IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Febbraio 2007 - N° 32 SOMMARIO LE LETTERE DI AUGIAS 476 - Con Welby si è spento anche il dibattito 477 - L’eterna mediazione tra Stato e Chiesa 478 - Da vescovo combatterei prima mammona 479 - Dalla Chiesa più vangelo e meno politica 480 - La scelta consapevole delle cure terminali 481 - Quando in chiesa entrava anche il dissenso ARTICOLI, INTERVISTE, EVENTI 482 – Civiltà del testamento biologico - di Stefano Rodotà 483 - Welby, i medici assolvono Riccio – di Enrico Bonerandi 484 - La politica debole e l´offensiva della Chiesa – di Stefano Rodotà 485 - il "non possumus" dello Stato - di Gustavo Zagrebelsky 486 - Quei patti dimenticati tra Stato e Chiesa - di Eugenio Scalfari 487 - Strategia del porporato - di Stefano Ceccanti 488 - Se la Chiesa sfida la costituzione - di Stefano Rodotà 489 - Quando l’ateismo diventa un bestseller – di Gabriele Romagnoli 490 - Aiutate mio marito a morire o andrò all’estero – di G. M. Bellu 491 - Testamento di vita - intervista a Paolo Vegetti 492 - Proposte della Comm. Giustizia del Senato sul testamento biologico 493 - Il sorriso di Daphne - commedia amara al teatro Valle di Roma NOTIZIE DALL’ASSOCIAZIONE 494 - Lettera aperta al presidente della Commissione Sanità del Senato 495 - Convegni sul territorio NOTIZIE DALL’ESTERO 496 - Svizzera - suicidio assistito anche per i malati mentali 497 - Olanda: una bara per la vita - di Frank Nienhuysen PER SORRIDERE..... 498 - La vignetta di Ellekappa – la Chiesa deve dire la sua LiberaUscita LiberaUscita Associazione per il testamento biologico e l’eutanasia Sede: via Genova 24, 00184 Roma Telefono e fax: 0647823807 Sito web: www.liberauscita.it - email: [email protected] 476 - CON WELBY SI È SPENTO ANCHE IL DIBATTITO - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di mercoledì 24 gennaio 2007 Caro Augias, ho 55 anni e da 17, in seguito a un incidente d'auto, sono tetraplegico, bloccato in un letto. Con la morte di Welby si è spento il dibattito sull'eutanasia e io mi sento più solo che mai nel combattere una battaglia contro i mulini a vento. Ci obbligano a marcire in una gabbia grande appena quanto il corpo, va rispettato il principio secondo cui un essere umano non può disporre della propria vita: un dogma, un credo religioso che ci impone lo Stato. Almeno concederanno di dire che il ventilatore polmonare per Welby era accanimento terapeutico, e in questo modo si tutelano coloro che con coraggio e pietà hanno esaudito il desiderio di Piergiorgio. Io respiro da solo, non basta che mi stacchino la spina, se qualcuno fosse disposto a salvarmi rischierebbe grosso. Un ventilatore, una macchina: più fortunato o più sfortunato di Welby? Con Welby però si è creato un precedente: quella che era considerata eutanasia passiva (sospensione di cure o spegnimento di macchinari che tengono in vita) ora potrebbe rientrare nei casi di accanimento terapeutico. In Italia i politici, e tanto meno i gerarchi cattolici, non ammetteranno mai di averci ripensato, dunque si cambierà solo nome alle cose per accontentare un po' tutti. E per questi giochi di potere a me non è concesso il diritto di porre fine alla mia tragica esistenza? Io invoco una vera e propria legge sull'eutanasia. Eutanasia, non deve sconcertare questo termine, nelle mie condizioni è un suono amico. Per fortuna mi resta comunque poco. Adolfo Baravaglio - [email protected] Risponde Augias Questa lettera è stata scritta sotto dettatura da un amico del signor Baravaglio al quale va ovviamente la solidarietà di ogni essere dotato di sentimenti umani. Non sono d'accordo sul fatto che con la morte di Welby, eroe civile, si sia spento il dibattito. Forse non proprio sull'eutanasia ma sul come alleviare o abbreviare le sofferenze dei malati terminali la discussione continua. Da una parte abbiamo il tardivo lamento del cardinale Ruini che dice di avere 'sofferto' negando a Welby i funerali religiosi e che non avrebbe potuto decidere diversamente. Io ho avuto la testimonianza confidenziale di un alto porporato che ha giudicato sbagliata quella decisione che, sia chiaro, è stata politica non di dottrina. Ruini ha solo temuto che la comprensione della Chiesa potesse essere interpretata come un'apertura di discorso. La spietata sentenza è stata frutto di una visione del problema personale, non condivisa da tutti i fedeli né dalla maggioranza degli italiani. Ognuno si prenda le sue responsabilità, tutti sapevano qual era la posta. Dall'altra parte, per fortuna della Chiesa, abbiamo però letto le parole piene di misericordia del cardinale Carlo Maria Martini che nella sua posizione, più di ciò che ha detto non poteva dire ma di cui s'è capito benissimo lo spirito: «è di grandissima importanza distinguere tra eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico». Non è facile stabilire per legge che cosa si debba intendere con 'una vita degna', né può stabilirlo una volta per tutte un indiscutibile dogma religioso. Sicuramente però ognuno di noi sa quali limiti dare a questa definizione. Anche per questo è importante che la discussione continui e anche per questo ringrazio il signor Baravaglio della sua lettera. 477 - L’ETERNA MEDIAZIONE TRA STATO E CHIESA – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di mercoledì 31 gennaio Caro Augias, il Presidente della Repubblica intervenendo sui Pacs, ha invitato all'intesa sulle coppie di fatto: "Dobbiamo tenere conto delle preoccupazioni del Papa e trovare una sintesi con la Chiesa". Perché il Capo dello Stato, anziché richiamare il principio della laicità dello 2 Stato, sembra preoccuparsi del Papa e della Chiesa e meno dei cittadini italiani cattolici, non cattolici e non credenti? Garante della Costituzione, avrebbe dovuto richiamare la gerarchia ecclesiastica al rispetto delle norme concordatarie, violate continuamente. Ivo Bagni - ivo.bagni@tele2. it Caro Augias, sono rimasto di sale nell'ascoltare l'intervento del presidente Napoletano. Un laico libertario come Lui, tiene conto del parere della Chiesa, dimenticando quello dei cittadini molto più avanti su codeste questioni etiche. Il problema dell'Italia non è ascoltare il Vaticano, semmai impedire che il Vaticano continui con le sue ingerenze negli affari della Repubblica che mi risulta essere laica. Giuseppe Galluccio - Torre del Greco-giuseppegal@tin. it Stimato Augias, c'è oggi chi chiede una legge sui Pacs che intaccano il modello di famiglia tradizionale formata da un uomo e una donna. Il progresso non può uccidere le nostre tradizioni. Giusto il rispetto verso gli altri. Però, con una legge che in definitiva può aprire anche alle coppie gay, si finisce con l'accettare modelli concorrenziali alla famiglia, gettando alle ortiche i valori che la Chiesa presenta ai giovani, come ha anche ricordato Benedetto XVI, affermando che il matrimonio è solo quello tra uomo e donna basato sulla "realtà sessualmente differenziata"e con le loro "esigenze di complementarietà". Mario Pulimanti - Lido di Ostia - m.pulimanti@politicheagricole. it Risponde Augias Ho visto in Tv la cautela e il ritmo con i quali il presidente Napolitano, parlando a braccio, sceglieva una ad una le parole sullo spinoso tema dei Pacs, fino al richiamo finale all'art. 7 della Costituzione. Quell'articolo, voluto da Togliatti in un tentativo ante litteram di 'compromesso storico', fu oggetto per anni di critiche aspre perché dichiarando Stato e Chiesa indipendenti e sovrani, aggiungeva: "I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi". Le radici di quell'articolo affondano insomma addirittura nella questione romana, nell'abolizione del potere temporale, in una storia che è stata per secoli un ostacolo alla modernizzazione del paese, alla sua laicità, ad una sua compiuta fisionomia europea. II Presidente cercava con evidenza una linea mediana ma forse sarebbe stato più prudente tralasciare il richiamo alle 'preoccupazioni' di una gerarchia ecclesiastica che con insistenza quotidiana tenta d'influire sul percorso legislativo di queste norme. E' fin troppo facile l'obiezione che ‘preoccupazioni' come queste ci avrebbero impedito di avere le leggi su divorzio e sull'aborto. D'altra parte la lettera del signor Pulimanti prova con onesto candore che se in Italia c'è chi si preoccupa di trovare una linea mediana c'è anche chi si ritiene ancora depositario dell'unica possibile verità e come tale si comporta. Benedetto XVI ha affermato di recente: "La Chiesa non intende essere un agente politico". Prendiamolo in parola. 478 - DA VESCOVO COMBATTEREI PRIMA MAMMONA – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di domenica 11 febbraio 2007 Egregio Dott. Augias, leggo su Repubblica, a commento del «non possumus» sui Pacs, o Dico, che non sarebbe moralmente possibile per i cattolici appoggiare un centrosinistra che contrasta con la morale cattolica. E' vero - ed è la comprensibile preoccupazione del Papa e della Cei - che un'equiparazione di ogni tipo di coppia al matrimonio eterosessuale potrebbe favorire lo sgretolamento di un'istituzione fondamentale. Giungere però ad una scelta politica come conseguenza della fede, credo sia davvero un salto non solo illegittimo ma sconcertante. La legge sui Dico non obbliga nessuno, assicura solo garanzie legali che del resto i politici (quelli stessi che difendono la «famiglia cattolica») si sono già attribuiti; così come governi «democristiani» presero atto che la maggioranza degli italiani accettava il divorzio e - entro certi limiti - purtroppo anche l'aborto. 3 Quello che invece non riesco a capire - da cattolico e, vorrei dire, da vescovo - è che per questa tolleranza democratica si voglia sconfessare un orientamento che - almeno nelle intenzioni - parte dalla difesa di chi ha maggiori difficoltà in linea con il Vangelo che assicura il «regno» a chi provvede ai senza lavoro ai senza casa. La vera scelta è solo quella fra Dio e Mammona (v. Lc 16, 13), dove Mammona è mettere al primo posto i soldi, il potere. Vorrei che come formazione ad un autentico cristianesimo, una volta indicati i pericoli che possono accompagnare il cammino dei Dico, si combattesse con non minore energia lo spirito di Mammona, che sta inquinando il nostro mondo, alimentando la violenza, inaridendo i nostri giovani. Luigi Bettazzi - Vescovo emerito di Ivrea Risponde Augias Confortano le parole di monsignor Bettazzi, rendono visibile uno spirito della chiesa cattolica che sappiamo esistere ma che non sempre riesce a parlare. Tanto meno è emerso nelle discussioni degli ultimi mesi tutte centrate sui divieti, sugli obblighi, sul non volere: Verboten! Ho sufficiente età per ricordare l'opposizione altrettanto accanita che gli ambienti cattolici scatenarono nel 1975 contro la riforma del diritto di famiglia. Si rimproverava di riconoscere alcuni diritti ai figli nati [fuori del matrimonio scardinando, così si disse anche allora, il concetto di famiglia. Ma che Chiesa è questa? In nome di che si fanno opposizioni così cieche, così inutili? Dico inutili perché l'aborrita modernità alla fine prevale e nessun papa si può illudere di fermarla. Monsignor Bettazzi ricorda che gli stessi parlamentari che non vorrebbero estendere l'assistenza sanitaria ai conviventi di fatto, l'hanno già concessa a se stessi. Preciso: da sedici anni! Quale ipocrisia, quale spudoratezza e, per i cattolici, quale mancanza di carità, suggerisce di negare agli altri cittadini ciò che (da sedici anni) hanno già dato a se stessi? Che Chiesa diversa sarebbe quella che monsignor Bettazzi adombra nelle sue parole: una Chiesa che dicesse dove c'è amore, solidarietà, assistenza, lì c'è Gesù. Il vincolo del matrimonio è forse una garanzia contro la sopraffazione reciproca, la cattiva educazione dei figli? Contro il delitto, perfino? Una Chiesa dovrebbe guardare al cuore degli uomini non ai riti. Benevola verso chiunque sia sincero, sposato o no che sia. Lo farebbe credo, se non ci fosse di mezzo il potere, Mammona. 479 - DALLA CHIESA PIÙ VANGELO E MENO POLITICA – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di domenica 18 febbraio 2007 Gentile dott. Augias, sento smarrimento e, se vuole, sdegno di cittadina e di «credente» che si sforza di fare il proprio dovere e di testimoniare i valori in cui crede. Da più di venti anni insegno lettere in un istituto paritario cattolico. Mi impegno nella formazione degli adolescenti, avviandoli alla acquisizione e alla pratica di valori quali l'amore del prossimo e il rispetto delle regole. Valori che oggi sembrano dimenticati in un mondo martoriato da guerre, violenze, fame, sopraffazione e, non ultimo, da un'emergenza ambientale conseguenza di uno sfruttamento della natura a dir poco «peccaminoso». In questa grave congiuntura la gerarchia ecclesiastica cosa fa? Invece di richiamare quotidianamente e con forza tutti gli uomini di buona volontà alle proprie responsabilità, invece di dispensare inviti alla pace, alla concordia, alla misericordia, alla giustizia sociale, dà priorità alla questione Dico. Cerca d'impedire che il governo legiferi su diritti che per giunta, riguardano una minoranza di cittadini, per giunta, verosimilmente non credenti. Pensa veramente la Chiesa, la quale innanzi tutto dovrebbe testimoniare nel mondo il Vangelo, di perseguire, in tal modo, il bene degli italiani, alimentando peraltro, una conflittualità politica della quale, davvero, non si sente il bisogno? Pensa veramente che la famiglia venga scardinata da questa specie di sanatoria o non, piuttosto, da ciò che i ragazzi vedono, vivono, subiscono in una società dove il «denaro» è valore unico? Caterina De Regis - [email protected] 4 Risponde Augias Ricevo molte lettere di cattolici e di sacerdoti sgomenti di fronte all'attacco senza precedenti della Chiesa contro la Costituzione e il Concordato. Non c'è un altro paese al mondo (men che mai in Europa) dove le gerarchie oserebbero fare quello che stanno facendo in Italia. Don Roberto Fiorini ([email protected]) mi scrive citando Matteo (23,25): "Filtrate il moscerino e ingoiate il cammello», dove il moscerino sono i DICO e «il cammello è il rapporto dell'ONU secondo il quale quasi metà delle ricchezze del mondo sono in mano all'1%. Il 50% della popolazione mondiale ha meno dell'1%». Dietro ai numeri c'è la sofferenza, l'agonia e la morte di milioni di esseri umani. Dov'è la voce della Chiesa in questo caso?». Don Fiorini attribuisce questa decadenza «all'affossamento del concilio Vaticano secondo». Se volessimo proseguire sulla stessa strada potremmo ricordare i criminali sepolti nelle basiliche mentre si chiudono le porte della parrocchia a un eroe civile come Welby, mafiosi e sanguinari dittatori portati al cimitero con preti officianti, turiboli, cori angelici. E' inutile chiedersi dove sia la voce della Chiesa in quei casi. Tra il Vangelo e la politica corre un abisso e una volta scavalcato l'abisso non si torna più indietro perché a comandare sono le leggi della politica. Che cos'è se non politica la frase del papa sulle norme «inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore»? Si vuole uno Stato a sovranità limitata al quale sottrarre parte della potestà legislativa. Capisco che dal punto di vista politico dev'essere molto più appassionante misurarsi in una tale prova di forza che occuparsi della fame nel mondo. A patto ovviamente di dimenticare il Vangelo. 480 - LA SCELTA CONSAPEVOLE DELLE CURE TERMINALI – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di mercoledì 21 febbraio 2007 Caro Augias, il prof. Umberto Veronesi direttore di ospedale per la ricerca sul cancro, ha elaborato una proposta per il diritto all'autodeterminazione del paziente condivisa con esperti di diritto, bioetica, filosofia, scienza biomedica e con i cittadini in un incontro pubblico a Milano. Proposta semplice: «Nessuno deve scegliere per noi». E' il fondamento del Testamento Biologico, atto di civiltà che dovrebbe essere riconosciuto legalmente. Davanti alla morte che si avvicina, il medico è tentato o di abbandonare il malato o, all’opposto, di ostinarsi nelle cure. Ogni malato deve poter scegliere, anche, di non esercitare in nessun modo il suo diritto. Chi ha fede si affiderà a Dio, anche non rifiutando il trattamento che lo mantiene in vita, considerandola dono e proprietà del Signore. Oppure, al contrario, rifiuterà i trattamenti che potrebbero salvarlo, ma che sono vietati dalla sua religione. Chi non ha fede potrà comunque affidarsi alla scienza medica per non perdere la minima possibilità di sopravvivenza, oppure sceglierà di stabilire dei limiti a cure inutili che prolungherebbero una condizione di sofferenza per lui insopportabile. Il Prof. Veronesi interviene spesso a sostegno dei diritti e della dignità dei sofferenti. Che differenza con i portatori di verità assolute e inderogabili, che pur dettate dalla verità divina, dall'amore di Dio per l'uomo, in ultimo, finiscono col condannarlo alle più atroci sofferenze ed alla perdita di ogni dignità. Ivo Bagni - ivo.bagni@tele2. it Risponde Augias Ho sotto gli occhi un modulo per il testamento biologico che ho scaricato dal sito www.fondazioneveronesi.it (teI. 02.76018187) e riempito. Il suo fine è che, in attesa di una legge che regoli l'esercizio di queste disposizioni, ogni cittadino possa comunque esprimere la sua volontà anticipata sul tipo di cure che desidera o non desidera ricevere nel caso non fosse in grado di farlo in un dato momento della sua vita.. La legge italiana stabilisce già che il paziente ha diritto a conoscere la verità sulla sua malattia nonché il diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte (consenso 5 informato). La legge è buona ma non prevede il caso che il paziente possa non essere in grado di esprimere la propria volontà. In molti paesi si è diffuso un nuovo istituto detto delle 'direttive anticipate'. L'Italia, ne12001, ha ratificato la Convenzione di Oviedo del 1997 che stabilisce: "I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione». Lo stesso Comitato nazionale di bioetica è intervenuto sull'argomento stabilendo: "I medici dovranno non solo tenere in considerazione le direttive anticipate scritte su un foglio firmato dall'interessato, ma anche giustificare per iscritto le azioni che violeranno tale volontà". La situazione è per dir così in attesa di una sistemazione giuridica. Non attende invece la malattia. La stessa tragedia di Welby si ripropone ora per Giovanni Nuvoli, uomo fiero che fieramente chiede di potersene andare. Anche nel suo caso le stesse ipocrisie, le stesse piccole viltà mentre lui invoca: fate presto. Quanto ancora dovrà penare per vincere la sua battaglia? 481 - QUANDO IN CHIESA ENTRAVA ANCHE IL DISSENSO – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di sabato 24 febbraio 2007 Egr. Sig. Augias, lei ha elogiato il gesto di alcune suore di Oxford che hanno fornito una prostituta a un ragazzo malato allo stato terminale. Con l'occasione ha affrontato, con superficialità il celibato dei preti «diventato un problema» Se sia così lo lasci dire a chi lo vive seriamente nel silenzio e nella più totale donazione senza alcuna pubblicità. Migliaia di preti e suore non fanno scalpore. Che poi il celibato venga mantenuto per non «sembrare un cedimento alla deprecata modernità»> è un'opinione che rivela quanto poco lei conosca questo mondo per non individuarne il valore «profetico» e dimostrativo della Verità che viene proposta.. ll fatto che ci siano stati scandali compresi «risarcimenti molto costosi» significa solo che anche i preti sono soggetti a errori che devono a loro volta chiedere perdono e faticare per vivere l'ascesi. Mi dà molto fastidio quando sento parlare di queste cose con superficialità, presunzione ed incompetenza. Gianni Frlgerio - [email protected] Caro Augias, lei ha pubblicato giorni fa la lettera di don Roberto, sacerdote critico verso la Chiesa. Non mi sorprende il suo tono ironico e saccente. Mi sorprendono i vari don Roberto. Sarebbe più coerente se abbandonassero questa Chiesa così «cattiva» e Incoerente, per unirsi ai «valorosi» amici di Repubblica, Manifesto, insieme ai vari no-gIobal e/o compagni amici verdi, rossi, post comunisti ecc. ecc. lo continuo a professare il Credo in tutte le sue parti anche là dove dice «Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi». Manlio Colla - [email protected] Risponde Augias Eppure c'è stato un tempo, nemmeno molti anni fa, in cui la discussione, il dissenso, la ricerca di una spiritualità rinnovata sembravano aver fecondato la chiesa cattolica, averla messa al passo con il rapido mutamento dei tempi. Queste due lettere dimostrano che, per alcuni almeno, quel periodo deve intendersi chiuso. A costo di scrivere inesattezze, rinnegando la storia stessa dell'istituzione. Che il sacerdozio sia diventato un problema in Occidente non lo dico io ma i seminari vuoti, il fatto che il reclutamento di nuovi sacerdoti anche per le parrocchie italiane avvenga ormai in Africa o in America Latina da dove arrivano, tra i tanti lavoratori, anche i sacerdoti del Vangelo. 6 Che il celibato dei preti sia «dimostrativo della verità» può anche darsi. Anzi in linea teorica pare anche a me apprezzabile che un essere umano si amputi della sua sessualità per porsi al servizio del suo Dio: totus tuus. Resta che il celibato è solo una decisione normativa, potrei dire un atto amministrativo, come tale revocabile o no, secondo convenienza, anche domani mattina. I primi preti, i primi vescovi erano sposati con figli, come del resto i rabbini o i preti ortodossi. Ho citato i «costosi risarcimenti»perché so in quali difficoltà economiche i sacerdoti pedofili di Chicago hanno posto la Chiesa con quello che s'è dovuto pagare alle famiglie dei fanciulli offesi. Leggo con sgomento la lettera del signor Colla, la sua visione così rudimentale del dissenso, il buttarla subito in politica che su questioni del genere è come evocare il demonio per chiudere ogni possibile discussione. Infatti così è, purtroppo. 482 - CIVILTA’ DEL TESTAMENTO BIOLOGICO - DI STEFANO RODOTA’ da: la Repubblica di mercoledì 24 gennaio 2007 Una legge mite e civile, come è e deve essere quella sul testamento biologico, rischia di trovare ostacoli imprevisti lungo il suo cammino parlamentare, d´essere caricata di significati impropri. La situazione sta assumendo tratti paradossali. Un alto e nitido intervento del cardinal Martini, che contribuisce assai al chiarimento della questione dal punto di vista religioso, ha scatenato una serie di reazioni che pretendono di stabilire quale sia il Verbo da seguire, quale l´unica e invincibile interpretazione cattolica, fino a toccare punte di grottesco con l´accusa a Martini di essere il battistrada dell´eutanasia. Non torna soltanto una confusione dalla quale si sperava che fossimo usciti. Cadiamo in una regressione culturale dalla quale non possono nascere né buone leggi, né un serio dibattito pubblico. Serve pazienza. Ripetiamo, allora, le distinzioni fondamentali che, ovunque nel mondo, sono alla base delle analisi del tema drammatico del morire, sempre meno consegnato alla natura ed ai suoi ritmi, sempre più affidato all´umano ed alle sue scelte. Sono almeno quattro le situazioni da considerare, ben diverse tra loro, che non devono essere sovrapposte per evitare confusioni fuorvianti: accanimento terapeutico, rifiuto di cure, testamento biologico, suicidio assistito (eutanasia attiva). Tutto questo deve essere considerato in un contesto caratterizzato dal fatto che la salute è un diritto fondamentale e che il consenso informato dell´interessato rappresenta un riferimento ineliminabile, mancando il quale nessuna attività che riguardi la persona, la sua salute, il suo corpo può essere legittimamente intrapresa. Il testamento biologico (dirò più avanti perché penso che sia più opportuno parlare di direttive anticipate) è una decisione presa da una persona perfettamente lucida, che indica il modo in cui vuol essere trattata in futuro, qualora si trovi in situazioni estreme e sia divenuta incapace. Niente a che vedere con il rifiuto di cure, che consiste in una decisione attuale, non destinata a valere in futuro, presa da una persona perfettamente consapevole. Niente a che vedere con l´accanimento terapeutico, sempre inammissibile, vi sia o no un testamento biologico. Niente a che vedere con l´eutanasia attiva che, come ha ribadito il cardinal Martini, consiste in «un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte». In realtà, il testamento biologico rappresenta una delle tante modalità di governo della vita che hanno il loro fondamento nella libertà personale, nell´autonomia della persona. È un itinerario che si scorge limpidamente nella Costituzione, tra l´articolo 13 (libertà personale) e l´articolo 32 (diritto alla salute). In quest´ultimo articolo compare una affermazione particolarmente impegnativa. Si dice, infatti, che l´imposizione di trattamenti obbligatori, che può esser fatta solo per legge, non può "in nessun caso" varcare i limiti imposti dal "rispetto della persona umana". È, questa, una delle dichiarazioni più forti della nostra Costituzione, poiché pone al legislatore un limite invalicabile. Quando si giunge al nucleo duro dell´esistenza, alla necessità di rispettare la persona umana in quanto tale, siamo di fronte 7 all´"indecidibile". Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto di quella dell´interessato... Proprio questa incomprimibile autonomia di decisione si vuole confiscare, con una operazione di aggiramento che in questi giorni è divenuta manifesta. È tornata con prepotenza la formula della "indisponibilità della vita". Ma, trasferita dal mondo delle legittime convinzioni a quello delle regole, questa affermazione contrasta con i dati di realtà, che mostrano con assoluta chiarezza come si moltiplichino ormai i casi in cui, in particolare attraverso il legittimo rifiuto di cure, la persona dispone appunto della propria vita. Dobbiamo ricordare una volta di più il caso dei Testimoni di Geova, ai quali è stato riconosciuto il diritto di rifiutare le trasfusioni di sangue anche se ciò determina la morte, o quelli di persone che hanno preferito la morte all´amputazione di un arto? Emerge anche qui una situazione solo nelle apparenze paradossale. Si nega la disponibilità della vita all´interessato per riservarla al medico, qui davvero con rischi di derive, di crescente medicalizzazione della vita e di delega ai tecnici delle decisioni sull´esistenza. Una seconda confusione riguarda il modo in cui si discute intorno all´"abbandono" del paziente, quasi che vi sia un contrasto tra il testamento biologico, da una parte, e le cure palliative del dolore e i servizi alla persona morente, dall´altra. Poiché quel documento altro non è che una direttiva riguardante il modo in cui si vuol essere trattati in situazioni estreme, è evidente che tutto quanto consente alla persona di allontanare la sofferenza e di trovare vicinanza negli affetti e nella cura si colloca in una dimensione diversa, che esige l´assunzione di una responsabilità pubblica che, tuttavia, non interferisce nella libertà della persona. Se di questo si vuol discutere seriamente, e non per proporre un diversivo rispetto al tema del testamento biologico, si rifletta sul fatto che i centri antidolore sono appena 110, di cui soltanto 5 nel Mezzogiorno. E che i servizi ai morenti e alle loro famiglie richiedono investimenti, non tagli alle spese, non apologie del mercato. Si riprenda il filo della buona discussione avviata dalla Commissione Sanità del Senato con una serie di audizioni. E ci si concentri sui pochi, essenziali punti che servono per una legge che deve essere semplice e comprensibile. Si abbandoni la pretesa di regolare questioni diverse, come l´accanimento terapeutico o il rifiuto di cure. Ci si renda conto che non si tratta di disciplinare in generale il consenso informato, ma più semplicemente di fissare regole che consentano di accertare con precisione se, nel momento in cui stendeva il documento, la persona era capace. Si rinunci alla pretesa di fare del testamento biologico un obbligo per ogni cittadino, con comprensibili effetti di allarme, e ci si preoccupi piuttosto di non prevedere forme e procedure burocratiche, che scoraggerebbero le persone, e di non precludere la rilevanza di altri documenti dai quali tuttavia risulti con chiarezza la volontà dell´interessato. Si semplifichino al massimo le norme sul contenuto del documento, che deve poter riguardare qualsiasi tipo di trattamento (ogni limitazione contrasterebbe con il diritto generale di rifiutare le cure), la richiesta di cure palliative anche se accelerano la fine, eventuali disposizioni sul trapianto degli organi o l´assistenza religiosa. Per questo, invece che di testamento biologico che evoca soltanto l´aspetto della fine, si dovrebbe parlare di direttive anticipate, nelle quali si può esprimere l´intera visione che ciascuno ha della fase terminale della propria vita. Dovrebbe essere ovvio, inoltre, che gli effetti di queste direttive non possono essere rimesse alla valutazione discrezionale del medico o al parere di organi privi di legittimazione adeguata, quali sono i comitati etici. Si disciplini, piuttosto, la procedura di accertamento della incapacità, che rappresenta la condizione in presenza della quale le direttive anticipate producono i loro effetti. E si chiarisca la posizione di un eventuale fiduciario, al quale la persona affida la cura di sé per il tempo dell´incapacità, senza dimenticare che questa figura rientra già nel nostro sistema istituzionale da quando la legge sull´amministrazione di sostegno ha previsto appunto la possibilità di designare qualcuno che agisca o collabori con 8 noi in situazioni di difficoltà. Quest´ultimo riferimento ci ricorda che il nostro sistema si è già incamminato proprio nella direzione di permettere a ciascuno di governare il proprio futuro. A questa normalità istituzionale va ricondotta la nuova legge, invece di usare la sua discussione come pretesto per guerre o guerricciole ideologiche, che fingono di voler rispettare l´umanità delle persone, e invece vogliono impadronirsene. 483 - WELBY, I MEDICI ASSOLVONO RICCIO – DI ENRICO BONERANDI da “la Repubblica” di venerdì 2 febbraio 2007 Cremona - Otto ore di discussione «larga e approfondita», in due tornate, e quindi, nella notte di mercoledì, la sentenza della commissione disciplinare dell'ordine dei medici di Cremona. All'unanimità: «Non si rilevano violazioni del codice deontologico». Sarà quindi archiviato il procedimento disciplinare a carico di Mario Riccio, l'anestesista che il 20 dicembre scorso staccò la ventilazione artificiale a Piergiorgio Welby. Una decisione che potrebbe avere riflessi anche sull'inchiesta penale aperta dalla procura di Roma: i magistrati hanno già acquisito il pronunciamento dei medici cremonesi. Se l'autopsia confermasse la relazione di Riccio sul carattere del suo intervento (la sedazione avrebbe avuto solo l'effetto di rendere sopportabili i dolori dell'asfissia, non provocando direttamente il decesso), la via all'archiviazione penale sarebbe in discesa. Secondo l'ordine di Cremona, «Welby è stato aiutato nel morire, non a morire»: nessun atto di eutanasia, dunque. Riccio si è attenuto correttamente agli articoli 20 e 35 del codice deontologico che riguardano i diritti della persona e l'acquisizione del consenso del paziente. Sono stati presi quindi in considerazione anche due articoli della Costituzione (13 e 32), che sanciscono la libertà di cure e la facoltà del paziente di rifiutare la terapia. Due censure: sul fatto che Riccio non fosse il medico curante di Welby e sulla «spettacolarizzazione» dell'evento. Il presidente dell'ordine di Cremona, Andrea Bianchi, ha voluto ieri ringraziare pubblicamente il cardinale Martini «per le sue profonde considerazioni sull'accanimento terapeutico», auspicando la discussione in Parlamento sul tema del testamento biologico, che «farebbe piazza pulita di equivoci e polemiche». «Sono contenta che sia finita così - ha commentato Mina, la vedova di Welby - So che i medici sono rigorosi. Riccio ha aiutato mio marito ad avere una morte serena». Molti esponenti del centrodestra, però, hanno aspramente criticato la decisione, come Riccardo Pedrizzi di AN. Riccio ha invece tirato un sospiro di sollievo: «Non era detto che finisse così. L'ordine di Cremona, anche se piccolo, ha mostrato gli attributi». Ma non ci sta a essere accusato di aver strumentalizzato la vicenda: «Caso mai è stato Welby a strumentalizzare se stesso. Teneva molto a che la sua sofferenza fosse di aiuto agli altri». Qualcuno però continua ad accusarlo di aver praticato una eutanasia. «Sono gli stessi che sostenevano il metodo Di Bella, eppure in quel caso i malati di cancro rifiutavano la chemioterapia per seguire un metodo all'acqua fresca. Bisognava forse costringerli?». Ma lei è favorevole all'eutanasia? «I sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è d'accordo. Io sarei favorevole a una legge chiara come in Belgio, in Olanda e in Svizzera. Forse qualche mese fa una proposta del genere sarebbe stata prematura, ma oggi, sulla scia del caso Welby, è urgente una discussione in Parlamento, senza tabù. Purtroppo una sollecitazione alle Camere del presidente della Repubblica è già caduta nel vuoto. Dovrebbero essere approvati i decreti attuativi della convenzione europea di Oviedo, che risolverebbero i problemi della donazione di organi e del testamento di vita». 484 - LA POLITICA DEBOLE E L´OFFENSIVA DELLA CHIESA – DI STEFANO RODOTA’ da: la Repubblica di giovedì 8 febbraio 2007 9 Brutte giornate nel Parlamento, e dintorni. E allora bisogna guardare più a fondo, e più lontano, nel considerare il modo in cui oggi si discute e si decide su questioni essenziali e drammatiche dell´esistenza di ciascuno di noi – come morire e come organizzare le relazioni affettive, come procreare e come dare il cognome ai figli e come riconoscere pienezza di diritti a quelli nati fuori dal matrimonio. Sono in campo in prima persona, ed è un fatto inedito nella storia repubblicana, tutte le grandi istituzioni: Presidente della Repubblica, Governo, Parlamento, Corte costituzionale, magistratura. E la Chiesa cattolica, sempre più presente. E una opinione pubblica sempre più sondata e sempre meno informata. Vale la pena di seguire le mosse di alcuni di questi protagonisti. Dice il Cardinal Ruini: è «norma di saggezza non pretendere che tutto possa essere previsto e regolato per legge». Dice il Presidente della Corte di Cassazione: «Appare urgente e indispensabile un intervento del legislatore che affronti e chiarisca i gravi problemi che sempre più frequentemente si presentano al giurista e al medico». Chi ha ragione? Nessuno dei due. Intendiamoci: nelle materie che interessano la vita è sempre necessario un uso sobrio e prudente della legge e i giudici devono avere forti principi di riferimento per le loro decisioni. Ma la sobrietà, o addirittura l´assenza, dell´intervento legislativo significa cose radicalmente diverse a seconda che manifesti rispetto della libertà individuale o, al contrario, intenzione di mantenere vincoli costrittivi, volontà di girare la testa dall´altra parte di fronte alle dinamiche sociali ed alle difficoltà dell´esistenza. Il legislatore auspicato da Ruini non avrebbe dovuto votare la legge sul divorzio, quella sull´interruzione di gravidanza e neppure quella pericolosa riforma del diritto di famiglia del 1975, a lungo avversata da ambienti cattolici perché abbandonava il modello gerarchico e riconosceva i diritti dei figli nati fuori dal matrimonio (e anche allora si impugnava una interpretazione gretta della nozione di famiglia). Oggi siamo di fronte ad una situazione analoga. Affrontando con poche norme le questioni delle unioni di fatto e del diritto di morire con dignità, il legislatore non invade indebitamente la sfera delle decisioni private. Rimuove ostacoli ormai irragionevoli, sviluppa logiche già ben visibili nel nostro sistema costituzionale, non impone nulla a nessuno e mette ciascuno nella condizione di esercitare responsabilmente la propria libertà. Perché, a questo punto, non si può dar ragione neppure al Presidente della Cassazione? Perché nelle sue parole si scorge anche un ritrarsi da responsabilità che sono proprie della magistratura, un riflesso dell´atteggiamento gravemente rinunciatario che si è manifestato nelle decisioni riguardanti Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Due casi che i giudici avrebbero potuto risolvere seguendo in particolare la linea tracciata dagli articoli della Costituzione sulla libertà personale e sul diritto alla salute (e che era stata indicata con precisione da un parere della Procura di Roma). Sembra quasi che i giudici, messi di fronte a temi assai impegnativi e che dividono la società, abbiano scelto di chiamarsi fuori, di lasciare che sia solo la politica ad affrontare e risolvere questioni che pure li investono direttamente. Questo accade perché, provati da un lungo braccio di ferro con una politica che voleva mortificarne indipendenza ed autonomia, hanno deciso di prendersi una rivincita e di lasciarla sola e nuda, indicandola come unica responsabile delle difficoltà presenti? Ma questa sarebbe davvero una ingiustificata reazione corporativa e il segno di una regressione culturale che impedisce loro di cogliere quale sia oggi il compito istituzionale della magistratura, senza che possa essere accusata di indebite invasioni di campo, di esercitare una illegittima supplenza. Commentando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell´uomo, si è proprio messo in evidenza che ormai spetta sempre a questi giudici "risolvere le più gravi e difficili questioni di diritto civile poste dal cambiamento dei costumi, dalla scienza e dalla tecnica". Questo non è l´effetto di distrazioni o ritardi del legislatore, ma del fatto che la vita propone ormai una molteplicità di situazioni 10 sempre nuove e sempre variabili, che nessuna legge può cogliere e disciplinare nella loro singolarità, in un inseguimento continuo e impossibile. Ad essa, invece, spetta il compito di fissare i principi di base, che l´intervento del giudice adatterà poi ai casi concreti. Questo quadro di principi è, e non può che essere, quello della Costituzione italiana, integrato da indicazioni che vengono da documenti internazionali, in primo luogo dalla Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea. Ed è proprio su questo punto che si sta svolgendo il conflitto. Si leggono interpretazioni di norme costituzionali contrastanti con la loro stessa lettera o comunque incompatibili con il sistema complessivo di cui fanno parte. Ma sempre più spesso si va oltre, e si parla e si scrive come se la Costituzione non esistesse. Si fa riferimento a valori, rispettabilissimi, ma che non trovano alcun riscontro nel testo costituzionale, o addirittura contrastano con esso. Da tempo sottolineo che è in atto un tentativo, strisciante ma visibilissimo, di sostituire al quadro dei valori costituzionali un quadro del tutto diverso, portando così a compimento una impropria e inammissibile revisione costituzionale. Qui è il limite dei dialoghi possibili intorno ai temi in discussione. I principi costituzionali non possono essere revocati in dubbio contrapponendo ad essi altri valori "non negoziabili", che nella religione cattolica troverebbero un fondamento così forte da imporli ad ogni altro. Gustavo Zagrebelsky ha più volte messo in evidenza come ciò apra un conflitto insanabile con la stessa democrazia. E, nella concretezza della vicenda italiana, ciò pone il problema della linea che stanno seguendo le gerarchie ecclesiastiche. Un problema che non si affronta e non si risolve ripetendo, come peraltro è ovvio, che la Chiesa deve poter esercitare pienamente il suo magistero spirituale. Da anni sappiamo che la Chiesa, venuta meno la mediazione svolta dalla Dc, agisce ormai in presa diretta sulla politica italiana. Lo si ripete in questi giorni. Ma questo vuol dire che essa si comporta come un soggetto politico tra gli altri, sia pure con il peso grandissimo della sua storia, e che come tale deve essere considerata. Entrando direttamente nella politica, la Chiesa "relativizza" sé e i suoi valori, non può pretendere trattamenti privilegiati, che è pretesa autoritaria, incompatibile appunto con la democrazia. Nella debolezza della situazione politica italiana, nelle sue fragilità e convenienze, la pressione della Chiesa si sta manifestando con una intensità sconosciuta quando, in Francia o in Belgio o in Germania o in Spagna o in Olanda, sono state affrontate, e in modo assai più radicale, analoghe questioni intorno alla vita. La debole Italia più agevole terreno di conquista? Una politica che porta a ritenere inammissibile nel "cortile di casa" quel che è tollerato quando Roma è più lontana? Inquieta, a questo punto, la quasi totale assenza di un mondo cattolico che conosciamo portatore di un´altra cultura che, ad esempio, si fa sentire con chiarezza nelle questioni riguardanti la pace. Una dura ortodossia avvolge i temi "eticamente sensibili". Nessuno è autorizzato ad avviare una discussione aperta, dunque l´unica via per un vero dialogo, fosse anche il cardinal Martini. La dura reprimenda che gli è stata rivolta, con un´accusa neppure velata di "deviazionismo", aveva evidentemente anche l´obiettivo di impedire che si aprisse una falla, di intimidire chi avesse voluto seguirne l´esempio. Anche nel silenzio di quei cattolici, come nelle aggressività di altri e nel disorientamento di troppa sinistra, scorgiamo la conferma di una debolezza politica e culturale che non autorizza troppe speranze. 485 - IL "NON POSSUMUS" DELLO STATO - DI GUSTAVO ZAGREBELSKY da: la Repubblica di venerdì 9 Febbraio 2007 L´editoriale di Avvenire di martedì scorso ha il tono di una "nota diplomatica", contenente un memorandum e un ultimatum, il tono cioè di atti di natura ufficiale, nei rapporti tra Stato e Stato e, come tale, deve essere valutato parola per parola, tanto più in quanto la diplomazia vaticana è di solito maestra di cautela e sottigliezze. 11 L´oggetto è la legge prossima ventura (?) sui diritti e i doveri delle coppie di fatto, una legge che, secondo il quotidiano dei vescovi italiani, realizzerebbe, «sia pure in forma insolita e indiretta, un modello alternativo e spurio di famiglia» che indebolirebbe e mortificherebbe l´istituto coniugale e familiare «nella sua unità irripetibile», un effetto «sgradevole» (!) che sarebbe dimostrato «in modo incontrovertibile» dall´esperienza di altri Paesi. Ciò andrebbe contro il favor per la famiglia fondata sul matrimonio, riconosciuto dalla Costituzione repubblicana, e contro una tradizione culturale e giuridica bimillenaria. Fin qui la critica, discutibile e discussa come tutte le opinioni, ma certo perfettamente legittima. A questo memorandum, segue l´ultimatum. «Per questi motivi - si legge - se il testo che in queste ore circola come indiscrezione fosse sostanzialmente confermato, noi per lealtà dobbiamo fin d´ora dire il nostro non possumus. Che non è in alcun modo un gesto di arroganza, piuttosto è consapevolezza di ciò che dobbiamo - per servizio di amore - al nostro Paese» e «indicazione franca e disarmata di uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana». Lasciamo da parte la retorica: ci mancherebbe altro che si rivendicasse il diritto a un gesto d´arroganza o a un atto di disprezzo verso "il nostro Paese". Vediamo invece le tre espressioni-chiave, quelle sopra indicate in corsivo. Nella sua storia, la Chiesa ha pronunciato diversi non possumus, nei confronti delle pretese delle autorità politiche. Il che è del tutto naturale (anzi, forse ne ha pronunciati non pochi di meno di quanti ci si sarebbe potuto attendere in nome del Vangelo). Si incomincia con Pietro e Paolo (Atti 4, 20) che, diffidati dal Sinedrio di non parlare né insegnare in nome di Gesù, risposero: «Non possumus non parlare di ciò che vedemmo e udimmo». Si dice poi che nel non possumus si siano trincerati Clemente VII, il papa che negò il divorzio di Enrico VIII da Caterina d´Aragona; Pio IX che si oppose al ritorno a casa di un bimbo ebreo, nel famoso e crudele "caso Mortara"; ancora Pio IX che rifiutò di partecipare alla coalizione anti-austriaca al tempo del Risorgimento e non accolse l´ipotesi di un´occupazione pacifica di Roma da parte dei piemontesi; il cardinale Antonelli, che escluse il riconoscimento papale di Roma capitale d´Italia. Tutto questo è chiaro e riguarda comportamenti, comunque li si voglia valutare storicamente, che rientrano nei loro compiti e nelle responsabilità degli uomini di Chiesa. Ma che cos´è che "non possono" i vescovi italiani, nella circostanza odierna? La risposta la danno loro stessi. Non si tratta solo del diritto al dissenso circa una legge dello Stato, diritto che nessuno contesta. Si tratta di una cosa molto diversa: non possono non prospettare uno spartiacque, che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana. Bisogna meditare su questa affermazione. Non è una "indicazione" che riguarda i rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano. Se così fosse, si tratterebbe di una questione, per così dire, di politica estera, tra due soggetti sovrani, che pur si riconoscono come tali. Si sarebbe potuto discutere se ciò costituisse una corretta concezione degli "ambiti" rispettivi che l´art. 7 della Costituzione riconosce a ciascuno di loro («Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ambito…»). Poiché, in materia concordataria, manca per definizione, un terzo super partes, in caso di conflitto ognuno dei due soggetti finisce per essere arbitro dell´ampiezza della propria sfera d´azione. La discussione, su questo punto, sarebbe senza costrutto. Ma qui la "indicazione" dei vescovi è del tutto diversa: la Chiesa, attraverso un suo organo ufficiale - non un gruppo di cittadini o deputati cattolici, nella loro autonomia, ciò che farebbe una differenza essenziale - parla del futuro della politica italiana, parla cioè della vita interna dello Stato e delle «inevitabili conseguenze» su di essa. Così, viene, altrettanto inevitabilmente, messo in discussione l´altro caposaldo dell´art. 7, quel riconoscimento di reciproca «indipendenza e sovranità» dello Stato e della Chiesa, da cui discende l´esclusione di ogni ingerenza interna reciproca, esclusione che è conditio sine qua non del regime concordatario. Direi che mai, come in questo caso, nella storia recente, i basamenti 12 del concordato hanno traballato. Non ci si è resi conto dell´implicazione? Se si vuole il concordato, occorre rispettare e difendere le condizioni materiali che lo rendono possibile. Spesso, per comprendere i caratteri di una situazione, non c´è nulla di meglio che provare a rovesciarne i termini. Allora, che cosa si direbbe se fosse lo Stato che, per assurdo, dicesse: se la Chiesa non assume un tale o un talaltro atteggiamento, ciò rappresenterà uno spartiacque e peserà sul futuro (non dei rapporti reciproci, ma addirittura) dei rapporti interni alla Chiesa, tra le sue diverse componenti, facendo eventualmente intravedere interventi per favorire o contrastare questa o quella posizione che fedeli o sacerdoti potessero prendere, a seconda del gradimento riscosso. Si dirà: ma qui l´Avvenire si limita a una semplice, innocente "indicazione" preventiva. Già, ma viene data per lealtà. Che significa questa apparentemente innocua aggiunta? Non altro, mi pare, che un avvertimento: non ci si venga poi a lamentare che non ve l´avevamo detto; state in guardia per quel potrà accadere. La lealtà dell´annuncio significa preannuncio di conseguenze perturbatrici del quadro parlamentare, in definitiva della libertà di esercizio del mandato parlamentare e della libera dialettica democratica. Ci sono questioni sulle quali anche da parte dello Stato democratico dovrebbero essere detti dei non possumus. Ci sono principi irrinunciabili di laicità e democraticità delle istituzioni che sono non negoziabili. Ci sono casi su cui sarebbe bene che i soggetti che le rappresentano facessero sentire una voce rassicurante per tutti, pacata e ferma. Questo è uno di quelli. Con ogni garbo, naturalmente, e con tutta la diplomazia necessaria, ma questo è uno di quelli. Ieri abbiamo appreso di una reazione di eletti dal popolo, ascrivibili alla schiera dei cattolici democratici, di cattolici adulti che, senza disconoscere la loro appartenenza alla Chiesa e il loro attaccamento ai principi spirituali cristiani, ristabiliscono le distinzioni, rivendicano la loro autonomia nell´esercizio delle loro funzioni costituzionali e respingono richiami all´ordine fin nel dettaglio di scelte legislative, in definitiva lesivi delle responsabilità dei cristiani nelle cose temporali. Finalmente. Anche per loro, la partita in corso è decisiva ed è precisamente quella che riguarda la difesa della loro dignità di soggetti, non di oggetti, come si dice, in re: quella dignità che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto loro. Si è detto che, nella vicenda in corso, la Chiesa italiana, attraverso la Conferenza episcopale, gioca il tutto per tutto, in una partita dall´esito incerto. Noi non sappiamo se la presa di posizione dell´Avvenire sarà eventualmente seguita da atti conseguenti. Può essere sì o no. Gli esperti di cose vaticane sono concordi nel riconoscere agli uomini della Cei capacità tattiche, se non strategiche. Può darsi che la prudenza induca a ripensamenti, a lasciare che le cose si stemperino nel tempo. Ma che triste delusione, per chi crede in Gesù il Cristo o, semplicemente, ritiene che il messaggio cristiano sia comunque un fermento spirituale prezioso da preservare, il vedere la Chiesa di Cristo ridotta al tavolo d´una partita, tentata di usare la discordia politica tra i cittadini e i suoi rappresentanti, come se fosse arma lecita delle sue battaglie. Commento. Leggo sul quotidiano Avvenire che la Chiesa cattolica è contraria ai DICO, così come è contraria alla fecondazione assistita, al divorzio, all'aborto, alla pillola RU80, al testamento biologico, all'eutanasia, all'uso del preservativo, a togliere il crocefisso dai locali pubblici, alla stessa teoria darwiniana dell'evoluzionismo. Niente da eccepire: la Chiesa ha diritto ad avere ed esprimere le sue idee. Quando però la Chiesa si schiera in politica, allora le cose cambiano. Già in occasione del referendum sulla fecondazione assistita la Chiesa invitò pubblicamente i cittadini italiani, attraverso i massmedia ed opuscoli distribuiti in tutte le chiese, a NON esercitare il loro diritto-dovere al voto e disertare invece le urne. Oggi, in occasione dei DICO, fa di più: preannuncia che se la legge sarà approvata dal Parlamento ciò costituirà "UNO SPARTIACQUE CHE INEVITABILMENTE INFLUIRA' SUL FUTURO DELLA POLITICA ITALIANA". (Avvenire - 6.2.2007 - "Unioni di fatto: il perchè del nostro leale non possumus"). 13 E' un avvertimento-minaccia che tradotto significa: se l'Unione farà approvare la legge sui diritti dei conviventi, alle prossime elezioni amministrative la Chiesa sarà CONTRO l'Unione. Insomma, secondo la Chiesa Dio sarebbe di destra. Con tristezza debbo costatare che le mie amare previsioni si sono avverate: la Chiesa ha ormai infranto la "tregua" concordata con lo Stato attraverso i Patti Lateranensi, ed approfitta del potere di interdizione delle sue 25.000 parrocchie derivante dalla spaccatura dell'elettorato per imporre spregiudicatamente le SUE leggi. Questa linea di condotta ignora le sofferenze delle persone, la misericordia, il perdono e incita le persone alla rivolta contro la Chiesa. Scrive la cattolica (e laica) Rosy Bindi sui DICO: "Abbiamo scritto una legge giusta che tutela i più deboli, riconosce diritti alle persone discriminate, non crea nessuna figura giuridica che possa attentare alla famiglia. L'insegnamento cattolico parla di valore della giustizia, di pace, di libertà personale, di accoglienza perfino dell'errore. Di carità e di misericordia... Un politico non deve sentirsi referente di nessuno. Il mio referente è il Paese e la mia coscienza cattolica". Cara Rosy: rischi di essere scomunicata. (gps) 486 - QUEI PATTI DIMENTICATI TRA STATO E CHIESA - DI EUGENIO SCALFARI da: la Repubblica di domenica 11 febbraio 2007 Nella giornata di ieri la Chiesa è passata al contrattacco, guidata dal Papa in persona a rinforzo del "non possumus" emanato dalla Conferenza episcopale. Benedetto XVI, con riferimento specifico ai temi della bioetica e al disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri sulle convivenze di fatto, ha detto che c'è da pensare "che ci siano dei periodi in cui l'essere umano non esista veramente" Addirittura! Accenti simili non si erano più uditi da quando i bersaglieri di La Marmora entrarono dalla breccia di Porta Pia mettendo fine al potere elettorale e la nobiltà clericale chiuse i portoni dei suoi palazzi sconfessando la nascita dell'Italia unita e di Roma capitale. Dev'essere accaduto qualche cosa di molto più grave a ferire la sensibilità e gli interessi della Chiesa del riconoscimento di alcuni diritti che regolarizzano le coppie di fatto ben più timidamente di quanto già non sia avvenuto in tutt'Europa, dalla Spagna all'Olanda e dalla Francia alla Germania. Che cosa è dunque accaduto? È accaduto che quel cautissimo atto di governo, che porta la firma d'un premier cattolicissimo ed è stato redatto da un cattolicissimo ministro, ha posto un paletto al neotemporalismo della Santa Sede, alle sue crescenti interferenze nella legislazione e addirittura nell'articolazione delle norme di legge che il Parlamento voterà nelle prossime settimane. È accaduto che al "non possumus" dei vescovi italiani è stato opposto il "possumus" dei gruppi parlamentari del centrosinistra e in particolare dei parlamentari cattolici della Margherita, che hanno rivendicato la loro responsabile autonomia laica e - insieme - la loro costante appartenenza ai valori del cristianesimo. Viene in mente il rifiuto di Alcide De Gasperi all'operazione Sturzo di stampo clerico-fascista, sponsorizzata da papa Pacelli e dai Comitati civici. Da allora il leader della Dc non fu più ricevuto, neppure in udienza privata, da Pio XII, il che non gli impedì di reggere le sorti del governo nazionale senza mai venir meno ai suoi sentimenti di appartenenza cattolica e ai suoi doveri verso il paese e verso la Costituzione. Questo preoccupa Benedetto XVI e i vescovi italiani: che i cattolici democratici, messi con le spalle al muro dall'intransigenza ruiniana, abbiano rifiutato di essere passiva cinghia di trasmissione ponendo così un argine alla clericalizzazione delle istituzioni. Non li preoccupa né Diliberto né Pecoraro Scanio né Rifondazione comunista, bensì i Franceschini, i Letta, le Bindi, gli Scoppola e, soprattutto, Romano Prodi che va a messa e frequenta i sacramenti tutte le domeniche. Si ritrovano - i vescovi - in compagnia del 14 paganesimo berlusconiano con il rischio di un neo-temporalismo profumato alla cipria del Bagaglino anziché all'incenso delle basiliche. Si dice - talvolta l'ho detto anch'io - che il potere politico è debole. Ha un pensiero debole. Inclina al compromesso. Si vorrebbe una politica che scelga senza se e senza ma. E poiché i se e i ma abbondano, se ne conclude che la politica non fa il dover suo e le si contrappone il deposito dei valori della religione, alimentati dall'intransigenza della fede. Ma si è mai vista nella storia una politica senza compromessi? La politica si nutre di compromessi, procede per sintesi, non si ferma mai ad una tesi intransigente o ad un'intransigente antitesi, salvo in regimi di dittatura o, peggio, di totalitarismo. I regimi liberali e ancor più quelli liberal-democratici amministrano organismi complessi, interessi plurimi e spesso contrapposti. Debbono pertanto rappresentarli tutti superandone i particolarismi, includendo e non escludendo, trovando il denominatore comune. Il pensiero debole della politica coincide con compromessi deboli e privi di obiettivi forti. E in quei casi debbono essere vigorosamente criticati. La politica è l'arte del possibile, quindi del dialogo e dell'accordo al più alto livello possibile. Cavour voleva fare un grande Piemonte nel 1857 e si accordò con la Francia di Napoleone III. Poi l'obiettivo cambiò e divenne assai più ambizioso: volle fare l'Italia. Si alleò con Garibaldi, con Ricasoli, con Minghetti e con l'Inghilterra. Si sarebbe alleato anche col diavolo se fosse servito. Quale politica non fa compromessi? Perfino Cesare li fece. Perfino Napoleone. Hitler no, non li fece. Voleva sterminare gli ebrei e li sterminò. Voleva conquistare tutta l'Europa e c'era quasi riuscito se non ci fosse stato Pearl Harbor e se Roosevelt non si fosse alleato con Stalin. Ma Hitler non era un politico, era un pazzo criminale. Antipolitico per eccellenza. Anche la Chiesa ha fatto compromessi. Perfino con Hitler. Con Mussolini. Con Franco. Con Breznev. Con Jaruzelski. Con Gorbaciov. Tutte le volte che le è convenuto ha stipulato concordati. Non è forse un compromesso il concordato? Si patteggia, si dà e si prende. La fede non fa compromessi. Ma la fede riguarda la coscienza individuale, non le organizzazioni che l'amministrano. La Chiesa e la sua gerarchia sono il corpo che riveste la fede. Talvolta il corpo esprime e realizza l'anima, talaltra la rinserra nei suoi corposi interessi mondani. Questo è sempre stato il rapporto tra la gerarchia dei presbiteri e la comunità dei fedeli. Lo scontro tra il modernismo e il Vaticano ebbe proprio questa motivazione. Finì con la persecuzione dei modernisti della quale c'è traccia evidente perfino nel Concordato del '29. Il cristianesimo diffuso dalla predicazione degli apostoli è la religione dell'amore. Ma non sempre. È singolare che nel dibattito in corso tra il Vaticano e il governo italiano nessuno (salvo i radicali) abbia menzionato il Concordato. Come se non esistesse più. Come se fosse caduto in desuetudine. Come se non fosse stato recepito nella Costituzione del 1947. Infatti è caduto in desuetudine. O meglio: sta in piedi soltanto a tutela dei benefici che ne riceve la Chiesa. I limiti che la Chiesa ha pattuito con lo Stato sono stati invece superati. Il deputato Capezzone, tanto per dire, si è stupito l'altro ieri perché si aspettava che il governo protestasse con la Santa Sede per l'irritualità compiuta dalla Cei con l'irruzione palese e anticoncordataria compiuta nei confronti del potere legislativo, così come il governo aveva ritenuto irrituale l'intervento dei sei ambasciatori che ci invitavano perentoriamente a restare in Afghanistan senza se e senza ma. Ha ragione Capezzone. Ma ha ragione anche il governo. Il Vaticano in Italia è infinitamente più forte degli ambasciatori dei sei paesi alleati. È più forte come potere temporale. Pretende di dirigere le coscienze dei fedeli anche - anzi soprattutto - quando rivestano cariche ministeriali o siano membri del Parlamento. Chiede, anzi pretende obbedienza. Ho letto l'intervista di Rosy Bindi su Repubblica di ieri. Dice: "Abbiamo scritto una legge giusta che tutela i più deboli, riconosce diritti alle persone discriminate, non crea nessuna figura giuridica che possa attentare alla famiglia. L'insegnamento cattolico parla di valore della giustizia, di pace, di libertà personale, di accoglienza perfino dell'errore. Di carità e di 15 misericordia... Un politico non deve sentirsi referente di nessuno. Il mio referente è il Paese e la mia coscienza cattolica". Ebbene, questo è il punto che per i vescovi italiani ha l'effetto d'un panno rosso davanti a un toro infuriato: il fatto che il laicato cattolico democratico abbia come riferimento la Costituzione e la propria coscienza cattolica e sulla base di questi due riferimenti fondamentali arrivi a conclusioni difformi da quelle della gerarchia ecclesiastica. La considera una ribellione perché ha perso la nozione esatta della parola Ecclesia. Che non distingue tra presbiteri e fedeli. Ecclesia è la comunità cristiana, è comunione partecipata perché tutti prendono il corpo eucaristico del Cristo, tutti nello stesso momento e alla stessa mensa. La grazia non passa attraverso l'intermediazione dei presbiteri, ma il Signore la dispensa direttamente ai fedeli che credono in lui e da lui prescelti. Il neo-temporalismo è il contrario di tutto ciò. Non a caso Paolo VI ritenne la fine del temporalismo "un fausto evento per la Chiesa". Ma in realtà a partire dal pontificato di papa Wojtyla fino ad oggi la Chiesa sta devitalizzando i contenuti più significativi del Concilio Vaticano II e i due pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI. L'ha scritto a chiare lettere Pietro Scoppola nel suo articolo di tre giorni fa su Repubblica. Questo è il senso dell'operazione in corso, di cui il disegno di legge sulle convivenze non è che il pretesto. Si dice che il pensiero laico sia debole. Capisco perché lo si dice: i laici (qui intesi come laici non credenti) non hanno né papi né cardinali né vescovi né preti. Ciascuno parla per sé e rappresenta solo se stesso. Per fortuna. Non significa che un pensiero laico non esista e neppure che sia debole. Al contrario è forte, è lucido, è coerente alle sue premesse e nella sua dialettica con i clerici. Basta aver letto i più recenti prodotti di questo pensiero pubblicati questa settimana dal nostro giornale: l'articolo di Ezio Mauro e quello di Gustavo Zagrebelsky a proposito del "non possumus" episcopale. I laici sono favorevoli allo spazio pubblico che spetta alla Chiesa, per ampio e crescente che sia, e ascoltano la sua parola con interesse traendone elementi di positiva riflessione e di rispettosa accoglienza quando ve ne siano, contestando elementi di intolleranza e tentazioni teocratiche che spesso, purtroppo, vi sono. I laici non sono anticlericali, anche se l'episcopato italiano sta facendo il possibile per farceli diventare. Ma i laici hanno come solo punto di riferimento il patto costituzionale. Su quel patto si fonda la Repubblica italiana e in esso ciascuno trova le radici della sua identità. Perciò mi stupisco molto di coloro che sarebbero pronti ad accettare i patti di convivenza purché limitati agli eterosessuali. La Costituzione vieta in modo esplicito che la legislazione possa introdurre norme discriminanti nei confronti dei cittadini per ragioni di etnia, di religione, di sesso. Un regime di convivenza che discriminasse gli omosessuali cadrebbe ovviamente sotto la scure della Corte costituzionale e, prima ancora, sotto quella del Capo dello Stato secondo i poteri e le modalità che gli sono attribuiti. Quindi tutto è molto chiaro. I laici vogliono il rispetto della Costituzione e di conseguenza anche del Concordato. Qualcuno, prima o poi, chiederà alla Corte se il Concordato sia ancora in vigore o sia gravemente leso. E qualora lo fosse, quali siano gli strumenti atti a recuperarne il rispetto o a proclamarne la decadenza per doveroso recesso della parte lesa. 487 - STRATEGIA DEL PORPORATO - DI STEFANO CECCANTI da: l' Unità di mercoledì 14 febbraio 2007 La polemica ecclesiastica contro i Dico ha subito l’accelerazione massima il giorno in cui è stato reso noto il manifesto del futuro Partito democratico. Non è una mera coincidenza e dobbiamo dirlo chiaramente, senza ipocrisie: lo abbiamo capito bene, la campagna contro i Dico non è guidata in molti da un prevalente scopo religioso. Ma fa parte di una sorta di «strategia verbale della tensione» contro il Pd, come si spiegherà tra breve. 16 Parto da una premessa. Ho sempre avuto paura di coloro che dicono di occuparsi di politica in nome di una fede, come conseguenza diretta e immeditata. Ma il credente si impegna in politica certo non prescindendo dalla fede; più esattamente lo fa a partire dalle motivazioni ulteriori che gli fornisce la fede, anche alimentata in esperienze comunitarie. È ovvio che da queste premesse ad un preciso articolato di legge come quello sui Dico ci sono tanti passaggi intermedi opinabili che sfociano in giudizi concreti molto diversi. Questo va detto sia a chi voglia sacralizzare quelle proposte sia a chi le voglia criticare. Per quel poco che conta, dal punto di vista parziale e opinabile di chi come me ha contribuito a scriverli, non si è trattato di un cedimento a valori di altri, ma di un modo di rispondere a quell'istanza evangelica che è esposta in particolare nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo, dove il giudizio finale è basato sul dovere di solidarietà, principio che vale anche per tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche e nei confronti di qualunque uomo, a prescindere dalle valutazioni morali nei confronti suoi e dei suoi comportamenti. I principi che il cardinale Martini aveva in modo puntuale contestualizzato a proposito delle coppie di fatto in S. Ambrogio il 6 dicembre 2000, segnalando che esse sono riconosciute dalla Corte costituzionale all'interno della tutela dell'articolo 2 della Costituzione tra le «formazioni sociali» in cui le persone sviluppano la loro personalità e che l'autorità pubblica «può adottare un approccio pragmatico e certo deve testimoniare una sensibilità solidaristica». So che la gran parte dei vescovi la pensa diversamente; fin qui solo mons. Bettazzi ha apprezzato i Dico e vedo che la critica è molto forte. Questo mi dispiace, ma rientra nei prezzi da pagare per chi si assume le proprie responsabilità che mi è stata insegnata proprio nell'associazionismo cattolico. Ci sono però due aspetti delicati da sottolineare che vanno al di là del dispiacere personale. Il primo è la futura nota dei vescovi, di cui non conosciamo ancora il testo, ma che è stata preannunciata con toni preoccupanti. È evidente infatti che se i suoi contenuti dovessero contenere anche una sorta di mandato imperativo ai parlamentari cattolici, i quali sono chiamati ad approvare leggi che ricadono su tutti, si sarebbe di fronte, come ha notato autorevolmente e puntualmente Leopoldo Elia, a un inedito livello di tensione tra la Chiesa e lo Stato, per il fatto che essi sono definiti dall'articolo 7 della nostra Costituzione «ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani». Il secondo è il carattere decisamente anomalo di alcune posizioni sin qui adottate e di quelle preannunciate rispetto non a i miei convincimenti personali, ma a quelle che la medesima Chiesa cattolica ha adottato nei casi analoghi più recenti negli altri ordinamenti. Faccio solo due esempi. Il cardinale Ouellet, primate del Canada, in una dettagliata presa di posizione del gennaio 2005 rivolta a tutti i parlamentari, non solo quelli cattolici (si trova integralmente sul sito http://www.cardinalrating.com/cardinal_72__article_673.htm) li invitava a «votare in piena libertà, con una coscienza illuminata sulle sfide e le implicazioni», e criticava i matrimoni gay richiamando positivamente l'esistenza in varie province della «forma giuridica dell'unione civile che garantisce alle persone di orientamento omosessuale alcuni benefici sociali e patrimoniali. Tale quadro giuridico protegge il loro diritto». Come si vede non solo ci si richiamava alla coscienza di tutti e non a un vincolo di mandato per i soli cattolici, ma nel merito, per evitare il matrimonio gay, si arrivava a sostenere l'accettabilità del riconoscimento dell'unione civile come tale e non solo dei diritti dei singoli nella convivenza. Il cardinale accettava cioè come male minore una soluzione ben più radicale di quella adottata nei Dico. Esattamente la stessa logica e le stesse conclusioni con cui il 4 luglio 2005 monsignor Blazquez, presidente della Conferenza episcopale spagnola, in un discorso ufficiale a Aranjuez chiariva che l'opposizione della Chiesa alla legge voluta da Zapatero sul matrimonio gay non andava vista solo in negativo, dato che essa invitava a prendere come esempio «altri Paesi intorno alla Spagna» che hanno scelto «altre forme di rispetto e di 17 salvaguardia di possibili diritti degli omosessuali, fiscali, di sicurezza sociale e altri, come si è fatto in Francia col cosiddetto patto di convivenza». Questi esempi chiariscono senza ombra di dubbio che le modalità e i toni dell'attuale opposizione ai Dico non sono la conseguenza necessaria e immediata della dottrina interna alla Chiesa cattolica né nei modi né nei contenuti. Dobbiamo pertanto ricorrere ad altre spiegazioni. Ce ne sarebbero di interne alla Chiesa, ma non è qui nostro interesse esaminarle. Ce n'è almeno una, squisitamente politica. Senza ignorare la convergenza di pressoché tutte le forze politiche dell'Unione, quello che ha dato noia è soprattutto quella tra i soggetti politici che stanno dando vita al Partito Democratico, sia il senso di responsabilità dei Ds sui contenuti della legge e in particolar modo sulle modalità di certificazione, sia l'autonomia politica della Margherita e in particolare della sua componente più legata alla storia del cattolicesimo democratico, che la convergenza verso il Pd ha consentito di esprimere in forma più chiara e più netta. Fin qui la frammentazione del quadro politico ha consentito a varie realtà esterne, compreso un certo modo lobbistico di declinare la presenza della Chiesa, di svilire l'autonomia della politica ponendo veti sulla base non della coscienza, ma di un'appartenenza. La realizzazione di un grande partito a vocazione maggioritaria riduce questi spazi di interdizione e tende a esaltare la capacità di sintesi che avviene attraverso i partiti, il rapporto con gli elettori sulla base di un chiaro programma, il lavoro di ascolto reciproco nelle istituzioni. Infatti, laddove questi partiti esistono, nessuno osa loro rivolgersi né in termini di metodo né di merito con toni ultimativi. Questo è in gioco realmente all'ombra dei Dico. 488 - SE LA CHIESA SFIDA LA COSTITUZIONE - DI STEFANO RODOTÀ da: la Repubblica di mercoledì 14 febbraio 2007 È ormai evidente che le gerarchie ecclesiastiche hanno deciso di collocare i loro interventi e le loro iniziative in una dimensione che va ben al di là del legittimo esercizio della libertà d´espressione e dell´altrettanto legittimo esercizio del loro magistero. Giudicano i nostri tempi con una drammaticità che fa loro concludere che solo una presenza diretta, non tanto nella società, ma nella sfera propriamente politica, può rendere possibile il raggiungimento dei loro obiettivi. E così espongono anche i loro comportamenti ad un giudizio analogo a quello che dev´essere pronunciato sull´azione di qualsiasi soggetto politico. Benedetto XVI ha affermato in modo perentorio che «nessuna legge può sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro della società con leggi in netto contrasto con il diritto naturale». Ed ha aggiunto che non si possono ignorare «norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore o dal consenso degli Stati, ma precedono la legge umana e per questo non ammettono deroghe da parte di nessuno». Di rincalzo, il Presidente della Commissione Episcopale Italiana, il cardinale Camillo Ruini, da almeno dieci anni protagonista indiscusso del corso politico della Chiesa, ha annunciato una nota ufficiale con la quale verrà indicato il modo in cui i cattolici, e i parlamentari in primo luogo, dovranno comportarsi di fronte al disegno di legge sui "diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi", i cosiddetti "Dico". Così, in un colpo solo, viene aperto un conflitto con il Governo, affermata la sovranità limitata del Parlamento, azzerata la Costituzione. Le parole sono chiare. Se nessuna legge può sovvertire la norma indicata dal Creatore per la famiglia, la legittima approvazione del disegno di legge sui Dico diviene un atto "sovversivo" del Governo. Se i parlamentari cattolici devono votare secondo le indicazioni della Chiesa, viene cancellata la norma costituzionale che prevede la loro libertà da ogni "vincolo di mandato" e l´autonomia e la sovranità del Parlamento devono cedere di fronte ad istruzioni provenienti da autorità esterne. Se non sono ammesse leggi che non corrispondono al diritto naturale, la tavola dei 18 valori non è più quella che si ritrova nella Costituzione, ma quella indicata da una legge naturale i cui contenuti sono definiti esclusivamente dalla Chiesa. Il crescendo dei toni e delle iniziative, nell´ultimo periodo soprattutto, rendevano prevedibile questa conclusione, peraltro annunciata dal "Non possumus" proclamato qualche giorno fa. Viene così clamorosamente confermata l´analisi che aveva colto nella linea della Chiesa l´intento di realizzare molto di più di un provvisorio allineamento della politica su una particolare posizione definita dalle gerarchie ecclesiastiche, di cui i parlamentari cattolici divenivano il braccio secolare. L´obiettivo era ed è assai più ambizioso: una vera "revisione costituzionale", volta a sostituire il patto tra i cittadini fondato sulla Costituzione repubblicana con un vincolo derivante dalla gerarchia di valori fissata una volta per tutte dalla Chiesa attraverso una sua versione autoritaria del diritto naturale (non dimentichiamo, infatti, che il diritto naturale conosce anche molte altre versioni, comprese quelle che non prevedono proprio la famiglia tra le istituzioni discendenti da tale diritto). Viene così travolto anche l´articolo 7 della Costituzione che, disciplinando i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, stabilisce che questi due enti sono, "ciascuno nel proprio ordine", "indipendenti e sovrani". Nel momento in cui la Chiesa proclama che vi sono "norme inderogabili e cogenti" che non possono essere affidate alla volontà del legislatore, nega in queste materie l´autonomia e l´indipendenza dello Stato e sostituisce la propria sovranità a quella delle istituzioni pubbliche. Il patto costituzionale tra Chiesa e Stato viene infranto, quasi denunciato unilateralmente. Questo è il quadro istituzionale e politico disegnato con assoluta nettezza dai molti interventi vaticani. Un quadro di rotture e di conflitti, davvero sovversivo delle regole costituzionali, con una delegittimazione a tutto campo delle iniziative di Governo e Parlamento che trasgrediscano ciò che la Chiesa, unilateralmente, stabilisce come "inderogabile e cogente". Sapranno le istituzioni dello Stato rendersi conto di quel che sta accadendo? Non devono ritrovare solo l´orgoglio della propria funzione, ma il senso profondo della loro missione, la stessa loro ragion d´essere, che ne fa il luogo di tutti i cittadini, credenti e non credenti, comunque liberi e degni d´essere rispettati in ogni loro convinzione, e in ogni caso fedeli, come devono essere, alla Costituzione e ai suoi valori. 489 - QUANDO L’ATEISMO DIVENTA UN BESTSELLER – DI GABRIELE ROMAGNOLI La Repubblica – mercoledì 21 febbraio 2007 Uno è inglese e sta da quasi sei mesi nelle classifiche dei più venduti di mezzo mondo. Un altro americano e lo vedi in mano ai passeggeri di qualunque aeroporto. Un terzo italiano e circola sospinto da un passaparola. Sono tre libri: The God delusion di Richard Dawkins, Letter to a christian nation di Sam Harris e Babbo Natale, Gesù adulto di Maurizio Ferraris. La loro diffusione è un caso editoriale, ma non è un caso dal punto di vista storico. Nell’epoca del «ritorno della religione» stanno all'opposizione. Liquidarli come pubblicistica atea sarebbe grossolano. Leggendoli uno dopo l’altro si ricavano alcune considerazioni comuni. Almeno tre. Quel che invece nessuno di loro cerca di fare (benché gli venga attribuito) è provare l'inesistenza di Dio. Non lo fanno perché sanno che è impossibile, come lo è per qualsiasi testo (anche sacro) provarne l'esistenza. Dio resta «un ottativo del cuore» (come lo definiva Feuerbach) o l'oggetto di una scommessa (come sosteneva Pascal). Quel che fronteggiano è la religione, fenomeno sempre più avulso dall'idea stessa di Dio, tant'è che alla domanda «In che cosa crede chi crede?» Ferraris, relativamente al mondo cristiano, non risponde: «In Dio», ma: «Nel Papa». E ora i tre punti comuni. Il primo è che sia giunto il tempo di non avere più soggezione delle idee religiose. Dawkins in realtà usa la parola «rispetto», giudicandolo «immotivato». Nella sua prosa colorita scrive: «Se qualcuno sostiene che le tasse dovrebbero salire o scendere ti senti libero di litigarci. Ma se invece afferma che di sabato non si dovrebbe neppure fare il gesto di premere un 19 interruttore gli dici: è un'opinione che rispetto». Perché la trovi sensata? No, perché la trovi religiosa. E dovrebbe bastare? Solo per via di quella «soggezione» che sarebbe ora di rimuovere. Già nel suo precedente libro, La fine della fede, Harris aveva scritto: «Usiamo molte parole per definire convinzioni irrazionali. Quando sono molte diffuse le chiamiamo "fedi" anziché "psicosi" o "illusioni". Chiaramente la sanità mentale è una questione di quantità». Che cosa è successo? Perché un numero crescente di liberi pensatori si sente in dovere di contrastare non solo nel privato della propria mente, ma in pubblico, l'idea religiosa? La risposta è in cielo, per quanto vi sembri paradossale. Nel cielo sopra New York, mostrato nel trailer di un documentario prodotto da Channel Four e intitolato «La radice di ogni male?». Con una sovrascritta: «Immagina un mondo senza religione». Il punto è: in quell'azzurro svettavano (ancora) le Torri Gemelle. Perché rispetti l'idea religiosa (o ne hai soggezione) e ti trovi davanti a uno che alza il cartello «Decapitiamo chi dice che l'Islam è violenza» a una manifestazione originata da qualche vignetta che pochi hanno avuto, più che il coraggio, la lucidità di definire libera, ancorché non divertente, espressione. O a un Papa che si occupa (indirettamente) di Fiorello e direttamente delle leggi italiane sulla famiglia (ma non di quelle portoghesi sull’aborto). «E' un'opinione che rispetto». Perché? Perché attiene alla fede. Ma solo alcune fedi ottengono quel rispetto. Come al solito il discrimine è la quantità delle persone coinvolte. Si rispetta chi crede (o dice di credere, o crede di credere) nella Santissima Trinità o nell'ascensione di Maometto al cielo su un cavallo bianco dallo stesso chilometro quadrato in cui Gesù fu deposto e i! Tempio eretto, ma non gli adepti del Mostruoso Spaghetto Volante, culto nato su Internet, che pure ha un suo "vangelo" e ha già avuto il suo ineluttabile «scisma». Di quelli, e di qualche setta, purché lontana e purché non sia Scientology, fare dello spirito è, per ora, oltreché facile, consentito. Non se dovessero moltiplicarsi. Comune a Dawkins, Harris e Ferraris è la sensazione che a non ottenere rispetto, benché numerosi, siano gli atei. Per esperienza recente riporto due esempi. Un fondamentalista islamico mi chiede: «Tu di che religione sei?». Rispondo: «Nessuna». «Allora non esisti», e si gira dall'altra parte. Assisto alla discussione tra un ateo e un cattolico, entrambi in apparenza tolleranti. Il primo racconta di essersi sposato in chiesa. E perché mai? «Lei era cristiana, ho preferito entrare io piuttosto che far uscire lei». Il cattolico s'infuria sostenendo che il sacramento è stato «profanato». A continuare così, chi non crede sembra destinato ad accettare una situazione che pochi trovano ancora anormale. Quella in cui, come scrive Ferraris «I telegiornali ci danno notizie dell’avvenuto miracolo di San Gennaro conia stessa tranquilla sicurezza con cui parlano di incidenti stradali». Il secondo punto è la sfiducia in due chimere: il moderatismo religioso e il dialogo tra fedi. Harris è logico e spietato: «O la Bibbia è un libro qualsiasi o non lo è. O Gesù era divino o non lo era. Se la Bibbia è un libro qualsiasi e Gesù un uomo comune, la dottrina cristiana è fasulla e chi la segue un illuso. O ha ragione lui o io. In mezzo non c'è nulla». La sensazione comune è che, come accade nei movimenti d'opinione, siano inevitabilmente destinate a prevalere le tesi più radicali e che per il liberalismo religioso non ci sarà spazio. Paradossalmente, ma non troppo, già questi atei lo disistimano, giacché il salto irrazionale che la fede impone non riescono a concepirlo se non completo. Chi l'ha fatto è finito su una sponda in cui se ne sta insieme con chi ha seguito lo stesso percorso. Due sponde sono come rette parallele e non s'incontrano mai. Di che cosa si può mai parlare nel dialogo interreligioso, si chiede Harris, se le fedi hanno punti di vista incompatibili e, per principio, immutabili? Perché dovremmo illuderci che si mettano d'accordo e cessino le guerre di religione camuffate da conflitti etnici o d'altra natura che insanguinano il nostro presente? 20 Il terzo punto è il più nevralgico, il più attuale e quello che più ci tocca: l'insofferenza per l'ingerenza della religione nella vita sociale, per la pretesa di regolare in suo nome e per conto la nascita, la morte e gli eventi principali che stanno tra l'una e l'altra, cominciando con l'unione di una coppia. Ovvero, come si può, sulla base dell'irrazionale, arrivare a delimitare il confine da cui comincia la vita? O a una fatwa che spiega come e dove baciare la moglie durante il ciclo mestruale? O a criticare il fondamento di una proposta di legge sui diritti delle coppie conviventi da sottoporre all'esame di un parlamento liberamente e (più o meno) razionalmente eletto? Perché quell'irrazionale ci renderebbe migliori, ci darebbe una morale evitando di sbranarci come bestie? Secondo Dawkins anche questa è un'illusione, finita per lui il 17 ottobre del 1969. In quella data nella religiosa città di Montreal, in Canada, la polizia scioperò. Il livello di crimini commessi in poche ore fu tale da richiedere l'intervento dell’esercito. Scioperavano gli agenti nelle strade e anche Dio nelle coscienze? Perché non validare allora il Supremo Divorzio? Quale? Quello proposto da un quarto libro, il più devastante di tutti, perché non scritto da un ateo e neppure da un agnostico, ma da un credente, addirittura l'ex vescovo di Edimburgo, Richard Holloway. Già il titolo Godless morality (Una morale senza Dio) suggerisce all'uomo raffigurato in copertina, sperduto a un incrocio di strade, di tenere separate le due indicazioni, gli dice che non deve necessariamente credere per essere buono e, più avanti, che «la morale si basa su effetti dimostrati, non su convinzioni o superstizioni». Con estremo senso pratico l'ex vescovo scrive che «I vincitori non solo fanno la storia, tendono a fare anche la morale» e rivela che questa guerra delle idee rivestita di porpora è una qualsiasi guerra di potere. 490 – AIUTATE MIO MARITO A MORIRE O ANDRO’ ALL’ESTERO – DI G. M. BELLU da: la Repubblica di giovedì 15 febbraio 2007 SASSARI - «Cerchiamo un anestesista. Uno che, come Mario Riccio con Piergiorgio Welby, sia disposto a eseguire quella manovra. Se non lo troveremo in Italia andremo all´estero, in Olanda o in Svizzera». Sono da poco passate le otto di sera e Maddalena Nuvoli ha appena concluso il quotidiano incontro col marito Giovanni nella sala rianimazione dell´ospedale civile di Sassari. Assieme hanno discusso il no del magistrato alla loro richiesta di sospensione assistita della ventilazione artificiale. L´hanno fatto con la tecnica tante volte sperimentata: la moglie fa scorrere il dito sulle lettere dell´alfabeto impresse su una lavagna trasparente, l´uomo batte le palpebre per dire «sì, è giusta» e così compone parole, frasi, discorsi. Quello degli occhi è l´unico movimento che la sua malattia, la sclerosi laterale amiotrofica, gli consente. Era un atleta, un arbitro di basket, un uomo alto un metro e ottantacinque per ottanta chili. Adesso ne pesa venti e chiede di morire a 53 anni. «Ma non è un´eutanasia - dice Maddalena Nuvoli, che ieri ha avuto la solidarietà di Mina Welby - Non stiamo chiedendo che qualcuno ponga fine alla vita di Giovanni con un´iniezione. Pretendiamo solo che l´uomo tolga dal corpo di Giovanni quello che l´uomo ha messo». Nel motivare il suo no, il sostituto procuratore di Sassari Paolo Piras ha definito «schizoide» l´ordinamento italiano su questa materia. Infatti, «da un lato riconosce il diritto di rifiutare le cure ventilatorie, dall´altro non appresta i mezzi per assicurarne la tutela». La contraddittorietà delle norme emerge dallo stesso percorso che ha portato il caso Nuvoli negli uffici giudiziari. L´atto che contiene il "no" è la richiesta di archiviazione dell´indagine per violenza privata che era stata aperta nei confronti del primario del reparto di rianimazione, Demetri Vidili. Violenza che, nell´ipotesi accusatoria ora accantonata (ieri il giudice per l´udienza preliminare Maria Teresa Lupinu ha accolto la richiesta), sarebbe stata messa in atto col rifiuto di staccare la spina. Ma, secondo il sostituto, «non si può costringere un medico, neppure indirettamente, a compiere un atto al quale la sua coscienza si ribella». 21 Dunque il reato non c´è. Tuttavia, sottolinea lo stesso sostituto, la richiesta di Nuvoli è legittima. L´articolo 32 della Costituzione, al secondo capoverso, dice: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». E non esiste alcuna legge che disponga l´obbligatorietà della ventilazione artificiale. La schizofrenia dell´ordinamento è resa ancora più chiara da quel «neppure indirettamente» col quale il sostituto procuratore rafforza, rendendolo assoluto, il diritto all´obiezione di coscienza del medico. Spiega Maddalena Nuvoli: «Noi non chiediamo al direttore del reparto di rianimazione di compiere quell´atto. Chiediamo che un anestesista disposto a compierlo sia autorizzato a entrare nell´ospedale». Nemmeno questo, secondo il sostituto procuratore, è possibile. Infatti, davanti al rifiuto del dirigente sanitario, dovrebbe essere il magistrato ad autorizzare l´ingresso dell´anestesista. Ma ciò non rientra nei suoi poteri. La prima reazione di Giovanni Nuvoli è stata di sconforto. «Mi tocca sopportare anche questo», ha detto. Poi ha avuto la forza di elaborare una strategia. In un passaggio del suo atto, lo stesso sostituto procuratore sembra implicitamente suggerirla. Per escludere il reato di violenza privata, infatti, scrive: «Il paziente può, in qualsiasi momento, sottrarsi all´ospedalizzazione rilasciando la cosiddetta liberatoria e richiedendo il trasferimento presso la propria abitazione di sé e dei presidi sanitari dai quali dipende. Già in passato, il Nuvoli ha trascorso lunghi periodi presso la propria abitazione. Ad un trasferimento non ci può opporre in alcun modo». «È vero - conferma Maddalena Nuvoli - mio marito è malato da sei anni ed è ricoverato all´ospedale civile da poco più di un anno, cioè da quando sono nati dei problemi perché alcuni infermieri non erano in grado di eseguire in modo adeguato alcune pratiche mediche. In passato ha alternato lunghi periodi di permanenza a casa a periodi in ospedale. Non appena troveremo un anestesista, rilasceremo la liberatoria e Giovanni tornerà a casa. Poi conoscerà la persona disposta ad aiutarci. Parleranno. Prenderanno tutto il tempo che sarà necessario per conoscersi. Faranno assieme questo percorso. Poi, semplicemente, dal corpo di Giovanni saranno eliminati quegli apparecchi che gli sono stati applicati quando la malattia è diventata gravissima e che mai aveva visto né conosciuto in tutta la sua vita precedente». Commento. Giovanni Nuvoli, 53 anni, già atleta ed arbitro di basket, affetto da sclerosi laterale amiotrofica, la stessa malattia di Welby, chiede come Welby di essere distaccato dalla macchina per la ventilazione polmonare. Giovanni però, a differenza di Piergiorgio, è ricoverato in una struttura pubblica: l’ospedale di Alghero. Il primario del reparto rianimazione dell’ospedale, Demetrio Vidili, si rifiuta di staccare la spina. Maddalena, la moglie di Giovanni, d’accordo col marito chiede allora di affidare l’incarico ad un medico anestesista di sua fiducia, esterno all’ospedale. Il primario rifiuta l’autorizzazione all’accesso dell’anestesista. Maddalena lo denuncia per “violenza privata”. Il sostituto procuratore di Sassari, Paolo Piras, “archivia” la denuncia, seguendo così la strada “pilatesca” aperta dal giudice di Roma sul caso Welby. A parole riconosce il diritto del paziente di essere distaccato dalle macchine, nei fatti gli nega l’esercizio del suo diritto. Esaminiamo le due motivazioni sulle quali il giudice Piras ha basato la sua decisione. 1. “Non si può costringere un medico, neppure indirettamente, a compiere un atto al quale la sua coscienza si ribella». Ammesso pure che in ospedale valga l’obiezione di coscienza dei medici e non la volontà del malato, NESSUNO aveva chiesto al primario di staccare personalmente la spina, ma solo di consentire ad un altro medico di farlo. Ed ecco allora la seconda “scusa” del magistrato: 2. “Non rientra nei suoi poteri autorizzare l’ingresso dell’anestesista”. A parte che l’ospedale non è un carcere di massima sicurezza, a chi spetta rimuovere un comportamento contrario alla legge? 22 La verità è che anche il giudice di Sassari non ha voluto assumersi le sue responsabilità, forse intimorito dall’impatto che una sua diversa decisione avrebbe avuto sulla pubblica opinione. E così anche il primario, forse perchè non vuole correre il rischio di essere incriminato da qualche “benpensante”, ivi compreso l’arcivescovo di Sassari, Atzei. I coniugi Nuvoli pensano di trovare una via di scampo lasciando l’ospedale e ritornando a casa, in modo di essere poi liberi di trovare un medico disponibile a staccare la spina oppure di recarsi all’estero. L’assessore regionale alla Sanità, Nerina Dirindin, ha assicurato che Giovanni potrà lasciare l'ospedale quando vorrà. Come a dire “muoia dove vuole, ma non in ospedale”, ove invece il suo diritto poteva essere meglio esercitato. Ancora una volta si dimostra che quando le leggi sono contrarie al sentimento popolare non resta che aggirarle. In proposito si riporta qui sotto l’articolo di G. M. Bellu “Un medico aiuti mio marito a morire o lo farò all´estero”, pubblicato su la. (gps). 491 - TESTAMENTO DI VITA - INTERVISTA A PAOLO VEGETTI da: Una città n. 144 - dicembre-gennaio 2007 - www.unacitta.it Il tema dell’eutanasia, anche alla luce degli ultimi casi di cronaca, è tornato di grande attualità. Potrebbe darci un quadro generale della situazione? In effetti in questi ultimi tempi il dibattito sull’ eutanasia è divenuto di grande attualità in tutto il mondo occidentale ed anche in Italia. Il dramma di Piergiorgio Welby ha dimostrato a tutti, penso proprio al di là delle proprie idee, che nel nostro sistema c’ è qualcosa che non funziona. Posso testimoniare di persona che questo tema il quale solo 10/15 anni fa era relegato a discussioni tra piccole minoranze, ora è un argomento di ampio dibattito. Basti pensare che un notissimo giornalista, Corrado Augias, socio onorario dell’ associazione “Libera Uscita” della quale faccio parte, tiene quasi una rubrica sull’ argomento su uno dei più diffusi quotidiani italiani. I sondaggi rivelano che la maggioranza degli italiani è sostanzialmente favorevole: non ultimo un sondaggio Eurisko, commissionato dalla Chiesa Valdese, la più aperta a queste problematiche, che dà una percentuale del 67% degli intervistati favorevole a qualche forma di eutanasia. Perché questo? Per due motivi. Il primo sta nella consapevolezza che la fine della vita può diventare con molte più probabilità rispetto ai tempi passati un lungo e doloroso e tragico percorso verso la morte. Quella che la Chiesa si ostina a chiamare fine naturale sta diventando, anche proprio per effetto di alcuni aspetti collaterali dei continui progressi della medicina, sempre meno naturale, compromettendo in modo decisivo ed in casi sempre più numerosi la qualità della vita stessa. Il secondo motivo è da ricercarsi in una convinzione che va sempre più radicandosi nella cultura del nostro tempo: quello del valore della qualità della vita e non della vita in sé; chi è convinto di questo tende quindi ad annettere valore alla cosi detta vita biografica più che alla vita biologica fino a riconoscere che oltre un certo grado di dolore, di mancanza di prospettive future, di impossibilità ad adempiere alle attività e funzioni minime della vita o anche alla perdita delle facoltà mentali (si pensi all’ Alzheimer o alla demenza senile), la vita non valga più la pena di essere vissuta. Il tutto in un quadro di principi che vede nell’ individuo il soggetto unico dei diritti sulla propria vita. Questa è, molto in sintesi l’ eutanasia cosi come oggi la vedono coloro che la sostengono. Quindi frutto di una cultura e di una situazione storica. Questo il quadro sociale e culturale. Voi mi chiedete quale è il quadro generale, quindi anche politico. Non molto incoraggiante, purtroppo. Le posizioni irrigidite su principi astratti della Chiesa rendono i progressi della politica molto problematici, proprio in un paese come l’ Italia. E’ inoltre mia impressione che sui temi dell’eutanasia, del suicidio assistito e del testamento biologico ed anche dell’ accanimento terapeutico si stia parlando molto spesso in modo improprio, anche da parte di coloro i quali sono deputati a emanare leggi in 23 materia. Oggi si parla molto di testamento biologico e se ne parla sempre a proposito dell’eutanasia, mettendolo in contrapposizione con l’ eutanasia. In più occasioni il nostro Ministro della Salute ha fatto dichiarazioni di questo tipo: “Sono contraria all’ eutanasia ma favorevole al testamento biologico”. Spiegherò più oltre come questa affermazione sia indice di poca chiarezza di idee. Altro esempio: pochi giorni fa il Prof. Marino, presidente della Commissione Sanità del Senato che ha il compito di discutere le varie bozze di proposta di legge sul testamento biologico ha affermato partecipando ad una nota trasmissione televisiva di medicina (“Elisir” del 7 gen 2007) che un esempio di eutanasia è l’ iniezione fatta ai condannati a morte (poi, di fronte ad un’ obiezione del conduttore si è parzialmente corretto). Se questa è chiarezza di idee…. Può aiutarci a capire la differenza tra eutanasia attiva, eutanasia passiva e suicidio assistito? Cercherò, per quanto mi è possibile, di fare di più, e cioè di dare una definizione del termine eutanasia e di introdurre anche i concetti di “accanimento terapeutico” e di “testamento biologico”. Questo perché, come vedremo in seguito, gli argomenti sono interconnessi. Innanzi tutto che cosa è l’ eutanasia: è un atto con il quale una persona procura la morte ad un’ altra persona per porre fine ad insopportabili sofferenza fisiche e morali. Si parla poi di eutanasia volontaria se è l’ interessato che la richiede. Prima di passare oltre è opportuno chiarire subito che è su questo tipo di eutanasia che si svolge prevalentemente il dibattito e per cui si battono i movimenti che hanno come scopo la depenalizzazione dell’ eutanasia stessa. Infatti alla base dell’ eutanasia volontaria sta il diritto della persona di decidere della propria vita e della propria morte. Si parla di eutanasia non volontaria allorquando non vi è la richiesta dell’ interessato. Vedremo in seguito, sviluppando i temi del testamento biologico, come questa ipotesi, che comporta problemi etico-giuridici molto complessi, potrebbe, in presenza di un testamento biologico, considerarsi un’ ipotesi puramente teorica. L’ eutanasia attiva: si ha quando all’interessato viene procurata o accelerata la morte; c’è quindi un atto, che può consistere nel fare un’iniezione o nel dare una bevanda, che procura la morte. L’ eutanasia passiva: è l’omissione di atti che potrebbero prolungare, anche per un breve periodo, la vita della persona, ad esempio l’utilizzo del respiratore. Queste definizioni sono necessariamente schematiche, ma in generale possiamo dire che l’eutanasia attiva è un procurare la morte, mentre l’eutanasia passiva consiste nel non compiere quegli atti che potrebbero prolungare la vita. Il suicidio assistito, per il quale credo che non ci sia neppure una definizione scolastica, si ha quando una persona che decide di suicidarsi ma non è in grado di farlo chiede la collaborazione di un terzo che gli procuri il mezzo per morire. Nel quadro dell’ argomento che stiamo trattando, è chiaro che il suicidio assistito si presenta – quando è possibile come alternativa all’ eutanasia attiva volontaria in un contesto analogo. In altre parole parliamo di suicidio assistito motivato da gravi ragione di salute e non di suicidio tout court, che non è il caso di trattare in questa sede. Veniamo ora al così detto accanimento terapeutico: si ha quando da parte dei medici si sottopone il malato a trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondamentalmente attendere un beneficio per la salute del malato o un miglioramento della qualità della vita. L’ accanimento terapeutico è vietato dal codice di deontologia medica (non a caso ho usato per definirlo le stesse parole di cui all’ art. 16 del nuovo Codice di Deontologia medica approvato nel dic. scorso). Anche la Chiesa lo rifiuta. Il rifiuto della pratica dell’ accanimento terapeutico se correttamente attuata, e se all’ interno dei comportamenti vietati saranno ricompresi anche atti che a discrezione della medicina e della giurisprudenza) possono essere invece considerati atti di sostegno vitale (come ad esempio l’ alimentazione artificiale o la ventilazione forzata), forse renderebbe superfluo 24 parlare di eutanasia passiva. Ma al momento così non è. Il caso Piergiorgio Welby e quello di Eluana Englaro, di cui parlerò più avanti, insegnano. Infine il testamento biologico che nel nostro paese non è previsto dalla legge, al contrario di gran parte dei paesi occidentali dove è conosciuto con il termine inglese di “living will”: esso è un documento con efficacia legale con il quale una persona esprime le proprie volontà – ora per allora – circa le decisione da prendere riguardo la sua persona in un eventuale momento della sua vita in cui non fosse più in grado di intendere e volere, e può anche nominare un fiduciario che decida in quel momento per lui. E’ in sostanza un testamento di vita che vale per quando l’ interessato è ancora in vita, a differenza del testamento che conosciamo il quale esprime volontà per dopo la morte. Il testamento biologico poco o nulla ha a che vedere con l’ eutanasia, per noi che ce ne occupiamo, in quanto eventuali disposizioni in questo senso scritte sul testamento sarebbero date per non espresse (fino a quando nel nostro paese l’ eutanasia è vietata). Il caso Welby insegna ancora: infatti egli, che pure era in grado di esprimersi, aveva chiesto al Presidente della Repubblica che gli fosse praticata l’ eutanasia, ma invano; a nulla quindi gli sarebbe servito il testamento biologico. Peraltro una legge che desse una formulazione abbastanza ampia dei casi in cui si riconosce alla persona il diritto di decidere sulle sul futuro della propria vita e della propria morte, potrebbero fare qualche passo avanti al nostro paese in questa direzione. Quindi in Italia è tutto perseguibile penalmente… È tutto perseguibile penalmente e quando si parla di eutanasia o di suicidio assistito non esiste possibilità di interpretazioni diverse. Ma qual è la situazione del nostro paese da un punto di vista legislativo? Nel nostro paese le situazioni che ho enunciato sommariamente (eutanasia attiva, eutanasia passiva, suicidio assistito) non sono citate dal Codice Penale con la terminologia con la quale le ho enunciate. Nel nostro Codice Penale i tre casi potrebbero essere rubricati come reati e rispettivamente come omicidio del consenziente, istigazione al suicidio e omissione di soccorso. Questi sono i tre casi che più si accostano alle situazioni preannunciate, per finire con il quarto, che è l’omicidio tout court. Potrebbero pertanto essere ricondotti: l’eutanasia passiva all’omissione di soccorso, l’ eutanasia attiva all’omicidio del consenziente e il suicidio assistito all’ istigazione al suicidio. Qualcosa però si muove, grazie alle iniziative di gruppi come il nostro ed ad un maggiore interesse dell’ opinione pubblica. Per quanto riguarda l’ eutanasia nella scorsa legislatura erano depositati in Parlamento alcuni disegni di legge ad oc, uno dei quali a firma del Senatore Battisti (Margherita), socio onorario della nostra associazione, rimasti tutti nel cassetto. Il presidente del Senato non rispose neppure alla richiesta di un incontro pervenutagli dal nostro presidente. Nell’ attuale legislazione mi risulta al momento depositata una nostra proposta di legge ed una a firma dell’ on. Katia Zanotti (DS). Le raccomandazioni rivolte al Parlamento del nostro Presidente della Repubblica, fanno sperare che ci potrà essere un dibattito nel corso di questa legislatura. Di qui a vedere una legge che depenalizzi l’ eutanasia ce ne passa….. Diverso è il discorso per quanto riguarda il testamento biologico. Il nuovo Parlamento ha messo in agenda, come ho già detto, la discussione di una normativa che va sotto questo nome. I progetti di legge sono vari e tra questi il nostro. In realtà si tratta di attuare una normativa più vasta di quella che va sotto il nome di testamento biologico e che consiste nel tradurre in legge ordinaria alcuni diritti gia previsti nella nostra Costituzione e nella Convenzione di Oviedo approvata dal Consiglio di Europa nel ‘97 e che riguardano i seguenti temi: - il diritto all’ informazione sulla salute - il diritto alla libera determinazione sui trattamenti sanitari 25 il diritto di redigere direttive anticipate (il living will) ovvero testamento biologico vero e proprio Infatti la maggior parte dei progetti di legge proposti conterranno in premessa l’ affermazione del diritto al così detto “consenso informato” ovvero il diritto del malato ad avere un’informazione chiara sul proprio stato di salute e delle conseguenze cui può andare incontro a seguito di interventi o esami e che ad essi ha diritto di dare o negare il suo consenso. Con questo verranno recepiti in una legge ordinaria i principi contenuti sia nella nostra Costituzione (art. 32) che nella Convenzione di Oviedo (Convenzione sui diritti umani e sulla biomedicina, approvata dal Consiglio di Europa ad Oviedo il 4.4.97 e divenuta legge dello Stato nel marzo 2001). Su queste premesse andranno poi discusse le norme sul testamento biologico. Una buona legge dovrà contenere una formulazione ampia dei casi nei quali una persona potrà avere il diritto di esprimere il proprio consenso, mi riferisco in particolare a quei casi oggi cosi controversi nei quali gli addetti ai lavori interpretano spesso in modo discorde ciò che si intende per accanimento terapeutico (almeno formalmente non voluto da nessuno) e quelle che molti considerano solo attività di sostegno vitale (idratazione, alimentazione forzata ecc…) e quindi lasciati alla sola valutazione del medico senza il diritto di decisione del malato o del suo fiduciario. La battaglia su questo punto sarà dura a causa delle note posizioni della Chiese cattolica sull’ argomento, posizioni che in nome di principi astratti, perdono di vista l’uomo nella sua realtà. Si sente spesso ripetere la frase del tipo: “difendere la vita sino alla sua conclusione naturale”. Dobbiamo renderci conto, però, che la vita di Welby, con quattro tubi nel corpo, era assolutamente artificiale e che sono stati i progressi recenti che hanno creato questo tipo di situazioni. Il caso Welby, cioè, qualche decennio fa non ci sarebbe stato. Ricordo che questo punto è fondamentale; se non uscirà un testo di legge che permetta che non si ripetano situazioni come quella di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro avremo perso un’ occasione che difficilmente si ripeterà a breve. In conclusione questa legge – che non avrà riferimenti all’ eutanasia attiva - dovrà segnare un passo avanti sulla strada del riconoscimento dei diritti della persona, più precisamente del diritto di una persona di essere il depositario – l’unico depositario – dei diritti sul proprio corpo e la propria slute. Ecco perché il testamento biologico dovrà essere non solo l’ estensione di questi diritti esercitabili anche in un momento in cui il soggetto non sia più in grado di esprimere le proprie volontà, ma anche un ampliamento di questi diritti, facendo chiarezza in quelle zone d’ ombra e in quelle situazioni ora controverse che ora viviamo. Ora, sarà molto importante vedere che tipo di documento ne uscirà, perché potrebbe uscirne un testo talmente restrittivo da non servire a niente. Perché in Italia, come dicevo, nessuno, in linea di principio, si considera favorevole all’accanimento terapeutico, ma il problema emerge quando si entra nel merito delle situazioni. Resta il fatto che oggi, quando scatta il ricovero, specie in condizioni estreme, parte una macchina che poi è difficile fermare… Certamente. Due casi esemplari: Il caso di Piergiorgio Welby. Welby era affetto da distrofia muscolare, malattia che porta gradualmente alla degenerazione progressiva delle fibre muscolari; non era più in grado di respirare autonomamente; gli è stata praticata la ventilazione forzata, previa tracheotomia; avrebbe potuto rifiutarla (già oggi è diritto di ognuno di noi rifiutare una cura o un intervento chirurgico); non lo ha fatto subito; lo ha chiesto dopo mesi che si trovava in questa condizione chiedendo anche una preventiva sedazione per non morire soffocato e cosciente; il Tribunale glielo ha rifiutato motivando una carenza legislativa in materia; E tutto questo perché? Perché la sedazione in sé, quindi lil distacco della spina, avrebbe potuto portare alla morte, quindi eutanasia anzi omicidio. Avrebbe avuto solo il diritto di chiedere lo scacco della spina ma senza sedazione, morendo quindi soffocato, che era la cosa che lui - 26 più temeva. Un medico, sotto sua responsabilità, lo ha prima sottoposto a sedazione terminale, poi ha staccato la spina, rischiando però una denuncia per omicidio.. Altro esempio: Eluana Englaro una ragazza che ha avuto un incidente 14 anni fa e da allora è in coma irreversibile e viene tenuta in vita da una sonda che le fornisce l’alimentazione e da altri macchinari. Il padre si batte da 14 anni ed è ricorso a 4 gradi di appello senza essere riuscito ad ottenere il distacco della spina perché l’alimentazione forzata non viene considerata accanimento terapeutico ma un atto di sostegno vitale. Questa è la situazione oggi. L’accanimento terapeutico, per tornare al discorso precedente, non è voluto da nessuno: la Chiesa formalmente lo rifiuta, il codice di deontologia medica lo rifiuta, e credo che gli ospedali si comportino di conseguenza. Una cosa è intuibile: nel nostro paese i casi di questo tipo vengono risolti nel modo più logico ed umanamente accettabile quando le situazioni non si trovano sotto il faro dell’informazione. Pensiamoci: in un ospedale che ha 3 posti di terapia intensiva, ci sono 4 pazienti per i quali il chirurgo di corsia chiede la terapia intensiva, uno dei 4 ha 84 anni ed un femore fratturato, gli altri sono 3 giovani, cosa succede? Io me lo chiedo. Insomma, non possiamo far finta che tante decisioni non vengano già prese quotidianamente. Su queste tematiche c’è talvolta anche una forma di ipocrisia nel fingere di non sapere che certe situazioni già accadono. È chiaro che tutto cambia quando il caso diventa pubblico perché, parliamoci chiaro, l’eutanasia è un reato e dobbiamo metterci nei panni dei medici che devono prendere decisioni di questo tipo. Il caso Englaro e il caso Welby sono esempi tipici da questo punto di vista. La realtà è che staccare la spina significa assumersi delle responsabilità. Cosa succederà in Italia, anche alla luce di ciò che avviene negli altri paesi europei? Il testamento biologico è presente nella legislazione di molti paesi europei, e in quasi tutti quelli di cultura anglosassone. Credo che la legislazione scozzese sia una delle più avanzate da questo punto di vista. Ovviamente quando il testamento biologico è previsto dalla legge, viene seguito da tutti: dalla medicina, dagli ospedali, dai parenti… E dal momento che presenta le disposizioni e le volontà di una persona per gli ultimi momenti della propria vita, l’interessato può metterci ciò che vuole. Logicamente se una persona ci scrive che, qualora le cure non siano sufficienti a toglierlo da determinate situazioni, gli venga praticata l’eutanasia, il paese che non ammette l’eutanasia considererà questa volontà come non espressa. Questo avviene in tutti i documenti legali. L’Italia seguirà probabilmente le legislazioni di altri paesi. Il Consiglio europeo ha dedicato all’argomento una ricerca al termine della quale, il 4 aprile 1997, è stata stesa la convenzione di Oviedo. Tutti i partecipanti hanno firmato questa convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano. Questo testo comprende vari argomenti, tra cui quello importantissimo della ricerca. . La convenzione di Oviedo, quindi, contiene già in linea generale i principi a cui tutti gli stati europei dovranno uniformarsi e il 28 marzo 2001 è stata ratificata dal nostro Paese con decreto del Presidente della Repubblica italiana. Questo significa che il legislatore dovrà adattare la legislazione ordinaria italiana rendendola coerente con la Convenzione. Io credo che si farà una legge sul testamento biologico durante questa legislatura. Non so, però, se sarà una buona o una cattiva legge. E per quanto riguarda l’eutanasia? L’eutanasia è legge dello Stato in due paesi europei, l’Olanda ed il Belgio, e nello Stato dell’Oregon, negli Stati Uniti, anche se non conosco bene quest’ultimo caso. La legge olandese, ad esempio, prevede la depenalizzazione dell’eutanasia e la sua regolamentazione. In sostanza, è stata promulgata una legge che depenalizza i casi di morte procurata per eutanasia, che quindi non vengono più considerati omicidi, e regolamenta l’eutanasia di modo che, per ottenerla, sia necessario seguire una procedura. 27 La procedura prevede il rispetto di ben 25 rigide condizioni che vengono vagliate da un’ apposita commissione, dopo di chè l’eutanasia può essere praticata e questo avviene in una struttura pubblica. Si tratta quindi di un atto consentito, ma regolamentato. Da questo punto di vista è un caso simile a quello dell’aborto. In passato il dibattito sul tema dell’aborto era diviso tra chi ne chiedeva la liberalizzazione, e chi esigeva anche una regolamentazione. Quest’ultima opzione è stata poi quella che ha prevalso, per cui lo Stato assiste la donna che vuole abortire gratuitamente nel rispetto di alcune condizioni. Ecco, il sistema che è stato adottato in Olanda ed in Belgio per l’eutanasia è molto simile; non esistono situazioni di liberalizzazione dell’eutanasia. Un altro caso interessante è quello della Svizzera, dove l’eutanasia è un reato e rimane tale, allo stesso tempo viene consentito il suicidio assistito È una formula abbastanza anomala. La legge non ammette nessuna forma che procuri la morte, però alcune associazioni sono riuscite a far sì che le persone che chiedono di essere assistite a suicidarsi possano farlo. In pratica l’interessato deve procurarsi da solo la morte, però gli viene fornito il mezzo, la medicina che gli procura la morte. Entra in gioco un’ associazione cui l’ interessato chiede il suicidio assistito ; l’associazione informa la magistratura ; a quel punto i medici dell’associazione procurano il suicidio assistito all’interessato e la magistratura, avendone preso atto, decide per il non luogo a procedere. Esiste una giurisprudenza molto consolidata in materia. Personalmente è una procedura che mi lascia perplesso e non credo che in Italia sarebbe praticabile. Ci sarebbero certamente denunce da parte dei parenti, associazioni ecc. Evidentemente in quel contesto conta molto l’aspetto culturale. Parliamo di un paese caratterizzato da un forte pragmatismo, come pure da una maggiore partecipazione. Un’associazione svizzera di cui sentii parlare 7-8 anni fa, aveva 50mila iscritti. Noi non possiamo certo vantare gli stessi numeri… Ma come nascono e operano le associazioni che in Italia si occupano di queste problematiche? Non credo si possano fare discorsi di carattere generale sulle ragioni che portano ciascuno a far parte di queste associazioni. Ci sono persone che hanno avuto casi personali drammatici, altre che ne hanno fatto un punto di principio e altre ancora che ne hanno fatto una questione ideale. Per quanto riguarda il modo di operare ci sono diversi approcci. Questo è un discorso delicato che tocca il modo di operare delle varie realtà. Ci sono due modi di lottare per questi obiettivi: uno è di mantenersi nell’ambito della legislazione e di muoversi all’interno delle regole dello Stato ; l’altro è quello di cercare di dare delle spallate, cioè di essere più movimentisti, un po’ come i Radicali. C’ è chi tende maggiormente verso questo secondo approccio. Libera Uscita preferisce la prima strada .In questi due anni diverse persone italiane e straniere si sono rivolte a noi attraverso il nostro sito internet per avere delle indicazioni per porre termine alle proprie sofferenze. A tutti abbiamo risposto fornendo notizie reperibili pubblicamente sulla stampa, in televisione o su internet. A coloro che ci hanno chiesto di assisterli per un viaggio della morte, in Svizzera o in altri paesi, abbiamo fatto presente che la nostra missione è un’altra: è quella di modificare la legislazione affinché anche in Italia sia consentito ciò che è legale in altri paesi. Bologna, 17.1.2007 Paolo Vegetti è membro dell’associazione Libera Uscita (www.liberauscita.it). LiberaUscita è un’associazione laica che si propone di promuovere il dibattito sulla dignità della vita e della morte e sulla possibilità dell’individuo di scegliere in piena responsabilità, in presenza di certe condizioni - come ad esempio una malattia insostenibile - se intende o no continuare a vivere.L’obiettivo è poter arrivare anche in Italia, come già è accaduto in altri paesi europei ed extraeuropei, all’approvazione di una legge che depenalizzi il ricorso all’eutanasia. A questi fini è stata promossa la presentazione, da parte di parlamentari 28 sensibili a questi temi, di due proposte di legge, una riguardante appunto la depenalizzazione dell’eutanasia, l’altra riguardante la legalizzazione del testamento biologico. LiberaUscita ha sede in Roma, via Genova 24, 00184, e diramazioni in tutto il territorio nazionale. Può essere raggiunta anche via e-mail all’indirizzo [email protected]. 492 - PROPOSTE DELLA COMM. GIUSTIZIA SENATO SUL TESTAMENTO BIOLOGICO La commissione Giustizia di palazzo Madama ha formulato il 7 febbraio una serie di proposte emendative da inserire nei ddl sul testamento biologico all'esame della commissione Sanità. Innanzitutto la commissione ha sottolineato di non ritenere indispensabile l'obbligatorietà per il cittadino di esprimere le 'dichiarazioni anticipate', o meglio le sue 'direttive anticipate'; non è necessaria quindi la presenza del notaio. "E' un atto scritto -ha spiegato il presidente della Commissione Giustizia, Cesare Salvi- come previsto dalle norme del codice civile". La commissione però ha sottolineato l'importanza che "l'atto scritto contenente le direttive anticipate, una volta formato, deve essere unito alla cartella clinica, di cui costituisce parte integrante. La cartella clinica indica nel frontespizio la presenza o meno di direttive anticipate". L'atto scritto, una volta formato deve essere anche trasmesso, a cura delle persone interessate e comunque dal personale sanitario, al ministro della Salute, "dove viene inserito in un registro informatico centralizzato, tutelato secondo la normativa sui dati sensibili". Quanto alle informazioni che devono essere fornite al paziente, "l'informazione costituisce un obbligo per il medico -sottolinea la norma suggerita dalla commissione Giustizia- che deve provvedere al costante e permanente aggiornamento nei confronti del paziente. Tutte le informazioni devono risultare dalla cartella clinica". "Il consenso e il rifiuto del paziente, anche se parziali, sia alle informazioni che a qualsiasi genere di trattamento sanitario, devono essere annotati accuratamente e nel dettaglio nella cartella clinica". La commissione ha ritenuto necessario esonerare da qualsiasi tipo di responsabilità il personale sanitario che agisca secondo le direttive del paziente: "Il rifiuto del paziente a qualsiasi genere, anche se parziale, di trattamento sanitario - scrive la commissione - è vincolante per il personale sanitario, nelle strutture sia pubbliche che private". E ancora: "il rispetto della volontà del paziente, espressa personalmente o mediante direttive anticipate, esonera il personale sanitario dalle strutture sia pubbliche che private, da qualsiasi genere di responsabilità, compresa quella di natura penale". La commissione ha fornito anche le definizioni di 'trattamento sanitario' e di 'accanimento terapeutico'. Il trattamento sanitario è "ogni trattamento praticato, con qualsiasi mezzo, per scopi connessi alla tutela della salute, per fini terapeutici, diagnostici, palliativi, nonché estetici"; "costituisce -invece- accanimento terapeutico ogni trattamento praticato senza alcuna ragionevole possibilità di un vitale recupero organico-funzionale". La commissione ha anche sottolineato che "il fiduciario è vincolato alle direttive impartite dal disponente"; e in caso di mancanza di direttive anticipate o mancata nomina del fiduciario, sono state individuate, secondo determinato ordine, le persone autorizzate ad esprimere il consenso o il rifiuto sul trattamento sanitario proposto nei confronti della persona divenuta incapace: - amministratore di sostegno o tutore (se già ritualmente nominati); - coniuge non separato, legalmente o di fatto; - convivente stabile ai sensi della legge n. 149/2001; - figli; - genitori; - parenti entro il quarto grado. 29 La commissione Giustizia di palazzo Madama ha fornito anche alcune indicazioni in caso di eventuali contrasti: "nei casi di contrasto tra il personale sanitario e le persone legittimate ai sensi della presente legge nonché tra le stesse persone legittimate, viene proposto ricorso al giudice tutelare del luogo ove ha dimora l'incapace. Il giudice deve tenere conto delle volontà espresse dalla persona prima di divenire incapace, procedendo a tale fine alla assunzione e acquisizione di prove sia testimoniali che documentali". La commissione ha suggerito anche la possibilità di inserire, in questo caso, rigide norme processuali. La commissione Giustizia, infine, ritiene che non possa essere prevista alcuna forma di obiezione di coscienza. In ogni caso, le strutture sanitarie sia pubbliche che private devono garantire il rispetto della volonta' del paziente. Sono considerati "dati sensibili" tutte le notizie e le informazioni relative a queste norme. Quanto al registro nazionale, sarà istituito presso il ministero della Salute, ma è importante, per la commissione ai fini di una migliore tutela nei confronti della volonta' della persona ammalata, l'obbligo di inserire le direttive anticipate nella cartella clinica. 493 - IL SORRISO DI DAPHNE - COMMEDIA AMARA AL TEATRO VALLE DI ROMA Al Teatro Valle di Roma è andato in scena, dal 13 al 25 febbraio, "Il sorriso di Daphne", testo amaro e raffinato che affronta fuori da ogni di pietismo il tema dell'eutanasia,. Botanica. Vita umana. Malattia degenerativa. Amore. Morte. Sono le parole chiave della tragicommedia di Vittorio Franceschi, regia Alessandro d’Alatri, incentrata sulle ultime giornate di un professore universitario di botanica, colpito da una malattia degenerativa. Il tema è quello di stringente attualità dell'eutanasia, che occupa le cronache a livello mondiale e ultimamente affolla le sale (ricordiamo pellicole dai brillanti risultati come “Le invasioni barbariche” e più di recente l'egregio “Mare dentro”): ora che la nostra vita si è fatta più lunga, il problema da risolvere sembra quello della morte. Ovvero come ottenerla se la malattia che ci ha colpito è incurabile e degenerativa, con un calvario lento e doloroso come avvenire. A teatro, già in sedia a rotelle, Vanni (interpretato dall’autore) è accudito dalla sorella Rosa (Laura Curino), spaventato da ciò che gli accade e dalla morte, fa esercizi per la memoria recitando i nomi delle piante.Ma il suo pensiero è tutto teso a come chiedere la morte, prima che sia troppo tardi, a chi lo ama: la giovane studentessa di botanica (Laura Gambarin) che gli sta accanto, per ultimare un libro; che lo ama e lui vergognosamente (per via dell'età) contraccambia. E per chiudere il cerchio, la morte Vanni vuole raggiungerla attraverso una pianta sconosciuta, da lui scoperta e denominata: Daphne Giovannina del Borneo. Senza sminuire la portata intera del testo, una battuta racchiude tutto il senso di questo dramma cinico e pieno di vita, nonostante le urgenti prospettive di morte: «Chi parla di stato vegetale non conosce le piante». È lo stesso Giovanni o Vanni a pronunciarla, anticipando il monologo con cui chiederà la morte: un lucido approfondimento sul vivere in stato di infermità totale, torturati da tubi e tubicini, mentre ad uno ad uno i sensi vengono meno: «Sarò nutrito artificialmente, anche col succo d’ananas che non mi è mal piaciuto. Capirò tutto ma non potrò parlare...non potrò oppormi alla violenza dei dottori. Dalla rabbia mi metterò a piangere e il primario dirà congiuntivite, così cinque volte al giorno mi metteranno un collirio che mi brucerà da morire. Subito dopo perderò l'udito. Comincerò a vagare in un limbo silenzioso...Poi perderò anche la vista e allora il povero vegetale pieno di linfa inespressa...Poi smetteranno di guardarmi, guarderanno solo la macchina alla quale sarò collegato, per capire se il mio cuore, i miei reni e il mio fegato stanno reggendo alle terapie». L'opera ha ottenuto ben tre riconoscimenti: nel 2004 il premio dedicato alla drammaturgia contemporanea “Enrico Maria Salerno” e nel 2006 come migliore novità italiana il premio “ETI - Gli olimpici del teatro” ed il premio “UBU”. (da: www.mentelocale.it) 30 494 - LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA COMM. SANITA’ DEL SENATO Appena vista, sabato mattina 17 febbraio, la trasmissione di RAI1 dedicata al testamento biologico, il segretario di LiberaUscita ha inviato al sen. Ignazio Marino, Presidente della Commissione Sanità del Senato, la seguente lettera aperta: Gent. Presidente Marino, anzitutto La ringrazio, a nome della ns. associazione, per il Suo impegno a favore della legalizzazione del testamento biologico, legge voluta dalla maggioranza assoluta degli italiani, alla quale vorremmo portare anche il ns. piccolo contributo in sede di audizione da parte della Commissione Sanità del Senato. Con l'occasione, dobbiamo però segnalarle nuovamente (l'ha già fatto il ns. presidente Fornari dopo la trasmissione "Elisir" di domenica 7 gennaio u.s.), che durante la trasmissione "Tutto benessere" dedicata al "testamento biologico", andata in onda questa mattina su RAI 1, Ella ha ribadito - sia pure a titolo di esempio - che l'eutanasia presuppone una iniezione letale come quella praticata per i condannati a morte. Poiché a maggior parte degli italiani non è informata al punto da distinguere l'eutanasia dall'accanimento terapeutico e dall'omicidio, le sue affermazioni contribuiscono obiettivamente ad alimentare la confusione e le pregiudiziali contro l'eutanasia, che è tale SOLTANTO SE PRATICATA SU PERSONA CONSENZIENTE E IN PRESENZA DI GRAVI ED ECCEZIONALI SITUAZIONI SANITARIE, che nulla hanno in comune con l'esecuzione dei condannati a morte. Conosciamo e rispettiamo le sue convinzioni personali, contrarie sia all'eutanasia che al suicidio assistito, comprendiamo l'opportunità di distinguere nettamente il testamento biologico dall'eutanasia e dal suicidio assistito al fine di pervenire - vista anche l'offensiva a tutto campo della Chiesa cattolica - alla approvazione della legge in discussione, ma poiché siamo convinti che eutanasia e suicidio assistito rientrino nel diritto universale alla autodeterminazione proprio di tutti gli esseri umani, La preghiamo di voler evitare - sia pure involontariamente - riferimenti impropri. Distinti saluti - Giampietro Sestini - segretario di LiberaUscita Risponde il Presidente Marino Date: Wed, 21 Feb 2007 20:08:05 -0000 Gent.mo Segretario Sestini, ho ricevuto la e-mail che tanto cortesemente mi ha inviato e vorrei ringraziarLa per le Sue osservazioni puntuali. Esse sono, infatti, molto importanti e forniscono lo stimolo per un doveroso e continuo approfondimento sul tema delicatissimo del testamento biologico e dell’eutanasia. Come credo Lei sappia già, la Sua associazione verrà convocata dalla Commissione Igiene e Sanità nell’ambito delle audizioni sul Testamento Biologico, ed in quella sede avrà la possibilità di esporre tutte le proprie ragioni. Da parte mia, tengo a precisare che, durante la trasmissione “Tuttobenessere”, il paragone che ho fatto tra l’iniezione praticata nell’eutanasia e l’iniezione letale usata nella condanna a morte aveva un carattere squisitamente tecnico. E’ chiaro che non era mia intenzione sostenere che l’una e l’altra sono da porsi sullo stesso piano. Mi duole, comunque, che quanto da me affermato possa avere lasciato adito a dubbi o fraintendimenti. Nel ringraziarLa nuovamente per avermi voluto contattare, porgo a Lei e alla Sua Associazione i miei più cordiali saluti. Prof. Ignazio Marino Presidente, Commissione igiene e sanità - Senato della Repubblica 495 – CONVEGNI SUL TERRITORIO Da: [email protected] - martedì 13 febbraio 2007 h. 13.57 Caro Giampiero, 31 Sono reduce di due interessanti incontri avuti in nome, per conto e grazie all'attivismo di LiberaUscita che, a mio avviso, rappresenta sempre più la voce dell'opinione pubblica e riesce a creare il necessario canale comunicativo con il tessuto sociale desideroso di avere consapevolezza sui fatti della vita. Sono stata ospite giovedì 8 febbraio presso l'Istituto Gassman (a Roma) e ho incontrato giovani adolescenti imbevuti di decodifiche abberranti da parte dei mass media nell'interpretazione medico giuridica sul fenomeno dell'eutanasia, ma desiderosi di chiarezza da parte delle istituzioni. Sabato invece sono stata ospite della Chiesa Metodista-Valdese e del Circolo ARCI a Venosa (PZ). E qui devo dire che il 'cielo si è rischiarato'. Il dibattito è stato molto interessante anche alla luce di un istituzione religiosa aperta e progressista. Il Pastore Luca Anziani ha dato voce ad un'analisi chiara e lucida di come il cittadino debba trovarsi a discutere dei 'fatti sociali' in maniera più distaccata di quanto non lo debba fare come credente. E' pur vero che nella loro tradizione il principio del libero arbitrio è da secoli forte e consapevole negli aderenti alla comunità. L'accoglienza è stata assoluta e la partecipazione alta. Sono stati distribuiti I nostri materiali e le schede di adesione. Porto a tutti voi I saluti e I ringraziamenti a nome dell'associazione valdese e del circolo ARCI 'Nelson Mandela' di Venosa. Ringrazio tutti voi per l'occasione offertami. Alessandra Sannella 496 - SVIZZERA - SUICIDIO ASSISTITO ANCHE PER I MALATI MENTALI Nella Svizzera dove tutto è possibile, anche il diritto a suicidarsi, una sentenza del tribunale federale (la massima autorità giudiziaria elvetica) apre una porta finora mai aperta nel dibattito sull’eutanasia: quella della malattia mentale. Il tribunale ha infatti ammesso, in linea di principio, che «le persone sofferenti di problemi psichici o psichiatrici possono ugualmente beneficiare dell'assistenza medica al suicidio». Una sentenza, su una materia delicatissima, che rischia di confondere non poco le acque di una materia che, in terra elvetica, è sì parzialmente liberalizzata, ma la cui normativa affonda Ie fondamenta in un principio basilare: la manifestazione della volontà (e la relativa capacità d'intendere e dunque volere) del paziente. Chiara, dunque, la contraddizione che viene a crearsi tra il diritto del malato psichico o psichiatrico a non essere discriminato e la sua incapacità che lo esclude a priori da un percorso. La decisione interviene dopo il ricorso di un malato con manie depressive che, dopo aver tentato il suicidio due volte, nel 2004 aveva chiesto aiuto all'organizzazione 'Dignitas' perché lo aiutasse a morire. Tutti i medici interpellati si erano però rifiutati di fornirgli la ricetta per ottenere i 15 grammi di sodio pentobarbital necessari. L'uomo aveva quindi chiesto alle autorità del Canton Zurigo e della Confederazione di accordare a Dignitas il diritto di procurarsi, senza ricetta medica, la sostanza mortale. Aveva però ottenuto una risposta negativa. La richiesta è stata respinta anche dai giudici federali. I quali tuttavia, riferendosi alla Convenzione europea per i diritti umani, ritengono che la possibilità di darsi la morte debba essere garantita a qualsiasi individuo. A loro avviso, però, lo Stato non è tenuto a concedere alle organizzazioni di assistenza al suicidio la possibilità di procurarsi, senza ricetta, il veleno letale. Tale incombenza spetta solo ai medici, nel rispetto delle regole deontologiche. 497 - OLANDA: UNA BARA PER LA VITA - DI FRANK NIENHUYSEN da: Sueddeutsche Zeitung di giovedì 1 febbraio 2007 – traduzione: Aduc La morte appartiene alla vita, diceva la maestra Eri van den Biggelaar, e se la scuola deve servire per imparare a vivere, quei bambini hanno trovato la maestra giusta. Sì, perché la 32 signora, fondatrice di una scuola elementare privata a Someren, ha chiesto loro di costruirle la bara. Da quel momento, essi usano sega e martello nell'officina della scuola con una dedizione al lavoro come non era probabilmente mai successo prima. Vi prendono parte anche i tre figli della maestra. Lo scorso settembre, i medici diagnosticarono alla quarantenne Eri van den Biggelaar un tumore che in poco tempo si è esteso, e ora la signora è in fin di vita a casa sua, fermamente decisa a non rendere la morte un tabù. A una giornalista olandese ha raccontato come si era sentita lei, bambina, ai funerali del nonno. "Venni tenuta in disparte da tutti, una corona di fiori in mano, mentre la mamma e la nonna stavano da un'altra parte della chiesa a piangere". Così ha deciso di trattare la propria morte con naturalezza, senza frapporre distanze tra lei e i suoi figli o i suoi alunni. Per due giorni ha rilasciato interviste: la storia della bara fatta costruire ai bambini si è propagata in un baleno. Ma ora è "il momento di tornare alla vita privata", risponde al telefono la sua migliore amica, Anja van Bussel. E gli scolari, confrontati con quel compito e con la morte imminente della loro maestra? "In altre culture è normale che le persone costruiscano la bara per una persona cara", spiega Eric van Dijk, responsabile del progetto. I genitori dei bambini non sono stati direttamente informati dell'insolita attività didattica; d'altronde fa parte del particolare concetto che ispira quella scuola: bambini e adulti hanno gli stessi diritti e si può insegnare qualsiasi cosa provenga dalla volontà dei bambini. 498 - LA VIGNETTA DI ELLEKAPPA – LA CHIESA DEVE DIRE LA SUA 33