Amanda Michelle Todd (Port Coquitlam, 27 dicembre 1996 – Port Coquitlam, 10 ottobre 2012) è stata una vittima canadese del cyberbullismo e bullismo morta suicida. Il suicidio di Amanda Todd è avvenuto il 10 ottobre 2012 nella sua casa di Port Coquitlam vicino a Vancouver, nella British Columbia, in Canada. Prima della sua morte, Amanda ha pubblicato un video su YouTube in cui ha usato una serie di bigliettini in cui descrive la sua esperienza e di come lei sia stata ricattata, vittima di bullismo, e fisicamente aggredita. Il video virale ha avuto dopo la sua morte molta attenzione dei media internazionali. Amanda Michelle Todd nacque in British Columbia il 27 dicembre 1996. Al momento della sua morte, frequentava il decimo grado alla scuola secondaria CABE di Coquitlam, una scuola che si rivolge agli studenti che hanno avuto problemi sociali. La Royal Canadian Mounted Police e la British Columbia Coroners Service hanno avviato indagini sul suicidio. In risposta alla morte, Christy Clark, il Premier della British Columbia, ha fatto una dichiarazione in linea di cordoglio che suggerisce una discussione nazionale sulla criminalizzazione del cyber-bullismo. Inoltre, una mozione è stata introdotta alla Canada House of Commons per proporre uno studio sul bullismo in Canada e per dare maggiori finanziamenti alle organizzazioni anti-bullismo. La Madre di Amanda Todd, Carol, ha istituito l' Amanda Todd Trust, per ricevere donazioni al fine di sostenere la lotta contro il bullismo, la sensibilizzazione e programmi di sostegno per i giovani con problemi di salute mentale. Il 7 settembre 2012, Amanda Todd ha caricato su YouTube un video dal titolo My Story: Struggling, bullying, suicide and self harm (in italiano: La Mia Storia: Lottare, il bullismo, suicidio e autolesionismo) in cui si vede lei con una serie di flashcard in cui racconta le esperienze subite da vittima di bullismo. Il video è andato online e ha ricevuto oltre 6.800.000 visite al 14 gennaio 2013, con centinaia di pagine web giornalistiche di tutto il mondo collegate ad esso. Durante il video Amanda Todd racconta, sempre attraverso i bigliettini, che quando frequentava il secondo anno della scuola media ha usato una video chat per conoscere persone nuove su internet e ha ricevuto molti complimenti per il suo aspetto. Un estraneo l'avrebbe convinta a fotografarsi il seno nudo. L'individuo l'avrebbe poi ricattata minacciandola di esporre la foto in topless ai suoi amici a meno che lei non si fosse mostrata in un video. Amanda dice che durante l'alba del Natale successivo, la polizia sia giunta a casa sua alle 4:00 del mattino informando la famiglia Todd che una foto di Amanda in topless stava circolando su internet. Questo le ha causato forti ansie, depressioni più acute e attacchi di panico. La sua famiglia si è trasferita in una nuova casa, ma lei ha iniziato ad usare droghe e alcol. La sua ansia è peggiorata al tal punto che non riusciva più ad uscire di casa. Un anno dopo il tizio che la ricattò riapparve, creando un profilo falso su Facebook che aveva la fotografia di Amanda in topless come immagine del profilo. L'uomo cominciò anche a contattare i nuovi compagni di classe di Amanda nella sua nuova scuola. Ancora una volta Amanda Todd è stata presa in giro e alla fine si ritrovò costretta a cambiare scuola per una seconda volta. Lei dice che ha iniziato a sentirsi con "un vecchio amico"; il quale invita Amanda Todd ad andare a casa sua perché intanto la sua fidanzata era in vacanza. Qui, da quel che scrive Amanda, avrebbero fatto sesso. La settimana successiva, al rientro della fidanzata dalle vacanze, l'amico con la fidanzata e un gruppo di altri ragazzi attaccano Amanda fuori da scuola gridandole insulti contro e picchiandola finché lei non rimase a terra. Dopo quest'evento Amanda ha tentato il suicidio bevendo candeggina, ma è stata salvata grazie all'intervento tempestivo dell'ambulanza che l'ha portata in ospedale per una lavanda gastrica. Al ritorno a casa Amanda scopre su Facebook messaggi offensivi in merito al tentativo di suicidio fallito. La sua famiglia si è trasferita in un'altra città per ricominciare da capo, ma lei non era in grado di sfuggire al passato. Sei mesi più tardi ulteriori messaggi offensivi continuavano ad essere pubblicati sui social network. Il suo stato mentale peggiorò e lei cominciò ad autolesionarsi. Nonostante prendesse anti-depressivi e consultasse uno psicologo, ha di nuovo tentato il suicidio bevendo nuovamente candeggina e ha trascorso due giorni in ospedale. La Todd è stata presa in giro da altri studenti nella sua scuola per i suoi voti bassi, conseguenza di un linguaggio a base di difficoltà di apprendimento, e per passare il tempo in ospedale per curare la sua depressione grave. Il 10 ottobre 2012 alle ore 06:00 (UTC-7) ora locale, Amanda Todd viene trovata impiccata nella sua casa. Che cosa ha di umano una società che non sa proteggere i bambini? In Siria da marzo 2011 a gennaio 2012 è stata compiuta una strage che continua tutti i giorni. Il portavoce dell’Unicef, Marixie Mercado ha dichiarato che si stimano oltre 400 bambini massacrati dall’inizio dei bombardamenti. Di fronte ai bambini, chiunque dovrebbe e deve abbassare le armi, tutte, quelle da fuoco ma anche armi in cui si trasformano le mani che strangolano, che picchiano che accoltellano, che uccidono, che diventano micidiali. Quando anche questo unico baluardo, questa unica certezza spariscono dall’umanità, possiamo solo dire che la fine del mondo è già arrivata e che può accadere di tutto. Venti bambini sono stati uccisi da un pazzo criminale nella loro scuola, nel Connecticut. Non riesco a non pensare ininterrottamente ai loro visi terrorizzati, ai loro corpicini straziati, al loro sguardo incredulo che non comprende neppure cosa sta accadendo, ai loro regali di Natale che non vedranno mai, ai loro genitori, a una vita che per tutti si è fermata lì. E non era la prima volta. Sono vittime che non potranno mai capire che il mondo è comunque un posto bellissimo dove, comunque vada, tutto ha un senso. Pian piano anche loro se ne sarebbero accorti e avrebbero affrontato la loro vita con gioie, tristezze, dolori, speranze, amore. Uccidere un bambino è quanto di più inconcepibile con cui noi essere umani ci dobbiamo confrontare. Perché i bambini sono di tutti, nel senso che sono la gioia di tutti che rallegra ogni giornata grigia; sono la speranza del futuro e del cambiamento, sono l’innocenza della sincerità dei sentimenti e dei vissuti. E non si sa bene che dire, perché qualunque cosa sarebbe inadeguata. Come non saprei cosa dire ai tre bimbetti di Giovanna uccisa dal marito Giovanni a San Felice a Cancello. Erano in casa quando la loro mamma è stata uccisa dal loro papà; erano nell’altra stanza e una di loro ha anche chiamato la nonna perché papà stava facendo del male a mamma. E non sono stata neppure capace di sapere cosa dire ai due bimbi di Beatrice che non hanno più la mamma, strangolata sapremo fra non molte ore da chi a Montecatini. Ogni anno oltre alle cento e più donne uccise, ci sono altrettanti bambini che improvvisamente rimangono orfani della loro mamma spesso uccisa dal loro stesso padre. Psicologicamente è come morire, è come aver ucciso anche loro. Questi uomini che uccidono le mamme dei loro stessi figli, non solo uccidono quelle donne, ma stanno uccidendo anche i loro figli perché gli portano via quanto di più caro e prezioso hanno. Questo non è amore, non voglio che venga chiamato amore, né amore malato, né gelosia, né amore criminale. E’ omicidio e basta, è violenza e basta, è crudeltà e basta, è vigliaccheria e basta. A questi bambini voglio dare voce, rispettandoli per sempre ma anche portando sulla coscienza la macchia di una umanità che ha perso ogni diritto di chiamarsi tale che non è stata capace di proteggerli CHIARA POGGI Sono passati quasi sei anni dall’omicidio di Chiara Poggi. Un giallo ancora senza soluzione che scioccò gli italiani nell’estate del 2007 e per il quale, fino ad oggi, c’è stato un unico indagato: Alberto Stasi, ex fidanzato di Chiara, poi assolto sia in primo grado che in appello. Oggi si attende la sentenza della Cassazione, che deciderà se riaprire il caso o se assolvere definitivamente Stasi, che in tutti questi anni si è concesso pochissimo ai giornalisti, cercando di evitare ogni clamore mediatico. Se la Cassazione dovesse confermare la sentenza di assoluzione resterebbe un unico grande interrogativo: chi ha ucciso Chiara Poggi? IL DELITTO - È l’agosto del 2007. Chiara, 26 anni, da poco laureata, è rimasta nella sua villetta di Garlasco, alle porte di Pavia. I genitori sono andati in montagna. In città è rimasto anche Alberto Stasi, il suo ragazzo, all’epoca 24enne e studente dell’Università Bocconi di Milano. Ed è proprio Alberto che, nel primo pomeriggio del 13 agosto, trova Chiara stesa in casa, riversa in un lago di sangue. Alla vista del corpo della sua fidanzata, il giovane esce di casa e dà l’allarme ai Carabinieri. Cominciano le indagini: i sopralluoghi della Scientifica e l’autopsia riveleranno che Chiara sarebbe stata uccisa da qualcuno che conosceva – la ragazza è stata ritrovata in pigiama – con cui avrebbe avuto una discussione prima di morire. Un mese più tardi, Stasi viene fermato con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Contro di lui giocano alcune tracce ematiche ritrovate sul pedale della sua bicicletta ma il giovane, che ha sempre sostenuto di aver lasciato la casa di Chiara in macchina, verrà scarcerato cinque giorni più tardi. In seguito le indagini a carico di Stasi assumeranno contorni più oscuri: nel suo computer portatile verranno ritrovate immagini pedopornografiche, ma gli inquirenti non riusciranno mai a ricondurre il fatto all’omicidio di Chiara. Alberto Stasi, che sceglie il rito abbreviato, viene assolto sia in primo grado che in Appello. L’omicidio di Chiara Poggi resta quindi senza colpevole e movente. LA SENTENZA - La Corte di Cassazione è ora chiamata a pronunciarsi in modo definitivo sul caso: se Stasi dovesse essere assolto anche questa volta il “giallo di Garlasco” si chiuderebbe senza aver fatto giustizia a Chiara e senza dare ai suoi genitori quella verità che attendono da quasi sei anni. Qualche giorno fa la madre della ragazza, Rita Preda, aveva lanciato un appello a Chi l’ha visto, scongiurando a chiunque “abbia visto qualcosa, ma che non ha avuto il coraggio di parlare” di rivelare la verità per amore di quella figlia “che cercherà sempre”. Nei suoi occhi, lo strazio di una madre che ha perso la figlia senza un perché. “Speriamo che i giudici capiscano che Chiara ha bisogno di verità” – ha dichiarato questa mattina Rita a Tgcom24. IL CAPELLO RITROVATO IN MANO A CHIARA - Alberto Stasi non sarà presente all’udienza del processo. L’ex bocconiano, oggi praticante in uno studio di commercialisti a Milano, rimane l’unico imputato – due volte assolto – per l’omicidio di Chiara. Non saranno presenti nemmeno Giuseppe e Rita, i genitori della ragazza che, per voce dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni, hanno chiesto nuovamente l’esame su un capello (castano e corto) trovato nel palmo della mano sinistra di Chiara. Si tratta di un esame sofisticato e non particolarmente costoso attraverso cui, secondo la parte civile, sarebbe possibile individuare il Dna mitocondriale e, forse, riuscire a risalire all’omicida. La speranza dei genitori della ragazza è una sola: che i giudici annullino la sentenza di assoluzione e riaprano il caso, partendo proprio dall’analisi di questo reperto, analisi mai effettuata a causa di una “banale dimenticanza”. LEGGI ANCHE: Yara Gambirasio e il figlio segreto di Guerinoni LA DIFESA: “IL CASO NON VA RIAPERTO” - I punti da chiarire, sono ancora molti e nuove perizie potrebbero riguardare sia la bicicletta nera di Stasi, sia un nuovo e più completo esame della “camminata” di Stasi, che non è mai sporcato le scarpe di sangue nonostante sia arrivato a distanza molto ravvicinata dal corpo di Chiara. Per la parte civile, dunque, si tratta di un caso da riaprire. La tesi opposta è sostenuta invece dalla difesa di Albersto Stasi, che definisce “inammissibili” i ricorsi di parte civile. A confutare i punti dell’accusa c’è un pool di legali coordinati dal professor Angelo Giarda, che spiega come agli atti sia emersa “la prova della presenza di un soggetto che non è Stasi in orario compatibile a quello dell’aggressione” e definisce come “monodirezionali” le indagini eseguite fino ad oggi, che avrebbero tralasciato ogni “pista alternativa”. In particolare, la difesa sottolinea che la bicicletta nera da donna non va sequestrata perché “non corrispondeva a quella usata” dal killer e che l’esame mitocondriale sul capello non sarebbe necessario, in quanto non proverebbe nulla ma che potrà essere comunque effettuato “quando sarà definitivamente calato il sipario sul processo”. (Photocredit: LaPresse e Rai.tv) Delitto d'onore In diritto, il delitto d'onore è un tipo di reato caratterizzato dalla motivazione soggettiva di chi lo commetta, volta a salvaguardare (nella sua intenzione) una particolare forma di onore, o comunque di reputazione, con particolare riferimento a taluni ambiti relazionali come ad esempio i rapporti sessuali, matrimoniali o comunque di famiglia. L'onore, in questo senso inteso, è in alcune legislazioni riconosciuto come un valore socialmente rilevante di cui si possa e si debba tener conto anche a fini giuridici, e specialmente se ne parla quindi in ambito penale. La ragione si insinua nella considerazione della motivazione delle azioni umane, che in date culture possono tener profondamente ed anche tragicamente conto di esiti estremi della pressione esercitata dalla reputazione sociale; questa muove le decisioni dell'individuo talvolta ben oltre le norme codificate ordinamentali, ma pur sempre occorrerà valutare - almeno in diritto latino - della qualità dell'animus nocendi. Il delitto d'onore in Italia In Italia, sino a pochi decenni fa, la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore (ad esempio l'uccisione della coniuge adultera o dell'amante di questa o di entrambi) era sanzionata con pene attenuate rispetto all'analogo delitto di diverso movente, poiché si riconosceva che l'offesa all'onore arrecata da una condotta "disonorevole" valeva di gravissima provocazione, e la riparazione dell'onore non causava riprovazione sociale. Vale la pena di riportare il dettato originario della norma: Codice Penale, art. 587 Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella. L'art. 587 del codice penale consentiva quindi che fosse ridotta la pena per chi uccidesse la moglie (o il marito, nel caso ad esser tradita fosse stata la donna), la figlia o la sorella al fine di difendere "l'onor suo o della famiglia". La circostanza prevista richiedeva che vi fosse uno stato d'ira (che veniva in pratica sempre presunto). La ragione della diminuente doveva reperirsi in una "illegittima relazione carnale" che coinvolgesse una delle donne della famiglia; di questa si dava per acquisito, come si è letto, che costituisse offesa all'onore. Anche l'altro protagonista della illegittima relazione poteva dunque essere ucciso contro egual sanzione. A titolo di chiarimento sulle mentalità generali su queste materie, almeno al tempo della promulgazione del Codice Rocco (che però riprendeva concetti già presenti nel Codice Zanardelli), va detto che contemporaneamente vigeva l'istituto del "matrimonio riparatore", che prevedeva l'estinzione del reato di violenza carnale nel caso che lo stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l'onore della famiglia. Quanto all'ordinamento penale italiano, la prima innovazione venne dalla Corte Costituzionale, la quale aveva sancito l'incostituzionalità dell'art. 559 c.p., che prevedeva la punizione del solo adulterio della moglie e non anche del marito e del concubinato del dicembre 1968 e marito n.147 (sentenze del 3 n.126 dicembre 1969, del 19 ma in precedenza, nel 1961 si era già espressa in senso opposto). La prima sentenza un disegno deputati il 6 di era seguita, legge (n.4849, febbraio 1968) almeno temporalmente, presentato dell'on. Oronzo alla Camera Reale, ad dei ministro Guardasigilli, che proponeva l'abrogazione delle speciali previsioni sulle lesioni e sull'omicidio "a causa d'onore", proposte riprese pochi mesi dopo da un progetto di revisione dell'ordinamento penale affidato a Giuliano Vassalli. Le proposte erano restate senza effetto, sia per problemi di insufficiente durata delle legislature, sia per una certa posizione di "non sgradimento" da parte dell'opinione pubblica (stigmatizzata, con una certa eco, dal Nuvolone, il quale sottolineò come non si potesse non tenerne conto). Dopo il referendum sul divorzio (1974), del diritto di famiglia (legge dopo 151/1975), la riforma e dopo il referendum sull'aborto, dunque davvero molto tempo dopo le dette sentenze, le disposizioni sul delitto d'onore sono state abrogate con la legge n. 442 del 5 agosto 1981. Domande… 1) Perché è stato scelto il 25 Novembre come giorno per ricordare la violenza sulle donne ? 2) Perché in Italia si è costretti ormai a parlare della strage sulle donne? 3) Cosa dice il rapporto su Rashida Manjo sulla violenza sulle donne ? 4) Quali idee fuori dall’inchiesta portata avanti dal giornalista Riccardo Iacona ? 5) Quali possibili soluzioni il gruppo da noi composto ha individuato per far diminuire la violenza sulle donne? Risposte… 1) Il 25 Novembre 1960 le sorelle Mirabal , mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione furono bloccate sulla strada da agenti del servizio militare condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze , furono torturate , massacrate e poi strangolate , per poi essere gettate in un precipizio a bordo delle loro auto per simulare un’incidente . L’assassinio delle sorelle Mirabal è ricordato il più grande omicidio del MONDO!!!! 2) in Italia non ci sono servizi di protezione quindi la polizia prende questi episodi con poca considerazione e non ci sono molte case di accoglienza . 3) In sud- Africa si sono riuniti dei professionisti in questo campo per parlare della violenza sulle donne e in Italia la situazione è drammatica. 4) Violenza estrema sulle donne ; percentuali donne uccise maggioranza con violenza sessuali nell’ambito familiare . Il 39% delle donne subisce violenza anche a età inferiore ai 13 anni per la continua sottovalutazione dagli uomini e anche nel carcere si anno dei atti di violenza e negli ambienti pubblici più del 50% dell’ intelligenza femminile non viene utilizzata. Uno dei casi per cui si scatena la reazione maschile che porta molto spesso alla morte. In Italia non vengono attivate le azioni per l’accoglienza delle donne, questo avviene per prevenire la violenza sulle donne. La violenza viene stimolata anche per la cultura; quando la donna era superiore di intelletto essi rispondevano con la violenza, la legge manca nella sua attuazione così la legge non si applica. Molte di queste violenze si applicano addirittura davanti ai figli questo è un modo per dire “TU SEI MIA E DI NESSUN’ALTRO”. 5) Le soluzioni da noi trovate sono : - Far sì che ci siano più centri di accoglienza per ospitare le vittime del femminicidio - Far si che la legge sia applicata - Prendere in considerazione le denunce fatte. Origine, significato e diffusione del termine Femminicidio In lingua inglese il termine veniva usato già nel 1801 in Inghilterra per indicare "l'uccisione di una donna". Il termine femicide (femmicidio) è stato utilizzato per la prima volta dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill Radford Femicide: The Politics of woman killing. La Russell identificò nel femmicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine. Un anno dopo, nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia La violenza maschile contro le donne I dati Istat ci dicono che La violenza nega alle donne Prevenzione, protezione delle vittime segna in Italia un drammatico primato: nel 2011 sono morte 127 donne ( il 6,7% in più rispetto al 2010) e nel 2012 fino al mese di ottobre ci sono state già 100 vittime, una ogni due giorni. Circa il 70% di questi femminicidi sono compiuti da partner o parenti. I dati Istat dicono che in Italia oltre 14 milioni di donne sono state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica nella loro vita: 1 milione e 400 mila ha subito uno stupro prima dei 16 anni, oltre il 90% dei casi non è stato denunciato. La violenza nega alle donne i più fondamentali diritti: la vita, la libertà, l’integrità corporea, la libertà di movimento e la dignità della persona. La violenza sulle donne non è un’emergenza, ma un fenomeno strutturale in una società che pone uomini e donne in una relazione di disparità, di subalternità, di dominio. Le statistiche, in Italia, sono diverse da come sono state presentate ma il problema resta allarmante. Ogni tre giorni viene uccisa una donna ma il massacro può essere fermato. Il 25 novembre 2012 è stata la giornata mondiale dedicata alla lotta contro i crimini sulle donne, per tale importante ricorrenza si è parlato moltissimo del femminicidio, sono stati riportati molti dati statistici agghiaccianti, si è creato un passaparola allarmante, al punto che in alcuni articoli e blog si è parlato della violenza domestica come seconda o addirittura prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni. Ma perchè è stato utilizzato proprio il 25 novembre?Tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG ad organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno.L'Assemblea Generale dell'ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà (Colombia) nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.In Italia solo dal 2005 alcuni Centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata. Ma negli ultimi anni anche istituzioni e vari enti come Amnesty International festeggiano questa giornata attraverso iniziative politiche e culturali. Nel 2007 100 000 donne (40 000 secondo la questura) hanno manifestato a Roma "Contro la violenza sulle donne", senza alcun patrocinio politico. È stata la prima manifestazione su questo argomento che ha ricevuto una forte attenzione mediatica, anche per le contestazioni che si sono verificate a danno di alcuni ministri e di due deputate.[1]Dal 2006 la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna promuove annualmente il Festival La Violenza Illustrata, unico festival nel panorama internazionale interamente dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ormai centinaia di iniziative in tutta Italia vengono organizzate in occasione del 25 novembre per dire no alla violenza di genere in tutte le sue forme. Il 25 novembre 1960 le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono torturate, massacrate a colpi e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. L'assassinio delle sorelle Mirabal è ricordato come uno dei più truci della storia dominicana. Agguerriti ma informati La prima cosa che andrebbe fatta quando si parla di femminicidio, essendo questo una piaga culturale, è dividere le informazioni che arrivano dai popoli di differenti culture, stando attenti a separare i dati che riguardano solo l’Italia dal quelli mondiali: solo in questo modo potremo comprendere come muoverci per mettere fine a questo massacro. Infatti sia che si voglia agire politicamente, giuridicamente o culturalmente possiamo farlo a livelli diversi nel nostro Paese, nell’Unione europea, o nell’ONU. Un primo passo è quello di concentrarsi sulla soluzione nel nostro Paese ma per fare questo dobbiamo studiare bene il fenomeno senza farci annebbiare dalle notizie scioccanti. Una prima notizia shock girata in questi giorni, è stata quella per cui si è stimato che il femminicidio in Italia sia tra le prime cause di morte nella fascia d’età che va tra i 16 e i 44 anni. La stessa notizia è stata data in riferimento alla popolazione mondiale. Ovviamente balza all’occhio, destando sospetti, che l’Italia e il resto del mondo (di cui fanno parte popoli estremamente misogini) abbiano lo stesso tipo di classifica. Ma se si vanno a controllare le statistiche con intelligenza si scopre che in Italia il femminicidio è tra le prime cause di morte (esattamente al terzo posto), soltanto in riferimento alle persone, uomini e donne, che muoiono di morte violenta o dovuta a cause esterne, ovvero dagli omicidi agli incidenti passando per i suicidi, ma solo per questa categoria. Il femminicidio quindi non è tra le prime cause di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni, e anzi le donne vittime di omicidio, in relazione alla popolazione femminile deceduta complessiva sono solo 1,49 % A livello generale il femminicidio, come riportato dai dati Istat, è fortunatamente molto basso come causa di morte. Inoltre anche per quanto riguarda il resto del mondo va comunque data importanza alla fascia d’età presa in considerazione, che esclude le donne anziane e l’altissima mortalità infantile dei paesi poveri (più di un bambino su 3 muore per malattie e malnutrizione) dove, peraltro, c’è anche il più alto numero di femminicidi. Da questa ricerca mi sono sentita sollevata: il femminicidio è più facile da debellare di quello che si è immaginato in questi giorni. Dobbiamo solo capire come: il primo passo importante è evitare che si crei una profezia che si auto avvera. Evitare che l’uomo si suggestioni aumentando la sua violenza, evitare che avvengano delitti simulatori, evitare che si crei normalizzazione dell’evento. La cattiva informazione e l’Onu, una rischiosa influenza reciproca La notizia shock dell’improbabile causa di morte femminile è arrivata fino all’Onu, istituzione composta da persone certo non esenti dai meccanismi di persuasione. Infatti sembra che addirittura Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, sia arrivata a sostenere tale dato. Questa falsa notizia è pericolosa, non solo perché il messaggio che dà dell’Italia al mondo è sbagliato, ma perché rischia di creare dapprima un malato immaginario e poi una profezia che si auto avvera: sarebbe rischioso portare il maschilista italiano ad un atto estremo giustificato da una frequenza così alta, che rischia di far sembrare questo tipo di decesso nella norma. Per fare un esempio drastico, nelle popolazioni musulmane è talmente frequente il femminicidio, che non si parla più di questa o quest’altra donna maltrattata, ma le si butta tutte nel calderone. Dobbiamo evitare che si arrivi a questo anche in Italia, dobbiamo parlare di ogni donna morta per femminicidio chiamandola per nome, ricordandola e additando il suo omicida chiamando anch’egli per nome, perché è assurdo morire in questo modo ed è inconcepibile commettere atti di questo tipo in Italia (e proprio come la statistica conferma, si tratta di casi limitati, gravissimi ma limitati). Probabilmente la critica dell’Onu al nostro Paese è stata inizialmente pompata dai media, ma ora rischia di diventare reale, proprio come un’istituzione che si convince di aver emanato documenti dei quali tutti parlano, ma che in realtà non esistono (si ricordi cosa accadde all’APA riguardo alla sua posizione sul lavaggio del cervello – vedi, sul punto, articolo correlato a questo – Plagio, i sette passi delle sette). Sembrerà strano, ma per una volta critiche più dure, seppur fatte con cautela, le meritano altri Paesi quali l’Inghilterra, il Belgio e l’Ungheria i quali hanno una percentuale più alta di femminicidio proporzionale al numero della popolazione femminile. Oltretutto mi chiedo se in passato l’Onu abbia fatto critiche costruttive anche sugli Stati Uniti, i quali hanno chiuso gli ultimi 5 anni dello scorso secolo con risultati agghiaccianti riguardo agli omicidi: seconda causa di morte per i maschi da 1 a 19 anni e terza causa di morte per le bambine tra gli 1 e i 19 anni; terza causa di morte per i maschi tra i 20 e i 39 anni e quinta per le ragazze della stessa età; decima causa di morte per gli uomini dopo i 40 anni (fortunatamente non rientrava tra le prime 10 per la donna!) Le informazioni sono tratte da uno studio svolto nel 2000 dalla Breast Cancer Reserch. Una soluzione possibile Nel 2008 tra i totali casi di omicidio, il 24,1% riguarda le donne: 147 donne uccise di cui 104 in contesti familiari; mentre il 75,8% riguarda gli uomini: 462 uomini uccisi di cui 67 tra le mura familiari (dato anch’esso allarmante). Da questi dati si scopre che mentre l’uomo resta vittima di omicidio per il 14,5% delle volte, le donne muoiono di femminicidio per il 70% delle volte (Dati ottenuti da Eures-Ansa 2008). Quindi ogni giorno in Italia viene ucciso un uomo, mentre ogni tre giorni viene uccisa una donna, ma mentre gli uomini vengono uccisi per diversi motivi, quali liti, criminalità, gelosie, gioco, eccetera, per quanto riguarda la donna si è riuscito a trovare una causa comune, ovvero il desiderio di sopraffazione dell’uomo. In sostanza, se le cause degli omicidi a danno dell’uomo sono ben lontane dall’essere risolte, possiamo invece combattere per eliminare la crudeltà contro le donne: una volta che si prende coscienza della causa di una piaga questa può essere debellata. Ma come la si può debellare? Alcuni studiosi del fenomeno ritengono che esso sia abbastanza comune specialmente nel campo dell' educazione: magari un bambino che vede il padre o un ragazzo comportarsi in un cesto modo ne assume il comportamento una volta cresciuto, infatti se i bambini venissero educati fin da subito a non pensare proprio a questi tipi di atteggiamenti potrebbero sfuggirci molto facilmente. I dati riguardano i morti per omicidio nei paesi dell’Unione Europea tra il 1982 e il 2002. È un periodo sufficientemente lungo per consentire delle considerazioni generali. Con questi numeri ho prodotto due grafici. ILI primo riguarda il numero di donne uccise o, più precisamente, il tasso di donne uccise ogni centomila abitanti. Tra tutti i paesi disponibili, ho limitato il confronto a Italia, Francia, Germania, Svezia e Finlandia. Francia e Germania in quanto tra i maggiori paesi europei. Svezia e Finlandia perché noti per le loro politiche particolarmente attente riguardo alle istanze femminili e femministe. Il secondo grafico confronta il tasso di omicidî diviso per i generi delle vittime: quanti uomini muoiono in più rispetto alle donne nei varî paesi? Siamo di fronte ad un’esplosione del fenomeno (femminicidio)? Le rilevazioni statistiche effettuate finora tendono ad escludere questa ipotesi. E’ un fenomeno che in Italia ha evidenziato una certa costanza nel tempo, senza variazioni particolarmente significative, in controtendenza però con la progressiva diminuzione del numero complessivo degli omicidi. Mentre gli omicidi sono in generale diminuiti, i femminicidi non sono in proporzione diminuiti altrettanto, o sono rimasti stabili, se non in lieve aumento. Il 2006 è stato l’anno peggiore dell’ultimo decenio(per l' Italia), con 147 femminicidi di cui 70 nel nord (47,6%), 44 al centro (29,9%) e, infine, 33 al sud (22,4%). Se però rapportiamo i femminicidi alla popolazione femminile nello stesso periodo, suddivisa per area geografica emergono delle differenze significative. A questo puto si può dire che non si debbano avere dei pregiudizi in nessun campo. INTERVISTA DI RICCARDO IACONA • 5 MILIONI DI DONNE SONO STATE VIOLENTATE • IL 93% NON DENUNCIA • STA SUCCEDENTO CHE IL FATTO CHE "LA DONNA NON CONTA MAI NIENTE" IN TUTTI I CAMPI è IL RISULTATO DI UN GRANDE PREGIUDIO • CASE PRIGIONI ABITUALMENTE VIOLENTATE E SOTTOMESSE • AUMENTO DAL 2006 IN POI • LA MAGGIOR PARTE DELLE DONNE MORTE SONO AL NORD MA NON AL SUD • L' UCCISIONE è UNA REAZIONE DA PARTE DELL' UOMO A QUESTA VOGLIA DELLE DONNE AD ESSERE AUTONOME • IL FEMMINICIDIO NON RIENTRA NELL' AGENDA POLITICA. SE CI FOSSERO DELLE CASE ANTIVIOLENZA I FEMMINICHI SI RIDURREBERO ANCHE PIU DEL CINQUANTA PER CENTO Iacona scrive questo libro per spiegare che il fenomeno è normale che si ripeta di padre in figlio, perchè se il padre insegna questo, è normale che poi anche il figlio si senta legittimato a compiere questo atroce delitto. Violenza di genere e stalking: profili di pedagogia giuridica Violenza di genere, genocidio e femminicidio; Tipologie di violenza e relativi strumenti di tutela; Lo stalking : fattispecie normativa e giurisprudenza; elementi di criminologia e approccio pedagogico allo stalking; profili di devianza dello stalker e vittimologia; strategie operative e strumenti pedagogici; pedagogia giuridica ed interventi educativi. La donna vittima per mano dell'uomo. Stalking dentro e fuori le mura domestiche Partendo dal presupposto che lo stalking, nella grande maggioranza dei casi, altro non è che la continuazione della violenza familiare, attraverso una ricerca sui quotidiani degli ultimi 18 anni e l'analisi dei disegni di legge inerenti l'argomento violenza sulla donna e stalking sono stati riportati i risultati dalla ricerca appunto, confrontati con i dati del telefono rosa e dell'istat inerenti il numero di denunce. I dati riportati sono riguardanti la situazione a livello nazionale e la regione piemonte in particolare. Infine si è tracciata una sorta di profilo della tipologia di aggressore e delle sue caratteristiche. La violenza sulle donne La tesi tratta l'argomento della violenza sulle donne, toccando l'argomento in tutti i suoi aspetti familiare, extrafamiliare, ma sopratutto ampio spazio è stato dedic ato al concetto di mobbing sui luoghi di lavoro, di cui spesso le donne sono vettime e di harassment nei contesti scolatici e universitari. Nel primo capitolo, è stato analizzato il concetto di disuguaglianza di genere, nel tentativo di comprendere il fenomeno della violenza. Tra le teorie che si sono interessate agli studi di genere vengono prese in esame le “teorie femministe”. Esse pongono all’origine delle disuguaglianze di genere fattori diversi, ma la maggior parte ritengono che le cause siano attribuibili a fattori sociali e non naturali. Queste teorie, si sono rivelate importanti per questo lavoro perché hanno permesso di chiarire che il predominio della sessualità maschile spesso trova dimostrazione nel comportamento violento. Nel secondo capitolo si è passati ad analizzare i vari volti della violenza. Il luogo dove la violenza è più esercitata è la famiglia. In questo caso si parla di “violenza domestica” che può assumere le forme più svariate. Il dominio dell’uomo sulla donna si manifesta attraverso violenze fisiche, psicologiche, economiche e sessuali. Dall’analisi delle numerose indagini condotte in questo campo, sono emersi punti comuni nelle dinamiche messe in atto quando si pratica la violenza, tanto da far parlare di “spirale della violenza”. Lo studio ha passato in rassegna varie ricerche per spiegare il fenomeno della violenza sulle donne. Le indagini in questo ambito hanno riguardato gli studi sull’aggressività, sulla frustrazione, sulle emozioni e sulle relazioni precoci di attaccamento. Tra queste, l’attenzione è stata posta sull’incidenza che le relazioni precoci di attaccamento hanno sul fenomeno. Un altro volto della violenza sulle donne preso in esame, è quello dei maltrattamenti durante la gravidanza. Altro aspetto importante della violenza è quello che si manifesta nei luoghi extrafamiliari, nei luoghi pubblici, tra coetanei, che riguarda persone di tutte le classi sociali. Il capitolo, inoltre, prende in esame un altro aspetto della violenza sulle donne: la violenza nei luoghi di lavoro. Questo fenomeno è molto ampio e complesso. L’obiettivo dell’elaborato è stato quello di analizzare le diverse forme attraverso le quali questo fenomeno si manifesta, le modalità con cui viene esercitata la violenza e le sue cause. La violenza in ambito lavorativo, si manifesta attraverso il mobbing e l’harassment ed è presente anche nell’ambiente universitario. Le donne che subiscono violenza possono anche essere giovani e giovanissime e tra le studentesse la frequenza risulta particolarmente elevata. Se la violenza sia da considerarsi un fenomeno sociale o vada attribuita a un disturbo psicologico costituisce l’argomento del capitolo terzo. L’analisi ha portato alla conclusione che non si può capire il sociale solo in termini di struttura sociale, in quanto bisogna anche tener conto della soggettività e dell’agency. Ecco che il lavoro è stato incentrato sul concetto di agency, sé (self) e significato (meaning), e sui limiti della human agency. E’ stato necessario, all’interno di questo capitolo menzionare anche le strategie e i meccanismi sociali di occultamento della violenza maschile. Tali forme di occultamento sono spesso adoperate anche dai mass media. Inoltre in questo capitolo è stato anche portato alla luce il ruolo particolarmente importante della pornografia, relativamente al fenomeno della violenza di genere. Attraverso l’analisi del “fenomeno pornografico” si è giunti alla conclusione che disumanizzare la vittima costituisce un elemento essenziale per compiere atti crudeli senza che vi sia rimorso. Particolarmente importante, al fine di avere un quadro più completo del fenomeno della violenza è l’argomento trattato nel capitolo quarto. Qui sono stati analizzati i Centri antiviolenza e le Case accoglienza che si occupano di donne in difficoltà; si è visto come nascono, cosa sono, come e con quali mezzi le donne vengono aiutate e supportate. Nel leggere i dati emersi dalle ricerche svolte in questo campo l’essere colpevolizzata e l’autocolpevolizzarsi è l’elemento che accomuna le donne che subiscono violenza. La tesi ha voluto mettere in luce, in quest’ultimo capitolo, l’aspetto psicologico più volte emerso durante l’elaborazione dei dati. Le varie fonti di rilevamento dati, quali l’ ISTAT, sono state citate nel corso di quest’ultimo capitolo. I disturbi denunciati dalle donne oggetto di violenza sono molto diversi, e riguardano la perdita di fiducia e autostima, disturbi del sonno, ansia, depressione, idee suicide. E’ emerso che i costi economici e sociali sono enormi: le donne soffrono di isolamento, hanno difficoltà a lavorare, gli effetti della violenza domestica sono devastanti. Il partner violento. Approcci teorici alla violenza domestica sulla donna e programmi d'intervento per i maltrattatori La violenza sulle donne perpetrata all’interno di una relazione intima (intimate partner violence) è un fenomeno sociale presente in tutti i Paesi e diffuso trasversalmente all’interno di tutte le classi sociali. Nella maggioranza dei casi i maltrattamenti vengono agiti da parte dell’uomo nei confronti della partner e ciò rende la violenza domestica una questione di genere che palesa lo squilibrio di potere tra uomini e donne, mantenuto nella relazione di coppia attraverso gli abusi di natura fisica, psicologica, sessuale ed economica. La comprensione della complessità della intimate partner violence può essere favorita dall’analisi dell’interazione dei diversi fattori socio-culturali, relazionali ed individuali che contribuiscono alla creazione del contesto in cui avvengono le violenze. Si rivela quindi particolarmente utile l’utilizzo di un modello ecologico, come quello di Bronfenbrenner, che permette di analizzare i differenti livelli dell’ambiente coinvolti nella trasmissione dei valori, delle norme, dei ruoli e delle aspettative caratterizzanti il comportamento maschile violento nei confronti della partner. L’adesione rigida al modello maschile tradizionale della cultura patriarcale, appreso ed interiorizzato attraverso la socializzazione di genere, condiziona lo sviluppo dell’identità del genere maschile e le sue modalità di relazionarsi a quello femminile. La violenza domestica sulle donne è perciò una violenza di genere, espressione del dominio e del controllo esercitato dagli uomini sulle donne. Al fine di rendere conto delle differenze individuali nella popolazione maschile, gli effetti del genere vanno considerati unitamente alle esperienze relazionali precoci che condizionano le modalità adulte di vivere l’intimità nella relazione di coppia; le violenze subite o osservate nella famiglia d’origine e l’attaccamento insicuro-ambivalente alle figure significative sono fattori che influenzano gli esiti relazionali adulti. La intimate partner violence è dunque un problema maschile sul quale è necessario intervenire, non solo tutelando ed offrendo sostegno alle vittime, ma soprattutto promuovendo delle iniziative d’intervento specifiche per i maltrattatori, come quelle già presenti negli Stati Uniti, in Canada, in America latina, in Spagna, nei Paesi Scandinavi e nel Regno Unito. Si tratta per lo più di programmi rieducativo-terapeutici di stampo pro-femminista che attribuiscono totalmente la responsabilità delle violenze agli uomini ed utilizzano tecniche cognitivo-comportamentali finalizzate ad interrompere l’uso della violenza sulla partner. La partecipazione può essere volontaria o su ordine del tribunale, secondo quanto prevede il sistema legislativo e penale di ciascun Paese e ciò influisce notevolmente sul livello di motivazione al cambiamento degli uomini e sulla percentuale di abbandono del programma. Metodologicamente il trattamento di gruppo è preferibile alle terapie individuali in quanto conferisce maggior supporto ai partecipanti durante il processo di cambiamento e facilita l’assunzione di responsabilità per le proprie condotte violente. L’efficacia dei programmi merita tuttavia maggior attenzione e necessita di valutazioni più precise nonostante sia stata riscontrata una buona percentuale di successo dei programmi attualmente presenti; le valutazioni future dovrebbero considerare campioni più ampi, periodi di follow-up più lunghi, indici di cambiamento più completi e gruppi di controllo più numerosi. In Italia attualmente i programmi diretti al cambiamento dei partners violenti sono assenti e dovrebbero essere inclusi nei progetti futuri d’intervento insieme ad una formazione specifica ed alla promozione di un lavoro di rete coerente tra tutte le agenzie sociali (Forze dell’Ordine, servizi socio-sanitari, sistema giudiziario, Case delle Donne e Centri Antiviolenza) che si occupano di casi di violenza domestica sulla donna; un intervento adeguato dovrebbe inoltre comprendere dei percorsi educativi nelle scuole sulle relazioni tra i generi ed un maggior impegno maschile nel mettersi in discussione come genere e nel favorire forme di mascolinità meno rigide e stereotipate. Il femminicidio Il femminicidio non è solo la violenza fisica contro le donne che arriva fino allo stupro, o all' omicidio, ma è tutto quello che la offende ,che la sminuisce come persona, che alle sue integrità psico-fisica e alla sua libertà lascia un segno incisivo nella sua vita; il primo segnale di “ uomo pericoloso ‘’ è la estrema gelosia , la iper protezione , successivamente l’ uomo inizia ad alzare le mani nei confronti delle compagne infine diventa stalking ,questo induce la donna a denunciare l’ accaduto “cosa che succede raramente “. L’uomo esercita sulla donna violenza psicologica , talvolta facendo leva anche sulla condizione economica per farla sentire inferiore Femminista molto moderata, fu attiva nel dibattito politico e partecipò, senza assumere una posizione di primo piano, al governo provvisorio del 1848, esprimendo posizioni vicine al socialismo, che abbandonò alla fine della sua vita per un moderato repubblicanesimo.[2] La sua opposizione alla politica temporalistica ed illiberale del papato le costò la messa all'Indice di tutti i suoi scritti nel dicembre del 1863. Sand è inoltre ricordata anche per il suo anticonformismo e per le relazioni sentimentali avute con lo scrittore Alfred de Musset e con il musicista Fryderyk Chopin. Biografia (FR) (IT) « Il fallait la connaître comme je « Si doveva conoscerla come l'ho l'ai connue pour savoir tout ce qu'il conosciuta io per sapere quanto vi y avait de féminin dans ce grand era di femminile in questo grande homme, l'immensité de tendresse uomo, per conoscere l'immensa qui se trouvait dans ce génie. » tenerezza di questo genio. » (Gustave Flaubert[3]) Le origini familiari wiki/File:Marie_Aurore_de_Saxe.jpeg /wiki/File:Marie_Aurore_de_Saxe.jpeg /wiki/File:Marie_Aurore_de_Saxe.jpeg /wiki/File:Marie_Aurore_de_Saxe.jpeg La nonna Marie-Aurore de Saxe Aurore Dupin ebbe antenati di origini germanico-svedesi: la sua trisavola Maria Aurora di Koenigsmark aveva avuto nel 1695 una relazione con l'elettore di Sassonia Federico Augusto, che divenne poi re di Polonia con il nome di Augusto II. I due amanti si lasciarono alla nascita del figlio Maurizio (1696-1750), che fu nominato conte di Sassonia. Questi intraprese la carriera militare servendo il padre, poi lo zar Pietro I e la Francia, divenendo maresciallo e distinguendosi nella guerra di successione austriaca, durante la quale comandò nel 1745 le truppe francesi nella vittoriosa battaglia di Fontenoy. Amante di numerose donne, sia attrici che aristocratiche (da Adrienne Lecouvreur a Madame de la Pouplinière, da Madame de Favart ad Anna Ivanovna, futura zarina), ebbe nel 1748 una figlia dall'amante dei suoi ultimi anni, l'attrice Marie Rinteau, a cui mise nome Marie-Aurore de Saxe.[2] Questa, che divenne la nonna di George Sand, poté portare il nome del padre grazie a un decreto del Parlamento di Parigi. A ventinove anni sposò in seconde nozze, il 14 gennaio 1777, il sessantunenne Louis-Claude Dupin, detto Dupin de Francueil, ricchissimo ricevitore generale delle finanze di Metz e di Alsazia. Nel 1793 Marie-Aurore comprò la tenuta di Nohant-Vic, nei pressi di La Châtre, nell'Indre, comprendente un castello, un bosco e una grande estensione di terra.[1] Per quanto fosse una libera pensatrice e una sostenitrice delle idee di Jean-Jacques Rousseau, la sua appartenenza a una famiglia nobile la mise egualmente in sospetto durante la Rivoluzione: nel dicembre del 1793 fu arrestata e incarcerata per otto mesi nel convento parigino delle Agostiniane inglesi, la cui scuola, venti anni dopo, sua nipote Aurore frequenterà per tre anni. Tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG ad organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno. L'Assemblea Generale dell'ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell'Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà (Colombia) nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. In Italia solo dal 2005 alcuni Centri antiviolenza e Case delle donne hanno iniziato a celebrare questa giornata. Ma negli ultimi anni anche istituzioni e vari enti come Amnesty International festeggiano questa giornata attraverso iniziative politiche e culturali. Nel 2007 100 000 donne (40 000 secondo la questura) hanno manifestato a Roma "Contro la violenza sulle donne", senza alcun patrocinio politico. È stata la prima manifestazione su questo argomento che ha ricevuto una forte attenzione mediatica, anche per le contestazioni che si sono verificate a danno di alcuni ministri e di due deputate.[1] Dal 2006 la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna promuove annualmente il Festival La Violenza Illustrata, unico festival nel panorama internazionale interamente dedicato alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ormai centinaia di iniziative in tutta Italia vengono organizzate in occasione del 25 novembre per dire no alla violenza di genere in tutte le sue forme. 25 novembre 1960 Il 25 novembre 1960 le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono torturate, massacrate a colpi e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. L'assassinio delle sorelle Mirabal è ricordato come uno dei più truci della storia dominicana. CONSIDERATE SEMPRE COME FUNZIONE DELL'UOMO. Nell'antichità, e più ancora nel Medioevo, la società umana era impostata sul genere maschile e le donne comparivano in questa realtà solo sotto forma di idee, di idoli e di immagini prevalentemente prodotti dalla fantasia maschile. Desideri e aspirazioni delle donne potevano essere intuiti solo attraverso l'azione di tutela e di regolamentazione esercitata da padri, mariti, fratelli e confessori che ne facevano spesso strumenti dei loro fini. In epoca micenea la donna, seppur sottoposta alla tutela dell'uomo, godette di relativa autonomia di movimento e di grande considerazione. Più dura fu la sua condizione nell'Atene classica: aveva scarse possibilità di movimento e se nubile doveva evitare certe stanze della casa paterna; migliore era la condizione delle etere, prostitute dell'alta società. La donna romana, pur sottoposta al marito, era più indipendente: aveva libera circolazione diurna, poteva avere cultura ed era spesso consigliera e confidente del marito, che peraltro era libero di ripudiarla quando lo volesse. Il cristianesimo non migliorò la condizione femminile, se non per il rifiuto del ripudio, e irrigidì i modelli del comportamento sessuale. Nel suo ambito si impose, dal IV secolo, un nuovo modello di donna: la vergine. Nell'alto Medioevo la donna era sottoposta alla protezione e all'autorità del parente più vicino; il matrimonio era assimilato a una compravendita. Nel tardo Medioevo (XIV-XV secolo) si trovarono donne sul trono di molte regioni europee e ciò contribuì a far cadere l'idea di una limitata capacità di agire delle donne, naturalmente solo nell'ambito ristretto dei ceti aristocratici. Le nubili ottennero progressivamente maggiore autonomia, potendo disporre più liberamente di ciò che possedevano; le vedove poterono esercitare la tutela sui figli minorenni. Le donne sposate, al contrario, rimasero sotto la tutela del marito. Tuttavia il matrimonio restava la condizione civile fondamentale per le donne. La scelta matrimoniale era subordinata alla necessità di mantenere strutture di potere e di possesso soprattutto nelle classi più elevate, ricche e potenti; solo nei ceti inferiori si riscontrava una relativamente maggiore autonomia nelle decisioni. L'oppressione della donna per mezzo dei matrimoni combinati si traduceva in un'esistenza opaca, sotto il rigido controllo (complice il complesso dogmatico cristiano imperniato sul peccato originale e sul tabù della sessualità e del concepimento) esercitato sul suo corpo e sulla vita sessuale. In tutti gli strati sociali, comunque, mettere al mondo figli e allevarli era uno dei compiti principali delle mogli, un vero e proprio mestiere. E solo a questo fine era prevista l'attività sessuale femminile, mentre quella maschile era libera da vincoli morali e anche giuridici. Con il Rinascimento negli uomini parve crescere la misoginia, che portò a un'emarginazione sempre maggiore della donna dal lavoro e a una sua dipendenza sempre più stretta dall'uomo. Fin dalla nascita essa veniva definita in base alle sue relazioni con l'uomo: il padre prima, il marito poi erano responsabili legalmente per lei; a entrambi essa doveva onore e obbedienza, da loro dipendeva economicamente. La situazione era ancora peggiore per le donne delle classi più povere, che si dovevano mantenere da sole sia prima sia dopo il matrimonio senza che, in cambio, si prospettasse loro alcuna forma di indipendenza. Quando, per lavorare, la donna doveva uscire di casa veniva ricreato per lei un ambiente altrettanto protettivo: entrava a far parte della famiglia del datore di lavoro, che assumeva verso di lei il ruolo tipico delle figura maschile. Nella prima età moderna si accentuò anche la diffidenza nei confronti del corpo, delle sue pericolose inclinazioni, delle sue molte debolezze, proprio (e non a caso) mentre si diffondeva una cultura artistica che esaltava il bello anche nella figura umana e riscopriva il nudo. Con la Controriforma, nei paesi cattolici la via del convento divenne una scelta quasi obbligatoria per le donne che non si sposavano: ricca fu di fatto la partecipazione delle donne alla vita spirituale, numerosi e impressionanti gli esempi di devozione femminile. Alle laiche, per contro, fu precluso l'accesso alle scuole. Ma anche nei paesi protestanti erano previste forme di esclusione totale e di condanne drastiche per quelle che uscivano dalla norma: contro prostitute, streghe, criminali e rivoltose il potere si espresse con una severità fuori dal comune. SOGGETTO PRODUTTIVO NELLA SOCIETÁ INDUSTRIALE. Con la rivoluzione francese e con la rivoluzione industriale dell'Ottocento cominciò a cambiare anche la prospettiva di vita della donna, che poté aspirare a divenire soggetto attivo, individuo a pieno titolo, futura cittadina. Si parlò allora di emancipazione, parola-simbolo a cui si accompagnarono lenti mutamenti strutturali (lavoro salariato, diritti civili, diritto all'istruzione). Il lavoro femminile aveva già contribuito in larga misura allo sviluppo economico della società tardomedievale. In un ambiente che si andava trasformando furono via via attribuiti alle donne specifici campi di competenza: casa, cortile, giardino, cura dei bambini, dei lavoranti, del bestiame minuto e, infine, i settori della produzione tessile, alimentare e del commercio al dettaglio. Si ricominciò anche a parlare di istruzione femminile e nelle scuole, in parte sottratte ai religiosi, apparvero le prime maestrine; di grande rilievo fu poi la presenza delle donne nel campo della medicina e in particolare della ginecologia, dove del resto esse erano gà apparse secoli prima con la scuola medica di Salerno (IX-XII secolo). Nell'ambito di una riscossa dell'individuo nella sua generalità, anche all'individuo femminile, in quanto simile a quello maschile (lavoratore e cittadino) cominciò a essere faticosamente riconosciuto il diritto a rompere i legami economici e simbolici che lo legavano al padre e al marito. PROTAGONISTE DELLA PROPRIA LIBERAZIONE. Pur nel cambiamento, tuttavia, l'era democratica non fu di per sé favorevole alle donne: in contraddizione con la conclamata parità dei diritti "dell'uomo" all'inizio si tentò di escluderle dalla vita pubblica, di rinchiuderle tra le mura domestiche. I movimenti femminili colsero questa contraddizione con l'obiettivo del raggiungimento della parità di sessi, provocando l'ingresso della donna nell'ambito della politica, fino ad allora di esclusivo dominio degli uomini. Nasceva così il modello della donna moderna e le identità femminili si moltiplicarono, vissute spesso in modo contraddittorio, soggette a tensioni che preludevano alla vita delle donne nel XX secolo. Con i rivolgimenti della seconda metà dell'Ottocento, e soprattutto con la belle époque, un sintomo del mutamento fu la maggiore libertà di movimento acquisita dalle donne nella vita sociale, sia in quanto individui sia nei rapporti con gli uomini. Anche la moda ne fu un esempio: se infatti il cambiamento nel vestire espresse in modo vistoso l'emancipazione della donna solo dopo la Prima guerra mondiale, l'abbandono di stoffe pesanti e di stecche che imprigionavano in pubblico la figura femminile era già anticipata nelle vesti sciolte e fluenti che la moda dell'estetismo intellettuale degli anni ottanta dell'Ottocento, l'art nouveau e l'alta moda avevano largamente diffuso. La pratica sportiva, poi, permetteva ai giovani dei due sessi di incontrarsi al di fuori delle pareti domestiche e della parentela; la villeggiatura, dove le donne della borghesia erano raggiunte saltuariamente dai mariti, significò nuova libertà, accompagnata però da pesanti polemiche anche perché i bagni di mare rivelavano del corpo femminile più di quanto il perbenismo dell'epoca ritenesse tollerabile. Sul piano legislativo, nel 1840 negli Stati Uniti fu sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni, che venne poi man mano riconosciuto anche in molti paesi d'Europa insieme ad altri diritti patrimoniali; assai importante fu inoltre l'apertura alle donne delle università. Il primo paese a riconoscere i diritti politici alle donne fu la Nuova Zelanda (1893) seguita da dodici stati degli Stati Uniti (1914) e da alcuni paesi europei; ma la storia del suffragio universale fu ancora lunga e tortuosa. Una donna nuova si presentò al XX secolo. La prima parità raggiunta dalla donna nel secolo delle masse fu quella della condivisione degli orrori che le guerre e gli stermini disseminarono sul suo cammino. Ma il secolo della tecnologia e della scienza, nella sua seconda metà e nei paesi industrialmente avanzati, fornì a uomini e donne una maggiore longevità e una migliore salute, più alti livelli di educazione e nuovi modelli di vita alimentati dalla moltiplicazione dei beni e dei consumi. Per le donne ciò significò innanzitutto una trasformazione del lavoro casalingo e del regime di maternità che, diminuendo il tempo necessario a tali attività, permetteva loro una maggior partecipazione alla vita sociale. In Italia le donne ebbero nel 1956 il diritto di sedere nelle giurie, nel 1960 il libero accesso alle cariche pubbliche; nel 1966 fu vietato il licenziamento per causa di matrimonio e nel 1977 ogni discriminazione legata al sesso sul lavoro; nel 1981 fu abolita la possibilità, per il colpevole di violenza sessuale, di evitare la condanna sposando la donna violentata. Ma soprattutto, per le donne a lungo prigioniere nella trappola di quella comunità naturale che era la famiglia e a lungo tenute lontane dalla dinamica dei diritti individuali, la modernità fu la conquista di una posizione da soggetto, da individuo a pieno diritto, da cittadina; la conquista di un'autonomia giuridica, economica e simbolica dai padri e dai mariti, che permetteva loro di lottare meglio, e più coscientemente, contro la differenza di genere persistente in tutte le società. Diversa fu l'evoluzione della condizione femminile nei paesi non toccati dalla rivoluzione industriale né dalla successiva diffusione dei consumi di massa. Vincoli religiosi e di tradizione rimasero molto forti, così che per esempio nei paesi arabi a regime coranico continuarono non solo la poligamia maschile, ma anche forme di repressione sessuale, di dipendenza economica e di disparità giuridica assai rilevanti; in molti paesi africani continuarono pratiche di primitiva chirurgia rituale sulle bambine come l'asportazione del clitoride e l'infibulazione (chiusura delle grandi labbra vaginali) talora importate dalle famiglie immigrate nei paesi europei in stridente conflitto con le leggi e il costume locali (processi contro madri africane che avevano operato o consentito interventi di infibulazione sulle proprie figlie furono intentati in Francia, su iniziativa di organizzazioni femminili, nei primi anni novanta del Novecento); in Cina continuò, anche dopo che il regime comunista l'ebbe vietata per legge, la pratica, tradizionale nelle famiglie contadine, di uccidere le figlie neonate per evitare di dover provvedere in futuro alla loro dote. Nei paesi dell'est europeo, rimasti estranei allo sviluppo capitalistico fino all'ultimo decennio del Novecento, fu garantita alle donne una parità giuridica totale o quasi che divenne reale nel campo degli studi e del lavoro, ma non furono superate le tradizioni che, nel privato, obbligavano le donne a farsi carico comunque della quota maggiore del lavoro domestico. Inoltre il crescente squilibrio tra paesi poveri e paesi ricchi portò, negli ultimi decenni del secolo, allo spostamento a volte volontario, a volte organizzato in una sorta di tratta, di donne dagli uni agli altri destinate alla prostituzione, a matrimoni combinati, al servizio domestico nelle famiglie. Indagine statista accoltellate 30% armi da fuoco 30% soffocate 15% aggredite 15% suicidate 5% con esplosioni 5% alcune vittime del femminicidio: Rosetta Trovato Ensina Cappuccio Giovanna De Lucia Lisa Buzzoli Assunta Bova Melissa Bassi Rosa Amoroso Matilde Passa Gabriella Malzoni Legge a tutela della maternità In Italia una revisione del 2011 ha rivisto le norme in materia di congedi parentali e ha sostituito le tradizionali definizioni di 'congedo obbligatorio' e 'congedo facoltativo' con termini più attuali. Vediamo cosa prevede la legge in materia di diritti per i genitori: Durante la gravidanza la lavoratrice ha diritto a permessi retribuiti per sottoporsi a visite di controllo ed esami. Il congedo di maternità è obbligatorio e prevede l’astensione dal lavoro per un periodo di cinque mesi a cavallo della fine gravidanza a parto. La legge prescrive che si vada in maternità due mesi prima del parto e fino a tre mesi dopo il parto. Ma permette anche una certa flessibilità offrendo l’opportunità alle mamme, compatibilmente con il tipo di lavoro svolto e con il loro stato di salute, di astenersi dal lavoro un mese prima della gravidanza e stare con il neonato per quattro mesi dopo la sua nascita. In questo periodo la lavoratrice viene retribuita con un’indennità pari all’80% dello stipendio e la legge prevede che durante il periodo di congedo venga conservato il posto di lavoro e che la lavoratrice rientri nella stessa unità produttiva che occupava precedentemente. Le mamme lavoratrici dipendenti hanno diritto a riposi giornalieri per l’allattamento (anche se il bambino viene nutrito con latte artificiale), per tutto il primo anno di vita: la mamma che lavora almeno sei ore al giorno ha diritto a due ore di riposo al giorno che vanno concordate insieme al datore di lavoro (se la mamma lavora 4 ore ha diritto a un’ora di allattamento e se ha avuto dei gemelli, invece, raddoppia le ore a disposizione). La mamma può entrare due ore dopo o uscire due ore prima oppure può frazionare il permesso nell’arco della giornata. Inoltre se la mamma decide di non usufruire di questo diritto può farne richiesta il padre. Congedo di paternità: il padre può usufruire del congedo paternale solo in casi specifici quali: morte o grave infermità della madre; abbandono del figlio da parte della madre; affidamento esclusivo del figlio al padre. L’indennità è pari all’80% della retribuzione. Congedi parentali (facoltativa): al termine del periodo di astensione obbligatoria, c’è per la neomamma la possibilità di prolungare il periodo di astensione dal lavoro con un congedo parentale facoltativo della durata di altri sei mesi, con stipendio ridotto (l’indennità percepita è pari al 30% della retribuzione). Anche il papà ha diritto di assentarsi dal lavoro per un periodo massimo di sette mesi. Le due astensioni possono essere richieste fino al compimento dell’ottavo anno di vita del bambino, anche contemporaneamente da entrambi i genitori. Permessi parentali: fino ai tre anni di vita, i genitori hanno diritto a permessi per la malattia del figlio. Le donne nell'antichità Come vivevano le donne del mondo antico? Furono davvero ‘donne ombra’ sottomesse alla società cui appartenevano oppure lasciarono tracce nella storia? Fare chiarezza sulle reali condizioni dei ceti femminili antichi è l’obiettivo del “Corso di storia delle donne nel mondo antico”, promosso dal Liceo Classico “A. Canova” e dal Centrum Latinitatis Europae (Cle) X Regio col contributo dell’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Treviso e il patrocinio del Comune di Treviso. A curare il prezioso volumetto sono donne - docenti e studiose trevigiane - che propongono alcuni approfondimenti sulla vita delle donne dell’antichità. Chi può dire di non conoscere Pandora, la prima donna dell’umanità secondo la mitologia greca? E chi non ricorda Penelope e la sua tela, fatta e disfatta in attesa del prode Odisseo o Clitennestra che si macchiò del sangue del marito Agamennone ritornato dalla guerra di Troia? Eppure delle donne greche, come evidenzia Manuela Padovan nel suo studio, non abbiamo molte fonti. Mancano soprattutto documenti che ne attestino la vita domestica e la reale condizione. Quanto si sa proviene in particolare dalla letteratura, dalla pittura e dalla scultura ma anche queste testimonianze portano la firma degli uomini. Una cosa è comunque certa e lo studio della Padovan lo mette bene in evidenza: i Greci erano profondamente misogeni e diedero in tal senso un contributo decisivo alla cultura occidentale, sancendo di fatto l’inferiorità delle donne e la loro esclusione dal mondo che conta. “Espressioni di aperto odio o vere e proprie maledizioni contro il genere femminile – scrive la studiosa – si incontrano numerosissime in tutta la letteratura greca, dai poemi omerici alla lirica al teatro, luogo più di tutti ospite di donne – eroine, malfamate o buffone”. Per tutti un solo esempio, un frammento di Ipponatte, poeta giambico vissuto nel VI a.C.: “Due sono i giorni più belli di una donna: quando la si prende in moglie e quando la si porta via morta” (Fr. 66 Degani). Eppure ai tempi di Omero, a fianco di esperti guaritori, c’erano anche figure femminili come rileva Maria Grazia Caenaro. E non solo: le donne si occupavano di filosofia. Il famoso Pitagora ammise nella sua scuola a Crotone una donna chiamata Teano, forse la moglie o la figlia, che secondo Dicearco fu ‘la prima e la più celebre filosofa’. Ad Alessandria invece c’era una donna chiamata Ipazia, figlia del filosofo Teone che divenne famosa come matematico, astronomo e filosofo. Fu così eccellente da suscitare invidie politiche e cadere vittima nel 415 di un complotto. Un misfatto così efferato e barbaro che il 415 divenne per convenzione la data della fine della scienza antica. Come viveva invece la donna a Roma? La donna romana dei primi secoli non era indipendente. Racconta infatti Clelia De Vecchi che era sempre sotto la dipendenza di un uomo. Se il marito moriva, passava sotto la tutela del parente più prossimo. Addirittura le donne anziane potevano essere sottomesse a uomini molto più giovani. Le sole donne ad avere potere erano le donne eccezionali come le Dee, Cleopatra, Agrippina, Poppea, Zenobia, Lesbia, Corinna e numerose altre. Eppure nel tempo l’emancipazione non si fece attendere, come testimoniano leggi e testi scritti. Già nel 195 a.C. le donne scesero in piazza per chiedere l’abrogazione della lex Oppia contro il lusso femminile e con il passar del tempo parteciparono sempre più alla vita mondana. Divennero ricche, autonome, invadenti non solo a Roma ma in tutto il territorio italico. Intorno al I d.C. Giovenale guardava con inquietudine le donne che a suo parere sconfinavano nei terreni maschili, come la letteratura e gli sport, compresi anche quelli di combattimento. Inoltre, sempre secondo Giovenale erano anche divenute rivali in volgarità nei banchetti con gli uomini (Satire). Sibilla Aleramo seudonimo di Rina Faccio, Sibilla Aleramo nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876. Presto si stabilisce con la famiglia a Civitanova Marche dove, con matrimonio riparatore, sposa a quindici anni un giovane del luogo. Nel 1901 abbandona marito e figli iniziando, come lei stessa amava dire, la sua “seconda vita”. Conclusa una relazione sentimentale con il poeta Damiani, si lega a G.Cena ma, dopo la crisi con quest’ultimo, inizia una vita errabonda che la avvicina a Milano e al movimento Futurista, a Parigi e ai poeti Apollinaire e Verhaeren, infine a Roma e a tutto l’ambiente intellettuale ed artistico di quegli anni (qui conosce Grazia Deledda).Durante la prima guerra mondiale incontra Dino Campana e con lui inizia una relazione complessa e tormentata. Nel 1936 conosce il giovane Matacotta, a cui resta legata per 10 anni e di questo periodo — la sua “quarta esistenza” — lascia testimonianza nel diario che l’accompagnerà fino alla morte. Al termine della seconda guerra mondiale si iscrive al P.C.I. e si impegna intensamente in campo politico e sociale. Collabora, tra l’altro, all’«Unità» e alla rivista «Noi donne». Muore a Roma nel 1960, dopo una lunga malattia. LE OPERE Una donna (1906), Universale Economica Feltrinelli, 1999, Il passaggio (1919), Universale Economica Feltrinelli, 2000, Momenti (1920) Andando e stando (1920), Universale Economica Feltrinelli, 1997, Amo, dunque sono (1927), Universale Economica Feltrinelli, 1998, Gioie d’occasione (1930) Il frustino (1932) Orsa minore (1938) Dal mio diario (1945) Selva d’amore (1947) Il mondo è adolescente (1949) Aiutatemi a dire (1951) Luci della mia sera (1956) Una donna (Sibilla Aleramo) Una donna è un romanzo di Sibilla Aleramo composto tra il 1901 e il 1904 che ebbe immediata fortuna soprattutto per il tema affrontato. Si tratta infatti di uno dei primi libri femministi apparsi in Italia. Il romanzo all'inizio venne rifiutato dagli editori Treves, Baldini & Castoldi e fu pubblicato da STEN Società Tipografica Editrice Nazionale (già Roux e Viarengo) nel novembre del 1906 anche se riportava la data del 1907. Il romanzo è chiaramente autobiografico ed è composto di due capitoli ed in esso la protagonista narra in prima persona la sua vita, partendo dagli anni della fanciullezza fino alla maturità. Trama Nelle prime pagine emerge la figura paterna e l'autrice rievoca il suo rapporto con il padre che ha per lei una grande preferenza e che le trasmette gli ideali di forza e indipendenza nei quali egli crede. Il contatto con la madre appare invece più sbiadito perché con lei la fanciulla non riesce ad entrare pienamente in contatto e ne giudica il carattere debole e sottomesso. Quando Sibilla ha circa otto anni, il padre, che è ingegnere, decide di lasciare Milano per andare a dirigere una fabbrica di bottiglie nelle Marche, sulla costa adriatica, a Portocivitanova - oraCivitanova Marche - e così tutta la famiglia si trasferisce. Sibilla è felice e con tutto l'entusiasmo e la curiosità dei suoi dodici anni collabora in modo attivo alla fabbrica come segretaria suscitando nella gente del paese meraviglia e critiche per il suo atteggiamento anticonvenzionale e sprezzante tra gli operai. Tra il padre e la madre della protagonista intanto si accumulano le tensioni già esistenti nel periodo milanese che sfociano in un tentato suicidio della madre, la quale sopravvive, ma rimane vittima di una demenza progressiva che la porterà ad essere ricoverata nel manicomio di Macerata, dove vivrà fino alla morte, abbandonata da tutta la sua famiglia. La ragazza scopre poi che il padre ha una relazione extraconiugale e da quel momento prende verso di lui una posizione aperta e giudicante che causerà la rottura del rapporto affettivo con lui. Questa brusca realtà e l'inizio di una storia amorosa con un giovane impiegato della fabbrica e la violenza sessuale della quale è vittima, fanno entrare con durezza la protagonista nel mondo adulto. Costretta al matrimonio, che accetta senza gioia, vive l'esperienza come un'ulteriore perdita di libertà anche perché il marito si dimostra ben presto una persona meschina e molto lontana dai suoi interessi. Nascerà un bambino che non servirà a modificare la situazione tra i coniugi. Per aver risposto alle attenzioni di un uomo, il marito la maltratta brutalmente e la chiude in casa per un certo periodo durante il quale lei si rende conto che il suo vero ed unico affetto è il bambino, ma la depressione aumenta e, in un momento di sconforto, tenta il suicidio. A causa di un dissapore con il suocero, il marito decide di lasciare la fabbrica e di trasferirsi a Roma con la moglie e il figlioletto. L'avvio di una collaborazione giornalistica con una rivista femminile rende maggiormente cosciente la protagonista che una donna deve poter esprimere anche al di fuori della famiglia la sua identità e conquistarsi una vita indipendente. Il pensiero della madre, che ha sacrificato ai figli e ad un uomo-padrone la sua esistenza infelice, l'aiuta a ripercorrere un cammino difficile ma necessario di rigenerazione. Conosce un uomo che ha intrapreso un cammino di ricerca spirituale e trova conforto nella conversazione con lui, ma il marito, sospettoso di quella relazione, la maltratta nuovamente e l'unico motivo che la trattiene dal lasciare il tetto coniugale è il timore di non riuscire a portare con sé il bambino. Il marito la minaccia, se vuole andarsene non avrà mai il bambino. Una notte lei lo sente invocare il nome di una sua amica e capisce che quell'ometto ignorante si era innamorato della sua collega della rivista. Decide di lasciarlo per non ripetere una via di secolare soggezione e per dignità verso sé stessa. Dopo un doloroso percorso interiore, decide quindi di abbandonare la casa e il bambino al quale è dedicato il libro nella speranza che possa comprendere la tormentata strada che l'autrice-protagonista ha sentito di dover percorrere. Il romanzo rappresenta molto fedelmente la vita dell'autrice, che si firma per la prima volta con il nome di Sibilla Aleramo, ma pur essendo una autobiografia è strutturato con un impianto letterario tale da poter essere considerato, come dice Maria Corti, un vero romanzo. Mentalità: La mentalità nel clima familiare. La figura femminile assume una posizione secondaria rispetto a quella maschile,spesso coloro che sono gli artefici della morte delle donne, sono vissuti in un contesto familiare in cui la donna non ha importanza, e li spinge a pensare che la donna non debba essere considerata importante, per questo basterebbe dare più importanza alla donna nel contesto familiare per evitare così tante STRAGI nel mondo. TRADUZIONE NON UFFICIALE A CURA DI ILENIA GRANITTO, LAW/COMITATO PER LA PROMOZIONE E PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI Nazioni Unite A/HRC/20/16/Add.2 Assemblea Generale Distr.: Generale 15 giugno 2012 Originale: inglese Consiglio Diritti Umani Ventesima sessione Agenda item 3 Promozione e protezione di tutti i diritti umani, civili, politici, economici, sociali e culturali incluso il diritto allo sviluppo Rapporto dello Special Rapporteur sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, Rashida Manjoo Addendum Missione in Italia* ** Sommario Questo rapporto contiene i risultati emersi dalla visita in Italia dello Special Rapporteur effettuata dal 15 al 26 gennaio 2012 sulla violenza contro le donne, le cause e le conseguenze. Esamina la situazione della violenza contro le donne nel paese prendendo in considerazione le cause e le conseguenze. Discute anche la risposta da parte dello Stato per prevenire tale violenza, proteggere e fornire rimedi alle donne che hanno subito tale violenza e per condannare e punire gli autori. * Il sommario è circolato in tutte le lingue ufficiali. Questo rapporto, che è allegato al sommario, è circolato solo nella lingua in cui è stato presentato. ** Presentazione tardiva. Annessi [Solo inglese] Rapporto dello Special Rapporteur sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze rilevati nel corso della sua missione in Italia (15–26 gennaio 2012) Indice Paragrafi Pagine I. Introduzione…… .......................................................................................................... 1–5 4 II. Il contesto economico e politico italiano e le sue implicazioni per i diritti delle donne ........................................................................................................................... 6–13 5 A Popolazione ....................................................................................................... 6–8 5 B. Contesto politico ed economico ....................................................................... 9–10 5 C. Status generale delle donne nella società ......................................................... 11 6 D. Donne e occupazione ................................................................................ 12–13 6 III. Manifestazioni di violenza contro donne e bambine ............................................... 14–37 7 A. Violenza domestica .......................................................................................... 14–18 7 B. Femminicidio ......................................................................................................... 19–20 8 C. Violenza contro donne delle comunità Rom e Sinti ......................... 21–24 8 D. Violenza contro le donne migranti .................................................................... 25–29 9 E. Donne nelle strutture di detenzione ......................................................................... 30–35 10 F. Donne diversamente abili ................................................................................. 36–37 12 IV. Risposta dello Stato alla violenza contro le donne ....................................................... 38–63 12 A. Sviluppi del quadro legislativo .................................................... 38–52 12 B. Sviluppi del quadro istituzionale e delle politiche ............................... 53–63 16 V. Servizi di supporto per le donne vittime di violenza..................................................... 64–66 17 VI. Sfide principali ...................................................................................................... 67–90 17 A. Accesso al quadro giurisdizionale/legale .................................................................. 69–72 18 B. Donne vittime di forme multiple di discriminazione ............................................ 73–78 18 C. Donne nelle strutture di detenzione......................................................................... 79–81 20 D. Donne e occupazione................................................................................ 82–84 20 E. Raccolta dati e statistiche ........................................................................... 85–86 21 F. Supporto coordinato e risposta .................................................................. 87–90 21 VII. Conclusioni e raccomandazioni ......................................................................... 91–97 22 A. Riforme legislative e politiche .................................................................................. 94 22 B. Mutamenti sociali e iniziative di sensibilizzazione ......................................... 95 23 C. Servizi di supporto .............................................................................................. 96 24 D. Raccolta dati e statistiche........................................................................... 97 24 I. Introduzione 1. Lo Special Rapporteur desidera esprimere la sua gratitudine al Governo dell'Italia per l'eccellente cooperazione esteso prima, durante e dopo la sua visita al Paese1. Durante la visita a Roma, Milano, Bologna e Napoli, si sono svolte consultazioni con gli alti funzionari dei ministeri degli Interni; difesa; giustizia; lavoro; politiche sociali e pari opportunità; affari; istruzione; sanità e per la cooperazione internazionale e l'integrazione. Il Relatore Speciale ha incontrato anche con i funzionari dell'UNAR, l'ISTATe l'Istituto Nazionale di Economia Agraria. Ha tenuto incontri con i membri della Commissione Diritti Umani del Senato e del CIDU. 2. I suoi incontri hanno anche compreso quelli con i Presidenti della Corte di Giustizia Minorile e la Corte di Cassazione, i rappresentanti del Tribunale per i minorenni e del Tribunale di Roma e i membri dei Dipartimenti degli Affari giudiziari e dell’Amministrazione Penitenzieria, così come la Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri. 3. Lo Special Rapporteur ha visitato il centro anti-violenza all'interno del Pronto Soccorso del Ospedale San Camillo di Roma, ed i centri antiviolenza a Roma e Imola. Ha incontrato i rappresentanti delle organizzazioni della società civile a Roma, Milano, Bologna e Napoli. La sua missione ha incluso anche visite al centro di immigrazione di Ponte Galeria a Roma; al carcere di Rebibbia di Roma; all'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, al centro di detenzione per i Minorenni di Nisida, a Napoli, e al centro di detenzione per le donne di Pozzuoli, Napoli . Ha visitato un insediamento autorizzato per la comunità Rom e Sinti a Roma e ha partecipato a un evento pubblico sulla violenza contro le donne organizzato dall'Università degli Studi di Milano-Bicocca. 4. Lo Special Rapporteur è grato a tutti i suoi interlocutori, in particolare alle vittime di violenza e alle donne detenute e nei centri antiviolenza che hanno condiviso le loro esperienze con lei. Auspica un dialogo proficuo e costante con il governo e le altre parti interessate sull'attuazione delle sue raccomandazioni. II. Il contesto economico e politico italiano e le sue implicazioni per i diritti delle donne A. Popolazione 6. La popolazione in Italia è caratterizzata da un aumento della popolazione anziana a causa dei bassi tassi di natalità e l'aumento di aspettativa della vita2. Secondo i dati dell'Istituto Nazionale Italiano di Statistica (ISTAT), il 20,3 per cento della popolazione aveva 65 e più anni nel 2010. La popolazione è equamente divisa tra le donne e gli uomini3. 1 Lo Special Rapporteur desidera ringraziare in particolare modo il Governo italiano per aver accettato di rispondere al rapporto corrente in un lasso di tempo molto breve. 2 Da Vinci project, An aging Europe: Challenges of the senior service sector in Italy, p. 2 3 ISTAT, La popolazione italiana, 2012. Su www.istat.it/en/archive/51649. 7. Nel 2011 la percentuale di immigrati in Italia è aumentata del 7,9 % rispetto al 2010, principalmente a causa della nascita della seconda generazione di migranti. Gli stranieri non sono equamente distribuiti all'interno del paese con l’86,5 % concentrato nel nord e nel centro del paese e il resto nel Sud4. La maggior parte proviene da Ucraina, Marocco, Repubblica di Moldavia, Cina, Bangladesh, India, Egitto, Senegal, Albania e il Pakistan (CEDAW/C/ITA/Q/6/Add.1, cpv. 289). I migranti costituiscono il 7,4 % della popolazione con le donne che rappresentano circa la metà di tutti i migranti residenti in Italia5. 8. A seconda della fonte, ci sono circa 130,000-170,000 Rom, Sinti e Camminanti che vivono in Italia e rappresentano lo 0,2 % della popolazione6. Circa la metà di tutti i Rom e Sinti che vivono in Italia sono cittadini italiani, mentre il 20-25 % vengono da altri Stati membri dell'Unione Europea (la stragrande maggioranza dalla Romania), il resto viene da Stati non dell'Unione Europea oppure sono apolidi7. B. Contesto politico ed economico 9. L'Italia è governata da un governo tecnico composto di un nuovo Primo Ministro e il Consiglio dei Ministri a seguito del voto di fiducia del Parlamento italiano del novembre 2011. Le questioni politiche fondamentali comprendono la gestione e i tentativi di ridurre il debito pubblico italiano (120% del prodotto interno lordo), la salvaguardia del sistema bancario e il mantenimento dell'Italia nell'Euro Zone8. I rappresentanti di questo Governo riconoscono i loro limitati poteri e tempi per introdurre diffuse modifiche legislative e che il loro obiettivo principale è quello di concentrarsi sulle riforme strutturali del mercato economico e del lavoro per affrontare la crisi economica interna, che è aggravata dalla crisi regionale e internazionale. 10. Ai sensi delle modifiche costituzionali, una crescente autonomia è stata delegata alle autorità locali in Italia (CEDAW/C/ITA/6, par. 7). Un quadro giuridico (Legge No. 42/2009) e un processo in corso sul federalismo fiscale aumenteranno ulteriormente l'autonomia regionale in materia di imposte e oneri fiscali. C. Condizione generale delle donne nella società 11. Gli stereotipi di genere, che predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società, sono profondamente radicati9. Le donne portano un pesante fardello in termini di cura della casa, mentre il contributo degli uomini ad essa è tra i più bassi nel mondo10. Per quanto riguarda la loro rappresentanza nei media, nel 2006, il 53% delle donne che appaiono in televisione non parla, mentre il 46% è stato associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2% a questioni di impegno sociale e professionale11. D. Donne e occupazione 4 ISTAT, Popolazione straniera residente in Italia, 2011. Su www.istat.it/en/archive/40658. International Organization for Migration, Italy Facts and figures, 2010. Su www.iom.int/jahia/Jahia/italy. 6 Senate of the Republic – Extraordinary Commission for the protection and promotion of human rights “Rapporto conclusivo dell’ indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia” (2011), p. 18. 7 European Roma Rights Centre (ERRC), Osservazione and Amalipé Romanò, submission per la Revisione Periodica Universale, febbraio 2010, p. 1. 8 Economist Intelligence Unit, Italy factsheet 2012. 9 CEDAW/C/ITA/6, par. 151-152. 10 ISTAT, Work life balance (2008), pp. 22-23. Su www3.istat.it/dati/catalogo/20080904_00/arg_08_33_conciliare_lavoro_e_famiglia.pdf. 11 Piattaforma italiana, rapport ombra presentato al Comitato CEDAW, 2011, p. 26. 5 12. Nonostante l'articolo 51 della Costituzione, che rafforza il principio della parità di genere, le donne sono sottorappresentate nell’ambito degli impieghi pubblici e privati, sia a livello nazionale, regionale o locale (CEDAW/C/ITA/CO/6, comma 32.) . Secondo i dati forniti dal governo, le posizioni direttive senior in entrambi i settori, pubblico e privato, sono ancora dominate dagli uomini, anche nei luoghi di lavoro dove le donne costituiscono la maggioranza della forzalavoro12. Ad esempio, solo il 50% della gestione del personale nelle scuole e il 38 % dei medici sono donne13. All'interno della polizia di Stato, le donne nei vari gradi costituiscono il 14,9 % del personale, mentre nelle forze armate gli agenti di sesso femminile rappresentano il 3,48 % del personale totale14. Nel corpo dei Carabinieri, gli agenti di sesso femminile al di sopra del rango di sottufficiali rappresentano l’1,37% del personale totale15. 13. Inoltre, vi sono significative differenze regionali nel tasso di disoccupazione con tassi bassi a nord ed alti nel sud16. Nel 2011 il tasso di disoccupazione delle giovani donne del Sud Italia è pari al 44,6% mentre il tasso medio di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 29,1%17. Le donne e i giovani hanno tassi di disoccupazione più alti rispetto agli uomini18. Le donne diversamente abili sono svantaggiate sia per quanto riguarda l'accesso all'occupazione sia per quanto riguarda il reddito19. Le donne migranti hanno otto volte più probabilità di essere impiegate in un lavoro poco qualificato dei loro omologhi italiani20. III. Manifestazioni di violenza contro donne e bambine A. Violenza domestica 14. I fornitori di servizi indicano che, con un tasso di diffusione fino al 78%21, la violenza domestica è la forma di violenza più diffusa che continua a colpire le donne in tutto il paese. Da un'indagine nazionale condotta nel 2006 si stima che il 31,9 per cento delle donne tra i 16 ei 70 anni subiscano violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita e che il 14,3 per cento di loro subiscano almeno un episodio di violenza fisica o sessuale dal loro attuale o ex partner22. 15. Inoltre, gli atti di violenza domestica sono per la maggior parte dei casi gravi, con il 34,5 per cento delle donne che denunciano di essere vittima di gravi episodi di violenza; il 29,7 per cento di 12 Informazione fornita dal Ministero delle Pari Opportunità Ibid 14 Informazione fornita dal Ministero della Difesa. 15 Informazione fornita dal Corpo dei Carabinieri. 16 United States Department of State, Background note on Italy, 2012. 17 Secondo l’ISTAT, che è l’Istituto Nazionale di Statistica, si dovrebbe considerare che nel 2011 il grado di disoccupazione giovanile ha raggiungo una media del 29.1 per cento, anche se questa percentuale ha raggiungo il 44.6 per cento per le giovani donne residenti nel Sud Italia (ISTAT, Work-Force Survey, Media 2011). 18 Secondo l’ISTAT, il 60.6 per cento delle madri fra i 25–54 anni è attiva nel mercato del lavoro e le impiegate rappresentano il 13 55.5 per cento, mentre i padri che lavorano raggiungono il 90.6 per cento (Reconciliation between work and family, ISTAT 2010). Comunque, viene evidenziato che nel 2010 solo il 6.4 per cento delle donne con limitazioni gravi lavoravano rispetto al 12.9 per cento degli uomini. Rispetto alla popolazione la percentuale è il 39.8 per cento donne rispetto al 61.1 per cento uomini. Anche rispetto al reddito guadagnato il disavanzo per le donne con limitazioni è evidente: circa il 70 per cento di queste donne, rispetto al 48.7 per cento di uomini con limitazioni gravi, hanno un reddito che oscilla fra lo 0 e 15,000 annuo (ISTAT, EUSILC Survey, 2010). 19 20 In base ai risultati di uno studio effettuato sui dati sulla forzalavoro nel 2006, la percentuale di donne che hanno opportunità di lavorare nei segmenti caratterizzati da abilità lavorative inferiori è circa 8 volte più alta di quella delle donne italiane mentre lo stesso per gli uomini stranieri è “solo” il doppio confrontato con gli uomini italiani (ISTAT, Foreigners in the labour market, 2009). 21 Donne in rete contro la violenza (DIRE), III Rapporto Nazionale 2010 Statistiche, p. 1. 22 ISTAT, Violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia (2006), p. 2. Il rapporto non include le donne non italiane. loro ha dichiarato che era sufficientemente grave, mentre il 21,3 per cento delle vittime si è sentito in pericolo, quando la violenza è stata perpetrata. Eppure solo il 18,2 per cento di quelle donne considerava la violenza domestica un reato e il 36 per cento lo accettava come un fatto comune. Allo stesso modo, solo il 26,5 per cento delle donne considerava lo stupro o il tentato stupro un crimine23. 16. La violenza domestica nella sfera privata rimane in gran parte invisibile e sotto denunciata24. Anche se le statistiche della Procura di Roma indicano un leggero aumento di denunce in materia di reati sessuali e violenza domestica nel 2010, il 96 per cento delle donne, vittime di atti violenti da parte di non partner, e il 93 per cento delle vittime di abusi da parte del partner non segnalano i casi alla polizia. Allo stesso modo, la maggior parte dei casi di stupro (91,6 per cento) non sono denunciati alla polizia. Inoltre, il 33,9 per cento delle donne che hanno subito violenza per mano di un partner e il 24 per cento da un non-partner non hanno mai parlato di quello che è successo loro (CEDAW/C/ITA/Q/6/Add.1, para . 90). 17. Lo Special Rapporteur è stato informato dei casi di violenza domestica portati dinanzi ai giudici che sono sbarrati da una prescrizione, a causa di lunghi ritardi nel completamento dei processi25.Un esempio è l’esperienza di una madre a Napoli la cui figlia è stata uccisa dal marito. Nonostante la sua difesa fosse basata sul delitto passionale, è stato giudicato colpevole e condannato a 16 anni. Il suo processo d'appello è stata ritardato a causa del fatto che il Presidente fosse andato in pensione e della mancanza di un giudice di Corte d'appello che affrontasse la questione. se la questione non sarà conclusa in tempo, in termini di prescrizione della legge, sarà rilasciato il prossimo anno. 18. Ulteriori atti di violenza contro le donne possono essere perpetuati grazie alla tendenza al regime di affidamento condiviso dopo lo scioglimento delle unioni. Come risultato di questa situazione, alle donne divorziate o separate che hanno subito violenza domestica in alcuni casi può essere richiesto di mantenere stretti contatti con l'autore della violenza, per quanto riguarda l’educazione dei loro figli26. B. Femminicidio 19. Il continuum della violenza nella casa si riflette nel crescente numero di vittime di femminicidio. Dall'inizio degli anni 1990, il numero di omicidi di uomini da parte di uomini è diminuito, mentre il numero delle donne uccise da uomini è aumentato27. Un rapporto sul femminicidio basato sulle informazioni fornite dai media indica che nel 2010 ben 127 donne sono stati assassinate da uomini28. Di queste, il 70 per cento erano italiane e il 76 per cento degli autori erano anche italiani29. Ciò contrasta con l'opinione comune che tali crimini siano commessi da uomini stranieri, percezione rinforzata dai media. Nel 54 per cento dei casi di femminicidio, l'autore era o un partner o ex partner e solo nel 4 per cento dei casi l'autore era sconosciuto alla vittima. 23 Ibid. p. 3. Informazione fornita dal Prof. Calloni nel corso di un evento a Milano. 25 L’alta percentuale di prescrizione della violenza domestica nasce da termini più brevi per le sentenze e dai ritardi del sistema. Vedi il caso di una vittima di violenza la cui causa fu iniziata a ottobre 2005 ed il cui giudizio fu completato nel dicembre 2011. Mentre il ricorso pende, il caso sarà bloccato dalla prescrizione (P.F Corte di Roma n. 3203/04 RGNR). 26 Piattaforma italiana, Rapporto Ombra, p. 103. 27 Linda Laura Sabbadini, Gender Violence, discrimination and, economic statistics: new challenges in measures based on a gender approach (ISTAT, 2007), p. 5. 28 Casa delle donne per non subire violenza, Indagine sul femminicidio in Italia (Bologna, 2012), p. 6. 29 Ibid. 24 20. Le cause che portano al femminicidio comprendono la separazione di una coppia, il conflitto all'interno della relazione, l’"onore, la disoccupazione maschile e la gelosia da parte dell'autore "30, fattori che spesso si sovrappongono e coesistono. C.Violenza contro le donne delle comunità Rom e Sinti 21. Lo Special Rapporteur ha visitato un insediamento autorizzato per Rom e Sinti a Roma, originariamente costruito per ospitare 800 persone ma al momento della visita ne ospitava 1,20031. E’ stata informata che questo aumento è il risultato, tra l'altro, dell'aumento dei tassi di natalità nel campo e di sgomberi degli insediamenti irregolari autorizzati dal governo sulla base dello stato di emergenza amministrativa, decreti e ordinanze degli anni passati, in linea con la legislazione della protezione civile32. Interviste con gli abitanti del campo hanno inoltre rivelato una situazione caratterizzata dalla mancanza di un alloggio adeguato dove le famiglie di grandi dimensioni con figli e nipoti vivono in piccoli container, con acqua non potabile e condizioni igienico-sanitarie non sane, infrastrutture di riscaldamento e elettriche limitate. Il campo è emarginato dal resto della società italiana. Come ha dichiarato un residente: "Guardaci. Abbiamo vissuto per lungo tempo come animali in contenitori, nel ventunesimo secolo, perché lo Stato ci considera come nomadi. Perché non può fornirci appartamenti?". 22. Interviste con le donne nell’insediamento rivelano che un generale pregiudizio sociale nei loro confronti si riflette anche nei media. Questo rafforza la loro mancanza di fiducia e di confidenza nella società italiana e nello Stato. Mentre le donne Rom in genere non denunciano le violenze alla polizia, un sondaggio rivela che il 26 per cento delle donne Rom intervistate hanno riferito di aver subito abusi da parte della polizia compresa la violenza fisica, trattamenti degradanti, commenti razzisti e offese sessuali33. Una donna anziana che vive nel campo ha inoltre informato lo Special Rapporteur della sua riluttanza e paura di andare fuori dal campo a cercare servizi sanitari e di altro tipo, nonostante la sua nazionalità europea, a meno che non sia accompagnata da coniuge o figlio. 23. Nel settore dell'occupazione, la maggior parte delle donne all'interno di questa comunità non può accedere facilmente al mercato del lavoro a causa di "discriminazione nei loro confronti, gravidanze e responsabilità familiari, basso livello o mancanza di istruzione e formazione professionale, e spesso, divieto da parte dei loro coniugi"34. Le donne intervistate hanno anche ricordato che la pressione della comunità può portare ad optare per rimanere a casa e dedicarsi alla famiglia, al fine di preservare la propria cultura. Coloro che cercano e riescono a trovare un lavoro sono stigmatizzate e discriminate anche attraverso "l'attribuzione di condizioni più difficili di 30 B. Spinelli, Femicide and feminicide in Europe. Gender-motivated killings of women as a result of intimate partner violence. Expert group meeting on gender-motivated killings of women. Convened by the Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences, Rashida Manjoo, New York, 12 October 2011, par. 37. 31 Informazione fornita da una intervista con il portavoce del campo. 32 Decreto ministeriale (21 maggio 2008) sulla dichiarazione dello stato d’emergenza in Campania, Lazio e Lombardia (dichiarato nullo dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 6050 del 16 novembre 2011); Ordinanze ministeriali nn. 3676/3677/3678 (30 maggio 2008) su urgenti misure di protezione civile per affrontare lo stato di emergenza e n. 3751 (1 aprile 2009) su urgenti misure addizionali di protezione civile per affrontare lo stato d’emergenza; Decreto ministeriale (28 maggio 2009) su urgenti misure di protezione civile per affrontare lo stato d’emergenza in Piemonte e Veneto; Decreto ministeriale (17 dicembre 2010) sulla proroga allo stato di emergenza nelle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto. Da notare che lo stato amministrativo di emergenza menzionato differisce dallo stato di emergenza descritto nella Convenzione internazionale per i diritti civili e politici. 33 ERRC, parallel submission to the Committee on the Elimination of Discrimination against Women on Italy, 2011, pp. 4–5. 34 ERRC, parallel submission to the Committee on the Elimination of Discrimination against Women on Italy, 2011, p. 11. lavoro, contratti a breve termine, con benefici occupazionali limitati, e sono spesso etichettate come ladre e persone pigre. Questo le porta a nascondere la loro origine ai datori di lavoro e ai colleghi35. 24. Per quanto riguarda l'istruzione, i bambini, che costituiscono oltre il 40 per cento della popolazione Rom e Sinti36, non frequentano regolarmente le scuole, nonostante le leggi e le politiche esistenti. Secondo i dati del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il 54,7 per cento dei bambini di questi gruppi frequenta la scuola primaria, mentre solo il 1,3 per cento frequenta la scuola secondaria superiore. Lo Special Rapporteur è stato informato di una iniziativa della società civile in cui le madri delle comunità vengono assunte per assicurare l'istruzione dei figli. Lo fanno accompagnando i bambini da e per la scuola, interagendo con gli insegnanti per conto delle loro famiglie e incoraggiando le famiglie a mandare i propri figli, soprattutto le ragazze, a scuola. Nonostante tali misure, le interviste con le donne che vivono nel campo rivelano che la paura - di discriminazione, intolleranza, bullismo da parte degli alunni, degli insegnanti e della comunità esterna in generale, ma anche la paura di perdere la propria cultura etnica e identità - è la ragione principale per cui i genitori optano di non mandare i propri figli, soprattutto ragazze, a scuola. Altri motivi che contribuiscono alla dispersione scolastica delle ragazze sono le responsabilità domestiche, la povertà e i matrimoni in età precoce37. D.Violenza contro le donne migranti 25. Le donne migranti che si trovano in situazione irregolare nel Paese sono vittime di molteplici forme di discriminazione, ulteriormente amplificate dal "pacchetto sicurezza"38. Lo Special Rapporteur è stato informato durante un'intervista presso un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di un caso in cui una donna migrante in situazione irregolare che ha denunciato un tentativo di stupro alla polizia è stata trasferita al CIE, invece di ottenere un’azione legale contro l'autore del reato. Incidenti come questi portano ad una ri-vittimizzazione continua e allo sfruttamento delle donne migranti, dal momento che la loro paura di essere arrestate agisce come un ostacolo alla denuncia. 26. Le leggi del pacchetto sicurezza hanno anche un impatto sulle donne migranti che si trovano nel paese in seguito a ricongiungimento familiare. Lo Special Rapporteur è stato informato dai mediatori culturali che lavorano sulle questioni dei migranti a Imola di casi in cui queste donne subiscono violenza domestica, economica e psicologica da parte dei loro coniugi. Il periodo di residenza legale obbligatorio di due anni costringe coloro che non hanno altre opzioni a vivere con coloro dai quali vengono abusate, al fine di acquisire la cittadinanza. La mancanza di informazioni sull'assistenza a loro disposizione da parte delle istituzioni pubbliche e private o di conoscenza del sistema di immigrazione italiana e della lingua aggrava ulteriormente la loro situazione. 27. La legislazione sull’immigrazione39 prevede la possibilità di rilasciare permessi di soggiorno per motivi di protezione sociale alle donne vittime di tratta e sfruttamento, in seguito una dichiarazione del loro status e al completamento dei programmi di assistenza richiesti. Eppure, un colloquio con una vittima della tratta in attesa di deportazione in CIE ha rivelato che la paura di rappresaglie da 35 Ibid Senato della Repubblica, Rapporto Conclusivo, p. 5 37 ERRC, parallel submission to the Committee on the Elimination of Discrimination against Women on Italy, 2011, p. 13. 38 Decreto legge 91/1992 sul pacchetto sicurezza emendato e convertito in Legge n. 125/2008. 39 Decreto legislative 286/1998 sull’immigrazione, in particolare l’articolo 18; Legge 228/2003 contro la tratta degli esseri umani (specialmente art. 13). 36 parte dei trafficanti, che lei crede abbiano un potere materiale e spirituale su di lei e sulla sua famiglia, le impedisce di beneficiare di programmi di assistenza alle persone vittime di tratta. 28. In termini di occupazione, lo Special Rapporteur è stato informato che la maggior parte delle donne immigrate sono impiegate come badanti/lavoratrici domestiche in case private. Esse si occupano di una serie di compiti, dalla pulizia alla cura dei bambini, dei diversamente abili e degli anziani. Il lavoro di queste dipendenti compensa le carenze del sistema di welfare pubblico, che è costretto da un finanziamento insufficiente (CEDAW/C/ITA/Q/6/Add.1, par. 271) e dall'invecchiamento della popolazione che necessita assistenza. 29. Per quanto riguarda l'istruzione, i bambini migranti ricevono istruzione gratuita fino all'età di 16 anni40. Tuttavia, poiché sono considerati fonte di disagio e un problema che incide negativamente sull'efficacia dell’istruzione41 una recente misura politica prevede un massimo del 30 per cento di studenti non-italiani per classe42. E. Donne nelle strutture di detenzione 30. Secondo i dati forniti dal governo, le donne in carcere rappresentano il 4 per cento della popolazione carceraria complessiva, il 50 per cento dei quali sono straniere43. In generale, i reati per i quali vengono accusate o condannate sono caratterizzati come cosiddetti reati di povertà, con un basso livello di pericolosità per la società. 31. Le condizioni di sovraffollamento e insalubrità sono un problema individuato durante le visite dello Special Rapporteur ai centri di detenzione. Ad esempio, nel centro di detenzione femminile a Pozzuoli, 12 donne, tra cui una donna incinta di 8 mesi e una donna di 60 anni, sono state confinate in una cella piena di fumo di sigarette, senza acqua calda con un bagno in comune44. Allo stesso modo, l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, sotto l'amministrazione regionale della Lombardia, che ospita donne e gli uomini che sviluppano disturbi di salute mentale, prima o dopo la loro incarcerazione, non solo è sovraffollato, ma anche a corto di personale. Questo è un potenziale rischio di sicurezza sia per i pazienti che per il personale45. 32. In tutte le strutture di detenzione che lo Special Rapporteur ha visitato, sovraffollamento e risorse limitate hanno contribuito ad aumentare le sfide in materia di accesso alle opportunità di lavoro all'interno del carcere. Per esempio, in una struttura di 198 detenuti, solo 5 avevano l’opportunità di lavorare con una cooperativa situata all'interno del carcere, per la durata del loro soggiorno in prigione46. Interviste con le detenute presso il carcere di Rebibbia e il Centro di Detenzione Femminile di Pozzuoli hanno evidenziato anche pratiche discriminatorie da parte del personale carcerario in termini di opportunità o criteri preferenziali per il lavoro, in base alle quali è 40 Decreto Presidenziale 394/1999 Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero in accordo con il Decreto legislativo 286/1998. 41 Arianna Santero, L’inserimento scolastico degli alunni migranti in Italia, Paper per la Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”, Milano, settembre-ottobre 2011, p. 13. Lo Special Rapporteur prende nota della spiegazione del Governo circa i benefici del sistema di quota per la esclusione degli stranieri dal sistema educativo . 42 Ministero dell’Istruzione, Direzione Scuola, Ordinanza n. 2 del 2012 sulla integrazione di studenti non italiani. 43 Ministero Informazione fornita dal Ministero di Giustizia, Direzione Amministrazione Penitenziaria. In data 13 gennaio 2012, di 2,837 detenute in Italia, 1,168 erano straniere. 44 Lo Special Rapporteur è stato soddisfatto di essere stata informata dopo la missione della sostituzione dei serbatoio dell’acqua rotti. 45 Informazione fornita dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere. 46 Informazione fornite nel corso delle interviste fatte al Centro di Detenzione Femminile di Pozzuoli. accordata priorità a detenute condannate con pene lunghe rispetto a quelle con pene brevi o in attesa di giudizio. 33. In termini di accesso all'istruzione, considerato come uno dei mezzi per riabilitare i detenuti, in particolare i minori, colloqui privati con lo Special Rapporteur hanno rivelato che nel Centro di Detenzione Minorile di Nisida è prevista solo fino a livello di scuola media. Coloro che desiderano proseguire gli studi dovranno farlo una volta che vengono rilasciati. Nel frattempo, seguono classi riconosciute di scuola media, tra cui l'italiano se del caso. Ciò può comportare l’acquisizione di più di una licenza media cosa che ha portato ad irritazione e disinteresse verso l’istruzione da parte di alcuni bambini, come riferito nel corso delle interviste presso il Centro di Detenzione Minorile di Nisida. Lo Special Rapporteur ha rilevato l'offerta di formazione professionale si inserisce nel quadro degli sforzi volti a facilitare il reinserimento dei delinquenti minori nella società. Questi corsi sono in gran parte basati su ruoli stereotipati di uomini e donne, e comprendono la produzione della pizza e lavori di carpenteria per i ragazzi e la cucina per le ragazze. 34. Durante la sua visita all’ala femminile di una prigione, lo Special Rapporteur ha preso atto della condizione delle donne detenute con figli minori. Ha trovato che le strutture sono state separate dalle altre sezioni del carcere e che le condizioni sono soddisfacenti. Le donne intervistate nel carcere di Rebibbia erano tutte stranieri e si trovavano lì per piccoli reati legati alla proprietà, per lo più furti. I loro reclami erano connessi con il fatto che erano preoccupate per gli altri figli a casa e che si sarebbero dovute applicare pene alternative, quali gli arresti domiciliari. 35. Altre istanze portate all'attenzione del relatore speciale includono l’insoddisfazione per la qualità di alcuni gratuiti patrocini finanziati dallo Stato47; le pratiche discontinue seguite da alcuni giudici di sorveglianza nella revisione delle pene per il rilascio anticipato dei detenuti che soddisfino le condizioni per forme alternative di detenzione e la mancanza di informazioni e delle relative motivazioni, che possono favorire la rabbia e l'incomprensione tra i detenuti48. Inoltre, la detenzione dei detenuti transessuali nelle sezioni maschili della maggior parte delle prigioni li espone a ulteriori violenze49. F. Donne diversamente abili 36. Sono circa 1,8 milioni le donne che vivono con disabilità in Italia50. Le donne con disabilità, comprese quelle con disabilità psichiatriche, sono più esposte alla violenza fisica e sessuale sia domestica che da parte delle istituzioni51. Lo Special Rapporteur è stato informato di un caso emblematico di sfruttamento sessuale di violenza nel corso di un periodo di 40 anni nei confronti di una donna sordomuta. A scuola, era stata vittima di violenza, compresa la violenza sessuale, secondo quanto riferito, commessa da sacerdoti. Secondo la vittima, era stata presumibilmente anche violentata ripetutamente e messa incinta da un membro della famiglia e costretta a sottoporsi ad un aborto non sicuro senza il suo consenso. Mentre sul posto di lavoro, è stata presumibilmente 47 Le intervistate al CIE hanno menzionato la mancanza di interesse del gratuito patrocinio fornito durante le audizioni per l’espulsione. 48 Circa 40 donne nel Centro di Detenzione Femminile di Pozzuoli hanno menzionato che le loro richieste per forme di detenzione alternative non erano state valutate o valutate in maniera non coerente. Si è fatto riferimento di un giudice particolare attivo nel procedere in tale senso. 49 Informazione fornita nel corso di una intervista con una persona transgender , vittima di violenza sessuale e fisica nel carcere. 50 Informazione fornita dal Ministero della Sanità. 51 Disabled People International –Italy and Consiglio Nazionale sulla Disabilità, Report on women with disabilities and their human rights, 2012, p. 12 violentata dal presidente di una ONG incaricata di fornire assistenza alle persone diversamente abili rimanendo incinta. Aveva dovuto lottare con la famiglia, gli ospedali e le associazioni per tenere il suo bambino e aveva dovuto crescerlo da sola. A casa, ha presumibilmente subito violenza domestica per diversi anni dal marito alcolizzato, dal quale dipendeva finanziariamente. La mancanza di informazioni su rimedi e servizi disponibili, nonché il timore di essere ulteriormente stigmatizzata le impediva di condividere il suo calvario e ricevere assistenza. 37. Inoltre, lo Special Rapporteur è stato informato dalla Associazione Disabili Rinnovamento Democratico di Imola che le donne con disabilità sono generalmente considerate esseri asessuati, incapaci di fondare e prendersi cura di una famiglia propria o di acquisire l'istruzione e di essere impegnate in attività di guadagno economico. Nonostante linee guidale esistenti /progressive legali e politiche per l'integrazione delle donne diversamente abili, in pratica a queste donne sono offerti talvolta programmi di formazione che le conducono verso posizioni subordinate e a ruoli inferiori nel mercato del lavoro e, di conseguenza, a lavori meno pagati52. IV. Risposta dello Stato alla violenza contro le donne A. Sviluppi del quadro legislativo 38. L'Italia è parte di una serie di strumenti internazionali e regionali sui diritti tra cui la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne e il suo Protocollo Opzionale, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, il Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, soprattutto donne e bambini, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e il suo Protocollo n. 12 in materia di non discriminazione. 39. A livello nazionale, la Costituzione garantisce i diritti umani per tutti e stabilisce il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione e opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. 1. La violenza contro le donne 40. Il quadro giuridico italiano per combattere la violenza contro le donne si è evoluto nel tempo. L'autorità maritale è stata abolita ed entrambi i coniugi hanno l'autorità legale di prendere decisioni, comprese quelle relative ai figli53. La violenza sessuale contro le donne è diventata ora un reato penale, piuttosto che un reato contro la morale pubblica, e viene perseguita su denuncia54. Il gratuito patrocinio viene fornito alle vittime di stupro, di stupro statutario e stupro di gruppo55. Le mutilazioni genitali femminili sono vietate e punite per legge, con supporto alle vittime, l'istituzione di numeri verdi e iniziative di sensibilizzazione dei cittadini incluse come parte delle misure di risarcimento56. 52 Lo Special Rapporteur è stato informato dell’esistenza di leggi e politiche a garanzia dei diritti delle donne diversamente abili, inclusa l’offerta di assistenza nell’insegnamento mirata per una migliore integrazione nei settori educativi e occupazionali. Comunque, rappresentanti delle donne diversamente abili e il rapporto summenzionato della Disabled People International – Italy e il Consiglio Nazionale sulla Disabilità (p. 6) confermano l’esistenza de facto di discriminazione. 53 Legge n. 151/1975 emendante il diritto di famiglia. 54 Legge n. 66/1996 contro la violenza sessuale. 55 Legge n. 11/2009 sulla violenza sessuale e lo stalking e Legge n. 38/2009 sullo stalking. 56 Legge n. 7/ 2006 sulla prevenzione e la proibizione delle mutilazioni dei genitali femminili. 41. Esiste una legge specifica sullo stalking che prevede la detenzione obbligatoria per gli atti di violenza sessuale anche da parte dei partner, ed è un reato aggravato se commesso contro minori e le persone diversamente abili57. Altre misure relative comprendono l'istituzione di una specifica unità all'interno della polizia (Carabinieri), un numero verde nazionale e finanziamenti statali destinati. 42. Affidamento condiviso dei genitori è la fattispecie predefinita nelle separazioni coniugali58. Lo special Rapporteur è stato informato da una organizzazione della società civile di Bologna di un trend crescente in cui viene assegnato questo tipo di custodia da parte dei giudici, anche nei casi in cui i bambini sono stati direttamente o indirettamente, testimoni di violenza intrafamiliare. Ciò è dovuto all'esercizio di discrezionalità giudiziaria, in assenza di una legislazione specifica che affronti tali circostanze e che possa offrire rimedi per la protezione di donne e bambini. Lo Special Rapporteur nota che un certo numero di giudici del Tribunale dei Minori di Roma tentano di colmare la lacuna nella legge interpretando il "pregiudizio che può essere sofferto dal bambino" negli articoli 330 e 333 del Codice Civile, al momento di decidere circa la perdita di diritti parentali59. 43. Misure di tutela giurisdizionale nel contesto della violenza intrafamiliare (artt. 342 bis e ter del Codice Civile) consentono un'applicazione ex parte ad un giudice civile in caso di urgenza. Sono fornite misure di protezione, quali la rimozione del colpevole dalla famiglia, che vieta alla persona di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, la possibilità presentare capi d'accusa per abuso emotivo e psicologico, interventi da parte dei servizi sociali o dei centri anti-violenza e il pagamento regolare di alimenti60. La violazione di tali misure di protezione civile è penalmente sanzionata con la reclusione o con una multa (art. 388 del Codice Penale). 2. Donne vittime di forme multiple di discriminazione (a) Donne Rom e Sinti 44. Decreti e ordinanze di stato di emergenza amministrativa61 sono stati adottati in conformità alla legislazione di protezione civile per regolare gli insediamenti di “comunità nomadi", in cui sono considerati minacce alla sicurezza pubblica. Tali norme prevedono, tra l'altro, il censimento degli individui che vivono in "insediamenti nomadi", il monitoraggio degli insediamenti autorizzati e lo sgombero di insediamenti irregolari, anche attraverso il ricorso alle agenzie di protezione civile, la polizia e l’esercito62. 57 Legge No. 11/2009. Vedi Legge n. 54/ 2006 sulla custodia del minore. 59 Piattaforma italiana, Rapporto Ombra, p. 100. 60 Legge n. 154/2001 sulle misure contro la violenza nella relazioni familiari. 61 Decreto ministeriale (21 maggio 2008) sulla dichiarazione dello stato di emergenza in Campania, Lazio e Lomabrdia (dichiarato nullo dal verdetto del Consiglio di Stato n. 6050 del 16 novembre 2011); Ordinanze ministeriali nn. 3676/3677/3678 (30 maggio 2008) su urgente misure di protezione civile per risolvere lo stato di emergenza e n. 51 (1 aprile 2009) su urgenti misure addizionali di protezione civile per affrontare lo stato di emergenza; Decreto ministeriale (28 maggio 2009) su urgenti misure di protezione civile per affrontare lo stato di emergenza in Piemonte e Veneto; Decreto ministeriale (17 dicembre 2010) sulla proroga dello stato di emergenza nelle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto. Da notare che lo stato amministrativo di emergenza citato differisce dallo stato di emergenza descritto dal Patto internazionale sui diritti civili e politici. 62 La regioni coinvolte da questa misura sono Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto. 58 45. Lo Special Rapporteur riconosce il recente intervento del Consiglio di Stato che ha dichiarato nullo il Decreto di Stato di emergenza in relazione agli insediamenti nelle regioni di Campania, Lombardia e Lazio63. (b) Donne migranti 46. Dal 2008 sono state introdotte una serie di misure restrittive in materia di migrazione, note come "pacchetto sicurezza"64. Il pacchetto prevede, tra l'altro, limitazioni all’accesso ad alcuni servizi di base per i migranti irregolari, rende un reato sanzionato con la reclusione affittare un alloggio ai migranti irregolari, e autorizza ronde di cittadini per garantire la sicurezza. Inoltre, la recente Legge n. 94/2009 criminalizza l'immigrazione irregolare, che rende punibile con una multa fino a 10.000 euro. Come reato previsto e punito d’ufficio, alcuni funzionari e agenti del servizio pubblico, esclusi quelli nei settori della sanità e dell'istruzione, hanno il compito di fornire informazioni in materia di migrazione irregolare. Non farlo è un reato ai sensi dell'articolo 331, comma 4, del Codice di Procedura Penale e degli articoli 361 e 362 del Codice Penale. (c) Donne vittime di tratta 47. Legge n. 228/2003 contro la tratta di esseri umani ha introdotto il reato di riduzione di una persona o mantenimento di lui/lei in schiavitù o servitù, tratta di esseri umani e commercio di schiavi. Essa prevede inoltre la creazione di un programma a breve termine di protezione che garantisca l’alloggio, il cibo e le cure mediche alle vittime nei centri protetti. 48. La legislazione include anche uno speciale permesso di soggiorno per le vittime della tratta, come parte di un pacchetto di protezione sociale, che è indipendente da qualsiasi denuncia/ trasmissione di informazioni da parte della vittima per quanto riguarda i trafficanti. Offre inoltre alle vittime di tratta l'opportunità di un programma di integrazione più sostanziale65. (d) Donne diversamente abili 49. Gli articoli 3, 31, 37 e 51 della Costituzione proteggono le donne con disabilità da qualsiasi forma di discriminazione, sia nel campo del lavoro, sia nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive e/o durante la maternità. Altri strumenti legislativi forniscono una protezione in settori quali il diritto alla vita, alla salute, all’assistenza e all’integrazione sociale66, l’inclusione nel mercato del lavoro e la protezione sociale67, l'accesso al lavoro68 e la tutela giurisdizionale in caso di discriminazione69. 63 Ministero dell’Interno ed altri v. ERRC ed altri, Ordinanza del Consiglio di Stato n. 6050 di novembre 2011 che dichiara nullo il Decreto dei Ministri (21 maggio 2008) sull’emergenza nomadi. 64 Decreto legislativo 92/2008 sulla sicurezza pubblica convertito in Legge n. 125/2008; Legge n. 94/2009 sulla sicurezza pubblica 65 Decreto legislativo 286/ 1998 sull’immigrazione (art. 18) emendato dalla Legge n. 189/2002. Legge n. 104/1992 sui diritti delle persone diversamente abili. 67 Legge n. 68/1999 sul diritto al lavoro delle persone diversamente abili. 68 Decreto ministeriale 91/2000 sull’accesso al lavoro delle donne con disabilità, Decreto legislativo 216/2003 sulla parità di trattamento nell’occupazione e nelle condizioni di lavoro, Decreto legislativo 145/2005 sulla parità di trattamento nell’accesso all’occupazione, alla formazione vocazionale, alla promozione e alle condizioni di lavoro, Decreto legislativo 198/2006 sul Codice per le pari opportunità. 69 Legge 67/2006 sulla protezione giuridica delle persone con disabilità. 66 3 Donne nelle strutture di detenzione 50. Le condizioni delle donne in stato di detenzione, in particolare quelle con figli minori, sono migliorate nel corso degli anni. Alcune donne stanno beneficiando di misure alternative alla detenzione, che includono la libertà vigilata sotto la supervisione dei servizi sociali, gli arresti domiciliari, la semilibertà e programmi di rilascio condizionato70 che vengono concessi dal Tribunale di Sorveglianza, a determinate condizioni. 51. Legge n 62/2011 sul rapporto tra le madri in carcere e i loro figli minori, promulgata nel 2011 prevede, inoltre, che le donne detenute che abbiano figli che vivono con loro, dovrebbero essere detenute in strutture di bassa sicurezza, invece della prigione ordinaria71. Inoltre, possono far vivere i figli con loro fino all'età di 6 anni. 4. Donne e lavoro 52. Un Codice di Pari Opportunità tra uomini e donne nel lavoro e dell'occupazione ribadisce i principi di uguaglianza e non discriminazione di genere; vieta qualsiasi forma di discriminazione basata sul sesso, che comporti o porti alla violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, e prevede misure per evitare tale discriminazione (CEDAW/C/ITA/Q/6/Add.1, cpv. 13). Un’altra normativa prevede la multa e la reclusione dei datori di lavoro nel caso di disparità retributiva tra uomini e donne72; il congedo parentale di due anni per genitori di bambini con gravi disabilità73; accordi sulla flessibilità del lavoro74 e tutela della salute e della sicurezza sul lavoro75. B. Sviluppi del quadro istituzionale e delle politiche 53. Il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) e il Ministero del Lavoro, Affari Sociali e Pari Opportunità sono gli organismi governativi primari che lavorano nei settori della parità di genere e della violenza contro le donne. 54. Il DPO, sotto il Presidente del Consiglio dei Ministri, è responsabile della promozione e del coordinamento delle politiche per le pari opportunità e tutte le azioni governative per prevenire e rimuovere ogni forma di discriminazione. 55. Il DPO comprende l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, che ha numerose funzioni, tra cui: il monitoraggio di come i media nazionali ritraggono gruppi specifici; è il punto di riferimento designato per l'elaborazione di una strategia nazionale per l'inclusione delle comunità Rom e Sinti; è l'ufficio per l'attuazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne nell'accesso e alla fornitura di beni e servizi; ospita il Centro per la lotta contro la pedofilia e la pornografia infantile e il Comitato per il monitoraggio delle azioni avviate nell'ambito dei piani nazionali contro la violenza di genere e lo stalking. Il DPO supporta anche le amministrazioni locali nello stabilire e sviluppare il Comitati unici per garantire pari opportunità, per la promozione del benessere dei lavoratori e contro la discriminazione. La Commissione per le Pari Opportunità tra 70 Codice di Procedura Penale, art.656; Legge n. 354/1975, artt. 48–51, 54. Legge n. 62/2011 sul rapporto fra madri detenute e i loro figli minori. 72 Decreto legislativo 5/2010 sul divario salariale uomo-donna. 73 Decreto legislativo 151/2001 sulla protezione della maternità e della paternità. 74 Legge n. 183/2010 sulla delegazione al Governo di materie connesse con il lavoro faticoso e gli incentive all’occupazione.; Legge n. 183/2011 su modifiche che riguardano alcuni istituti del lavoro. 75 Decreto legislativo 81/2008 per salvaguardare la sicurezza e la salute dei lavoratori. 71 uomini e donne, all'interno del DPO, fornisce anche consulenza e supporto nella elaborazione e attuazione di politiche di pari opportunità. 56. Il Ministero del Lavoro, Affari Sociali e Pari Opportunità, attraverso il DPO è incaricato di attuare le politiche in materia di pari opportunità, compreso assicurare un'efficace promozione e il coordinamento di tutte le azioni governative in materia di diritti delle donne e pari opportunità nel settore della salute, della ricerca, dell’istruzione, dell’ambiente, della famiglia, del lavoro, degli uffici pubblici e della rappresentanza delle donne, della protezione dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale, della lotta contro la pedofilia e la pornografia infantile e garantire la piena attuazione delle politiche di parità tra i sessi in materia di imprenditorialità e mercato del lavoro. Il Ministro inoltre promuove e coordina tutte le azioni per combattere la tratta e lo sfruttamento di esseri umani e la violenza contro donne e bambine. 57. Altri organismi governativi che hanno un ruolo diretto nella promozione dei diritti delle donne e dell'eliminazione della violenza contro le donne sono i seguenti. 58. Il Consigliere Nazionale per la Parità che si impegna iniziative volte alla realizzazione dei principi di pari opportunità e non discriminazione tra uomini e donne sul posto di lavoro. Il Consigliere coordina la Rete Nazionale di Consiglieri di Parità e Consiglieri Donne in diverse regioni e province. 59. La Commissione Interministeriale per la Prevenzione della Pratica della Mutilazione Genitale Femminile, che è attualmente in fase di rinvio, composto da esperti di organizzazioni governative competenti, nonché istituzioni non governative. Coordina gli interventi del governo volti al contrasto delle mutilazioni genitali femminili76. 60. L'Osservatorio Nazionale sulla Situazione delle Persone con Disabilità è un organo tecnico e consultivo incaricato di sviluppare politiche nazionali per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, nonché l'attuazione della Convenzione sui diritti delle persone diversamente abili. 61. Inoltre, l'Istituto Nazionale per la Promozione della Salute dei Lavoratori Migranti e il controllo delle questioni legate alla povertà all'interno del Ministero della Salute, le unità speciali antistalking del Corpo dei Carabinieri del Ministero della Difesa, le Unità Investigative specializzate della Polizia di Stato che si occupano dei crimini sessuali contro donne e bambini e gli altri organismi all'interno dei Ministeri della Giustizia, dell'Interno e della Cooperazione e l'Integrazione lavorano con il DPO e il Ministero del Lavoro, degli Affari Sociali e delle Pari Opportunità, per contrastare la violenza contro le donne e la promozione dei diritti delle donne. 62. In aggiunta, la questione della violenza contro le donne viene affrontata attraverso la costituzione di un team specializzato di pubblici ministeri degli uffici della Procura. Essi sono responsabili dei procedimenti in fatto di abuso sessuale e di non rispetto degli obblighi di sostegno alla famiglia. A Roma, come in altre città, protocolli d'intesa sono firmati tra la magistratura e i centri anti-violenza e gli ospedali, per un azione efficace e coordinata in materia di violenza contro le donne e la protezione delle vittime. 63. A livello politico, il Governo ha sviluppato il Piano Nazionale di Azione per combattere la violenza contro le donne e lo stalking, il Piano Nazionale d'Azione sulle donne, la pace e la 76 Legge n. 11/2009 e Legge n. 38/2009 sullo stalking. La Commissione è attualmente in fase di essere ri-istituita. sicurezza (2010-2013) e il Piano Nazionale per l'inclusione delle donne nella forzalavoro (Italia 2020). V. Servizi di supporto per le donne vittime di violenza 64. Durante la sua visita lo Special Rapporteur è stato informato del notevole aiuto alle donne vittime di violenza fornito dalle organizzazioni della società civile che gestiscono centri antiviolenza e centri d’ascolto anti-violenza in reparti di pronto soccorso all'interno degli ospedali. Lo Special Rapporteur riconosce la grande esperienza e competenza che esiste nella fornitura di servizi tra cui l’assistenza legale, sociale, psicologica ed economica alle vittime della violenza contro le donne. Nonostante la limitata disponibilità di risorse per questa attività, lo Special Rapporteur è stato informato di forme di partnership pubblico-privato, anche attraverso un sistema di gare d'appalto, che finora ha permesso di continuare questo lavoro per il bene delle donne e delle ragazze che hanno subito violenza. 65. Per quanto riguarda le istituzioni di istruzione superiore, gli incontri con docenti e studenti hanno rivelato il ruolo potenziale delle istituzioni educative per affrontare la violenza contro le donne, in particolare attraverso la ricerca sulla diffusione, le manifestazioni e le cause sistemiche e strutturali di disuguaglianza e discriminazione che più spesso portano alla violenza contro le donne. 66. Durante la sua missione, lo Special Rapporteur ha inoltre preso atto del ruolo positivo dei mediatori culturali per promuovere la conoscenza e la comprensione reciproca tra la società ospitante e le comunità migranti, che possono contribuire ad affrontare le varie forme di violenza contro le donne, e lo sviluppo di risposte culturalmente appropriate da parte dello Stato. VI. Sfide principali 67. La violenza contro le donne resta un grave problema in Italia. Come forma più diffusa di violenza, la violenza domestica continua a colpire le donne in tutto il paese. Il continuum della violenza in casa si riflette nel crescente numero di vittime di femminicidio da parte dei partner, coniugi o ex partner. La maggior parte delle manifestazioni di violenza sono sottovalutate nel contesto di una società patriarcale dove la violenza domestica non è sempre percepita come un crimine, dove le vittime in gran parte dipendono economicamente dagli autori di violenza, e persiste la percezione che le risposte dello Stato non saranno opportune o utili. 68. Il quadro giuridico prevede largamente una protezione sufficiente per la violenza contro le donne. Tuttavia, è caratterizzato da frammentazione, punizioni inadeguate dei colpevoli e mancanza di efficaci rimedi giuridici di risarcimento per le donne vittime di violenza. Questi fattori contribuiscono al silenzio e all’invisibilità che circondano la violenza contro le donne, le sue cause e le conseguenze. A. Accesso al quadro giurisdizionale/legale 69. Le vittime di violenza e i rappresentanti della società civile che lo Special Rapporteur ha incontrato hanno messo in evidenza la lunga procedura penale, il mancato rispetto delle misure di protezione civile e l'inadeguatezza delle sanzioni pecuniarie e di detenzione nei confronti dei responsabili che hanno indebolito la natura protettiva di tali misure. Inoltre, i lunghi ritardi nel sistema giudiziario possono incidere sull'esito di un caso. L’istituto della prescrizione permette ad alcuni casi di essere prescritto a causa dei ritardi nel sistema. Inoltre, la mancanza di coordinamento tra i giudici delle sezioni civile, penale e minorile nel trattare le misure di protezione a volte produce giudizi in contrasto fra loro. 70. Un altro problema ricorrente che emerge dalle interviste con le donne è il ritardo o il mancato pagamento degli alimenti da parte dei mariti, nonostante le leggi in vigore criminalizzano tale azione. Come conseguenza di questa violenza economica, stando alle informazioni fornite in un'intervista con le vittime, le donne sono costrette a vivere nei centri o con i parenti e a fare ricorso al sistema giudiziario per l'esecuzione del pagamento. Secondo le associazioni che forniscono assistenza legale alle vittime, ricorrere a procedure giudiziarie può richiedere molto tempo e sono costose e, a volte, è un esercizio futile in quanto le relative risorse patrimoniali potrebbero non essere più disponibili al momento della decisione giudiziaria. La riluttanza dei giudici ad emettere le ordinanze che interrompono la disponibilità dei beni in attesa della conclusione della questione crea ulteriori svantaggi alle donne e ai bambini. 71. La pratica di concedere sistematicamente l’affidamento congiunto ai genitori, anche nei casi di violenza intrafamiliare testimoniata dai bambini, consente la perpetuazione della violenza domestica nei confronti delle donne separate e divorziate. La facoltà di limitare o interrompere i diritti dei genitori si verifica in rari casi di denuncia di tentato omicidio o di abuso di minore77. I casi in cui l'ex partner ha usato la custodia congiunta del figlio per mantenere la comunicazione e, indirettamente, continuare ad esercitare il controllo sulla sua ex compagna/moglie (compreso impedirle di scegliere il suo luogo di residenza) sono stati elencati allo Special Rapporteur78. 72. Inoltre, lo Special Rapporteur è stato informato del Disegno di legge s957/2008 sull’affidamento condiviso congiunta che è attualmente in Parlamento. Questo Disegno di legge tiene contro della Sindrome di Alienazione Genitoriale per la determinazione dell’affido del minore. Questa sindrome è stata usata dagli uomini che abusano in altre giurisdizioni come terreno per escludere le donne dalla custodia genitoriale congiunta79. Gli attivisti argomentano che, se adottata, questa legge perpetuerebbe la violenza sofferta dalle donne. Le obbligherà a mantenere un contatto stretto con i loro aguzzini e creerà un clima di paura per le donne, in quanto le loro azioni saranno monitorate e potranno essere usate da chi abusare per argomentare che la donna sta tenendo lontano i figli dal padre. B. Donne vittime di forme multiple di discriminazione 73. La categorizzazione delle comunità Rom e Sinti come "nomadi"80 – che richiede la creazione di uno stato di emergenza amministrativa e costante sorveglianza 81 – predetermina le condizioni in cui esse devono vivere e può contribuire a creare le circostanze in cui si verifica l'abuso sia domestico che da parte della comunità. La comunità vive in rifugi temporanei, in container, in accampamenti, spesso con condizioni di vita inadeguate, come osservato dallo Special Rapporteur nell’insediamento visitato. 74. Le donne e ragazze provenienti da queste comunità affrontano molteplici forme di violenza e discriminazione sulla base del sesso e dell’origine etnica. Ciò si riflette nella loro posizione di svantaggio in settori quali l'occupazione, l’istruzione, la sanità, gli alloggi inadeguati che occupano 77 Informazione fornita da una organizzazione della società civile di Bologna. Piattaforma italiana, Rapporto Ombra, p. 100. 79 Disegno di Legge S957/2008 sulla custodia congiunta, presentato al Senato nel marzo 2011. 80 Lo Special Rapporteur è stato informato del fatto che il termine “nomade” non veniva più utilizzato nella Strategia Nazionale per la Inclusione Sociale delle comunità Rom, Sinti e Caminanti di novembre 2011. Ha comunque notato come il termine viene continuato ad essere usato da alcuni funzionari statali. 81 Nel corso della visita a Roma di un campo Rom lo Special Rapporteur ha notato la presenza di telecamere di sicurezza installate davanti al cancello per controllare i residenti del campo, in linea con il pacchetto sicurezza. 78 e gli sfratti arbitrari che subiscono. Questo a sua volta rafforza la loro mancanza di fiducia e le rende riluttanti a integrarsi con la società esterna. Nelle loro comunità, ciò si traduce in dipendenza dai membri maschi della loro famiglia che potrebbe essere fonte di violenza domestica. La mancanza di fiducia rafforza l'invisibilità del problema e quindi l’estensione non è nota, a livello di Stato e di non – Stato. Questo modello di vita alimenta il ciclo intergenerazionale della povertà che colpisce in particolare donne e ragazze. 75. Le sfide affrontate dalle donne immigrate irregolari come conseguenza delle misure legislative e politiche adottate per frenare l'immigrazione irregolare includono la creazione di strumenti alternativi, illegali che offrono loro servizi che non possono essere ottenuti con enti pubblici. Lo Special Rapporteur è stato informato da un organizzazione della società civile di Roma che le donne immigrate irregolari normalmente non cercano l'accesso alla giustizia o ai sistemi sanitari nonostante le leggi esistenti. La paura di essere denunciate e rimpatriate e la mancanza di informazioni sull'assistenza a loro disposizione gioca un ruolo importante in tali decisioni. Rappresentanti dell’organizzazione della società civile hanno anche riferito allo Special Rapporteur le molteplici forme di discriminazione incontrate dalle donne migranti nell’ambito dell’occupazione. A causa di pregiudizi e stereotipi, la percezione pubblica li inquadra generalmente come lavoratori domestici /badanti o lavoratori del sesso, a seconda della loro nazionalità. 76. In termini di istruzione, l’attuale politica di istituire una quota per gli studenti non italiani, può contribuire ulteriormente alla già significativa percentuale di abbandoni di minori delle comunità marginalizzate, in particolare delle ragazze che vivono in aree con una alta concentrazione di comunità di immigrati82. 77. Per quanto riguarda le donne vittime di tratta, lo Special Rapporteur è stato informato da una organizzazione che assiste le donne vittime della pratica che, nonostante misure forti anti-tratta, le donne vittime di tratta preferivano richiedere asilo piuttosto che dichiarare la propria condizione. Ciò è dovuto al fatto che mancando informazione sulla assistenza a disposizione, incluso i servizi di counselling e accoglienza, la loro condizione psicologica e la paura di danni a se stesse o alle loro famiglie da parte dei trafficanti. 78. Le donne con disabilità sono state, per lungo tempo, viste come destinatari passivi di assistenza. Lo Stato, la società e persino i familiari percepiscono le donne diversamente abili come invisibili nella migliore delle ipotesi, un peso nella peggiore delle ipotesi. Le ragazze e le donne con disabilità tendono ad essere meno istruite a causa dell’opinione stereotipata che le considera come dipendenti e bisognose di cure. Educarle è quindi considerato non solo difficile, ma non necessario83. Questa percezione ha talvolta portato a una qualità inferiore di istruzione e, di conseguenza, l'occupazione in ruoli subalterni, nonostante gli strumenti legislativi esistenti e le politiche di integrazione delle persone con disabilità84. In termini di assistenza sanitaria, i colloqui con una organizzazione della società civile di Imola In termini di assistenza sanitaria, gli incontri con un CSO di Imola che lavora con donne con disabilità hanno evidenziato la mancanza di consultazione di queste donne per consentire loro di prendere decisioni consapevoli e appropriate in materia di salute e famiglia. 82 Informazione fornita da una organizzazione della società civile di Bologna. Disabled People International –Italy e Consiglio Nazionale sulla Disabilità, Rapporto sulle donne diversamente abili e i loro diritti umani, 2012, p. 6. 84 Ibid. 83 C. Donne nelle strutture di detenzione 79.Per quanto riguarda le donne in detenzione, sono state sollevate molte perplessità circa il potere decisionale esteso dei giudici di sorveglianza. La percezione generale è che le decisioni appaiono influenzate da pregiudizi legati alla etnia della detenuta85. Nel corso delle interviste con lo Special Rapporteur al Centro di Detenzione Femminile di Pozzuoli, le donne hanno reiterato che decisioni inconsistenti, ritardi nel rispondere e a volte mancanza di risposta e di un processo rispettoso da parte dei giudici di sorveglianza rendeva l’accesso a misure alternative di detenzione difficile. 80. La legislazione sulla carcerazione in prigioni a bassa sicurezza di donne con minori fino a 6 anni può contribuire al miglioramento delle condizioni di vita e facilitare la loro reintegrazione nella società. Comunque, le sfide comprendono la garanzia che i requisiti per beneficiare di questo e di altri tipi di forme alternative della detenzione, come la detenzione in comunità (case famiglia protette; vedi Legge n.62/2011) siano comprensive di tutte le donne, in particolare delle Rom, Sinti e immigrate e di quelle senza fissa dimora. In aggiunta, è stata data la dovuta considerazione anche al fatto che non è nel migliore interesse del minore passare gli anni formativi in una prigione. 81.Sono di particolare preoccupazione le opportunità limitate di istruzione e di occupazione nelle strutture detentive, come indicato sopra. L’accesso limitato a tali opportunità, i limiti nelle risorse e le pratiche discriminatorie da parte del personale della prigione nell’allocare tali opportunità, fra l’altro, sono fattori che sono stati portati all’attenzione dello Special Rapporteur. D. Donne e occupazione 82. Nonostante il quadro legislative sul lavoro e l’occupazione, il mercato del lavoro rimane dominato dagli uomini con le posizioni manageriali ancora una prerogative maschile, anche in settori dove le donne formano la maggioranza della forzalavoro, come nelle scuole o nei servizi sanitari. Inoltre, la inadeguatezza dei servizi sociali disponibili per la cura dei bambini e l’assistenza agli anziani, come anche la pratica della firma di lettere di dimissioni in bianco al momento dell’assunzione86 sono sfide che contribuiscono alla esclusione delle donne dall’occupazione. 83. Le donne immigrate che sono occupate nel servizio domestico/cura coprono il divario nel sistema del welfare sociale e sono esposte al rischio di sfruttamento e discriminazione da parte dei datori di lavoro – in primis per il timore di essere deportate nel caso di revoca dei loro contratti87. In molte case sono esposte a forme multiple di discriminazione e pregiudizi per la loro nazionalità; i loro contratti di lavoro generici e le diverse condizioni e responsabilità di lavoro, che spesso vanno oltre la prestazione di cura fino ad includere il lavoro domestico; le loro ore di lavoro sono irregolari; i loro salari non sono pagati regolarmente e non vi sono opportunità di sviluppo di carriera88. 84. Il quadro legislative e politico sul lavoro non protegge in maniera sufficiente le donne delle comunità marginalizzate che subiscono forme multiple di discriminazione. 85 Alessandra Gualazzi, Chiara Mancuso e Annalisa Mangiaracina, “Back door sentencing. in Italy: common reasons and main consequences for the recall of prisoners”, European Journal of Probation, Vol. 4, No.1 (2012), p. 80 86 Lo Special Rapporteur ha apprezzato l’informazione che il disegno di legge sulle misure di riforma del mercato del lavoro che inter alia mira a risolvere il problema delle dimissioni in bianco è stato approvato dal Consiglio dei Ministri a marzo 2012. 87 Informazione fornita da una organizzazione della società civile di Imola. Lo Special Rapporteur ha preso nota che nel caso di revoca di contratti dei lavoratori domestici immigrati, la Legge n.. 129/2011 fornisce loro un massimo di 6 mesi di tempo per cercare lavoro presso un altro datore di lavoro. In caso di insuccesso, sono allora rimpatriati. 88 Piattaforma italiana, Rapporto Ombra, p. 126. E. Raccolta dati e statistiche 85. Lo Special Rapporteur prende nota dei limiti negli sforzi delle istituzioni del Governo e delle organizzazioni della società civile nella raccolta disaggregata di dati e statistiche sulla violenza contro le donne, inclusi i femminicidi. La ricerca ISTAT 2006 sulla violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia è la fonte ufficiale più recente di dati e i suoi limiti includono il fatto che non riflette accuratamente la attuale prevalenza della violenza contro le donne e non include dati sulle donne diversamente abili, sulle donne Sinti, Rom o delle altre comunità vulnerabili. 86. Dati e statistiche disaggregate aggiornate sulla violenza contro le donne sono cruciali per progettare, implementare e monitorare leggi, politiche e programmi. La condivisione di tali dati fra gli enti addetti inclusi i ministeri competenti, le istituzioni per l’applicazione della legge, il potere giudiziario e le organizzazioni della società civile è necessaria per valutare l’impatto di tali misure. F. Supporto coordinato e risposta 87. Il quadro istituzionale per affrontare i diritti delle donne comprende un numero di enti e istituzioni governative, sia nella capitale che a livello regionale con mandate e funzioni similari. Il coordinamento fra questi enti pone sfide, incluso in termini di risorse umane e finanziarie, duplicazione e competizione. 88. In aggiunta, nel corso dei suoi colloqui con le autorità e i rappresentanti della società civile, lo Special Rapporteur è stato informato di occasioni in cui fondi destinati alla promozione e protezione dei diritti delle donne, ricevuti dalle autorità di Napoli da donatori come l’Unione Europea, sono stati restituiti o hanno il rischio di essere restituiti, in quanto non spesi. Il mancato disborso di tali fondi alle associazioni per attività nel campo dei diritti umani sta portando alla chiusura di tali associazioni. I fatto che contribuiscono alla incapacità del Governo centrale di intervenire in tali casi inclusa la decentralizzazione del quadro istituzionale come previsto dalla Costituzione, le sfide derivanti dalla mancata volontà politica a livello locale e le procedure che possono impedire la capacità di gestione e di spesa dei fondi ricevuti. Tutto ciò allora incide sulla responsabilità del Governo centrale di soddisfare, con la dovuta diligenza, gli obblighi internazionali e nazionali di affrontare con efficacia la violenza contro le donne. 89. Per quanto riguarda le organizzazioni della società civile, persone con importante expertise e capacità, stanno lavorando per l’avanzamento dei diritti delle donne. Le sfide esistenti comprendono: la gestione dei fondi pubblici che può portare alla mancata implementazione di alcuni casi; una risposta coordinata ed efficace nell’affrontare la violenza contro le donne e le bambine e la messa in atto di partenariati strategici con i meccanismi internazionali e regionali per i diritti umani per sostenere la promozione e protezione dei diritti delle donne. 90. Secondo il DIRE, le sfide davanti ai centri anti-violenza includono: standards inadeguati o non comunemente accettati sui ruoli specializzati degli operatori dei servizi; la gestione e la responsabilità delle organizzazioni; il ruolo effettivo dei centri nella prevenzione e contrasto alla violenza; l’assenza e/o inconsistenza nell’ottenere i finanziamenti dal Governo per creare nuovi centri anti-violenza e mantenere gli esistenti e il fatto che i servizi di sostegno stanno attualmente raggiungendo solo un numero limitato di donne vittime di violenza. Le organizzazioni della società civile (incluso il DIRE) si sono fortemente espresse nello spiegare allo Special Rapporteur che da gennaio 2012, 14 centri anti-violenza avevano chiuso o erano a rischio di chiusura, con detrimento per le vittime. Allo stesso modo, lo Special Rapporteur è stato informato da una organizzazione della società civile di un centro di emergenza in un ospedale di Roma che stava per chiudere uno sportello ascolto antiviolenza nel pronto soccorso, gestito e finanziato dalle associazioni di donne. VII. Conclusioni e raccomandazioni 91. Sono stati fatti sforzi da parte del Governo per affrontare il problema della violenza contro le donne inclusa l’adozione di leggi e politiche e la creazione e fusione di enti governativi responsabili per la promozione e protezione dei diritti delle donne. Ma questi risultati non hanno ancora portato ad una diminuzione della percentuale di femminicidi o si sono tradotti in un reale miglioramento della vita di molte donne e bambine, in particolare delle donne Rom e Sinti, delle donne migranti e delle donne diversamente abili. 92. Nonostante le sfide dell’attuale situazione politica ed economica, gli sforzi mirati e coordinate nell’affrontare la violenza contro le donne attraverso l’uso pratico ed innovativo di risorse limitate, questa necessità rimane una priorità. I livelli alti di violenza domestica, che contribuiscono ai livelli in crescita di femminicidi, richiedono una attenzione seria. 93. Lo Special Rapporteur vorrebbe offrire al Governo le seguenti raccomandazioni. A. Riforme legislative e politiche 94. Il Governo dovrebbe: (a) organizzare una struttura governativa unica apposite che si occupi ampiamente ed esclusivamente del problema di una uguaglianza di genere in maniera consistente e della violenza contro le donne in particolare, per evitare duplicazione e mancanza di coordinamento; (b) accelerare la creazione di una istituzione nazionale indipendente per i diritti umani con una sezione dedicata ai diritti delle donne; (c) adottare una legge specifica per la violenza contro le donne per risolvere l’attuale frammentazione che avviene in pratica a causa della interpretazione e implementazione dei codici civili, penali e procedurali; (d) affrontare il gap legislativo nel campo della custodia del minore e includere i principali provvedimenti relativi alla protezione delle donne che sono vittime di violenza domestica; (e) fornire formazione e addestramento per rafforzare le capacità dei giudici per affrontare in maniera efficace i casi di violenza contro le donne; (f) assicurare una assistenza di qualità attraverso il gratuito patrocinio da parte dello Stato alle donne vittime di violenza come previsto nella Costituzione e dalla Legge n.154/200 sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari; (g) promuovere forme alternative esistenti di detenzione, inclusi gli arresti domiciliari e in strutture a bassa sicurezza per le donne con bambini, con una attenzione particolare alla natura largamente non violenta dei crimini per i quali sono state incarcerate e nell’interesse migliore del minore; (h) adottare politiche a lungo termine, sensibili al genere e sostenibili per l’inclusione sociale e l’empowerment delle comunità marginalizzate con particolare attenzione alla salute delle donne, alla istruzione, al lavoro e alla sicurezza; (i) assicurare il coinvolgimento dei rappresentanti di queste comunità, in particolare delle donne, nel progettare, sviluppare e implementare politiche che avranno impatto su di loro; (j) garantire una continua offerta di educazione di qualità a tutti, incluso attraverso una applicazione flessibile del tetto del 30 per cento per gli studenti non italiani per classe, per fare sì che le scuole siano inclusive in modo particolare nei luoghi in cui la popolazione non italiana è alta; (k) emendare i provvedimenti del “Pacchetto sicurezza” in generale e il crimine di migrazione irregolare in particolare per garantire accesso alle donne migranti in situazione irregolare agli enti giudiziari e di applicazione della legge, senza il timore per la detenzione e la deportazione; (l) affrontare le attuali disparità di genere nei settori pubblici e privati per implementare efficacemente le misure fornite dalla Costituzione e da altra legislazione e politiche per aumentare il numero delle donne, incluse le donne dei gruppi marginali, nei settori politici, economici, sociali, culturali e giudiziari; (m)Continuare a rimuovere gli impedimenti legislativi che incidono sull’occupazione delle donne, che sono esacerbati attraverso la pratica di far firmare lettere di dimissioni in bianco e posizioni e salari inferiori per le donne. Rafforzare il sistema del welfare sociale rimuovendo gli impedimenti alla integrazione delle donne nel mercato del lavoro; (n) Ratificare e implementare la Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori; la Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, Convenzione ILO n. 189 (2011) sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici; la Convenzione Europea sulla Compensazione alle vittime di crimini violenti e la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. B. Mutamenti sociali e iniziative di sensibilizzazione 95. Il Governo dovrebbe anche: (a) continuare ad effettuare campagne di sensibilizzazione con lo scopo di eliminare comportamenti stereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini in famiglia, nella società e sul lavoro; (b) rafforzare la capacità dell’UNAR a realizzare programmi per modificare la percezione sociale delle donne che appartengono alle comunità e gruppi marginalizzati; (c) continuare ad effettuare campagne di sensibilizzazione mirate, anche con le organizzazioni della società civile, per aumentare la consapevolezza della violenza contro le donne in generale e contro le donne dei gruppi marginalizzati in particolare; (d) addestrare e sensibilizzare i media sui diritti delle donne compresa la violenza contro le donne per ottenere una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei mezzi di comunicazione nazionali. C. Servizi di supporto 96. Il Governo dovrebbe inoltre: (a) continuare ad adottare le misure necessarie, incluse quelle finanziarie per mantenere i centri antiviolenza esistenti e/o crearne nuovi per l’assistenza e la protezione delle donne vittime di violenza; (b) garantire che i centri operino secondo gli standards internazionali e nazionali per i diritti umani e che meccanismi di responsabilizzazione siano creati per monitorare il supporto fornito alle donne vittime di violenza; (c) favorire il coordinamento e lo scambio di informazione fra il potere giudiziario, la polizia e gli operatori psico-sociali e sanitari che si occupano della violenza contro le donne; (d) riconoscere, incoraggiare e sostenere partenariati pubblico-privati con le organizzazioni della società civile e le istituzioni educative del livello superiore, per fornire ricerche e pareri per affrontare la violenza contro le donne. D. Raccolta dati e statistiche 97. Infine il Governo dovrebbe: (a) rafforzare la capacità dell’ISTAT, incluso attraverso la messa a disposizione di fondi consistenti per creare un sistema per la raccolta e analisi regolare e standardizzata dei dati disaggregati in base alle principali caratteristiche in modo da comprendere la grandezza, le tendenze e le forme di violenza contro le donne; (b) garantire che nel raccogliere tale informazione l’ISTAT collabori regolarmente con le istituzioni ed organizzazioni che già lavorano sulla raccolta dati sulla violenza contro le donne - comprese la polizia, i tribunali e la società civile. L’obbiettivo finale dovrebbe essere l’armonizzazione di linee guida per la raccolta dati e l’uso efficace di tale informazione da parte dello Stato e degli attori nono statali. YARA GAMBIRASIO C’è un nuovo elemento sul caso di Yara Gambirasio, che può diventare un indizio prezioso. Si tratta di una confidenza tra colleghi. Un testimone, infatti, ha rivelato qualcosa di importante per quanto riguarda la pista del figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, l’uomo morto nel 1999 che, secondo gli inquirenti, sarebbe il padre dell’assassino. Un collega di Guerinoni ha riferito che proprio lui gli avrebbe confidato di aver avuto un figlio fuori dal matrimonio, con una donna con la quale aveva avuto una relazione. Secondo la testimonianza, questa donna vivrebbe nella Valle Seriana. Sarah Scazzi Nell’intervento conclusivo, l’avvocato di Sabrina punta il dito contro Michele avvalendosi delle stesse parole di una delle tante, contraddittorie, versioni dell’uomo. Ricorda di quando Misseri si è sentito rifiutato dalla ragazzina che, tutto d’un tratto, è cresciuta assumendo le fattezze di una donna o, per meglio dire, “della” donna. Perchè questa nipote assomigliava incredibilmente ad una giovane Cosima, la stessa donna che ha portato all’altare e che negli ultimi tempi lo costringeva a dormire lontano dal loro letto. Sarah sarebbe quindi morta a causa di un raptus sessuale dell’uomo che poi, di fronte alla figlia, avrebbe anche avuto l’ardire di accusarela nipote di averlo provocato. E per quel che riguarda Sabrina? L’avvocato si chiede perchè i numerosi messaggi intercorsi tra lei ed Ivano siano passati inosservati. Non potevano forse essere il segno di un amore che stava nascendo? E se così era, di certo non poteva essere la cugina più piccola ad interferire con questo sentimento quanto un’altra donna. Quindi il movente dov’è? Si è parlato di una lite tra le due ragazze, ma con toni sbagliati ed eccessivi, secondo l’avvocato, così come eccessivamente drammatico sarebbe stato il clima dell’intero processo. Per il difensore Francesco Coppi, quindi, l’unico, vero e vile colpevole sarebbe Michele che, con tutte le sue svariate versioni, ha cercato di negare il fatto salvo poi assumersi l’intera responsabilità. Quello che non torna, tuttavia, è il fatto che Misseri ricordi nel dettaglio come ha fatto a nascondere il corpo ma non sia in grado di raccontare, con la stessa precisione, il delitto. C’è poi il fioraio, che racconta di una lite in strada tra Cosima e Sarah che termina con la ragazzina fatta salire sull’auto dove aspetta Sabrina. Scena che poi attribuisce ad un sogno diventando così da testimone ad indagato per falsa testimonianza. L’arringa di Coppi, che parla anche dell’Alain Delon di Avetrana, Ivano lo sciupafemmine, un debole maschilista di paese, e attacca il metodo investigativo della procura, non aggiunge nulla al processo e non cerca punti deboli dell’accusa quanto piuttosto s’incentra su una descrizione pittoresca delle persone coinvolte, creando un affresco in cui tutti i testimoni sembrano poco credibili. La procura non chiede nuovamente la parola e non resta che aspettare ancora per conoscere la verità e dare finalmente pace alla piccola Sarah. Quello che è certo, per ora, è che non c’è alcuna certezza. La scrittura e l'impegno nei movimenti di trasformazione sociale. Simone de Beauvoir nacque a Parigi alle quattro del mattino del 9 gennaio 1908, figlia di Françoise e Georges, in una famiglia alto-borghese, segnata presto dalla bancarotta del nonno paterno Gustave Brasseur. Il triste evento costrinse i genitori di Simone e di Henriette-Hélène, la sorella di due anni più giovane, ad abbandonare l'appartamento del Boulevard Montparnasse per uno più piccolo sito in Rue de Rennes.[1] Simone e Hélène vissero lunghi anni di disagi e ristrettezze economiche: «usavamo i vestiti fino alla corda, e anche oltre». La famiglia riusciva a stento a rinunciare alle consuetudini borghesi cui era stata abituata: continuarono i soggiorni a Meyrignac dai nonni paterni e a La Grillère presso la zia. Dimostrò sin dall'infanzia una grande passione per la natura. A Meyrignac si avventurava nei campi con Henriette e scopriva con stupore le meraviglie del paesaggio.[2] Altrettanto precoce fu la passione per lo studio. Iscritta al cattolico Istituto Cour Désir, diventò un'allieva esemplare, e decise – fatto allora insolito – di continuare a studiare e di dedicarsi all'insegnamento, allontanandosi allo stesso tempo dalla religione. Qui conobbe Elisabeth Lecoin, detta Zaza, che diventò subito sua grande amica. Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre davanti al Monumento a Balzac di Rodin a Parigi negli anni 1920 Si iscrisse nel 1926 alla Sorbona, laureandosi con una tesi su Leibniz e ottenendo nel 1929 "l'agrégation" (idoneità all'insegnamento riservata ai migliori allievi francesi) in filosofia. Gli anni dell'università coincidono anche con il primo amore: il cugino Jacques Champigneulle. Simone si innamora di lui e al tempo stesso viene introdotta in un nuovo mondo: si appassiona infatti ad autori quali Gide, Radiguet e Proust, interessandosi quindi ad una letteratura ribelle ed anticonformista. Il cugino spegne però presto i sogni matrimoniali della fanciulla, e si lega a un'altra donna. Simone, ferita nei propri sentimenti, attraversa nell'estate del 1927 un periodo di depressione.[3] Nel frattempo l'amica Zaza si era fidanzata con un collega di università di Simone: Maurice Merleau-Ponty. Quest'ultimo apparteneva però a una famiglia cattolica della buona borghesia, e dell'unione extra-coniugale con Elisabeth nessuno era a conoscenza a La Rochelle, suo luogo di provenienza. Madame Lecoin minacciò di far scoppiare uno scandalo e Merleau-Ponty, impaurito, scappò, lasciando la ragazza sola e disperata. Era l'inverno; la giovane, fuori di sé per il dolore, trascorse una notte al gelo completamente nuda, morendo per la polmonite conseguente.[4] Simone non perdonò mai Madame Lecoin per l'accaduto, prendendo coscienza, in seguito al drammatico episodio, dell'ipocrisia borghese che da quel giorno avrà definitivamente in odio. All'università incontrò, nel luglio 1929, colui che, senza matrimonio né convivenza, sarebbe diventato il compagno della sua vita, il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre. Sono, questi, gli anni in cui conosce, oltre a Merleau-Ponty, Lévi-Strauss, Raymond Aron, Paul Nizan. /wiki/File:Beauvoir_Sartre_-_Che_Guevara_-1960_-_Cuba.jpg/wiki/File:Beauvoir_Sartre_-_Che_Guevara_-196 0_-_Cuba.jpg /wiki/File:Beauvoir_Sartre_-_Che_Guevara_-1960_-_Cuba.jpg /wiki/File:Beauvoir_Sartre_-_Che_Guevara_-1 960_-_Cuba.jpgSimone de Beauvoir con Jean-Paul Sartre e Che Guevara nel 1960 Inizia a insegnare nel 1930, prima a Marsiglia, poi a Rouen, infine a Parigi, dove chiuderà la propria carriera di docente nel 1943 per diventare scrittrice a tempo pieno. Molto importanti sono le sue esperienze di viaggio in vari continenti per la sua formazione intellettuale. Con Sartre compie i suoi primi viaggi, in Spagna, in Italia, in Grecia, in Marocco; nulla sfugge a questi due intellettuali degli eventi culturalmente significativi di questo periodo, si appassionano al cinema e al jazz e vivono con partecipazione i grandi rivolgimenti politici di quegli anni: il nazismo in Germania, la guerra civile spagnola del 1936, la seconda guerra mondiale. Durante la guerra, Simone de Beauvoir rimane a Parigi, occupata dai nazisti, e condivide con Sartre la breve esperienza del gruppo di Resistenza "Socialismo e Libertà". Dopo la Liberazione lascia l'insegnamento ed entra a far parte del comitato di redazione della rivista Les Temps Modernes, insieme a Sartre, Leiris, Merleau-Ponty e altri. Nel 1947 si reca negli Stati Uniti per una serie di conferenze e incontra lo scrittore Nelson Algren, con cui stabilisce un intenso rapporto d'amore. Compie altri viaggi significativi (Brasile, Cuba, Cina, Russia) e ritorna molto spesso in Italia con Sartre. Dopo Il secondo sesso (1949), ormai famosa in tutto il mondo, Simone de Beauvoir, per le particolari posizioni assunte come scrittrice e come donna, è oggetto di grande ammirazione ma anche di aspre polemiche. Allo scoppio della guerra di liberazione algerina, prende posizione a favore di questa lotta, cosa che renderà il suo isolamento ancora più pesante. Simone de Beauvoir è considerata la madre del movimento femminista, nato in occasione della contestazione studentesca del maggio 1968, che seguirà con partecipazione e simpatia. Gli anni settanta la vedono fervidamente in prima linea in varie cause: la dissidenza sovietica, il conflitto arabo-israeliano, l'aborto, il Cile, la donna (è presidentessa dell'associazione Choisir e della Lega dei diritti della donna). Nell'ultimo periodo della sua vita, Simone de Beauvoir affronta con coraggio un altro problema sociale, quello della vecchiaia, cui dedica un importante saggio, La Terza Età (1970). Nel 1981, in seguito alla morte di Sartre, scrisse La cerimonia degli addii (La Cérémonie des adieux), cronaca degli ultimi anni del celebre pensatore. Lei stessa si descrisse così: « Di me sono state create due immagini. Sono una pazza, una mezza pazza, un'eccentrica. [...] Ho abitudini dissolute; una comunista raccontava, nel '45, che a Rouen da giovane mi aveva vista ballare nuda su delle botti; ho praticato con assiduità tutti i vizi, la mia vita è un continuo carnevale, ecc. Con i tacchi bassi, i capelli tirati, somiglio ad una patronessa, ad un' istitutrice (nel senso peggiorativo che la destra dà a questa parola), ad un caposquadra dei boy-scout. Passo la mia esistenza fra i libri o a tavolino, tutto cervello. [...] Nulla impedisce di conciliare i due ritratti. [...] L'essenziale è presentarmi come un'anormale. [...] Il fatto è che sono una scrittrice: una donna scrittrice non è una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza è condizionata dallo scrivere. È una vita che ne vale un'altra: che ha i suoi motivi, il suo ordine, i suoi fini che si possono giudicare stravaganti solo se di essa non si capisce niente. » (S. de Beauvoir, La forza delle cose, pag.614) Simonetta Cesaroni Il delitto di via Poma è il nome con cui storicamente si ricorda l'assassinio di Simonetta Cesaroni, un fatto di cronaca nera avvenuto martedì 7 agosto 1990 nel palazzo di via Carlo Poma n° 2 a Roma[1]. Nel corso degli anni furono svolte svariate indagini e ipotizzate varie piste investigative[2], e ha visto tre persone accusate del delitto tra il 1990 ed il 2011[3]: dapprima Pietrino Vanacore (Monacizzo, 1932 - Torre Ovo, 2010), portiere dal 1986 al 1995 del palazzo teatro dell'omicidio, poi Federico Valle (Roma, 1972), nipote dell'architetto Cesare Valle che viveva nel palazzo, ed infine Raniero Busco (Roma, 1966)[4], all'epoca dei fatti fidanzato di Simonetta Cesaroni[5], che all'epoca del processo, vent'anni dopo il delitto, sarà sposato con Roberta Milletarì e padre di due bambini. Il delitto di via Poma appare all'opinione pubblica come un caso di cronaca nera che per troppi anni è stato segnato da errori gravi che ne hanno compromesso le indagini[6], impedendo di scoprire l'autore dell'omicidio. Si sarebbero dovuti approfondire alcuni immediati elementi oggettivi, non era chiaro infatti si trattasse di un delitto passionale, attuato da qualcuno che Simonetta conosceva bene, oppure di un delitto casuale, attuato per ragioni istintive da qualcuno che la vittima non conosceva. Non si è mai avuta alcuna certezza che l'assassino fosse conosciuto dalla vittima, cosicché questa resta solo una delle tante supposizioni. Uno dei tanti misteri che hanno sempre circondato il caso fu il fatto che nessuno abbia visto l'assassino entrare nella scala B e poi uscirne, dal momento che per farlo doveva per forza passare dall'ingresso principale del palazzo.[senza fonte] Il delitto di via Poma è il nome con cui storicamente si ricorda l'assassinio di Simonetta Cesaroni, un fatto di cronaca nera avvenuto martedì 7 agosto 1990 nel palazzo di via Carlo Poma n° 2 a Roma[1]. Nel corso degli anni furono svolte svariate indagini e ipotizzate varie piste investigative[2], e ha visto tre persone accusate del delitto tra il 1990 ed il 2011[3]: dapprima Pietrino Vanacore (Monacizzo, 1932 - Torre Ovo, 2010), portiere dal 1986 al 1995 del palazzo teatro dell'omicidio, poi Federico Valle (Roma, 1972), nipote dell'architetto Cesare Valle che viveva nel palazzo, ed infine Raniero Busco (Roma, 1966)[4], all'epoca dei fatti fidanzato di Simonetta Cesaroni[5], che all'epoca del processo, vent'anni dopo il delitto, sarà sposato con Roberta Milletarì e padre di due bambini. Il delitto di via Poma appare all'opinione pubblica come un caso di cronaca nera che per troppi anni è stato segnato da errori gravi che ne hanno compromesso le indagini[6], impedendo di scoprire l'autore dell'omicidio. Si sarebbero dovuti approfondire alcuni immediati elementi oggettivi, non era chiaro infatti si trattasse di un delitto passionale, attuato da qualcuno che Simonetta conosceva bene, oppure di un delitto casuale, attuato per ragioni istintive da qualcuno che la vittima non conosceva. Non si è mai avuta alcuna certezza che l'assassino fosse conosciuto dalla vittima, cosicché questa resta solo una delle tante supposizioni. Uno dei tanti misteri che hanno sempre circondato il caso fu il fatto che nessuno abbia visto l'assassino entrare nella scala B e poi uscirne, dal momento che per farlo doveva per forza passare dall'ingresso principale del palazzo.[senza fonte] Sorelle Mirabal Ojo de Agua (Santo Domingo): Patria 1924-1960; Minerva 1926-1960; Maria Teresa 1936-1960; Dedé 1925 - vivente Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per lei e per i suoi tre figli. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise. Il loro brutale assassinio risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee politiche. Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia. Minerva mostra fin da bambina un carattere forte e indipendente e una grande passione per la lettura, il suo paese e la libertà. La sua influenza sulle sorelle è notevole, soprattutto su Maria Teresa, la più piccola, che la prende a modello e cerca di emularla negli studi universitari, iscrivendosi ad Architettura, facoltà che non termina, conquistando soltanto il grado tecnico in Agrimensura. Maria Teresa segue Minerva giovanissima nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva. Dopo la conclusione degli studi superiori Minerva chiede ai genitori il permesso di studiare Diritto all’Università (suo grande sogno fin dall’infanzia), ma la madre di oppone: conoscendo le sue spiccate idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza da sola per tutta la provincia. Ma nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo, che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della professione. Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria Movimento del 14 giugno e il cui presidente fu suo marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963. Minerva fu l’anima del movimento «Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal) Ben presto nel Movimento 14 giugno, oltre alla giovanissima (quando fu assassinata aveva soltanto venticinque anni) Maria Teresa e al marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti anche la materna e solidale Patria e il marito Pedro Gonzalez. Patria aveva abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega (come farà Dedé per badare all’attività familiare) per sposare a sedici anni un agricoltore. Patria è molto religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto viaggiare. Era madre di quattro figli (ma l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico». La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari. Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati. Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre eroine vengono gettati con la loro macchina in un burrone. L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. La terribile notizia si diffonde come polvere, risvegliando coscienze in letargo. L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle». La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek CRONOLOGIA (*) Le tappe fondamentali del lungo cammino delle donne verso l’emancipazione, il riconoscimento del diritto di voto e la realizzazione della parità 1790 • • • Jean Antoine Condorcet in «Sur l’admission des femmes au droit de cité» affronta il problema dell’esclusione delle donne dal diritto di cittadinanza; Madame de Genlis, pedagogista e scrittrice, pubblica un trattato sulla soppressione dei conventi, utilizzati all’epoca come vere e proprie carceri femminili; la scrittrice americana Judith Sergent, rappresentante della dissidenza religiosa, difende nei suoi scritti le potenzialità intellettuali delle donne, creando un nuovo modello di donna americana che chiama Penelope, pragmatica, indipendente, che non costruisce la propria personalità in funzione del matrimonio; 1791 • • • • • nella Francia rivoluzionaria, Olympe de Gouges rivendica l’uguaglianza dei diritti delle donne; un’uguaglianza da raggiungere attraverso l’istruzione e il riconoscimento e la tutela di una serie di diritti che avrebbero dovuto incidere a fondo sulla vita delle donne: il diritto al divorzio, il diritto ad essere elette nelle assemblee, il diritto al voto e quello al lavoro. Tutto ciò era riassunto nella Declaration des droits de la femme et de la citoyenne, uno dei testi fondativi del femminismo; nasce a Parigi il club femminile «Société Patriotique et de Bienfaisance des amies de la verité» fondato da Etta Palm d’Aelders, che si occupa dell’educazione delle bambine povere, battendosi anche per il divorzio e per la concessione alle donne dei diritti politici; in Francia la Costituzione di settembre definisce «in modo identico per uomini e donne l’accesso alla maggiore età civile»; la donna può inoltre testimoniare in atti di stato civile e contrarre liberamente obbligazioni; il codice penale francese punisce con 20 anni di carcere il reato di procurato aborto; l’inglese Hunter pratica la prima inseminazione umana tra due coniugi; 1792 • • • • a Londra, Mary Wollstonecraft pubblica la Vindication of the Rights of Woman, che, facendo eco agli scritti della de Gouges e di Condorcet, sarà il manifesto del femminismo ottocentesco vengono emanate in Francia le leggi sullo stato civile e sul divorzio che introducono, specialmente in caso di divorzio consensuale, il principio di uguaglianza tra coniugi e portano «all’avvento della donna civica»; il 6 marzo Pauline Léon legge alla tribuna dell’Assemblea legislativa francese una petizione firmata da oltre 300 donne di Parigi in cui si reclama il diritto naturale di organizzarsi in guardia nazionale; a Berlino viene pubblicato Über die bürgerliche Verbesserung der Weiber di Theodor Gottieb von Hippel, che rivendica per le donne gli stessi diritti dell’uomo dal punto di vista economico, civile e politico 1793 • (*) il deputato montagnardo Guyomar, nella requisitoria «Le partisan de l’égalité politique entre les individus ou problème très important de l’égalité en droits et de l’illégalité en fait», dà Per redigere questa Cronologia si è assunta a base, integrandola in più punti, un’altra Cronologia (1790-200), a tutt’oggi visibile nel sito www.provincia.rimini.it/informa/statistiche/altre/2003_genere/allegati/storia.pdf, elaborata dalla dott.ssa Maria Chinigò, nell’ambito di una ricerca promossa dalla Commissione Nazionale Parità. luogo alla riflessione più approfondita e più moderna sulla necessaria integrazione delle donne nella democrazia; 1795 • • nei disordini della primavera termidoriana, le donne francesi «assumono il ruolo di eccitatrici alle sommosse, di micce incendiarie»: scendono in strada, formano capannelli, incitano gli uomini all’azione; nasce in Francia l’appellativo di tricoteuses per le donne che, piazzate nelle tribune, influenzano i legislatori riuniti in assemblea; 1799 • muore la matematica italiana Maria Gaetana Agnesi, la più grande figura femminile negli studi matematici del XVIII secolo, la prima a cui viene assegnata una cattedra universitaria. Autrice delle Istituzioni analitiche ad uso della gioventù italiana (1748), è protagonista nell’opera di diffusione del Calcolo infinitesimale; 1802 • • • • la poetessa Diodata Saluzzo Roero (1774-1780) è la prima donna a essere ammessa all’Accademia delle scienze di Torino; viene introdotta in Baviera la scolarizzazione obbligatoria; viene fondata a Parigi l’«Ecole gratuite de dessin pour les jeunes filles», una delle prime scuole d’arte femminili finanziate pubblicamente. Modello per scuole simili in altri paesi, dà una formazione di base in disegno e orienta gran parte dei suoi studenti verso l’artigianato; in Gran Bretagna viene emanata una legge che proibisce l’aborto intorno al 3°- 4° mese di gravidanza; 1804 • viene emanato il Code Napoléon che, se è innovativo nel proporre un modello ‘nuovo’ di famiglia, come comunità d’affetti (in sostanza, la ‘famiglia borghese’), finisce comunque per confermare la condizione d’inferiorità e di soggezione della donna, dando corpo all’idea secondo la quale la donna è proprietà dell’uomo e il suo compito principale è mettere al mondo figli. Il Codice Civile Napoleonico influenzerà a lungo la condizione giuridica delle donne in tutti i Pesi europei in cui sarà preso a modello; 1806 • nel Codice Civile Italiano introdotto da Napoleone, il divorzio può essere chiesto per colpa dell’altro coniuge, ma è anche previsto il divorzio consensuale la cui procedura è semplice e breve; 1810 • il Codice Penale francese definisce l’infanticidio come l’assassinio di un neonato e lo colpisce con la pena di morte; l’articolo 317 punisce con la reclusione non solo il responsabile di un aborto, ma anche la donna, sia essa consenziente o meno; 1811 • il Codice Civile Austriaco, in vigore nel Lombardo-Veneto a partire dal 1816, prevede il divorzio solo per i cristiani acattolici e per gravi motivi; 1816 • viene soppresso in Francia, per motivi religiosi, il divorzio, introdotto con la legge del 1792; 1820 • in Francia e in Inghilterra nascono i circoli socialisti utopici i quali evidenziano la metamorfosi subita dal femminismo che, da movimento intellettuale si trasforma in movimento socialista. Da essi emerge un’analisi della sottomissione delle donne, soprattutto attraverso i violenti attacchi contro il matrimonio. Il loro impegno per l’eguaglianza tra i sessi è sostenuto dalla convinzione di una superiorità morale della donna; 1828 • in Francia M.me Necker de Saussure, fondatrice di un istituto guidato da principi educativi innovatori, pubblica L’education progressive, opera che «esalta una pedagogia dell’autonomia» sia per le ragazze che per i ragazzi, e insiste sulla necessità di ritardare l’età del matrimonio delle giovani donne «perché possano diventare spiriti illuminati e creature intelligenti»; 1830 • • • viene messa per la prima volta in scena l’opera Silfide di cui è prima ballerina Maria Taglioni (1804-1884), la prima a danzare sulle punte; dal 1830 in poi gli scritti di Ch. Fourier costituiscono la fonte di qualsiasi teoria libertaria relativa alle donne: la sua utopia è quella della libertà della donna, di emulazione dell’uomo. Ma la sua è anche un’utopia sociale in quanto il progresso e la felicità dell’umanità sono determinati dal grado di libertà della donna; durante gli anni 1830-1840 le femministe si inseriscono nelle opere filantropiche del «Réveil» in Svizzera e in Olanda, che consentono alle donne delle classi medie di evadere dal loro ruolo tradizionale; negli Usa e in Inghilterra si inseriscono, agli inizi e alla metà dell’Ottocento, in alcune correnti di dissidenza religiosa come le riunioni di preghiera dei quaccheri; 1831 • in Francia un’intensa campagna di petizioni sostiene il tentativo liberale in favore del divorzio; 1832 • • • • in Francia, la legge del 28 aprile modifica l’art. 331 c.p.: qualsiasi atto di libidine su un bambino minore di 11 anni è punito con la reclusione; viene anche contemplato il reato di stupro; in Inghilterra, il primo Reform Bill (legge di riforma elettorale politica), nell’indicare gli aventi diritto al voto, sostituisce la parola «man» con la parola «male person» (individuo di sesso maschile), escludendo così esplicitamente le donne; viene fondato in Francia il giornale «La femme libre», «espressione del femminismo sansimoniano della classe operaia», che affronta temi educativi, di economia politica, il problema del lavoro femminile e del libero amore. «Le collaboratrici firmano con il solo nome, modo questo per restare nell’anonimato, ma anche rifiuto del cognome imposto loro dal matrimonio»; in seguito assumerà il nome di «La tribune des femmes» e si avvicinerà alle dottrine fourieriste, conducendo importanti lotte contro la prostituzione e a favore dell’indipendenza economica delle donne; nello Stato di New York, 40 associazioni femminili fanno opera di vera e propria polizia sessuale, dedicandosi soprattutto alla protezione delle ragazze minacciate dalla prostituzione e dalla violenza sessuale; 1833 • Lydia Maria Child, autrice statunitense di novelle, scrive la prima opera antischiavista americana, An appeal behalf of that class of americans called africans, in cui si batte contro le discriminazioni verso i neri e combatte l’illegalità dei matrimoni interrazziali; 1836 • 1837 in Francia una legge discrezionale affida ai Comuni l’apertura di scuole femminili. I sindaci preferiscono tuttavia attenersi alla tradizione e «si accontentano delle scuole parrocchiali»; • • • in Gran Bretagna viene emanata una legge che proibisce l’aborto in qualunque fase della gravidanza; negli Stati Uniti nascono le prime associazioni femministe a livello nazionale, come la «National Female Anti-Slavery Association», che porta alla luce le rivendicazioni femministe e serve da modello per le prime organizzatrici delle operaie del settore tessile; si tiene a New York il primo Congresso antischiavistico femminile; 1838 • negli Usa, Sarah Grimké pubblica le Letters on the equality of the sexes and the condition of woman, il primo manifesto del femminismo protestante contemporaneo; 1840 • le riviste femminili di moda diventano, nel decennio 1840-50, una vera e propria forza culturale: negli Usa il «Ladies Book» di Godey, edito da Sarah Josepha Hale, ha 40.000 abbonati nel 1849; 1841 • • • nasce ad opera di George Sand «La Revue Indépendente» che risente delle idee democratiche e innovatrici di Michel de Bourges, di Lamennais e di Mazzini; in Germania i sostenitori del libero protestantesimo e il movimento cattolico tedesco pongono radicalmente in discussione «il destino della donna»: il teorico cattolico Rupp realizza a Königsberg una costituzione comunale che garantisce il diritto di voto e di eleggibilità alle donne; una legge dello Stato di N. Y. riconosce la piena capacità della moglie sui propri beni e sui guadagni derivanti dalla sua professione: essa esercita liberamente i propri diritti in un regime di separazione dei beni; 1842 • • Cristina Trivulzio di Belgiojoso, ambasciatrice dell’unità nazionale, dà vita a istituzioni di tipo fourierista a favore delle donne: apre a Milano un asilo e una scuola di ispirazione fourierista; nell’opera Consuelo, George Sand rappresenta una figura di donna che non cade nelle categorie artistiche convenzionali: essa spazia dalla diva alla compositrice, alla cantante girovaga; 1843 • • • la religiosa francese Jeanne Jugan fonda la congregazione religiosa «Le petites soeurs des pauvres», divenuta negli anni ‘80 la seconda congregazione per importanza di patrimonio immobiliare; viene redatto, da parte della femminista Margaret Fuller, il primo manifesto femminista americano: «La donna nel XIX secolo»; nasce Berta von Suttner, austriaca, che dedica la sua vita alla pace in Europa e nel mondo. Organizza numerosi convegni pacifisti, cercando di convertire uomini politici e diplomatici; 1845 • • 1847 negli Usa Margaret Fuller viene assunta dalla redazione del New York Tribune come prima donna responsabile della critica letteraria; Elisabeth Blackwell è la prima donna medico negli Usa; • Caterina Franceschi Ferrucci, cattolica, pubblica Della educazione morale della donna italiana, in cui insiste sulla necessità di individuare modelli e percorsi educativi che spingano le donne verso una riforma di carattere razionale; 1848 • • • • • viene votato negli Usa il «Married Women’s Property Act» che conferisce alle donne sposate il diritto ad amministrare liberamente i propri beni; la pittrice Rosa Bonheur (1882-1899), celebre per le sue raffigurazioni di animali, ottiene una medaglia d’oro alla mostra di pittura del «Salon» ufficiale; in Francia con l’instaurazione del suffragio universale si assiste alle prime proteste femminili sui diritti politici; in Francia, in Svizzera e in Germania, sulla scia dell’ondata rivoluzionaria, vengono pubblicati giornali femministi quali «La voix des femmes» e «L’Opinion des femmes», la «Frauenzeitung» di Louise Otto e il «Die Erzieherin» di Joséphine Stadlin, seguace di Pestalozzi; in luglio negli Usa, per iniziativa di Elizabeth Cady Stanton e di Lucretia Mott, si riunisce a Seneca Falls, nello stato di New York, la prima Convenzione sui diritti delle donne, che chiede il diritto di voto. A Seneca Falls, nasce la «Dichiarazione dei sentimenti», vero e proprio monumento del femminismo americano; lo Stato americano del Wyoming è il primo ad estendere il voto alle donne; 1849 • • • • negli Usa viene pubblicato il primo giornale femminista, «The Lily» per iniziativa di Amelia Bloomer, propugnatrice tra l’altro di una riforma dell’abbigliamento; in Germania Louise Otto-Peters fonda il primo «Journal des femmes pour les intérêts féminins supérieurs»; la principessa Belgiojoso viene nominata da G. Mazzini organizzatrice dei servizi ospedalieri e di pronto soccorso di Roma; in Inghilterra la borghese Elisabeth Jesse Reid fonda il «Ladie’s Bedford College» che si batte per l’istruzione superiore delle giovani, in un periodo in cui l’educazione viene considerata in rapporto alla funzione sociale delle donne; Ernest Legouvè, contemporaneo di Stuart Mill, nella Histoire morale des femmes, presenta la maternità quale argomento a sostegno della necessità di riforme educative e legislative; 1850 • • • • a partire da questa data gli storici americani notano un aumento degli articoli di giornale sul travestitismo femminile; si riunisce a Worcester (Massachusetts) il primo «Congresso Internazionale delle donne»; negli Usa il femminismo rientra nella strategia borghese riformista, mirante a ricostituire la vita istituzionale del paese secondo principi razionalisti egualitari; in Inghilterra l’associazione femminile di Sheffield rivolge alla Camera dei Lords la prima petizione in merito al suffragio femminile; 1851 • • • in Inghilterra il 40% delle lavoratrici è costituito da domestiche, le operaie sono solo il 22%; nasce Jane Dieulafoy, una delle prime donne archeologhe che, con il marito, scoprirà in Persia il famoso fregio dei guerrieri assiri, oggi esposto al Louvre; Harriet Taylor, moglie del filosofo ed economista inglese John Stuart Mill, scrive il saggio L’emancipazione delle donne, pubblicato anonimo nello stesso anno nella «Westminster and Foreign Quarterly Review» e successivamente incluso da Stuart Mill nel secondo volume della sua raccolta di saggi, Dissertations and Discussions, uscito nel 1859 e ripubblicato in opuscolo, sempre a suo nome, nel 1868. Sarà lo stesso Mill, nella premessa che introduce il volume del 1859, ad attribuirlo alla moglie, scomparsa nel 1858. 1855 • il Parlamento britannico approva il «Criminal Law Amendment Act», una legge di riforma del diritto penale che, in materia di prostituzione, innalza a 16 anni l’età del consenso per le ragazze e autorizza interventi più diretti della polizia per reprimere il favoreggiamento; 1857 • • nei Paesi Anglosassoni il «Matrimonial Causes Act» riconosce alla donna separata legalmente, o abbandonata, la proprietà legale dei propri beni, attraverso un Protection Order; viene emanato il Divorce Act che fa del divorzio un atto giuridico destinato ad avere un peso notevole nelle ex colonie; 1858 • l’Università dell’Iowa ammette per prima, negli USA, le donne alla laurea; 1859 • • nasce ad opera di Ellen R. White la «London Bible Women and Nurses Mission», una delle numerose associazioni filantropiche europee del tempo che si occupa di educazione e protezione delle donne, organizzando dei «tea» o dei «mothers’ meetings» per dispensare nozioni di economia domestica e di puericultura; in Inghilterra viene pubblicato il giornale «Englishwoman’s Journal» che, legato alle femministe che si riunivano a Langham Place, diventa sede di alcune tra le più importanti associazioni femminili inglesi quali la «Society for Promoting the Employment of Women». Una delle redattrici, Emily Davies utilizza il giornale come tribuna per battersi a favore di un miglioramento delle educazione delle giovani; 1860 • • • negli Usa l’Associazione medica americana attua una pesante campagna per l’abolizione dell’aborto lanciando appelli alle associazioni mediche e alle assemblee legislative dei singoli Stati, alle riviste professionali e alla stampa popolare con l’obiettivo di criminalizzare l’aborto; Elizabeth Keckley (1840-1900), sarta e confidente di Mary Todd Lincoln, moglie di Abramo, mette il suo talento creativo al servizio della causa dei diritti civili, creando lavori come una splendida trapunta denominata Liberty, fatta con i ritagli di un vestito di Mary Todd; in Cecoslovacchia sono i salotti delle signore borghesi (il salotto della scrittrice Karolina Svetlá e quello di Auguste Braunerová) a costituire il centro della Praga patriottica; il salotto letterario di Anna Lauermannová consente di scuotere il giogo della cultura austrotedesca e di cercare in direzione della Francia una possibile emancipazione intellettuale; 1861 • • subito dopo l’Unità d’Italia, un gruppo di donne lombarde presenta alla Camera una petizione, eloquentemente firmata Cittadine italiane, per ottenere il riconoscimento da parte del nuovo Regno dei diritti di cui godevano le donne sotto la dominazione austriaca. Ciò avrebbe significato che, oltre all’esercizio del voto amministrativo, avrebbero potuto essere «parificate all’uomo nella facoltà di disporre delle proprie sostanze in ogni contrattazione anche senza la tutela maritale»; dal primo censimento del Regno d’Italia emerge una femminilizzazione del clero: ben 42.664 sono le religiose censite, che vivono soprattutto al Sud, nelle province napoletane e in Sicilia; • in Inghilterra e negli Stati Uniti la femminilizzazione del clero nasce sotto il segno di una religiosità pratico-caritativa che si muove nel campo della miseria sociale; 1862 • la protestante Elisa Lemonnier in Francia, colpita dall’ignoranza e dalla miseria delle mogli degli operai durante la Rivoluzione del ‘48, fonda una scuola per ragazze povere; 1863 • • in Francia si cerca di organizzare l’insegnamento secondario; in Italia, anche a seguito della petizione delle donne lombarde presentata nel 1861, il deputato Ubaldino Peruzzi, all’epoca ministro dell’Interno, presenta alla Camera un progetto di legge per l’elettorato femminile nei comuni e nelle province; 1864 • • in Belgio, su iniziativa del senatore Bischoffsheim, viene fondata un’associazione per l’insegnamento professionale delle donne; vengono emanati in Inghilterra i «Contagious Discorses Acts» che regolamentano la prostituzione; 1865 • • • • • • A soli 28 anni, Anna Maria Mozzoni, che per tutta la sua vita sarà protagonista di primo piano nella battaglia per la promozione dei diritti delle donne italiane, dopo aver scritto nell’anno precedente La donna e i suoi rapporti sociali, dà alle stampe La donna in faccia al progetto del nuovo Codice civile italiano, in cui muove serrate critiche ai limiti che il legislatore italiano intende porre alla libertà delle donne; fa sensazione in Germania il raduno organizzato da Louise Otto nella regione industrializzata della Saxe, noto sotto il nome di «Frauenschlacht von Leipzig», in quanto le donne si arrogano il diritto, fino a quel momento riservato agli uomini, di parlare e di organizzarsi pubblicamente; sempre in Germania nascono due centri del movimento femminile, le associazioni liberali e l’organizzazione autonoma creata dalle donne stesse: a Berlino la «Lette-Verein», sostenuta dalla borghesia liberale protestante si ispira ad alcune esperienze londinesi e parigine sulla promozione del lavoro femminile e sulla formazione professionale delle giovani delle classi superiori; nasce in Germania, ad opera di Louise Otto, l’organizzazione sindacale femminile «Allgemeiner Deutscher Frauenvereine»; viene adottato in Italia il sistema dei «beni riservati» (salari, risparmi, risorse destinate prioritariamente ai bisogni della famiglia), di cui la moglie può disporne a meno che il marito non ricorra alla giustizia qualora pensi che essa non ne faccia un buon uso; in Germania il movimento delle donne borghesi «Bund Deutscher Frauenvereine» rivendica il diritto al lavoro in stretta connessione con il diritto alla formazione professionale; nel Regno d’Italia, il codice civile del 1865, in omaggio al tradizionale principio della infirmitas sexus, sancisce gravi limitazioni alla capacità della donna, che, ad esempio, non può prestare testimonianza, è incapace alla tutela e, se coniugata, non può compiere atti di amministrazione del proprio patrimonio senza l’autorizzazione del marito (Codice civile approvato con R.D. 25 giugno 1865, n. 2358, artt. 130, 131, 132, 133, 134). Alle donne italiane è anche preclusa la partecipazione alla vita politica e amministrativa del Regno perché è loro negato sia il diritto di voto che l’accesso ai pubblici uffici (L. 20 marzo 1865, n. 2248, per l’unificazione amministrativa del Regno. Allegato A: legge comunale e provinciale, art. 26); 1866 • • • • in Francia il 22% delle lavoratrici è occupata nel lavoro domestico, il 10% nel tessile; nasce, sotto la presidenza di Lydia Becker, in Inghilterra, la «National Society for Women’s suffrage», dopo il rifiuto da parte del primo ministro Gladstone della petizione, presentata da John Stuart Mill, per il diritto delle donne al suffragio; nasce l’associazione «Wiener Frauen-Erwerbsverein» di ispirazione liberale, destinata a promuovere il lavoro femminile; in Italia il Codice civile Pisanelli garantisce l’autonomia giuridica e patrimoniale della moglie e stabilisce la parità tra figli e figlie in materia successoria; 1867 • • • in Inghilterra, il secondo Reform Bill usa il termine «man» invece di «male person». L’emendamento, presentato, per sciogliere ogni ambiguità, da John Stuart Mill, in cui si proponeva di sostituire «man» con «person», viene bocciato. Da allora, quasi ogni anno, in Inghilterra, verranno presentati emendamenti o progetti di riforma elettorale con estensione del voto alle donne; la legge Duruy in Francia obbliga i comuni con più di 500 abitanti ad aprire una scuola elementare per bambine; in Italia il deputato repubblicano Salvatore Morelli presenta una proposta di legge che estende alle donne il diritto di voto e gli altri diritti civili e politici; 1868 • • • • • • • • 1869 viene organizzata a Berlino, ad opera della associazione femminista «Lette-Verein» la «Esposizione Industriale delle donne» per valorizzare il lavoro femminile; in Francia argomento centrale dei primi raduni pubblici femministi di Vaux-Hall è il lavoro delle donne; negli Usa, dopo la bocciatura della proposta di revisione della Costituzione per garantire alle donne maggiori diritti, viene fondato da Susan Anthony e Elisabeth Stanton il giornale «Revolution»; nello stesso anno, è approvato il 14° emendamento alla Costituzione che, rendendo i neri cittadini, introduce la parole «male»: per la prima volta è sancita una esplicita esclusione delle donne. Marie Goegg-Pouchoulin, redattrice a Ginevra del giornale «La Solidarité», prima tribuna internazionale per le femministe, lancia nel giornale «Les Etats Unis d’Europe» un appello per la nascita di una «Association Internationale des Femmes», tre anni dopo sarà vittima della repressione in seguito alla Comune di Parigi; in Italia viene pubblicato, su iniziativa di Anna Maria Mozzoni, il giornale cosmopolita «La donna», diretto da Gualberta Adelaide Beccari, che porta come sottotitolo periodico morale ed istruttivo compilato da donne italiane, organo di lotta democratica, che si interessa anche di attualità femminile all’estero; nelle colonie inglesi viene concesso il voto municipale; in Inghilterra, la Court of Common Pleas, nel caso «Charlton c/ Lings», pronuncia una sentenza che stabilisce che il termine «man» va applicato anche alle donne quando si parla di tasse, ma non quando si parla di diritto di voto; tra il 1868 e il 1870, a Londra, Birmingham, Bristol, Edinburgh nascono le prime Societes for Woman’s Suffrage • • • • • • il Municipal Corporation Act concede alle donne inglesi non sposate il voto amministrativo per l’elezione dei consigli municipali e dei consigli di contea. Nello stesso anno John Stuart Mill pubblica The Subjection of Women, che resterà il principale punto di riferimento del femminismo liberale fino alla fine del secolo; in Gran Bretagna una coalizione formata da riformatori dei costumi di estrazione borghese, femministe e lavoratori radicali chiede l’abolizione dei «Contagious Discorses Acts», che istituivano un sistema di controllo medico e di polizia sulle prostitute; Octavia Hill, donna d’affari e membro di numerosi comitati, fonda l’associazione filantropica «Charity Organisation Society», in cui la filantropia viene concepita come una scienza destinata a dare impulso alle responsabilità individuali; in Francia nasce il giornale femminista «Le droit des femmes» diretto da Léon Richer; nello spopolato stato del Wyoming è concesso il diritto di voto alle donne. Nello stesso anno, Susan Anthony ed Elizabeth Cady Stanton, in polemica con il partito repubblicano che aveva dato priorità al voto dei neri e non a quello delle donne, fondano la National Woman's Suffrage Association (NWSA), che ammetterà solo donne e avrà sede a New York. Le suffragiste abolizioniste fondano invece la American Woman's Suffrage Association. La scissione tra le due associazioni durerà 21 anni; in Inghilterra la «Ladies National Association» scende in campo contro la prostituzione regolamentata con il giornale «The Shield» 1870 • • • • • • Josephine Butler in Inghilterra dà avvio alla lotta contro la prostituzione regolamentata dallo Stato: il problema della sessualità non viene affrontato solo sotto il profilo morale, ma anche sotto l’aspetto scientifico, politico e economico. Contro i rischi della sessualità viene imposta la continenza sessuale quale soluzione alla doppia morale; è debole in Francia la propensione delle donne allo sciopero: tra il 1870 e il 1890 queste rappresentano il 4% degli scioperanti, pur costituendo il 30% della manodopera; le modalità degli scioperi sono l’improvvisazione, la scarsa organizzazione e la protesta contro i ritmi massacranti del lavoro; inizia a delinearsi un consenso femminista sul problema del controllo delle nascite: negli Usa le «Moral Education Societies» propagandano il self-ownership e la razionalizzazione del desiderio sessuale; il femminismo francese si configura, a partire da questa data, secondo l’indirizzo impressogli dal massone Léon Richer (1824-1911) e dalla libera pensatrice Marie Deraismes e propugna il diritto al divorzio e l’accertamento della paternità; in Inghilterra viene a instaurarsi un forte legame tra l’utilitarismo di J. Stuart Mill e il femminismo; Anna Maria Mozzoni pubblica la traduzione di The Subjection of Women di John Stuart Mill nello stato dell’Utah, abitato da mormoni, che intendono difendere il loro sistema poligamico, è concesso il voto alle donne; negli Stati Uniti, dove le donne hanno conquistato in molti Stati i diritti politici, si va affermando la figura della donna nubile felice, colta, viaggiatrice, che volta le spalle ai ruoli destinati alla donna borghese; 1872 • • a Berlino fanno la loro comparsa i licei femminili; in Islanda, dopo l’indipendenza, le donne fanno della loro isola una delle prime basi del femminismo: elettrici municipali nel 1882, eleggibili nel 1902, raggiungono la pienezza dei propri diritti nel 1915; 1873 • la cantante e attrice olandese Mina Kruseman (1839-1922), nella sua prima novella «Een huwelijk in Indië» critica il matrimonio e la sottomissione della donna sostenendo l’opinione che le donne emancipate siano le donne nubili attive; 1874 • • • • • in Francia la legge del 3 giugno esclude le donne e i bambini dai lavori sotterranei; in Francia la legge Roussel organizza contro la mortalità infantile il controllo delle nutrici attraverso medici ispettori; in Italia alle donne viene consentito l’accesso ai licei e alle università; la berlinese Hedwig Dohm (1833-1919), appassionata teorica del femminismo, da sempre in lotta contro l’oppressione sessuale, materiale e psicologica delle donne, pubblica l’opera Die Wisseuschaftliche Emantipation der Frau, in cui respinge le recenti teorie di anatomisti, fisiologi e medici sulla natura inferiore delle donne; nasce l’organizzazione sindacale diretta da Emma Paterson: «Women’s Trade Union Leaugue»; 1875 • • • • a Ginevra Josephine Butler, con l’appoggio di esponenti dell’aristocrazia protestante, e del massone Aimé Humbert, fonda l’organizzazione internazionale «British Continental and general Federation of the Abolition of the State Regulation of Vice», che esiste ancora oggi sotto il nome di «International Abolitionist Federation»; una normativa inglese stabilisce che le Università sono autorizzate a concedere i gradi accademici alle donne; a New York la celebre medium Elena Blavatskij fonda la Società teosofica i cui obiettivi sono: la promozione di pari diritti tra uomini e donne, la fratellanza universale e lo studio delle religioni; il deputato italiano Salvatore Morelli presenta alla Camera nuovi disegni di legge per la riforma del diritto di famiglia. 1876 • • • muore Harriet Martineau, femminista dell’epoca vittoriana, che «sviluppa nelle sue opere una approfondita tecnica di osservazione sociologica e politica». I suoi scritti incoraggiano in Inghilterra la nascita di vari movimenti progressisti che si battono per il suffragio, per l’abolizione della prostituzione legalizzata e per l’educazione femminile; in Italia, con r.d. dell’8 ottobre 1876, n. 3434, viene approvato «il regolamento generale universitario», il cui art. 8 disponeva: «Le donne possono iscriversi tra gli studenti e gli uditori»; la femminista italiana Luisa Tosco nel saggio «La causa delle donne», fa riferimento alla tesi del razionalismo illuminista non solo per quanto riguarda il suffragio femminile, ma anche nella polemica contro la doppia morale sessuale; 1877 • • viene approvata in Italia, su proposta di Salvatore Morelli, una legge che ammette le donne a prestare testimonianza negli atti pubblici e privati (L. 9 dicembre 1877, n. 4167); viene pubblicata a Roma la petizione di Anna Maria Mozzoni in Parlamento per il voto politico alle donne: ha così inizio anche nel nostro paese la battaglia per il suffragio femminile; • Annie Besant, membro della Lega malthusiana inglese, che si batte per la diffusione dei sistemi contraccettivi, viene arrestata per aver pubblicato un libro sul controllo demografico, in un periodo in cui il problema della sessualità non viene solo affrontato sotto il profilo morale, ma anche sotto l’aspetto scientifico, politico e economico; 1878 • • • • • nasce a San Francisco la danzatrice Isadora Duncan che, opponendosi alla danza accademica, crea un genere di danza naturale eseguita a piedi nudi; in Inghilterra, dopo la pubblicazione dell’articolo «Wife Torture in England» e dopo alcuni anni di propaganda della «English women’s review», un Act permette alle donne di chiedere la separazione legale per gravi sevizie subite; la London University ammette per prima le donne alla laurea; si costituisce negli Usa la «Free Dress League» che si batte per la libertà del corpo femminile contro un abbigliamento che ne impaccia i movimenti; il deputato Salvatore Morelli presenta il 13 maggio una proposta di legge in cui chiede tra le altre cose lo sviluppo della personalità della donna in relazione alla mutata coscienza sociale della società e l’ammissione del divorzio, considerata un’urgenza d’ordine pubblico e di moralità sociale; 1879 • • • al Congresso operaio di Marsiglia la femminista socialista Hubertine Auclert presenta una rivendicazione isolata sul salario delle casalinghe; in Francia la legge dell’8 agosto crea 67 scuole normali femminili; in Casa di bambola il commediografo norvegese Henrik Ibsen spinge Nora, la protagonista, a lasciare i suoi affetti (marito e figli) senza un motivo ragionevole, solo per costruirsi una identità autentica che realizzerà allontanandosi da quella inculcata che definisce l’io femminista solo in rapporto all’altro, ai suoi desideri e ai suoi bisogni; 1880 • • Leone XIII con l’enciclica «Arcanum» risponde agli attacchi laici contro il matrimonio, ribadendo l’autorità maritale e rivendicando la dignità femminile nel matrimonio; Anna Kuliscioff (1854-1925), nella «Rivista Internazionale del Socialismo», fa sì che socialismo e femminismo rappresentino inizialmente una sola e unica causa; nel Servizio telegrafico francese uomini e donne lavorano in stanze diverse e con turni diversi per ridurre sia i contatti tra loro che il conseguente comportamento immorale; 1881 • • • • • la legge C. Sée istituisce in Francia l’insegnamento secondario femminile, fondando un modello laico di educazione; si tiene in Inghilterra il primo censimento che esclude l’attività domestica della donna dalla categoria del lavoro; in Olanda la dott.ssa Alette Jacobs fonda la Lega neomalthusiana olandese dedicandosi all’assistenza medica gratuita e dando informazione sui metodi contraccettivi; in Francia Léon Bertaux, scultrice e insegnante, fonda «l’Union des Femmes Peintres et Sculpteurs» che organizza una mostra annuale nel 1882 e pubblica (1890) un proprio giornale, attraverso cui porta avanti una campagna per l’ammissione delle donne all’Ecole des Beaux Arts, la più prestigiosa scuola europea; tra il 1881 e il 1887 viene pubblicata ad opera delle femministe americane Elizabeth Stanton, Susan Antony e Matilda Gage l’History of Woman Suffrage in 6 volumi; • nasce in Italia, a Milano, la «Lega promotrice degli interessi femminili», unica organizzazione del movimento emancipazionista italiano paragonabile alle associazioni suffragiste inglesi, che si muove sia come forza politica che come organismo sindacale; 1882 • • • in Inghilterra, il secondo Married Women’s Property Act (il primo era stato votato negli Usa nel 1848) dà alle donne sposate pieni diritti sui loro beni e salari, tanto da essere definito «la Magna Charta delle donne sposate inglesi»; in Prussia le domestiche costituiscono il 18% della forza lavoro, mentre le operaie il 22%; il codice di commercio del Regno d’Italia impone alla moglie, come necessaria, l’autorizzazione del marito per l’esercizio di un’attività commerciale (Codice di commercio, approvato con L. 2 aprile 1882, n. 681, artt. 13 e ss.); 1883 • • • in Danimarca le donne votano alle elezioni municipali; viene istituita in Francia la Scuola Normale Superiore di Sèvres, la svizzera Emilie Kempin-Spyri, iscritta all’Università di Zurigo, è la prima donna al mondo a intraprendere gli studi giuridici; 1884 • • in Francia la legge Naquet introduce il divorzio, che era stato soppresso nel 1816; negli Usa per la prima inseminazione artificiale con donatore, la scelta cade su uno studente prescelto per i suoi risultati in campo scolastico; 1885 • • Hubertine Auclert, la prima donna a usare il termine femminista e a battersi per il diritto di voto alle donne, presenta la propria candidatura alle elezioni parlamentari; in luglio a Hide Park le associazioni filantropiche inglesi riuniscono il più grande raduno «morale» di tutti i tempi: 250.000 persone riunite in nome della Purity contro la tratta delle bianche; 1886 • • • in Inghilterra in caso di separazione il marito è condannato al pagamento di una pensione settimanale; l’aristocratica svizzera Meta von Salis-Marschlins (1855-1929) in «Die Zukunft der Frau» «tratteggia l’utopia di una umanità-donna che sperimenterebbe la compagnia dello spirito e sfuggirebbe alla costrizione della macchina domestica»; in Italia la legge n. 3657 sul lavoro dei fanciulli non dà alcuna disposizione sul lavoro delle donne escluse da ogni protezione legale; solo in un o.d.g. della Camera dell’8 febbraio si afferma la necessità di disciplinare con legge anche il lavoro delle donne; 1887 • • la società femminista norvegese «Norsk Kvinnesakforening» pubblica il giornale «Nylaende» (Nuove Frontiere) in cui emerge la grande influenza del potere simbolico del femminismo americano; in Gran Bretagna Octavia Hill fonda il primo Settlement femminile; 1888 • Jeannie Louise Bethune è la prima donna architetto accolta presso l’«American Institute of Architects», la più importante associazione professionale di architettura americana; negli Usa Frances Willard, direttrice della «Lega della temperanza delle donne», nella sua opera «Woman • • • • in the Pulpit» tratta il problema, già emerso nella celebre Convenzione di Seneca Falls, riguardante la fine del monopolio maschile della predicazione dal pulpito; nasce a Washington, negli Usa, l’organizzazione internazionale femminista «International Council of Women», in occasione del 40 anniversario della Seneca Falls Declaration; C. Claudel con la scultura «L’abbandono» vuole affermare come le donne possano rappresentare soggetti erotici al pari degli uomini; lo sciopero delle operaie fiammiferaie a Londra è il primo in cui le donne non passano attraverso le Trade–Unions degli uomini; a Edimburgo lo sciopero delle tipografe porterà alla affermazione, nel memorandum «We Women», del diritto a stampare in nome della propria uguaglianza e competenza; nonostante l’intesa raggiunta dalla maggioranza, un progetto di legge, che prevedeva, sia pure con alcuni limiti, il riconoscimento alle donne italiane del voto amministrativo, giunto in discussione in Parlamento, viene bocciato. Del resto, dichiara il suo dissenso lo stesso primo ministro, Francesco Crispi, che ritiene inopportuna la scelta perché ancora estranea ai costumi della famiglia e all’educazione; 1889 • la femminista protestante Emilie de Morsier convoca a Parigi il «Congrés International des Oeuvres et Institutions Féminines» che, controbilanciando il femminismo politico e definendo il campo di azione femminista, orienta i suoi lavori sulla filantropia; 1890 • • • • Elisabeth Cady Stanton, teorica e propagandista del femminismo inglese, pubblica l’opera «Women’s Bible», «insieme di commenti esegetici sui rapporti uomo-donna e sul posto della donna nella società»; in Svezia viene modificata la legislazione sull’aborto per consentire l’interruzione di gravidanza sulla base di valide ragioni mediche; è attivo a Bologna un comitato per il miglioramento delle condizioni della donna; il servizio postale francese comincia ad assumere donne nei centri urbani e crea una categoria speciale le Dames employées, con salario d’ufficio e nessuna opportunità di avanzamento; 1891 • in Italia viene presentata alla Camera la proposta di legge Gianturco sulla condizione giuridica dei figli naturali; 1892 • • • viene emanata in Francia una legge che vieta alle donne di lavorare per più di 11 ore al giorno e che le tutela, insieme con i bambini, da stabilimenti insalubri e da lavori pericolosi; in Germania Clara Zetkin fonda la «Gleichheit», organo del movimento delle donne socialiste tedesche e internazionaliste che si propone di dare una formazione politica femminista alle operaie; Paul Lafargue, deputato del Parti Ouvrier Français propone una innovativa politica di congedi per maternità per le lavoratrici francesi, che avrebbe fornito loro uno stipendio giornaliero a partire dal quarto mese di gravidanza fino alla fine del primo anno dopo il parto; 1893 • • • in Inghilterra le donne ottengono il diritto di fare testamento; nasce a Parigi «Droit humain», la prima massoneria mista, giunta in Italia nel 1899; nella colonia inglese della Nuova Zelanda viene concesso il diritto di voto alle donne europee; • negli USA, la strada del referendum sul voto alle donne nei singoli Stati, inutilmente perseguita negli anni precedenti dalla American Woman Suffrage Association, ottiene la vittoria nel Colorado. Da quel momento in poi, si abbandona la via dell’emendamento alla Costituzione federale per imboccare quella dei referendum nei singoli Stati, che sarà battuta, tra sconfitte e vittorie, sino al 1915; 1895 • il Senato francese vota una proposta di legge contro chi avvia le donne alla prostituzione, neppure esaminata dai deputati; 1896 • • • Maria Montessori, pedagogista, intellettuale e femminista consegue la laurea in Medicina; la femminista svedese Ellen Key, pedagogista progressista, ne L’uso errato del potere delle donne, critica l’egualitarismo delle donne della classe media che perseguono le stesse ambizioni degli uomini e in Psicologia delle donne e logica femminile riabilita la specificità femminile; si apre a Berlino il «Congresso femminista internazionale»; 1897 • • • • la Germania prende misure concrete contro la prostituzione, i trafficanti sono infatti passibili di reclusione e di ammende, e vengono anche firmati trattati di estradizione; nasce a Roma l’«Associazione Nazionale per la Donna» che si batte per i diritti civili e politici; il quotidiano francese «La Fronde», che apre anche un ufficio gratuito di collocamento, è un importante centro di cultura femminista: la redattrice Margherite Durand «apre una breccia a favore del giornalismo professionale», la sua collaboratrice, Caroline Rémy, nota sotto lo pseudonimo di Sévérine, è la prima donna giornalista a vivere del proprio lavoro; in Inghilterra, le associazioni suffragiste si organizzano nella National Union of Women’s Suffrage; 1898 • Charlotte Perkins Gilman sviluppa una personale forma di socialismo femminista; nel suo libro Women and Economics, afferma che l’eguaglianza politica delle donne non è sufficiente a dar loro una reale libertà e sostiene che socialismo vuol dire socializzazione della produzione; 1899 • • • • 1900 si tiene all’Aia, su iniziativa di Margarethe Selenka e di Bertha von Suttner, la prima manifestazione pacifista internazionale delle donne, in cui viene affermata la coincidenza tra la questione femminile e il problema della pace; Sibilla Aleramo dirige a Milano la rivista femminile «L’Italia femminile»; Isabella Stewart Gardner realizza a Boston una delle case-museo più importanti del mondo, un’istituzione pubblica modellata su una casa privata; viene fondato a Milano l’«Ufficio Indicazioni e Assistenza dell’Unione Femminile», significativo esempio delle dinamiche instauratesi tra organizzazioni delle donne, amministrazioni locali e Stato, punto di riferimento per anziani, malati, disoccupati e soprattutto donne. L’«Unione femminile», ancora oggi esistente a Milano in Corso Porta Nuova 32, nasce con lo scopo di istruire le donne, difendere la maternità e l’infanzia e offrire alle associazioni e istituzioni femminili attive in città una sede, una biblioteca e una sala di lettura; • • • • • • • si tiene a Parigi il «Congresso Internazionale sulle Condizioni e i Diritti delle Donne» che istituisce una Cassa pubblica per la maternità in tutti i paesi evoluti; in Germania le donne possono accedere all’Università e al baccalaureato; in Norvegia l’avvocatessa Katti Anker Møller reclama l’assistenza statale per le madri non sposate; alle Olimpiadi di Parigi gareggiano per la prima volta anche le donne; in Francia la disposizione del 29 dicembre, detta «legge delle seggiole», obbliga i padroni di tenere delle sedie a disposizione delle dipendenti; in Italia risultano le iscritte nei licei sono 287 (erano 44 nel 1897); le donne iscritte all’Università sono, invece, 250. Nelle industrie tessili lavorano 250.000 donne su 380.000 operai. Nel corso del XVII Congresso cattolico mons. Radini Tedeschi, in considerazione dell’attivismo in Italia di molte aggregazioni femminili - le più recenti erano il «Movimento femminile socialista» (1897) e l’«Unione Femminile» (1899) - sostiene l’urgenza della nascita di una organizzazione femminile cattolica. La proposta resterà irrisolta nel quadro della crisi dell’Opera dei Congressi e dell’indebolimento della Democrazia cristiana; 1901 • • • • • • • in Francia la legge del 21 dicembre in materia di aborto estende la repressione «trascinando i colpevoli davanti ai giudici togati e non più davanti ai giurati»; viene realizzato, sotto la direzione di Helene Lange e di Gertrude Bäumer, il manuale «Handbuch der Frauenbewegung», risultato di una collaborazione tra femministe europee e americane, tratta le associazioni e le battaglie condotte; viene fondato il «Consiglio nazionale delle donne francesi» che si batte per il congedo di maternità pagato e per il riconoscimento della maternità come servizio sociale; in Germania la femminista socialista Lily Braun, è la prima a difendere pubblicamente la causa di un’assicurazione autonoma per la maternità ritenendola una funzione sociale; si verificano in Francia alcune singolari forme provocatorie di protesta che danno dimostrazione della capacità inventiva delle femministe: in aprile viene messo in circolazione un francobollo commemorativo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, Jeanne Oddo Teflon ne propone una replica invertita, un francobollo in cui è un uomo a recare in mano la tavola dei diritti della donna; in Italia, il tasso di attività lavorativa femminile è del 31%. Nell’industria del cotone lavorano 82.932 donne, 17.528 fanciulli, 34.750 uomini. Ci sono già 3.000 telegrafiste, 170.000 commesse. Su 1.100.055 parti, muoiono ancora 3.034 donne. a Milano nascono il «Fascio femminile democratico cristiano» e la «Lega cattolica femminile». 1902 • • • • viene fondata in Gran Bretagna, ad opera di Emmeline Pankhurst, la «Women’s Social and Political Union» che si batte per il diritto al suffragio; si apre a Parigi l’«Esposizione internazionale delle arti e dei mestieri femminili»; in Australia, le donne ottengono il diritto di voto; in Italia è riconosciuta una certa tutela (ai fanciulli e) alle donne impegnate nel lavoro delle fabbriche. Tra l’altro, è istituito il ‘libretto di lavoro’ quale condizione necessaria per l’accesso al lavoro; s’mpedisce che la puerpera torni a lavorare se non dopo un mese dal parto ed è permesso l’allattamento o «in una camera speciale annessa allo stabilimento» o consentendo alle operaie l’uscita dalla fabbrica; viene posto il divieto di lavoro notturno e la durata della giornata lavorativa è stabilita al massimo in 12 ore (L. 19 giugno 1902, n. 242, e successive modifiche; T.U. di legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli, approvato con R.D. 10 novembre 1907, n. 818); 1903 • • • • in Inghilterra, negli anni precedenti il 1º conflitto mondiale, la questione femminile passa al primo posto nel dibattito pubblico. La «Women’s Social and Political Union» riesce a fare del voto un problema fondamentale; in Italia vengono fondate le sezioni italiane di due organismi internazionali, il «Consiglio nazionale delle donne italiane», aderente all’International Council of Women e articolato in vari settori sui diritti sociali, economici, civili e politici, e la più radicale «Alleanza per il suffragio»; il Parlamento francese vota il 3 aprile una legge che condanna il commercio delle donne vendute con violenza, frode o minaccia, punendo coloro che potrebbero costringere una donna a prostituirsi; Maria Curie è Premio Nobel per la fisica. 1904 • • • in Inghilterra nasce l’«Unione politica e sociale delle donne» di E. Pankhurst. il deputato repubblicano Roberto Mirabelli, a nome dell’Estrema Sinistra, presenta una nuova richiesta di voto politico per le donne, e precisamente la proposta di suffragio universale discussa alla Camera nel giugno 1904 e poi nel dicembre dell’anno successivo; con lo scioglimento dell’Opera dei Congressi cattolici, viene bloccato anche il disegno di una associazione autonoma di donne cattoliche. 1905 • • • • • • • inizia in Inghilterra la tattica spettacolare delle suffragette, che durerà fin al 1917; l’«Unione femminile», nata a Milano nel 1899, diviene «Unione Femminile Nazionale»; con Regio Decreto, nell’agosto 1905 le donne italiane sono ammesse all’insegnamento nelle scuole medie; sorge a Milano, per iniziativa di Fany Norsa Pisa, la prima Cassa di maternità; in Svizzera Margarethe Faas-Hardegger, che si ispira al sindacalismo rivoluzionario francese, nella propria lotta sindacale si batte sia per i diritti sociali e politici delle donne che per la contraccezione e l’aborto; a Boston Jane Addams fonda la «New Women’s Trade Union League» uno dei numerosi sindacati femminili che vede nell’unione e nella mutualità sia uno strumento di autoeducazione che di rivendicazione; all’indomani della proposta di Mirabelli d’introdurre il suffragio universale maschile femminile, nascono e si diffondono in Italia i Comitati pro suffragio. Il primo si forma a Milano e riunisce la «Lega di tutela degli interessi femminili», l’«Unione Femminile Nazionale», la «Federazione delle Opere di Attività Femminile» e la «Federazione Femminile Cattolica»; segue la creazione del Comitato di Torino; 1906 • in Finlandia viene concesso il diritto di voto alle donne: le finlandesi sono le prime donne europee a ottenerlo; • • • la pittrice Paula Modersohn-Becker (1876-1907) dipinge il nudo «Autoritratto con collana d’ambra», in cui raffigura la propria sensualità come un fatto concreto, trasgredendo così i tabù che impedivano alle donne di rappresentare il corpo nudo; in Italia, nella battaglia per il suffragio universale, si apre anche quella per il suffragio femminile: una petizione di Anna Maria Mozzoni, Maria Montessori e altre viene presentata al Parlamento; il movimento suffragista si organizza in nuovi Comitati pro-voto; alcune donne – in particolare, maestre – si iscrivono ad Ancona alle liste elettorali. Nello stesso anno, viene tenuto un Congresso femminile socialista; Sibilla Aleramo pubblica il romanzo Una donna; 1907 • • • • • • le donne inglesi della Women’s social and political Union marciano sul Parlamento inglese. Otterranno il diritto di voto e l’eleggibilità in alcune scuole e Consigli; nasce in Italia il «Comitato nazionale pro suffragio femminile» presieduto dalla Martini Marescotti. Nello stesso anno, a Milano, si svolge il primo “Convegno nazionale femminile”, indetto dalle femministe cristiane della «Federazione femminile», aperto anche alle laiche e alle socialiste, che inserisce la rivendicazione dell’amministrazione dei beni da parte della donna nel proprio programma femminista; in Inghilterra «La lega delle donne laburiste» chiede l’assistenza finanziaria per le madri bisognose; Ernestina Prola è la prima donna italiana a conseguire la patente; la legge n. 416 sul lavoro delle donne e dei fanciulli vieta in Italia il lavoro notturno alle donne di qualsiasi età; in Francia la legge del 13 luglio prevede un sistema di «beni riservati» (salari, risparmi e impiego di redditi). Si tratta di risorse destinate ai bisogni della famiglia di cui la moglie può disporre, fatto salvo il diritto del marito di ricorrere alla giustizia se pensa non ne faccia buon uso; 1908 • • • • • • • • • negli Usa Gertrude Jekyll è una delle prime progettiste di giardini; si tiene a Roma, con la presenza della Regina, il primo «Congresso nazionale delle donne italiane» che vede la partecipazione di oltre 1.400 donne; temi affrontati: istruzione, educazione, lavoro, violenza sessuale, voto, ricerca della paternità; in Francia la legge del 6 giugno autorizza la conversione della separazione legale in divorzio, se sia durata almeno tre anni; viene fondata in Italia l’UDACI (Unione Donne di Azione Cattolica), che nel suo primo anno di vita costituisce più di 100 comitati con 15.000 iscritte; a Milano, in occasione di un congresso sul problema del lavoro, organizzato dall’Unione Nazionale Femminile, partecipano 600 donne; Emma Strada è la prima donna italiana a laurearsi in ingegneria; Maria Montessori a Roma nel quartiere San Lorenzo apre la prima Casa dei bambini, un asilo arredato e condotto secondo il suo metodo. in Italia nasce il Corpo delle infermiere volontarie della Croce rossa. le donne ottengono il voto amministrativo in Danimarca. 1909 • • • • in Italia, come reazione alle conclusioni del primo «Congresso nazionale delle donne italiane», che aveva votato contro l’insegnamento religioso nelle scuole, nasce la prima unione fra le donne cattoliche; Ellen Key (1849-1926), pedagogista progressista svedese, pubblica Il movimento delle donne, in cui viene analizzata l’influenza del femminismo su donne e uomini di differenti età e condizioni sociali; in Francia la legge Engerand garantisce la conservazione del posto di lavoro alle donne che si assentano per un massimo di 8 settimane prima e dopo il parto; in Svezia le donne diventano eleggibili; 1910 • • • • • è istituita in Italia una Cassa di maternità, con sede a Roma, che ha lo scopo «di sussidiare le operaie» contemplate dal T.U. del 10 novembre 1907, n. 818, «sul lavoro delle donne e dei fanciulli in occasione di parto o di aborto» (L. 17 luglio 1910, n. 520); può considerarsi come un primo provvedimento di welfare state, basato sul modello dell’assicurazione; nello stato di Washington viene vinto il referendum sul voto alle donne: è la prima volta dopo quattordici anni. in un Congresso di ginecologi si vota affinché l’aborto non sia considerato reato se praticato sotto controllo medico; in Italia, le maestre e le professoresse sono 62.000, contro 35.000 uomini. Nello stesso anno, Anna Kuliscioff svolge al Congresso socialista una relazione sul tema “Proletariato femminile e Partito socialista”; Giuseppina Novi Scanni fonda le «Unioni professionali femminili»; tutti i gruppi femministi stilano un Manifesto comune per il voto alle donne; lo Stato di Washington ammette le donne al voto; 1911 • • • • la rivoluzione democratica cinese sancisce l’accesso delle donne alle scuole, la libertà di matrimonio, la partecipazione delle donne alla politica e sociale; è fondata in Francia l’«Alliance Jeanne D’Arc», associazione di femministe cattoliche; viene istituita negli Usa (Illinois) la prima pensione di maternità; In California, USA, il voto alle donne vince per referendum. Sono sei gli stati dell’Ovest che lo approvano. Ad essi si aggiungeranno, un anno dopo, anche l’Arizona, il Kansas e l’Oregon; 1912 • • • • viene istituito negli Usa il Mother’s day: celebrazione della madre e esaltazione della casalinga, promossa a «regina della casa»; nasce in Francia il primo giornale in difesa dei diritti politici delle donne, «Le mouvement féministe», creato da Emilie Gourd; in Italia, due sindacaliste, Argentina Altobelli e Carlotta Clerici, entrano a far parte del Consiglio del lavoro presso il Ministero dell’Agricoltura, industria e commercio; il Parlamento italiano approva la “riforma elettorale Giolitti”: possono votare tutti i maschi alfabetizzati di 21 anni oppure i maschi analfabeti, purché trentenni o che abbiano svolto il servizio militare. Le donne, anche le più istruite, restano escluse dal diritto di voto; • • • Anna Kuliscioff, in occasione della concessione del voto anche ai maschi analfabeti, fonda la rivista «La difesa delle lavoratrici», che si pone in prima linea per l’estensione del voto alle donne; in un manuale di sessuologia del medico tedesco A. von Moll, l’emancipazione femminile è vista quale causa di mascolinizzazione implicante una degenerazione della fecondità e una perversione della sessualità; le donne ottengono il voto in Arizona, Kansas e Oregon. 1913 • • • le donne ottengono il voto in Norvegia; Alexandra Kollontai nel saggio The new woman esalta la figura della donna che non sacrifica più la propria vita all’amore e alla passione, ma si propone come una ‘donna nuova’, nubile, orgogliosa della propria forza interiore; in Francia le leggi del 17 giugno e del 30 luglio autorizzano le madri, alle soglie del parto, a cessare la loro attività, obbligandole a non riprendere il lavoro per le quattro settimane successive anche se si tratta di lavoranti a domicilio; 1914 • • • • in Gran Bretagna si assiste dal 1914 al 1918 a una rilevante femminilizzazione della manodopera che passa dal 24% al 38%; l’Union française pour le suffrage des femmes promuove una petizione nazionale a favore della proposta Dussaussoy-Buisson, che consentirebbe alle donne francesi di partecipare alle elezioni municipali del 1916; la femminista inglese Yevonde Cumbers (1893-1975) apre all’età di 15 anni uno studio fotografico a Londra, in cui utilizza per la prima volta la tecnologia fotografica del colore; la perorazione dell’americana Margaret Sauger a favore della limitazione delle nascite, pubblicata nel primo numero di «The women rebel», porta al suo arresto, a dimostrazione di come la stampa femminista fosse colpita dalle leggi repressive contro le associazioni politiche; 1915 • • • • • nasce al meeting femminile per la pace di Washington, convocato dalla celebre riformatrice Jane Addams, il «Woman’s Peace Party», la prima organizzazione pacifista femminile, che si è occupata soprattutto di una unione delle donne contro la guerra; il «Congresso internazionale delle donne» dell’Aja, svoltosi dal 28 aprile al 1° maggio, ha affrontato temi quali l’educazione pacifista dei bambini, il suffragio femminile, il rispetto delle nazionalità, l’arbitrato obbligatorio, e ha portato alla formazione di un «Comitato internazionale delle donne per la pace permanente» che, dal 1919 prenderà il nome di «Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà»; Katherine Anthony negli Usa si batte per il riconoscimento del pagamento del lavoro delle madri; in Norvegia la legge per l’assistenza all’infanzia concede alle madri indigenti un sussidio a carico del fisco; i parlamenti della Danimarca e dell’Islanda votano il diritto di voto alle donne; 1917 • • si apre a Mosca il Primo Congresso Musulmano Panrusso, in cui viene proclamata l’uguaglianza giuridica tra uomini e donne musulmane; nasce in Gran Bretagna un corpo ausiliario dell’esercito, il «Women’s Army Auxiliary», che inquadra 40.000 donne, 8.500 delle quali all’estero; • • • • • in Russia, il governo Kerensky concede il diritto di voto alle donne e stabilisce la loro eleggibilità; viene anche abolito il matrimonio religioso e i figli legittimi e naturali hanno gli stessi diritti; negli USA, il Women’s Party organizza picchetti davanti alla Casa Bianca chiedendo il diritto di voto; molte donne vengono arrestate e condannate; Julia Lathrop, capo ufficio per l’infanzia degli Usa, si dedica a un’inchiesta internazionale sui sistemi di sussidio statale alla maternità; le femministe francesi intendono fare dell’esperienza della guerra un trampolino verso l’uguaglianza professionale o verso l’accesso ai mestieri e alle qualificazioni delle lavoratrici; in Inghilterra viene concesso il voto ad alcune categorie di donne; 1918 • • • • • • • • • il Congresso americano vota l’emendamento Anthony che riconosce il voto alle donne. Il Senato voterà nel 1920; nasce a Milano la «Gioventù femminile di Azione Cattolica»; nasce in Urss il Codice di famiglia che sopprime la potestà maritale e stabilisce un’assoluta eguaglianza tra i coniugi e nei confronti dei figli; garantisce inoltre il congedo per maternità e la protezione sul lavoro; muore a 32 anni una delle prime femministe egiziane, Malak Hifni Nassef; negli Usa, a seguito della pressione delle organizzazioni femminili, nascono alcune agenzie federali per facilitare l’impiego delle donne nelle industrie. Dirette da riformatrici quali Mary van Kleeck o da sindacaliste come Mary Anderson, tentano di promuovere una nuova politica fatta di taylorismo e di istanze sociali, ma si scontrano con il rifiuto dei datori di lavoro a migliorare le condizioni lavorative e a versare alle operaie una paga uguale a quella delle operaie; viene adottato in Inghilterra, a tutela della madre e del bambino, il «Maternal and child welfare act», che mette a disposizione centri di assistenza medica per le madri bisognose; negli Usa il National War Labor Board si impegna sui due principi del «salario uguale per uguale lavoro», e del minimo salariale, ma non riesce a sottrarsi al duplice condizionamento della legge e della tradizione che negano l’uguaglianza dei essi sul lavoro; il parlamento del Canada vota il suffragio femminile; in Inghilterra, il 6 febbraio, il Representation of the People Act concede il diritto di voto alle donne che hanno compiuto i trent’anni, escludendo le operaie che avevano sostituito gli uomini durante la guerra. Nel novembre dello stesso anno, viene votata in fretta la legge che ammette l’eleggibilità delle donne alla Camera dei Comuni; negli USA, il 10 gennaio la Camera ratifica il suffragio femminile, ma il 30 settembre il Senato respinge l’emendamento. Nella gran parte degli USA, il voto alle donne è ormai ottenuto tramite referendum. 1919 • • • • viene creato in Urss il Ženotdel, la sezione femminile del Comitato centrale, che realizza opere a favore dell’alfabetizzazione e della lotta contro la prostituzione; viene emanato in Francia il Ddl Dussaussoy sull’elettorato e l’eleggibilità municipale; in Italia, con la legge Sacchi, le donne sono riconosciute idonee alla maggior parte degli impieghi statali; in Spagna Margarita Nelken conduce una seria analisi della situazione del lavoro femminile, denunciando il parto in fabbrica, la schiavitù del lavoro a domicilio, il diritto di voto alle donne; • • • • • • • si assiste in Francia a un più egualitario accesso agli studi secondari con la creazione di scuole tecniche e commerciali e di un baccalaureato femminile che dà accesso all’Università; in Gran Bretagna il «Sex disqualification removal act» del 23 dicembre apre alle donne professioni, soprattutto giuridiche, riservate fino a quel momento agli uomini; nasce la convenzione di Washington ad opera dell’International Labour Office, che prevede per tutte le donne lavoratrici un congedo di maternità prima e dopo il parto; il Parlamento italiano approva la legge n. 1176 sulla emancipazione femminile che abolisce l’autorizzazione maritale e ammette le donne a esercitare quasi tutte le professioni; è approvata anche dalla Camera, a grande maggioranza, la proposta di legge Martini-Gasparotto, che ammette al voto politico e amministrativo tutte le donne, salvo le prostitute, ma la chiusura anticipata della legislatura ne impedisce il passaggio al Senato; si tiene a Zurigo un Congresso internazionale delle donne indetto dalla Ligue international des femmes pour la paix et la liberte (filiazione diretta del Congresso de L’Aja del 1915), per contribuire alla nascita della Società delle Nazioni. in Italia, il voto delle donne entra formalmente nei programmi delle due formazioni politiche costituite in quell’anno: il Partito Popolare Italiano e i Fasci di combattimento; i parlamenti di Austria, Germania, Olanda, Polonia, Lussemburgo, votano il diritto di voto alle donne. In Belgio il voto è concesso con alcune limitazioni. In Kenya, viene riconosciuto il diritto di voto solo per le donne europee: verrà ampliato alle donne e agli uomini africani nel 1956, ma diventerà universale solo nel 1963; 1920 • • • • • in Russia l’aborto viene autorizzato senza restrizioni; in Svezia le donne godono di ogni diritto politico; in Francia le leggi del 1920 e del 1923 vietano qualsiasi propaganda anticoncezionale e fanno dell’aborto un reato passibile di misure correzionali; Oxford ammette le studentesse alla laurea; negli USA, il Senato approva il 19° emendamento: 26 milioni di donne americane ottengono il voto alle stesse condizioni degli uomini. Nello stesso anno anche le donne della Cecoslovacchia ottengono il diritto di voto; 1921 • • • in Italia l’analfabetismo femminile è del 30,4% contro il 24,4% degli uomini; viene emanata negli Usa la legge Sheppard-Towner sulla maternità e l’infanzia che sarà poi abolita nel 1928, che accorda sussidi federali per i servizi sanitari di prevenzione a favore delle madri; in Svezia il parlamento concede il diritto di voto alle donne; 1922 • • si tiene a Roma il primo Convegno delle donne aderenti al Partito Comunista d’Italia, costituitosi a seguito della scissione di Livorno del 1921; il Burma (Birmania) è il primo paese asiatico ad estendere il suffragio alle donne; 1923-26 – Italia • viene licenziato gran parte del personale amministrativo, pressoché tutto femminile, assunto durante la guerra per far fronte all’emergenza (R.D. 28 gennaio 1923, n. 153; R.D. 24 settembre 1923, n. 2276; R.D. 27 settembre 1923, n. 24450) • le donne sono escluse dal ruolo di preside di scuola media (R.D. 6 maggio 1923, n. 1054) • le donne sono estromesse dai concorsi per uffici direttivi di istituti privati e pareggiati e per le cattedre di alcuni importanti insegnamenti nelle scuole superiori (R.D. 6 giugno 1925, n. 1084; R.D. 9 dicembre 1926, n. 2480) 1923 • • si tiene a Roma il IX Congresso dell’«Alleanza internazionale pro-suffragio». Interviene anche Mussolini a favore del voto alle donne; in Inghilterra, il Matrimonial Causes Act parifica l’adulterio maschile a quello femminile nella legislazione sul divorzio; 1925 • • in Italia, è approvata la legge sulla protezione e assistenza alla maternità e infanzia: è istituita l'ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), con la finalità di assistere le gestanti e le madri nubili o bisognose e i minori in stato di abbandono o di indigenza (L. 10 dicembre 1925, n. 2277). Nello stesso anno, la legge Acerbo(L. 22 novembre 1925, n. 2125) ammette all'elettorato amministrativo alcune categorie di donne (25enni, abbienti; madri e vedove di caduti in guerra, decorati per merito di guerra o al valor civile, investite di ‘patria’ potestà e fornite di licenza elementare), ma il progresso è puramente virtuale: la normativa, infatti, non sarà mai applicata a causa dell'abolizione delle elezioni amministrative avvenuta nel 1926, quando la riforma podestarile elimina ogni base elettiva alle amministrazioni comunali; Grazia Deledda riceve il Premio Nobel per la letteratura; 1926 • in Italia, la L. 4 febbraio 1926, n. 237, istituisce la figura del podestà, nominato con decreto reale su proposta del prefetto, che assume i poteri del sindaco, della giunta municipale e del consiglio comunale; 1927 • • un Regio Decreto esclude, in Italia, le donne laureate dalle cattedre di lettere italiane e latine, latine e greche, storia e filosofia, storia e economia politica nei licei; Virginia Woolf pubblica Una stanza tutta per sé; 1928 • in Inghilterra e in Irlanda, le donne ottengono il diritto di voto alle stesse condizioni degli uomini. L’Ecuador è il primo paese dell’America Latina a riconoscere il diritto di voto alle donne; 1930 • in Sudafrica, viene concesso il diritto di voto solo alle donne bianche, mentre continuerà la discriminazione razziale nei confronti della popolazione nera; 1931-1939 • le donne ottengono il diritto di voto a Ceylon, Cuba, in Costarica, Pakistan, Turchia, Uruguay, nella Spagna repubblicana, Portogallo, Bolivia e in Thailandia. 1932 • 1933 Jane Addams (USA), presidente della Lega internazionale delle donne per la pace, è insignita del Premio Nobel per la pace; • in Italia, le amministrazioni statali le amministrazioni dello Stato sono autorizzate ad impedire o limitare, attraverso bandi di concorso, le assunzioni di personale femminile (R.D.L. 28 novembre 1933, n. 1554); 1934 • alle donne italiane è vietato l’accesso ad una serie di pubblici uffici comunali e provinciali (R.D. 3 marzo 1934, n. 383). Sempre in Italia, anche se, a parità di prestazioni, le retribuzioni femminili risulteranno, fino al 1943, inferiori in media del 60% rispetto a quelle maschili, il legislatore sembra prestare una maggiore attenzione per i problemi delle lavoratrici, emanando i provvedimenti che introducono sia una disciplina più estesa e rigorosa in materia di divieti e limitazioni per i lavori pericolosi, faticosi e insalubri, sia i periodi di riposo per il puerperio e l'allattamento (L. 29 marzo 1934, n. 654; L. 26 aprile 1934, n. 653) 1935 • • • Margaret Mead pubblica Sesso e temperamento; il Nobel è assegnato a Irene Joliot Curie e a suo marito Frederic Joliot; Filippine: le donne ottengono il voto; 1938 • • in Italia, il regime stabilisce che le donne possano trovare occupazione negli impieghi pubblici e privati al massimo per il 10% dei posti disponibili (R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1514); nello stesso anno vengono emanate le leggi sulla difesa della razza, che fra l’altro vietano i matrimoni con appartenenti a razze non ariane; Alba de Cespedes pubblica Nessuno torna indietro; 1939 • l’«Unione Femminile Nazionale» viene sciolta d’autorità dal regime fascista; 1940-1944 • viene concesso il diritto di voto universale a Panama, nella Repubblica Dominicana e in Mongolia 1940 • le donne costituiscono nell’industria bellica italiana il 30% della mano d’opera; 1942 • viene approvato il nuovo Codice civile che riproduce le norme del 1865 sulla condizione delle donne; 1943 • vengono fondati a Milano da donne aderenti a vari partiti del CLN (Comitato di liberazione nazionale) i «Gruppi di difesa della donna»; 1944 • • Gisella Floreanini è ministro nella Repubblica dell’Ossola; dopo la liberazione di Roma dall’occupazione nazi-fascista e mentre è in corso la fase più drammatica della guerra che vede il centro-nord duramente impegnato nella guerra partigiana (che è anche guerra civile...), nascono l’«Unione delle Donne Italiane» (UDI), il «Centro • • Italiano Femminile» (CIF: federazione di associazioni femminili cattoliche) e l’«Associazione nazionale donne elettrici» (ANDE); a Roma, in clandestinità, nasce la prima squadriglia di girl scout italiane. Lo scoutismo maschile era stato proibito e sciolto dal fascismo; in Francia le donne ottengono il voto; 1945 • • • • il d.lgs.lgt. n. 23 del 1° febbraio 1945 riconosce alle donne italiane il diritto di elettorato attivo; nello stesso anno, anche il Giappone, la Jugoslavia e il Guatemala, con alcune limitazioni, concedono il suffragio; in Italia, alcune donne – una decina – sono nominate nella Consulta nazionale; Emily Green (USA), pacifista, presidente della Lega internazionale delle donne per la libertà, è insignita del premio Nobel per la pace; 1946 • • • il d.lgs.lgt. 10 marzo 1946, che determina la legge elettorale per la formazione dell’Assemblea Costituente, riconosce alle donne anche il diritto di essere elette. Nella primavera le donne votano in un primo turno di amministrative. Fra il primo e il secondo turno delle amministrative (1946), saranno elette circa 2.000 donne nei consigli comunali e provinciali; terminata la seconda guerra mondiale, viene riconosciuto il suffragio universale alle donne in Francia, Brasile, El Salvador, Romania e Albania; il 2 giugno 1946 l’Italia va alle urne per eleggere i deputati dell’Assemblea Costituente e per il referendum istituzionale: è la prima volta che le donne italiane esercitano il diritto di voto in una consultazione politica (nella primavera del 1946, avevano già votato alle elezioni amministrative). All’Assemblea Costituente sono elette 21 donne; 1947 • viene riconosciuto il diritto di voto alle donne in Argentina, Bulgaria, Venezuela; 1948 • • • • il 1° gennaio entra in vigore la Costituzione repubblicana italiana, che sancisce l’uguaglianza dei diritti fra i sessi. Il 18 aprile è eletto il primo Parlamento repubblicano: sono elette 45 donne alla Camera e 4 al Senato. Appena aperta la legislatura, vengono presentati due progetti di legge per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri: il primo, di iniziativa parlamentare, da Teresa Noce (PCI), il secondo da Amintore Fanfani, ministro del Lavoro, esponente della sinistra democristiana; Angela Cingolani Guidi è la prima donna sottosegretario (ministero Industria e Commercio con delega all’artigianato) nel V governo De Gasperi; viene concesso il voto alle donne in Corea e Israele. In Belgio il diritto di voto viene esteso a tutta la popolazione femminile; il 10 dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama la “Dichiarazione universale dei diritti umani”; 1949 • Lina Merlin, deputata socialista, presenta il progetto di legge per l’abrogazione della regolamentazione della prostituzione; • • Simone de Beauvoir pubblica Le deuxième sexe; il suffragio femminile arriva in Indonesia, Grecia, Cile e Siria. In quest’ultimo stato, però, il diritto di voto sarà riservato fino al 1953 alle donne con un’educazione almeno primaria. In Cina le donne ottengono il diritto di voto; 1950 • • • viene concesso il voto alle donne in Nicaragua e in India; viene approvata, dopo un lungo dibattito in Parlamento e nel Paese, la legge 26 agosto 1950, n. 860 sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, relatrice Maria Federici. È approvata anche la legge n. 986 che proibisce il licenziamento delle lavoratrici madri, gestanti e puerpere; l’Onu approva la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione. CRONOLOGIA 1951 – 2007 1951 • • • • la XXXIV sessione dell’Organizzazione internazionale del lavoro approva la Convenzione n. 100 sulla parità di retribuzione a parità di lavoro; le donne ottengono il voto in Nepal e in Pakistan; le religiose italiane si riuniscono in federazioni: la FIRE (religiose educatrici), la FIRO (religiose ospedaliere), la FIRR (religiose rieducatrici, che lavorano negli istituti di rieducazione e nell’assistenza); Alba de Cespedes pubblica Il quaderno proibito; 1952 • le donne ottengono il diritto di voto in Libano; 1953 • • • • in Messico le donne vengono chiamate ad esercitare il loro diritto di cittadine; in Italia, nelle elezioni politiche della II legislatura, il numero di donne in Parlamento diminuisce: 33 alla Camera e solo 1 al Senato; Maria Jervolino De Unterrichter è sottosegretario alla Pubblica Istruzione; rinasce il Consiglio nazionale delle donne italiane; 1954 • il diritto di voto viene concesso alle donne della Colombia; 1955 • viene concesso il voto alle donne in Honduras, Perù e Giordania. In quest’ultimo stato, però, il diritto di voto sarà riservato solo alle donne con un titolo di studio: per le altre bisognerà attendere fino al 1974 1956 • • è approvata la legge n. 1441, che ammette le donne nelle giurie popolari delle Corti d’Assise (con il limite massimo di tre su sei) e come componenti dei Tribunali per minorenni; con sentenza del 22 febbraio, la Corte di Cassazione, modificando la giurisprudenza tradizionale, stabilisce che al marito non spetta il potere correttivo (jus corrigendi) nei confronti della moglie e dei figli; • • la Repubblica federale tedesca riconosce il voto alle donne. Le donne ottengono il voto anche nell’Alto Volta, Cambogia, Ciad, Congo Brazzaville, Costa d’Avorio, Gabon, Guinea, Laos, Madagascarr Mali, Mauritania, Niger, Repubblica Centrafricana, Senegal, Vietnam del Sud, Togo; l’Egitto riconosce il diritto di voto alle donne, che verrà esercitato solo dopo il 1964; 1957 • • nel trattato che fonda il Mercato Comune Europeo un articolo impegna gli Stati a garantire la parità di salario alle donne; per iniziativa di un Comitato composto da più associazioni e sotto il Patrocinio della Società umanitaria, si svolge a Torino il Convegno "Retribuzione uguale per lavoro uguale"; 1958 • • • • • nella III legislatura la flessione femminile si accentua: 25 donne alla Camera, 3 al Senato. Angela Gotelli è sottosegretaria alla Sanità; viene approvata la legge n. 75 del 20 febbraio, intitolata «Abolizione della regolamentazione dela prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui», più nota come legge Merlin, che dispone la chiusura delle case di tolleranza; è approvata anche la legge di tutela del lavoro a domicilio; si costituisce il Comitato di Associazioni femminili per la parità di retribuzione, per l’applicazione della Convenzione O.I.L. n. 100. la Chiesa luterana svedese decide per l’ammissione delle donne al pastorato. Precedentemente era avvenuto solo nelle chiese libere americane; 1959 • • è approvata la legge che costituisce il Corpo di polizia femminile; viene concesso il diritto di voto alle donne in Tunisia e nella Repubblica di San Marino; 1960 • • accordo salariale sulla parità di salario nell’industria. dalle federazioni delle religiose nasce, come direzione unitaria, l’Unione delle Superiori maggiori d’Italia, USMI. 1962 • in Algeria, le donne votano alla fine della Guerra di Liberazione, ma nel 1990 una riforma elettorale consentirà ai capifamiglia uomini di votare per tutte le donne di casa. La legge viene poi modificata a seguito delle proteste delle donne; 1963 • • • nella IV legislatura italiana, sono elette 29 donne alla Camera e 6 al Senato. Marisa Cinciari Rodano è eletta vicepresidente della Camera. Maria Badaloni è sottosegretario alla Pubblica istruzione. Maria Vittoria Mezza è sottosegretario all’Industria e Commercio. è approvata la legge 9 gennaio n. 7, che vieta il licenziamento per matrimonio, e la legge di modifica a quella sulla tutela delle lavoratrici madri. Viene anche approvata la legge 9 febbraio 1963, n. 66 «Ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni», che permette tra l’altro – e finalmente – alle donne italiane laureate in giurisprudenza di partecipare ai concorsi per accedere alla carriera giudiziaria, da cui erano rimaste escluse in virtù delle legge del 1919, che nemmeno i Costituenti del ’46-‘47 avevano voluto cancellare. Valentina Tereskova è la prima donna astronauta; • • • Betty Friedan pubblica The feminine mistique; le donne ottengono il voto in Iran, Kenia, Libia, Malesia; nella Enciclica Pacem in Terris Giovanni XXIII indica nella promozione femminile un segno dei tempi; 1964 • • • si svolge a Roma il settimo Congresso dell’UDI preparato da tesi che affrontano in termini nuovi l’autonomia della questione femminile; le donne ottengono il voto in Afghanistan, Iraq, Malawi, Malta e Zambia; dietro la pressione dell’Alleanza Internazionale “Giovanna d’Arco”, ai lavori della terza sessione del Concilio Vaticano Secondo vengono ammesse le donne: 9 religiose e 7 laiche; 1965 • nasce a Milano il primo collettivo femminista DEMAU (demistificazione autoritarismo); 1966 • • • Indira Ghandi è primo ministro dell’India; le donne ottengono il voto in Beciuania, Guyana, Lesotho; in conseguenza dell’apertura alle donne delle facoltà teologiche cattoliche, le prime donne si iscrivono agli studi regolari nelle facoltà di teologia; 1967 • • nasce in America l’Organizzazione nazionale delle donne NOW; alle donne nello Yemen del Sud viene concesso il diritto di voto; 1968 • • • elette solo 18 donne alla Camera, 11 al Senato. Emanuela Savio è sottosegretario all’Industria e Commercio, Elena Caporaso alla Pubblica istruzione, Maria Pia Dal Canton alla Sanità; la Corte costituzionale dichiara incostituzionale la disuguaglianza dei sessi nella punizione dell’adulterio. Nel quadro della contestazione vari gruppi femministi; Karl Elisabeth Borresen pubblica Natura e ruolo della donna in Agostino e Tommaso d’Aquino; Mary Daly pubblica La chiesa e il secondo sesso; i due volumi aprono la via alla teologia femminista e alla critica all’antropologia teologica androcentrica; 1969 • • • Golda Meir è primo ministro d’Israele; la Corte costituzionale dichiara incostituzionali le norme sul concubinato; Kate Millett pubblica Sexual politics. 1970 • • • 1971 è approvata la legge sul divorzio: legge 1° dicembre 1970, n. 898 «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio»; primo Congresso del Movimento di Liberazione della Donna; lo Yemen del Nord concede il diritto di voto alle donne. La Confederazione Elvetica propone di estendere il suffragio alle donne. • • • è approvata, in Italia, la legge n. 1044 per l’assistenza all’infanzia, che prevede l’istituzione di asili nido pubblici. È anche approvata la legge n. 1204 di riforma della legge sulle lavoratrici madri; la Corte costituzionale dichiara costituzionalmente illegittimo l’articolo del Codice penale che punisce la propaganda anticoncezionale; le donne svizzere ottengono il voto; 1972 • • entrano nella V legislatura 25 deputate e 6 senatrici. Nel corso della legislatura subentreranno altre 3 deputate. come effetto della introduzione della scuola media unificata, si registrano ormai significativi aumenti nella scolarità femminile superiore dove le donne passano dal 37,4% del 1948-49 al 42,4% del 1972-73 e in quella universitaria (dal 25% al 37,5%). In numeri assoluti le iscritte all’Università sono 285.000 (contro le 69.000 del 1962), con una crescita del 244% contro una crescita maschile del 147%. 1973 • • • viene approvata la nuova legge n. 877 sulla tutela del lavoro a domicilio; un Congresso dell’UDI stabilisce la posizione dell’organizzazione nei confronti del nuovo femminismo; negli Usa la Corte Suprema stabilisce che la decisione di abortire è di competenza della donna e del suo medico; 1974 • • • nel referendum abrogativo del divorzio il 58% degli italiani vota per il mantenimento della legge; Francia e Repubblica Federale Tedesca autorizzano l’aborto; secondo dati delle Nazioni Unite, le donne rappresentano nel mondo il 34% della forza lavoro; 1975 • • • • è approvata la legge n.151 di riforma del diritto di famiglia, che sanziona la parità dei coniugi; è approvata la legge n. 405 che istituisce i consultori familiari; si tiene a Città del Messico la Conferenza mondiale dell’ONU per l’Anno internazionale della donna; l’Onu proclama il Decennio 1975-1985 Decennio della donna; 1976 • • • • 53 donne sono elette alla Camera e 11 al Senato: c’è un aumento; Tina Anselmi è la prima donna italiana a essere posta alla guida di un dicastero: è nominata Ministra del lavoro e della previdenza sociale; si svolge una grande manifestazione di donne a Roma a favore dell’aborto; nel Congresso di “Lotta continua”, a Rimini, le donne si scontrano duramente con una politica che considerano ancora maschile, tentata dalla lotta armata. Lo scontro preparerà lo scioglimento; • Mairead Corrigan e Betty Williams (Irlanda), fondatrici del movimento delle donne per la pace, ricevono il Premio Nobel per la pace; 1977 • è approvata le legge n. 903 del 9 dicembre sulla parità di trattamento fra uomini e donne in materia di lavoro; 1978 • • è approvata la legge n. 194 sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza; Margaret Thatcher è il nuovo premier inglese; 1979 • • • • nelle elezioni politiche sono elette 55 donne alla Camera, 13 al Senato; Nilde Iotti è eletta Presidente della Camera dei Deputati; nel primo Parlamento europeo eletto direttamente ci sono 61 donne, di cui dieci italiane. Madre Teresa di Calcutta (Albania), fondatrice delle Missionarie della carità, riceve il Premio Nobel per la pace. 1980 • • si tiene a Copenaghen la seconda grande Assemblea Generale dell’ONU del Decennio della donna; in Iraq le donne possono finalmente esercitare il diritto di voto che era stato loro riconosciuto nel 1958, ma mai esercitato; 1981 • • • è approvata la legge n. 442, che abroga la rilevanza penale della causa d’onore come attenuante nell’omicidio del coniuge infedele; gli opposti referendum abrogativi sulla interruzione volontaria di gravidanza, uno radicale, gli altri proposti dal Movimento per la vita, vengono respinti nella consultazione popolare; il Parlamento europeo approva un’ampia risoluzione sui diritti delle donne. Betty Friedan pubblica The second stage; 1982 • Alva Myrdal (Svezia), ministra per il disarmo, riceve il premio Nobel per la pace; 1983 • • alla Camera sono elette 49 donne, al Senato 15; è istituito il Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e di uguaglianza di opportunità fra lavoratori e lavoratrici presso il Ministero del Lavoro; 1984 • • è istituita, in Italia, la Commissione nazionale per la realizzazione della parità e delle pari opportunità fra uomo e donna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, presieduta da Elena Marinucci; la CEE approva la Raccomandazione sulle azioni positive a favore delle donne; • la Corte costituzionale stabilisce la parità tra padri e madri circa i congedi dal lavoro per accudire i figli; nelle elezioni per il Parlamento europeo sono elette 84 donne; • • il diritto di voto viene riconosciuto alle donne del Liechtenstein, mentre il Sudafrica estende il suffragio ai cittadini coloured e indians; 1985 • si tiene a Nairobi l’Assemblea Generale dell’ONU, conclusiva del Decennio delle donne; 1986 • • la scienziata italiana Rita Levi Montalcini ottiene il Nobel; la Commissione nazionale per la parità uomo e donna elabora il «Programma di azioni positive»: aziende e sindacati devono tutelare accesso, carriera e retribuzioni femminili; 1987 • • • • le donne del PCI lanciano la “Carta delle Donne”, riaprendo un dialogo serrato fra le donne comuniste e quelle della galassia femminista; sono elette 81 donne alla Camera dei deputati (di cui 53 nelle liste del PCI) e 21 al Senato (di cui 10 nelle liste del PCI); il gruppo parlamentare dei Verdi ha una presenza pari di uomini e donne e si dà un direttivo femminile; è approvata la legge n. 74 che introduce nuove norme nella disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio; 1988 • • la legge sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio conferma la Commissione nazionale parità come struttura di supporto della Presidenza sulle questioni femminili; il pontefice Giovanni Paolo II pubblica la lettera Mulieris dignitatem; 1989 • • • nelle elezioni al Parlamento europeo sono elette 11 donne; la media italiana è ancora largamente inferiore a quella europea (19,3%) e a quella massima della Danimarca (37,5%); Tina Anselmi è la nuova presidente della Commissione nazionale parità; le donne sono ammesse alla magistratura militare 1990 • con 7.238.000 di donne occupate e 1.577.000 di donne in cerca di occupazione la forza lavoro femminile è del 37%. Crescono contemporaneamente occupazione e disoccupazione femminile; 1991 • • è approvata la legge 10 aprile, n. 125 sulle azioni positive per la realizzazione delle pari opportunità nel campo del lavoro; Aung San Suu Kyi (Birmania), leader dell’opposizione non violenta, riceve il Premio Nobel per la pace; 1992 • • sono elette alla Camera 51 donne, al Senato 30; la diminuzione alla Camera e l’aumento al Senato sono probabilmente dovute agli effetti della preferenza unica; a circa 30 anni dalla legge di accesso a tutte le carriere, le donne sono 1.916 (su 7,869 uomini) di cui 129 magistrati di Cassazione; in diplomazia ci sono 53 donne contro 863 uomini: • per ragioni di anzianità di carriera, nessuna donna è ancora arrivata oltre la carica di ministro plenipotenziario di 2a classe; è approvata la legge n. 215 sulle Azioni positive in favore della imprenditoria femminile; 1993 • con la legge 25 marzo 1993, n. 81 per la prima volta vengono introdotte le “quote rosa” in merito alle elezioni dei rappresentanti degli enti locali, prevedendo che un terzo delle candidature nelle varie liste sia riservato al sesso sottorappresentato. Per le elezioni nazionali, viene introdotta l’alternativa obbligatoria di uomini e donne per il recupero proporzionale ai fini della designazione alla Camera dei deputati; 1994 • • • • • • • in Italia, la nuova legge elettorale per la Camera, basata su collegi uninominali maggioritari e una quota proporzionale, statuisce l’alternanza fra uomini e donne nelle liste proporzionali; sono elette alla Camera 91 donne, al Senato 29. Irene Pivetti è eletta Presidente della Camera dei Deputati; Rosa Russo Jervolino, già presidente del PPI assume, dopo le dimissioni del segretario, tali funzioni; Emma Bonino è la prima donna italiana alla Commissione europea. Letizia Moratti è presidente della RAI; Tina Lagostèna Bassi è presidente della Commissione nazionale parità; nelle elezioni per il Parlamento europeo sono elette 11 donne; al terzo Sinodo della Chiesa cattolica sulla vita consacrata, fra i delegati non Vescovi o non Cardinali, le religiose donne sono più numerose dei religiosi maschi. Una inchiesta svolta per l’occasione quantifica così le religiose in Italia: 119.000 suore, 8.000 monache, 14.000 donne consacrate; fra esse 8.000 sono missionarie all’ estero; le comunità religiose sono circa 12.000; in Sudafrica, viene approvato il suffragio universale; 1995 • • • • • • l’Italia ha un Ministro degli Esteri donna: Susanna Agnelli; si svolge a Pechino la quarta Conferenza mondiale sulle donne dell’ONU, che approva una Dichiarazione e un Programma di azione; Fernanda Contri è la prima donna che entra a far parte della Corte costituzionale, per nomina del Presidente della Repubblica;. Livia Turco è presidente della Commissione nazionale parità; Emma Marcegaglia è eletta presidente dei Giovani industriali; con la sentenza n. 422, la Corte costituzionale espunge dall’ordinamento tutta gli interventi legislativi del 1993 sul riequilibrio della rappresentanza politica; 1996 • • è approvata la legge 15 febbraio 1996, n. 66 contro la violenza sessuale, che punisce lo stupro come delitto contro la persona piuttosto che contro la morale, come in precedenza; alla Camera sono elette 69 donne, al Senato 22; • • • il nuovo Governo Prodi, in cui sono tre le donne ministro e sette le sottosegretarie, nomina una Ministra per le Pari opportunità, Anna Finocchiaro; Silvia Costa è presidente della Commissione nazionale parità; le donne morte per parto in Italia sono ora 20 su 530.289; 1997 • Jody Williams riceve il Premio Nobel per la pace per la campagna contro le mine antiuomo; 1998 • • nel Governo D’Alema ci sono sei donne ministro; per la prima volta una donna è Ministro dell’Interno; una donna, Paola Bignardi, diventa presidente nazionale dell’Azione cattolica; 1999 • • • nelle elezioni per il Parlamento europeo sono elette 10 donne; Grazia Francescato è eletta portavoce dei Verdi; nel Kuwait il Parlamento boccia con 32 voti contro 30 il diritto di voto per le donne 2000 • è approvata la legge 8 marzo 2000, n. 53 che reca nuove norme a «sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città»; 2003 • con legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, viene modificato l’art. 51 della Costituzione con l’aggiunta: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini»: il principio delle pari opportunià riceve cos’ un fondamento costituzionale; 2004 • in Afghanistan le donne, che sulla carta già godevano del diritto di voto (salvo che durante il periodo dei governi talebani), esercitano per la prima volta tale diritto; • in Arabia Saudita le donne continuano a non godere del diritto di voto; • la legge 8 aprile 2004, n. 90 sulle elezioni dei membri del Parlamento europeo introduce una norma in materia di “pari opportunità”, prevedendo che le liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno debbano essere formate in modo che nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; 2005 • • • le donne kuwaitiane conquistano il diritto di voto, non senza contrasti, a dimostrazione di quanto, nel mondo islamico, sia ancora irto di ostacoli il cammino delle donne verso la parità; il 12 ottobre, la Camera boccia un emendamento di alcune parlamentari della CdL alla legge elettorale proporzionale voluta dalla maggioranza di centro-destra. Il testo avrebbe dovuto sancire l’attuazione della modifica dell’art. 51 Cost. Votano a favore 140 deputati contro 452: le c.d. “quote rosa” escono dalla riforma elettorale; la ministra Prestigiacomo, incaricata di presentare un nuovo disegno di legge, propone un testo del tutto uguale a quello precedentemente bocciato, che il 10 novembre 2005 viene approvato, ma il 24 novembre successivo ri-inizia l’iter in Commissione affari costituzionali al Senato ed è quindi sottoposto al dibattito in aula; 2006 • • il 7 febbraio il Senato approva, con modifiche, il testo del disegno di legge Prestigiacomo, che prevede la presenza nelle liste del 50% di donne. L’Assemblea fa mancare i voti per ben quattro volte. Il giorno successivo il Senato dà via libera al testo, ma non c’è più tempo per farlo approvare anche alla Camera. Il testo decade con lo scioglimento delle Camere per fine legislatura, a dimostrazione di quanto, anche nel nostro Paese, sia ancora irto di ostacoli il cammino delle donne verso la parità; il 26 maggio 2006 il nuovo governo in carica, guidato dal leader del centro-sinistra, Romano Prodi, e formato anche da sei ministre (Bindi, Bonino, Lanzillotta, Melandri, Pollastrini e Turco), include nel programma delle priorità dei primi 100 giorni l’impegno di far approvare la legge sulle “quote rosa” 2007 • stiamo ancora aspettando... 8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia di Monica Ricci Sargentini Donne In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, Amnesty International Italia ha nuovamente ribadito l’urgenza di fermare gli alti livelli di violenza domestica e le crescenti uccisioni di donne in quanto donne, da parte di uomini, che caratterizzano l’Italia. “La situazione è allarmante, come ricordato nel rapporto sull’Italia, pubblicato nel 2012, dalla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne – ha dichiarato Christine Weise, presidente di Amnesty International Italia – In Italia la violenza domestica sta sfociando in un crescente numero di uccisioni di donne per violenza misogina”. Negli ultimi 10 anni, ha ricordato Amnesty International Italia, il numero di omicidi da uomo su uomo è diminuito, mentre è aumentato il numero di donne uccise per mano di un uomo: oltre 100 ogni anno. Secondo le ultime statistiche fornite dalla Casa delle Donne di Bologna che raccoglie dati sul feminicidio dal 2005: sono 124 le donne uccise nel 2012. In leggero calo rispetto al 2011 quando le vittime erano state 129. Ma nel dato del 2012 vanno anche conteggiati i 47 tentati femminicidi che, fortunatamente, non hanno portato alla morte della donna. E le 8 vittime, tra figli e altre persone (che portano il totale a 132). Vittime italiane nel 69% dei casi, così come gli assassini (73%). Il 60% dei delitti è avvenuto nel contesto di una relazione tra vittima e autore, in corso o conclusa. Nel 25% dei casi le donne stavano per porre fine alla relazione o l’avevano già fatto. Le regioni del nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52%) a dimostrazione che, si legge nel rapporto della Casa delle Donne, “laddove le donne vivono situazioni di maggior autonomia e indipendenza, e sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione esse sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile”. L’Emilia-Romagna è tra quelle in cui si realizza il maggior numero di casi, con 15 eventi, preceduta solo da Lombardia e Campania. Dal 2006 in Emilia-Romagna sono state 78 le donne vittime di femminicidio, mentre a Bologna dal 2009 sono state uccise 3 donne all’anno con un’incidenza pari al 30,5% rispetto alla media regionale. L’appello di Amnesty è rivolto al governo perché si impegni a combattere il fenomeno: “Per contrastare adeguatamente queste violazioni dei diritti umani, le istituzioni italiane devono ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011 sulla violenza contro le donne e devono mettere in campo un impegno serio e determinato per dare attuazione alle raccomandazioni del rapporto della Relatrice speciale. Tra le richieste, ricordiamo quella di adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le donne” ha affermato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia. L’associazione per i diritti umani ritiene che la società nel suo complesso e in particolare gli organi d’informazione dovrebbero essere sensibilizzati sulla violenza contro le donne, anche al fine di una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei media. I centri di accoglienza per donne vittime di violenza andrebbero mantenuti e aumentati, assieme alla garanzia di un adeguato coordinamento tra la magistratura, la polizia e gli operatori sociosanitari che si occupano della violenza contro le donne. Anche la Casa delle donne di Bologna chiede che vengano destinate risorse ai centri antiviolenza, che siano rafforzate le reti di contrasto alla violenza tra istituzioni e privato sociale qualificato e che sia effettuata una corretta formazione degli operatori sanitari, sociali e del diritto perché “più donne possano sentirsi meno sole, possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile”. Alle donne vittime di violenza la Rai dedica la giornata di oggi, illuminando di rosa i principali palazzi dei suoi Centri di produzione a Milano, Torino, Roma e Napoli. SORELLE MIRABAL Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per lei e per i suoi tre figli. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise. Il loro brutale assassinio risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee politiche. Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia. Minerva mostra fin da bambina un carattere forte e indipendente e una grande passione per la lettura, il suo paese e la libertà. La sua influenza sulle sorelle è notevole, soprattutto su Maria Teresa, la più piccola, che la prende a modello e cerca di emularla negli studi universitari, iscrivendosi ad Architettura, facoltà che non termina, conquistando soltanto il grado tecnico in Agrimensura. Maria Teresa segue Minerva giovanissima nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva. Dopo la conclusione degli studi superiori Minerva chiede ai genitori il permesso di studiare Diritto all’Università (suo grande sogno fin dall’infanzia), ma la madre di oppone: conoscendo le sue spiccate idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza da sola per tutta la provincia. Ma nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo, che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della professione. Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria Movimento del 14 giugno e il cui presidente fu suo marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963. Minerva fu l’anima del movimento «Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal) Ben presto nel Movimento 14 giugno, oltre alla giovanissima (quando fu assassinata aveva soltanto venticinque anni) Maria Teresa e al marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti anche la materna e solidale Patria e il marito Pedro Gonzalez. Patria aveva abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega (come farà Dedé per badare all’attività familiare) per sposare a sedici anni un agricoltore. Patria è molto religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto viaggiare. Era madre di quattro figli (ma l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico». La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari. Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati. Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre eroine vengono gettati con la loro macchina in un burrone. L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. La terribile notizia si diffonde come polvere, risvegliando coscienze in letargo. L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle». La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek. 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un giorno che dovrebbe diventare tutti i giorni. Giorni in cui dire basta,fare proposte,metterle in atto. Giorni in cui chiedere a gran voce che governo e parlamento si adoperino al più presto per la ratifica della Convenzione di Instanbul. Ci vorrebbero uno, cento, mille 25 novembre. Tanti 25 novembre per chiedere che venga introdotta l’educazione sessuale nelle scuole.Tanti 25 novembre in cui supportare i centri antiviolenza, i centri di ascolto e fare in modo che la scure dei tagli non si abbatta su questi preziosi strumenti. Tanti 25 novembre in cui passare dalle parole ai fatti. Fatti che servono a combattere sul nascere il germe della violenza. Tanti 25 novembre in cui chiedere al giornalismo di cambiare linguaggio. Nessuna donna infatti muore di passione, di caldo o di follia. Le donne vittime di violenza muoiono a causa di una cultura sbagliata ormai radicata nella nostra società. Una cultura che vede le donne come corpi da esibire, come merce da possedere. Tanti 25 novembre in cui chiedere agli uomini di camminare al nostro fianco, di camminare insieme, di lottare con noi affinché le cose cambino sul serio. Tanti 25 novembre per arrivare al giorno in cui non ci sarà più bisogno di un 25 novembre. Che cosa ha di umano una società che non sa proteggere i bambini? di Anna Costanza Baldry Resp. sportello antistalking 'Astra' Tags: violenza A CURA DEGLI ALLIEVI CORSO D In Siria da marzo 2011 a gennaio 2012 è stata compiuta una strage che continua tutti i giorni. Il portavoce dell’Unicef, Marixie Mercado ha dichiarato che si stimano oltre 400 bambini massacrati dall’inizio dei bombardamenti. Di fronte ai bambini, chiunque dovrebbe e deve abbassare le armi, tutte, quelle da fuoco ma anche armi in cui si trasformano le mani che strangolano, che picchiano che accoltellano, che uccidono, che diventano micidiali. Quando anche questo unico baluardo, questa unica certezza spariscono dall’umanità, possiamo solo dire che la fine del mondo è già arrivata e che può accadere di tutto. Venti bambini sono stati uccisi da un pazzo criminale nella loro scuola, nel Connecticut. Non riesco a non pensare ininterrottamente ai loro visi terrorizzati, ai loro corpicini straziati, al loro sguardo incredulo che non comprende neppure cosa sta accadendo, ai loro regali di Natale che non vedranno mai, ai loro genitori, a una vita che per tutti si è fermata lì. E non era la prima volta. Sono vittime che non potranno mai capire che il mondo è comunque un posto bellissimo dove, comunque vada, tutto ha un senso. Pian piano anche loro se ne sarebbero accorti e avrebbero affrontato la loro vita con gioie, tristezze, dolori, speranze, amore. Uccidere un bambino è quanto di più inconcepibile con cui noi essere umani ci dobbiamo confrontare. Perché i bambini sono di tutti, nel senso che sono la gioia di tutti che rallegra ogni giornata grigia; sono la speranza del futuro e del cambiamento, sono l’innocenza della sincerità dei sentimenti e dei vissuti. E non si sa bene che dire, perché qualunque cosa sarebbe inadeguata. Come non saprei cosa dire ai tre bimbetti di Giovanna uccisa dal marito Giovanni a San Felice a Cancello. Erano in casa quando la loro mamma è stata uccisa dal loro papà; erano nell’altra stanza e una di loro ha anche chiamato la nonna perché papà stava facendo del male a mamma. E non sono stata neppure capace di sapere cosa dire ai due bimbi di Beatrice che non hanno più la mamma, strangolata sapremo fra non molte ore da chi a Montecatini. Ogni anno oltre alle cento e più donne uccise, ci sono altrettanti bambini che improvvisamente rimangono orfani della loro mamma spesso uccisa dal loro stesso padre. Psicologicamente è come morire, è come aver ucciso anche loro. Questi uomini che uccidono le mamme dei loro stessi figli, non solo uccidono quelle donne, ma stanno uccidendo anche i loro figli perché gli portano via quanto di più caro e prezioso hanno. Questo non è amore, non voglio che venga chiamato amore, né amore malato, né gelosia, né amore criminale. E’ omicidio e basta, è violenza e basta, è crudeltà e basta, è vigliaccheria e basta. A questi bambini voglio dare voce, rispettandoli per sempre ma anche portando sulla coscienza la macchia di una umanità che ha perso ogni diritto di chiamarsi tale che non è stata capace di proteggerli. CARMELA PERTUCCI Navigano su Internet, si esprimono liberamente sui social network, sono costantemente connessi, si intrattengono in incontri erotici on line. Spesso inconsapevolmente si danno al cyberbullismo. Un fenomeno diffuso soprattutto nella scuola secondaria superiore e caratterizzato da comportamenti come l'attaccare qualcuno in rete o attraverso il cellulare, il diffondere maldicenze online e foto/video compromettenti, l'escludere qualcuno da un social network, il violare account altrui o crearne di falsi, e l'aggredire qualcuno in un gioco online. È Una delle tante fotografie degli adolescenti emiliano-romagnoli scattate dal Corecom nella ricerca "stili di vita on line e offline degli adolescenti in Emilia-Romagna". La ricerca ha coinvolto 3 mila adolescenti che hanno compilato un questionario online e ha avuto l'obiettivo di indagare l'utilizzo dei media e delle tecnologie, gli stili di vita e i comportamenti a rischio tra gli adolescenti della Regione Emilia-Romagna, fornendo una visione articolata e complessa dei diversi contesti di esperienza o nline e offline vissuti dagli adolescenti. Non solo cyberbullismo dunque. Dai risultati emerge una crescita del disagio con il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado alla scuola secondaria di secondo grado, e una maggiore difficoltà di adattamento riportata dai ragazzi stranieri che più degli altri segnalano problemi comportamentali, rapporti problematici tra pari, sintomi emozionali e problemi psicologici. Degna di attenzione una percentuale comunque minoritaria che ha comportamenti problematici legati all'uso e all'abuso di alcol, droghe e tabacco. L'ultimo tema approfondito è la percentuale di ragazzi che intrattengono incontri erotici online (8%). Sono soprattutto i maschi a dichiarare di aver avuto incontri online con persone conosciute o meno (riposta l'agenzia Dires-redattore sociale). "La ricerca è importante perchè pone l'attenzione su fenomeni prima di tutta da comprendere, e a volte non è affatto facile - spiega Primarosa Fini, responsabile del Corecom Emilia-Romagna - i destinatari di questo studio sono sopratutto genitori ed educatori. Spesso si vigila su ciò che succede nella vita reale e non si dedica la giusta attenzione alla vita on line dei ragazzi. Per poter lavorare con loro, parlare la loro lingua, sensibilizzarli e renderli più consapevoli è utile prima di tutto capire come si comportano". HOLLY GROGAN UK adolescente di Holly Grogan, 15, tormentato da messaggi su Facebook si uccide Aggiornato: 05 Mar 2010Condividi questa notizia? ... Fare clic sulla casella Per saperne di più su di Holly Grogan scuola di St Edward Inquest: Holly Grogan foto di Facebook e, a destra, festeggia il suo compleanno 'Bullismo': Holly frequentato la scuola di St Edward in Cheltenham, Gloucestershire, dove sarebbe stato schernito dai compagni di classe Una ragazza di 15 anni è passato da un ponte alla sua morte dopo essere stato vittima di bullismo da compagni di classe presso la sua scuola privata. Agrifoglio Grogan era stato tormentato da insulti di persona e da messaggi su Facebook più di accuse che aveva una relazione con il fratello di un'altra ragazza. Agrifoglio è stato detto di essere stato molto turbato dalle accuse e morì poche ore dopo dopo essere caduto 30ft su una strada trafficata a due. Ieri il padre Steve Grogan, 45, ha detto a un'inchiesta di suo rammarico di non sollevare questioni di bullismo con il personale presso la Scuola di 11.000 a un anno £ St Edward in Cheltenham, Gloucestershire. Signor Grogan, un costruttore, ha detto che poco prima di morire la figlia era stata felice di essere stato invitato alla festa di un allievo del collega. Il giorno dopo, durante una lezione di PE, tre ragazze accusata di andare a letto con un amico di 17 anni, fratello, che lei ha negato. Sig. Grogan ha detto l'inchiesta: 'Holly ha detto loro domande e accuse sconvolta e fatta piangere. Le ragazze ha continuato a dire che Holly non dovrebbe andare alla festa. ' Ricordando la mattina dopo, quando ormai il corpo di sua figlia era stata trovata sulla A40, il signor Grogan ha continuato: 'Mia moglie Anita andò a svegliare Holly e notato il suo letto non era stato dormito dentro 'C'era una nota sulla scrivania. Credo che sono stati i fatti del giorno che hanno fatto pendere agrifoglio oltre il bordo. ' Nella sua lettera di Holly ha scritto: 'Non voglio fare nomi, ma vorrei solo che la gente potrebbe imparare a perdonare e dimenticare e di essere più attento alle persone e permettere alle persone di andare avanti.' Mr Grogan ha aggiunto: 'Non abbiamo mai posto il problema del bullismo con la scuola. 'Holly certamente non vogliono farci e, col senno di poi, abbiamo voluto avere. E 'stata la decisione sbagliata.' Uno degli amici di Holly ha detto l'inchiesta: 'Ci sono state tre ragazze che diffondono voci su di lei e chiamato i suoi nomi. 'Hanno anche composto da una sindrome chiamata "HGS", Holly Grogan sindrome, che è stato messo su Facebook e discusso da altre ragazze.' Il corpo di Holly è stato trovato sulla strada sotto Pirton Corsia Ponte, In Churchdown, Gloucestershire, in ritardo il 16 settembre 2009, lo stesso giorno del confronto con le tre ragazze della sua scuola mista. Registrazione di un verdetto di suicidio all'inchiesta in Gloucester ieri il vice coroner David Dooley ha detto Holly compagni di classe erano 'si configura come arbitro morale su qualcosa quando non ha niente a che fare con loro'. Dopo la sua morte, i genitori di Holly ha detto: 'Holly lottato per far fronte alle enormi pressioni su di lei poste dalla complessità dei moderni "gruppi di amicizia" e social networking. 'Sono sicuro che ogni genitore responsabile sarà entrare in sintonia con la nostra battaglia costante per infondere convinzione e fiducia nei nostri figli.' FONTE: www.dailymail.co.uk Editoriale Messaggio Questo sito contiene materiale provenienti da altre fonti chiaramente indicati i mezzi di comunicazione ai fini della stimolazione discussione e arricchimento dei contenuti tra i nostri soci. whatsonxiamen.com non necessariamente approva il loro parere o l'accuratezza del loro contenuto. 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Qui, si individuano varie tipologie di violenza: da quella fisica a quella psicologica, a quella sessuale e "riproduttiva", fino a quella economica e "mediatica". Inoltre, per garantire maggiore tutela e sicurezza alle vittime sono stati introdrotti una task force della polizia esclusivamente dedicata, nonché speciali tribunali e pubblici ministeri. Lo scopo di questa legge non più "procrastinabile", come sottolineato dallo stesso Morales, è quello di "garantire una vita libera da violenze di genere", in un Paese in cui almeno 403 donne sono state barbaramente uccise negli ultimi 4 anni. Un orrendo valore che non intende certo ridursi oggi, nel 2013: nei primi 58 giorni del 2013, infatti, 21 persone di sesso femminile sono state ammazzate entro i confini nazionali boliviani. Combattere la violenza sulle donne è un'emergenza che travalica i confini della Bolivia. L'introduzione di questa norma è un esempio che molti altri paesi, tra cui l'Italia - più volte "bacchettata" dalla stessa UE - dovrebbero accingersi a seguire. Al più presto possibile. 24 febbraio 2013La strage delle donne Napoli: donna uccisa dal marito, sale a 6 numero omicidi nel 2013Napoli, 14 feb. (Adnkronos) Morta dopo 3 giorni di agonia per le ferite provocatole dal marito, Vincenzo Carnevale, poi arrestato dai carabinieri, sale a 6 il numero delle persone uccise dall'inizio del 2013. Le ultime due vittime sono entrambe di sesso femminile. Prima di Giuseppina Di Fraia un'altra donna era stata uccisa a colpi di pistola dal figlio [Repubblica - Napoli]. Si riuscirà finalmente a fare qualcosa per fermare la strage delle donne: questa scia di sangue che uccide una donna ogni 3 giorni? Donne uccise dal marito o dall'ex marito dopo una separazione. Dal fidanzato o dal convivente. Donne che diventano casi di cronaca, a delitto ancora caldo, per poi tramutarsi, finita l'indignazione, in freddi numeri di una statistica che interessa a pochi. Eppure basterebbe poco: certo, un cambio di cultura che richiede un certo numero di anni. Una cultura che insegna ai futuri uomini il rispetto delle donne. Rispetto della loro indipendenza, rispetto delle loro scelte. E la politica potrebbe fare molto, investendo nell'educazione scolastica. Dando fondi certi ai centri antiviolenza, affinché le donne maltrattate in casa non siano costrette a rimanere nella mani del loro (futuro) carnefice non sapendo dove andare. Nel resto dell'Europa sono riusciti a ridurre i numeri di questa statistica che è una nostra vergogna. Quando ci impegneremo veramente anche in Italia? Sono più di 100, le donne uccise nel 2012: Iacona e i suoi collaboratori hanno girato l'Italia per raccontare i loro casi, questa sera a Presa diretta “Strage di donne”. Il sinossi della puntata: In uno speciale viaggio durato due mesi Riccardo Iacona vi racconta da vicino le storie delle tante donne uccise nel nostro Paese, un numero che negli ultimi anni non accenna a diminuire. E' dal 2006, infatti, che la statistica delle donne uccise nel nostro paese è in continuo aumento fino alle centodieci donne uccise nel 2012 , quasi una ogni tre giorni. Quasi tutte uccise dai mariti, ex mariti, fidanzati, ex fidanzati, cioè dalle persone che gli stavano più vicino, che conoscevano meglio, spesso dal padre dei loro figli. Di queste storie la cronaca ci racconta tutto, anche i dettagli più terribili, le trenta coltellate, gli ottanta colpi di mattarello, le botte prima dell’annientamento fisico. Ma la cronaca non mette mai queste storie l’una a fianco all’altra, le tratta come fossero storie singole, nate dentro un rapporto d’amore sbagliato, donne morte per passione, per possesso, per gelosia. E cosi questa cronaca uccide le donne una seconda volta, perché cancella del tutto quello che queste morti ci stanno gridando, ogni tre giorni , dai marciapiedi delle nostre citta’ : “LIBERTA’”,“INDIPENDENZA”, “AUTONOMIA”, ecco cosa ci gridano queste storie. Tutte le donne vengono uccise infatti nel momento in cui vogliono riprendersi la vita in mano, lasciare l’uomo con cui stavano e riprendersi la libertà. Martiri per la libertà sono le tante donne uccise nel nostro Paese, nell’indifferenza generale, nella rimozione e nell’assenza di politiche attive volte ad arginare l’endemica violenza di cui le donne italiane sono oggetto e ridurre la statistica delle donne uccise ogni anno. STRAGE DI DONNE è un racconto di Francesca Barzini, Giulia Bosetti, Sabrina Carreras e Riccardo Iacona Il libro di Riccardo Iacona “Se questi sono gli uomini”, Chiarelettere editore. PS: è giorno di elezioni. Protestate pure, indignatevi, votate chi volete (ma poi non fate gli ipocriti andandovi a nascondere). Angela Gennaro. Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010. In contemporanea in diverse città d’Italia, nei giorni scorsi sono state accese migliaia di fiaccole per ricordare Stefania Noce. Uccisa da un uomo che dice di aver amato «più della sua vita». Luci e fiamme per lei e per tutte le donne vittime di violenza, volute da «Se non ora quando» di Catania, da tutta Snoq e da tante associazioni e organizzazioni politiche. In tutto il mondo, la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne: in Italia sono aumentate del 6,7% nel 2010. La violenza di compagni, mariti, o ex è la prima causa di morte per le donne dai 15 ai 44 anni. «Con dati statistici che vanno dal 70% all’87% la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese», ha detto la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, al termine della sua visita ufficiale in Italia. Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010. Molte violenze non vengono neppure denunciate, per quello che è ancora il contesto italiano, «patriarcale e incentrato sulla famiglia». Vi è di più: capita ancora che la violenza domestica non venga percepita come reato. E «un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema». L’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne firmato a Istanbul lo scorso maggio da 10 stati europei. La piattaforma italiana «Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW», D.I.Re (Donne in Rete contro la violenza), e l’UDI (Unione Donne italiane), ne chiedono in questi giorni l’immediata ratifica. E un triste primato tutto italiano è quello di vedersi affibbiata in un documento ufficiale delle Nazioni Unite la parola «femminicidio». In questo lo Stivale è insieme al Messico, condannato nel 2009 dalla Corte interamericana per i diritti umani per il femminicidio di Ciudad Juarez. Una storia della quale si parla poco e dai confini ancora troppo incerti: centinaia di donne, più di 500, violentate e uccise nella totale indifferenza delle autorità dal 1993. E altrettante sarebbero scomparse. Donne, ragazze e bambine (bambine) uccise ma prima sequestrate, torturate, mutilate, violentate (ed è un eufemismo) nello Stato di Chihuahua. I cadaveri straziati – nei corpi ancora in vita inseriti oggetti a beneficio di giochi erotici (anche questo è un eufemismo) mortali – buttati nella monnezza, o sciolti nell’acido. Secondo alcune denunce, si sarebbero macchiati di questi crimini anche uomini delle forze dell’ordine. Ma tanto, nonostante l’aumento della violenza contro le donne, il dibattito politico in paesi come il Messico e il Guatemala continua secondo molti osservatori ad archiviare tutti questi orrori come un danno collaterale della grande guerra del narcotraffico. Nel 1985 l’Italia ha ratificato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel ’79, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Il monitoraggio dei risultati avviene ogni quattro anni. Gli Stati firmatari presentano un rapporto governativo con tutti gli interventi portati avanti per raggiungere i risultati richiesti dalla Cedaw. Oltre al rapporto governativo, in parallelo e autonomamente anche la società civile redige un proprio rapporto, il «Rapporto Ombra». Il Comitato Cedaw, composto da 23 esperti provenienti da tutto il mondo, eletti dagli Stati firmatari, esamina entrambi i rapporti e formula le proprie raccomandazioni allo Stato, che è tenuto a considerarle nell’ottica dell’avanzamento delle donne nella società e a risponderne negli anni successivi. L’organismo delle Nazioni Unite ora ha chiesto all’Italia un aggiornamento entro due anni (invece dei canonici quattro) sulle misure adottate. Le ultime raccomandazioni fatte al nostro Paese, pubblicate il 3 agosto, sono state finalmente pubblicate sul sito delle Pari Opportunità in lingua italiana solo in questi giorni. Tra quattro anni sarà la volta di un nuovo rapporto periodico, il settimo da quando esiste la Convenzione. Nelle raccomandazioni del 2011, il Comitato Cedaw ha accolto con favore l’adozione della legge del 2009 che introduce il reato di stalking in Italia, «il Piano di Azione Nazionale per Combattere la Violenza nei confronti delle donne e lo Stalking, così come la prima ricerca completa sulla violenza fisica, sessuale e psicologica nei confronti delle donne, sviluppata dall’Istat». Azioni che, però, non bastano: «il Comitato rimane preoccupato per l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine nonché per il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica, oltre ad essere preoccupato per la mancanza di dati sulla violenza contro le donne e bambine migranti, Rom e Sinte». E qui l’affondo: «Il Comitato è inoltre preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o expartner (femminicidi), che possono indicare il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro partner o ex-partner». «Femminicidio» è la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale, della donna in quanto tale, della donna che non rispetta il suo ruolo. Il termine è stato coniato per i fatti di Ciudad Juarez, e ha fatto il giro del mondo. Barbara Spinelli, avvocato di Giuristi Democratici, tra le associazioni della società civile che si occupano del Rapporto Ombra rappresentante della piattaforma Lavori in Corsa – 30 anni CEDAW, ne parla in un libro scritto già nel 2008. «Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale». Già, perché tante sono e sono state nel tempo le richieste delle organizzazioni che si occupano di diritti umani di riconoscimento giuridico del femminicidio come reato e crimine contro l’umanità. Questo, si legge nella descrizione del libro, per «individuare il filo rosso che segna, a livello globale, la matrice comune di ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne, ovvero la mancata considerazione della dignità delle stesse come persone». Ai sensi della Convenzione Cedaw, spiega Barbara Spinelli a Linkiesta, «lo Stato ha delle obbligazioni note internazionalmente come le 4P»: prevenire la violenza sulle donne, attraverso un’adeguata sensibilizzazione, proteggere le donne che decidono di uscire dalla violenza, perseguire i reati commessi e procurare riparazione alle donne, supporto psicologico e sostegno all’ingresso nel mondo del lavoro. Inutile dire che, per le 4P, l’Italia potrebbe fare di più. «Il rapporto presentato dal governo italiano al Comitato Cedaw non dedica un capitolo specifico alla violenza sulle donne come richiesto», spiega la giurista. E «illustra troppo genericamente i provvedimenti che l’Italia ha preso». Quello che manca è «l’inquadramento della violenza dell’uomo sulle donne come carattere culturale». Le violenze si consumano soprattutto in famiglia, e soprattutto quando una famiglia si sta spaccando: ecco perché si auspica l’introduzione del divorzio breve. «La violenza sulle donne non è frutto di raptus, ma dalle relazioni di genere. E l’incapacità di adattare un’ottica di genere si riflette in un’inadeguatezza», dice la Spinelli. Inadeguatezza e non sistematicità nella formazione degli operatori sanitari, sociali, delle forze dell’ordine e dei magistrati, «che costituiscono il primo ostacolo concreto alla protezione delle donne». Su 10 femminicidi, 7.5 sono stati preceduti da denunce alle forze dell’ordine o agli operatori sociali. «Quindi c’è una risposta inadeguata da parte dello Stato», spiega Barbara. Il comitato Cedaw «si dice appunto preoccupato per l’elevato numero di femminicidi che potrebbero evidenziare una responsabilità dello Stato nel non dare alle sue azioni in questo ambito carattere strutturale e culturale». Garantendo, tanto per cominciare, il risarcimento alle vittime. Ad oggi in Italia «la legge europea che prevede il risarcimento per le vittime è stata attuata per le vittime della violenza negli stadi, ma non per le donne», conclude amara l’esponente di Giuristi Democratici. http://www.youtube.com/watch?v=q0FxkGdTKwQ&feature=player_embedded 3 • Cina: la maledi aledizione del nascere ere donna d 9 settembre 2009 by Giovan iovanni De Sio Cesari Nella Cina tradizionale nasce nascere donna era una maledizione: si do dovettero addirittura promulgare leggi che vietasse tassero ai mariti di picchiare le proprie e mo mogli che partorissero delle femmine perché anche nche questo avveniva. Nei ceti più poveri e nei tempi di carestia, le bambine venivano ve addirittura abbandonate e lasciate morire orire. Perchè mai? In realtà anche nella nostra stra civiltà la nascita di un maschio era ra ne nel passato cosa più gradita dei quella di una femm femmina tanto che un tempo si diceva agli sposi “auguri e figli maschi”. Il figlio maschio infatti veniva considerato come il continuatore e del della famiglia, poteva lavorare e produrre mentre ntre la femmina veniva vista come un deb debito perche ad essa bisognava accordare una cong congrua dote. Tuttavia da noi vi era una preferenza pr per il figlio maschio ma la a figl figlia femmina non era certo una maledizione: sii face faceva feste per tutte e due. La differenza nasceva dalla diversità di struttura della famiglia cine cinese rispetto a quella europea. La famiglia cinese ese a aveva una struttura patriarcale molto olto p più accentuata che la nostra nella quale invece ece la coppia aveva sempre un suo riconos conoscimento e una sua autonomia. La donna cinese, ese, n nel momento in cui si sposava perdeva eva p praticamente quasi ogni rapporto con la sua famig famiglia di origine: questa pertanto aveva va il ccompito di allevarla fino a all’età del matrimonio onio dopo di che la perdeva quasi comple mpletamente. La donna produceva allora, soprattutto tutto i figli, ma per un’altra famiglia e i suo suoi genitori una volta diventati anziani non poteva otevano sperare di essere da lei assistiti. istiti. La donna entrava invece pienamente nella famiglia fam dello sposo e quindi diveniva sogg soggetta non solo e non tanto al marito ma anche e so soprattutto ai suoceri. Si capisce facilmente come le suocere in particolare fossero sero incline a trattare duramente le nuore con le qua quali non vi era nessun legame di affetto tto n naturale, un po’ per la naturale gelosia di mamme mme e poi soprattutto facevano pagare alle giovani nuore tutto quello che esse avevano dovu dovuto sopportare, quando a loro volta, lta, e erano state giovani spose: una specie di girone rone infernale quindi in cui si diventava va p prima vittime e poi carnefici. Nelle famiglie occidentali li inv invece la donna, anche se prende il nom nome del marito e lo continua nei suoi figli, non p perde affatto il rapporto con la famigli miglia di origine che si mantiene sempre vivo. I rap rapporti fra nonni e nipoti sono identici entici sia per via parte femminile che maschile. La cura dei genitori anziani ricade soprattutto sulle figlie e solo indirettamente sulle nuore. Verso i suoceri è previsto un generico rispetto come a persona più anziana ma nessuna subordinazione anzi le nuore fanno subito sentire che le suocere debbono “farsi i fatti loro”. Spesso anche in modo piuttosto rude. Nel presente, in Cina le vecchie tradizioni sono state sradicate. Il comunismo soprattutto ha lottato tenacemente e con successo per inserire le donne nel lavoro e nella politica a parità con l’uomo. Attualmente in Cina le donne possono ricoprire ogni ruolo e lavorano praticamente tutte come gli uomini in ciò favorite dalla prescrizione del figlio unico. Sono ora i nonni, materni o paterni senza distinzione, a prendersi carico dell’allevamento dei nipoti, come avviene un po’ dappertutto nella società moderna. Tuttavia la preferenza per il figlio maschio resta sempre forte in Cina: la politica del figlio unico impedisce alle coppie che abbiano avuto una femmina di poter pensare di avere anche un maschio. Questo fatto fa sì che, a volte, nel momento in cui una coppia conosce attraverso la ecografia di aspettare una femmina ricorra all’aborto. Sarebbe proibito per legge comunicare ai genitori il sesso del nascituro: ma chiaramente è una prescrizione poco realistica. Il risultato è che in Cina il numero dei maschi supera abbondantemente quelle delle femmine: a un certo punto i giovani cinesi non troveranno più mogli e bisognerà quindi “importarle” dai paesi limitrofi più poveri del sud est asiatico. Il fenomeno è già cominciato e presumibilmente si amplierà sempre di più. Rating: 5.6/10 (472 votes cast) Rating: 0 (from 0 votes) Cina: la maledizione del nascere donna, 5.6 out of 10 based on 472 ratings Femminicidio Alla vigilia dell’8 marzo l’Italia farebbe bene a interrogarsi. Ma davvero siamo un Paese che perseguita la donna? Il dipartimento delle Pari opportunità ha addirittura pensato di istituire la figura di un avvocato specializzato nella sua difesa. E Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, ha appena parlato di femminicidio: «È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». Femminicidio è un neologismo ed è una brutta parola: significa la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale della donna in quanto tale. È un termine coniato ufficialmente per la prima volta nel 2009, quando il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993 nella totale indifferenza delle autorità di Ciudad Juarez, nello Stato di Chihuahua. C’erano cadaveri straziati buttati nella monnezza o sciolti nell’acido: secondo alcune denunce si sarebbero macchiati di questi orrori anche uomini delle forze dell’ordine. Certo, in Italia non siamo arrivati a questi livelli. Però, si tratta di delitti trasversali a tutte le classi sociali. Stefania Noce, femminista del Movimento studentesco, è stata uccisa a Catania dal compagno laureando in psicologia che lei diceva di amare «più della sua vita». A marzo di un anno fa nella periferia romana è stato trovato il tronco del cadavere di una donna mutilato: il caso è stato archiviato subito anche dai giornali. Come se volessimo tutti chiudere gli occhi davanti a questo orrore. Rashida Manjoo nella sua relazione ha detto che «la violenza domestica si rivela la forma più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese, come confermano le statistiche: dal 70 all’87 per cento dei casi si tratta di episodi all’interno della famiglia». C’è chi sta peggio, l’abbiamo capito: dieci Paesi del Sudamerica, a cominciare dal Messico. Ma nel mondo cosiddetto civilizzato dell’Europa siamo messi davvero male. I numeri sembrano quelli di una strage. Nel 2010 le donne uccise in Italia sono state 127: il 6,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Dati in continua crescita dal 2005 a oggi, e solo dal 2006 al 2009 le vittime sono state 439. Secondo l’associazione «Casadonne» di Bologna, si tratta di «un fenomeno inarrestabile». Nei primi mesi del 2011, le statistiche parlano già di 92 donne uccise. Nella stragrande maggioranza dei casi gli assassini sono all’interno della famiglia, mariti (36 per cento), partner (18), parenti (13), ex (9), persino figli (11). Come se non bastasse, poi, «i dati sono sottostimati perché non tengono conto delle donne scomparse, dei ritrovamenti di donne senza nome o di tutti quei casi non ancora risolti a livello personale». Ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa per mano del proprio partner. Secondo i dati della Polizia e dell’Istat una donna su 4, nell’arco della vita, subisce violenza, e negli ultimi nove anni, ha stabilito un rapporto dell’Eurispes, «il fenomeno è aumentato del 300 per cento». Le Nazioni Unite sostengono che «in 125 Paesi del mondo le leggi penalizzano davvero la violenza domestica e l’uguaglianza è garantita». L’Italia, purtroppo, sembrerebbe far parte degli altri 139 Paesi. Davvero siamo messi così male? A sentire la coordinatrice della Commissione Pari opportunità del Consiglio Forense Susanna Pisano pare proprio di sì: solo il 6 per cento delle donne italiane denuncia la violenza subita. «La nostra è una piaga silenziosa e nascosta», dice. Non è solo una questione di costume, ma anche di diritto, come spiega bene, in fondo, la recente sentenza della Cassazione secondo la quale gli autori di uno stupro di gruppo non meritano il carcere. E non è un caso, alla fine, che proprio in Italia stia per nascere la figura di un avvocato specializzato solo nella difesa delle donne. FEMMINISMO IN ITALIA L'Italia ha raggiunto l'unità solo nel 1861 , per cui nel nostro paese, la lotta per l'emancipazione della donna, si accese in ritardo rispetto al resto dell'Europa, anche perché la rivoluzione industriale giunse solo verso la fine del secolo diciannovesimo. Per rivendicare il diritto di voto, comunque, anche in paesi come l'Italia, nella seconda metà dell'Ottocento , nacquero i primi movimenti delle suffragette , così chiamate perché rivendicavano il suffragio femminile. Durante la Prima Guerra Mondiale le suffragette dovettero sostituire gli uomini partiti per il fronte, lavorando nelle fabbriche e assumendo ruoli chiave della società . Quando il conflitto ebbe termine non fu più possibile negare loro il diritto di voto. Nel 1919 , così, le donne italiane ottennero l’ emancipazione giuridica , facendo abolire l’obbligo dell’autorizzazione maritale sulla gestione dei propri beni. Mentre nel 1923 ottennero il diritto di voto alle elezioni amministrative, ma tale diritto non trovò applicazione a causa della riforma fascista degli enti locali. Ai primi nuclei femminili organizzati aderirono in un primo tempo le donne della borghesia , alle quali si affiancarono successivamente le masse femminili cattoliche e socialiste . Tra queste ultime, sostenute dal partito socialista, si distinsero in modo particolare Giuditta Brambilla , Carlotta Clerici e Anna Kuliscioff . Nel 1910 le rappresentanti delle associazioni femminili italiane parteciparono al Primo Congresso Internazionale Femminile di Copenaghen, durante il quale l' 8 marzo fu dichiarata Giornata della Donna . Anche le nostre suffragette, tuttavia, dovettero attendere ancora dei decenni prima di ottenere il diritto al voto . Quest'ultimo venne infatti riconosciuto solo nel 1945 con un decreto di Umberto di Savoia, ultimo re d'Italia. Nel dopoguerra, all'Assemblea Costituente vennero elette 21 donne . Negli anni '50 le femministe italiane lottarono per le riforme legislative e si schierano dalla parte delle mondine e delle operaie conserviere molestate dai padroni. Negli anni '60 inizia la campagna per il diritto all' aborto in strutture sanitarie non clandestine. Negli anni '70 , anche grazie al movimento femminista, passa in Italia la legge sul divorzio e viene approvata la legge sul diritto di famiglia . Negli anni successivi , infine, passa l'emendamento che dichiara lo stupro un reato e nasce anche la commissione nazionale per le pari opportunità . STORIA DELLA DONNA Le donne sono forti e devono tenere le redini della famiglia e del lavoro. Una doppia fatica che richiede energie, impegno, efficienza, senso del dovere. Ma a volte tutto ciò sembra non bastare. Perché a questo si aggiunge la fatica di "sfondare" un mondo che è ancora molto maschile nelle sue richieste e pretese. Una società che chiede ancora alle donne di "portare i pantaloni" quando è ormai tempo di indossare con orgoglio la gonna e di sfruttare tutte le capacità che sono racchiuse nel ruolo femminile, e le sono proprie da sempre. Le donne sono sempre state brave a gestire "casa e bottega", famiglia e affari. Già nell’età della pietra stavano dentro le caverne e badavano ai cuccioli, prendendosene cura e sfamandoli. Si occupavano anche di trasformare quanto cacciato dall’uomo in qualcosa di commestibile ma non solo. Dai prodotti dell’animale cacciato tiravano fuori pelli per coprirsi, cibo per sfamarsi, conservando tutto quanto era utile per la sopravvivenza. Una pratica questa che si ritrova anche nelle popolazioni dei pellerossa americani, dove le rappresentanti del sesso femminile accompagnano gli uomini nelle loro attività di caccia aiutandoli attivamente in questa pratica. Dopotutto nelle civiltà arcaiche il matriarcato era potentissimo: la donna era regina della famiglia e della comunità. La sua figura mitica veniva associata alla madre terra, generatrice di vita e potente forza della natura. Tutta l’economia della casa era nelle sue mani, la sua parola era legge anche per gli uomini che dovevano abbandonare il focolare per recarsi al lavoro nei campi, a delegare tutto il resto all’impeccabile organizzazione femminile. Poi sono arrivati i grandi imperi dell’antichità, le civiltà classiche: anche qui, nell’antica Roma ad esempio, le mogli degli imperatori facevano la vera politica tessendone le trame nell’ombra. Le donne erano potenti e libere. Tutto cambia nel Medioevo, quando l’essere femminile viene percepito in due differenti modalità: angelico e spirituale oppure stregonesco e maligno. Il Bene e il Male si incarnano nell’essere umano femminino che si allontana così dalla concretezza e soprattutto dal potere di decidere e di fare qualsiasi cosa di diverso dal suo ruolo di madre e moglie, piegata al volere dell’uomo. Nel Seicento la paura della forza al femminile, si trasforma in persecuzione fino al loro estremo sacrificio perpetuato contro le streghe al rogo: esperte nell’arte della stregoneria, così erano considerate quelle donne che decidevano di "ribellarsi" al volere maschile e alle regole imposte dalla società, essendo infine relegate ai margini di essa. Tutte le altre andavano in spose o entravano in convento. Il Settecento vede le donne ancora racchiuse tra le mura domestiche o nelle corti a tessere trame e a cercare di "accasarsi" al meglio. Poche le occasioni di entrare in società con un ruolo diverso da quello di future spose e madri. È con l’Ottocento che la donna torna alla ribalta, soprattutto nella sua veste di lavoratrice. La sua forza lavoro, mai venuta meno nella storia, solo ora ricomincia ad avere un importante peso sociale in piena società industriale, soprattutto dal punto di vista economico e produttivo in senso stretto. L’individuo femminile comincia faticosamente a farsi riconoscere il diritto ad essere un soggetto sociale lavoratrice e cittadina e quindi a potersi svincolare dal potere dell’uomo, marito o padre. Lavoratrici con le gonne si cominciano a vedere non solo nelle fabbriche ma anche nelle scuole come maestre, nelle corsie degli ospedali soprattutto come ginecologhe conquistando un’indipendenza economica che rompe gli stretti vincoli domestici. Negli Stati Uniti, nel 1840, viene anche sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni. Le donne cominciano anche a spogliarsi di quegli indumenti fatti di bustini strettissimi e di stecche e indossano abiti fluidi e costumi da bagno, lontani antenati dei bikini. Anche questo è lento progresso verso la parità all’alba del Ventesimo secolo, quando iniziano i primi riconoscimenti dei diritti politici alle donne in Nuova Zelanda (1893), poi negli Usa (1914) e a seguire in tutto il resto del mondo occidentale. Il Novecento è il secolo delle suffragette, del grande movimento femminista, delle conquiste dei diritti civili, dall’uguaglianza al voto alla possibilità di accedere a tutte le professioni di esclusiva pertinenza degli uomini. La donna della seconda metà del ‘900 conquista la sua libertà e la sua indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale: diventa un individuo a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la modernità. Un esempio importante dell’emancipazione della donna in questa nuova era arriva dall’India dove le donne, a partire dagli anni Novanta, sono uscite dal loro isolamento dentro case e famiglie, vittime di una società settaria, per aggredire il mondo del lavoro e dell’economia con la loro intraprendenza. Gli esempi sono numerosi: le giovani donne indiane con la potenza del loro lavoro sono da alcuni decenni un antidoto alla crisi economica perché credono nelle proprie capacità imprenditoriali e nella solidarietà. Molte hanno iniziato dando vita alla bottega dietro casa dove confezionano vestiti e gioielli destinati all’esportazione nel resto del mondo. O come in Bangladesh dove un solo uomo, Muhammad Yunus ha dato una mano a un gruppo di donne povere lavoratrici facendole uscire dalla loro condizione miserevole: negli anni Settanta dopo una forte carestia si è recato nel villaggio di Jobra e ha offerto loro un piccolo credito finanziario, che le grandi banche non avrebbero mai concesso, per far vivere le loro piccole imprese. Ha finanziato le loro attività artigianali dedicate alla lavorazione di mobili in bambù, dando vita a quell’esperienza straordinaria del microcredito che gli ha fatto meritare il Premio Nobel per la pace 2006. Ma nella società indiana non mancano gli esempi di manager e donne in carriera. Il progresso economico è da tempo in quest’area del mondo strettamente connesso al protagonismo delle donne. Ma, nonostante questi esempi, oggi, all’alba del millennio qualcosa sembra ancora non tornare…Tuttavia oggi le donne hanno ancora molta strada da percorrere per riaffermare la loro femminilità fatta di quei valori profondi e unici che avevano già nelle caverne! Ma per farlo è necessario riappropriarsi di quanto non è mai venuto meno: forza, equilibrio, passione, intelligenza, coraggio, abilità intellettive e manuali. Essere donne, ribelli, selvagge, streghe, guerriere, protagoniste. Come le donne che parlano dalle pagine di questi libri interessanti che vogliamo qui consigliare. LA NORMATIVA SULLA CONDIZIONE FEMMINILE Ecco, in estrema sintesi, alcune tra le più significative leggi in favore delle donne. Legge 23 aprile 2009, n. 38 "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori" Direttiva del 23 maggio 2007 Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche Direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006 Attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego Provv. del Min. Lavoro e delle Politiche Sociali del 30 maggio 2006 - G.U. n. 160 del 12 luglio 2006 Programma-obiettivo per la promozione della presenza femminile nei livelli e nei ruoli di responsabilità all'interno delle organizzazioni, per il consolidamento di imprese femminili, per la creazione di progetti integrati di rete Decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198 Codice delle pari opportunità tra uomo e donna Legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita Legge 15 ottobre 2003, n. 289 "Modifiche all'articolo 70 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste Legge 11 agosto 2003, n. 228 Misure contro la tratta di persone Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro Decreto Ministeriale 16 maggio 2003 Fondo di rotazione per il finanziamento in favore di datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micro-nidi Provvedimento 30 maggio 2001 Programma - obiettivo per la promozione della presenza femminile all'interno delle organizzazioni anche al fine di rendere le stesse più vicine alle donne Legge 5 aprile 2001, n. 154 Misure contro la violenza nelle relazioni familiari Legge 28 marzo 2001 n. 149 Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 recante: "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori" nonché al titolo VIII del libro del c.c. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 Legge 8 marzo 2001 n. 40 Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori Decreto legislativo del 28 gennaio 2000: disposizioni in materia di part-time Legge n. 53 dell'8 marzo 2000 Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città. Decreto n. 306 del 15 luglio 1999 Emesso dal Ministro per la Solidarietà sociale, recante disposizioni relative agli assegni per il nucleo familiare e di maternità, a norma degli art.65 e 66 della legge 23 dicembre 1998 n.444, come modificati dalla legge 17 maggio 1999 n.144 Legge n. 157 del 3 giugno 1999 In materia di rimborso di spese elettorali. L'art.3 n.1 di tale legge mira a favorire, secondo quanto più volte richiesto dalla Commissione Nazionale di Parità, la partecipazione attiva delle donne alla vita politica, disponendo che "ogni partito o movimento politico destini una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti per consultazioni elettorali ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica" Legge n. 25 del 5 febbraio 1999 (legge comunitaria 1998) L'art. 17 di tale legge, al fine di adeguare la legge italiana alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 4 dicembre 1997, ha abrogato il divieto di lavoro notturno per le lavoratrici tessili (per le altre lavoratrici il divieto non operava già in precedenza), escludendo comunque dalla prestazione del lavoro notturno le donne in stato di gravidanza fino ai tre anni di età del minore, ovvero da parte dei lavoratori con disabili a carico Decreto del Ministro dell'Agricoltura del 13 ottobre 1997 Istituisce l'Osservatorio Nazionale per l'imprenditoria femminile ed il lavoro in agricoltura. Direttiva del 27 marzo 1997 del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Romano Prodi, in favore di azioni volte a promuovere l'attribuzione di poteri e responsabilità delle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini. La direttiva è stata emanata in seguito alla considerazione che i movimenti delle donne, portatori dell'idea di differenza di genere, sono stati elemento propulsivo nella redazione del programma di azione di Pechino e altresì alla considerazione che nella quarta conferenza mondiale sulle donne sono stati individuati numerosi obiettivi strategici per l'uguaglianza, lo sviluppo e la pace e che i governi si sono impegnati a realizzare azioni conseguenti in relazione alle specificità delle singole realtà nazionali. Decreto 19 febbraio 1997 Istituzione presso gli uffici del Ministro per le Pari Opportunità della Commissione per la promozione e lo sviluppo dell'imprenditorialità femminile e dell'osservatorio per l'imprenditorialità femminile Legge n.66 del 1996, classifica come reato contro la persona il reato di violenza sessuale (che include sia la violenza carnale vera e propria che gli atti di libidine violenti, di solito perpetrati nei confronti dei minori) così mutando la qualificazione della normativa precedente che lo definiva reato contro la morale. In tal modo viene restituita dignità alla vittima, finalmente considerata "persona", mentre si è cercato di punire il reato in modo tale (con pena graduabile fra i tre ed i cinque anni) che non fosse possibile il patteggiamento (ammesso per pene inferiori ai due anni), di modo che lo stupratore non restasse sostanzialmente impunito. Tuttavia con la legge C. Simeoni (dal nome del relatore) è oggi possibile che lo stupratore ottenga subito gli arresti domiciliari. Sono previste circostanze aggravanti che comportano l'aumento della pena fino a 12 anni, quali la violenza commessa nei confronti di persona minore di anni 14 ovvero di anni 16, se il colpevole è un genitore o un nonno, ovvero con l'uso di armi, sostanze alcoliche o stupefacenti o sostanze comunque dannose per la salute, ovvero quando il violentatore sia un pubblico ufficiale, ovvero quando la violenza sia stata compiuta su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale Legge n.52 del 6 febbraio 1996 (legge comunitaria). L'art. 18 recepisce, previa consultazione della Commissione Nazionale di Parità e del Comitato per le pari opportunità presso il Ministero del Lavoro la normativa europea in tema di parità di trattamento fra uomini e donne Legge n.332/95, art.5, che modifica l'art.275, 4c., codice di procedura penale, prevedendo il divieto di custodia cautelare in carcere di donne incinte o madri fino al compimento del terzo anno d'età del figlio Legge n.236/93, art.6, sul vincolo, nei licenziamenti collettivi, di non effettuare espulsioni di lavoratrici in misura percentuale superiore a quella del personale femminile occupato nell'impresa nelle medesime mansioni, e con interventi in favore delle lavoratrici madri durante la mobilità. Decreto legislativo n. 29/93, art. 7 e 61 Rispettivamente sulla parità e pari opportunità sia per l'accesso al lavoro sia per il trattamento sul lavoro relativamente alla gestione delle risorse umane (art.7) e sulla istituzione di quote di donne nelle commissioni di concorso sulla pari dignità di uomini e donne sul lavoro e sulla partecipazione delle dipendenti delle Pubbliche amministrazioni ai corsi di formazione e aggiornamento professionale (art. 61) (questa legge dà la possibilità, ex art.7, ai comitati paritetici del settore pubblico di concorrere alla gestione delle risorse umane) Legge n. 166/91, art.8 Sul trattamento economico delle lavoratrici madri dipendenti da amministrazioni pubbliche Legge n.979/90, sull'indennità di maternità per le libere professioniste Decreto legislativo in materia di armonizzazione della contribuzione figurativa, con interventi a favore del suo riconoscimento durante i periodi di astensione dal lavoro per maternità Delibera del 6 ottobre 1989 del Consiglio della magistratura militare Accesso alle donne alla magistratura militare Legge n. 25 del 27 gennaio 1989 L'art. 2 di questa legge eleva a quarant'anni la data di partecipazione ai concorsi pubblici, come sollecitato anche dalla Commissione Nazionale di Parità per consentire anche alle donne che non abbiano potuto dedicarsi ad attività lavorativa in età giovanile, perché impegnate in incombenze familiari, di inserirsi nel mondo del lavoro Legge n. 546 del 29 dicembre 1987 L'art.1 di questa legge estende l'indennità giornaliera di gravidanza e puerperio alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre, colone, artigiane ed esercenti attività commerciali. Le donne nel mondo, tra discriminazioni e potere al femminile La discriminazione sessuale a discapito del mondo femminile è un capitolo ancora aperto in tre quarti del pianeta. Una discriminazione che si configura addirittura come crimine, in molti Paesi dove il passare del tempo non ha aperto le porte al progresso della civiltà e della democrazia. Dove la rivendicazione dei diritti da parte delle donne può costare la libertà, l'incolumità fisica o la vita stessa. Un viaggio fra le diverse, seppure spesso simili, realtà di questi universi femminili nel mondo lo ha realizzato per noi Daniela Lami, riferendoci gli elementi dolorosi, ma anche gli spiragli di cambiamento. Non manca una tappa in una terra, l'Islanda, dove la civiltà e l'emancipazione sono regola quotidiana, dove le donne sono quasi le uniche detentrici dei pilastri dell'economia, della società e della famiglia. Divorzio all'Egiziana Strano universo quello delle donne egiziane. Belle, spesso bellissime, come la regina Nefertari, una donna coraggiosa e determinata, ma inevitabilmente sovrastata dalla figura prepotente del marito, il faraone Ramses II. Come lei limitate in molti aspetti della loro vita da una legge, quella coranica, che tuttora rende loro difficile trovare un posto nella società. Le vedi per le strade: di alcune non riesci a scorgere neanche un centimetro di pelle tanto sono coperte. E le vedi sempre un passo dietro al marito. Le più giovani hanno un'aria più spensierata, alcune vestono in modo moderno e in nulla diverso dalle coetanee occidentali, se non per il fatto che hanno la testa coperta da un chador. Nero per le già maritate, colorato per tutte le altre. Ma in questo paese, dove la vita sembra essersi fermata a decenni fa, dove vedi ancora le donne che lavano i panni nel Nilo, gli uomini muoversi per le strade del Cairo a "bordo" di un asino... beh, in questo mondo a volte incomprensibile per noi occidentali, qualcosa sta lentamente cambiando. Proprio per le donne. L'alta Corte egiziana ha finalmente sancito che anche loro hanno il diritto di ottenere un passaporto. Nessuno, e tanto meno il marito, potrà più impedire loro di viaggiare all'estero. Non che fino ad oggi esistesse un vero e proprio vincolo legale. Anzi: il diritto di ottenere un passaporto e, di conseguenza, di viaggiare all'estero, in quanto espressione della libertà personale, viene protetto anche dalla Costituzione. Ma, in questa società maschilista, e per la maggior parte islamica, il divieto era ormai una consuetudine molto semplice da applicare. Per il marito, infatti, era sufficiente recarsi al Ministero degli Interni e far inserire il nome della propria moglie in una sorta di lista nera, così da impedirle di ottenere il passaporto. Un bel risultato, quindi. Ma attenzione. Niente facili entusiasmi. Di fatto gli uomini potranno ancora impedire alle loro mogli di varcare i confini nazionali, anche se la prassi sarà un po' più complicata: dovranno presentare un'apposita petizione alla Corte che valuterà caso per caso, e non più di ufficio, se la donna può viaggiare o meno. Cosa accadrà nella pratica, resta dunque da vedersi, ma certo la norma ha un grande valore simbolico. Anche perché arriva solo alcuni mesi dopo un'altra importante e controversa decisione: quella di facilitare alle donne la richiesta di divorzio dai loro mariti. Mentre gli uomini possono divorziare all'istante e senza particolari giustificazioni, per una donna egiziana, lasciare il marito, era praticamente impossibile. Per farlo doveva dimostrare di essere stata maltrattata. Adesso, invece, potrà chiedere il divorzio anche per incompatibilità. Spetterà a due "arbitri" designati dalla Corte, di verificare se davvero la riconciliazione tra i due coniugi è impossibile. A questo punto il divorzio verrà concesso. Ma, anche in questo caso, attenzione: la donna otterrà sì il divorzio, ma dovrà rinunciare a ogni pretesa finanziaria e, quindi a ogni forma di alimento e, in più, dovrà restituire al marito la dote ricevuta. Del resto, il profeta Maometto diceva che "una donna può lasciare il proprio marito anche se non ha ricevuto alcun male fisico ma, se lo fa, deve restituirgli il giardino che lui le ha dato". Dunque, per le donne un altro successo a metà: di fatto le uniche che potranno usufruire di questo diritto saranno le donne benestanti e comunque coloro che hanno i mezzi per restituire la dote e per mantenersi senza usufruire degli alimenti del marito. Inoltre, hanno sottolineato in molti, sarà comunque difficile per una donna ottenere il divorzio, in un paese in cui non un solo giudice è di sesso femminile. Paesi arabi: l'emancipazione abita anche qui Quando parliamo di donne arabe, nel nostro immaginario entrano solo immagini di sottomissione, frustrazione, diritti violati. In effetti è così. Non bisogna mai generalizzare, ma in generale è così. Tuttavia, per avere un quadro completo, è necessario aggiungere alcuni tasselli al nostro mosaico. Forse non tutti lo sanno, ma anche da queste parti si sono affacciate, in tempi più o meno recenti, delle rivendicazioni di carattere femminista. Nei Paesi arabi, i movimenti femminili sono sorti agli inizi del XX secolo, precisamente nel 1879 in Libano, nel 1923 in Egitto, nel 1944 in Giordania e in Marocco, nel 1953 in Bahrein e negli anni '50 in Tunisia, epoca nella quale le Tunisine si sono impegnate nel movimento di liberazione anticoloniale. Questi movimenti miravano soprattutto ad avanzare rivendicazioni politiche, ma senza grandi risultati, visto che soffrivano di mancanza d'organizzazione e si scontravano contro i diversi scogli rappresentati dai loro rispettivi governi. È con la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, che si assiste all'emergere di un nuovo discorso femminista. Anche se è solo nel 1975 (data del 1° Congresso mondiale sulla Donna in Messico) che le Nazioni Unite hanno cominciato a parlare delle donne come delle "partners nello sviluppo". Questo fu anche il punto di partenza di un progetto mirante ad eliminare ogni forma di discriminazione contro la donna, per collegare la questione femminile al discorso dei Diritti dell'Uomo. Un progetto che i Paesi arabi devono sottoscrivere se vogliono vincere la scommessa dello sviluppo. Fra i 21 paesi arabi, soltanto 8 (fino al 1995) hanno sottoscritto l'accordo concernente l'eliminazione d'ogni forma di discriminazione contro la donna. Un risultato già di per se modesto, a cui va aggiunta una considerazione: la firma delle convenzioni internazionali non porta necessariamente alla loro applicazione. Ed è questo è uno degli ostacoli contro cui si scontrano ancora oggi un buon numero di movimenti femminili nel mondo arabo. La strada verso l'emancipazione delle donne arabe dalle rigide regole della Sharia, la legge islamica, soprattutto nei ricchi ma conservatori Paesi petroliferi del Golfo non è mai stata facile, né sarà breve. Ciò nonostante, non si può fare di tutta un'erba un fascio. In alcuni di questi Paesi alle donne sono riconosciuti ruoli sociali, e soprattutto diritti civili, che in altri - come l'Arabia Saudita - sono ancora disconosciuti. Il Kuwait è l'unico regno del Golfo ad avere un Parlamento democraticamente eletto. Un paese in cui a prima vista la situazione delle donne è tutt'altro che nera. Il ruolo femminile del Paese, infatti, è molto importante. Ci sono donne che ricoprono alti incarichi in aziende statali e private. Numerose sono le donne inserite nel lavoro, e molte sono le intellettuali, le scrittrici e le giornaliste, che fanno sentire alta la loro voce anche nei tribunali per il riconoscimento dei propri diritti civili cui si oppongono i parlamentari islamici più integralisti. Alle donne è inoltre riconosciuto il diritto non solo di arruolarsi nella polizia ma anche nell'esercito. Dunque donne che hanno diritto a fare praticamente tutto...tranne votare. Il primo Paese del Golfo in cui tutte le donne sono andate alle urne è stato il Qatar. Nel marzo 1999, si sono svolte le prime elezioni amministrative a suffragio universale, anche se le sei candidate donne non sono state elette. La consultazione è stata considerata, da molti analisti, come un importante esperimento verso la democratizzazione dell'emirato ed un primo passo verso la prossima elezione di un Parlamento. Altra singolare conquista: lo scorso maggio un gruppo di qatariote - non scortate dai mariti o da parenti maschi hanno potuto assistere nello stadio di Doha (da una tribuna riservata) alla finale di un torneo di calcio. Anche in Oman le donne possono votare, ma non tutte. L'Oman ha infatti una Shura (Consiglio consultivo, eletto nel 1997) ma ad eleggerla sono soltanto 50.000 omaniti - uomini e donne - appositamente scelti dal sultano. Nel sultanato esistono però tre donne sottosegretario, altre due fanno parte della Shura ed una è stata nominata recentemente ambasciatore in Olanda. Un'altra curiosità: dallo scorso maggio il governo del sultanato ha concesso alle donne omanite che lavorano come tassiste di poter prendere a bordo delle proprie auto anche passeggeri maschi, cosa sino ad allora proibita. India le donne dimenticate Paradossale, assurda, incomprensibile e piena contraddizioni. Così si potrebbe riassumere la condizione femminile in India, un in cui le donne sono formalmente uguali agli uomini, con gli stessi diritti politici e le stesse opportunità sociali e di lavoro. Un paese in cui la discriminazione sessuale è addirittura vietata dalla Costituzione indiana. Un paese in cui ai vertici della vita economica e sociale si affermano sempre di più nomi femminili, come quello della scrittrice Arundhati Roy, autrice di "Il dio delle piccole cose" o quello di Bhartia Shoban, proprietaria dell'Hindustan Times, uno dei giornali più autorevoli del Paese. Ma anche un paese negato alle donne. Un paese in cui la cui discriminazione di massa resta una realtà, che affonda le sue radici in tradizioni arcaiche, che le statistiche generali mettono bene in evidenza. Su una popolazione di circa un miliardo di individui, infatti, le donne, a differenza di quel che avviene in quasi tutto il mondo, sono in minoranza: il 48 per cento. Il rapporto è di 929 donne per 1.000 uomini, a conseguenza di una selezione spietata praticata talvolta ancora prima della nascita. Quaranta donne su cento non hanno alcun grado di istruzione, e se in alcuni Stati, come il Kerala, l'alfabetizzazione primaria è prossima alla totalità della popolazione femminile, in altri, come il Bihar, non raggiunge il 28 per cento. Le donne occupano solo l'8 per cento dei posti in Parlamento, il 6,1 dell'amministrazione pubblica, un quarto di tutta la forza lavoro registrata. E se sempre più numerose sono le giovani che frequentano le facoltà di Ingegneria, di Informatica o di Economia, la presenza femminile nelle università è soltanto del 5 per cento. Ma questi in fondo sono solo numeri. E le storie? Quelle delle donne indiane, raccontano casi strazianti di sfruttamento, di spose bambine vendute per un sacco di riso, di ripudi e prepotenze, di eliminazioni fisiche per questioni di dote. Il rifiuto preconcetto di un figlia, considerata come un peso per la famiglia. Su ottomila aborti registrati a Bombay, dopo un ciclo di esami mirati ad accertare il sesso del nascituro, 7.999 erano feti femminili. Solo un maschio: "La madre era un'ebrea e voleva una figlia". La discriminazione tra uomini e donne nasce e si perpetua nella famiglia, secondo antiche convenzioni. La donna è destinata fin dalla nascita a stare in cucina, ad occuparsi della casa, sostenendone tutto il peso. È difficile cambiare la mentalità. È così nei villaggi, è così ancora in molti ambienti della città. Se si va a cena in una famiglia borghese, anche benestante, è normale che il cibo venga servito agli ospiti uomini dalle donne, che poi mangiano per conto loro. Molte cose stanno cambiando anche nella società indiana, ma nella profonda India, quella dei villaggi, le tradizioni resistono anche alle riforme, nonostante il sorgere di movimenti di pressione. Dal 1993 un emendamento della Costituzione riserva il 33 per cento dei posti nei consigli locali alle donne. Di fatto, anche quando vengono elette, molte sono convinte a lasciare la delega al marito, perché non hanno il tempo o la capacità di seguire i lavori. Così la forma è rispettata e la sostanza non cambia. Forse ha ragione chi dice che: "Per cambiare le donne dell'India, c'è un solo modo: cambiare gli uomini". Israele: donne di proprietà Cosa pensereste di un marito che preferisce aggiustare la sua macchina, piuttosto che portare la moglie, che sta per partorire, in ospedale? E se vi dicessimo anche che il risultato di tanto egoismo è che il bambino è nato morto? Terribile. Eppure sono cose che capitano. Capitano ad esempio nel deserto del Neghev, in Israele. Sorvolando dall'alto questo fazzoletto del mondo, si notano tante piccole oasi abitate: sono i villaggi dei beduini. Non vivono in case, ma in grosse tende e dormono su materassi sparsi sulla sabbia all'ombra di larghe tele. Intorno alle tende corrono sempre dozzine di bambini, spesso figli dello stesso padre, ma non della stessa madre. E dentro le tende, vivono rinchiuse le donne beduine. Donne che, neanche a dirlo, sono considerate proprietà del marito. Già, una proprietà. E questa è la somma di una triplice forma di discriminazione: innanzi tutto, queste donne sono musulmane, e all'interno della società ebraica israeliana, rappresentano una minoranza; in secondo luogo, sono donne che vivono in una società fortemente patriarcale, dove mariti e padri hanno il completo controllo su di loro; infine, vivono nel Neghev, una zona periferica, rispetto al centro di Israele, e lontana dalle zone industrializzate. La donna beduina è la vittima di una tradizione molto forte, in cui la religione è mal interpretata. Tra queste donne, ci sono molte vittime di stupri e incesti. Vittime che non hanno nessuno a cui rivolgersi, all'interno della comunità, e sicuramente non possono presentare denunce alla polizia, perché rischierebbero di essere uccise. Non deve stupire, quindi, che le donne beduine siano molto chiuse, difficilmente facciano capire le loro sensazioni e i loro stati d'animo: non sono abituate a parlare con stranieri, e quindi è difficile capire cosa le faccia star male. Molte di loro soffrono, ad esempio, di tumori al seno ma, nonostante il vicino ospedale Soroka di Beer Sheva abbia i macchinari per mammografia più avanzati al mondo, quasi nessuna si fa visitare: i mariti non vogliono che le proprie mogli vengano visitate da estranei. Certo, possiamo fare ben poco, per loro. Ma sicuramente parlarne è meglio che tacere! Torna all'indice Sveliamo le donne afgane È molto difficile comprendere come ci si sente ad essere donna a Kabul. Sicuramente molto difficile per noi, donne occidentali, che non facciamo che lamentarci delle - peraltro ingiuste - discriminazioni che tuttora subiamo in certi ambienti di lavoro e in certi strati di società. Quel che accade in Afghanistan è fuori dalla portata della nostra immaginazione e fa gelare il sangue, solo a pensarci. Per chi non ricordasse cosa significa essere donna sotto il regime dei talebani, ecco un piccolo elenco esemplificativo di divieti. Le donne non possono lavorare. Non possono uscire da casa, se non accompagnate da un mehram (marito, padre o fratello), non possono andare a scuola ("i talebani sostengono che le donne hanno il cervello più piccolo degli uomini, e quindi non ne vale la pena"); non possono parlare o dare la mano a uomini che non siano mehram; non possono apparire in tv, né partecipare a riunioni; non possono ridere forte, né indossare abiti dai colori vivaci; devono usare autobus riservati; le finestre delle loro case devono essere oscurate, affinché non possano essere viste dall'esterno. Una donna che non indossa il burqa (o lascia, per esempio, le caviglie scoperte) rischia la fustigazione pubblica, e se ha le unghie dipinte l'amputazione delle dita. Certo, l'oppressione e la discriminazione nei confronti delle donne è un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Così come lo è la lotta della donna per i propri diritti, ma in Afganistan la battaglia delle donne per l'uguaglianza dei propri diritti, è un'idea troppo stravagante, per poter essere anche solo concepita. In Afganistan, sotto il regime fondamentalista, le donne dovevano lottare, per essere riconosciute come esseri umani. L'odio nei confronti della donna, come essere subumano, è uno dei principi del fondamentalismo islamico. La situazione delle donne afgane non era mai stata una situazione felice, ma nell'ultima metà del secolo, le cose stavano iniziando a migliorare, soprattutto grazie all'educazione e ai rapidi cambiamenti che stavano avvenendo in tutte le parti del mondo. La consapevolezza che le donne avessero delle potenzialità e fossero capaci di altro, oltre che ad avere figli, stava iniziando ad illuminare le menti degli strati più bassi di questa società, conservatrice e tradizionalista. Ma, con l'avvento dei fondamentalisti, la ruota della storia è stata rimandata indietro di centinaia di anni. Per tutto il periodo, dal 1996 al 2001, nel quale i Talibani sono stati i padroni di Kabul, le donne di ogni età, anche bambine, sono state vittime di un assurdo regime di segregazione, instaurato per legge. Senza diritti. Da esseri invisibili. Ed anche oggi, nonostante il ritorno della democrazia, la strada per l'emancipazione sembra ancora molto lunga, per le donne afgane. Islanda: civiltà al femminile Ragazze che spingono carrozzine con splendidi bambini dagli occhi blu infagottati per ripararsi dal freddo. Ragazze alte e snelle, con le facce slavate e gli occhi chiari e vivaci, intelligenti e sereni, anche se poco più che adolescenti È questa, la prima immagine che si coglie appena sbarcati in Islanda. Tante giovani mamme. Anche troppo giovani e persino troppo numerose, per lo standard europeo. Ma non c'è da stupirsi. Le statistiche demografiche dell'Islanda potrebbero fare impazzire uno studioso della tendenza. Il trend che descrive la donna del ventunesimo secolo come single, o comunque disposta a rinunciare alla famiglia e figli, assolutamente non vale nell'isola di ghiaccio. In Islanda si fanno più figli che in qualsiasi altro paese d'Europa occidentale, il doppio rispetto a quanto accade in Italia. Eppure, oltre l'85 per cento di esse lavora fuori casa. Sono molto emancipate e molte di loro scelgono, liberamente e senza rischiare di essere vittime di discriminazioni e pregiudizi, di essere ragazze madri. Donne forti, quindi. Una forza che hanno forse ereditato dalle loro madri e dalle loro nonne, costrette ad occuparsi di tutto, perché i loro uomini erano quasi sempre in mare. Donne forti, che abituavano i figli maschi ad essere uomini forti, perché soltanto così avrebbero potuto, d'inverno, strappare all'oceano il cibo per tutta la famiglia. Donne forti e all'avanguardia, non solo nella vita privata, ma anche in quella politica. L'Islanda è uno dei primi paesi ad ottenere il diritto di voto per le donne (era il 1915). È anche uno dei primi paesi ad avere avuto un partito delle donne, una signora sindaco della capitale e una presidente donna (Vigdis Finnbogadòttir, 1980-1996). Eletta alla suprema carica dello Stato nel 1980 (la prima donna al mondo a diventare presidente in seguito ad un'elezione popolare), Vigdis Finnbogadòttir si è distinta anche per aver fatto della difesa dell'ambiente una delle linee fondamentali della sua azione, assieme a quella dell'educazione attiva dei ragazzi. Sotto la sua presidenza, l'Islanda ha conquistato il primato mondiale della riforestazione e in un anno, ogni islandese, ha piantato in media 20 alberi. Donne dunque pedine fondamentali della società islandese. Avete qualche dubbio? Chiedete a un islandese se si ricorda cosa accadde il 24 ottobre 1975: le donne, in Islanda, si presero un "giorno libero!". E il paese si fermò. Donne acrobate tra lavoro e famiglia Maggio 2010 - Una grande potenzialità che il nostro Paese non riesce ancora a valorizzare completamente. Sono le donne italiane, vere acrobate che si dimenano tra lavoro, famiglia e società, fotografate dal Rapporto Italia dell’Eurispes. Dall'indagine emerge che in Italia permane una cultura che, a trent’anni dall’inizio del processo di femminilizzazione del mercato del lavoro, stenta ancora a riconoscere il mutato ruolo della donna in seno alla famiglia e alla società, e che è ben lontana dal fornire effettiva sostanza al principio delle pari opportunità. Rispetto ai paesi del Nord Europa, dove le donne lavorano senza per questo rinunciare alla maternità e i tassi di occupazione femminili sono elevati, l’Italia si caratterizza da un bassissimo livello di fecondità (1,41 nel 2008) e da un altrettanto modesto tasso di occupazione femminile (46,6), il più basso in Europa nel 2008. Ma il nostro paese è anche tra quelli in cui si è verificato un maggiore incremento occupazionale delle donne (+7% rispetto al 2000). I dati relativi a carriere e retribuzioni di uomini e donne mostrano un evidente gap di genere: per il gentil sesso risulta ancora complicato riuscire ad occupare posizioni di rilievo nelle aziende e nella politica. I ruoli di comando, infatti, sono quasi del tutto appannaggio degli uomini in politica (89% contro l'11% di presenza femminile), in economia (84,5% contro 15,5%) e cultura e professioni (81,5% contro 18,5%). Questo divario si riduce nel settore arte e comunicazione (62,2% contro 37,8%). Per quanto riguarda le retribuzioni il Rapporto Eurispes, su dati Unioncamere, mostra come, a parità di impiego, le donne percepiscano stipendi più bassi: lo scarto percentuale è pari al 16%, partendo da un minimo dell'1,7% nelle professioni meno qualificate ad un massimo del 20,8% degli operai specializzati. La mancanza di una piena meritocrazia e di pari opportunità nel mondo del lavoro sono la causa principale della progressiva precarietà lavorativa della donna e del suo frequente abbandono della carriera in favore della cura di casa e famiglia. Maternità e lavoro, d'altra parte, risultano due realtà non sempre conciliabili. Dallo studio Donne e lavoro la conciliazione che non c'è, realizzato dall'Eurispes nel primo semestre del 2008, emerge che il 65,7% delle intervistate sono convinte che la carriera costringa molte donne a rinunciare o rimandare la maternità. I motivi? In primo luogo la maternità è vista come un vero e proprio handicap per l'azienda da parte dei datori di lavoro, che devono affrontare problemi come la minore disponibilità della madre lavoratrice, le sue assenze dovute alle malattie del bambino e quindi la sua presenza incostante sul posto di lavoro e spese aggiuntive per l'impresa. Anche i costi troppo alti di asili nido e baby sitter e l'assenza di una solida rete parentale spingono molte a lasciare un lavoro poco redditizio per dedicarsi completamente alla cura dei figli. Una donna su nove, secondo un'indagine Isfol Plus, è uscita dal mercato del lavoro in maniera temporanea o definitiva dopo la nascita di un figlio perché non supportata dal partner e dai servizi del sistema di welfare. Un'inversione di tendenza, infine, si registra nel campo dell'imprenditoria femminile. Aumentano in Italia le aziende con donne al timone di comando: tra il 2003 e il 2008 il numero di imprese femminili è cresciuto del 5,8%, cioè il 2,2% in più rispetto al totale delle aziende italiane, e rappresentano il 24% del tessuto imprenditoriale del Belpaese. 25 NOVEMBRE Sorelle Mirabal Ojo de Agua (Santo Domingo): Patria 1924-1960; Minerva 1926-1960; Maria Teresa 19361960; Dedé 1925 - vivente Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per lei e per i suoi tre figli. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise. Il loro brutale assassinio risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee politiche. Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia. Minerva mostra fin da bambina un carattere forte e indipendente e una grande passione per la lettura, il suo paese e la libertà. La sua influenza sulle sorelle è notevole, soprattutto su Maria Teresa, la più piccola, che la prende a modello e cerca di emularla negli studi universitari, iscrivendosi ad Architettura, facoltà che non termina, conquistando soltanto il grado tecnico in Agrimensura. Maria Teresa segue Minerva giovanissima nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva. Dopo la conclusione degli studi superiori Minerva chiede ai genitori il permesso di studiare Diritto all’Università (suo grande sogno fin dall’infanzia), ma la madre di oppone: conoscendo le sue spiccate idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza da sola per tutta la provincia. Ma nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo, che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della professione. Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria Movimento del 14 giugno e il cui presidente fu suo marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963. Minerva fu l’anima del movimento «Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal) Ben presto nel Movimento 14 giugno, oltre alla giovanissima (quando fu assassinata aveva soltanto venticinque anni) Maria Teresa e al marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti anche la materna e solidale Patria e il marito Pedro Gonzalez. Patria aveva abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega (come farà Dedé per badare all’attività familiare) per sposare a sedici anni un agricoltore. Patria è molto religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto viaggiare. Era madre di quattro figli (ma l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico». La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari. Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati. Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre eroine vengono gettati con la loro macchina in un burrone. L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. La terribile notizia si diffonde come polvere, risvegliando coscienze in letargo. L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle». La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek. 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un giorno che dovrebbe diventare tutti i giorni. Giorni in cui dire basta,fare proposte,metterle in atto. Giorni in cui chiedere a gran voce che governo e parlamento si adoperino al più presto per la ratifica della Convenzione di Instanbul. Ci vorrebbero uno, cento, mille 25 novembre. Tanti 25 novembre per chiedere che venga introdotta l’educazione sessuale nelle scuole. Tanti 25 novembre in cui supportare i centri antiviolenza, i centri di ascolto e fare in modo che la scure dei tagli non si abbatta su questi preziosi strumenti. Tanti 25 novembre in cui passare dalle parole ai fatti. Fatti che servono a combattere sul nascere il germe della violenza. Tanti 25 novembre in cui chiedere al giornalismo di cambiare linguaggio. Nessuna donna infatti muore di passione, di caldo o di follia. Le donne vittime di violenza muoiono a causa di una cultura sbagliata ormai radicata nella nostra società. Una cultura che vede le donne come corpi da esibire, come merce da possedere. Tanti 25 novembre in cui chiedere agli uomini di camminare al nostro fianco, di camminare insieme, di lottare con noi affinché le cose cambino sul serio. Tanti 25 novembre per arrivare al giorno in cui non ci sarà più bisogno di un 25 novembre. Rashida Manjoo Ms. Rashida Manjoo (Sud Africa) è stato nominato relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, le sue cause e le conseguenze per un periodo iniziale di tre anni, da parte delle Nazioni Unite per i diritti umani del Consiglio nel giugno 2009 e ha iniziato le sue funzioni nel mese di agosto 2009. Rashida Manjoo in possesso di un posto a tempo parziale come professore presso il Dipartimento di Diritto Pubblico dell'Università di Città del Capo. Lei è l'ex commissario parlamentare della Commissione sulla parità di genere (CGE) in Sud Africa, un organo costituzionale incaricato di sovrintendere alla promozione e alla tutela della parità di genere. Prima di essere nominato alla CGE è stata coinvolta nella formazione contesto sociale per i giudici e gli avvocati, dove ha progettato sia il contenuto e la metodologia durante il suo tempo alla gara Legge, e Unità di Ricerca di genere, Università di Città del Capo e presso l'Università di Natal, Durban. Ha tenuto numerose cattedre tra cui, recentemente in visita presso l'Università della Virginia, negli Stati Uniti. Ha servito come Lee Des Distinguished Visiting Professor presso la Webster University, Stati Uniti d'America dove ha insegnato i corsi in materia di diritti umani, con particolare attenzione per i diritti umani delle donne e della giustizia di transizione. Era la Fellow Eleanor Roosevelt con il Programma per i diritti umani presso la Harvard Law School (2006-07) e anche un istruttore clinico nel programma nel 2005-6. “Il femmicidio è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze continuative nel tempo.” Violenza in casa, soprattutto. Violenza, ha detto Manjoo, da parte di partner, mariti, ex fidanzati. Violenza, nella maggior parte dei casi, non denunciata, perché – afferma – le donne “vivono in un contesto culturale maschilista dove la violenza in casa non è sempre percepita come un crimine; dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza; e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono appropriate e di protezione”. E ancora: “Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza: questi risultati non hanno però portato ad una diminuzione di femmicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine.” LA STRAGE DELLE DONNE – RICCARDO IACONA 127 DONNE UCCISE NEL 2011 “Quest’anno è stato l’anno della strage, da gennaio ogni due giorni, ogni tre giorni, le cronache ci dicevano: “E stata uccisa questa donna”, dappertutto, una volta in Sicilia, una volta nel Centro Italia, tre volte a Milano. Ci sono giorni addirittura dell’anno in cui, per questo parlo di strage, se ne uccidevano due, tre alla volta. I giornali ne hanno cominciato a parlare diversamente, perché in genere queste storie vengono trattate come se fossero delle storie estreme e in effetti sono estreme perché non c’è niente di più estremo che un uomo che arriva con il mattarello, com’è successo nella Provincia di Milano poco tempo fa, insegue la sua ex, la prende con 80 colpi di mattarello e la uccide davanti a tutti, davanti ai suoi figli. In genere sono anche esecuzioni pubbliche, quindi non c’è niente di più estremo. In realtà l’inchiesta del libro quando siamo andati a parlare con i protagonisti, a vedere il contesto, a ricostruire le storie d’amore che c’erano dietro, abbiamo scoperto che non sono per niente estreme, sono solo la punta estrema di una violenza endemica però, che attraversa l’intero Paese contro le donne. Perché parlo di violenza endemica? Lo dicono i numeri dell’unica ricerca fatta dall’Istat nel 2007 sui casi di violenza del 2006 che parlano di quasi 5 milioni di donne che, almeno una volta nella vita, hanno subito violenza. E’ una media, quindi ci sono delle donne che la violenza la subiscono tutti i giorni. 5 milioni, vi rendete conto? È il 39% della popolazione femminile, una donna su 3, sono dati enormi, considerando poi il fatto che il 93% delle donne neanche denunciano i loro partner, che cioè c’è un sommerso enorme, stiamo parlando di numeri che coinvolgono l’intera nostra società, la coinvolgono tutta, coinvolgono il nostro modo di intendere il ruolo della donna nel nostro paese. E’ notizia di oggi che in Norvegia una donna di 29 anni è diventata Ministro, ma lì non è una notizia perché più del 50% del governo norvegese è fatto di donne, ci sono delle leggi che aiutano le donne nel loro lavoro, gli uomini si occupano dei bambini anche per un anno a casa quando nascono, c’è un Paese che vive sulle pari opportunità e noi abbiamo raccontato che vita difficile che fanno le donne nel nostro Paese, ma vengono anche uccise. Questo è un campanello di allarme. Sta succedendo che questa sotto utilizzazione della donna, il fatto che la donna non conta mai niente, che non la trovi mai in politica, in economia, che deve fare il doppio della fatica, che guadagna meno degli uomini etc., è il risultato di un vero e proprio apartheid. La vita è difficile in Italia, questo Paese, bisogna cominciare a dirlo brutalmente, è ostile alle donne, le tiene sottomesse. Ecco perché vengono uccise. Dietro a queste uccisioni, ci sono milioni, centinaia di migliaia, perlomeno centinaia di migliaia di case – prigioni, dove regolarmente si usa violenza fisica, psicologica, sottomissione nei confronti delle donne. Una società così è una società malata, una società dove più del 50% dell’intelligenza delle donne non viene utilizzata, ma anzi la donna viene sottomessa. Una società decapitata. Questo improvviso aumento costante dal 2006: l’anno scorso sono state uccise 137 donne in Italia, una ogni 3 giorni, l’anno prima di meno, l’anno prima ancora un po’ di meno, un dato in costante aumento. La maggioranza delle donne vengono uccise al nord, non al sud, non sono nelle situazioni in cui non lavorano, ma hanno cominciato a conquistare, grazie al lavoro indipendenza, autonomia, sono donne che facilmente si separano per esempio. Se la storia è finita vanno dal giudice e chiedono la separazione, se il marito è molesto, picchia, magari fanno la denuncia ai Carabinieri. L’uccisione delle donne è una reazione a questa voglia e a questo necessario processo di autonomia, indipendenza, questo avvicinamento nostro agli standard europei. Questa guerra si sta svolgendo nel buio… sì ne parlano i giornali, sono storie che fanno molto effetto, poi dopo ce ne è un’altra di queste storie. LA DONNA DOPO LA DENUNCIA, RIMANE DA SOLA La difesa della donna non è nell’agenda politica, se ci fosse ci sarebbero tutti i centri antiviolenza che servono. In Spagna l’anno scorso hanno ucciso 62 donne, 7 anni fa ne ammazzavano una al giorno: risultato di politiche attive, si possono fare delle politiche attive per diminuire questa lista delle donne uccise, per prevenire la violenza nelle case, per difendere il diritto costituzionale a una vita libera. Molti dei casi delle donne uccise quest’anno erano omicidi annunciati, donne che avevano fatto denunce, spesso anche 4/5 anni prima,vedete come reagiscono i palazzi di giustizia, vedete quanto tempo, quante di queste storie finiscono in prescrizione? La donna fa la denuncia e poi si trova sola, quante volte l’uomo che poi l’ha uccisa gliel’ha detto, gliel’ha promesso e l’ha detto davanti a tutti, davanti agli amici, ai figli. È un altro aspetto di questa grande storia che ci riguarda tutti, perché in un mondo in cui sia possibile estirpare questa violenza endemica nei confronti delle donne, è un mondo dove tutti viviamo meglio, vivono meglio le donne, vivono meglio gli uomini e vivono meglio i figli che subiscono dei drammi perché questa ondata di ritorno, di sofferenza parte da centinaia di migliaia di case – prigione. Ho scritto questo libro per tirare fuori dalle pagine della cronaca dei giornali queste storie e cercare di allertare e far capire che che non finiscono lì, che hanno a che fare con la pancia profonda del paese, di come siamo, di come intendiamo un rapporto uomo donna. È un uomo che ha scritto questo libro, nessuno si può tirare fuori, certo, tra un litigio, uno schiaffo, un urlo, una violenza psicologica e l’omicidio c’è il mare di mezzo, però quell’omicidio nasce da quell’urlo, da quello schiaffo, da questa nostra impossibilità, capacità di capire. Nei paesi del nord Europa il giudice impone all’uomo maltrattante di fare una cura, queste cure sono naturalmente molto lunghe nel tempo e sono delle vere e proprie psicoterapie, però anche in Italia da qualche parte si sta facendo e nel libro siamo riusciti a raccogliere delle interviste che secondo me sono preziose, di uomini che raccontano il loro episodio, uno di questi dice una cosa che mi ha colpito tantissimo: “Guarda io la violenza la usavo perché non riuscivo a rispondere alle sue argomentazioni, lei scappava, correva, era più veloce di me, andava avanti, avevo paura di perderla etc. E io usavo l’unica cosa che avevo, l’unico strumento che avevo in mano cioè la violenza”. In realtà così aveva distrutto il suo rapporto perché lei l’aveva denunciato, adesso sono due anni che lui non vede il bambino, quindi in questi due anni lui è maturato e quando dice quelle parole, parla a tutti gli uomini italiani. Se usciamo da questa spirale di violenza diventiamo un Paese più civile e economicamente più interessante perché il 50% delle donne che vivono nel nostro paese possono rientrare in circolo e non rimanere chiuse dentro le case. Normalmente si possono fare tante cose per limitare sia gli omicidi delle donne, e per estirpare questa violenta, non è solo un fatto di cultura, certo la cultura c’entra, c’entrano le scuole, a scuola non si parla mai di queste cose, vanno lì a fare i corsi sulle droghe, sono giusti, ma pochi sono gli incontri strutturali, costanti nel tempo con gli adolescenti, sul rapporto uomo – donna, come va interpretato. Questo è il Paese dove bisogna far rispettare la legge, dello stalking, tra l’altro è un’ottima legge perché per la prima volta dà agli investigatori, ai poliziotti, ai Carabinieri, ai magistrati degli strumenti concreti per colpire l’uomo maltrattante, la legge c’è ma poi c’è metà dell’Italia che non ha dei centri antiviolenza, per cui dici: “Va beh perché le donne non denunciano?” Vai a denunciare nella Provincia di Enna dove non c’è un posto letto dove ricoverare una donna la cui vita è minacciata, che per fare questo deve lasciare la sua città e magari deve, con i suoi figli, trasferirsi a 300 chilometri di distanza, diventa un po’ punitivo nei confronti della donna, non c’è questa rete, non c’è quanta ne servirebbe, largamente inferiore rispetto non solo al bisogno, ma anche rispetto ai parametri fissati dall’Unione Europea di almeno 5.500 posti letto e noi in Italia ne abbiamo 500 posti letto dove ricoverare donne e bambini. Vanessa aveva solo 20 anni quando è stata uccisa dal fidanzato con cui stava da 4 mesi, un uomo più grande di lei, 34 anni, a Enna . Rosa Trovato invece era una donna di 45 anni, che era già stata oggetto di violenza per tanti anni dal marito, lo sapevano tutti ma nessuno ha fatto niente fino a che il marito non l’ ha uccisa. Enza Anicito viveva nella Provincia di Catania ed è stata uccisa dal suo ex, una storia incredibile, l’ha uccisa davanti alla figlia, si sono dati appuntamento in una strada perché lei l’aveva lasciato, lui allora ha detto: “Scambiamoci le ultime cose, tu mi ridai indietro l’anello, io ti ridò indietro le foto”, lui invece aveva programmato tutto, aveva portato la pistola e l’ha uccisa davanti alla figlia, non solo, quando la figlia si è buttata per terra e ha visto la madre che cascava in un lago di sangue, lui uccide anche la figlia. OMICIDI ANNUNCIATI Quasi sempre in queste storie di omicidi di donne, c’è la voglia non solo di annientare la compagna, ma anche i figli della compagna, anche i tuoi figli, i figli che tu hai fatto con questa donna. Sono tutte esecuzioni pubbliche, mafiose in questo senso, fatte davanti ai figli, sulla strada, davanti alla gente, nei posti di lavoro, come se fosse un modo per dire a tutti: “Guarda tu sei mia e non sei di nessuno e lo faccio davanti a tutti perché tutti sappiano che stai pagando questa colpa di essere indipendente, autonoma”.È impressionante, moltiplicatelo per 80 omicidi in Italia dall’inizio dell’anno, ci danno un quadro del Paese impressionante, per questo ho voluto vedere da vicino, sono entrato nei quartieri, ho parlato con le persone, ho tutto questo viaggio da sotto fino a su, ho parlato con le Procure della repubblica, con i Carabinieri che avevano indagato, per cercare di capire cosa c’è dietro questa uccisione delle donne e c’è una violenza endemica pazzesca, c’è il fatto che questo è un paese ostile alle donne! Se volete capire quanto investiamo poco, basta andare a vedere e fare i paragoni con gli altri paesi dell’Europa e del mondo la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, i paesi del nord Europa anche l’Austria, persino la Grecia hanno tutti più posti letto di noi, ma facciamo peggio di Paesi come l’Albania, l’Armenia, la Bosnia Erzegovina, la Croazia, Cipro, la Georgia, Islanda, l’Irlanda e la Macedonia che ci ha battuto la Macedonia con 0,33 posti letto per 10 mila abitanti mentre noi siamo a 0,09 posti letto per 10 mila abitanti. C’è un altro aspetto che esce fuori drammaticamente da queste storie, le storie delle donne ammazzate di quest’anno sono quasi tutti omicidi annunciati, però bisogna anche entrare nel dettaglio di questi omicidi annunciati: lo sapevano i Carabinieri, lo sapeva la polizia, spesso lo sapevano anche i giudici perché la denuncia era arrivata alla Procura della Repubblica, ma ancora più spesso lo sanno i vicini, i parenti, è largo il contesto all’interno del quale poi alla fine queste donne vengono uccise. È incredibile che questo Paese sia sordo, che consideri ancora il litigio in famiglia come una questione privata, ma quante volte i vicini di casa hanno chiuso le orecchie? Perché diceva: tanto si sa che quelli litigano, guardate nei grandi condomini, ma tutti sanno in quale casa volano le botte, ma bisogna aspettare che venga uccisa la donna dentro! Molti di questi reati vanno in prescrizione dopo 7,5 anni, per esempio le minacce e le violenze, l’omicidio no naturalmente, ma ormai la donna è stata uccisa, però il tentato omicidio va in prescrizione. Adesso si sono inventati un po’ di percorsi nelle procure per cui hanno fatto dei pool per fare in modo che l’intervento sia più efficace, come potete bene immaginare se denuncio un uomo violento è quello il momento in cui rischio la vita, quello deve essere il momento più alto della risposta dello Stato. Quindi la Procura va veloce, però poi al Tribunale ti mettono tra le varie e eventuali, proprio perché non c’è la percezione dell’emergenza, della priorità, di quanto importante per la salute pubblica di questo Paese sia costruire un posto dove le donne vengono difese, come premessa perché nasca un rapporto diverso tra uomo e donna, non basato sul dominio ma sull’amore e sul reciproco rispetto anche quando lei la pensa diversamente, anche se lei ti vuole lasciare. Sono tre mesi di lavoro, un viaggio lungo dal Sud al Nord fatto consumando le scarpe, pieno di testimonianze, parlando con i protagonisti, tanto virgolettato. “Se questi sono gli uomini”. L’ indagine Il 100 per cento delle madri che in casa subiscono violenza sta zitto per difendere l’unità familiare. Ma quasi tutte (il 97 per cento), se ad andarci di mezzo sono anche i figli, rompono il silenzio. A dirlo è un’indagine europea, Daphne III, condotta parallelamente in Italia, a Cipro, in Romania e in Slovacchia per scoprire quali sono le conseguenze su bambini e ragazzi della violenza sulle madri. LA RICERCA - Stando agli ultimi dati Istat, nel 62,4 per cento dei casi i figli assistono alla violenza domestica e quasi la metà di essi ha meno di 11 anni, secondo Daphne III. Il danno è permanente: se l’episodio avviene prima dei 15 anni, può portarli a non desiderare né una famiglia né una relazione propria per paura di ripetere il comportamento di cui sono stati testimoni. Aggressività verso i genitori e i pari, bullismo, scarsa autostima sono solo alcune delle conseguenze più diffuse tra i figli di madri vittime di violenza, che, nel 100 per cento dei casi, inizia con una minaccia verbale. E non si ferma alle parole: il 79 per cento delle intervistate ha uno o più referti del Pronto soccorso. Tra i pretesti che danno il via all’escalation, futili motivi, “stati emotivi dell’uomo definiti come egocentrismo e gelosia”, separazione, gravidanza non desiderata, gestione familiare e successo professionale della donna. Le testimonianze italiane, raccolte grazie ai verbali anonimi forniti dalla Polizia soprattutto nel Sud Italia e nelle isole, riguardano donne che hanno subito violenza tra i 16 e i 60 anni, con figli fino a 27. “Sono quelle che hanno rotto il silenzio, perciò riconoscono la violenza e l’hanno narrata e ben definita in ogni sua manifestazione” spiega Sandra Chistolini, responsabile del progetto Daphne III per l’Università Roma Tre. Ilfattoquotidiano.it l’ha intervistata. Sandra, il silenzio che accompagna la violenza domestica è una peculiarità tutta italiana o è riscontrabile anche negli altri Paesi oggetto dell’indagine? E’ presente in tutti i Paesi che abbiamo analizzato. Le ragioni sono culturali, religiose, valoriali. La letteratura scientifica documenta ampiamente il dato anche per altri Paesi come quelli del Nord America. Tra i motivi del silenzio delle donne, oltre al voler proteggere la famiglia vi è anche la paura di rimanere senza partner, nonché la speranza che questo sia pentito della violenza e possa non farne più uso. La distribuzione geografica della ricerca è casuale o al Sud ci sono più casi di violenza (o più casi di violenza denunciati) in seno alle famiglie? Sono state riscontrate molte difficoltà a raccogliere i verbali, per questo abbiamo accettato quello che è stato fornito senza poter procedere a un campionamento proporzionale per ripartizione geografica. La persona che esercita violenza è sempre il partner o anche altro parente? In alcuni casi sono altri familiari. Emerge comunque il ciclo ripetitivo della violenza: il carnefice e la vittima sono stati a loro volta oggetto di violenza nella famiglia di origine, dove hanno appreso il ruolo di colui che aggredisce e di colei che subisce sin da piccoli, senza sperimentare un’alternativa valida che rompesse la dinamica. Pensa che sia in atto, o sia possibile, un cambiamento culturale nella società italiana? Il cambiamento è possibile ed è in atto sia a livello di sensibilizzazione dei mass media, sia nella coscienza delle donne. Le istituzioni hanno coscienza di quanto sia grave e diffuso questo fenomeno? Le istituzioni (polizia, carabinieri, ospedali, scuola, centri anti-violenza, associazioni, parrocchie, vicinato, università) talvolta sono lente, disattente, passive, e come prima reazione in genere si tende a non prestare fiducia a quello che la donna racconta o a sminuirne la portata. Quali sono i comportamenti violenti perpetrati abitualmente a livello psicologico, sociale, economico, che la maggior parte di noi donne italiane non riconosce come tale? Le violenze verbali e psicologiche sono le prime a comparire e sono anche quelle più nascoste. Infatti solo i referti medici che mostrano la violenza fisica fanno iniziare di fatto l’iter della difesa giuridica della donna. Poi arrivano lo stalking e la privazione economica. La violenza sociale, che emerge chiaramente in tutte le narrazioni delle donne, si manifesta nell’isolamento della famiglia e nella difficoltà dei minori testimoni di violenza a stabilire relazioni con i pari. Il danno al minore, di cui la nostra ricerca Daphne III si è occupata, è ancora tutto da esplorare. CEDAW Simona Lanzoni, direttrice progetti di Fondazione Pangea e parte della Piattaforma CEDAW si è augurata che le raccomandazioni di Manjoo “rappresentino i pilastri guida su cui il Dipartimento Pari Opportunità costruirà il prossimo Piano di Azione Nazionale contro al violenza sulle donne nel 2013 assieme alla società civile e DIRE, la rete dei centri antiviolenza”, e ha aggiunto: ” invitiamo la Ministra Fornero a esporsi su questo tema. Anche la violenza sulle donne incide sul PIL italiano! Azioni di prevenzione aiuterebbero le donne ed il PIL verso uno sviluppo della società italiana sul piano economico oltre che sul piano culturale”. Le donne vittime di violenza infatti non partecipano alla costruzione del reddito nazionale, e ricadono sui costi della sanità pubblica, del sistema giudiziario, dell’assistenza sociale, per non parlare del problema che si presenta nei casi di figli che assistono alla violenza a cui viene rubato anche il futuro e alle difficoltà di reinserimento lavorativo, quasi sempre nel mercato nero. Conclude Lanzoni “La mancanza di dati certi e aggiornati non permette a chi governa di rendersi conto della gravità della situazione e dei loro costi sociali. Basti pensare che l’unica raccolta di dati ISTAT risale al 2006 e che la società civile conta solo nel 2012 in 6 mesi già 63 omicidi di donne uccise da uomini violenti.” D.I.R.E., la rete dei centri antiviolenza ogni anno accoglie circa 14.000 richieste di aiuto da donne spesso accompagnate dai figli per uscire dalla violenza “Sono ancora tantissime coloro che non denunciano e altrettante che non riescono a ricevere supporto!” sottolinea la Presidente Titti Carrano. “Per la prima volta è stato presentato alle Nazioni Unite un rapporto tematico sul femminicidio, o meglio sugli omicidi basati sul genere, femmicidi e femminicidi. Si tratta di un evento epocale, che costringe i Governi di tutto il mondo a confrontarsi con la propria responsabilità per quello che Amartya Sen ha definito ‘il genocidio nascosto” -ha detto Barbara Spinelli, Avvocata di Giuristi Democratici parte della Piattaforma CEDAW- “Sono estremamente onorata di aver contribuito, unica europea, ai lavori che hanno portato alla stesura di questo Rapporto e insieme a tutte/i coloro che lo vorranno, ci adopereremo affinché le raccomandazioni in esso contenute vengano attuate dalle Istituzioni italiane senza ritardo”. PROPOSTE • Stabilire un sistema appropriato di raccolta di dati su tutte le forme di violenza contro le donne, e i suoi costi sociali, in maniera coordinata tra tutti i ministeri competenti, l’Istat, DIRE e le organizzazioni della società civile che operano sul tema con un approccio di genere. • Rafforzare il coordinamento e lo scambio di informazioni tra magistratura, polizia, assistenti sociali, operatori della salute mentale e sanitari che vengono in contatto con situazioni di violenza sulle donne • Assicurare che i tempi di prescrizione siano più lunghi per i procedimenti penali relativi ai reati di stalking e agli abusi in famiglia. • Colmare i vuoti normativi in materia di affido condiviso, attraverso la previsione di misure per la protezione ldi donne e minori vittime di violenza domestica diretta o assistita. • Assicurare che tutti gli attori coinvolti nel settore del contrasto alla violenza sulle donne siano formati su tale argomento (assistenti sociali, operatori sanitari, giudici, avvocati, forze dell’ordine, etc.), • Provvedere finanziamenti certi e continui nel tempo per le case rifugio esistenti ed i centri antiviolenza che lavorano con un approccio di genere; • Prevedere programmi di educazione per le scuole e le università, sull’identità di genere, la sessualità consapevole, la decostruzione degli stereotipi e al contrasto della violenza, • Formare giornalisti sui temi della violenza contro le donne e all’uso di un linguaggio appropriato per divulgare le informazioni sugli episodi relativi alla violenza di genere e alle discriminazioni; Se qualcuno chiedeva cosa fare per fermare la violenza contro le donne, i punti sono questi. Vanno diffusi, condivisi, e messi in atto. IL 25 NOVEMBRE. 25 Novembre: Questo non è un mondo per donne… "...I problemi fondamentali degli uomini nascono da questioni economiche, razziali, sociali, ma i problemi fondamentali delle donne nascono anche e soprattutto da questo:il fatto di essere donne...". Oggi 25 Novembre, come ogni anno da quando nel 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite designò questa data come la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, in tutto il mondo sono state organizzate manifestazioni, fiaccolate, dibattiti, mostre fotografiche ed eventi di ogni sorta per sensibilizzare l’opinione pubblica ad affrontare più chiaramente e a dire di NO alla violenza sulla donne. Ma perché proprio il 25 Novembre? In pochi sanno che questa data fu scelta da un gruppo di femministe latinoamericane e dei Caraibi nel 1981, durante un incontro femminista tenutosi a Bocotà (Colombia) in memoria delle sorelle Mirabal. Le Mirabal altro non erano che tre giovani donne che negli anni Sessanta ebbero il coraggio di lottare per la libertà politica del loro Paese (la Repubblica Dominicana), opponendosi a una delle tirannie più spietate dell’America Latina, quella di Rafael Leónidas Trujillo Molina. La storia delle sorelle Mirabal è tanto semplice quanto cruenta: a causa del loro impegno rivoluzionario, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto, furono torturate, massacrate di colpi e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. A distanza di ben cinquantadue anni da questa vicenda, molte cose sono cambiate in meglio nel mondo ma c’è una cosa è rimasta invariata: oggi come allora, nonostante tutto, questo NON è ancora un mondo per donne. Solitamente si dice (ognuno riferendosi al proprio) che “questo non è un Paese per donne”, ma guardandomi intorno e con fatti di cronaca e dati statistici in mano, arrivo all’idea che se c’è un ambito in cui di piena globalizzazione si può parlare, quello è certamente quello della violenza sulle donne. Quando si parla di questo argomento, come di sessismo, maschilismo e cultura patriarcale, il pensiero corre sempre all’Islam, ai Paesi arabi e in toto alla cultura musulmana. I Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Vicino Oriente, sono visti infatti come l’incarnazione perfetta di un rapporto tra i sessi che vede fronteggiarsi il dominatore (l’uomo) e il subalterno (la donna), e che si contrappone a quello paritario che vige ( sarebbe meglio dire che “si crede sia vigente”) in Occidente. Questa idea sul mondo musulmano è senza dubbio imprigionata da cliché che andrebbero eliminati con uno studio approfondito dell’Islam in tutte le sue componenti, ma è anche una concezione il cui fondamento non è inventato…anzi. Non c’è dubbio per esempio che la famiglia nel mondo musulmano sia fondata su un ordine patriarcale e che il capofamiglia sia senza dubbio l’uomo che detiene il ruolo di punta e di maggior forza all’interno dell’istituzione familiare. Non c’è dubbio che per le ragazze sposarsi, quindi diventare mogli e madri, rappresenta un mutamento sostanziale della loro identità, mentre per i giovani maschi l’essere sposati non altera in profondità il loro status sociale e la loro autonomia, perché l’uomo possiede già il potere decisionale e lo mantiene, anzi lo rafforza dopo il matrimonio. Non c’è dubbio che l’uomo, molto più che la donna, con il contratto nuziale acquisisce diritti di esclusività sul corpo della moglie e sulla sua persona, così come acquisisce in molti Paesi arabi la capacità unilaterale di sciogliere il vincolo matrimoniale attraverso il ripudio. Non c’è dubbio che ci siano Paesi musulmani in cui è ancora costituzionalmente legale il delitto d’onore ( la Giordania, per esempio). Non c’è dubbio che uccidere una donna scagliandole addosso delle pesanti pietre sia un’orribile pratica ancora diffusa, e che costituisce la pena a cui le donne sovente vengono condannate per il reato di adulterio. RICCARDO IACONA. Riccardo Iacona racconta in Strage di donne un pezzo d’Italia in cui a farla da padrone è ancora la forza maschile brutale e incontrollata. Non siamo in Messico, non siamo a Ciudad Juarez dove milioni di donne muoiono ogni anno. No, siamo nel Belpaese, a volte in città ricche e splendenti, del Nord o del Sud, in piccoli paesi dispersi tra i monti o in bei paesini affacciati sul mare. L’unica cosa che accomuna questi luoghi è la vera e propria strage di donne. Solo nel 2011, racconta il giornalista di Presadiretta, sono state uccise 137 donne, una ogni 3 giorni. Ma nel 2012 cosa accadrà? La stima approssimativa e parziale dell’anno in corso conferma tale cifra. E il tutto non fa notizia, fa parlare i tg per un minuto scarso, crea scalpore nell’ascoltatore per un momento e poi si cambia pagina perché si pensa che non tocchi mai a noi, ai nostri vicini di casa, alle nostre famiglie e che le povere vittime di questi omicidi vivano in contesti d’ignoranza e povertà. Iacona però ci dice e ci conferma che non è così, che a essere vittime sono donne di varie tipologie e classi sociali che hanno l’unica colpa di incontrare nella loro strada un mostro. Ammazzate di botte, stuprate, bruciate o mutilate: la violenza e l’efferatezza delle modalità con cui vengono colpite a morte stordisce e colpisce. Prima dell’omicidio di solito c’è la persecuzione, la violenza domestica o la minaccia. Spesso queste cose sebbene vengano denunciate passano poi inosservate dalle forze dell’ordine e dai media. Sono troppi i casi a cui dovrebbero far fronte. E allora per tutti noi è più facile chiudere gli occhi. Il giornalista, reso celebre da Michele Santoro in Samarcanda, ci costringe ad aprire gli occhi e a guardare in faccia la sconcertante realtà che porta un Paese come l’Italia a una percentuale di vittime pari ai Paesi del terzo mondo. Con Strage di donne Iacona aiuta il lettore a comprendere questo fenomeno e a far luce su cosa legittima gli uomini a sentirsi ancora così forti e così protetti. RASHIDA MANJOO. Nel 2009 la CEDAW ha compiuto trent’anni. Elaborata nel 1979, rappresenta ancora uno strumento legislativo fondamentale contro la violenza di genere, piaga sociale dai mille volti. Nell’anno appena trascorso sono stati organizzati numerosi eventi in Italia per ricordare questa convenzione e per aumentarne la diffusione. Il 13 gennaio scorso, volendo mantenere alta l’attenzione sul tema della violenza sulle donne, si è svolto a Roma, presso la Casa Internazionale delle Donne, l’incontro tra alcune Ong e associazioni femminili e Rashida Manjoo, Special Rapporteur dell’Onu sulla violenza di genere. L’evento è stato organizzato dall’Associazione Nazionale dei Giuristi Democratici in collaborazione con la Fondazione Pangea. La Manjoo è un’attivista, accademica ed avvocato, originaria del Sudafrica, ed ha insegnato in molte prestigiose università americane, così come a quella di Città del Capo, e fa parte della rete di donne “Women living under Muslim Laws Network”. Figura di riferimento nella lotta alle discriminazioni e la violenza contro le donne, ha affrontato un dibattito aperto sulle politiche internazionali con particolare riferimento a quelle europea ed italiana, illustrando i fini e le modalità del suo mandato alle Nazione Unite, carica che esiste da 15 anni e dura tre anni (nel caso di Rashida dal 2009 al 2012), che possono essere rinnovati. Il suo compito principale è fare da punto di raccordo tra governi, associazioni di donne e ONG, nel coordinamento di politiche contro la violenza sulle donne. Quattro sono le mansioni assegnatele; in primis la stesura di un rapporto annuale inviato all’osservatorio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite, che tenga conto dei notevoli punti di contatto tra la questione della violenza di genere e altre tematiche come la diffusione dell’HIV/AIDS, l’influenza dei credi religiosi, il dibattito sulle differenze di orientamento sessuale, le condizioni di lavoro, ecc…Proprio su questo ultimo punto Rashida ha affermato che si devono riconoscere i molti collegamenti tra la povertà e la violenza di genere. “Se ci domandiamo da dove viene la cosiddetta femminizzazione della povertà, possiamo rispondere che è il risultato di uno squilibrio tra i generi, di un iniquo diritto allo studio, di paghe diseguali, di una mancanza di opportunità per molte donne. La violenza e la povertà sono causa e conseguenza l’una dell’altra, in un circolo vizioso che non si arresta, se non con interventi sulle cause strutturali della violenza, che toccano indubbiamente i sistemi macroeconomici.” Rashida ha poi raccontato delle sue missioni all’estero, ad esempio quella in Kurdistan nel novembre del 2009 e della difficoltà di ottenere il permesso per entrare nel paese a investigare sulla condizione delle donne autoctone, raccontata in un rapporto breve. La terza mansione è legata a violenze particolarmente gravi ai danni di donne per cui mobilitarsi con delle segnalazioni speciali. In ultimo, Rashida è chiamata a collaborare con la società civile, organizzando incontri in cui si discuta delle misure da prendere contro la violenza, che ha definito “un fenomeno pervasivo, che tocca tutte le società” in cui “spesso non fa differenza il colore, l’età, o la condizione economica, qualsiasi donna è una potenziale vittima di violenza, in particolare tra le mura domestiche.” Nonostante la portata del fenomeno sia enorme, tanto da annientare spesso ogni tentativo di fermarlo, Rashida ha ribadito l’importanza dell’impegno e di un piano di intervento che comprenda cinque punti chiave: l’adozione di leggi nazionali, l’attuazione di piani multi-settoriali con cospicue risorse da investire nella prevenzione, la raccolta e l’analisi dei dati relativi alle violenze, l’attuazione di campagne di sensibilizzazione, in grado di sollecitare il coinvolgimento dell’intera società civile garantendo sostegno alle vittime e infine gli sforzi costanti e specifici per contrastare la violenza sulle donne in situazioni di conflitto. E riferendosi all’Italia, ha ricordato la questione dell’immigrazione e delle difficoltà enormi a cui vanno incontro le donne migranti, lasciate sole e nei casi più gravi (ma piuttosto frequenti) criminalizzate a seguito delle denunce esposte. La Manjoo infine si è soffermata sull’incapacità di un organismo internazionale come l’ONU nel risolvere gravi questioni, spesso a causa della mancanza di collaborazione da parte degli stati membri. Da qui la necessità di una doppia strategia: da un lato il mainstreaming di genere e dall’altro l’analisi dei casi specifici. L’attivista sudafricana ha posto, infatti, l’accento sulle differenze tra culture e sull’eterogeneità dei processi di emancipazione nelle varie regioni del pianeta, prendendo come esempio la realtà africana. “Le donne del mio continente sono rappresentate in maniera impropria dai mass media, eppure ce ne sono alcune che sono in grado, pur seguendo la tradizione ancestrale, di battersi per i diritti che ritengono giusti e fondamentali. Non si deve pensare che ci sia un modello giusto da seguire, rappresentato dal modus vivendi delle donne occidentali. Molte di noi, donne africane, rimangono legate alla cultura del villaggio pur sfidando il patriarcato.” Il nostro breve incontro si è concluso con un pensiero di Rashida sulle cause più intime della violenza, che trovano radici nella considerazione dell’altro (spesso sinonimo della donna) non come elemento di confronto bensì come parametro da cui discostarsi e contro il quale far valere la “ragione del più forte”. FEMMINISMO (XIV, p. 990). - La nuova realtà dei movimenti femministi emerge agl'inizi degli anni Sessanta negli Stati Uniti e rapidamente si estende nei paesi a capitalismo avanzato. Se le suffragette all'inizio del secolo si battevano per conquistare diritti civili uguali agli uomini nella società, le femministe odierne lottano non solo per una parità formale ma anche perché tutta la società cambi e abbia fine la divisione dei ruoli sessuali, lo sfruttamento e l'oppressione delle donne. S. De Beauvoir nel suo libro Le deuxième sexe (1949) dimostra che non è la condizione biologica ma la cultura a determinare nel corso dei secoli l'inferiorità della donna nella società. Anche l'antropologa americana M. Mead rileva il peso del condizionamento sociale del sesso femminile nelle diverse società. Il f. si appropria di queste analisi e ricerche e inizia un'elaborazione politica autonoma. È all'interno dei vasti movimenti giovanili americani contro la guerra in Vietnam e contro il razzismo che nascono i primi fermenti femministi. Del resto il presidente J. Kennedy già nel 1961 istituisce la "commissione presidenziale sulla condizione della donna", la prima nella storia degli SUA. La difficile condizione della donna, anche in una società del benessere, trova infatti la sua conferma nell'inchiesta di B. Friedan Feminine mystique (1963). La Friedan dimostra che la donna media americana, la moom (la madre), non è affatto una casalinga felice ed emancipata, al contrario di quanto appare. Dev'essere madre perfetta, consumatrice infaticabile, ottima padrona di casa, oggetto sessuale per essere socialmente approvata e si scopre sempre più spesso chiusa in una gabbia dorata, che l'obbliga a non esprimersi mai come essere umano completo. I dati dimostrano che nella famiglia, nella scuola e nel lavoro alle donne si richiede di adeguarsi al modello della "mistica della femminilità". Il 29 giugno 1966 B. Friedan fonda il NOW (National Organization for Women), il primo movimento moderno contro l'oppressione e lo sfruttamento esercitato dal maschio sulla femmina. Appena 4 anni dopo il NOW conta 5000 militanti (tra i quali anche 100 uomini), 50 sezioni in 25 stati. L'organizzazione lotta per l'aborto legale e gratuito, il controllo delle nascite, la parità di accesso agl'impieghi e all'istruzione superiore, il riconoscimento giuridico della professione di "madre di famiglia" con diritto di pensione e nidi d'infanzia pubblici e gratuiti per le lavoratrici madri. Ci si batte fin dall'inizio per "avere più potere". Ma l'obiettivo non è condiviso da tutte. Nel 1968 Ti-Grace Atkinson si separa dal NOW e fonda con molte altre un nuovo gruppo, Feminist, che punta alla distruzione del potere, "in quanto risultato del secolare dominio maschile sulle donne". Successivamente si formano altri gruppi, riuniti poi nella sigla generale di WL (Women's Liberation), che diversamente dal NOW hanno posizioni radicali di sinistra. Per es. le Radical Feminists divise in 11 brigate rionali a New York discutono a lungo sulla sessualità femminile. Altro tema di discussione è se le donne siano oppresse prevalentemente dal capitalismo o dal patriarcato. Grande influenza su tutte le femministe ha in questo periodo Sexual politics di K. Millet (1969), uno dei primi e più compiuti tentativi di analisi dell'oppressione femminile da parte del sistema patriarcale. Si evidenziano due posizioni, quella delle sessiste che attribuiscono ogni responsabilità al maschio e quella delle politiche che individuano nel capitalismo il nemico principale. Da queste due nascono molte nuove formazioni: WITCH (Women's International Terroristic plot Coming from Hell), nota per le azioni di guerriglia contro i concorsi di bellezza e per avere "infiltrato" alcune sue militanti nelle compagnie telefoniche; le Redstockings divise in "piccoli gruppi di crescita di coscienza" (small consciousness raising group). Ogni gruppo è formato da circa dieci donne che si riuniscono periodicamente e attraverso il confronto collettivo delle proprie esperienze quotidiane ricercano le origini e le cause della propria oppressione e del proprio condizionamento superando così la separazione e l'isolamento. "Poiché la causa ultima di tutti i mali del mondo", sostengono le Redstockings, "è la supremazia del maschio nella società, è indispensabile per le donne prenderne coscienza collettivamente". Altri gruppi sono: Radical mothers, Radical lesbians, in qualche caso organizzate in comunità, la National organization black feminists, Bread and roses attivo soprattutto a Boston, la Young socialist alliance, il National political women's caucus. Ancora verso la fine degli anni Sessanta appare un singolare manifesto: SCUM (Society for Cutting Up Men) tradotto in seguito in molti paesi. Si tratta di un documento-farsa, grottesco e disperato, all'apparenza un manuale di guerriglia per "distruggere il sesso maschile". Nonostante la varietà dei gruppi femministi si verificano momenti di unità come accadde per es. il 26 agosto del 1970 (50° anniversario del diritto di voto alle donne) con la proclamazione di uno sciopero "domestico" nazionale in 80 città degli SUA. Nel luglio del 1972 inizia le sue pubblicazioni MS, il primo periodico femminista americano che vende oggi centinaia di migliaia di copie. Negli ultimi anni soprattutto si sviluppa una larga campagna per la libertà d'aborto e il Movimento femminista crea cliniche femministe (Summit Medical Center a Washington), per praticare il self-help, una forma di medicina delle donne per conoscere il proprio corpo, curarsi e se necessario abortire senza ricorrere alla medicina ufficiale. La tecnica e la teoria del self-help come la questione dell'aborto sono oggetto di discussione in tutto il movimento. Il f. mondiale s'incontra in convegni internazionali per confrontare le diverse posizioni. Nel dicembre del 1974 a Francoforte il primo convegno femminista europeo decise d'inviare a K. Waldheim, segretario generale dell'ONU, una lettera aperta contestando l'"anno della donna" promosso per il 1975 dall'ONU stessa. Nell'estate dell'anno successivo giungono a Città di Messico femministe da tutto il mondo per opporsi alle "celebrazioni ufficiali" per l'"anno della donna", aperto sui temi "donne, uguaglianza, sviluppo e pace". In risposta all'iniziativa dell'ONU nel marzo del 1976 a Bruxelles le femministe si riuniscono in un "tribunale contro la violenza" alle donne, portando numerose testimonianze. Scopo del tribunale è dimostrare che lo stupro è solo la più appariscente violenza che una donna può subire, alla quale si deve aggiungere la quotidiana emarginazione dal lavoro, dalla cultura, dalla società. In quella occasione le donne del Terzo Mondo sottolineano la necessità di una lotta unitaria con gli uomini contro i regimi dittatoriali. In Europa occidentale, contemporaneamente in Francia, Inghilterra, Germania, Olanda, Paesi Scandinavi e Italia, gruppi di donne si organizzano spontaneamente per la propria liberazione. In Francia il f. nasce all'interno del movimento studentesco. Il Mouvement de Libération des Femmes (MLF) raccoglie migliaia di militanti che anche se con posizioni diverse praticano la rigorosa separazione dai maschi e si organizzano in modo autonomo. Si forma il MLAC (Mouvement pour la Liberté d'Avortement et Contracception) che in collaborazione con l'MLF pubblica nell'aprile del 1970 un manifesto nel quale 343 donne dichiarano di essersi sottoposte, contro la legge allora vigente, ad aborto. Tra le firmatarie nomi famosi della cultura e dell'arte. Negli anni successivi il movimento femminista continua la battaglia per la liberalizzazione dell'aborto creando un'organizzazione capillare, in collaborazione con alcuni medici, in grado di praticare aborti con le tecniche più moderne (aspirazione con il metodo Karman). Grande scalpore anche internazionale suscita il processo per aborto, intentato nell'ottobre del 1972 a Bobigny, a una minorenne e trasformato dall'MLF in processo politico. Tra gli altri gruppi che fanno parte dell'MLF (Femmes révolutionnaires, Gouines Rouges, ecc.), è da ricordare Psychanalyse et politique, soprattutto perché ritiene fondamentale per la liberazione non più solo la politica tradizionalmente intesa ma anche l'analisi delle motivazioni inconsce e la lotta ai valori maschili interiorizzati nel tempo dalle donne. L'8 marzo 1974 nasce la Lega per i diritti delle donne, che, presieduta da S. de Beauvoir, organizza l'SOS Femmes, per aiutare le donne in difficoltà (violenze sessuali e di altro genere, consigli legali, ecc.). Nel novembre dell'anno successivo, nel teatro della Mutualité a Parigi, si tiene il primo congresso delle prostitute francesi, con la solidarietà delle femministe. Tra le molte iniziative del movimento femminista, oltre alle Maisons des femmes, da segnalare la creazione di una casa editrice femminista (Editions des femmes) che dal 1972 stampa testi scritti da donne per le donne e dal 1974, con periodicità irregolare, le Quotidien des Femmes. In Inghilterra è ancora il 1970 a segnare l'inizio del f. con il confluire nel Women's liberation movement di donne che militavano nel movimento degli studenti e del partito laburista. I temi delle lotte sono analoghi a quelli degli altri paesi: parità salariale a parità di lavoro, tutela delle ragazze madri, legislazione sull'aborto, lotta alla divisione dei ruoli, recupero della sessualità femminile contrapposta e condizionata da quella maschile, valorizzazione di tutto il corpo, lesbismo. Nel 1969 si era ottenuta, con l'abortion act, una legislazione favorevole alle donne e l'anno successivo diventa legge il principio di uguale salario per uguale lavoro, richiesto con forza nel convegno femminista di Oxford nel luglio precedente. Nel 1970, durante la contestazione del concorso di bellezza per l'elezione di Miss Mondo, si leggono i primi cartelli contro lo "sciovinismo maschile". È del 1971 il primo centro londinese per la tutela delle "donne malmenate" e contro ogni violenza, anche carnale; dopo appena quattro anni sono sorti 40 centri analoghi in tutta la Gran Bretagna. L'iniziativa si sta attualmente diffondendo anche negli altri paesi europei, dove si creano i rape center (centri antistupro). Tra le campagne dei gruppi aderenti al WL da ricordare quella contro la pubblicità di indumenti intimi femminili, condotta ricoprendo i manifesti con striscioline di carta. Anche le femministe inglesi ritengono infatti che la pubblicità sfrutta la donna come oggetto sessuale. Sul tema dello sfruttamento si organizza il PUSSI (Prostitute Unite per l'Integrazione Sociale e Sessuale). La prima manifestazione pubblica del WL si ha a Londra nel febbraio del 1971 per chiedere uguaglianza reale nella famiglia, maggiore presenza di donne nel sindacato, servizi sociali e libero accesso a tutte le professioni. Il f. inglese si organizza in workshops (luoghi d'incontro e di dibattito) diffusi ora in tutte le città e i centri minori. La rivista Shrew, redatta a turno da gruppi diversi, coordina nelle sue fasi iniziali il movimento femminista, ma oggi sono numerosissime le testate femministe anche se a circolazione locale. Anche nei Paesi Bassi il f. è molto attivo. Sono conosciuti soprattutto due gruppi, l'MVM Man-Vrouw-Maatschappij ("Uomo-Donna-Società"), nato negli anni Sessanta e le Dolle Minas ("Mine matte") che prendono il loro nome da Mina (Guglielmina) Drucker, una suffragetta dell'inizio del secolo. L'MVM contesta l'attuale società, responsabile dell'alienazione di uomini e donne; quindi lotta per la modificazione della struttura sociale. Si organizza in gruppi di ricerca e di attività teorizzando la maggiore "infiltrazione" possibile in tutte le istituzioni. Le Dolle Minas sono note invece per le loro azioni di disturbo contro i clubs maschili e per avere tappezzato, nel passato, i bagni pubblici, riservati ai soli uomini, di nastri rosa. Nel 1970 si contrappongono, all'interno del gruppo, due posizioni, la strutturalista e la mentalista, la prima privilegia la lotta al sistema sociale, la seconda propone una modificazione interiore per uomini e donne che preceda ogni radicale cambiamento della società. Prevale la prima posizione che attualmente si esprime con lo slogan "la vera liberazione è possible solo nella società socialista". Il loro giornale si chiama Evoluzione. Come altrove le lotte quotidiane per i servizi sociali, il controllo delle nascite, la formazione professionale femminile, vedono l'unità tra tutti i gruppi. In Svezia le femministe più attive sono nel Gruppo 8, organizzato in "piccoli gruppi" autonomi di studio e di azione. Le femministe svedesi ritengono che la donna sia sfruttata "come salariata e come casalinga", sostengono perciò che la lotta per il socialismo e quella per la liberazione sono "profondamente connesse" oltre che essere alla base della liberazione di tutti gli esseri umani. Il Gruppo 8 ha un suo giornale dove documenta le attività dei collettivi sui temi: aborto, scuole materne, parto indolore, bassi salari. Il primo intervento ufficiale del femminismo tedesco è del 1968, quando a un congresso dell'SDS (movimento studentesco) a Francoforte, un gruppo di donne, l'Aktionrat zur Befreiung der Frauen denuncia il "maschilismo" delle organizzazioni politiche, rivendicando il diritto a battersi per la propria liberazione. Si formano allora nelle maggiori città della Germania organizzazioni di sole donne come lo SFB ("Lega delle donne socialiste") a Berlino, e il Weiberrat a Francoforte. Nel 1971 si lancia una campagna nazionale per la libertà d'aborto che prende il nome di Aktion 218. Da questo momento il f. tedesco comincia a estendersi in tutto il paese fino ad arrivare al primo congresso nazionale (Francoforte 1972) dove sono presenti 35 gruppi da più di 20 città, tra i quali Brot und Rosen e l'FBA ("Azione-Liberazione della donna"). Anche in Germania emergono posizioni diverse all'interno del movimento femminista. Nel congresso nazionale di Francoforte del 1973 si verifica una spaccatura tra le militanti di formazione marxista e quelle più vicine al f. radicale americano. Ciononostante le donne sono attive nell'organizzare strutture alternative (negozi, asili nido, ecc.), aprire consultori e centri della donna, gestire i propri organi d'informazione. Si formano anche i primi gruppi lesbici; nell'estate del 1974 a Itzehoe le femministe manifestano contro le prevenzioni della corte durante un processo per omicidio contro due donne lesbiche. Numerose le iniziative in campo culturale; in primo luogo la stampa femminista (EFA, Frauenzeitung, Lesbenpresse, Frauen und film, ecc.). Nel 1973 si è tenuto a Berlino il primo seminario internazionale di film delle donne e l'anno successivo il gruppo femminista Uni-Frauen ("Donne dell'università") ha ottenuto l'istituzione di una cattedra sulla condizione della donna e "l'ideologia della femminilità". Nel 1975 si costituisce a Monaco la prima casa editrice femminista (Frauenoffensive) che stampa le elaborazioni del movimento. Una delle teoriche più famose è A. Schwarz. Di recente si è formato a Berlino il gruppo Frauen in der Kunst che organizza mostre e dibattiti. Agl'inizi del 1976, dichiarata l'incostituzionalità del progetto di legge sull'aborto, il movimento femminista ha risposto con manifestazioni di piazza e la diffusione del self-help. Anche in Italia per il f. l'anno cruciale è il 1968, l'anno della rivolta studentesca. Ma già nel 1966 è presente a Milano un gruppo di sole donne, il DEMAU (DEMistificazione AUtoritarismo patriarcale). L'obiettivo è superare le tradizionali concezioni "emancipazioniste" delle organizzazioni storiche femminili, in particolare dell'UDI (Unione Donne Italiane). Nel 1970 si costituisce l'MLD (Movimento di Liberazione Della Donna) che, federato al Partito radicale, ammette al suo interno anche gli uomini come possibili alleati nella lotta per la liberazione. L'MLD, nel suo primo congresso (1971), denuncia la "natura specifica dell'oppressione della donna a livello economico, psicologico e sessuale" e propone un disegno di legge per la legalizzazione dell'aborto, richiede la liberalizzazione degli anticoncezionali e l'istituzione di asili nido antiautoritari. Ugualmente aperto agli uomini ma con una maggiore attenzione agli aspetti sociali della discriminazione verso le donne nasce nel 1970 il FILF (Fronte Italiano di Liberazione Femminile). Crisi occupazionale, crisi della famiglia, esplosione demografica e inquinamento, sono i temi fondamentali sui quali si muove il Fronte. Organo d'informazione del gruppo è la rivista Quarto Mondo. Tra i gruppi di più antica data Rivolta Femminile (estate 1970) che, a differenza di quelli già citati, è rigidamente separatista, esclude cioè dall'organizzazione gli uomini. Solo partendo dalle condizioni specifiche di donne, infatti, le femministe pensano di potersi sottrarre a ogni forma di subordinazione alla società attuale, rifiutando di delegare ad altri la propria liberazione. Le militanti di Rivolta Femminile si dividono in piccoli gruppi di "auto coscienza", per individuare attraverso il confronto tra le singole esperienze elementi di unità tra le donne. Per la prima volta in Italia si afferma che tutte le donne subiscono un'oppressione a "prescindere da proletariato, borghesia, tribù, razza, età e cultura". Rivolta Femminile rifiuta ogni tipo di organizzazione o di proselitismo come dichiara nel suo manifesto di fondazione, mentre altri gruppi di donne si formano spontaneamente in alcune città del Nord. Intanto a Trento, all'interno dell'università occupata dal movimento studentesco, il collettivo Cerchio Spezzato elabora uno tra i più noti documenti ("non c'è rivoluzione senza liberazione della donna") del f. italiano. Il risultato dell'elaborazione dei temi espressi in quel documento è il libro La coscienza di sfruttata, la prima analisi femminista sulla condizione della donna in Italia. L'anno successivo si svolge a Milano il primo convegno nazionale femminista, un "incontro tra donne" che ha già i caratteri antileaderistici e antiburocratici che assumerà poi tutto il movimento. Argomento delle discussioni, l'autonomia politica e organizzativa e il separatismo. "Il nostro deve essere un movimento di sole donne perché non può esserci un'unità tra uomini e donne se non c'è prima unità tra donne". La proposta che scaturisce dall'incontro è l'organizzazione in "piccoli gruppi di autocoscienza" che oggi è uno dei cardini del f. in tutto il mondo. Anche se le militanti provenienti dalle organizzazioni politiche tradizionali della sinistra privilegiano soprattutto l'intervento sociale, si preferisce sensibilizzare le donne sulla richiesta di "salario al lavoro domestico" (Lotta Femminista, Comitato Triveneto per il salario, con collegamenti internazionali) e intervenire nelle fabbriche a prevalente occupazione femminile (MLDA, Movimento di Liberazione della Donna Autonomo). Tra i gruppi che fin dall'inizio hanno scelto esclusivamente la pratica dell'autocoscienza i più conosciuti sono quello di via Cherubini e l'Anabasi a Milano, il Movimento femminista romano e le Nemesiache a Napoli. L'esistenza in Italia di una tradizione di lotte del movimento operaio si fa sentire in tutto il movimento femminista a differenza di altri paesi. Infatti la necessità di collegare la liberazione della donna a un cambiamento sociale generale e profondo è un tema sempre presente in tutti i gruppi femministi (tra questi i Collettivi femministi comunisti). Pur nella diversità d'impostazione restano validi per tutte i contenuti fondamentali del movimento femminista: autonomia politica e organizzativa, critica radicale della famiglia come centro dell'oppressione, lotta al doppio lavoro e ai ruoli sessuali, rifiuto della sessualità finalizzata alla riproduzione, omosessualità, libertà e gratuità dell'aborto e della contraccezione, lotta contro ogni violenza. Il 5 giugno 1973 il processo a G. Pierobon, accusata di procurato aborto, si trasforma in una manifestazione di protesta con il confluire a Padova di femministe da tutta Italia. Da questo momento il f. promuove varie iniziative per la liberalizzazione dell'aborto, culminate in una grande manifestazione di piazza con decine di migliaia di donne a Roma nella primavera del 1975. Si diffonde il self-help: gruppi di donne s'incontrano per approfondire la conoscenza tecnica e psicologica del corpo femminile in modo da poter controllare la propria salute. Altre donne che rivendicano una medicina che risponda alle loro esigenze creano i Centri di salute della donna che con i consultori femministi iniziano l'autogestione dell'aborto. Opera in molte città il CISA (Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto) che offre assistenza e consigli pratici alle donne che vogliono abortire, mentre il CRAC (Comitato Romano Aborto e Contraccezione), dopo un periodo di autogestione di propri consultori, si batte ora per la gestione e il controllo di tutte le donne nei consultori pubblici previsti da apposite leggi regionali. Negli ultimi due anni il f. si estende ancora nei quartieri e nei luoghi di lavoro, coordinandosi nelle diverse città, come accade a Roma con il Centro della donna di Via Capo d'Africa. Il f. in Italia ritiene che la manifestazione di piazza non dev'essere un "gesto clamoroso", ma il risultato di una reale ed estesa maturazione delle donne. A questo riguardo alcuni collettivi respingono la manifestazione in sé, tra questi quello di Via Cherubini a Milano, che teorizza la massima valorizzazione dell'"inconscio femminile". Dal 1974 a oggi sono state solo tre le manifestazioni nazionali e di queste va menzionata per la sua originalità quella che si è svolta di sera a Roma alla fine del 1976 contro la violenza, con lo slogan "riprendiamoci la notte, riprendiamoci la vita". Per scambiare esperienze, per concordare obiettivi comuni, per incontrarsi "tra donne" centinaia di femministe si riuniscono ogni anno (a Pinarella nel 1974 e 1975, a Paestum nel 1976). Punti d'incontro e di dibattito del movimento sono la libreria femminista La Maddalena a Roma e quella in Via della Dogana a Milano. Abbastanza varia la stampa femminista, che con una rivista mensile (Effe) è presente anche al convegno della stampa femminista europea a Parigi (marzo 1977). Altre pubblicazioni di movimento sono Sottosopra, Differenze, Le Operaie della casa. Recente anche la costituzione delle Edizioni delle donne, che ha già diffuso numerosi testi italiani e stranieri. Le femministe inoltre sono presenti in varie città con trasmissioni radio autogestite (la più conosciuta è "Radio Donna" a Roma). In conclusione il f. italiano ha influito nel paese soprattutto per quanto riguarda la legislazione sull'aborto ma anche modificando il costume e la "tradizionale immagine della donna". Bibliografia: S. Mill, The subjection of women, Londra 1869 (trad. it. Roma 1971); F. Engels, Der Ursprung der Familie des Privateigentums und des Staats, Hottingen-Zurigo 1884 (trad. it. Roma 1963); A. Bebel, Die Frau und der Sozialismus, 50° ed., Stoccarda 1912 (trad. it. 1971); S. De Beauvoir, Le deuxièeme sexe, Parigi 1949 (trad. it. Milano 1962); M. Mead, Male and female, New York 1949 (trad. it. Milano 1972); B. Friedan, The feminine mystique, Londra 1963 (trad. it. Milano 1972); L. Capezzuoli, G. Cappabianca, Storia dell'emancipazione femminile, Milano 1964; W. H. Masters, V. Johnson, Human sexual response, Boston 1966 (trad. it. L'atto sessuale nell'uomo e nella donna, Milano 1967); V. Solanas, SCUM Manifesto, New York 1967 (trad. it. Roma 1976); E. Sullerot, Histoire et sociologie du travail féminin, Parigi 1968 (trad. it. La donna e il lavoro, Milano 1969); K. Millet, sexual politics, New York 1970 (trad. it. Milano 1971); E. Figes, Patriarchal attitudes, Londra 1970 (trad. it. Il posto della donna nella società degli uomini, Milano 1970); G. Greer, The female eunuch, Londra 1970 (trad. it. Milano 1972); The Boston women's health book collective, Ourselves, our bodies, Boston 1970 (trad. it. Milano 1974); I movimenti femministi in Italia (a cura di R. Spagnoletti), Roma 1971; C. Saraceno, Dalla parte della donna, Bari 1971; J. Michelet, La Strega, Torino 1971; D. Cooper, The death of the family, Londra 1971 (trad. it. Torino 1972); J. Mitchell, Womans' estate, ivi 1971; (trad. it. Torino 1972); Autori vari, La coscienza di sfruttata, Milano 1972; M. Ramelson, The Petticoat rebellion: a century of struggle for women's rights, Londra 1972; M. R. Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Padova 1972; Per un movimento politico di liberazione della donna (a cura di L. Menapace), Verona 1972; E. Morgan, The descent of woman, Londra 1972 (trad. it. Torino 1974); Femminismo e lotta di classe in Italia, a cura di B. Frabotta, Roma 1973; S. Nozzoli, Donne si diventa, Milano 1973; E. Giannini Belotti, Dalla parte delle bambine, ivi 1973; C. Ravaioli, Maschio per obbligo, ivi 1973; C. Broyelle La moitié du ciel, Parigi 1973 (trad. it. Milano 1974); S. Rowbotham, Women, resistance and revolution, Londra 1973 (trad. it. 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Cardinal, Le parole per dirlo, Milano 1976; L. Muraro, La signora del gioco, ivi 1976. Nicoletta Varani. La condizione della donna nell’Africa sub-sahariana Alcune riflessioni sulla geografia di genere / Diritti Umani in Africa – Fig. 1 - Diffusione della pratica delle mutilazioni femminili 19 Febbraio 2009 Il quadro di riferimento Nel 2000 la Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite ha posto degli importanti obiettivi di sviluppo che hanno impegnato la comunità internazionale al raggiungimento di traguardi concreti, quali lo sviluppo e la riduzione della povertà entro il 2015. Tra questi obiettivi, fondamentale è quello che si prefigge di promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, essendo questo un prerequisito essenziale per la realizzazione della giustizia sociale, dello sviluppo e della pace e, quindi, per il conseguimento degli altri obiettivi. Anche un altro obiettivo (che tutti i bambini possano completare un intero ciclo di scuola primaria entro il 2015) è un diritto in particolare negato più alle bambine le quali - in condizioni gravemente disagiate vengono spesso costrette - fin dalla loro tenera età - a svolgere mansioni all’interno della famiglia di origine che le priva di poter avere l’educazione loro necessaria per affrontare un futuro più consapevole. Nonostante gli importanti progressi compiuti in questo campo, infatti, la disuguaglianza tra i sessi continua ad esistere. Le donne sono fortemente discriminate a tutti i livelli e hanno limitate possibilità di accesso all’istruzione, all’informazione, alle risorse e ai servizi, subendo, spesso, violenze e abusi di ogni tipo. Alla luce di ciò, la presente riflessione si è proposta di analizzare sinteticamente in prima battuta lo status economico, sociale e politico della donna in Africa, continente in cui la condizione di inferiorità della donna assume toni particolarmente drammatici; e in seconda analisi fornire un quadro dei principali strumenti giuridici sui diritti umani del continente africano con riferimento alla tutela da questi prevista per i diritti della donna: Dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo, Carta araba dei diritti dell’uomo e Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, documenti molto diversi tra loro per origine, natura e forza vincolante. Infine, vengono presi in considerazione alcuni casi di studio per confrontare realtà diverse, per storia e tradizioni, di Paesi dell’Africa sub-sahariana, ma accomunate da importanti progressi nella strada verso l’emancipazione femminile. Donne e disuguaglianze di genere Parlare della condizione della donna in Africa non è certo questione da poco, non lo è mai parlare della donna e l’argomento si fa ancor più complesso quando le realtà da considerare e trattare sono tanto frammentate e diversificate. Condizione della donna, lavoro della donna: le due cose non possono essere prese separatamente. Se in occidente lavoro significa spesso emancipazione, realizzazione personale e autonomia, nei Paesi africani la questione diventa vitale, parlare di lavoro porta il discorso sulla vita stessa delle donne, il loro valore e la loro sopravvivenza. A questo proposito si è parlato di mani invisibili che silenziosamente, da sempre, costruiscono l'Africa, ne strutturano la stessa società. Donna come lavoratrice, dunque, comunque e sempre; non esiste, in Africa, donna che non lavori, la sua è una forza doppiamente produttiva, come donna madre-nutrice e come donna produttrice. La situazione non cambia molto se si vogliono considerare le particolarità di ogni diverso paese, le singolarità delle più varie tradizioni. Cambiano i ruoli, forse, cambiano i rapporti familiari (in parte), la religione e il suo peso all’interno della comunità, ma ciò che resta invariata è l’importanza e il significato del ruolo femminile. Per quanto un diverso peso possano avere le leggi consuetudinarie e religiose dei diversi Stati, va subito detto che il ruolo della donna africana è, ovunque e comunque, insostituibile: è responsabile della casa e della famiglia, dell’educazione dei figli e così come la parte del lavoro di sussistenza che ha luogo entro il territorio domestico (in campagna, ad esempio, gli animali da cortile sono regolarmente alimentati e seguiti dalle donne). In merito andrebbe fatta una decisa distinzione fra la condizione delle donne di città e quelle di campagna, ricordando che in linea di massima, per quanto sembri contraddittorio, la donna tende a godere di un benessere maggiore (almeno per quanto riguarda l’importanza e il riconoscimento del suo ruolo) negli ambienti rurali. Il suo spostamento nelle città porta spesso all’annullamento di tradizioni e di valori che ancora sopravvivono nelle campagne e di conseguenza ad un peggioramento, in alcuni casi, del suo status sociale. A ciò si contrappone l'importante fatto che nelle campagne la donna affronta la gestione quotidiana della famiglia e dell'abitazione, impegni che sono notevolmente più duri e pesanti che nelle situazioni urbane. La madre (ma anche le figlie o le altre donne del nucleo familiare) avrà il compito quotidiano e pesantissimo di andare tutti i giorni a procurare la legna da ardere (impresa questa spesso gravosa, vista la scarsità di legna da ardere a causa del disboscamento intensivo avvenuto in molti Paesi o perché altri sono nella vasta area del Sahel) e prendere l'acqua al pozzo (solitamente lontano diversi chilometri dal villaggio) il compito di garantire acqua alla propria famiglia. In molte zone aride dell’Africa sub-sahariana la raccolta dell’acqua è un un’incombenza quotidiana che costringe le donne (mamme, figlie, giovani e bambine) a percorrere 2-3 ore di cammino per raggiungere una fonte e portare a casa una provvista giornaliera. La raccolta e il trasporto dell’acqua diventa un onere che ruba il tempo ad altre attività, ad esempio alla scuola dove le bambine sono discriminate rispetto ai bambini nell’accesso all’istruzione proprio perché molti compiti domestici sottraggono loro molto tempo della giornata. Con l'inurbamento (e la dominazione coloniale) la donna ha subito il passaggio, avvenuto negli ultimi due secoli, dalle leggi consuetudinarie alle legislazioni moderne, che, invece di migliorarne le sorti, talvolta le ha addirittura peggiorate. Si prenda ad esempio il Senegal, dove la legge sulle comunità rurali mostra come una legislazione, in prima analisi sessualmente neutrale, possa ritorcersi contro le donne. Qui un consigliere rurale su tre deve essere il rappresentante di una cooperativa, e ciò ha portato i gruppi più diffusi, cioè le comunità di donne, a trovarsi di fatto escluse dalle istanze decisionali. Negli ultimi anni, sempre nel consolidato rispetto delle tradizioni familiari e comunitarie, lo spirito di intraprendenza che contraddistingue le donne africane ha prodotto diverse soluzioni per contrastare l’inefficienza dei poteri pubblici e i risultati spesso solo teorici delle politiche di sostegno. Per prima la solidarietà e l’aggregazione di gruppo. Ad esempio nella stessa struttura poligamica le diverse mogli trovano tra di loro sostegno e aiuto nelle innumerevoli mansioni familiari, così all'interno della più estesa società le donne trovano il modo di sostenersi anche economicamente. Ecco allora il crearsi delle mutue e di “tontine” (associazioni molto antiche in cui i partecipanti pagano una quota e alimentano una cassa comune di cui ciclicamente dispongono per portare a termine i loro progetti. Nel Camerun, ancora oggi la tontina è il pretesto per un modo di associarsi ed aiutarsi a vicenda che viene chiamato “la società degli amici”. Il denaro motiva le persone a riunirsi, ma l'obiettivo non è quello. Peraltro la quota può essere molto esigua ed essere versata in natura. La priorità è data alla qualità dei legami sociali e di amicizia che si creano. Si forma così una società reale, fuori dall’economia e fuori dallo Stato, che funziona con le sue proprie regole, e che ha quindi anche inventato dei sistemi di regolazione dei conflitti e dei litigi; un ingegnoso metodo di risparmio gestito all’interno di un gruppo di pari). Non è un caso infatti se oggi le giovani donne africane si appassionano per tutti i corsi di formazione che riguardano i meccanismi bancari e le strutture di finanziamento. Dalle numerose ricerche sociali condotte sulla popolazione femminile è poi emerso come l'istruzione sia vista come una delle esigenze più fortemente sentite: purtroppo in molti Paesi i corsi rivolti alle ragazze sono ancora prevalentemente di economia domestica o discipline simili che ben poco possono offrire in termini di sviluppo lavorativo e di affrancamento sociale. Si deve, poi, aggiungere che spesso gli uomini impediscono la strada di accesso all’università, difficoltà a cui, solo negli ultimi tempi, le donne hanno risposto formando dei gruppi di risparmio per mantenere agli studi le ragazze più povere del loro villaggio come è accaduto ad esempio in Camerun e in Ghana. Sono fondamentali dati più precisi e analisi accurate, specialmente su temi come la mortalità materna, la violenza contro le donne, l'istruzione, il lavoro, il salario, il lavoro non pagato e l'impiego del tempo, la partecipazione in politica La condizione economico sociale della donna africana Per quanto solo raramente e difficilmente riconosciute oltre il loro ruolo di mogli e madri, resta il fatto che l’Africa sub-sahariana è una delle regioni al mondo in cui le donne, indipendentemente dall’età, lavorano di più e, elemento da non sottovalutare, a tale forza economica non corrisponde, se non in parte minima, un potere sociale e politico. Le ore di lavoro di una donna senegalese che vive nelle zone agricole possono arrivare a diciotto e la situazione non cambia di molto per chi vive nei Paesi vicini. Per fornire un’idea più precisa, che cosa fanno, le donne, e quali sono i molti lavori in cui il loro apporto è praticamente indispensabile basti pensare alle zone rurali dove la giornata lavorativa inizia all'alba e non termina finché ogni membro della famiglia non è stato nutrito e curato. Per quanto concerne il lavoro nei campi ad esempio la risicultura in Africa occidentale è una delle attività che talvolta vede impegnate solo le donne, mentre nelle terre Peul è loro affidato l'allevamento; in generale le donne rappresentano l'80% della forza lavoro utilizzata nella produzione alimentare. A fronte di questo impegno si ricordi che, salvo rare eccezioni in cui è femminile anche la proprietà di terre e bestiame (la Namibia per il bestiame o i Paesi Zulu per campi e granai), la donna non può né possedere né controllare la terra che lavora. Nel contesto lavorativo della donna africana non va tralasciato un altro importante aspetto: per molte comunità l'uomo col matrimonio (e con la dote che consegna alla famiglia della sposa) acquista il lavoro della moglie, la quale avrà come uniche alleate e aiuti le eventuali altre mogli dello sposo e i figli. All'uomo spetta tradizionalmente il lavoro cosiddetto pesante, (la caccia, la pesca, la costruzione delle capanne, l'abbattimento degli alberi...) ma alla donna spetta in genere l'intera gestione del lavoro all'interno della casa e, in caso, della campagna. Oltre alla preparazione dei cibi (che impegna numerose ore al giorno) e, come già detto, la ricerca e raccolta di legna e trasporto dell'acqua, non è raro che la donna si impegni nella vendita e in altre attività il cui reddito servirà totalmente ai fabbisogni della famiglia, mentre i guadagni dell'uomo spesso non sono messi a disposizione dei bisogni comuni. Le donne si trovano quindi a non poter gestire autonomamente le proprie entrate. Sempre nelle campagne, la tecnica, quando interviene in forma di attrezzi e strumentazioni moderne, è considerata un bene unicamente degli uomini, mentre le donne devono continuare a lavorare con mezzi arcaici e inadeguati. La situazione nelle città è ancor peggiore: la mancanza di formazione spinge in massa verso il lavoro nero e la crisi, la miseria è aggravata dalla competizione con l'uomo. Così, nelle città, decine di migliaia di disoccupati fanno concorrenza alle piccole commercianti e altre lavoratrici, contendendo loro le attività più retribuite. Se sono le prime ad essere colpite, le donne si dimostrano però anche le prime ad arrangiarsi e a trovare soluzioni per risollevarsi. Negli anni Ottanta, ad esempio, quando i tagli drastici hanno gettato sul lastrico migliaia di dipendenti statali congolesi, sono state le donne ad andare al mercato per mantenere la famiglia. Grande capacità di organizzazione e immensa energia, dunque, ma la possibilità di ottenere un credito per una donna resta ancora un'impresa ardua: per accedere a un prestito, infatti, bisogna poter dare un bene in pegno e possedere fondi sufficienti, condizioni entrambe che escludono le donne dal farne ricorso. Nonostante questo, però, ci sono casi, alcuni veramente eclatanti, in cui le donne sono riuscite ad aggirare la dura legge locale e a ricoprire ruoli importanti nelle reti commerciali. È questo il caso delle cosiddette Nanas-Benz, un gruppo di donne che, più di trent'anni fa, in Togo, ha capito come il denaro sia alla base della guerra dei sessi. Queste donne, nubili, vedove o divorziate, hanno fatto fortuna concludendo accordi in esclusiva con le grandi imprese europee di import-export per la vendita di accessori nel settore del tessile per poi svilupparsi in altri settori. Anche nei settori come l'agroalimentare le donne sono molto presenti. In Nigeria, ad esempio, le commercianti yoruba utilizzano i loro contatti nel villaggio (se necessario facendo ricorso anche ai vincoli di solidarietà familiare) per ottenere informazioni sui futuri raccolti. In Burkina creano campi collettivi mentre a Lomé i grandi commercianti di pesce sono donne e possiedono due terzi dei pescherecci del porto. Come si vede, là dove la tradizione e la legge crea barriere e limiti, l'intraprendenza e intelligenza delle donne riesce, comunque, a spuntarla grazie allo spirito di solidarietà e quindi all'unione. Queste realtà restano, però, delle eccezioni in una situazione diffusa in cui il peso enorme del mantenimento di una famiglia e del rispetto delle leggi consuetudinarie impedisce alle capacità femminili di avere la giusta espressione e ricompensa. Sono ancora troppe le donne soffocate, e rese invisibili da una società consuetudinaria di impronta maschile o, se sole, stritolate dalle prime necessità vitali e costrette ai lavori meno dignitosi anche e soprattutto a causa del bassissimo livello di istruzione che vieta loro l'accesso agli impieghi meglio retribuiti Ancora è importante sottolineare che il valore primo di una donna, quello per cui essa viene data in sposa e per la quale la sua famiglia riceve una dote dal marito, è, oltre alla sua forza lavoro, la sua fertilità; a queste condizioni di vita si può ben capire come tale capitale divenga un bene perennemente a rischio e, nel contempo, quanto le gravidanze e i parti siano a loro volta un pericolo sempre più grave per queste vite già rese deboli dalle fatiche quotidiane. La maggior parte delle donne che vivono nelle campagne (ma non solo) sono date in spose a una età giovanissima e cominciano a far figli quando sono poco più che delle bambine (e come noto la salute delle ragazze è minata, fin dalla più tenera età, dalle pratiche ancora molto diffuse dell'escissione e dell'infibulazione); questo, aggiunto alla frequenza delle gravidanze e al fatto che non esista riposo per la donne gravida (che continua a faticare fino alle ultime settimane prima del parto) porta a un tasso altissimo di mortalità. Una cifra per tutte, fornita dal rapporto UNICEF (2007): oltre 160.000 donne africane muoiono ogni anno durante il parto o nelle settimane successive (nell’Africa sub-sahariana una donna su 16 muore durante la gravidanza o il parto) o dopo aborti clandestini ad alto rischio. Questo per non parlare delle complicazioni che possono seguire il parto, le infezioni e le malattie che una pressoché assente o comunque scadente copertura sanitaria non riesce a prevenire e curare. È abbastanza semplice comprendere che le cause di questo dramma sono da attribuirsi sì a una tradizione e una religione locale che mette la salute e la vita stessa della donna in secondo piano rispetto alla sua “funzione” di genitrice, ma anche alla mancanza di una corretta educazione sanitaria e una diffusa azione preventive. Il vedere la donna sempre come riproduttrice, conduce, poi, al paradosso che le cure e le campagne di prevenzione la sfiorano solo indirettamente, portandola così a non essere mai studiata per se stessa ma solo come madre‚ dai grandi progetti internazionali e dalle autorità nazionali. Anche i progetti di sensibilizzazione delle donne africane compiuti dalle Nazioni Unite al fine di porre un freno all'eccessiva natalità in queste zone non hanno quasi mai colto a segno l'obiettivo; non si può, infatti, parlare di libertà di scelta della donna per quanto riguarda la sua fertilità o addirittura di scelta di non procreare. Nell’Africa sub-sahariana la sterilità può portare una donna ad essere messa al bando nella sua società, è quindi impensabile partire dalla limitazione delle nascite. Il problema da risolvere in prima emergenza è, invece, quello delle malattie e della morte per parto. Le cause sono, come si è visto, molteplici e complesse, ma le più importanti vanno senza dubbio attribuite alla fatica dei ritmi di lavoro, cui si uniscono numerose carenze nutrizionali, soprattutto di ferro (da cui il rischio di anemie responsabili del 20% delle morti al momento del parto), vitamina A, zinco e iodio. Molte donne giungono al termine della gestazione in gravi condizioni di denutrizione, col risultato di non essere in grado di sostenere la fatica del parto e le frequenti complicazioni che in tali condizioni facilmente si presentano. La malaria rappresenta un pericolo particolarmente grave: il 75% delle donne africane vive in zone malariche malattia che ha avuto una forte recrudescenza negli ultimi anni) il che provoca frequenti crisi di paludismo con distruzione dei globuli rossi; si accentua così il rischio di anemia per le gravide, particolarmente vulnerabili alla malattia. Come se ciò non bastasse, le donne sono, da sempre, le vittime più esposte all'infezione del virus dell'HIV: per quanto la conoscenza sui rischi sia relativamente diffusa, le donne in Africa subiscono, una volta di più, la loro scarsissima facoltà decisionale all'interno dei rapporti familiari e di coppia. Pochissima prevenzione per quanto riguarda l'Aids, dunque, e il discorso non migliora se si considerano le donne più anziane. Come si vede, dunque, la situazione di vita, prima ancora che lavorativa (anche se i confini si fanno sempre più sfumati) delle donne è una realtà dura e difficilmente risolvibile poiché anche quando si rendono conto di quali sono i propri bisogni in termini medici e nutrizionali, le donne spesso non possono fare nulla per provvedere, perché le loro primarie necessità ( cibo e cure) sono sempre secondarie rispetto a quelle del resto della famiglia. Volendo trarre delle conclusioni, è fin troppo evidente come la responsabilità di tanti problemi, dalla nutrizione alla salute, l'istruzione e il lavoro, non possa essere banalmente attribuita a leggi e regole consuetudinarie troppo dure da scalfire. Lavoratrici invisibili, senza retribuzione, senza diritto alla terra, alla proprietà, al credito, all'eredità. Sfruttate a piacimento su terre che non gli appartengono e che, in caso di divorzio o di morte del marito, gli saranno subito tolte dalla famiglia acquisita. Anche le donne delle città assolvono ai lavori più faticosi e meno retribuiti. La mancanza di formazione le ha spinte in massa verso il lavoro nero: nell'Africa sub-sahariana il 60% delle donne che lavora lo fa in proprio (il tasso più alto del mondo): piccole venditrici di frutta e verdura, di medicinali più o meno adulterati, distillatrici di alcol di manioca, venditrici di acqua. In Africa lavorare non è una questione di scelta, e ancor meno di soddisfazione personale o di emancipazione, è una questione di sopravvivenza. Dai pochi spiccioli racimolati ogni sera dipende la vita della famiglia: spesso il minimo indispensabile per sfuggire alla miseria . La crisi è aggravata dalla competizione tra uomini e donne. Nell'agricoltura, dove i programmi di aggiustamento hanno colpito duramente le contadine, privilegiando le coltivazioni di rendita e l'appropriazione privata delle terre. Nel mondo del lavoro ufficiale, dove sono state le prime a essere licenziate (in proporzione le donne hanno sofferto per le restrizioni di bilancio più degli uomini). Nel lavoro nero, dove i programmi di aggiustamento hanno colpito duramente anche le piccole commercianti delle città, riducendo il potere d'acquisto dei loro clienti e gettando sul lastrico decine di migliaia di disoccupati che oggi fanno loro concorrenza e gli contendono le attività più retribuite. La crisi ha messo in luce e ha aggravato la precarietà del lavoro delle donne e inoltre ha rivelato il loro ruolo centrale nell'economia africana. Diritti umani violati: la violenza fisica Diritti umani, pace e sicurezza sono obiettivi universali. Si potrebbe quindi pensare che siano termini neutrali per le donne, ma non è così. Per una donna, la sicurezza è qualcosa di diverso che per un uomo e come segnala l’UNIFEM, nonostante il gran numero di accordi internazionali e di convenzioni delle Nazioni Unite contro la discriminazione nei confronti delle donne (Tab. 2), la disuguaglianza di genere è ancora molto diffusa e profondamente radicata in molte culture. E al momento attuale sono intervenute nuove “variabili”, che compromettono le azioni e le risorse da investire in questo campo, come la sopraggiunta crisi finanziaria internazionale che sta spostando l’attenzione verso quelle che ora vengono viste come “sfide dello sviluppo” molto più importanti dell’uguaglianza di genere. Tabella 2 – La condizione della donna nella legislazione internazionale e nei documenti dei diritti umani dell’Africa La legislazione internazionale vieta ogni forma di discriminazione contro donne e bambine. I principi sanciti dalla Dichiarazione Universale sono stati ripresi, infatti, da tutta una articolata documentazione internazionale (convenzioni, protocolli, dichiarazioni, carte, ecc.) tra cui per citare i più recenti il documento finale del “Donne 2000. Uguaglianza di genere, sviluppo e pace” della 23ª Sessione Speciale dell’Assemblea dell’Onu del 10 giugno 2000, gli Obiettivi del Millennio (di cui 3 su 8 riguardano direttamente e/o indirettamente la condizione della donna), o ancora l’incisiva campagna internazionale “Dite NO alla violenza contro le donne” lanciata nel 2007 dall’UNIFEM (il Fondo ONU di sviluppo per le donne) che ha avuto l’adesione di oltre 5 milioni di persone nel mondo che si sono unite all’appello in cui si chiede che lo stop alle violenze diventi una priorità dei Governi. E alla quale hanno aderito 29 capi di stato o di governo e 188 ministri rappresentanti di 60 governi, e oltre 600 parlamentari di oltre 70 Paesi. Secondo molti attivisti, impegnati in programmi internazionali e regionali, per porre fine alla violenza sulle donne, non è sufficiente una migliore legislazione per porre fine a questo fenomeno poiché la cultura rappresenta ancora un forte ostacolo a cambiare o modificare certe “usanze”. La convinzione ancora diffusa che le donne africane siano proprietà degli uomini e che perciò devono essere maltrattate è solo una delle “norme culturali” riconosciute come dannose per le donne Tra queste pratiche, matrimoni tra minori, mutilazione genitale femminile, violenza sulle donne, delitti d’onore, e disuguaglianza di genere diffusa. In molti Paesi, queste pratiche sono illegali - vanno contro la legge - eppure persistono perché sono profondamente radicate nella cultura o addirittura sono accettate come norme culturali in alcune società. Tra le altre pratiche che promuovono la violenza contro le donne, l’eredità sulla moglie, ancora profondamente radicata in diverse società africane. Una vedova viene “ereditata” dal cognato o da un pretendente scelto dagli anziani del villaggio, dopo la morte del marito. In alcuni casi, le vedove vengono ereditate con la forza; se rifiutano, vengono maltrattate fisicamente oppure cacciate dal nucleo familiare. Queste tradizioni e pratiche culturali si sono dimostrate difficili da spezzare, nella lotta contro la violenza sulle donne. È facile dire che la cultura rappresenta una grande sfida alla lotta contro questo tipo di violenza; quanto alle risposte effettive nella cultura, il cammino non è ancora neanche iniziato. Tanto che in molti Paesi dell’Africa sub-sahariana ( ma anche in molti altri Paesi del mondo) le tradizioni culturali e le credenze sono spesso più forti delle leggi. È quindi importantissimo cominciare a guardare seriamente quali tipi di intervento sono necessari per affrontare il problema culturale, poiché è nella cultura che si scrive il copione del conflitto di genere. Secondo il rapporto dell’UNFPA, il potere culturale opera attraverso la coercizione. La coercizione può essere visibile, nascosta all’interno delle strutture di governo e delle leggi, oppure radicata nella percezione che le persone hanno di sé. Lo studio osserva come i progressi nella parità di genere non sono mai venuti senza una battaglia culturale e al contempo sottolinea come possa essere rischioso generalizzare sul tema delle culture perché può risultare particolarmente pericoloso giudicare una cultura in base alle norme e ai valori di un’altra. Anche all’interno di una stessa cultura, prosegue lo studio, non tutti concordano sulle stesse norme e valori - in realtà, il cambiamento avviene quando c’è una qualche resistenza alle pressioni culturali. Inoltre nel rapporto viene fatto l’esempio di come le organizzazioni di donne che si battono contro la violenza sulle donne e la diffusione dell’Hiv/Aids non sono “molto amate” tanto che . non ricevono gli stessi fondi di quanti ne vengono concessi ad organizzazioni che fanno capo a uomini. La violenza contro le donne è stato uno dei temi centrali del VI Forum sullo sviluppo dell’Africa (ADF-VI) tenutosi nel novembre 2008 ad Addis Abeba in Etiopia, il cui tema era l’Azione sulla parità di genere, l’empowerment femminile e porre fine alla violenza contro le donne in Africa, Organizzato da Unione Africana, Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa e Banca di sviluppo africana. Tra gli obiettivi dell’ADF - VI: - la creazione di un piano d’azione per stabilire tra le altre cose una rigida attuazione delle legislazioni nazionali ed internazionali sulla violenza contro le donne, e i successivi controlli; - interventi pratici e immediati che dovrebbero cominciare a livello del nucleo famigliare dove spesso inizia la discriminazione di genere, poiché molto spesso sono i genitori che non educano allo stesso modo maschi e femmine nel fare una netta distinzione tra il ruolo dei maschi e le funzioni che spettano solo alle femmine. L’impegno del Forum è stato quello di impegnarsi di fronte al fallimento nell’attuazione delle dichiarazioni internazionali per porre fine alla violenza contro le donne. Tra le dichiarazioni citate all’incontro, e firmate dai leader del Continente, il Protocollo della Carta Africana sui diritti umani e dei popoli: adottato nel 1998 a Banjul, Gambia, in cui si assumono specifici impegni alla lotta contro la violenza sulle donne. I leader hanno poi aderito alla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, del 1979; un accordo che prevedeva già quasi vent’anni fa la creazione di strutture specifiche per combattere la violenza sulle donne. Questi esempi dimostrano i ritardi che esistono in diversi Paesi sulle effettive applicazioni della legislazione. E gli esempi sono molti altri ancora. In Kenya, la legge sulla violenza domestica (di tutela della famiglia) è ancora sospesa, dopo essere stata introdotta in parlamento otto anni fa. In Uganda, la analoga legge sulle relazioni domestiche langue in parlamento da circa dieci anni. E ancora la legge sui reati sessuali del Kenya approvata nel 2006 contiene una clausola che molti ritengono possa penalizzare le donne che denunciano i colpevoli degli abusi sessuali, pregiudicando l’efficacia stessa della legge. Per di più, la legge è stata criticata perché prevede una pena massima per stupro - l’ergastolo ma non stabilisce la sentenza minima, che è lasciata alla discrezione del giudice. Questa ambiguità sminuisce la gravità del reato ed è un ulteriore esempio di come gli abusi contro le donne siano ancora un fenomeno ancora molto diffuso in Africa proprio grazie alle “scappatoie” offerte dalle stesse legislazioni nazionali. Kacinta Muteshi, ex presidente della “Commissione di genere” del Kenya ha dichiarato che le donne possono essere imputate di falsa accusa di stupro, per la mancanza di prove da presentare. Infatti, accade che la violenza non viene denunciata subito e nel momento in cui viene fatto molto spesso “potrebbero” non esserci più le prove. Ci sono poi, in alcuni Paesi in cui imperversano i conflitti, taciti consensi governativi sugli abusi commessi contro donne e minori perché vengono ritenuti un modo per placare combattenti e soldati, e per fornire loro servizi sessuali. È questa in sintesi la dichiarazione rilasciata al Forum di Addis Abeba da Marie Nyombo Zaina, coordinatrice della Rete nazionale di Ong per lo sviluppo delle donne (Renadef) della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Sulla violenza delle donne in Africa è entrato ufficialmente in vigore (8 ottobre 2005) il Protocollo sui diritti delle donne in Africa (documento aggiuntivo alla Carta Africana dei Diritti Umani e dei Popoli sui Diritti delle Donne in Africa). Documento di estrema importanza sia perché sarà uno strumento per aiutare le donne africane a conoscere ed utilizzare i propri diritti sia per l’articolo n. 5 in cui il Protocollo sancisce l’illiceità della pratica delle mutilazioni dei genitali femminili sia civilmente che penalmente, considerandole una violazione dei diritti fondamentali della persona. Si tratta probabilmente della forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega comunità e ostacola lo sviluppo, e secondo il rapporto UNIFEM «è un problema di proporzioni pandemiche». I motivi che portano a praticare le mutilazioni sessuali possono suddividersi in cinque gruppi. Identità culturale: in alcune società, la mutilazione stabilisce chi fa parte del gruppo sociale e la sua pratica viene mantenuta per salvaguardare l’identità culturale del gruppo. Identità sessuale: la mutilazione viene ritenuta necessaria perché una ragazza diventi una donna completa. Controllo della sessualità: in molte società vi è la convinzione che le mutilazioni riducano il desiderio della donna per il sesso, riducendo quindi il rischio di rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. Credenze sull’igiene, estetica e salute: le ragioni igieniche portano a ritenere che i genitali femminili esterni siano “sporchi”... Religione: la pratica delle mutilazioni genitali femminili è antecedente all’Islam e la maggior parte dei mussulmani non la usano. Tuttavia nel corso dei secoli questa consuetudine ha acquisito una dimensione religiosa e le popolazioni di fede islamica che la applicano adducano come motivo la religione. Gli sforzi internazionali per sradicare la mutilazione genitale femminile hanno una lunga storia, ma è solo in questo secolo, grazie anche alla crescente pressione delle organizzazioni femminili africane, che si sono raggiunti risultati concreti. Finalmente nel 1984 l’ONU creò a Dakar, un “Comitato interafricano sulle pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute delle donne e dei bambini” (IAC). L’obiettivo principale dello IAC era dar vita a campagne di sensibilizzazione e formazione per attivisti locali, levatrici e membri autorevoli delle comunità locali. A partire dagli anni Novanta le mutilazioni genitali femminili vennero riconosciute dalla comunità internazionale come una grave violazione dei diritti delle donne e delle bambine. Nella Dichiarazione sulla violenza contro le donne del 1993, le MGF vennero dichiarate una forma di violenza nei confronti della donna e nel 1994 la collaborazione tra le agenzie dell’ONU e le ONG portò al varo di un Piano di azione per eliminare le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute della donna e delle bambine. Questa intenzione venne poi riaffermata con la Conferenza di Pechino nel 1995. Nel settembre 1997 lo IAC tenne un convegno per giuristi nella sede dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) ad Addis Abeba che elaborò la Carta di Addis Abeba, un documento che chiede a tutti i governi africani di adoperarsi per sradicare (o drasticamente ridurre) le mutilazioni genitali femminili entro il 2005. Le mutilazioni vengono vietate anche dall’art.21 della Carta Africana sui diritti e il benessere del fanciullo. I Paesi africani in cui le mutilazioni sono vietate per legge (in ordine di entrata in vigore)sono: Guinea, Repubblica Centro Africana, Ghana, Etiopia, Djbouti, Uganda, Egitto, Burkina Faso, Costa d'Avorio, Tanzania, Togo, Senegal. Fig. 1 – Diffusione della pratica delle mutilazioni femminili (fonte: OMS, UNICEF) Qual è la condizione della donna in Africa oggi? La strada da percorrere è ancora molto lunga e difficile e gli ostacoli sono numerosi ma pian piano le donne stanno opponendo resistenza per ottenere un ruolo all’interno della società. Tuttavia l’apertura di molte associazioni a livello mondiale e l’interessamento di figure femminili di elevato livello culturale che ricoprono cariche importanti in campo scientifico e politico-economico hanno dato l’input anche a questa parte femminile del mondo africano. Dalle informazioni relative all’occupazione lavorativa delle donne del continente africano fornite dall’ILO (International Labour Organisation), emerge che «quando le donne hanno accesso a finanze, credito, tecnologie e mercato, sono in grado di espandere i loro affari e di contribuire efficacemente alla crescita economica sostenibile e allo sviluppo ricordando il successo del microcredito che si è dimostrata la sola via d’uscita dalla povertà» per molte donne. Sempre secondo il Rapporto ILO 2007, complessivamente, la tendenza all’aumento dei tassi di partecipazione alla forza lavoro tra le donne registrato negli anni Ottanta e primi anni Novanta si è arrestata in regioni come il sud-est asiatico e l’Asia del Sud si è invertita invece nell’Europa dell’Est e Centrale (non UE), e nell’Africa sub-sahariana. Tuttavia le donne continuano a costituire solo il 40% della forza lavoro e «restare fuori dalla forza lavoro spesso non è una scelta ma un’imposizione». La diversità culturale, religiosa e più ampiamente antropologica evidenzia come ancor oggi nonostante cambiamenti socio-politici-economici la donna africana vive in una condizione di schiavitù, pur essendo una forza trainante dell’economia, soprattutto primaria, è ancora sfruttata ed emarginata umanamente ed intellettualmente. La condizione della donna africana dipende dalla dimensione sociale in cui è inserita. Oggi in Africa ci sono due livelli di donna: c’è la donna della famiglia tradizionale che ha una condizione a sé, è madre e custode del focolare domestico e il più delle volte non ha avuto la possibilità di studiare. La donna che vive in città invece ha la possibilità di andare a scuola e rivestire in futuro incarichi con maggiori responsabilità nel campo delle cariche istituzionali, del commercio, della giustizia e dell’insegnamento. Le cose, però, stanno cambiando e la donna del focolare domestico sta cercando di partecipare attivamente alla vita pubblica, di essere indipendente, di pensare anche a se stessa e vivere la propria vita, di donna in modo autonomo. Solo alcuni esempi estrapolati da relazioni di campagne di ONG, ricerche di Organizzazioni Internazionali, letture di vite vissute sono significativi per avere la percezione di un cambiamento che sta avvenendo. In Camerun le Bayam Sallam percorrono tutto il Paese per comprare i prodotti in eccedenza degli agricoltori e assumono giovani contadini come guardie del corpo. In Burkina creano campi collettivi. In Senegal alcune commercianti donne trattano direttamente con i produttori alimentari e talvolta possiedono i loro appezzamenti di terra. Allo stesso modo a Lomé i grandi commercianti di pesce sono donne e possiedono due terzi dei pescherecci del porto. A Ibadan le donne si sono raggruppate in un'associazione, la Cowad (Committee On Women And Development, Comitato sulle donne e lo sviluppo) per raggruppare i loro acquisti e ottenere prezzi più vantaggiosi. L’emancipazione di queste donne è un cammino ancora in salita: esiste, certo, una tradizione che pesa e peserà a lungo sulla mentalità africana ma tanto può essere ancora fatto per quella che da sempre è l'invisibile spina dorsale del continente. È necessaria una maggiore sensibilizzazione e capacità d’intervento da parte dell’intera comunità mondiale per aiutare l’Africa femminile verso un’emancipazione innanzitutto umana ed intellettuale. Un grande storico africano Joseph Ki-Zerbo in una sua opera (Storia dell’Africa nera), si chiedeva “A quando l’Africa?”. Poco prima di morire è Joseph Ki-Zerbo che fa questa domanda nel suo ultimo lavoro: “A quando l’Africa?”. A quando l’Africa della donna? E attraverso un’attenta riflessione sostiene che l’Africa di oggi comincia già ad essere l’Africa di alcune donne che faranno l’Africa delle donne. Nell’Africa di oggi è in crescita la partecipazione istituzionale delle donne. Una donna presidente di uno stato africano. Ellen Johnson Sirleaf, 63enne, presidente della Liberia, politica di professione, si è laureata ad Harvard (carcerata durante la dittatura di Samuel Doe e successivamente condannata a morte dal regime di Taylor), è stata Direttrice dell‘Ufficio regionale del programma di sviluppo delle Nazioni Unite per l'Africa e funzionaria della Banca Mondiale. Il Rwanda vanta il primato mondiale di parlamentari donne con il 49% di presenze; in Burundi, Mozambico e Sud Africa la presenza in Parlamento è intorno al 30%, seguita da altri Paesi con una media di parlamentari donne più alta di quella Europea ( Rapporto Unicef, 2008). Nicoletta Varani Rigoberta Menchú Tum Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. \l «Che cos'è il femminicidio? È ogni forma di discriminazione e violenza rivolta contro la donna “in quanto donna”. È la violenza di genere in ogni sua forma. È l’esercizio di potere che l'uomo e la società esercitano sulla donna affinché il suo comportamento risponda alle aspettative dell’uomo e della società patriarcale.» Il termine Femminicidio è oramai entrato a far parte del bagaglio culturale femminista, grazie alle opere di scrittrici come Diana Russell e Jill Radford, autrici di Femicide. The politics of woman killing, e di Mary Anne Warren, autrice di Gendercide: The Implications of Sex Selection (1985). Entrambi i concetti sono stati poi "spagnolizzati" dalla femminista messicana Marcela Lagarde in "feminicidio", termine che è stato preferito rispetto a quello di "genericidio" che inizialmente aveva prevalso. Secondo gli studi riportato dal "Centro di Ginevra per il Controllo Democratico delle Forze Armate" (DCAF), nei prossimi anni dovrebbero "scomparire" demograficamente tra 113 e 200 milioni di donne a causa di motivazioni legate alla discriminazione sessista di cui sono vittime: es. aborto selettivo, infanticidio delle bambine, scarse cure mediche per le donne, tratta delle donne, violenza domestica e in generale sulle donne (circa 2-3 milioni di donne all'anno sono vittime della violenza di genere). Il termine femminicidio è stato recentemente utilizzato in particolare per descrivere gli omicidi di genere avvenuti a Ciudad Juarez (Chihuahua, Messico) e Città del Guatemala (Guatemala), tutti luoghi dove, contando sull'inettitudine delle autorità locali, centinaia e centinaia di donne sono state assassinate dopo essere state sequestrate, stuprate, torturate e mutilate. Sospetti di femminicidio ci sono anche tra le donne indigene canadesi. Cinquecento di loro sono scomparse o sono state assassinate dopo il 1980, un numero sproporzionato se si tiene conto della esiguità della popolazione indigena canadese. Gli studi sociologici spiegano che queste donne vengono viste come facili bersagli a causa delle discriminazioni subite dalla loro razza. Molte delle donne scomparse sono state definite prostitute e quindi nemmeno si è indagato sulla loro scomparsa. «È dal 1994 che hanno cominciato ad apparire nel deserto cadaveri di ragazze, mutilati e seviziati. Il Centro de Asesoría de las Mujeres ha cominciato ad investigare. Le ragazze erano tutte molto simili fisicamente e provenivano da famiglie povere; in genere erano impiegate nelle maquilas . Non venivano uccise il giorno del loro sequestro ma erano tenute in ostaggio, violentate e torturate prima di essere uccise. Abbiamo immediatamente fatto un collegamento tra gli omicidi e la natura povera e violenta della città, propria delle realtà di frontiera. Su 1.500.000 abitanti 800.000 sono immigrati, messicani e latinoamericani in generale, che si affollano sul confine aspettando l’occasione per entrare negli Stati Uniti. Quelli che non riescono a passare la frontiera si fermano qui, nelle periferie più povere e, se ci riescono, cominciano a lavorare nelle maquilas. Ma il conflitto sociale e di genere è molto forte perché le imprese tendono a contrattare sempre più manodopera femminile che è meno costosa e quindi, a fronte delle conquiste economiche e sociali delle donne, c’è un universo maschile sempre più destabilizzato, povero e dipendente. È in questo panorama che sono cominciati gli assassinii.» (Il 'femminicidio' di Ciudad Juarez) Tutti coloro che hanno provato a fermare questo massacro sono stati minacciati o uccisi. Il 77% dei crimini resta impunito. Le madri, i familiari e gli amici si sono raggruppati nella NHRC ("Nuestras Hijas de Regreso a Casa" - « Nostre figlie devono rientrare a casa »). L'obiettivo è quello di attirare l'attenzione sulla situazione di Juárez, d'esercitare pressioni sul governo e l'opinione pubblica per scoprire la verità su questi orribili fatti. I membri del gruppo sono ugualmente vittime di minacce a causa della loro attività. La definizione letterale del termine femminicidio è ogni atto o fatto violento rivolto da un uomo nei confronti di una donna, compreso ovviamente l'uccisione di una donna da parte di un uomo. Questa è la definizione del termine che ormai va' di moda in tutti i telegiornali e nei media nazionali, ora se non vi dispiace vi do' la mia versione di tale definizione. Il femminicidio comprende ogni atto o fatto violento rivolto a una femmina da un maschio, inclusa l'uccisione di una femmina da parte di un maschio. Dal mio punto di vista, scritta così, la definizione cambia! Maschi e femmine. Giuridicamente il reato di femminicidio non esiste, proprio perché in teoria vige la parità dei sessi e il maschio e la femmina non si distinguono, entrambi sono persone, esseri umani. Questo termine è una forzatura, uno schiaffo ad anni e anni di lotte femministe fatte di scontri fisici, manifestazioni e tanto altro per ottenere la parità dei sessi giusta o sbagliata che sia e con le sue mille e più contraddizioni nella pratica. Ora, alla fine del 2012, torniamo a differenziare il maschio dalla femmina, l'uomo dalla donna. Trovo la parola femminicidio estremamente sbagliata e maschilista, fatta per una società da sempre patriarcale come la nostra. Quello che mi fa specie è che le donne non se ne rendano conto e inizino a usare questa parola. La violenza verbale o fisica è un reato penalmente riconosciuto, così come l'omicidio. Quindi vige già un regime di tutela, anche se scarso, e una pena per tali reali e la distinzione tra uomo e donna proprio non mi piace. Il risultato è il medesimo, la violenza è la medesima e la perdita della vita idem. Perché si torna a classificare la donna come femmina? Il reato di stalking è stata una vittoria, ma anch'esso è abbastanza sbilanciato e poco considerato, tanto che spesso, dopo il denunciato stalking le persone in causa vengono comunque uccise dallo stalker che io chiamerei “persona con problemi ossessivocompulsivo” che andrebbe isolato in una struttura di igiene mentale per essere curata, ma questo è un altro paio di maniche. Credo di avere espresso al meglio il mio pensiero e non vorrei che pensaste che sono maschilista, anzi. Tutte le persone vanno tutelate, tutte!! E ovviamente invito le donne che subiscono abusi e violenze a denunciare l'accaduto, come invito gli uomini a fare altrettanto nel caso subiscano violenze. E'un paradosso, ma è sicuramente più difficile per un uomo denunciare di aver subito abusi sessuali. Per quanto riguarda il prete che ieri ha ritirato fuori una storia vecchia quanto il mondo, non merita nemmeno di essere menzionato visto che ha detto pubblicamente che la causa della violenza sessuale su una donna è giustificata dalla provocazione con abiti succinti e atteggiamenti equivoci. Su questo non voglio nemmeno discutere perché è una cosa che non sta né in cielo, né in terra e poi il fatto che l'abbia detto un uomo di chiesa è assurdo. Ora vi lascio alle vostre riflessioni augurandomi che vogliate condividere con me il vostro pensiero con un semplice commento. Donne in Africa… Ogni anno migliaia di donne vengono bruciate o seppellite vive, picchiate a morte o esiliate perché a causa di stregoneria. La caccia delle streghe è un fenomeno diffuso soprattutto in Africa, ma sono numerosi anche gli episodi in India, Nepal e Oceania. I casi più recenti in Papua Nuova Guinea: ad aprile due donne sono state torturate per 3 giorni, ferite a colpi di coltello e ascia e poi uccise perché erano << streghe >>. Ancora in Papua Nuova Guinea il 4 aprile un’attivista per i diritti delle donne e insegnante è stata decapitata dopo essere stata accusata di stregoneria. In Kenya, lo scorso anno, almeno 15 donne sono state uccise in una caccia alle streghe mortale, che si è verificata in alcune parti del Paese. In Nigeria i bambini accusati di stregoneria vengono abbandonati, picchiati, feriti o mutilati con l’acido. Spesso dai loro genitori o da parenti stretti. Omicidi << motivati>> dalla stregoneria sono stati commessi negli ultimi anni in Iraq, Arabia Saudita, Pakistan. E in Italia?... … L’Italia ha riconosciuto tardi il valore sociale Femminile. E le cause sono tutt’altro che ignoti, il Centro-Sud è rimasto a lungo sul sistema contadino, fino a quando l’espansione industriale del Nord ( tutto, sempre negli ultimi anni 50 e 60 del 1900). La chiusura della tradizione contadina l’influenza delle culture straniere (soprattutto araba e spagnola) presenti per molto tempo al Sud la politica fascista (1938-1943) che prevedeva quest’ultima la donna in veste solo di moglie e madre, soprattutto madre e per 20 anni e ha fatto in modo che le donne italiane abbiano faticato a far rispettare i propri diritti e una volta arrivato a ciò la maggiore difficoltà ed è quella di preservarli e magari estenderli. FEMMINICIDIO Dall’inizio del 1990 , l’omicidio degli uomini è diminuito è quello delle donne è aumentato. Nel 2010 sono state uccise 127 donne. Il 70 % di queste donne sono italiane. Nel 54% dei casi di femminicidio, l’autore era un partner o ex partner e nel 4 % dei casi era sconosciuto alla vittima. Le cause che portano al femminicidio comprendono la separazione di una coppia o il conflitto di una relazione oppure la gelosia dell’autore. DONNE DIVERSAMENTE ABILI 1,8 milioni di donne diversamente abili in Italia hanno subito violenze. CONTRO IL FEMMINICIDIO, ANNO 2012 Nel 2012 ogni due giorni viene uccisa una donna e le vittime sono state 100 NEL 2011 le vittime sono state 137 NEL 2010 le vittime sono state 156 NEL 2009 le vittime sono state 172 NEL 2003 le vittime sono state 1992 E i soldi del fondo antiviolenza sono stati ridotti. STOP AL FEMMINICIDIO!:-/ NOI DICIAMO STOP! NO MAS FEMMINICIDIOS! Femminicidio Alla vigilia dell’8 marzo l’Italia farebbe bene a interrogarsi. Ma davvero siamo un Paese che perseguita la donna? Il dipartimento delle Pari opportunità ha addirittura pensato di istituire la figura di un avvocato specializzato nella sua difesa. E Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, ha appena parlato di femminicidio: «È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». Femminicidio è un neologismo ed è una brutta parola: significa la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale della donna in quanto tale. È un termine coniato ufficialmente per la prima volta nel 2009, quando il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993 nella totale indifferenza delle autorità di Ciudad Juarez, nello Stato di Chihuahua. C’erano cadaveri straziati buttati nella monnezza o sciolti nell’acido: secondo alcune denunce si sarebbero macchiati di questi orrori anche uomini delle forze dell’ordine. Certo, in Italia non siamo arrivati a questi livelli. Però, si tratta di delitti trasversali a tutte le classi sociali. Stefania Noce, femminista del Movimento studentesco, è stata uccisa a Catania dal compagno laureando in psicologia che lei diceva di amare «più della sua vita». A marzo di un anno fa nella periferia romana è stato trovato il tronco del cadavere di una donna mutilato: il caso è stato archiviato subito anche dai giornali. Come se volessimo tutti chiudere gli occhi davanti a questo orrore. Rashida Manjoo nella sua relazione ha detto che «la violenza domestica si rivela la forma più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese, come confermano le statistiche: dal 70 all’87 per cento dei casi si tratta di episodi all’interno della famiglia». C’è chi sta peggio, l’abbiamo capito: dieci Paesi del Sudamerica, a cominciare dal Messico. Ma nel mondo cosiddetto civilizzato dell’Europa siamo messi davvero male. I numeri sembrano quelli di una strage. Nel 2010 le donne uccise in Italia sono state 127: il 6,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Dati in continua crescita dal 2005 a oggi, e solo dal 2006 al 2009 le vittime sono state 439. Secondo l’associazione «Casadonne» di Bologna, si tratta di «un fenomeno inarrestabile». Nei primi mesi del 2011, le statistiche parlano già di 92 donne uccise. Nella stragrande maggioranza dei casi gli assassini sono all’interno della famiglia, mariti (36 per cento), partner (18), parenti (13), ex (9), persino figli (11). Come se non bastasse, poi, «i dati sono sottostimati perché non tengono conto delle donne scomparse, dei ritrovamenti di donne senza nome o di tutti quei casi non ancora risolti a livello personale». Ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa per mano del proprio partner. Secondo i dati della Polizia e dell’Istat una donna su 4, nell’arco della vita, subisce violenza, e negli ultimi nove anni, ha stabilito un rapporto dell’Eurispes, «il fenomeno è aumentato del 300 per cento». Le Nazioni Unite sostengono che «in 125 Paesi del mondo le leggi penalizzano davvero la violenza domestica e l’uguaglianza è garantita». L’Italia, purtroppo, sembrerebbe far parte degli altri 139 Paesi. Davvero siamo messi così male? A sentire la coordinatrice della Commissione Pari opportunità del Consiglio Forense Susanna Pisano pare proprio di sì: solo il 6 per cento delle donne italiane denuncia la violenza subita. «La nostra è una piaga silenziosa e nascosta», dice. Non è solo una questione di costume, ma anche di diritto, come spiega bene, in fondo, la recente sentenza della Cassazione secondo la quale gli autori di uno stupro di gruppo non meritano il carcere. E non è un caso, alla fine, che proprio in Italia stia per nascere la figura di un avvocato specializzato solo nella difesa delle donne. STORIA DELLA DONNA Le donne sono forti e devono tenere le redini della famiglia e del lavoro. Una doppia fatica che richiede energie, impegno, efficienza, senso del dovere. Ma a volte tutto ciò sembra non bastare. Perché a questo si aggiunge la fatica di "sfondare" un mondo che è ancora molto maschile nelle sue richieste e pretese. Una società che chiede ancora alle donne di "portare i pantaloni" quando è ormai tempo di indossare con orgoglio la gonna e di sfruttare tutte le capacità che sono racchiuse nel ruolo femminile, e le sono proprie da sempre. Le donne sono sempre state brave a gestire "casa e bottega", famiglia e affari. Già nell’età della pietra stavano dentro le caverne e badavano ai cuccioli, prendendosene cura e sfamandoli. Si occupavano anche di trasformare quanto cacciato dall’uomo in qualcosa di commestibile ma non solo. Dai prodotti dell’animale cacciato tiravano fuori pelli per coprirsi, cibo per sfamarsi, conservando tutto quanto era utile per la sopravvivenza. Una pratica questa che si ritrova anche nelle popolazioni dei pellerossa americani, dove le rappresentanti del sesso femminile accompagnano gli uomini nelle loro attività di caccia aiutandoli attivamente in questa pratica. Dopotutto nelle civiltà arcaiche il matriarcato era potentissimo: la donna era regina della famiglia e della comunità. La sua figura mitica veniva associata alla madre terra, generatrice di vita e potente forza della natura. Tutta l’economia della casa era nelle sue mani, la sua parola era legge anche per gli uomini che dovevano abbandonare il focolare per recarsi al lavoro nei campi, a delegare tutto il resto all’impeccabile organizzazione femminile. Poi sono arrivati i grandi imperi dell’antichità, le civiltà classiche: anche qui, nell’antica Roma ad esempio, le mogli degli imperatori facevano la vera politica tessendone le trame nell’ombra. Le donne erano potenti e libere. Tutto cambia nel Medioevo, quando l’essere femminile viene percepito in due differenti modalità: angelico e spirituale oppure stregonesco e maligno. Il Bene e il Male si incarnano nell’essere umano femminino che si allontana così dalla concretezza e soprattutto dal potere di decidere e di fare qualsiasi cosa di diverso dal suo ruolo di madre e moglie, piegata al volere dell’uomo. Nel Seicento la paura della forza al femminile, si trasforma in persecuzione fino al loro estremo sacrificio perpetuato contro le streghe al rogo: esperte nell’arte della stregoneria, così erano considerate quelle donne che decidevano di "ribellarsi" al volere maschile e alle regole imposte dalla società, essendo infine relegate ai margini di essa. Tutte le altre andavano in spose o entravano in convento. Il Settecento vede le donne ancora racchiuse tra le mura domestiche o nelle corti a tessere trame e a cercare di "accasarsi" al meglio. Poche le occasioni di entrare in società con un ruolo diverso da quello di future spose e madri. È con l’Ottocento che la donna torna alla ribalta, soprattutto nella sua veste di lavoratrice. La sua forza lavoro, mai venuta meno nella storia, solo ora ricomincia ad avere un importante peso sociale in piena società industriale, soprattutto dal punto di vista economico e produttivo in senso stretto. L’individuo femminile comincia faticosamente a farsi riconoscere il diritto ad essere un soggetto sociale lavoratrice e cittadina e quindi a potersi svincolare dal potere dell’uomo, marito o padre. Lavoratrici con le gonne si cominciano a vedere non solo nelle fabbriche ma anche nelle scuole come maestre, nelle corsie degli ospedali soprattutto come ginecologhe conquistando un’indipendenza economica che rompe gli stretti vincoli domestici. Negli Stati Uniti, nel 1840, viene anche sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni. Le donne cominciano anche a spogliarsi di quegli indumenti fatti di bustini strettissimi e di stecche e indossano abiti fluidi e costumi da bagno, lontani antenati dei bikini. Anche questo è lento progresso verso la parità all’alba del Ventesimo secolo, quando iniziano i primi riconoscimenti dei diritti politici alle donne in Nuova Zelanda (1893), poi negli Usa (1914) e a seguire in tutto il resto del mondo occidentale. Il Novecento è il secolo delle suffragette, del grande movimento femminista, delle conquiste dei diritti civili, dall’uguaglianza al voto alla possibilità di accedere a tutte le professioni di esclusiva pertinenza degli uomini. La donna della seconda metà del ‘900 conquista la sua libertà e la sua indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale: diventa un individuo a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la modernità. Un esempio importante dell’emancipazione della donna in questa nuova era arriva dall’India dove le donne, a partire dagli anni Novanta, sono uscite dal loro isolamento dentro case e famiglie, vittime di una società settaria, per aggredire il mondo del lavoro e dell’economia con la loro intraprendenza. Gli esempi sono numerosi: le giovani donne indiane con la potenza del loro lavoro sono da alcuni decenni un antidoto alla crisi economica perché credono nelle proprie capacità imprenditoriali e nella solidarietà. Molte hanno iniziato dando vita alla bottega dietro casa dove confezionano vestiti e gioielli destinati all’esportazione nel resto del mondo. O come in Bangladesh dove un solo uomo, Muhammad Yunus ha dato una mano a un gruppo di donne povere lavoratrici facendole uscire dalla loro condizione miserevole: negli anni Settanta dopo una forte carestia si è recato nel villaggio di Jobra e ha offerto loro un piccolo credito finanziario, che le grandi banche non avrebbero mai concesso, per far vivere le loro piccole imprese. Ha finanziato le loro attività artigianali dedicate alla lavorazione di mobili in bambù, dando vita a quell’esperienza straordinaria del microcredito che gli ha fatto meritare il Premio Nobel per la pace 2006. Ma nella società indiana non mancano gli esempi di manager e donne in carriera. Il progresso economico è da tempo in quest’area del mondo strettamente connesso al protagonismo delle donne. Ma, nonostante questi esempi, oggi, all’alba del millennio qualcosa sembra ancora non tornare…Tuttavia oggi le donne hanno ancora molta strada da percorrere per riaffermare la loro femminilità fatta di quei valori profondi e unici che avevano già nelle caverne! Ma per farlo è necessario riappropriarsi di quanto non è mai venuto meno: forza, equilibrio, passione, intelligenza, coraggio, abilità intellettive e manuali. Essere donne, ribelli, selvagge, streghe, guerriere, protagoniste. Come le donne che parlano dalle pagine di questi libri interessanti che vogliamo qui consigliare. Leggi in favore delle donne Ecco, in estrema sintesi, alcune tra le più significative leggi in favore delle donne. Legge 23 aprile 2009, n. 38 "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori" Direttiva del 23 maggio 2007 Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche Direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006 Attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego Provv. del Min. Lavoro e delle Politiche Sociali del 30 maggio 2006 - G.U. n. 160 del 12 luglio 2006 Programma-obiettivo per la promozione della presenza femminile nei livelli e nei ruoli di responsabilità all'interno delle organizzazioni, per il consolidamento di imprese femminili, per la creazione di progetti integrati di rete Decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198 Codice delle pari opportunità tra uomo e donna Legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita Legge 15 ottobre 2003, n. 289 "Modifiche all'articolo 70 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste Legge 11 agosto 2003, n. 228 Misure contro la tratta di persone Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro Decreto Ministeriale 16 maggio 2003 Fondo di rotazione per il finanziamento in favore di datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micro-nidi Provvedimento 30 maggio 2001 Programma - obiettivo per la promozione della presenza femminile all'interno delle organizzazioni anche al fine di rendere le stesse più vicine alle donne Legge 5 aprile 2001, n. 154 Misure contro la violenza nelle relazioni familiari Legge 28 marzo 2001 n. 149 Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 recante: "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori" nonché al titolo VIII del libro del c.c. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 Legge 8 marzo 2001 n. 40 Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori Decreto legislativo del 28 gennaio 2000: disposizioni in materia di part-time Legge n. 53 dell'8 marzo 2000 Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città. Decreto n. 306 del 15 luglio 1999 Emesso dal Ministro per la Solidarietà sociale, recante disposizioni relative agli assegni per il nucleo familiare e di maternità, a norma degli art.65 e 66 della legge 23 dicembre 1998 n.444, come modificati dalla legge 17 maggio 1999 n.144 Legge n. 157 del 3 giugno 1999 In materia di rimborso di spese elettorali. L'art.3 n.1 di tale legge mira a favorire, secondo quanto più volte richiesto dalla Commissione Nazionale di Parità, la partecipazione attiva delle donne alla vita politica, disponendo che "ogni partito o movimento politico destini una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti per consultazioni elettorali ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica" Legge n. 25 del 5 febbraio 1999 (legge comunitaria 1998) L'art. 17 di tale legge, al fine di adeguare la legge italiana alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 4 dicembre 1997, ha abrogato il divieto di lavoro notturno per le lavoratrici tessili (per le altre lavoratrici il divieto non operava già in precedenza), escludendo comunque dalla prestazione del lavoro notturno le donne in stato di gravidanza fino ai tre anni di età del minore, ovvero da parte dei lavoratori con disabili a carico Decreto del Ministro dell'Agricoltura del 13 ottobre 1997 Istituisce l'Osservatorio Nazionale per l'imprenditoria femminile ed il lavoro in agricoltura. Direttiva del 27 marzo 1997 del Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Romano Prodi, in favore di azioni volte a promuovere l'attribuzione di poteri e responsabilità delle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e uomini. La direttiva è stata emanata in seguito alla considerazione che i movimenti delle donne, portatori dell'idea di differenza di genere, sono stati elemento propulsivo nella redazione del programma di azione di Pechino e altresì alla considerazione che nella quarta conferenza mondiale sulle donne sono stati individuati numerosi obiettivi strategici per l'uguaglianza, lo sviluppo e la pace e che i governi si sono impegnati a realizzare azioni conseguenti in relazione alle specificità delle singole realtà nazionali. Decreto 19 febbraio 1997 Istituzione presso gli uffici del Ministro per le Pari Opportunità della Commissione per la promozione e lo sviluppo dell'imprenditorialità femminile e dell'osservatorio per l'imprenditorialità femminile Legge n.66 del 1996, classifica come reato contro la persona il reato di violenza sessuale (che include sia la violenza carnale vera e propria che gli atti di libidine violenti, di solito perpetrati nei confronti dei minori) così mutando la qualificazione della normativa precedente che lo definiva reato contro la morale. In tal modo viene restituita dignità alla vittima, finalmente considerata "persona", mentre si è cercato di punire il reato in modo tale (con pena graduabile fra i tre ed i cinque anni) che non fosse possibile il patteggiamento (ammesso per pene inferiori ai due anni), di modo che lo stupratore non restasse sostanzialmente impunito. Tuttavia con la legge C. Simeoni (dal nome del relatore) è oggi possibile che lo stupratore ottenga subito gli arresti domiciliari. Sono previste circostanze aggravanti che comportano l'aumento della pena fino a 12 anni, quali la violenza commessa nei confronti di persona minore di anni 14 ovvero di anni 16, se il colpevole è un genitore o un nonno, ovvero con l'uso di armi, sostanze alcoliche o stupefacenti o sostanze comunque dannose per la salute, ovvero quando il violentatore sia un pubblico ufficiale, ovvero quando la violenza sia stata compiuta su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale Legge n.52 del 6 febbraio 1996 (legge comunitaria). L'art. 18 recepisce, previa consultazione della Commissione Nazionale di Parità e del Comitato per le pari opportunità presso il Ministero del Lavoro la normativa europea in tema di parità di trattamento fra uomini e donne Legge n.332/95, art.5, che modifica l'art.275, 4c., codice di procedura penale, prevedendo il divieto di custodia cautelare in carcere di donne incinte o madri fino al compimento del terzo anno d'età del figlio Legge n.236/93, art.6, sul vincolo, nei licenziamenti collettivi, di non effettuare espulsioni di lavoratrici in misura percentuale superiore a quella del personale femminile occupato nell'impresa nelle medesime mansioni, e con interventi in favore delle lavoratrici madri durante la mobilità. Decreto legislativo n. 29/93, art. 7 e 61 Rispettivamente sulla parità e pari opportunità sia per l'accesso al lavoro sia per il trattamento sul lavoro relativamente alla gestione delle risorse umane (art.7) e sulla istituzione di quote di donne nelle commissioni di concorso sulla pari dignità di uomini e donne sul lavoro e sulla partecipazione delle dipendenti delle Pubbliche amministrazioni ai corsi di formazione e aggiornamento professionale (art. 61) (questa legge dà la possibilità, ex art.7, ai comitati paritetici del settore pubblico di concorrere alla gestione delle risorse umane) Legge n. 166/91, art.8 Sul trattamento economico delle lavoratrici madri dipendenti da amministrazioni pubbliche Legge n.979/90, sull'indennità di maternità per le libere professioniste Decreto legislativo in materia di armonizzazione della contribuzione figurativa, con interventi a favore del suo riconoscimento durante i periodi di astensione dal lavoro per maternità Delibera del 6 ottobre 1989 del Consiglio della magistratura militare Accesso alle donne alla magistratura militare Legge n. 25 del 27 gennaio 1989 L'art. 2 di questa legge eleva a quarant'anni la data di partecipazione ai concorsi pubblici, come sollecitato anche dalla Commissione Nazionale di Parità per consentire anche alle donne che non abbiano potuto dedicarsi ad attività lavorativa in età giovanile, perché impegnate in incombenze familiari, di inserirsi nel mondo del lavoro Legge n. 546 del 29 dicembre 1987 L'art.1 di questa legge estende l'indennità giornaliera di gravidanza e puerperio alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre, colone, artigiane ed esercenti attività commerciali. Le donne nel mondo, tra discriminazioni e potere al femminile La discriminazione sessuale a discapito del mondo femminile è un capitolo ancora aperto in tre quarti del pianeta. Una discriminazione che si configura addirittura come crimine, in molti Paesi dove il passare del tempo non ha aperto le porte al progresso della civiltà e della democrazia. Dove la rivendicazione dei diritti da parte delle donne può costare la libertà, l'incolumità fisica o la vita stessa. Un viaggio fra le diverse, seppure spesso simili, realtà di questi universi femminili nel mondo lo ha realizzato per noi Daniela Lami, riferendoci gli elementi dolorosi, ma anche gli spiragli di cambiamento. Non manca una tappa in una terra, l'Islanda, dove la civiltà e l'emancipazione sono regola quotidiana, dove le donne sono quasi le uniche detentrici dei pilastri dell'economia, della società e della famiglia. Divorzio all'Egiziana Strano universo quello delle donne egiziane. Belle, spesso bellissime, come la regina Nefertari, una donna coraggiosa e determinata, ma inevitabilmente sovrastata dalla figura prepotente del marito, il faraone Ramses II. Come lei limitate in molti aspetti della loro vita da una legge, quella coranica, che tuttora rende loro difficile trovare un posto nella società. Le vedi per le strade: di alcune non riesci a scorgere neanche un centimetro di pelle tanto sono coperte. E le vedi sempre un passo dietro al marito. Le più giovani hanno un'aria più spensierata, alcune vestono in modo moderno e in nulla diverso dalle coetanee occidentali, se non per il fatto che hanno la testa coperta da un chador. Nero per le già maritate, colorato per tutte le altre. Ma in questo paese, dove la vita sembra essersi fermata a decenni fa, dove vedi ancora le donne che lavano i panni nel Nilo, gli uomini muoversi per le strade del Cairo a "bordo" di un asino... beh, in questo mondo a volte incomprensibile per noi occidentali, qualcosa sta lentamente cambiando. Proprio per le donne. L'alta Corte egiziana ha finalmente sancito che anche loro hanno il diritto di ottenere un passaporto. Nessuno, e tanto meno il marito, potrà più impedire loro di viaggiare all'estero. Non che fino ad oggi esistesse un vero e proprio vincolo legale. Anzi: il diritto di ottenere un passaporto e, di conseguenza, di viaggiare all'estero, in quanto espressione della libertà personale, viene protetto anche dalla Costituzione. Ma, in questa società maschilista, e per la maggior parte islamica, il divieto era ormai una consuetudine molto semplice da applicare. Per il marito, infatti, era sufficiente recarsi al Ministero degli Interni e far inserire il nome della propria moglie in una sorta di lista nera, così da impedirle di ottenere il passaporto. Un bel risultato, quindi. Ma attenzione. Niente facili entusiasmi. Di fatto gli uomini potranno ancora impedire alle loro mogli di varcare i confini nazionali, anche se la prassi sarà un po' più complicata: dovranno presentare un'apposita petizione alla Corte che valuterà caso per caso, e non più di ufficio, se la donna può viaggiare o meno. Cosa accadrà nella pratica, resta dunque da vedersi, ma certo la norma ha un grande valore simbolico. Anche perché arriva solo alcuni mesi dopo un'altra importante e controversa decisione: quella di facilitare alle donne la richiesta di divorzio dai loro mariti. Mentre gli uomini possono divorziare all'istante e senza particolari giustificazioni, per una donna egiziana, lasciare il marito, era praticamente impossibile. Per farlo doveva dimostrare di essere stata maltrattata. Adesso, invece, potrà chiedere il divorzio anche per incompatibilità. Spetterà a due "arbitri" designati dalla Corte, di verificare se davvero la riconciliazione tra i due coniugi è impossibile. A questo punto il divorzio verrà concesso. Ma, anche in questo caso, attenzione: la donna otterrà sì il divorzio, ma dovrà rinunciare a ogni pretesa finanziaria e, quindi a ogni forma di alimento e, in più, dovrà restituire al marito la dote ricevuta. Del resto, il profeta Maometto diceva che "una donna può lasciare il proprio marito anche se non ha ricevuto alcun male fisico ma, se lo fa, deve restituirgli il giardino che lui le ha dato". Dunque, per le donne un altro successo a metà: di fatto le uniche che potranno usufruire di questo diritto saranno le donne benestanti e comunque coloro che hanno i mezzi per restituire la dote e per mantenersi senza usufruire degli alimenti del marito. Inoltre, hanno sottolineato in molti, sarà comunque difficile per una donna ottenere il divorzio, in un paese in cui non un solo giudice è di sesso femminile. Paesi arabi: l'emancipazione abita anche qui Quando parliamo di donne arabe, nel nostro immaginario entrano solo immagini di sottomissione, frustrazione, diritti violati. In effetti è così. Non bisogna mai generalizzare, ma in generale è così. Tuttavia, per avere un quadro completo, è necessario aggiungere alcuni tasselli al nostro mosaico. Forse non tutti lo sanno, ma anche da queste parti si sono affacciate, in tempi più o meno recenti, delle rivendicazioni di carattere femminista. Nei Paesi arabi, i movimenti femminili sono sorti agli inizi del XX secolo, precisamente nel 1879 in Libano, nel 1923 in Egitto, nel 1944 in Giordania e in Marocco, nel 1953 in Bahrein e negli anni '50 in Tunisia, epoca nella quale le Tunisine si sono impegnate nel movimento di liberazione anticoloniale. Questi movimenti miravano soprattutto ad avanzare rivendicazioni politiche, ma senza grandi risultati, visto che soffrivano di mancanza d'organizzazione e si scontravano contro i diversi scogli rappresentati dai loro rispettivi governi. È con la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, che si assiste all'emergere di un nuovo discorso femminista. Anche se è solo nel 1975 (data del 1° Congresso mondiale sulla Donna in Messico) che le Nazioni Unite hanno cominciato a parlare delle donne come delle "partners nello sviluppo". Questo fu anche il punto di partenza di un progetto mirante ad eliminare ogni forma di discriminazione contro la donna, per collegare la questione femminile al discorso dei Diritti dell'Uomo. Un progetto che i Paesi arabi devono sottoscrivere se vogliono vincere la scommessa dello sviluppo. Fra i 21 paesi arabi, soltanto 8 (fino al 1995) hanno sottoscritto l'accordo concernente l'eliminazione d'ogni forma di discriminazione contro la donna. Un risultato già di per se modesto, a cui va aggiunta una considerazione: la firma delle convenzioni internazionali non porta necessariamente alla loro applicazione. Ed è questo è uno degli ostacoli contro cui si scontrano ancora oggi un buon numero di movimenti femminili nel mondo arabo. La strada verso l'emancipazione delle donne arabe dalle rigide regole della Sharia, la legge islamica, soprattutto nei ricchi ma conservatori Paesi petroliferi del Golfo non è mai stata facile, né sarà breve. Ciò nonostante, non si può fare di tutta un'erba un fascio. In alcuni di questi Paesi alle donne sono riconosciuti ruoli sociali, e soprattutto diritti civili, che in altri - come l'Arabia Saudita - sono ancora disconosciuti. Il Kuwait è l'unico regno del Golfo ad avere un Parlamento democraticamente eletto. Un paese in cui a prima vista la situazione delle donne è tutt'altro che nera. Il ruolo femminile del Paese, infatti, è molto importante. Ci sono donne che ricoprono alti incarichi in aziende statali e private. Numerose sono le donne inserite nel lavoro, e molte sono le intellettuali, le scrittrici e le giornaliste, che fanno sentire alta la loro voce anche nei tribunali per il riconoscimento dei propri diritti civili cui si oppongono i parlamentari islamici più integralisti. Alle donne è inoltre riconosciuto il diritto non solo di arruolarsi nella polizia ma anche nell'esercito. Dunque donne che hanno diritto a fare praticamente tutto...tranne votare. Il primo Paese del Golfo in cui tutte le donne sono andate alle urne è stato il Qatar. Nel marzo 1999, si sono svolte le prime elezioni amministrative a suffragio universale, anche se le sei candidate donne non sono state elette. La consultazione è stata considerata, da molti analisti, come un importante esperimento verso la democratizzazione dell'emirato ed un primo passo verso la prossima elezione di un Parlamento. Altra singolare conquista: lo scorso maggio un gruppo di qatariote - non scortate dai mariti o da parenti maschi hanno potuto assistere nello stadio di Doha (da una tribuna riservata) alla finale di un torneo di calcio. Anche in Oman le donne possono votare, ma non tutte. L'Oman ha infatti una Shura (Consiglio consultivo, eletto nel 1997) ma ad eleggerla sono soltanto 50.000 omaniti - uomini e donne - appositamente scelti dal sultano. Nel sultanato esistono però tre donne sottosegretario, altre due fanno parte della Shura ed una è stata nominata recentemente ambasciatore in Olanda. Un'altra curiosità: dallo scorso maggio il governo del sultanato ha concesso alle donne omanite che lavorano come tassiste di poter prendere a bordo delle proprie auto anche passeggeri maschi, cosa sino ad allora proibita. India le donne dimenticate Paradossale, assurda, incomprensibile e piena contraddizioni. Così si potrebbe riassumere la condizione femminile in India, un in cui le donne sono formalmente uguali agli uomini, con gli stessi diritti politici e le stesse opportunità sociali e di lavoro. Un paese in cui la discriminazione sessuale è addirittura vietata dalla Costituzione indiana. Un paese in cui ai vertici della vita economica e sociale si affermano sempre di più nomi femminili, come quello della scrittrice Arundhati Roy, autrice di "Il dio delle piccole cose" o quello di Bhartia Shoban, proprietaria dell'Hindustan Times, uno dei giornali più autorevoli del Paese. Ma anche un paese negato alle donne. Un paese in cui la cui discriminazione di massa resta una realtà, che affonda le sue radici in tradizioni arcaiche, che le statistiche generali mettono bene in evidenza. Su una popolazione di circa un miliardo di individui, infatti, le donne, a differenza di quel che avviene in quasi tutto il mondo, sono in minoranza: il 48 per cento. Il rapporto è di 929 donne per 1.000 uomini, a conseguenza di una selezione spietata praticata talvolta ancora prima della nascita. Quaranta donne su cento non hanno alcun grado di istruzione, e se in alcuni Stati, come il Kerala, l'alfabetizzazione primaria è prossima alla totalità della popolazione femminile, in altri, come il Bihar, non raggiunge il 28 per cento. Le donne occupano solo l'8 per cento dei posti in Parlamento, il 6,1 dell'amministrazione pubblica, un quarto di tutta la forza lavoro registrata. E se sempre più numerose sono le giovani che frequentano le facoltà di Ingegneria, di Informatica o di Economia, la presenza femminile nelle università è soltanto del 5 per cento. Ma questi in fondo sono solo numeri. E le storie? Quelle delle donne indiane, raccontano casi strazianti di sfruttamento, di spose bambine vendute per un sacco di riso, di ripudi e prepotenze, di eliminazioni fisiche per questioni di dote. Il rifiuto preconcetto di un figlia, considerata come un peso per la famiglia. Su ottomila aborti registrati a Bombay, dopo un ciclo di esami mirati ad accertare il sesso del nascituro, 7.999 erano feti femminili. Solo un maschio: "La madre era un'ebrea e voleva una figlia". La discriminazione tra uomini e donne nasce e si perpetua nella famiglia, secondo antiche convenzioni. La donna è destinata fin dalla nascita a stare in cucina, ad occuparsi della casa, sostenendone tutto il peso. È difficile cambiare la mentalità. È così nei villaggi, è così ancora in molti ambienti della città. Se si va a cena in una famiglia borghese, anche benestante, è normale che il cibo venga servito agli ospiti uomini dalle donne, che poi mangiano per conto loro. Molte cose stanno cambiando anche nella società indiana, ma nella profonda India, quella dei villaggi, le tradizioni resistono anche alle riforme, nonostante il sorgere di movimenti di pressione. Dal 1993 un emendamento della Costituzione riserva il 33 per cento dei posti nei consigli locali alle donne. Di fatto, anche quando vengono elette, molte sono convinte a lasciare la delega al marito, perché non hanno il tempo o la capacità di seguire i lavori. Così la forma è rispettata e la sostanza non cambia. Forse ha ragione chi dice che: "Per cambiare le donne dell'India, c'è un solo modo: cambiare gli uomini". Israele: donne di proprietà Cosa pensereste di un marito che preferisce aggiustare la sua macchina, piuttosto che portare la moglie, che sta per partorire, in ospedale? E se vi dicessimo anche che il risultato di tanto egoismo è che il bambino è nato morto? Terribile. Eppure sono cose che capitano. Capitano ad esempio nel deserto del Neghev, in Israele. Sorvolando dall'alto questo fazzoletto del mondo, si notano tante piccole oasi abitate: sono i villaggi dei beduini. Non vivono in case, ma in grosse tende e dormono su materassi sparsi sulla sabbia all'ombra di larghe tele. Intorno alle tende corrono sempre dozzine di bambini, spesso figli dello stesso padre, ma non della stessa madre. E dentro le tende, vivono rinchiuse le donne beduine. Donne che, neanche a dirlo, sono considerate proprietà del marito. Già, una proprietà. E questa è la somma di una triplice forma di discriminazione: innanzi tutto, queste donne sono musulmane, e all'interno della società ebraica israeliana, rappresentano una minoranza; in secondo luogo, sono donne che vivono in una società fortemente patriarcale, dove mariti e padri hanno il completo controllo su di loro; infine, vivono nel Neghev, una zona periferica, rispetto al centro di Israele, e lontana dalle zone industrializzate. La donna beduina è la vittima di una tradizione molto forte, in cui la religione è mal interpretata. Tra queste donne, ci sono molte vittime di stupri e incesti. Vittime che non hanno nessuno a cui rivolgersi, all'interno della comunità, e sicuramente non possono presentare denunce alla polizia, perché rischierebbero di essere uccise. Non deve stupire, quindi, che le donne beduine siano molto chiuse, difficilmente facciano capire le loro sensazioni e i loro stati d'animo: non sono abituate a parlare con stranieri, e quindi è difficile capire cosa le faccia star male. Molte di loro soffrono, ad esempio, di tumori al seno ma, nonostante il vicino ospedale Soroka di Beer Sheva abbia i macchinari per mammografia più avanzati al mondo, quasi nessuna si fa visitare: i mariti non vogliono che le proprie mogli vengano visitate da estranei. Certo, possiamo fare ben poco, per loro. Ma sicuramente parlarne è meglio che tacere! Sveliamo le donne afgane È molto difficile comprendere come ci si sente ad essere donna a Kabul. Sicuramente molto difficile per noi, donne occidentali, che non facciamo che lamentarci delle - peraltro ingiuste - discriminazioni che tuttora subiamo in certi ambienti di lavoro e in certi strati di società. Quel che accade in Afghanistan è fuori dalla portata della nostra immaginazione e fa gelare il sangue, solo a pensarci. Per chi non ricordasse cosa significa essere donna sotto il regime dei talebani, ecco un piccolo elenco esemplificativo di divieti. Le donne non possono lavorare. Non possono uscire da casa, se non accompagnate da un mehram (marito, padre o fratello), non possono andare a scuola ("i talebani sostengono che le donne hanno il cervello più piccolo degli uomini, e quindi non ne vale la pena"); non possono parlare o dare la mano a uomini che non siano mehram; non possono apparire in tv, né partecipare a riunioni; non possono ridere forte, né indossare abiti dai colori vivaci; devono usare autobus riservati; le finestre delle loro case devono essere oscurate, affinché non possano essere viste dall'esterno. Una donna che non indossa il burqa (o lascia, per esempio, le caviglie scoperte) rischia la fustigazione pubblica, e se ha le unghie dipinte l'amputazione delle dita. Certo, l'oppressione e la discriminazione nei confronti delle donne è un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Così come lo è la lotta della donna per i propri diritti, ma in Afganistan la battaglia delle donne per l'uguaglianza dei propri diritti, è un'idea troppo stravagante, per poter essere anche solo concepita. In Afganistan, sotto il regime fondamentalista, le donne dovevano lottare, per essere riconosciute come esseri umani. L'odio nei confronti della donna, come essere subumano, è uno dei principi del fondamentalismo islamico. La situazione delle donne afgane non era mai stata una situazione felice, ma nell'ultima metà del secolo, le cose stavano iniziando a migliorare, soprattutto grazie all'educazione e ai rapidi cambiamenti che stavano avvenendo in tutte le parti del mondo. La consapevolezza che le donne avessero delle potenzialità e fossero capaci di altro, oltre che ad avere figli, stava iniziando ad illuminare le menti degli strati più bassi di questa società, conservatrice e tradizionalista. Ma, con l'avvento dei fondamentalisti, la ruota della storia è stata rimandata indietro di centinaia di anni. Per tutto il periodo, dal 1996 al 2001, nel quale i Talibani sono stati i padroni di Kabul, le donne di ogni età, anche bambine, sono state vittime di un assurdo regime di segregazione, instaurato per legge. Senza diritti. Da esseri invisibili. Ed anche oggi, nonostante il ritorno della democrazia, la strada per l'emancipazione sembra ancora molto lunga, per le donne afgane. Islanda: civiltà al femminile Ragazze che spingono carrozzine con splendidi bambini dagli occhi blu infagottati per ripararsi dal freddo. Ragazze alte e snelle, con le facce slavate e gli occhi chiari e vivaci, intelligenti e sereni, anche se poco più che adolescenti È questa, la prima immagine che si coglie appena sbarcati in Islanda. Tante giovani mamme. Anche troppo giovani e persino troppo numerose, per lo standard europeo. Ma non c'è da stupirsi. Le statistiche demografiche dell'Islanda potrebbero fare impazzire uno studioso della tendenza. Il trend che descrive la donna del ventunesimo secolo come single, o comunque disposta a rinunciare alla famiglia e figli, assolutamente non vale nell'isola di ghiaccio. In Islanda si fanno più figli che in qualsiasi altro paese d'Europa occidentale, il doppio rispetto a quanto accade in Italia. Eppure, oltre l'85 per cento di esse lavora fuori casa. Sono molto emancipate e molte di loro scelgono, liberamente e senza rischiare di essere vittime di discriminazioni e pregiudizi, di essere ragazze madri. Donne forti, quindi. Una forza che hanno forse ereditato dalle loro madri e dalle loro nonne, costrette ad occuparsi di tutto, perché i loro uomini erano quasi sempre in mare. Donne forti, che abituavano i figli maschi ad essere uomini forti, perché soltanto così avrebbero potuto, d'inverno, strappare all'oceano il cibo per tutta la famiglia. Donne forti e all'avanguardia, non solo nella vita privata, ma anche in quella politica. L'Islanda è uno dei primi paesi ad ottenere il diritto di voto per le donne (era il 1915). È anche uno dei primi paesi ad avere avuto un partito delle donne, una signora sindaco della capitale e una presidente donna (Vigdis Finnbogadòttir, 1980-1996). Eletta alla suprema carica dello Stato nel 1980 (la prima donna al mondo a diventare presidente in seguito ad un'elezione popolare), Vigdis Finnbogadòttir si è distinta anche per aver fatto della difesa dell'ambiente una delle linee fondamentali della sua azione, assieme a quella dell'educazione attiva dei ragazzi. Sotto la sua presidenza, l'Islanda ha conquistato il primato mondiale della riforestazione e in un anno, ogni islandese, ha piantato in media 20 alberi. Donne dunque pedine fondamentali della società islandese. Avete qualche dubbio? Chiedete a un islandese se si ricorda cosa accadde il 24 ottobre 1975: le donne, in Islanda, si presero un "giorno libero!". E il paese si fermò. Donne acrobate tra lavoro e famiglia Maggio 2010 - Una grande potenzialità che il nostro Paese non riesce ancora a valorizzare completamente. Sono le donne italiane, vere acrobate che si dimenano tra lavoro, famiglia e società, fotografate dal Rapporto Italia dell’Eurispes. Dall'indagine emerge che in Italia permane una cultura che, a trent’anni dall’inizio del processo di femminilizzazione del mercato del lavoro, stenta ancora a riconoscere il mutato ruolo della donna in seno alla famiglia e alla società, e che è ben lontana dal fornire effettiva sostanza al principio delle pari opportunità. Rispetto ai paesi del Nord Europa, dove le donne lavorano senza per questo rinunciare alla maternità e i tassi di occupazione femminili sono elevati, l’Italia si caratterizza da un bassissimo livello di fecondità (1,41 nel 2008) e da un altrettanto modesto tasso di occupazione femminile (46,6), il più basso in Europa nel 2008. Ma il nostro paese è anche tra quelli in cui si è verificato un maggiore incremento occupazionale delle donne (+7% rispetto al 2000). I dati relativi a carriere e retribuzioni di uomini e donne mostrano un evidente gap di genere: per il gentil sesso risulta ancora complicato riuscire ad occupare posizioni di rilievo nelle aziende e nella politica. I ruoli di comando, infatti, sono quasi del tutto appannaggio degli uomini in politica (89% contro l'11% di presenza femminile), in economia (84,5% contro 15,5%) e cultura e professioni (81,5% contro 18,5%). Questo divario si riduce nel settore arte e comunicazione (62,2% contro 37,8%). Per quanto riguarda le retribuzioni il Rapporto Eurispes, su dati Unioncamere, mostra come, a parità di impiego, le donne percepiscano stipendi più bassi: lo scarto percentuale è pari al 16%, partendo da un minimo dell'1,7% nelle professioni meno qualificate ad un massimo del 20,8% degli operai specializzati. La mancanza di una piena meritocrazia e di pari opportunità nel mondo del lavoro sono la causa principale della progressiva precarietà lavorativa della donna e del suo frequente abbandono della carriera in favore della cura di casa e famiglia. Maternità e lavoro, d'altra parte, risultano due realtà non sempre conciliabili. Dallo studio Donne e lavoro la conciliazione che non c'è, realizzato dall'Eurispes nel primo semestre del 2008, emerge che il 65,7% delle intervistate sono convinte che la carriera costringa molte donne a rinunciare o rimandare la maternità. I motivi? In primo luogo la maternità è vista come un vero e proprio handicap per l'azienda da parte dei datori di lavoro, che devono affrontare problemi come la minore disponibilità della madre lavoratrice, le sue assenze dovute alle malattie del bambino e quindi la sua presenza incostante sul posto di lavoro e spese aggiuntive per l'impresa. Anche i costi troppo alti di asili nido e baby sitter e l'assenza di una solida rete parentale spingono molte a lasciare un lavoro poco redditizio per dedicarsi completamente alla cura dei figli. Una donna su nove, secondo un'indagine Isfol Plus, è uscita dal mercato del lavoro in maniera temporanea o definitiva dopo la nascita di un figlio perché non supportata dal partner e dai servizi del sistema di welfare. Un'inversione di tendenza, infine, si registra nel campo dell'imprenditoria femminile. Aumentano in Italia le aziende con donne al timone di comando: tra il 2003 e il 2008 il numero di imprese femminili è cresciuto del 5,8%, cioè il 2,2% in più rispetto al totale delle aziende italiane, e rappresentano il 24% del tessuto imprenditoriale del Belpaese. Sorelle Mirabal Sorelle Mirabal Ojo de Agua (Santo Domingo): Patria 1924-1960; Minerva 1926-1960; Maria Teresa 19361960; Dedé 1925 - vivente Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per lei e per i suoi tre figli. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise. Il loro brutale assassinio risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee politiche. Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia. Minerva mostra fin da bambina un carattere forte e indipendente e una grande passione per la lettura, il suo paese e la libertà. La sua influenza sulle sorelle è notevole, soprattutto su Maria Teresa, la più piccola, che la prende a modello e cerca di emularla negli studi universitari, iscrivendosi ad Architettura, facoltà che non termina, conquistando soltanto il grado tecnico in Agrimensura. Maria Teresa segue Minerva giovanissima nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva. Dopo la conclusione degli studi superiori Minerva chiede ai genitori il permesso di studiare Diritto all’Università (suo grande sogno fin dall’infanzia), ma la madre di oppone: conoscendo le sue spiccate idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza da sola per tutta la provincia. Ma nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo, che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della professione. Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria Movimento del 14 giugno e il cui presidente fu suo marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963. Minerva fu l’anima del movimento «Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal) Ben presto nel Movimento 14 giugno, oltre alla giovanissima (quando fu assassinata aveva soltanto venticinque anni) Maria Teresa e al marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti anche la materna e solidale Patria e il marito Pedro Gonzalez. Patria aveva abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega (come farà Dedé per badare all’attività familiare) per sposare a sedici anni un agricoltore. Patria è molto religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto viaggiare. Era madre di quattro figli (ma l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico». La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari. Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati. Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre eroine vengono gettati con la loro macchina in un burrone. L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. La terribile notizia si diffonde come polvere, risvegliando coscienze in letargo. L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle». La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek. 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un giorno che dovrebbe diventare tutti i giorni. Giorni in cui dire basta,fare proposte,metterle in atto. Giorni in cui chiedere a gran voce che governo e parlamento si adoperino al più presto per la ratifica della Convenzione di Instanbul. Ci vorrebbero uno, cento, mille 25 novembre. Tanti 25 novembre per chiedere che venga introdotta l’educazione sessuale nelle scuole. Tanti 25 novembre in cui supportare i centri antiviolenza, i centri di ascolto e fare in modo che la scure dei tagli non si abbatta su questi preziosi strumenti. Tanti 25 novembre in cui passare dalle parole ai fatti. Fatti che servono a combattere sul nascere il germe della violenza. Tanti 25 novembre in cui chiedere al giornalismo di cambiare linguaggio. Nessuna donna infatti muore di passione, di caldo o di follia. Le donne vittime di violenza muoiono a causa di una cultura sbagliata ormai radicata nella nostra società. Una cultura che vede le donne come corpi da esibire, come merce da possedere. Tanti 25 novembre in cui chiedere agli uomini di camminare al nostro fianco, di camminare insieme, di lottare con noi affinché le cose cambino sul serio. Tanti 25 novembre per arrivare al giorno in cui non ci sarà più bisogno di un 25 novembre. Rashida Manjoo Ms. Rashida Manjoo (Sud Africa) è stato nominato relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, le sue cause e le conseguenze per un periodo iniziale di tre anni, da parte delle Nazioni Unite per i diritti umani del Consiglio nel giugno 2009 e ha iniziato le sue funzioni nel mese di agosto 2009. Rashida Manjoo in possesso di un posto a tempo parziale come professore presso il Dipartimento di Diritto Pubblico dell'Università di Città del Capo. Lei è l'ex commissario parlamentare della Commissione sulla parità di genere (CGE) in Sud Africa, un organo costituzionale incaricato di sovrintendere alla promozione e alla tutela della parità di genere. Prima di essere nominato alla CGE è stata coinvolta nella formazione contesto sociale per i giudici e gli avvocati, dove ha progettato sia il contenuto e la metodologia durante il suo tempo alla gara Legge, e Unità di Ricerca di genere, Università di Città del Capo e presso l'Università di Natal, Durban. Ha tenuto numerose cattedre tra cui, recentemente in visita presso l'Università della Virginia, negli Stati Uniti. Ha servito come Lee Des Distinguished Visiting Professor presso la Webster University, Stati Uniti d'America dove ha insegnato i corsi in materia di diritti umani, con particolare attenzione per i diritti umani delle donne e della giustizia di transizione. Era la Fellow Eleanor Roosevelt con il Programma per i diritti umani presso la Harvard Law School (2006-07) e anche un istruttore clinico nel programma nel 2005-6. “Il femmicidio è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze continuative nel tempo.” Violenza in casa, soprattutto. Violenza, ha detto Manjoo, da parte di partner, mariti, ex fidanzati. Violenza, nella maggior parte dei casi, non denunciata, perché – afferma – le donne “vivono in un contesto culturale maschilista dove la violenza in casa non è sempre percepita come un crimine; dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza; e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono appropriate e di protezione”. E ancora: “Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza: questi risultati non hanno però portato ad una diminuzione di femmicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine.” Riccardo Iacona 127 DONNE UCCISE NEL 2011 “Quest’anno è stato l’anno della strage, da gennaio ogni due giorni, ogni tre giorni, le cronache ci dicevano: “E stata uccisa questa donna”, dappertutto, una volta in Sicilia, una volta nel Centro Italia, tre volte a Milano. Ci sono giorni addirittura dell’anno in cui, per questo parlo di strage, se ne uccidevano due, tre alla volta. I giornali ne hanno cominciato a parlare diversamente, perché in genere queste storie vengono trattate come se fossero delle storie estreme e in effetti sono estreme perché non c’è niente di più estremo che un uomo che arriva con il mattarello, com’è successo nella Provincia di Milano poco tempo fa, insegue la sua ex, la prende con 80 colpi di mattarello e la uccide davanti a tutti, davanti ai suoi figli. In genere sono anche esecuzioni pubbliche, quindi non c’è niente di più estremo. In realtà l’inchiesta del libro quando siamo andati a parlare con i protagonisti, a vedere il contesto, a ricostruire le storie d’amore che c’erano dietro, abbiamo scoperto che non sono per niente estreme, sono solo la punta estrema di una violenza endemica però, che attraversa l’intero Paese contro le donne. Perché parlo di violenza endemica? Lo dicono i numeri dell’unica ricerca fatta dall’Istat nel 2007 sui casi di violenza del 2006 che parlano di quasi 5 milioni di donne che, almeno una volta nella vita, hanno subito violenza. E’ una media, quindi ci sono delle donne che la violenza la subiscono tutti i giorni. 5 milioni, vi rendete conto? È il 39% della popolazione femminile, una donna su 3, sono dati enormi, considerando poi il fatto che il 93% delle donne neanche denunciano i loro partner, che cioè c’è un sommerso enorme, stiamo parlando di numeri che coinvolgono l’intera nostra società, la coinvolgono tutta, coinvolgono il nostro modo di intendere il ruolo della donna nel nostro paese. E’ notizia di oggi che in Norvegia una donna di 29 anni è diventata Ministro, ma lì non è una notizia perché più del 50% del governo norvegese è fatto di donne, ci sono delle leggi che aiutano le donne nel loro lavoro, gli uomini si occupano dei bambini anche per un anno a casa quando nascono, c’è un Paese che vive sulle pari opportunità e noi abbiamo raccontato che vita difficile che fanno le donne nel nostro Paese, ma vengono anche uccise. Questo è un campanello di allarme. Sta succedendo che questa sotto utilizzazione della donna, il fatto che la donna non conta mai niente, che non la trovi mai in politica, in economia, che deve fare il doppio della fatica, che guadagna meno degli uomini etc., è il risultato di un vero e proprio apartheid. La vita è difficile in Italia, questo Paese, bisogna cominciare a dirlo brutalmente, è ostile alle donne, le tiene sottomesse. Ecco perché vengono uccise. Dietro a queste uccisioni, ci sono milioni, centinaia di migliaia, perlomeno centinaia di migliaia di case – prigioni, dove regolarmente si usa violenza fisica, psicologica, sottomissione nei confronti delle donne. Una società così è una società malata, una società dove più del 50% dell’intelligenza delle donne non viene utilizzata, ma anzi la donna viene sottomessa. Una società decapitata. Questo improvviso aumento costante dal 2006: l’anno scorso sono state uccise 137 donne in Italia, una ogni 3 giorni, l’anno prima di meno, l’anno prima ancora un po’ di meno, un dato in costante aumento. La maggioranza delle donne vengono uccise al nord, non al sud, non sono nelle situazioni in cui non lavorano, ma hanno cominciato a conquistare, grazie al lavoro indipendenza, autonomia, sono donne che facilmente si separano per esempio. Se la storia è finita vanno dal giudice e chiedono la separazione, se il marito è molesto, picchia, magari fanno la denuncia ai Carabinieri. L’uccisione delle donne è una reazione a questa voglia e a questo necessario processo di autonomia, indipendenza, questo avvicinamento nostro agli standard europei. Questa guerra si sta svolgendo nel buio… sì ne parlano i giornali, sono storie che fanno molto effetto, poi dopo ce ne è un’altra di queste storie. LA DONNA DOPO LA DENUNCIA, RIMANE DA SOLA La difesa della donna non è nell’agenda politica, se ci fosse ci sarebbero tutti i centri antiviolenza che servono. In Spagna l’anno scorso hanno ucciso 62 donne, 7 anni fa ne ammazzavano una al giorno: risultato di politiche attive, si possono fare delle politiche attive per diminuire questa lista delle donne uccise, per prevenire la violenza nelle case, per difendere il diritto costituzionale a una vita libera. Molti dei casi delle donne uccise quest’anno erano omicidi annunciati, donne che avevano fatto denunce, spesso anche 4/5 anni prima,vedete come reagiscono i palazzi di giustizia, vedete quanto tempo, quante di queste storie finiscono in prescrizione? La donna fa la denuncia e poi si trova sola, quante volte l’uomo che poi l’ha uccisa gliel’ha detto, gliel’ha promesso e l’ha detto davanti a tutti, davanti agli amici, ai figli. È un altro aspetto di questa grande storia che ci riguarda tutti, perché in un mondo in cui sia possibile estirpare questa violenza endemica nei confronti delle donne, è un mondo dove tutti viviamo meglio, vivono meglio le donne, vivono meglio gli uomini e vivono meglio i figli che subiscono dei drammi perché questa ondata di ritorno, di sofferenza parte da centinaia di migliaia di case – prigione. Ho scritto questo libro per tirare fuori dalle pagine della cronaca dei giornali queste storie e cercare di allertare e far capire che che non finiscono lì, che hanno a che fare con la pancia profonda del paese, di come siamo, di come intendiamo un rapporto uomo donna. È un uomo che ha scritto questo libro, nessuno si può tirare fuori, certo, tra un litigio, uno schiaffo, un urlo, una violenza psicologica e l’omicidio c’è il mare di mezzo, però quell’omicidio nasce da quell’urlo, da quello schiaffo, da questa nostra impossibilità, capacità di capire. Nei paesi del nord Europa il giudice impone all’uomo maltrattante di fare una cura, queste cure sono naturalmente molto lunghe nel tempo e sono delle vere e proprie psicoterapie, però anche in Italia da qualche parte si sta facendo e nel libro siamo riusciti a raccogliere delle interviste che secondo me sono preziose, di uomini che raccontano il loro episodio, uno di questi dice una cosa che mi ha colpito tantissimo: “Guarda io la violenza la usavo perché non riuscivo a rispondere alle sue argomentazioni, lei scappava, correva, era più veloce di me, andava avanti, avevo paura di perderla etc. E io usavo l’unica cosa che avevo, l’unico strumento che avevo in mano cioè la violenza”. In realtà così aveva distrutto il suo rapporto perché lei l’aveva denunciato, adesso sono due anni che lui non vede il bambino, quindi in questi due anni lui è maturato e quando dice quelle parole, parla a tutti gli uomini italiani. Se usciamo da questa spirale di violenza diventiamo un Paese più civile e economicamente più interessante perché il 50% delle donne che vivono nel nostro paese possono rientrare in circolo e non rimanere chiuse dentro le case. Normalmente si possono fare tante cose per limitare sia gli omicidi delle donne, e per estirpare questa violenta, non è solo un fatto di cultura, certo la cultura c’entra, c’entrano le scuole, a scuola non si parla mai di queste cose, vanno lì a fare i corsi sulle droghe, sono giusti, ma pochi sono gli incontri strutturali, costanti nel tempo con gli adolescenti, sul rapporto uomo – donna, come va interpretato. Questo è il Paese dove bisogna far rispettare la legge, dello stalking, tra l’altro è un’ottima legge perché per la prima volta dà agli investigatori, ai poliziotti, ai Carabinieri, ai magistrati degli strumenti concreti per colpire l’uomo maltrattante, la legge c’è ma poi c’è metà dell’Italia che non ha dei centri antiviolenza, per cui dici: “Va beh perché le donne non denunciano?” Vai a denunciare nella Provincia di Enna dove non c’è un posto letto dove ricoverare una donna la cui vita è minacciata, che per fare questo deve lasciare la sua città e magari deve, con i suoi figli, trasferirsi a 300 chilometri di distanza, diventa un po’ punitivo nei confronti della donna, non c’è questa rete, non c’è quanta ne servirebbe, largamente inferiore rispetto non solo al bisogno, ma anche rispetto ai parametri fissati dall’Unione Europea di almeno 5.500 posti letto e noi in Italia ne abbiamo 500 posti letto dove ricoverare donne e bambini. Vanessa aveva solo 20 anni quando è stata uccisa dal fidanzato con cui stava da 4 mesi, un uomo più grande di lei, 34 anni, a Enna . Rosa Trovato invece era una donna di 45 anni, che era già stata oggetto di violenza per tanti anni dal marito, lo sapevano tutti ma nessuno ha fatto niente fino a che il marito non l’ ha uccisa. Enza Anicito viveva nella Provincia di Catania ed è stata uccisa dal suo ex, una storia incredibile, l’ha uccisa davanti alla figlia, si sono dati appuntamento in una strada perché lei l’aveva lasciato, lui allora ha detto: “Scambiamoci le ultime cose, tu mi ridai indietro l’anello, io ti ridò indietro le foto”, lui invece aveva programmato tutto, aveva portato la pistola e l’ha uccisa davanti alla figlia, non solo, quando la figlia si è buttata per terra e ha visto la madre che cascava in un lago di sangue, lui uccide anche la figlia. OMICIDI ANNUNCIATI Quasi sempre in queste storie di omicidi di donne, c’è la voglia non solo di annientare la compagna, ma anche i figli della compagna, anche i tuoi figli, i figli che tu hai fatto con questa donna. Sono tutte esecuzioni pubbliche, mafiose in questo senso, fatte davanti ai figli, sulla strada, davanti alla gente, nei posti di lavoro, come se fosse un modo per dire a tutti: “Guarda tu sei mia e non sei di nessuno e lo faccio davanti a tutti perché tutti sappiano che stai pagando questa colpa di essere indipendente, autonoma”.È impressionante, moltiplicatelo per 80 omicidi in Italia dall’inizio dell’anno, ci danno un quadro del Paese impressionante, per questo ho voluto vedere da vicino, sono entrato nei quartieri, ho parlato con le persone, ho tutto questo viaggio da sotto fino a su, ho parlato con le Procure della repubblica, con i Carabinieri che avevano indagato, per cercare di capire cosa c’è dietro questa uccisione delle donne e c’è una violenza endemica pazzesca, c’è il fatto che questo è un paese ostile alle donne! Se volete capire quanto investiamo poco, basta andare a vedere e fare i paragoni con gli altri paesi dell’Europa e del mondo la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, i paesi del nord Europa anche l’Austria, persino la Grecia hanno tutti più posti letto di noi, ma facciamo peggio di Paesi come l’Albania, l’Armenia, la Bosnia Erzegovina, la Croazia, Cipro, la Georgia, Islanda, l’Irlanda e la Macedonia che ci ha battuto la Macedonia con 0,33 posti letto per 10 mila abitanti mentre noi siamo a 0,09 posti letto per 10 mila abitanti. C’è un altro aspetto che esce fuori drammaticamente da queste storie, le storie delle donne ammazzate di quest’anno sono quasi tutti omicidi annunciati, però bisogna anche entrare nel dettaglio di questi omicidi annunciati: lo sapevano i Carabinieri, lo sapeva la polizia, spesso lo sapevano anche i giudici perché la denuncia era arrivata alla Procura della Repubblica, ma ancora più spesso lo sanno i vicini, i parenti, è largo il contesto all’interno del quale poi alla fine queste donne vengono uccise. È incredibile che questo Paese sia sordo, che consideri ancora il litigio in famiglia come una questione privata, ma quante volte i vicini di casa hanno chiuso le orecchie? Perché diceva: tanto si sa che quelli litigano, guardate nei grandi condomini, ma tutti sanno in quale casa volano le botte, ma bisogna aspettare che venga uccisa la donna dentro! Molti di questi reati vanno in prescrizione dopo 7,5 anni, per esempio le minacce e le violenze, l’omicidio no naturalmente, ma ormai la donna è stata uccisa, però il tentato omicidio va in prescrizione. Adesso si sono inventati un po’ di percorsi nelle procure per cui hanno fatto dei pool per fare in modo che l’intervento sia più efficace, come potete bene immaginare se denuncio un uomo violento è quello il momento in cui rischio la vita, quello deve essere il momento più alto della risposta dello Stato. Quindi la Procura va veloce, però poi al Tribunale ti mettono tra le varie e eventuali, proprio perché non c’è la percezione dell’emergenza, della priorità, di quanto importante per la salute pubblica di questo Paese sia costruire un posto dove le donne vengono difese, come premessa perché nasca un rapporto diverso tra uomo e donna, non basato sul dominio ma sull’amore e sul reciproco rispetto anche quando lei la pensa diversamente, anche se lei ti vuole lasciare. Sono tre mesi di lavoro, un viaggio lungo dal Sud al Nord fatto consumando le scarpe, pieno di testimonianze, parlando con i protagonisti, tanto virgolettato. “Se questi sono gli uomini”. Indagine Il 100 per cento delle madri che in casa subiscono violenza sta zitto per difendere l’unità familiare. Ma quasi tutte (il 97 per cento), se ad andarci di mezzo sono anche i figli, rompono il silenzio. A dirlo è un’indagine europea, Daphne III, condotta parallelamente in Italia, a Cipro, in Romania e in Slovacchia per scoprire quali sono le conseguenze su bambini e ragazzi della violenza sulle madri. LA RICERCA - Stando agli ultimi dati Istat, nel 62,4 per cento dei casi i figli assistono alla violenza domestica e quasi la metà di essi ha meno di 11 anni, secondo Daphne III. Il danno è permanente: se l’episodio avviene prima dei 15 anni, può portarli a non desiderare né una famiglia né una relazione propria per paura di ripetere il comportamento di cui sono stati testimoni. Aggressività verso i genitori e i pari, bullismo, scarsa autostima sono solo alcune delle conseguenze più diffuse tra i figli di madri vittime di violenza, che, nel 100 per cento dei casi, inizia con una minaccia verbale. E non si ferma alle parole: il 79 per cento delle intervistate ha uno o più referti del Pronto soccorso. Tra i pretesti che danno il via all’escalation, futili motivi, “stati emotivi dell’uomo definiti come egocentrismo e gelosia”, separazione, gravidanza non desiderata, gestione familiare e successo professionale della donna. Le testimonianze italiane, raccolte grazie ai verbali anonimi forniti dalla Polizia soprattutto nel Sud Italia e nelle isole, riguardano donne che hanno subito violenza tra i 16 e i 60 anni, con figli fino a 27. “Sono quelle che hanno rotto il silenzio, perciò riconoscono la violenza e l’hanno narrata e ben definita in ogni sua manifestazione” spiega Sandra Chistolini, responsabile del progetto Daphne III per l’Università Roma Tre. Ilfattoquotidiano.it l’ha intervistata. Sandra, il silenzio che accompagna la violenza domestica è una peculiarità tutta italiana o è riscontrabile anche negli altri Paesi oggetto dell’indagine? E’ presente in tutti i Paesi che abbiamo analizzato. Le ragioni sono culturali, religiose, valoriali. La letteratura scientifica documenta ampiamente il dato anche per altri Paesi come quelli del Nord America. Tra i motivi del silenzio delle donne, oltre al voler proteggere la famiglia vi è anche la paura di rimanere senza partner, nonché la speranza che questo sia pentito della violenza e possa non farne più uso. La distribuzione geografica della ricerca è casuale o al Sud ci sono più casi di violenza (o più casi di violenza denunciati) in seno alle famiglie? Sono state riscontrate molte difficoltà a raccogliere i verbali, per questo abbiamo accettato quello che è stato fornito senza poter procedere a un campionamento proporzionale per ripartizione geografica. La persona che esercita violenza è sempre il partner o anche altro parente? In alcuni casi sono altri familiari. Emerge comunque il ciclo ripetitivo della violenza: il carnefice e la vittima sono stati a loro volta oggetto di violenza nella famiglia di origine, dove hanno appreso il ruolo di colui che aggredisce e di colei che subisce sin da piccoli, senza sperimentare un’alternativa valida che rompesse la dinamica. Pensa che sia in atto, o sia possibile, un cambiamento culturale nella società italiana? Il cambiamento è possibile ed è in atto sia a livello di sensibilizzazione dei mass media, sia nella coscienza delle donne. Le istituzioni hanno coscienza di quanto sia grave e diffuso questo fenomeno? Le istituzioni (polizia, carabinieri, ospedali, scuola, centri anti-violenza, associazioni, parrocchie, vicinato, università) talvolta sono lente, disattente, passive, e come prima reazione in genere si tende a non prestare fiducia a quello che la donna racconta o a sminuirne la portata. Quali sono i comportamenti violenti perpetrati abitualmente a livello psicologico, sociale, economico, che la maggior parte di noi donne italiane non riconosce come tale? Le violenze verbali e psicologiche sono le prime a comparire e sono anche quelle più nascoste. Infatti solo i referti medici che mostrano la violenza fisica fanno iniziare di fatto l’iter della difesa giuridica della donna. Poi arrivano lo stalking e la privazione economica. La violenza sociale, che emerge chiaramente in tutte le narrazioni delle donne, si manifesta nell’isolamento della famiglia e nella difficoltà dei minori testimoni di violenza a stabilire relazioni con i pari. Il danno al minore, di cui la nostra ricerca Daphne III si è occupata, è ancora tutto da esplorare. CEDAW Simona Lanzoni, direttrice progetti di Fondazione Pangea e parte della Piattaforma CEDAW si è augurata che le raccomandazioni di Manjoo “rappresentino i pilastri guida su cui il Dipartimento Pari Opportunità costruirà il prossimo Piano di Azione Nazionale contro al violenza sulle donne nel 2013 assieme alla società civile e DIRE, la rete dei centri antiviolenza”, e ha aggiunto: ” invitiamo la Ministra Fornero a esporsi su questo tema. Anche la violenza sulle donne incide sul PIL italiano! Azioni di prevenzione aiuterebbero le donne ed il PIL verso uno sviluppo della società italiana sul piano economico oltre che sul piano culturale”. Le donne vittime di violenza infatti non partecipano alla costruzione del reddito nazionale, e ricadono sui costi della sanità pubblica, del sistema giudiziario, dell’assistenza sociale, per non parlare del problema che si presenta nei casi di figli che assistono alla violenza a cui viene rubato anche il futuro e alle difficoltà di reinserimento lavorativo, quasi sempre nel mercato nero. Conclude Lanzoni “La mancanza di dati certi e aggiornati non permette a chi governa di rendersi conto della gravità della situazione e dei loro costi sociali. Basti pensare che l’unica raccolta di dati ISTAT risale al 2006 e che la società civile conta solo nel 2012 in 6 mesi già 63 omicidi di donne uccise da uomini violenti.” D.I.R.E., la rete dei centri antiviolenza ogni anno accoglie circa 14.000 richieste di aiuto da donne spesso accompagnate dai figli per uscire dalla violenza “Sono ancora tantissime coloro che non denunciano e altrettante che non riescono a ricevere supporto!” sottolinea la Presidente Titti Carrano. “Per la prima volta è stato presentato alle Nazioni Unite un rapporto tematico sul femminicidio, o meglio sugli omicidi basati sul genere, femmicidi e femminicidi. Si tratta di un evento epocale, che costringe i Governi di tutto il mondo a confrontarsi con la propria responsabilità per quello che Amartya Sen ha definito ‘il genocidio nascosto” -ha detto Barbara Spinelli, Avvocata di Giuristi Democratici parte della Piattaforma CEDAW- “Sono estremamente onorata di aver contribuito, unica europea, ai lavori che hanno portato alla stesura di questo Rapporto e insieme a tutte/i coloro che lo vorranno, ci adopereremo affinché le raccomandazioni in esso contenute vengano attuate dalle Istituzioni italiane senza ritardo”. PROPOSTE • Stabilire un sistema appropriato di raccolta di dati su tutte le forme di violenza contro le donne, e i suoi costi sociali, in maniera coordinata tra tutti i ministeri competenti, l’Istat, DIRE e le organizzazioni della società civile che operano sul tema con un approccio di genere. • Rafforzare il coordinamento e lo scambio di informazioni tra magistratura, polizia, assistenti sociali, operatori della salute mentale e sanitari che vengono in contatto con situazioni di violenza sulle donne • Assicurare che i tempi di prescrizione siano più lunghi per i procedimenti penali relativi ai reati di stalking e agli abusi in famiglia. • Colmare i vuoti normativi in materia di affido condiviso, attraverso la previsione di misure per la protezione ldi donne e minori vittime di violenza domestica diretta o assistita. • Assicurare che tutti gli attori coinvolti nel settore del contrasto alla violenza sulle donne siano formati su tale argomento (assistenti sociali, operatori sanitari, giudici, avvocati, forze dell’ordine, etc.), • Provvedere finanziamenti certi e continui nel tempo per le case rifugio esistenti ed i centri antiviolenza che lavorano con un approccio di genere; • Prevedere programmi di educazione per le scuole e le università, sull’identità di genere, la sessualità consapevole, la decostruzione degli stereotipi e al contrasto della violenza, • Formare giornalisti sui temi della violenza contro le donne e all’uso di un linguaggio appropriato per divulgare le informazioni sugli episodi relativi alla violenza di genere e alle discriminazioni; Se qualcuno chiedeva cosa fare per fermare la violenza contro le donne, i punti sono questi. Vanno diffusi, condivisi, e messi in atto. Il termine femminicidio, o femmicidio, si riferisce alle violenze che vengono perpetrate dagli uomini ai danni delle donne in quanto tali, ossia in quanto appartenenti al genere femminile. Il femminicidio comprende inoltre tutti quei casi di omicidio in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi relativi alla sua identità di genere Il termine è stato utilizzato dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill Radford Femicide: The Politics of woman killing. La Russell identificò nel femmicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine. Un anno dopo, nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere: « La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale - che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia » Il termine è stato ripreso e diffuso da numerosi studi di sociologia, antropologia, criminologia e utilizzato negli appelli internazionali lanciati dalle madri delle ragazze uccise a Ciudad Juárez. "Nuestras Hijas de regreso a casa" è il movimento cofondato fondato da Marisela Escobedo Ruiz, uccisa nel gennaio 2010 in Messico nel corso della sua protesta per ottenere la verità sulla morte della figlia. A un anno di distanza Norma Andrade, altra fondatrice di Nuestra Hijas, subisce un attentato. È proprio dall'analisi dei crimini di massa compiuti contro le donne che la Lagarde propone la sua definizione. Lin Huihui AVEVA SOLO 23 ANNI LIN HUI HUI, E UNA FIGLIA DI POCHI MESI. MA NON PER QUESTO LA MANO DEL SUO ASSASSINO, SUN JINLONG, UN CINESE DI 59 ANNI, SI È FERMATA. IL 27 MARZO L’UOMO HA UCCISO LA GIOVANE, SOFFOCANDOLA; POI HA ABBANDONANDO IL CADAVERE IN UNA STRADA DI CAMPAGNA TRA CASINALBO E MAGRETA, NEL MODENESE, SFIGURANDONE VISO E CORPO CON LA SODA CAUSTICA. SUN JINLONG AVREBBE UCCISO LA GIOVANE PER MOTIVI ECONOMICI. AGLI INQUIRENTI AVEVA DETTO DI NON CONOSCERE LA GIOVANE, MA QUANDO I CARABINIERI HANNO PERQUISITO LA SUA ABITAZIONE HANNO TROVATO, NASCOSTO IN UNA VALIGIA, LA RICHIESTA DI APERTURA DI UN LIBRETTO POSTALE A NOME DELLA DONNA. ARRESTATO, PER LUI L’ACCUSA È DI OMICIDIO VOLONTARIO PIETRO FIORENTINO NON SI È ACCANITO SOLTANTO CONTRO LA MOGLIE, STEFANIA MIGHALI. NELLA CASA DI TRAPANI DOVE L’HA UCCISA A COLTELLATE NON È STATO CAPACE DI FERMARSI NEANCHE DAVANTI ALLE LACRIME E ALLE URLA DELLA SUA BAMBINA, DANIELA, OTTO ANNI APPENA. LA BIMBA LO IMPLORAVA DI SMETTERLA, DI NON FARE DEL MALE ALLA MAMMA. CERCARE DI FERMARLO CON LE PAROLE ERA STATO INUTILE. E ALLORA, CON TUTTO IL CORAGGIO CHE AVEVA TROVATO, SI ERA AVVICINATA A QUEL PADRE-ORCO PROBABILMENTE IN PREDA AGLI EFFETTI DELL’ALCOL. LUI LE SI È AVVENTATO CONTRO E L’HA COLPITA ALL’ADDOME SENZA PIETÀ MENTRE LA BIMBA TENTAVA DI DIFENDERE SUA MADRE METTENDOSI FRA LEI E IL PADRE MELISSA BASSI AVEVA SOLO 16 ANNI. È MORTA LA MATTINA DEL 19 MAGGIO DILANIATA DA UNA BOMBA ARTIGIANALE PIAZZATA DAVANTI ALL'ISTITUTO SUPERIORE MORVILLO-FALCONE DI BRINDISI, LA SUA SCUOLA. A PIAZZARE QUELLA BOMBA È STATO GIOVANNI VANTAGGIATO, IMPRENDITORE DI 68 ANNI DI COPERTINO, RE CONFESSO DELL'ATTENTATO CHE HA FERITO GRAVEMENTE ANCHE ALTRE RAGAZZE. ERA FIGLIA UNICA MELISSA, COCCOLATA COME PIÙ NON SI PUÒ DAL PAPÀ OPERAIO PIASTRELLISTA E DALLA MAMMA CASALINGA. CHE DA QUEL GIORNO DI MAGGIO VIVONO MA HANNO SMESSO DI VIVERE Lavoro sulla condizione femminile nella storia. di Rita Iodice e Ludovica Chirico. “Deh, quando sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via”, seguitò ‘l terzo spirito al secondo, “Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fè, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma”. Dante, Purgatorio c. v I miti antifemministi Già dai tempi di Pandora che aprì un vaso contenenti tutti i mali del mondo la donna è stata considerata fonte del peccato. Anche qui è una donna a compiere il peccato originale mangiando il frutto proibito. Gesù: un innovatore Gesù da sempre ha considerato le donne delle persone a tutti gli effetti e si circondava spesso di esse. Egli diceva che l’uomo e la donna sono una carne sola. Quando i discepoli lo abbandonarono alla sua morte, le donne furono le uniche a restare fedeli ai piedi della croce, infatti, furono le prime testimoni della Resurrezione. E una delle tappe fondamentali della conquista dei diritti della donna L’autrice è una drammaturga francese che difendeva i diritti delle donne e trasmetteva le sue idee anche attraverso i suoi drammi teatrali: Olympe de Gouges Fu emanata durante la Rivoluzione francese dall’Assemblea Nazionale Costituente nel 1791 e si ispira alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Purtroppo ella fu ghigliottinata con le accuse di “aver dimenticato le virtù che convengono al suo sesso” e “essersi immischiata nelle cose della Repubblica”, mentre Robespierre proibiva associazioni femminili e chiudeva i loro club e giornali. Prima la donna veniva considerata”oggetto della fantasia maschile”. Il matrimonio, pur essendo molto importante per le donne, era considerato una compravendita , infatti, era basata sul possesso e sul potere. Le donne erano tutelate dall’uomo. Aveva scarse possibilità di “movimento”, se era nubile non poteva entrare in alcune stanze della casa paterna e dipendeva dall’uomo economicamente. La situazione più dura era ad Atene, invece, la più “libera” era a Roma. Le etère erano donne d’alto bordo molto più fortunate di quelle comuni. Secondo l’uomo il ruolo fondamentale della donna era solo quello di partorire e allevare i figli, infatti, eccetto le etère, non potevano partecipare ai banchetti maschili né suonare strumenti musicali. •Le etère erano cortigiane o prostitute sofisticate che offrivano prestazioni sessuali. •Potevano uscire a loro piacimento, suonare strumenti musicali e partecipare ai banchetti • Dovevano indossare abiti provocanti o presentarsi completamente nude maschili. Oggi le prostitute sono coloro che offrono prestazioni sessuali in cambio di denaro. Legato alla prostituzione c’è il suo sfruttamento, questo tipo di violenza si attua in caso di ribellione. Spesso le prostitute non si prostituiscono per piacere, ma i loro protettori le prendono in cambio di una piccola somma di denaro in paesi in cui si soffre la fame e le portano in altri stati con l’inganno. Di solito il loro guadagno è incassato dai loro lenoni. Le leggi della prostituzione nel mondo sono diverse. Alcuni stati la accettano solo con la licenza, altri la ritengono illegale o possibile solo in determinati luoghi. In Italia se ne contano dalle 50.000 alle 70.000. Almeno 25.000 sono immigrate, 2.000 minorenni e all’incirca 3.000 quelle costrette a prostituirsi. Il 65% si prostituisce in strada, il 29,1% in albergo, il restante in case private. La maggioranza di prostitute è concentrata a Milano e a Torino. La violenza domestica è quella che si compie all’interno del rapporto di coppia e si attua tramite minacce e imposizione del rapporto sessuale. Violenza fisica violenza psicologica Essa può essere: un atto fisico, delle lesioni, insomma ogni gesto che supera il confine della nostra pelle. violenza economica violenza sessuale Essa è il tentativo di ledere la dignità della donna o/e indebolirla. Essa è qualunque tipo di gesto fisico e non che viene vissuto dalla donna come un’ invasione che ha l’ effetto di ferirla e/o umiliarla. Essa è qualunque tipo di azione che crea dipendenza (in ambito economico-lavorativo che crea dipendenza alla donna nei confronti dell’uomo). Le mutilazioni genitali femminili sono pratiche eseguite non per motivi terapeutici, ma tradizionali, in 28 paesi dell’Africa Infibulazione È l’asportazione della clitoride e di parte delle labbra. Il marito pratica la defibulazione, cioè la scucitura della vulva per farla partorire e, in seguito, viene riapplicata. Escissione è l’asportazione della clitoride e il taglio parziale delle labbra. Questa pratica veniva applicata fin dai tempi dell’antico Egitto e ne sono prova dei ritrovamenti di clitoride nelle tombe egizie. CONSEGUENZE: Le mutilazioni comportano seri danni alla salute fisica e psicologica alle bambine o donne a cui vengono applicate: o Il non provare piacere sessuale; o La nascita di cisti e di infezioni vaginali; o Danni neurologici al feto; o Rottura dell’utero con conseguente morte di madre e figlio. Sono molte le spose bambine costrette dalle famiglie a sposarsi con uomini più anziani di loro e che spesso non conoscono. CAUSE Il motivo principale è quello economico, infatti, una figlia può costare tanto quanto basta per mantenere una famiglia. Altre cause sono quelle d’onore, infatti, la bambina più è giovane e più è basso il rischio di perdita della verginità fuori dal matrimonio e quindi di disonorare la famiglia; e la causa tradizionale. CONSEGUENZE Questo fenomeno procura alle persone interessate danni sia psicologici che fisici. Quelli psicologici sono dovuti al fatto che le bambine vengono strappate dalla loro vita quotidiana, dai loro studi, in modo che subiscano il matrimonio come un trauma. Quelli fisici, invece, sono dovuti al parto precoce: il loro corpo è ancora troppo piccolo per sopportare un evento di così grande portata. La morte per parto è molto frequente, sia Della bambina, sia del feto che, in Caso dovesse sopravvivere potrebbe Subire danni neurologici. Inoltre Queste ragazze hanno più probabilità di contrarre AIDS. Tutto questo non può essere evitato perché sono vietate le precauzioni. E’ una politica, economista e imprenditrice liberiana, nonché attuale presidente della Liberia. E’ stata la prima donna nera eletta come capo stato dell’Africa ed ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2011 grazie al suo favore nei confronti delle donne. Dopo essersi diplomata in Colorado ritornò in Liberia sotto l’amministrazione di William Tolbert, dove lavorò per la Citibank. Dopo la morte di Tolbert venne condannata a 10 anni di prigione per aver accusato il regime militare di Doe (rappresentante del gruppo etnico dei Krahn e uccisore di Tolbert). Si presentò, dopo essere stata rilasciata, alle elezioni contro il presidente liberiano Taylor, ma perdendo con il 10% dei voti nel primo turno, arrivò seconda nell’ultimo e divenne così presidente della Liberia. La “chiave” della sua azione politica è stata quella di fare affidamento sulle donne con la convinzione che, grazie al loro ruolo, i paesi afflitti da guerra e miseria avranno un futuro di ricchezza e pace. Istituto Comprensivo “Gino Rossi Vairo” SCUOLA INFANZIA, PRIMARIA E SECONDARIA DI PRIMO GRADO DISTR. N. 058 Via Taverne, 1 – 84043 – Agropoli (SA) Segreteria e fax 0974-823222 Presidenza 0974-823112 C.M. SAIC8AT00D – C.F. 90009620650 – C/C.P. 18070847 M.I.U.R - Certificazione di Qualità Polo Qualità di Napoli Norma Uni – En Iso 9004 : 2009 Si to Web :www.scuola ww.scuolamediaagropoli.it E - m ail :[email protected] [email protected] Gent.ma Sig.raa Ministro Maria Chiara Carrozza siamo gli alunni nni di prima prim e seconda media iscrittii al corso D (tempo pieno) dell'Istituto Comprensivo sivo “Gino Rossi R Vairo” di Agropoli (SA). Insieme ai nostri stri insegnanti, insegnan prof.ssa Daniela Tortora, prof.ssa rof.ssa Bruna Brun Cardullo e prof. Maurizio Moscariello, lo, abbiamo deciso di affrontare durante nte le attività attivi di laboratorio pomeridiane un temaa di stringente stringe attualità: quello del femminicidio, mminicidio, su cui abbiamo lavorato per diversi mesi si durante tutto il secondo quadrimestre. Il nostro lavoro ro è stato impegnativo e molto articolato. lato. Abbiamo Abbiam intrapreso un percorso storico-culturale urale per individuare ind come la mentalità sii è evoluta e come è cambiato il ruolo della donna nella società; società un percorso di analisi delle le vicende contemporanee co per comprendere le cause se e scorgere le possibili soluzioni al femminicidio, mminicidio, attraverso i tanti documenti cartacei e prodotti multimediali m che vorremmo sottoporre ottoporre alla all Sua attenzione come possibile strumento per ulteriori ulte iniziative da compiere nel resto delle de scuole italiane sperando di poter aumentare la l conoscenza di questo fenomeno nomeno per poterlo meglio combattere. Nel materiale cartaceo e multimediale m che Le inviamo, troverà: a) un libretto contenente una relaz elazione complessiva sul fenomeno eno studiato; b) una pen-drive contenente ontenente fonti fo (link) e materiale utilizzato zato per studiare stu a fondo il problema; c) le nostree proposte di legge, che speriamo vivamente ente possano essere in qualche modo utili e che abbiamo iamo già inviato inv alla Presidente della Camera; amera; d) nostre n poesie e un breve testo-saggio realizzato alizzato da un u compagno di una classe terza; rza; e) cartelle cartel dei gruppi con tutti i lavori prodotti insieme ai nostri no professori. Sappiamo che Lei è molto impegnata, ma confidiamo nella Sua disponibilità d e La ringraziamo anticipatamente. Cordiali saluti. P.S. Invieremo anche dei documenti documen cartacei da noi realizzati e prodotti. 1a D a tempo pieno Aluotto Gaia – Borrelli lli Angela – Bottiglieri Mattia - Coccaro Giulia – De Marco M Vincenzo – Feniello Violanda - Gajewska Oliwia O Alexandra – Infante Antonella – Marciano Marco Filippo – Montone Andrea – Nicodemo Nic Angelica – Pisciottano -Rosaria Rosaria – Procida Martina Prudenzano Francesca – Salurso Ettore E - Santoro Marianna – Sarno Sara - Marino Simone. 2a D a tempo pieno Amelio Ariel -Basile Gretha -Bbeell Chems Eddine – Bonafè Brando – Bukaiev Eugeny – Chirico Ludovica – Iodice Rita – Jendoubi Maher – Neji Kalil –Tum Tumbarello Tatiana – Vicinanza Carmine. Basta!!! Il femminicidio e' un tema profondo che colpisce del nostro cuore il fondo, adesso quello che dico io e': BASTA! SANGUE E MORTE BASTA! VITE DISTRUTTE BASTA! COL FALSO AMORE che si trasforma presto in dolore. Se il nostro desiderio si avvera', il femminicidio terminera'. (oliwia gajewska) (antonella infante)1D COSA SEI? CO Ti senti contento nel fare ciò? c Ti senti soddisfatto a rovinare rovin una vita? Ti senti felice ad essere re così? cos Chi è come te merita solo le pene più brutte ed il desiderio della morte. orte. Se in quella tua sporcaa anima anim esiste ancora un qualcosa, lcosa, sperduto nel nulla, comprendi di essere un MOSTRO. MO Ciò che fai, lo fai per tua ignoranza, perché una volta messo sso alle all strette verbalmente, <<TI SENTI UMILIATO?>> TO?>> <<TI SENTI IMPOTENTE?> NTE?>> e allora adotti l’unica arma con cui potresti vincere: la VIOLENZA. Sei solo un ignorante, sei solo un farabutto, a cui auguro di morire, infelice, triste e solo. (Angelica Nicodemoo I D) Femminicidio Il femminicidio e' un tema profondo che colpisce del nostro cuore il fondo. Molte donne vengono uccise dai mariti crudeli. La domanda e' questa: PERCHE' L'HAI FATTO? Adesso quello che dico io e' STOP AL FEMMINICIDIO!!! (OLIWIA GAJEWSKA)1D IL FEMMINICIDIO L’ ossessione trasforma l’ uomo fedele , in un MOSTRO crudele . La gelosia annebbia la mente, al marito imponente. La vita quotidiana della donna diventa ansia , angoscia costante. La moglie terrorizzata , viene annullata lentamente nel fisico e nella mente. ANTONELLA INFANTE 1D Femminicidio, da Bongiorno e Carfagna proposta di legge per l ergastolo Le parlamentari di Fli e Pdl propongono di modificare le aggravanti dell'omicidio quando la violenza nasce da un atteggiamento discriminatorio". Puppato: "Le esponenti democratiche aderiscano" di Redazione Il Fatto Quotidiano | 22 novembre 2012Commenti (168) Più informazioni su: Discriminazioni di Genere, Femminicidio, Giulia Bongiorno, Laura Puppato, Mara Carfagna, Questioni di Genere, Violenza di Genere. Share on oknotizie Share on print Share on email More Sharing Services 78 Sono già più di cento, dall inizio dell anno, le donne uccise in Italia per mano di un uomo che quasi sempre è il partner o un ex o un parente. Quasi una ogni due giorni. Lo chiamano femminicidio, la parola non è bella ma rende l idea: uccidere una donna proprio perché donna, e in quanto tale considerata di proprietà dell uomo che ha diritto di scelta su come e quanto deve vivere la compagna, la figlia, la sorella, la cui unica colpa è di aver voluto sottrarsi a questa tirannia. Per questo reato Giulia Bongiorno e Mara Carfagna chiedono, in una proposta di legge, la pena dell ergastolo. L argomento è di grande attualità, non solo per i continui episodi di cronaca ma anche perché domenica si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Anche il ministro Elsa Fornero, che ha la delega alle Pari opportunità, ieri ha ammesso che essere donna in Italia è un ostacolo oggettivo e che verso le donne c è un accanimento particolare e ha auspicato che il Parlamento ratifichi al più presto la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Non chiamateli raptus di follia ha pregato la Bongiorno, presidente della Commissione giustizia della Camera, sua l iniziativa della proposta di legge mi rendo conto che se li consideriamo gesti folli siamo tutti più tranquilli, ma non è così. Questa violenza nasce da un atteggiamento discriminatorio degli uomini verso le donne: c è un diffuso maschilismo, gli uomini pensano di aver diritto a decidere della vita delle donne . Dunque, alla base di tutta questa violenza nei confronti delle donne c è una questione culturale e solo un profondo cambiamento potrebbe combattere il fenomeno in modo efficace e duraturo, ma i continui episodi riportati dalla cronaca impongono misure normative. Ecco dunque la proposta elaborata dalla parlamentare finiana, che ha incontrato subito l adesione della collega del Pdl Carfagna, seconda firmataria. Si propone innanzitutto di introdurre una specifica aggravante nell articolo 576 del Codice penale (cioè le aggravanti previste per l omicidio), per punire con il carcere a vita chiunque uccida in reazione a un offesa all onore proprio o della famiglia di appartenenza o a causa della supposta violazione, da parte della vittima, di norme o costumi culturali, religiosi o sociali ovvero di tradizioni proprie della comunità d origine . Vengono subito alla mente il caso di Hina, ragazza pakistana uccisa in Italia dai parenti come punizione per non volersi adeguare agli usi tradizionali della cultura d origine o di Sanaa, sgozzata dal padre in quanto colpevole di avere un fidanzato italiano. Altra aggravante per quale è previsto l ergastolo è quando l omicidio è preceduto da anni di maltrattamenti. La proposta vuole poi estendere queste aggravanti alle convivenze more uxorio e prevede una pena da 24 a 30 anni per chi commette il reato nei confronti di un minore di anni 10 o in sua presenza. Infine, viene introdotta una nuova figura di reato, il matrimonio forzato , punendo con il carcere da uno a cinque anni chi costringe o induce con la violenza o minaccia a contrarre matrimonio contro la sua volontà. Stessa pena per chi attira con l inganno una persona residente in un altro Stato allo scopo di costringerla a sposarsi. In ogni caso, il matrimonio così contratto verrebbe considerato nullo ai sensi della legge italiana. Le promotrici si rendono conto che ormai la legislatura è agli sgoccioli e il tempo è poco, ma non disperano: Ho visto a volte miracoli, in poche settimane legge prendere forma e diventare priorità, altre leggi invece scomparire. Siccome la violenza sulle donne è un emergenza nazionale, se ci sarà il supporto dei parlamentari io non escludo anche di poter riuscire a vedere approvata questa legge ha detto Bongiorno. E già arrivano i primi sostegni: da Barbara Saltamartini, vice presidente del gruppo Pdl alla Camera e da Laura Puppato, unica donna candidata alle primarie del centrosinistra, che non può sottoscrivere perché non è parlamentare ma invita le parlamentari democratiche a farlo. Alla Puppato risponde però la senatrice del Pd Anna Serafini: Siamo in attesa di questo testo, come di altri che potranno essere presentati da altri gruppi, per poterci confrontare a partire dalla nostra proposta di legge, depositata come parlamentari del Pd, già il 4 luglio scorso spiega - Il nostro testo, in questi mesi ha viaggiato anche per ricevere i contributi di tante donne e uomini e ha incontrato in molti eventi pubblici le maggiori associazioni che si battono contro il femminicidio. Durante questo percorso non è mancato mai l incoraggiamento del segretario del Pd Pierluigi Bersani per procedere con determinazione in questa battaglia per la libertà delle donne . ✁✂✄✂☎✆✝ ✞✟✆✁✝ ✠✞✡✞☛ ☞✌ ✍✎✏✑✒✒✑✏✓ ✔✌✕✑✏✍✑ ✖✓✍✑ ✔✎ ✗✎✏✑ ✘✑✏ ✙✌✚✛✌✓✏✎✏✑ ✛✎ ✍✌✜✢✎✣✌✓✤✑ ✔✑✛✛✑ ✔✓✤✤✑ ✌✤ ✥✜✎✛✌✎✦ ✧✓✙✑ ✘✏✌✙✎ ✖✓✍✎★ ✎✖✖✑✜✜✎✏✑ ✛✎ ✘✏✓✘✓✍✜✎ ✔✌ ✛✑✚✚✑ ✖✓✤✜✏✓ ✌✛ ✩✑✙✙✌✤✌✖✌✔✌✓✦ ✥✤✜✎✤✜✓★ ✍✌ ✘✢ò fare molto altro per aiutare le donne. La nostra proposta è di organizzare manifestazioni e/o spettacoli generali ma soprattutto di sensibilizzazione verso il fenomeno del Femminicidio e la violenza sulle donne. Mostrando tutte le conseguenze delle azioni degli uomini e tutti i dati delle morti e delle violenze per far capire quanto grave sia la situazione. Con il ricavato (manifestazioni che partano specie dalle scuole in modo da sensibilizzare anche i ragazzi su questo delicato e importante argomento) di questi eventi organizzati avremmo pensato poi di costruire (almeno 2 per regione) centri di accoglienza e aiuto per ragazze madri, ragazze che cercano di uscire dalla prostituzione o quelle che vengono violentate in famiglia (denunciando gli accaduti). Anche se questo non è moltissimo è già un grande passo per migliorare la situazione.