Gli Accordi di Cancún e il futuro regime sui
cambiamenti climatici
L’evoluzione del negoziato e uno scenario della possibile configurazione internazionale
del regime sui cambiamenti climatici
Autori: Aurelio Magdalena; Leggio Sara; Morazzo Mariano; Romani Fabio
Febbraio 2011
Sommario
1. Introduzione...................................................................................................... 3
2. Ad hoc Working Group on Long Term Cooperative Action - AWG LCA .. 3
2.1
La forma legale dell’Accordo di Cancún e l’influenza sul futuro regime sui
cambiamenti climatici............................................................................................................. 4
2.2
La “shared vision” ....................................................................................................... 7
2.3
Azioni di mitigazione delle cause del cambiamento climatico ............................. 8
2.3.1
La mitigazione da parte dei Paesi industrializzati .......................................... 8
2.3.2
La mitigazione da parte dei Paesi in via di sviluppo .................................... 10
2.3.3
Il monitoraggio, la comunicazione e la verifica ............................................. 10
2.4
Adattamento ai cambiamenti climatici ................................................................... 11
2.5
Risorse finanziarie..................................................................................................... 12
2.5.1
Fast-Start Finance - FSF ..................................................................................... 13
2.5.2
Il Green Climate Fund - GCF ........................................................................... 13
2.6
Trasferimento tecnologico ........................................................................................ 17
2.7
Riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado delle
foreste e per l’aumento dello stock di carbonio ................................................................ 19
3. Ad Hoc Working Group on Kyoto Protocol - AWG KP ............................ 21
3.1
3.2
Land Use, Land-Use change and Forestry - LULUCF............................................ 22
Riforme relative al CDM .......................................................................................... 22
4. Il futuro regime sui cambiamenti climatici e il mercato del carbonio ..... 24
BIBLIOGRAFIA
2
1. Introduzione
Il presente documento intende fornire una sintesi analitica di quanto avvenuto nel
corso dei negoziati sul clima di Cancún relativamente ai principali temi in discussione: la
forma legale dell’accordo, i risultati in termini di impegni per la mitigazione delle
emissioni e di adattamento ai cambiamenti climatici, il trasferimento tecnologico, gli
strumenti finanziari e il meccanismo dei REDD+. Tale analisi intende servire da base per
ricostruire un quadro il più completo possibile sul futuro regime sui cambiamenti climatici
di cui gli accordi internazionali sono, ad oggi, solo una delle componenti.
Con il consenso di tutte le nazioni (fatta eccezione per la Bolivia), la COP 16 ha prodotto il
risultato che ha preso il nome di Accordi di Cancún, un documento cioè contente un
gruppo di decisioni su temi diversi ma raggruppati sotto questa voce. Partendo dai punti
di maggior interesse dell’Accordo di Copenaghen, gli Accordi di Cancún forniscono molta
più sostanza rispetto alla quale lavorare per poter comporre un quadro di un possibile
futuro accordo internazionale.
Infatti, quello che è stato considerato come il successo, seppur parziale, di Cancún segna
innegabilmente un punto importante della risposta della comunità internazionale ai
cambiamenti climatici. A livello di sistema, l’accordo è riuscito a rilanciare il processo delle
Nazioni Unite riconoscendo al contempo gli sforzi compiuti dai diversi attori della
comunità internazionale in altri contesti, esterni al negoziato. L’accordo ha inoltre
ufficializzato il passaggio da azioni governate in approccio ‘top-down’, verso azioni
attuate ‘bottom-up’ (comunque in corso di svolgimento a prescindere dal contesto
UNFCCC), aprendo dunque la strada a nuove opportunità di partenariati pubblico-privati
che operino in modo da disegnare e costruire azioni pilota, in particolare relativamente
agli aspetti finanziari e tecnologici delle azioni e dei meccanismi di contrasto ai
cambiamenti climatici.
Il presente documento rappresenta il completamento dell’analisi svolta a supporto dei
negoziati di Cancún (analisi del 6 Dicembre 2010, dal titolo “Il quadro negoziale alla
vigilia della Conferenza di Cancún”, dei medesimi autori, riportato in allegato) nel quale,
partendo dalla sintesi definitoria e dal quadro forniti in quel documento, si prendono in
esame le evoluzioni, fornendone un’analisi. Per questo motivo, la struttura del presente
documento ricalca quella del precedente e ne utilizza gli acronimi, la cui forma estesa e il
cui significato sono già stati adottati in quella sede.
2. Ad hoc Working Group on Long Term Cooperative Action - AWG
LCA
Come chiarito nel documento di analisi antecedente alla conferenza di Cancún (in
allegato), l’AWG-LCA ha il mandato di focalizzarsi sugli elementi chiave della
3
cooperazione evidenziati nel Convention Dialogue: mitigazione, adattamento,
trasferimento tecnologico e risorse finanziarie.
Di seguito è riportato un aggiornamento rispetto ai differenti temi che afferiscono al
lavoro negoziale dell’AWG LCA.
2.1
La forma legale dell’Accordo di Cancún e l’influenza sul
futuro regime sui cambiamenti climatici
Il Summit di Cancún ha prodotto una serie di decisioni relative allo scenario
politico sui cambiamenti climatici del post-2012. Dal punto di vista del valore legale (e
delle conseguenti ricadute), gli Accordi di Cancún hanno preso nota nella decisione finale
adottata dall’AWG LCA dei risultati dell’Accordo di Copenhagen negoziato da 28 paesi. A
quei risultati è stata attribuito un valore legale nel contesto delle Nazioni Unite dai suoi
194 membri, fatta eccezione per la Bolivia.
A differenza dell’Accordo di Copenhagen, gli Accordi di Cancún sono decisioni
ufficialmente prese dalla Conferenza delle Parti (COP) dell’UNFCCC e dalla Conferenza
delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP). Gli Accordi di Cancún sono stati adottati per
acclamazione riscuotendo il supporto della maggior parte delle Parti, fatta eccezione per la
Bolivia. Essi diventeranno una componente ufficiale del regime sui cambiamenti climatici
delle Nazioni Unite. Tuttavia, gli accordi di Cancún, al contrario di un nuovo Protocollo o
di un emendamento alla Convenzione, non sono legalmente vincolanti. Il carattere
vincolante di un impegno può essere rafforzato se è seguito dalla creazione di istituzioni e
di procedure che contribuiscono a mantenere una Parte responsabile rispetto all’impegno
stesso. Negli accordi di Cancún, i paesi industrializzati hanno concordato di accettare
l’impegno a condizione del rispetto dei target nazionali (contenuti in un documento
informale – INF che non è stato definitivamente mai adottato dalla COP di Copenaghen) e
del perseguimento di un processo internazionale di valutazione e analisi delle emissioni
dei paesi in via di sviluppo ‘rigoroso, robusto e trasparente’ che si basi su procedure di
analisi già esistenti nella Convenzione.
Le Nationally Appropriate Mitigation Actions (NAMAs) offerte dai paesi in via di
sviluppo saranno dal canto loro soggette ad un processo di ‘consultazione ed analisi
internazionali’. I dettagli delle procedure necessarie al loro sviluppo saranno oggetto di
ulteriori sessioni negoziali. In generale, i target da un lato e le NAMAs dall’altro vogliono
rappresentare un comune ma differenziato contesto di impegni di riduzione delle
emissioni accompagnato da un sistema di regole che garantisca trasparenza e
responsabilità rispetto a tali impegni che per la prima volta vede coinvolte tutte le
maggiori economie mondiali. E’ necessario sottolineare tuttavia che gli Accordi di Cancún
sono ben lontani dal prevedere il livello di valutazione/comunicazione delle emissioni, di
conformità e di esecutività che attualmente obbliga le Parti del Protocollo di Kyoto.
4
In altre parole, le Parti hanno un’altra volta rimandato l’aspetto della futura forma legale
degli impegni, segnalando solo che il lavoro in tal senso continuerà attraverso i processi
negoziali della Convenzione e del Protocollo di Kyoto. In particolare, la COP ha deciso di
continuare a discutere le ‘opzioni della forma legale’ dell’esito di tali negoziazioni
nell’ambito della Convenzione e che quanto attualmente deciso (o non deciso) negli
Accordi di Cancún non potrà pregiudicare in futuro la prospettiva o il contenuto di un
risultato negoziale legalmente vincolante. La CMP è stata, inoltre, cauta sul destino di
target legalmente vincolanti da accettarsi nell’ambito del Protocollo di Kyoto e ha deciso di
completare il lavoro sul tema al più presto possibile e comunque in tempo utile da
assicurare un legame di continuità tra il primo ed il secondo periodo di impegni.
Un altro aspetto, in grado di far discutere sul livello di legalità degli Accordi di Cancún, è
relativo al dissenso opposto dalla Bolivia. La COP e la CMP non hanno mai espressamente
definito le procedure di votazione per considerare adottate le decisioni in discussione.
Sulla base della prassi, le decisioni sono di solito prese per consenso. Nella pratica
internazionale, il consenso si considera solitamente ottenuto quando, secondo il parere del
presidente della sessione negoziale, non c’è nessuna Parte presente che formalmente
obbietti all’adozione della decisione. Nel caso di Cancún, la presidentessa Patricia
Espinosa, ha concordato con le altre delegazioni che la regola del consenso non andasse
interpretata in modo da permettere a una singola Parte il diritto di veto ad una decisione
altrimenti unanime. In termini di effetti di legge, è molto improbabile che la Bolivia sia
considerata obbligata al rispetto degli accordi di Cancún. Sembra invece probabile che,
nonostante in altre occasioni (ad es. a Copenaghen) più di una Parte abbia espresso il
proprio dissenso rispetto a un testo che di conseguenza non è stato considerato una
decisione, il processo ufficiale consideri adottati gli Accordi di Cancún quali decisioni
della COP/CMP. Nonostante le minacce della Bolivia di rivolgersi alla corte internazionale
di giustizia, sembra verosimile che la sua obiezione non avrà alcun effetto sull’attuazione
degli Accordi di Cancún.
In generale, gli impegni legalmente vincolanti rappresentano il maggior grado di obbligo
preso da una nazione a livello internazionale. Una volta impegnatasi, una nazione deve
ottemperare ai propri obblighi anche in caso di cambio del governo in carica al momento
dell’accettazione dell’accordo. In molti Paesi, il processo di ratifica di un trattato prevede
l’attuazione di una legislazione nazionale che di solito viene fatta rispettare dalle agenzie
governative e dalla corte di giustizia nazionale. I mercati, siano essi in nuove tecnologie o
diritti di emissioni, dipendono dalla stabilità garantita da strumenti legalmente vincolanti.
Il Protocollo di Kyoto è un esempio di accordo vincolante con impegni quantificati, che ha
generato un mercato del carbonio la cui rilevanza è dipesa e tuttora dipende dalla stabilità
del Protocollo nel tempo.
Nella fase attuale, dopo ben 5 anni dall’inizio dei negoziati sul regime post-Kyoto e in base
a una crescente consapevolezza dell’improbabile conclusione di nuovi accordi con
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impegni quantificati e legalmente vincolanti, i negoziatori internazionali sono orientati a
far progredire il negoziato nell’ambito dell’UNFCCC, seppur con decisioni a livello COP
che hanno solo valore politico ma supportano un contesto condiviso a livello
internazionale. La Convenzione è infatti essa stessa un accordo legalmente vincolante, con
obiettivi di lungo periodo ambiziosi ma generali, che in passato non sono stati tradotti in
meccanismi vincolanti e misurabili, se non con il Protocollo di Kyoto. In assenza quindi di
nuovo Protocollo (o un emendamento del Protocollo di Kyoto) si sta cercando di
accordarsi su una serie di obiettivi e meccanismi che saranno riconosciuti dalla COP come
strumenti e procedure a sostegno delle promesse fatte al momento della adesione e della
ratifica dei singoli paesi.
Nel 2009 a Copenaghen, 42 paesi industrializzati hanno fatto promesse di riduzione delle
emissioni in tutti i settori dell’economia relativamente a specifici periodi di tempo. Inoltre,
98 paesi in via di sviluppo hanno promesso di attuare specifiche azioni di mitigazione
entro il 2020, concordando che tali azioni sarebbero state affiancate da forme di
misurazione, monitoraggio e verifica delle emissioni effettivamente ridotte. In definitiva
dunque, il problema della forma legale dell’accordo e degli impegni in esso contenuti non
è stato risolto a Cancún e sarà discusso durante quest’anno fino alla conferenza di Durban.
E’ stato dunque esteso per un ulteriore anno il mandato dell’AWG LCA con l’obiettivo di
fare in modo che possa continuare a discutere le “legal options with the aim to complete
an agreed outcome”. Questo in definitiva significa che dal punto di vista legale, le Parti
hanno ancora bisogno di decidere se adottare un accordo legalmente vincolante che
complementi il Protocollo di Kyoto o altre opzioni rispetto alle quali le Parti cooperino
attraverso una decisione della COP più che per mezzo di un nuovo trattato. Dal punto di
vista sostanziale poi, qualora Cancún avesse tradotto gli impegni di Copenaghen in target
legalmente vincolanti – di conseguenza difficili da modificare – questa sarebbe potuta
essere una situazione rischiosa. Gli impegni presi rispetto agli Accordi di Copenaghen non
erano stati negoziati, ma erano solo presi unilateralmente dai diversi paesi (oltre a non
rappresentare quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo globale dei 2°C). Se da
un lato, i paesi industrializzati hanno espresso impegni di riduzione delle emissioni nella
forma di target con tempi di esecuzione, dall’altro gli impegni dei paesi in via di sviluppo
prevedono azioni di mitigazione: le due tipologie di impegni hanno poco in comune. E’
quindi assolutamente rilevante che, qualsiasi opzione le Parti scelgano per la
formalizzazione dei propri impegni, venga creato e messo in atto un meccanismo in grado
di chiarire e rafforzare il valore degli impegni. Il fatto che Cancún non abbia in sostanza
portato alla conclusione di un accordo vincolante, non deve far entrare in una situazione
di empasse. Le Parti, sia dell’UNFCCC che del Protocollo di Kyoto, hanno comunque
portato avanti numerosi progressi a livello nazionale disegnando e preparandosi
attivamente all’attuazione di politiche sui cambiamenti climatici. Questi elementi,
combinati con un credibile sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica delle
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emissioni, dovrebbero contribuire a creare conoscenze e una piattaforma di cooperazione
tali da mantenere viva l’attenzione su attività di mitigazione anche in assenza di target
legalmente vincolanti.
Questo consente di concludere che la conferenza di Cancún è un successo nella misura in
cui ha forse raggiunto il massimo risultato ottenibile. Se i paesi hanno da un lato preso una
serie di decisioni pratiche (cha analizzeremo nei paragrafi successivi) in modo da favorire
degli effettivi risultati delle attività nazionali, essi hanno però anche avviato (o rinnovato)
un processo multilaterale per discutere e definire più chiaramente quale possa essere
un’eventuale forma legale del futuro l’accordo.
2.2
La “shared vision”
Il più importante risultato della 16° Conferenza delle Parti di Cancún è concentrato
nella cosiddetta ‘shared vision’, sezione della decisione dell’AWG LCA nella quale sono
stabiliti da Bali in poi gli obiettivi negoziali ufficiali di lungo periodo. La shared vision
degli Accordi di Cancún riconferma:
che il riscaldamento globale è inequivocabile e che la maggior parte dell’incremento
delle temperature globali osservato dalla metà del ventesimo secolo è
verosimilmente dovuto all’aumento delle concentrazioni di GHG dovute alle
attività umane;
l’obiettivo di limitare il riscaldamento della temperature media globale entro i 2°C
rispetto ai livelli pre-industriali;
inoltre la necessità di rafforzare questo obiettivo rivedendone l’adeguatezza di
lungo periodo sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, che tengano in
considerazione anche il nuovo livello di 1,5°C di incremento massimo ammissibile
della temperatura media globale. Secondo la decisione, la prima revisione
dell’obiettivo dovrà avere inizio nel 2013 e concludersi entro il 2015. Il testo tuttavia
non dettaglia come possa essere possibile arrivare al raggiungimento degli obiettivi
prefissati e non fa riferimento esplicito ai livelli di riduzioni di emissioni di GHG
necessari, alle concentrazioni massime di GHG in atmosfera e all’anno in cui si
possa verificare il picco massimo. Al contrario, le decisioni su tali aspetti sono state
rimandate alla prossima sessione della COP.
Tali elementi riflettono in sostanza le componenti dell’Accordo di Copenaghen che ha
rappresentato il primo consenso politico rispetto all’obiettivo di stabilizzazione della
temperatura a 2°C. Tuttavia, le promesse di riduzione delle emissioni fatte a Copenaghen
non sono state migliorate (in termini quantitativi), nonostante da sempre lo stesso
obiettivo politico (e i target) siano stati da molti giudicati insufficienti. E’ per questo
motivo che il vero risultato di Cancún è rappresentato dal riconoscimento ufficiale
7
dell’inadeguatezza dell’obiettivo politico e dalla conseguente decisione di rivederne
periodicamente la consistenza di lungo periodo in base alle migliori scoperte scientifiche
disponibili.
2.3
Azioni di mitigazione delle cause del cambiamento climatico
2.3.1
La mitigazione da parte dei Paesi industrializzati
Come anticipato, gli Accordi di Cancún, relativamente a quanto presente nel testo
prodotto dall’AWG LCA, riconoscono la necessità di lavorare per ottenere in futuro un
risultato negoziale legalmente vincolante, non fornendo però nessuna indicazione su
quando tale testo negoziale possa essere prodotto e che tipo di forma legale il risultato
possa assumere.
Il rinnovo di un secondo periodo di adempimento degli impegni nella forma di un
proseguimento del Protocollo di Kyoto sembra essere sempre più compromesso dai rifiuti
opposti da Giappone, Russia e Canada ad impegnarsi, in assenza della partecipazione
degli Stati Uniti, in riduzioni di emissioni nell’ambito di un nuovo vincolante Protocollo.
Inoltre, dal punto di vista della quantificazione degli impegni, è stato stimato che quelli
presi a Copenaghen dai paesi industrializzati rappresentano una riduzione complessiva
delle emissioni compresa tra il 12% e il 18% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990. Le
promesse di impegni fatte a loro volta dai paesi in via di sviluppo rappresenterebbero
invece il 27% di riduzione delle emissioni rispetto al loro livello teorico privo di politiche
sui cambiamenti climatici. Queste promesse si sono dimostrate, nel complesso,
insufficienti a garantire la limitazione dell’aumento della temperatura globale media entro
i 2°C, ma Copenaghen è stata la prima volta in cui i paesi in via di sviluppo hanno
acconsentito a impegnarsi con target di riduzione definiti quantitativamente, nonché a
quantificare e verificare i livelli di riduzioni ottenuti a fronte del supporto tecnologico e
finanziario della comunità internazionale.
Fatte salve tali premesse, i maggiori risultati in termini di mitigazione raggiunti dagli
Accordi di Cancún sono relativi:
al riconoscimento delle responsabilità storiche dei paesi industrializzati;
all’inclusione delle promesse di obblighi di riduzione (pledges) risultate dalla
Conferenza di Copenaghen nella decisione dell’AWG LCA e quindi al loro
reinserimento all’interno del processo negoziale multilaterale1. In altre parole,
l’inclusione delle pledges negli accordi di Cancún non le ha rese legalmente
1 “Takes note of quantified economy-wide emission reduction targets to be implemented by Parties included in Annex I to
the Convention as communicated by them and contained in document FCCC/SB/2010/INF.X4 (to be issued)”; Nota 4:
“Parties’ communications to the secretariat that are included in the INF document are considered communications under
the Convention”.
8
vincolanti, ma le ha formalizzate nel sistema proprio della Convenzione Quadro
delle Nazioni Unite (UNFCCC);
alla richiesta ai paesi industrializzati di accrescere i target di riduzione relativi ai
diversi settori delle loro economie, con la prospettiva di ridurre i propri livelli
aggregati di emissioni di CO2 e degli altri gas non controllati dal Protocollo di
Montreal (gas ozono lesivi) ai livelli raccomandati dal IV Assessment Report
dell’IPCC;
alla richiesta di continuare ad utilizzare e di allargare le negoziazioni sugli
strumenti di mercato introdotti dal Protocollo di Kyoto;
alla definizione di un contesto tecnico e metodologico per il proseguimento dei
negoziati che termineranno con la Conferenza di Durban a Dicembre 2011.
Il motivo per cui gli accordi di Cancún non hanno invece prodotto un accordo su un target
specifico di riduzione nel lungo periodo delle emissioni, nonché la definizione di un anno
di picco massimo per le emissioni, va ricercato principalmente in due ragioni.
Innanzitutto, la prima motivazione risiede nei dubbi e resistenze persistenti dei paesi in
via di sviluppo rispetto alle limitazioni pratiche che un target globale avrebbe comportato
per le loro economie (di cui alcune in forte crescita). La seconda motivazione è relativa poi
al mancato raggiungimento di un’intesa sui target di riduzione delle emissioni del dopo
2012. Tale impasse sembra avere avuto un effetto negativo a catena anche sulle altre
discussioni sulle riduzioni di emissioni.
Un altro elemento delle politiche di mitigazione mancante dagli Accordi di Cancún è
quello degli accordi settoriali (sectoral agreements), inclusivi del trattamento dei settori
internazionali del trasporto marittimo e dell’aviazione. Mentre il testo negoziale aveva
fatto buoni progressi su alcuni temi settoriali (quali ad es. la cooperazione agricola), le
Parti non sono riuscite a raggiungere un accordo sul contesto generale. Tale fallimento è
stato determinato da visioni divergenti circa la natura volontaria degli approcci settoriali e
circa l’applicazione del principio di responsabilità comuni ma differenziate (“common but
differentiated responsabilities” - CBDR). Il problema delle CBDR è stato particolarmente
rilevante per il fallimento dell’accordo nel settore dei trasporti: molti paesi in via di
sviluppo sostengono che il concetto di CBDR dovrebbe essere applicato al settore
internazionale dei trasporti facendo in modo che i paesi industrializzati si assumano il
maggior onere rispetto allo sforzo complessivo. Dal canto loro, i paesi industrializzati
ritengono che tale concetto potrebbe distorcere la competizione e inficiare i principi
internazionali di non discriminazione che governano il settore internazionale dei trasporti.
9
2.3.2
La mitigazione da parte dei Paesi in via di
sviluppo
I paesi in via di sviluppo hanno concordato di mettere in atto azioni nazionali di
mitigazione (le c.d. Nationally Appropriate Mitigation Action – NAMAs) in modo da
ridurre entro il 2020 le proprie emissioni rispetto allo scenario business as usual (BAU).
Come per le pledges operate dai paesi industrializzati, la COP ha “preso nota” anche di
tutte le NAMAs da attuarsi da parte dei paesi in via di sviluppo, così come previsto
nell’Accordo di Copenaghen. Secondo quanto previsto dagli Accordi di Cancún, sia le
NAMAs previste dall’Accordo di Copenaghen sia qualsiasi altra NAMA che un paese in
via di sviluppo voglia “volontariamente” mettere in atto, devono essere censite in un
registro internazionale. Questo registro terrà, inoltre, nota del trasferimento delle risorse
finanziarie operato a fronte delle diverse NAMAs, nonché servirà da strumento per
abbinare fondi disponibili, non ancora allocati, a proposte di sviluppo di nuove di
NAMAs. Questo tipo di provvedimento riveste un’importanza fondamentale fungendo da
stimolo per l’elaborazione pratica delle differenti componenti tecniche di una NAMA. In
tal senso, si fa notare che la COP ha, inoltre, deciso che i paesi industrializzati debbano
fornire supporto per la preparazione e per l’attuazione delle NAMAs (capacity building),
facilitando l’acquisizione delle risorse disponibili e delle tecnologie necessarie, nel rispetto
di quanto attualmente previsto dall’UNFCCC.
2.3.3
Il monitoraggio, la comunicazione e la verifica
I paesi industrializzati hanno acconsentito con gli Accordi di Cancún a procedere al
monitoraggio, alla comunicazione e alla verifica (Monitoring, Reporting and Verification –
MRV) delle azioni di mitigazione e di finanziamento connesse ai cambiamenti climatici,
includendo anche un impegno a migliorare le comunicazioni nazionali relative ai
provvedimenti in relazione a finanziamenti, tecnologia trasferita e capacity building,
nonché relativamente ai progressi fatti internamente in termini di riduzione delle
emissioni. In tal senso, i paesi industrializzati hanno, inoltre, concordato di procedere ad
una revisione, a partire dall’inizio del 2011, delle linee guida sulla comunicazione e sulla
revisione delle comunicazioni nazionali delle emissioni. Gli organi sussidiari (Subsidiary
Body on Implementation – SBI) sono stati poi incaricati di avviare un processo
internazionale che consenta di stimare le emissioni con l’obiettivo di verificarne la
corrispondenza dei risultati con i target di riduzione delle stesse. I paesi industrializzati
saranno tenuti a chiarire le modalità di utilizzo dei crediti di emissioni e di calcolo delle
emissioni connesse alle attività LULUCF (si veda sezione specifica). Tra il 2011 e il 2013,
tali paesi dovranno inoltre comunicare all’UNFCCC su base biennale l’ottemperanza degli
impegni presi rispetto agli obblighi del FSF (Fast-Start Finance).
Se da un lato il monitoraggio dei paesi industrializzati si concentra sulle registrazioni dei
finanziamenti concessi e delle tecnologie trasferite, relativamente al MRV dei paesi in via
10
di sviluppo gli Accordi di Cancún prevedono la creazione di un sistema internazionale in
grado di monitorare e contabilizzare in maniere comparabile le azioni di riduzione delle
emissioni operate dagli stessi paesi in via di sviluppo a fronte del supporto tecnologico e
finanziario ricevuto dai paesi industrializzati. Le azioni di mitigazione supportate da fonti
finanziarie nazionali saranno, invece, soggette a regole di MRV anch’esse domestiche ma
sviluppate sotto le linee guida generali prodotte nell’ambito della Convenzione.
Il sistema di MRV dei paesi in via di sviluppo dovrà prevedere la comunicazione e
l’aggiornamento degli inventari nazionali delle emissioni di GHG e la trasmissione di
informazioni sulle azioni di mitigazione, sulle necessità e sul supporto ricevuto per
svilupparle da trasmettersi ogni 4 anni con un report di aggiornamento da prodursi con
cadenza biennale.
Tutti i paesi, sia quelli industrializzati che quelli in via di sviluppo dovranno poi condurre,
nell’ambito delle attività degli organi sussidiari, un processo di consultazione e analisi
internazionali (International Consultations and Analysis – ICA) per la predisposizione di
report sulle attività di mitigazione da prodursi con cadenza biennale. Tale processo si
pone l’obiettivo di aumentare la trasparenza rispetto alle azioni di mitigazione condotte e
ai loro effetti, attraverso un’analisi condotta da esperti tecnici internazionali che operano
in consultazione con le Parti interessate.
2.4
Adattamento ai cambiamenti climatici
Negli Accordi di Cancún, le Parti hanno concordato:
la creazione del Cancún Adaptation Framework per aumentare gli sforzi relativi
all’adattamento da parte di tutti i paesi;
il lancio di un processo per aiutare i paesi sottosviluppati (LDCs) a sviluppare e
mettere in atto i rispettivi piani nazionali per l’adattamento;
la creazione di un Comitato per l’adattamento (Adaptation Committee) per fornire
alle Parti della Convenzione un supporto tecnico, facilitare la condivisione di
informazioni e di buone pratiche e fornire raccomandazioni tecniche alla COP
relativamente ai temi più importanti in materia di adattamento.
Il SBI dovrà produrre entro la COP di Durban alcune linee guida per la creazione del
suddetto processo di supporto nei paesi in via di sviluppo, mentre l’AWG dovrà fornire
indicazioni sulla composizione e sulle funzioni precise del Comitato per l’adattamento,
per la loro adozione alla stessa COP. La decisione inoltre ha stabilito un piano di lavoro
per esaminare gli approcci da seguire per la valutazione delle perdite e dei danni associati
ai cambiamenti climatici in paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili, tra cui una
struttura assicurativa insieme ad altre opzioni per la condivisione del rischio, con
raccomandazioni da produrre entro la COP 18.
11
I paesi in via di sviluppo dovranno specificare le proprie necessità in termini di risorse
finanziarie e tecnologie, sviluppare migliori sistemi di monitoraggio e raccolta dei dati
climatici e acquisire una profonda comprensione dei trend demografici connessi ai
fenomeni climatici. I paesi industrializzati dovranno, dal canto loro, garantire di rendere
disponibili per i paesi in via di sviluppo nuove risorse addizionali, tecnologie (hardware e
software) e formazione.
La creazione da un lato di “una struttura” (framework) di collaborazione (posizione dei
paesi industrializzati) invece di “un programma” (programme) per l’adattamento
(posizione dei paesi in via di sviluppo) rappresenta un compromesso che si trascina però
dietro di sé il dubbio su come le attività sull’adattamento verranno supportate e con quali
fondi. In sintesi, la distinzione semantica oggetto di negoziato da Copenaghen, include
una mancanza di fiducia da parte dei paesi industrializzati (detentori delle risorse) e i
paesi in via di sviluppo relativamente alle modalità di spesa che questi ultimi saranno in
grado di adottare. Tale mancanza di fiducia dovrebbe essere in parte compensata dal
supporto che i paesi in via di sviluppo forniranno alle loro contro parti nello sviluppare i
piani nazionali sull’adattamento.
Fatti salvi questi temi di natura negoziale, un aspetto significativo dell’Adaptation
Framework di Cancún è quello relativo alla possibilità di prevedere una certa interazione
con il settore privato che è stato invece tradizionalmente tenuto fuori dalla sfera del
finanziamento delle azioni volte all’adattamento ai cambiamenti climatici. L’interazione è
data dall’invito ai paesi a considerare meccanismi di condivisione e trasferimento del
rischio, attraverso per esempio, micro assicurazioni e la creazione di una istituzione
internazionale di assicurazione sui rischi climatici. La decisione richiede che su questo
aspetto il SBI dovrà dare indicazioni alla COP 18 in Corea del Sud.
2.5
Risorse finanziarie
Relativamente al tema del climate financing, la Conferenza delle Parti di Cancún ha
dato maggiore importanza al ruolo delle risorse finanziarie necessarie a movimentare i
differenti aspetti chiave del regime sui cambiamenti climatici. Le decisioni prese, i cui
dettagli rimangono in gran parte ancora da approfondire, rappresentano, da un punto di
vista negoziale, un passo significativo e sostanziale. In generale, si evince che non ci potrà
essere nessun accordo climatico internazionale senza un accordo sul quadro finanziario.
D’altra parte, la volontà di inserire le discussioni sul climate financing nel contesto di un
accordo climatico multilaterale, mostra l’importanza che le Parti attribuiscono ad un
possibile accordo sul tema.
Nello specifico, a Cancún sono stati recepiti importanti obiettivi dell’Accordo di
Copenhagen sul finance: il testo finale dell’AWG-LCA, il quale include le decisioni relative
12
al finance, fa riferimento al Fast-Start Finance (FSF), al Long-Term Finance e al Green
Climate Fund (GCF).
2.5.1
Fast-Start Finance - FSF
E’ stato confermato l’impegno collettivo dei paesi industrializzati di allocare 30
miliardi di USD in assistenza ai paesi più vulnerabili come i paesi in via di sviluppo, le
isole minori e i paesi africani. L’impegno è quello di fornire risorse finanziarie “nuove ed
addizionali” che siano “allocate in modo equilibrato tra adattamento e mitigazione.” Il
Fast-Start Finance terminerà nel 2012.
L’integrazione degli impegni finanziari in una decisione della COP è in sé un passo importante per
responsabilizzare i paesi industrializzati. Tuttavia non esiste nessun accordo che identifichi e
impegni sulle fonti di finanziamento – un problema questo che continua a sussistere da
Copenhagen dove non è stato creato alcun registro in grado di tracciare i singoli impegni e i
risultati ottenuti rispetto ad essi.
Avvertendo che una tale mancanza di chiarezza potrebbe causare gravi danni alla legittimità del
FSF, il governo olandese, in cooperazione con UNDP, UNEP, UNFCC e Banca Mondiale, ha
realizzato una piattaforma web con lo scopo di aumentare la trasparenza sul tema. Il progetto
mirava a raccogliere le informazioni necessarie a fornire una visione d’insieme in preparazione alle
negoziazioni di Cancún. A dicembre, tuttavia, solo una parte dei paesi contribuenti (21 inclusi gli
Stati Uniti e l’Unione Europea) avevano inserito i propri dati sulla piattaforma. Anche a valle della
conferenza di Cancún, non esiste ancora nessun formato comune per assicurare un reporting
omogeneo dei dati e risulta in generale difficile risalire ai progetti messi in atto dai paesi
contribuenti. In definitiva, dunque, un primo elemento in grado di migliorare la credibilità e la
funzionalità dei meccanismi del FSF, sarebbe la creazione di un sistema standardizzato che
consenta di verificare l’effettiva attuazione degli impegni intrapresi a Copenhagen e Cancún.
Inoltre, non sembra che ci sia un reale equilibrio distributivo tra le allocazioni per l’adattamento e
quelle per le azioni di mitigazione visto che i finanziamenti per la mitigazione ricoprono circa 8090 per cento del totale dei finanziamenti.
2.5.2
Il Green Climate Fund - GCF
Uno dei risultati più rilevanti delle negoziazioni dell’UNFCCC a Cancún è la
decisione delle parti di istaurare un fondo finanziario di risorse destinate all’ambiente, il
Green Climate Fund (GCF), che è stato menzionato per la prima volta nell’Accordo di
Copenhagen. I dettagli dell’iniziativa sono descritti nel testo finale dell’AWG-LCA.
A integrazione del FSF, la decisione è stata accolta come possibile soluzione alle necessità
di climate financing di lungo termine. Tuttavia rimane la preoccupazione che si possa creare
un “fondo vuoto”, creato al solo scopo di inserire i paesi in via di sviluppo in un regime
internazionale e vincolante di politiche climatiche ma senza fornire dei contenuti definiti
in merito a risorse e azioni finanziate.
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Il GCF dovrebbe diventare operativo tramite approvazione della COP 17 a Durban e le
parti sono state quindi incaricate di decidere su forma e modalità di funzionamento del
fondo nel periodo da marzo a novembre 2011.
In definitiva, dunque, numerose azioni dovranno essere attuate in vista della COP 17 e le
negoziazioni preparatorie dovranno risolvere ancora molti dettagli. Tre sono i principali
argomenti da chiarire:
modalità di gestione: come e da chi sarà gestito il fondo;
capitalizzazione: come e a che titolo verrà raccolto il capitale del fondo;
erogazione: come saranno distribuiti i fondi una volta raccolti.
Relativamente alla primo aspetto, il testo dell’Accordo di Cancún definisce alcuni dettagli:
il Fondo dovrà rendere conto alla Conferenza delle Parti e sarà sotto la sua guida,
ma la COP non potrà selezionare i membri del consiglio e il consiglio non dovrà
sottoporre le regole generali e linee guida all’approvazione della COP;
sarà amministrato da un consiglio composto da 24 membri, provenienti da paesi
industrializzati e in via di sviluppo. Sarà garantita la rappresentanza di gruppi
regionali, ovvero Africa, Asia e del gruppo dei paesi dell’America Latina e dei
Caraibi (GRULAC). Sono rappresentati anche gli Small Island Developing States
(SIDS) e il gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC) – i due gruppi di paesi che
subiscono di più l’impatto dei cambiamenti climatici;
la Banca Mondiale sarà l’amministratore ad interim per i primi tre anni di
operatività del fondo;
il GCF avrà un segretariato indipendente di supporto;
sarà creato un comitato di transizione, il Transitional Committee, che sarà composto
da esperti provenienti per la maggior parte da paesi in via di sviluppo.
Infine, sempre da un punto di vista gestionale, è stato proposto di costituire una
commissione permanente, lo Standing Committee sotto la guida della COP, che assisterà
la stessa nell’esercizio delle proprie funzioni relativamente ai meccanismi finanziari
dell’UNFCCC (incluso il GCF). Ruolo e funzioni specifici di questo comitato rimangono
non definiti nel testo di Cancún.
Per quanto riguarda il ruolo di Banca Mondiale si evince che essa svolgerà principalmente
il ruolo di amministrazione finanziaria: la Banca non avrà dunque un ruolo ufficiale per
quanto riguarda la forma e la gestione del fondo. Tuttavia, risulta probabile che esperti di
Banca Mondiale saranno distaccati presso il Transitional Committee e forniranno quindi
raccomandazioni su procedure operative, criteri di selezione dei progetti, standard di
definizione delle performance o misure di tutela da sottoporre alla COP17 per
approvazione. Considerando il ruolo indiretto ma importante della Banca Mondiale, sono
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comprensibili le preoccupazioni di alcuni paesi in via di sviluppo che temono l’influenza
della Banca in rappresentanza degli interesse dei paesi ricchi.
Il Transitional Committee si occuperà dell’impostazione generale del Green Climate Fund.
Il comitato sarà composto da 15 membri provenienti da paesi industrializzati e 25 da paesi
in via di sviluppo, quest’ultimi in rappresentanza dei relativi gruppi regionali delle
Nazioni Unite, ovvero Africa, Asia e il gruppo dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi
(GRULAC). Anche in questo caso sono rappresentati gli Small Island Developing States
(SIDS) e il gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC).
Mettere insieme un gruppo così eterogeneo in così poco tempo sarà una sfida importante
per il segretariato esecutivo dell’UNFCCC, considerando che i membri del comitato
dovranno avere le “esperienze necessarie sia in finance che sui cambiamenti climatici”.
L’AWG-LCA raccomanda in particolar modo di fare riferimento al personale delle agenzie
rilevanti delle Nazioni Unite, istituzioni finanziarie ed economiche internazionali e al
personale di banche multilaterali di sviluppo.
La decisione di includere un gruppo di esperti – affiancato da osservatori – e non invece i
ministri delle finanze come inizialmente proposto dagli Stati Uniti, rispecchia la volontà di
assicurare una maggiore trasparenza dei processi.
Uno dei compiti principali del comitato sarà di chiarire l’equilibrio tra fondi per azioni di
mitigazione e per l’adattamento. Il testo LCA non approfondisce l’argomento, ma
considerando l’attuale squilibrio dei fondi climatici verso le azioni di mitigazione, ci si
aspetta che i fondi per l’adattamento ricevano un supporto significativo dal GCF.
Lo Standing Committee dovrà assistere la COP nel migliorare “la coerenza e il
coordinamento della distribuzione dei fondi sui cambiamenti climatici, razionalizzare i
meccanismi finanziari, mobilizzare nuove risorse e assicurare il monitoraggio, la
comunicazione e la verifica del supporto fornito ai paesi in via di sviluppo” (si veda anche
sezione su MRV).
Ruolo e funzioni della commissione sono ancora da definire e sarà rilevante stabilire quale
tipo di potere e autorità dovrà avere. Sarà cura della commissione approfondire anche
come il GCF interagirà con altri fondi già costituiti all’interno e esterno del contesto
UNFCCC. La commissione dovrà inoltre verificare l’opportunità di creare una gerarchia
che assegni al GCF un ruolo di supervisione o uno consultativo rispetto a questi fondi
nonché dovrà appurare in che modo si potranno evitare sovrapposizioni.
Relativamente alla capitalizzazione del GCF, il testo LCA fornisce pochi dettagli su come il
GCF sarà costituito. Il GCF si inserisce nel contesto dell’impegno delle parti di mobilizzare
100 miliardi di USD all’anno al 2020 per andare incontro alle esigenze dei paesi in via di
sviluppo. Le Parti, confermando l’impegno inizialmente proposto a Copenhagen, non
sono però riuscite a stabilire un calendario per incrementare i 10 miliardi di USD al 2012
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del Fast-Start Finance per arrivare all’impegno globale di lungo termine di 100 miliardi
all’anno.
Il Transitional Committee che si dovrà occupare di questo argomento, potrà contare sul
lavoro svolto dal High Level Advisory Group on Climate Change Financing (AGF), organismo
incaricato di identificare potenziali fonti per arrivare all’obiettivo finale di 100 miliardi. Il
rapporto dell’AGF è stato pubblicato prima della COP di Cancún: esso ha constato che i
finanziamenti dovranno provenire da fonti diverse, includendo finanziamenti pubblici,
strumenti di banche di sviluppo, mercato del carbonio e capitali privati. Un’ipotesi
potrebbe anche essere la capitalizzazione attraverso un sistema di tassazione delle
emissioni di carbonio dei settori internazionali marittimo e dell’aviazione.
Il rapporto del AGF non specifica invece il rapporto tra risorse pubbliche e private –
questione che peraltro è rimasta in sospeso a Cancún dato che le parti hanno solo “preso
nota” del rapporto AGF senza compiere ulteriori passi avanti definitori.
Rimangono da identificare e creare anche gli incentivi adatti ad incoraggiare i paesi a
partecipare al GCF. È stata criticata la presenza di un numero rilevante di fondi bilaterali e
multilaterali con obiettivi simili che contribuiscono a complicare l’architettura finanziaria
complessiva. Lo Standing Committee dovrà affrontare tale problematica con urgenza onde
evitare di creare sovrapposizioni con altri fondi che potrebbero portare ad una eventuale
frammentazione del GCF2.
Una possibile soluzione prevede di far svolgere al GCF la funzione di “fondo dei fondi”: il
fondo servirebbe cioè da strumento per accorpare gli altri fondi. Apparentemente però
questa visione iniziale non è stata recepita a Cancún dove le parti hanno optato per una
“co-esistenza” del fondo con gli altri.
Relativamente alle modalità di erogazione, il testo dell’AWG-LCA non fornisce maggiori
dettagli. Eccezione fa soltanto il riferimento “all’accesso diretto” alle risorse, cioè alla
possibilità dei paesi percipienti di accedere direttamente o tramite un ente erogatore dei
fondi, ma senza passare attraverso altre istituzioni. Tale approccio verrà seguito anche
dall’ Adaption Fund previsto nel contesto delle negoziazioni relative al Protocollo di
Kyoto.
In questi mesi dovranno essere decise le diverse forme di finanziamento previste dal GCF
che possono variare da sovvenzioni, prestiti, capitale sociale fino allo strumento delle
garanzie finanziarie.
Si presuppone che il supporto finanziario all’adattamento venga fornito attraverso delle
sovvenzioni, cosa che non vale necessariamente anche per il finanziamento delle azioni di
mitigazione. La scelta delle sovvenzioni potrebbe risultare vincente almeno per i paesi più
Attualmente è in corso un’iniziativa per creare un fondo per l’Africa, l’Africa Green Fund che sarà gestito dall’African
Development Bank. Il fondo avrà obiettivi simili al Green Climate Fund e potrebbe quindi portare ad un
disinteressamento da parte di paesi africani verso il GCF.
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poveri e sarà sostanziale per il GCF assicurare una buona corrispondenza tra il tipo di
finanziamento e l’azione da finanziare. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un
quadro equilibrato per un’allocazione tarata sui fabbisogni dei singoli paesi che possa
supportare, attraverso interventi puntuali i programmi nazionali. Questo ambizioso
obiettivo comporta un processo di ricognizione di base: ogni governo nazionale, insieme
alla società civile e al settore privato, dovrà decidere le priorità degli investimenti
nazionali per il clima. Una tale attività esiste parzialmente per le priorità nazionali definite
dai National Adaption Programmes of Action (NAPAS) e sarà sviluppata anche per le
NAMAs. Come descritto sopra, per le NAMAs è inoltre stata prevista la costituzione di un
loro registro: esso potrebbe essere integrato nel GCF, così da far corrispondere, in modo
sistematico, le esigenze dei paesi in via di sviluppo di riduzione delle proprie emissioni
con canali di finanziamento esistenti e nuovi.
2.6
Trasferimento tecnologico
Nel 2009 le Parti della Convenzione hanno iniziato a convergere sul concetto di
creare un nuovo Technology Mechanism, che diventi il cuore di un sistema condiviso per lo
sviluppo e il trasferimento tecnologico per la mitigazione e l’adattamento. A Copenhagen
si è arrivati prossimi al raggiungimento dell’accordo sul tema ed ulteriori passi avanti
sono stati registrati a Cancún. Fatte salve tali premesse, rimane da ribadire che il
trasferimento di tecnologie rimane comunque un aspetto chiave di qualunque futuro
accordo o scenario politico di governo delle problematiche climatiche.
Secondo quanto fino ad oggi discusso, il Technology Mechanism dovrebbe avere un duplice
obiettivo:
relativamente alle attività di mitigazione, quello di accelerare lo sviluppo e
l’utilizzo di innovazioni progettate per ridurre le emissioni, con un loro
trasferimento dai paesi ricchi a quelli poveri;
relativamente alle misure di adattamento, quello di consentire l’avanzamento di
tecnologie, quali ad esempio produzioni agricole più resistenti a eventi meteo
estremi (siccità e alluvioni), essenziali per aiutare i paesi in via di sviluppo a
convivere con gli effetti del riscaldamento globale.
L’accordo di Cancún ha confermato il sistema di governance a due livelli discusso sin dai
lavori di Copenhagen, approvando un meccanismo composto da:
1. un “Technology Executive Committee”, un ente che funga da comitato di indirizzo e
supervisione, con venti membri, di cui 9 nominati dai paesi industrializzati e 11 dai
paesi in via di sviluppo. Questo comitato svolgerà un ruolo di guida, individuando
priorità, identificando i paesi con necessità di supporto e coordinando gli sforzi di
17
sviluppo finalizzati ad abbattere le barriere all’innovazione tecnologica in tutto il
mondo;
2. un “Climate Technology Centre and Network”, struttura ben più corposa, che dovrà
svolgere un ruolo più operativo, portando avanti in tutto il mondo gli indirizzi
forniti dal Technology Executive Committee. Le attività potranno spaziare dai
workshop per facilitare il trasferimento di conoscenze sino alla costruzione di
progetti nei paesi che manifestano un’esigenza particolare.
Il testo relativo al meccanismo del trasferimento tecnologico si è confermato largamente
condiviso a Cancún, nonostante siano necessari progressi significativi sui dettagli. Per
essere pienamente operative, inoltre, le attuali iniziative dovranno essere legalmente
vincolanti per i Paesi ed accompagnate da informazioni chiare riguardo alla fonte di
finanziamento. Va sottolineato, tuttavia, come rispetto ad altri elementi dell’accordo di
Cancún, il trasferimento di tecnologie sia caratterizzato da controversie limitate; sia le
nazioni sviluppate che quelle in via di sviluppo valutano raggiungibili i necessari
progressi da compiere in questo campo, che non presenta infatti le strenue divisioni che
circondano il secondo periodo del Protocollo di Kyoto o il meccanismo REDD.
Come descritto nel documento di analisi del negoziato antecedente alla COP di Cancún, i
principali problemi individuati alla vigilia della Conferenza si riconducevano a:
brevetti/diritti di proprietà intellettuale (Intellectual Property Rights - IPRs): molti
paesi in via di sviluppo considerano i brevetti una barriera alla diffusione della
tecnologia, auspicando un loro alleggerimento e l’introduzione di incentivi al
trasferimento di brevetti;
assenza di progressi su elementi quali MRV e contributi alle riduzioni di emissioni,
senza i quali viene a mancare il quadro in cui misurare in maniera condivisa il
trasferimento tecnologico.
Il punto sui diritti di proprietà intellettuale è particolarmente controverso per le
implicazioni politiche più generali, con i Paesi ricchi in passato decisi a mantenere
invariato l’esistente sistema di brevetti costruito intorno al WTO, contrapposti ai Paesi più
poveri che potrebbero sfruttare l’UNFCCC per contribuire allo smantellamento della
regolamentazione dei brevetti del WTO stesso. Se dalla Conferenza è emersa la
consapevolezza che si tratti di un argomento importante e da riconsiderare, è altrettanto
chiaro che numerosi approfondimenti dovranno essere risolti durante gli incontri del 2011.
I progressi, seppure limitati, in tema di MRV vanno nella giusta direzione di una
misurazione condivisa dei trasferimenti di tecnologia, ancorché con tempi di attuazione
ancora difficili da valutare.
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I fabbisogni tecnologici dovranno invece essere determinati a livello nazionale e basarsi su
priorità nazionali, elemento questo che si è rivelato centrale per i paesi in via di sviluppo.
La decisione di Cancún, inoltre, identifica numerose possibili aree prioritarie per il
progresso tecnologico, incoraggiando esplicitamente la cooperazione bilaterale e
multilaterale.
Parallelamente ai negoziati UNFCCC, il trasferimento tecnologico si sta confermando un
tema significativo anche a livello multinazionale o bilaterale, indipendentemente dai
progressi fatti dal processo coordinato dalle Nazioni Unite. In linea generale, infatti, si
identificano con il termine di Technology Oriented Agreements (TOA) quegli accordi
multinazionali sulle tecnologie, che includono standard di performance minime,
etichettatura o prescrizioni su cosa si configuri come migliore tecnologia disponibile e
quali tecnologie debbano essere considerate obsolete (e quindi da dismettere).
Un esempio di TOA spesso citato è rappresentato dalla Partnership dell’Asia-Pacifico sul
“clean development and climate” (nota come APP), sotto il cui cappello sono state pianificate
o avviate una serie di attività quali accordi tecnologici nei maggiori settori energivori. Tali
accordi sono stati guidati prevalentemente dal Giappone, che si è concentrato
sull’opportunità di rendere le tecnologie esistenti il più efficienti possibile e le nuove
tecnologie il più possibile rispettose del clima. Operativamente gli accordi nell’ambito
dell’APP hanno incluso sinora scambi di informazioni e discussioni sulle migliori pratiche.
2.7
Riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al
degrado delle foreste e per l’aumento dello stock di carbonio
Relativamente al tema del meccanismo di riduzione delle emissioni per la lotta alla
deforestazione e al degrado delle foreste per l’aumento dello stock di carbonio (REDD+ Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation and enhancement of
carbon stock), a Cancún si è giunti a un accordo sul quadro di riferimento e su alcuni
elementi chiave per lo sviluppo del suddetto meccanismo.
Nel contesto dei complessi negoziati sui cambiamenti climatici e su come la comunità
internazionale possa proseguire e rafforzare l’azione volta a contrastarne l’avanzamento, il
tema REDD+ è stato oggetto di particolare attenzione durante la COP-16, essendo uno
degli strumenti di mitigazione a più alto potenziale che però finora non è stato utilizzato
nell’ambito della cooperazione internazionale.
La COP-MOP15 aveva adottato le linee guida metodologiche per la contabilizzazione, il
reporting e il controllo delle attività REDD+ e nell’accordo di Copenaghen nell’ambito
della Convenzione era incluso un esplicito riferimento alla necessità della creazione
immediata di un meccanismo complessivo di mitigazione che includesse il REDD+. Di
fatto, in quella sede si è raggiunto un consenso informale su alcuni punti essenziali quali il
19
campo di applicazione del meccanismo REDD+, alcuni principi di salvaguardia delle
popolazioni indigene, un processo di attuazione in fasi e il livello di riferimento e la scala
per il calcolo delle riduzioni di emissioni.
Alcune modifiche delle posizioni negoziali nel percorso da Copenhagen a Cancún hanno
sostanzialmente fatto compiere un passo indietro. In particolare, hanno comportato una
limitazione delle ambizioni, le richieste avanzate dalla Bolivia tese a focalizzare il
meccanismo REDD+ sul tema della cooperazione finalizzata unicamente alla riduzione
della deforestazione e del degrado forestale, alludendo alla possibilità che il meccanismo
venga escluso dal mercato del carbonio.
Le criticità sollevate in merito alla inclusione del meccanismo REDD+ nel mercato del
carbonio sono quelle relative ai principi di salvaguardia delle popolazioni indigene (400
milioni di persone vivono nelle foreste pluviali che sarebbero potenzialmente oggetto del
REDD+) e quelle relative al rischio per la biodiversità derivanti dalla trasformazione in
commodity (bene fungibile, ad elevata standardizzazione) delle foreste pluviali, o meglio
del carbonio in esse contenuto.
In sostanza, la critica sostenuta in particolare dalla Coalition for Rainforest Nations è che il
REDD+, se non adeguatamente definito, rischia di diventare uno strumento che favorisce
gli affari dell'economia verde dei paesi industrializzati, ma distrugge il verde, la cultura e
l'economia dei paesi in via di sviluppo.
Nella sessione negoziale di Cancún è stato trovato l’accordo su numerosi elementi chiave
del meccanismo REDD+ ed è stata raggiunta un’intesa su un piano che dovrebbe portare
all’effettiva implementazione del meccanismo stesso. Non si è riusciti però ad istituire
formalmente il meccanismo REDD+ per l’assenza di accordo su alcuni altri elementi
essenziali quali la definizione delle fonti finanziarie a supporto del meccanismo stesso e la
decisione sulla natura di mercato del meccanismo.
In estrema sintesi, la decisione di Cancún definisce il campo di applicazione delle attività
eleggibili (e finanziabili) nel meccanismo REDD+, le linee guida per lo sviluppo e
l’attuazione delle politiche nazionali a supporto del REDD+, i piani di azione e i sistemi di
gestione che devono essere sviluppati a livello nazionale a supporto del REDD+, la
necessità di un approccio a tre fasi per l’attuazione delle politiche e delle misure, la
necessità delle risorse finanziarie dei paesi industrializzati a supporto delle attività, un
piano di lavoro per lo sviluppo dell’MRV delle azioni, la definizione del livello di
riferimento delle emissioni delle foreste, il monitoraggio dei livelli delle foreste,
l’identificazione dei driver della deforestazione.
Le opzioni per finanziare il meccanismo REDD+ invece non sono state definite, e sono
rimandate alle negoziazioni di quest’anno nell’ambito dell’AWG-LCA, con l’obiettivo di
essere presentate e discusse alla prossima COP. Non è stato neanche trovato l’accordo in
merito all’utilizzazione di un meccanismo di mercato a supporto del REDD+, che è
20
un’opzione supportata dai paesi potenziali investitori e avversata dai paesi che fanno
parte della Rainforest Coalition.
In definitiva, la decisione di Cancún rimane abbastanza generica in merito alle specifiche
operative del meccanismo REDD+, ma sostanzialmente garantisce che le negoziazioni e le
attività pilota sui REDD+ possano proseguire. In tal senso gli organi sussidiari dovranno
decidere un piano di lavoro dettagliato sul tema REDD+.
Per attuare effettivamente un meccanismo di incentivazione delle riduzioni delle emissioni
derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale e dalla gestione sostenibile delle
foreste e dall’aumento degli stock di carbonio, sono necessari approfondimenti in merito
alla regolazione del mercato del carbonio relativo alle foreste globali, ai meccanismi di
formazione del prezzo su questo mercato, alla misurazione delle emissioni e stock del
carbonio forestale e al finanziamento del programma.
Sono temi intrinsecamente complessi e legati, inoltre, ad altre problematiche negoziali di
difficile soluzione quali gli obiettivi di mitigazione, le NAMAs e l’utilizzazione dei
meccanismi di mercato per finanziare le riduzioni nei paesi in via di sviluppo. Anche il
finanziamento dello strumento REDD+ è una questione aperta, visto che non esistono altri
finanziamenti a lungo termine oltre ai circa 4 miliardi di USD di un seed fund, quando è
stato invece stimato che sarebbero necessari circa 100 miliardi di USD per raggiungere gli
obiettivi al 2020.
La pressione dei gruppi della società civile e di alcuni Paesi Latinoamericani ha contribuito
ad aumentare la già viva attenzione in merito ai diritti delle comunità indigene che già
abitano le aree che dovrebbe essere protette e che saranno oggetto dei finanziamenti del
meccanismo REDD+. Considerando l’evoluzione dei negoziati sin qui registrata, è
verosimile che la spinta per un’adeguata garanzia dei diritti dei 400 milioni di persone che
vivono nelle foreste sia destinata ad aumentare. Quindi, sebbene la decisone di Cancún già
ponga un’adeguata rilevanza sulla questione, è necessario che vengano disegnati adeguati
strumenti di garanzia a livello internazionale e nazionale, se si vuole effettivamente
rendere operativo il meccanismo REDD+.
Se le suddette criticità saranno affrontate e risolte con successo durante quest’anno, un
accordo legale sul meccanismo REDD+ potrà essere formalizzato nell’incontro di Durban
2011. Così facendo, sarà stato compiuto un ulteriore passo avanti per la creazione di un
regime internazionale per la lotta ai cambiamenti climatici.
3. Ad Hoc Working Group on Kyoto Protocol - AWG KP
Il Protocollo di Kyoto include target di riduzione di emissioni per paesi industrializzati
relativamente al primo periodo di impegni che si concluderà nel 2012. I paesi in via di
sviluppo dal canto loro, ritengono poco verosimile il rinnovo di un accordo sullo stile del
protocollo di Kyoto relativamente al secondo periodo di impegni. I provvedimenti,
21
previsti nella bozza di testo dell’AWG KP, prodotta durante i negoziati del 2010, non sono
stati adottati a Cancún. La bozza di testo includeva un’opzione di inserimento di una
tabella Annesso B per l’iscrizione di nuovi impegni individuali per i paesi industrializzati,
un nuovo target collettivo di impegni di riduzione di emissioni per il secondo periodo di
impegni, nuovi meccanismi di mercato e l’applicazione di questi provvedimenti
emendativi, in maniera preventiva prima della loro entrata in vigore. Fatte salve tali
premesse, nonostante la mancanza di consenso su nuovi impegni di riduzione delle
emissioni e su un risultato generale legalmente vincolante, la Conferenza delle Parti del
Protocollo di Kyoto (CMP) è riuscita comunque a Cancún ad adottare un set rilevante di
decisioni con l’intento di assistere eventualmente le Parti nel fare progressi verso un
secondo periodo di impegni.
Il futuro del Protocollo di Kyoto rimane tuttavia poco chiaro. Mentre i paesi in via di
sviluppo hanno fatto pressioni per l’approvazione di un secondo periodo di impegni, i
paesi industrializzati, e in particolare Giappone, Canada e Russia hanno chiaramente
espresso il proprio dissenso a nuovi impegni senza la partecipazione degli Stati Uniti. Il
risultato negoziale prevede un compromesso tra queste due posizioni che prevede di
posporre il tema ai negoziati del 2011 o del 2012 (non è stata prevista una scadenza
specifica dei lavori dell’AWG KP). Come detto nella sezione introduttiva, infatti, la
decisione dell’AWG KP contiene elementi che segnalano l’intento delle parti di risolvere
questioni pendenti al più presto possibile e comunque in tempo utili da evitare
discontinuità operative tra i due periodi di impegno.
3.1
Land Use, Land-Use change and Forestry - LULUCF
La CMP ha adottato una decisione separata sul tema, che conferma i principi e le
definizioni del LULUCF dal primo al secondo periodo di impegni. E’ stato creato un
allegato alla decisione destinato a contenere i dati sui livelli di riferimento per la
contabilizzazione delle emissioni derivanti dalla gestione forestale in un possibile secondo
periodo di impegni. Come compromesso tra i paesi industrializzati e quelli in via di
sviluppo, i livelli di riferimento delle emissioni della gestione forestale non costituiscono
ancora i valori definitivi e verranno sottoposti ad un processo di revisione.
3.2
Riforme relative al CDM
In generale, relativamente ai meccanismi di mercato, la CMP ha accettato alcune riforme
operative al fine di semplificare le attività CDM ed espanderne le possibilità di utilizzo:
concedere l’emissioni di crediti dal giorno della richiesta di registrazione del
progetto fatta nei confronti dell’ente di certificazione di parte terza (Designated
Operational Entity – DOE);
22
assicurare che errori di redazione non comportino il rigetto della richiesta di
registrazione del progetto o di rilascio dei certificati perché interpretati come
incompleta ottemperanza degli obblighi di validazione e verifica;
esplorare modalità alternative per la dimostrazione dell’addizionalità.
Inoltre, nella decisione si fornisce una definizione ufficiale, seppure generica, di baseline
standardizzate intendendo per esse quelle che sono predisposte da una Parte o un gruppo
di Parti per facilitare il calcolo della riduzioni e degli assorbimenti di emissioni e/o la
determinazione dell’addizionalità delle attività di progetto CDM, fornendo al contempo
assistenza per assicurare l’integrità ambientale del progetto.
Le baseline standardizzate potranno essere predisposte dall’EB del CDM o dalle Autorità
Nazionali Designate (responsabili delle verifiche di conformità dei progetti a livello
nazionale) anche su proposta dei diversi portatori di interesse di progetto (es. associazioni
di industriali, partecipanti di progetto, ecc.)
Tuttavia, molte delle decisioni importanti e buona parte del linguaggio negoziale rilevante
sono state lasciate fuori dalla decisione sui CDM. In particolare, l’attuale decisione non
include alcun riferimento alla continuazione del CDM dopo il 2012. La bozza di testo
arrivata a Cancún per essere negoziata includeva, inoltre, alcune opzioni relativamente al
tema del ruolo delle foreste e dell’agricoltura nel CDM (sectoral agreements in questi
settori, come anticipato sopra). Tutto il testo relativo a tali opzioni (altre opzioni oltre i
crediti temporanei per risolvere il rischio di permanenza e per espandere potenzialmente
l’applicabilità dei CDM oltre le attività di afforestazione e riforestazione fino ad andare a
considerare la rivegetazione, la gestione forestale, la gestione dei campi coltivati e la
gestione del carbonio nei suoli in agricoltura come altri tipi di gestione della terra) è stato
eliminato dalla decisione finale.
Relativamente alle attività di Cattura e Stoccaggio della CO2 (Carbon Dioxide Capture and
Storage – CCS) nelle formazioni geologiche, la decisione prevede che esse siano attività
eleggibili come CDM a patto che vengano risolte le criticità già evidenziate nella decisione
dell’anno precedente3. Tali criticità, come noto, sono relative a problemi di natura tecnica
(come ad esempio la permanenza della CO2 all’interno delle formazioni geologiche,
inclusa quella di lungo periodo, la sicurezza dei siti, ecc) e di natura legale e
Paragrafo 29,dec. 2 CMP 5: “Recognizes the importance of carbon dioxide capture and storage in geological formations
as a possible mitigation technology, bearing in mind the concerns related to the following outstanding issues, inter alia:
(a) Non-permanence, including long-term permanence;
(e) International law
(b) Measuring, reporting and verification;
(f) Liability;
(c) Environmental impacts;
(g) The potential for perverse outcomes;
(d) Project activity boundaries;
(h) Safety;
(i) Insurance coverage and compensation for damages
caused due to seepage or leakage”.
3
23
amministrativa (la responsabilità di lungo periodo del proponente del progetto, il confine
fisico dell’attività di progetto, ecc.). Data la rilevanza di tali problematiche, la decisione
appare sostanzialmente debole. Le criticità appaiono risolvibili, infatti, solo in seguito a
sperimentazione di lungo periodo e fanno di conseguenza temere che pochi sviluppatori
siano effettivamente interessati a mettere in atto l’opzione CDM per il CCS, in particolare
se incentivati dal solo driver del mercato del carbonio.
4. Il futuro regime sui cambiamenti climatici e il mercato del carbonio
In questa sezione, sarà condotta un’analisi di quanto deciso a Cancún per trarre delle
indicazioni su come potrà conformarsi il futuro regime sui cambiamenti climatici e su
quali caratteristiche avrà il mercato del carbonio.
Come citato precedentemente, gli Accordi di Cancún hanno visto la formale adozione
delle promesse di riduzione che componevano la nota informativa che costituiva la base
dell’Accordo di Copenaghen. In sintesi, si può affermare che il testo dell’AWG LCA ha
preso in considerazione le priorità dei paesi in via di sviluppo relativamente ai
finanziamenti, all’adattamento, al trasferimento tecnologico e REDD nonché il necessario
supporto alla realizzazione delle NAMAs. Le priorità dei paesi industrializzati
relativamente alla predisposizione di un robusto sistema di monitoraggio, comunicazione
e verifica delle emissioni, la creazioni di nuovi meccanismi di mercato nonché
l’inserimento nel testo di un meccanismo di ancoraggio per l’iscrizione degli impegni di
riduzione delle emissioni nella decisione finale relativa al Protocollo di Kyoto, sono
anch’esse state una parte importante dell’accordo finale di Cancún. Tuttavia,
sorprendentemente, questo tipo di meccanismo di ancoraggio che legasse gli obiettivi di
riduzione delle emissioni e un secondo periodo di adempimento degli impegni sotto il
Protocollo di Kyoto, non è stato previsto nel testo finale prodotto dall’AWG KP. Il motivo
di tale omissione risiede essenzialmente nel livello di obbligatorietà legale tra gli
impegni/azioni dei paesi industrializzati e lo stesso degli impegni/azioni dei paesi in via di
sviluppo. I negoziati relativi a tale aspetto sembrano essere completamente tramontati.
Senza alcun tipo di meccanismo di ancoraggio nel testo, le Parti iscritte nell’Allegato B del
Protocollo di Kyoto hanno solo la facoltà, ma non l’obbligo, di iscrivere o meno il proprio
gruppo di impegni nel Protocollo di Kyoto. Con gli USA e le maggiori economie
emergenti (Cina, India, Brasile) quasi certamente favorevoli ad un accordo meno
vincolante del Protocollo di Kyoto, è difficile credere che qualcuna delle Parti dell’Allegato
B, inclusa la UE, acconsentirebbe ad inscrivere i propri target come un emendamento del
Protocollo di Kyoto. Questo aspetto comporta delle pesanti implicazioni per l’evoluzione
del regime sui cambiamenti climatici. In primo luogo, lo sviluppo di un nuovo regime
sembra oggi essere caratterizzato da un approccio di tipo bottom-up rispetto al modello
top-down proprio del Protocollo di Kyoto. Di conseguenza, il regime internazionale delle
24
azioni di compensazione delle emissioni (offsets) sarà probabilmente definito
individualmente dai diversi paesi e non sarà soggetto a sanzioni di un organismo
internazionale di supervisione come l’EB del Protocollo di Kyoto. I paesi a livello
individuale giocheranno inoltre, probabilmente, un ruolo di maggiore rilevanza nel
decidere le modalità di rendicontazione delle proprie emissioni incluse quelle derivanti
dalle attività di LULUCF4.
Inoltre, per quanto riguarda le decisioni con esplicita rilevanza rispetto al mercato del
carbonio (e al regime sui cambiamenti climatici), il testo finale del AWG LCA ha incluso
una serie di punti i cui dettagli non sono stati approfonditi per evitare di riaprire il
dibattito alla tarda ora in cui si sono conclusi i negoziati di Cancún. Nella sezione del testo
finale relativa ai nuovi meccanismi di mercato, è fatto esplicito riferimento alla possibilità
di esplorare meccanismi non di mercato5. Tuttavia nessuno ha ben chiaro a che cosa si
faccia riferimento con il termine di “non-market-based mechanism”. Sono state fatte alcune
speculazioni sulla possibilità che si possa voler intendere una specie di meccanismo di
attribuzione del prezzo per l’utilizzo dei combustibili nei settori marittimo e
dell’aviazione. Ci sono poi, altri due paragrafi che fanno riferimento a meccanismi di
mercato: il primo6 richiede di considerare la creazione di uno o più meccanismi di mercato
tenendo in considerazione alcuni aspetti tra cui la complementarità con le NAMAs.
Sempre secondo la stessa decisione, nello sviluppo di tali meccanismi si dovrà cercare di
mantenere le regole esistenti sui meccanismi del Protocollo di Kyoto nonché basarsi su di
essi per ampliarne l’applicabilità. Nel secondo paragrafo dedicato ai meccanismi di
mercato7 si richiede all’AWG LCA di elaborare il o i meccanismi relativi alle NAMAs8 per
sottoporlo/i a decisione alla prossima COP. I due paragrafi sembrano voler creare una
distinzione (non chiara) tra due tipi di meccanismi di mercato: i primi rappresenterebbero
4
La Cina e gli USA hanno in tal senso già reso noto che non accetteranno sanzioni internazionali né per la non
ottemperanza agli impegni, né per il mancato rispetto alle azioni. Relativamente alle fonti di finanziamento, inoltre, il
testo non fa riferimento alla nozione tradizionale di finanziamento pubblico per fornire i 100 miliardi di dollari all’anno
necessari ai paesi in via di sviluppo per affrontare i cambiamenti climatici. Il testo del AWG KP fa invece riferimento ad
una mobilitazione di risorse adeguate, lasciando la porta aperta al coinvolgimento attivo del settore privato che possa
fornire le risorse necessarie.
5 “Decides to consider the establishment, at its seventeenth session, of one or more non-market-based mechanisms to enhance the
cost-effectiveness of, and to promote, mitigation actions”;
6 “Decides to consider the establishment, at its seventeenth session, of one or more market-based mechanisms to enhance the costeffectiveness of, and to promote, mitigation actions […]”.
7 “Requests the Ad Hoc Working Group on Long-term Cooperative Action under the Convention to elaborate the mechanism or
mechanisms referred to in paragraph 49 above, with a view to recommending a draft decision or decisions to the Conference of the
Parties for consideration at its seventeenth session”;
8 Paragrafo 49: “Takes note of nationally appropriate mitigation actions to be implemented by non-Annex I Parties as communicated
by them and contained in document FCCC/AWGLCA/ /2010/INF.Y5 (to be issued)”;
25
una evoluzione dei meccanismi di Kyoto, i secondi sarebbero la forma attuativa di mercato
delle riduzioni di emissioni a partire dalle NAMAs.
L’analisi del testo negoziale prodotto dall’AWG LCA non fornisce ulteriori indicazioni
sulla futura conformazione del mercato del carbonio. Pur riconoscendo una rinascita del
processo multilaterale alla possibile base di un futuro regime sui cambiamenti climatici, è
importante non crearsi troppe aspettative per Durban dal momento che molti degli aspetti
critici sostanziali non sono stati risolti. Per procedere sarebbe necessario, infatti, compiere
progressi sostanziali relativamente alle caratteristiche e al funzionamento dei meccanismi
di mercato e di non-mercato. Alcuni aspetti, come ad esempio la creazione di una
commodity effettivamente fungibile a livello internazionale, sembrano di difficile soluzione.
E’ inoltre necessario approfondire in che modo possa essere accresciuto il ruolo del settore
privato relativamente alle decisioni sulle modalità di finanziamento di tali meccanismi.
Un altro aspetto del variegato mercato della CO2 è relativo al fatto che molti paesi usano o
stanno pianificando di utilizzare, individualmente o in maniera cooperativa, schemi di
emission trading di GHG come componenti dei loro piani di mitigazione dei cambiamenti
climatici (low carbon development plans). Queste iniziative contribuiranno a creare mercati
regolati del carbonio uno differente dall’altro, tutti formalmente non vincolati al Protocollo
di Kyoto come è anche per il sistema EU ETS. Molte delle azioni di mitigazione attuate nei
paesi in via di sviluppo sono sviluppate senza il beneficio di un loro riconoscimento
internazionale nel contesto dell’attuale regime sui cambiamenti climatici. Mentre alcune di
queste misure mirano direttamente alla riduzione delle emissioni di GHG, la maggior
parte di esse si pongono differenti obiettivi diretti (quali ad esempio l’efficienza
energetica), che hanno poi come benefici indiretti la mitigazione dei cambiamenti climatici.
Molti dei paesi in via di sviluppo desidererebbero invece un meccanismo attraverso il
quale queste misure possano essere riconosciute come parte dei loro sforzi internazionali
per la mitigazione dei cambiamenti climatici. In questo senso va analizzata la decisione di
Cancún di creare un registro internazionale delle NAMAs che va incontro a tali esigenze (e
risponde alle richieste portate avanti dalla Repubblica della Corea del Sud).
Tali iniziative, come molte altre richieste finalizzate a vedere riconosciute a livello
internazionale le diverse azioni di mitigazione realizzate, non implicano impegni
legalmente vincolanti da parte dei paesi in via di sviluppo, ma prevedono l’impegno dei
paesi industrializzati (ad esempio per incentivi sulle tecnologie e risorse finanziarie).
In parallelo va citato, per completezza, come stia continuando ad emergere un altro tipo di
mercato del carbonio, il mercato volontario. Quest’ultimo mercato include tutte le
transazioni dei crediti compensativi di emissioni (offsets) la cui domanda non deriva da
obblighi di legge. Come è noto, tale mercato è sostanzialmente portato avanti da individui
o aziende, non sottoposti a legislazione obbligatoria per la riduzione delle emissioni di
GHG, che però desiderano comunque compensare le emissioni di GHG dovute alle
proprie attività.
26
I mercati volontari, che nascono in origine principalmente come complementari rispetto a
quelli regolati, hanno per loro stessa natura possibilità di sviluppo nelle aree e/o nei settori
dove non viene adottata una legislazione imperativa e quindi obbligatoria. Il loro sviluppo
può quindi contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di mitigazione dei cambiamenti
climatici nei casi o nelle situazioni di assenza di tale legislazione, sia a causa
dell’impossibilità politica di adottare tale legislazione, sia dove e quando sia ritenuto più
efficiente lo sviluppo del mercato volontario rispetto ad altre soluzioni.
Tuttavia, l’assenza di un nuovo vincolante accordo sul regime climatico post 2012 mina
alle basi la forza stessa del mercato volontario: esso è infatti comunque legato alla volontà
politica di rispettare le indicazioni scientifiche sulla necessità di affrontare il problema
globale dei cambiamenti climatici. Tale volontà politica è percepita, sicuramente dal
settore privato, tanto più pressante quanto più essa risulta tradotta in accordi legalmente
vincolanti che prevedono specifiche procedure di attuazione (come è per il periodo di
adempimento del Protocollo di Kyoto)9. Le prospettive oggi per il mercato volontario
appaiono quindi connesse all’andamento dei negoziati internazionali: nel momento in cui
la motivazione politica rimane forte ma non riesce a tradursi in un accordo globale, il
proliferare di iniziative tese a dimostrare le diverse soluzioni tecniche (settori e modalità)
di riduzione delle emissioni sono destinate a proliferare. Altrimenti, qualora tale volontà
politica (legata anche al livello di consapevolezza sul tema) dovesse scemare, il mercato
volontario appare destinato a tramontare.
In generale, possiamo concludere che se si desidera effettivamente velocizzare una
transizione verso una società carbon-neutral, bisognerà dedicare la dovuta attenzione alla
riuscita del negoziato internazionale in corso sotto l’egida dell’UNFCCC, ma anche tener
conto di azioni e istituzioni a livello nazionale e regionale che possono svilupparsi in
assenza o in parallelo e a integrazione del contesto UNFCCC. Le iniziative bottom up
largamente attuate in tutto il mondo sono rilevanti e meritevoli dal punto di vista degli
obbiettivi che possono raggiungere e necessitano di essere ampliate e replicate. Resta
comunque auspicabile la creazione di un contesto internazionale di riferimento in grado di
favorire lo sviluppo coordinato di tali iniziative.
Si ricorda che il mercato volontario nasce anche per ragioni di cosiddetta “pre compliance”, cioè al fine di anticipare la
legislazione obbligatoria in tema di settori e obblighi di riduzione delle emissioni.
9
27
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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Cancun?
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thoughts on governance and funds distribution - CENTER FOR CLEAN AIR
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carbon Neutral Society;
International Institute for Sustainable Development - A Victory for Multilateralism?
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Markets, Transaction Costs, and Carbon Offsetting: Why Fund-Based Offsetting
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Pew center on Global Climate Change: Summary of COP 16 and CMP 6, December
2010;
The Climate Group: Post-Cancun Analysis, Policy Briefing, Jan 17, 2011;
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World Resources Institute (working paper): Innovation and Technology Transfer:
Supporting Low Carbon Development with Climate Finance;
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countries Public-private partnerships for implementation of Nationally Appropriate
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Environment Brief, January 2011: Time to Roll Up the Sleeves − Even Higher!
Overseas Development Institute: Climate Finance Policy Brief No.4: Design
challenges for the Green Climate Fund;
Centre for International Sustainable Development Law (CISDL) and the
International Development Law Organization (IDLO):frameworks for Climate
Finance Rights – based framework for Climate Finance (Working Paper Dec 2010);
http://www.businessgreen.com/print_article/bg/news-analysis/1931920/cancunaccord;
http://www.economist.com/blogs/newsbook/2010/12/climate_change/print;
http://www.worldpoliticsreview.com/articles/print/7302;
http://www.forestcarbonpartnership.org - Harvesting Knowledge on REDD-plus:
Early Lessons from the FCPF Initiative and Beyond;
http://www.iisd.ca/climate/cop16 - Earth Negotiations Bulletin – Final
28
http://www.iccgov.org/policy-3.htm - Bi-monthly report: International Climate
Policy&Carbon Markets N° 12 January 2011;
29
Allegato
Il quadro negoziale alla vigilia della Conferenza di Cancun
1. Da Bali a Cancun passando per Copenhagen
La Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici a Cancun è iniziata il 29
Novembre u.s. ed è prevista concludersi il 10 Dicembre p.v. La Conferenza includerà
la sedicesima sessione della Conferenza delle Parti (COP 16) della Convenzione delle
Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e la sesta sessione dell’Incontro
delle Parti (COP/MOP 6) del Protocollo di Kyoto (PK).
La Conferenza comprenderà anche la 33 a sessione degli Organi Sussidiari (SB), la 15a
sessione del Gruppo di Lavoro Ad Hoc sugli ulteriori impegni di riduzione per i Paesi
Annesso I del Protocollo di Kyoto (AWG-KP 15) e la 13 a sessione del Gruppo di Lavoro
Ad Hoc sulla Cooperazione di Lungo Termine nell’ambito della UNFCCC.
Il processo negoziale per definire il quadro di riferimento per il periodo post-2012 è
iniziato nella COP/MOP 1 di Montreal nel 2005, dove fu istituito l’AWG-KP per stabilire
gli ulteriori impegni di riduzione come indicato dall’articolo 3.9 del PK. Nella stessa
Conferenza di Montreal fu istituito un Dialogo per considerare la cooperazione di lungo
termine nell’ambito della UNFCCC, il cosiddetto “Convention Dialogue” che si è
esaurito nella COP 13 di Bali.
La Conferenza di Bali del Dicembre 2007 ha segnato un punto di svolta con l’adozione
del Bali Action Plan (BAP), che ha istituito l’AWG-LCA con il mandato di focalizzarsi
sugli elementi chiave della cooperazione evidenziato nel Convention Dialogue:
mitigazione, adattamento, trasferimento tecnologico e risorse finanziarie. La
Conferenza di Bali ha sancito un accordo per una processo di due anni, la cosiddetta
“Bali Roadmap”, costituito dai due processi negoziali paralleli (AWG-LCA e AWG-KP),
che avrebbe dovuto concludersi con la Conferenza di Copenhagen del 2009 (COP 15 e
COP/MOP 5).
Le negoziazioni da Bali a Copenhagen, nell’ambito dell’AWG-LCA, si sono concentrate
su un testo negoziale che comprendesse tutti gli elementi chiave. Nella COP 15 di
Copenhagen è risultato evidente che, se pur dei progressi erano stato fatti
sull’adattamento, il trasferimento tecnologico e il capacity building, le Parti non erano
in grado di trovare un accordo sulla mitigazione e le risorse finanziarie. Nell’ambito
dell’AWG-KP, analogamente, erano stati discussi costruttivamente elementi quali i
meccanismi flessibili, agricoltura e silvicoltura e response measures, ma pochi
progressi si erano fatti sul tema chiave degli obiettivi di limitazione e riduzione delle
emissioni per i Paesi Annesso I, sia a livello aggregato che individuale.
La Conferenza di Copenhagen non ha sancito la nascita di un accordo ambizioso e
comprensivo, e ha invece confermato la cristallizzazione di posizioni negoziali
inconciliabili. Da un lato i Paesi industrializzati, favorevoli a un accordo unico, di lungo
periodo, che prevedesse gli impegni di breve periodo dei Paesi Annesso I ma anche gli
impegni di lungo periodo nell’ambito della Convenzione, che prevedono anche un
impegno per uno sviluppo più pulito da parte dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS).
Dall’altro i Paesi non-Annesso I, che spingono per due accordi separati: un accordo
nell’ambito del Protocollo di Kyoto, che confermi la sua validità per un ulteriore
periodo di riferimento con nuovi e più stringenti impegni di riduzione per i Paesi
Annesso I, e una revisione della Convenzione senza però prevedere sostanziali nuovi
impegni per i PVS.
Ulteriori frammentazioni delle posizioni si sono poi registrate all’interno dei due
macro-gruppi, che hanno reso e rendono tuttora più difficile un accordo
omnicomprensivo. Sul lato dei Paesi Annesso I, diverse posizioni sono emerse in
particolare sulle entità delle riduzioni (con l’UE che spinge per riduzioni più marcate
1
rispetto agli altri), sul carattere vincolante dei trattati (con gli USA contrari a impegni
di riduzione vincolanti) e sulle condizioni a cui subordinare le risorse finanziarie. Sul
lato dei Paesi non-Annesso I, Cina, India, Brasile, Sudafrica e quasi tutti i PVS che
fanno parte del gruppo G77 si sono dichiarati disponibili ad assumere una qualche
forma di impegno di riduzione (deviazione dallo scenario tendenziale) non vincolante
subordinatamente alla disponibilità di risorse finanziarie “nuove e aggiuntive”, mentre
l’alleanza degli stati delle piccole isole (AOSIS) e alcuni paesi dell’America Latina
esigono impegni di riduzione molto più stringenti per i Paesi annesso I, senza offrire in
cambio nessun tipo di impegno anche volontario a limitare le emissioni e reclamano la
disponibilità immediata di risorse tecnologiche e finanziarie in maniera incondizionata,
come previsto dalla UNFCCC.
Un tema trasversale che ha permeato le negoziazioni negli ultimi anni è proprio quello
del Monitoraggio, Comunicazione e Verifica (MRV) delle azioni delle Parti, dove
“azioni” può significare, in relazione al contesto, riduzione o limitazione delle
emissioni, misure o programmi di adattamento, trasferimento di tecnologie o knowhow, capacity building, trasferimento di risorse finanziarie.
I diversi gruppi negoziali hanno interpretazioni e proposte sostanzialmente difformi
sull’MRV. In primis, molti PVS, con Cina in testa, non accettano che il trasferimento di
tecnologie o il supporto finanziario siano condizionati a un MRV internazionale delle
azioni domestiche dei PVS, come invece proposto dai Paesi Annesso I. Un accordo sul
tema dell’MRV è uno degli aspetti cruciali, in quanto è un tema tecnico, indispensabile
per la concreta attuazione e gestione della cooperazione nell’ambito dell’UNFCCC, che
però poggia su intesa politica tra le Parti sulle sforzi e le modalità con cui contribuire
alle e beneficiare delle risorse.
2. La forma legale dell’accordo e degli impegni
Durante la Conferenza di Cancun non è verosimilmente prevista l’adozione di un
accordo per il periodo post-2012, ma piuttosto un pacchetto di decisioni tale da
favorire il raggiungimento di un accordo ampio e comprensivo alla Conferenza di
Durban nel 2011. Di conseguenza, la definizione degli aspetti legali del nuovo accordo
non costituisce una scadenza negoziale di questa sessione. La forma legale che il
nuovo accordo potrebbe prendere è tuttavia stata intensamente dibattuta nelle
sessioni precedenti, poiché essa rappresenta comunque un aspetto su cui sarebbe
importante registrare qualche avanzamento tale da facilitare le prossime negoziazioni.
Varie opzioni sono state discusse, in particolare:
1) un secondo periodo di riferimento del Protocollo di Kyoto da approvarsi tramite
un emendamento allo stesso Protocollo (trattato legalmente vincolante con
impegni vincolanti), accompagnato da un accordo non legalmente vincolante
nell’ambito della UNFCCC per i PVS e i Paesi non firmatari del KP;
2) un secondo periodo di riferimento del Protocollo di Kyoto da approvarsi tramite
un emendamento allo stesso Protocollo (trattato legalmente vincolante con
impegni vincolanti), accompagnato dall’approvazione di un emendamento alla
Convenzione o di un nuovo Protocollo alla stessa, legalmente vincolante, per
sancire gli impegni per i PVS e i Paesi non firmatari del KP;
3) un nuovo singolo strumento legale, nella forma di un Protocollo alla
Convenzione, che includa gli impegni e le azioni di tutte le Parti, utilizzando
alcuni elementi del Protocollo di Kyoto e al contempo superandolo.
Essendo l’aspetto legale un riflesso dei temi sostanziali in discussione, quali impegni
vincolanti, supporto finanziario, capacity building e trasferimento tecnologico, la
distanza delle posizioni negoziali su di essi alla vigilia della Conferenza di Cancun fa
2
presagire che difficilmente si riuscirà a compiere qualche passo avanti anche su
questo tema durante questa sessione negoziale.
3. Mitigation
Uno dei pilastri della negoziazione stabiliti nel BAP è rappresentato dalla mitigazione
dei cambiamenti climatici. L’IPCC ha stabilito che per contenere l’aumento della
temperatura media rispetto ai livelli pre-industriali a 2°C, aumento che viene
considerato il livello massimo di guardia per evitare cambiamenti climatici estremi e
devastanti, è necessario stabilizzare la concentrazione atmosferica dei GHG a circa
445 – 490 ppm CO2e. A tal fine l’IPCC indica che è a sua volta necessario ridurre le
emissioni globali almeno del 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Con la
UNFCCC e il Protocollo di Kyoto si pensava di raggiungere tali obiettivi con azioni di
mitigazione stabilite dall’alto e attuate fino a livello di singoli interventi (approccio topdown), garantendo l’integrità ambientale attraverso un sistema comune di
contabilizzazione e la comparazione degli sforzi attuata da un organismo centrale, le
Nazioni Unite appunto. La conferenza di Bali del 2007 aveva ribadito tale approccio,
seppur in una forma già indebolita, ma con il fallimento dei negoziati a Copenaghen e
la proposta di Giappone e USA di fare azioni di riduzione il cui riconoscimento come
offset avvenisse su base bilaterale (approccio bottom - up), la COP 15 ha potuto solo
rendersi favorevole ad un accordo attuativo che rappresenta un ibrido rispetto ad un
approccio totalmente bottom – up.
Tale accordo attuativo prevede il coinvolgimento di tutti i Paesi (con azioni di
mitigazione per i PVS misurabili e verificabili – MRV di cui sopra) con un riferimento
all’obiettivo dei 2°C target e la sua relativa conversione in obiettivi di riduzione di
medio e lungo termine così come segue:
1) una riduzione delle emissioni globali del 50% rispetto al 1990 da raggiungere entro
il 2050;
2) una riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati del 30% rispetto al 1990 da
raggiungere al 2020;
3) un impegno dei PVS all’obiettivo globale di mitigazione nel range 15-30% rispetto
al loro scenario Business as Usual (BAU);
4) risorse addizionali a sostegno delle azioni di mitigazione e di adattamento per i
PVS.
La Cina e l’India però intendono mantenere separati i due percorsi negoziali istituiti
con il BAP:
1) da un lato il rinnovo/aggiornamento del PK;
2) dall’altro, un nuovo trattato basato su:
• la responsabilità storica dei Paesi industrializzati per le emissioni passate e la
concentrazione attuale in atmosfera, per cui tali Paesi devono stabilire i più
ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni;
• un possibile impegno di riduzione delle emissioni dei PVS, in particolare Cina e
India, solo se ci sarà:
1) un impegno dei Paesi industrializzati nel sostegno finanziario alle misure di
mitigazione ed adattamento dei PVS;
2) un obiettivo ambizioso a lungo termine per i Paesi industrializzati: riduzione
nell’ordine del 80-95% rispetto al 1990 entro il 2050;
3) un obiettivo ambizioso a medio termine per i PI: riduzione nell’ordine del 4045% rispetto al 1990 entro il 2020.
Le reali quantificazioni degli obiettivi di riduzione saranno dichiarati ufficialmente dai
Governi soltanto a Cancún; al momento risultano agli atti soltanto come “promesse di
3
impegno” (pledges) formulate da oltre la metà dei Paesi della UNFCCC a valle di
Copenhagen. Alcuni degli impegni al 2020 sono stati leggermente incrementati oppure
confermati al livello superiore della forchetta.
Paesi “Annex I Parties”
Riduzioni
Anno di riferimento
UE
20%-30%*
1990
Australia
5% - 15% - 25%
2000
Canada
20%
2006
Giappone
8%**- 25%
1990
Russia
20-25%
1990
USA
17%
2005
Norvegia
40%
1990
*: a condizione del raggiungimento di un accordo ambizioso
**: equivalente al -15% rispetto al livello 2005.
Paesi
“Non Azioni
Annex I Parties”
Brasile
Riduzione del 38%-42% delle emissioni rispetto allo scenario
“business as usual” entro il 2020. Obiettivo di ridurre la
deforestazione dell’80% entro il 2020
Cina
Riduzione dell’intensità energetica del 40-45% rispetto ai livelli
2005 entro il 2020
India
15% di energie da fonte rinnovabile entro il 2020. Riduzione
dell’intensità energetica del 20-25% entro il 2020
Sud Africa
Riduzione del 32% delle emissioni rispetto allo scenario
“business as usual” entro il 2020; del 42% entro il 2025
Corea del Sud
Taglio del 4% entro il 2020, rispetto ai livelli 2005 (equivalente a
-30% rispetto al “business as usual”
Messico
Taglio del 20% sui livelli rispetto al “business as usual”
Maldive
Diventare “carbon neutral” entro il 2019
Costa Rica
Diventare “carbon neutral” entro il 2021
Limitandosi agli impegni minimi dichiarati dai vari Paesi, si raggiunge una riduzione
complessiva delle emissioni al 2020 del 12% rispetto al 1990. Alcuni Paesi hanno
dichiarato di essere pronti ad aumentare l’impegno sotto certe condizioni: sommando
tutti gli impegni massimi si raggiunge una riduzione complessiva del 18% al 2020.
Come si evince dal confronto con i dati che traducono in obiettivi la raccomandazioni
dell’IPCC per ridurre il rischio di un aumento di temperatura superiore ai 2°C (da 25% a -40% rispetto al 1990 Annex I), l’intervallo della riduzione di emissioni resta
ben al di sotto delle raccomandazioni dell’IPCC e tuttavia richiederà un cambio di
direzione molto significativo anche in Paesi quali Stati Uniti e Australia, che hanno
registrato aumenti importanti tra il 1990 ed il 2005.
L’ambito di questi obiettivi di riduzione resta fortemente dipendente dalle modalità
operative per raggiungerli. Tre aree, in particolare, richiedono un’attenzione
particolare:
4
1. la contabilizzazione delle emissioni sequestrate nella biosfera o nel suolo, che
potrebbe limitare drasticamente gli sforzi di riduzione per alcuni Paesi, in
funzione delle procedure selezionate per calcolare il sequestro di carbonio da
parte delle foreste;
2. la potenziale estensione ad una prossima fase della validità dei permessi di
emissione (cd. banking delle AAU) distribuiti ai Paesi nell’ambito dell’attuale
fase del Protocollo di Kyoto potrebbe limitare il vincolo reale su alcuni Paesi
come la Russia o l’Ucraina, che hanno surplus significativi di tali permessi. Si
stima che il surplus di AAUs si aggiri tra i 7 e i 10 miliardi di tCO2e.
Conseguentemente, se viene lasciata intatta la possibilità di utilizzare tali
permessi anche in una seconda fase di Kyoto, l’utilizzo dei permessi in surplus
essa può vanificare nella sostanza gli impegni di riduzione di emissioni dei Paesi
industrializzati. Al 4 dicembre 2010, il testo negoziale presenta in proposito 3
opzioni:
a. limitare il numero delle AAUs che possono essere fatte valere nel
prossimo periodo;
b. consentire ai Paesi possessori di AAUs in eccesso di utilizzarle solo per
scopi di interesse del Paese;
c. non consentire alcun utilizzo di AAUs.
Il tema è di particolare rilevanza per Paesi quali la Russia, l’Ucraina e gli altri
dell’est Europa forti possessori di AAUs, che hanno costituito un blocco
negoziale particolarmente compatto.
3. la contabilizzazione di riduzioni di emissioni ottenute nei PVS, come risultato del
finanziamento dei Paesi sviluppati. I PVS che abbiano assunto impegni di
riduzione non vincolanti devono stabilire quali delle riduzioni contabilizzare
nell’ambito dei CDM e quali ai fini del raggiungimento dei target domestici.
Questo tipo di regole, che erano incluse nelle linee guida di Kyoto, devono
essere specificate per gli impegni assunti nel quadro dell’Accordo di
Copenhagen. Qualora infatti i target non siano inclusi in un accordo
internazionale, in teoria il Paese potrebbe contabilizzare le riduzioni anche come
CDM. Questo non rappresenterebbe una reale deviazione dal BAU e quindi il
non si rispetterebbe nella sostanza il necessario impegno richiesto ai PVS per
l’obiettivo globale di mitigazione nel range 15-30% rispetto al loro scenario
BAU.
NAMAs
Le Nationally Appropriate Mitigation Actions (NAMAs) rappresentano una strategia di
mitigazione dei cambiamenti climatici. La NAMA è uno strumento che include elementi
di politiche nazionali e di mercato, la cui definizione è molteplice e in evoluzione. Le
NAMAs non presentano dunque una definizione univoca ma la maggior parte dei
tecnici concordano sul fatto che ci sono alcuni elementi principali che contribuiscono a
definirle. Il principale di essi è rappresentato dalla combinazione di azioni domestiche,
di supporto pubblico internazionale e di incentivi di mercato (crediti o offset). Data
questa combinazione di elementi è evidente come una forma di NAMAs potrebbe
divenire uno dei capisaldi di un qualsivoglia quadro di mitigazione dei cambiamenti
climatici del post 2012.
Una NAMA può essere un’azione di mitigazione o un piano di azioni che è costituito a
livello nazionale ma che segue regole sancite internazionalmente o a livello di UNFCCC
(in caso di accordo). Una NAMA quindi può avere come obiettivo la riduzione delle
emissioni in un’industria o in un settore tecnologico, in un più ampio settore
economico o in un’intera nazione.
5
Dal punto di vista negoziale, un accordo sulla definizione e forma di attuazione delle
NAMAs può contribuire a raggiungere un compromesso per il post 2012 perché
potrebbe far superare la distinzione, propria del primo Kyoto, tra Paesi industrializzati,
detentori degli obblighi di riduzione delle emissioni, e i Paesi in Via di Sviluppo, senza
obblighi ma con solo incentivi a deviare dalla baseline. Se le NAMAs vengono
strutturate in modo da ottenere per parte delle riduzioni aiuti pubblici internazionali e
il supporto del mercato (crediting), dovrà anche esserci una politica (action) nazionale
di riduzione per poter effettivamente deviare dalla baseline. Questo aumenterebbe le
garanzie di integrità ambientale dell’intero sistema, oltre a rappresentare la
contribuzione alla mitigazione dei PVS. Dal punto di vista negoziale tuttavia, il blocco
risiede nel fatto che a fronte delle proprie riduzioni di emissioni, i PVS non solo
richiedono reali contributi economici come supporto internazionale ma anche target
vincolanti di riduzione per i Paesi industrializzati. Le NAMAs presentano poi un altro
aspetto positivo, data la loro struttura in grado di dare luogo a piani di riduzione di
emissioni, rappresentato dal fatto che potrebbero risolvere l’incapacità dei CDM di
sviluppare attività su fonti diffuse.
Dal punto di vista tecnico, uno degli elementi caratteristici dei meccanismi di mercato
(CDM) è stata la presenza di baseline di riferimento definite a livello di singolo
progetto che generano crediti di compensazione di emissioni in quantità (e modalità)
non coordinate e coerenti con gli obiettivi ambientali globali. Con l’adozione delle
NAMAs, oltre all’aumento dell’integrità ambientale di cui sopra, le baseline di
riferimento dovranno essere fissate a livello di settore/industria, assicurando in questo
modo sia la comparabilità con altri settori/paesi sia la coerenza con gli obiettivi
globali.
4. Adaptation
Durante il percorso negoziale che ha portato a Copenhagen, le Parti si sono avvicinate
ad un’intesa sulle misure di adattamento, ma un compromesso sul tema non è stato
formalizzato nel testo finale dell’Accordo di Copenhagen. Il dibattito si è bloccati su
questioni semantiche: mentre i paesi Annex I insistevano sulla creazione di un
“framework” che lasciasse la definizione dei dettagli delle attività alla discrezione degli
attori, i paesi Non-Annex I richiedevano un programma che non solo definisse le
attività ma anche i fondi di supporto e la loro provenienza.
L’Accordo fornisce comunque, tra le altre, qualche indicazione in tema di Adattamento
introducendo il nuovo fondo climatico e la soglia di 2 °C dell’aumento massimo della
temperatura globale (e la considerazione di rivedere la soglia e abbassarla 1,5°)
anche in questo contesto. Tuttavia l’approccio tenuto si ricollega a quello
dell’adattamento, come era prima del Bali Action Plan, cioè connesso alle response
measures – aiuti di transizione ai paesi soggetti alle conseguenze negative indirette
delle riduzione dei GHG come i Paesi produttori di petrolio. Ciò permette ai paesi
produttori di petrolio di approfittare degli aiuti finanziari per colmare i loro minor ricavi
dalla vendita (aiuti inizialmente dedicati ai paesi in via di sviluppo). Tale elemento se
da un lato riporta lo stato dell’arte del negoziato alla situazione pre-BAP, potrebbe
dall’altro bloccarlo e inutilmente complicare la ricerca di soluzioni. Tuttavia esso
potrebbe invece convincere i paesi produttori a far parte di un processo di
cooperazione internazionale per trovare un accordo post-Kyoto.
Nell’Accordo inoltre non viene assolutamente menzionato alcun meccanismo come è
invece accaduto per il REDD+. Questo potrebbe essere il segnale per un
disinteressamento da parte dei paesi o semplicemente il frutto dalla considerazione
che esiste già un meccanismo apposito. Il Kyoto Protocol Adaption Fund, finanziato
tramite i CDM, provvede un accesso diretto ai finanziamento senza ricorrere ad
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agenzie UN o simili strutture. Altri fondi per l’Adattamento sono gestiti dal Global
Environment Facility. La mancanza di un meccanismo nell’Accordo potrebbe quindi
essere positivo in quanto non si sono create situazioni di competizione tra fondi diversi
con sfere di azione simili sotto la guida del UNFCCC.
Lo sforzo delle Parti a Cancún dovrebbe consistere nel portare avanti il testo redatto
alla fine delle sedute di Copenhagen: esso fa riferimento ad uno scenario di
“framework” che potrebbe consolidare la base per le negoziazioni. L’Adattamento è in
ogni caso altamente legato ai finanziamenti. A Cancún sarà importante indirizzare il
dibattito su argomenti chiave quale l’origine e la provenienza dei finanziamenti, la loro
gestione, le misure ammissibili e come verranno conteggiati i relativi costi.
5. Finance
A Copenhagen i paesi Annex I hanno riconosciuto la necessità di lanciare nuovi
investimenti e strumenti finanziari per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le
proprie emissioni di GHG e adattarsi ai cambiamenti climatici.
Un primo impegno riguarda l’allocazione di 30 miliardi di USD fino al 2012 per il “Fast
Start Finance” (FSF) in modo da andare incontro alle esigenze di breve termine.
Sempre a Copenhagen, i Paesi industrializzati hanno preso l’impegno di mobilizzare
ogni anno 100 miliardi di USD fino al 2020; è previsto che tali fondi siano gestiti dal
Copenhagen Climate Green Fund e che permettano ai PVS di intraprendere azioni
connesse ai cambiamenti climatici dopo il 2012.
Dopo Copenhagen, il dibattito si è concentrato sugli elementi relativi all’attuazione e
alla gestione dei fondi come ad esempio la forma legale del fondo. Il 2 Settembre a
Ginevra si sono riuniti, in preparazione alla conferenza di Cancún, i ministri
dell’ambiente di più di 50 Paesi per discutere in generale del supporto finanziario ai
PVS e in particolare del disegno del Green Fund a favore dei paesi Non-Annex I deciso
a Copenhagen.
In questo contesto, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha proposto un modello
ambizioso che permetterebbe di mobilizzare nuove risorse finanziarie in poco tempo,
basandosi su un meccanismo di burden-sharing per i paesi contribuenti.
Gli obiettivi del Green Fund fondo sono:
•
creare un impegno coordinato per i paesi industrializzati di supporto ai PVS e un
meccanismo di burden-sharing per la distribuzione degli impegni di apporto
finanziario;
•
mobilizzare risorse su larga scala conformemente all’Accordo di Copenhagen,
utilizzando fondi pubblici e obbligazioni private;
•
assegnare, a partire da subito, prestiti e sussidi ai paesi in via di sviluppo.
Il modello del FMI propone che i paesi industrializzati inizialmente capitalizzino il fondo
tramite investimenti di riserva, che potrebbero consistere in Diritti Speciali di Prelievo
(DSR). I DSR sono allocati in accordo alle quote del FMI, e ciò comporta una facile
definizione degli importi individuali e quindi la base per un burden-sharing tra i paesi
contribuenti.
Una volta costituito, il fondo, emetterebbe delle obbligazioni, i “green bonds”, che
sarebbero collocati presso gli investitori. I fondi ricavati dal collocamento di tali
obbligazioni andrebbero affiancati da ulteriore risorse dedicate esclusivamente ad aiuti
sussidiari e prestiti diretti per i paesi Non-Annex I.
Per rispettare i finanziamenti previsti dall’Accordo di Copenhagen, il FMI stima che il
green fund, nel giro di 30 anni, dovrebbe emettere obbligazioni per un valore di 1
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miliardo di USD. Per garantire una massima sicurezza del fondo e per colmare
eventuali perdite è inoltre previsto un capitale iniziale di 100 milioni di USD.
Ad oggi, ricerche del World Resources Institute riportano che gli impegni dei paesi
industrializzati nell’ambito della FSF arrivano a coprire fino a 29,27 miliardi USD.
Nel disegnare tale modello di contribuzione, ol FMI si concentra prevalentemente sulla
liberazione di risorse e non approfondisce come e secondo quali criteri queste risorse
andrebbero distribuite. Ciò nonostante menziona la possibilità di utilizzare fondi
climatici già esistenti o di instaurare appositamente nuovi enti responsabili della
gestione, come ad esempio banche multilaterali di sviluppo o il Copenhagen Climate
Green Fund, come proposto nell’Accordo di Copenhagen stesso. Resta dunque compito
fondamentale della conferenza di Cancún fare chiarezza sui criteri di distribuzione
delle risorse del Green Fund.
6. Technology
Nel 2009 le Parti della Convenzione hanno iniziato a convergere sul concetto di creare
un nuovo Technology Mechanism, che diventasse il cuore di un sistema condiviso per
lo sviluppo e il trasferimento tecnologico per la mitigazione e adattamento. A
Copenhagen si è arrivati prossimi all’accordo sul tema. Il trasferimento di tecnologie,
peraltro, è considerato un aspetto chiave di qualunque futuro accordo sul clima.
Il Technology Mechanism dovrebbe avere un duplice obiettivo:
Mitigazione - Accelerare lo sviluppo e l’utilizzo di innovazioni progettate per ridurre le
emissioni, con un loro trasferimento dai paesi ricchi a quelli poveri
Adattamento - L’avanzamento di tecnologie, quali produzioni agricole più resistenti
agli eventi meteorici estremi (siccità e alluvioni) essenziali anche per aiutare i paesi in
via di sviluppo a convivere con gli effetti del riscaldamento globale
Il meccanismo potrebbe consistere di due parti:
1. Un “Technology Executive Committee”, un ente che guidi e coordini, con
membri selezionati sia dal mondo industrializzato che non industrializzato.
Questo panel fornirebbe un ruolo di guida, aiutando a concentrare gli sforzi per
rompere le barriere all’innovazione tecnologica in tutto il mondo
2. Un “Climate Technology Centre and Network”, un centro per la tecnologia
climatica, con esperti tecnici per progettare soluzioni e valutare priorità secondo
le specificità regionali.
All’interno del testo largamente condiviso, c’è ancora spazio per un accordo finale
relativamente neutrale ed un meccanismo inefficace. Ma ne potrebbe anche scaturire
un meccanismo rinforzato, con il potere di influenzare una porzione ben definita dei
100 miliardi di $/anno della finanza del carbonio attesa per il 2020.
Principali problemi:
• Brevetti/Diritti di proprietà intellettuale (Intellectual Property Rights: IPRs):
molti paesi in via di sviluppo considerano i brevetti una barriera alla diffusione
della tecnologia, auspicando un loro alleggerimento e l’introduzione di incentivi
al trasferimento di brevetti.
•
Assenza di progressi su elementi quali MRV e contributi alle riduzioni di
emissioni, senza i quali viene a mancare il quadro in cui misurare in maniera
condivisa il trasferimento tecnologico.
Il punto sui diritti di proprietà intellettuale è particolarmente controverso per le
implicazioni politiche più generali, con i Paesi ricchi decisi a mantenere invariato
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l’esistente sistema di brevetti costruito intorno al WTO, contrapposti ai Paesi più
poveri che potrebbero sfruttare l’UNFCCC per contribuire allo smantellamento della
regolamentazione dei brevetti del WTO stesso.
Approfondimenti e stato dell’arte
L’Expert Group on technology transfer ha pubblicato a novembre 2010 un
approfondito documento in bozza (EGTT/2010/13) che fa il punto sul meccanismo,
esplorandone le possibili opzioni in termini di modalità operative.
7. I meccanismo di progetto e il mercato del carbonio
L'Accordo di Copenaghen – non ancora formalmente approvato dalla Conferenza delle
Parti dell’UNFCCC – delinea prospettive ancora poco chiare riguardo al mercato della
CO2 e non offre alcuna certezza ad investitori e sviluppatori di progetti per il post2012. Nonostante ciò, nel corso della COP 15 sono stati ribaditi alcuni aspetti
importanti. In particolare:
• menzione, nell’Accordo, dell'uso di meccanismi di mercato come strumenti di
mitigazione cost-effective;
• la necessità di procedere ad un miglioramento dell’efficienza operativa del CDM,
compresi i rapporti tra proponenti dei progetti ed Executive Board,
l’introduzione di regole semplificate per le rinnovabili di piccola taglia e per i
progetti di efficienza energetica, l’elaborazione di linee guida per la definizione
di baseline standardizzate da presentare entro la COP 16 in Messico.
La COP di Copenaghen ha dato inoltre mandato all’Executive Board (EB) per dare
corso alla riforma dei CDM.
Riforma del CDM/JI
I meccanismi di offset (compensazione) si sono dimostrati strumenti efficaci per
mobilitare capitali a favore di progetti di riduzione delle emissioni e, in parte ,
trasferimento tecnologico nei Paesi in Via di Sviluppo. Nel tempo sono emerse però
una serie di criticità connesse alla loro attuazione. I CDM hanno dimostrato i propri
limiti nella capacità di coinvolgere tutti i Paesi in Via di Sviluppo, escludendo di fatto
dal mercato del carbonio l’Africa e i paesi più poveri. I progetti CDM si sono al
contrario concentrati in quelle economie emergenti che come tali avevano a
disposizione strutture amministrative e infrastrutture tali da consentire lo sviluppo di
progetti (il cd problema della distribuzione geografica dei progetti). Un’ulteriore critica
mossa ai CDM è stata quella della limitatezza dei settori di applicazione: le
metodologie di calcolo di riduzione delle emissioni si sono di fatto concentrate in pochi
settori di applicazione (principalmente produzione di energia da fonti rinnovabili).
Inoltre, in termini assoluti, la maggioranza di crediti è stata generata da progetti di
distruzione di gas industriali (principalmente HFC 23 e N2O). Il processo di
raggiungimento dello status di CDM (dalla presentazione e approvazione di nuove
metodologie alla emissione dei titoli di credito di riduzione delle emissioni) richiede
tempi, sforzi tecnici e finanziari proibitivi non dando garanzie di integrità ambientale a
causa dei limiti dell’attuale metodo di dimostrazione dell’addizionalità dei progetti.
Elementi da riformare e risultati raggiunti
Il processo di riforma è stato invocato da anni. Per diminuire i tempi di attesa, a
Copenaghen la COP ha richiesto all’EB di istituire modalità semplificate e
standardizzate di dimostrazione dell’addizionalità e sviluppare metodologie top-down
che possano diventare particolarmente utili per quelle nazioni che hanno visto la
registrazione di meno di 10 progetti.
In risposta a tale richiesta, l’EB ha:
9
sviluppato una procedura standardizzata di dimostrazione dell’addizionalità per
progetti di piccola taglia;
• ha approvato un metodologia per progetti programmatici (sostituzione di
lampade a kerosene con led);
• ha creato un opuscolo che raccoglie le metodologie CDM.
Per quanto concerne il problema dalla distribuzione geografica dei progetti CDM, la
COP di Copenaghen aveva richiesto la creazione di uno schema di prestito finanziario
da offrire ai Paesi con meno di 10 progetti CDM registrati. Nelle intenzioni, i prestiti
dovrebbero coprire i costi di sviluppo dei documenti di progetto (PDD) e quelli di
validazione dei dati progettuali nonché la prima verifica delle effettive riduzioni
prodotte dal progetto. Come richiesto, l’EB ha prodotto una raccomandazione che
specifica i termini di costituzione di questo schema da far approvare alla COP 16.
•
Per quanto concerne il ruolo assunto dagli auditor dei progetti CDM (DOE) accreditati
dagli stessi organismi delle Nazioni Unite, la cui assenza di responsabilità legale nei
confronti di eventuali inesattezze ed inadempienze ha contribuito a determinare la
scarsa credibilità dei CDM, la Conferenza di Copenaghen ha richiesto all’EB di
predisporre procedure di appello degli stakeholders di progetto relativamente ai
seguenti casi:
• situazioni nelle quali la DOE sia ritenuta colpevole di non aver svolto le proprie
mansioni;
• decisioni di rigetto o di modifica di richieste di registrazione di progetti o
emissione di crediti prese da o sotto l’autorità dell’EB.
Sviluppatori e investitori chiedono tuttavia da tempo la creazione di un vero e proprio
organismo al quale fare appello in caso di decisioni ritenute errate.
Inoltre, per garantire il miglioramento delle performance delle DOE, la COP di
Copenaghen ha richiesto all’EB di sviluppare e applicare un sistema di monitoraggio
continuo delle organizzazioni accreditate.
L’EB ha effettivamente dato vita a tale schema di monitoraggio adottando vari
elementi:
• un sistema per monitorare e riferire all’EB sulla performance individuale delle
DOE, fornendo in risposta un regolare e pronto riscontro che ne garantisca il
miglioramento.
• un sistema che fornisce dati di supporto per il miglioramento del processo di
sviluppo dei CDM nonché una piattaforma per ulteriori analisi;
• politiche che consentano di affrontare prontamente la non conformità di una
DOE.
Un altro tema in discussione è quello della responsabilità degli auditor per crediti
emessi erroneamente. Una proposta dell’EB in discussione prevede la sospensione
immediata dell’auditor che abbia verificato riduzioni di emissioni che risultino
successivamente inesistenti. Inoltre, la proposta prevede che l’auditor sostituisca i
crediti erroneamente emessi e indipendentemente se l’errore è attribuibile alla
negligenza della DOE, ponendo un auditor di controllo a esaminare il loro operato.
L’approvazione di tale proposta è al momento sospesa.
In termini più generali, uno dei limiti più importanti imputati al CDM risiede nella sua
incapacità di stimolare progetti che riducano emissioni da fonti diffuse di GHG. La
maggior parte dei progetti ad oggi registrati è stata sviluppata in grossi impianti che
da soli possedevano il potenziale di ridurre rilevanti quantitativi di emissioni. Sebbene
la necessità di dare certezza agli investitori porti molti a richiedere la continuazione
immutata delle regole del CDM (project based), di fatto il meccanismo risulta non in
grado di cogliere numerose opportunità di riduzione di emissioni soprattutto nei settori
dell’efficienza energetica e dei trasporti. Per questo motivo, tali criticità sono diventate
10
oggetto di negoziazione all’interno del AWG-LCA. In tale contesto appare esserci
consenso sul fatto che i meccanismi di mercato rappresentano una soluzione costoefficace di attuazione di misure di mitigazione. Tuttavia qui sono anche discusse le
opzioni principali che i CDM potranno assumere nel futuro per risolvere i limiti già
discussi. Tali opzioni sono così sintetizzabili come segue:
• sectoral crediting basato su target non obbligatori (no-lose): vengono definiti
target settoriali il cui raggiungimento non è obbligatorio; i crediti sono
riconosciuti solo per riduzioni ulteriori rispetto al target settoriale;
• trading e crediting settoriale: vengono istituiti sistemi cap-and-trade a livello
domestico per determinati settori, e nei settori esclusi nel sistema cap-andtrade è prevista la possibilità di sviluppare attività di riduzione a fronte della
quale vengono rilasciati crediti di riduzione che possono essere valorizzati sul
mercato internazionale;
• generazione di crediti derivanti dalla riduzione delle emissioni per la lotta alla
deforestazione e al degrado delle foreste e dall’aumento dello stock di carbonio
(REDD-plus).
Le regole e procedure di molte di queste opzioni devono ancora essere sviluppate ma
è il cd CDM settoriale ad aver ricevuto particolare attenzione nei round di negoziazione
precedenti a Cancun.
Il CDM settoriale può essere attuato in specifici settori di un solo Paese e non deve
essere confuso con i target transazionali applicabili ad un settore globale.
Tra i CDM settoriali (che possono anche diventare parte di una NAMA a seconda di
come viene definito il settore) e gli attuali CDM project-based, c’è la proposta di
creare nuove metodologie CDM standardizzate. La standardizzazione può riguardare
numerosi elementi tra cui i fattori di emissione, benchmark e fattori di default.
Le metodologie standardizzate possono per esempio aiutare a incrementare
l’obiettività degli approcci esistenti o essere introdotte per tipologie di progetti per i
quali la determinazione delle baseline progetto per progetto sarebbe eccessivamente
costosa (es. efficienza energetica dal lato dei consumatori finali). Le metodologie
standardizzate potrebbero inoltre facilitare l’attuazione di nuove tipologie di progetti.
La domanda principale che tuttavia accompagna il negoziato sul CDM è relativa alla
permanenza in vita del meccanismo stesso e degli organismi che lo regolano oltre il
2012.
In proposito, si registra la proposta della Papua Nuova Guinea di mercoledì 2 dicembre
di lasciar continuare il CDM oltre il 2012. Tale proposta ha incontrato l’opposizione dei
grandi Paesi emergenti interessati a legare la continuazione del CDM con l’assunzione
di target di riduzione delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati.
8. HFC-23
Gli HFC 23, i gas industriali che scaturiscono come sottoprodotto della produzione di
HCFC 22 (sostanza impiegata principalmente nel settore dei refrigeranti, dei
condizionatori d’aria e delle schiume isolanti), sono un tema particolarmente
complesso del dibattito sui cambiamenti climatici, non mancando di interessare anche
dal punto di vista delle sostanze ozono lesive (HCFC 22).
Gli HFC 23 sono gas climalteranti inclusi tra quelli target del PK e quindi oggetto di
CDM. Tuttavia, come evidenziato nel paragrafo relativo ai limiti di tale meccanismo di
mercato, i progetti che avevano come obiettivo tali gas, a causa del loro alto
potenziale di mitigazione e la semplicità della tecnologia di incenerimento, sono stati
accusati di:
•
consentire la generazione di crediti concentrando i progetti e quindi i benefici in
pochi PVS (principalmente Cina e India), quelli cioè produttori di HCFC 22;
11
•
generare scarse ricadute sia in termine di trasferimento tecnologico, sia di
aumento dello sviluppo sostenibile delle aree interessate dai progetti;
• produrre rendite ingiustificate per i proprietari dei progetti/Paesi sviluppatori
dovute alla differenza dei costi effettivi di riduzione di una tonnellata di CO2 e il
prezzo della stessa nel mercato del carbonio;
• divergere investimenti di capitali da progetti di energie rinnovabili ed efficienza
energetica(più costosi e, a volte, più tecnologicamente complicati);
• incentivare a continuare la produzione di HCFC 22 al solo scopo di poter
distruggere il suo sottoprodotto, gli HFC 23 come progetto CDM, proprio a
causa delle alte rendite. Tale incentivo porterebbe a produrre un affetto avverso
sul raggiungimento del Protocollo di Montreal, il Protocollo internazionale che ha
come obiettivo la progressiva dismissione delle sostanze ozono-lesive.
Le accuse mosse ai progetti CDM nel settore della distruzione degli HFC 23 hanno
portato alla loro messa in discussione sia a livello di Nazioni Unite sia a livello
europeo.
Numerose richieste sono infatti state mosse affinché il CDM EB rivedesse la
metodologia di contabilizzazione delle emissioni in progetti di incenerimento di HFC
23. In particolare viene richiesta la modifica del rapporto tra HCFC 22 prodotto e la
corrispondente quantità HFC 23 generata come sotto prodotto. Tale fattore è
particolarmente importante poiché è su di esso che si basa il calcolo del quantitativo di
HFC 23 che da luogo al potenziale di riduzione di un progetto CDM. La revisione al
ribasso è ancora in corso poiché il settore privato ha operato importanti opposizioni al
cambiamento delle regole in corso.
Dal punto di vista europeo, a novembre la commissione ha proposto una restrizione
qualitativa nell’utilizzo dei crediti che interessa HFC 23 e N2O a partire da Gennaio
2013. Anche questa proposta non è ancora definitiva.
Dal punto di vista delle sostanze ozono lesive, come anticipato, i CDM negli HFC 23
con le loro alte rendite sono accusati di incentivare la produzione degli HCFC 22.
Seppur caratterizzati da alte rendite, i progetti CDM non possono da soli aver
modificato i consumi globali di HCFC 22, sostanza ampiamente utilizzata in settori di
largo consumo quale la produzione di condizionatori e frigoriferi. Poiché il protocollo di
Montreal nel 2008 aveva concordato e vincolato i suoi aderenti alla stabilizzazione
della produzione degli HCFC 22 nel 2015 (rispetto a quanto prodotto nel biennio 20082009), nel 2008 il TEAP, l’organismo tecnico del Protocollo di Montreal, ha costruito
degli scenari secondo i quali era prevista una crescita della produzione di HCFC 22
dovuta alla domanda di HCFC 22 nei settori di impiego. Tale aspetto è confermato da
alcuni dati economici: il costo del refrigerante in un apparecchio di condizionamento è
ad esempio solo il 5% del suo costo complessivo per cui anche una diminuzione
sostanziosa del prezzo degli HCFC 22 dovuta ad eventuali progetti CDM sviluppati
nell’impianto di produzione non produrrebbe in sé variazioni nella domanda di
condizionatori dovuti ad una loro diminuzione del prezzo. Quindi è possibile affermare
che i progetti CDM non hanno un effetto dimostrabile sulla domanda indiretta di HCFC
22.
Gli HFC in generale poi (non parliamo qui di HFC 23, che vengono generati solo come
sotto prodotto degli HCFC 22) interessano il Protocollo di Montreal sotto un altro
profilo: tali gas sono considerati i sostituti degli HCFC 22 più immediatamente
disponibili in vari settori di utilizzo. Essendo potenti gas serra, tra il Protocollo di
Montreal e il protocollo di Kyoto è in corso un dibattito relativamente alla
possibilità/modalità di favorire il passaggio da HCFC 22 a gas sostitutivi non HFC. Le
modalità di tale passaggio sono il principale oggetto del dibattito: in alcuni casi la
sostituzione degli HFC con altri gas non ozono lesivi e non climalteranti comporta costi
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addizionali non sopportabili dai Paesi donatori del Protocollo di Montreal
(sostanzialmente i Paesi industrializzati del Protocollo di Kyoto). Allo stesso tempo le
attuali regole (e metodologie di contabilizzazione) del Protocollo di Kyoto non
consentono la generazione di crediti di carbonio da tale tipologia di progetti. Una delle
opzioni in discussione, considerati anche i dubbi espressi circa i progetti CDM da
distruzione di HFC 23, risiede nella possibilità di far trattare tale famiglia di gas dal
protocollo di Montreal con le stesse modalità utilizzate per la dismissione delle
sostanze ozono-lesive, escludendo meccanismi di mercato propriamente intesi come il
CDM. Il negoziato sull’argomento è anche in questo aspetto legato alle difficoltà di
soluzione di altri temi in discussione. In particolare:
1. la Cina e l’India sono fortemente interessate a mantenere gli HFC nel PK in
modo da poter continuare ad usufruire dei progetti CDM o del semplice
potenziale di mitigazione ad essi connesso. Tale aspetto è dunque moneta di
scambio per altro.
2. continuare a consentire progetti CDM di HFC 23 comporterebbe un eccesso di
generazione di crediti rispetto ad una domanda degli stessi non ancora
quantificabile e molto incerta nonché legata alla generazione di crediti da altri
meccanismi o attività di riduzione (CCS, REDD+).
Il tema è dunque fortemente controverso sia per ragioni di natura tecnica (i sostituti
degli HFC in alcuni settori non sono ancora commercialmente disponibili) sia per
ragioni di natura politica-negoziale, per cui esso non sembra potersi risolvere nel
breve periodo.
9. Riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado
delle foreste e dall’aumento dello stock di carbonio (Reducing
Emissions
from
Deforestation
and
Forest
Degradation
and
enhancement of carbon stock, REDD+)
Il ruolo delle foreste è stato lungamente e largamente lasciato fuori dalle azioni di
mitigazione dei cambiamenti climatici previsti dal Protocollo di Kyoto. Nonostante
l'importanza del settore forestale nella lotta ai cambiamenti climatici, finora le foreste
hanno di fatto svolto un ruolo marginale nel mercato regolato del carbonio. Le ragioni
sono insite nella peculiarità delle attività forestali, che possono allo stesso tempo
caratterizzarsi come strumento di fissazione (carbon sink) e fonte (carbon source) di
emissioni di gas di serra. I progetti forestali sono caratterizzati da seri problemi
relativi alla permanenza degli investimenti, alla necessità di garantire il rispetto dei
criteri di addizionalità, intenzionalità e assenza di fenomeni collaterali di effetto
opposto (leakage), alla qualità delle misurazioni e agli effetti positivi sull'ambiente ed
al tessuto sociale. Nel mercato volontario il settore forestale ha invece rivestito un
ruolo maggiore. Da un'analisi storica risulta infatti che il 73% delle transazioni di
crediti legati del settore forestale è avvenuto nel mercato volontario, grazie anche a
regole meno stringenti e a tipologie progettuali che spaziano dalle piantagioni, al
miglioramento della gestione forestale fino ai progetti REDD.
Nonostante il forte tasso di crescita del mercato volontario, passato dai 4 milioni di
tonnellate commercializzate nel 2004 a circa 123 milioni nel 2008, si sta assistendo a
una diminuzione relativa del volume dei crediti di carbonio generati dagli investimenti
compensativi forestali a favore per esempio di investimenti nel campo della
produzione di energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico, etc.). Le ragioni di tale
diminuzione sono ancora una volta legate alle criticità sopracitate di permanenza,
leakage, addizionalità e misurabilità, alle quali si sono aggiunte le complessità
organizzative legate ai progetti REDD. Lo sviluppo recente di standard, metodologie di
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carbon accounting e sistemi di verifica indipendente può contribuire a dare maggiori
garanzie agli investimenti compensativi in campo forestale e a rendere il mercato più
trasparente e dinamico facendo presagire un'inversione di tendenza nel mercato dei
crediti forestali.
Oltre ai problemi dell'addizionalità, dell'intenzionalità, del leakage e della permanenza
degli effetti, molte sono le ragioni che sono state alla base dell'esclusione nel tempo
dei progetti REDD dai CDM:
• mancanza di metodologie in grado di assicurare un sufficiente livello di
precisione delle stima degli assorbimenti e dei bilanci delle emissioni di gasserra;
• il rischio, visti gli alti costi amministrativi e gestionali degli investimenti, di
privilegiare interventi su grande scala, creando effetti di spiazzamento sugli
interventi micro, quelli che spesso hanno maggiori impatti positivi sulla
popolazione locale;
• il problema dell'ingerenza nella sovranità nazionale da parte dei Paesi
industrializzati e della perdita di diritti delle popolazioni locali e indigene sulle
foreste.
Tra il 2003 e il 2009 è tuttavia emersa la proposta di compensare i Paesi in Via di
Sviluppo per i loro sforzi di riduzione delle emissioni tramite il contenimento del livello
nazionale di deforestazione e di degrado delle foreste. Nel 2005 la proposta approdò
alla COP-11 di Montreal. Fino ad allora la discussione si basava sulla necessità di
ridurre le emissioni dovute alla deforestazione (RED). Con il crescente riconoscimento
scientifico dell'importante ruolo delle emissioni dovute ai processi di degradazione, alla
COP 13 di Bali nei testi ufficiali comparve una seconda “D”. Nel Bali Action Plan, il
meccanismo REDD veniva definito come policy approaches and positive incentives on
issues relating to reducing emissions from deforestation and forest degradation in
developing countries. Nella realtà il testo andava ben oltre continuando and the role of
conservation, sustainable management of forests and enhancement of forest carbon
stocks in developing countries. In questo senso le attività finanziabili in un
meccanismo REDD non solo possono limitare le diminuzioni degli stock forestali
(evitare la deforestazione e la degradazione forestale), ma altresì può aumentarne la
quantità (per esempio attraverso una corretta gestione forestale). Quest'ultimo
concetto fu accettato formalmente alla COP 14 di Poznan, dove l'acronimo ufficiale
diventò REDD+. Il meccanismo dei REDD+ si basa sull'istituzione di un sistema di
pagamenti per i Paesi in via di sviluppo che dimostrino la capacità di ridurre le
emissioni derivanti dalla deforestazione e degradazione forestale.
Dal punto di vista dei negoziati UNFCCC, solo ad agosto del 2009 un gruppo specifico
di negoziatori è stato incaricato del tema nella speranza di concludere un accordo già
a Copenhagen. Il REDD+ è il settore che ha registrato i maggiori progressi nel corso
della COP15. L’Accordo di Copenaghen fa esplicito riferimento alla necessità della
creazione immediata di un meccanismo complessivo di mitigazione che includa il
REDD+, mentre la COP-MOP15 ha già adottato le linee guida metodologiche per la
contabilizzazione, il reporting e il controllo di queste attività. Di fatto, in quella sede si
è raggiunto un consenso su alcuni punti essenziali quali il campo di applicazione del
meccanismo REDD+, principi di salvaguardia delle popolazioni indigene, un processo
di attuazione in fasi e il livello di riferimento e la scala per il calcole delle riduzioni di
emissioni. Ancora da concordare è invece il paragrafo che si riferisce alla possibilità di
finanziare e considerare il REDD+ come Nationally Appropriate Mitigation Action
(NAMA). La risoluzione di tale aspetto è connessa tuttavia ad altri temi negoziali (si
veda il paragrafo relativo alle NAMAs) e non è quindi destinata a risolversi a breve, se
non bypassando tale componente del testo. In questo senso, il tema del meccanismo
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di REDD+ è stato considerato negozialmente concluso. Il meccanismo dei REDD+ è
stato quindi riconosciuto come elemento portante di un futuro accordo sulla
mitigazione dei cambiamenti climatici (UNFCCC, 2009). L’Accordo di Copenaghen ha
messo inoltre in campo la disponibilità di alcuni fondi dedicati da parte di Paesi
industrializzati. Sotto l’Accordo, sei Paesi (Australia, Francia, Giappone, Norvegia,
Gran Bretagna e Stati Uniti) si sono impegnati a fornire 4 miliardi di USD per avviare
nei prossimi tre anni attività concrete di REDD+. Spronati da questo impegno, più di
501 Paesi si sono incontrati a Maggio ad Oslo e si sono accordati per la creazione di un
partenariato provvisorio per azioni sul REDD+ (Interim REDD+ Partnership). La
Partnership si pone come principale obiettivo quello di rendere operative alcune azioni
pilota del meccanismo REDD+ dimostrando in questo modo quale possa essere la
struttura definitiva con la quale lo stesso meccanismo sarebbe poi in grado di
svilupparsi nel contesto ufficiale UNFCCC. Il segretariato della Partnership è stato
affidato al UN – REDD Programme e alla Forest Carbon Partnership Facility della Banca
Mondiale che stanno coordinando, a livello di singole nazioni, progetti-pilota con lo
scopo di preparare i singoli stati ad un prossimo accordo internazionale e di
sperimentare strategie efficaci di riduzione della deforestazione e degradazione delle
foreste adatte alla specifiche circostanze nazionali. E’ stato inoltre definito un piano di
lavoro che prevede la creazione di un database che raccolga le attività e le relative
forme di finanziamento esistenti su REDD+ nei Paesi partner, l’identificazione di
possibili sovrapposizioni di finanziamenti e l’analisi della efficacia delle istituzioni
multilaterali esistenti.
Focus su Cancún
Nonostante si fosse convinti di essere vicini al consenso, durante la riunione ufficiale
di agosto, tre Paesi (Arabia Saudita, Bolivia e Turchia) hanno proposto delle modifiche
radicali del testo di Copenaghen. Tali modiche sono collegate a quanto in discussione
sulle tecnologie di carbon capture and storage e alla cosiddetta proposta di
Cochabamba. Essa prevede la rimozione del termine “emissioni” dal REDD+ per
focalizzarsi unicamente sulla riduzione di deforestazione e degrado, escludendo
dunque la componente di aumento dello stock di carbonio. Tale proposta sembra
dunque alludere alla possibilità che il meccanismo venga escluso dal mercato del
carbonio.
Nel testo negoziale, tale proposta nonostante sia stata inclusa come opzione separata,
ha prodotto dubbi sulla possibilità di raggiungere un accordo. Le opposizioni alla
proposta come i dubbi sui principi di salvaguardia delle popolazioni indigene sono le
criticità del negoziato di Cancun. A complicare il raggiungimento in tempi brevi di un
accordo ci sono infatti anche le pregiudiziali normative e regolamentari espresse dalla
"Coalition for Rainforest Nations". I paesi della Coalition for Rainforest Nations temono
che se la riforestazione non sarà effettuata nei modi corretti e in relazione al contesto
naturale preesistente, lungi dall'essere un azione di ripristino, rischia di aggiungere
altri danni distruggendo il sistema delle foreste pluviali. Se non adeguatamente
definito, il REDD+ rischia pertanto di diventare uno strumento che favorisce gli affari
dell'economia verde dei paesi industrializzati, ma distrugge il verde, la cultura e
l'economia dei paesi in via di sviluppo.
Dal punto di vista del finanziamento delle eventuali azioni REDD+, in base ai dati
forniti da numerose analisi, è stato valutato che il mercato non è in grado di fornire
sufficienti risorse nemmeno nel miglior scenario in cui sia possibile il pieno utilizzo
delle azioni di REDD+ nello stesso mercato del carbonio. La mancanza di fondi deve
dunque essere coperta da altre fonti di finanziamento pubblico e privato. Ma tutto
dipende dalle regole che governeranno questo meccanismo.
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Ad oggi sono 68 i Paesi che hanno aderito alla Partnership.
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Gli Accordi di Cancún e il futuro regime sui cambiamenti climatici