipata che permette a ogni attore di rendere ragione – dal proprio punto di osservazione – di una partnership che, non senza difficoltà (in particolare quella di farsi vicini ai cittadini nella loro vulnerabilità), ha potenziato la capacità di azione di tutti gli attori. 37 38 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione L’avvio di nuove forme di welfare civile Appunti sul rapporto tra Provincia di Torino e Banca etica Nadia Lambiase Perché una banca dovrebbe figurare come partner in un programma di politica pubblica promosso da un ente locale? E quali vantaggi e/o insegnamenti può trarne? Riportiamo qui di seguito alcuni apprendimenti maturati da Banca popolare etica (1), a seconda dei livelli di relazione instaurata con i diversi soggetti: Provincia di Torino, territori (2) e beneficiari finali del progetto. La scelta della partnership Banca etica è partner tecnico/finanziario del Programma Fragili Orizzonti per le misure del microcredito (solo per il sociale e non all’impresa), e dell’asset building. La natura giuridica della banca, società cooperativa per azioni, il sottostante valore della mutualità e l’attenzione «alle conseguenze non economiche dell’agire economico» (3) sono alla base della relazione di partnership tra la Provincia di Torino e Banca etica (un legame rafforzato anche dal fatto che la prima è socia della seconda). Il carattere sperimentale del Programma ha, comunque, permesso alla Banca di giocare un ruolo di primo piano anche come partner progettuale. Interessante, infatti, è il lavoro di co-progettazione che si è sviluppato nell’ambito della sperimentazione di una politica pubblica innovativa, dove ognuno ha mantenuto la sua specificità di soggetto pubblico o privato. La Banca, pertanto, «fa la banca» (1) Banca popolare etica è una banca nata nel marzo del 1999, con sede legale a Padova. Tale forma giuridica (Banca popolare) le permette di operare a livello nazionale tenendo fede ai principi fondanti della cooperazione e della solidarietà. È caratterizzata da un azionariato diffuso e da processi democratici di decisione e partecipazione. La sua peculiarità consiste nella trasparenza, nella partecipazione e nelle modalità di utilizzo del denaro. (2) I territori consortili della Provincia di Torino sono 10: Cidis di Orbassano, Cisa di Rivoli, Cisap di Collegno&Grugliasco, InRete di Ivrea, Cssac di Chieri, Cissa di Pianezza, Ciss38 di Cuorgnè, Comune di Pinerolo, Comune di Moncalieri. (3) Cfr. art. 5 dello statuto di Banca popolare etica. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione erogando crediti (microcredito) e accompagnando alla creazione di risparmio (asset building), senza che la sua azione venga confusa con la beneficenza. «Prestare attenzione alle conseguenze non economiche dell’agire economico» significa chiedersi se l’azione economica che si sta intraprendendo a favore di terzi arrecherà un miglioramento oppure un peggioramento ai diretti interessati o ad altre persone. Per cui, per esempio, se una persona chiede un prestito, ma è già indebitata oltre misura, o si valuta che non ci sono le condizioni strutturali e relazionali perché la persona possa in futuro restituire il credito, si rifiuta la richiesta poiché viene ritenuto che non vi siano le condizioni adeguate per portare un miglioramento alla sua situazione attuale. L’orizzonte politico-sociale di Fragili Orizzonti è quello delle capacitazioni, dei funzionamenti e dell’empowerment di cui parla l’economista e filosofo Amartya Sen (4). Il progetto cerca, in parole povere, di mettere le persone nelle condizioni migliori per poter operare e raggiungere i propri obiettivi in modo autonomo. Infatti, con il microcredito persone che hanno difficoltà ad ottenere prestiti nel circuito classico del credito (banche e finanziarie) perché non dispongono di garanzie reali adeguate, possono, eventualmente, ottenere un piccolo prestito a fronte dell’attivazione di dispositivi relazionali e sociali di accompagnamento. Il prestito è agevolato ma non a costo zero. A tutti gli effetti si sottoscrive un contratto con la Banca e ci si impegna formalmente. Con la misura dell’asset building si dà la possibilità alle persone con difficoltà a risparmiare di essere accompagnate e incentivate a farlo. Anche in questo caso si sottoscrive un contratto formale. Nel Programma Fragili Orizzonti, la Provincia di Torino si è fatta carico dei costi vivi di entrambe le misure, istituendo il fondo di garanzia e permettendo un tasso agevolato per il microcredito, e istituendo il fondo delle integrazioni al risparmio per l’asset building. Inoltre ha riconosciuto un compenso per il servizio svolto dalla Banca. La Banca quindi, a parte essere pagata per il suo lavoro, non trae margine di guadagno economico nel fare parte del Programma. Tuttavia ha tratto, e continua a trarre, guadagno dal punto di vista del know how appresso e maturato dalle relazioni a vario livello aperte. Microcredito come politica pubblica Una delle sfide cruciali che la Banca, insieme alla Provincia di Torino si è trovata ad affrontare è stata la definizione di un modello di microcredito in quanto politica pubblica. Il rischio incontrato, infatti, è che il microcredito venga considerato, sia dalla politica che dai beneficiari cui si rivolge, una panacea per tutti i mali, dalla povertà (4) Cfr. Sen A., La diseguaglianza. Un riesame critico, il Mulino, Bologna 1997. 39 40 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione alla perdita di lavoro. Pertanto, qualsiasi politica sociale che voglia annoverare tra le proprie misure di sostegno al credito, il microcredito quale strumento di contrasto alla vulnerabilità, deve sapere che esso necessita di una declinazione specifica per il contesto dei Paesi industrializzati, diversa da quei contesti territoriali in cui ha avuto origine. Una differenza importante è il modo con cui questi percorsi vengono attivati. Nei Paesi industrializzati spesso hanno origine in seno alle istituzioni, nell’ambito dello stesso welfare state, cioè nascono come offerta più che come domanda. In questo modo la garanzia relazionale, altrove resa possibile grazie alla presenza di un particolare contesto sociale, nei Paesi industrializzati viene sostituita da un fondo di garanzia istituito da enti pubblici o privati, da un percorso di accompagnamento e dall’applicazione di un basso tasso di interesse. Quest’ultimo aspetto è uno dei fattori che contribuisce a generare una potenziale incomprensione dello strumento anche da parte dei beneficiari. Come interpretarlo: credito facile e a tutti i costi, o un prestito agevolato per un progetto specifico? Sovente è capitato che lo strumento proposto venisse scelto semplicemente perché competitivo sul più vasto mercato del credito al consumo. All’opposto, l’incomprensione dello strumento, in quanto supporto a situazioni di fragilità, è data anche dalla difficoltà e dalla reticenza – da parte delle persone – a percepirsi vulnerabili. Formulando in maniera diversa la domanda posta inizialmente (microcredito come politica pubblica) ci si chiede: quali sono le comunità cui fare riferimento nei paesi industrializzati? Una possibile risposta può essere che la politica locale si renda promotrice di un processo di connessione tra gli attori della società (enti pubblici, istituti di credito e associazioni di territorio) al fine di agevolare l’emersione delle comunità/collettività dei potenziali beneficiari. In quest’ottica la sperimentazione di Fragili Orizzonti è stata, quindi, un’opportunità per delineare con maggior chiarezza l’esistenza di tre tipologie di microcredito sociale con le relative caratteristiche: • microcredito socioassistenziale: segnalazione, accoglienza e accompagnamento da parte dei servizi sociali; • microcredito cluster: segnalazione, accoglienza e accompagnamento dalle reti territoriali, tendenzialmente chiuse (associazioni, circoli, parrocchie, cooperative, ecc.); • microcredito pubblico: misure di sostegno al credito per il singolo. Nella prima tipologia ci si muove dentro al servizio sociale, e al possibile beneficiario non si richiedono requisiti di accesso economici ma è necessaria la presenza di un assistente sociale come garante morale. Rispetto alla seconda si è visto come nella realtà sia difficile trovare tali reti territoriali, o tessuti associativi. Infatti, la rete se non è già costituita non la si crea all’occorrenza, e quando è presente, il più delle volte, Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione ha già al suo interno il proprio progetto di microcredito. Infine per il terzo tipo si pone il problema dell’accoglienza e dell’accompagnamento. Problema che si può risolvere individuando e accreditando un soggetto del territorio, pubblico o privato, che professionalmente svolge un’attività di consulenza e accompagnamento. La differenza principale che risiede tra le prime due tipologie di microcredito e la terza sta sostanzialmente nella sua forma chiusa o aperta. Nel caso del microcredito socioassistenziale o cluster la misura è escludente rispetto a tutti coloro che non sono soci, residenti o, in qualche maniera, appartenenti al soggetto promotore. Nel caso del microcredito come politica pubblica, invece, sono potenzialmente ammessi tutti i cittadini residenti nel territorio di competenza dell’ente, dati determinati requisiti di reddito. Quello che risulta deterrente in tale frangente è la possibilità di esclusione dal cluster e, in maniera diversa, dai benefici del servizio sociale. L’ideale sarebbe dunque l’attivazione di un programma di microcredito pubblico che comprenda le tre varianti: l’accesso a persone in carico ai servizi, l’attivazione e il sostegno a forme di microcredito cluster e l’accesso al comune cittadino/a. In questo senso nei paesi industrializzati è possibile parlare di microcredito di rete, dove, nuovamente, il fattore su cui si vuole scommettere è la fiducia. Infatti, il rapporto creditizio non si esaurisce in una relazione bilaterale tra chi richiede il prestito e chi lo concede, ma si allarga sempre a un terzo soggetto che, a seconda dei casi, può essere un’associazione, una cooperativa, un comune o il servizio sociale. Il compito principale di questo soggetto è quello di accogliere le richieste di prestito e filtrarle valutandone l’idoneità. I dati raccolti hanno confermato l’assunto secondo cui è più facile che venga erogato il credito a persone in condizioni di fragilità e rischio, quando supportate da un progetto e una rete, rispetto a persone in situazioni economiche migliori ma prive di una significativa rete sociale. Asset building: legami privati di interesse pubblico La sperimentazione dell’asset building, dal canto suo, ha permesso di ragionare sul nucleo familiare in termini di asset, cioè come un vero e proprio bene (5). Questo significa dedicare alla famiglia (6) risorse e investimento. Considerata tradizionalmente la (5) Cfr. Semplici S., La famiglia: un legame privato di interesse pubblico, in Botturi F., Vigna C., (a cura di), Affetti e legami, Vita & Pensiero, Milano 2004, pp. 65-84. (6) Utilizzando come parametro la definizione data dall’Istat: «Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune; una famiglia può essere costituita da una sola persona». 41 42 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione «cellula fondamentale dalla società», rispetto a questa si differenzia per la sua natura privata, ma con una rilevanza pubblica. Dunque la sfera sociale come spazio di incontro tra la dimensione pubblica e la dimensione privata, in cui è possibile valorizzare i legami privati, come le famiglie, in quanto interesse pubblico. Da quanto emerso ne discende la necessità di un’adeguata definizione di che cosa si debba intendere per benessere familiare, e se e come esso debba rientrare tra i più ampi obiettivi della nazione. La sperimentazione dell’asset building, in quanto misura di sostegno al risparmio, si configura a tutti gli effetti come politica di contrasto alla vulnerabilità sociale e di promozione della famiglia. Ne discende l’importanza della tutela del risparmio familiare da parte dei pubblici poteri, in aggiunta alla tutela del risparmio individuale. I due termini (familiare e individuale) infatti, pur se usati spesso in modo indifferenziato, rivelano una diversa connotazione etica, oltre a implicare una scelta metodologica diversa nell’analisi economica. Accogliendo l’interpretazione secondo cui il focus delle analisi, tanto delle politiche sociali quanto di quelle economiche, è la famiglia nel suo insieme e non il singolo individuo, significa considerare la matrice collettiva delle scelte relative alla destinazione dei redditi monetari, di lavoro e patrimoniali, che afferiscono alla famiglia. Scelte cui partecipano, seppur con peso ineguale, tutti o quasi tutti i suoi membri, compresi quelli che per motivi di età o di condizioni di salute non sono in grado di contribuire con il loro lavoro alla formazione del pool di risorse. Questo schema interpretativo del risparmio familiare si può definire ancora valido nella maggior parte dei paesi, anche se si nota una tendenza al mutamento nelle aree maggiormente sviluppate. I vincoli familiari si allentano e l’istituzione familiare sembra attraversare una fase critica. L’esito non felice di questo processo potrebbe essere rappresentato da una società atomizzata, composta da famiglie unipersonali. Infine la declinazione del risparmio, oltre al binomio individualefamiliare, può assumere una forma collettiva. Percorsi di risparmio collettivo finalizzati, ad esempio, all’acquisto di impianti fotovoltaici o di mezzi di trasporto in condivisione, contribuiscono ulteriormente alla valorizzazione dei legami privati in un’ottica di interesse pubblico. Alcuni punti fondamentali per entrambe le misure Partendo dalle considerazioni sopra esposte, il lavoro congiunto tra pubblico e privato svolto all’interno di politiche pubbliche di contrasto alla vulnerabilità, ci porta a evidenziare i seguenti punti per entrambe le misure. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Modaltà di selezione In questa modalità è da prediligere un approccio formale (bando o avviso pubblico) o un approccio informale? Ovvero, è da preferire la garanzia dell’imparzialità istituzionale all’accesso o la discrezionalità territoriale? Per un programma permanente è preferibile una modalità di selezione istituzionale, e viceversa in un contesto sperimentale si adatta meglio un criterio di informalità che permette un grado di duttilità maggiore. Nella sperimentazione del microcredito di Fragili Orizzonti si sono avute entrambe le modalità di selezione. I dati a riguardo evidenziano come la presenza di un bando, che individua criteri formali di accesso (posizione lavorativa, Isee), garantisce un’alta probabilità che la domanda, se rispecchia i criteri del bando, venga anche formalizzata. Di queste, tuttavia, meno della metà giunge a erogazione. Il motivo dei rifiuti è dato nel 43% dei casi dalla presenza di un eccessivo indebitamento e nel 28% dei casi per un reddito comunque insufficiente. Al contrario le domande inviate dagli sportelli senza bando hanno registrato un bocciatura maggiore al primo step (formalizzazione), ma un grado maggiore di successo finale (erogazione). Luogo e attore territoriale La natura e l’identità dell’ente preposto all’accoglienza (comune, consorzio, associazione territoriale), viene percepito come proponente la misura e influenza in maniera decisiva la predisposizione del soggetto che a essa si avvicina. Quest’ultimo, in maniera quasi automatica, rappresenta se stesso in relazione all’ente, percependosi, a seconda dei casi, un assistito o un cittadino che esercita un suo diritto. Inoltre, a prescindere dalla tipologia dell’ente, si evidenzia l’importanza per chi fa accoglienza, di possedere una competenza specifica sia di natura relazionale che di natura tecnica. Compartecipazione al rischio Nel caso di più soggetti, pubblici o privati, che partecipano al medesimo progetto, come il Programma in questione, potrebbe essere auspicabile un’effettiva condivisione del rischio o dei costi. Per il microcredito significa una gestione del fondo di garanzia compartecipata. Infatti, sia l’evidenza storica che la medesima sperimentazione mostrano come la sovrapposizione del soggetto garante e del soggetto intitolato a decidere chi e come indirizzare alla misura, sia condizione necessaria per un efficace andamento nella restituzione dei prestiti. In altre parole, se chi ha il compito di «filtrare» le domande è lo stesso che garantisce economicamente anche per esse, allora ha tutti gli interessi perché gli affidamenti siano fatti nella maniera più oculata possibile, da un lato, e, dall’altro, che vengano attuati tutti gli strumenti necessari per 43 44 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione un corretto accompagnamento, onde evitare di incorrere in perdite. Per l’asset building, invece, compartecipazione ai costi più che non ai rischi, può significare di pensare l’integrazione al risparmio in forma di erogazione di servizi gratuiti o agevolati (riduzione o azzeramento rette asili nido, scuola materna, tasse rifiuti ecc.). Costi e investimenti: la relazione e il processo di apprendimento Le relazioni interpersonali si sono dimostrate fattore determinante per la buona riuscita del Programma. A tal proposito si evidenzia l’importanza della cura espressa nelle relazioni e nei processi organizzativi, riconoscendo come l’empowerment delle persone è possibile, prima ancora che attraverso i programmi in sé, attraverso le persone che concretamente attuano, incarnano, tale programmi nel territorio. L’investimento di natura relazionale ha portato i suoi risultati sia quando è stato messo in campo nei tavoli di lavoro, sia quando è stato giocato nella relazione diretta con i beneficiari sui territori. Ma tutto ciò ha un costo, che seppure difficilmente quantificabile non è meno incidente, di cui qualcuno, o meglio ciascuno, si deve fare carico. Un altro aspetto degno di nota è relativo al costo dell’apprendimento. Fragili Orizzonti è partito come un programma triennale (2006-2008). Di questi tre anni 2/3 sono stati dedicati all’elaborazione, definizione e spiegazione delle due misure ai tavoli di lavoro. Solo un anno è rimasto per l’attuazione delle misure. E in quell’anno non si sono raggiunti i numeri previsti. Di conseguenza, di anno in anno, il Programma è stato prorogato per altri due anni e mezzo. Questo a riprova di come pratiche innovative hanno bisogno di tempo per essere apprese e comprese, prima di tutto dagli attori istituzionali del territorio, soggetti che devono esser in grado di comunicare direttamente ai destinatari, e in secondo luogo, devono essere comprese da questi ultimi. Il rapporto con i territori L’ultimo aspetto sopra ricordato conduce direttamente al secondo livello di interesse, la relazione con i «territori», cioè i territori consortili che hanno aderito alla sperimentazione di Fragili Orizzonti. L’attore maggiormente presente in ciascun territorio è stato il consorzio, discreta la partecipazione dei funzionari comunali e scarsa quella politica e associativa. I territori e i beneficiari La diversa composizione che si è venuta a delineare nei tavoli, per la natura delle persone e delle istituzioni coinvolte, ha determinato, differenze nella realizzazione dei percorsi delle due misure. Per esempio, la composizione dei tavoli territoriali ha sicuramente Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione determinato la natura dei garanti morali per la misura del microcredito. Dove sono presenti associazioni o centri di ascolto, questi hanno svolto la funzione di garante morale, dove è presente solo il consorzio, è il servizio sociale ad aver svolto tale funzione, dove invece i comuni sono attivi anch’essi hanno ricoperto il ruolo. Una garanzia morale fornita da comuni o associazioni ha garantito come esito l’erogazione nel 95% dei casi circa, la percentuale scende al 60% circa quando la garanzia è fornita dal servizio sociale, dove, per contro, non si è registrata alcuna escussione, a differenza degli altri due casi in cui mediamente il 40% delle pratiche erogate è stato poi escusso. L’ente comunale, che ha garantito per lo più persone già molto indebitate (45%), nel fare da garante ha supportato nel 74% dei casi persone occupate, mentre le associazioni e i servizi sociali hanno allargato molto di più il loro supporto a persone con un profilo lavorativo più fragile (disoccupati, beneficiari di borsa lavoro, inabili al lavoro). Per quanto riguarda la misura dell’asset building, la variabile della composizione dei tavoli di lavoro ha invece direttamente influito sulla scelta dei beneficiari individuati. Infatti, i tavoli con una presenza maggiore dei comuni hanno decisamente investito sul target famiglie, mentre quelli con la sola presenza del consorzio hanno sperimentato una maggiore varietà di target, dove comunque le famiglie alla fine risultano il target più numeroso, seguito da quello composto da persone conosciute dai servizi sociali. Tuttavia, i vari territori hanno sperimentato una difficoltà comune: la mancanza di una definizione chiara e precisa di vulnerabilità, in termini di indicatori e parametri, tale da poter intercettare facilmente il target di riferimento. In particolare, per quanto riguarda i parametri reddituali si è avuta difficoltà a individuare l’indicatore oggettivamente più opportuno da utilizzare tra quelli disponibili, (Isee, Ise, Cud, buste paga), e tale da renderlo applicabile su tutti i territori. Tale difficoltà è stata acuita dalla singolarità di ogni realtà, ciascuna con propri e diversi parametri soglia per altre misure e interventi attivi sul territorio. L’esperienza ha mostrato come la compresenza di indicatori (Isee e buste paga) sopra citati sia stata la soluzione più adottata. Accanto a parametri di natura puramente economica, ogni territorio ha provato a definire indicatori di fragilità dalle famiglie (difficoltà a pagare la Tarsu, difficoltà a pagare la mensa per la scuola dei figli), potenzialmente utili per intercettare il target. Tuttavia in pochi casi la definizione di tali indicatori ha portato alla messa a punto di strategie concrete di comunicazione mirata. Il problema maggiore di fondo era l’impegno e il tempo richiesto per effettuare una scrematura dei potenziali beneficiari attraverso filtri di ricerca non precostituiti. 45 46 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione L’apprendimento dei territori Dal punto di vista della Banca è stato molto stimolante affiancare i diversi tavoli ciascuno con la propria specificità. Infatti, il livello relazionale instaurato con i vari tavoli di lavoro è stato un altro campo di co-progettazione e realizzazione delle misure. Riportando brevemente lo «sguardo» dei territori sui tre anni di sperimentazione evidenziamo come l’aspetto principale che emerge è l’opportunità di apprendimento sperimentata dai territori stessi attraverso la messa a punto di misure nuove. Questi tre anni hanno offerto ai territori coinvolti, e di conseguenza agli attori presenti ai tavoli, di aprire una riflessione sul modo in cui i servizi pubblici sono offerti sul territorio, e di come ci si pone in ascolto dei bisogni delle persone. I tavoli di lavoro sono arrivati a dire che il primo vero cambiamento deve avvenire dentro il servizio e l’ente: cambiamento nei confronti dei cittadini e degli strumenti che si propongono. In particolare lo strumento dell’asset building si è rivelato molto interessante perché è andato a stimolare capacità nuove nel servizio stesso, prima ancora che nei beneficiari finali. Il beneficio maggiore è stato quello di instaurare una nuova relazione tra utenti e operatori, i quali vengo assunti a punto di riferimento anche per nuove e diverse questioni, come quella dell’indebitamento, piaga venuta a galla grazie alle due misure. Ma ci si è scontrati anche sull’impreparazione dell’ente a proporre nella maniera adeguata e alle giuste persone tali strumenti innovativi. Il rapporto con i beneficiari L’ultimo livello di relazione, ma non per questo meno significativo, instaurato dalla Banca è quello con i diretti beneficiari. Di cui riportiamo due aspetti principali: l’educazione finanziaria e l’immaginario del denaro. La fotografia media dei beneficiari incontrati non è quella di persone ai margini del circuito del credito. Al contrario, oltre a disporre già di un conto corrente dispongono anche di altri strumenti finanziari quale la carta di credito, mostrando, anche, situazioni di mal utilizzo o situazioni già fortemente compromesse con le finanziarie. A prescindere dal livello di istruzione dei beneficiari si è avvertito un forte bisogno generalizzato di alfabetizzazione finanziaria, a partire dai servizi comuni offerti dalle banche (e finanziarie), fino alle modalità di impiego o investimento dei soldi. Grazie in particolar modo al percorso formativo e di accompagnamento previsto dalla misura dell’asset building, si è potuto entrare in maniera significativa nella vita dei beneficiari incontrati. Nello specifico si è avuto modo di far emergere attraverso il confronto e a partire dal proprio vissuto inteso come l’immaginario, le credenze e le abitudini che, oggi, si hanno nel rapporto con il denaro. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione L’approccio utilizzato è stato quello della psicologia economica con cui si è voluto far prendere coscienza alle persone di come esse si relazionino, di volta in volta, con il denaro, con il concetto di risparmio e di consumo. Il rapporto con il denaro La definizione di denaro che torna maggiormente è quella di strumento di scambio necessario per vivere in questa società, che serve a soddisfare bisogni primari e quelli meno essenziali. Viene riconosciuto fondamentale per vivere con serenità, ma allo stesso modo non si nasconde il peso che comporta la necessità di una sua gestione oculata. Accanto a una definizione razionale si indaga anche sul potere simbolico del denaro. Un padre di famiglia dice: «Il denaro dal punto di vista razionale, ha un potere reale d’acquisto; dal punto di vista della pancia ha una valore simbolico: si acquistano esperienze». Per lo più, il denaro viene legato a una dimensione prettamente razionale, poiché bisogna ragionare su come spendere i soldi, ma si ammette anche una componente soggettiva, legata a impulsi e persino agli affetti. Si arriva a considerare la gestione emozionale, seppure ragionevole, del denaro, ad esempio quando si compra per i figli. Infine si riconosce come ci possa essere irrazionalità tanto nella mania del risparmio quanto in quella del consumo. L’attenzione al risparmio Quando si indaga il concetto di risparmio emergono subito le differenze caratteriali e in parte culturali delle persone. Ritorna in tutti i gruppi una compresenza di sensazioni positive (valorizzazione di una maggior certezza futura, stima di sé, soddisfazione) e sensazioni negative (di privazione, fatica e rinuncia). Tale compresenza ambigua la si può spiegare facendo interagire il nostro livello di «pancia» e di «testa». Generalmente il primo, più immediato per natura, fa prevalere, rispetto al concetto di risparmio, il risvolto negativo e di rinuncia, il secondo, più ponderato, ne mette in luce i risvolti positivi. Si ribadisce con forza la fatica di risparmiare, sia per questioni oggettive, il caro vita, sia per questioni culturali, vivere nella società dei consumi, successiva a quella parsimoniosa dei nonni, in cui forte e radicata era la dimensione della rinuncia in vista di un risparmio futuro. La riflessione sul consumo «Suola della scarpa consumata; candela che si consuma». Due delle immagini che suscita la parola consumare. Generalmente si è evocata un’immagine negativa, interpretando, quasi automaticamente, un consumo che va oltre ai bisogni. Se le immagini evocate sono tutte con un risvolto negativo, tale parola, tuttavia, suscita sia sentimenti 47 48 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione negativi (ansia, spinta al consumo come modello esasperante della società che rovina e stanca l’esistenza), ma anche fortemente positivi (piacere, soprattutto quando si compra il non necessario). Il sentimento positivo o negativo dipende molto dalla tipologia di acquisti. Infatti comprare per i figli o per chi si vuole bene, spendere per le vacanze, o per un oggetto tanto desiderato, o quando si chiude un affare, rende, persino, felici. Al contrario spese legate a ricambi auto, alla manutenzione della casa, a spese impreviste, alle medicine, e in generale tutto ciò che si deve comprare per forza, rende meno felici. Anche le definizioni proposte pongono l’accento su una dimensione positiva: consumare significa soddisfare bisogni/desideri, riconoscendone addirittura una funzione animalesca; significa anche benessere individuale e collettivo, perché si «fa girare l’economia». Ma diventa una scocciatura quando il budget è limitato. Anche in questo caso come per il risparmio tale compresenza ambigua si può interpretare sui due livelli analitici «di pancia e di testa». Al primo livello il consumo suscita sensazioni positive (soddisfazione), a livello razionale, invece, intervengono pensieri di carattere più negativo. Esattamente al contrario di come capita per il risparmio. Legato a queste differenti percezioni conta anche l’educazione ricevuta. Conclusioni Alla luce di quanto detto, la partnership tra la Provincia di Torino e Banca popolare etica, all’interno della sperimentazione di Fragili Orizzonti, può configurarsi come un tentativo di realizzazione di un welfare civile, dove non è solo esclusivamente l’ente pubblico a farsi carico dei problemi sociali, ma è insieme che si concorre nella loro risoluzione. Lo spazio pubblico infatti, non è più riducibile allo spazio dello «stato». Per cui «non basta [più] il pluralismo delle istituzioni ma è necessario anche il pluralismo nelle istituzioni» (7). L’esperienza di Fragili Orizzonti può essere indicata come esempio di «amministrazione condivisa» (8) per indicare l’alleanza tra pubblica amministrazione e società civile organizzata. Pertanto, il ruolo giocato da Banca etica all’interno delle relazioni instaurate, con la Provincia di Torino, con i territori e con i beneficiari, è esattamente quello di un’impresa civile «la (cui ) funzione obiettivo è quella di produrre intenzionalmente nell’ammontare più elevato possibile, esternalità sociali, che rappresentano uno dei più rilevanti fattori di accumulo di capitale sociale» (9). (7) Zamagni S., Bruni L., Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, il Mulino, Bologna 2004, p. 238. (8) Cfr. Arena G., Utenti clienti, alleati: nuove prospettive nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, in Montebugnoli A. (a cura di), Questione di welfare, FrancoAngeli, Milano 2002. (9) Zamagni S., Bruni L., op. cit., p. 183. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione Esperienze di consumo consapevole Autodeterminare i consumi alimentari con i Gruppi di acquisto collettivo Alessandro Mostaccio È dal 2005 che, come Movimento consumatori di Torino, ci dedichiamo a organizzare una piattaforma di acquisto di prodotti alimentari indipendente dalle filiere tradizionali. A oggi più di 1.300 famiglie si sono associate a uno dei 15 Gruppi di acquisto collettivo (Gac) che negli anni abbiamo creato in partnership con la Provincia di Torino. Una valida alternativa Cinque anni di progetti di filiera corta, nel tentativo di fornire una concreta alternativa a chi aveva un minimo di tempo e voglia per cambiare, almeno in parte, il proprio stile di consumo. Alcuni svantaggi del mangiare bio Sebbene la maggior parte delle energie siano state dedicate alla logistica di funzionamento dei Gruppi (scelta dei fornitori, evasione delle loro fatture, raccolta degli ordini degli iscritti, ricevimento delle forniture, distribuzione dei prodotti, coordinamento dei Gruppi di acquisto, individuazione e gestione delle sedi dei Gruppi, ecc.), devo dire che, mentalmente, non abbiamo mai smesso di interrogarci sui motivi del successo di questa esperienza. Certo, non è male poter mangiare bio, in prevalenza proveniente dal proprio territorio di residenza, e in questo modo risparmiare anche. Ma se si considera che si può ritirare solo cosa si è ordinato la settimana precedente, e che lo si deve fare a giorno e orario fisso, e che poi, talvolta, su 20 prodotti ordinati un paio mancano, ecco che allora se ne capiscono anche i limiti. E poi, ancora, lo svantaggio è che comprare tutti gli ortaggi insieme normalmente presuppone la necessità di pulirli tutti subito perché possano durare l’intera settimana. Insomma, non è proprio la cosa più semplice. Aderire a un Gac richiede per forza di cose 49 50 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione anche una certa propensione all’organizzazione/programmazione della propria dispensa settimanale. È necessario, per esempio, che si inizino a consumare per primi i prodotti che si deteriorano più facilmente, e dedicare del tempo alla loro preparazione. Nel nostro paniere non si trova nessun prodotto di quarta gamma (ad esempio già lavato o pronto per l’uso). Da ultimo, potendo ordinare una sola volta la settimana, se ci si dimentica qualcosa, si aspetta la settimana successiva. Perché i Gac hanno successo? I Gac tuttavia hanno successo perché rispondono a un’esigenza di chiarezza sulle scelte di fondo che motivano le nostre azioni di consumo. Il nostro paniere è completamente altro rispetto alle caratteristiche dei prodotti che prevalentemente affollano gli iper/supermercati ove le grandi marche si contendono le posizioni sugli scaffali a colpi di campagne pubblicitarie milionarie. Al contrario, nessuno dei nostri prodotti viene pubblicizzato attraverso i media. Per evitare una forte ideologizzazione dell’esperienza, fin dall’inizio abbiamo cercato di impostare i Gac in modo molto «laico». Fin dal 2007, al fine di raggiungere l’obiettivo di creare una nuova vera misura di sostegno al reddito, abbiamo cercato di impostare il progetto in un’ottica proconcorrenziale. Tale decisione ha comportato che il listino migliorasse dal punto di vista dei prezzi, non solo man mano che i volumi ordinati aumentavano (e il Movimento consumatori aveva la possibilità di ricontrattare i prezzi) ma, anche, tutte le volte in cui, a parità di prodotto, si riusciva a individuare aziende che percepivano le specificità della nostra organizzazione. Erano aziende che si sforzavano di pattuire in maniera trasparente i prezzi applicabili a una filiera corta così spinta, in cui il prezzo del prodotto corrisponde perfettamente a quanto intasca il produttore. Il rispetto del lavoro agricolo, l’equità nei rapporti di filiera, la difesa dell’ambiente e il desiderio di contribuire a rilanciare l’economia locale hanno però guidato le nostre scelte. Anche i Gac hanno cercato di recepire tutti questi indirizzi, senza usarli come strumento di proselitismo. Si sono limitati a testimoniare un’alternativa. Un’alternativa leggera e poco impattante sulle precarie condizioni di salute del pianeta, ma soprattutto un’alternativa all’impossibilità di sapere cosa si consuma e quali saranno gli effetti sul nostro organismo e su quello dei nostri figli. Il proprio bene e quello della comunità Se siamo onesti, ma un po’ cinici, riconosciamo infatti che l’acquisto collettivo presso uno dei nostri Gac è un gesto responsabile, ma che dà soddisfazione, per adesso, soprattutto a chi lo fa. Non perché le Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione motivazioni etiche siano scemate, ma perché l’economia complessivamente coinvolta da questo genere di filiera non è ancora in grado di incidere significativamente sulla possibilità di invertire la rotta dell’impatto complessivo del neoliberismo economico applicato al mercato dei prodotti alimentari e quindi dell’agricoltura. Ma questo ruolo di testimonianza, in primo luogo nei confronti di sé, della propria famiglia e di una piccola comunità quale può essere il Gruppo di acquisto, diviene strategicamente importante nel restituire fiducia nella possibilità di autodeterminarsi e di poter aumentare le fratture di un sistema che piace solo più alle grandi aziende. L’importanza del fare esperienza di atti di consumo orientati chiaramente in primo luogo al proprio bene e a quello della propria comunità umana e ambientale (ad esempio la comunità agricola del territorio della Provincia di Torino), permette di determinarci e riappropriarci della sovranità alimentare nostra e del territorio. Mobilitarsi verso la salubrità Non per niente, mai come in questi ultimi anni, in molti si stanno mobilitando per rispondere a una maggiore sensibilità dei cittadini in merito alla salubrità di ciò di cui ci nutriamo, il cibo. Da questa esigenza partono campagne politiche anche nobili, ma che poco hanno a che fare con l’obiettivo prefissato. Tendenze poco efficaci perché nel loro essere profondamente riformiste, intendono migliorare l’attuale modello di consumo senza cambiarlo alla radice. Orientarsi a un acquisto consapevole Troppo spesso, erroneamente, attribuiamo ad esempio alla possibilità di conoscere la provenienza di un prodotto alimentare, la demiurgica sicurezza di alimentarci in maniera sana. Come dire che un prodotto è più sicuro perché proviene dalla Germania anziché dalla Polonia. O dalla Francia anziché dall’Italia. Ragionare così è assolutamente privo di ogni scientificità. A meno che non si tratti di prodotti provenienti da Paesi privi di legislazione in materia (o che abbiano dato prova di particolare negligenza nel controllare il rispetto dei disciplinari agricoli o artigianali). Il 19 gennaio 2011 i consumatori italiani erano soddisfatti per l’approvazione delle nuove disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, con cui si riconosceva il diritto di sapere quale fosse il luogo di origine del cibo. Da quel giorno, tutti i prodotti alimentari, trasformati e non, hanno l’obbligo di riportare in etichetta l’indicazione sull’origine. Quello stesso 19 gennaio, l’ex ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan dichiarò: «Da oggi gli italiani potranno comprare prodotti ancora più sicuri perché sapranno sempre da dove provengono. È 51 52 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione finita l’era del falso made in Italy agroalimentare che danneggia i nostri prodotti tipici e tradizionali». Dichiarazione che conteneva tre informazioni: una falsa e due vere. La prima vera è che, se i decreti ministeriali attuativi (che stiamo ancora attendendo a distanza di quasi un anno dall’approvazione della nuova normativa) saranno seri, potremo sperare di conoscere la reale provenienza di un prodotto o di un trasformato (la cosa comunque non è così semplice: ad esempio, se parliamo di pasta italiana, quale deve essere la provenienza del grano duro con cui è prodotta? Italiana? E in quale percentuale? Solo se è grano duro al 100% italiano?). La seconda vera è che, con ogni probabilità, con l’obbligo di indicare la provenienza di un prodotto, il mercato italiano preferirà consumare prodotti italiani, e pertanto la merce nostrana ne uscirà rafforzata. Una sorta di strumento di difesa del «made in Italy». L’informazione falsa, invece, riguarda la sicurezza. Per quale motivazione, infatti, i prodotti alimentari italiani dovrebbero essere di per sé più sicuri? La salubrità di un prodotto nulla ha che vedere con il luogo di provenienza in cui la si produce. Per il singolo cittadino, conoscere la provenienza di un prodotto ha a che fare con la sfera della consapevolezza di un acquisto, non con quella della sua sicurezza. Può avere, semmai, a che fare con l’intendimento di indirizzare i propri consumi su prodotti italiani per motivi di nazionalistici o ambientali. Quale sostenibilità sociale e ambientale? Se, invece, vogliamo parlare di sicurezza alimentare, dobbiamo discutere di come è stato coltivato, conservato, trasformato un prodotto alimentare. Ci sono mele italiane provenienti da regioni particolarmente rinomate per la produzione di mele a cui vengono somministrati nove o dieci trattamenti chimici l’anno. Quelle di altre regioni ne subiscono «solo» quattro o cinque. Entrambe sono italiane e rispettano i limiti di legge, ma sono ugualmente sane? Quello che non sappiamo quantificare è l’effetto di accumulo nell’organismo umano di tutti questi residui chimici rigorosamente sotto i «limiti di legge». In una qualsiasi giornata tipo una persona si alimenta con diversi cibi e bevande. Se tutte contengono residui significa che sommiamo nei nostri organismi le diverse quantità contenute in ogni prodotto. Possiamo mangiare e bere, per esempio, residui di metalli pesanti (magari provenienti da blasonate acque minerali), ma anche pesticidi, diserbanti e preparanti del terreno (dall’ortaggio che consumiamo come pietanza), ma anche fungocidi (dalla frutta che ci portiamo in ufficio), coloranti, acidificanti, emulsionanti, ecc. Non c’è nulla di illegale: ogni residuo è sotto i limiti di legge. Ogni prodotto che ingeriamo, quindi, è in sé innocuo, ma chissà cosa può capitare dopo decenni di assunzioni quotidiane! Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione È questo il tema cardine della sicurezza alimentare. Un tema su cui si sa poco, perché si fa poca ricerca indipendente. Oggi, tuttavia, dopo quarant’anni di storia agroalimentare italiana fondata sulla chimica, si inizia ad avere una memoria storica sufficiente per approdare a giudizi autorevoli, se non definitivi. Ma come faremmo a dire a generazioni di agricoltori che la causa delle loro malattie proviene proprio da queste pratiche, e che con tale modello di agricoltura hanno creato seri danni ambientali e alla salute delle persone? Il tema della sicurezza alimentare è ancora troppo spesso limitato a quello dei controlli degli organi preposti, e non riesce a spingersi verso quello della sostenibilità sociale e ambientale. Così, mentre la scienza e le lobby prendono tempo, forse l’unico stile di consumo sicuro è quello di acquistare prodotti biologici, in quanto, per definizione e obbligo di legge, non devono contenere nessun residuo chimico. Verso stili di produzione e di consumo più sobri Si potrebbe ancora credere che in realtà il successo di un’esperienza così faticosa come quella dei Gruppi di acquisto possa derivare dal terrore derivante dai mille allarmi alimentari che vediamo narrati periodicamente alla televisione. Mucche pazze, polli contaminati, pesci radioattivi, mozzarelle blu e via dicendo. Forse ci avviciniamo alla verità: inizia a essere diffusa la consapevolezza che la penetrazione della grande industria nella produzione alimentare di massa non è una garanzia di salubrità degli alimenti. Che, anche se la chimica in agricoltura ha fatto «miracoli», oggi è necessario tornare a stili di produzione e di consumo più sobri. Chi aderisce a un Gruppo di acquisto non è una persona «paurosa», ma sicuramente è consapevole dei rischi insiti nell’aver rotto i rapporti di equilibrio tra uomo e ambiente. Allora gli aderenti ai Gac sono tutti degli inguaribili edonisti? E, se non sono tali, perché si accontentano di un ruolo di testimonianza? Oggi come oggi la testimonianza è forma iniziale di un’opposizione consapevole del non voler più contribuire a un modello di consumo – e quindi di sviluppo – in cui non si crede più. La testimonianza, perlopiù se praticata collettivamente, diventa impegno concreto e, se autentica, premessa indispensabile della partecipazione. Non è poco in un contesto storico e sociale in cui le forme di aggregazione collettive tradizionali sono ai minimi storici. La partecipazione politica collettiva e la partecipazione ai luoghi di culto sono profondamente in difficoltà. Ma non stupisce se riferita alle nuove forme di partecipazione, una partecipazione che parte dal basso, dalle micro comunità e da chi pratica politiche di cittadinanza attiva. Chi partecipa ai Gac sono perlopiù persone che desiderano testimoniare la propria voglia di cambiamento, la scelta consapevole per un 53 54 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione modello di consumo diverso. La disponibilità a impegnarsi perché i propri atti di consumo siano responsabili. E, del resto, un normale consumatore, privo, non per scelta, delle più elementari conoscenze nutrizionali e salutistiche degli alimenti, come potrebbe giudicare se un prodotto è di buona qualità se non facendo scelte radicali? Ad esempio scegliendo alimenti prodotti senza l’utilizzo della chimica? Il ripensamento del modello di consumo Che sia questa la chiave di lettura della voglia di mettersi alla prova con esperienze concrete a dimensione familiare lo possiamo dedurre dal fatto che, visto che nessun consumatore può scegliere la qualità di un prodotto se non in modo soggettivo, ciò significa che finalmente sta cambiando lo scenario del modello di consumo di molti consumatori. E, proprio nei Paesi che sono arrivati al top (e anche quasi al crack) di questo violento modello di sviluppo neoliberista, le esperienze del consumo critico stanno trovando la loro massima energia. Da qualità mediatica a qualità etica Tutto ciò si traduce anche sul concetto stesso di qualità ricercato dai consumatori. In questi anni stiamo assistendo al passaggio dalla qualità mediatica a qualità etica. In cui per etica si intende la volontà di sapere che cosa comporta il proprio acquisto e poter agire di conseguenza, sapendo in che direzione stiamo investendo. Per definizione stessa, la qualità percepita ha ben poco di oggettivo, la si inquadra attraverso l’aiuto di criteri soggettivi di natura psicologica e culturale. Ciò comporta che non si possa ragionare al singolare ma necessariamente al plurale, e che l’attenzione si sposti alle diverse soggettività e tipologie di «consumatore tipo». Non per niente lo stesso legislatore – che negli ultimi anni ha finalmente provveduto a disciplinare in maniera organica il settore della tutela dei consumatori – nel Codice del consumo si è badato bene dall’entrare nel discorso della qualità dei prodotti alimentari. Mentre, viceversa, si è spinto a tratteggiare che cosa si intenda per qualità in tutti gli altri prodotti di consumo. Si presuppone che un prodotto abbia le qualità richieste quando non vi è un vizio di conformità. Cioè un «difetto» che vada a indebolire la corrispondenza tra ciò che si è pensato di comprare e ciò che effettivamente si è acquistato. Detto in altri termini, un prodotto è conforme – e quindi non ha difetti – se non si discosta da ciò che normalmente il consumatore si attende di riscontrare. Ma, come si diceva, tale definizione non si riferisce anche ai prodotti alimentari. Mentre è di immediata comprensione che un rubinetto venduto come cromato che si arrugginisca al contatto con l’acqua Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione non possiede le caratteristiche che dovrebbe avere, non è possibile trasporre tale criterio a una mela o a un carciofo. Semplificando, se compriamo una mela che non è buona, non possiamo fare altro che cambiare banco al mercato. Invece, se compriamo una conserva di pomodoro scaduta, il negoziante che ce l’ha venduta è perseguibile penalmente. Allo stesso modo, se ci vendono per vino doc un vino da tavola, il venditore risponderà del reato di frode in commercio. L’azienda e il consumatore Il discorso sulla qualità percepita esula, infatti, dal concetto di qualità legale o da quello di qualità igienico-sanitaria di un prodotto. Riguarda invece caratteristiche soggettive quali il gusto, la cultura, il vissuto esperienziale, ecc. Per parlare di qualità percepita, quindi, per forza si deve fare riferimento a tipologie di «consumatore tipo». In merito sono stati scritti molti testi di sociologia economica e di scienze che studiano i comportamenti di consumo (cosiddetta consumer science). Molte grandi aziende, consce dell’importanza della distinzione tra le diverse tipologie di consumatore, hanno approfondito questi aspetti per determinare il proprio target di riferimento in un’ottica di problem solving. Oggi la vis attractiva tra azienda e consumatore non è più a senso unico. Se per lungo tempo è stata l’azienda che attraeva un target anziché un altro, oggi si assiste anche al nascere di un processo inverso per percentuali di consumatori sempre maggiori. Con il crescere quali/quantitativo del numero di consumatori consapevoli e critici, in termini di qualità, ma anche di patto ambientale dei prodotti, o di impatto etico, si iniziano a creare i presupposti per un mercato più responsabile e maggiormente targato sulle loro aspettative. Pensiamo, ad esempio, all’introduzione nella grande distribuzione dei prodotti del commercio equo e solidale, o a come siano spuntati reparti dedicati ai prodotti bio. La percezione della qualità dei prodotti Il punto è un altro: a che cosa associa la «bontà» o la genuinità di un prodotto il cosiddetto «consumatore consapevole»? E il «consumatore standard»? Quello, cioè, che si presuppone poco disponibile a porre attenzione ad aspetti qualitativi che vadano oltre il discorso fama (spot televisivi), qualità organolettica (colore, profumo, ecc.) e prezzo del prodotto? Data per scontata che la qualità sensoriale sia diffusa e dominante tra tutte le tipologie di consumatori – in realtà non dovrebbe essere data per scontata – bisogna chiedersi qual è l’immaginario sensoriale a cui rimanda quel determinato profumo, colore, sapore, consistenza. Scopriremmo probabilmente che il consumatore critico, nel suo 55 56 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione fare, non ha a disposizione molti più orientamenti del consumatore standard, e che, infatti, la sua qualità percepita si aggrappa ai criteri della provenienza o del modo con cui è stato ottenuto un prodotto. Si limita cioè a cercare di associare un prodotto al suo luogo di origine e, in secondo luogo, a come è stato prodotto e commercializzato. La qualità, così come viene percepita dal consumatore, è la risultante di un complesso meccanismo di natura multifattoriale. Il problema di fondo è che il consumatore non ha a disposizione le informazioni e conoscenze necessarie a compensare lo stato di ignoranza in cui si trova, né trova soggetti interessati a contribuire alla sua formazione/ informazione. E, visto che le imprese non hanno alcun interesse ad accrescere le conoscenze e le informazioni in possesso del consumatore, gli stili di consumo, determinati dalla qualità percepita, muteranno solo e in quanto muterà il contesto socioculturale di riferimento o gli strumenti culturali del singolo consumatore. La qualità percepita, quindi, non è solo multifattoriale, ma essendo espressione dell’interiorizzazione dell’atto di consumo, è destinata a mutare tante volte quante cambieranno nei secoli le modalità con cui l’uomo si porrà nei confronti della vita stessa. Infatti, se alimentarsi, in quanto soddisfazione di un bisogno primario, corrisponde ontologicamente al vivere, ciò comporta che il concetto di qualità percepita muti nel tempo a seconda del mutare del rapporto esistenziale tra l’uomo e la vita stessa. Il contesto «autodeterminazione» Nei periodi storici come questo, in cui è forte il desiderio ed è forte la necessità di ricostruire, di ripartire, si può capire come l’istinto di autodeterminazione emerga e venga esaltato come mezzo per accelerare il processo di cambiamento in atto. Una sfida culturale prima che economica Questa aspirazione all’autodeterminazione, almeno per quel che riguarda le attività di consumo quotidiano, trova la sua migliore collocazione in un contesto collettivo. Dove le scelte sono sì dei singoli, ma si inseriscono e si sommano alle stesse azioni compiute da molti altri in una cornice associativa, in cui l’ente esponenziale funge da veicolo organizzato di aspirazioni collettive. Un percorso in cui il singolo è consapevole che iscriversi a un’associazione è lo strumento per passare, da seppur già ottime pratiche di consumo private, alla costruzione di vere e proprie politiche di consumo alternative. Politiche che divengono tali nella misura in cui riescono a soddisfare quell’aspirazione di autodeterminazione che ha spinto i singoli prima a testimoniare e poi a unirsi e a far convergere il proprio interesse in un percorso culturale collettivo Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partneship in azione capace di espandersi – pur in un contesto culturale ed economico completamente avverso. Una avversità, questa, che è rivolta a priori verso ogni atto di consumo che esca dall’assetto standard, quello che nel tempo si è affermato come dominante tramite processi di secolarizzazione commerciale. Tali processi, nel tempo, sono stati guidati, settore per settore, dai soggetti che in ogni filiera avevano il maggior potere contrattuale. Che la sfida sia culturale, prima che economica, è chiaro. Le esperienze di acquisti collettivi critici possono mettere pericolosamente in discussione i capisaldi delle filiere tradizionali. E, soprattutto, contribuiscono a mettere a nudo le principali iniquità. Pensiamo, ad esempio, a quanti rifiuti l’attuale modello di industria agroalimentare crea per rispettare le «regole» che si è data. Quanta frutta non verrà raccolta perché non commerciabile nelle filiere industriali in quanto non possiede i requisiti estetici o di calibro? Oppure pensiamo all’ingiustizia imposta agli agricoltori sui tempi di pagamento dalla grande distribuzione organizzata. Uno schema in cui chi produce vedrà il prezzo di quanto venduto molti mesi dopo, anche qualora la sua merce sia stata venduta in una settimana dalla consegna. Uno schema in cui i prezzi sono decisi unilateralmente e mai in un’ottica equitativa. Verso un’altra economia Si potrebbe andare avanti a lungo, scendendo nei dettagli delle storture e delle ingiustizie delle singole filiere. Ma su questi aspetti, per fortuna, oggi c’è sempre più consapevolezza. Ed è da questa consapevolezza che le esperienze individuali e collettive «critiche» trovano origine e identità, nell’essere altro rispetto all’attuale organizzazione dei rapporti nelle singole filiere. Un altro apatico al cinetismo frenetico dell’attività pubblicitaria classica e alle mode del momento. Un altro passionale, nel trovare modi concreti per fare dell’economia una forza basata sull’equità di filiera e sull’equità ambientale. Una altra economia fondata sull’indissolubilità del legame con il proprio territorio, in cui l’astrazione dai territori e dai popoli non è più parte dell’immaginario di riferimento. Questa economia non solo deve dare la possibilità ai singoli di praticare degli acquisti etici, ma culturalmente deve avere la forza di portare l’etica nelle relazioni economiche e di chiedere a tutti i protagonisti di ciascuna filiera di prestarle «giuramento». Vissuti in quest’ottica culturale, gli slanci etici dei singoli cittadini, possono contaminare anche i mercati più imbarbariti, con l’ulteriore positiva conseguenza di testimoniare dei successi concreti. Testimonianza che genera ulteriore fiducia nei singoli componenti di una collettività critica, nella possibilità di conseguire gli obiettivi prefissati. 57 58 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Esiti della misura del microcredito individuale Appunti di un percorso in otto territori torinesi Enrico Chiarle Scopo del presente elaborato è restituire gli esiti di tre anni (2008-2010) di sperimentazione di Fragili Orizzonti per quel che concerne la misura del microcredito all’interno di otto territori, ognuno costituito da più comuni. I territori saranno identificati attraverso il nome di comuni capofila: Rivoli, Pinerolo, Pianezza, Orbassano, Ivrea, Grugliasco/Collegno, Chieri/Poirino, Cuorgnè. Esiti generali Gli esiti del programma di microcredito, al 31/12/2010, hanno visto complessivamente il 35% delle richieste accettate ed erogate (131), il 47% rifiutate, il 15% rinunce spontanee e/o negoziate. Il restante 3% era in fase di istruttoria. Alcune concessioni di microcredito hanno richiamato successivamente l’attivazione del fondo di garanzia (casi escussi) a causa di un subentro di criticità avvenute dopo l’erogazione. I primi territori ad avviare l’esperienza già nel 2008 sono stati Rivoli, Orbassano, Collegno/Grugliasco e Chieri/ Poirino. Ciò spiega come alcuni di questi bacini abbiano creato, a oggi, un maggior ingaggio della domanda (Rivoli 29% e Chieri 28% del complessivo). Fatte 100 le domande pervenute in ciascun territorio, i territori che hanno registrato percentualmente i livelli superiori di erogazione (erogato sull’accolto), sono stati quelli di Pinerolo (42%), Ivrea (39%), percentuale che sale al 66% se si considera che quasi tutte le pratiche in istruttoria a dicembre 2010 sono state erogate successivamente nel 2011 e Pianezza (35%) (1). * Relazione al seminario «Fragili Orizzonti allo specchio» del 30 marzo 2011. Il materiale del seminario è reperibile nella sezione «politiche sociali» del sito istituzionale www.provincia.torino.gov.it (1) L’avvio della sperimentazione non è avvenuto simultaneamente sui territori. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Il territorio che ha erogato maggiormente, ma che ha poi dovuto attingere in maniera più cospicua, sia sul piano della frequenza sia in termini di importo economico, al fondo di garanzia è stato quello di Chieri/Poirino. Il diniego alla concessione del credito si è concentrato in misura superiore alla media nelle aree di Collegno/ Grugliasco (65%) e di Cuorgnè (63%). Le rinunce spontanee non registrano picchi significativi in un territorio particolare. In merito al processo di accompagnamento dei beneficiari al programma di microcredito individuale, si ricorda che l’impianto organizzativo si suddivide in una fase informativo-promozionale e in una successiva di accoglienza e valutazione e si regge attraverso una moltitudine di sportelli che fanno capo a soggetti pubblici (comuni, consorzi socioassistenziali), del terzo settore o a base volontaristica (associazioni/parrocchie). In generale i territori hanno scelto di affidare l’accoglienza agli sportelli comunali o ai servizi sociali. A volte alcuni abbinamenti hanno funzionato meglio in alcuni territori rispetto ad altri, ma la casistica non permette analisi robuste in relazione agli esiti ottenuti (concessione vs mancata concessione). Alcune considerazioni saranno di seguito sviluppate in merito alla modalità di selezione. Fotografia dei richiedenti Nei quattro anni di sperimentazione, il programma di microcredito individuale ha incontrato 375 nuclei. Il genere è rappresentato paritariamente, la fascia di età prevalente è compresa tra i 36-50 anni con il 45%. La sperimentazione ha avvicinato per il 90% un richiedente italiano e per il 10% richiedenti stranieri (il 5% cittadini di nazionalità rumena, seguiti poi da altre nazionalità, con valori inferiori all’1%). Il rapporto tra popolazione autoctona e straniera risulta in linea con il quadro demografico provinciale di riferimento, costituito per il 91% da italiani e per il 9% circa da stranieri. Rispetto alla provenienza geografica, i soggetti italiani hanno presentato un profilo reddituale inferiore a quello degli stranieri (italiani: reddito medio mensile individuale di 932 € e familiare di 1.356 € mensili; stranieri: reddito medio mensile individuale 1.131 € e familiare di 1.531 €). Alcuni dati sulle condizioni di vita Sul piano delle reti relazionali (Fig. 1), per quasi la metà dei richiedenti si è registrata l’assenza di legami o supporti rilevanti (49%). Segue un gruppo, pari a ¼ (27%), supportato dai servizi socioassistenziali territoriali. 59 60 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione 50 40 30 20 10 Ne ss un a Pa rro cc Po hia liti ca /C om un e Se rvi zi so cia li Am ica le/ As s As so cia zio ni Fa mi gli are Am ica le No nr eg ist rat o 0 Fig. 1 - Distribuzione % rete di riferimento (base casi 375). Le reti familiari allargate pesano solo per l’8% e quelle amicali si aggirano complessivamente intorno al 10%. Le reti associative coprono il 5% del target intercettato, a cui va aggiunto un 2% che vede situazioni miste amicali/associative. Con questi dati si potrebbe desumere un target poco strutturato sul piano dei rapporti sociali e anche poco coinvolto da relazioni con il mondo dell’associazionismo. • Sul piano anagrafico-familiare il target dei richiedenti vede una prevalenza di nuclei composti da due persone (32%), seguiti da nuclei di tre persone (21%), da single (17%), da nuclei di quattro persone (16%). I nuclei più numerosi, con cinque o più componenti, costituiscono il 14%. • La dimensione abitativa fa intravvedere che quasi la metà dei richiedenti (46%) vive con un contratto di locazione presso privati, il 21% in casa di proprietà, il 17% con un contratto in locazione presso un ente pubblico. Si registrano 6 casi (1,5%) che vivono come ospiti in casa di altri o in comunità. Il 14 % non ha precisato la situazione abitativa. • Sul fronte occupazionale il soggetto che si è interessato maggiormente al microcredito è occupato per il 64% dei casi. Segue chi si è ritirato dal lavoro (pensionato) con il 17% e chi è in cerca di nuova occupazione con il 9%. Le persone richiedenti inabili al lavoro non superano il 3%. Le casalinghe non superano il 2%. Annotazioni sulle fonti di reddito Le fonti di reddito delle famiglie dei richiedenti derivano principalmente da ambiti occupazionali, seguite da quelli previdenziali e assistenziali, che si presentano però in forme miste e variegate. Provando ad accorpare le fonti di reddito dei nuclei, che si sono avvicinati al programma per presentare una richiesta di microcre- Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione dito, la presenza della dimensione lavorativa formale (almeno un componente) riguarda il 65% dei nuclei familiari, quella riconducibile a un intervento formale del sistema previdenziale (almeno un componente risulta essere un pensionato) si avvicina al 23%. La presenza di una dimensione lavorativa informale (almeno un componente), che potrebbe richiamare anche un grado di maggiore vulnerabilità, raccoglie complessivamente il 25% dei nuclei richiedenti. I nuclei dei richiedenti possono vedere la presenza simultanea, al loro interno, delle dimensioni prima richiamate (reddito da: lavoro formale; lavoro informale; sistema previdenziale). Sul rapporto tra reddito e composizione del nucleo famigliare, considerato che i redditi comprendono sia la parte certificabile sia la parte informale autocertificata, i nuclei famigliari che si sono avvicinati al programma presentano una composizione varia. I loro redditi medi (calcolati su 354 casi validi) aumentano tendenzialmente all’aumentare dei componenti e partono da un reddito medio mensile di 916 € per i single sino ad arrivare a 2.281 € per nuclei di 7 persone (un nucleo di 8 persone scende a 1.725 €). Il reddito medio pro nucleo è di 1.374 € mensili. I dati si riferiscono a valori medi, che presentano però all’interno di ogni tipologia forti oscillazioni (50% deviazione standard). Prescindendo dal numero dei componenti, i territori co-promotori del programma hanno registrato target reddituali diversificati: mediamente il territorio, che ha visto approcciarsi un target più agiato sul piano del reddito, è stato quello di Collegno/Grugliasco, con un reddito medio mensile pro nucleo pari a 1.726 €; il territorio, che ha invece visto approcciarsi un target più fragile, è stato quello di Cuorgnè, con un reddito medio mensile pro nucleo di 1.118 €. Attraverso le risposte fornite in merito all’impiego di strumenti bancari utilizzati per l’uso quotidiano, si è rilevato che all’aumentare delle risorse finanziarie del nucleo aumenta anche il ricorso a strumenti quali: il conto corrente, il bancomat, la carta di credito. I motivi, che hanno portato alla richiesta di microcredito, vedono la netta prevalenza di due voci: reddito insufficiente con il 42% e spesa straordinaria con il 31%. Non tutte le richieste, presentate inizialmente con queste motivazioni, sono state esaudite, in termini di concessione di microcredito individuale; le richieste, con qualsivoglia motivazione, sono state commisurate con le potenzialità economico-finanziarie espresse dal nucleo, i cui esiti hanno permesso di definire o meno la concessione di microcredito. Le finalità più specifiche delle richieste hanno evidenziato per il 50% spese riconducibili all’abitazione (debiti da spese ordinarie 61 62 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione 38%, spese straordinarie o di manutenzione 12%); il 17% per debiti pregressi non riconducibili all’abitazione; l’11% per spese collegate direttamente alla salute, l’8% all’automobile e il 4% alla scuola. Il restante 10% non ha fornito specificazioni. Complessivamente la dimensione debitoria pregressa, ricondotta come finalità del prestito, riguarda pertanto il 55% dei casi (debiti pregressi da spese ordinarie riconducibili all’abitazione e non). Osservando il target dei richiedenti da una diversa angolazione, in merito alle difficoltà di far fronte a una situazione debitoria pregressa o futura attraverso il ricorso a formule di finanziamento, offerte dal mercato e immediatamente antecedenti la potenziale concessione di microcredito, il target dei richiedenti ha espresso per il 26% di aver problemi attuali di restituzione, il 41% di non aver in corso altri finanziamenti, il 33% di ottemperare correntemente senza problemi alla restituzione. I beneficiari e le modalità di accesso Il reddito medio mensile del beneficiario di microcredito individuale si aggira intorno a 1.064 € e quello del suo nucleo sui 1.511 € (vi sono forti oscillazioni: deviazione standard intorno al 45%) (2). Mediamente il credito concesso è stato di 3.040 € pro nucleo, importo abbastanza in linea con le richieste presentate di 3.173 €. I territori che hanno registrato mediamente erogazioni, pro nucleo, maggiori sono stati Ivrea (4.357 €) e Pinerolo (4.300 €); la zona che mediamente ha registrato l’erogazione più bassa è stata Chieri/ Poirino (2.681 €) (3). In rapporto al reddito complessivo, l’impatto della rata di microcredito si attesta mediamente intorno all’8%. Sugli esiti di concessione del microcredito individuale, la variabile della «numerosità familiare» è risultata essere un elemento discriminante e a farne le spese non sono stati tanto i single, quanto i nuclei composti da sei o più componenti. La concessione di microcredito individuale è stata più elevata nella compagine straniera (51%), in ragione anche delle capacità di reddito maggiori espresse rispetto a quella italiana (34%). Modalità di accesso, selezione ed esito delle domande Il percorso di selezione e accoglienza delle domande di microcredito individuale nel Programma si è realizzato attraverso due modalità (2) Si ricorda che il reddito del nucleo in questa esperienza aumenta con l’aumentare della sua composizione. (3) È da sottolineare che in corso d’opera il massimale creditizio è salito da 3.000 a 5.000 € e che i microcrediti inizialmente offerti da Chieri/Poirino erano quelli di importo minore. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione principali, la domanda attraverso il bando o direttamente presso gli sportelli; in entrambi i casi è previsto comunque un colloquio finalizzato alla compilazione della scheda di accoglienza. La prima selezione viene effettuata a livello territoriale: una volta che i referenti territoriali abbiano deciso di dare corso alla richiesta, la domanda viene inviata alla Banca che a sua volta ne valuta l’accoglibilità e in caso affermativo la formalizza; espletata l’istruttoria bancaria la richiesta si traduce in una vera e propria domanda di fido sottoposta a deliberazione per la concessione del credito. Quattro territori, su otto, hanno optato per il bando come modalità di accesso. In due casi il bando è in capo a un ente gestore socioassistenziale (consorzio), in due in capo a un Comune. In generale, il bando viene utilizzato come criterio di prima selezione formale e ufficiale, per cui vengono inviate alla Banca solo le domande che rispondono ai requisiti del bando; nel modello a sportello la prima selezione è a cura di chi effettua l’accoglienza sulla base di criteri comunque condivisi. Delle domande pervenute attraverso il bando, in media l’80% è stata formalizzata in domanda di fido. Di queste solo il 45% ha ottenuto l’erogazione. Da specificare, inoltre, che il 20% sono andate disperse per la mancata volontà del richiedente di proseguire. Per quanto riguarda gli sportelli ad accoglienza aperta, in media il 73% delle domande pervenute sono state formalizzate in domande di fido; di queste, circa il 54% ha ottenuto l’erogazione. Questi dati evidenziano come la presenza di un bando, che individua criteri formali di accesso (posizione lavorativa, Isee) da rispettare, garantisce un’alta probabilità alla domanda di venir formalizzata; di queste, tuttavia, meno della metà giunge a erogazione. Il rifiuto è dovuto, nel 43% dei casi, alla presenza di un eccessivo indebitamento e, nel 28% a un reddito comunque insufficiente. Il supporto di un progetto e di una rete sociale Al contrario, le domande inviate dagli sportelli senza bando, hanno registrato una bocciatura maggiore alla prima selezione (formalizzazione), ma un grado di successo maggiore finale (erogazione). Non è un caso che la figura dei garanti morali (di cui si dirà in un punto successivo) sia maggiormente presente solo in quei territori senza bando, a confermare l’assunto relazionale del microcredito, per cui una garanzia morale può sostituire una garanzia reale. A onor del vero, bisogna però sottolineare come, a oggi, nessuna delle escussioni riguardi domande selezionate attraverso il bando. Uno dei motivi è che i territori, che hanno adottato la modalità del bando, sono partiti più tardi rispetto agli altri, e quindi hanno avuto meno probabilità di registrare escussioni, ma è altrettanto 63 64 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione vero che evidenziano un grado di qualità del credito superiore (poche o nulle rate scadute e non pagate). Detto in altre parole, tale fotografia conferma l’assunto secondo cui in programmi di microcredito è più facile che si giunga all’erogazione anche in presenza di condizioni di fragilità e rischio, se le persone richiedenti sono supportate da un progetto e da una rete sociale, rispetto a condizioni anche migliori ma prive di rete. L’assenza di rete sociale farebbe propendere all’erogazione di situazioni sicure che nel tempo si dimostrano vincenti, al contrario delle altre che in qualche frangente si sono rivelate insolvibili. L’attivazione delle reti comporta un costo sia a livello di tempo dedicato che di rischio corso, tuttavia permette il raggiungimento dell’obbiettivo primario di supportare le persone vulnerabili. Un caso particolare che merita attenzione è il territorio di Ivrea, che utilizza la modalità del bando. Circa il 95% delle persone che hanno fatto domanda col bando ha poi visto formalizzata tale richiesta; di queste ben il 65% (a marzo 2011) ha ottenuto l’erogazione, registrando il più alto tasso di erogazione su tutti e otto i territori: accanto allo strumento del bando, il territorio di Ivrea ha incaricato un soggetto locale per realizzare l’accoglienza e l’accompagnamento, investendolo del ruolo di garante morale, per tutte le pratiche da esso presentate. Inoltre il territorio di Ivrea ha anche coinvolto il Comune di Ivrea come garante morale per alcune situazioni particolari. La lettura degli esiti Proponiamo ora un’analisi degli esiti più specifici del programma del microcredito, utilizzando tre sguardi di lettura differenti, rispetto a chi è stato erogato il prestito: la relazione con i servizi sociali, la presenza di garanti morali e l’eventuale successiva escussione. La relazione con i servizi sociali Confrontando gli esiti della richiesta di concessione del microcredito in base alla condizione di assistibilità economica presso i servizi socioassistenziali, si è appurato che i risultati finali non differiscono sensibilmente: le persone non assistite dai servizi socioassistenziali hanno conseguito complessivamente l’erogazione di microcredito (erogato o escusso) per il 36% dei casi; quelle assistite permanentemente hanno raggiunto il 40% e quelle assistite una tantum il 33%. Questi dati confermerebbero pertanto la tendenziale trasversalità del programma di microcredito e la vocazione promozionale della persona, senza risentire dell’influenza discriminatoria dello status di «utente socioassistenziale». Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Analizzando i dati, la trasversalità del programma sui target degli assistiti e dei non assistiti, appare ancora più evidente. Il fatto di essere soggetti già assistiti con sussidi economici dei servizi sociali degli Enti gestori socioassistenziali, non ha agito come elemento discriminante rispetto al programma di microcredito. In linea di massima i beneficiari o gli esclusi del programma di microcredito hanno visto compagini identiche. I soggetti non precedentemente assistiti dai servizi sociali esprimono, infatti, una percentuale intorno al 72% sia nella coorte dei beneficiari sia in quella degli esclusi. I soggetti già assistiti dai servizi esprimono il dato complementare del 28% nel gruppo dei beneficiari e in quello degli esclusi. In altri termini si può affermare che le due compagini (soggetti già assistiti nei servizi, e non assistiti), hanno beneficiato in misura identica del programma di microcredito, sebbene il programma di microcredito abbia attirato e coinvolto maggiormente la compagine dei non assistiti (72%). Rispetto al dato complessivo del programma emergono lievi differenze territoriali, le più evidenti si riscontrano: nell’ambito di Grugliasco/ Collegno dove diminuiscono le differenze, fra assistiti dei servizi sociali e non assistiti, per divenire beneficiario di microcredito individuale; nell’ambito di Cuorgnè diminuiscono invece le differenze, fra assistiti dei servizi sociali e non i assistiti, per essere escluso dalla concessione di microcredito. Ciò può essere dovuto alle diverse soglie di assistibilità economica presenti negli Enti gestori socioassistenziali, che possono determinare, a parità di condizioni socioeconomiche, la presa in carico in un territorio (risultando così assistibili dai servizi socioassistenziali) mentre in un altro no. Il programma di microcredito, le cui soglie territoriali di accesso si sono omogeneizzate già nel corso del primo anno della sperimentazione, esprime la capacità di incontrare e farsi equamente carico di un target che presenta condizioni potenziali di vulnerabilità, a prescindere da quelle letture e codifiche territoriali che individuano una utenza assistibile a livello socioassistenziale, richiamando nei processi selettivi parametri di povertà maggiormente conclamati ma soprattutto disomogenei fra i territori. Questo elemento va rimarcato ulteriormente poiché la maggior parte di quanti hanno beneficiato del microcredito non è seguita da un’offerta tradizionale dei servizi socioassistenziali, pur presentando condizioni di fragilità o vulnerabilità almeno pari ad alcuni degli assistiti dei servizi socioassistenziali, accomunandone pertanto esigenze e rischi potenziali. Il profilo dei garanti morali Il programma prevede anche la possibilità che il richiedente sia accompagnato da un garante morale, a dire un’istituzione o associazione 65 66 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione o persona fisica che si fa responsabile del progetto e del sostegno del richiedente, che ha costituito (per coloro che hanno avuto in dote tale supporto) una condizione favorente per la concessione del microcredito, triplicando nei fatti la probabilità di erogazione. Questa opportunità è stata però anche fonte di criticità successiva, aumentando, sulle erogazioni avvenute, di almeno cinque volte la probabilità di attivazione del fondo di garanzia (escussioni). Si tratta pertanto di un elemento importante, ma da riconsiderare con qualche opportuna futura revisione per un’eventuale riproposizione dell’esperienza. La presenza dei garanti morali sul totale dei richiedenti si attesta mediamente intorno al 12%; il maggior grado di accompagnamento si registra nel territorio che vede capofila il comune di Pianezza (24%). Quasi il 40% delle erogazioni concesse di microcredito, gode della figura di un garante morale, la cui presenza rende quasi certa la possibilità di ricevere l’erogazione. Infatti dei 48 casi, accompagnati da garanzia morale, ben 43 sono stati erogati ossia il 90%. Tuttavia la fragilità delle situazioni è tale per cui la presenza di un garante morale, a volte, non è stata sufficiente per evitare il ricorso al fondo di garanzia. Infatti circa 1 pratica su 3, erogate con garanzia morale, è stata tuttavia escussa. Per quattro nuclei si è attivato anche un garante economico, il cui ruolo è stato sempre ricoperto dal Comune di residenza dei beneficiari, che, in due casi è coinciso con il garante morale, negli altri due no. Nel 49% dei casi la figura del garante morale è ricoperta dai servizi comunali; nel 34% dalle associazioni e/o centri di ascolto e nel 17% dal servizio sociale. In tutti i territori è presente almeno una situazione con il garante morale. La composizione dei tavoli territoriali ha sicuramente determinato la natura dei garanti morali. Dove sono presenti associazioni o centri di ascolto, questi hanno svolto la funzione di garante morale (Orbassano e Rivoli), dove è presente il solo Ente gestore socioassistenziale (consorzio), è il servizio sociale ad aver svolto tale funzione (Cuorgnè), dove invece i Comuni sono attivi anch’essi hanno ricoperto il ruolo (Chieri, Pianezza, Collegno e Grugliasco, Orbassano e Ivrea). Un discorso specifico va fatto per il territorio di Ivrea, il cui tavolo è composto dal solo Ente gestore socioassistenziale (consorzio) che ha deciso, come ricordavamo sopra, di rendere obbligatoria la funzione del garante morale nella figura di una Fondazione, soggetto preposto all’accoglienza delle domande del microcredito. Tuttavia, proprio perché previste con garante morale fin dall’inizio, le pratiche del territorio di Ivrea non sono state considerate all’interno di questa analisi, che invece intende fotografare le caratteristiche dei soggetti e dei motivi per cui si è deciso di affiancare un garante morale. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Una garanzia morale, fornita da comuni o associazioni, ha garantito come esito l’erogazione del microcredito nel 95% dei casi circa; la percentuale scende al 60% circa quando la garanzia è fornita dal servizio sociale, dove, per contro, non si è riscontrato alcun caso di escussione, a differenza degli altri due soggetti in cui mediamente il 40% delle pratiche erogate è stato poi escusso. Nel 60% dei casi il motivo delle escussioni di crediti garantiti da associazioni è dovuto alla perdita del lavoro, mentre il 40% riguarda persone che hanno smesso di pagare facendo perdere traccia di sé. L’ente comunale ha garantito per lo più persone già molto indebitate (45%), per il 30% persone che poi sono sparite e per il 25% persone che hanno poi perso il lavoro. L’ente comunale, nel fare da garante, ha supportato nel 74% dei casi persone occupate, mentre le associazioni e i servizi sociali hanno allargato molto di più il loro supporto a persone con un profilo lavorativo più fragile (disoccupati, beneficiari di borsa lavoro, inabili al lavoro). Per quanto riguarda il rapporto con i servizi sociali, come è facile immaginare, la garanzia fornita dal servizio sociale a persone conosciute (60%) è più elevata rispetto agli altri due soggetti (40% associazioni e 45% comune). Essere proprietari di casa non risulterebbe essere condizione di minor fragilità. Tanto è vero che il 22% dei nuclei, accompagnato da garante morale, è possessore di casa ed è per lo più mutuatario. Il profilo degli escussi Al 2010 si sono avute 24 escussioni per un importo pari a 53.597,80 €. Il tasso di escussione è quindi del 13,4% rispetto all’importo erogato. Evidenziamo alcune caratteristiche. Confronto stranieri/italiani della popolazione escussa Dei 24 soggetti escussi 5 sono stranieri. Gli italiani, per cui si è ricorso al fondo di garanzia, in media, su 100 € prestati, hanno restituito solo 15 €; il tasso di restituzione degli stranieri invece è migliore: a fronte di 100 € prestati, 35 sono stati restituiti. Inoltre, circa 2/3 degli italiani che non ha portato a termine la restituzione non ha segnalato il problema e ha fatto perdere le tracce di sé; a fronte di un 1/5 degli stranieri, che per lo più ha avuto problemi con il lavoro. Confronto popolazione escussa e popolazione erogata Analizzando diversi indicatori socioeconomici, utilizzati come indicatori di fragilità, si vede come le persone escusse presentino effettivamente un grado di fragilità maggiore: • la percentuale di assistiti (permanentemente o saltuariamente) con 67 68 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione un sussidio dei servizi sociali è di 10 punti percentuali superiore alla media (38% rispetto ai 28%); • l’affitto da ente pubblico ricorre il 25% delle volte rispetto al 15% della media; • gli occupati sono il 55% rispetto al 71% della media; • il 63% ha richiesto il prestito a causa di un’insufficienza di reddito rispetto al 43% della media, e il 76% ha infatti destinato il prestito per coprire debiti pregressi rispetto al 54% della media. Motivi della mancata restituzione Un’attenzione particolare va riservata ai motivi che hanno causato la mancata restituzione. Oltre il 50% della mancata restituzione è da imputare a premeditazione dei beneficiari in questione, i quali hanno fatto perdere traccia di sé, sovente senza restituire neanche una rata. Segue la voce eccesso di indebitamento (16%), seguita da reddito insufficiente (12%) e perdita di lavoro (12%); da ultimo ci sono i problemi di salute (8%). Il 50% degli escussi registrava già problemi nei pagamenti di debiti precedentemente contratti. Composizione del tavolo/tasso di escussioni Dei 24 escussi, 12 risiedono nel territorio del Chierese (su 42 erogazioni), 6 nel territorio di Orbassano (su 21 erogazioni) e 6 nel territorio di Rivoli (su 33 erogazioni). Tutti e tre i territori non prevedono la forma del bando per quanto riguarda la selezione. Il tasso di escussione maggiore (escusso su erogato) si registra nel territorio di Chieri (25,5%), seguito da Orbassano (circa il 20%) e infine da Rivoli (13%). L’alto numero di escussi del territorio del Chierese afferisce soprattutto a uno dei Comuni dell’Ente gestore socioassistenziale (consorzio), da cui proviene anche il più alto numero delle erogazioni concesse. I nuclei di questo territorio per cui si è ricorso al fondo di garanzia, per la maggior parte non sono conosciuti dai servizi, vi è una percentuale di mutuatari (assente negli altri due territori) e per il 77% hanno una posizione lavorativa. Tuttavia l’aspetto di fragilità che maggiormente colpisce è l’elevato indebitamento presente, testimoniato dal fatto che il motivo principale per cui si è ricorso al microcredito è un’insufficienza di reddito (non tanto per le basse entrate quanto piuttosto per alte uscite) e dal fatto che la finalità prevalente cui si è indirizzato il prestito, è stata sanare situazioni debitorie pregresse e già compromesse. A questo si aggiunge che il Chierese è l’unico territorio in cui uno dei motivi della mancata restituzione è proprio l’alto indebitamento pregresso. Pertanto, se non adeguatamente compreso, il microcredito rischia di essere erroneamente utilizzato, da parte dell’ente comunale o Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione dell’istituzione che lo propone, come sostituto del reddito, con esiti fallimentari. Per contro, nei territori di Rivoli e Orbassano l’alta percentuale di lavoro precario (borse lavoro, interinale o informale) ha determinato la mancanza di restituzione parziale del prestito, a causa di un’insufficienza di reddito o per la perdita del lavoro. Il territorio di Rivoli, sempre per quanto riguarda il profilo degli escussi, è quello con il più alto tasso di persone conosciute dai servizi sociali (circa 3 su 4). Le persone per cui si è intaccato il fondo di garanzia presentavano, dunque, elementi di fragilità superiore alla media. Per questo motivo 14 persone sono state affiancate dalla figura del garante morale. Nel territorio del chierese tale figura è stata ricoperta esclusivamente da un Comune, e nello specifico dall’assessore alle politiche sociali, negli altri due territori dalle Associazioni e/o centri di ascolto. Incrocio fra le tre letture I beneficiari del microcredito individuale hanno registrato differenze, maturate in coda all’ultimo anno di sperimentazione, tra gli escussi presenti nella coorte degli assistiti dei servizi socioassistenziali rispetto a quelli presenti nella coorte dei non assistiti. Rileva però la presenza del garante morale circa l’esito di erogato (senza successive criticità di escussione) negli assistiti dei servizi socioassistenziali, che di fatto a oggi hanno visto raddoppiare la probabilità di ottenere il microcredito attraverso la figura del garante morale (il 39% di essi che ha beneficiato di microcredito è accompagnato da un garante) rispetto alla coorte dei non assistiti (solo il 21% di coloro che hanno beneficiato del microcredito è accompagnato da un garante). Sebbene il numero delle criticità dovute ad escussione non sia elevato, la presenza di un garante morale indicherebbe altresì la possibilità di mantenere pressoché equivalente il livello di rischio di escussione successiva sia nella compagine degli assistiti dei servizi socioassistenziali (50%) sia in quella dei non assistiti (62%). Ciò confermerebbe pertanto il positivo apporto di questa figura che, da un lato ha permesso di realizzare un efficace promozione ed ampliamento della misura del microcredito individuale nella coorte degli assistiti dei servizi, dall’altro ha permesso di mantenere inalterato, o perfino più basso, il rischio di escussione di questa coorte rispetto a quella dei non assistiti, compagine apparentemente meno vulnerabile o più facilmente includibile. Conclusioni In sede conclusiva ci sembra opportuno fare alcune riflessioni sui risultati più importanti espressi dall’azione di microcredito. 69 70 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Nell’arco dei tre anni la misura ha avvicinato 375 nuclei. Il numero delle persone incontrate è quindi relativamente alto, considerando che non figurano nelle statistiche tutte quelle persone che si sono presentate agli sportelli, ma che non hanno superato il primo grado di selezione. Di questo campione di soggetti esclusi, non si dispone di informazioni per tracciarne un profilo. Un’indagine Istat (4), condotta nel 2008 nel Nord Italia, esprimeva un tasso di proprietà della casa pari al 69,6%; il campione selezionato, attraverso la misura del microcredito, esprime un tasso pari al 21%. Il Rapporto Eurispes 2010 (5) indica che nel Nord Ovest la richiesta di prestito bancario negli ultimi tre anni è stata presentata dal 34,7% delle famiglie residenti; il dato espresso dai soggetti intercettati con la misura del microcredito, tocca una quota di gran lunga superiore, pari al 59%. Attraverso queste due comparazioni si può affermare che la misura del microcredito ha incontrato una platea di soggetti che esprimono un grado di maggior vulnerabilità rispetto alla media della popolazione, rispondendo efficacemente all’obiettivo iniziale di dare accesso per contrastare forme diffuse di vulnerabilità. Delle 375 persone, 131 hanno poi beneficiato del microcredito, ossia ogni tre pratiche presentate una ha ottenuto l’erogazione, ovvero il 34,9% non solo ha potuto presentare un’istanza, ma ha ottenuto la concreta concessione di un microcredito individuale. Questo dato dice due cose: da una parte la difficoltà a comunicare tale misura alle persone idonee, in un contesto economico, tra l’altro, in continuo peggioramento. Dall’altra, è indice della cura e delle attenzioni con cui si è svolto il processo di selezione ed erogazione, tenendo conto non solo dei fattori puramente economici ma anche relazionali e sociali. Ne è prova il proficuo lavoro attivato tra la Banca etica, i garanti morali e gli attori territoriali. La conseguente qualità del credito erogata è testimoniata da una percentuale delle escussioni più bassa rispetto alla media del settore (13,4% contro il 20%). Concludendo, i dati raccolti in questo lavoro evidenziano come la misura del microcredito abbia dato la possibilità di ampliare la platea della popolazione a cui destinare interventi di sostegno, risultando efficace al di là del parametro tradizionale di accesso all’assistenza economica dei servizi sociali territoriali. (4) L’abitazione delle famiglie residenti in Italia. Anno 2008, in www3.istat.it/salastampa/ comunicati/non_calendario/20100226_00 (5) Eurispes, Rapporto Italia 2010, p.11, (sintesi per la stampa). Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Esiti della misura dell’asset building Appunti di un percorso in otto territori torinesi Antonella Ferrero Lo scopo del presente elaborato è restituire gli esiti dei primi tre anni di sperimentazione (2008-2010) del Programma Fragili Orizzonti per quel che concerne la misura dell’asset building. La maggior parte dell’analisi presente in questo elaborato riguarda il target specifico, delle famiglie con figli piccoli che tra i diversi presenti è numericamente il più significativo e che ha mostrato anche una buona adesione al Programma; viene comunque fornito un breve profilo socio-demografico di ciascuno gruppo-target. L’analisi riferita alle famiglie si concentra inizialmente sulle entrate e sulle attitudini al risparmio rilevate prima di cominciare il percorso, per poi spostarsi sul comportamento relativo ai consumi durante l’anno di sperimentazione e un focus finale relativo alla finalizzazione dei propri risparmi. Successivamente si riporta, sempre per il solo target famiglie con figli, l’esito dei questionari relativi alla verifica della percezione del proprio cambiamento. In conclusione, allargando lo sguardo a tutto il campione dei 115 beneficiari, si propone un’analisi relativa all’atteggiamento nei confronti dei soldi. I dati per questa elaborazione provengono da un questionario somministrato a tutti i partecipanti in fase di avvio del Programma, da un sistema di raccolta delle schede utilizzate per la gestione dei singoli bilanci e da un questionario di verifica somministrato a metà percorso. Fotografia generale La sperimentazione della misura dell’asset building è stata avviata nel 2008 con gli Enti gestori socio-assistenziali di * Relazione al seminario «Fragili Orizzonti allo specchio» del 30 marzo 2011. Il materiale del seminario è reperibile nella sezione «politiche sociali» del sito istituzionale www.provincia.torino.gov.it 71 72 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Ivrea, Orbassano, Collegno-Grugliasco e Chieri a cui si sono aggiunti, in momenti successivi Pinerolo, Pianezza, Cuorgné e Rivoli. Al 31 dicembre 2010 i beneficiari sono stati in totale 115, suddivisi in target scelti dai vari territori; gli abbandoni sono stati nove. Dei cinque target individuati il sottogruppo più numeroso è quello delle famiglie con figli (69 famiglie) seguito da giovani e studenti (22 ragazzi in età compresa tra i 18 e i 32 anni); i restanti tre sono: il gruppo per cure odontoiatriche (11 nuclei); il gruppo indicato e seguito dai servizi sociali (10 persone); il gruppo di tre donne. Nel corso del 2010 sono partiti nuovi gruppi di asset building nei diversi territori, coinvolgendo circa altri 80 beneficiari. Tali numeri non sono stati inclusi in queste analisi. I territori che presentano la più alta percentuale di beneficiari coinvolti sono rispettivamente quelli che hanno scelto il target famiglie (Orbassano e Collegno-Grugliasco) seguiti dal territorio che ha scelto i giovani (Chieri). Famiglie con figli piccoli L’idea di rivolgere la misura dell’asset building a famiglie con figli piccoli, in una fase dunque espansiva e progettuale, ma anche di nuovi bisogni legati alla crescita, ha l’intento di promuovere una maggiore consapevolezza sulla gestione del proprio bilancio familiare e una maggiore competenza nell’uso degli strumenti bancari, e l’obiettivo, attraverso l’incentivazione delle capacità di risparmio, di promuovere la cultura del consumo responsabile. Le 69 famiglie sono nella maggior parte di origine italiane, tre nuclei sono stranieri (francese, albanese e argentina). Il 43% del campione ha un’età compresa tra i 18 e 35 anni, il restante 57% ha più di 35 anni e meno di 50 anni. Circa 1/3 è in possesso di una laurea o di un dottorato (3%), la metà è in possesso di un diploma di qualifica di scuola superiore; il restante 17% ha concluso la scuola dell’obbligo. La metà circa del campione è composto da nuclei di quattro persone, il 35% da nuclei di tre e il 10% da cinque componenti. Il 4% dei casi sono nuclei monogenitoriali (mamma con figlio/a). Nel 52% dei casi i familiari a carico sono due; nel 33% dei casi vi è un solo familiare a carico, e nel 15% tre o quattro. La casa è di proprietà nell’84% delle famiglie, ma di questi il 61% ha in corso un mutuo; il 9% affitta da privati. L’84% del target può contare su una rete familiare, il 4,3% su una rete amicale, e il restante 4,3% su nessun tipo di rete. Gli abbandoni sono stati tre, in due casi perché sono mutate le condizioni di vita del nucleo, e in un caso per impossibilità di risparmiare. La maggior parte è stata informata del Programma attraverso una lettera invito inviata dal Comune. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Per oltre l’80% la finalizzazione del risparmio è orientata verso acquisti per la casa e/o per l’incremento di risparmi. Le donne Un solo territorio ha orientato l’azione verso donne disoccupate inserite in un percorso di formazione con l’obiettivo di aumentarne i requisiti di occupabilità attraverso l’acquisizione della patente di guida. Il gruppo individuato era composto da dodici donne di un età compresa tra i 35 e 50 anni iscritte al Centro per l’impiego e prive della patente di guida: solo tre hanno aderito e continuato fino a fine progetto. Due possiedono un diploma di scuola media superiore e la terza la licenza media. Per quanto riguarda la composizione del loro nucleo una vive sola, le altre in nuclei composti da tre e quattro componenti con un carico familiare di due o tre persone. Ognuna di loro ha una situazione abitativa diversa (affitto da ente pubblico, affitto da privato, comodato d’uso). Sono stati i servizi sociali a individuare e a contattare le potenziali beneficiarie della misura. Tutte possiedono una rete familiare o amicale di riferimento. I giovani I giovani che hanno aderito all’iniziativa sono in totale 22 di età compresa tra i 18 e i 32 anni, in prevalenza di genere maschile e coabitanti con la famiglia di origine (stato libero). L’azione era finalizzata a offrire un percorso formativo per promuovere lo sviluppo delle capacità progettuali e per acquisire una maggiore autonomia e indipendenza. La fascia di età maggiormente rappresentata si concentra tra i 19 e 21 anni. Molti di loro hanno scelto di risparmiare per proseguire gli studi, alcuni hanno finalizzato il risparmio per la casa, per l’auto o per l’acquisto di un’attrezzatura professionale. Più dei ¾ è in possesso del diploma di scuola superiore, il 4,5% è già laureato, mentre poco meno del 20% non ha proseguito gli studi al termine della scuola dell’obbligo. Il 27% dei nuclei è composto da tre persone, seguono quelli con quattro e cinque persone (quasi il 23% in ambo i casi). Un nucleo è composto da sette persone, ma tale condizione non sembra essere stata penalizzante per la riuscita del percorso. Il 9% è composto da nucleo singolo (giovani oltre 30 anni). La maggior parte degli afferenti a questo target può contare su una rete famigliare (68%) o amicale (18%). La misura è stata loro proposta dal Comune o dai servizi sociali. 73 74 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione La salute Il target salute ha identificato persone in cura presso l’Asl per interventi odontoiatrici. I partecipanti sono stati undici in età compresa tra i 41 e gli 81 anni, di questi soltanto due risultano in possesso del diploma i restanti della scuola dell’obbligo. La maggior parte vive in nuclei composti da una o due persone, il carico familiare varia tra zero (7) e due (4). Piuttosto diversificata è la collocazione abitativa: affitto ente pubblico, affitto da privato, proprietà e comunità. Nove di loro possono contare su una rete familiare, i restanti sulla rete offerta dei servizi sociali. L’Asl ha invitato alla partecipazione con una lettera inviata ai pazienti in trattamento dentistico. La finalizzazione del risparmio è stata rivolta all’acquisto di protesi dentaria. Persone indicate dai servizi sociali Afferiscono a questo target il 9% dei partecipanti al progetto. Sono quasi tutte donne (9 su 10), delle quali 6 risultano sposate, le restanti sono nubili o separate. L’età è molto diversificata (dai 18 ai 51 anni), più omogeneo è il titolo di studio poiché la maggior parte è in possesso della licenza media, mentre 4 hanno conseguito il diploma. Nessuno di loro vive solo, tutti hanno un carico familiare che oscilla tra 1 a 5. La collocazione abitativa risulta diversificata (affitto ente pubblico 4, affitto privato 4, di proprietà 2). La loro rete è composta prevalentemente da quella offerta dai servizi, che li ha indirizzati al Programma. Pochi possono contare su una rete familiare. Per lo più i progetti di risparmio sono stati legati alla casa, per coprire debiti pregressi, in un caso per l’acquisto dell’auto. Fotografia delle famiglie beneficiarie In relazione al numero e all’adesione al Programma il gruppo target famiglie ha permesso un’analisi più accurata e approfondita. I risultati della ricerca fanno riferimento esclusivamente a questo target. Professione e reddito Si tratta di un campione attivo dal punto di vista lavorativo per il 94%, il restante 6% è costituito da casalinghe/i, studenti e disoccupati. La maggior parte svolge un lavoro di tipo intellettuale alla dipendenze di terzi (impiegati 71%), mentre coloro che hanno un attività in proprio rappresentano il 10%, seguono infine gli operai con il 9%. Le restanti occupazioni si distribuiscono tra collaboratore a progetto e socio di una cooperativa e insieme raggiungono il 3 %. Il 75% può contare su un lavoro a tempo indeterminato e di questi il 23% occupato part time è costituito da donne; le collocazioni «fragili», cioè a tempo determinato, rappresentano il 25 %. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Analizzando il reddito autodichiarato (1), la popolazione si divide quasi esattamente in due, con la medesima percentuale (43,5%) tra quanti hanno un reddito familiare compreso tra 1.500 e 2.500 € e quanti tra 2.500 e 3.500 €. Vi è poi un 8,7% che ha un reddito superiore a 3.500 €, un 4% con un reddito compreso tra 500 e 1.500 €. All’interno di questa ultima fascia, la tipologia di lavoro rappresentata è quella dell’operaio, dell’ impiegato e dello studente. Le fasce di reddito comprese tra 1.500 e 2.500 €, 2.500 e 3.500 € assorbono quasi tutte le professioni, dalla casalinga, al lavoratore a progetto, al libero professionista, o all’impiegato. Infine, solo l’8% dei nuclei possiede un reddito mensile maggiore di 3.500 € Isee, composizione del nucleo familiare e risparmio Un aspetto interessante per ragionare intorno alla capacità di risparmio del gruppo è il reddito misurato attraverso il calcolo Isee (indicatore della situazione economica equivalente). • Alla classe compresa tra 10.001-20.000 € appartiene il 64% del target famiglie con figli. Il reddito medio di questo gruppo è di 15.552 € – compreso tra 10.176 e 19.632 € – mentre il valore mediano (2) è di 16.093 €. • A seguire la fascia 6.000-10.000 €, cui appartiene il 14,5%, possiede un reddito medio di 7.572 € – compreso tra 6.098 e 9.093 € – mentre il valore mediano è di 7.375 €. • La fascia Isee compresa tra 20.001 e 25.000 € rappresenta il 10%, il valore medio è di 21.768 € – compreso tra 20.467 e 24.894 € – mentre il valore mediano è di 21.131 €. • Il 4% del target possiede un reddito Isee compreso tra 25.001 e 30.000, dove il valore medio è di 28.283 €. Per comprendere quanto la numerosità della famiglia incida sul reddito del nucleo è stato preso in esame il reddito mensile (dichiarato dai partecipanti prima dell’avvio del Programma) ed è stato costruito un valore medio disponibile per ogni componente sulla base della numerosità del nucleo. Il valore medio varia notevolmente in rapporto al numero dei componenti, ed evidenzia che le famiglie più numerose sono quelle maggiormente esposte al rischio di deprivazione soprattutto quelle in cui sono presenti dei minori. Attitudine al risparmio Il risparmio rappresenta per oltre la metà del campione un’area di fragilità, infatti il 58% dichiara di non possedere alcuna forma di Si tratta del reddito dichiarato in fase di avvio del Programma. È stato riportato anche questo indice di valore centrale in quanto meno sensibile alle differenze tra i due estremi della classe (valore assunto dalle unità che si trovano al centro della distribuzione). (1) (2) 75 76 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione risparmio, il restante 42% possiede una o più forme di risparmio distribuite tra: piani di accumulo (12%), investimenti (11,6%), libretto risparmio (20%). A una prima analisi questa difficoltà al risparmio potrebbe essere attribuita alla scarsità di entrate, invece, analizzando il rapporto tra fascia di reddito e presenza di risparmio, si nota che il gruppo dei risparmiatori è distribuito trasversalmente tra tutte le fasce di reddito, apparendo così condizionato da fattori diversi da quello del solo reddito. La fascia Isee 10.001-20.000 sembra rappresentare bene quanto il risparmio sia in primo luogo una condotta ispirata da elementi culturali, infatti delle 44 unità, 22 posseggono una forma di risparmio e 22 ne risultano prive e vi è una presenza di risparmio anche nella fascia reddituale più bassa. Per quanto riguarda invece gli strumenti finanziari, tutti i partecipanti posseggono un conto corrente bancario, mentre solo il 55% possiede una carta di credito. Tra gli utilizzatori della carta di credito è segnalato un buon uso di questa, con un’unica eccezione. Due nuclei dispongono anche di un fido di conto. La verifica del bilancio La misura dell’asset building propone ai partecipanti un metodo per la gestione del bilancio familiare che prevede una formazione specifica finalizzata a incrementare le reali capacità di risparmio. Le spese All’inizio del percorso viene chiesto agli aderenti di indicare, attraverso la compilazione di schede mensili di monitoraggio, quanto stimino di spendere per ciascuna delle voci indicate (alimentari, abbigliamento, casa, trasporti, salute e igiene, svago e tempo libero, formazione, beni durevoli, varie, tabacchi e caffè, cellulare, finanziamenti, investimenti, ferie e viaggi e spese straordinarie). L’intento è quello di stimare la spesa a inizio percorso e la presunta capacità di risparmio in relazione al proprio reddito. La fotografia iniziale viene poi confrontata, a distanza di un anno, con le spese effettivamente sostenute permettendo così una verifica puntuale su ogni singola voce. Questo sistema di rilevazione ha permesso di effettuare una prima verifica sull’andamento generale del programma attraverso il confronto del valore medio. Dopo il primo anno di percorso, le spese ipotizzate sono state comparate con quelle effettive in modo da confrontare sia il volume di spesa complessivo sia il peso di ciascuna rispetto al totale per proporre infine l’opportunità di operare dei risparmi mirati. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Voci di spesa media prevista media effettiva % spesa prevista % spesa effettiva differenza differenza % ALIMENTARI € 416,04 € 367,70 17,60 14,40 € 48,34 11,62 VESTIARIO € 83,92 € 110,48 3,55 4,33 -€ 26,56 - 31,65 CASA € 724,24 € 737,72 30,64 28,89 -€ 13,48 - 1,86 TRASPORTI € 276,56 € 270,34 11,70 10,59 € 6,22 2,25 SALUTE & IGIENE € 97,34 € 137,19 4,12 5,37 -€ 39,85 - 40,94 SVAGO & CULTURA € 79,19 € 97,54 3,35 3,82 -€ 18,35 - 23,18 FORMAZIONE € 270,47 € 188,36 11,44 7,38 € 82,11 30,36 BENI DUREVOLI € 13,31 € 136,81 0,56 5,36 -€ 123,49 - 927,68 TABACCHI & CAFFE’ € 30,29 € 24,70 1,28 0,97 € 5,58 18,44 CELLULARE € 42,49 € 33,40 1,80 1,31 € 9,10 21,41 RATE FIN € 92,90 € 65,21 3,93 2,55 € 27,69 29,81 FERIE & VIAGGI € 114,75 € 117,81 4,85 4,61 -€ 3,06 - 2,66 SPESE VARIE € 50,34 € 119,32 2,13 4,67 -€ 68,98 - 137,03 SPESE-STRAORD. € 44,00 € 133,66 1,86 5,23 -€ 89,66 - 203,78 Analizzando in primo luogo il volume di spesa complessiva emerge che in media le famiglie con figli spendono 2.554 (3) € mensili (il dato medio è stato estratto da 58 partecipanti, i restanti 11 non hanno presentato elementi sufficienti per poter effettuare una prima verifica sul loro bilancio); se questa viene confrontata con il valore medio della spesa stimata in fase di avvio del programma, pari a 2.364 (4)€, emerge che la percezione della propria spesa è inferiore rispetto al volume effettivo e che la differenza complessiva è di 190 €. È importante precisare che si tratta di un valore medio e pertanto piuttosto sensibile ai valori estremi (5), ma rappresenta chiaramente quanto sia facile avanzare delle stime errate soprattutto quando le spese sono tante, diversificate e soggette a variazioni impreviste. Tra l’altro, nel confronto con i dati nazionali rilevati dall’Istat nel quarto trimestre del 2009, la spesa media mensile delle famiglie residenti al Nord è di 2.768 € quindi più alta di quelle delle famiglie esaminate. N 59 deviazione std 590,2. N 59 deviazione std 1.173,3. (5) Diversamente se si considera il valore mediano si possono notare delle minime differenze (mediana spesa media percepita 2.392 €, mediana spesa effettiva 2.510 €, con una differenza di 118 €). (3) (4) 77 78 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Passando ora a esaminare il peso di ciascuna voce di spesa all’interno del bilancio complessivo, come descritto nella tabella, si nota che esistono grosse differenze tra le voci sia in termini di entità sia di previsione. L’incidenza maggiore riguarda la spesa mensile legata alla casa che in media rappresenta il 29% della spesa complessiva e che si scosta di molto dalle altre. A seguire troviamo gli alimentari (14%), i trasporti (11%) fino alla voce tabacco e caffè (1%) che rappresenta quella meno incisiva. Lo scarto tra la spesa stimata e quella effettiva è attribuibile alle caratteristiche delle voci: le spese che per natura sono più regolari, come la spesa per la casa, i trasporti e anche le ferie e viaggi, sono più prevedibili e preventivabili; altre voci invece, come le spese straordinarie, le spese varie e quelle per i beni durevoli, mostrano come sia facile sottovalutarne il peso nel bilancio annuale della famiglia, e quanto sia desiderabile possedere risorse anche minime per fronteggiarle. La casa Come si è visto nel paragrafo precedente, la casa rappresenta tra le voci di spesa quella che maggiormente incide sul bilancio delle famiglie con figli, per questo è importante proporre alcuni approfondimenti sulle diverse soluzioni abitative presenti nel target (affitto da ente pubblico, affitto da privato, alloggio di proprietà, di proprietà con mutuo, comodato d’uso/ospiti) e come la presenza della rata del mutuo incida sul comportamento di spesa e di risparmio delle famiglie. Se torniamo a considerare tutti i 115 partecipanti emerge che il 68% vive in casa di proprietà, il 15% è in l’affitto presso privati, le restanti soluzioni rappresentano il 17% dell’intero campione. Scomponendo ulteriormente la voce abitazione di proprietà si nota che 45 dichiarano di avere un mutuo; sommando questi con coloro che vivono in affitto presso privati, risulta che il 53% del campione deve sostenere per l’abitazione costi piuttosto elevati. Dei 45 soggetti che hanno un mutuo attivo, 42 appartengono al target famiglie con figli; i restanti 27 del target famiglie si dividono tra affitto da privato (6), proprietà (16) e altre soluzioni (5), nessuno appartenente a questo target vive in affitto presso un ente pubblico.Considerando le 42 famiglie con figli piccoli su 69 che hanno un mutuo in corso, incrociando la presenza del mutuo con le entrate si nota che la maggiore parte ha entrate che variano tra 10.000 e 20.000 € annui e che i mutui sono presenti anche nella fascia più bassa (2), mentre tra quanti si trovano nella fascia di reddito più alta, non ci sono mutui attivi. Analizzando ora il comportamento di spesa in relazione alla presenza di mutuo si colgono alcune interessanti differenze: • chi non possiede un mutuo spende mensilmente in media di più in alimentari (+ € 7,60), abbigliamento (+ € 10,00), trasporti (+ € 5,00), Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione salute (+ € 6,00), svago (+ € 19,00), caffè e tabacchi (+ € 10,00), cellulare (+ € 7,00), rate finanziamenti (+ € 44,00), ferie e viaggi (+ € 70,00); • chi possiede un mutuo spende mensilmente di più in formazione, beni durevoli (+ € 122), spese varie (+ € 10,00), spese straordinarie (+ € 87), casa (+ € 427). La capacità di risparmio del gruppo, se confrontata con gli altri target, è risultata abbastanza diffusa. Per concludere la parte relativa all’abitazione, possiamo notare che chi ha un mutuo sembra mostrare maggiore abitudine alla rendicontazione, infatti la voce «dato non disponibile» è presente spesso nelle diverse elaborazioni, ma lo è poco tra coloro che hanno un mutuo attivo. Correlazione tra spesa e Isee In rapporto alle fasce Isee (è esclusa la fascia 25.000-30.000 € in quanto numericamente poco significativa) l’incidenza percentuale sul reddito di alcune voci appare indipendente dall’entità dello stesso: prima tra tutte la casa con una percentuale tra il 20 e il 30% del reddito, sia per coloro che sono in affitto (15%) sia per chi, pur essendo proprietario, deve estinguere il mutuo. Seguono le spese per alimentari (dall’ 11 al 15%) e per i trasporti (dal 9 all’ 11 %). La quarta voce di spesa è la formazione costituita principalmente dalle rette dell’asilo nido. Le restanti voci (6) e rispettive differenze tra le fasce di reddito sono riconducibili a stili e scelte di vita individuali. Il gruppo più rappresentato è quello compreso nella fascia Isee 10.00120.000 €; di questi 32 nuclei hanno un mutuo attivo e soltanto sei vivono in casa di proprietà, i restanti pagano un affitto o usufruiscono di altre soluzioni. Svolgono un lavoro di tipo impiegatizio (32 su 44). Per quanto riguarda il livello di istruzione l’86% possiede un diploma o una laurea (12 lauree e 24 diplomi). La spesa che grava maggiormente sul bilancio è la casa, seguita dagli alimentari e dall’acquisto di beni durevoli. In questo gruppo troviamo il 60% di nuclei composti da quattro o più componenti. Risparmio Così come è stato rilevato che la percezione della propria spesa è inferiore a quella effettiva, analogamente esiste una differenza tra le entrate percepite e quelle effettive (7) e tra risparmio percepito e risparmio effettivamente maturato. (6) Salute, abbigliamento, beni durevoli,tabacco e caffè, cellulari, finanziamenti, ferie e viaggi, spese straordinarie, spese per svago e divertimento, spese varie. (7) Entrata media mensile percepita € 2.357,4; entrata media effettiva € 3.034,6; differenza € 677. 79 80 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Per comprendere meglio le difficoltà a risparmiare, ai partecipanti all’inizio del percorso, è stato chiesto di stimare la propria: 21 ritenevano di sostenere spese superiori alle entrate e di essere per ciò impossibilitati a risparmiare; 38 ipotizzavano di disporre di entrate superiori alle spese e di essere quindi in grado di produrre risparmio. A un anno dall’inizio della misura la situazione appare piuttosto modificata: nel gruppo dei 21, 14 sono riusciti a modificare in positivo la percezione legata alla possibilità di risparmiare, per i restanti 7 la percezione iniziale viene confermata, ma si riduce notevolmente l’entità dello scostamento tra entrate e risparmio. Diversamente per i 38 partecipanti che ritenevano di essere in condizione di risparmiare, tale risparmio non è stato così significativo. Questi risultati indicano come in molte situazione la percezione induca convinzioni e comportamenti controproducenti: nel nostro caso, infatti, la percezione negativa sembra dare luogo a una maggiore attenzione alla spesa che ha potuto generare risparmio, mentre la percezione positiva pare indurre comportamenti di spesa meno attenti con la conseguente riduzione dell’entità di risparmio stesso. Considerando il risparmio medio del target, si nota come analogamente alla percezione delle spese, anche quella della propria potenzialità di risparmio sia maggiore rispetto a quanto poi si registra effettivamente. La misura, quindi, nell’abituare a un costante monitoraggio della spesa, permette di commisurare la propria percezione ai dati di realtà e di effettuare scelte più ragionate, realistiche e consapevoli. La percezione del proprio cambiamento Il percorso di risparmio integrato e finalizzato proposto con l’asset building ha comportato che ogni beneficiario per ottenere l’integrazione del risparmio, a inizio percorso, definisse l’obiettivo per il quale intendeva risparmiare. Il gruppo delle famiglie era accomunato dall’individuare obiettivi che potessero migliorare le condizioni del nucleo con una diretta ricaduta sui figli piccoli. Era possibile individuare anche più di una finalità. La maggior parte dei partecipanti ha scelto un investimento relativo alla propria casa finalizzano la cifra accumulata all’abbattimento del mutuo o all’arredamento della cameretta dei figli (47,8%). La seconda scelta è indirizzata all’apertura o all’incremento della somma presente sul libretto di risparmio con l’intento di costruire un serbatoio di risorse per alleviare la sensazione di precarietà economica (37,7%). In terza posizione, e con molto distacco dalle prime due, figura la finalizzazione relativa al pagamento della retta del nido (8,7%) seguita a poca distanza dalla voce «formazione» riferita sia alla formazione dei genitori sia a quella dei figli (5,8%). Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione L’autovalutazione dei comportamenti Per concludere l’analisi del target famiglia con figli, al termine del percorso di risparmio è stato somministrato un questionario di valutazione e di autovalutazione centrato sugli eventuali cambiamenti di propri comportamenti. Riportiamo le domande più significative, quelle relative al cambiamento nei confronti della percezione dei consumi e dei risparmi, e quelle relative ai costi e benefici derivanti dall’aver partecipato alla misura. Per quanto riguarda il cambiamento della percezione relativa ai propri consumi si rileva come nel 86% dei casi si è registrato un qualche cambiamento, che si concretizza principalmente in una maggior consapevolezza e attenzione soprattutto nell’evitare sprechi. Il 79% registra un cambiamento nel proprio modo di risparmiare, soprattutto nella definizione degli obiettivi per i quali risparmiare e nel ritenere la modalità appresa nel gruppo determinante per produrre risparmio. Tra i benefici derivanti dalla partecipazione alla misura è stata sottolineata la maggiore consapevolezza nei consumi (41%) e la maggiore attitudine al risparmio (18%). I costi di partecipazione all’azione sono per lo più indicati dal tempo richiesto e dalla fatica della compilazione della scheda di bilancio (70%); il 21% registra anche la fatica del realizzare concretamente il risparmio. In relazione al cambiamento della percezione relativa al proprio risparmio, il 79% dei casi segnala una qualche forma di cambiamento, soprattutto nell’importanza dell’individuare precisi obiettivi di risparmio, nella consapevolezza dei propri consumi e risparmi. Le modalità di utilizzo della quota vinta Può essere significativo il confronto, a questo punto, con gli esiti di un questionario di ingresso sulle attitudini al risparmio e sullo stile di consumo, con domande a risposta multipla che consentivano la scelta di una o più risposte. Una domanda chiedeva come si sarebbe spesa un’eventuale vincita di 20.000 €: le prime tre voci di risposta sono state per investimenti finanziari al 30%, per l’abbattimento del mutuo al 24% e per l’acquisto di un auto al 16%. Significativo al quarto posto (15%), e a poca distanza dalla terza, compare la voce viaggi. Alla domanda su come avrebbero utilizzato 200 € mensili in aggiunta al proprio reddito la maggior parte delle persone si è orientata al risparmio (41,74%), seguita subito dopo dalla voce svago e tempo libero. Infine, una terza domanda intendeva verificare i criteri che orientano nelle scelte dei prodotti: i due criteri che svettano sono come prevedibile il prezzo e la qualità, con una predominanza di quest’ultima sul primo. 81 82 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Seguono a moltissima distanza criteri legati all’ecosostenibilità. Come già accennato, la consistenza numerica dei vari target è molto differente e per questo motivo diventa complesso operare dei confronti, tuttavia, per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti dei soldi, sembra interessante cogliere alcune eventuali differenze. Pertanto si è provato a diversificare le risposte al quesito “utilizzo quota vinta” a seconda dei target. Le risposte più frequenti sono concentrate nelle voci abbattimento mutuo, acquisto auto ed investimenti finanziari e immobiliari: l’investimento in immobili è l’unica finalità scelta da tutti e cinque i gruppi di beneficiari. Il target più anziano (salute) è l’unico interessato a saldare i propri debiti, ma disdegna l’investimento finanziario o l’acquisto di un auto. Il target famiglie con figli si concentra maggiormente invece sull’abbattimento del mutuo che come abbiamo già visto rappresenta la spesa che incide maggiormente sul bilancio familiare. Le famiglie sono anche le uniche a dichiarare una certa disponibilità a devolvere parte della vincita in donazioni. La scelta prevalente dei giovani è orientata prioritariamente all’acquisto dell’auto, prima che verso gli investimenti immobiliari. Un altro confronto significativo è quello della finalizzazione del risparmio nei differenti target: le famiglie dimostrano una versatilità maggiore nella definizione dei propri progetti di risparmio (casa, formazione, libretto di risparmio, nido, automobile); per il target salute l’obiettivo era ben definito in partenza, i giovani, le donne ed il gruppo dei servizi sociali si orientano verso la formazione e l’automobile. In conclusione Possiamo sottolineare l’importanza del percorso individuale e di gruppo per la promozione e/o il rafforzamento di una certa attitudine al risparmio. In particolare i dati evidenziano come sia possibile generare risparmio anche in presenza di redditi medio-bassi grazie soprattutto ad una adeguata formazione alla gestione del bilancio familiare ed a un appropriato accompagnamento individuale. Inoltre, la possibilità di condividere l’esperienza insieme a gli altri partecipanti ha stimolato un maggior confronto sia riguardo alle difficoltà incontrate sia nell’individuare strategie adatte al buon esito del percorso. Infine, va sottolineato come la misura dell’asset building sia stata positivamente sperimentata nell’ambito dei servizi sociali per persone in situazione di disagio e come ciò possa aprire una prospettiva innovativa nell’impiego delle risorse economiche ed educative. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Alla ricerca di un modello di valutazione Come valutare gli interventi di microcredito e asset building? Maurizio Marino, Giuseppe Costa La vulnerabilità sociale è stata definita come «l’insieme delle caratteristiche di una persona o di un gruppo e della situazione in cui si trovano a vivere che influenza la loro capacità di anticipare, adattarsi, resistere all’impatto d’eventi negativi» (1). Gli obiettivi del processo di valutazione Nella documentazione amministrativa della Provincia (2), la vulnerabilità sociale è considerata «un malessere che assume i tratti della “sofferenza senza disagio” e si traduce più che in una vera e propria crisi, in un’incertezza e un’insicurezza, che tocca anche strati sociali tradizionalmente collocati in una situazione protetta e garantita». «Non necessariamente è da correlarsi a situazioni di povertà, quanto è da interpretarsi come una minore capacità della struttura sociale e dei soggetti ad assorbire i momenti e le fasi di crisi». I processi di vulnerabilità sociale possono essere scatenati e aggravati da un insieme di condizioni materiali (abitative, finanziarie e lavorative), da problemi legati alla gestione della salute e al lavoro di cura. L’asset building e il microcredito, nel breve periodo, servono fondamentalmente al cosiddetto «empowerment» temporaneo della persona, ovvero ad aggredire quei fattori di rischio psico-sociali che hanno a che fare con il debole controllo da parte del soggetto e con il basso aiuto dall’esterno. È proprio su questi effetti a breve e medio termine, oltre che sugli obiettivi diretti dell’intervento, che si è concentrata l’attenzione del gruppo di lavoro nella definizione del * L’articolo è stato scritto con il contributo di E. Ferracin, C. Marinacci, R. Longo, S. Scarponi, A. Caiazzo. (1) Wisner B., Blaikie P., Cannon T., Davis I., At Risk: Natural Hazards, People’s Vulnerability, and Disasters, Routledge, London 2004. (2) Cfr. http://www.provincia.torino.it/speciali/fragili_orizzonti07 83 84 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione piano di valutazione e nell’individuazione degli aspetti di salute/ benessere da osservare e monitorare nella popolazione beneficiaria degli interventi, non potendosi osservare effetti diretti sulla salute che richiedono lunghi tempi di latenza. Il progetto di valutazione ha per oggetto l’efficacia degli interventi di asset building e di microcredito, concentrandosi sulle condizioni di benessere e di salute percepite dalla popolazione destinataria dell’intervento stesso e ai cambiamenti intervenuti nella capacità di controllo ed efficacia delle proprie azioni (empowerment individuale). Il metodo di lavoro Il disegno dello studio ha previsto una valutazione pre-post, tramite la comparazione delle condizioni iniziali con quelle verificabili a distanza di un anno dall’intervento, rilevate tramite questionario. È stata esclusa la possibilità di arruolare un gruppo di controllo, sul quale rilevare le stesse informazioni e le misure di efficacia, per problemi etici e di complessità nell’arruolamento del gruppo stesso, vista la forte eterogeneità e variabilità delle caratteristiche della popolazione bersaglio identificata nei diversi territori. È stato elaborato un questionario volto a misurare le dimensioni del benessere/salute dei beneficiari relativo agli obiettivi del progetto di valutazione, sulla base di strumenti validati nella ricerca epidemiologica e sociale. Nello specifico, il questionario è composto da due sezioni: • la prima sezione, compilata una tantum a cura dell’operatrice della Banca Etica, durante i primi colloqui individuali, comprende la rilevazione di alcune informazioni riguardanti le caratteristiche socioeconomiche e anagrafiche del nucleo familiare del beneficiario; • la seconda sezione è finalizzata agli approfondimenti sulle condizioni di salute. Questa parte della valutazione pre-post ha affrontato in particolare aspetti del profilo psicologico della persona, utilizzando scale di valutazione di autoefficacia percepita e di locus of control, modificate alla luce delle informazioni disponibili al momento della progettazione, riguardo i principali target individuati a priori dai diversi territori (giovani, donne con figli). L’autoefficacia (self-efficacy) si riferisce alla fiducia che gli individui hanno nella propria capacità di agire in modo tale da influenzare gli eventi della propria vita. La fiducia nella propria autoefficacia determina il modo in cui le persone si sentono, pensano, motivano se stessi e agiscono (3). Il costrutto locus of control invece si riferisce alle credenze di una persona circa il controllo degli eventi della vita. (3) Questo è dimostrato da quanto impegno mettono e quanto a lungo persistono nell’affrontare gli ostacoli e le esperienze avverse. Nel questionario è stata utilizzata una scala di «au- Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Rappresenta l’atteggiamento mentale attraverso il quale noi sentiamo di essere in grado di determinare le nostre azioni (locus of control interno) oppure attribuiamo il loro esito a eventi/soggetti esterni (locus of control esterno) (4). Un’ultima parte del questionario, infine, valuta la «salute percepita» fisica e psichica, tramite il questionario sf12 (5). Quali caratteristiche dei beneficiari? Nel corso del quadriennio (2007-2010) sono stati restituiti 300 questionari. Beneficiari arruolati con criteri diversi Tali questionari erano riferiti a entrambi i tipi di intervento (asset building e microcredito) e ai diversi territori interessati fino a quel momento. Tra questi, due sono stati esclusi dalle analisi, non essendo riportato il territorio di riferimento. Le analisi realizzate sono quindi riferite a 298 questionari totali, per quel che riguarda la prima somministrazione (vedi Fig. 1). Nella lettura dei risultati che seguono va tenuto presente che le modalità di intercettazione e arruolamento dei beneficiari degli interventi sono state molto diverse fra di loro. In particolare per il microcredito, la proposta è stata rivolta ai potenziali beneficiari dei diversi territori, senza una selezione a priori di eventuali target. Per l’asset building, invece, l’arruolamento dei beneficiari è toefficacia percepita» elaborata a partire da scale di efficacia familiare/collettiva percepita (Efcp/a), e scale di autoefficacia percepita nella soluzione di problemi (Apsp). Cfr. Caprara G. V. (a cura di), La valutazione dell’autoefficacia. Erickson, Trento 2001. (4) Il locus of control è stato elaborato in ambito psicologico: Rotter J., Generalized Expectancies for Internal Versus External Control of Reinforcements, in «Psychological Monographs», 80, 609, 1966. Per il questionario è stata utilizzata la scala di valutazione del locus of control interno, già validata a livello italiano e tratta dalla versione italiana dell’Ipc Scales di Hanna Levenson. Cfr. Nigro G., Galli I., La fortuna, l’abilità, il caso, Centro scientifico torinese editore, Torino 1988. (5) L’sf36, dal quale è tratta la Short Form - sf12, è un questionario sullo stato di salute sviluppato a partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti d’America come questionario generico e multidimensionale, articolato attraverso 36 domande che permettono di assemblare otto differenti scale. Le 36 domande si riferiscono concettualmente a otto domini di salute: af (attività fisica): 10 domande; rp (limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica): 4 domande; re (limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo): 3 domande; bp (dolore fisico): 2 domande, gh (percezione dello stato di salute generale): 5 domande; vt (vitalità): 4 domande; sf (attività sociali): 2 domande; mh (salute mentale): 5 domande; cambiamento nello stato di salute: 1 domanda. Il questionario sf36 può essere autocompilato, o può essere oggetto di una intervista sia telefonica sia faccia-a-faccia. In Italia il questionario è stato tradotto e adattato culturalmente a metà degli anni ’90 nell’ambito del progetto Iqola. Lo sviluppo del questionario italiano si è articolato in differenti tappe durante le quali il questionario è stato somministrato a più di 10.000 soggetti. Attualmente è disponibile un manuale di utilizzo, un’ampia bibliografia di riferimento e una banca dati contenente dati normativi su un campione di 2.031 soggetti rappresentativi della popolazione italiana, datata 1995 (Fonte: Istituto di ricerche farmacologiche Negri di Milano, Qualità della vita e stato di salute, in http://crc.marionegri.it/qdv/index.php?page=sf36). 85 86 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Area AB MC Chieri 15 Collegno - Grugliasco 32 Ivrea 21 Orbassano 37 Rivoli Cuorgnè Pianezza 8 Totali 113 34 17 7 43 73 6 5 185 Totali 49 49 28 82 73 6 13 300 Fig. 1 - Questionari: prima somministrazione, parte sociodemografica, per tipo di intervento e territori. Anni 2007-2010 (6). stato preceduto da un lavoro di individuazione e contatto con target specifici, con l’obiettivo di intercettare una popolazione a rischio di vulnerabilità sociale, ma non ancora in stato di povertà e quindi, esterna al bacino di utenza «tradizionale» dei servizi socioassistenziali. Le differenze rilevate sono quindi la logica conseguenza dei diversi percorsi adottati; anche per questo come termine di paragone (dove possibile) è stato utilizzato il valore medio piemontese della prevalenza di quella determinata caratteristica. Le caratteristiche sociodemografiche dei beneficiari La distribuzione per genere, in entrambi i gruppi di beneficiari, si allinea ai valori piemontesi, con una leggera prevalenza di donne nell’asset building (ab). La fascia di età maggiormente rappresentata è quella dai 35 ai 59 anni, con una forte presenza di giovani e giovani adulti (dai 18 ai 34 anni) fra i beneficiari dell’ab (42%). Seppur con numeri ridotti, la percentuale di stranieri intercettata dagli interventi rispecchia il dato piemontese. Le caratteristiche socioeconomiche, qualunque sia la variabile di riferimento, delineano un profilo dei beneficiari dell’asset building meno deprivato di quelli del microcredito (mc): nel caso del livello di istruzione, per quel che riguarda l’ab, la percentuale di soggetti in possesso del diploma di scuola superiore (e oltre) è nettamente superiore alla media regionale (64,6% vs 43,3%), mentre la percentuale di occupati si allinea al valore piemontese (67,3% vs 65,2%). Questo dato conferma il fatto che, nell’intercettazione dei target ai quali proporre l’intervento di ab, gli attori locali si siano orientati, almeno fino al periodo oggetto di valutazione, su popolazioni esterne (6) Sono stati elaborati solo i questionari del periodo oggetto di valutazione e non tutti quelli disponibili. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione al bacino di utenza tradizionale dei servizi, così come indicato negli obiettivi del progetto, offrendo un supporto di contrasto ai processi di vulnerabilità. Per quel che riguarda la tipologia familiare, sembra prevalere in entrambi i gruppi la coppia con figli. Dal confronto con il dato medio piemontese è da rilevare, in eccesso, la percentuale della coppia con uno o due figli per l’ab e la coppia con più di due figli nel mc. Da sottolineare la percentuale significativa di persone sole fra i beneficiari del mc rispetto a quelli dell’ab, con valori percentuali che restano comunque molto al di sotto del dato regionale. Nei cinque anni precedenti l’intervento proposto (ab o mc), la maggior parte delle persone dichiara di aver avuto delle difficoltà economiche in una o più occasioni (il 54% dei beneficiari nell’ab e 78,9% dei beneficiari del mc). Fra i principali motivi di queste difficoltà vengono segnalati: il reddito insufficiente, la disoccupazione, la malattie e la separazione o il divorzio. Questo dato conferma il fatto che, in entrambi i tipi di intervento proposti, sono state individuate delle fasce sociali a rischio di vulnerabilità economica. Per fronteggiare queste difficoltà, in entrambe le popolazioni, una grande maggioranza (oltre il 70% in entrambi i casi) delle persone ha potuto usufruire di un aiuto economico, in particolare da parte dei genitori. Anche in questo caso i soggetti che hanno usufruito dell’ab sembrano disporre di una rete familiare di supporto più solida, almeno dal punto di vista economico. Scarsa invece l’abitudine al risparmio nella popolazione intercettata dagli interventi, in particolare per quella che ha usufruito del mc. Questo dato segnala l’aspetto innovativo, in particolare dell’ab, rispetto all’uso delle risorse economiche da parte delle famiglie e riguardo l’assunzione di comportamenti positivi nei confronti del risparmio, elemento questo essenziale per la capacità delle famiglie stesse di far fronte a eventuali momenti di difficoltà o emergenza economica. I risultati delle rilevazioni pre e post intervento Con la prima somministrazione sono stati restituiti in totale 161 questionari; di questi due sono stati esclusi dalle analisi non avendo il territorio di riferimento, elemento costitutivo dell’identificativo anonimizzato, utile a collegare le diverse parti e somministrazioni dei questionari. Le analisi sono quindi state realizzate su 159 questionari. Le ricadute degli interventi sui beneficiari Per quel che riguarda le misure di autoefficacia e di locus of control, trattandosi di scale modificate e non essendo disponibili dei valori 87 88 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione standard di riferimento, non è possibile interpretare il livello iniziale delle misurazioni. D’altro canto, come già specificato in precedenza, l’obiettivo dell’utilizzo di queste scale, in questo contesto, non è tanto quello di valutare le condizioni psicologiche dei soggetti (obiettivo di un setting clinico), quanto di rilevare, in termini di empowerment individuale, le ricadute degli interventi sui beneficiari. A parte per il locus of control non si rilevano differenze statisticamente significative fra i punteggi delle scale (mediana) dei diversi territori (vedi Fig. 2). Territori Autoefficacia Locus media media Chieri 57,90 10,65 Collegno 58,45 8,42 Ivrea 55,77 15,61 Orbassano 59,09 12,56 Rivoli 60,78 14,55 Pianezza 56,92 10,83 Totale 58,15 12,1 Range (40; 77) (-13; 24) MCS – Indice Salute Psicologica media 42,20 43,24 36,56 45,85 46,20 44,01 43,01 (15.40; 62.00) Territori MCS – Indice Salute PCS – Indice Salute Psicologica Fisica mediana mediana 39,91 55,73 45,94 55,3 36,02 48,72 48,23 53,91 53,49 54,72 47,19 54,83 (15.40; 62.00) (19.38 ; 62.26) p-value > 0,05 p-value > 0,05 Chieri Collegno Ivrea Orbassano Rivoli Pianezza Range Autoefficacia Locus mediana 57 58 59 58 60 56,50 (40; 77) p-value > 0,05 mediana 11 10 18 13 17 10 (-13; 24) p-value= 0,04 PCS – Indice Salute Fisica media 51,59 53,40 46,11 51,10 51,71 53,26 51,19 (19.38 ; 62.26) Fig. 2 - I punteggi - pre intervento - delle scale di autoefficacia, locus of control e salute percepita per territori (valori di media e mediana). Quale percezione dello stato di salute? I valori dell’indice di salute fisica (valori medi), in genere, sono allineati ai valori piemontesi rilevati dall’indagine Istat per la popolazione di 14 anni e oltre (Pcs = 50,8) (7); le variazioni fra i diversi territori (7) Istat, Condizione di salute e ricorso ai servizi sanitari, Roma 2005, in: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_650_allegato.pdf Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione vanno messe in relazione con le fasce di età della popolazione target e il fatto che gli indici di salute percepita (fisica e psicologica) tendano a decrescere con l’aumentare dell’età. Nel caso del territorio di Ivrea, ad esempio, dove gli interventi hanno interessato in particolare soggetti anziani (protesi dentarie), i valori del Pcs vanno confrontati con il dato riferito alla popolazione di 65 anni e oltre (Pcs persone ultrasessantacinquenni: uomini = 45,7 donne = 49,6). Da segnalare i valori dell’Indice di salute psicologica (media = 43,01), nettamente al di sotto del dato medio piemontese pari a 49,5. Anche in questo caso il dato di Ivrea, di molto inferiore a quello medio piemontese, va messo in relazione con l’età elevata della popolazione target. I bassi valori dell’Indice di salute psicologica confermano le caratteristiche di «vulnerabilità» dei target intercettati dagli interventi, anche dal punto di vista dell’esposizione a fattori di stress psicologico e mentale. I punteggi pre-post delle scale Fra la prima e la seconda somministrazione, avvenuta in genere dopo circa un anno, si è registrata un forte caduta del numero di questionari restituiti. In totale sono stati riconsegnati 32 questionari post intervento, quattro dei quali con una compilazione delle scale non complete. La misurazione della variazione pre-post dei punteggi è stata effettuata su 28 questionari, tutti riferiti a persone che avevano usufruito dell’intervento di asset building, che è stato anche quello con una caratteristica educativa e di supporto alle persone importante e per il quale, quindi, si potevano attendere ricadute sullo stato di benessere e di capacità di controllo delle proprie decisioni. Non si registrano variazioni statisticamente significative fra la prima e la seconda somministrazione, anche nel caso di incremento dei punteggi, dato questo da mettere in relazione con la scarsa numerosità dei punteggi disponibili (vedi Fig. 3). I punteggi della scala di locus of control restano invariati, mentre quelli di autoefficacia e dell’Indice di salute fisica hanno un incremento di pochi punti decimali fra la prima e la seconda somministrazione. Da notare che il lasso di tempo trascorso fra le due somministrazioni corrisponde, per la grande maggioranza dei casi, all’avvio della fase di crisi finanziaria ed economica, che ha avuto ripercussioni negative sulle condizioni di lavoro e di vita della famiglie piemontesi, in particolare dell’area metropolitana torinese. La manutenzione dei punteggi delle scale potrebbe quindi avere una valenza positiva e stare a indicare una capacità di tenuta delle famiglie rispetto al proprio investimento sul futuro e in termini di salute percepita. 89 90 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Interessante, invece, l’incremento dell’Indice di salute psicologica, il cui valore della mediana, fra prima e seconda somministrazione, passa da 37,29 a 42,50; anche se non si raggiunge la significatività statistica, un incremento di cinque punti nella Scala di salute percepita sf12 ha comunque una sua rilevanza. Da sottolineare ancora che, non avendo a disposizione il confronto di queste stime con quelle di un gruppo di controllo confrontabile con i diversi target arruolati, qualsiasi risultato ha un valore semplicemente descrittivo, non essendo possibile trarne alcuna conclusione in termini di influenza diretta degli interventi sullo stato di benessere psicofisico dei beneficiari. 60 56 56,5 54,55 54,93 50 37,29 40 42,5 30 20 9,5 10 0 PRE POST autoefficacia 9,5 PRE POST locus of control PRE POST sf_12 psicologica PRE POST sf_12 fisica Fig. 3 - Punteggi della somministrazione pre-post delle scale di autoefficacia, locus of control e salute percepita (psicologica e fisica). Valori della mediana. Qualche riflessione sull’esperienza Il progetto rappresenta sicuramente un’importante occasione di messa a punto e sperimentazione di strumenti e modalità di valutazione in ambiti nei quali è ancora troppo scarsa la documentazione a livello italiano. La centralità del piano di valutazione L’esperienza realizzata ha messo in evidenza alcune criticità legate soprattutto alla modalità di progettazione del piano di valutazione stesso. In particolare va sottolineato che, come succede in molti casi, il piano di valutazione è stato definito a valle della progettazione degli interventi, quando ormai erano stati concordati con i diversi attori coinvolti nelle iniziative le modalità di individuazione e arruolamento dei beneficiari. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Le partnership in azione Il fatto stesso che non sia stata sufficientemente esplicitata, fin dalle prime fasi di progettazione degli interventi, la centralità, soprattutto in una fase sperimentale, del piano di valutazione, ha probabilmente limitato la possibilità di concordare, con i diversi partner coinvolti, aspetti determinanti per la valutazione stessa quali, ad esempio, la possibilità di selezionare popolazioni con caratteristiche di vulnerabilità più precisamente individuate. Data la forte variabilità dei target ai quali sono stati proposti gli interventi sia a livello geografico sia temporale, nel senso che alcuni territori hanno dovuto modificare in itinere il target per il quale era stato predisposto l’intervento, non è stato possibile realizzare una validazione coerente delle scale sviluppate ad hoc con i target arruolati; questo non vale per la scala sf12, che risultava già validata a livello nazionale su una popolazione di 14 anni e oltre. Il fatto, poi, di aver introdotto il piano di valutazione a progetto avviato, in una fase nella quale i diversi attori coinvolti a livello locale erano già impegnati nella individuazione e nell’arruolamento dei potenziali beneficiari, ha ridotto e limitato molto la possibilità di condivisione degli strumenti e gli spazi di formazione degli operatori coinvolti nella somministrazione degli strumenti di valutazione. Sei raccomandazioni da cui ripartire Alla luce delle criticità che l’esperienza stessa ha evidenziato e delle indicazioni scaturite dal focus group realizzato con gli operatori dei servizi coinvolti, è possibile ricavare alcune raccomandazioni per le future esperienze di valutazione, sintetizzabili nei punti che seguono: • introdurre fin dalle prime fasi di progettazione degli interventi lo studio e la definizione del piano di valutazione; • prevedere nel progetto le risorse umane ed economiche coerenti con l’ambiziosità del piano di valutazione stesso; • condividere il piano di valutazione con i diversi attori coinvolti nella progettazione e nella gestione degli interventi; • se necessario, in casi nei quali sia così elevata la complessità dei contesti, prevedere l’applicazione del piano di valutazione a un campione di soggetti (aree territoriali) geograficamente e socialmente identificati, onde poter definire degli strumenti mirati ai soggetti stessi e garantire l’arruolamento di un gruppo di controllo; • chiarire con i beneficiari del progetto che la valutazione (e quindi la compilazione degli strumenti messi in campo) è un’attività vincolante la partecipazione al progetto stesso; • prevedere un piano di monitoraggio delle attività di valutazione verificabile in itinere da parte del gruppo di coordinamento del progetto. 91 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Alcuni apprendimenti Un compito irrinunciabile per una pubblica amministrazione che intenda progettare in modo partecipato intorno ai problemi che emergono sul territorio, è quello dell’«estrazione dell’intelligenza collettiva» maturata nel realizzare gli interventi rispondendo alla domanda: «Che cosa abbiamo appreso lungo il percorso?». Ciò è indispensabile, anche perché spesso le ipotesi iniziali di lavoro, arricchite e modificate dall’agire quotidiano, emergono più nitide al momento di una rilettura che approfondisca la natura del problema, gli esiti previsti e le scoperte, il senso, le prospettive future. In questa logica, sulla base di appunti raccolti dialogando con dirigenti dei servizi provinciali e i responsabili dei Piani di zona, gli operatori sociali nei territori e i rappresentanti delle organizzazioni in partnership, Fragili Orizzonti ha permesso di mettere a fuoco degli apprendimenti utilizzabili come «riserva» di pensiero e di azione per il futuro. Alcuni offrono chiavi di lettura della vulnerabilità e punti fermi per una prospettiva etico-politica entro cui pensare gli interventi. Altri ragionano sia su cosa voglia dire funzione pubblica a livello di redistribuzione della ricchezza, sia sulle politiche di sviluppo sociale di un territorio. Altri ancora riflettono sugli apprendimenti emersi nel quotidiano lavoro dei diversi interventi. Altri, infine, riarticolano la possibilità d’azione in vista di una «autonomia» progettuale dei soggetti segnati dalla vulnerabilità. 93 94 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Le ricadute sociali ed educative della vulnerabilità Alla ricerca di una logica sociale Franco Floris Viviamo un tempo in cui molteplici fattori – che nel loro insieme consideriamo di «crisi», a livello economico e culturale – hanno fatto esplodere preoccupanti, e a tratti drammatici, fenomeni sociali, fino a minacciare la stessa possibilità di coesistere in termini di cittadinanza sostanziale per tutti. L’abbassamento dei livelli di vita, la disoccupazione più o meno intermittente, la flessibilità che blocca la possibilità di una carriera lavorativa e sociale, il lavoro non retribuito a sufficienza, la privatizzazione dei problemi, stanno alimentando da tempo una diffusa e profonda sofferenza sociale, con manifestazioni che vanno dal cronicizzarsi di situazioni di marginalità ormai avvitate su se stesse, all’espandersi dell’area di povertà conclamata, al formarsi di un’inedita zona di fatica al confine tra povertà in senso stretto e generale disagio psicosociale. Un’inedita sofferenza sociale Tale inedita sofferenza sociale viene solitamente identificata come «mondo delle vulnerabilità» ed è espressione delle contraddizioni tipiche del nostro tempo, in quanto va a colpire fasce di popolazione finora incluse in un sostanziale benessere, facendo tramontare il mito della «vita assicurata» che a partire dal xviii secolo aveva trionfato in ogni ambito. Tale area si sta estendendo con l’intensificarsi della crisi finanziaria e industriale mondiale, con quel che essa comporta per il Paese: a livello esterno la perdita di quote del mercato mondiale e di competitività, a livello interno la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Intere fasce di popolazione sono condannate a un esodo forzato dal lavoro, non riequilibrato a sufficienza dagli ammortizzatori sociali e dalla creazione di nuove possibilità di impiego. Con una penalizzazione Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti drammatica per i lavoratori precari e – più da vicino – per i giovani, che faticano a trovare un lavoro continuativo e sufficientemente remunerativo. Come reggere il peso della crisi? Per quanto riguarda il variegato mondo della vulnerabilità, formuliamo una domanda che implica risposte definibili «di tipo trasgressivo», rispetto da una parte ad atteggiamenti passivi di cittadini rassegnati ai fattori in gioco nella crisi, dall’altra a politiche che esaltano il ruolo della libera iniziativa, nascondendo in realtà l’abbandono dei cittadini. Come, dunque, le persone e i nuclei familiari possono reggere il peso della crisi? Questa, infatti, per quanto contenuta, sollecita a riposizionarsi su nuovi stili di vita ma, prima ancora, a prendere coscienza dei cambiamenti in atto e della necessità di difendere i propri diritti di cittadini. Al contempo bisogna mettere in discussione il modello di sviluppo socioeconomico attuale, che spesso viene ritenuto l’unico possibile, immodificabile nelle sue regole, con l’accettazione dell’idea che non possono non esserci quegli «scarti di produzione» davanti agli occhi di tutti. Le possibili risposte a tale domanda vanno individuate alla luce di una considerazione generale: possiamo vedere la vulnerabilità come «crisi», come «rischio» da alleggerire o allontanare con misure protettive, oppure come possibile inizio di una nuova fase, come «varco» che immette nella sperimentazione di modalità di vita sociale e personale, per non ridurre la vulnerabilità a una pur drammatica questione economico-finanziaria ma connetterla a sfide ineludibili ormai sul piano etico-culturale e, insieme, sul piano sociale e politico. Del resto, un «controllo» degli eventi macroeconomici non sembra possibile. In fondo – osserva Ulrich Beck – ci si rapporta ai potenziali di autodistruzione incombenti come un freno da bicicletta applicato a un aereo intercontinentale. Come qualificare la vulnerabilità? Come possiamo qualificare meglio il contenuto del termine «vulnerabilità»? La vulnerabilità è un fenomeno in continuità e discontinuità con la povertà e con la marginalità, in quanto esprime la sofferenza sociale di persone e gruppi di cittadini di fatto inclusi, ma a rischio rispetto a diverse dimensioni del benessere. La vulnerabilità e la povertà hanno confini incerti e permeabili, al punto che i due concetti vengono a confondersi o a essere 95 96 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti utilizzati come sinonimi, rendendo sfuggente la comprensione dei problemi qui e ora e la progettualità per contrastarli o alleggerirli. Inoltre è facile, oggi, che dalla vulnerabilità si passi a una «povertà intermittente», non necessariamente cronica. I soggetti segnati da vulnerabilità, spesso, dispongono di risorse mentali, emotive e relazionali che rallentano o contengono la «discesa» verso la povertà. Allo stesso modo, l’evoluzione della povertà raramente è pensabile come ascesa verso una vulnerabilità più o meno leggera, avviluppati dentro circuiti da cui non è mai agevole uscire da soli. Di mezzo c’è, il fattore tempo. La povertà, infatti, spesso è esito di un circolo vizioso o di un percorso complesso, con numerose tappe intermedie, con una sorta di cedimento grave su diversificati fronti (relazionale, affettivo, finanziario, ecc.). La vulnerabilità, invece, rimanda a un’esperienza improvvisa o intermittente con un suo decorso evolutivo, in quanto non vengono compromesse molte delle risorse del soggetto e dell’ambiente familiare e microsociale che danno sostegno per non sprofondare in una povertà cronica e per non adattarsi a un’assistenzializzazione della propria esistenza. Alcune fragilità tra povertà e vulnerabilità Tra i due mondi esistono aree di intersezione e aree di diversificazione, spesso sfumate ma non del tutto sovrapponibili, su cui è utile soffermarsi velocemente, fermo restando che le storie delle singole persone e dei singoli nuclei familiari non sono riducibili a schematizzazioni che possono semplificare o appesantire il quadro. Alcune fragilità sono rintracciabili nelle zone di intersezione tra povertà e vulnerabilità. Anzitutto il senso di solitudine e il sovraccarico di compiti che ne deriva per sviluppare una propria resistenza progettuale alle sfide che si incontrano. Inoltre l’incertezza economico-finanziaria con la conseguente confusione nel leggere e rielaborare quel che succede nel mondo del lavoro, il senso di abbandono al mercato da parte delle istituzioni, una intensa avversione verso ogni forma della politica al punto da estraniarsi dalla logica democratica in attesa di un qualche leader forte che risolva i problemi. La situazione di difficoltà, tra disgregazione e precarietà La povertà rimanda a una situazione di cronicità, frutto di una storia di decadenza o di progressiva esclusione dalle reti sociali che solitamente offrono il loro sostengo nei momenti di sofferenza. Nella povertà emerge con forza la componente economica, l’incertezza del reddito, spesso per la mancanza di lavoro o per la fatica di mantenerlo. Il fattore economico disgrega il pensiero, Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti il controllo delle emozioni, gli investimenti progettuali, l’accesso al capitale sociale del proprio territorio. L’esito incombente è la disgregazione delle soggettività, l’incapacità di essere ancorati a progettualità realizzabili, la fatica nel dare un nome ai problemi da cui si è sommersi. La vulnerabilità, invece, nasce dalla mancanza di lavoro stabile e remunerativo a sufficienza, con periodi di inoccupazione e disoccupazione, pur avendo le competenze o un curriculum di buon livello ed essendo anche disponibili a forme di flessibilità dequalificanti. Nell’orbita della vulnerabilità sono coinvolti nuclei familiari con un solo reddito o con lavori precari e intermittenti, anziani con pensioni esigue, immigrati che con poche risorse perseguono il loro progetto di riscatto sociale, giovani alla ricerca di una autonomia personale o di coppia, famiglie giovani con figli e alle prese con un mutuo. Chi è attraversato dalla vulnerabilità, tuttavia, quasi sempre è in grado di dare un nome ai problemi, canalizzare le proprie energie, mentre percepisce che non c’è «spazio» nella società, in particolare nel lavoro. In tal modo si vive consegnati all’incertezza e all’ansia di vedere che la crisi del lavoro non è risolvibile sul breve periodo e che, in ogni caso, il lavoro non sarà mai sicuro o del tutto remunerativo. Per lo più ci si sente abbandonati a se stessi nell’accedere al capitale sociale ed economico, a causa del progressivo sfilacciarsi delle reti intorno alla propria esperienza, ma anche dell’inadeguatezza delle proprie competenze, senza intravedere opportunità sociali per rigenerarle. L’identità, tra rischio di etichettamento e di invisibilità In secondo luogo, emerge un problema di etichettamento delle persone e delle famiglie. Nel momento in cui le persone segnate da povertà entrano in contatto con il mondo dei servizi pubblici, spesso si assiste a una classificazione delle situazioni all’interno di particolari gruppi sociali, con processi di etichettamento. L’attenzione rischia di non rivolgersi alle storie personali, ma piuttosto ai tratti che accomunano le storie, anche per rispondere all’esigenza dei servizi di individuare interventi specifici. In ogni caso, la povertà comporta una pubblica attestazione della situazione con una pratica aperta dentro qualche ufficio. La vulnerabilità, invece, non è etichettabile o confinabile in un gruppo, né minimamente le persone che ne sono segnate intendono avvicinarsi ai servizi e lasciarsi assegnare a una qualche categoria di cittadini in difficoltà. Spesso le persone non accedono al mondo dei servizi, proprio per non essere messe in un elenco di una qualche categoria, per repulsione e vergogna. 97 98 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti In effetti, la vulnerabilità si esprime con storie personali e familiari che, in comune con le situazioni di povertà, hanno il vivere la precarietà e il senso di abbandono. Per molti versi, ciò che è diverso è la capacità di ricercare e dare un significato a quel che succede e di resistere alle pressioni ambientali, alla rassegnazione, facendo appello alla propria capacità di ragionare, individuare strategie di superamento, rielaborare gli errori di percorso. Salvo, a momenti, crollare e aver bisogno di un aiuto socioemotivo e a volte finanziario, che non è facile trovare volendo evitare le etichettature, con il rischio che il peggioramento delle condizioni psicologiche porti ad affidarsi ai farmaci per resistere, o inoltrarsi in vie di uscita prossime all’illegalità. La sopravvivenza, tra accesso ai servizi e capitale familiare Un terzo tratto di diversificazione è l’esistenza o meno di quel che possiamo chiamare capitale economico-finanziario familiare. La povertà non ha al suo interno un capitale familiare che permetta di sopravvivere, mentre per molti versi chi vive la vulnerabilità – almeno entro un certo periodo – affronta i problemi accedendo al risparmio familiare e al sostegno delle reti familiari e amicali. Chi è povero accede ai servizi e spesso ne accetta la logica assistenziale, pur di ricevere le erogazioni economiche, vedersi assegnato un posto di lavoro protetto, salire nella graduatoria dell’asilo per un figlio, avere diritto a una casa popolare. E questo senza apparentemente vergognarsi di essere ai margini o accettandolo come male minore, nonostante la repulsione o, in certi casi, l’assunzione di atteggiamenti rivendicativi, da leggere a volte come forma di protezione gelosa della propria fatica. Al contrario, chi è vulnerabile non si ritiene cliente di servizi assistenziali e dunque non vi accede, perché non si sente povero, incapace ed escluso. Manifesta una sua silenziosa dignità, non senza momenti di forte insofferenza, rendendosi inavvicinabile dai servizi, anche perché percepisce di vivere in una società che da un lato abbandona all’impoverimento e dall’altra vorrebbe lenire la sofferenza attraverso modalità che rimandano all’etichettamento sociale, alla beneficenza pubblica o alla carità privata senza rimuoverne le cause. L’investimento sulla formazione, tra rassegnazione e speranza Infine, una notevole differenza la si riscontra nell’investimento sulla formazione, soprattutto quella dei figli. La povertà spesso inibisce il poter pensare a un avvenire per i figli, adagiati passivamente sul «pregiudizio» che neanche loro riusciranno Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti a uscire dal perimetro della povertà, che potranno solo reiterare «percorsi già scavati» dai genitori. Purtroppo, spesso, si tratta di una profezia che si autoavvera, a spese delle nuove generazioni. Chi è segnato dalla vulnerabilità, invece, nonostante le difficoltà finanziarie tende a investire sui figli e sulla loro formazione, nella convinzione che occorra attrezzarli a resistere nell’incertezza. Pur sorpresi dalla vulnerabilità, si scommette sulla formazione come via alla mobilità sociale, anche se questa oggi non sembra affatto garantita come frutto dei propri meriti. Per questo si è genitori esigenti con la scuola, si investe sull’educazione sociale e culturale dei figli, si offre loro la possibilità di apprendimento ed esperienza, a rischio, a volte, di una sorta di militarizzazione della loro formazione. L’investimento sulla cultura dei figli è giustificato non solo sul versante del valore economico rispetto alla qualità del lavoro professionale, ma anche – se non di più – sul versante della competenza esistenziale, etica, democratica, ritenuta indispensabile per attraversare l’attuale fase storica. Alcune ricadute della vulnerabilità Soffermandoci ora più specificamente sull’esperienza soggettiva di vulnerabilità con l’ottica di chi lavora nel sociale o nell’educativo, è importante chiedersi quali siano le sue ricadute rispetto alle traiettorie di vita dei singoli cittadini, così come delle famiglie. L’obiettivo è accompagnare i cittadini nella ricerca del «come attraversare la crisi» senza lasciarsi risucchiare dalla vulnerabilità, verso un futuro nel quale forse non saremo poveri, ma certo si vivrà con minori risorse economiche. Gli scivolamenti verso la povertà In realtà il primo dato da evidenziare è che una discreta fascia di soggetti, indicati negli ultimi anni come «vulnerabili», di fatto è ormai scivolata in una povertà marcata, che assume la forma di una povertà intermittente, nel senso che è ciclica la fatica di arrivare a fine mese o far fronte a una spesa imprevista e imprevedibile. Fra le manifestazioni più ricorrenti vanno segnalati i tagli su spese e visite mediche specialistiche, la rinuncia a periodi di riposo in ferie, il ricorso a prestiti molto onerosi, il moltiplicarsi delle rateizzazioni, l’ingresso in zone di economia illegale e criminale. A fronte di questa povertà intermittente, che risucchia una discreta fascia non solo di tradizionali poveri ma anche di persone e famiglie appartenenti al ceto medio-basso, non sembrano sufficienti i tradizionali canali di alleggerimento come gli ammortizzatori sociali, anche perché per molti lavoratori non è possibile accedervi. 99 100 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Il ricorso pesante al welfare delle famiglie Si intravede una seconda ricaduta della vulnerabilità nel fatto che la crisi finanziaria delle famiglie non sembra manifestarsi con la virulenza ipotizzata, in quanto un insperato ammortizzatore è consistito nel welfare delle famiglie e in quello di prossimità. Anche se, in molti casi, la situazione rischia di farsi insostenibile, in quanto alla mancanza di reddito si è risposto accedendo ai capitali di risparmio familiare, quello che si era messo da parte per la vecchiaia. Oggi si vive con un forte contributo del welfare delle famiglie e delle reti primarie intorno alle famiglie (parenti e amici) disponibili a mettere in gioco le loro risorse gratuitamente o con piccoli prestiti. Fino a quando si potrà ricorrere, data la contrazione della spesa pubblica sui beni comuni, al capitale familiare accumulato dalle generazioni precedenti, senza mettere a rischio la coesione sociale e la possibilità di una vita dignitosa per tutti cittadini? La fatica a contenere i consumi Una terza ricaduta è rappresentata dall’ansia delle persone nel prendere atto che occorre staccarsi dai modelli di vita e di consumo in cui si è cresciuti e che si vorrebbe garantire ai figli. Abbassare le proprie attese – per lo più dentro mondi locali in cui la differenza di reddito si fa crescente e sospinti dai miti e dalle mete della società dei consumi – crea numerosi problemi, a cominciare dalla negazione del problema, che porta a vivere al di sopra delle proprie possibilità fino a indebitarsi gravemente per stare al livello degli standard di vita del proprio ambiente. Per alleggerire l’ansia, ci si riduce a cercare prestiti finanziari e ratei commerciali anche pesanti, pur di non ammettere la necessità di riformulare gli stili di vita familiari. Per altri versi, l’incertezza fa lievitare un lucido interrogarsi circa la sostenibilità e la sensatezza degli attuali stili di vita e del modello di sviluppo economico, che rilancia la ricerca, confusa e sofferta allo stesso tempo, di altri punti di riferimento culturali, economici e politici non facili da trovare, con il rischio di rassegnarsi alla società dei consumi. La crisi dell’autorevolezza educativo-progettuale Un’altra conseguenza è l’appesantimento della progettualità relazionale e culturale delle famiglie e la crisi di autorevolezza educativa dei genitori, fragili nel delineare insieme ai figli un disegno dignitoso di vita sociale e lavorativa che contenga l’incertezza e apra alla speranza, là dove il futuro sembra presentarsi come minaccia, piuttosto che come possibilità su cui scommettere. In effetti, la prospettiva del non-lavoro incide negativamente sul vivere in modo progettuale. E la crisi progettuale, a sua volta, mette Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti in discussione l’adultità di padri e madri, costretti a dedicarsi al reperimento di risorse economiche (come per il doppio lavoro di non poche persone), a scapito di investimenti emotivi, culturali, etici dentro la famiglia e la comunità locale. Così, i giovani trovano un debole supporto nell’intraprendere una strada di futuro (o devono dipendere dall’attività imprenditiva dei genitori, perdendo in autonomia). L’adulto soffre di una debole rappresentazione di sé come educatore e questa debolezza sembra portare a strategie che, di volta in volta, fanno leva su un clima affettivo senza altre forme di scambio con i figli, sulla rigidità nell’attrezzarli alla guerra di tutti contro tutti, sulla depressione che li soffoca, sulla fuga dalla responsabilità che li abbandona alla loro sorte etica e culturale. La fragilizzazione delle reti sociali Un altro volto della vulnerabilità è l’indebolimento delle reti sociali per i singoli come per le famiglie nel loro insieme. Solo una certa fascia di popolazione trova le forme per uscire di casa, a partire dall’idea che, mettendosi insieme ad altri e ritrovando momenti di socialità, convivialità, scambio culturale, diventa possibile rielaborare le fatiche di questo tempo e trasformare gli atteggiamenti passivi in forme di attivazione intorno a interessi e problemi. I ritmi di vita e l’incertezza stanno portando molti soggetti e gruppi a rinchiudersi tra mondi simili e a vivere con diffidenza il rapporto con gli altri, in una logica di difesa della propria identità, del proprio potere, del proprio livello di vita fino ad assumere atteggiamenti strumentali e opportunistici nei rapporti sociali, a scapito del senso di coesione sociale e di una prospettiva di cittadinanza aperta a tutti. Si finisce anche per fare leva su un «nuovo familismo», con un grande impoverimento relazionale, culturale, etico e politico dei giovani, in quanto il loro futuro non è garantito dall’essere soggetti di diritti di cittadinanza, ma dall’appartenere a una famiglia piuttosto che a un’altra. Diminuiscono la mobilità sociale e il senso della cittadinanza democratica. Tutto avviene per favore; e favore – lo sappiamo – chiama favore, in una logica feudale. Procedendo in tale direzione, gli organismi intermedi tra individui e società faticano a svolgere la tradizionale funzione di sostegno all’inserimento sociale delle persone, di accompagnamento alla loro progressiva autonomizzazione e di stimolo all’esercizio dei loro diritti di cittadinanza. La società appare segnata da egemonie e conflitti, mentre si innescano processi di abbandono sociale e culturale delle situazioni segnate da vulnerabilità e impoverimento, chiuse loro malgrado dentro invisibili sacche di contenimento. 101 102 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti L’indebolirsi del patto di cittadinanza democratica La vulnerabilità mette in discussione gli orizzonti culturali ed etici di riferimento. La crisi interroga sugli esiti del liberismo in economia, sull’insolvibilità attuale di molti diritti che si pensavano garantiti, sulla disparità nella distribuzione della ricchezza. La crisi interroga dunque sulla funzione stessa dello Stato che, in una società globale non è in grado di garantire protezione sufficiente per i cittadini; questi, di conseguenza, si percepiscono abbandonati alle logiche del mercato e non riescono ad aggrapparsi alla generatività del patto di cittadinanza alimentato dai valori della democrazia. La vulnerabilità corrode orizzonti come la democrazia, la mutualità, la legalità, la partecipazione alla costruzione di beni comuni. L’espandersi della vulnerabilità sollecita da una parte a mettere in discussione il modello economico e politico liberista, alla luce delle promesse non mantenute e dell’accumularsi della ricchezza nazionale in poche mani, dall’altra a costruire in modo partecipato istituzioni pubbliche in grado di far convergere le risorse di tutti nel contrastare la sofferenza umana, per affrontare insieme le traversie del nostro tempo. Alto è oggi il rancore davanti alle istituzioni pubbliche quando, riparandosi dietro l’ombrello della libera intraprendenza, lasciano spazio a uno sviluppo distruttivo, mentre viene meno il loro compito di contrastare le ingiustizie, ridotte a questioni individuali, piuttosto che sociali. In realtà cresce il bisogno di un nuovo welfare, diverso da quello sperimentato in questi anni, non sempre adeguato e gestibile anche in termini economici. Alla ricerca di criteri per ripartire La vulnerabilità con le sue ricadute è, per molti versi, ineliminabile, dato il permanere dei fattori di lungo periodo che la generano. Più che di eliminazione, allora, si può parlare di due grandi strategie da integrare tra loro: • la prima porta a ragionare sul contrasto, contenimento, alleggerimento delle conseguenze della vulnerabilità, creando nuove possibilità di resistenza attraverso l’accesso a beni come il lavoro, la casa, il sostegno economico, la dotazione di beni di comunità; • la seconda, invece, porta a ragionare sull’attrezzarsi a «vivere altrimenti» in un tempo di elevata vulnerabilità e fa leva sui legami di riconoscimento, sulla produzione di nuovi significati culturali, su nuove forme di imprenditività sociale a livello locale, con una logica di ricerca educativa e sociale. La vulnerabilità è un processo relazionale, culturale, economico, educativo. La risposta a essa ha decisive componenti economicofinanziarie, insufficienti tuttavia nel sostenere l’attraversamento di una crisi di lungo periodo che chiede profonde trasformazioni Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti sociali e culturali e – prima ancora – l’individuazione di un orientamento etico che faccia sua una logica di trasgressione del modello di sviluppo economico-sociale e degli stili di vita che propone. Non si tratta dunque di adattarsi all’esistente, ma di rimetterlo in discussione, a partire dalle scelte di ogni giorno fino a un approccio critico verso l’attuale modello economico. Una sfida sociale, prima che un problema personale Al di là degli errori personali e dei costi di livelli di vita indotti dal consumismo, la comprensione dei problemi non va cercata a livello individuale, ma sociale ed economico, culturale e politico, mentre la risposta non può essere affrontata con strumenti che fanno perno sull’individuo da aiutare, motivare, orientare, punire se necessario, ma neppure sull’erogazione di una qualche risorsa finanziaria. Il contrasto alla vulnerabilità non può essere affrontato caso per caso, lavorando per risolvere o alleggerire singole situazioni. Le strategie dell’accoglienza e dell’ascolto, dell’erogazione economica, della centralità della relazione educativa sono necessarie ma non sufficienti, proprio perché portano a far fronte a fenomeni sociali con strumenti di lavoro individuale. La vulnerabilità va contrastata in una logica di sviluppo sociale e comunitario, dove per comunità si intende la protezione reciproca fra cittadini entro cui vengono a intrecciarsi la funzione pubblica delle istituzioni civiche, le risorse del mercato e del mondo del lavoro, quelle associative e quelle personali. Occorre passare attraverso una nuova mutualità fra cittadini, generativa di coesione sociale. Quanto sta succedendo richiede una nuova coscienza etico-culturale e politica che è possibile maturare dentro quei «reticoli sociali», per molti versi trasgressivi, entro cui si stanno esplorando i fenomeni in atto e le loro conseguenze, con l’intento di difendere i diritti dei cittadini, di ricostruire tali diritti dentro i territori, e infine di educarsi a riformulare le scelte di ogni giorno, animati dalla ricerca del «vivere altrimenti». Una ricerca di significati, che attiva risorse pubbliche e personali Il contrasto alla vulnerabilità trova vigore se si lavora in modo equilibrato su due fronti: il fronte della dotazione di beni pubblici e il fronte delle capacità che i cittadini sono chiamati ad apprendere. La dotazione di beni pubblici Anzitutto è importante una buona «dotazione di beni pubblici», a cui i soggetti attraversati dalla vulnerabilità possano accedere come diritto di cittadinanza. Tali 103 104 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti beni, di tipo strutturale, hanno a che fare con le scelte politiche nazionali e regionali a livello di lavoro, fisco, casa, trasporti, asili nido, tempo pieno a scuola, assistenza ai non autosufficienti, sostegno ai giovani alla ricerca di lavoro, ecc. All’attuale carenza di beni privati occorre rispondere alleggerendo la fatica dei nuclei familiari e delle persone con l’offerta di beni pubblici a cui accedere gratuitamente o attraverso un contributo finanziario misurato sulle reali possibilità. Una dotazione di beni pubblici pare necessaria, inoltre, per un possibile reinvestimento nel lavoro delle persone impegnate nella cura familiare. Può liberare, infatti, importanti risorse e competenze professionali da valorizzare nel lavoro, contribuendo in tale modo anche allo sviluppo economico del Paese. Le capacità dei cittadini Tale dotazione, però, non è sufficiente in assenza di una «dotazione soggettiva» dei cittadini attraverso l’apprendimento di capacità e competenze per resistere nella vulnerabilità, da una parte utilizzando e richiedendo beni pubblici di cittadinanza, dall’altra associandosi tra cittadini per educarsi, abilitarsi, sperimentarsi. Nell’attuale società della conoscenza, senza una nuova dotazione soggettiva di competenze, non è possibile reinterrogare gli stili di vita, la qualità della vita democratica e della cittadinanza, il modello di sviluppo socioeconomico che genera vulnerabilità, povertà, disuguaglianze. Il varco verso il futuro passa dall’abilitare e abilitarsi a nuovi saperi, nuove modalità di relazione e di azione, nuovi principi organizzativi della vita familiare e microsociale. Parlare di apprendimento diffuso di nuove competenze, che per lo più maturano dentro esperienze significative rielaborate in modo approfondito, permette di uscire dal moralismo di chi si limita a ingiunzioni paradossali come: «Se vuoi sopravvivere, sii imprenditivo» o «Sarà la vita stessa, con le sue prove, a insegnarti a vivere». I luoghi di nuovi apprendimenti In realtà stanno nascendo reticoli sociali, movimenti che fanno propria la ricerca di significati del vivere, modalità nuove di convivenza sociale e di assunzione di responsabilità per costruire beni comuni e difendere i diritti, un diverso rapporto con le istituzioni e con le imprese profit e non profit. Sono luoghi di nuovi esperimenti e apprendimenti quei gruppi, quelle associazioni e quelle reti che operano per la tutela dell’ambiente, la difesa dei diritti, l’abitabilità dei territori, l’educazione critica delle nuove generazioni, l’economia sociale e di comunità, l’housing sociale, la ricerca di modalità di vita sostenibili, le nuove mutualità rispetto Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti alla salute, i contratti di solidarietà nel lavoro. In tali luoghi prendono forma sensibilità e competenze che delineano inedite modalità di pensare e agire come soggetti che cercano di non assoggettarsi alla vulnerabilità, ma di vivere considerandola un’opportunità per aprirsi a cambiamenti significativi per tutta la società. Un’azione affidata a una pluralità di soggetti motori Le azioni di contrasto alla vulnerabilità non possono essere affidate a un luogo motore unico, a un qualche specialista o anche al solo servizio pubblico, ma piuttosto a un coordinamento leggero e consistente, plurilivello e multifocale, di medio e lungo periodo, partecipato da attori politici, imprenditivi, sociali e culturali. La forma di governo maggiormente in grado di lavorare sulla vulnerabilità è un coordinamento a livello delle amministrazioni regionali e provinciali dove gli assessorati convergono per delineare misure di politica nazionale e linee d’azione territoriali. Allo stesso tempo è una governance che fa spazio all’interazione tra livello politico e livello tecnico e verso l’insieme variegato di gruppi, reti e movimenti dal basso, imprese che – a titolo diverso e in ambiti diversi – possono offrire il loro contributo per accompagnarsi reciprocamente nell’attraversare la vulnerabilità, chiedono politiche e interventi pubblici. I diversi attori possono convergere anzitutto nella comprensione di quel che succede, maturando insieme una conoscenza ravvicinata e aprendo il ventaglio delle prospettive di intervento. A sua volta, la messa a fuoco di ipotesi di azione permette di sviluppare un approccio progettuale comune che responsabilizzi e attivi in interventi specifici sulla base del proprio mandato sociale. Allo stesso tempo, ogni attore gioca la sua responsabilità a partire dalle ipotesi e dalle linee operative elaborate insieme, in una logica di sperimentazione, per poi ritrovarsi a comprendere quanto le azioni incidano su un fenomeno sociale per molti versi sfuggente. Emerge un lavoro complesso che implica professionalità specifiche in funzione di mobilitazione, regia, sostegno e accompagnamento. Qui entra in gioco il ruolo del «servizio sociale» che quotidianamente è chiamato a sviluppare una progettazione sui due livelli appena indicati – quello delle dotazioni di beni e quello delle capacità soggettive – con il compito di farli dialogare in una logica di progettazione partecipata a livello verticale e orizzontale. 105 106 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Per fare della vulnerabilità una sfida pubblica Il delinearsi di cinque grandi aree di intervento Franco Floris Chi lavora in ambito sociale ed educativo, messo a confronto con i problemi della vulnerabilità e con le cause che la innescano, viene solitamente a trovarsi in una situazione di sovraccarico emotivo, mentale, progettuale, operativo. Anche a causa dei tagli drammatici di risorse destinate al welfare susseguitisi in questi anni e, di conseguenza, della carenza di operatori, l’aumento dei problemi connessi alla vulnerabilità non fa che aggravare una situazione di lavoro in molti casi assai difficile da reggere. I rischi di questa situazione sono numerosi, per gli operatori come per i cittadini. Il primo rischio è lasciarsi prendere da un senso di onnipotenza che finisce in un attivismo poco pensoso e poco efficace, oppure – secondo rischio – da un senso di impotenza che spinge a perimetrare il proprio lavoro e chiudersi in alcune nicchie protettive. Il terzo rischio è l’evitamento delle implicazioni politiche: concentrarsi su un quotidiano in cui di fatto agiscono politiche distruttive, ma non dare il proprio contributo a politiche nazionali e locali che cerchino di contrastare o alleggerire la vulnerabilità. Il quarto rischio, infine, è delegare i problemi all’auto-organizzazione dei cittadini, alla solidarietà e alla beneficenza. Del resto manca il tempo per riflettere, per riposizionarsi davanti alla complessità della situazione. Fermarsi a pensare sembra diventare sempre più un lusso che non ci si può concedere. Ma la vulnerabilità rimanda a un sostegno sociale che permetta di sottrarsi alla voracità del tempo e di fermarsi in contesti che offrano stimoli per un pensiero critico, costruttivo, orientante. Questo spiega perché le politiche di contrasto, necessarie sul piano della dotazione di beni pubblici e di consolidamento del reddito personale e familiare, non sono sufficienti, in quanto il cambiamento in atto chiede di apprendere nuove competenze e di apprenderle dentro inediti esperimenti sociali e culturali. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Si intravede, inoltre, come il contrasto alla vulnerabilità richieda un disegno politico in cui entrano diversi ambiti di intervento, che vanno dagli interventi a livello di politiche nazionali e regionali, agli interventi più strettamente municipali attraverso soprattutto l’azione di servizi territoriali sociali e sociosanitari. In questa logica, possono essere evidenziate cinque grandi strategie politiche. La redistribuzione della ricchezza nazionale La prima strategia ha a che fare con la redistribuzione della ricchezza nazionale. Siamo di fronte a una questione sociale di enormi proporzioni, legata da una parte alla crisi economica e alla debole crescita della nostra produzione all’interno del mercato mondiale, ma dall’altra anche alla divaricazione drammatica tra fasce ricche e fasce impoverite. Ridurre le disuguaglianze rafforza il Paese Tale forbice non può essere attenuata se non attraverso precise misure di politica economica e fiscale. Misure, tuttavia, insufficienti se non si accompagnano a una sorta di risveglio etico-culturale del Paese, a partire dal principio che – al di là del diritto di ognuno a una vita dignitosa, come evidenziato dalla Costituzione – è impoverente per lo sviluppo anche economico del Paese fare a meno delle capacità di pensiero e di azione di un’ampia fascia di popolazione. Lo stesso Paese, infatti, entra in un circolo vizioso di vulnerabilità e impoverimento, dal quale non è possibile uscire se non attraverso un diverso modello di sviluppo socioeconomico. Se il baricentro del possesso della ricchezza si innalza troppo, come oggi accade visto che si concentra in poche mani, il Paese si appesantisce nei movimenti, perde di agilità e imprenditività, indebolisce la capacità progettuale di investimento emotivo e culturale. Dietro l’allargamento della forbice, oltre che un problema di giustizia sociale, emerge quindi una grave miopia economica interpretabile – almeno per certi versi – nella logica del dilemma del prigioniero, secondo cui nelle difficoltà sarebbe opportuno che alcune classi sociali si tutelassero a scapito delle altre. Dimenticando che la perdita di una parte è una perdita per il tutto e che non ha senso smantellare le condizioni per cui tutti possono essere vincitori. In fondo, se si affievolisce la speranza in una coesione sociale fondata sulla giustizia, si perde anche di forza imprenditiva. Alleggerire le fatiche alimenta la progettualità Di conseguenza, non può esserci futuro dignitoso per le fasce di popolazione segnate da povertà e vulnerabilità se non attraverso una 107 108 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti politica di redistribuzione della ricchezza nazionale attraverso una fiscalità equa, la lotta all’evasione fiscale e il contrasto della criminalità e della corruzione che depauperano vasti territori sottraendo risorse, l’attivazione di una qualche forma di reddito minimo di cittadinanza che alleggerisca la fatica delle fasce sociali impoverite. Un qualche reddito minimo di cittadinanza, infatti, permetterebbe di dare dignità e alimentare la progettualità di gruppi familiari e soggetti singoli segnati da impoverimento o vulnerabilità. Purtroppo, attraversati dall’ondata di liberismo che vede la povertà come colpa o pigrizia personale e l’erogazione di un reddito come un fattore che accrescerebbe la rassegnazione e l’uso strumentale di beni pubblici, non sembra esserci consenso sociale e politico intorno a tali misure. In tal modo, però, si finisce per delegare il contrasto di problemi come la povertà e la vulnerabilità, l’emarginazione e l’esclusione sociale, a politiche di assistenza che possono occuparsi degli effetti ma non influire sulle cause dei problemi. E dunque, al di là della scarsità di risorse assegnate alle politiche sociali, è evidente l’insorgenza di una povertà generata da un’iniqua distribuzione della ricchezza, che spesso non viene reinvestita sull’economia produttiva ma sulle rendite finanziarie. Va anche sottolineato che il drammatico taglio alla spesa sociale, vista come un aggravio economico piuttosto che come investimento sullo sviluppo delle «infrastrutture sociali di base» entro cui può generarsi una nuova economia, non fa che alimentare la sfiducia, il senso di impotenza, la disponibilità all’agire strumentale, la collusione e la sudditanza alla criminalità. Una politica per nuovi modi di lavorare e abitare Un secondo ordine di interventi riguarda le politiche del lavoro, della casa e dell’istruzione in un Paese dove, per un insieme di fattori storico-culturali (la tendenza alla casa di proprietà, anzitutto) e di fattori di politica economica, c’è da aprirsi a logiche innovative a livello di cultura dell’abitare e di pubblico investimento per la casa, in modo da accedervi a costi ragionevoli. Non può essere caricato sulle singole famiglie un problema sociale che chiede profondi cambiamenti sul piano culturale e dei pubblici investimenti. Permettere l’accesso alla casa e al lavoro In effetti, uno dei costi più alti tra le spese delle famiglie è l’acquisto di una casa di proprietà o il costo di un affitto che risulta spesso eccessivo rispetto ai budget disponibili. Se la vulnerabilità è una componente Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti di medio e lungo periodo, occorre un piano nazionale per la casa che, mentre alleggerisce la situazione delle famiglie eccessivamente indebitate per una loro abitazione, permetta di accedere ad abitazioni non di proprietà. Ancora una volta la vulnerabilità, prima che come problema personale o di cattiva gestione del budget familiare, va vista come una sfida sociale, culturale, ecologica ed economica che porti a un approccio sostenibile all’abitare. Ma nel contrasto della vulnerabilità il vero nodo è l’accesso al lavoro e a un lavoro che, per quanto segnato dalla flessibilità (rassegnandosi a cambiare lavoro con una certa frequenza, a seconda dell’andamento del mercato) e dalla discontinuità nel tempo (rassegnandosi ai tempi morti tra un contratto e l’altro), possa essere sufficientemente remunerativo, tale da garantire l’autonomia personale e familiare. Viviamo, invece, in un tempo in cui non solo sono molti i disoccupati, ma anche i «lavoratori poveri». Va ribadito che dalla vulnerabilità si esce anzitutto attraverso il lavoro. Se il 30% dei giovani non lavora, è evidente che ricorrere al welfare familiare non fa che alimentare il senso di fragilità. Modificare i rapporti verticali e orizzontali nel mondo del lavoro Il ruolo del lavoro passa anche da un diverso rapporto tra l’azienda e il lavoratore come da un diverso legame tra i lavoratori, spesso oggi contrapposti tra loro, anche perché detentori di contratti diversi, con eccessive differenziazioni remunerative e di status, che avvelenano il clima di lavoro. Se l’azienda considera il lavoratore come una risorsa che inevitabilmente si logora con il tempo (e da sostituire con il passare di pochi anni) e non come una risorsa che può rigenerarsi con adeguati investimenti, il lavoratore smarrisce il senso del lavoro fino a intaccare la sua capacità lavorativa e il suo senso di identità. Se non si ritrova una qualche convergenza, pur tra gli inevitabili conflitti, con reciproci investimenti, la vulnerabilità continua a crescere conducendo a scontri distruttivi. Allo stesso modo, là dove il lavoro è in crisi, è importante sperimentare una «fraternità» tra lavoratori che porta a contratti di solidarietà maturati attraverso un approfondito confronto sugli interessi in gioco. Tale solidarietà, anche se chiede rinunce a livello remunerativo per condividere un lavoro di fatto scarso, aiuta a sottrarsi alla competitività per ripensare anche la vita familiare e sociale. Mettere al centro il benessere dell’individuo e della famiglia Il benessere della famiglia passa anche dalla possibilità di usufruire del contributo dell’economia sociale che può derivare dalla par- 109 110 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti tecipazione a reti sociali di nuova mutualità che operano su temi come la gestione del bilancio familiare, l’acquisto collettivo di beni di consumo attraverso contratti con i produttori, le vacanze organizzate insieme, le banche del tempo che permettono economie nella cura degli anziani come dei figli, lo stesso riciclo dei vestiti. Tutte queste mutualità, fondate sullo scambio gratuito di risorse lavorative, mentre contribuiscono positivamente a un’economia domestica, sono anche luoghi-stimolo per produrre una nuova cultura economica e sociale che permette di resistere alla fatica. La diffusione della vulnerabilità sollecita a ripensare il modo di lavorare. L’enfasi competitiva sul lavoro che porta a non risparmiarsi, se da una parte spesso ricade negativamente sulla stessa produttività, dall’altra logora le energie psicoemotive e cognitive dei lavoratori, con ricadute pesanti sulla vita familiare e sociale. Il sistema socioeconomico liberista non fa leva solo su un controllo esterno del lavoratore, ma anche su un’interiorizzazione di forme di autocontrollo che minacciano la salute, con esiti di ansietà, sensazione di inadeguatezza. E, dunque, come lavorare a un diverso rapporto con il lavoro, visto come luogo decisivo nella costruzione della propria identità personale e professionale? La dotazione locale di beni comuni Un terzo punto fermo è un’azione di sostegno economico-assistenziale alle persone in difficoltà in una logica di autonomia progettuale, capace di riconoscere non solo i problemi dell’impoverimento grave ma anche quelli che emergono dalla vulnerabilità sociale, quando questa si connota per una marcata, anche se intermittente, crisi del reddito. I cittadini riescono ad alleggerire il peso che grava su di loro se possono accedere, anche temporaneamente, a servizi pubblici cui contribuiscono con la loro ricchezza del momento. In tal modo non vengono considerati e non si considerano una categoria a parte, ma cittadini tra altri cittadini, che attraversano momenti di impoverimento. Dire «pubblico» non è dire «statale», ma piuttosto pensare a una pubblica regia, riconoscendo che tali problemi non possono essere privatizzati o affidati alla beneficenza, ma vanno affrontanti in una logica di diritti di cittadinanza a cui l’ente pubblico risponde con le sue risorse e con quelle dei cittadini, in una prospettiva di sussidiarietà che pone sempre l’ente pubblico come tertium nelle relazioni tra domande e risposte, a garanzia di scambi segnati da giustizia e solidarietà. Il contrasto delle diverse forme di impoverimento chiede l’esercizio di un’irrinunciabile funzione pubblica nel mobilitare le risorse del territorio in modo che i cittadini si sentano tutelati sempre dalle istituzioni pubbliche e mai dalla sola beneficenza privata. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti La tutela non può essere ridotta all’erogazione economica o al sostegno psicorelazionale. La tutela è «sociale», nella logica del servizio pubblico, se – in un tempo di povertà e impoverimento in cui scarseggiano i «beni privati» – offre l’accesso a «beni pubblici» in grado di alleviare la fatica e liberare le risorse umane per investirle nella qualità della vita e nel lavoro. Alla mancanza di beni privati si risponde con una politica che rende maggiormente disponibili i beni pubblici La dotazione di beni comuni, con un contributo finanziario sostenibile da parte di chi ne usufruisce, non va confinata in una logica di consumo di risorse, ma riletta come investimento socioeconomico, perché incide sul recupero di risorse mentali ed emotive, competenze e professionalità spendibili sul lavoro come sui beni relazionali che alleggeriscono la pesantezza del vivere assillati dall’impoverimento. In questa logica, le politiche di conciliazione dei tempi, la velocizzazione dei trasporti, l’attivazione di asili nido, l’animazione dei ragazzi nel tempo dell’extrascuola, l’assistenza domiciliare per gli anziani, l’estate ragazzi e i campeggi – per fare alcuni esempi – sono forme di recupero di energie mentali e di competenze che possono essere messe in gioco nel lavoro, come anche nella costruzione di reti sociali e culturali che restituiscono energie per ripensare gli stili di vita, o infine nelle diverse forme di partecipazione alla vita collettiva in qualità di cittadini interessati a umanizzare la convivenza sociale. In un tempo di eliminazione o privatizzazione dei servizi, a cui pertanto si accede sulla base della sola disponibilità finanziaria familiare, compito delle politiche locali e dei servizi sociali è chiedersi come alimentare una cultura sociale e politica che veda nei servizi offerti ai territori dei beni sociali, generatori di ricchezza. Un servizio sociale che pensa e agisce con la comunità locale Una quarta area strategica riguarda il servizio sociale inteso come forma di governo più vicino alle situazioni locali di vulnerabilità. Data l’«invisibilità» e la configurazione locale che caratterizzano la vulnerabilità, una scelta preliminare per gli operatori dei servizi sociali è uscire e frequentare il territorio per comprendere da vicino quel che succede, per maturare delle ipotesi di lavoro, per intercettare le risorse che potrebbero essere di aiuto. Quali problemi affrontare? A questa va aggiunta una seconda scelta che possiamo definire come evitamento del senso di onnipotenza. I fattori in gioco sono 111 112 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti complessi e la soluzione di molti problemi non è pensabile sul breve periodo, anche perché coinvolge altre responsabilità politiche, amministrative e sociali. Il servizio sociale non può sovraccaricarsi di responsabilità con il rischio di disperdere le energie, perché molti problemi sono sfuggenti, «imprendibili». In positivo, compito del servizio è organizzarsi per lavorare e far lavorare su problemi che siano prendibili, pensabili e pertinenti. • Prendibili anzitutto, nel senso che sono avvicinabili e trattabili sul breve periodo, per lo più in modo sostenibile: non tutti i problemi, pur evidenti e drammatici, sono affrontabili. • Pensabili, in secondo luogo, nel senso che si esce dalla logica dell’emergenza del circuito problema-risposta (solitamente come erogazione economica) e ci si può fermare a pensare per comprendere i fattori in gioco, le ricadute, le possibili evoluzioni, gli interventi sul breve e medio periodo. • Pertinenti, infine, in quanto compito del servizio è comprendere quali competenze e quali organizzazioni siano più adeguate per intervenire, anche per evitare rischi di sovrapposizioni, deleghe, invasioni di campo; la pertinenza ha a che fare con l’articolazione degli interventi tra settori della pubblica amministrazione, ma anche con la distinzione tra problemi specifici delle competenze tecnicoprofessionali e problemi che chiamano in gioco la responsabilità degli amministratori rispetto a politiche per la casa, per il lavoro, per i trasporti, per la conciliazione dei tempi. Come sostenere singoli e nuclei familiari? In questa logica, compito del servizio sociale è il sostegno alle singole persone e ai nuclei familiari dal punto di vista economico-finanziario per superare contingenze più o meno improvvise e intermittenti. Anzitutto attraverso l’accesso a forme di assistenza economica che permettano a chi attraversa una fase critica di trovare un alleggerimento finanziario. In secondo luogo, attraverso l’alleggerimento di spese come il pagamento delle utenze, l’affitto della casa, le rette per l’accesso all’asilo, alla scuola e alla mensa scolastica. Le persone segnate da vulnerabilità, per pudore o per vergogna o perché non portate a percepirsi vittime, raramente cercano un sostegno nelle politiche di erogazione assistenziale. Anche per questo si è alla ricerca di misure di assistenza per contrastare la povertà in cui possono entrare, temporaneamente, soggetti segnati da vulnerabilità. Dentro un impianto assistenziale di tipo universalistico, è possibile che la vulnerabilità venga a stemperarsi in quanto usufruisce dei normali canali di sostegno per tutti i cittadini, come quando si hanno persone anziane da accudire, figli da allevare, problemi gravi di salute che interrompono il normale corso della vita. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Gli scambi relazionali ed emotivi che hanno luogo in questi contesti sono alimentati dalla consapevolezza di esercitare un diritto di cittadinanza a cui tutti possono accedere, perché oggi può capitare a una fascia elevata di popolazione di ritrovarsi in una situazione di emergenza. E all’emergenza le politiche sociali rispondono offrendo dei beni pubblici che non hanno natura assistenziale, ma una funzione di pausa e rilancio verso l’autonomia personale e familiare, piuttosto che consegnarsi al mercato dei prestiti e delle rateizzazioni. La mobilitazione delle reti sociali Un’ulteriore area strategica nel contrasto alla vulnerabilità è rappresentata dalla mobilitazione e dal coordinamento progettuale delle molteplici reti sociali del territorio. Mentre offre il suo servizio di sostegno e accompagnamento di situazioni di fatica, il servizio sociale, in stretta connessione con l’ente locale e con il suo compito di generare beni pubblici insieme a tutta la cittadinanza, ha anche il compito di mobilitare la comunità locale in modo che assuma i problemi che si generano al suo interno come sfida non delegabile. La mobilitazione delle reti asseconda in modo mirato quel che di fatto, anche se in modo frammentato, sta succedendo, in quanto non sempre i cittadini sono immobilizzati dalla crisi. Una reazione di fondo è in atto, a volte in profondità. E porta alla riscoperta del principio del mutualismo come base di una convivenza democratica e dunque del rilancio dell’autonomia progettuale a livello etico-culturale, educativo, imprenditivo dei singoli come delle famiglie. Le reti sociali di mutualità nascono in modo autonomo, ma sono rese possibili da climi culturali e ambientali particolari. Allo sviluppo di un clima generativo sono chiamati a dare il loro apporto le amministrazioni locali e gli operatori che quotidianamente hanno il compito di governare da vicino problemi e speranze dei gruppi sociali. Le reti sono organismi sensibili, autonomi, vivaci e, tuttavia, hanno bisogno di spazio e di humus entro cui radicarsi. In questa prospettiva, i servizi sociali e i decisori politici locali sono chiamati a riconoscere l’apporto delle reti sociali e delle strategie di accompagnamento, a partire da quattro «vertici di osservazione e di azione». Lo sviluppo di socialità, partecipazione, cittadinanza Un primo vertice da cui comprendere lo sviluppo di nuove forme di socialità e reticolazione è la loro funzione di traghettatori dentro la crisi, in quanto offrono ai cittadini uno «spazio comune» di riconoscimento e di presa di coscienza della natura sociale ed economica della crisi, analisi critiche sull’oggi in chiave etico- 113 114 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti culturale, stimoli per ripensare gli stili di vita, contatti con gruppi e ambienti di lavoro, competenze che permettono di accedere al capitale sociale ed economico del loro ambiente. Questo avviene, spesso in modo implicito e indiretto, mentre si perseguono i vari interessi aggregativi, come l’educazione dei figli, l’abitabilità del proprio quartiere, l’interazione costruttiva con gruppi di immigrati, l’accoglienza dei portatori di handicap dentro le reti sociali, la partecipazione di un gruppo-genitori alla vita della scuola o a gruppi di riflessione con gli insegnanti, l’attivazione dell’associazionismo sportivo educativo, l’aggregarsi tra famiglie per uno scambio tra Nord e Sud del mondo, l’organizzazione di filiere sostenibili per il cibo e per gli altri consumi, il riciclo di vestiti e altri prodotti. Tutti questi luoghi reticolari leggeri e creativi, pur tra molte difficoltà e patologie, spesso dovute all’impreparazione generazionale a pensare insieme e fare insieme, sono piccoli ma significativi «laboratori» di un diverso modo di rappresentarsi la crisi e di cercare risposte. Questi micromovimenti locali aprono a forme di cittadinanza e partecipazione, mirano al cambiamento delle prospettive e delle regole con cui vive la società, sperimentandolo nella concretezza di azioni collettive, per non pochi versi «politiche». Agire sulla parte è agire sul tutto, in quanto la parte contiene le dinamiche del tutto (il locale è globale) e il cambiamento dentro la parte rianima il tutto (il globale si genera nel locale). Non si possono sottacere limiti e contraddizioni, che rimandano a un esercizio di responsabilità delle reti, per non agire secondo quelle stesse regole che invece si vorrebbero riscrivere nel sottrarre la società all’economicismo, all’individualismo e al pragmatismo. Ma esiste anche una responsabilità della politica e dei mondi del sapere scientifico, i quali da una parte non sempre riconoscono il valore di queste sperimentazioni evidenziandone solo i limiti, dall’altra fanno mancare un investimento politico e culturale che le potenzi. La ricerca di intuizioni culturali su cui investire Quanto detto apre a un secondo vertice di osservazione delle reti: la loro potenzialità nel produrre cultura, dunque nel delineare, secondo nuove modalità, forme di convivenza e relazioni, utilizzo del tempo e dello spazio, «contratto» con la natura, ipotesi di lavoro oltre le contraddizioni, aprendosi a quelli che Paulo Freire chiamava i «temi generatori dell’epoca», della nostra epoca. Tuttavia, il sapere che lievita giorno dopo giorno nello stare insieme, nel fare insieme e nel pensare insieme, spesso non viene elaborato in modo adeguato per essere fruibile come capitale culturale a disposizione della comunità locale e per entrare in dialogo con le «ragioni» che stanno dietro conflitti sociali silenziosi ma laceranti. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Emerge la responsabilità dei servizi sociali nel sollecitare una produzione culturale che nasca dal vivo delle nuove sperimentazioni delle reti, sollecitandole a rendere ragione del senso delle varie esperienze e a far interagire le diverse letture con i problemi e le attese della società. In fondo tocca alla pubblica responsabilità sostenere l’estrazione dell’intelligenza collettiva delle reti impegnate a fare i conti con la fatica, la povertà, la vulnerabilità. Operando poi al confine tra mondo interno (partecipanti) e mondo esterno (cittadini in genere con le loro domande e attese, con le loro paure e speranze), spesso le reti stesse assumono un ruolo attivo nell’animare molteplici «laboratori» di cittadinanza che mirano a intensificare una nuova produzione culturale ancorata alle esperienze concrete promosse, e dunque aprono a quegli apprendimenti collettivi indispensabili nell’attraversare la crisi. È la crisi stessa a rilanciare l’idea che se ne possa uscire solo attraverso apprendimenti personali e collettivi di nuove conoscenze e competenze per pensare e agire una diversa cultura dell’abitare e convivere, del relazionarsi e aggregarsi, della tutela dell’ambiente, della messa in discussione degli stili di vita e del modello di sviluppo socioeconomico. Il contributo alle forme locali di governo partecipato Un terzo vertice di osservazione delle reti è il loro contributo alla sperimentazione di nuove forme di governo del territorio che permetta di muoversi secondo il principio che a problemi complessi si risponde con strategie e interventi complessi, mettendo in gioco i diversi attori di un territorio, per uscire da letture semplificate e delineare ipotesi di contrasto alla vulnerabilità, sperimentandole e riflettendo su di esse. Percorrendo la strada della progettazione partecipata, le reti assumono un’ulteriore funzione politica, in quanto con le risorse, e i saperi, prendono parte al governo di alcuni problemi del territorio. Il passaggio alla progettualità e all’intraprendenza collettiva può avviare microazioni che non sciolgono tutti i problemi, tanto meno quelli economico-finanziari, ma permettono di apprendere a resistere dentro la crisi e «governare la crisi» attraverso nuove strategie che prefigurano risposte di tipo sociale e comunitario. Ogni forma di governo democratico vede l’incontro (a volte conflittuale) tra una mobilitazione dall’alto verso il basso (le istituzioni si appellano ai cittadini) e una mobilitazione dal basso verso l’alto (le reti di cittadinanza mobilitano le istituzioni per convergere insieme sui problemi). In realtà, non è sempre facile che mobilitazione sociale «dal basso» e mobilitazione «dall’alto» si incontrino. Anzi, i due movimenti spesso faticano a convergere sui problemi e ad alimentarsi reciprocamente. 115 116 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti La paura delle reti, per loro natura gelose dell’autonomia, è di essere inquadrate dentro logiche politiche (se non partitiche) e logiche di azione che finiscono per assoggettarle a istituzioni ritenute poco trasparenti, poco attente ai beni comuni, insensibili al contributo delle reti. In effetti spesso la politica non «vede» le reti e il loro contributo nell’affrontare la sofferenza sociale, la povertà e la vulnerabilità. Per superare la diffidenza, l’ente locale può investire sulla legittimazione e sul riconoscimento del lavoro delle reti sul territorio, sulla formazione per incrementare le loro competenze, ma soprattutto sulla costruzione di legami leggeri tra istituzioni e reti. La mediazione di prossimità Un quarto vertice di osservazione delle reti sociali è quello che coglie la loro funzione nella mediazione tra servizi e mondi della vulnerabilità. Un problema sofferto tanto dai servizi quanto dalle reti sociali, infatti, è la distanza dalle storie di sofferenza che la vulnerabilità alimenta. Se per i primi il rischio è di agire come un ambulatorio a cui i cittadini decidono o meno di accedere, per le seconde è facile interrogarsi sulle grandi questioni sociali, ma solo con difficoltà si riesce a intercettare la sofferenza diffusa. Occorre allora una forte attenzione ai diritti, una sensibilità per avvertire segnali anche impercettibili di fatica (all’asilo, al lavoro, a scuola, nella società sportiva, nei negozi, ecc.), una connessione durevole con i servizi. Allo stesso tempo, i servizi non possono avere il polso della sofferenza sociale, se non attraverso una intensa e intelligente «mediazione» delle reti di prossimità. Cruciale si rivela il ruolo di persone-antenna e di reti di prossimità in grado di fare da mediatori, proteggendo le persone dal rischio di un eccesso di esposizione pubblica. Non è facile, tuttavia, fare un pezzo di strada con tali persone. Le «antenne» vicine alla quotidianità delle persone spesso si limitano a erogare prestazioni monetarie o beni di prima necessità. Ciò a volte è indispensabile, ma una loro funzione prioritaria – accanto all’ascolto e all’accoglienza di una sofferenza che non si riesce a esprimere – dovrebbe essere quella di fungere come «punti di accesso» delle persone ai diversi ambiti della pubblica amministrazione e alle diverse reti del territorio a livello di sostegno sociale, lavorativo, abitativo, ecc. Per altri versi, molti territori sono ricchi di persone e gruppi-antenna, ma toccano con mano i limiti di un servizio sociale chiuso in se stesso (servizio-centrico), dubbioso delle competenze dei gruppi, poco disponibile a valorizzare le loro potenzialità e, soprattutto, a offrirsi come alleato nell’assolvere la loro funzione di antenna. Tenuto conto della necessaria discrezione, le reti possono fungere da «ponte» per accedere a misure di aiuto anche economico- Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti finanziario, con l’urgenza richiesta dall’esplodere di una malattia, di una crisi di coppia, di un lavoro ormai intermittente. Non mancano, però, i rischi. Dall’erogazione economica a una funzione culturale Il primo rischio consiste nel prevalere della cultura dell’erogazione economica come risposta principale che porta le reti-antenna a pensare in termini economicistici e, in tale logica, adattarsi ai bandi – promossi solitamente da fondazioni – per accedere a un qualche finanziamento, senza più interrogarsi sulla loro funzione sociale e culturale. Chi è segnato da vulnerabilità ha bisogno di socialità e scambi, di una nuova prospettiva entro cui ritrovare fiducia e resistere alle fatiche. Le reti possono offrire beni come il riconoscimento, l’ascolto, l’alleggerimento del senso di colpa, la presa di coscienza dei propri diritti per non sentirsi destinatari di solidarietà e di beneficenza. Non mancano, inoltre, problemi di equità al momento in cui le reti dispongono di risorse economiche, dato che può prevalere un uso discrezionale. Le ambiguità nascono nel gestire le situazioni in proprio, senza criteri equi, concordati dentro linee d’azione condivise con il servizio pubblico. Dal semplice fare a una mobilitazione riflessiva Altro rischio è la chiusura nel fare. Sono le stesse antenne di prossimità a manifestare il bisogno di uscire dalla solitudine e ritrovarsi insieme ai servizi per apprendere a leggere i problemi, mettere a fuoco i fattori in gioco, progettare gli interventi, sperimentare per poi apprendere dalle esperienze, partecipare al governo dei problemi del territorio. Spesso è debole una regia politica locale. I servizi, sopraffatti dal lavoro sulla cronicità e dalla centratura sul lavoro sui casi, non implementano la loro funzione di mobilitazione intorno ai problemi. Da parte loro i Comuni, fra l’altro con sempre minori risorse, raramente assumono una leadership di tipo animativo del territorio, mentre le associazioni rischiano si limitarsi a logiche di erogazione economica e non di connessione tra i problemi e i servizi sociosanitari. Dall’obiettivo della sopravvivenza alla progettazione Un ulteriore rischio è la riduzione della vulnerabilità a povertà, che porta le reti a lavorare sul reperimento e sulla distribuzione di risorse legate alla quasi sopravvivenza – dal banco alimentare al last minute market e alla distribuzione di indumenti – senza riflettere su come le frange sociali attraversate dalla vulnerabilità possano essere progettuali e dunque uscire dalla logica dell’erogazione per passare a quella della connessione con reti sociali e imprenditoriali e con servizi pubblici a sostegno della loro autonomia. 117 118 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Pensare l’azione nell’evolversi dei vissuti La partecipazione, risorsa nel contrasto alla vulnerabilità Franco Floris Il contrasto alla vulnerabilità non può essere il compito di un solo attore sociale, neppure delle politiche sociali e dei servizi sociali. Soprattutto questi ultimi non possono accettare una delega alla vulnerabilità. Piuttosto, il loro compito è tenere alta l’attenzione politica, economica e sociale sui problemi che essa genera. Il servizio sociale ha il compito di sollevare i problemi e, insieme ai politici locali, animare una pubblica discussione per risvegliare la responsabilità e la convergenza dei diversi attori pubblici e privati. Un compito di regia e coordinamento o, piuttosto, di animazione che lavora sui legami, sui riconoscimenti, sulla produzione di significati e sulla costruzione partecipata dei progetti. I servizi offrono un supplemento di pensiero nell’analizzare e nel progettare. Le conseguenze della vulnerabilità chiedono molteplici apporti, a cominciare da quelli che sono chiamati a dare le diverse politiche di una comunità. Il crescere o decrescere della vulnerabilità ha a che fare con lo sviluppo economico, la creazione o il mantenimento dei posti di lavoro, l’accesso a prezzo equo alla casa, la mobilità sostenibile, il diffondersi di reti solidali dialogiche, la capacità della scuola di educare i ragazzi a vivere l’incertezza, la difesa dell’ambiente, il rilancio dell’alleanza tra scuola e famiglia, la conciliazione dei tempi, la partecipazione dei cittadini alla politica locale, la costruzione di asili nido e di residenze per anziani vicine alle famiglie. E dunque una parte del tempo dei servizi sociali e dei responsabili delle politiche sociali viene dedicata all’attivazione di politiche plurime per alleggerire la vulnerabilità. Altro compito dei servizi è produrre saperi locali sulla vulnerabilità, sollecitando il mondo della ricerca scientifica a investire sul leggere in modo approfondito il territorio, coglierne le risorse, individuare possibili percorsi. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Il lavoro nel territorio Parlare di funzione pubblica è opporsi al ritrarsi dello Stato a fronte di fenomeni diffusi di impoverimento e vulnerabilità, lasciando al libero mercato e all’intraprendenza soggettiva la risposta alle difficoltà o limitandosi alla privatizzazione dei servizi per fare leva sui voucher, all’erogazione monetaria nei casi di indigenza, all’attenzione per la povertà grave in una logica permanentemente assistenziale. Data la complessità della crisi socioeconomica, il contrasto della vulnerabilità richiede uno Stato imprenditivo e attivo, capace di uscire dai solchi tradizionali di intervento assistenziale e sanitario, per gestire la sua funzione come mobilitazione delle risorse sociali ed economiche per delineare le condizioni per contrastare la vulnerabilità. La funzione pubblica è la capacità di fare spazio alla responsabilità dei diversi organismi pubblici e dei cittadini associati per cooperare nel convergere insieme su problemi sociali come la vulnerabilità. In questa direzione, l’ente pubblico può delineare una sorta di pubblica arena o di «spazio comune», il più possibile partecipato, convocare e responsabilizzare le risorse economiche, culturali e sociali per assumere la vulnerabilità come sfida comune. Un tavolo anzitutto «politico», all’incrocio tra le diverse politiche, dalla casa al lavoro, dall’istruzione all’educazione, dalla sanità all’assistenza per prendere coscienza della silenziosa drammaticità di molte situazioni, con il rischio che accanto alla vulnerabilità economica e psicologica aumenti l’invivibilità nei territori, a scapito della coesione sociale, come anche la defezione da vie democratiche e legali nell’affrontare i problemi. La vulnerabilità e la povertà chiedono interventi in settori diversi, ma dentro una progettualità politicamente condivisa che pone al centro una questione grave – se non tragica – di cittadinanza. La strategia d’azione non può essere la pianificazione dall’alto con un’organizzazione rigida, piuttosto la costruzione di un movimento aperto locale, di reciproca sensibilizzazione, di confronto sul confine tra tutela dei diritti ed educazione al cambiamento degli stili di vita, dove interagiscono sperimentazioni diverse. Un luogo di apprendimento reticolare, attivo e rielaborativo, un movimento che diventa luogo di contaminazione e di espansione della democrazia come forma «meno dolorosa» del governo dei problemi. Il contrasto della vulnerabilità apre a un diverso modo di progettare e realizzare i Piani di zona, perché non esiste un’area deputata a occuparsene. Tutte le politiche di zona hanno a che fare con la vulnerabilità: quelle per la casa e il lavoro, gli asili nido e i doposcuola costruiti in modo partecipato dai cittadini, la ricerca 119 120 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti di forme di acquisto sociale, l’accesso al microcredito o all’asset building, ecc. Non tanto dunque un processo dall’alto verso il basso, ma neppure solo un movimento che sale dal basso vero l’alto. La complessità non tollera dirigismi più o meno burocratici, ma non tollera neppure l’idea che da una posizione «dal basso» si pretenda di vedere «tutto» il problema e comprenderlo in modo esauriente. Solo una pluralità di sguardi e una progettazione partecipata permettono di governare alcune delle ricadute della vulnerabilità. A partire da un’ipotesi che vede nel servizio sociale territoriale, aperto e partecipato dai cittadini, il luogo di governo dei problemi più vicino alle situazioni, non pochi interrogativi vengono a sollevarsi tenendo conto che, da una parte tali servizi faticano a entrare in contatto con problemi non conclamati che chiedono una presenza attenta sul territorio, dall’altra oggi hanno di fatto minori risorse professionali e finanziarie. Spesso gli operatori sono qualificati per intervenire a fianco delle persone, ma non sempre sono competenti nel lavorare sul contesto e nel mobilitare le risorse economiche, scientifiche, sociali, educative. L’investimento con le reti sociali L’esito di un positivo lavoro sul territorio è «una rete di reti» associative e di servizi pubblici: una rete leggera, a legami deboli, che si esercita nel leggere e comprendere, riconoscere e dare senso alle esperienze, coordinare per convergere sui problemi senza sovrapporsi, per poi apprendere dalle esperienze fino a estrarne un sapere che arricchisce il patrimonio della comunità. I vantaggi di luoghi aperti e accoglienti Ci vogliono persone-soglia, gruppi-soglia, spazi-soglia, luoghi caratterizzati cioè da un accesso agevole in entrata come in uscita e quindi con una maggior facilità per le persone di accedere e per gli operatori di farsi presenti sul territorio in modo discreto, rispettoso, valorizzante. Tali luoghi sono soglia se non sono luoghi «dedicati», etichettanti, ma spazi comuni di libero accesso per tutti. Al loro interno, in una clima di accoglienza, possono venire allo scoperto situazioni di vulnerabilità anche gravi. In altre parole, a un contatto con la vulnerabilità sembra più facile e rispettoso giungere per via indiretta, interagendo, ad esempio, sulla formazione dei figli, sul ripensamento degli stili di vita, sull’aggravarsi della salute di un familiare, su una separazione coniugale che appesantisce la gestione dei bilanci familiari, ecc. In tali momenti Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti dalla riservatezza possono emergere vicende familiari che rischiano di farsi pesanti, se non si rende disponibile una qualche forma di sostegno sociale, psicologico o anche finanziario da parte delle reti che si ritrovano nello stesso spazio e dei servizi sociali ai quali queste reti possono connettersi. Alcuni compiti a sostegno delle reti Da parte sua, l’ente pubblico può sostenere le reti facendo attenzione ad alcuni compiti. Alle reti bisogna dare una mano in termini di risorse competenti che accompagnino la nascita e la maturazione attorno al compito distintivo di ognuna, l’interazione con le altre reti e con le politiche del territorio, la progettazione autonoma dentro un progetto locale co-costruito insieme. Restituire senso e voce A tutte le reti l’ente pubblico chiede di produrre in modo trasparente e democratico beni comuni, mai beni di parte, fino a riconoscere che nel produrli in modo trasparente e democratico, esse esercitano la loro funzione pubblica. L’ente pubblico chiede ragione alle reti del lavoro svolto in termini, più che di giudizio, di attenzione al senso (anche nella parzialità), di valorizzazione e di apprendimento reciproco. Per questo sollecita le reti a estrarre e rendere fruibile la propria cultura e a utilizzarla per permettere alla comunità di maturare degli apprendimenti rispetto ai suoi problemi. L’ente pubblico investe, di conseguenza, su una formazione delle reti incentrata sul restituire loro la parola in contesti trasversali alle singole reti e agli stessi servizi, accompagnati da formatori competenti per rielaborare le esperienze, senza negare le ambivalenze, fino a trovare stimoli e ipotesi inedite. Far emergere le potenzialità del territorio Tutto questo richiede all’ente pubblico di non limitarsi a erogare risorse finanziarie, ma soprattutto di uscire dall’autosufficienza del proprio sapere e del proprio potere perché non esauriscano tutti i punti di vista, di non limitarsi a controllare la correttezza delle procedure, di esercitare una funzione propulsiva per far emergere le potenzialità del territorio e accompagnarle nel loro sviluppo. Alla funzione di animatore e propulsore si affianca quella di fare da volano, con i suoi operatori professionali, lungo percorsi in cui sono facili per le reti sociali i momenti di difficoltà e crisi. L’intreccio tra ente pubblico e reti sociali, mediato dai servizi sociali, può dare spessore e continuità ai processi e rilanciare le progettualità. 121 122 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti Aprirsi a una progettualità dal basso Non ha senso pertanto limitarsi a una divisione di compiti e di spazi. È quello verso cui, purtroppo, si rischia di incamminarsi da un lato per la debolezza di un ente che non pensa in termini politici gli interventi e si limita a una funzione di controllo o di erogazione di prestazioni, dall’altro per la tendenza delle reti a non connettere i loro interventi con i servizi, sulla base di una progettazione partecipata. D’altra parte il servizio sociale, se non vuole agire un potere burocratico, deve conquistarsi la fiducia delle reti ricercando una «nomina dal basso» che può giungere solo quando le reti percepiscono che l’intento dei servizi è farsi propulsore e volano di una progettualità collettiva, senza programmi imposti d’autorità. I livelli e le forme di intervento Gli interventi vanno ripensati lungo tre assi rispetto alla storia delle persone e delle famiglie: l’asse dell’emergenza, l’asse del riposizionamento, l’asse del cambiamento culturale e politico. Comprensibilmente le tre fasi comprendono movimenti di avanzamento e di regressione delle persone e della famiglie mentre ricercano l’autonomia possibile in una situazione di vulnerabilità. L’asse del superamento dell’emergenza Il primo asse è quello dell’«emergenza improvvisa» in tempi di povertà intermittente, in modo da sopperire velocemente alla mancanza di risorse finanziarie ma anche di aiuto relazionale, senza per questo cadere in approcci assistenziali. Un contenimento dei problemi efficace e rispettoso Tre possono essere le parole chiave che caratterizzano questo asse. In primo luogo la centralità della dimensione finanziaria per superare la crisi del momento sia attraverso contributi monetari sia attraverso alleggerimenti della spesa per saldare le utenze, ma anche per tamponare problemi improvvisi a livello di salute dei propri familiari, di sostegno ai percorsi formativi dei figli per la scuola. La seconda parola chiave può essere la tempestività. Pur consapevoli dei molteplici fattori in gioco, spesso la vulnerabilità richiede un intervento tempestivo che agevoli il contenimento della crisi e permetta di percepire la vicinanza delle istituzioni pubbliche e la solidarietà delle reti sociali. La terza parola chiave, indispensabile nel manifestarsi di problemi di vulnerabilità là dove forse non si era mai immaginato, è la discrezione nel dare un sostegno finanziario, il rispetto della privacy, anche per non esasperare eventuali sensi di colpa o etichettare Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti persone e famiglie condannandole all’isolamento sociale. Da questo punto di vista, chi entra in contatto con tali situazioni – come le reti del volontariato – deve poter contare sulla collaborazione dei servizi sociali, chiedendo un assoluto riserbo o, se possibile, poter intervenire in prima persona lasciando nella penombra l’apporto dei servizi. Percorsi per cercare nuove risorse Lungo il primo asse è possibile individuare alcuni percorsi che solo indirettamente pongono il problema del riposizionamento e della prospettiva di lungo periodo, senza escluderlo. Al centro c’è l’esigenza di trovare risorse che riequilibrino un budget familiare in difficoltà contingenti, per non lasciarsi sommergere dalla crisi lungo il confine incerto tra povertà intermittente e vulnerabilità sociale. Sono possibili diverse forme di intervento, da sole o combinate in un unico progetto d’azione. Un possibile percorso è l’accesso a costi ridotti al mercato dei consumi, se non l’accesso a forme di solidarietà come il banco alimentare o forme simili, come il last minute market mediato però da associazioni in grado di re-distribuire le derrate per alleggerire la crisi, rispettando il diritto all’anonimato. Un altro percorso è il sostengo nel fare la spesa in modo competente nei supermercati, spesso organizzati ormai su due o tre livelli di spesa, a seconda delle possibilità finanziarie. È importante individuare un proprio livello di spesa imparando a risparmiare, ma senza sentirsi esclusi da uno spazio collettivo (e anonimo) come un supermercato. Un terzo percorso è il microcredito, là dove è possibile organizzarlo in modo sufficientemente tempestivo, senza troppe intrusioni di controllo della vita delle famiglie, possibilmente mediato da un’organizzazione di origine creditizia o da una rete sociale di mutualità o di volontariato che fungano da protezione della riservatezza, ma anche da garanti del prestito. Un quarto percorso è l’accesso ad agevolazioni – anche temporanee – rispetto alla solvenza delle utenze, degli affitti, delle rette per la scuola o per la mensa, in accordo con un servizio sociale che salvaguardi l’anonimato e possa inserire le situazioni in percorsi di tipo universalistico che non umilino le persone, in quanto giustamente accedono ai loro diritti. Per fare questo, il servizio può individuare criteri per non cadere nella discrezionalità, ma anche per agire con un minimo di autonomia. Altrimenti non solo può comportare possibili ingiustizie verso altri, ma anche alimentare il senso di vergogna delle persone che si percepiscono dipendenti da scelte soggettive, se non di favore. La discrezionalità può indebolire il senso di cittadinanza e insieme creare nuove sudditanze. 123 124 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti L’asse del riposizionamento Il secondo asse è quello del riposizionamento a medio termine, a partire dalla presa di coscienza che la situazione spesso è dovuta a fattori solo in parte controllabili dalle persone. Superare i sensi di depressione o di colpa mobilita le risorse progettuali delle persone, le quali, senza un aiuto esterno rispettoso, non assistenziale e competente, rischiano di scombinarsi nel riposizionarsi rispetto ai problemi e nel riorganizzare gli stili di vita. Lungo l’asse di riposizionamento prevalgono il riconoscimento e il potenziamento delle capacità progettuali delle persone. Un confronto che sviluppa consapevolezza e competenze Le parole chiave di questa fase possono essere le seguenti. Anzitutto la condivisione con altri della consapevolezza di subire gli effetti di sommovimenti economico-finanziari. In effetti, si paga un prezzo alto là dove la mancanza di lavoro – o l’insufficienza del reddito che ne deriva – si aggrava con situazioni imprevedibili, come una separazione di coppia, la malattia di un familiare, l’investimento per l’autonomia dei figli, ecc. Questo porta a ritessere relazioni e individuare spazi leggeri entro cui poter esercitare insieme una parola critica sugli eventi drammatici della società della vulnerabilità diffusa. La seconda parola chiave è la consulenza organizzativa familiare, in particolare con consulenti del lavoro e del mondo finanziario, per riorganizzarsi senza scendere a patti con il rischio di indebitamento a tassi da usurai o a rateizzazioni che si accumulano, anche per far fronte a impegni finanziari presi in precedenza (ad esempio, il mutuo per la casa). Nella stessa direzione vanno prospettati interventi di financial education attraverso gruppi che si confrontano sui criteri di gestione dei bilanci familiari e apprendono a vivere con «sobrietà». La terza è il sostegno finanziario, per superare momenti di crisi, attraverso forme di microcredito alle persone e famiglie o anche di microcredito per investimenti di natura microaziendale, accompagnati da una consulenza sul piano della stessa imprenditorialità. La quarta è il potenziamento delle capacità progettuali delle persone. La vulnerabilità ha scosso tale patrimonio e sollecitato una «riapertura» della propria progettualità nella direzione del lavoro come del ripensamento degli stili di vita, in una logica di emancipazione dagli assoggettamenti sociali e culturali in un tempo di liberismo. L’intento è creare le condizioni per un più ricco e continuativo accesso al capitale sociale e culturale del territorio. Percorsi per riconquistare l’autosussistenza Lungo l’asse del riposizionamento non è sufficiente fermarsi all’erogazione finanzia- Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti ria, perché la richiesta esplicita o implicita dei soggetti è di andare oltre la crisi da cui si è attraversati, consapevoli di avere le risorse e le competenze per farlo, ma non il necessario volano sociale per rientrare in circuiti che rendano possibile l’autosussistenza. Il riposizionamento può prevedere vari percorsi. Anzitutto il percorso del microcredito in funzione di una ritrovata progettualità delle persone e dei nuclei familiari in una logica che porta ad avere un buon controllo del budget familiare, fino a mettere da parte risorse per investimenti futuri ritenuti prioritari e intorno ai quali ricorrere a forme diversificate di microcredito. Un microcredito dunque centrato sugli investimenti e non sui consumi. Un secondo percorso può essere quello dell’asset building e dunque della ri-costruzione di un capitale familiare o personale di risparmio per avere in futuro risorse da investire sulle priorità progettuali che la famiglia delinea. Un altro percorso ancora è la frequentazione di reti-laboratorio di «un vivere altrimenti», alla luce della presa di consapevolezza dei processi socioeconomici entro sui si è immersi e della necessità di pensare ad altri modelli di sviluppo e ad altri stili di vita, ma anche della necessità etica di «trasgredire» la logica di mercato che porta a usurare risorse umane e risorse ambientali. In tal senso operano i Gas, i gruppi di consumo critico, quelli che attivano iniziative di riciclo di vestiti o che si organizzano per trascorrere insieme le ferie riducendo i costi. L’asse della lungimiranza o del cambiamento Il terzo asse è quello della lungimiranza che pone al centro la rivisitazione e l’eventuale cambiamento degli atteggiamenti con cui vivere e riorganizzarsi in una logica di sviluppo sostenibile. Una ricerca che apra a nuove opportunità Tra le parole chiave di questa fase la prima può essere la riflessione sulla nostra epoca per maturare una lettura critica – a livello socio-economico ed etico-politico – dei problemi che generano vulnerabilità diffusa. Non si può non interrogarsi sul dove porta l’attuale modello di sviluppo, sul consumo delle risorse della terra, sullo squilibrio tra Nord e Sud del mondo, la crescente disuguaglianza. La seconda parola chiave è la ricerca-azione partecipata, alimentata dalle reti sociali, di principi ispiratori per una vita sostenibile, sottraendosi alla logica del consumo ma anche del pauperismo, per ripensare il modello di sviluppo economico oltre il liberismo. La terza è la riqualificazione delle competenze attraverso un contatto diretto con il lavoro in stage aziendali, oggi spesso inaccessibili 125 126 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti soprattutto per i giovani. In tali stage, oltre all’arricchimento delle competenze specifiche, vengono incrementate le competenze di base, trasversali, legate alla capacità di lavorare su un problema in équipe, relazionarsi in modo cooperativo, elaborare il senso del proprio lavoro dando ragione del proprio modo di agire. Il percorso della consulenza per lo sviluppo psico-socio-economico familiare – quando la situazione ha portato a forme di impasse o depressione, miste a rabbia e voglia di riscatto, che faticano a coagularsi in una nuova progettualità – da un lato permette il rinforzare le motivazioni, dall’altro porta a riconoscere le proprie competenze. Tale consulenza rimanda a una rete sociale di consulenti del lavoro, di psicologi del lavoro, di imprenditori in pensione in grado di aiutare a ri-orientarsi. Il sostegno nella ricerca di lavoro richiede l’accesso a informazioni e contatti che non tutti riescono ad avere e che non ha senso andare a chiedere nei tradizionali luoghi della collocazione sociale al lavoro. Diventa importante entrare in contatto con reti sociali che abbiano la possibilità di interfacciare le competenze con i lavori oggi in fase di sviluppo. Percorsi per ritrovare la politicità dell’esistenza Il cambiamento culturale – e, più da vicino, degli stili di vita soggettivi e familiari –, mentre mira per necessità a riformulare le possibilità di spesa e di investimenti, porta a reinterrogarsi sul modello di sviluppo sociale ed economico necessario per far fronte a una crisi di lungo periodo che coinvolge ampie fasce di popolazione. Tutto questo chiede di fare spazio a forme laboratoriali di elaborazione di interrogativi che non trovano spazi in cui emergere, ben sapendo che di mezzo c’è anche l’interrogarsi sulle sorti della stessa democrazia. In realtà non si tratta di cominciare da capo, ma piuttosto di connettersi sul territorio con le esperienze nate in questi anni, che mentre esprimono un’azione che pone in discussione la qualità del vivere e si interrogano sul modello di sviluppo, offrono anche piste da percorrere. Piste certo non risolutive del problema, ma che aprono a un modo diverso di pensare e agire la vita familiare e sociale. Come creare connessioni tra i molteplici esperimenti di resistenza e ricerca di mondi altri da quello esistente, e le persone e famiglie segnate da un tasso più o meno alto di vulnerabilità? Tutti questi esperimenti sono animati dalla scelta di uscire dal chiuso della famiglia e di socializzare con altri cittadini sospinti da comuni attese per provare a «sortirne insieme». Ritrovano in tal modo la politicità dell’esistenza e quel che questa può alimentare nell’approccio alla vita personale e sociale. È il percorso alla base delle vecchie e nuove forme di associazione e mutualità tra cittadini. Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti E dunque la terza strada da percorrere nel contrastare gli effetti drammatici della vulnerabilità è la costruzione di condizioni per lo sviluppo, di nuove forme di imprenditività sociale e culturale, ma anche economica, in un logica di economia civile. Alcuni approcci partecipativi da cui ripartire La partecipazione è «terapeutica», anche se non risolutiva dei problemi perché le aggregazioni possono assumere approcci diversi: da quelli difensivi a protezione della propria identità e dei propri diritti a quelli strumentali che tendono a privatizzare le risorse del territorio e non condividerle, fino agli approcci qualunquisti che annegano nel fare e nel sopire ogni coscienza critica. • I gruppi tesi alla ricerca di un diverso rapporto tra l’uomo e l’ambiente, i quali, oltre a tutelare la natura, sono alla ricerca di modalità non distruttive di utilizzo delle sue risorse. Interrogarsi entro tali sperimentazioni rigenera a un diverso modo di vivere, restituisce motivazioni, saperi e competenza per confrontarsi con i risvolti negativi della vulnerabilità. • La costruzione di nuovi gruppi di volontariato civico, in una logica del dono vista come esercizio di implicazione nel perseguire una cittadinanza inclusiva. Sperimentarsi in gruppi di volontariato apre al pensare la propria azione come inclusione di soggetti svantaggiati, esclusi, assediati da mille fatiche che consegnano alla solitudine. Il volontariato abilita a un diverso rapporto tra uomo e uomo, ponendosi come mediatore di nuovi incontri e nuovi dialoghi e dunque di un accesso per tutti al capitale relazionale, culturale ed etico di un Paese. • Le banche del tempo dove le persone e le loro famiglie entrano in un circuito virtuoso di utilizzo del tempo e delle competenze investendoli in modo che possano essere reciprocamente utili. Lo scambio di tempo e di competenze in una prospettiva di mutualità, senza transazioni monetarie, è anche luogo per sperimentarsi in nuovi legami sociali e in nuove priorità nel vivere. Tali banche possono portare a beni comuni, estate ragazzi, il pomeriggio dei figli, il sollievo reciproco a fianco di situazioni familiari di invecchiamento o malattia. • La «ricerca popolare» consistente in laboratori intorno alle attese del territorio per cercare attraverso un dialogo che cerca di coinvolgere il maggior numero possibile di persone e di gruppi anche antagonisti, facendo spazio ai diversi punti di vista. In questo modo si potrà alleggerire l’ansia e la paura, entrare in contatto con le ragioni degli altri, identificare e organizzare interventi in una logica di cooperazione, rispetto all’abbandono dei ragazzi per le strade, alla mancanza di associazioni sportive, artistiche, culturali o di luoghi 127 128 Circuiti virtuosi di contrasto della vulnerabilità Alcuni apprendimenti di incontro aperti a tutti, alla solitudine di fasce di popolazione chiuse nella loro povertà linguistica, ecc. • La partecipazione a scuola, vista come giacimento di ricchezze culturali che la comunità locale non valorizza, ma che per divenire tale chiede alla scuola di «aprire i cancelli» e di fare spazio ai cittadini, come anche per fare ricorso alle competenze della scuola e ripensare i processi educativi e aggregativi tra adulti, prima ancora che tra giovani, alleggerendo in tal modo il senso della vulnerabilità nell’aver cura insieme di «pezzi» del paese o del quartiere a servizio dei ragazzi, da un doposcuola o una nuova associazione sportiva o musicale o teatrale. • Lo sviluppo di società di mutuo soccorso, rispetto alla tutela della salute dei cittadini. Ci sono bisogni dei cittadini che il servizio pubblico non può e non deve soddisfare, mentre i cittadini possono farlo, soprattutto quando c’è uno spazio culturale e politico che lo incentiva, auto-organizzandosi sulla base del principio di mutualità. • L’associarsi per resistere alla pressione della corruzione e delle mafie. Il percorso è quello della presenza di coscienza e della protesta politica rispetto alle mafie e alla corruzione, con la complicità di alcuni cittadini e istituzioni, che impoveriscono i territori, depauperando di conseguenza le fasce più deboli, depredando e privatizzando i beni pubblici, distruggendo i capitali sociali e culturali che sostenevano una solidarietà diffusa che alimentava la sopravvivenza pur tra molte fatiche, per suggerire invece scorciatoie criminali distruttive.