SERCLUS
Rivista del Centro di Documentazione
dellaTradizione Orale (CDTO) di Piazza
al Serchio (LU)
N.3 – Anno III – 2013
ARACNE
SERCLUS
Rivista del
Centro di Documentazione della
Tradizione Orale(CDTO)
di Piazza al Serchio(LU)
N.3 – ANNO III - 2013
Direttore:
Alberto Borghini
CDTO di Piazza al Serchio(LU)
Comitato scientifico:
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Linda Barwick (Sydney)
Gian Franco Gianotti (Torino)
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Giancarlo Mazzoli (Pavia)
Guido Paduano (Pisa)
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Giovanni Ronco (Torino)
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Alberto Borghini (Piazza al Serchio,LU)
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CDTO
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55035 Piazza al Serchio(LU)
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n 145/10(registro periodici n. 909/10)
del 22/01/2010.
Editore
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qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotoRedazione:
copia, anche a uso interno o didattico, non
Alessandro Amirante (Torino)
autorizzata.
Umberto Bertolini (Piazza al Serchio, Lucca)
Francesca de Carlo (Torino)
I edizione: luglio 2014
Ilaria Giannotti (Piazza al Serchio,Lucca)
ISBN 978-88-548-7430-5
Marina Rosso (Asti)
ISSN 2279-784X
SERCLUS
Il termine Serclus deriva da Auserculus, a sua volta coniato su Auser, nome
latino del Serchio, e compare in una cronaca pisana medioevale, in cui
leggiamo:locus est vallis Auseris, qui vulgo Serclus dicitur1.
Riteniamo tale parola adatta come titolo di questa rivista:da un lato, specifica la
localizzazione del Centro di Documentazione della Tradizione Orale di Piazza
al Serchio;dall’altro, ha matrice popolare.
La rivista si propone come interdisciplinare, una interdisciplinarietà suscettibile
di allargarsi ulteriormente: questo ‘taglio’ vuole rispecchiare anche il termine
«piazza», punto d’incontro mercatale, in cui si scambiano tanto merci, quanto
racconti ed esperienze culturali. Al tempo stesso, la Garfagnana è luogo di
‘streghi’, folletti, morti…
I campi di pertinenza sono: letteratura, storia, e, più in generale, filologia e
cultura antiche; italianistica; letterature moderne e comparate; linguistica;
semiotica; narratologia; dialettologia; antropologia; antropologia dei fatti e dei
racconti di folklore.
Le sezioni della rivista sono cinque: articoli; tradurre; note e segnalazioni;
questioni di didattica; recensioni. Qualche parola di commento esigono le
“segnalazioni”: oltre a rapidi paralleli, studiosi e lettori possono comunicare
racconti folklorici, varianti di fiabe o leggende, usi e tradizioni etc., più o meno
ampi, reperiti oralmente e rimasti inediti.
1 Le fonti antiche sul Serchio e la frase della cronaca medioevale si possono
leggere alla voce Auser della Pauly-Wissowa, disponibile anche su internet al
seguente indirizzo: de.wikisource.org/wiki/RE:Auser (nella voce c’è un errore di
stampa: invece di Serchio è scritto Seschio).
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1. Si possono presentare alla rivista contributi inediti nelle seguenti lingue:
francese, inglese, italiano, latino, portoghese, spagnolo, tedesco. Gli studiosi si
atterranno ai criteri bibliografici a cui sono abituati, purché – com’è ovvio –
coerenti all’interno di ciascun articolo e non troppo difficili da decodificare. Gli
autori potranno corredare i loro lavori di un breve riassunto in una o più
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sulle quali si apporteranno le correzioni ed eventuali minime variazioni.
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La rivista fornirà agli autori dei contributi il file in formato PDF per riprodurre
gli estratti desiderati.
ARTICOLI
5
Serclus
ISBN 978-88-548-7430-5, ISSN 2279-784X-03
DOI 10.4399/97888548743051
pp. 5-8
ALBERTO BORGHINI
Il Gatto e un “vecchio lupo” affamato (Pinocchio XVIII): un modello
‘francescano’?
Dedicato a Papa Francesco
Intenderei, in questa sede, accentrare brevemente l’attenzione sul
‘commovente altruismo’ del Gatto collodiano, di fronte ad un “vecchio
lupo”, “quasi svenuto dalla fame”, che chiedeva “un po’ d’elemosina”.
Data la ‘troppa modestia’ del Gatto ‘benefattore’, è la Volpe che, al suo
posto, risponde a una domanda del burattino (Le avventure di Pinocchio XVIII,
pp. 422-423 Marcheschi):1
“Nel tempo che parlavano così, Pinocchio si accòrse che il Gatto era zoppo dalla
gamba destra davanti, perché gli mancava in fondo tutto lo zampetto cogli
unghioli: per cui gli domandò:
Che cosa hai fatto del tuo zampetto? –
Il Gatto voleva rispondere qualche cosa, ma s’imbrogliò. Allora la Volpe disse
subito:
Il mio amico è troppo modesto, e per questo non risponde. Risponderò io per lui.
Sappi dunque che un’ora fa abbiamo incontrato sulla strada un vecchio lupo, quasi
svenuto dalla fame, che ci ha chiesto un po’ d’elemosina. Non avendo noi da dargli
nemmeno una lisca di pesce, che cosa ha fatto l’amico mio, che ha davvero un
cuore di Cesare? Si è staccato coi denti uno zampetto delle sue gambe davanti e
l’ha gettato a quella povera bestia, perché potesse sdigiunarsi. –
E la Volpe, nel dir così, si asciugò una lagrima.
Pinocchio, commosso anche lui, si avvicinò al Gatto (…)”2 .
Venendo senz’altro a quel che a me pare un ‘nucleo significante’ - per così
esprimermi - dell’ ‘episodio’ (naturalmente non vero e paradossale)
raccontato dalla Volpe a proposito dell’amico Gatto e del suo “zampetto”
mancante, ho l’impressione che il modello – o, quantomeno, uno dei
modelli – per il “vecchio lupo” affamato che “sulla strada” chiede
l’elemosina possa essere rappresentato nientemeno che dal “grandissimo,
terribile e feroce”3 lupo di Gubbio del leggendario francescano, che San
Francesco poi ammansì etc..
Ripercorriamo, per comodità del lettore, alcune parti del Fioretto 19 (/21)
(Del santissimo miracolo che fece santo Francesco quando convertì il ferocissimo lupo
d’Agobbio):4
6
Serclus
“(…) Dette queste parole, il lupo con atti di parole, di corpo e di coda e d’orecchi e
con chinare di capo mostrava d’accettare ciò che santo Francesco diceva e di
volerlo osservare. Allora santo Francesco disse a frate lupo: <<Dappoi che ti piace
di fare e di tenere questa pace, io ti prometto che io ti farò dare le spese
continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché tu non
patirai più fame; imperò che io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma
poiché io t’accatterò questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi imprometta che
tu non nocerai mai a nessuno uomo né a nessuno animale: promettimi tu
questo?>>. E il lupo, con inchinare di capo, fece e dette segnale che ‘l prometteva.
E santo Francesco diceva: <<Frate lupo, io voglio che tu mi faccia fede di questa
promessa, acciò che io me ne possa bene fidare>>. E distendendo la mano santo
Francesco per ricevere fede, il lupo levò il piè dinanzi, e dimesticamente glielo
puose sopra la mano di santo Francesco, dando quello segno di fede che poteva”.5
Un po’ più avanti:
“(…) Allora tutto il popolo, a una voce, promise di nutricarlo continuamente. E
santo Francesco, dinanzi a tutti, disse al lupo: <<E tu, frate lupo, prometti
d’osservare a costoro il patto della pace, e che tu non offenderai né gli uomini né
gli animali né nessuna creatura?>>. E il lupo inginocchiossi e inchinò il capo e con
atto mansueto di corpo, di coda e d’orecchi dimostrava, quanto è possibile, di
volere osservare loro ogni patto. Disse santo Francesco: <<Io voglio che, come tu
mi desti fede di questa promessa fuori della porta, così dinanzi a tutto il popolo mi
dia fede della tua promessa che tu non mancherai della mia promessa e malleveria
che io ho fatta per te>>. Allora il lupo, levando il piè, sì ‘l puose in mano di santo
Francesco. Onde tra di questo atto e degli altri detti di sopra fu tanta ammirazione
e allegrezza in tutto il popolo (…)”.6
Questa la conclusione:
“E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimesticamente per
le case a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui; e fu
nutricato cortesemente dalla gente. E andandosi per la terra e per le case, giammai
nessuno cane gli abbaiava. Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di
vecchiaia, di che i cittadini molto si dolsono (…)”.7
In sostanza, il lupo di Gubbio/lupo di San Francesco ‘diventa’ un vecchio
lupo “nutricato cortesemente dalla gente”.
‘Corrispondentemente’, ma anche – almeno per certi versi –
‘contrastivamente’, il “vecchio lupo” collodiano riceve l’elemosina dal Gatto
(come se si trattasse di un seguace di San Francesco, o qualcosa del
genere?), che addirittura fa dono di una parte di se stesso.
n. 3, anno III, 2013
7
Un ‘personaggio’, inoltre, l’ ‘amico Gatto’, talmente “modesto” da non dire
il bene compiuto (“Il mio amico è troppo modesto, e per questo non
risponde”).
Resta, però, il fatto (da non tralasciare, credo) che il “vecchio lupo”
collodiano mangia un pezzo del Gatto stesso; e resta il fatto (anch’esso da
non tralasciare, credo) che, rispetto al lupo di Gubbio, il “vecchio lupo”
collodiano, lungi dall’essere ben nutrito, è “quasi svenuto dalla fame” (ed è
costretto a chiedere l’elemosina).
In rapporto e sullo sfondo del racconto del Fioretto, nessuna delle due parti –
insomma - rispetterebbe i patti.
In sintesi, collodianamente, un ‘gioco di corrispondenza’ e, ‘all’interno’ di
esso, un ‘gioco di contrasti’ e di ‘sovrainvestimenti’: a scopi, di tutta
evidenza, umoristici (e di effetti umoristici a più gradi, secondo – per così
esprimermi - ‘intersezioni’ connotative e di senso ‘non semplici’).
***
Un’ulteriore suggestione-corollario. Se il lupo della tradizione francescana
leva “il piè”, “dinanzi a tutto il popolo”, ponendolo “in mano di santo
Francesco”, quale segno e sanzione di promessa (quale gesto di ‘dar fede’),
non escluderei che lo zampetto davanti, dato dal Gatto in pasto “a quella
povera bestia” del “vecchio lupo”, “quasi svenuto dalla fame”, risulti
suscettibile di valere, in qualche modo, alla stregua di una ‘trasposizione’ a
partire dalla sopra rimarcata ‘scena’ francescana.8
Dal ‘gesto’, cioè, del lupo di Gubbio (in segno di promessa e di patto
nonché di pace) al ‘gesto’ del Gatto; ‘atto’, quest’ultimo, ‘di abnegazione’ e
‘quasi-sacrificale’ (da ‘seguace di Francesco’?), che potrebbe d’altronde
umoristicamente ‘restaurare’ (saremmo su di un piano - mi pare - di iperbole
umoristica rispetto al presumibile modello, nonché rispetto alla reiterata e
fondante ‘scena’ francescana del patto e della promessa), l’aggressività del
terribile e leggendario ‘lupo di Gubbio’/’lupo di San Francesco’.9
1 Carlo Collodi, Opere, a cura di D. Marcheschi, Milano, Mondadori 1995.
2 Si veda, della Marcheschi, nota 110 a Le avventure di Pinocchio, pp. 982-983 (in Collodi, Opere, cit.).
3 Cfr. nota successiva.
4 I fioretti di san Francesco, a cura di F. Accrocca, Casale Monferrato (AL), Edizioni Piemme 1997,
pp. 104 sgg..
5 I fioretti…, cit., pp. 105-106.
6 I fioretti…, cit., pp. 107-108.
7 I fioretti…, cit., p. 108.
8 Già prima: “E distendendo la mano santo Francesco per ricevere fede, il lupo levò il piè dinanzi”,
etc. (p. 106).
8
Serclus
9 Lo “zampetto”/”gamba destra davanti” del Gatto collodiano verrebbe ad essere l’ ‘equipollente’ del
“piè dinanzi” del lupo di Gubbio (più di una sola volta posto sopra la mano di San Francesco in
“segno di fede”); ma la ‘sorte’, in parte ‘analoga’ (sanzione di una promessa etc. per un verso, gestodi
‘abnegazione sacrificale’ per un altro verso), risulta da un ‘supplementare’ punto di vista
diametralmente – e umoristicamente - rovesciata (katastrophé): il “vecchio lupo” collodiano, affamato,
e, anzi, “quasi svenuto dalla fame”, avrebbe mangiato – poco ‘francescanamente’ – lo zampetto del
Gatto.
Serclus
ISBN 978-88-548-7430-5, ISSN 2279-784X-03
9
DOI 10.4399/97888548743052
pp. 9-27
FABIO ARMAND
Lupi mannari acquatici.
La cultura popolare, cosi come quella colta, ha prodotto, nel corso dei
secoli, una sorta di modello unico relativo alla rappresentazione del lupo
mannaro: un essere essenzialmente notturno che risente degli effetti delle
lunazioni, soprattutto di quelli della luna piena che avrebbe il potere di
scatenare la metamorfosi. Tale modello lunare è stato ripreso numerose
volte nella narrativa di genere gotico o dell’orrore contemporaneo, anche se
la figura del licantropo e le sue metamorfosi seleniche hanno avuto
maggiore successo nel campo cinematografico. Ne è un esempio il primo
“horror/werewolf movie”, Werewolf of London, prodotto dalla Universal Pictures e
diretto da Stuart Walker nel 1935, dove il protagonista, dopo essere stato
morso da un lupo mannaro, si trasforma a sua volta in licantropo, sotto
l’influenza della luna piena. Tuttavia, riconsiderando alcune narrazioni
relative a metamorfosi lupine presenti nella mitologia della Grecia antica per
arrivare fino al folklore francese contemporaneo, passando attraverso il
Rinascimento dei paesi baltici (Livonia), sembrerebbe apparire un sostrato
narrativo poco conosciuto che metterebbe in scena una forte componente
acquatica nei lupi mannari. Questo essere proteiforme, di natura
fondamentalmente bistabile1, non sarebbe quindi legato in maniera esclusiva
al mondo lunare, ma, considerando le metamorfosi come rito di passaggio e
di attraversamento delle acque – stagnanti o correnti – la sua natura
acquatica diventa centrale nel sistema di credenze ad esso correlato.
In questo studio, si presenta un corpus di documenti molto particolari che
permettono di interpretare la figura del lupo mannaro come essere
acquatico, frequentatore di corsi d’acqua, stagni, fontane, ecc. Seguendo le
tracce di questa frequentazione licantropica dell’elemento umido, si
potranno reinterpretare, almeno in parte, i caratteri principali di questa
ontologia fantastica, focalizzando l’attenzione sul processo di metamorfosi
in relazione al ruolo giocato dall’acqua come sostituto della trasformazione
sotto l’influenza lunare. Infine, a partire da una proposizione che vuole
mettere in relazione i rapporti metonimici esistenti tra il simbolismo della
Abry Christian, Cathiard Marie-Agnès et Diaferia Marie-Laure, « Enactive Art: Parietal and Frontal
Brain Art? From Pictorial to Speech Evidence», Proceedings of the 4th International Conference on
Enactive Interfaces-Enaction in Arts, Grenoble, France, 2007, p. 25-28.
1
10
Serclus
luna e quello delle acque, si rifletterà sui rapporti strumentali tra la
mediazione lunare e quella acquatica per la riuscita della metamorfosi, dalla
nascita del lupo mannaro alla sua rinascita periodica in forma umana.
Metamorfosi acquatiche: dalla Grecia classica al Rinascimento
baltico.
Analizzando le diverse raccolte regionali di letteratura orale, partendo dalle
antologie organizzate dai primi folkloristi francesi del XIX secolo per
arrivare alle più recenti della seconda metà del XX secolo, è possibile
comprendere nella carta geografica della credenza nel lupo mannaro quei
racconti che inseriscono la metamorfosi animale in un contesto acquatico. I
documenti orali che verranno presentati nelle pagine seguenti sono stati
raccolti prevalentemente nel Sud della Francia (regioni d’Aquitaine e MidiPyrénées), nel Centro (regioni del Limousin, Pays de la Loire) e nell’Est, in
Franche-Comté; tuttavia, si trovano ancora dei riferimenti a questo nucleo
di credenze in Picardie e nella Basse-Normandie.
Allo stesso tempo, è necessario precisare che questo motivo narrativo
affonda le sue origini in alcune eredità culturali di lunga durata, essendo già
attestato in alcune credenze della Grecia classica. Come è noto, le prime
attestazioni del motivo del licantropo sono presenti nel mito di Licaone, re
degli Arcadi che, avendo offerto a Zeus carne umana, venne trasformato in
lupo2. Informazioni particolarmente interessanti per il soggetto di questo
scritto sono presenti in una serie di documenti attestanti alcune tradizioni
rituali tipiche della regione dell’Arcadia. Questi materiali permettono di
lasciare la sfera del mito per affacciarsi su quella del rito e delle iniziazioni
cultuali. Il testo più ricco che mette in scena queste pratiche rituali e si
rapporta in maniera diretta alle metamorfosi acquatiche in lupo è stato
rintracciato nella Naturalis Historia di Plinio:
“Euanthes, inter auctores Graeciæ non spretus, scribit Arcadas tradere ex gente
Anthi cuiusdam sorte familiæ lectum ad stagnum quoddam regionis eius duci
vestituque in quercu suspenso tranare atque abire in deserta transfigurarique in
lupum et cum ceteris eiusdem generis congregari per annos VIIII. quo in tempore
si homine se abstinuerit, reverti ad idem stagnum et, cum tranaverit, effigiem
Si possono ritrovare i riferimenti al mito di Licaone nei testi seguenti : Pausania, Descrizione della
Grecia (libro VIII), Apollodoro, Biblioteca (libro III), Igino, Fabulae (fabula CLXXVI) e Ovidio, Le
Metamorfosi (libro I, v. 209-245).
2
n. 3, anno III, 2013
11
recipere, ad pristinum habitum addito novem annorum senio. Id quoque adicit,
eandem recipere vestem »3.
Per interpretare questo passaggio, è possibile adottare la nozione di rito di
passaggio4, soprattutto per quanto riguarda la fase rituale di separazione che
consiste nello spogliarsi dei vestiti prima di attraversare a nuoto lo stagno.
L’azione di appendere gli abiti a una quercia potrebbe essere interpretata
come una volontà/necessità di abbandonare la condizione di essere umano.
E’ però la traversata dello stagno a segnare con precisione il momento della
metamorfosi animale e l’inizio del periodo di liminalità della durata di nove
anni. L’acqua rappresenta dunque un limen che l’individuo deve
oltrepassare : questa frontiera non è impermeabile in quanto simboleggia il
passaggio dall’umanità all’animalità e viceversa. Proprio come conferma
Carla Mainoldi, “la pratique rituelle des Anthides pourrait être interprétée
comme un rite d’initiation au genos. Entre les deux stades qui caractérisent
l’initiation, à savoir la séparation du « novice » de son milieu et sa
réintégration dans ce même milieu, se situe la métamorphose en loup, qui
représente la période où il vit « en marge » de la société. (…) Le loup
incarne le modèle du sauvage et peut donc manifester l’éloignement de la
société des hommes et l’entrée dans le monde de l’animalité et de la
sauvagerie”5. Tuttavia, in seguito a questo periodo di liminalità, l’uomo può
riacquisire la propria forma umana, invecchiata di nove anni, rivestendo
quegli stessi abiti che aveva abbandonato.
Un altro documento che testimonia queste tradizioni rituali di metamorfosi
acquatiche tipiche dell’Arcadia viene da una fonte della tarda latinità: il De
civitate dei di Sant’Agostino d’Ippona. Riprendendo un testo di Varrone,
SantAgostino ricorda tra gli “incredibilia” presenti nella sua opera, che
“de Arcadibus, qui sorte ducti tranabant quoddam stagnum atque ibi
conuertebantur in lupos et cum similibus feris per illius regionis deserta uiuebant.
Si autem carne non uescerentur humana, cursus post nouem annos eodem renatato
stagno reformabantur in homine”6.
3 Plinio, Naturalis Historia, libro VIII, 81. Il passaggio corrispondente nella Descrizione della Grecia
(libro 8, II) di Pausania non menziona la traversata delle acque.
4 Van Gennep Arnold, Les rites de passage, Paris, édition Picard, 1909.
5 Mainoldi Carla, L’image du loup et du chien dans la Grèce ancienne d’Homère à Platon, Editions Ophrys,
Paris 1984, pag. 15.
6 Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 17.
12
Serclus
Il testo del De civitate dei riporta precisamente lo stesso nucleo di credenza e
lo stesso quadro interpretativo che è stato messo in evidenza in precedenza.
Questo ci permette di affermare che il nucleo rituale della credenza nei lupi
mannari è precisamente localizzato nei documenti della Grecia antica.
Un altro aspetto acquatico importante per comprendere a fondo questa
credenza emerge da un passaggio della Descrizione della Grecia di Pausania,
dove viene descritto un rituale compiuto presso una fonte che ha origine nel
monte Liceo:
“Quando la siccità dura a lungo e le piante e gli alberi iniziano a soffrire, il
sacerdote di Zeus Liceo, dopo aver indirizzato alcune preghiere verso l’acqua e
aver sacrificato secondo i rituali prestabiliti, tocca con un ramo di quercia la
superficie della fontana, senza immergere a fondo il legno. L’acqua così agitata
produce all’istante una nebbiolina simile al vapore che, diventando in breve tempo
una nuvola e attirando a sé altre nuvole, genera la pioggia sulla regione
dell’Arcadia”7.
Da questo testo, traspare in maniera chiara il motivo del “battage tempestaire”
dell’acqua prodotto da un prete/stregone. Tale elemento narrativo risulta
essere molto interessante perché permette di passare da un’analisi rituale
strettamente legata ai documenti della Grecia classica al mondo baltico, per
poi approdare al folklore narrativo della Francia.
Nella sua Storia notturna, Carlo Ginzburg aveva già individuato numerosi
collegamenti che permettevano di seguire l’evoluzione della figura del lupo
mannaro, a partire dalle iniziazioni arcadiche fino ad arrivare ai
combattimenti estatici della Livonia8. Se si analizza con attenzione il dialogo
tra un homo sapiens e un lycaone rustico, contenuto nel Commentarius de praecipuis
generibus divinationum (1560) di Caspar Peucer, è possibile ritrovare un
rapporto preciso tra il “battage tempestaire” e la figura del lupo mannaro.
Peucer nota che, in Livonia, alcuni individui hanno la capacità di
trasformarsi in lupo, durante il ciclo dei Dodici Giorni, per combattere
contro delle streghe in forma di farfalla9. Essi vengono avvicinati da un
bambino zoppo e, una volta assunta la forma lupina, sono spinti verso un
grande fiume da un uomo alto, armato di una frusta:
“[…] Ad flumina ubi accesserunt, dux flagelli ictu aquas findit, ut dehiscere et
discedere videantur, relicto sicco tramite, quo transeant. Exactis diebus duodecim
Pausania, Descrizione della Grecia, libro VIII, 38.
Ginzburg Carlo, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino, Biblioteca Einaudi, 1998, capitolo 3.
9 Peucer Caspar, Commentarius de praecipuis generibus divinationum, Witebergae, 1560, p. 140vo-145ro.
7
8
n. 3, anno III, 2013
13
dissipatur agmen rursus et ad se quisque deposita lupi et recepta hominis specie
revertitur”10.
Questo uomo separa le acque, colpendole con la sua frusta, permettendo
così ai lupi mannari di poter iniziare la loro corsa di dodici giorni attraverso
le campagne; soltanto dopo aver compiuto questo percorso, avranno la
possibilità di recuperare la loro forma umana.
… e attraverso il folklore narrativo della Francia.
Grazie a una affascinante continuità attraverso i secoli, si può facilmente
ritrovare l’attestazione contemporanea di un motivo simile – che associa il
“battage” delle acque con la metamorfosi in lupo mannaro11, nel folklore del
Périgord:
“Certains hommes, notamment les fils de prêtres, sont forcés, à chaque pleine lune,
de se transformer en cette espèce de bête diabolique. C’est la nuit que le " mal " les
prend. Lorsqu’ils en sentent les approches, ils s’agitent, sortent du lit, sautent par la
fenêtre, et vont se précipiter dans une fontaine. Après avoir battu l’eau pendant
quelques moments, ils sortent du côté opposé à celui par lequel ils sont entrés et se
trouvent revêtus d’une peau de chèvre que le diable leur a donnée. Dans cet état, ils
vont très bien à quatre pattes, et passent le reste de la nuit à courir les champs,
suivent les villages, mordent ou mangent tous les chiens qu’ils rencontrent. A
l’approche du jour, ils reviennent à leur fontaine, déposent leur enveloppe blanche
et rentrent chez eux”12.
Ritroviamo in questo documento un’immagine precisa del processo di
metamorfosi, per la cui realizzazione la mediazione dell’acqua sembra
svolgere una funzione essenziale. Sébillot restituisce infatti la necessità di
uscire dalla fontana nella quale l’individuo si è immerso dal lato opposto
Peucer Caspar, Commentarius de praecipuis generibus divinationum, Witebergae, 1560, p. 141vo.
La lettura del saggio di Gianfranca Ranisio sulla figura del lupo mannaro nel folklore dell’Italia
meridionale suggerisce un legame non trascurabile tra le metamorfosi lupine e l’acqua nelle sue forme
temporalesche, come mediatrici della trasformazione. A titolo di esempio, si può osservare come, in
un documento calabrese citato nel testo della Ranisio, una metamorfosi in lupo mannaro sembri
essere scatenata da un temporale: “era una giornata piovosa e come iniziò a tuonare e a lampeggiare,
si sentì un tremore per il corpo e man mano gli veniva da mettersi a terra come un animale, un pelo
lungo gli cresceva sopra, le zanne gli si allungavano e prendeva la forma di un grande lupo. (…) Poi
gli passava e di giorno non gli accadeva più, solo di notte e quando era maltempo” (in Lombardi
Satriani Raffaele, Racconti popolari calabresi, vol. 3, De Simone edizioni, Napoli 1953, pagg. 216-218).
12 Sébillot Paul, « Traditions et coutumes du Périgord », Revue des traditions populaires, tome XII, n° 12,
1897, pag. 663.
10
11
14
Serclus
rispetto a quello in cui vi era entrato: soltanto in questo modo egli potrà
riacquisire la forma umana. Questa reversibilità del rituale rinforza quindi
l’interpretazione proposta nel capitolo precedente: attraversando la fontana,
l’uomo supera i limiti sociali e umani che gli sono propri, entrando nel
dominio della selvatichezza e dell’animalità, condizione tipica del lupo
mannaro13. In questo modo, è possibile analizzare con più precisione
l’attestazione più generale data dal Sébillot per il racconto seguente:
“les loups-garous de la Montagne Noire [qui] devaient aussi, au commencement et
à la fin de leur course, se plonger dans les fontaines”14.
Il folklore francese riferisce spesso la presenza di credenze relative alla
figura del lupo mannaro localizzate in zone in cui vi sono delle fontane. Nel
folklore della Creuse, si ritrova la figura di un lupo mannaro abitante le
fontane:
“A Guéret, la fontaine Piquerelle est un endroit choisi par les loups-garous pour
guetter sa proie; il saute sur le dos du passant et s’y cramponne si bien qu’on ne
peut s’en débarasser qu’en le blessant de façon à ce que son sang coule”15.
A questo proposito, è rilevante che la diffusione della credenza relativa ai
lupi mannari acquatici sembra sovrapporsi a quella indicata da Brigitte
Caulier nel suo studio sui culti delle fontane in Francia. Questa studiosa
afferma che
“le pays [la Francia] est à peu près partagé en deux par un arc nord-est/sud-ouest
sur lequel gravitent les lieux de culte. La façade atlantique, avec les points forts que
sont la Bretagne, les Charentes et l’Aquitaine, concentre le plus grand nombre de
fontaines. En s’enfonçant vers l’est, l’arc se gonfle du Limousin, des départements
du centre et enfin de la Bourgogne avec, au nord de celle-ci, la Champagne qui fait
bonne figure”16.
Le fontane rappresentano dei punti importanti nella carta mentale che le
comunità umane si creano dei territori che abitano : queste marcano quindi
Per uno studio più preciso sul rapporto umano/selvatico nel folklore del lupo mannaro, rimando a:
Armand Fabio, « Loup-garou. De la culture à la nature et retour », Lo Flambò – Le Flambeau, n° 216,
hiver 2010.
14 Sébillot Paul, Le folklore de France, tome 2: La mer et les eaux douces, Librairie orientale et américaine,
Paris, E. Guilmoto éditeur, pag. 205.
15 Bonnafoux Jean-François, Légendes et superstitions conservées dans le département de la Creuse, Librairie de
Madame veuve Betoulle, Guéret 1867, pag. 28.
16 Caulier Brigitte, L’eau et le sacré. Les cultes thérapeutiques autour des fontaines en France du Moyen Age à nos
jours, Beauchesne éditeur, Paris 1990, pag. 15.
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fisicamente e simbolicamente lo spazio. Risulta quindi relativamente facile
trovare dei riferimenti a credenze legate all’immaginario delle fontane e delle
acque.
In certe regioni della Francia, si utilizza il termine “fontana” per indicare
delle antiche pietre a cupola che possono trattenere l’acqua della pioggia. In
Vendée, sono presenti numerose attestazioni che mettono in relazione
queste pietre con i lupi mannari. Gli eruditi locali, appassionati di antichità
celtiche, si sono interrogati sull’origine e la funzione di queste cupole così
numerose nelle campagne francesi:
“Les paysans disent aussi que ces pierres sont des fontaines ; et les bassins sur gros
rochers sont aussi des fontaines (Fontaine aux Sorciers et Fontaine aux loups, de la
station paléolithique et néolithique de La Glamière, près Saint-Martin). En
cherchant bien, on trouverait toujours quelques légendes au sujet de ces pierres à
écuelles, trouvées en plein champ. Le plus souvent il s’agit de fontaines destinées à
abreuver les loups-garous dans leurs folles randonnées”17.
Così come alcuni menhir sono stati decorati da croci cristiane, queste cupole
potevano facilmente servire per praticare un supplemento pagano a un rito
acquatico così sostanzialmente cristiano come lo è il battesimo:
“Dans le voisinage du Breuil-Barret, près de la Croix Cocrion, se trouve une
curieuse pierre-debout formant cuvette et servant de réceptacle aux eaux de pluie.
C’est là, dit-on, que s’arrêtent pour boire, en passant, les loups-garous de la
contrée. Cette Pierre des Loups-Garous était autrefois l’objet d’une dévotion, ou
plutôt d’une superstition populaire des plus singulières : tous les petits enfants du
pays étaient amenés là, le jour de leur baptême ; on leur faisait toucher la pierre et
cet attouchement, paraît-il, avait la vertu de préserver de tout mauvais sort les
nouveau-nés”18.
Questo rito di passaggio supplementare a un battesimo così “paganamente”
apotropaico è stato ripreso più recentemente e rimpiazzato da una “course
aux sept clochers” dei lupi mannari:
“Près de la croisée de la Croix-Cocrion, non loin du Breuil-Barret, s’élève une
petite pierre debout, ayant à son sommet une cuvette qui se remplit de l'eau du ciel,
Boismoreau Emile, « Les " Laverasses ", en granite, du Bocage Vendéen. Leur origine néolithique,
leur usage primitif », Bulletin de la Société préhistorique française, tome X, dixième année, 1913, pag. 716
nota 1.
18 Anonyme, « A travers le revues », L’écho du merveilleux, 16 juin 1908.
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que boivent, en passant, les loups-garous, au retour de leur course au sept clochers.
Longtemps les pères la firent toucher à leurs enfants, le jour de leur baptême, pour
les préserver des mauvais sorts”19.
Generalmente, gli antichi megaliti sono ritenuti luoghi di frequentazione dei
lupi mannari. Questi menhir, molto comuni in Vendée, sono spesso
denominati “Pierre Levée de Soubise” o, più semplicemente, “Pierre de Soubise”.
Marcel Baudouin mostra come
“depuis cette époque, les paysans nomment Soubises les loups-garous qui sont
censés passer comme un éclair, aux portes des maisonnettes de villages, les génies
malfaisants qu'on croit voir ou entendre dans l'ombre : d'où également la
dénomination de Pierre de Soubise”20.
Cercando l’entrata toponomastica “Pierre de Soubise” nel Dictionnaire
toponymique de la Vendée21, si trova, per il punto di Bretignolles-sur-Mer, la
forma “Pierre du Diable” per indicare una località dominata da un dolmen22.
Alcuni di questi megaliti sono localizzati nelle vicinanze di un corso d’acqua
o, nel caso seguente, la sorgente può originarsi esattamente a partire da
queste costruzioni:
“Au Lucs-sur-Boulogne, il y avait autrefois, près du bois de Malvergne, un menhir
qui n’a disparu que depuis une quarantaine d’années et qui avait la forme d’un siège
quelque peu percé. D’après la tradition locale, les loups-garous venaient s’y
accroupir : de là le nom de Rouère de Pisse-Loup, donné au ruisselet qui prend sa
source à cet endroit”23.
Un altro documento permette di focalizzare l’attenzione sul rapporto intimo
che i lupi mannari sviluppano con il loro ambiente acquatico, in particolare
per quanto riguarda la conclusione della loro metamorfosi. Il testo seguente
è stato estratto dal folklore della Vendée:
Baudry Ferdinand, « Antiquité celtiques de la Vendée et légendes – Arrondissement de FontenayLe-Comte et de la Roche-sur-Yon », Annuaire départemental de la Société d’émulation de la Vendée, 1972,
pag. 118.
20 Baudouin Marcel, « Légendes et superstitions préhistoriques », Revue des traditions populaires, tome
XVII, n° 5, 1902, pag. 254.
21 http://toponymes-archives.vendee.fr
22 Al punto 4 delle precisioni etimologiche presenti nel Dictionnaire toponymique de la Vendée, si accede
alle informazioni seguenti: “Il s'applique surtout à des mégalithes et aux tènements où ils se dressent encore, ou se
trouvaient autrefois. Employé seul : la Pierre, il désigne le plus souvent un menhir qui peut fort bien ne plus exister.
Souvent un adjectif s'y ajoute : Pierre Longue, Pierre Blanche, et surtout Pierre Folle [qui vire]. En ce dernier cas, il
s'agit manifestement d'une pierre à légende, et presque toujours d'un mégalithe”.
23 Anonyme, « A travers les revues », L’écho du merveilleux, 16 juin 1908.
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“La Croisée-Marteau, située sur le territoire de la Merlatière, dans le canton des
Essarts, passe pour avoir été, de tous temps, le rendez-vous favori des loupsgarous de la contrée. Quatre fois par ans ils y tenaient leur sabbat, lequel
commençait par une danse et se terminait par un repas : double opération qui
n’avait, d’ailleurs, rien de bien réjouissant pour les acteurs ; car les pauvres diables
dansaient pieds nus, sur des pointes d’ajoncs, et le festin final se composait
exclusivement de serpents, de ferrures de charrettes et… d’ailes de moulins à vent !
A Saint-Philbert-du-Pont-Charrault, dans le pré du Souci, se trouve la Fontaine aux
Garous. C’était là que les danseurs de la Croix-Marteau venaient, après le sabbat,
baigner leurs pieds ensanglantés et boire une gorgée d’eau, qui avait, paraît-il, la
vertu de leur faire digérer instantanément les serpents, ferrures de charrettes et ailes
de moulins ingurgités au cours de leur repas nocturne”24.
Dalla lettura di questo documento emerge l’importanza dell’acqua come
mezzo per porre fine alla metamorfosi: l’azione di attraversare un corso
d’acqua, di bagnarvisi o di berne un sorso può essere considerato come un
rito attraverso il quale l’individuo trasformato in lupo può ritrovare la sua
natura umana. In questo senso va interpretato un’interessante credenza
abruzzese che mette in scena l’usanza di tenere dietro alla porta di
un’abitazione una catinella con dell’acqua “affinché rientrando quegli [il
lupo mannaro] senza essersi tuffato nell’acqua durante la notturna
scorribanda nei campi, vi si bagni e riacquisti la propria personalità umana
fino a nuova crisi del male”25.
Infine, non bisogna dimenticare che, tra i luoghi frequentati dai lupi
mannari, si ritrovano spesso degli stagni o delle piccole distese di acque
dormienti, all’interno delle quali i lupi mannari vengono a rotolarsi per
favorire la metamorfosi26. Questo luogo tipico delle trasformazioni lupine è
attestato in molte province della Francia.
Anonyme, « A travers les revues », L’écho du merveilleux, 16 juin 1908.
Priori Domenico, Folklore abruzzese (Torino di Sangro), CET, Lanciano 1964, pag. 506.
26°Si noti come questo tipo di operazioni magico-rituali che prevedono l’azione di rotolarsi nel fango
sia diffuso anche nel folklore italiano. Un processo di trasformazione simile è attestato in numerosi
documenti della Valle d’Aosta ; cfr : Joisten Charles, Chanaud Robert e Joisten Alice, « Les loupsgarous en Savoie et Dauphiné », Les êtres fantastiques dans les Alpes. Recueil d’études et de documents en
mémoire de Charles Joisten (1936-1981), MAR, n° 1-4, Grenoble 1992, p. 177. Lo stesso processo di
metamorfosi è presente in alcuni documenti calabresi e abruzzesi: “[Ferdinando, il boaro] versò
dall’orciuolo dell’acqua nella polvere, vi si rotolò tre volte e, nel sorgere da terra, era già lupo. (…)
torna [poi] a rotolarsi altre tre volte nella polvere bagnata e riprende le forme umane” (in Argondizza
A., “Driadi, Lupi minarii, streghe, fate”, Rivista delle tradizioni popolari italiane, I, fasc. IX, 1894, pagg.
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“En Picardie chaque samedi, un jeune homme, après avoir déposé ses habits sous
un buisson, se roulait dans la vase de la mare du bois des Fées, et en ressortait
transformé en loup-garou. […] Les loups-garous dansaient autrefois près d'une
petite mare, non loin de l'église de Saint-Fyel, et ils y attiraient les mauvaises filles
de l'endroit ; le curé apprenant que sa servante allait courir le guilledou avec eux,
jeta de l'eau bénite dans la mare afin de les chasser”27
“Chaque samedi, dans ce même Bois-aux-Fées, on pouvait voir un homme qui,
après avoir déposé ses habits sur un buisson, se " touillait " (roulait) dans la vase de
la mare et ne tardait pas à en sortir transformé en loup. C’était le Loup-garou du
Bois d’Orville”28.
“A Thièvres, un paysan se roulait chaque samedi dans la mare et en sortait
loup”29.
Non sono soltanto gli stagni della Picardie a essere frequentati da questa
ontologia fantastica, ma si trovano delle attestazioni anche in Ariège e nelle
Landes:
“Il rentrait encore d’une veillée ; il a ouvert la porte de son étable et son petit veau
lui a échappé entre les jambes, et s’est mis à courir autour d’un marnier (petite
mare). Il lui a couru après autour de la fosse et quand il a été fatigué, mon père est
rentré dans l’étable où il a trouvé son veau attaché. Il avait été joué par le loupgarou”30.
“Le grand-père ou grand-oncle à J. Rahuel, tisserand au Haut-Village en SaintSauveur-des-Landes, a surpris, une nuit, deux guérous sans en être aperçu. Ils
étaient en train de sauter de nombreuses et larges douves qui coupent en tous sens
les marais sis entre le Croizé et Chaudeboeuf. Il y en avait un jeune et un vieux ; ce
dernier, content de son escapade, paraît-il, faisait remarquer au jeune qu’il sautait
encore bien : " Un bon saout pour un loup de soixante-dix ans, dis donc, B… ! ",
lui cria-t-il en le nommant”31.
“Specie” acquatiche di lupi mannari.
698-699). Come sottolinea Ranisio, tali attestazioni potrebbero essere interpretate come
“un’operazione di tipo magico-rituale, come denotano il ricorso alla simbologia del numero 3 ed il
significato che viene attribuito al fango, in quanto non solo cercato o trovato occasionalmente nelle
tradizionali notti di maltempo, ma anche formato deliberatamente” (Ranisio Gianfranca, Il lupo
mannaro. L’uomo, il lupo, il racconto, G. Gangemi editore, Roma 1984, pag. 127).
27 Sébillot Paul, Le folklore de France, tome 2: La mer et les eaux douces, Librairie orientale et américaine,
Paris, E. Guilmoto éditeur, 1904, pag. 437.
28 Carnoy Henri, Littérature orale de Picardie, Paris, Maisonneuve & Larose, 1883, pag. 106.
29 Crampon Maurice, « Le culte de l’arbre et de la forêt en Picardie », Mémoires de la Société des antiquaires
de Picardie, tome XLVI, 1936, pag. 163.
30 Joisten Charles, Les êtres fantastiques dans le folklore de l’Ariège, Cahors, éditions Loubatières, 2000,
pagg. 80-81.
31 Dagnet Armand, Au Pays fougerais, Fougères, 1923, pag. 27.
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