IL PUNTO
Le notizie di LiberaUscita
Febbraio 2007 - N° 32
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
476 - Con Welby si è spento anche il dibattito
477 - L’eterna mediazione tra Stato e Chiesa
478 - Da vescovo combatterei prima mammona
479 - Dalla Chiesa più vangelo e meno politica
480 - La scelta consapevole delle cure terminali
481 - Quando in chiesa entrava anche il dissenso
ARTICOLI, INTERVISTE, EVENTI
482 – Civiltà del testamento biologico - di Stefano Rodotà
483 - Welby, i medici assolvono Riccio – di Enrico Bonerandi
484 - La politica debole e l´offensiva della Chiesa – di Stefano Rodotà
485 - il "non possumus" dello Stato - di Gustavo Zagrebelsky
486 - Quei patti dimenticati tra Stato e Chiesa - di Eugenio Scalfari
487 - Strategia del porporato - di Stefano Ceccanti
488 - Se la Chiesa sfida la costituzione - di Stefano Rodotà
489 - Quando l’ateismo diventa un bestseller – di Gabriele Romagnoli
490 - Aiutate mio marito a morire o andrò all’estero – di G. M. Bellu
491 - Testamento di vita - intervista a Paolo Vegetti
492 - Proposte della Comm. Giustizia del Senato sul testamento biologico
493 - Il sorriso di Daphne - commedia amara al teatro Valle di Roma
NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE
494 - Lettera aperta al presidente della Commissione Sanità del Senato
495 - Convegni sul territorio
NOTIZIE DALL’ESTERO
496 - Svizzera - suicidio assistito anche per i malati mentali
497 - Olanda: una bara per la vita - di Frank Nienhuysen
PER SORRIDERE.....
498 - La vignetta di Ellekappa – la Chiesa deve dire la sua
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476 - CON WELBY SI È SPENTO ANCHE IL DIBATTITO - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 24 gennaio 2007
Caro Augias, ho 55 anni e da 17, in seguito a un incidente d'auto, sono tetraplegico,
bloccato in un letto. Con la morte di Welby si è spento il dibattito sull'eutanasia e io mi sento
più solo che mai nel combattere una battaglia contro i mulini a vento.
Ci obbligano a marcire in una gabbia grande appena quanto il corpo, va rispettato il principio
secondo cui un essere umano non può disporre della propria vita: un dogma, un credo
religioso che ci impone lo Stato.
Almeno concederanno di dire che il ventilatore polmonare per Welby era accanimento
terapeutico, e in questo modo si tutelano coloro che con coraggio e pietà hanno esaudito il
desiderio di Piergiorgio.
Io respiro da solo, non basta che mi stacchino la spina, se qualcuno fosse disposto a
salvarmi rischierebbe grosso. Un ventilatore, una macchina: più fortunato o più sfortunato di
Welby?
Con Welby però si è creato un precedente: quella che era considerata eutanasia passiva
(sospensione di cure o spegnimento di macchinari che tengono in vita) ora potrebbe
rientrare nei casi di accanimento terapeutico. In Italia i politici, e tanto meno i gerarchi
cattolici, non ammetteranno mai di averci ripensato, dunque si cambierà solo nome alle cose
per accontentare un po' tutti. E per questi giochi di potere a me non è concesso il diritto di
porre fine alla mia tragica esistenza?
Io invoco una vera e propria legge sull'eutanasia. Eutanasia, non deve sconcertare questo
termine, nelle mie condizioni è un suono amico. Per fortuna mi resta comunque poco.
Adolfo Baravaglio - [email protected]
Risponde Augias
Questa lettera è stata scritta sotto dettatura da un amico del signor Baravaglio al quale va
ovviamente la solidarietà di ogni essere dotato di sentimenti umani. Non sono d'accordo sul
fatto che con la morte di Welby, eroe civile, si sia spento il dibattito. Forse non proprio
sull'eutanasia ma sul come alleviare o abbreviare le sofferenze dei malati terminali la
discussione continua.
Da una parte abbiamo il tardivo lamento del cardinale Ruini che dice di avere 'sofferto'
negando a Welby i funerali religiosi e che non avrebbe potuto decidere diversamente. Io ho
avuto la testimonianza confidenziale di un alto porporato che ha giudicato sbagliata quella
decisione che, sia chiaro, è stata politica non di dottrina.
Ruini ha solo temuto che la comprensione della Chiesa potesse essere interpretata come
un'apertura di discorso. La spietata sentenza è stata frutto di una visione del problema
personale, non condivisa da tutti i fedeli né dalla maggioranza degli italiani. Ognuno si
prenda le sue responsabilità, tutti sapevano qual era la posta.
Dall'altra parte, per fortuna della Chiesa, abbiamo però letto le parole piene di misericordia
del cardinale Carlo Maria Martini che nella sua posizione, più di ciò che ha detto non poteva
dire ma di cui s'è capito benissimo lo spirito: «è di grandissima importanza distinguere tra
eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico». Non è facile stabilire per legge che
cosa si debba intendere con 'una vita degna', né può stabilirlo una volta per tutte un
indiscutibile dogma religioso. Sicuramente però ognuno di noi sa quali limiti dare a questa
definizione. Anche per questo è importante che la discussione continui e anche per questo
ringrazio il signor Baravaglio della sua lettera.
477 - L’ETERNA MEDIAZIONE TRA STATO E CHIESA – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 31 gennaio
Caro Augias, il Presidente della Repubblica intervenendo sui Pacs, ha invitato all'intesa sulle
coppie di fatto: "Dobbiamo tenere conto delle preoccupazioni del Papa e trovare una sintesi
con la Chiesa". Perché il Capo dello Stato, anziché richiamare il principio della laicità dello
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Stato, sembra preoccuparsi del Papa e della Chiesa e meno dei cittadini italiani cattolici, non
cattolici e non credenti? Garante della Costituzione, avrebbe dovuto richiamare la gerarchia
ecclesiastica al rispetto delle norme concordatarie, violate continuamente.
Ivo Bagni - ivo.bagni@tele2. it
Caro Augias, sono rimasto di sale nell'ascoltare l'intervento del presidente Napoletano.
Un laico libertario come Lui, tiene conto del parere della Chiesa, dimenticando quello dei
cittadini molto più avanti su codeste questioni etiche.
Il problema dell'Italia non è ascoltare il Vaticano, semmai impedire che il Vaticano continui
con le sue ingerenze negli affari della Repubblica che mi risulta essere laica.
Giuseppe Galluccio - Torre del Greco-giuseppegal@tin. it
Stimato Augias, c'è oggi chi chiede una legge sui Pacs che intaccano il modello di famiglia
tradizionale formata da un uomo e una donna. Il progresso non può uccidere le nostre
tradizioni. Giusto il rispetto verso gli altri. Però, con una legge che in definitiva può aprire
anche alle coppie gay, si finisce con l'accettare modelli concorrenziali alla famiglia, gettando
alle ortiche i valori che la Chiesa presenta ai giovani, come ha anche ricordato Benedetto
XVI, affermando che il matrimonio è solo quello tra uomo e donna basato sulla "realtà
sessualmente differenziata"e con le loro "esigenze di complementarietà".
Mario Pulimanti - Lido di Ostia - m.pulimanti@politicheagricole. it
Risponde Augias
Ho visto in Tv la cautela e il ritmo con i quali il presidente Napolitano, parlando a braccio,
sceglieva una ad una le parole sullo spinoso tema dei Pacs, fino al richiamo finale all'art. 7
della Costituzione. Quell'articolo, voluto da Togliatti in un tentativo ante litteram di
'compromesso storico', fu oggetto per anni di critiche aspre perché dichiarando Stato e
Chiesa indipendenti e sovrani, aggiungeva: "I loro rapporti sono regolati dai Patti
Lateranensi". Le radici di quell'articolo affondano insomma addirittura nella questione
romana, nell'abolizione del potere temporale, in una storia che è stata per secoli un ostacolo
alla modernizzazione del paese, alla sua laicità, ad una sua compiuta fisionomia europea.
II Presidente cercava con evidenza una linea mediana ma forse sarebbe stato più prudente
tralasciare il richiamo alle 'preoccupazioni' di una gerarchia ecclesiastica che con insistenza
quotidiana tenta d'influire sul percorso legislativo di queste norme. E' fin troppo facile
l'obiezione che ‘preoccupazioni' come queste ci avrebbero impedito di avere le leggi su
divorzio e sull'aborto.
D'altra parte la lettera del signor Pulimanti prova con onesto candore che se in Italia c'è chi
si preoccupa di trovare una linea mediana c'è anche chi si ritiene ancora depositario
dell'unica possibile verità e come tale si comporta.
Benedetto XVI ha affermato di recente: "La Chiesa non intende essere un agente politico".
Prendiamolo in parola.
478 - DA VESCOVO COMBATTEREI PRIMA MAMMONA – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di domenica 11 febbraio 2007
Egregio Dott. Augias, leggo su Repubblica, a commento del «non possumus» sui Pacs, o
Dico, che non sarebbe moralmente possibile per i cattolici appoggiare un centrosinistra che
contrasta con la morale cattolica. E' vero - ed è la comprensibile preoccupazione del Papa e
della Cei - che un'equiparazione di ogni tipo di coppia al matrimonio eterosessuale potrebbe
favorire lo sgretolamento di un'istituzione fondamentale. Giungere però ad una scelta politica
come conseguenza della fede, credo sia davvero un salto non solo illegittimo ma
sconcertante.
La legge sui Dico non obbliga nessuno, assicura solo garanzie legali che del resto i politici
(quelli stessi che difendono la «famiglia cattolica») si sono già attribuiti; così come governi
«democristiani» presero atto che la maggioranza degli italiani accettava il divorzio e - entro
certi limiti - purtroppo anche l'aborto.
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Quello che invece non riesco a capire - da cattolico e, vorrei dire, da vescovo - è che per
questa tolleranza democratica si voglia sconfessare un orientamento che - almeno nelle
intenzioni - parte dalla difesa di chi ha maggiori difficoltà in linea con il Vangelo che assicura
il «regno» a chi provvede ai senza lavoro ai senza casa. La vera scelta è solo quella fra Dio
e Mammona (v. Lc 16, 13), dove Mammona è mettere al primo posto i soldi, il potere.
Vorrei che come formazione ad un autentico cristianesimo, una volta indicati i pericoli che
possono accompagnare il cammino dei Dico, si combattesse con non minore energia lo
spirito di Mammona, che sta inquinando il nostro mondo, alimentando la violenza, inaridendo
i nostri giovani.
Luigi Bettazzi - Vescovo emerito di Ivrea
Risponde Augias
Confortano le parole di monsignor Bettazzi, rendono visibile uno spirito della chiesa cattolica
che sappiamo esistere ma che non sempre riesce a parlare.
Tanto meno è emerso nelle discussioni degli ultimi mesi tutte centrate sui divieti, sugli
obblighi, sul non volere: Verboten! Ho sufficiente età per ricordare l'opposizione altrettanto
accanita che gli ambienti cattolici scatenarono nel 1975 contro la riforma del diritto di
famiglia. Si rimproverava di riconoscere alcuni diritti ai figli nati [fuori del matrimonio
scardinando, così si disse anche allora, il concetto di famiglia.
Ma che Chiesa è questa? In nome di che si fanno opposizioni così cieche, così inutili? Dico
inutili perché l'aborrita modernità alla fine prevale e nessun papa si può illudere di fermarla.
Monsignor Bettazzi ricorda che gli stessi parlamentari che non vorrebbero estendere
l'assistenza sanitaria ai conviventi di fatto, l'hanno già concessa a se stessi. Preciso: da
sedici anni! Quale ipocrisia, quale spudoratezza e, per i cattolici, quale mancanza di carità,
suggerisce di negare agli altri cittadini ciò che (da sedici anni) hanno già dato a se stessi?
Che Chiesa diversa sarebbe quella che monsignor Bettazzi adombra nelle sue parole: una
Chiesa che dicesse dove c'è amore, solidarietà, assistenza, lì c'è Gesù. Il vincolo del
matrimonio è forse una garanzia contro la sopraffazione reciproca, la cattiva educazione dei
figli? Contro il delitto, perfino? Una Chiesa dovrebbe guardare al cuore degli uomini non ai
riti. Benevola verso chiunque sia sincero, sposato o no che sia. Lo farebbe credo, se non ci
fosse di mezzo il potere, Mammona.
479 - DALLA CHIESA PIÙ VANGELO E MENO POLITICA – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di domenica 18 febbraio 2007
Gentile dott. Augias, sento smarrimento e, se vuole, sdegno di cittadina e di «credente» che
si sforza di fare il proprio dovere e di testimoniare i valori in cui crede.
Da più di venti anni insegno lettere in un istituto paritario cattolico. Mi impegno nella
formazione degli adolescenti, avviandoli alla acquisizione e alla pratica di valori quali l'amore
del prossimo e il rispetto delle regole. Valori che oggi sembrano dimenticati in un mondo
martoriato da guerre, violenze, fame, sopraffazione e, non ultimo, da un'emergenza
ambientale conseguenza di uno sfruttamento della natura a dir poco «peccaminoso».
In questa grave congiuntura la gerarchia ecclesiastica cosa fa? Invece di richiamare
quotidianamente e con forza tutti gli uomini di buona volontà alle proprie responsabilità,
invece di dispensare inviti alla pace, alla concordia, alla misericordia, alla giustizia sociale,
dà priorità alla questione Dico. Cerca d'impedire che il governo legiferi su diritti che per
giunta, riguardano una minoranza di cittadini, per giunta, verosimilmente non credenti.
Pensa veramente la Chiesa, la quale innanzi tutto dovrebbe testimoniare nel mondo il
Vangelo, di perseguire, in tal modo, il bene degli italiani, alimentando peraltro, una
conflittualità politica della quale, davvero, non si sente il bisogno? Pensa veramente che la
famiglia venga scardinata da questa specie di sanatoria o non, piuttosto, da ciò che i ragazzi
vedono, vivono, subiscono in una società dove il «denaro» è valore unico?
Caterina De Regis - [email protected]
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Risponde Augias
Ricevo molte lettere di cattolici e di sacerdoti sgomenti di fronte all'attacco senza precedenti
della Chiesa contro la Costituzione e il Concordato. Non c'è un altro paese al mondo (men
che mai in Europa) dove le gerarchie oserebbero fare quello che stanno facendo in Italia.
Don Roberto Fiorini ([email protected]) mi scrive citando Matteo (23,25): "Filtrate il moscerino
e ingoiate il cammello», dove il moscerino sono i DICO e «il cammello è il rapporto dell'ONU
secondo il quale quasi metà delle ricchezze del mondo sono in mano all'1%. Il 50% della
popolazione mondiale ha meno dell'1%». Dietro ai numeri c'è la sofferenza, l'agonia e la
morte di milioni di esseri umani. Dov'è la voce della Chiesa in questo caso?». Don Fiorini
attribuisce questa decadenza «all'affossamento del concilio Vaticano secondo».
Se volessimo proseguire sulla stessa strada potremmo ricordare i criminali sepolti nelle
basiliche mentre si chiudono le porte della parrocchia a un eroe civile come Welby, mafiosi e
sanguinari dittatori portati al cimitero con preti officianti, turiboli, cori angelici.
E' inutile chiedersi dove sia la voce della Chiesa in quei casi. Tra il Vangelo e la politica
corre un abisso e una volta scavalcato l'abisso non si torna più indietro perché a comandare
sono le leggi della politica. Che cos'è se non politica la frase del papa sulle norme
«inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore»?
Si vuole uno Stato a sovranità limitata al quale sottrarre parte della potestà legislativa.
Capisco che dal punto di vista politico dev'essere molto più appassionante misurarsi in una
tale prova di forza che occuparsi della fame nel mondo. A patto ovviamente di dimenticare il
Vangelo.
480 - LA SCELTA CONSAPEVOLE DELLE CURE TERMINALI – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di mercoledì 21 febbraio 2007
Caro Augias, il prof. Umberto Veronesi direttore di ospedale per la ricerca sul cancro, ha
elaborato una proposta per il diritto all'autodeterminazione del paziente condivisa con esperti
di diritto, bioetica, filosofia, scienza biomedica e con i cittadini in un incontro pubblico a
Milano.
Proposta semplice: «Nessuno deve scegliere per noi». E' il fondamento del Testamento
Biologico, atto di civiltà che dovrebbe essere riconosciuto legalmente.
Davanti alla morte che si avvicina, il medico è tentato o di abbandonare il malato o,
all’opposto, di ostinarsi nelle cure.
Ogni malato deve poter scegliere, anche, di non esercitare in nessun modo il suo diritto. Chi
ha fede si affiderà a Dio, anche non rifiutando il trattamento che lo mantiene in vita,
considerandola dono e proprietà del Signore. Oppure, al contrario, rifiuterà i trattamenti che
potrebbero salvarlo, ma che sono vietati dalla sua religione. Chi non ha fede potrà
comunque affidarsi alla scienza medica per non perdere la minima possibilità di
sopravvivenza, oppure sceglierà di stabilire dei limiti a cure inutili che prolungherebbero una
condizione di sofferenza per lui insopportabile. Il Prof. Veronesi interviene spesso a
sostegno dei diritti e della dignità dei sofferenti. Che differenza con i portatori di verità
assolute e inderogabili, che pur dettate dalla verità divina, dall'amore di Dio per l'uomo, in
ultimo, finiscono col condannarlo alle più atroci sofferenze ed alla perdita di ogni dignità.
Ivo Bagni - ivo.bagni@tele2. it
Risponde Augias
Ho sotto gli occhi un modulo per il testamento biologico che ho scaricato dal sito
www.fondazioneveronesi.it (teI. 02.76018187) e riempito. Il suo fine è che, in attesa di una
legge che regoli l'esercizio di queste disposizioni, ogni cittadino possa comunque esprimere
la sua volontà anticipata sul tipo di cure che desidera o non desidera ricevere nel caso non
fosse in grado di farlo in un dato momento della sua vita..
La legge italiana stabilisce già che il paziente ha diritto a conoscere la verità sulla sua
malattia nonché il diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso
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informato). La legge è buona ma non prevede il caso che il paziente possa non essere in
grado di esprimere la propria volontà. In molti paesi si è diffuso un nuovo istituto detto delle
'direttive anticipate'.
L'Italia, ne12001, ha ratificato la Convenzione di Oviedo del 1997 che stabilisce: "I desideri
precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che,
al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in
considerazione».
Lo stesso Comitato nazionale di bioetica è intervenuto sull'argomento stabilendo: "I medici
dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato
dall'interessato, ma anche giustificare per iscritto le azioni che violeranno tale volontà".
La situazione è per dir così in attesa di una sistemazione giuridica. Non attende invece la
malattia. La stessa tragedia di Welby si ripropone ora per Giovanni Nuvoli, uomo fiero che
fieramente chiede di potersene andare. Anche nel suo caso le stesse ipocrisie, le stesse
piccole viltà mentre lui invoca: fate presto. Quanto ancora dovrà penare per vincere la sua
battaglia?
481 - QUANDO IN CHIESA ENTRAVA ANCHE IL DISSENSO – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di sabato 24 febbraio 2007
Egr. Sig. Augias, lei ha elogiato il gesto di alcune suore di Oxford che hanno fornito una
prostituta a un ragazzo malato allo stato terminale. Con l'occasione ha affrontato, con
superficialità il celibato dei preti «diventato un problema»
Se sia così lo lasci dire a chi lo vive seriamente nel silenzio e nella più totale donazione
senza alcuna pubblicità.
Migliaia di preti e suore non fanno scalpore. Che poi il celibato venga mantenuto per non
«sembrare un cedimento alla deprecata modernità»> è un'opinione che rivela quanto poco
lei conosca questo mondo per non individuarne il valore «profetico» e dimostrativo della
Verità che viene proposta..
ll fatto che ci siano stati scandali compresi «risarcimenti molto costosi» significa solo che
anche i preti sono soggetti a errori che devono a loro volta chiedere perdono e faticare per
vivere l'ascesi. Mi dà molto fastidio quando sento parlare di queste cose con superficialità,
presunzione ed incompetenza.
Gianni Frlgerio - [email protected]
Caro Augias, lei ha pubblicato giorni fa la lettera di don Roberto, sacerdote critico verso la
Chiesa.
Non mi sorprende il suo tono ironico e saccente. Mi sorprendono i vari don Roberto.
Sarebbe più coerente se abbandonassero questa Chiesa così «cattiva» e Incoerente, per
unirsi ai «valorosi» amici di Repubblica, Manifesto, insieme ai vari no-gIobal e/o compagni
amici verdi, rossi, post comunisti ecc. ecc.
lo continuo a professare il Credo in tutte le sue parti anche là dove dice «Credo nello Spirito
Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi».
Manlio Colla - [email protected]
Risponde Augias
Eppure c'è stato un tempo, nemmeno molti anni fa, in cui la discussione, il dissenso, la
ricerca di una spiritualità rinnovata sembravano aver fecondato la chiesa cattolica, averla
messa al passo con il rapido mutamento dei tempi. Queste due lettere dimostrano che, per
alcuni almeno, quel periodo deve intendersi chiuso. A costo di scrivere inesattezze,
rinnegando la storia stessa dell'istituzione.
Che il sacerdozio sia diventato un problema in Occidente non lo dico io ma i seminari vuoti, il
fatto che il reclutamento di nuovi sacerdoti anche per le parrocchie italiane avvenga ormai in
Africa o in America Latina da dove arrivano, tra i tanti lavoratori, anche i sacerdoti del
Vangelo.
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Che il celibato dei preti sia «dimostrativo della verità» può anche darsi. Anzi in linea teorica
pare anche a me apprezzabile che un essere umano si amputi della sua sessualità per porsi
al servizio del suo Dio: totus tuus.
Resta che il celibato è solo una decisione normativa, potrei dire un atto amministrativo,
come tale revocabile o no, secondo convenienza, anche domani mattina. I primi preti, i primi
vescovi erano sposati con figli, come del resto i rabbini o i preti ortodossi. Ho citato i «costosi
risarcimenti»perché so in quali difficoltà economiche i sacerdoti pedofili di Chicago hanno
posto la Chiesa con quello che s'è dovuto pagare alle famiglie dei fanciulli offesi.
Leggo con sgomento la lettera del signor Colla, la sua visione così rudimentale del dissenso,
il buttarla subito in politica che su questioni del genere è come evocare il demonio per
chiudere ogni possibile discussione. Infatti così è, purtroppo.
482 - CIVILTA’ DEL TESTAMENTO BIOLOGICO - DI STEFANO RODOTA’
da: la Repubblica di mercoledì 24 gennaio 2007
Una legge mite e civile, come è e deve essere quella sul testamento biologico, rischia di
trovare ostacoli imprevisti lungo il suo cammino parlamentare, d´essere caricata di significati
impropri. La situazione sta assumendo tratti paradossali. Un alto e nitido intervento del
cardinal Martini, che contribuisce assai al chiarimento della questione dal punto di vista
religioso, ha scatenato una serie di reazioni che pretendono di stabilire quale sia il Verbo da
seguire, quale l´unica e invincibile interpretazione cattolica, fino a toccare punte di grottesco
con l´accusa a Martini di essere il battistrada dell´eutanasia. Non torna soltanto una
confusione dalla quale si sperava che fossimo usciti. Cadiamo in una regressione culturale
dalla quale non possono nascere né buone leggi, né un serio dibattito pubblico. Serve
pazienza.
Ripetiamo, allora, le distinzioni fondamentali che, ovunque nel mondo, sono alla base delle
analisi del tema drammatico del morire, sempre meno consegnato alla natura ed ai suoi
ritmi, sempre più affidato all´umano ed alle sue scelte. Sono almeno quattro le situazioni da
considerare, ben diverse tra loro, che non devono essere sovrapposte per evitare confusioni
fuorvianti: accanimento terapeutico, rifiuto di cure, testamento biologico, suicidio assistito
(eutanasia attiva). Tutto questo deve essere considerato in un contesto caratterizzato dal
fatto che la salute è un diritto fondamentale e che il consenso informato dell´interessato
rappresenta un riferimento ineliminabile, mancando il quale nessuna attività che riguardi la
persona, la sua salute, il suo corpo può essere legittimamente intrapresa.
Il testamento biologico (dirò più avanti perché penso che sia più opportuno parlare di
direttive anticipate) è una decisione presa da una persona perfettamente lucida, che indica il
modo in cui vuol essere trattata in futuro, qualora si trovi in situazioni estreme e sia divenuta
incapace. Niente a che vedere con il rifiuto di cure, che consiste in una decisione attuale,
non destinata a valere in futuro, presa da una persona perfettamente consapevole. Niente a
che vedere con l´accanimento terapeutico, sempre inammissibile, vi sia o no un testamento
biologico. Niente a che vedere con l´eutanasia attiva che, come ha ribadito il cardinal
Martini, consiste in «un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la
morte».
In realtà, il testamento biologico rappresenta una delle tante modalità di governo della vita
che hanno il loro fondamento nella libertà personale, nell´autonomia della persona. È un
itinerario che si scorge limpidamente nella Costituzione, tra l´articolo 13 (libertà personale) e
l´articolo 32 (diritto alla salute). In quest´ultimo articolo compare una affermazione
particolarmente impegnativa. Si dice, infatti, che l´imposizione di trattamenti obbligatori, che
può esser fatta solo per legge, non può "in nessun caso" varcare i limiti imposti dal "rispetto
della persona umana". È, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione,
poiché pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro
dell´esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte
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all´"indecidibile". Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i
cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell´interessato...
Proprio questa incomprimibile autonomia di decisione si vuole confiscare, con una
operazione di aggiramento che in questi giorni è divenuta manifesta. È tornata con
prepotenza la formula della "indisponibilità della vita". Ma, trasferita dal mondo delle legittime
convinzioni a quello delle regole, questa affermazione contrasta con i dati di realtà, che
mostrano con assoluta chiarezza come si moltiplichino ormai i casi in cui, in particolare
attraverso il legittimo rifiuto di cure, la persona dispone appunto della propria vita.
Dobbiamo ricordare una volta di più il caso dei Testimoni di Geova, ai quali è stato
riconosciuto il diritto di rifiutare le trasfusioni di sangue anche se ciò determina la morte, o
quelli di persone che hanno preferito la morte all´amputazione di un arto? Emerge anche qui
una situazione solo nelle apparenze paradossale. Si nega la disponibilità della vita
all´interessato per riservarla al medico, qui davvero con rischi di derive, di crescente
medicalizzazione della vita e di delega ai tecnici delle decisioni sull´esistenza.
Una seconda confusione riguarda il modo in cui si discute intorno all´"abbandono" del
paziente, quasi che vi sia un contrasto tra il testamento biologico, da una parte, e le cure
palliative del dolore e i servizi alla persona morente, dall´altra. Poiché quel documento altro
non è che una direttiva riguardante il modo in cui si vuol essere trattati in situazioni estreme,
è evidente che tutto quanto consente alla persona di allontanare la sofferenza e di trovare
vicinanza negli affetti e nella cura si colloca in una dimensione diversa, che esige
l´assunzione di una responsabilità pubblica che, tuttavia, non interferisce nella libertà della
persona.
Se di questo si vuol discutere seriamente, e non per proporre un diversivo rispetto al tema
del testamento biologico, si rifletta sul fatto che i centri antidolore sono appena 110, di cui
soltanto 5 nel Mezzogiorno. E che i servizi ai morenti e alle loro famiglie richiedono
investimenti, non tagli alle spese, non apologie del mercato. Si riprenda il filo della buona
discussione avviata dalla Commissione Sanità del Senato con una serie di audizioni. E ci si
concentri sui pochi, essenziali punti che servono per una legge che deve essere semplice e
comprensibile. Si abbandoni la pretesa di regolare questioni diverse, come l´accanimento
terapeutico o il rifiuto di cure. Ci si renda conto che non si tratta di disciplinare in generale il
consenso informato, ma più semplicemente di fissare regole che consentano di accertare
con precisione se, nel momento in cui stendeva il documento, la persona era capace. Si
rinunci alla pretesa di fare del testamento biologico un obbligo per ogni cittadino, con
comprensibili effetti di allarme, e ci si preoccupi piuttosto di non prevedere forme e
procedure burocratiche, che scoraggerebbero le persone, e di non precludere la rilevanza di
altri documenti dai quali tuttavia risulti con chiarezza la volontà dell´interessato. Si
semplifichino al massimo le norme sul contenuto del documento, che deve poter riguardare
qualsiasi tipo di trattamento (ogni limitazione contrasterebbe con il diritto generale di rifiutare
le cure), la richiesta di cure palliative anche se accelerano la fine, eventuali disposizioni sul
trapianto degli organi o l´assistenza religiosa. Per questo, invece che di testamento biologico
che evoca soltanto l´aspetto della fine, si dovrebbe parlare di direttive anticipate, nelle quali
si può esprimere l´intera visione che ciascuno ha della fase terminale della propria vita.
Dovrebbe essere ovvio, inoltre, che gli effetti di queste direttive non possono essere rimesse
alla valutazione discrezionale del medico o al parere di organi privi di legittimazione
adeguata, quali sono i comitati etici. Si disciplini, piuttosto, la procedura di accertamento
della incapacità, che rappresenta la condizione in presenza della quale le direttive anticipate
producono i loro effetti. E si chiarisca la posizione di un eventuale fiduciario, al quale la
persona affida la cura di sé per il tempo dell´incapacità, senza dimenticare che questa figura
rientra già nel nostro sistema istituzionale da quando la legge sull´amministrazione di
sostegno ha previsto appunto la possibilità di designare qualcuno che agisca o collabori con
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noi in situazioni di difficoltà. Quest´ultimo riferimento ci ricorda che il nostro sistema si è già
incamminato proprio nella direzione di permettere a ciascuno di governare il proprio futuro.
A questa normalità istituzionale va ricondotta la nuova legge, invece di usare la sua
discussione come pretesto per guerre o guerricciole ideologiche, che fingono di voler
rispettare l´umanità delle persone, e invece vogliono impadronirsene.
483 - WELBY, I MEDICI ASSOLVONO RICCIO – DI ENRICO BONERANDI
da “la Repubblica” di venerdì 2 febbraio 2007
Cremona - Otto ore di discussione «larga e approfondita», in due tornate, e quindi, nella
notte di mercoledì, la sentenza della commissione disciplinare dell'ordine dei medici di
Cremona. All'unanimità: «Non si rilevano violazioni del codice deontologico». Sarà quindi
archiviato il procedimento disciplinare a carico di Mario Riccio, l'anestesista che il 20
dicembre scorso staccò la ventilazione artificiale a Piergiorgio Welby. Una decisione che
potrebbe avere riflessi anche sull'inchiesta penale aperta dalla procura di Roma: i magistrati
hanno già acquisito il pronunciamento dei medici cremonesi. Se l'autopsia confermasse la
relazione di Riccio sul carattere del suo intervento (la sedazione avrebbe avuto solo l'effetto
di rendere sopportabili i dolori dell'asfissia, non provocando direttamente il decesso), la via
all'archiviazione penale sarebbe in discesa.
Secondo l'ordine di Cremona, «Welby è stato aiutato nel morire, non a morire»: nessun atto
di eutanasia, dunque.
Riccio si è attenuto correttamente agli articoli 20 e 35 del codice deontologico che
riguardano i diritti della persona e l'acquisizione del consenso del paziente. Sono stati presi
quindi in considerazione anche due articoli della Costituzione (13 e 32), che sanciscono la
libertà di cure e la facoltà del paziente di rifiutare la terapia. Due censure: sul fatto che Riccio
non fosse il medico curante di Welby e sulla «spettacolarizzazione» dell'evento. Il presidente
dell'ordine di Cremona, Andrea Bianchi, ha voluto ieri ringraziare pubblicamente il cardinale
Martini «per le sue profonde considerazioni sull'accanimento terapeutico», auspicando la
discussione in Parlamento sul tema del testamento biologico, che «farebbe piazza pulita di
equivoci e polemiche».
«Sono contenta che sia finita così - ha commentato Mina, la vedova di Welby - So che i
medici sono rigorosi. Riccio ha aiutato mio marito ad avere una morte serena». Molti
esponenti del centrodestra, però, hanno aspramente criticato la decisione, come Riccardo
Pedrizzi di AN.
Riccio ha invece tirato un sospiro di sollievo: «Non era detto che finisse così. L'ordine di
Cremona, anche se piccolo, ha mostrato gli attributi». Ma non ci sta a essere accusato di
aver strumentalizzato la vicenda: «Caso mai è stato Welby a strumentalizzare se stesso.
Teneva molto a che la sua sofferenza fosse di aiuto agli altri». Qualcuno però continua ad
accusarlo di aver praticato una eutanasia. «Sono gli stessi che sostenevano il metodo Di
Bella, eppure in quel caso i malati di cancro rifiutavano la chemioterapia per seguire un
metodo all'acqua fresca. Bisognava forse costringerli?». Ma lei è favorevole all'eutanasia? «I
sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è d'accordo. Io sarei favorevole a una
legge chiara come in Belgio, in Olanda e in Svizzera. Forse qualche mese fa una proposta
del genere sarebbe stata prematura, ma oggi, sulla scia del caso Welby, è urgente una
discussione in Parlamento, senza tabù. Purtroppo una sollecitazione alle Camere del
presidente della Repubblica è già caduta nel vuoto. Dovrebbero essere approvati i decreti
attuativi della convenzione europea di Oviedo, che risolverebbero i problemi della donazione
di organi e del testamento di vita».
484 - LA POLITICA DEBOLE E L´OFFENSIVA DELLA CHIESA – DI STEFANO RODOTA’
da: la Repubblica di giovedì 8 febbraio 2007
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Brutte giornate nel Parlamento, e dintorni. E allora bisogna guardare più a fondo, e più
lontano, nel considerare il modo in cui oggi si discute e si decide su questioni essenziali e
drammatiche dell´esistenza di ciascuno di noi – come morire e come organizzare le relazioni
affettive, come procreare e come dare il cognome ai figli e come riconoscere pienezza di
diritti a quelli nati fuori dal matrimonio. Sono in campo in prima persona, ed è un fatto inedito
nella storia repubblicana, tutte le grandi istituzioni: Presidente della Repubblica, Governo,
Parlamento, Corte costituzionale, magistratura. E la Chiesa cattolica, sempre più presente.
E una opinione pubblica sempre più sondata e sempre meno informata. Vale la pena di
seguire le mosse di alcuni di questi protagonisti.
Dice il Cardinal Ruini: è «norma di saggezza non pretendere che tutto possa essere previsto
e regolato per legge».
Dice il Presidente della Corte di Cassazione: «Appare urgente e indispensabile un intervento
del legislatore che affronti e chiarisca i gravi problemi che sempre più frequentemente si
presentano al giurista e al medico».
Chi ha ragione? Nessuno dei due. Intendiamoci: nelle materie che interessano la vita è
sempre necessario un uso sobrio e prudente della legge e i giudici devono avere forti
principi di riferimento per le loro decisioni. Ma la sobrietà, o addirittura l´assenza,
dell´intervento legislativo significa cose radicalmente diverse a seconda che manifesti
rispetto della libertà individuale o, al contrario, intenzione di mantenere vincoli costrittivi,
volontà di girare la testa dall´altra parte di fronte alle dinamiche sociali ed alle difficoltà
dell´esistenza.
Il legislatore auspicato da Ruini non avrebbe dovuto votare la legge sul divorzio, quella
sull´interruzione di gravidanza e neppure quella pericolosa riforma del diritto di famiglia del
1975, a lungo avversata da ambienti cattolici perché abbandonava il modello gerarchico e
riconosceva i diritti dei figli nati fuori dal matrimonio (e anche allora si impugnava una
interpretazione gretta della nozione di famiglia). Oggi siamo di fronte ad una situazione
analoga. Affrontando con poche norme le questioni delle unioni di fatto e del diritto di morire
con dignità, il legislatore non invade indebitamente la sfera delle decisioni private. Rimuove
ostacoli ormai irragionevoli, sviluppa logiche già ben visibili nel nostro sistema costituzionale,
non impone nulla a nessuno e mette ciascuno nella condizione di esercitare
responsabilmente la propria libertà.
Perché, a questo punto, non si può dar ragione neppure al Presidente della Cassazione?
Perché nelle sue parole si scorge anche un ritrarsi da responsabilità che sono proprie della
magistratura, un riflesso dell´atteggiamento gravemente rinunciatario che si è manifestato
nelle decisioni riguardanti Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Due casi che i giudici
avrebbero potuto risolvere seguendo in particolare la linea tracciata dagli articoli della
Costituzione sulla libertà personale e sul diritto alla salute (e che era stata indicata con
precisione da un parere della Procura di Roma).
Sembra quasi che i giudici, messi di fronte a temi assai impegnativi e che dividono la
società, abbiano scelto di chiamarsi fuori, di lasciare che sia solo la politica ad affrontare e
risolvere questioni che pure li investono direttamente. Questo accade perché, provati da un
lungo braccio di ferro con una politica che voleva mortificarne indipendenza ed autonomia,
hanno deciso di prendersi una rivincita e di lasciarla sola e nuda, indicandola come unica
responsabile delle difficoltà presenti? Ma questa sarebbe davvero una ingiustificata reazione
corporativa e il segno di una regressione culturale che impedisce loro di cogliere quale sia
oggi il compito istituzionale della magistratura, senza che possa essere accusata di indebite
invasioni di campo, di esercitare una illegittima supplenza. Commentando la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell´uomo, si è proprio messo in evidenza che ormai spetta
sempre a questi giudici "risolvere le più gravi e difficili questioni di diritto civile poste dal
cambiamento dei costumi, dalla scienza e dalla tecnica". Questo non è l´effetto di distrazioni
o ritardi del legislatore, ma del fatto che la vita propone ormai una molteplicità di situazioni
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sempre nuove e sempre variabili, che nessuna legge può cogliere e disciplinare nella loro
singolarità, in un inseguimento continuo e impossibile. Ad essa, invece, spetta il compito di
fissare i principi di base, che l´intervento del giudice adatterà poi ai casi concreti.
Questo quadro di principi è, e non può che essere, quello della Costituzione italiana,
integrato da indicazioni che vengono da documenti internazionali, in primo luogo dalla Carta
dei diritti fondamentali dell´Unione europea. Ed è proprio su questo punto che si sta
svolgendo il conflitto. Si leggono interpretazioni di norme costituzionali contrastanti con la
loro stessa lettera o comunque incompatibili con il sistema complessivo di cui fanno parte.
Ma sempre più spesso si va oltre, e si parla e si scrive come se la Costituzione non
esistesse. Si fa riferimento a valori, rispettabilissimi, ma che non trovano alcun riscontro nel
testo costituzionale, o addirittura contrastano con esso.
Da tempo sottolineo che è in atto un tentativo, strisciante ma visibilissimo, di sostituire al
quadro dei valori costituzionali un quadro del tutto diverso, portando così a compimento una
impropria e inammissibile revisione costituzionale. Qui è il limite dei dialoghi possibili intorno
ai temi in discussione. I principi costituzionali non possono essere revocati in dubbio
contrapponendo ad essi altri valori "non negoziabili", che nella religione cattolica
troverebbero un fondamento così forte da imporli ad ogni altro.
Gustavo Zagrebelsky ha più volte messo in evidenza come ciò apra un conflitto insanabile
con la stessa democrazia. E, nella concretezza della vicenda italiana, ciò pone il problema
della linea che stanno seguendo le gerarchie ecclesiastiche. Un problema che non si
affronta e non si risolve ripetendo, come peraltro è ovvio, che la Chiesa deve poter
esercitare pienamente il suo magistero spirituale.
Da anni sappiamo che la Chiesa, venuta meno la mediazione svolta dalla Dc, agisce ormai
in presa diretta sulla politica italiana. Lo si ripete in questi giorni. Ma questo vuol dire che
essa si comporta come un soggetto politico tra gli altri, sia pure con il peso grandissimo della
sua storia, e che come tale deve essere considerata. Entrando direttamente nella politica, la
Chiesa "relativizza" sé e i suoi valori, non può pretendere trattamenti privilegiati, che è
pretesa autoritaria, incompatibile appunto con la democrazia. Nella debolezza della
situazione politica italiana, nelle sue fragilità e convenienze, la pressione della Chiesa si sta
manifestando con una intensità sconosciuta quando, in Francia o in Belgio o in Germania o
in Spagna o in Olanda, sono state affrontate, e in modo assai più radicale, analoghe
questioni intorno alla vita.
La debole Italia più agevole terreno di conquista? Una politica che porta a ritenere
inammissibile nel "cortile di casa" quel che è tollerato quando Roma è più lontana? Inquieta,
a questo punto, la quasi totale assenza di un mondo cattolico che conosciamo portatore di
un´altra cultura che, ad esempio, si fa sentire con chiarezza nelle questioni riguardanti la
pace. Una dura ortodossia avvolge i temi "eticamente sensibili". Nessuno è autorizzato ad
avviare una discussione aperta, dunque l´unica via per un vero dialogo, fosse anche il
cardinal Martini. La dura reprimenda che gli è stata rivolta, con un´accusa neppure velata di
"deviazionismo", aveva evidentemente anche l´obiettivo di impedire che si aprisse una falla,
di intimidire chi avesse voluto seguirne l´esempio.
Anche nel silenzio di quei cattolici, come nelle aggressività di altri e nel disorientamento di
troppa sinistra, scorgiamo la conferma di una debolezza politica e culturale che non
autorizza troppe speranze.
485 - IL "NON POSSUMUS" DELLO STATO - DI GUSTAVO ZAGREBELSKY
da: la Repubblica di venerdì 9 Febbraio 2007
L´editoriale di Avvenire di martedì scorso ha il tono di una "nota diplomatica", contenente un
memorandum e un ultimatum, il tono cioè di atti di natura ufficiale, nei rapporti tra Stato e
Stato e, come tale, deve essere valutato parola per parola, tanto più in quanto la diplomazia
vaticana è di solito maestra di cautela e sottigliezze.
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L´oggetto è la legge prossima ventura (?) sui diritti e i doveri delle coppie di fatto, una legge
che, secondo il quotidiano dei vescovi italiani, realizzerebbe, «sia pure in forma insolita e
indiretta, un modello alternativo e spurio di famiglia» che indebolirebbe e mortificherebbe
l´istituto coniugale e familiare «nella sua unità irripetibile», un effetto «sgradevole» (!) che
sarebbe dimostrato «in modo incontrovertibile» dall´esperienza di altri Paesi. Ciò andrebbe
contro il favor per la famiglia fondata sul matrimonio, riconosciuto dalla Costituzione
repubblicana, e contro una tradizione culturale e giuridica bimillenaria. Fin qui la critica,
discutibile e discussa come tutte le opinioni, ma certo perfettamente legittima. A questo
memorandum, segue l´ultimatum.
«Per questi motivi - si legge - se il testo che in queste ore circola come indiscrezione fosse
sostanzialmente confermato, noi per lealtà dobbiamo fin d´ora dire il nostro non possumus.
Che non è in alcun modo un gesto di arroganza, piuttosto è consapevolezza di ciò che
dobbiamo - per servizio di amore - al nostro Paese» e «indicazione franca e disarmata di
uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana».
Lasciamo da parte la retorica: ci mancherebbe altro che si rivendicasse il diritto a un gesto
d´arroganza o a un atto di disprezzo verso "il nostro Paese". Vediamo invece le tre
espressioni-chiave, quelle sopra indicate in corsivo.
Nella sua storia, la Chiesa ha pronunciato diversi non possumus, nei confronti delle pretese
delle autorità politiche. Il che è del tutto naturale (anzi, forse ne ha pronunciati non pochi di
meno di quanti ci si sarebbe potuto attendere in nome del Vangelo).
Si incomincia con Pietro e Paolo (Atti 4, 20) che, diffidati dal Sinedrio di non parlare né
insegnare in nome di Gesù, risposero: «Non possumus non parlare di ciò che vedemmo e
udimmo». Si dice poi che nel non possumus si siano trincerati Clemente VII, il papa che
negò il divorzio di Enrico VIII da Caterina d´Aragona; Pio IX che si oppose al ritorno a casa
di un bimbo ebreo, nel famoso e crudele "caso Mortara"; ancora Pio IX che rifiutò di
partecipare alla coalizione anti-austriaca al tempo del Risorgimento e non accolse l´ipotesi di
un´occupazione pacifica di Roma da parte dei piemontesi; il cardinale Antonelli, che escluse
il riconoscimento papale di Roma capitale d´Italia. Tutto questo è chiaro e riguarda
comportamenti, comunque li si voglia valutare storicamente, che rientrano nei loro compiti e
nelle responsabilità degli uomini di Chiesa. Ma che cos´è che "non possono" i vescovi
italiani, nella circostanza odierna? La risposta la danno loro stessi. Non si tratta solo del
diritto al dissenso circa una legge dello Stato, diritto che nessuno contesta. Si tratta di una
cosa molto diversa: non possono non prospettare uno spartiacque, che inevitabilmente
peserà sul futuro della politica italiana.
Bisogna meditare su questa affermazione. Non è una "indicazione" che riguarda i rapporti
tra la Chiesa e lo Stato italiano. Se così fosse, si tratterebbe di una questione, per così dire,
di politica estera, tra due soggetti sovrani, che pur si riconoscono come tali. Si sarebbe
potuto discutere se ciò costituisse una corretta concezione degli "ambiti" rispettivi che l´art. 7
della Costituzione riconosce a ciascuno di loro («Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel
proprio ambito…»). Poiché, in materia concordataria, manca per definizione, un terzo super
partes, in caso di conflitto ognuno dei due soggetti finisce per essere arbitro dell´ampiezza
della propria sfera d´azione. La discussione, su questo punto, sarebbe senza costrutto. Ma
qui la "indicazione" dei vescovi è del tutto diversa: la Chiesa, attraverso un suo organo
ufficiale - non un gruppo di cittadini o deputati cattolici, nella loro autonomia, ciò che farebbe
una differenza essenziale - parla del futuro della politica italiana, parla cioè della vita interna
dello Stato e delle «inevitabili conseguenze» su di essa. Così, viene, altrettanto
inevitabilmente, messo in discussione l´altro caposaldo dell´art. 7, quel riconoscimento di
reciproca «indipendenza e sovranità» dello Stato e della Chiesa, da cui discende
l´esclusione di ogni ingerenza interna reciproca, esclusione che è conditio sine qua non del
regime concordatario. Direi che mai, come in questo caso, nella storia recente, i basamenti
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del concordato hanno traballato. Non ci si è resi conto dell´implicazione? Se si vuole il
concordato, occorre rispettare e difendere le condizioni materiali che lo rendono possibile.
Spesso, per comprendere i caratteri di una situazione, non c´è nulla di meglio che provare a
rovesciarne i termini. Allora, che cosa si direbbe se fosse lo Stato che, per assurdo, dicesse:
se la Chiesa non assume un tale o un talaltro atteggiamento, ciò rappresenterà uno
spartiacque e peserà sul futuro (non dei rapporti reciproci, ma addirittura) dei rapporti interni
alla Chiesa, tra le sue diverse componenti, facendo eventualmente intravedere interventi per
favorire o contrastare questa o quella posizione che fedeli o sacerdoti potessero prendere, a
seconda del gradimento riscosso.
Si dirà: ma qui l´Avvenire si limita a una semplice, innocente "indicazione" preventiva. Già,
ma viene data per lealtà. Che significa questa apparentemente innocua aggiunta? Non altro,
mi pare, che un avvertimento: non ci si venga poi a lamentare che non ve l´avevamo detto;
state in guardia per quel potrà accadere. La lealtà dell´annuncio significa preannuncio di
conseguenze perturbatrici del quadro parlamentare, in definitiva della libertà di esercizio del
mandato parlamentare e della libera dialettica democratica. Ci sono questioni sulle quali
anche da parte dello Stato democratico dovrebbero essere detti dei non possumus. Ci sono
principi irrinunciabili di laicità e democraticità delle istituzioni che sono non negoziabili. Ci
sono casi su cui sarebbe bene che i soggetti che le rappresentano facessero sentire una
voce rassicurante per tutti, pacata e ferma. Questo è uno di quelli. Con ogni garbo,
naturalmente, e con tutta la diplomazia necessaria, ma questo è uno di quelli.
Ieri abbiamo appreso di una reazione di eletti dal popolo, ascrivibili alla schiera dei cattolici
democratici, di cattolici adulti che, senza disconoscere la loro appartenenza alla Chiesa e il
loro attaccamento ai principi spirituali cristiani, ristabiliscono le distinzioni, rivendicano la loro
autonomia nell´esercizio delle loro funzioni costituzionali e respingono richiami all´ordine fin
nel dettaglio di scelte legislative, in definitiva lesivi delle responsabilità dei cristiani nelle cose
temporali. Finalmente. Anche per loro, la partita in corso è decisiva ed è precisamente quella
che riguarda la difesa della loro dignità di soggetti, non di oggetti, come si dice, in re: quella
dignità che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto loro.
Si è detto che, nella vicenda in corso, la Chiesa italiana, attraverso la Conferenza
episcopale, gioca il tutto per tutto, in una partita dall´esito incerto. Noi non sappiamo se la
presa di posizione dell´Avvenire sarà eventualmente seguita da atti conseguenti. Può essere
sì o no. Gli esperti di cose vaticane sono concordi nel riconoscere agli uomini della Cei
capacità tattiche, se non strategiche. Può darsi che la prudenza induca a ripensamenti, a
lasciare che le cose si stemperino nel tempo. Ma che triste delusione, per chi crede in Gesù
il Cristo o, semplicemente, ritiene che il messaggio cristiano sia comunque un fermento
spirituale prezioso da preservare, il vedere la Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d´una partita,
tentata di usare la discordia politica tra i cittadini e i suoi rappresentanti, come se fosse arma
lecita delle sue battaglie.
Commento. Leggo sul quotidiano Avvenire che la Chiesa cattolica è contraria ai DICO, così
come è contraria alla fecondazione assistita, al divorzio, all'aborto, alla pillola RU80, al
testamento biologico, all'eutanasia, all'uso del preservativo, a togliere il crocefisso dai locali
pubblici, alla stessa teoria darwiniana dell'evoluzionismo. Niente da eccepire: la Chiesa ha
diritto ad avere ed esprimere le sue idee.
Quando però la Chiesa si schiera in politica, allora le cose cambiano.
Già in occasione del referendum sulla fecondazione assistita la Chiesa invitò pubblicamente
i cittadini italiani, attraverso i massmedia ed opuscoli distribuiti in tutte le chiese, a NON
esercitare il loro diritto-dovere al voto e disertare invece le urne. Oggi, in occasione dei
DICO, fa di più: preannuncia che se la legge sarà approvata dal Parlamento ciò costituirà
"UNO SPARTIACQUE CHE INEVITABILMENTE INFLUIRA' SUL FUTURO DELLA
POLITICA ITALIANA". (Avvenire - 6.2.2007 - "Unioni di fatto: il perchè del nostro leale non
possumus").
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E' un avvertimento-minaccia che tradotto significa: se l'Unione farà approvare la legge sui
diritti dei conviventi, alle prossime elezioni amministrative la Chiesa sarà CONTRO l'Unione.
Insomma, secondo la Chiesa Dio sarebbe di destra.
Con tristezza debbo costatare che le mie amare previsioni si sono avverate: la Chiesa ha
ormai infranto la "tregua" concordata con lo Stato attraverso i Patti Lateranensi, ed approfitta
del potere di interdizione delle sue 25.000 parrocchie derivante dalla spaccatura
dell'elettorato per imporre spregiudicatamente le SUE leggi. Questa linea di condotta ignora
le sofferenze delle persone, la misericordia, il perdono e incita le persone alla rivolta contro
la Chiesa.
Scrive la cattolica (e laica) Rosy Bindi sui DICO: "Abbiamo scritto una legge giusta che
tutela i più deboli, riconosce diritti alle persone discriminate, non crea nessuna figura
giuridica che possa attentare alla famiglia. L'insegnamento cattolico parla di valore della
giustizia, di pace, di libertà personale, di accoglienza perfino dell'errore. Di carità e di
misericordia... Un politico non deve sentirsi referente di nessuno. Il mio referente è il Paese
e la mia coscienza cattolica".
Cara Rosy: rischi di essere scomunicata. (gps)
486 - QUEI PATTI DIMENTICATI TRA STATO E CHIESA - DI EUGENIO SCALFARI
da: la Repubblica di domenica 11 febbraio 2007
Nella giornata di ieri la Chiesa è passata al contrattacco, guidata dal Papa in persona a
rinforzo del "non possumus" emanato dalla Conferenza episcopale. Benedetto XVI, con
riferimento specifico ai temi della bioetica e al disegno di legge approvato dal Consiglio dei
ministri sulle convivenze di fatto, ha detto che c'è da pensare "che ci siano dei periodi in cui
l'essere umano non esista veramente" Addirittura! Accenti simili non si erano più uditi da
quando i bersaglieri di La Marmora entrarono dalla breccia di Porta Pia mettendo fine al
potere elettorale e la nobiltà clericale chiuse i portoni dei suoi palazzi sconfessando la
nascita dell'Italia unita e di Roma capitale.
Dev'essere accaduto qualche cosa di molto più grave a ferire la sensibilità e gli interessi
della Chiesa del riconoscimento di alcuni diritti che regolarizzano le coppie di fatto ben più
timidamente di quanto già non sia avvenuto in tutt'Europa, dalla Spagna all'Olanda e dalla
Francia alla Germania. Che cosa è dunque accaduto?
È accaduto che quel cautissimo atto di governo, che porta la firma d'un premier
cattolicissimo ed è stato redatto da un cattolicissimo ministro, ha posto un paletto al neotemporalismo della Santa Sede, alle sue crescenti interferenze nella legislazione e
addirittura nell'articolazione delle norme di legge che il Parlamento voterà nelle prossime
settimane.
È accaduto che al "non possumus" dei vescovi italiani è stato opposto il "possumus" dei
gruppi parlamentari del centrosinistra e in particolare dei parlamentari cattolici della
Margherita, che hanno rivendicato la loro responsabile autonomia laica e - insieme - la loro
costante appartenenza ai valori del cristianesimo.
Viene in mente il rifiuto di Alcide De Gasperi all'operazione Sturzo di stampo clerico-fascista,
sponsorizzata da papa Pacelli e dai Comitati civici. Da allora il leader della Dc non fu più
ricevuto, neppure in udienza privata, da Pio XII, il che non gli impedì di reggere le sorti del
governo nazionale senza mai venir meno ai suoi sentimenti di appartenenza cattolica e ai
suoi doveri verso il paese e verso la Costituzione.
Questo preoccupa Benedetto XVI e i vescovi italiani: che i cattolici democratici, messi con le
spalle al muro dall'intransigenza ruiniana, abbiano rifiutato di essere passiva cinghia di
trasmissione ponendo così un argine alla clericalizzazione delle istituzioni.
Non li preoccupa né Diliberto né Pecoraro Scanio né Rifondazione comunista, bensì i
Franceschini, i Letta, le Bindi, gli Scoppola e, soprattutto, Romano Prodi che va a messa e
frequenta i sacramenti tutte le domeniche. Si ritrovano - i vescovi - in compagnia del
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paganesimo berlusconiano con il rischio di un neo-temporalismo profumato alla cipria del
Bagaglino anziché all'incenso delle basiliche.
Si dice - talvolta l'ho detto anch'io - che il potere politico è debole. Ha un pensiero debole.
Inclina al compromesso. Si vorrebbe una politica che scelga senza se e senza ma. E poiché
i se e i ma abbondano, se ne conclude che la politica non fa il dover suo e le si contrappone
il deposito dei valori della religione, alimentati dall'intransigenza della fede.
Ma si è mai vista nella storia una politica senza compromessi? La politica si nutre di
compromessi, procede per sintesi, non si ferma mai ad una tesi intransigente o ad
un'intransigente antitesi, salvo in regimi di dittatura o, peggio, di totalitarismo.
I regimi liberali e ancor più quelli liberal-democratici amministrano organismi complessi,
interessi plurimi e spesso contrapposti. Debbono pertanto rappresentarli tutti superandone i
particolarismi, includendo e non escludendo, trovando il denominatore comune.
Il pensiero debole della politica coincide con compromessi deboli e privi di obiettivi forti. E in
quei casi debbono essere vigorosamente criticati. La politica è l'arte del possibile, quindi del
dialogo e dell'accordo al più alto livello possibile. Cavour voleva fare un grande Piemonte nel
1857 e si accordò con la Francia di Napoleone III. Poi l'obiettivo cambiò e divenne assai più
ambizioso: volle fare l'Italia. Si alleò con Garibaldi, con Ricasoli, con Minghetti e con
l'Inghilterra. Si sarebbe alleato anche col diavolo se fosse servito.
Quale politica non fa compromessi? Perfino Cesare li fece. Perfino Napoleone. Hitler no,
non li fece. Voleva sterminare gli ebrei e li sterminò. Voleva conquistare tutta l'Europa e
c'era quasi riuscito se non ci fosse stato Pearl Harbor e se Roosevelt non si fosse alleato
con Stalin. Ma Hitler non era un politico, era un pazzo criminale. Antipolitico per eccellenza.
Anche la Chiesa ha fatto compromessi. Perfino con Hitler. Con Mussolini. Con Franco. Con
Breznev. Con Jaruzelski. Con Gorbaciov. Tutte le volte che le è convenuto ha stipulato
concordati. Non è forse un compromesso il concordato? Si patteggia, si dà e si prende.
La fede non fa compromessi. Ma la fede riguarda la coscienza individuale, non le
organizzazioni che l'amministrano. La Chiesa e la sua gerarchia sono il corpo che riveste la
fede. Talvolta il corpo esprime e realizza l'anima, talaltra la rinserra nei suoi corposi interessi
mondani. Questo è sempre stato il rapporto tra la gerarchia dei presbiteri e la comunità dei
fedeli. Lo scontro tra il modernismo e il Vaticano ebbe proprio questa motivazione. Finì con
la persecuzione dei modernisti della quale c'è traccia evidente perfino nel Concordato del
'29. Il cristianesimo diffuso dalla predicazione degli apostoli è la religione dell'amore. Ma non
sempre.
È singolare che nel dibattito in corso tra il Vaticano e il governo italiano nessuno (salvo i
radicali) abbia menzionato il Concordato. Come se non esistesse più. Come se fosse caduto
in desuetudine. Come se non fosse stato recepito nella Costituzione del 1947.
Infatti è caduto in desuetudine. O meglio: sta in piedi soltanto a tutela dei benefici che ne
riceve la Chiesa. I limiti che la Chiesa ha pattuito con lo Stato sono stati invece superati.
Il deputato Capezzone, tanto per dire, si è stupito l'altro ieri perché si aspettava che il
governo protestasse con la Santa Sede per l'irritualità compiuta dalla Cei con l'irruzione
palese e anticoncordataria compiuta nei confronti del potere legislativo, così come il governo
aveva ritenuto irrituale l'intervento dei sei ambasciatori che ci invitavano perentoriamente a
restare in Afghanistan senza se e senza ma.
Ha ragione Capezzone. Ma ha ragione anche il governo. Il Vaticano in Italia è infinitamente
più forte degli ambasciatori dei sei paesi alleati. È più forte come potere temporale. Pretende
di dirigere le coscienze dei fedeli anche - anzi soprattutto - quando rivestano cariche
ministeriali o siano membri del Parlamento. Chiede, anzi pretende obbedienza.
Ho letto l'intervista di Rosy Bindi su Repubblica di ieri. Dice: "Abbiamo scritto una legge
giusta che tutela i più deboli, riconosce diritti alle persone discriminate, non crea nessuna
figura giuridica che possa attentare alla famiglia. L'insegnamento cattolico parla di valore
della giustizia, di pace, di libertà personale, di accoglienza perfino dell'errore. Di carità e di
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misericordia... Un politico non deve sentirsi referente di nessuno. Il mio referente è il Paese
e la mia coscienza cattolica".
Ebbene, questo è il punto che per i vescovi italiani ha l'effetto d'un panno rosso davanti a un
toro infuriato: il fatto che il laicato cattolico democratico abbia come riferimento la
Costituzione e la propria coscienza cattolica e sulla base di questi due riferimenti
fondamentali arrivi a conclusioni difformi da quelle della gerarchia ecclesiastica. La
considera una ribellione perché ha perso la nozione esatta della parola Ecclesia. Che non
distingue tra presbiteri e fedeli. Ecclesia è la comunità cristiana, è comunione partecipata
perché tutti prendono il corpo eucaristico del Cristo, tutti nello stesso momento e alla stessa
mensa. La grazia non passa attraverso l'intermediazione dei presbiteri, ma il Signore la
dispensa direttamente ai fedeli che credono in lui e da lui prescelti.
Il neo-temporalismo è il contrario di tutto ciò. Non a caso Paolo VI ritenne la fine del
temporalismo "un fausto evento per la Chiesa". Ma in realtà a partire dal pontificato di papa
Wojtyla fino ad oggi la Chiesa sta devitalizzando i contenuti più significativi del Concilio
Vaticano II e i due pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI. L'ha scritto a chiare lettere
Pietro Scoppola nel suo articolo di tre giorni fa su Repubblica.
Questo è il senso dell'operazione in corso, di cui il disegno di legge sulle convivenze non è
che il pretesto.
Si dice che il pensiero laico sia debole. Capisco perché lo si dice: i laici (qui intesi come laici
non credenti) non hanno né papi né cardinali né vescovi né preti. Ciascuno parla per sé e
rappresenta solo se stesso. Per fortuna.
Non significa che un pensiero laico non esista e neppure che sia debole. Al contrario è forte,
è lucido, è coerente alle sue premesse e nella sua dialettica con i clerici. Basta aver letto i
più recenti prodotti di questo pensiero pubblicati questa settimana dal nostro giornale:
l'articolo di Ezio Mauro e quello di Gustavo Zagrebelsky a proposito del "non possumus"
episcopale.
I laici sono favorevoli allo spazio pubblico che spetta alla Chiesa, per ampio e crescente che
sia, e ascoltano la sua parola con interesse traendone elementi di positiva riflessione e di
rispettosa accoglienza quando ve ne siano, contestando elementi di intolleranza e tentazioni
teocratiche che spesso, purtroppo, vi sono.
I laici non sono anticlericali, anche se l'episcopato italiano sta facendo il possibile per farceli
diventare. Ma i laici hanno come solo punto di riferimento il patto costituzionale. Su quel
patto si fonda la Repubblica italiana e in esso ciascuno trova le radici della sua identità.
Perciò mi stupisco molto di coloro che sarebbero pronti ad accettare i patti di convivenza
purché limitati agli eterosessuali. La Costituzione vieta in modo esplicito che la legislazione
possa introdurre norme discriminanti nei confronti dei cittadini per ragioni di etnia, di
religione, di sesso. Un regime di convivenza che discriminasse gli omosessuali cadrebbe
ovviamente sotto la scure della Corte costituzionale e, prima ancora, sotto quella del Capo
dello Stato secondo i poteri e le modalità che gli sono attribuiti.
Quindi tutto è molto chiaro. I laici vogliono il rispetto della Costituzione e di conseguenza
anche del Concordato. Qualcuno, prima o poi, chiederà alla Corte se il Concordato sia
ancora in vigore o sia gravemente leso. E qualora lo fosse, quali siano gli strumenti atti a
recuperarne il rispetto o a proclamarne la decadenza per doveroso recesso della parte lesa.
487 - STRATEGIA DEL PORPORATO - DI STEFANO CECCANTI
da: l' Unità di mercoledì 14 febbraio 2007
La polemica ecclesiastica contro i Dico ha subito l’accelerazione massima il giorno in cui è
stato reso noto il manifesto del futuro Partito democratico. Non è una mera coincidenza e
dobbiamo dirlo chiaramente, senza ipocrisie: lo abbiamo capito bene, la campagna contro i
Dico non è guidata in molti da un prevalente scopo religioso. Ma fa parte di una sorta di
«strategia verbale della tensione» contro il Pd, come si spiegherà tra breve.
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Parto da una premessa. Ho sempre avuto paura di coloro che dicono di occuparsi di politica
in nome di una fede, come conseguenza diretta e immeditata. Ma il credente si impegna in
politica certo non prescindendo dalla fede; più esattamente lo fa a partire dalle motivazioni
ulteriori che gli fornisce la fede, anche alimentata in esperienze comunitarie. È ovvio che da
queste premesse ad un preciso articolato di legge come quello sui Dico ci sono tanti
passaggi intermedi opinabili che sfociano in giudizi concreti molto diversi. Questo va detto
sia a chi voglia sacralizzare quelle proposte sia a chi le voglia criticare. Per quel poco che
conta, dal punto di vista parziale e opinabile di chi come me ha contribuito a scriverli, non si
è trattato di un cedimento a valori di altri, ma di un modo di rispondere a quell'istanza
evangelica che è esposta in particolare nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo, dove il
giudizio finale è basato sul dovere di solidarietà, principio che vale anche per tutti coloro che
hanno responsabilità pubbliche e nei confronti di qualunque uomo, a prescindere dalle
valutazioni morali nei confronti suoi e dei suoi comportamenti.
I principi che il cardinale Martini aveva in modo puntuale contestualizzato a proposito delle
coppie di fatto in S. Ambrogio il 6 dicembre 2000, segnalando che esse sono riconosciute
dalla Corte costituzionale all'interno della tutela dell'articolo 2 della Costituzione tra le
«formazioni sociali» in cui le persone sviluppano la loro personalità e che l'autorità pubblica
«può adottare un approccio pragmatico e certo deve testimoniare una sensibilità
solidaristica».
So che la gran parte dei vescovi la pensa diversamente; fin qui solo mons. Bettazzi ha
apprezzato i Dico e vedo che la critica è molto forte. Questo mi dispiace, ma rientra nei
prezzi da pagare per chi si assume le proprie responsabilità che mi è stata insegnata proprio
nell'associazionismo cattolico.
Ci sono però due aspetti delicati da sottolineare che vanno al di là del dispiacere personale.
Il primo è la futura nota dei vescovi, di cui non conosciamo ancora il testo, ma che è stata
preannunciata con toni preoccupanti. È evidente infatti che se i suoi contenuti dovessero
contenere anche una sorta di mandato imperativo ai parlamentari cattolici, i quali sono
chiamati ad approvare leggi che ricadono su tutti, si sarebbe di fronte, come ha notato
autorevolmente e puntualmente Leopoldo Elia, a un inedito livello di tensione tra la Chiesa e
lo Stato, per il fatto che essi sono definiti dall'articolo 7 della nostra Costituzione «ciascuno
nel proprio ordine indipendenti e sovrani».
Il secondo è il carattere decisamente anomalo di alcune posizioni sin qui adottate e di quelle
preannunciate rispetto non a i miei convincimenti personali, ma a quelle che la medesima
Chiesa cattolica ha adottato nei casi analoghi più recenti negli altri ordinamenti. Faccio solo
due esempi. Il cardinale Ouellet, primate del Canada, in una dettagliata presa di posizione
del gennaio 2005 rivolta a tutti i parlamentari, non solo quelli cattolici (si trova integralmente
sul sito http://www.cardinalrating.com/cardinal_72__article_673.htm) li invitava a «votare in
piena libertà, con una coscienza illuminata sulle sfide e le implicazioni», e criticava i
matrimoni gay richiamando positivamente l'esistenza in varie province della «forma giuridica
dell'unione civile che garantisce alle persone di orientamento omosessuale alcuni benefici
sociali e patrimoniali. Tale quadro giuridico protegge il loro diritto».
Come si vede non solo ci si richiamava alla coscienza di tutti e non a un vincolo di mandato
per i soli cattolici, ma nel merito, per evitare il matrimonio gay, si arrivava a sostenere
l'accettabilità del riconoscimento dell'unione civile come tale e non solo dei diritti dei singoli
nella convivenza. Il cardinale accettava cioè come male minore una soluzione ben più
radicale di quella adottata nei Dico.
Esattamente la stessa logica e le stesse conclusioni con cui il 4 luglio 2005 monsignor
Blazquez, presidente della Conferenza episcopale spagnola, in un discorso ufficiale a
Aranjuez chiariva che l'opposizione della Chiesa alla legge voluta da Zapatero sul
matrimonio gay non andava vista solo in negativo, dato che essa invitava a prendere come
esempio «altri Paesi intorno alla Spagna» che hanno scelto «altre forme di rispetto e di
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salvaguardia di possibili diritti degli omosessuali, fiscali, di sicurezza sociale e altri, come si è
fatto in Francia col cosiddetto patto di convivenza».
Questi esempi chiariscono senza ombra di dubbio che le modalità e i toni dell'attuale
opposizione ai Dico non sono la conseguenza necessaria e immediata della dottrina interna
alla Chiesa cattolica né nei modi né nei contenuti. Dobbiamo pertanto ricorrere ad altre
spiegazioni. Ce ne sarebbero di interne alla Chiesa, ma non è qui nostro interesse
esaminarle. Ce n'è almeno una, squisitamente politica. Senza ignorare la convergenza di
pressoché tutte le forze politiche dell'Unione, quello che ha dato noia è soprattutto quella tra
i soggetti politici che stanno dando vita al Partito Democratico, sia il senso di responsabilità
dei Ds sui contenuti della legge e in particolar modo sulle modalità di certificazione, sia
l'autonomia politica della Margherita e in particolare della sua componente più legata alla
storia del cattolicesimo democratico, che la convergenza verso il Pd ha consentito di
esprimere in forma più chiara e più netta.
Fin qui la frammentazione del quadro politico ha consentito a varie realtà esterne, compreso
un certo modo lobbistico di declinare la presenza della Chiesa, di svilire l'autonomia della
politica ponendo veti sulla base non della coscienza, ma di un'appartenenza. La
realizzazione di un grande partito a vocazione maggioritaria riduce questi spazi di
interdizione e tende a esaltare la capacità di sintesi che avviene attraverso i partiti, il
rapporto con gli elettori sulla base di un chiaro programma, il lavoro di ascolto reciproco
nelle istituzioni. Infatti, laddove questi partiti esistono, nessuno osa loro rivolgersi né in
termini di metodo né di merito con toni ultimativi. Questo è in gioco realmente all'ombra dei
Dico.
488 - SE LA CHIESA SFIDA LA COSTITUZIONE - DI STEFANO RODOTÀ
da: la Repubblica di mercoledì 14 febbraio 2007
È ormai evidente che le gerarchie ecclesiastiche hanno deciso di collocare i loro interventi e
le loro iniziative in una dimensione che va ben al di là del legittimo esercizio della libertà
d´espressione e dell´altrettanto legittimo esercizio del loro magistero. Giudicano i nostri
tempi con una drammaticità che fa loro concludere che solo una presenza diretta, non tanto
nella società, ma nella sfera propriamente politica, può rendere possibile il raggiungimento
dei loro obiettivi. E così espongono anche i loro comportamenti ad un giudizio analogo a
quello che dev´essere pronunciato sull´azione di qualsiasi soggetto politico.
Benedetto XVI ha affermato in modo perentorio che «nessuna legge può sovvertire la norma
del Creatore senza rendere precario il futuro della società con leggi in netto contrasto con il
diritto naturale». Ed ha aggiunto che non si possono ignorare «norme inderogabili e cogenti
che non dipendono dalla volontà del legislatore o dal consenso degli Stati, ma precedono la
legge umana e per questo non ammettono deroghe da parte di nessuno». Di rincalzo, il
Presidente della Commissione Episcopale Italiana, il cardinale Camillo Ruini, da almeno
dieci anni protagonista indiscusso del corso politico della Chiesa, ha annunciato una nota
ufficiale con la quale verrà indicato il modo in cui i cattolici, e i parlamentari in primo luogo,
dovranno comportarsi di fronte al disegno di legge sui "diritti e doveri delle persone
stabilmente conviventi", i cosiddetti "Dico".
Così, in un colpo solo, viene aperto un conflitto con il Governo, affermata la sovranità
limitata del Parlamento, azzerata la Costituzione. Le parole sono chiare. Se nessuna legge
può sovvertire la norma indicata dal Creatore per la famiglia, la legittima approvazione del
disegno di legge sui Dico diviene un atto "sovversivo" del Governo. Se i parlamentari
cattolici devono votare secondo le indicazioni della Chiesa, viene cancellata la norma
costituzionale che prevede la loro libertà da ogni "vincolo di mandato" e l´autonomia e la
sovranità del Parlamento devono cedere di fronte ad istruzioni provenienti da autorità
esterne. Se non sono ammesse leggi che non corrispondono al diritto naturale, la tavola dei
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valori non è più quella che si ritrova nella Costituzione, ma quella indicata da una legge
naturale i cui contenuti sono definiti esclusivamente dalla Chiesa.
Il crescendo dei toni e delle iniziative, nell´ultimo periodo soprattutto, rendevano prevedibile
questa conclusione, peraltro annunciata dal "Non possumus" proclamato qualche giorno fa.
Viene così clamorosamente confermata l´analisi che aveva colto nella linea della Chiesa
l´intento di realizzare molto di più di un provvisorio allineamento della politica su una
particolare posizione definita dalle gerarchie ecclesiastiche, di cui i parlamentari cattolici
divenivano il braccio secolare. L´obiettivo era ed è assai più ambizioso: una vera "revisione
costituzionale", volta a sostituire il patto tra i cittadini fondato sulla Costituzione repubblicana
con un vincolo derivante dalla gerarchia di valori fissata una volta per tutte dalla Chiesa
attraverso una sua versione autoritaria del diritto naturale (non dimentichiamo, infatti, che il
diritto naturale conosce anche molte altre versioni, comprese quelle che non prevedono
proprio la famiglia tra le istituzioni discendenti da tale diritto).
Viene così travolto anche l´articolo 7 della Costituzione che, disciplinando i rapporti tra lo
Stato e la Chiesa, stabilisce che questi due enti sono, "ciascuno nel proprio ordine",
"indipendenti e sovrani". Nel momento in cui la Chiesa proclama che vi sono "norme
inderogabili e cogenti" che non possono essere affidate alla volontà del legislatore, nega in
queste materie l´autonomia e l´indipendenza dello Stato e sostituisce la propria sovranità a
quella delle istituzioni pubbliche. Il patto costituzionale tra Chiesa e Stato viene infranto,
quasi denunciato unilateralmente. Questo è il quadro istituzionale e politico disegnato con
assoluta nettezza dai molti interventi vaticani. Un quadro di rotture e di conflitti, davvero
sovversivo delle regole costituzionali, con una delegittimazione a tutto campo delle iniziative
di Governo e Parlamento che trasgrediscano ciò che la Chiesa, unilateralmente, stabilisce
come "inderogabile e cogente".
Sapranno le istituzioni dello Stato rendersi conto di quel che sta accadendo? Non devono
ritrovare solo l´orgoglio della propria funzione, ma il senso profondo della loro missione, la
stessa loro ragion d´essere, che ne fa il luogo di tutti i cittadini, credenti e non credenti,
comunque liberi e degni d´essere rispettati in ogni loro convinzione, e in ogni caso fedeli,
come devono essere, alla Costituzione e ai suoi valori.
489 - QUANDO L’ATEISMO DIVENTA UN BESTSELLER – DI GABRIELE ROMAGNOLI
La Repubblica – mercoledì 21 febbraio 2007
Uno è inglese e sta da quasi sei mesi nelle classifiche dei più venduti di mezzo mondo. Un
altro americano e lo vedi in mano ai passeggeri di qualunque aeroporto. Un terzo italiano e
circola sospinto da un passaparola. Sono tre libri: The God delusion di Richard Dawkins,
Letter to a christian nation di Sam Harris e Babbo Natale, Gesù adulto di Maurizio Ferraris.
La loro diffusione è un caso editoriale, ma non è un caso dal punto di vista storico.
Nell’epoca del «ritorno della religione» stanno all'opposizione. Liquidarli come pubblicistica
atea sarebbe grossolano. Leggendoli uno dopo l’altro si ricavano alcune considerazioni
comuni. Almeno tre.
Quel che invece nessuno di loro cerca di fare (benché gli venga attribuito) è provare
l'inesistenza di Dio. Non lo fanno perché sanno che è impossibile, come lo è per qualsiasi
testo (anche sacro) provarne l'esistenza. Dio resta «un ottativo del cuore» (come lo definiva
Feuerbach) o l'oggetto di una scommessa (come sosteneva Pascal). Quel che fronteggiano
è la religione, fenomeno sempre più avulso dall'idea stessa di Dio, tant'è che alla domanda
«In che cosa crede chi crede?» Ferraris, relativamente al mondo cristiano, non risponde: «In
Dio», ma: «Nel Papa». E ora i tre punti comuni.
Il primo è che sia giunto il tempo di non avere più soggezione delle idee religiose. Dawkins
in realtà usa la parola «rispetto», giudicandolo «immotivato». Nella sua prosa colorita scrive:
«Se qualcuno sostiene che le tasse dovrebbero salire o scendere ti senti libero di litigarci.
Ma se invece afferma che di sabato non si dovrebbe neppure fare il gesto di premere un
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interruttore gli dici: è un'opinione che rispetto». Perché la trovi sensata? No, perché la trovi
religiosa. E dovrebbe bastare? Solo per via di quella «soggezione» che sarebbe ora di
rimuovere.
Già nel suo precedente libro, La fine della fede, Harris aveva scritto: «Usiamo molte parole
per definire convinzioni irrazionali. Quando sono molte diffuse le chiamiamo "fedi" anziché
"psicosi" o "illusioni". Chiaramente la sanità mentale è una questione di quantità».
Che cosa è successo? Perché un numero crescente di liberi pensatori si sente in dovere di
contrastare non solo nel privato della propria mente, ma in pubblico, l'idea religiosa? La
risposta è in cielo, per quanto vi sembri paradossale. Nel cielo sopra New York, mostrato nel
trailer di un documentario prodotto da Channel Four e intitolato «La radice di ogni male?».
Con una sovrascritta: «Immagina un mondo senza religione». Il punto è: in quell'azzurro
svettavano (ancora) le Torri Gemelle. Perché rispetti l'idea religiosa (o ne hai soggezione) e
ti trovi davanti a uno che alza il cartello «Decapitiamo chi dice che l'Islam è violenza» a una
manifestazione originata da qualche vignetta che pochi hanno avuto, più che il coraggio, la
lucidità di definire libera, ancorché non divertente, espressione. O a un Papa che si occupa
(indirettamente) di Fiorello e direttamente delle leggi italiane sulla famiglia (ma non di quelle
portoghesi sull’aborto).
«E' un'opinione che rispetto». Perché? Perché attiene alla fede. Ma solo alcune fedi
ottengono quel rispetto. Come al solito il discrimine è la quantità delle persone coinvolte. Si
rispetta chi crede (o dice di credere, o crede di credere) nella Santissima Trinità o
nell'ascensione di Maometto al cielo su un cavallo bianco dallo stesso chilometro quadrato
in cui Gesù fu deposto e i! Tempio eretto, ma non gli adepti del Mostruoso Spaghetto
Volante, culto nato su Internet, che pure ha un suo "vangelo" e ha già avuto il suo
ineluttabile «scisma». Di quelli, e di qualche setta, purché lontana e purché non sia
Scientology, fare dello spirito è, per ora, oltreché facile, consentito. Non se dovessero
moltiplicarsi.
Comune a Dawkins, Harris e Ferraris è la sensazione che a non ottenere rispetto, benché
numerosi, siano gli atei. Per esperienza recente riporto due esempi. Un fondamentalista
islamico mi chiede: «Tu di che religione sei?». Rispondo: «Nessuna». «Allora non esisti», e
si gira dall'altra parte.
Assisto alla discussione tra un ateo e un cattolico, entrambi in apparenza tolleranti. Il primo
racconta di essersi sposato in chiesa. E perché mai? «Lei era cristiana, ho preferito entrare
io piuttosto che far uscire lei». Il cattolico s'infuria sostenendo che il sacramento è stato
«profanato».
A continuare così, chi non crede sembra destinato ad accettare una situazione che pochi
trovano ancora anormale. Quella in cui, come scrive Ferraris «I telegiornali ci danno notizie
dell’avvenuto miracolo di San Gennaro conia stessa tranquilla sicurezza con cui parlano di
incidenti stradali».
Il secondo punto è la sfiducia in due chimere: il moderatismo religioso e il dialogo tra fedi.
Harris è logico e spietato: «O la Bibbia è un libro qualsiasi o non lo è. O Gesù era divino o
non lo era. Se la Bibbia è un libro qualsiasi e Gesù un uomo comune, la dottrina cristiana è
fasulla e chi la segue un illuso. O ha ragione lui o io. In mezzo non c'è nulla».
La sensazione comune è che, come accade nei movimenti d'opinione, siano inevitabilmente
destinate a prevalere le tesi più radicali e che per il liberalismo religioso non ci sarà spazio.
Paradossalmente, ma non troppo, già questi atei lo disistimano, giacché il salto irrazionale
che la fede impone non riescono a concepirlo se non completo. Chi l'ha fatto è finito su una
sponda in cui se ne sta insieme con chi ha seguito lo stesso percorso. Due sponde sono
come rette parallele e non s'incontrano mai. Di che cosa si può mai parlare nel dialogo
interreligioso, si chiede Harris, se le fedi hanno punti di vista incompatibili e, per principio,
immutabili? Perché dovremmo illuderci che si mettano d'accordo e cessino le guerre di
religione camuffate da conflitti etnici o d'altra natura che insanguinano il nostro presente?
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Il terzo punto è il più nevralgico, il più attuale e quello che più ci tocca: l'insofferenza per
l'ingerenza della religione nella vita sociale, per la pretesa di regolare in suo nome e per
conto la nascita, la morte e gli eventi principali che stanno tra l'una e l'altra, cominciando con
l'unione di una coppia. Ovvero, come si può, sulla base dell'irrazionale, arrivare a delimitare
il confine da cui comincia la vita? O a una fatwa che spiega come e dove baciare la moglie
durante il ciclo mestruale? O a criticare il fondamento di una proposta di legge sui diritti delle
coppie conviventi da sottoporre all'esame di un parlamento liberamente e (più o meno)
razionalmente eletto? Perché quell'irrazionale ci renderebbe migliori, ci darebbe una morale
evitando di sbranarci come bestie?
Secondo Dawkins anche questa è un'illusione, finita per lui il 17 ottobre del 1969. In quella
data nella religiosa città di Montreal, in Canada, la polizia scioperò. Il livello di crimini
commessi in poche ore fu tale da richiedere l'intervento dell’esercito. Scioperavano gli agenti
nelle strade e anche Dio nelle coscienze? Perché non validare allora il Supremo Divorzio?
Quale? Quello proposto da un quarto libro, il più devastante di tutti, perché non scritto da un
ateo e neppure da un agnostico, ma da un credente, addirittura l'ex vescovo di Edimburgo,
Richard Holloway. Già il titolo Godless morality (Una morale senza Dio) suggerisce all'uomo
raffigurato in copertina, sperduto a un incrocio di strade, di tenere separate le due
indicazioni, gli dice che non deve necessariamente credere per essere buono e, più avanti,
che «la morale si basa su effetti dimostrati, non su convinzioni o superstizioni».
Con estremo senso pratico l'ex vescovo scrive che «I vincitori non solo fanno la storia,
tendono a fare anche la morale» e rivela che questa guerra delle idee rivestita di porpora è
una qualsiasi guerra di potere.
490 – AIUTATE MIO MARITO A MORIRE O ANDRO’ ALL’ESTERO – DI G. M. BELLU
da: la Repubblica di giovedì 15 febbraio 2007
SASSARI - «Cerchiamo un anestesista. Uno che, come Mario Riccio con Piergiorgio Welby,
sia disposto a eseguire quella manovra. Se non lo troveremo in Italia andremo all´estero, in
Olanda o in Svizzera».
Sono da poco passate le otto di sera e Maddalena Nuvoli ha appena concluso il quotidiano
incontro col marito Giovanni nella sala rianimazione dell´ospedale civile di Sassari. Assieme
hanno discusso il no del magistrato alla loro richiesta di sospensione assistita della
ventilazione artificiale. L´hanno fatto con la tecnica tante volte sperimentata: la moglie fa
scorrere il dito sulle lettere dell´alfabeto impresse su una lavagna trasparente, l´uomo batte
le palpebre per dire «sì, è giusta» e così compone parole, frasi, discorsi. Quello degli occhi è
l´unico movimento che la sua malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, gli consente. Era un
atleta, un arbitro di basket, un uomo alto un metro e ottantacinque per ottanta chili. Adesso
ne pesa venti e chiede di morire a 53 anni.
«Ma non è un´eutanasia - dice Maddalena Nuvoli, che ieri ha avuto la solidarietà di Mina
Welby - Non stiamo chiedendo che qualcuno ponga fine alla vita di Giovanni con
un´iniezione. Pretendiamo solo che l´uomo tolga dal corpo di Giovanni quello che l´uomo ha
messo».
Nel motivare il suo no, il sostituto procuratore di Sassari Paolo Piras ha definito «schizoide»
l´ordinamento italiano su questa materia. Infatti, «da un lato riconosce il diritto di rifiutare le
cure ventilatorie, dall´altro non appresta i mezzi per assicurarne la tutela».
La contraddittorietà delle norme emerge dallo stesso percorso che ha portato il caso Nuvoli
negli uffici giudiziari. L´atto che contiene il "no" è la richiesta di archiviazione dell´indagine
per violenza privata che era stata aperta nei confronti del primario del reparto di
rianimazione, Demetri Vidili. Violenza che, nell´ipotesi accusatoria ora accantonata (ieri il
giudice per l´udienza preliminare Maria Teresa Lupinu ha accolto la richiesta), sarebbe stata
messa in atto col rifiuto di staccare la spina. Ma, secondo il sostituto, «non si può costringere
un medico, neppure indirettamente, a compiere un atto al quale la sua coscienza si ribella».
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Dunque il reato non c´è. Tuttavia, sottolinea lo stesso sostituto, la richiesta di Nuvoli è
legittima.
L´articolo 32 della Costituzione, al secondo capoverso, dice: «Nessuno può essere obbligato
a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». E non esiste
alcuna legge che disponga l´obbligatorietà della ventilazione artificiale. La schizofrenia
dell´ordinamento è resa ancora più chiara da quel «neppure indirettamente» col quale il
sostituto procuratore rafforza, rendendolo assoluto, il diritto all´obiezione di coscienza del
medico.
Spiega Maddalena Nuvoli: «Noi non chiediamo al direttore del reparto di rianimazione di
compiere quell´atto. Chiediamo che un anestesista disposto a compierlo sia autorizzato a
entrare nell´ospedale». Nemmeno questo, secondo il sostituto procuratore, è possibile.
Infatti, davanti al rifiuto del dirigente sanitario, dovrebbe essere il magistrato ad autorizzare
l´ingresso dell´anestesista. Ma ciò non rientra nei suoi poteri.
La prima reazione di Giovanni Nuvoli è stata di sconforto. «Mi tocca sopportare anche
questo», ha detto. Poi ha avuto la forza di elaborare una strategia. In un passaggio del suo
atto, lo stesso sostituto procuratore sembra implicitamente suggerirla. Per escludere il reato
di violenza privata, infatti, scrive: «Il paziente può, in qualsiasi momento, sottrarsi
all´ospedalizzazione rilasciando la cosiddetta liberatoria e richiedendo il trasferimento presso
la propria abitazione di sé e dei presidi sanitari dai quali dipende. Già in passato, il Nuvoli ha
trascorso lunghi periodi presso la propria abitazione. Ad un trasferimento non ci può opporre
in alcun modo».
«È vero - conferma Maddalena Nuvoli - mio marito è malato da sei anni ed è ricoverato
all´ospedale civile da poco più di un anno, cioè da quando sono nati dei problemi perché
alcuni infermieri non erano in grado di eseguire in modo adeguato alcune pratiche mediche.
In passato ha alternato lunghi periodi di permanenza a casa a periodi in ospedale. Non
appena troveremo un anestesista, rilasceremo la liberatoria e Giovanni tornerà a casa. Poi
conoscerà la persona disposta ad aiutarci. Parleranno. Prenderanno tutto il tempo che sarà
necessario per conoscersi. Faranno assieme questo percorso. Poi, semplicemente, dal
corpo di Giovanni saranno eliminati quegli apparecchi che gli sono stati applicati quando la
malattia è diventata gravissima e che mai aveva visto né conosciuto in tutta la sua vita
precedente».
Commento. Giovanni Nuvoli, 53 anni, già atleta ed arbitro di basket, affetto da sclerosi
laterale amiotrofica, la stessa malattia di Welby, chiede come Welby di essere distaccato
dalla macchina per la ventilazione polmonare. Giovanni però, a differenza di Piergiorgio, è
ricoverato in una struttura pubblica: l’ospedale di Alghero. Il primario del reparto
rianimazione dell’ospedale, Demetrio Vidili, si rifiuta di staccare la spina. Maddalena, la
moglie di Giovanni, d’accordo col marito chiede allora di affidare l’incarico ad un medico
anestesista di sua fiducia, esterno all’ospedale. Il primario rifiuta l’autorizzazione all’accesso
dell’anestesista. Maddalena lo denuncia per “violenza privata”. Il sostituto procuratore di
Sassari, Paolo Piras, “archivia” la denuncia, seguendo così la strada “pilatesca” aperta dal
giudice di Roma sul caso Welby. A parole riconosce il diritto del paziente di essere
distaccato dalle macchine, nei fatti gli nega l’esercizio del suo diritto. Esaminiamo le due
motivazioni sulle quali il giudice Piras ha basato la sua decisione.
1. “Non si può costringere un medico, neppure indirettamente, a compiere un atto al quale la
sua coscienza si ribella». Ammesso pure che in ospedale valga l’obiezione di coscienza dei
medici e non la volontà del malato, NESSUNO aveva chiesto al primario di staccare
personalmente la spina, ma solo di consentire ad un altro medico di farlo. Ed ecco allora la
seconda “scusa” del magistrato:
2. “Non rientra nei suoi poteri autorizzare l’ingresso dell’anestesista”. A parte che l’ospedale
non è un carcere di massima sicurezza, a chi spetta rimuovere un comportamento contrario
alla legge?
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La verità è che anche il giudice di Sassari non ha voluto assumersi le sue responsabilità,
forse intimorito dall’impatto che una sua diversa decisione avrebbe avuto sulla pubblica
opinione. E così anche il primario, forse perchè non vuole correre il rischio di essere
incriminato da qualche “benpensante”, ivi compreso l’arcivescovo di Sassari, Atzei.
I coniugi Nuvoli pensano di trovare una via di scampo lasciando l’ospedale e ritornando a
casa, in modo di essere poi liberi di trovare un medico disponibile a staccare la spina
oppure di recarsi all’estero. L’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, ha assicurato
che Giovanni potrà lasciare l'ospedale quando vorrà. Come a dire “muoia dove vuole, ma
non in ospedale”, ove invece il suo diritto poteva essere meglio esercitato.
Ancora una volta si dimostra che quando le leggi sono contrarie al sentimento popolare non
resta che aggirarle.
In proposito si riporta qui sotto l’articolo di G. M. Bellu “Un medico aiuti mio marito a morire o
lo farò all´estero”, pubblicato su la. (gps).
491 - TESTAMENTO DI VITA - INTERVISTA A PAOLO VEGETTI
da: Una città n. 144 - dicembre-gennaio 2007 - www.unacitta.it
Il tema dell’eutanasia, anche alla luce degli ultimi casi di cronaca, è tornato di grande
attualità. Potrebbe darci un quadro generale della situazione?
In effetti in questi ultimi tempi il dibattito sull’ eutanasia è divenuto di grande attualità in tutto
il mondo occidentale ed anche in Italia. Il dramma di Piergiorgio Welby ha dimostrato a tutti,
penso proprio al di là delle proprie idee, che nel nostro sistema c’ è qualcosa che non
funziona. Posso testimoniare di persona che questo tema il quale solo 10/15 anni fa era
relegato a discussioni tra piccole minoranze, ora è un argomento di ampio dibattito. Basti
pensare che un notissimo giornalista, Corrado Augias, socio onorario dell’ associazione
“Libera Uscita” della quale faccio parte, tiene quasi una rubrica sull’ argomento su uno dei
più diffusi quotidiani italiani. I sondaggi rivelano che la maggioranza degli italiani è
sostanzialmente favorevole: non ultimo un sondaggio Eurisko, commissionato dalla Chiesa
Valdese, la più aperta a queste problematiche, che dà una percentuale del 67% degli
intervistati favorevole a qualche forma di eutanasia.
Perché questo? Per due motivi. Il primo sta nella consapevolezza che la fine della vita può
diventare con molte più probabilità rispetto ai tempi passati un lungo e doloroso e tragico
percorso verso la morte. Quella che la Chiesa si ostina a chiamare fine naturale sta
diventando, anche proprio per effetto di alcuni aspetti collaterali dei continui progressi della
medicina, sempre meno naturale, compromettendo in modo decisivo ed in casi sempre più
numerosi la qualità della vita stessa. Il secondo motivo è da ricercarsi in una convinzione
che va sempre più radicandosi nella cultura del nostro tempo: quello del valore della qualità
della vita e non della vita in sé; chi è convinto di questo tende quindi ad annettere valore alla
cosi detta vita biografica più che alla vita biologica fino a riconoscere che oltre un certo
grado di dolore, di mancanza di prospettive future, di impossibilità ad adempiere alle attività
e funzioni minime della vita o anche alla perdita delle facoltà mentali (si pensi all’ Alzheimer
o alla demenza senile), la vita non valga più la pena di essere vissuta. Il tutto in un quadro di
principi che vede nell’ individuo il soggetto unico dei diritti sulla propria vita. Questa è, molto
in sintesi l’ eutanasia cosi come oggi la vedono coloro che la sostengono. Quindi frutto di
una cultura e di una situazione storica.
Questo il quadro sociale e culturale. Voi mi chiedete quale è il quadro generale, quindi
anche politico. Non molto incoraggiante, purtroppo. Le posizioni irrigidite su principi astratti
della Chiesa rendono i progressi della politica molto problematici, proprio in un paese come
l’ Italia.
E’ inoltre mia impressione che sui temi dell’eutanasia, del suicidio assistito e del
testamento biologico ed anche dell’ accanimento terapeutico si stia parlando molto spesso
in modo improprio, anche da parte di coloro i quali sono deputati a emanare leggi in
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materia. Oggi si parla molto di testamento biologico e se ne parla sempre a proposito
dell’eutanasia, mettendolo in contrapposizione con l’ eutanasia. In più occasioni il nostro
Ministro della Salute ha fatto dichiarazioni di questo tipo: “Sono contraria all’ eutanasia ma
favorevole al testamento biologico”. Spiegherò più oltre come questa affermazione sia indice
di poca chiarezza di idee. Altro esempio: pochi giorni fa il Prof. Marino, presidente della
Commissione Sanità del Senato che ha il compito di discutere le varie bozze di proposta di
legge sul testamento biologico ha affermato partecipando ad una nota trasmissione
televisiva di medicina (“Elisir” del 7 gen 2007) che un esempio di eutanasia è l’ iniezione
fatta ai condannati a morte (poi, di fronte ad un’ obiezione del conduttore si è parzialmente
corretto). Se questa è chiarezza di idee….
Può aiutarci a capire la differenza tra eutanasia attiva, eutanasia passiva e suicidio assistito?
Cercherò, per quanto mi è possibile, di fare di più, e cioè di dare una definizione del termine
eutanasia e di introdurre anche i concetti di “accanimento terapeutico” e di “testamento
biologico”. Questo perché, come vedremo in seguito, gli argomenti sono interconnessi.
Innanzi tutto che cosa è l’ eutanasia: è un atto con il quale una persona procura la morte ad
un’ altra persona per porre fine ad insopportabili sofferenza fisiche e morali.
Si parla poi di eutanasia volontaria se è l’ interessato che la richiede. Prima di passare
oltre è opportuno chiarire subito che è su questo tipo di eutanasia che si svolge
prevalentemente il dibattito e per cui si battono i movimenti che hanno come scopo la
depenalizzazione dell’ eutanasia stessa. Infatti alla base dell’ eutanasia volontaria sta il
diritto della persona di decidere della propria vita e della propria morte.
Si parla di eutanasia non volontaria allorquando non vi è la richiesta dell’ interessato.
Vedremo in seguito, sviluppando i temi del testamento biologico, come questa ipotesi, che
comporta problemi etico-giuridici molto complessi, potrebbe, in presenza di un testamento
biologico, considerarsi un’ ipotesi puramente teorica.
L’ eutanasia attiva: si ha quando all’interessato viene procurata o accelerata la morte; c’è
quindi un atto, che può consistere nel fare un’iniezione o nel dare una bevanda, che procura
la morte.
L’ eutanasia passiva: è l’omissione di atti che potrebbero prolungare, anche per un breve
periodo, la vita della persona, ad esempio l’utilizzo del respiratore.
Queste definizioni sono necessariamente schematiche, ma in generale possiamo dire che
l’eutanasia attiva è un procurare la morte, mentre l’eutanasia passiva consiste nel non
compiere quegli atti che potrebbero prolungare la vita.
Il suicidio assistito, per il quale credo che non ci sia neppure una definizione scolastica, si
ha quando una persona che decide di suicidarsi ma non è in grado di farlo chiede la
collaborazione di un terzo che gli procuri il mezzo per morire. Nel quadro dell’ argomento
che stiamo trattando, è chiaro che il suicidio assistito si presenta – quando è possibile come alternativa all’ eutanasia attiva volontaria in un contesto analogo. In altre parole
parliamo di suicidio assistito motivato da gravi ragione di salute e non di suicidio tout court,
che non è il caso di trattare in questa sede.
Veniamo ora al così detto accanimento terapeutico: si ha quando da parte dei medici si
sottopone il malato a trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa
fondamentalmente attendere un beneficio per la salute del malato o un miglioramento della
qualità della vita. L’ accanimento terapeutico è vietato dal codice di deontologia medica (non
a caso ho usato per definirlo le stesse parole di cui all’ art. 16 del nuovo Codice di
Deontologia medica approvato nel dic. scorso). Anche la Chiesa lo rifiuta. Il rifiuto della
pratica dell’ accanimento terapeutico se correttamente attuata, e se all’ interno dei
comportamenti vietati saranno ricompresi anche atti che a discrezione della medicina e
della giurisprudenza) possono essere invece considerati atti di sostegno vitale (come ad
esempio l’ alimentazione artificiale o la ventilazione forzata), forse renderebbe superfluo
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parlare di eutanasia passiva. Ma al momento così non è. Il caso Piergiorgio Welby e quello
di Eluana Englaro, di cui parlerò più avanti, insegnano.
Infine il testamento biologico che nel nostro paese non è previsto dalla legge, al contrario
di gran parte dei paesi occidentali dove è conosciuto con il termine inglese di “living will”:
esso è un documento con efficacia legale con il quale una persona esprime le proprie
volontà – ora per allora – circa le decisione da prendere riguardo la sua persona in un
eventuale momento della sua vita in cui non fosse più in grado di intendere e volere, e può
anche nominare un fiduciario che decida in quel momento per lui. E’ in sostanza un
testamento di vita che vale per quando l’ interessato è ancora in vita, a differenza del
testamento che conosciamo il quale esprime volontà per dopo la morte. Il testamento
biologico poco o nulla ha a che vedere con l’ eutanasia, per noi che ce ne occupiamo, in
quanto eventuali disposizioni in questo senso scritte sul testamento sarebbero date per non
espresse (fino a quando nel nostro paese l’ eutanasia è vietata). Il caso Welby insegna
ancora: infatti egli, che pure era in grado di esprimersi, aveva chiesto al Presidente della
Repubblica che gli fosse praticata l’ eutanasia, ma invano; a nulla quindi gli sarebbe servito il
testamento biologico. Peraltro una legge che desse una formulazione abbastanza ampia
dei casi in cui si riconosce alla persona il diritto di decidere sulle sul futuro della propria vita
e della propria morte, potrebbero fare qualche passo avanti al nostro paese in questa
direzione.
Quindi in Italia è tutto perseguibile penalmente…
È tutto perseguibile penalmente e quando si parla di eutanasia o di suicidio assistito non
esiste possibilità di interpretazioni diverse.
Ma qual è la situazione del nostro paese da un punto di vista legislativo?
Nel nostro paese le situazioni che ho enunciato sommariamente (eutanasia attiva, eutanasia
passiva, suicidio assistito) non sono citate dal Codice Penale con la terminologia con la
quale le ho enunciate. Nel nostro Codice Penale i tre casi potrebbero essere rubricati come
reati e rispettivamente come omicidio del consenziente, istigazione al suicidio e omissione
di soccorso. Questi sono i tre casi che più si accostano alle situazioni preannunciate, per
finire con il quarto, che è l’omicidio tout court. Potrebbero pertanto essere ricondotti:
l’eutanasia passiva all’omissione di soccorso, l’ eutanasia attiva all’omicidio del consenziente
e il suicidio assistito all’ istigazione al suicidio.
Qualcosa però si muove, grazie alle iniziative di gruppi come il nostro ed ad un maggiore
interesse dell’ opinione pubblica.
Per quanto riguarda l’ eutanasia nella scorsa legislatura erano depositati in Parlamento
alcuni disegni di legge ad oc, uno dei quali a firma del Senatore Battisti (Margherita), socio
onorario della nostra associazione, rimasti tutti nel cassetto. Il presidente del Senato non
rispose neppure alla richiesta di un incontro pervenutagli dal nostro presidente. Nell’ attuale
legislazione mi risulta al momento depositata una nostra proposta di legge ed una a firma
dell’ on. Katia Zanotti (DS). Le raccomandazioni rivolte al Parlamento del nostro Presidente
della Repubblica, fanno sperare che ci potrà essere un dibattito nel corso di questa
legislatura. Di qui a vedere una legge che depenalizzi l’ eutanasia ce ne passa…..
Diverso è il discorso per quanto riguarda il testamento biologico. Il nuovo Parlamento ha
messo in agenda, come ho già detto, la discussione di una normativa che va sotto questo
nome. I progetti di legge sono vari e tra questi il nostro. In realtà si tratta di attuare una
normativa più vasta di quella che va sotto il nome di testamento biologico e che consiste nel
tradurre in legge ordinaria alcuni diritti gia previsti nella nostra Costituzione e nella
Convenzione di Oviedo approvata dal Consiglio di Europa nel ‘97 e che riguardano i
seguenti temi:
- il diritto all’ informazione sulla salute
- il diritto alla libera determinazione sui trattamenti sanitari
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il diritto di redigere direttive anticipate (il living will) ovvero testamento biologico vero e
proprio
Infatti la maggior parte dei progetti di legge proposti conterranno in premessa l’
affermazione del diritto al così detto “consenso informato” ovvero il diritto del malato ad
avere un’informazione chiara sul proprio stato di salute e delle conseguenze cui può andare
incontro a seguito di interventi o esami e che ad essi ha diritto di dare o negare il suo
consenso. Con questo verranno recepiti in una legge ordinaria i principi contenuti sia nella
nostra Costituzione (art. 32) che nella Convenzione di Oviedo (Convenzione sui diritti umani
e sulla biomedicina, approvata dal Consiglio di Europa ad Oviedo il 4.4.97 e divenuta legge
dello Stato nel marzo 2001). Su queste premesse andranno poi discusse le norme sul
testamento biologico.
Una buona legge dovrà contenere una formulazione ampia dei casi nei quali una persona
potrà avere il diritto di esprimere il proprio consenso, mi riferisco in particolare a quei casi
oggi cosi controversi nei quali gli addetti ai lavori interpretano spesso in modo discorde ciò
che si intende per accanimento terapeutico (almeno formalmente non voluto da nessuno) e
quelle che molti considerano solo attività di sostegno vitale (idratazione, alimentazione
forzata ecc…) e quindi lasciati alla sola valutazione del medico senza il diritto di decisione
del malato o del suo fiduciario.
La battaglia su questo punto sarà dura a causa delle note posizioni della Chiese cattolica
sull’ argomento, posizioni che in nome di principi astratti, perdono di vista l’uomo nella sua
realtà. Si sente spesso ripetere la frase del tipo: “difendere la vita sino alla sua conclusione
naturale”. Dobbiamo renderci conto, però, che la vita di Welby, con quattro tubi nel corpo,
era assolutamente artificiale e che sono stati i progressi recenti che hanno creato questo
tipo di situazioni. Il caso Welby, cioè, qualche decennio fa non ci sarebbe stato.
Ricordo che questo punto è fondamentale; se non uscirà un testo di legge che permetta che
non si ripetano situazioni come quella di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro avremo
perso un’ occasione che difficilmente si ripeterà a breve.
In conclusione questa legge – che non avrà riferimenti all’ eutanasia attiva - dovrà segnare
un passo avanti sulla strada del riconoscimento dei diritti della persona, più precisamente
del diritto di una persona di essere il depositario – l’unico depositario – dei diritti sul proprio
corpo e la propria slute. Ecco perché il testamento biologico dovrà essere non solo l’
estensione di questi diritti esercitabili anche in un momento in cui il soggetto non sia più in
grado di esprimere le proprie volontà, ma anche un ampliamento di questi diritti, facendo
chiarezza in quelle zone d’ ombra e in quelle situazioni ora controverse che ora viviamo.
Ora, sarà molto importante vedere che tipo di documento ne uscirà, perché potrebbe uscirne
un testo talmente restrittivo da non servire a niente. Perché in Italia, come dicevo, nessuno,
in linea di principio, si considera favorevole all’accanimento terapeutico, ma il problema
emerge quando si entra nel merito delle situazioni.
Resta il fatto che oggi, quando scatta il ricovero, specie in condizioni estreme, parte una
macchina che poi è difficile fermare…
Certamente. Due casi esemplari:
Il caso di Piergiorgio Welby. Welby era affetto da distrofia muscolare, malattia che porta
gradualmente alla degenerazione progressiva delle fibre muscolari; non era più in grado di
respirare autonomamente; gli è stata praticata la ventilazione forzata, previa tracheotomia;
avrebbe potuto rifiutarla (già oggi è diritto di ognuno di noi rifiutare una cura o un intervento
chirurgico); non lo ha fatto subito; lo ha chiesto dopo mesi che si trovava in questa
condizione chiedendo anche una preventiva sedazione per non morire soffocato e
cosciente; il Tribunale glielo ha rifiutato motivando una carenza legislativa in materia; E tutto
questo perché? Perché la sedazione in sé, quindi lil distacco della spina, avrebbe potuto
portare alla morte, quindi eutanasia anzi omicidio. Avrebbe avuto solo il diritto di chiedere lo
scacco della spina ma senza sedazione, morendo quindi soffocato, che era la cosa che lui
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più temeva. Un medico, sotto sua responsabilità, lo ha prima sottoposto a sedazione
terminale, poi ha staccato la spina, rischiando però una denuncia per omicidio..
Altro esempio: Eluana Englaro una ragazza che ha avuto un incidente 14 anni fa e da
allora è in coma irreversibile e viene tenuta in vita da una sonda che le fornisce
l’alimentazione e da altri macchinari. Il padre si batte da 14 anni ed è ricorso a 4 gradi di
appello senza essere riuscito ad ottenere il distacco della spina perché l’alimentazione
forzata non viene considerata accanimento terapeutico ma un atto di sostegno vitale.
Questa è la situazione oggi.
L’accanimento terapeutico, per tornare al discorso precedente, non è voluto da nessuno: la
Chiesa formalmente lo rifiuta, il codice di deontologia medica lo rifiuta, e credo che gli
ospedali si comportino di conseguenza. Una cosa è intuibile: nel nostro paese i casi di
questo tipo vengono risolti nel modo più logico ed umanamente accettabile quando le
situazioni non si trovano sotto il faro dell’informazione.
Pensiamoci: in un ospedale che ha 3 posti di terapia intensiva, ci sono 4 pazienti per i quali il
chirurgo di corsia chiede la terapia intensiva, uno dei 4 ha 84 anni ed un femore fratturato,
gli altri sono 3 giovani, cosa succede? Io me lo chiedo. Insomma, non possiamo far finta che
tante decisioni non vengano già prese quotidianamente. Su queste tematiche c’è talvolta
anche una forma di ipocrisia nel fingere di non sapere che certe situazioni già accadono.
È chiaro che tutto cambia quando il caso diventa pubblico perché, parliamoci chiaro,
l’eutanasia è un reato e dobbiamo metterci nei panni dei medici che devono prendere
decisioni di questo tipo.
Il caso Englaro e il caso Welby sono esempi tipici da questo punto di vista. La realtà è che
staccare la spina significa assumersi delle responsabilità.
Cosa succederà in Italia, anche alla luce di ciò che avviene negli altri paesi europei?
Il testamento biologico è presente nella legislazione di molti paesi europei, e in quasi tutti
quelli di cultura anglosassone. Credo che la legislazione scozzese sia una delle più
avanzate da questo punto di vista. Ovviamente quando il testamento biologico è previsto
dalla legge, viene seguito da tutti: dalla medicina, dagli ospedali, dai parenti… E dal
momento che presenta le disposizioni e le volontà di una persona per gli ultimi momenti
della propria vita, l’interessato può metterci ciò che vuole. Logicamente se una persona ci
scrive che, qualora le cure non siano sufficienti a toglierlo da determinate situazioni, gli
venga praticata l’eutanasia, il paese che non ammette l’eutanasia considererà questa
volontà come non espressa. Questo avviene in tutti i documenti legali. L’Italia seguirà
probabilmente le legislazioni di altri paesi. Il Consiglio europeo ha dedicato all’argomento
una ricerca al termine della quale, il 4 aprile 1997, è stata stesa la convenzione di Oviedo.
Tutti i partecipanti hanno firmato questa convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e
della dignità dell’essere umano. Questo testo comprende vari argomenti, tra cui quello
importantissimo della ricerca. . La convenzione di Oviedo, quindi, contiene già in linea
generale i principi a cui tutti gli stati europei dovranno uniformarsi e il 28 marzo 2001 è stata
ratificata dal nostro Paese con decreto del Presidente della Repubblica italiana. Questo
significa che il legislatore dovrà adattare la legislazione ordinaria italiana rendendola
coerente con la Convenzione.
Io credo che si farà una legge sul testamento biologico durante questa legislatura. Non so,
però, se sarà una buona o una cattiva legge.
E per quanto riguarda l’eutanasia?
L’eutanasia è legge dello Stato in due paesi europei, l’Olanda ed il Belgio, e nello Stato
dell’Oregon, negli Stati Uniti, anche se non conosco bene quest’ultimo caso. La legge
olandese, ad esempio, prevede la depenalizzazione dell’eutanasia e la sua
regolamentazione. In sostanza, è stata promulgata una legge che depenalizza i casi di
morte procurata per eutanasia, che quindi non vengono più considerati omicidi, e
regolamenta l’eutanasia di modo che, per ottenerla, sia necessario seguire una procedura.
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La procedura prevede il rispetto di ben 25 rigide condizioni che vengono vagliate da un’
apposita commissione, dopo di chè l’eutanasia può essere praticata e questo avviene in una
struttura pubblica. Si tratta quindi di un atto consentito, ma regolamentato. Da questo punto
di vista è un caso simile a quello dell’aborto. In passato il dibattito sul tema dell’aborto era
diviso tra chi ne chiedeva la liberalizzazione, e chi esigeva anche una regolamentazione.
Quest’ultima opzione è stata poi quella che ha prevalso, per cui lo Stato assiste la donna
che vuole abortire gratuitamente nel rispetto di alcune condizioni. Ecco, il sistema che è
stato adottato in Olanda ed in Belgio per l’eutanasia è molto simile; non esistono situazioni di
liberalizzazione dell’eutanasia.
Un altro caso interessante è quello della Svizzera, dove l’eutanasia è un reato e rimane tale,
allo stesso tempo viene consentito il suicidio assistito È una formula abbastanza anomala.
La legge non ammette nessuna forma che procuri la morte, però alcune associazioni sono
riuscite a far sì che le persone che chiedono di essere assistite a suicidarsi possano farlo. In
pratica l’interessato deve procurarsi da solo la morte, però gli viene fornito il mezzo, la
medicina che gli procura la morte. Entra in gioco un’ associazione cui l’ interessato chiede il
suicidio assistito ; l’associazione informa la magistratura ; a quel punto i medici
dell’associazione procurano il suicidio assistito all’interessato e la magistratura, avendone
preso atto, decide per il non luogo a procedere. Esiste una giurisprudenza molto consolidata
in materia. Personalmente è una procedura che mi lascia perplesso e non credo che in Italia
sarebbe praticabile. Ci sarebbero certamente denunce da parte dei parenti, associazioni
ecc.
Evidentemente in quel contesto conta molto l’aspetto culturale. Parliamo di un paese
caratterizzato da un forte pragmatismo, come pure da una maggiore partecipazione.
Un’associazione svizzera di cui sentii parlare 7-8 anni fa, aveva 50mila iscritti. Noi non
possiamo certo vantare gli stessi numeri…
Ma come nascono e operano le associazioni che in Italia si occupano di queste
problematiche?
Non credo si possano fare discorsi di carattere generale sulle ragioni che portano ciascuno a
far parte di queste associazioni. Ci sono persone che hanno avuto casi personali
drammatici, altre che ne hanno fatto un punto di principio e altre ancora che ne hanno fatto
una questione ideale.
Per quanto riguarda il modo di operare ci sono diversi approcci. Questo è un discorso
delicato che tocca il modo di operare delle varie realtà. Ci sono due modi di lottare per questi
obiettivi: uno è di mantenersi nell’ambito della legislazione e di muoversi all’interno delle
regole dello Stato ; l’altro è quello di cercare di dare delle spallate, cioè di essere più
movimentisti, un po’ come i Radicali. C’ è chi tende maggiormente verso questo secondo
approccio. Libera Uscita preferisce la prima strada .In questi due anni diverse persone
italiane e straniere si sono rivolte a noi attraverso il nostro sito internet per avere delle
indicazioni per porre termine alle proprie sofferenze. A tutti abbiamo risposto fornendo
notizie reperibili pubblicamente sulla stampa, in televisione o su internet. A coloro che ci
hanno chiesto di assisterli per un viaggio della morte, in Svizzera o in altri paesi, abbiamo
fatto presente che la nostra missione è un’altra: è quella di modificare la legislazione
affinché anche in Italia sia consentito ciò che è legale in altri paesi.
Bologna, 17.1.2007
Paolo Vegetti è membro dell’associazione Libera Uscita (www.liberauscita.it).
LiberaUscita è un’associazione laica che si propone di promuovere il dibattito sulla dignità
della vita e della morte e sulla possibilità dell’individuo di scegliere in piena responsabilità, in
presenza di certe condizioni - come ad esempio una malattia insostenibile - se intende o no
continuare a vivere.L’obiettivo è poter arrivare anche in Italia, come già è accaduto in altri
paesi europei ed extraeuropei, all’approvazione di una legge che depenalizzi il ricorso
all’eutanasia. A questi fini è stata promossa la presentazione, da parte di parlamentari
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sensibili a questi temi, di due proposte di legge, una riguardante appunto la
depenalizzazione dell’eutanasia, l’altra riguardante la legalizzazione del testamento
biologico.
LiberaUscita ha sede in Roma, via Genova 24, 00184, e diramazioni in tutto il territorio
nazionale. Può essere raggiunta anche via e-mail all’indirizzo [email protected].
492 - PROPOSTE DELLA COMM. GIUSTIZIA SENATO SUL TESTAMENTO BIOLOGICO
La commissione Giustizia di palazzo Madama ha formulato il 7 febbraio una serie di
proposte emendative da inserire nei ddl sul testamento biologico all'esame della
commissione Sanità.
Innanzitutto la commissione ha sottolineato di non ritenere indispensabile l'obbligatorietà per
il cittadino di esprimere le 'dichiarazioni anticipate', o meglio le sue 'direttive anticipate'; non
è necessaria quindi la presenza del notaio. "E' un atto scritto -ha spiegato il presidente della
Commissione Giustizia, Cesare Salvi- come previsto dalle norme del codice civile".
La commissione però ha sottolineato l'importanza che "l'atto scritto contenente le direttive
anticipate, una volta formato, deve essere unito alla cartella clinica, di cui costituisce parte
integrante. La cartella clinica indica nel frontespizio la presenza o meno di direttive
anticipate".
L'atto scritto, una volta formato deve essere anche trasmesso, a cura delle persone
interessate e comunque dal personale sanitario, al ministro della Salute, "dove viene inserito
in un registro informatico centralizzato, tutelato secondo la normativa sui dati sensibili".
Quanto alle informazioni che devono essere fornite al paziente, "l'informazione costituisce
un obbligo per il medico -sottolinea la norma suggerita dalla commissione Giustizia- che
deve provvedere al costante e permanente aggiornamento nei confronti del paziente. Tutte
le informazioni devono risultare dalla cartella clinica". "Il consenso e il rifiuto del paziente,
anche se parziali, sia alle informazioni che a qualsiasi genere di trattamento sanitario,
devono essere annotati accuratamente e nel dettaglio nella cartella clinica".
La commissione ha ritenuto necessario esonerare da qualsiasi tipo di responsabilità il
personale sanitario che agisca secondo le direttive del paziente: "Il rifiuto del paziente a
qualsiasi genere, anche se parziale, di trattamento sanitario - scrive la commissione - è
vincolante per il personale sanitario, nelle strutture sia pubbliche che private".
E ancora: "il rispetto della volontà del paziente, espressa personalmente o mediante direttive
anticipate, esonera il personale sanitario dalle strutture sia pubbliche che private, da
qualsiasi genere di responsabilità, compresa quella di natura penale".
La commissione ha fornito anche le definizioni di 'trattamento sanitario' e di 'accanimento
terapeutico'. Il trattamento sanitario è "ogni trattamento praticato, con qualsiasi mezzo, per
scopi connessi alla tutela della salute, per fini terapeutici, diagnostici, palliativi, nonché
estetici"; "costituisce -invece- accanimento terapeutico ogni trattamento praticato senza
alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico-funzionale".
La commissione ha anche sottolineato che "il fiduciario è vincolato alle direttive impartite dal
disponente"; e in caso di mancanza di direttive anticipate o mancata nomina del fiduciario,
sono state individuate, secondo determinato ordine, le persone autorizzate ad esprimere il
consenso o il rifiuto sul trattamento sanitario proposto nei confronti della persona divenuta
incapace:
- amministratore di sostegno o tutore (se già ritualmente nominati);
- coniuge non separato, legalmente o di fatto;
- convivente stabile ai sensi della legge n. 149/2001;
- figli;
- genitori;
- parenti entro il quarto grado.
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La commissione Giustizia di palazzo Madama ha fornito anche alcune indicazioni in caso di
eventuali contrasti: "nei casi di contrasto tra il personale sanitario e le persone legittimate ai
sensi della presente legge nonché tra le stesse persone legittimate, viene proposto ricorso al
giudice tutelare del luogo ove ha dimora l'incapace. Il giudice deve tenere conto delle
volontà espresse dalla persona prima di divenire incapace, procedendo a tale fine alla
assunzione e acquisizione di prove sia testimoniali che documentali". La commissione ha
suggerito anche la possibilità di inserire, in questo caso, rigide norme processuali.
La commissione Giustizia, infine, ritiene che non possa essere prevista alcuna forma di
obiezione di coscienza. In ogni caso, le strutture sanitarie sia pubbliche che private devono
garantire il rispetto della volonta' del paziente. Sono considerati "dati sensibili" tutte le notizie
e le informazioni relative a queste norme.
Quanto al registro nazionale, sarà istituito presso il ministero della Salute, ma è importante,
per la commissione ai fini di una migliore tutela nei confronti della volonta' della persona
ammalata, l'obbligo di inserire le direttive anticipate nella cartella clinica.
493 - IL SORRISO DI DAPHNE - COMMEDIA AMARA AL TEATRO VALLE DI ROMA
Al Teatro Valle di Roma è andato in scena, dal 13 al 25 febbraio, "Il sorriso di Daphne", testo
amaro e raffinato che affronta fuori da ogni di pietismo il tema dell'eutanasia,.
Botanica. Vita umana. Malattia degenerativa. Amore. Morte. Sono le parole chiave della
tragicommedia di Vittorio Franceschi, regia Alessandro d’Alatri, incentrata sulle ultime
giornate di un professore universitario di botanica, colpito da una malattia degenerativa. Il
tema è quello di stringente attualità dell'eutanasia, che occupa le cronache a livello mondiale
e ultimamente affolla le sale (ricordiamo pellicole dai brillanti risultati come “Le invasioni
barbariche” e più di recente l'egregio “Mare dentro”): ora che la nostra vita si è fatta più
lunga, il problema da risolvere sembra quello della morte. Ovvero come ottenerla se la
malattia che ci ha colpito è incurabile e degenerativa, con un calvario lento e doloroso come
avvenire.
A teatro, già in sedia a rotelle, Vanni (interpretato dall’autore) è accudito dalla sorella Rosa
(Laura Curino), spaventato da ciò che gli accade e dalla morte, fa esercizi per la memoria
recitando i nomi delle piante.Ma il suo pensiero è tutto teso a come chiedere la morte, prima
che sia troppo tardi, a chi lo ama: la giovane studentessa di botanica (Laura Gambarin) che
gli sta accanto, per ultimare un libro; che lo ama e lui vergognosamente (per via dell'età)
contraccambia. E per chiudere il cerchio, la morte Vanni vuole raggiungerla attraverso una
pianta sconosciuta, da lui scoperta e denominata: Daphne Giovannina del Borneo.
Senza sminuire la portata intera del testo, una battuta racchiude tutto il senso di questo
dramma cinico e pieno di vita, nonostante le urgenti prospettive di morte: «Chi parla di stato
vegetale non conosce le piante».
È lo stesso Giovanni o Vanni a pronunciarla, anticipando il monologo con cui chiederà la
morte: un lucido approfondimento sul vivere in stato di infermità totale, torturati da tubi e
tubicini, mentre ad uno ad uno i sensi vengono meno: «Sarò nutrito artificialmente, anche col
succo d’ananas che non mi è mal piaciuto. Capirò tutto ma non potrò parlare...non potrò
oppormi alla violenza dei dottori. Dalla rabbia mi metterò a piangere e il primario dirà
congiuntivite, così cinque volte al giorno mi metteranno un collirio che mi brucerà da morire.
Subito dopo perderò l'udito. Comincerò a vagare in un limbo silenzioso...Poi perderò anche
la vista e allora il povero vegetale pieno di linfa inespressa...Poi smetteranno di guardarmi,
guarderanno solo la macchina alla quale sarò collegato, per capire se il mio cuore, i miei reni
e il mio fegato stanno reggendo alle terapie».
L'opera ha ottenuto ben tre riconoscimenti: nel 2004 il premio dedicato alla drammaturgia
contemporanea “Enrico Maria Salerno” e nel 2006 come migliore novità italiana il premio
“ETI - Gli olimpici del teatro” ed il premio “UBU”.
(da: www.mentelocale.it)
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494 - LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA COMM. SANITA’ DEL SENATO
Appena vista, sabato mattina 17 febbraio, la trasmissione di RAI1 dedicata al testamento
biologico, il segretario di LiberaUscita ha inviato al sen. Ignazio Marino, Presidente della
Commissione Sanità del Senato, la seguente lettera aperta:
Gent. Presidente Marino,
anzitutto La ringrazio, a nome della ns. associazione, per il Suo impegno a favore della
legalizzazione del testamento biologico, legge voluta dalla maggioranza assoluta degli
italiani, alla quale vorremmo portare anche il ns. piccolo contributo in sede di audizione da
parte della Commissione Sanità del Senato.
Con l'occasione, dobbiamo però segnalarle nuovamente (l'ha già fatto il ns. presidente
Fornari dopo la trasmissione "Elisir" di domenica 7 gennaio u.s.), che durante la
trasmissione "Tutto benessere" dedicata al "testamento biologico", andata in onda questa
mattina su RAI 1, Ella ha ribadito - sia pure a titolo di esempio - che l'eutanasia presuppone
una iniezione letale come quella praticata per i condannati a morte.
Poiché a maggior parte degli italiani non è informata al punto da distinguere l'eutanasia
dall'accanimento terapeutico e dall'omicidio, le sue affermazioni contribuiscono
obiettivamente ad alimentare la confusione e le pregiudiziali contro l'eutanasia, che è tale
SOLTANTO SE PRATICATA SU PERSONA CONSENZIENTE E IN PRESENZA DI GRAVI
ED ECCEZIONALI SITUAZIONI SANITARIE, che nulla hanno in comune con l'esecuzione
dei condannati a morte.
Conosciamo e rispettiamo le sue convinzioni personali, contrarie sia all'eutanasia che al
suicidio assistito, comprendiamo l'opportunità di distinguere nettamente il testamento
biologico dall'eutanasia e dal suicidio assistito al fine di pervenire - vista anche l'offensiva a
tutto campo della Chiesa cattolica - alla approvazione della legge in discussione, ma poiché
siamo convinti che eutanasia e suicidio assistito rientrino nel diritto universale alla
autodeterminazione proprio di tutti gli esseri umani, La preghiamo di voler evitare - sia pure
involontariamente - riferimenti impropri.
Distinti saluti - Giampietro Sestini - segretario di LiberaUscita
Risponde il Presidente Marino
Date: Wed, 21 Feb 2007 20:08:05 -0000
Gent.mo Segretario Sestini,
ho ricevuto la e-mail che tanto cortesemente mi ha inviato e vorrei ringraziarLa per le Sue
osservazioni puntuali. Esse sono, infatti, molto importanti e forniscono lo stimolo per un
doveroso e continuo approfondimento sul tema delicatissimo del testamento biologico e
dell’eutanasia.
Come credo Lei sappia già, la Sua associazione verrà convocata dalla Commissione Igiene
e Sanità nell’ambito delle audizioni sul Testamento Biologico, ed in quella sede avrà la
possibilità di esporre tutte le proprie ragioni.
Da parte mia, tengo a precisare che, durante la trasmissione “Tuttobenessere”, il paragone
che ho fatto tra l’iniezione praticata nell’eutanasia e l’iniezione letale usata nella condanna a
morte aveva un carattere squisitamente tecnico. E’ chiaro che non era mia intenzione
sostenere che l’una e l’altra sono da porsi sullo stesso piano. Mi duole, comunque, che
quanto da me affermato possa avere lasciato adito a dubbi o fraintendimenti.
Nel ringraziarLa nuovamente per avermi voluto contattare, porgo a Lei e alla Sua
Associazione i miei più cordiali saluti.
Prof. Ignazio Marino
Presidente, Commissione igiene e sanità - Senato della Repubblica
495 – CONVEGNI SUL TERRITORIO
Da: [email protected] - martedì 13 febbraio 2007 h. 13.57
Caro Giampiero,
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Sono reduce di due interessanti incontri avuti in nome, per conto e grazie all'attivismo di
LiberaUscita che, a mio avviso, rappresenta sempre più la voce dell'opinione pubblica e
riesce a creare il necessario canale comunicativo con il tessuto sociale desideroso di avere
consapevolezza sui fatti della vita.
Sono stata ospite giovedì 8 febbraio presso l'Istituto Gassman (a Roma) e ho incontrato
giovani adolescenti imbevuti di decodifiche abberranti da parte dei mass media
nell'interpretazione medico giuridica sul fenomeno dell'eutanasia, ma desiderosi di chiarezza
da parte delle istituzioni.
Sabato invece sono stata ospite della Chiesa Metodista-Valdese e del Circolo ARCI a
Venosa (PZ). E qui devo dire che il 'cielo si è rischiarato'. Il dibattito è stato molto
interessante anche alla luce di un istituzione religiosa aperta e progressista. Il Pastore Luca
Anziani ha dato voce ad un'analisi chiara e lucida di come il cittadino debba trovarsi a
discutere dei 'fatti sociali' in maniera più distaccata di quanto non lo debba fare come
credente. E' pur vero che nella loro tradizione il principio del libero arbitrio è da secoli forte e
consapevole negli aderenti alla comunità. L'accoglienza è stata assoluta e la partecipazione
alta.
Sono stati distribuiti I nostri materiali e le schede di adesione.
Porto a tutti voi I saluti e I ringraziamenti a nome dell'associazione valdese e del circolo
ARCI 'Nelson Mandela' di Venosa.
Ringrazio tutti voi per l'occasione offertami.
Alessandra Sannella
496 - SVIZZERA - SUICIDIO ASSISTITO ANCHE PER I MALATI MENTALI
Nella Svizzera dove tutto è possibile, anche il diritto a suicidarsi, una sentenza del tribunale
federale (la massima autorità giudiziaria elvetica) apre una porta finora mai aperta nel
dibattito sull’eutanasia: quella della malattia mentale. Il tribunale ha infatti ammesso, in linea
di principio, che «le persone sofferenti di problemi psichici o psichiatrici possono ugualmente
beneficiare dell'assistenza medica al suicidio».
Una sentenza, su una materia delicatissima, che rischia di confondere non poco le acque di
una materia che, in terra elvetica, è sì parzialmente liberalizzata, ma la cui normativa
affonda Ie fondamenta in un principio basilare: la manifestazione della volontà (e la relativa
capacità d'intendere e dunque volere) del paziente. Chiara, dunque, la contraddizione che
viene a crearsi tra il diritto del malato psichico o psichiatrico a non essere discriminato e la
sua incapacità che lo esclude a priori da un percorso.
La decisione interviene dopo il ricorso di un malato con manie depressive che, dopo aver
tentato il suicidio due volte, nel 2004 aveva chiesto aiuto all'organizzazione 'Dignitas' perché
lo aiutasse a morire. Tutti i medici interpellati si erano però rifiutati di fornirgli la ricetta per
ottenere i 15 grammi di sodio pentobarbital necessari. L'uomo aveva quindi chiesto alle
autorità del Canton Zurigo e della Confederazione di accordare a Dignitas il diritto di
procurarsi, senza ricetta medica, la sostanza mortale. Aveva però ottenuto una risposta
negativa.
La richiesta è stata respinta anche dai giudici federali. I quali tuttavia, riferendosi alla
Convenzione europea per i diritti umani, ritengono che la possibilità di darsi la morte debba
essere garantita a qualsiasi individuo. A loro avviso, però, lo Stato non è tenuto a concedere
alle organizzazioni di assistenza al suicidio la possibilità di procurarsi, senza ricetta, il veleno
letale. Tale incombenza spetta solo ai medici, nel rispetto delle regole deontologiche.
497 - OLANDA: UNA BARA PER LA VITA - DI FRANK NIENHUYSEN
da: Sueddeutsche Zeitung di giovedì 1 febbraio 2007 – traduzione: Aduc
La morte appartiene alla vita, diceva la maestra Eri van den Biggelaar, e se la scuola deve
servire per imparare a vivere, quei bambini hanno trovato la maestra giusta. Sì, perché la
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signora, fondatrice di una scuola elementare privata a Someren, ha chiesto loro di costruirle
la bara. Da quel momento, essi usano sega e martello nell'officina della scuola con una
dedizione al lavoro come non era probabilmente mai successo prima. Vi prendono parte
anche i tre figli della maestra.
Lo scorso settembre, i medici diagnosticarono alla quarantenne Eri van den Biggelaar un
tumore che in poco tempo si è esteso, e ora la signora è in fin di vita a casa sua,
fermamente decisa a non rendere la morte un tabù. A una giornalista olandese ha
raccontato come si era sentita lei, bambina, ai funerali del nonno. "Venni tenuta in disparte
da tutti, una corona di fiori in mano, mentre la mamma e la nonna stavano da un'altra parte
della chiesa a piangere". Così ha deciso di trattare la propria morte con naturalezza, senza
frapporre distanze tra lei e i suoi figli o i suoi alunni. Per due giorni ha rilasciato interviste: la
storia della bara fatta costruire ai bambini si è propagata in un baleno. Ma ora è "il momento
di tornare alla vita privata", risponde al telefono la sua migliore amica, Anja van Bussel.
E gli scolari, confrontati con quel compito e con la morte imminente della loro maestra? "In
altre culture è normale che le persone costruiscano la bara per una persona cara", spiega
Eric van Dijk, responsabile del progetto. I genitori dei bambini non sono stati direttamente
informati dell'insolita attività didattica; d'altronde fa parte del particolare concetto che ispira
quella scuola: bambini e adulti hanno gli stessi diritti e si può insegnare qualsiasi cosa
provenga dalla volontà dei bambini.
498 - LA VIGNETTA DI ELLEKAPPA – LA CHIESA DEVE DIRE LA SUA
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IL PUNTO - n° 32 - febbraio 2007