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Prendere in cura e insegnare a curare
Periodico d’informazione dell’Azienda Ospedaliera San Paolo - Polo Universitario - Milano
Anno 10 n. 32
2
3
Regione Lombardia:
Nuove modalità verifica esenzione ticket
L’ospedale informa
Informazioni utili per la stagione estiva
6
Il ruolo del Comitato Etico
nella sperimentazione clinica
7
La diagnosi precoce del cancro orale
8
Entusiasmo e Professionalità
in Pneumologia
14
Citodiagnostica Agoaspirativa
Interventistica con refertazione rapida:
Un nuovo Servizio dell’Ospedale San Paolo
Giugno 2011
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Lombardia Sanità
Dr.
prof.
Luciano
AntonioBresciani,
Colombi Assessore
– Dirigente
U.O.Sanità
Servizio
di Regione
Prevenzione
Lombardia
e Protezione
Laalla
parola
alla
Regione
Nuove modalità di verifica
dell’esenzione ticket per reddito
A partire da luglio, i medici prescrittori, al momento della compilazione dell'impegnativa, verificheranno attraverso l'anagrafe regionale, se l'assistito ha diritto all'esenzione per reddito dal pagamento
del ticket su esami e visite specialistiche.
Pertanto sarà il medico che, su richiesta dell’interessato, indicherà
sull'impegnativa il diritto all'esenzione che, di conseguenza, non
potrà più essere autocertificato dall'assistito al momento della fruizione firmando l'impegnativa.
Cittadini che beneficiano dell'esenzione sul territorio
nazionale
Nell'attesa che il sistema informativo abbia a disposizione tutti i dati
relativi all'esenzione da reddito (sulla base dei dati fiscali dell’anno
2009), i cittadini aventi diritto secondo le disposizioni statali, valide
su tutto il territorio nazionale e cioè:
- cittadini di età superiore ai 65 anni con reddito complessivo familiare inferiore o uguale a 36.151,98 euro (cod. esenzione 01)
- minori di 6 anni appartenenti a nucleo familiare che non supera i
36.151,98 euro (cod. esenzione 01)
riceveranno a casa una lettera con l'attestazione del codice E01, da
esibire al proprio medico curante per fare valere il diritto all'esenzione.
L'attribuzione del codice E01 è necessaria per fruire della prestazione anche fuori dalla Lombardia.
Nuova Sede di Regione Lombardia
Esenzioni regionali
Secondo le disposizioni regionali, le condizioni per beneficiare dell'esenzione sono più ampie:
- cittadini di età superiore a 65 anni e reddito complessivo familiare
inferiore o uguale a 38.500,00 euro (cod. esenzione E05): devono
rilasciare l'autocertificazione recandosi all'ASL (sportello
Scelta/Revoca);
- disoccupati, lavoratori in mobilità, cittadini in cassa integrazione
straordinaria e in cassa integrazione in deroga e familiari a loro carico (cod. esenzione E02 – E08 – E09): se non l'hanno già fatto nei
mesi scorsi, devono rilasciare l'autocertificazione recandosi all'ASL (sportello Scelta/Revoca);
- minori di 14 anni senza limiti di reddito (cod. esenzione E11) :
l’esenzione vale fino al compimento del 14° anno di età.
Eventuali variazioni della condizione per beneficiare dell'esenzione
devono essere comunicate tempestivamente all'ASL di competenza,
per evitare conseguenze anche sul piano penale.
Fino al 14 settembre, qualora, per qualche difficoltà, l’esenzione non
sia riportata sull’impegnativa, per il cittadino valgono le disposizioni
precedentemente in vigore e cioè la possibilità di autocertificare il
diritto all'esenzione firmando l'impegnativa.
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Prof. Silvano Menni - Direttore U.O. Dermatologia
I consigli del dermatologo
La stagione estiva vuol dire parlare di vacanze e di maggior
periodo di tempo da passare all’aperto, al sole. Tutti conoscono i benefici fisici e psicologici del vivere all’aperto, del
ruolo determinante dei raggi ultravioletti(RUV) nella produzione della vitamina D, indispensabile per evitare il rachitismo, dai precursori del colesterolo presenti nella pelle,
vitamina che sempre maggiori evidenze indicano avere un
effetto protettivo contro il cancro.Accanto agli effetti favorevoli del sole sono però altrettanto noti i possibili effetti
dannosi delle radiazioni solari sulla cute. L’invecchiamento Prof. Silvano Menni
cutaneo è senz’altro favorito dai RUV, che sono anche i fattori di rischio più importanti come dose cumulativa dei tumori cutanei
maligni non melanocitari(carcinomi basocellulari e spinocellulari). L’esposizione solare intensa di tipo intermittente è il fattore di rischio ambientale
più importante nello sviluppo del melanoma, tumore che negli ultimi cinquanta anni è aumentato come incidenza più di tutti gli altri tumori maligni. Non ci sono al momento dei modi per bilanciare con sicurezza
l’effetto favorevole dei RUV con i suoi effetti dannosi. Tuttavia è ormai dimostrato che il proteggersi dal sole riduce il fotoinvecchiamento e il rischio di carcinomi spinocellulari, mentre non ci sono certezze assolute
sulla efficacia della fotoprotezione nei confronti dei carcinomi spinocellulari e del melanoma. E dunque , come proteggersi dal sole nel periodo
estivo e di vacanza? Ecco alcune raccomandazioni semplificate:
- La fotoprotezione per soggetti adulti che richiedono una protezione
massima, cioè con fototipo I,II,III (pelle bianca o chiara)e che tendono
ad abbronzarsi poco o nulla, si basa sull’utilizzo il più possibile di cap-
pello e vestiti, sul limitare al massimo l’attività all’aperto
tra le ore 10 e le ore 14 e sull’utilizzo di antisolari con
SPF(sun protective factor) preferibilmente 50+.I soggetti
che richiedono una fotoprotezione intermedia o minima,
fototipo IV,V,VI(pelle bruna o bruno-scura) che si abbronzano più facilmente, devono anch’essi evitare di esporsi
tra le 10 e le 14, usare cappello e maglietta per le zone
maggiormente esposte, usare antisolari con SPF tra 10 e
30.
- Gli antisolari vanno applicati almeno un’ora prima e in abbondanza su tutte le zone fotoesposte, vanno riapplicati
ogni 2 ore e dopo ogni immersione in acqua; se “water resistant” sono
attivi per 40 minuti di immersione.
L’applicazione degli antisolari deve essere più frequente su labbra e
viso.
Accertarsi che l’antisolare abbia fattore di protezione per UVB ma
anche un fattore per UVA non inferiore a 1/3 dell’SPF.
Nei bambini la fotoprotezione va condotta con particolare cura, l’esposizione al sole nelle ore centrali della giornata va accuratamente
esclusa e si deve accentuare la protezione con vestiti e cappello,vanno
previlegiati antisolari con filtri fisici.
Ci sono evidenze scientifiche che l’assunzione orale di alcune sostanze vegetali, catotenoidi,polifenoli,flavonoidi, Polipodium Leucotomas, ha un effetto preventivo contro il danno indotto dai RUV.
E infine ricordarsi sempre che l’uso degli antisolari deve servire come
protettivo e non per favorire un’esposizione più prolungata al sole.
Prof. Antonio E. Pontiroli, Dr.ssa Laura Folini, U.O. Medicina 2^ - Servizio di Dietologia e Nutrizione Clinica
Cosa mangiamo d’estate?
Un’alimentazione equilibrata ed uno stile di vita
calo ponderale, la dieta è generalmente moderaattivo sono alla base della prevenzione di molte
tamente ipocalorica, in modo da ottenere un calo
malattie (cardiovascolari, metaboliche, osteoartigraduale e progressivo, e favorire l’educazione
colari, alcuni tipi di tumori) ed aiutano a contraalimentare del soggetto e l’abitudine a svolgere
stare il fisiologico deterioramento cui va incontro
un’attività fisica aerobica preferibilmente quotil’organismo con l’età. È fondamentale acquisire
diana e di moderata intensità.
delle sane e corrette abitudini alimentari sin dalla
Bisognerebbe avere tutto l’anno una corretta aligiovane età e seguirle nel corso degli anni. Bisomentazione e in estate la dieta non va certamente
gna sfatare il preconcetto per cui il termine “dieta”
in vacanza, anzi certe abitudini vanno addirittura
è sinonimo di restrizione alimentare. Seguire una Da sin. Dr.ssa Laura Folini, Prof. Antonio E. Pontiroli
rafforzarle. Difatti se bere acqua è una buona abidieta, difatti, significa piuttosto seguire indicazioni
tudine per tutto l’anno, in estate il caldo intenso,
alimentari per una sana e corretta alimentazione, che vengono elaborate
favorendo la sudorazione determina una maggior perdita di liquidi e midallo specialista nel rispetto della storia clinica del soggetto e del suo
nerali, quindi, per contrastarla è opportuno aumentare l’apporto idrico.
fabbisogno calorico. Anche laddove dovesse esserci la necessità di un
È buona regola bere almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno. In estate i sog-
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Prof. Riccardo Ghidoni - Laboratorio di Biochimica e Biologia Molecolare - Facoltà Medicina, Chirurgia e Odontoiatria
Università degli Studi di Milano
getti più anziani, che avvertono meno il senso della sete, dovrebbero bere
ad intervalli regolari, cercando di anticipare il senso della sete per ridurre
il rischio di disidratazione. L’acqua è sempre da preferirsi alle bibite ricche
in zuccheri semplici, e non andrebbe assunta troppo fredda. L’acqua è
contenuta anche negli alimenti. In estate, come per il resto dell’anno, è
fondamentale assumere almeno 5 porzioni al giorno di frutta o verdura,
preferibilmente di stagione. Si raccomanda di variare la scelta dei prodotti
ortofrutticoli in modo da garantire l’apporto di tutti i micronutrienti di cui
l’organismo ha bisogno. La frutta e la verdura infatti contengono vitamine,
minerali, fibra, fruttosio, acqua e micronutrienti utili all’organismo. Ci si
può aiutare scegliendo ogni giorno prodotti di colore diverso da consumare se possibile preferibilmente a crudo. In estate va garantito l’apporto
di sostanze antiossidanti quali: le vitamine A, E, C, il beta carotene, i carotenoidi e i polifenoli per contrastare l’azione dei radicali liberi che danneggiano le cellule. È pertanto necessario variare il più possibile le scelte
alimentari a tavola in modo da assicurare l’apporto di tutti i macronutrienti
e micronutrienti necessari al nostro organismo.
I carboidrati sono un’importante fonte di energia e devono essere introdotti tutti i giorni, preferibilmente frazionati nell’arco della giornata. Si dividono in carboidrati complessi come la pasta, il pane, il riso, i cereali, le
patate e in zuccheri semplici come zucchero, miele, frutta. L’apporto di
zuccheri semplici non dovrebbe eccedere il 10% del fabbisogno energetico giornaliero di un individuo. È sempre opportuno prevedere una
quota di alimenti integrali nella dieta, in modo da soddisfare il fabbisogno
di fibra che è di 30 grammi al giorno.
Le proteine hanno una funzione fisiologica strutturale nel soggetto sano;
vengono utilizzate come mattoni per le cellule ed i tessuti, in particolare
per il tessuto muscolare. Si dividono in proteine di origine animale e di
origine vegetale. Le prime sono presenti nella carne, nel pesce, nelle
uova, negli affettati, nel latte e nei latticini e vengono dette anche proteine
nobili o ad alto valore biologico, poiché apportano tutti gli aminoacidi essenziali che l’organismo non è in grado di sintetizzare. Le proteine di origine vegetale presenti nei cereali sono a basso valore biologico poiché
non contengono tutti gli aminoacidi essenziali. Le proteine vanno pertanto introdotte quotidianamente con l’alimentazione e almeno un terzo
del fabbisogno proteico dovrebbe essere garantito da quelle ad alto valore biologico. È consigliabile prediligere gli alimenti più magri (tagli di
carne magri, carni bianche, insaccati più magri, pesce azzurro, formaggi
freschi) e cucinarli in modo semplice, evitando piatti troppo elaborati, con
salse o grassi di origine animale quali burro, lardo, strutto, che sono ricchi
di grassi saturi e colesterolo. I lipidi di origine vegetale sono da preferirsi
ed in particolare si consiglia l’uso dell’olio extravergine d’oliva aggiunto
a crudo a fine cottura per condire gli alimenti. Anche latte e yogurt vanno
introdotti quotidianamente, preferendo quelli parzialmente scremati o
scremati a quelli interi. Infine, in estate come durante tutto l’anno i dolci
vanno consumati con molta moderazione poiché contengono soprattutto
grassi e zuccheri semplici, mentre le bevande alcoliche andrebbero evitate.
Prof. Riccardo Ghidoni - Laboratorio di Biochimica e Biologia Molecolare - Facoltà Medicina, Chirurgia e Odontoiatria
Università degli Studi di Milano
Una nuova cura per la Retinite
Pigmentosa?
Il gruppo di ricerca condotto dal prof. Riccardo Ghidoni, del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, dell’Università degli Studi
di Milano, ha recentemente ottenuto un finanziamento dalla Fondazione
Milan Onlus per iniziare una sperimentazione clinica per la cura della
Retinite Pigmentosa.
La sperimentazione verrà svolta presso la Clinica Oculisitica dell’AO
San Paolo, diretta dal Prof. Luca Rossetti, e vedrà come referente la
Dr.ssa Chiara Pierrottet, Responsabile dell’Unità per le Distrofie retiniche eredo-familiari.
Il progetto prevede la somministrazione di miriocina, un inibitore della
sintesi di ceramide. Un recente studio, tutto italiano, pubblicato sull’
autorevole rivista PNAS e nato dalla collaborazione del gruppo del Prof.
Ghidoni con il CNR di Pisa (Dr.ssa Strettoi), l’Università di Pisa (Prof.ssa
Gargini) e la Nanovector di Torino, ha dimostrato, in una sperimentazione effettuata sui topi, l’efficacia del trattamento con miriocina nel
rallentare la degenerazione dei fotorecettori nella Retinite Pigmentosa.
Lo studio ha anche affrontato una nuova modalità di somministrazione
del trattamento, mediante l’uso di nanosfere lipidiche, particolarmente
interessante per il basso livello di invasività. La miriocina inibisce la
morte cellulare dei fotorecettori, agendo su una catena biochimica ben
studiata in varie altre condizioni patologiche ma mai nella Retinite Pigmentosa. Questa catena porta alla sintesi dello sfingolipide ceramide
e culmina nella morte cellulare. Il trattamento dei topi mutanti per la
Retinite Pigmentosa ha abbassato il livello di ceramide retinico, ha migliorato la sopravvivenza dei fotorecettori, ne ha conservato la morfologia e ha aumentato la capacità della retina di rispondere alla luce
come valutato attraverso la registrazione dell’elettroretinogramma.
Questi risultati hanno consentito di passare alla fase di sperimentazione
di questo potenziale farmaco nell’uomo.
Il finanziamento della Fondazione Milan Onlus consente di iniziare questa fase, di grande interesse per la comunità dei pazienti affetti da questa malattia gravemente invalidante.
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Quanto sangue serve?
Questo è il titolo di una recente Review [1] che affronta un problema
molto sentito da chi si occupa di Medicina Trasfusionale e che induce, obbligatoriamente, a riflettere sulle reali giustificazioni dei comportamenti che implicano il ricorso alle terapie trasfusionali.
Forse è opportuno affrontare questo argomento utilizzando, inizialmente, uno sguardo più ampio, globalizzato, e conoscere la realtà
mondiale [2].
Nel 2009 sono state raccolte, nel mondo, 81 milioni di unità di globuli
rossi concentrati (GRC) e ne sono state trasfuse 80 milioni. Di queste, 30 milioni (37,5%) sono state trasfuse in Europa e Nord-America. Ciò significa che 670 milioni di abitanti hanno avuto accesso a
30 milioni di GRC, in grado di garantire, quasi esattamente, il fabbisogno medio previsto (44,7 GRC per 1000 abitanti), ma significa
anche che il resto della popolazione mondiale (6,3 miliardi di abitanti)
ha avuto accesso a 50 milioni di GRC, che corrisponde ad una disponibilità media di 7,9
GRC per 1000 abitanti.
Poiché il fabbisogno di
GRC è significativamente
legato all’età della popolazione (aumenta sensibilmente dopo i 65 anni) il
dato di 7,9 GRC per 1000
sembra essere in parte
spiegabile con una, relativa, diversa distribuzione
demografica, ma, soprattutto, dipende da probabili, evidenti e svariate
(economiche, culturali, organizzative) difficoltà nella Sala donazioni sangue
costituzione di efficaci
strutture per la raccolta di sangue in moltissimi Paesi sottosviluppati
o in via di sviluppo.
Tanto nei Paesi del cosiddetto 1° mondo, per motivi prevalentemente legati a mutamenti delle piramidi demografiche, quanto nei
Paesi del cosiddetto 2° e 3° mondo, per ovvii e fondamentali diritti
di ogni persona a ricevere trattamenti sanitari allineati coi principi di
equità ed efficacia, la possibilità di garantire negli anni futuri terapie
trasfusionali adeguate si basa sull’incremento delle donazioni, sulle
capacità locali di costruire efficienti organizzazioni di raccolta e su
atteggiamenti di politica trasfusionale rigorosamente improntati al
principio che “le migliori trasfusioni possibili sono quelle che si evitano”. Partendo da quest’ultima affermazione desidero portare a conoscenza di chi legge un dato che dovrebbe far riflettere e potrebbe
vedere impegnati i Medici dell’Ospedale San Paolo in uno sforzo
multidisciplinare, meritorio e credo gratificante, per dare un contributo, magari piccolo ma culturalmente sostanziale, per costruire un
nuovo paradigma per la medicina trasfusionale.
Tra pochi anni quasi un quarto della popolazione delle società occidentali avrà più di 65 anni e, conseguentemente, potrà presentare
una più alta prevalenza di anemia [3].
Già oggi, tuttavia, una percentuale inaspettatamente alta di pazienti
candidati ad interventi di chirurgia elettiva giunge all’intervento in situazione di anemia. I dati riportati in letteratura, e riferentisi a realtà
di società occidentali, rilevano una percentuale che oscilla dal 19 al
70 % degli operandi. Il dato mediano si colloca intorno al 34-35%
[4, 5, 6].
Una situazione di anemia peri-operatoria non solo si associa ad un
maggior utilizzo di sangue, ma è indipendentemente associata
anche ad una maggior mortalità e morbilità post-operatoria [4].
La maggior parte di queste anemie sono dovute a carenze di ferro
o di Vitamine (B12, acido folico), altre sono segno di iniziale o modesta compromissione della funzionalità renale, altre ancora sono
espressione di un alterato utilizzo di ferro in presenza di una concomitante patologia infiammatoria cronica.
Poiché i pazienti candidati a chirurgia elettiva sono soggetti ad una
preliminare valutazione pre-operatoria è possibile, con un modesto
impegno organizzativo,
individuare, inquadrare e
trattare questi pazienti in
tempo utile affinché giungano all’intervento nelle
migliori condizioni possibili.
I vantaggi che ne deriverebbero sono evidenti ed
interessano
molteplici
aspetti sanitari: riduzione
della morbilità e mortalità
post-operatorie, riduzione
delle necessità trasfusionali, riduzione delle giornate di degenza.
I Medici che lavorano al
San Paolo sono da tempo divenuti oculati nell’uso di emocomponenti: per esempio il consumo di Plasma Fresco Congelato, da quasi
un decennio ormai, non supera le 1000 unità all’anno. Un rapporto
PFC/GRC di circa 1:7, qual è quello che caratterizza il nostro Ospedale, ci colloca ai livelli dei Paesi Scandinavi.
Sono sicuro che la collaborazione tra tutti coloro che sono coinvolti
contribuirà alla realizzazione di questo nuovo obiettivo: far giungere
gli operandi all’intervento nelle migliori condizioni ematologiche possibili. Anestesisti, Chirurghi, Ematologi, Trasfusionisti sono già abituati, in questo Ospedale, a lavorare insieme. Non sarà difficile
cominciare a costruire un tassello di un nuovo paradigma della Medicina Trasfusionale
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Bibliografia
Seifried E et al. Vox Sanguinis, 2011; 100: 10-21
http://www.who.int/blood safety/FactFile2009.pdf
Guralnick JM et al. Blood, 2004, 104: 2263-8
Dunne JR et al. J Surg Res, 2002, 102: 237-244
Gombotz H et al. Transfusion, 2007, 47: 1468-80
Beattie SW et al. Anesthesiology, 2009, 110: 574-81
5
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Dr. Giovanni Carpani - Direttore Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale
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Dott.ssa Maria Abate - Segretario del Comitato Etico
Il ruolo del Comitato Etico nella
Sperimentazione Clinica
Il Comitato Etico in riunione
La sperimentazione clinica ha assunto nel corso della storia un ruolo molto
importante per la salute dell’uomo, basti pensare alla penicillina ed a tanti altri
farmaci che si sono rivelati essenziali per la cura di alcune malattie. Questi
farmaci sono stati tutti preventivamente sperimentati sull’uomo. Forse in tempi
lontani non si è posta la necessaria attenzione alla sicurezza del soggetto sottoposto alla sperimentazione, ma oggi è errato pensare che la persona sottoposta a sperimentazione clinica sia una “cavia”, per la buona ragione che
ampia legislazione nazionale e comunitaria pone le necessarie tutele per il
soggetto sottoposto a sperimentazione, anche tramite appositi organismi preposti a tale importante compito di “vigilanza” sulla salute dell’uomo. Uno di
questi organismi tecnici è il Comitato Etico che racchiude al suo interno diverse professionalità, con comprovata esperienza, che vigilano sulla programmazione ed esecuzione dei protocolli di sperimentazione clinica. L’Azienda
Ospedaliera San Paolo è stata uno dei pionieri dei Comitati Etici, infatti, nella
nostra azienda, già negli anni ’80 esisteva un organismo tecnico preposto alla
valutazione dei protocolli sperimentali, definito “Commissione per la sperimentazione clinica”, presieduta dall’allora Direttore Sanitario Dott. Giuseppe
Autelitano. Nel 1996 fu invece istituito il primo Comitato Etico del San Paolo
e il Presidente fu il Prof. Angelo Craveri, Primario di Medicina interna, al quale
oggi è dedicata la Sala riunioni in cui, con cadenza mensile, si riunisce il Comitato Etico e dove ha sede l’Ufficio di Segreteria dello stesso. Negli anni si
sono succeduti altri Presidenti, tra cui il Prof. Paolo Mantegazza, Rettore Emerito dell’Università degli Studi di Milano, che ha messo a disposizione di noi
tutti valori quali equilibrio di giudizio, umanità e capacità di discernere tra il
valore della vita umana e l’esigenza di progresso nella ricerca tecnico-scientifica, trovando sempre il giusto equilibrio tra essi. Il Comitato Etico è un organismo indipendente, composto da professionisti con competenze medico
scientifiche e non, che hanno la responsabilità di garantire la validità scientifica
di ogni studio sperimentale e il dovuto rigore nella conduzione attraverso il
monitoraggio dello stesso. Il Comitato Etico è un organo consultivo della Direzione Generale dell’Azienda e il suo parere è obbligatorio e vincolante per
la stessa, pertanto determinante per l’autorizzazione della sperimentazione.
L’attività principale del Comitato Etico è la valutazione dei protocolli delle sperimentazioni cliniche, ma collateralmente ad essa svolge attività di consulenza
etica per casi clinici particolari che vengono sottoposti dai nostri medici ed è
deputato anche alla formazione e alla sensibilizzazione alla bioetica, sia all’in-
terno dell’azienda che all’esterno, tramite corsi di formazione e convegni. Il
funzionamento del Comitato Etico e del relativo Ufficio di Segreteria è disciplinato, oltre che dalle disposizioni previste dalle normative di riferimento, da
un Regolamento in cui sono indicate dettagliatamente le funzioni, le finalità,
l’indipendenza, la composizione, la durata, la decadenza, il funzionamento,
la comunicazione, la tenuta e conservazione della documentazione. Essendo
l’A.O. San Paolo sede universitaria, l’attività di ricerca costituisce una delle
attività portanti per la clinica e ciò richiede un grande impegno da parte del
Comitato Etico e del suo Ufficio di Segreteria.
La composizione del Comitato Etico
L’attuale Comitato Etico è costituito da 16 Membri, di cui due ex-officio, ed è
presieduto dal Dott. Giuseppe Grechi, Presidente Emerito della Corte d’Appello di Milano, persona di grande equilibrio che ha messo a disposizione di
tutti i Componenti la sua lunga esperienza di Magistrato.
I componenti: Dott. Mauro Moreno (Direttore Sanitario Componente ex-officio), Prof.ssa Amelia Bastagli (medico), Dott. Don Tarcisio Bove (esperto in
Bioetica – Vice Presidente), Dott.ssa Elisabetta Bucci (farmacista – Membro
ex- officio), Dott. Renato Canal (medico), Avv. Paola Canziani (esperto in materia giuridica), Dott. Rodolfo Casati (medico), Dott.ssa Anne Destrebecq
(esperto in scienze infermieristiche), Prof.ssa Anna Maria Di Giulio (farmacologo), Dott.ssa Irene Floriani (esperto in statistica), Dott. Mario Lanfredini (medico), Prof.ssa Monica Miozzo (esperto in genetica), Dott. Aurelio Palestra
(medico legale), Dott. Alessandro Pellizzari (giornalista), Prof. Antonio Pontiroli
(medico), Dott.ssa Maria Abate (Segretario).
L’Ufficio di Presidenza è presieduto dal Presidente, Dott. Giuseppe Grechi,
ed è costituito dai seguenti Componenti: Dott. Don Tarcisio Bove, Dott. Rodolfo Casati, Prof.ssa Anna Maria Di Giulio, Prof. Antonio Pontiroli, Dott.ssa
Maria Abate. L’Ufficio di Segreteria opera sotto la responsabilità della Dott.ssa
Maria Abate, già segretario del Comitato Etico, insieme ai collaboratori signore Carolina Mittiga e Giuseppina Pellegrin.
I “numeri” del Comitato Etico
Negli ultimi tre anni in media sono stati valutati n. 90 protocolli sperimentali e
n. 60 emendamenti sostanziali per ciascun anno. Attualmente sono attive
circa 350 sperimentazioni cliniche il cui monitoraggio, in particolare per quanto
riguarda gli eventi avversi, è affidato dalla normativa di riferimento al Comitato
Etico.
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La diagnosi precoce del cancro
orale
Il cancro orale è una malattia maligna devastante con conseguenze
rilevanti per i pazienti affetti, le famiglie e la società.
Negli ultimi anni vengono diagnosticati annualmente nel mondo circa
300.000 tumori maligni del cavo orale, il 65% dei quali nei maschi.
Essi costituiscono circa il 2% di tutti i tumori maligni diagnosticati, il
2,6% per il sesso maschile e l'1,5% per il sesso femminile. Il cancro
orale provoca la morte in oltre 120.000 individui ogni anno. Il 90 per
cento circa dei tumori maligni orali sono carcinomi squamocellulari
della mucosa orale e insorgono negli individui di età superiore ai cinquanta anni, mentre l’età media dei pazienti al momento della diagnosi è attualmente di circa 60 anni. Nei recenti anni i tassi di
incidenza della malattia sono in aumento in molti paesi del mondo, in
particolare tra gli individui più giovani, di età inferiore a 45 anni.
In Italia attualmente vengono documentati circa 4000 tumori maligni
orali, con incidenza standardizzata per 100.000 abitanti di 6,74 nei
maschi e 1,41 nelle femmine e indice di mortalità annuo rispettivamente di 2,7 e 0,62 per 100.000. La malattie è più diffusa nelle regioni
del nord-est.
Dal momento che i registri tumori ufficiali interessano circa il 30%
della popolazione, la frequenza reale della malattia è verosimilmente
superiore.
Nonostante i notevoli progressi nei campi della diagnosi e della terapie chirurgiche, farmacologiche e radianti, la sopravvivenza relativa
dei pazienti affetti da cancro orale è tra le peggiori tra quelle dei principali tumori maligni e non è migliorata significativamente negli ultimi
decenni: complessivamente, dopo cinque anni solo poco più della
metà dei pazienti affetti è ancora vivente.
Questo dato negativo è correlato a una serie di caratteristiche specifiche del comportamento dei tumori orali, ma principalmente è dovuto
al ritardo diagnostico che ancora oggi affligge la malattia: negli ultimi
decenni, infatti, lo stadio della malattia al momento della diagnosi non
é cambiato significativamente.
Al momento della diagnosi, solo il 35% circa dei pazienti ha malattia
limitata ai soli tessuti orali (Fig.1), mentre il 45% ha malattia regionale
con localizzazioni ai linfonodi e oltre il 15% ha metastasi distanti.
La sopravvivenza a cinque anni di distanza dalla diagnosi dei pazienti
affetti da cancro orale è superiore all’80% in caso di malattia locale,
intorno al 50% in caso di malattia regionale e di circa il 30% in caso
di metastasi distanti.
La maggior parte dei casi di cancro orale sono attribuibili a fattori di
rischio modificabili, in particolare all'uso di tabacco, al consumo di
bevande alcoliche, all’infezione da HPV e all’alimentazione scorretta.
Le prove scientifiche attuali evidenziano che la diagnosi di cancro
orale in stadio precoce è fondamentale per migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei malati, ridurre la morbidità conseguente
alla malattia e contenere i costi economici pubblici per affrontare le
terapie, la riabilitazione e il reinserimento sociale e produttivo dei pazienti affetti.
La promozione globale della salute orale dell’individuo dovrebbe
quindi prevedere la pianificazione di interventi sanitari di comunità utili
alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria del cancro orale.
Pur non essendo di consueto direttamente coinvolto nella fase terapeutica specifica, l’odontoiatra ha un ruolo fondamentale per la promozione di stili di vita utili alla prevenzione della malattia, nella
diagnosi iniziale delle lesioni premaligne e maligne, nell'assistenza al
paziente per le conseguenze delle terapie oncologiche.
I pazienti portatori di lesioni delle mucose orali potenzialmente maligne, sospette o già francamente maligne possono essere individuati
con un esame clinico completo del cavo orale, procedura clinica semplice, non invasiva e economica. I successivi passaggi utili per l’identificazione della malattia e la conferma della diagnosi sono effettuabili
nelle strutture sanitarie specialistiche, e prevedono solitamente l’esecuzione di una biopsia chirurgica dei tessuti orali con esame istopatologico.
La raccomandazione di sottoporre tutti i pazienti ad un esame clinico
completo del cavo orale (Fig.2) nell'ambito delle normali cure odontoiatriche e dei richiami periodici è pertanto giustificata per la semplicità della procedura e il basso rischio implicato, a fronte dei potenziali
benefici del riscontro di una lesione potenzialmente maligna o di un
cancro in stadio iniziale.
Figura 1 - Carcinoma squamocellulare iniziale della lingua, stadio I
Figura 2 - L'esame clinico del cavo orale.
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Prof. Silvio Abati - SSD DayHospital e Diagnosi Orale, Dipartimento Testa Collo
Centro di Collaborazione OMS per l’Epidemiologia Orale e l’Odontoiatria di Comunità, dir. Prof. L.Strohmenger
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Prendere in cura e insegnare a curare
Dr.ssa Francesca Reali - Dr.ssa Mara Parati - U.O. Pneumologia
Entusiasmo e Professionalità
in Pneumologia
Quando siamo arrivate in Pneumologia, siamo state subito impressionate dall’aspetto estetico: ambulatori nuovi con pavimenti
lucidi, strumentazione all’avanguardia e giovani specialisti ambiziosi…
Ora, dopo 4 anni di lavoro, di studio e, perché no?, di fatica, la
nostra prospettiva è un po’ cambiata: siamo, infatti, molto cresciute grazie alle strumentazioni d’avanguardia, ma anche grazie
a questi ambulatori lindi e a questi giovani specialisti ambiziosi.
Abbiamo preso atto di emergenze sanitarie quali il fumo di sigaretta che provoca non solo il cancro, ma anche una malattia in
allarmante aumento come la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva che si avvia a diventare la terza causa di morte nel mondo.
Abbiamo, però, imparato che molte persone smettono di fumare
grazie ai sacrifici di uno specialista che crede profondamente nel
suo lavoro e va avanti nonostante le difficoltà, che la lotta al tabagismo (Milano e la Lombardia hanno purtroppo un triste primato
in questa emergenza) è di enorme importanza, così come i programmi di diagnosi attraverso la spirometria e la valutazione precoce dei sintomi respiratori.
Abbiamo imparato che molte persone possono essere operate
grazie ad una “biciclettata” che permette di mostrare la loro funzionalità polmonare: il test da sforzo cardiopolmonare, un ‘nostro’
fiore all’occhiello, consente – rispetto a quello cardiologico tradi-
Da sin.: Prof. Stefano Centanni, Dr.ssa Francesca Reali, Dr.ssa Mara Parati
zionale - di ampliare le informazioni ottenibili dalla sola analisi dell’
ECG e dalla misurazione della pressione arteriosa sistemica e permette di valutare la capacità e la tolleranza a sostenere l’esercizio
fisico.
Abbiamo imparato che, grazie all’esame broncoscopico, si possono fare diagnosi (purtroppo non solo belle) con una metodica
minimamente invasiva.
Abbiamo imparato a gestire il paziente ricoverato, dal giovane
asmatico che non segue la terapia prescritta, all’anziano fumatore
che, nonostante tutto, continua ad uscire a fumare.
Abbiamo imparato che nell’affollatissimo ambulatorio, punto di
contatto tra la nostra Unità Operativa e il territorio, si può sempre
aiutare qualcuno.
Abbiamo imparato che la ricerca è interessante e fonte di soddisfazione, anche se dura e faticosa.
Abbiamo imparato a lottare per ottenere ciò che volevamo.
Abbiamo imparato dagli errori che abbiamo commesso e per i
quali abbiamo ricevuto
rimproveri.
Abbiamo imparato che il nostro è un lavoro ‘prezioso’, come ‘prezioso’ è il patrimonio di questi quattro anni: formano un ‘tesoro’,
voluto e conquistato, che ci portiamo via anche se i pavimenti di
altri laboratori potrebbero non essere così lucidi e altri giovani
specialisti potrebbero non essere così ambiziosi…
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Prendere in cura e insegnare a curare
I disturbi del comportamento
alimentare
I disturbi alimentari possono essere sintomi di un disagio globale della
persona, che spesso esprime attraverso un alterato rapporto con il
cibo situazioni di difficoltà più profonde.
L'attuale nosografia raggruppa i diversi comportamenti legati al cibo,
in precise categorie:
Anoressia nervosa
➲ Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o al livello minimo
normale per l’età e la statura
➲ Paura di ingrassare, anche quando si è sottopeso
➲ Alterazione del modo in cui il soggetto vive il peso e la forma del
corpo
➲ Nelle donne, dopo il menarca, assenza di almeno 3 cicli mestruali
consecutivi
Bulimia nervosa
➲ Ricorrenti episodi di abbuffate (assunzione di una gran quantità di
cibo in un discreto periodo di tempo, con sensazione di perdita di
controllo)
➲ Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire
l’aumento di peso (vomito autoindotto, utilizzo di lassativi/diuretici,
esercizio fisico eccessivo, digiuno)
➲ Il peso e le forme corporee influenzano profondamente l’autostima
Disturbo da alimentazione incontrollata
➲ Sensazione di perdita di controllo sull’alimentazione
➲ Assenza di condotte compensatorie
➲ Variabili livelli di obesità e soprappeso
Obesità
➲ Eccessivo accumulo di tessuto adiposo nell’organismo
➲ Mancata regolazione sull’assunzione di cibo
➲ Difficoltà a raggiungere la sazietà
Perchè l’Ambulatorio
Nell'ambito di diversi studi epidemiologici è stato rilevato un alto tasso
di incidenza e prevalenza nella popolazione di disturbi del comportamento alimentare, con conseguente elevata richiesta e necessità di
intervento (0,28% per Anoressia Nervosa; 1% Bulimia Nervosa).Partendo quindi da una esigenza clinica e dalla necessità di affrontare
una patologia che necessita di un approccio territoriale multidisciplinare, il nostro progetto, nato nel 2003, è stato quello di fornire un intervento terapeutico specialistico. Si tratta di un modello operativo
multidisciplinare, specifico per il trattamento dei disturbi alimentari (ad
orientamento cognitivo comportamentale) e che integra le competenze psichiatriche e psicoterapeutiche con quelle internistiche.
I presupposti di carattere epidemiologico e clinico alla base del progetto si possono così riassumere:
1. Alto lasso di incidenza e prevalenza nella popolazione di disturbi
del comportamento alimentare con conseguente significativa richiesta di intervento.
2. All'intemo dei servizi pubblici poche risorse disponibili e sono
spesso assenti protocolli clinici di intervento mirato: le fasi di valutazione, diagnosi e trattamento, che impongono lunghi tempi e impiego di risorse, sono affidate ai servizi di Medicina o ai servizi di
Psichiatria, la maggior parte dei quali non specificatamente deputati al trattamento della patologia alimentare e che, già oberati da
altre richieste, vengono velocemente saturati da questa ulteriore
necessità di intervento;
3. L'intervento ambulatoriale appare necessario come alternativa e,
in alcune situazioni, complementare rispetto al trattamento in regime di ricovero, in quanto offre la possibilità di una terapia e di un
monitoraggio più adeguati rispetto alla tipologia del disturbo
4. L'intervento ambulatoriale, realizzato in un presidio ospedaliero,
offre la possibilità di integrare le competenze psichiatriche/psicoterapeutiche e internistiche; collaborazione .utile sia per lo screening, al momento della presa in carico, sia per il monitoraggio delle
condizioni organiche e per l'impostazione di un eventuale programma nutrizionale e dietetico, durante e al termine del trattamento psicoterapico.
L’Ambulatorio oggi
L’ambulatorio DCA si rivolge a coloro che sentono di avere un disturbo alimentare, certo o sospetto, un rapporto problematico con il
proprio corpo, con il peso e/o con il cibo. Non ci sono limiti di età di
accoglienza. Inoltre si rivolge ai familiari, ai genitori ed a chiunque
senta il bisogno di un supporto professionale specifico relativo alle
tematiche dei DCA.
Il contatto con gli operatori prevede una valutazione tramite colloqui
con psichiatra, psicologo, visita internistica, e tramite test psicologici.
Il fine della consultazione sarà quello di effettuare una valutazione diagnostica per disturbo della condotta alimentare e di fornire le eventuali indicazioni terapeutiche. L’intervento ambulatoriale, qualora
necessario, sarà svolto secondo un modello multidisciplinare con approccio psicoterapeutico di tipo cognitivo-comportamentale.
Presa in carico
Al paziente che si rivolge al nostro servizio, viene proposto un percorso di consultazione psichiatrica, psicologica (con valutazione testale) e una visita internistico/dietologica.
In base alla richiesta del paziente, alla diagnosi formulata in fase di
consultazione ed alla corrispondenza con gli altri criteri per la presa
in cura presso l'Ambulatorio, si profilano tre percorsi: il paziente può
essere preso in carico, dimesso oppure inviato ad altro servizio.
In caso di minori o di pazienti fino a 24 anni che ne hanno dato il
consenso la restituzione diagnostica viene fatta anche con i genitori.
Se preso in carico, il paziente concorderà col terapeuta un contratto,
suscettibile di successive variazioni in base all'andamento clinico.
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Dr.ssa Sara Bertelli - Dr. Luca Boccalari - Ambulatorio per la Cura dei Disturbi della Condotta Alimentare
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Prendere in cura e insegnare a curare
Dott.ssa Margherita Moioli - Referente del Servizio di accompagnamento alla Crescita
I criteri per la presa in carico sono:
• Diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare.
• Assenza di Disturbi psicotici
• Assenza di gravi complicanze internistiche che presuppongano il
ricovero del paziente in reparto medico
• Assenza di urgenze psichiatriche che richiedano ricovero in reparto
psichiatrico.
Il percorso terapeutico consiste in
➲ colloqui psicologici
➲ test per monitorare l'andamento del trattamento
➲ colloquio psichiatrico per eventuale terapia farmacologica e successivi controlli
➲ terapia di GRUPPO:
I gruppi sono pensati e organizzati secondo un modello mediato dalla
terapia dialettico/comportamentale e costituiscono una parte fondamentale del processo di cura.
Le offerte sono diverse e adattate alle esigenze del caso:
GRUPPO per pazienti con “FAME EMOTIVA” e/o Binge Eating
Disorder (Disturbo d’alimentazione incontrollata).
Gruppo con frequenza quindicinale, consiste di un ciclo di 6 incontri
della durata di 90 minuti, coordinato da due psicologi psicoterapeuti.
Lo scopo degli incontri è lavorare in gruppo al fine di:
• Aumentare la propria consapevolezza nei confronti dei pensieri e
delle emozioni che spingono alla sovra alimentazione.
• Apprendere strategie di coping e automonitoraggio
• Incrementare la motivazione al cambiamento
• Utilizzare il gruppo come risorsa attraverso il confronto e la condivisione.
GRUPPO per pazienti su COMPRENSIONE E GESTIONE DELLE
EMOZIONI.
A) MODULO PSICOEDUCAZIONALE
Gruppo con frequenza quindicinale, articolato in 6 incontri della durata di 90 minuti in cui si lavora sulle capacità di riconoscimento,
comprensione e gestione delle emozioni nelle diverse situazioni di
vita. Lo scopo è aiutare le pazienti con disturbo alimentare ad aumentare la consapevolezza e la capacità di gestione delle proprie
emozioni.
B) MODULO RELAZIONI INTERPERSONALI
Il programma prevede 6 incontri che hanno come obiettivo la discussione, elaborazione e riflessione sulle possibilità di gestione
delle difficoltà nelle relazioni interpersonali. Verranno preposte applicazioni pratiche delle strategie discusse in gruppo, per permettere la sperimentazione di nuove modalità di interazione e il
miglioramento del proprio senso di efficacia nelle situazioni sociali
B) MODULO RILASSAMENTO
Il gruppo si articola in 6 incontri della durata di 90 minuti con l’obiettivo di insegnare ed utilizzare una tecnica di sperimentazione, riconoscimento e gestione delle emozioni attraverso il corpo, fondata
sull’uso consapevole del respiro. La componente “rilassante” della
tecnica favorisce una gestione più efficace dei contenuti emotivi, a
partire dall’esperienza corporea del loro riconoscimento. La componente “meditativa” sviluppa un atteggiamento di maggiore disponibilità all’accoglimento dei vissuti emotivi favorendo una
accettazione ed una integrazione più armoniosa di essi.
Al termine dei moduli previsti sarà possibile per le pazienti partecipare
al gruppo supportivo con frequenza mensile che lavorerà ulteriormente
sugli aspetti trattati.
La stessa modalità di consultazione e terapia viene proposta anche
per i familiari, che sono considerati parte integrante del progetto e ai
quali viene proposto un percorso anche qualora i figli rifiutino le cure.
GRUPPO PSICOEDUCAZIONALI per familiari
Aperto a singoli o a coppie di familiari, consiste di un ciclo di otto incontri della durata di 90 minuti coordinato da due psicoterapeuti. Lo
scopo è di fornire informazioni sul disturbo alimentare e sul suo trattamento, stimolando spunti di riflessione utili per chi quotidianamente
deve confrontarsi con queste patologie.
GRUPPI DI SUPPORTO per familiari
Successivo al gruppo psicoeducazionale, il gruppo supportivo, coordinato da due psicoterapeuti, con frequenza quindicinale e durata di
90 minuti, fornisce uno spazio di condivisione delle problematiche
quotidiane ed un supporto psicologico funzionale ad affrontare le difficoltà ed i percorsi di cambiamento per la famiglia.
Dimissione
Venutesi a creare le opportune condizioni cliniche, il paziente può essere dimesso con la registrazione dell'avvenuta dimissione sulla cartella clinica. Nel caso di remissione protratta, che non soddisfi i criteri
per guarigione, viene data un'indicazione a richiedere una visita di
controllo qualora si verificasse una riacutizzazione della sintomatologia. Dopo un anno dalla dimissione o dall'interruzione del trattamento,
la cartella viene definitivamente archiviata in un archivio generale.
Come si accede al servizio
➲ L’ambulatorio è sovrazonale e ad esso possono fare riferimento
persone provenienti da qualsiasi ASL.
➲ E’ possibile accedere al servizio presentandosi, senza impegnativa
del medico di base e senza appuntamento, ogni giovedì dalle ore
14:00 alle ore 16:00, presso l’ambulatorio n° 14, piano interrato
(piano –2), dove un medico accoglierà il paziente compilando una
cartella anamnestica-clinica e fisserà un appuntamento successivo.
➲ I successivi incontri saranno regolamentati tramite impegnativa
➲ Per informazioni ulteriori sulle attività dell’ambulatorio, telefonare
dal lun. al ven., dalle ore 9:00 alle 12:00 e dalle 14:00 alle 16:00 al
numero: 02- 81844732 oppure Fax 02-8184.4517 e MAIL: [email protected] (referente: Dr.ssa Sara Bertelli)
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Prendere in cura e insegnare a curare
Integrazione ospedale-territorio:
la “Unità di Cure Palliative e
Ospedalizzazione Domiciliare”
L’Azienda Ospedaliera San Paolo ha attivato, sin dal 2001, una
Unità di Cure Palliative (UCP) che offre ai malati oncologici, oltre
ad una ambulatorio di cure palliative e terapia del dolore, anche
un servizio di assistenza domiciliare, e un servizio di consulenza
per i pazienti ricoverati. Il servizio è stato attivato con la collaborazione della Fondazione Floriani e della Lega Italiana per la Lotta
contro i Tumori.
2001: istituzione di una Unità di Cure Palliative (UCP) la cui direzione è affidata alla Dott.ssa Laura Piva, facente parte della
Unità Operativa Complessa di Oncologia (il cui Direttore è il
Prof. Paolo Foa)
2005: attivazione di un Progetto di Ospedalizzazione Domiciliare ai malati oncologici da parte della Regione Lombardia
( c/o 7 UCP di Milano, fra cui la UCP della A.O. San Paolo)
2008: riconoscimento di alta qualità di assistenza da parte di
Joint Commission International
2010: riconoscimento di Struttura Semplice Dipartimentale del
Dipartimento di Medicina (Direttore: Prof. Mario Lanfredini)
Riunione settimanale dell'Unità di Cure Palliative e Ospedalizzazione Domiciliare
La UCP nasce con lo scopo di offrire prestazioni sia ambulatoriali
che domiciliari ai malati oncologici che abbiano la necessità di curare il dolore e i sintomi correlati alla malattia, non tralasciando,
nello spirito più profondo delle cure palliative, di “prendersi cura”
dei problemi sociali, spirituali e psicologici.
Per rendere possibile tutto ciò, è stata selezionata una serie di figure professionali che siano in grado di lavorare in èquipe, che
abbiano come unico obiettivo comune la cura e il supporto del
malato e della sua famiglia, che operino come un gruppo compatto e strettamente collegato. All’interno di tale équipe medici,
infermieri operatori socio sanitari, psicologi e volontari quotidianamente sviluppano e consolidano un servizio mirato e “pesato”
sulle necessità dei singoli malati e delle loro famiglie che vivono
con difficoltà e, spesso, impotenza la gestione e la cura del malato
terminale.
La UCP che realizza una continua ricerca di nuove soluzioni tecniche, operative ed organizzative sviluppate attraverso la cooperazione e l’aggiornamento scientifico delle molteplici figure
professionali, vanta notevoli riconoscimenti tra i quali l’accreditamento di qualità della Joint Commission International.
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Dr. Laura Piva - Dott.ssa Giuseppina Coraci - U.O. Complessa di Oncologia
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Prendere in cura e insegnare a curare
Dr.ssa Luisa Cattaneo - Presidente Associazione Gruppo Cuore Nuovo
Il lavoro svolto all’unisono da tutti i componenti dell’èquipe si
conforma con la mission della A.O. San Paolo: prendere in cura
e insegnare a curare. Infatti ci si prende cura dei malati attraverso
la competenza professionale dei singoli e anche attraverso la vicinanza, il sostegno, l’empatia verso il malato e la famiglia: a chi
sta male serve una dose quotidiana di partecipazione e di
ascolto, che rappresentano un' iniezione di energia utile quanto
i farmaci. La Azienda Ospedaliera insieme alla sua UCP, ha così,
creato e rafforzato negli anni, una rete che lega strettamente
l’ospedale al territorio.
In senso traslato, la UCP insegna a curare attraverso una stretta
collaborazione con il caregiver, che viene indirizzato e istruito,
in modo continuativo, dall’équipe domiciliare per affinarne e potenziarne le capacità affinché diventino strategie, metodi e sussidi applicabili al monitoraggio e alla gestione del paziente.
Come si accede al servizio
1. Segnalazione da parte di un reparto ospedaliero San Paolo, di utenti/familiari, di medici di medicina generale, di servizi sociali,…
e appuntamento (fissato telefonicamente al n° 02.81844132 op. 348.2257177) con un familiare per valutazione
2. Colloquio di valutazione con un familiare referente, consegna di opuscolo informativo sul servizio e lettera per il MMG
3. Raccolta dati relativi al paziente e alla famiglia e compilazione di cartella clinica
4. Valutazione della esigibilità del
5. 1° visita congiunta di medico e infermiere entro 3 gg dal colloquio
6. Compilazione e firma da parte del paziente di consenso informato alla assistenza
7. Compilazione di foglio visita da parte degli operatori sanitari, di cui una copia resta al domicilio del paziente
7. Consegna di materiale informativo alla famiglia
8. Le visite successive saranno concordate di volta in volta con l’infermiere e/o con il medico, secondo il programma di coordinamento
deciso dal servizio in base alle condizioni generali del paziente
9. Su segnalazione del medico e dell’infermiere, in accordo con la famiglia, il servizio attiva gli altri componenti della équipe
Modalità operative
1. N° visite/settimana/paziente: 3 o più
2. Reperibilità continua 24 ore/24 per 365 gg/anno (diurna: medico e infermiere;notturna telefonica: medico)
3. Possibilità di contatto telefonico continuo diurno e notturno con un operatore
4. A domicilio: prelievi emato-chimici, fleboclisi, medicazioni di ferite e decubiti , paracentesi a domicilio,ecc
5. Insegnamento sanitario
6. Presenza domiciliare di volontari di compagnia, selezionati dopo un corso di qualificazione
7. Supporto psicologico per il malato e la famiglia, se richiesti
8. Supporto spirituale per il malato e la famiglia, se richiesti
9. Consegna gratuita domiciliare dei farmaci di cure palliative
10. Consegna gratuita domiciliare di presidi e ausilii (sedia a rotelle, letto articolato ospedaliero, materasso antidecubito,..)
Personale
Dipartimento di medicina
(Dr. Mario Lanfredini)
1. MEDICO E INFERMIERE esperti in cure palliative
2. Su segnalazione del medico e dell’infermiere, in accordo con
la famiglia e il malato:
a. Operatore Socio Sanitario (OSS)
b. Psicologo
c. Volontario di compagnia
d. Assistente Spirituale
Unità Operativa Complessa di Oncologia
(Prof. Paolo Foa)
Struttura Semplice Dipartimentale di Cure Palliative
Ospedalizzazione e Assistenza Domiciliare
(Dr. Laura Piva)
Infermiere Coordinatore
(Dott.ssa Giuseppina Coraci)
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Prendere in cura e insegnare a curare
Dott.ssa Elena Vegni - U.O. Psicologia Clinica
Come lo psicologo clinico può
essere d’aiuto al medico
(che non sia lo psichiatra)?
Il Servizio di Psicologia del nostro ospedale è attivo ormai da anni con
una serie di iniziative cliniche che lo caratterizzano fortemente. Anche
in altre sedi abbiamo discusso l’importanza che lo psicologo clinico
che lavori in un ospedale generalista svolga la sua attività in collaborazione con le strutture psichiatriche: è questa la realtà storica tradizionalmente più consolidata, irrinunciabile ma certamente non
sufficiente a caratterizzare il lavoro psicologico clinico in ospedale.
Ma questa attività non è sufficiente: se non basta affiancarsi allo psichiatra – è necessario anche rendersi disponibili ai pazienti non psichiatrici, ovvero a quei pazienti che sono affetti da una patologia
organica e che, in conseguenza a questa, manifestano un disagio, o
un disturbo, o una difficoltà psicoemotiva. E’ su questa base che il
Servizio ha attivato – anche in questo caso da anni – un settore dedicato alla ‘psicologia ospedaliera’ che si articola in:
1. Reperibilità per consulenze in reparto;
2. Presa in carico per un lavoro psicologico (supportivo e/o psicoterapeutico) presso gli ambulatori;
3. Realizzazione di percorsi psicoeducativi specifici per patologie croniche che necessitano un processo di adattamento non solo sui
comportamenti e sugli stili di vita ma anche, se non talvolta soprattutto, psicologico di adesione e accettazione della malattia (a
titolo di esempio sono attivi presso l’ambulatorio del Servizio di
psicologia di V.le Famagosta gruppi per pazienti affetti da cefalea,
in T.A.O, con diagnosi di malattia di Crohn o retto colite ulcerosa,
con patologie del sonno).
Ma questa attività con i pazienti non è sufficiente, crediamo, per rispondere a pieno al quesito del titolo: come lo psicologo clinico può
essere d’aiuto al medico non psichiatra? Una terza e più recente at-
Psicologi Clinici presso l'U.O. di Oncologia
tività che svolgiamo in sinergia con i medici e gli operatori dell’ospedale è quella di un lavoro con l’équipe. Questa attività è estremamente
varia (e su questa varietà torneremo) ma l’elemento interessante è
quello di un lavoro che agisce sul miglioramento della qualità delle
cure non passando direttamente al paziente, ma utilizzando un canale
tangenziale: quello degli operatori sanitari. Sappiamo dalla letteratura
che le professioni d’aiuto espongono i soggetti che le esercitano ad
una serie di difficoltà psicoemotive spesso misconosciute e che, però,
possono compromettere la qualità del lavoro sia soggettivamente –
fino talvolta a sfociare nel burn out dell’operatore – sia oggettivamente
- con un peggioramento degli outcomes clinici o l’incapacità di migliorare tali outcomes oltre a quello che può essere fatto con il solo
strumento tecnico-tecnologico biomedico. Dunque un lavoro con le
équipe. Ma cosa? Naturalmente qui c’è solo il limite alla fantasia: può
essere un lavoro svolto a partire dalla discussione di casi critici la cui
complessità non solo tecnica, ma etica, comunicativo-relazionale,
psicoemotiva è una sfida; può essere un lavoro svolto sulla difficoltà
dell’équipe che si confronta con una tipologia di pazienti particolarmente provanti, emotivamente parlando; può essere un lavoro svolto
per meglio comprendere alcune dinamiche del gruppo e dell’istituzione che inducono alcuni comportamenti e suggeriscono una scarsa
consapevolezza, che a sua volta si manifesta in un disagio nel gruppo
di lavoro. Sono nate così le supervisioni quindicinali del reparto di oncologia, la discussione casi mensile del servizio di diagnosi prenatale,
il gruppo di discussione del reparto degli infettivi. Qual è il fattore unificante queste attività? L’obiettivo e il desiderio di mettersi in discussione - non per allinearsi ma per offrire una riflessione - deve essere
scelto e condiviso dagli operatori che sono coinvolti.
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Dr.ssa Stefania Rossi - Cordinatrice servizio Citodiagnostica Agoaspirativa Interventistica con refertazione rapida
Citodiagnostica Agoaspirativa
Interventistica con refertazione
rapida: Un nuovo Servizio
dell’Ospedale San Paolo
L’unità Operativa Complessa di Anatomia ed Istologia Patologica diretta
dal Prof. G. Bulfamante comunica l’attivazione, in collaborazione con
l’U.O.C. di Radiologia, diretta dal Prof. G.P. Cornalba e di altre Unità
Operative, a partire da luglio p.v. del Servizio di Citodiagnostica Agoaspirativa Interventistica con refertazione rapida (CAIRR), coordinato
dalla Dr.ssa Stefania Rossi. L’agoaspirato è una metodica di indagine
che consente di tipizzare in modo affidabile le lesioni nodulari degli organi superficiali e profondi. In particolare viene impiegata per indagare
i noduli della tiroide, della mammella, dei linfonodi, delle ghiandole salivari, del polmone e degli organi addominali. L’affidabilità diagnostica
dipende dalla corretta esecuzione del prelievo che avviene sotto guida
ecografica, TAC, eco endoscopica, o a “mano libera”. Il campione può
essere analizzato entro poco tempo dal prelievo e ciò permette la sua
eventuale ripetizione in caso di scarsa rappresentatività (tessuto necrotico; cellularità scarsa, ecc.). E’ possibile inoltre, entro poche ore, formulare una diagnosi citologica definitiva. Il Servizio di
Citodiagnostica Agoaspirativa Interventistica si avvale di un’ équipe
multidisciplinare in cui intervengono il Radiologo, o lo Pneumologo, o
l’Endoscopista e il Patologo. Quest’ultimo specialista ha il ruolo di valutare l’adeguatezza del campione, per alcuni settori eseguire il prelievo
e, infine, formulare la diagnosi definitiva. La collaborazione multidisciplinare, e il coinvolgimento diretto del Patologo nel prelievo, sono una
premessa indispensabile per incrementare l’affidabilità diagnostica e ridurre i tempi di refertazione. Infatti, con il nuovo Servizio è garantita,
per la grande maggioranza dei casi, la refertazione nel tempo massimo
di una giornata lavorativa, con possibilità, per alcune lesioni degli organi
superficiali, anche a sole poche ore dal prelievo. Tutto ciò offre l’indubbio vantaggio di accelerare l’iter diagnostico del paziente e incrementare l’appropriatezza e la tempestività dei provvedimenti clinici. Al
Servizio potranno accedere pazienti esterni muniti di regolare impegnativa, oppure pazienti in regime di ricovero (compreso il day hospital) che
saranno sottoposti a prelievo presso l’U.O.C. di Radiologia o presso gli
ambulatori delle varie specialità. Per informazioni e per fruire del Servizio è necessario contattare la Dr.ssa Stefania Rossi al numero di cellulare per la Citodiagnostica 3299072258, oppure chiamare il numero
verde 800638638 afferente all’U.O.C. di Radiologia.
Indagine broncoscopica in collaborazione con il patologo
Alcuni componenti della equipè medica coinvolta nel servizio di Citodiagnostica Agoaspirativa Interventistica con referetazione rapida (CAIRR)
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I Giovani medici palestinesi
in formazione presso l’Unità
Operativa di Ostetricia e Ginecologia
Si è svolta tra il 15 e il 29 maggio la prima sessione formativa tra quelle
previste nell’ambito del progetto di Gemellaggio tra l’A.O. San Paolo –
Polo Universitario e l’Ospedale Makassed di Gerusalemme Est, Progettato dal dott. Roberto Rossi, dirigente della Struttura di Comunicazione
dell’A.O. San Paolo - Polo Universitario in collaborazione con la ONG
Vento di Terra e la Jerusalem Medical Association. Il progetto, finanziato
da Regione Lombardia, permetterà la realizzazione di percorsi formativi
per 12 giovani medici e paramedici palestinesi dell’Ospedale Makassed
entro il giugno 2012. Obiettivo del progetto è quello di favorire percorsi
di scambio di esperienze che permettano a medici e paramedici dell’Ospedale Makassed di consolidare e ampliare le proprie competenze
in ambiti identificati come prioritari, secondo quanto segnalato dalla
controparte locale e confermati dai risultati della missione valutativa effettuata in loco nel dicembre 2010 dal Dott. Carlo Sponzilli, dell’U.O. di
La Dr.ssa Dina Sajadeya con le operatrici dell'U.O di Ostetricia e Ginecologia ed
una neomamma
Da sin.: Dott.ssa Serena Baldini, Dott. Roberto Rossi, Dr.Abdelnaser Abu Rayan,
Dr.ssa Dina Sajadeya
Cardiologia dell’AO San Paolo, e dalla Dott.ssa Serena Baldini, responsabile del progetto per l’ONG Vento di Terra. Pur essendo già un ospedale di buon livello, il Makassed ha l’ambizione di offrire un servizio di
sempre maggior qualità, proprio per ricoprire al meglio quella funzione
di struttura di riferimento per tutta la Cisgiordania e Gaza che già oggi
gli è riconosciuta. Il programma di formazioni che il gemellaggio con l’AO
San Paolo mette in campo va proprio in questa direzione.
Alla prima sessione formativa appena terminata hanno partecipato la
Dott.ssa Dina Sajadeya e il Dott. Abdelnaser Abu Rayan, entrambi ginecologi all’inizio della loro carriera. Nell’arco delle due settimane di formazione i due medici palestinesi sono stati, accolti dalla Direttrice
dell’U.O. di Ostetricia e Ginecologia, Prof.ssa Anna Maria Marconi, seguiti dalla Struttura di Comunicazione e quotidianamente da due tutor,
la Dott.ssa Maria Bellotti, Responsabile di Diagnosi Prenatale del U.O.
di Ostetricia e Ginecologia, e la Dott.ssa Maddalena Bozzo, Responsabile di Patologia della Gravidanza presso la Clinica Ostetrica. I due percorsi formativi si sono sviluppati attraverso una costante partecipazione
alle attività ambulatoriali, a fianco dei due tutor. Il Dott. Abdelnasser Abu
Rayan si è concentrato in particolare sulla tecnica dell’ecocardiografia
fetale, mentre la Dott.ssa Sajadeja ha approfondito la diagnosi e gestione delle pazienti in gravidanza con diabete gestazionale.
Per entrambi si è trattato di una preziosa occasione per confrontarsi e
venire a conoscenza di nuovi protocolli clinici, modalità di controllo delle
pazienti e tecniche diagnostiche, che ha dato loro la possibilità di ampliare l’ orizzonte di interesse e conoscenze nel proprio specifico campo
di specializzazione. E’ stato con grande riconoscenza che al ritorno in
Palestina Dina e Abdelnaser ci hanno scritto, auspicandosi che l’esperienza si possa ripetere ancora in futuro.
Il Dr. Abdelnaser Abu Rayan nel corso di un esame diagnostico con l'ecografia
tridimensionale
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San Paolo Campus - Periodico d’informazione dell’Azienda Ospedaliera San Paolo - Polo Universitario - Milano
Dott.ssa Serena Baldini, Responsabile progetto per l’Associazione Vento di Terra ONG
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Newsletter Anno VIII - 32 - giugno 2011