Gli Accordi di Cancún e il futuro regime sui cambiamenti climatici L’evoluzione del negoziato e uno scenario della possibile configurazione internazionale del regime sui cambiamenti climatici Autori: Aurelio Magdalena; Leggio Sara; Morazzo Mariano; Romani Fabio Febbraio 2011 Sommario 1. Introduzione...................................................................................................... 3 2. Ad hoc Working Group on Long Term Cooperative Action - AWG LCA .. 3 2.1 La forma legale dell’Accordo di Cancún e l’influenza sul futuro regime sui cambiamenti climatici............................................................................................................. 4 2.2 La “shared vision” ....................................................................................................... 7 2.3 Azioni di mitigazione delle cause del cambiamento climatico ............................. 8 2.3.1 La mitigazione da parte dei Paesi industrializzati .......................................... 8 2.3.2 La mitigazione da parte dei Paesi in via di sviluppo .................................... 10 2.3.3 Il monitoraggio, la comunicazione e la verifica ............................................. 10 2.4 Adattamento ai cambiamenti climatici ................................................................... 11 2.5 Risorse finanziarie..................................................................................................... 12 2.5.1 Fast-Start Finance - FSF ..................................................................................... 13 2.5.2 Il Green Climate Fund - GCF ........................................................................... 13 2.6 Trasferimento tecnologico ........................................................................................ 17 2.7 Riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado delle foreste e per l’aumento dello stock di carbonio ................................................................ 19 3. Ad Hoc Working Group on Kyoto Protocol - AWG KP ............................ 21 3.1 3.2 Land Use, Land-Use change and Forestry - LULUCF............................................ 22 Riforme relative al CDM .......................................................................................... 22 4. Il futuro regime sui cambiamenti climatici e il mercato del carbonio ..... 24 BIBLIOGRAFIA 2 1. Introduzione Il presente documento intende fornire una sintesi analitica di quanto avvenuto nel corso dei negoziati sul clima di Cancún relativamente ai principali temi in discussione: la forma legale dell’accordo, i risultati in termini di impegni per la mitigazione delle emissioni e di adattamento ai cambiamenti climatici, il trasferimento tecnologico, gli strumenti finanziari e il meccanismo dei REDD+. Tale analisi intende servire da base per ricostruire un quadro il più completo possibile sul futuro regime sui cambiamenti climatici di cui gli accordi internazionali sono, ad oggi, solo una delle componenti. Con il consenso di tutte le nazioni (fatta eccezione per la Bolivia), la COP 16 ha prodotto il risultato che ha preso il nome di Accordi di Cancún, un documento cioè contente un gruppo di decisioni su temi diversi ma raggruppati sotto questa voce. Partendo dai punti di maggior interesse dell’Accordo di Copenaghen, gli Accordi di Cancún forniscono molta più sostanza rispetto alla quale lavorare per poter comporre un quadro di un possibile futuro accordo internazionale. Infatti, quello che è stato considerato come il successo, seppur parziale, di Cancún segna innegabilmente un punto importante della risposta della comunità internazionale ai cambiamenti climatici. A livello di sistema, l’accordo è riuscito a rilanciare il processo delle Nazioni Unite riconoscendo al contempo gli sforzi compiuti dai diversi attori della comunità internazionale in altri contesti, esterni al negoziato. L’accordo ha inoltre ufficializzato il passaggio da azioni governate in approccio ‘top-down’, verso azioni attuate ‘bottom-up’ (comunque in corso di svolgimento a prescindere dal contesto UNFCCC), aprendo dunque la strada a nuove opportunità di partenariati pubblico-privati che operino in modo da disegnare e costruire azioni pilota, in particolare relativamente agli aspetti finanziari e tecnologici delle azioni e dei meccanismi di contrasto ai cambiamenti climatici. Il presente documento rappresenta il completamento dell’analisi svolta a supporto dei negoziati di Cancún (analisi del 6 Dicembre 2010, dal titolo “Il quadro negoziale alla vigilia della Conferenza di Cancún”, dei medesimi autori, riportato in allegato) nel quale, partendo dalla sintesi definitoria e dal quadro forniti in quel documento, si prendono in esame le evoluzioni, fornendone un’analisi. Per questo motivo, la struttura del presente documento ricalca quella del precedente e ne utilizza gli acronimi, la cui forma estesa e il cui significato sono già stati adottati in quella sede. 2. Ad hoc Working Group on Long Term Cooperative Action - AWG LCA Come chiarito nel documento di analisi antecedente alla conferenza di Cancún (in allegato), l’AWG-LCA ha il mandato di focalizzarsi sugli elementi chiave della 3 cooperazione evidenziati nel Convention Dialogue: mitigazione, adattamento, trasferimento tecnologico e risorse finanziarie. Di seguito è riportato un aggiornamento rispetto ai differenti temi che afferiscono al lavoro negoziale dell’AWG LCA. 2.1 La forma legale dell’Accordo di Cancún e l’influenza sul futuro regime sui cambiamenti climatici Il Summit di Cancún ha prodotto una serie di decisioni relative allo scenario politico sui cambiamenti climatici del post-2012. Dal punto di vista del valore legale (e delle conseguenti ricadute), gli Accordi di Cancún hanno preso nota nella decisione finale adottata dall’AWG LCA dei risultati dell’Accordo di Copenhagen negoziato da 28 paesi. A quei risultati è stata attribuito un valore legale nel contesto delle Nazioni Unite dai suoi 194 membri, fatta eccezione per la Bolivia. A differenza dell’Accordo di Copenhagen, gli Accordi di Cancún sono decisioni ufficialmente prese dalla Conferenza delle Parti (COP) dell’UNFCCC e dalla Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP). Gli Accordi di Cancún sono stati adottati per acclamazione riscuotendo il supporto della maggior parte delle Parti, fatta eccezione per la Bolivia. Essi diventeranno una componente ufficiale del regime sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Tuttavia, gli accordi di Cancún, al contrario di un nuovo Protocollo o di un emendamento alla Convenzione, non sono legalmente vincolanti. Il carattere vincolante di un impegno può essere rafforzato se è seguito dalla creazione di istituzioni e di procedure che contribuiscono a mantenere una Parte responsabile rispetto all’impegno stesso. Negli accordi di Cancún, i paesi industrializzati hanno concordato di accettare l’impegno a condizione del rispetto dei target nazionali (contenuti in un documento informale – INF che non è stato definitivamente mai adottato dalla COP di Copenaghen) e del perseguimento di un processo internazionale di valutazione e analisi delle emissioni dei paesi in via di sviluppo ‘rigoroso, robusto e trasparente’ che si basi su procedure di analisi già esistenti nella Convenzione. Le Nationally Appropriate Mitigation Actions (NAMAs) offerte dai paesi in via di sviluppo saranno dal canto loro soggette ad un processo di ‘consultazione ed analisi internazionali’. I dettagli delle procedure necessarie al loro sviluppo saranno oggetto di ulteriori sessioni negoziali. In generale, i target da un lato e le NAMAs dall’altro vogliono rappresentare un comune ma differenziato contesto di impegni di riduzione delle emissioni accompagnato da un sistema di regole che garantisca trasparenza e responsabilità rispetto a tali impegni che per la prima volta vede coinvolte tutte le maggiori economie mondiali. E’ necessario sottolineare tuttavia che gli Accordi di Cancún sono ben lontani dal prevedere il livello di valutazione/comunicazione delle emissioni, di conformità e di esecutività che attualmente obbliga le Parti del Protocollo di Kyoto. 4 In altre parole, le Parti hanno un’altra volta rimandato l’aspetto della futura forma legale degli impegni, segnalando solo che il lavoro in tal senso continuerà attraverso i processi negoziali della Convenzione e del Protocollo di Kyoto. In particolare, la COP ha deciso di continuare a discutere le ‘opzioni della forma legale’ dell’esito di tali negoziazioni nell’ambito della Convenzione e che quanto attualmente deciso (o non deciso) negli Accordi di Cancún non potrà pregiudicare in futuro la prospettiva o il contenuto di un risultato negoziale legalmente vincolante. La CMP è stata, inoltre, cauta sul destino di target legalmente vincolanti da accettarsi nell’ambito del Protocollo di Kyoto e ha deciso di completare il lavoro sul tema al più presto possibile e comunque in tempo utile da assicurare un legame di continuità tra il primo ed il secondo periodo di impegni. Un altro aspetto, in grado di far discutere sul livello di legalità degli Accordi di Cancún, è relativo al dissenso opposto dalla Bolivia. La COP e la CMP non hanno mai espressamente definito le procedure di votazione per considerare adottate le decisioni in discussione. Sulla base della prassi, le decisioni sono di solito prese per consenso. Nella pratica internazionale, il consenso si considera solitamente ottenuto quando, secondo il parere del presidente della sessione negoziale, non c’è nessuna Parte presente che formalmente obbietti all’adozione della decisione. Nel caso di Cancún, la presidentessa Patricia Espinosa, ha concordato con le altre delegazioni che la regola del consenso non andasse interpretata in modo da permettere a una singola Parte il diritto di veto ad una decisione altrimenti unanime. In termini di effetti di legge, è molto improbabile che la Bolivia sia considerata obbligata al rispetto degli accordi di Cancún. Sembra invece probabile che, nonostante in altre occasioni (ad es. a Copenaghen) più di una Parte abbia espresso il proprio dissenso rispetto a un testo che di conseguenza non è stato considerato una decisione, il processo ufficiale consideri adottati gli Accordi di Cancún quali decisioni della COP/CMP. Nonostante le minacce della Bolivia di rivolgersi alla corte internazionale di giustizia, sembra verosimile che la sua obiezione non avrà alcun effetto sull’attuazione degli Accordi di Cancún. In generale, gli impegni legalmente vincolanti rappresentano il maggior grado di obbligo preso da una nazione a livello internazionale. Una volta impegnatasi, una nazione deve ottemperare ai propri obblighi anche in caso di cambio del governo in carica al momento dell’accettazione dell’accordo. In molti Paesi, il processo di ratifica di un trattato prevede l’attuazione di una legislazione nazionale che di solito viene fatta rispettare dalle agenzie governative e dalla corte di giustizia nazionale. I mercati, siano essi in nuove tecnologie o diritti di emissioni, dipendono dalla stabilità garantita da strumenti legalmente vincolanti. Il Protocollo di Kyoto è un esempio di accordo vincolante con impegni quantificati, che ha generato un mercato del carbonio la cui rilevanza è dipesa e tuttora dipende dalla stabilità del Protocollo nel tempo. Nella fase attuale, dopo ben 5 anni dall’inizio dei negoziati sul regime post-Kyoto e in base a una crescente consapevolezza dell’improbabile conclusione di nuovi accordi con 5 impegni quantificati e legalmente vincolanti, i negoziatori internazionali sono orientati a far progredire il negoziato nell’ambito dell’UNFCCC, seppur con decisioni a livello COP che hanno solo valore politico ma supportano un contesto condiviso a livello internazionale. La Convenzione è infatti essa stessa un accordo legalmente vincolante, con obiettivi di lungo periodo ambiziosi ma generali, che in passato non sono stati tradotti in meccanismi vincolanti e misurabili, se non con il Protocollo di Kyoto. In assenza quindi di nuovo Protocollo (o un emendamento del Protocollo di Kyoto) si sta cercando di accordarsi su una serie di obiettivi e meccanismi che saranno riconosciuti dalla COP come strumenti e procedure a sostegno delle promesse fatte al momento della adesione e della ratifica dei singoli paesi. Nel 2009 a Copenaghen, 42 paesi industrializzati hanno fatto promesse di riduzione delle emissioni in tutti i settori dell’economia relativamente a specifici periodi di tempo. Inoltre, 98 paesi in via di sviluppo hanno promesso di attuare specifiche azioni di mitigazione entro il 2020, concordando che tali azioni sarebbero state affiancate da forme di misurazione, monitoraggio e verifica delle emissioni effettivamente ridotte. In definitiva dunque, il problema della forma legale dell’accordo e degli impegni in esso contenuti non è stato risolto a Cancún e sarà discusso durante quest’anno fino alla conferenza di Durban. E’ stato dunque esteso per un ulteriore anno il mandato dell’AWG LCA con l’obiettivo di fare in modo che possa continuare a discutere le “legal options with the aim to complete an agreed outcome”. Questo in definitiva significa che dal punto di vista legale, le Parti hanno ancora bisogno di decidere se adottare un accordo legalmente vincolante che complementi il Protocollo di Kyoto o altre opzioni rispetto alle quali le Parti cooperino attraverso una decisione della COP più che per mezzo di un nuovo trattato. Dal punto di vista sostanziale poi, qualora Cancún avesse tradotto gli impegni di Copenaghen in target legalmente vincolanti – di conseguenza difficili da modificare – questa sarebbe potuta essere una situazione rischiosa. Gli impegni presi rispetto agli Accordi di Copenaghen non erano stati negoziati, ma erano solo presi unilateralmente dai diversi paesi (oltre a non rappresentare quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo globale dei 2°C). Se da un lato, i paesi industrializzati hanno espresso impegni di riduzione delle emissioni nella forma di target con tempi di esecuzione, dall’altro gli impegni dei paesi in via di sviluppo prevedono azioni di mitigazione: le due tipologie di impegni hanno poco in comune. E’ quindi assolutamente rilevante che, qualsiasi opzione le Parti scelgano per la formalizzazione dei propri impegni, venga creato e messo in atto un meccanismo in grado di chiarire e rafforzare il valore degli impegni. Il fatto che Cancún non abbia in sostanza portato alla conclusione di un accordo vincolante, non deve far entrare in una situazione di empasse. Le Parti, sia dell’UNFCCC che del Protocollo di Kyoto, hanno comunque portato avanti numerosi progressi a livello nazionale disegnando e preparandosi attivamente all’attuazione di politiche sui cambiamenti climatici. Questi elementi, combinati con un credibile sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica delle 6 emissioni, dovrebbero contribuire a creare conoscenze e una piattaforma di cooperazione tali da mantenere viva l’attenzione su attività di mitigazione anche in assenza di target legalmente vincolanti. Questo consente di concludere che la conferenza di Cancún è un successo nella misura in cui ha forse raggiunto il massimo risultato ottenibile. Se i paesi hanno da un lato preso una serie di decisioni pratiche (cha analizzeremo nei paragrafi successivi) in modo da favorire degli effettivi risultati delle attività nazionali, essi hanno però anche avviato (o rinnovato) un processo multilaterale per discutere e definire più chiaramente quale possa essere un’eventuale forma legale del futuro l’accordo. 2.2 La “shared vision” Il più importante risultato della 16° Conferenza delle Parti di Cancún è concentrato nella cosiddetta ‘shared vision’, sezione della decisione dell’AWG LCA nella quale sono stabiliti da Bali in poi gli obiettivi negoziali ufficiali di lungo periodo. La shared vision degli Accordi di Cancún riconferma: che il riscaldamento globale è inequivocabile e che la maggior parte dell’incremento delle temperature globali osservato dalla metà del ventesimo secolo è verosimilmente dovuto all’aumento delle concentrazioni di GHG dovute alle attività umane; l’obiettivo di limitare il riscaldamento della temperature media globale entro i 2°C rispetto ai livelli pre-industriali; inoltre la necessità di rafforzare questo obiettivo rivedendone l’adeguatezza di lungo periodo sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, che tengano in considerazione anche il nuovo livello di 1,5°C di incremento massimo ammissibile della temperatura media globale. Secondo la decisione, la prima revisione dell’obiettivo dovrà avere inizio nel 2013 e concludersi entro il 2015. Il testo tuttavia non dettaglia come possa essere possibile arrivare al raggiungimento degli obiettivi prefissati e non fa riferimento esplicito ai livelli di riduzioni di emissioni di GHG necessari, alle concentrazioni massime di GHG in atmosfera e all’anno in cui si possa verificare il picco massimo. Al contrario, le decisioni su tali aspetti sono state rimandate alla prossima sessione della COP. Tali elementi riflettono in sostanza le componenti dell’Accordo di Copenaghen che ha rappresentato il primo consenso politico rispetto all’obiettivo di stabilizzazione della temperatura a 2°C. Tuttavia, le promesse di riduzione delle emissioni fatte a Copenaghen non sono state migliorate (in termini quantitativi), nonostante da sempre lo stesso obiettivo politico (e i target) siano stati da molti giudicati insufficienti. E’ per questo motivo che il vero risultato di Cancún è rappresentato dal riconoscimento ufficiale 7 dell’inadeguatezza dell’obiettivo politico e dalla conseguente decisione di rivederne periodicamente la consistenza di lungo periodo in base alle migliori scoperte scientifiche disponibili. 2.3 Azioni di mitigazione delle cause del cambiamento climatico 2.3.1 La mitigazione da parte dei Paesi industrializzati Come anticipato, gli Accordi di Cancún, relativamente a quanto presente nel testo prodotto dall’AWG LCA, riconoscono la necessità di lavorare per ottenere in futuro un risultato negoziale legalmente vincolante, non fornendo però nessuna indicazione su quando tale testo negoziale possa essere prodotto e che tipo di forma legale il risultato possa assumere. Il rinnovo di un secondo periodo di adempimento degli impegni nella forma di un proseguimento del Protocollo di Kyoto sembra essere sempre più compromesso dai rifiuti opposti da Giappone, Russia e Canada ad impegnarsi, in assenza della partecipazione degli Stati Uniti, in riduzioni di emissioni nell’ambito di un nuovo vincolante Protocollo. Inoltre, dal punto di vista della quantificazione degli impegni, è stato stimato che quelli presi a Copenaghen dai paesi industrializzati rappresentano una riduzione complessiva delle emissioni compresa tra il 12% e il 18% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990. Le promesse di impegni fatte a loro volta dai paesi in via di sviluppo rappresenterebbero invece il 27% di riduzione delle emissioni rispetto al loro livello teorico privo di politiche sui cambiamenti climatici. Queste promesse si sono dimostrate, nel complesso, insufficienti a garantire la limitazione dell’aumento della temperatura globale media entro i 2°C, ma Copenaghen è stata la prima volta in cui i paesi in via di sviluppo hanno acconsentito a impegnarsi con target di riduzione definiti quantitativamente, nonché a quantificare e verificare i livelli di riduzioni ottenuti a fronte del supporto tecnologico e finanziario della comunità internazionale. Fatte salve tali premesse, i maggiori risultati in termini di mitigazione raggiunti dagli Accordi di Cancún sono relativi: al riconoscimento delle responsabilità storiche dei paesi industrializzati; all’inclusione delle promesse di obblighi di riduzione (pledges) risultate dalla Conferenza di Copenaghen nella decisione dell’AWG LCA e quindi al loro reinserimento all’interno del processo negoziale multilaterale1. In altre parole, l’inclusione delle pledges negli accordi di Cancún non le ha rese legalmente 1 “Takes note of quantified economy-wide emission reduction targets to be implemented by Parties included in Annex I to the Convention as communicated by them and contained in document FCCC/SB/2010/INF.X4 (to be issued)”; Nota 4: “Parties’ communications to the secretariat that are included in the INF document are considered communications under the Convention”. 8 vincolanti, ma le ha formalizzate nel sistema proprio della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite (UNFCCC); alla richiesta ai paesi industrializzati di accrescere i target di riduzione relativi ai diversi settori delle loro economie, con la prospettiva di ridurre i propri livelli aggregati di emissioni di CO2 e degli altri gas non controllati dal Protocollo di Montreal (gas ozono lesivi) ai livelli raccomandati dal IV Assessment Report dell’IPCC; alla richiesta di continuare ad utilizzare e di allargare le negoziazioni sugli strumenti di mercato introdotti dal Protocollo di Kyoto; alla definizione di un contesto tecnico e metodologico per il proseguimento dei negoziati che termineranno con la Conferenza di Durban a Dicembre 2011. Il motivo per cui gli accordi di Cancún non hanno invece prodotto un accordo su un target specifico di riduzione nel lungo periodo delle emissioni, nonché la definizione di un anno di picco massimo per le emissioni, va ricercato principalmente in due ragioni. Innanzitutto, la prima motivazione risiede nei dubbi e resistenze persistenti dei paesi in via di sviluppo rispetto alle limitazioni pratiche che un target globale avrebbe comportato per le loro economie (di cui alcune in forte crescita). La seconda motivazione è relativa poi al mancato raggiungimento di un’intesa sui target di riduzione delle emissioni del dopo 2012. Tale impasse sembra avere avuto un effetto negativo a catena anche sulle altre discussioni sulle riduzioni di emissioni. Un altro elemento delle politiche di mitigazione mancante dagli Accordi di Cancún è quello degli accordi settoriali (sectoral agreements), inclusivi del trattamento dei settori internazionali del trasporto marittimo e dell’aviazione. Mentre il testo negoziale aveva fatto buoni progressi su alcuni temi settoriali (quali ad es. la cooperazione agricola), le Parti non sono riuscite a raggiungere un accordo sul contesto generale. Tale fallimento è stato determinato da visioni divergenti circa la natura volontaria degli approcci settoriali e circa l’applicazione del principio di responsabilità comuni ma differenziate (“common but differentiated responsabilities” - CBDR). Il problema delle CBDR è stato particolarmente rilevante per il fallimento dell’accordo nel settore dei trasporti: molti paesi in via di sviluppo sostengono che il concetto di CBDR dovrebbe essere applicato al settore internazionale dei trasporti facendo in modo che i paesi industrializzati si assumano il maggior onere rispetto allo sforzo complessivo. Dal canto loro, i paesi industrializzati ritengono che tale concetto potrebbe distorcere la competizione e inficiare i principi internazionali di non discriminazione che governano il settore internazionale dei trasporti. 9 2.3.2 La mitigazione da parte dei Paesi in via di sviluppo I paesi in via di sviluppo hanno concordato di mettere in atto azioni nazionali di mitigazione (le c.d. Nationally Appropriate Mitigation Action – NAMAs) in modo da ridurre entro il 2020 le proprie emissioni rispetto allo scenario business as usual (BAU). Come per le pledges operate dai paesi industrializzati, la COP ha “preso nota” anche di tutte le NAMAs da attuarsi da parte dei paesi in via di sviluppo, così come previsto nell’Accordo di Copenaghen. Secondo quanto previsto dagli Accordi di Cancún, sia le NAMAs previste dall’Accordo di Copenaghen sia qualsiasi altra NAMA che un paese in via di sviluppo voglia “volontariamente” mettere in atto, devono essere censite in un registro internazionale. Questo registro terrà, inoltre, nota del trasferimento delle risorse finanziarie operato a fronte delle diverse NAMAs, nonché servirà da strumento per abbinare fondi disponibili, non ancora allocati, a proposte di sviluppo di nuove di NAMAs. Questo tipo di provvedimento riveste un’importanza fondamentale fungendo da stimolo per l’elaborazione pratica delle differenti componenti tecniche di una NAMA. In tal senso, si fa notare che la COP ha, inoltre, deciso che i paesi industrializzati debbano fornire supporto per la preparazione e per l’attuazione delle NAMAs (capacity building), facilitando l’acquisizione delle risorse disponibili e delle tecnologie necessarie, nel rispetto di quanto attualmente previsto dall’UNFCCC. 2.3.3 Il monitoraggio, la comunicazione e la verifica I paesi industrializzati hanno acconsentito con gli Accordi di Cancún a procedere al monitoraggio, alla comunicazione e alla verifica (Monitoring, Reporting and Verification – MRV) delle azioni di mitigazione e di finanziamento connesse ai cambiamenti climatici, includendo anche un impegno a migliorare le comunicazioni nazionali relative ai provvedimenti in relazione a finanziamenti, tecnologia trasferita e capacity building, nonché relativamente ai progressi fatti internamente in termini di riduzione delle emissioni. In tal senso, i paesi industrializzati hanno, inoltre, concordato di procedere ad una revisione, a partire dall’inizio del 2011, delle linee guida sulla comunicazione e sulla revisione delle comunicazioni nazionali delle emissioni. Gli organi sussidiari (Subsidiary Body on Implementation – SBI) sono stati poi incaricati di avviare un processo internazionale che consenta di stimare le emissioni con l’obiettivo di verificarne la corrispondenza dei risultati con i target di riduzione delle stesse. I paesi industrializzati saranno tenuti a chiarire le modalità di utilizzo dei crediti di emissioni e di calcolo delle emissioni connesse alle attività LULUCF (si veda sezione specifica). Tra il 2011 e il 2013, tali paesi dovranno inoltre comunicare all’UNFCCC su base biennale l’ottemperanza degli impegni presi rispetto agli obblighi del FSF (Fast-Start Finance). Se da un lato il monitoraggio dei paesi industrializzati si concentra sulle registrazioni dei finanziamenti concessi e delle tecnologie trasferite, relativamente al MRV dei paesi in via 10 di sviluppo gli Accordi di Cancún prevedono la creazione di un sistema internazionale in grado di monitorare e contabilizzare in maniere comparabile le azioni di riduzione delle emissioni operate dagli stessi paesi in via di sviluppo a fronte del supporto tecnologico e finanziario ricevuto dai paesi industrializzati. Le azioni di mitigazione supportate da fonti finanziarie nazionali saranno, invece, soggette a regole di MRV anch’esse domestiche ma sviluppate sotto le linee guida generali prodotte nell’ambito della Convenzione. Il sistema di MRV dei paesi in via di sviluppo dovrà prevedere la comunicazione e l’aggiornamento degli inventari nazionali delle emissioni di GHG e la trasmissione di informazioni sulle azioni di mitigazione, sulle necessità e sul supporto ricevuto per svilupparle da trasmettersi ogni 4 anni con un report di aggiornamento da prodursi con cadenza biennale. Tutti i paesi, sia quelli industrializzati che quelli in via di sviluppo dovranno poi condurre, nell’ambito delle attività degli organi sussidiari, un processo di consultazione e analisi internazionali (International Consultations and Analysis – ICA) per la predisposizione di report sulle attività di mitigazione da prodursi con cadenza biennale. Tale processo si pone l’obiettivo di aumentare la trasparenza rispetto alle azioni di mitigazione condotte e ai loro effetti, attraverso un’analisi condotta da esperti tecnici internazionali che operano in consultazione con le Parti interessate. 2.4 Adattamento ai cambiamenti climatici Negli Accordi di Cancún, le Parti hanno concordato: la creazione del Cancún Adaptation Framework per aumentare gli sforzi relativi all’adattamento da parte di tutti i paesi; il lancio di un processo per aiutare i paesi sottosviluppati (LDCs) a sviluppare e mettere in atto i rispettivi piani nazionali per l’adattamento; la creazione di un Comitato per l’adattamento (Adaptation Committee) per fornire alle Parti della Convenzione un supporto tecnico, facilitare la condivisione di informazioni e di buone pratiche e fornire raccomandazioni tecniche alla COP relativamente ai temi più importanti in materia di adattamento. Il SBI dovrà produrre entro la COP di Durban alcune linee guida per la creazione del suddetto processo di supporto nei paesi in via di sviluppo, mentre l’AWG dovrà fornire indicazioni sulla composizione e sulle funzioni precise del Comitato per l’adattamento, per la loro adozione alla stessa COP. La decisione inoltre ha stabilito un piano di lavoro per esaminare gli approcci da seguire per la valutazione delle perdite e dei danni associati ai cambiamenti climatici in paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili, tra cui una struttura assicurativa insieme ad altre opzioni per la condivisione del rischio, con raccomandazioni da produrre entro la COP 18. 11 I paesi in via di sviluppo dovranno specificare le proprie necessità in termini di risorse finanziarie e tecnologie, sviluppare migliori sistemi di monitoraggio e raccolta dei dati climatici e acquisire una profonda comprensione dei trend demografici connessi ai fenomeni climatici. I paesi industrializzati dovranno, dal canto loro, garantire di rendere disponibili per i paesi in via di sviluppo nuove risorse addizionali, tecnologie (hardware e software) e formazione. La creazione da un lato di “una struttura” (framework) di collaborazione (posizione dei paesi industrializzati) invece di “un programma” (programme) per l’adattamento (posizione dei paesi in via di sviluppo) rappresenta un compromesso che si trascina però dietro di sé il dubbio su come le attività sull’adattamento verranno supportate e con quali fondi. In sintesi, la distinzione semantica oggetto di negoziato da Copenaghen, include una mancanza di fiducia da parte dei paesi industrializzati (detentori delle risorse) e i paesi in via di sviluppo relativamente alle modalità di spesa che questi ultimi saranno in grado di adottare. Tale mancanza di fiducia dovrebbe essere in parte compensata dal supporto che i paesi in via di sviluppo forniranno alle loro contro parti nello sviluppare i piani nazionali sull’adattamento. Fatti salvi questi temi di natura negoziale, un aspetto significativo dell’Adaptation Framework di Cancún è quello relativo alla possibilità di prevedere una certa interazione con il settore privato che è stato invece tradizionalmente tenuto fuori dalla sfera del finanziamento delle azioni volte all’adattamento ai cambiamenti climatici. L’interazione è data dall’invito ai paesi a considerare meccanismi di condivisione e trasferimento del rischio, attraverso per esempio, micro assicurazioni e la creazione di una istituzione internazionale di assicurazione sui rischi climatici. La decisione richiede che su questo aspetto il SBI dovrà dare indicazioni alla COP 18 in Corea del Sud. 2.5 Risorse finanziarie Relativamente al tema del climate financing, la Conferenza delle Parti di Cancún ha dato maggiore importanza al ruolo delle risorse finanziarie necessarie a movimentare i differenti aspetti chiave del regime sui cambiamenti climatici. Le decisioni prese, i cui dettagli rimangono in gran parte ancora da approfondire, rappresentano, da un punto di vista negoziale, un passo significativo e sostanziale. In generale, si evince che non ci potrà essere nessun accordo climatico internazionale senza un accordo sul quadro finanziario. D’altra parte, la volontà di inserire le discussioni sul climate financing nel contesto di un accordo climatico multilaterale, mostra l’importanza che le Parti attribuiscono ad un possibile accordo sul tema. Nello specifico, a Cancún sono stati recepiti importanti obiettivi dell’Accordo di Copenhagen sul finance: il testo finale dell’AWG-LCA, il quale include le decisioni relative 12 al finance, fa riferimento al Fast-Start Finance (FSF), al Long-Term Finance e al Green Climate Fund (GCF). 2.5.1 Fast-Start Finance - FSF E’ stato confermato l’impegno collettivo dei paesi industrializzati di allocare 30 miliardi di USD in assistenza ai paesi più vulnerabili come i paesi in via di sviluppo, le isole minori e i paesi africani. L’impegno è quello di fornire risorse finanziarie “nuove ed addizionali” che siano “allocate in modo equilibrato tra adattamento e mitigazione.” Il Fast-Start Finance terminerà nel 2012. L’integrazione degli impegni finanziari in una decisione della COP è in sé un passo importante per responsabilizzare i paesi industrializzati. Tuttavia non esiste nessun accordo che identifichi e impegni sulle fonti di finanziamento – un problema questo che continua a sussistere da Copenhagen dove non è stato creato alcun registro in grado di tracciare i singoli impegni e i risultati ottenuti rispetto ad essi. Avvertendo che una tale mancanza di chiarezza potrebbe causare gravi danni alla legittimità del FSF, il governo olandese, in cooperazione con UNDP, UNEP, UNFCC e Banca Mondiale, ha realizzato una piattaforma web con lo scopo di aumentare la trasparenza sul tema. Il progetto mirava a raccogliere le informazioni necessarie a fornire una visione d’insieme in preparazione alle negoziazioni di Cancún. A dicembre, tuttavia, solo una parte dei paesi contribuenti (21 inclusi gli Stati Uniti e l’Unione Europea) avevano inserito i propri dati sulla piattaforma. Anche a valle della conferenza di Cancún, non esiste ancora nessun formato comune per assicurare un reporting omogeneo dei dati e risulta in generale difficile risalire ai progetti messi in atto dai paesi contribuenti. In definitiva, dunque, un primo elemento in grado di migliorare la credibilità e la funzionalità dei meccanismi del FSF, sarebbe la creazione di un sistema standardizzato che consenta di verificare l’effettiva attuazione degli impegni intrapresi a Copenhagen e Cancún. Inoltre, non sembra che ci sia un reale equilibrio distributivo tra le allocazioni per l’adattamento e quelle per le azioni di mitigazione visto che i finanziamenti per la mitigazione ricoprono circa 8090 per cento del totale dei finanziamenti. 2.5.2 Il Green Climate Fund - GCF Uno dei risultati più rilevanti delle negoziazioni dell’UNFCCC a Cancún è la decisione delle parti di istaurare un fondo finanziario di risorse destinate all’ambiente, il Green Climate Fund (GCF), che è stato menzionato per la prima volta nell’Accordo di Copenhagen. I dettagli dell’iniziativa sono descritti nel testo finale dell’AWG-LCA. A integrazione del FSF, la decisione è stata accolta come possibile soluzione alle necessità di climate financing di lungo termine. Tuttavia rimane la preoccupazione che si possa creare un “fondo vuoto”, creato al solo scopo di inserire i paesi in via di sviluppo in un regime internazionale e vincolante di politiche climatiche ma senza fornire dei contenuti definiti in merito a risorse e azioni finanziate. 13 Il GCF dovrebbe diventare operativo tramite approvazione della COP 17 a Durban e le parti sono state quindi incaricate di decidere su forma e modalità di funzionamento del fondo nel periodo da marzo a novembre 2011. In definitiva, dunque, numerose azioni dovranno essere attuate in vista della COP 17 e le negoziazioni preparatorie dovranno risolvere ancora molti dettagli. Tre sono i principali argomenti da chiarire: modalità di gestione: come e da chi sarà gestito il fondo; capitalizzazione: come e a che titolo verrà raccolto il capitale del fondo; erogazione: come saranno distribuiti i fondi una volta raccolti. Relativamente alla primo aspetto, il testo dell’Accordo di Cancún definisce alcuni dettagli: il Fondo dovrà rendere conto alla Conferenza delle Parti e sarà sotto la sua guida, ma la COP non potrà selezionare i membri del consiglio e il consiglio non dovrà sottoporre le regole generali e linee guida all’approvazione della COP; sarà amministrato da un consiglio composto da 24 membri, provenienti da paesi industrializzati e in via di sviluppo. Sarà garantita la rappresentanza di gruppi regionali, ovvero Africa, Asia e del gruppo dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi (GRULAC). Sono rappresentati anche gli Small Island Developing States (SIDS) e il gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC) – i due gruppi di paesi che subiscono di più l’impatto dei cambiamenti climatici; la Banca Mondiale sarà l’amministratore ad interim per i primi tre anni di operatività del fondo; il GCF avrà un segretariato indipendente di supporto; sarà creato un comitato di transizione, il Transitional Committee, che sarà composto da esperti provenienti per la maggior parte da paesi in via di sviluppo. Infine, sempre da un punto di vista gestionale, è stato proposto di costituire una commissione permanente, lo Standing Committee sotto la guida della COP, che assisterà la stessa nell’esercizio delle proprie funzioni relativamente ai meccanismi finanziari dell’UNFCCC (incluso il GCF). Ruolo e funzioni specifici di questo comitato rimangono non definiti nel testo di Cancún. Per quanto riguarda il ruolo di Banca Mondiale si evince che essa svolgerà principalmente il ruolo di amministrazione finanziaria: la Banca non avrà dunque un ruolo ufficiale per quanto riguarda la forma e la gestione del fondo. Tuttavia, risulta probabile che esperti di Banca Mondiale saranno distaccati presso il Transitional Committee e forniranno quindi raccomandazioni su procedure operative, criteri di selezione dei progetti, standard di definizione delle performance o misure di tutela da sottoporre alla COP17 per approvazione. Considerando il ruolo indiretto ma importante della Banca Mondiale, sono 14 comprensibili le preoccupazioni di alcuni paesi in via di sviluppo che temono l’influenza della Banca in rappresentanza degli interesse dei paesi ricchi. Il Transitional Committee si occuperà dell’impostazione generale del Green Climate Fund. Il comitato sarà composto da 15 membri provenienti da paesi industrializzati e 25 da paesi in via di sviluppo, quest’ultimi in rappresentanza dei relativi gruppi regionali delle Nazioni Unite, ovvero Africa, Asia e il gruppo dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi (GRULAC). Anche in questo caso sono rappresentati gli Small Island Developing States (SIDS) e il gruppo dei paesi meno sviluppati (LDC). Mettere insieme un gruppo così eterogeneo in così poco tempo sarà una sfida importante per il segretariato esecutivo dell’UNFCCC, considerando che i membri del comitato dovranno avere le “esperienze necessarie sia in finance che sui cambiamenti climatici”. L’AWG-LCA raccomanda in particolar modo di fare riferimento al personale delle agenzie rilevanti delle Nazioni Unite, istituzioni finanziarie ed economiche internazionali e al personale di banche multilaterali di sviluppo. La decisione di includere un gruppo di esperti – affiancato da osservatori – e non invece i ministri delle finanze come inizialmente proposto dagli Stati Uniti, rispecchia la volontà di assicurare una maggiore trasparenza dei processi. Uno dei compiti principali del comitato sarà di chiarire l’equilibrio tra fondi per azioni di mitigazione e per l’adattamento. Il testo LCA non approfondisce l’argomento, ma considerando l’attuale squilibrio dei fondi climatici verso le azioni di mitigazione, ci si aspetta che i fondi per l’adattamento ricevano un supporto significativo dal GCF. Lo Standing Committee dovrà assistere la COP nel migliorare “la coerenza e il coordinamento della distribuzione dei fondi sui cambiamenti climatici, razionalizzare i meccanismi finanziari, mobilizzare nuove risorse e assicurare il monitoraggio, la comunicazione e la verifica del supporto fornito ai paesi in via di sviluppo” (si veda anche sezione su MRV). Ruolo e funzioni della commissione sono ancora da definire e sarà rilevante stabilire quale tipo di potere e autorità dovrà avere. Sarà cura della commissione approfondire anche come il GCF interagirà con altri fondi già costituiti all’interno e esterno del contesto UNFCCC. La commissione dovrà inoltre verificare l’opportunità di creare una gerarchia che assegni al GCF un ruolo di supervisione o uno consultativo rispetto a questi fondi nonché dovrà appurare in che modo si potranno evitare sovrapposizioni. Relativamente alla capitalizzazione del GCF, il testo LCA fornisce pochi dettagli su come il GCF sarà costituito. Il GCF si inserisce nel contesto dell’impegno delle parti di mobilizzare 100 miliardi di USD all’anno al 2020 per andare incontro alle esigenze dei paesi in via di sviluppo. Le Parti, confermando l’impegno inizialmente proposto a Copenhagen, non sono però riuscite a stabilire un calendario per incrementare i 10 miliardi di USD al 2012 15 del Fast-Start Finance per arrivare all’impegno globale di lungo termine di 100 miliardi all’anno. Il Transitional Committee che si dovrà occupare di questo argomento, potrà contare sul lavoro svolto dal High Level Advisory Group on Climate Change Financing (AGF), organismo incaricato di identificare potenziali fonti per arrivare all’obiettivo finale di 100 miliardi. Il rapporto dell’AGF è stato pubblicato prima della COP di Cancún: esso ha constato che i finanziamenti dovranno provenire da fonti diverse, includendo finanziamenti pubblici, strumenti di banche di sviluppo, mercato del carbonio e capitali privati. Un’ipotesi potrebbe anche essere la capitalizzazione attraverso un sistema di tassazione delle emissioni di carbonio dei settori internazionali marittimo e dell’aviazione. Il rapporto del AGF non specifica invece il rapporto tra risorse pubbliche e private – questione che peraltro è rimasta in sospeso a Cancún dato che le parti hanno solo “preso nota” del rapporto AGF senza compiere ulteriori passi avanti definitori. Rimangono da identificare e creare anche gli incentivi adatti ad incoraggiare i paesi a partecipare al GCF. È stata criticata la presenza di un numero rilevante di fondi bilaterali e multilaterali con obiettivi simili che contribuiscono a complicare l’architettura finanziaria complessiva. Lo Standing Committee dovrà affrontare tale problematica con urgenza onde evitare di creare sovrapposizioni con altri fondi che potrebbero portare ad una eventuale frammentazione del GCF2. Una possibile soluzione prevede di far svolgere al GCF la funzione di “fondo dei fondi”: il fondo servirebbe cioè da strumento per accorpare gli altri fondi. Apparentemente però questa visione iniziale non è stata recepita a Cancún dove le parti hanno optato per una “co-esistenza” del fondo con gli altri. Relativamente alle modalità di erogazione, il testo dell’AWG-LCA non fornisce maggiori dettagli. Eccezione fa soltanto il riferimento “all’accesso diretto” alle risorse, cioè alla possibilità dei paesi percipienti di accedere direttamente o tramite un ente erogatore dei fondi, ma senza passare attraverso altre istituzioni. Tale approccio verrà seguito anche dall’ Adaption Fund previsto nel contesto delle negoziazioni relative al Protocollo di Kyoto. In questi mesi dovranno essere decise le diverse forme di finanziamento previste dal GCF che possono variare da sovvenzioni, prestiti, capitale sociale fino allo strumento delle garanzie finanziarie. Si presuppone che il supporto finanziario all’adattamento venga fornito attraverso delle sovvenzioni, cosa che non vale necessariamente anche per il finanziamento delle azioni di mitigazione. La scelta delle sovvenzioni potrebbe risultare vincente almeno per i paesi più Attualmente è in corso un’iniziativa per creare un fondo per l’Africa, l’Africa Green Fund che sarà gestito dall’African Development Bank. Il fondo avrà obiettivi simili al Green Climate Fund e potrebbe quindi portare ad un disinteressamento da parte di paesi africani verso il GCF. 2 16 poveri e sarà sostanziale per il GCF assicurare una buona corrispondenza tra il tipo di finanziamento e l’azione da finanziare. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un quadro equilibrato per un’allocazione tarata sui fabbisogni dei singoli paesi che possa supportare, attraverso interventi puntuali i programmi nazionali. Questo ambizioso obiettivo comporta un processo di ricognizione di base: ogni governo nazionale, insieme alla società civile e al settore privato, dovrà decidere le priorità degli investimenti nazionali per il clima. Una tale attività esiste parzialmente per le priorità nazionali definite dai National Adaption Programmes of Action (NAPAS) e sarà sviluppata anche per le NAMAs. Come descritto sopra, per le NAMAs è inoltre stata prevista la costituzione di un loro registro: esso potrebbe essere integrato nel GCF, così da far corrispondere, in modo sistematico, le esigenze dei paesi in via di sviluppo di riduzione delle proprie emissioni con canali di finanziamento esistenti e nuovi. 2.6 Trasferimento tecnologico Nel 2009 le Parti della Convenzione hanno iniziato a convergere sul concetto di creare un nuovo Technology Mechanism, che diventi il cuore di un sistema condiviso per lo sviluppo e il trasferimento tecnologico per la mitigazione e l’adattamento. A Copenhagen si è arrivati prossimi al raggiungimento dell’accordo sul tema ed ulteriori passi avanti sono stati registrati a Cancún. Fatte salve tali premesse, rimane da ribadire che il trasferimento di tecnologie rimane comunque un aspetto chiave di qualunque futuro accordo o scenario politico di governo delle problematiche climatiche. Secondo quanto fino ad oggi discusso, il Technology Mechanism dovrebbe avere un duplice obiettivo: relativamente alle attività di mitigazione, quello di accelerare lo sviluppo e l’utilizzo di innovazioni progettate per ridurre le emissioni, con un loro trasferimento dai paesi ricchi a quelli poveri; relativamente alle misure di adattamento, quello di consentire l’avanzamento di tecnologie, quali ad esempio produzioni agricole più resistenti a eventi meteo estremi (siccità e alluvioni), essenziali per aiutare i paesi in via di sviluppo a convivere con gli effetti del riscaldamento globale. L’accordo di Cancún ha confermato il sistema di governance a due livelli discusso sin dai lavori di Copenhagen, approvando un meccanismo composto da: 1. un “Technology Executive Committee”, un ente che funga da comitato di indirizzo e supervisione, con venti membri, di cui 9 nominati dai paesi industrializzati e 11 dai paesi in via di sviluppo. Questo comitato svolgerà un ruolo di guida, individuando priorità, identificando i paesi con necessità di supporto e coordinando gli sforzi di 17 sviluppo finalizzati ad abbattere le barriere all’innovazione tecnologica in tutto il mondo; 2. un “Climate Technology Centre and Network”, struttura ben più corposa, che dovrà svolgere un ruolo più operativo, portando avanti in tutto il mondo gli indirizzi forniti dal Technology Executive Committee. Le attività potranno spaziare dai workshop per facilitare il trasferimento di conoscenze sino alla costruzione di progetti nei paesi che manifestano un’esigenza particolare. Il testo relativo al meccanismo del trasferimento tecnologico si è confermato largamente condiviso a Cancún, nonostante siano necessari progressi significativi sui dettagli. Per essere pienamente operative, inoltre, le attuali iniziative dovranno essere legalmente vincolanti per i Paesi ed accompagnate da informazioni chiare riguardo alla fonte di finanziamento. Va sottolineato, tuttavia, come rispetto ad altri elementi dell’accordo di Cancún, il trasferimento di tecnologie sia caratterizzato da controversie limitate; sia le nazioni sviluppate che quelle in via di sviluppo valutano raggiungibili i necessari progressi da compiere in questo campo, che non presenta infatti le strenue divisioni che circondano il secondo periodo del Protocollo di Kyoto o il meccanismo REDD. Come descritto nel documento di analisi del negoziato antecedente alla COP di Cancún, i principali problemi individuati alla vigilia della Conferenza si riconducevano a: brevetti/diritti di proprietà intellettuale (Intellectual Property Rights - IPRs): molti paesi in via di sviluppo considerano i brevetti una barriera alla diffusione della tecnologia, auspicando un loro alleggerimento e l’introduzione di incentivi al trasferimento di brevetti; assenza di progressi su elementi quali MRV e contributi alle riduzioni di emissioni, senza i quali viene a mancare il quadro in cui misurare in maniera condivisa il trasferimento tecnologico. Il punto sui diritti di proprietà intellettuale è particolarmente controverso per le implicazioni politiche più generali, con i Paesi ricchi in passato decisi a mantenere invariato l’esistente sistema di brevetti costruito intorno al WTO, contrapposti ai Paesi più poveri che potrebbero sfruttare l’UNFCCC per contribuire allo smantellamento della regolamentazione dei brevetti del WTO stesso. Se dalla Conferenza è emersa la consapevolezza che si tratti di un argomento importante e da riconsiderare, è altrettanto chiaro che numerosi approfondimenti dovranno essere risolti durante gli incontri del 2011. I progressi, seppure limitati, in tema di MRV vanno nella giusta direzione di una misurazione condivisa dei trasferimenti di tecnologia, ancorché con tempi di attuazione ancora difficili da valutare. 18 I fabbisogni tecnologici dovranno invece essere determinati a livello nazionale e basarsi su priorità nazionali, elemento questo che si è rivelato centrale per i paesi in via di sviluppo. La decisione di Cancún, inoltre, identifica numerose possibili aree prioritarie per il progresso tecnologico, incoraggiando esplicitamente la cooperazione bilaterale e multilaterale. Parallelamente ai negoziati UNFCCC, il trasferimento tecnologico si sta confermando un tema significativo anche a livello multinazionale o bilaterale, indipendentemente dai progressi fatti dal processo coordinato dalle Nazioni Unite. In linea generale, infatti, si identificano con il termine di Technology Oriented Agreements (TOA) quegli accordi multinazionali sulle tecnologie, che includono standard di performance minime, etichettatura o prescrizioni su cosa si configuri come migliore tecnologia disponibile e quali tecnologie debbano essere considerate obsolete (e quindi da dismettere). Un esempio di TOA spesso citato è rappresentato dalla Partnership dell’Asia-Pacifico sul “clean development and climate” (nota come APP), sotto il cui cappello sono state pianificate o avviate una serie di attività quali accordi tecnologici nei maggiori settori energivori. Tali accordi sono stati guidati prevalentemente dal Giappone, che si è concentrato sull’opportunità di rendere le tecnologie esistenti il più efficienti possibile e le nuove tecnologie il più possibile rispettose del clima. Operativamente gli accordi nell’ambito dell’APP hanno incluso sinora scambi di informazioni e discussioni sulle migliori pratiche. 2.7 Riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado delle foreste e per l’aumento dello stock di carbonio Relativamente al tema del meccanismo di riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado delle foreste per l’aumento dello stock di carbonio (REDD+ Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation and enhancement of carbon stock), a Cancún si è giunti a un accordo sul quadro di riferimento e su alcuni elementi chiave per lo sviluppo del suddetto meccanismo. Nel contesto dei complessi negoziati sui cambiamenti climatici e su come la comunità internazionale possa proseguire e rafforzare l’azione volta a contrastarne l’avanzamento, il tema REDD+ è stato oggetto di particolare attenzione durante la COP-16, essendo uno degli strumenti di mitigazione a più alto potenziale che però finora non è stato utilizzato nell’ambito della cooperazione internazionale. La COP-MOP15 aveva adottato le linee guida metodologiche per la contabilizzazione, il reporting e il controllo delle attività REDD+ e nell’accordo di Copenaghen nell’ambito della Convenzione era incluso un esplicito riferimento alla necessità della creazione immediata di un meccanismo complessivo di mitigazione che includesse il REDD+. Di fatto, in quella sede si è raggiunto un consenso informale su alcuni punti essenziali quali il 19 campo di applicazione del meccanismo REDD+, alcuni principi di salvaguardia delle popolazioni indigene, un processo di attuazione in fasi e il livello di riferimento e la scala per il calcolo delle riduzioni di emissioni. Alcune modifiche delle posizioni negoziali nel percorso da Copenhagen a Cancún hanno sostanzialmente fatto compiere un passo indietro. In particolare, hanno comportato una limitazione delle ambizioni, le richieste avanzate dalla Bolivia tese a focalizzare il meccanismo REDD+ sul tema della cooperazione finalizzata unicamente alla riduzione della deforestazione e del degrado forestale, alludendo alla possibilità che il meccanismo venga escluso dal mercato del carbonio. Le criticità sollevate in merito alla inclusione del meccanismo REDD+ nel mercato del carbonio sono quelle relative ai principi di salvaguardia delle popolazioni indigene (400 milioni di persone vivono nelle foreste pluviali che sarebbero potenzialmente oggetto del REDD+) e quelle relative al rischio per la biodiversità derivanti dalla trasformazione in commodity (bene fungibile, ad elevata standardizzazione) delle foreste pluviali, o meglio del carbonio in esse contenuto. In sostanza, la critica sostenuta in particolare dalla Coalition for Rainforest Nations è che il REDD+, se non adeguatamente definito, rischia di diventare uno strumento che favorisce gli affari dell'economia verde dei paesi industrializzati, ma distrugge il verde, la cultura e l'economia dei paesi in via di sviluppo. Nella sessione negoziale di Cancún è stato trovato l’accordo su numerosi elementi chiave del meccanismo REDD+ ed è stata raggiunta un’intesa su un piano che dovrebbe portare all’effettiva implementazione del meccanismo stesso. Non si è riusciti però ad istituire formalmente il meccanismo REDD+ per l’assenza di accordo su alcuni altri elementi essenziali quali la definizione delle fonti finanziarie a supporto del meccanismo stesso e la decisione sulla natura di mercato del meccanismo. In estrema sintesi, la decisione di Cancún definisce il campo di applicazione delle attività eleggibili (e finanziabili) nel meccanismo REDD+, le linee guida per lo sviluppo e l’attuazione delle politiche nazionali a supporto del REDD+, i piani di azione e i sistemi di gestione che devono essere sviluppati a livello nazionale a supporto del REDD+, la necessità di un approccio a tre fasi per l’attuazione delle politiche e delle misure, la necessità delle risorse finanziarie dei paesi industrializzati a supporto delle attività, un piano di lavoro per lo sviluppo dell’MRV delle azioni, la definizione del livello di riferimento delle emissioni delle foreste, il monitoraggio dei livelli delle foreste, l’identificazione dei driver della deforestazione. Le opzioni per finanziare il meccanismo REDD+ invece non sono state definite, e sono rimandate alle negoziazioni di quest’anno nell’ambito dell’AWG-LCA, con l’obiettivo di essere presentate e discusse alla prossima COP. Non è stato neanche trovato l’accordo in merito all’utilizzazione di un meccanismo di mercato a supporto del REDD+, che è 20 un’opzione supportata dai paesi potenziali investitori e avversata dai paesi che fanno parte della Rainforest Coalition. In definitiva, la decisione di Cancún rimane abbastanza generica in merito alle specifiche operative del meccanismo REDD+, ma sostanzialmente garantisce che le negoziazioni e le attività pilota sui REDD+ possano proseguire. In tal senso gli organi sussidiari dovranno decidere un piano di lavoro dettagliato sul tema REDD+. Per attuare effettivamente un meccanismo di incentivazione delle riduzioni delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale e dalla gestione sostenibile delle foreste e dall’aumento degli stock di carbonio, sono necessari approfondimenti in merito alla regolazione del mercato del carbonio relativo alle foreste globali, ai meccanismi di formazione del prezzo su questo mercato, alla misurazione delle emissioni e stock del carbonio forestale e al finanziamento del programma. Sono temi intrinsecamente complessi e legati, inoltre, ad altre problematiche negoziali di difficile soluzione quali gli obiettivi di mitigazione, le NAMAs e l’utilizzazione dei meccanismi di mercato per finanziare le riduzioni nei paesi in via di sviluppo. Anche il finanziamento dello strumento REDD+ è una questione aperta, visto che non esistono altri finanziamenti a lungo termine oltre ai circa 4 miliardi di USD di un seed fund, quando è stato invece stimato che sarebbero necessari circa 100 miliardi di USD per raggiungere gli obiettivi al 2020. La pressione dei gruppi della società civile e di alcuni Paesi Latinoamericani ha contribuito ad aumentare la già viva attenzione in merito ai diritti delle comunità indigene che già abitano le aree che dovrebbe essere protette e che saranno oggetto dei finanziamenti del meccanismo REDD+. Considerando l’evoluzione dei negoziati sin qui registrata, è verosimile che la spinta per un’adeguata garanzia dei diritti dei 400 milioni di persone che vivono nelle foreste sia destinata ad aumentare. Quindi, sebbene la decisone di Cancún già ponga un’adeguata rilevanza sulla questione, è necessario che vengano disegnati adeguati strumenti di garanzia a livello internazionale e nazionale, se si vuole effettivamente rendere operativo il meccanismo REDD+. Se le suddette criticità saranno affrontate e risolte con successo durante quest’anno, un accordo legale sul meccanismo REDD+ potrà essere formalizzato nell’incontro di Durban 2011. Così facendo, sarà stato compiuto un ulteriore passo avanti per la creazione di un regime internazionale per la lotta ai cambiamenti climatici. 3. Ad Hoc Working Group on Kyoto Protocol - AWG KP Il Protocollo di Kyoto include target di riduzione di emissioni per paesi industrializzati relativamente al primo periodo di impegni che si concluderà nel 2012. I paesi in via di sviluppo dal canto loro, ritengono poco verosimile il rinnovo di un accordo sullo stile del protocollo di Kyoto relativamente al secondo periodo di impegni. I provvedimenti, 21 previsti nella bozza di testo dell’AWG KP, prodotta durante i negoziati del 2010, non sono stati adottati a Cancún. La bozza di testo includeva un’opzione di inserimento di una tabella Annesso B per l’iscrizione di nuovi impegni individuali per i paesi industrializzati, un nuovo target collettivo di impegni di riduzione di emissioni per il secondo periodo di impegni, nuovi meccanismi di mercato e l’applicazione di questi provvedimenti emendativi, in maniera preventiva prima della loro entrata in vigore. Fatte salve tali premesse, nonostante la mancanza di consenso su nuovi impegni di riduzione delle emissioni e su un risultato generale legalmente vincolante, la Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP) è riuscita comunque a Cancún ad adottare un set rilevante di decisioni con l’intento di assistere eventualmente le Parti nel fare progressi verso un secondo periodo di impegni. Il futuro del Protocollo di Kyoto rimane tuttavia poco chiaro. Mentre i paesi in via di sviluppo hanno fatto pressioni per l’approvazione di un secondo periodo di impegni, i paesi industrializzati, e in particolare Giappone, Canada e Russia hanno chiaramente espresso il proprio dissenso a nuovi impegni senza la partecipazione degli Stati Uniti. Il risultato negoziale prevede un compromesso tra queste due posizioni che prevede di posporre il tema ai negoziati del 2011 o del 2012 (non è stata prevista una scadenza specifica dei lavori dell’AWG KP). Come detto nella sezione introduttiva, infatti, la decisione dell’AWG KP contiene elementi che segnalano l’intento delle parti di risolvere questioni pendenti al più presto possibile e comunque in tempo utili da evitare discontinuità operative tra i due periodi di impegno. 3.1 Land Use, Land-Use change and Forestry - LULUCF La CMP ha adottato una decisione separata sul tema, che conferma i principi e le definizioni del LULUCF dal primo al secondo periodo di impegni. E’ stato creato un allegato alla decisione destinato a contenere i dati sui livelli di riferimento per la contabilizzazione delle emissioni derivanti dalla gestione forestale in un possibile secondo periodo di impegni. Come compromesso tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, i livelli di riferimento delle emissioni della gestione forestale non costituiscono ancora i valori definitivi e verranno sottoposti ad un processo di revisione. 3.2 Riforme relative al CDM In generale, relativamente ai meccanismi di mercato, la CMP ha accettato alcune riforme operative al fine di semplificare le attività CDM ed espanderne le possibilità di utilizzo: concedere l’emissioni di crediti dal giorno della richiesta di registrazione del progetto fatta nei confronti dell’ente di certificazione di parte terza (Designated Operational Entity – DOE); 22 assicurare che errori di redazione non comportino il rigetto della richiesta di registrazione del progetto o di rilascio dei certificati perché interpretati come incompleta ottemperanza degli obblighi di validazione e verifica; esplorare modalità alternative per la dimostrazione dell’addizionalità. Inoltre, nella decisione si fornisce una definizione ufficiale, seppure generica, di baseline standardizzate intendendo per esse quelle che sono predisposte da una Parte o un gruppo di Parti per facilitare il calcolo della riduzioni e degli assorbimenti di emissioni e/o la determinazione dell’addizionalità delle attività di progetto CDM, fornendo al contempo assistenza per assicurare l’integrità ambientale del progetto. Le baseline standardizzate potranno essere predisposte dall’EB del CDM o dalle Autorità Nazionali Designate (responsabili delle verifiche di conformità dei progetti a livello nazionale) anche su proposta dei diversi portatori di interesse di progetto (es. associazioni di industriali, partecipanti di progetto, ecc.) Tuttavia, molte delle decisioni importanti e buona parte del linguaggio negoziale rilevante sono state lasciate fuori dalla decisione sui CDM. In particolare, l’attuale decisione non include alcun riferimento alla continuazione del CDM dopo il 2012. La bozza di testo arrivata a Cancún per essere negoziata includeva, inoltre, alcune opzioni relativamente al tema del ruolo delle foreste e dell’agricoltura nel CDM (sectoral agreements in questi settori, come anticipato sopra). Tutto il testo relativo a tali opzioni (altre opzioni oltre i crediti temporanei per risolvere il rischio di permanenza e per espandere potenzialmente l’applicabilità dei CDM oltre le attività di afforestazione e riforestazione fino ad andare a considerare la rivegetazione, la gestione forestale, la gestione dei campi coltivati e la gestione del carbonio nei suoli in agricoltura come altri tipi di gestione della terra) è stato eliminato dalla decisione finale. Relativamente alle attività di Cattura e Stoccaggio della CO2 (Carbon Dioxide Capture and Storage – CCS) nelle formazioni geologiche, la decisione prevede che esse siano attività eleggibili come CDM a patto che vengano risolte le criticità già evidenziate nella decisione dell’anno precedente3. Tali criticità, come noto, sono relative a problemi di natura tecnica (come ad esempio la permanenza della CO2 all’interno delle formazioni geologiche, inclusa quella di lungo periodo, la sicurezza dei siti, ecc) e di natura legale e Paragrafo 29,dec. 2 CMP 5: “Recognizes the importance of carbon dioxide capture and storage in geological formations as a possible mitigation technology, bearing in mind the concerns related to the following outstanding issues, inter alia: (a) Non-permanence, including long-term permanence; (e) International law (b) Measuring, reporting and verification; (f) Liability; (c) Environmental impacts; (g) The potential for perverse outcomes; (d) Project activity boundaries; (h) Safety; (i) Insurance coverage and compensation for damages caused due to seepage or leakage”. 3 23 amministrativa (la responsabilità di lungo periodo del proponente del progetto, il confine fisico dell’attività di progetto, ecc.). Data la rilevanza di tali problematiche, la decisione appare sostanzialmente debole. Le criticità appaiono risolvibili, infatti, solo in seguito a sperimentazione di lungo periodo e fanno di conseguenza temere che pochi sviluppatori siano effettivamente interessati a mettere in atto l’opzione CDM per il CCS, in particolare se incentivati dal solo driver del mercato del carbonio. 4. Il futuro regime sui cambiamenti climatici e il mercato del carbonio In questa sezione, sarà condotta un’analisi di quanto deciso a Cancún per trarre delle indicazioni su come potrà conformarsi il futuro regime sui cambiamenti climatici e su quali caratteristiche avrà il mercato del carbonio. Come citato precedentemente, gli Accordi di Cancún hanno visto la formale adozione delle promesse di riduzione che componevano la nota informativa che costituiva la base dell’Accordo di Copenaghen. In sintesi, si può affermare che il testo dell’AWG LCA ha preso in considerazione le priorità dei paesi in via di sviluppo relativamente ai finanziamenti, all’adattamento, al trasferimento tecnologico e REDD nonché il necessario supporto alla realizzazione delle NAMAs. Le priorità dei paesi industrializzati relativamente alla predisposizione di un robusto sistema di monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni, la creazioni di nuovi meccanismi di mercato nonché l’inserimento nel testo di un meccanismo di ancoraggio per l’iscrizione degli impegni di riduzione delle emissioni nella decisione finale relativa al Protocollo di Kyoto, sono anch’esse state una parte importante dell’accordo finale di Cancún. Tuttavia, sorprendentemente, questo tipo di meccanismo di ancoraggio che legasse gli obiettivi di riduzione delle emissioni e un secondo periodo di adempimento degli impegni sotto il Protocollo di Kyoto, non è stato previsto nel testo finale prodotto dall’AWG KP. Il motivo di tale omissione risiede essenzialmente nel livello di obbligatorietà legale tra gli impegni/azioni dei paesi industrializzati e lo stesso degli impegni/azioni dei paesi in via di sviluppo. I negoziati relativi a tale aspetto sembrano essere completamente tramontati. Senza alcun tipo di meccanismo di ancoraggio nel testo, le Parti iscritte nell’Allegato B del Protocollo di Kyoto hanno solo la facoltà, ma non l’obbligo, di iscrivere o meno il proprio gruppo di impegni nel Protocollo di Kyoto. Con gli USA e le maggiori economie emergenti (Cina, India, Brasile) quasi certamente favorevoli ad un accordo meno vincolante del Protocollo di Kyoto, è difficile credere che qualcuna delle Parti dell’Allegato B, inclusa la UE, acconsentirebbe ad inscrivere i propri target come un emendamento del Protocollo di Kyoto. Questo aspetto comporta delle pesanti implicazioni per l’evoluzione del regime sui cambiamenti climatici. In primo luogo, lo sviluppo di un nuovo regime sembra oggi essere caratterizzato da un approccio di tipo bottom-up rispetto al modello top-down proprio del Protocollo di Kyoto. Di conseguenza, il regime internazionale delle 24 azioni di compensazione delle emissioni (offsets) sarà probabilmente definito individualmente dai diversi paesi e non sarà soggetto a sanzioni di un organismo internazionale di supervisione come l’EB del Protocollo di Kyoto. I paesi a livello individuale giocheranno inoltre, probabilmente, un ruolo di maggiore rilevanza nel decidere le modalità di rendicontazione delle proprie emissioni incluse quelle derivanti dalle attività di LULUCF4. Inoltre, per quanto riguarda le decisioni con esplicita rilevanza rispetto al mercato del carbonio (e al regime sui cambiamenti climatici), il testo finale del AWG LCA ha incluso una serie di punti i cui dettagli non sono stati approfonditi per evitare di riaprire il dibattito alla tarda ora in cui si sono conclusi i negoziati di Cancún. Nella sezione del testo finale relativa ai nuovi meccanismi di mercato, è fatto esplicito riferimento alla possibilità di esplorare meccanismi non di mercato5. Tuttavia nessuno ha ben chiaro a che cosa si faccia riferimento con il termine di “non-market-based mechanism”. Sono state fatte alcune speculazioni sulla possibilità che si possa voler intendere una specie di meccanismo di attribuzione del prezzo per l’utilizzo dei combustibili nei settori marittimo e dell’aviazione. Ci sono poi, altri due paragrafi che fanno riferimento a meccanismi di mercato: il primo6 richiede di considerare la creazione di uno o più meccanismi di mercato tenendo in considerazione alcuni aspetti tra cui la complementarità con le NAMAs. Sempre secondo la stessa decisione, nello sviluppo di tali meccanismi si dovrà cercare di mantenere le regole esistenti sui meccanismi del Protocollo di Kyoto nonché basarsi su di essi per ampliarne l’applicabilità. Nel secondo paragrafo dedicato ai meccanismi di mercato7 si richiede all’AWG LCA di elaborare il o i meccanismi relativi alle NAMAs8 per sottoporlo/i a decisione alla prossima COP. I due paragrafi sembrano voler creare una distinzione (non chiara) tra due tipi di meccanismi di mercato: i primi rappresenterebbero 4 La Cina e gli USA hanno in tal senso già reso noto che non accetteranno sanzioni internazionali né per la non ottemperanza agli impegni, né per il mancato rispetto alle azioni. Relativamente alle fonti di finanziamento, inoltre, il testo non fa riferimento alla nozione tradizionale di finanziamento pubblico per fornire i 100 miliardi di dollari all’anno necessari ai paesi in via di sviluppo per affrontare i cambiamenti climatici. Il testo del AWG KP fa invece riferimento ad una mobilitazione di risorse adeguate, lasciando la porta aperta al coinvolgimento attivo del settore privato che possa fornire le risorse necessarie. 5 “Decides to consider the establishment, at its seventeenth session, of one or more non-market-based mechanisms to enhance the cost-effectiveness of, and to promote, mitigation actions”; 6 “Decides to consider the establishment, at its seventeenth session, of one or more market-based mechanisms to enhance the costeffectiveness of, and to promote, mitigation actions […]”. 7 “Requests the Ad Hoc Working Group on Long-term Cooperative Action under the Convention to elaborate the mechanism or mechanisms referred to in paragraph 49 above, with a view to recommending a draft decision or decisions to the Conference of the Parties for consideration at its seventeenth session”; 8 Paragrafo 49: “Takes note of nationally appropriate mitigation actions to be implemented by non-Annex I Parties as communicated by them and contained in document FCCC/AWGLCA/ /2010/INF.Y5 (to be issued)”; 25 una evoluzione dei meccanismi di Kyoto, i secondi sarebbero la forma attuativa di mercato delle riduzioni di emissioni a partire dalle NAMAs. L’analisi del testo negoziale prodotto dall’AWG LCA non fornisce ulteriori indicazioni sulla futura conformazione del mercato del carbonio. Pur riconoscendo una rinascita del processo multilaterale alla possibile base di un futuro regime sui cambiamenti climatici, è importante non crearsi troppe aspettative per Durban dal momento che molti degli aspetti critici sostanziali non sono stati risolti. Per procedere sarebbe necessario, infatti, compiere progressi sostanziali relativamente alle caratteristiche e al funzionamento dei meccanismi di mercato e di non-mercato. Alcuni aspetti, come ad esempio la creazione di una commodity effettivamente fungibile a livello internazionale, sembrano di difficile soluzione. E’ inoltre necessario approfondire in che modo possa essere accresciuto il ruolo del settore privato relativamente alle decisioni sulle modalità di finanziamento di tali meccanismi. Un altro aspetto del variegato mercato della CO2 è relativo al fatto che molti paesi usano o stanno pianificando di utilizzare, individualmente o in maniera cooperativa, schemi di emission trading di GHG come componenti dei loro piani di mitigazione dei cambiamenti climatici (low carbon development plans). Queste iniziative contribuiranno a creare mercati regolati del carbonio uno differente dall’altro, tutti formalmente non vincolati al Protocollo di Kyoto come è anche per il sistema EU ETS. Molte delle azioni di mitigazione attuate nei paesi in via di sviluppo sono sviluppate senza il beneficio di un loro riconoscimento internazionale nel contesto dell’attuale regime sui cambiamenti climatici. Mentre alcune di queste misure mirano direttamente alla riduzione delle emissioni di GHG, la maggior parte di esse si pongono differenti obiettivi diretti (quali ad esempio l’efficienza energetica), che hanno poi come benefici indiretti la mitigazione dei cambiamenti climatici. Molti dei paesi in via di sviluppo desidererebbero invece un meccanismo attraverso il quale queste misure possano essere riconosciute come parte dei loro sforzi internazionali per la mitigazione dei cambiamenti climatici. In questo senso va analizzata la decisione di Cancún di creare un registro internazionale delle NAMAs che va incontro a tali esigenze (e risponde alle richieste portate avanti dalla Repubblica della Corea del Sud). Tali iniziative, come molte altre richieste finalizzate a vedere riconosciute a livello internazionale le diverse azioni di mitigazione realizzate, non implicano impegni legalmente vincolanti da parte dei paesi in via di sviluppo, ma prevedono l’impegno dei paesi industrializzati (ad esempio per incentivi sulle tecnologie e risorse finanziarie). In parallelo va citato, per completezza, come stia continuando ad emergere un altro tipo di mercato del carbonio, il mercato volontario. Quest’ultimo mercato include tutte le transazioni dei crediti compensativi di emissioni (offsets) la cui domanda non deriva da obblighi di legge. Come è noto, tale mercato è sostanzialmente portato avanti da individui o aziende, non sottoposti a legislazione obbligatoria per la riduzione delle emissioni di GHG, che però desiderano comunque compensare le emissioni di GHG dovute alle proprie attività. 26 I mercati volontari, che nascono in origine principalmente come complementari rispetto a quelli regolati, hanno per loro stessa natura possibilità di sviluppo nelle aree e/o nei settori dove non viene adottata una legislazione imperativa e quindi obbligatoria. Il loro sviluppo può quindi contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di mitigazione dei cambiamenti climatici nei casi o nelle situazioni di assenza di tale legislazione, sia a causa dell’impossibilità politica di adottare tale legislazione, sia dove e quando sia ritenuto più efficiente lo sviluppo del mercato volontario rispetto ad altre soluzioni. Tuttavia, l’assenza di un nuovo vincolante accordo sul regime climatico post 2012 mina alle basi la forza stessa del mercato volontario: esso è infatti comunque legato alla volontà politica di rispettare le indicazioni scientifiche sulla necessità di affrontare il problema globale dei cambiamenti climatici. Tale volontà politica è percepita, sicuramente dal settore privato, tanto più pressante quanto più essa risulta tradotta in accordi legalmente vincolanti che prevedono specifiche procedure di attuazione (come è per il periodo di adempimento del Protocollo di Kyoto)9. Le prospettive oggi per il mercato volontario appaiono quindi connesse all’andamento dei negoziati internazionali: nel momento in cui la motivazione politica rimane forte ma non riesce a tradursi in un accordo globale, il proliferare di iniziative tese a dimostrare le diverse soluzioni tecniche (settori e modalità) di riduzione delle emissioni sono destinate a proliferare. Altrimenti, qualora tale volontà politica (legata anche al livello di consapevolezza sul tema) dovesse scemare, il mercato volontario appare destinato a tramontare. In generale, possiamo concludere che se si desidera effettivamente velocizzare una transizione verso una società carbon-neutral, bisognerà dedicare la dovuta attenzione alla riuscita del negoziato internazionale in corso sotto l’egida dell’UNFCCC, ma anche tener conto di azioni e istituzioni a livello nazionale e regionale che possono svilupparsi in assenza o in parallelo e a integrazione del contesto UNFCCC. Le iniziative bottom up largamente attuate in tutto il mondo sono rilevanti e meritevoli dal punto di vista degli obbiettivi che possono raggiungere e necessitano di essere ampliate e replicate. Resta comunque auspicabile la creazione di un contesto internazionale di riferimento in grado di favorire lo sviluppo coordinato di tali iniziative. Si ricorda che il mercato volontario nasce anche per ragioni di cosiddetta “pre compliance”, cioè al fine di anticipare la legislazione obbligatoria in tema di settori e obblighi di riduzione delle emissioni. 9 27 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA CDC Climate Research - Climate Brief N°3 – What should we take away from Cancun? Financing Mechanism of a post – 2012 agreement on Climate Change: some thoughts on governance and funds distribution - CENTER FOR CLEAN AIR POLICY May 2009; International Institute for Sustainable Development – Crossing the bridge to a carbon Neutral Society; International Institute for Sustainable Development - A Victory for Multilateralism? A commentary on the UNFCCC negotiations in Cancun, Mexico; Tyler McNish – Professor Steve Weissman – Writing Requirement – March 2010: Markets, Transaction Costs, and Carbon Offsetting: Why Fund-Based Offsetting Might Outperform Tradable Property Rights-Based Offsetting Nortonrose: The outcome of the Cancun climate conference (COP16/CMP6); Pew center on Global Climate Change: Summary of COP 16 and CMP 6, December 2010; The Climate Group: Post-Cancun Analysis, Policy Briefing, Jan 17, 2011; World Resources Institute: Comments on the Forest Investment Program Results Framework (26 Jan 2011); World Resources Institute (working paper): Innovation and Technology Transfer: Supporting Low Carbon Development with Climate Finance; KPMG cutting through complexity: Financing low-carbon investment in developing countries Public-private partnerships for implementation of Nationally Appropriate Mitigation Actions; Climate Strategies (Oxford Institute for Energy Studies): Oxford Energy and Environment Brief, January 2011: Time to Roll Up the Sleeves − Even Higher! Overseas Development Institute: Climate Finance Policy Brief No.4: Design challenges for the Green Climate Fund; Centre for International Sustainable Development Law (CISDL) and the International Development Law Organization (IDLO):frameworks for Climate Finance Rights – based framework for Climate Finance (Working Paper Dec 2010); http://www.businessgreen.com/print_article/bg/news-analysis/1931920/cancunaccord; http://www.economist.com/blogs/newsbook/2010/12/climate_change/print; http://www.worldpoliticsreview.com/articles/print/7302; http://www.forestcarbonpartnership.org - Harvesting Knowledge on REDD-plus: Early Lessons from the FCPF Initiative and Beyond; http://www.iisd.ca/climate/cop16 - Earth Negotiations Bulletin – Final 28 http://www.iccgov.org/policy-3.htm - Bi-monthly report: International Climate Policy&Carbon Markets N° 12 January 2011; 29 Allegato Il quadro negoziale alla vigilia della Conferenza di Cancun 1. Da Bali a Cancun passando per Copenhagen La Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici a Cancun è iniziata il 29 Novembre u.s. ed è prevista concludersi il 10 Dicembre p.v. La Conferenza includerà la sedicesima sessione della Conferenza delle Parti (COP 16) della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e la sesta sessione dell’Incontro delle Parti (COP/MOP 6) del Protocollo di Kyoto (PK). La Conferenza comprenderà anche la 33 a sessione degli Organi Sussidiari (SB), la 15a sessione del Gruppo di Lavoro Ad Hoc sugli ulteriori impegni di riduzione per i Paesi Annesso I del Protocollo di Kyoto (AWG-KP 15) e la 13 a sessione del Gruppo di Lavoro Ad Hoc sulla Cooperazione di Lungo Termine nell’ambito della UNFCCC. Il processo negoziale per definire il quadro di riferimento per il periodo post-2012 è iniziato nella COP/MOP 1 di Montreal nel 2005, dove fu istituito l’AWG-KP per stabilire gli ulteriori impegni di riduzione come indicato dall’articolo 3.9 del PK. Nella stessa Conferenza di Montreal fu istituito un Dialogo per considerare la cooperazione di lungo termine nell’ambito della UNFCCC, il cosiddetto “Convention Dialogue” che si è esaurito nella COP 13 di Bali. La Conferenza di Bali del Dicembre 2007 ha segnato un punto di svolta con l’adozione del Bali Action Plan (BAP), che ha istituito l’AWG-LCA con il mandato di focalizzarsi sugli elementi chiave della cooperazione evidenziato nel Convention Dialogue: mitigazione, adattamento, trasferimento tecnologico e risorse finanziarie. La Conferenza di Bali ha sancito un accordo per una processo di due anni, la cosiddetta “Bali Roadmap”, costituito dai due processi negoziali paralleli (AWG-LCA e AWG-KP), che avrebbe dovuto concludersi con la Conferenza di Copenhagen del 2009 (COP 15 e COP/MOP 5). Le negoziazioni da Bali a Copenhagen, nell’ambito dell’AWG-LCA, si sono concentrate su un testo negoziale che comprendesse tutti gli elementi chiave. Nella COP 15 di Copenhagen è risultato evidente che, se pur dei progressi erano stato fatti sull’adattamento, il trasferimento tecnologico e il capacity building, le Parti non erano in grado di trovare un accordo sulla mitigazione e le risorse finanziarie. Nell’ambito dell’AWG-KP, analogamente, erano stati discussi costruttivamente elementi quali i meccanismi flessibili, agricoltura e silvicoltura e response measures, ma pochi progressi si erano fatti sul tema chiave degli obiettivi di limitazione e riduzione delle emissioni per i Paesi Annesso I, sia a livello aggregato che individuale. La Conferenza di Copenhagen non ha sancito la nascita di un accordo ambizioso e comprensivo, e ha invece confermato la cristallizzazione di posizioni negoziali inconciliabili. Da un lato i Paesi industrializzati, favorevoli a un accordo unico, di lungo periodo, che prevedesse gli impegni di breve periodo dei Paesi Annesso I ma anche gli impegni di lungo periodo nell’ambito della Convenzione, che prevedono anche un impegno per uno sviluppo più pulito da parte dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Dall’altro i Paesi non-Annesso I, che spingono per due accordi separati: un accordo nell’ambito del Protocollo di Kyoto, che confermi la sua validità per un ulteriore periodo di riferimento con nuovi e più stringenti impegni di riduzione per i Paesi Annesso I, e una revisione della Convenzione senza però prevedere sostanziali nuovi impegni per i PVS. Ulteriori frammentazioni delle posizioni si sono poi registrate all’interno dei due macro-gruppi, che hanno reso e rendono tuttora più difficile un accordo omnicomprensivo. Sul lato dei Paesi Annesso I, diverse posizioni sono emerse in particolare sulle entità delle riduzioni (con l’UE che spinge per riduzioni più marcate 1 rispetto agli altri), sul carattere vincolante dei trattati (con gli USA contrari a impegni di riduzione vincolanti) e sulle condizioni a cui subordinare le risorse finanziarie. Sul lato dei Paesi non-Annesso I, Cina, India, Brasile, Sudafrica e quasi tutti i PVS che fanno parte del gruppo G77 si sono dichiarati disponibili ad assumere una qualche forma di impegno di riduzione (deviazione dallo scenario tendenziale) non vincolante subordinatamente alla disponibilità di risorse finanziarie “nuove e aggiuntive”, mentre l’alleanza degli stati delle piccole isole (AOSIS) e alcuni paesi dell’America Latina esigono impegni di riduzione molto più stringenti per i Paesi annesso I, senza offrire in cambio nessun tipo di impegno anche volontario a limitare le emissioni e reclamano la disponibilità immediata di risorse tecnologiche e finanziarie in maniera incondizionata, come previsto dalla UNFCCC. Un tema trasversale che ha permeato le negoziazioni negli ultimi anni è proprio quello del Monitoraggio, Comunicazione e Verifica (MRV) delle azioni delle Parti, dove “azioni” può significare, in relazione al contesto, riduzione o limitazione delle emissioni, misure o programmi di adattamento, trasferimento di tecnologie o knowhow, capacity building, trasferimento di risorse finanziarie. I diversi gruppi negoziali hanno interpretazioni e proposte sostanzialmente difformi sull’MRV. In primis, molti PVS, con Cina in testa, non accettano che il trasferimento di tecnologie o il supporto finanziario siano condizionati a un MRV internazionale delle azioni domestiche dei PVS, come invece proposto dai Paesi Annesso I. Un accordo sul tema dell’MRV è uno degli aspetti cruciali, in quanto è un tema tecnico, indispensabile per la concreta attuazione e gestione della cooperazione nell’ambito dell’UNFCCC, che però poggia su intesa politica tra le Parti sulle sforzi e le modalità con cui contribuire alle e beneficiare delle risorse. 2. La forma legale dell’accordo e degli impegni Durante la Conferenza di Cancun non è verosimilmente prevista l’adozione di un accordo per il periodo post-2012, ma piuttosto un pacchetto di decisioni tale da favorire il raggiungimento di un accordo ampio e comprensivo alla Conferenza di Durban nel 2011. Di conseguenza, la definizione degli aspetti legali del nuovo accordo non costituisce una scadenza negoziale di questa sessione. La forma legale che il nuovo accordo potrebbe prendere è tuttavia stata intensamente dibattuta nelle sessioni precedenti, poiché essa rappresenta comunque un aspetto su cui sarebbe importante registrare qualche avanzamento tale da facilitare le prossime negoziazioni. Varie opzioni sono state discusse, in particolare: 1) un secondo periodo di riferimento del Protocollo di Kyoto da approvarsi tramite un emendamento allo stesso Protocollo (trattato legalmente vincolante con impegni vincolanti), accompagnato da un accordo non legalmente vincolante nell’ambito della UNFCCC per i PVS e i Paesi non firmatari del KP; 2) un secondo periodo di riferimento del Protocollo di Kyoto da approvarsi tramite un emendamento allo stesso Protocollo (trattato legalmente vincolante con impegni vincolanti), accompagnato dall’approvazione di un emendamento alla Convenzione o di un nuovo Protocollo alla stessa, legalmente vincolante, per sancire gli impegni per i PVS e i Paesi non firmatari del KP; 3) un nuovo singolo strumento legale, nella forma di un Protocollo alla Convenzione, che includa gli impegni e le azioni di tutte le Parti, utilizzando alcuni elementi del Protocollo di Kyoto e al contempo superandolo. Essendo l’aspetto legale un riflesso dei temi sostanziali in discussione, quali impegni vincolanti, supporto finanziario, capacity building e trasferimento tecnologico, la distanza delle posizioni negoziali su di essi alla vigilia della Conferenza di Cancun fa 2 presagire che difficilmente si riuscirà a compiere qualche passo avanti anche su questo tema durante questa sessione negoziale. 3. Mitigation Uno dei pilastri della negoziazione stabiliti nel BAP è rappresentato dalla mitigazione dei cambiamenti climatici. L’IPCC ha stabilito che per contenere l’aumento della temperatura media rispetto ai livelli pre-industriali a 2°C, aumento che viene considerato il livello massimo di guardia per evitare cambiamenti climatici estremi e devastanti, è necessario stabilizzare la concentrazione atmosferica dei GHG a circa 445 – 490 ppm CO2e. A tal fine l’IPCC indica che è a sua volta necessario ridurre le emissioni globali almeno del 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Con la UNFCCC e il Protocollo di Kyoto si pensava di raggiungere tali obiettivi con azioni di mitigazione stabilite dall’alto e attuate fino a livello di singoli interventi (approccio topdown), garantendo l’integrità ambientale attraverso un sistema comune di contabilizzazione e la comparazione degli sforzi attuata da un organismo centrale, le Nazioni Unite appunto. La conferenza di Bali del 2007 aveva ribadito tale approccio, seppur in una forma già indebolita, ma con il fallimento dei negoziati a Copenaghen e la proposta di Giappone e USA di fare azioni di riduzione il cui riconoscimento come offset avvenisse su base bilaterale (approccio bottom - up), la COP 15 ha potuto solo rendersi favorevole ad un accordo attuativo che rappresenta un ibrido rispetto ad un approccio totalmente bottom – up. Tale accordo attuativo prevede il coinvolgimento di tutti i Paesi (con azioni di mitigazione per i PVS misurabili e verificabili – MRV di cui sopra) con un riferimento all’obiettivo dei 2°C target e la sua relativa conversione in obiettivi di riduzione di medio e lungo termine così come segue: 1) una riduzione delle emissioni globali del 50% rispetto al 1990 da raggiungere entro il 2050; 2) una riduzione delle emissioni per i Paesi industrializzati del 30% rispetto al 1990 da raggiungere al 2020; 3) un impegno dei PVS all’obiettivo globale di mitigazione nel range 15-30% rispetto al loro scenario Business as Usual (BAU); 4) risorse addizionali a sostegno delle azioni di mitigazione e di adattamento per i PVS. La Cina e l’India però intendono mantenere separati i due percorsi negoziali istituiti con il BAP: 1) da un lato il rinnovo/aggiornamento del PK; 2) dall’altro, un nuovo trattato basato su: • la responsabilità storica dei Paesi industrializzati per le emissioni passate e la concentrazione attuale in atmosfera, per cui tali Paesi devono stabilire i più ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni; • un possibile impegno di riduzione delle emissioni dei PVS, in particolare Cina e India, solo se ci sarà: 1) un impegno dei Paesi industrializzati nel sostegno finanziario alle misure di mitigazione ed adattamento dei PVS; 2) un obiettivo ambizioso a lungo termine per i Paesi industrializzati: riduzione nell’ordine del 80-95% rispetto al 1990 entro il 2050; 3) un obiettivo ambizioso a medio termine per i PI: riduzione nell’ordine del 4045% rispetto al 1990 entro il 2020. Le reali quantificazioni degli obiettivi di riduzione saranno dichiarati ufficialmente dai Governi soltanto a Cancún; al momento risultano agli atti soltanto come “promesse di 3 impegno” (pledges) formulate da oltre la metà dei Paesi della UNFCCC a valle di Copenhagen. Alcuni degli impegni al 2020 sono stati leggermente incrementati oppure confermati al livello superiore della forchetta. Paesi “Annex I Parties” Riduzioni Anno di riferimento UE 20%-30%* 1990 Australia 5% - 15% - 25% 2000 Canada 20% 2006 Giappone 8%**- 25% 1990 Russia 20-25% 1990 USA 17% 2005 Norvegia 40% 1990 *: a condizione del raggiungimento di un accordo ambizioso **: equivalente al -15% rispetto al livello 2005. Paesi “Non Azioni Annex I Parties” Brasile Riduzione del 38%-42% delle emissioni rispetto allo scenario “business as usual” entro il 2020. Obiettivo di ridurre la deforestazione dell’80% entro il 2020 Cina Riduzione dell’intensità energetica del 40-45% rispetto ai livelli 2005 entro il 2020 India 15% di energie da fonte rinnovabile entro il 2020. Riduzione dell’intensità energetica del 20-25% entro il 2020 Sud Africa Riduzione del 32% delle emissioni rispetto allo scenario “business as usual” entro il 2020; del 42% entro il 2025 Corea del Sud Taglio del 4% entro il 2020, rispetto ai livelli 2005 (equivalente a -30% rispetto al “business as usual” Messico Taglio del 20% sui livelli rispetto al “business as usual” Maldive Diventare “carbon neutral” entro il 2019 Costa Rica Diventare “carbon neutral” entro il 2021 Limitandosi agli impegni minimi dichiarati dai vari Paesi, si raggiunge una riduzione complessiva delle emissioni al 2020 del 12% rispetto al 1990. Alcuni Paesi hanno dichiarato di essere pronti ad aumentare l’impegno sotto certe condizioni: sommando tutti gli impegni massimi si raggiunge una riduzione complessiva del 18% al 2020. Come si evince dal confronto con i dati che traducono in obiettivi la raccomandazioni dell’IPCC per ridurre il rischio di un aumento di temperatura superiore ai 2°C (da 25% a -40% rispetto al 1990 Annex I), l’intervallo della riduzione di emissioni resta ben al di sotto delle raccomandazioni dell’IPCC e tuttavia richiederà un cambio di direzione molto significativo anche in Paesi quali Stati Uniti e Australia, che hanno registrato aumenti importanti tra il 1990 ed il 2005. L’ambito di questi obiettivi di riduzione resta fortemente dipendente dalle modalità operative per raggiungerli. Tre aree, in particolare, richiedono un’attenzione particolare: 4 1. la contabilizzazione delle emissioni sequestrate nella biosfera o nel suolo, che potrebbe limitare drasticamente gli sforzi di riduzione per alcuni Paesi, in funzione delle procedure selezionate per calcolare il sequestro di carbonio da parte delle foreste; 2. la potenziale estensione ad una prossima fase della validità dei permessi di emissione (cd. banking delle AAU) distribuiti ai Paesi nell’ambito dell’attuale fase del Protocollo di Kyoto potrebbe limitare il vincolo reale su alcuni Paesi come la Russia o l’Ucraina, che hanno surplus significativi di tali permessi. Si stima che il surplus di AAUs si aggiri tra i 7 e i 10 miliardi di tCO2e. Conseguentemente, se viene lasciata intatta la possibilità di utilizzare tali permessi anche in una seconda fase di Kyoto, l’utilizzo dei permessi in surplus essa può vanificare nella sostanza gli impegni di riduzione di emissioni dei Paesi industrializzati. Al 4 dicembre 2010, il testo negoziale presenta in proposito 3 opzioni: a. limitare il numero delle AAUs che possono essere fatte valere nel prossimo periodo; b. consentire ai Paesi possessori di AAUs in eccesso di utilizzarle solo per scopi di interesse del Paese; c. non consentire alcun utilizzo di AAUs. Il tema è di particolare rilevanza per Paesi quali la Russia, l’Ucraina e gli altri dell’est Europa forti possessori di AAUs, che hanno costituito un blocco negoziale particolarmente compatto. 3. la contabilizzazione di riduzioni di emissioni ottenute nei PVS, come risultato del finanziamento dei Paesi sviluppati. I PVS che abbiano assunto impegni di riduzione non vincolanti devono stabilire quali delle riduzioni contabilizzare nell’ambito dei CDM e quali ai fini del raggiungimento dei target domestici. Questo tipo di regole, che erano incluse nelle linee guida di Kyoto, devono essere specificate per gli impegni assunti nel quadro dell’Accordo di Copenhagen. Qualora infatti i target non siano inclusi in un accordo internazionale, in teoria il Paese potrebbe contabilizzare le riduzioni anche come CDM. Questo non rappresenterebbe una reale deviazione dal BAU e quindi il non si rispetterebbe nella sostanza il necessario impegno richiesto ai PVS per l’obiettivo globale di mitigazione nel range 15-30% rispetto al loro scenario BAU. NAMAs Le Nationally Appropriate Mitigation Actions (NAMAs) rappresentano una strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici. La NAMA è uno strumento che include elementi di politiche nazionali e di mercato, la cui definizione è molteplice e in evoluzione. Le NAMAs non presentano dunque una definizione univoca ma la maggior parte dei tecnici concordano sul fatto che ci sono alcuni elementi principali che contribuiscono a definirle. Il principale di essi è rappresentato dalla combinazione di azioni domestiche, di supporto pubblico internazionale e di incentivi di mercato (crediti o offset). Data questa combinazione di elementi è evidente come una forma di NAMAs potrebbe divenire uno dei capisaldi di un qualsivoglia quadro di mitigazione dei cambiamenti climatici del post 2012. Una NAMA può essere un’azione di mitigazione o un piano di azioni che è costituito a livello nazionale ma che segue regole sancite internazionalmente o a livello di UNFCCC (in caso di accordo). Una NAMA quindi può avere come obiettivo la riduzione delle emissioni in un’industria o in un settore tecnologico, in un più ampio settore economico o in un’intera nazione. 5 Dal punto di vista negoziale, un accordo sulla definizione e forma di attuazione delle NAMAs può contribuire a raggiungere un compromesso per il post 2012 perché potrebbe far superare la distinzione, propria del primo Kyoto, tra Paesi industrializzati, detentori degli obblighi di riduzione delle emissioni, e i Paesi in Via di Sviluppo, senza obblighi ma con solo incentivi a deviare dalla baseline. Se le NAMAs vengono strutturate in modo da ottenere per parte delle riduzioni aiuti pubblici internazionali e il supporto del mercato (crediting), dovrà anche esserci una politica (action) nazionale di riduzione per poter effettivamente deviare dalla baseline. Questo aumenterebbe le garanzie di integrità ambientale dell’intero sistema, oltre a rappresentare la contribuzione alla mitigazione dei PVS. Dal punto di vista negoziale tuttavia, il blocco risiede nel fatto che a fronte delle proprie riduzioni di emissioni, i PVS non solo richiedono reali contributi economici come supporto internazionale ma anche target vincolanti di riduzione per i Paesi industrializzati. Le NAMAs presentano poi un altro aspetto positivo, data la loro struttura in grado di dare luogo a piani di riduzione di emissioni, rappresentato dal fatto che potrebbero risolvere l’incapacità dei CDM di sviluppare attività su fonti diffuse. Dal punto di vista tecnico, uno degli elementi caratteristici dei meccanismi di mercato (CDM) è stata la presenza di baseline di riferimento definite a livello di singolo progetto che generano crediti di compensazione di emissioni in quantità (e modalità) non coordinate e coerenti con gli obiettivi ambientali globali. Con l’adozione delle NAMAs, oltre all’aumento dell’integrità ambientale di cui sopra, le baseline di riferimento dovranno essere fissate a livello di settore/industria, assicurando in questo modo sia la comparabilità con altri settori/paesi sia la coerenza con gli obiettivi globali. 4. Adaptation Durante il percorso negoziale che ha portato a Copenhagen, le Parti si sono avvicinate ad un’intesa sulle misure di adattamento, ma un compromesso sul tema non è stato formalizzato nel testo finale dell’Accordo di Copenhagen. Il dibattito si è bloccati su questioni semantiche: mentre i paesi Annex I insistevano sulla creazione di un “framework” che lasciasse la definizione dei dettagli delle attività alla discrezione degli attori, i paesi Non-Annex I richiedevano un programma che non solo definisse le attività ma anche i fondi di supporto e la loro provenienza. L’Accordo fornisce comunque, tra le altre, qualche indicazione in tema di Adattamento introducendo il nuovo fondo climatico e la soglia di 2 °C dell’aumento massimo della temperatura globale (e la considerazione di rivedere la soglia e abbassarla 1,5°) anche in questo contesto. Tuttavia l’approccio tenuto si ricollega a quello dell’adattamento, come era prima del Bali Action Plan, cioè connesso alle response measures – aiuti di transizione ai paesi soggetti alle conseguenze negative indirette delle riduzione dei GHG come i Paesi produttori di petrolio. Ciò permette ai paesi produttori di petrolio di approfittare degli aiuti finanziari per colmare i loro minor ricavi dalla vendita (aiuti inizialmente dedicati ai paesi in via di sviluppo). Tale elemento se da un lato riporta lo stato dell’arte del negoziato alla situazione pre-BAP, potrebbe dall’altro bloccarlo e inutilmente complicare la ricerca di soluzioni. Tuttavia esso potrebbe invece convincere i paesi produttori a far parte di un processo di cooperazione internazionale per trovare un accordo post-Kyoto. Nell’Accordo inoltre non viene assolutamente menzionato alcun meccanismo come è invece accaduto per il REDD+. Questo potrebbe essere il segnale per un disinteressamento da parte dei paesi o semplicemente il frutto dalla considerazione che esiste già un meccanismo apposito. Il Kyoto Protocol Adaption Fund, finanziato tramite i CDM, provvede un accesso diretto ai finanziamento senza ricorrere ad 6 agenzie UN o simili strutture. Altri fondi per l’Adattamento sono gestiti dal Global Environment Facility. La mancanza di un meccanismo nell’Accordo potrebbe quindi essere positivo in quanto non si sono create situazioni di competizione tra fondi diversi con sfere di azione simili sotto la guida del UNFCCC. Lo sforzo delle Parti a Cancún dovrebbe consistere nel portare avanti il testo redatto alla fine delle sedute di Copenhagen: esso fa riferimento ad uno scenario di “framework” che potrebbe consolidare la base per le negoziazioni. L’Adattamento è in ogni caso altamente legato ai finanziamenti. A Cancún sarà importante indirizzare il dibattito su argomenti chiave quale l’origine e la provenienza dei finanziamenti, la loro gestione, le misure ammissibili e come verranno conteggiati i relativi costi. 5. Finance A Copenhagen i paesi Annex I hanno riconosciuto la necessità di lanciare nuovi investimenti e strumenti finanziari per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le proprie emissioni di GHG e adattarsi ai cambiamenti climatici. Un primo impegno riguarda l’allocazione di 30 miliardi di USD fino al 2012 per il “Fast Start Finance” (FSF) in modo da andare incontro alle esigenze di breve termine. Sempre a Copenhagen, i Paesi industrializzati hanno preso l’impegno di mobilizzare ogni anno 100 miliardi di USD fino al 2020; è previsto che tali fondi siano gestiti dal Copenhagen Climate Green Fund e che permettano ai PVS di intraprendere azioni connesse ai cambiamenti climatici dopo il 2012. Dopo Copenhagen, il dibattito si è concentrato sugli elementi relativi all’attuazione e alla gestione dei fondi come ad esempio la forma legale del fondo. Il 2 Settembre a Ginevra si sono riuniti, in preparazione alla conferenza di Cancún, i ministri dell’ambiente di più di 50 Paesi per discutere in generale del supporto finanziario ai PVS e in particolare del disegno del Green Fund a favore dei paesi Non-Annex I deciso a Copenhagen. In questo contesto, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha proposto un modello ambizioso che permetterebbe di mobilizzare nuove risorse finanziarie in poco tempo, basandosi su un meccanismo di burden-sharing per i paesi contribuenti. Gli obiettivi del Green Fund fondo sono: • creare un impegno coordinato per i paesi industrializzati di supporto ai PVS e un meccanismo di burden-sharing per la distribuzione degli impegni di apporto finanziario; • mobilizzare risorse su larga scala conformemente all’Accordo di Copenhagen, utilizzando fondi pubblici e obbligazioni private; • assegnare, a partire da subito, prestiti e sussidi ai paesi in via di sviluppo. Il modello del FMI propone che i paesi industrializzati inizialmente capitalizzino il fondo tramite investimenti di riserva, che potrebbero consistere in Diritti Speciali di Prelievo (DSR). I DSR sono allocati in accordo alle quote del FMI, e ciò comporta una facile definizione degli importi individuali e quindi la base per un burden-sharing tra i paesi contribuenti. Una volta costituito, il fondo, emetterebbe delle obbligazioni, i “green bonds”, che sarebbero collocati presso gli investitori. I fondi ricavati dal collocamento di tali obbligazioni andrebbero affiancati da ulteriore risorse dedicate esclusivamente ad aiuti sussidiari e prestiti diretti per i paesi Non-Annex I. Per rispettare i finanziamenti previsti dall’Accordo di Copenhagen, il FMI stima che il green fund, nel giro di 30 anni, dovrebbe emettere obbligazioni per un valore di 1 7 miliardo di USD. Per garantire una massima sicurezza del fondo e per colmare eventuali perdite è inoltre previsto un capitale iniziale di 100 milioni di USD. Ad oggi, ricerche del World Resources Institute riportano che gli impegni dei paesi industrializzati nell’ambito della FSF arrivano a coprire fino a 29,27 miliardi USD. Nel disegnare tale modello di contribuzione, ol FMI si concentra prevalentemente sulla liberazione di risorse e non approfondisce come e secondo quali criteri queste risorse andrebbero distribuite. Ciò nonostante menziona la possibilità di utilizzare fondi climatici già esistenti o di instaurare appositamente nuovi enti responsabili della gestione, come ad esempio banche multilaterali di sviluppo o il Copenhagen Climate Green Fund, come proposto nell’Accordo di Copenhagen stesso. Resta dunque compito fondamentale della conferenza di Cancún fare chiarezza sui criteri di distribuzione delle risorse del Green Fund. 6. Technology Nel 2009 le Parti della Convenzione hanno iniziato a convergere sul concetto di creare un nuovo Technology Mechanism, che diventasse il cuore di un sistema condiviso per lo sviluppo e il trasferimento tecnologico per la mitigazione e adattamento. A Copenhagen si è arrivati prossimi all’accordo sul tema. Il trasferimento di tecnologie, peraltro, è considerato un aspetto chiave di qualunque futuro accordo sul clima. Il Technology Mechanism dovrebbe avere un duplice obiettivo: Mitigazione - Accelerare lo sviluppo e l’utilizzo di innovazioni progettate per ridurre le emissioni, con un loro trasferimento dai paesi ricchi a quelli poveri Adattamento - L’avanzamento di tecnologie, quali produzioni agricole più resistenti agli eventi meteorici estremi (siccità e alluvioni) essenziali anche per aiutare i paesi in via di sviluppo a convivere con gli effetti del riscaldamento globale Il meccanismo potrebbe consistere di due parti: 1. Un “Technology Executive Committee”, un ente che guidi e coordini, con membri selezionati sia dal mondo industrializzato che non industrializzato. Questo panel fornirebbe un ruolo di guida, aiutando a concentrare gli sforzi per rompere le barriere all’innovazione tecnologica in tutto il mondo 2. Un “Climate Technology Centre and Network”, un centro per la tecnologia climatica, con esperti tecnici per progettare soluzioni e valutare priorità secondo le specificità regionali. All’interno del testo largamente condiviso, c’è ancora spazio per un accordo finale relativamente neutrale ed un meccanismo inefficace. Ma ne potrebbe anche scaturire un meccanismo rinforzato, con il potere di influenzare una porzione ben definita dei 100 miliardi di $/anno della finanza del carbonio attesa per il 2020. Principali problemi: • Brevetti/Diritti di proprietà intellettuale (Intellectual Property Rights: IPRs): molti paesi in via di sviluppo considerano i brevetti una barriera alla diffusione della tecnologia, auspicando un loro alleggerimento e l’introduzione di incentivi al trasferimento di brevetti. • Assenza di progressi su elementi quali MRV e contributi alle riduzioni di emissioni, senza i quali viene a mancare il quadro in cui misurare in maniera condivisa il trasferimento tecnologico. Il punto sui diritti di proprietà intellettuale è particolarmente controverso per le implicazioni politiche più generali, con i Paesi ricchi decisi a mantenere invariato 8 l’esistente sistema di brevetti costruito intorno al WTO, contrapposti ai Paesi più poveri che potrebbero sfruttare l’UNFCCC per contribuire allo smantellamento della regolamentazione dei brevetti del WTO stesso. Approfondimenti e stato dell’arte L’Expert Group on technology transfer ha pubblicato a novembre 2010 un approfondito documento in bozza (EGTT/2010/13) che fa il punto sul meccanismo, esplorandone le possibili opzioni in termini di modalità operative. 7. I meccanismo di progetto e il mercato del carbonio L'Accordo di Copenaghen – non ancora formalmente approvato dalla Conferenza delle Parti dell’UNFCCC – delinea prospettive ancora poco chiare riguardo al mercato della CO2 e non offre alcuna certezza ad investitori e sviluppatori di progetti per il post2012. Nonostante ciò, nel corso della COP 15 sono stati ribaditi alcuni aspetti importanti. In particolare: • menzione, nell’Accordo, dell'uso di meccanismi di mercato come strumenti di mitigazione cost-effective; • la necessità di procedere ad un miglioramento dell’efficienza operativa del CDM, compresi i rapporti tra proponenti dei progetti ed Executive Board, l’introduzione di regole semplificate per le rinnovabili di piccola taglia e per i progetti di efficienza energetica, l’elaborazione di linee guida per la definizione di baseline standardizzate da presentare entro la COP 16 in Messico. La COP di Copenaghen ha dato inoltre mandato all’Executive Board (EB) per dare corso alla riforma dei CDM. Riforma del CDM/JI I meccanismi di offset (compensazione) si sono dimostrati strumenti efficaci per mobilitare capitali a favore di progetti di riduzione delle emissioni e, in parte , trasferimento tecnologico nei Paesi in Via di Sviluppo. Nel tempo sono emerse però una serie di criticità connesse alla loro attuazione. I CDM hanno dimostrato i propri limiti nella capacità di coinvolgere tutti i Paesi in Via di Sviluppo, escludendo di fatto dal mercato del carbonio l’Africa e i paesi più poveri. I progetti CDM si sono al contrario concentrati in quelle economie emergenti che come tali avevano a disposizione strutture amministrative e infrastrutture tali da consentire lo sviluppo di progetti (il cd problema della distribuzione geografica dei progetti). Un’ulteriore critica mossa ai CDM è stata quella della limitatezza dei settori di applicazione: le metodologie di calcolo di riduzione delle emissioni si sono di fatto concentrate in pochi settori di applicazione (principalmente produzione di energia da fonti rinnovabili). Inoltre, in termini assoluti, la maggioranza di crediti è stata generata da progetti di distruzione di gas industriali (principalmente HFC 23 e N2O). Il processo di raggiungimento dello status di CDM (dalla presentazione e approvazione di nuove metodologie alla emissione dei titoli di credito di riduzione delle emissioni) richiede tempi, sforzi tecnici e finanziari proibitivi non dando garanzie di integrità ambientale a causa dei limiti dell’attuale metodo di dimostrazione dell’addizionalità dei progetti. Elementi da riformare e risultati raggiunti Il processo di riforma è stato invocato da anni. Per diminuire i tempi di attesa, a Copenaghen la COP ha richiesto all’EB di istituire modalità semplificate e standardizzate di dimostrazione dell’addizionalità e sviluppare metodologie top-down che possano diventare particolarmente utili per quelle nazioni che hanno visto la registrazione di meno di 10 progetti. In risposta a tale richiesta, l’EB ha: 9 sviluppato una procedura standardizzata di dimostrazione dell’addizionalità per progetti di piccola taglia; • ha approvato un metodologia per progetti programmatici (sostituzione di lampade a kerosene con led); • ha creato un opuscolo che raccoglie le metodologie CDM. Per quanto concerne il problema dalla distribuzione geografica dei progetti CDM, la COP di Copenaghen aveva richiesto la creazione di uno schema di prestito finanziario da offrire ai Paesi con meno di 10 progetti CDM registrati. Nelle intenzioni, i prestiti dovrebbero coprire i costi di sviluppo dei documenti di progetto (PDD) e quelli di validazione dei dati progettuali nonché la prima verifica delle effettive riduzioni prodotte dal progetto. Come richiesto, l’EB ha prodotto una raccomandazione che specifica i termini di costituzione di questo schema da far approvare alla COP 16. • Per quanto concerne il ruolo assunto dagli auditor dei progetti CDM (DOE) accreditati dagli stessi organismi delle Nazioni Unite, la cui assenza di responsabilità legale nei confronti di eventuali inesattezze ed inadempienze ha contribuito a determinare la scarsa credibilità dei CDM, la Conferenza di Copenaghen ha richiesto all’EB di predisporre procedure di appello degli stakeholders di progetto relativamente ai seguenti casi: • situazioni nelle quali la DOE sia ritenuta colpevole di non aver svolto le proprie mansioni; • decisioni di rigetto o di modifica di richieste di registrazione di progetti o emissione di crediti prese da o sotto l’autorità dell’EB. Sviluppatori e investitori chiedono tuttavia da tempo la creazione di un vero e proprio organismo al quale fare appello in caso di decisioni ritenute errate. Inoltre, per garantire il miglioramento delle performance delle DOE, la COP di Copenaghen ha richiesto all’EB di sviluppare e applicare un sistema di monitoraggio continuo delle organizzazioni accreditate. L’EB ha effettivamente dato vita a tale schema di monitoraggio adottando vari elementi: • un sistema per monitorare e riferire all’EB sulla performance individuale delle DOE, fornendo in risposta un regolare e pronto riscontro che ne garantisca il miglioramento. • un sistema che fornisce dati di supporto per il miglioramento del processo di sviluppo dei CDM nonché una piattaforma per ulteriori analisi; • politiche che consentano di affrontare prontamente la non conformità di una DOE. Un altro tema in discussione è quello della responsabilità degli auditor per crediti emessi erroneamente. Una proposta dell’EB in discussione prevede la sospensione immediata dell’auditor che abbia verificato riduzioni di emissioni che risultino successivamente inesistenti. Inoltre, la proposta prevede che l’auditor sostituisca i crediti erroneamente emessi e indipendentemente se l’errore è attribuibile alla negligenza della DOE, ponendo un auditor di controllo a esaminare il loro operato. L’approvazione di tale proposta è al momento sospesa. In termini più generali, uno dei limiti più importanti imputati al CDM risiede nella sua incapacità di stimolare progetti che riducano emissioni da fonti diffuse di GHG. La maggior parte dei progetti ad oggi registrati è stata sviluppata in grossi impianti che da soli possedevano il potenziale di ridurre rilevanti quantitativi di emissioni. Sebbene la necessità di dare certezza agli investitori porti molti a richiedere la continuazione immutata delle regole del CDM (project based), di fatto il meccanismo risulta non in grado di cogliere numerose opportunità di riduzione di emissioni soprattutto nei settori dell’efficienza energetica e dei trasporti. Per questo motivo, tali criticità sono diventate 10 oggetto di negoziazione all’interno del AWG-LCA. In tale contesto appare esserci consenso sul fatto che i meccanismi di mercato rappresentano una soluzione costoefficace di attuazione di misure di mitigazione. Tuttavia qui sono anche discusse le opzioni principali che i CDM potranno assumere nel futuro per risolvere i limiti già discussi. Tali opzioni sono così sintetizzabili come segue: • sectoral crediting basato su target non obbligatori (no-lose): vengono definiti target settoriali il cui raggiungimento non è obbligatorio; i crediti sono riconosciuti solo per riduzioni ulteriori rispetto al target settoriale; • trading e crediting settoriale: vengono istituiti sistemi cap-and-trade a livello domestico per determinati settori, e nei settori esclusi nel sistema cap-andtrade è prevista la possibilità di sviluppare attività di riduzione a fronte della quale vengono rilasciati crediti di riduzione che possono essere valorizzati sul mercato internazionale; • generazione di crediti derivanti dalla riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado delle foreste e dall’aumento dello stock di carbonio (REDD-plus). Le regole e procedure di molte di queste opzioni devono ancora essere sviluppate ma è il cd CDM settoriale ad aver ricevuto particolare attenzione nei round di negoziazione precedenti a Cancun. Il CDM settoriale può essere attuato in specifici settori di un solo Paese e non deve essere confuso con i target transazionali applicabili ad un settore globale. Tra i CDM settoriali (che possono anche diventare parte di una NAMA a seconda di come viene definito il settore) e gli attuali CDM project-based, c’è la proposta di creare nuove metodologie CDM standardizzate. La standardizzazione può riguardare numerosi elementi tra cui i fattori di emissione, benchmark e fattori di default. Le metodologie standardizzate possono per esempio aiutare a incrementare l’obiettività degli approcci esistenti o essere introdotte per tipologie di progetti per i quali la determinazione delle baseline progetto per progetto sarebbe eccessivamente costosa (es. efficienza energetica dal lato dei consumatori finali). Le metodologie standardizzate potrebbero inoltre facilitare l’attuazione di nuove tipologie di progetti. La domanda principale che tuttavia accompagna il negoziato sul CDM è relativa alla permanenza in vita del meccanismo stesso e degli organismi che lo regolano oltre il 2012. In proposito, si registra la proposta della Papua Nuova Guinea di mercoledì 2 dicembre di lasciar continuare il CDM oltre il 2012. Tale proposta ha incontrato l’opposizione dei grandi Paesi emergenti interessati a legare la continuazione del CDM con l’assunzione di target di riduzione delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati. 8. HFC-23 Gli HFC 23, i gas industriali che scaturiscono come sottoprodotto della produzione di HCFC 22 (sostanza impiegata principalmente nel settore dei refrigeranti, dei condizionatori d’aria e delle schiume isolanti), sono un tema particolarmente complesso del dibattito sui cambiamenti climatici, non mancando di interessare anche dal punto di vista delle sostanze ozono lesive (HCFC 22). Gli HFC 23 sono gas climalteranti inclusi tra quelli target del PK e quindi oggetto di CDM. Tuttavia, come evidenziato nel paragrafo relativo ai limiti di tale meccanismo di mercato, i progetti che avevano come obiettivo tali gas, a causa del loro alto potenziale di mitigazione e la semplicità della tecnologia di incenerimento, sono stati accusati di: • consentire la generazione di crediti concentrando i progetti e quindi i benefici in pochi PVS (principalmente Cina e India), quelli cioè produttori di HCFC 22; 11 • generare scarse ricadute sia in termine di trasferimento tecnologico, sia di aumento dello sviluppo sostenibile delle aree interessate dai progetti; • produrre rendite ingiustificate per i proprietari dei progetti/Paesi sviluppatori dovute alla differenza dei costi effettivi di riduzione di una tonnellata di CO2 e il prezzo della stessa nel mercato del carbonio; • divergere investimenti di capitali da progetti di energie rinnovabili ed efficienza energetica(più costosi e, a volte, più tecnologicamente complicati); • incentivare a continuare la produzione di HCFC 22 al solo scopo di poter distruggere il suo sottoprodotto, gli HFC 23 come progetto CDM, proprio a causa delle alte rendite. Tale incentivo porterebbe a produrre un affetto avverso sul raggiungimento del Protocollo di Montreal, il Protocollo internazionale che ha come obiettivo la progressiva dismissione delle sostanze ozono-lesive. Le accuse mosse ai progetti CDM nel settore della distruzione degli HFC 23 hanno portato alla loro messa in discussione sia a livello di Nazioni Unite sia a livello europeo. Numerose richieste sono infatti state mosse affinché il CDM EB rivedesse la metodologia di contabilizzazione delle emissioni in progetti di incenerimento di HFC 23. In particolare viene richiesta la modifica del rapporto tra HCFC 22 prodotto e la corrispondente quantità HFC 23 generata come sotto prodotto. Tale fattore è particolarmente importante poiché è su di esso che si basa il calcolo del quantitativo di HFC 23 che da luogo al potenziale di riduzione di un progetto CDM. La revisione al ribasso è ancora in corso poiché il settore privato ha operato importanti opposizioni al cambiamento delle regole in corso. Dal punto di vista europeo, a novembre la commissione ha proposto una restrizione qualitativa nell’utilizzo dei crediti che interessa HFC 23 e N2O a partire da Gennaio 2013. Anche questa proposta non è ancora definitiva. Dal punto di vista delle sostanze ozono lesive, come anticipato, i CDM negli HFC 23 con le loro alte rendite sono accusati di incentivare la produzione degli HCFC 22. Seppur caratterizzati da alte rendite, i progetti CDM non possono da soli aver modificato i consumi globali di HCFC 22, sostanza ampiamente utilizzata in settori di largo consumo quale la produzione di condizionatori e frigoriferi. Poiché il protocollo di Montreal nel 2008 aveva concordato e vincolato i suoi aderenti alla stabilizzazione della produzione degli HCFC 22 nel 2015 (rispetto a quanto prodotto nel biennio 20082009), nel 2008 il TEAP, l’organismo tecnico del Protocollo di Montreal, ha costruito degli scenari secondo i quali era prevista una crescita della produzione di HCFC 22 dovuta alla domanda di HCFC 22 nei settori di impiego. Tale aspetto è confermato da alcuni dati economici: il costo del refrigerante in un apparecchio di condizionamento è ad esempio solo il 5% del suo costo complessivo per cui anche una diminuzione sostanziosa del prezzo degli HCFC 22 dovuta ad eventuali progetti CDM sviluppati nell’impianto di produzione non produrrebbe in sé variazioni nella domanda di condizionatori dovuti ad una loro diminuzione del prezzo. Quindi è possibile affermare che i progetti CDM non hanno un effetto dimostrabile sulla domanda indiretta di HCFC 22. Gli HFC in generale poi (non parliamo qui di HFC 23, che vengono generati solo come sotto prodotto degli HCFC 22) interessano il Protocollo di Montreal sotto un altro profilo: tali gas sono considerati i sostituti degli HCFC 22 più immediatamente disponibili in vari settori di utilizzo. Essendo potenti gas serra, tra il Protocollo di Montreal e il protocollo di Kyoto è in corso un dibattito relativamente alla possibilità/modalità di favorire il passaggio da HCFC 22 a gas sostitutivi non HFC. Le modalità di tale passaggio sono il principale oggetto del dibattito: in alcuni casi la sostituzione degli HFC con altri gas non ozono lesivi e non climalteranti comporta costi 12 addizionali non sopportabili dai Paesi donatori del Protocollo di Montreal (sostanzialmente i Paesi industrializzati del Protocollo di Kyoto). Allo stesso tempo le attuali regole (e metodologie di contabilizzazione) del Protocollo di Kyoto non consentono la generazione di crediti di carbonio da tale tipologia di progetti. Una delle opzioni in discussione, considerati anche i dubbi espressi circa i progetti CDM da distruzione di HFC 23, risiede nella possibilità di far trattare tale famiglia di gas dal protocollo di Montreal con le stesse modalità utilizzate per la dismissione delle sostanze ozono-lesive, escludendo meccanismi di mercato propriamente intesi come il CDM. Il negoziato sull’argomento è anche in questo aspetto legato alle difficoltà di soluzione di altri temi in discussione. In particolare: 1. la Cina e l’India sono fortemente interessate a mantenere gli HFC nel PK in modo da poter continuare ad usufruire dei progetti CDM o del semplice potenziale di mitigazione ad essi connesso. Tale aspetto è dunque moneta di scambio per altro. 2. continuare a consentire progetti CDM di HFC 23 comporterebbe un eccesso di generazione di crediti rispetto ad una domanda degli stessi non ancora quantificabile e molto incerta nonché legata alla generazione di crediti da altri meccanismi o attività di riduzione (CCS, REDD+). Il tema è dunque fortemente controverso sia per ragioni di natura tecnica (i sostituti degli HFC in alcuni settori non sono ancora commercialmente disponibili) sia per ragioni di natura politica-negoziale, per cui esso non sembra potersi risolvere nel breve periodo. 9. Riduzione delle emissioni per la lotta alla deforestazione e al degrado delle foreste e dall’aumento dello stock di carbonio (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation and enhancement of carbon stock, REDD+) Il ruolo delle foreste è stato lungamente e largamente lasciato fuori dalle azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici previsti dal Protocollo di Kyoto. Nonostante l'importanza del settore forestale nella lotta ai cambiamenti climatici, finora le foreste hanno di fatto svolto un ruolo marginale nel mercato regolato del carbonio. Le ragioni sono insite nella peculiarità delle attività forestali, che possono allo stesso tempo caratterizzarsi come strumento di fissazione (carbon sink) e fonte (carbon source) di emissioni di gas di serra. I progetti forestali sono caratterizzati da seri problemi relativi alla permanenza degli investimenti, alla necessità di garantire il rispetto dei criteri di addizionalità, intenzionalità e assenza di fenomeni collaterali di effetto opposto (leakage), alla qualità delle misurazioni e agli effetti positivi sull'ambiente ed al tessuto sociale. Nel mercato volontario il settore forestale ha invece rivestito un ruolo maggiore. Da un'analisi storica risulta infatti che il 73% delle transazioni di crediti legati del settore forestale è avvenuto nel mercato volontario, grazie anche a regole meno stringenti e a tipologie progettuali che spaziano dalle piantagioni, al miglioramento della gestione forestale fino ai progetti REDD. Nonostante il forte tasso di crescita del mercato volontario, passato dai 4 milioni di tonnellate commercializzate nel 2004 a circa 123 milioni nel 2008, si sta assistendo a una diminuzione relativa del volume dei crediti di carbonio generati dagli investimenti compensativi forestali a favore per esempio di investimenti nel campo della produzione di energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico, etc.). Le ragioni di tale diminuzione sono ancora una volta legate alle criticità sopracitate di permanenza, leakage, addizionalità e misurabilità, alle quali si sono aggiunte le complessità organizzative legate ai progetti REDD. Lo sviluppo recente di standard, metodologie di 13 carbon accounting e sistemi di verifica indipendente può contribuire a dare maggiori garanzie agli investimenti compensativi in campo forestale e a rendere il mercato più trasparente e dinamico facendo presagire un'inversione di tendenza nel mercato dei crediti forestali. Oltre ai problemi dell'addizionalità, dell'intenzionalità, del leakage e della permanenza degli effetti, molte sono le ragioni che sono state alla base dell'esclusione nel tempo dei progetti REDD dai CDM: • mancanza di metodologie in grado di assicurare un sufficiente livello di precisione delle stima degli assorbimenti e dei bilanci delle emissioni di gasserra; • il rischio, visti gli alti costi amministrativi e gestionali degli investimenti, di privilegiare interventi su grande scala, creando effetti di spiazzamento sugli interventi micro, quelli che spesso hanno maggiori impatti positivi sulla popolazione locale; • il problema dell'ingerenza nella sovranità nazionale da parte dei Paesi industrializzati e della perdita di diritti delle popolazioni locali e indigene sulle foreste. Tra il 2003 e il 2009 è tuttavia emersa la proposta di compensare i Paesi in Via di Sviluppo per i loro sforzi di riduzione delle emissioni tramite il contenimento del livello nazionale di deforestazione e di degrado delle foreste. Nel 2005 la proposta approdò alla COP-11 di Montreal. Fino ad allora la discussione si basava sulla necessità di ridurre le emissioni dovute alla deforestazione (RED). Con il crescente riconoscimento scientifico dell'importante ruolo delle emissioni dovute ai processi di degradazione, alla COP 13 di Bali nei testi ufficiali comparve una seconda “D”. Nel Bali Action Plan, il meccanismo REDD veniva definito come policy approaches and positive incentives on issues relating to reducing emissions from deforestation and forest degradation in developing countries. Nella realtà il testo andava ben oltre continuando and the role of conservation, sustainable management of forests and enhancement of forest carbon stocks in developing countries. In questo senso le attività finanziabili in un meccanismo REDD non solo possono limitare le diminuzioni degli stock forestali (evitare la deforestazione e la degradazione forestale), ma altresì può aumentarne la quantità (per esempio attraverso una corretta gestione forestale). Quest'ultimo concetto fu accettato formalmente alla COP 14 di Poznan, dove l'acronimo ufficiale diventò REDD+. Il meccanismo dei REDD+ si basa sull'istituzione di un sistema di pagamenti per i Paesi in via di sviluppo che dimostrino la capacità di ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione e degradazione forestale. Dal punto di vista dei negoziati UNFCCC, solo ad agosto del 2009 un gruppo specifico di negoziatori è stato incaricato del tema nella speranza di concludere un accordo già a Copenhagen. Il REDD+ è il settore che ha registrato i maggiori progressi nel corso della COP15. L’Accordo di Copenaghen fa esplicito riferimento alla necessità della creazione immediata di un meccanismo complessivo di mitigazione che includa il REDD+, mentre la COP-MOP15 ha già adottato le linee guida metodologiche per la contabilizzazione, il reporting e il controllo di queste attività. Di fatto, in quella sede si è raggiunto un consenso su alcuni punti essenziali quali il campo di applicazione del meccanismo REDD+, principi di salvaguardia delle popolazioni indigene, un processo di attuazione in fasi e il livello di riferimento e la scala per il calcole delle riduzioni di emissioni. Ancora da concordare è invece il paragrafo che si riferisce alla possibilità di finanziare e considerare il REDD+ come Nationally Appropriate Mitigation Action (NAMA). La risoluzione di tale aspetto è connessa tuttavia ad altri temi negoziali (si veda il paragrafo relativo alle NAMAs) e non è quindi destinata a risolversi a breve, se non bypassando tale componente del testo. In questo senso, il tema del meccanismo 14 di REDD+ è stato considerato negozialmente concluso. Il meccanismo dei REDD+ è stato quindi riconosciuto come elemento portante di un futuro accordo sulla mitigazione dei cambiamenti climatici (UNFCCC, 2009). L’Accordo di Copenaghen ha messo inoltre in campo la disponibilità di alcuni fondi dedicati da parte di Paesi industrializzati. Sotto l’Accordo, sei Paesi (Australia, Francia, Giappone, Norvegia, Gran Bretagna e Stati Uniti) si sono impegnati a fornire 4 miliardi di USD per avviare nei prossimi tre anni attività concrete di REDD+. Spronati da questo impegno, più di 501 Paesi si sono incontrati a Maggio ad Oslo e si sono accordati per la creazione di un partenariato provvisorio per azioni sul REDD+ (Interim REDD+ Partnership). La Partnership si pone come principale obiettivo quello di rendere operative alcune azioni pilota del meccanismo REDD+ dimostrando in questo modo quale possa essere la struttura definitiva con la quale lo stesso meccanismo sarebbe poi in grado di svilupparsi nel contesto ufficiale UNFCCC. Il segretariato della Partnership è stato affidato al UN – REDD Programme e alla Forest Carbon Partnership Facility della Banca Mondiale che stanno coordinando, a livello di singole nazioni, progetti-pilota con lo scopo di preparare i singoli stati ad un prossimo accordo internazionale e di sperimentare strategie efficaci di riduzione della deforestazione e degradazione delle foreste adatte alla specifiche circostanze nazionali. E’ stato inoltre definito un piano di lavoro che prevede la creazione di un database che raccolga le attività e le relative forme di finanziamento esistenti su REDD+ nei Paesi partner, l’identificazione di possibili sovrapposizioni di finanziamenti e l’analisi della efficacia delle istituzioni multilaterali esistenti. Focus su Cancún Nonostante si fosse convinti di essere vicini al consenso, durante la riunione ufficiale di agosto, tre Paesi (Arabia Saudita, Bolivia e Turchia) hanno proposto delle modifiche radicali del testo di Copenaghen. Tali modiche sono collegate a quanto in discussione sulle tecnologie di carbon capture and storage e alla cosiddetta proposta di Cochabamba. Essa prevede la rimozione del termine “emissioni” dal REDD+ per focalizzarsi unicamente sulla riduzione di deforestazione e degrado, escludendo dunque la componente di aumento dello stock di carbonio. Tale proposta sembra dunque alludere alla possibilità che il meccanismo venga escluso dal mercato del carbonio. Nel testo negoziale, tale proposta nonostante sia stata inclusa come opzione separata, ha prodotto dubbi sulla possibilità di raggiungere un accordo. Le opposizioni alla proposta come i dubbi sui principi di salvaguardia delle popolazioni indigene sono le criticità del negoziato di Cancun. A complicare il raggiungimento in tempi brevi di un accordo ci sono infatti anche le pregiudiziali normative e regolamentari espresse dalla "Coalition for Rainforest Nations". I paesi della Coalition for Rainforest Nations temono che se la riforestazione non sarà effettuata nei modi corretti e in relazione al contesto naturale preesistente, lungi dall'essere un azione di ripristino, rischia di aggiungere altri danni distruggendo il sistema delle foreste pluviali. Se non adeguatamente definito, il REDD+ rischia pertanto di diventare uno strumento che favorisce gli affari dell'economia verde dei paesi industrializzati, ma distrugge il verde, la cultura e l'economia dei paesi in via di sviluppo. Dal punto di vista del finanziamento delle eventuali azioni REDD+, in base ai dati forniti da numerose analisi, è stato valutato che il mercato non è in grado di fornire sufficienti risorse nemmeno nel miglior scenario in cui sia possibile il pieno utilizzo delle azioni di REDD+ nello stesso mercato del carbonio. La mancanza di fondi deve dunque essere coperta da altre fonti di finanziamento pubblico e privato. Ma tutto dipende dalle regole che governeranno questo meccanismo. 1 Ad oggi sono 68 i Paesi che hanno aderito alla Partnership. 15