IL LEONE E L’ACQUARIO
Relazione di Massimo Scalia, coordinatore nazionale del
Movimento Ecologista, al Convegno: “Il Sole del Mediterraneo”,
Palermo 30-31 maggio 2003
“Il Leone e l’Acquario”, così, con la consueta elegante fantasia,
Fulvia Sebregondi titolava uno degli articoli di Quale Energia
dedicato all’accoppiata energia solare/idrogeno. La citazione è
d’obbligo non solo perché Quale Energia è stata, dalla fine degli
anni settanta ai primi anni novanta la più prestigiosa rivista di
settore degli ambientalisti, ma perché la sua pubblicazione è
stata ripresa da pochi mesi, per merito de La Nuova Ecologia,
ed è diretta da uno dei fondatori della prima edizione, Gianni
Silvestrini.
Era il 1984; nel giro di un paio d’anni uscivano, sui più importanti
periodici automobilistici, articoli e foto di BMW e Mercedes, di serie
all’apparenza, ma alimentate a idrogeno. Pochi anni prima, nel
1980, il professor Giordano aveva aperto a Messina un laboratorio
del CNR per la ricerca di base sull’idrogeno. E del resto non si
trattava di un campo del tutto pionieristico, se già dal 1938 era in
funzione nella Ruhr una rete di interconnessione per il trasporto in
pressione dell’idrogeno lunga 300 km.
In realtà la vicenda dell’idrogeno accompagna tutto l’Evo
Contemporaneo, da quando Lavoisier con i suoi esperimenti
mostrò che idrogeno e ossigeno erano la base dell’acqua, dando
nome a quel gas, inodore e incolore, che solo pochi anni prima
era già stato sfruttato per le mongolfiere in virtù delle sue note
proprietà ascensionali. Da allora, cioè dalla fine del 18° secolo,
l’idrogeno è stato il protagonista di una infinità di progetti
industriali, tanto è che oggi viene prodotto su larga scala con un
quantitativo che si aggira intorno ai 50 milioni di tonnellate
annue. Esso viene utilizzato in molte industrie per il
trattamento di oli, grassi e, come materiale base, per la produzione
di benzina, metanolo, coloranti, fertilizzanti, plastiche e anche
medicinali. In natura è presente, nel rapporto 1 su 9, nell’acqua, e
poi nella maggior parte dei composti organici, negli idrocarburi ed è
un elemento fondamentale di tutti gli acidi.
E’ un combustibile chimico eccezionale perché all’elevatissimo
potere calorico (circa 30.000 kcal/kg, tre volte quello del miglior
combustibile) associa, diversamente dagli altri combustibili, un
inquinamento pressoché nullo - “bruciato” dall’ossigeno
produce acqua - e una molteplicità di usi superiore a quella
della stessa elettricità, basti pensare al trasporto aereo, non solo
degli Space Shuttle.
IL “VETTORE” IDROGENO
E’ forse necessario chiarire subito una differenza rispetto ad altri
combustibili. Nonostante la sua elevata abbondanza relativa
l’idrogeno non si presenta libero in natura, non è cioè una fonte
primaria come le altre materie prime energetiche, dai combustibili
fossili - petrolio, carbone, metano - all’energia solare, eolica,
idroelettrica, geotermica, da biomasse.
Questo fatto viene spesso accompagnato dal risolino critico di certa
cultura ingegneresca: “Eh, ma non è una fonte primaria, è solo un
vettore..” che allude, appunto, al fatto che l’idrogeno va
prodotto. Poi può essere accumulato e trasmesso (e questo apre
il campo alle valutazioni tecnologiche e di sicurezza, di costi per la
fattibilità, ad es., dell’adattamento dei metanodotti al trasporto
dell’idrogeno): infine utilizzato come combustibile.
E’, insomma, una fonte secondaria, un vettore energetico né più
né meno che l’elettricità, della quale condivide molti aspetti assai
appealing, dalla pluralità dei modi e delle fonti da cui si può
ottenere - sottraendosi quindi all’ipoteca di “cartelli” geopolitici alla capillarità della distribuzione. Ha in più alcuni vantaggi. Due
già detti; è un combustibile che da qualche anno si sta
sperimentando, come liquido criogenico, per gli aerei (Tupolev,
Daimler Chrysler) ed è difficile pensare a un motore elettrico che
spinga un jet; può, al contrario dell’elettricità, essere stoccato
(come gas ad alta pressione, come idruri metallici) e utilizzato
quando serve. Un altro vantaggio riguarda, in un futuro che
potrebbe non essere remoto, le sue qualità di conduttore
elettrico a resistenza quasi nulla.
LA PRODUZIONE DELL’IDROGENO
Come produrre questo vettore energetico, questo combustibile
eccezionale? Esso può essere prodotto da fonti pulite e
rinnovabili - solare, eolica, biomasse - , dai combustibili
fossili, dall’energia nucleare. Dai combustibili fossili l’idrogeno
viene “estratto” direttamente, in generale attraverso processi
termochimici; e mediante processi bio/termochimici l’idrogeno
può venire estratto dalle biomasse o, con opportune condizioni di
pressione e temperatura, si ottiene la scissione diretta dell’acqua in
idrogeno e ossigeno, la termolisi. Se si parte dalle fonti
energetiche rinnovabili o dal nucleare si tratta di produrre
prima elettricità e con questa, scindendo l’acqua in idrogeno
e ossigeno (elettrolisi dell’acqua), ottenere l’idrogeno.
Vorrei subito sottolineare che l’accoppiata idrogeno/ nucleare è
stata in passato a lungo ipotizzata e proposta: dai progetti militari i “motori” nucleari delle portaerei che producessero idrogeno come
carburante per gli aerei - a una più ampia strategia del gas come
intermediario delle enormi quantità di calore prodotte da una
centrale atomica, per immagazzinare quella energia e distribuirla
per far fronte alla parte maggioritaria degli impieghi energetici, che
non sono certamente quelli elettrici.
Questo binomio può essere l’occasione vera, non soltanto a mio
modo di vedere, di un rilancio, questa volta sì, dell’energia
nucleare che, col suo modesto 6,6% dopo quasi
cinquant’anni, resta in deciso declino.
Non dobbiamo qui ripetere le ragioni, anche se purtroppo
ignorate dalla maggior parte degli attuali trentenni, che abbiamo
sostenuto contro l’opzione nucleare, per tanto tempo e fino alla
vittoria - en passant non è male ricordare ai trentenni che dal
1990 sono chiusi in Italia tutti gli impianti nucleari -, e che
restano sostanzialmente immutate: nulla si è fatto nel campo
della sicurezza, intrinseca o di concreti miglioramenti; la questione
delle scorie di vita media lunghissima resta oggetto di ricerca,
con budget rilevante in alcuni Paesi come la Francia. Per non
parlare poi degli aspetti economici che fecero definire dalla rivista
Forbes, era la metà degli anni ’80, i programmi nucleari degli
Stati Uniti come uno dei più clamorosi fallimenti commerciali
Ma non è davvero una guerra di religione: anche per queste scelte
si tratta di dichiarare il proprio riferimento, non pretendendo di
rappresentare posizioni oggettive o super partes, peraltro risibili. Il
contesto cui guardare è per noi quello della sostenibilità
delle tecnologie, delle produzioni, dello sviluppo economico
e sociale. Ed è significativo rilevare come già oggi, anche dal
brutale punto di vista dei costi, ci siano interessanti opzioni prosostenibilità.
I metodi tradizionali di produzione dell’idrogeno comprendono lo
steam reforming del metano, la gassificazione del carbone e
l’elettrolisi dell’acqua.
Nello steam reforming il gas naturale viene fatto reagire con
vapore ad alta temperatura (>800°C) e la miscela che ne risulta,
raffreddata, è sottoposta ad una nuova reazione con altro vapore:
dal processo escono idrogeno e anidride carbonica, CO2, che viene
rimossa insieme ad altre impurità risultando alla fine solo idrogeno
puro.
Altri processi sono stati introdotti negli anni ’90, sempre basati
sul gas naturale, che hanno in uscita la coproduzione di idrogeno
e nerofumo. La vendita sul mercato di quest’ultimo componente
(gomme, pneumatici, vernici, inchiostri) ripaga del costo del
“sequestro” della CO2, tanto più quanto più elevata è la resa di
conversione dal gas naturale in idrogeno e nerofumo: il “processo
Kvaerner” porterebbe a un costo finale sensibilmente inferiore a
quello dello steam reforming, mentre la tecnologia di ossidazione
parziale, di efficienza inferiore al reforming con il vapore, potrebbe
essere più flessibile per l’uso nelle autovetture e potrebbe essere
applicata all’“estrazione” di metanolo e etanolo dalle materie prime
carboniose e dalle biomasse.1
La produzione di idrogeno da carbone è quella più svantaggiata
rispetto agli altri combustibili fossili per il più basso rapporto
idrogeno/carbonio (nel metano per ogni atomo di carbonio ci
sono quattro atomi di idrogeno).
Nell’elettrolisi si scinde direttamente l’acqua, con l’aiuto di un
elettrolita (acido o base), negli ioni dell’idrogeno e dell’ossigeno;
facendo passare nella soluzione elettrolitica una corrente elettrica
continua, si ottiene che l’idrogeno si deposita al catodo e
l’ossigeno all’anodo. Sempre per ottenere idrogeno dall’acqua si è
ricorso a processi elettrolitici con vapore ad alte temperature o alla
scissione termochimica, elettrochimica o fotobiologica. Rompere le
molecole d’acqua è, in ogni caso, un’operazione con elevato costo
energetico, attesa la forza del legame idrogeno/ossigeno: per
questo l’elettrolisi viene talvolta vista come un modo costoso di
produrre idrogeno puro. In realtà grandi elettrolizzatori
industriali sono stati costruiti fin dagli anni venti e, poi, dopo
la seconda guerra mondiale, un po’ in tutto il mondo,
dall’India all’Egitto. Dalla seconda metà degli anni ’90 sono state
messe a punto e introdotte sul mercato nuove tecnologie
economiche e ad elevata efficienza (>80%), che non
riguardano solo grandi impianti.
La questione dei costi va poi vista anche in rapporto ai costi
dell’elettricità necessaria al processo e alla fonte primaria che si usa
per generare questa elettricità. Dal punto di vista di quelle che
vengono pudicamente chiamate externalities, cioè i costi
ambientali e sanitari che le imprese tendono a far pagare alla
collettività, è evidente che la produzione pulita dell’elettricità
necessaria alla produzione dell’idrogeno rappresenta un vantaggio
ambientale. Se si ricorre per la generazione dell’idrogeno a una
fonte rinnovabile o inesauribile, come il Sole, al vantaggio
ambientale si unisce il fatto che il costo della materia prima è
nullo.
Si capisce allora la simpatia degli ecologisti per l’idrogeno
come combustibile pulito prodotto, come è tecnologicamente
possibile, da una fonte rinnovabile come l’energia solare o
eolica: “Il Leone e l’Acquario”.
Ma anche una transizione nella quale l’idrogeno dovesse essere
ancora prodotto preminentemente dal metano, a tutti coloro che
improvvisamente hanno scoperto il ruolo della CO2 nei drammatici
cambiamenti climatici che stiamo già da tempo vivendo va ricordato
che, se è banalmente vero che al momento della produzione si ha
liberazione di CO2, al momento dell’utilizzo, pensiamo al traffico
veicolare in un contesto urbano, fa una gran differenza, proprio
per gli aspetti sanitari, la combustione dell’idrogeno a impatto
sanitario pressoché nullo - vapor acqueo - rispetto a quella delle
benzine, nei cui prodotti di combustione campeggia il
cancerogeno benzene, per non citare tutti gli altri HC responsabili
di danni sicuri all’apparato respiratorio.
In conclusione, gli elementi fin qui forniti ci consentono di affermare
che la “svolta idrogeno”, non è una profezia azzardata,
diverrà, in parte lo è già, uno dei grandi leit-motiv del 21°
secolo. Sarà, è bene saperlo, un grande conflitto economicotecnologico, ma anche culturale: da una parte il rilancio del
nucleare, dall’altra il lancio su larga scala delle fonti
sostenibili, energia solare ed energia eolica in testa; come è
già oggi possibile leggere dalle scelte del Giappone, che ha
mantenuto una forte opzione nucleare, ma che si sta
impegnando molto seriamente sul solare. Penso che sarebbe
ozioso declinare da quale parte stiamo e per quali opzioni ci
batteremo in questo confronto.
UN SISTEMA ECONOMICO/INDUSTRIALE “IDROGENO”
E’ dalla Rivoluzione Francese che l’idrogeno calca le scene
dell’attività industriale con alterne vicende. Per venire ai giorni
nostri, dopo la crisi energetica del ’73 fece parte dei progetti
alternativi al petrolio. Fu colpito, insieme alle fonti rinnovabili,
dalla cancellazione di progetti e spese operata
dall’amministrazione Reagan; nel contempo, in nome del
liberismo, veniva finanziata coi soldi dello Stato l’industria nucleare
mentre il nucleare militare raddoppiava il suo budget.
Innegabilmente la sua riscossa fu segnata nei primi anni ‘90 dal
libro di Al Gore, tradotto anche in italiano: “La Terra in bilico”.
Da allora progetti di grande respiro hanno preso quota in Giappone
come negli Stati Uniti come in Europa, e l’idrogeno torna di moda:
Rifkin si ripropone, anche in questo campo, come profeta di un
mondo nuovo2; viene editato, con significative aggiunte e
aggiornamenti rispetto al testo del 1981, “The forever fuel - The
history of Hydrogen”, “L’Era dell’Idrogeno” di Peter Hoffmann,
al quale facciamo in più parti riferimento.
Qual è il motivo per cui un combustibile versatile, che ha tutti i
vantaggi dei combustibili fluidi - trasporto su lunghe distanze,
stoccabilità - e che per di più ha un potere calorico elevatissimo e
produce un inquinamento trascurabile, non è riuscito ad
affermarsi da tempo come una delle grandi opzioni energetiche,
almeno dopo la crisi energetica del ’73? Eh si, perché anche la
rilevante produzione mondiale di idrogeno, peraltro indirizzata per
la maggior parte a usi non energetici, rappresenta solo un 1% del
fabbisogno energetico mondiale.
Ci sono diversi motivi, ad alcuni abbiamo già accennato, ma quelli
decisivi si riassumono facilmente.
Il primo è il basso prezzo del petrolio - anche a 35 dollari a
barile siamo a poco più di un terzo del costo massimo, quello
del 1985 - che non stimola né le grandi multinazionali né i governi
a impegnarsi nei formidabili investimenti necessari a proiettare su
scala mondiale un nuovo fattore energetico; anche se non può
essere sottovalutata l’amplissima gamma di progetti e
sperimentazioni che renderebbero già possibile un significativo
decollo dell’idrogeno nel giro dei prossimi anni.
Il secondo è l’enorme inerzia associata ad ogni grande fonte
energetica: si pensi non soltanto, come è ovvio, ai giganteschi
interessi economico-finanziari, ma anche alle colossali
infrastrutture, agli enormi quantitativi operati, ai milioni di addetti,
alle abitudini consolidate anche dei consumatori, a una vera e
propria “cultura” legata a quella fonte.
Il terzo, il più importante, è la ancora scarsa propensione a
ragionare in termini di sostenibilità, a investire sulla
sostenibilità, per la quale la maggior parte delle imprese in
tutto il mondo è disposta a devolvere nelle voci del proprio
bilancio pochi per mille. E la tribolata vicenda del protocollo di
Kyoto, che dopo cinque anni non ha ancora raggiunto quel 55% che
lo renderebbe esecutivo, testimonia della sensibilità in materia di
Paesi dell’importanza degli Stati Uniti e del Giappone.
Nonostante queste considerazioni si intuisce da più segnali che ci
troviamo di fronte a una situazione nuova. Non è solo il
fascino di una proposta ormai matura: muoversi per una
decisa sostituzione dei combustibili fossili. Non è solo il
fascino di una grande rivoluzione industriale,
tecnologicamente ed economicamente possibile, in un
percorso, appunto, di scelte sostenibili. C’è una considerazione
basilare: in meno di vent’anni la produzione industriale di
petrolio raggiungerà il suo massimo e allora sì che, la domanda
superando l’offerta, la crescita del prezzo del greggio
assumerà ritmi esponenziali. E, quando si programmano le
scelte energetiche, vent’anni vuol dire domani.
Elementi di valutazione economica sui prezzi, quindi, e sui nuovi
protagonisti della domanda, e sulla disponibilità geopolitica delle
fonti. Ma c’è anche aria di sfida, sulla competitività di nuove
tecnologie energetiche che in qualche modo premono e
urgono: dalla Germania come dalla Francia e dal Giappone si
moltiplicano atti in questa direzione, né si può dimenticare il ruolo
propulsivo che la California ha negli Stati Uniti. Del resto, a chi
fosse preoccupato del carattere rivoluzionario della proposta
“idrogeno” è bene ricordare che nelle migliori posizioni, per una
scelta che sembra imminente, ci sono le grandi multinazionali
dell’energia, a partire da BP e Shell.
Vale la pena a questo punto sottolineare come una strategia
industriale dell’idrogeno in chiave di grande vettore energetico
possa essere concepita solo nel contesto di un forte lancio di
tutte le fonti energetiche rinnovabili, dal solare - termico e
fotovoltaico -, all’eolico, al micro-idro, alle biomasse. Può essere poi
noioso ripeterlo, ma ogni politica di forte promozione delle energie
rinnovabili deve procedere di pari passo, anzi dovrebbe essere
preceduta, da significativi interventi di uso efficiente dell’energia
in tutti i comparti di produzione e di consumo: la realizzazione cioè
dei negawatt, che costano la metà dei megawatt e le cui
enormi potenzialità furono ben illustrate dallo studio che l’ANPA
commissionò a Florentin Krause3.
E’ opportuno allora richiamare sinteticamente dati e stime, relativi
all’Italia, che furono presentati dal direttore del CIRPS (Centro
Interuniversitario per lo Sviluppo Sostenibile) nel convegno sul
tema all’aula magna del CNR (ottobre 2002) ed implementati in
un seminario svoltosi nel gennaio di quest’anno4 : la potenzialità
complessiva delle fonti rinnovabili per la produzione
elettrica ascende, tenendo conto dei vincoli socio-ambientali, dei
criteri economici e dei rendimenti degli attuali dispositivi, a 325
Twh (*) corrispondenti a una potenza installata equivalente di circa
137.000 MW (*); a questa producibilità elettrica si può associare
un obiettivo di produzione di idrogeno al 2020 di oltre 7
milioni di tonnellate/anno, pari a oltre 20 Mtep/anno,
scandito nelle tappe intermedie di 100mila ton./anno per il 2005 e
di 1,5 milioni di ton./anno al 2010. Secondo le stime del CIRPS i
nuovi posti di lavoro attivati, seguendo i parametri occupazionali
del libro bianco della UE, nelle attività di Ricerca & Sviluppo, di
produzione (con le tecnologie immediatamente disponibili nella
previsione di breve termine), di infrastrutturazione (sistemi di
stoccaggio, trasporto, distribuzione) sarebbero 100mila al 2005,
non meno di 200mila al 2010 e oltre 600mila al 2020. Per
conseguire questi obiettivi il CIRPS ipotizza un investimento di 15
MLD di € per lo scenario di breve termine (con un ritorno di 1
MLD di € all’anno) e un investimento di 100 MLD di € per lo
scenario al 2020 (con un ritorno di 70 MLD all’anno).
Sono dati e stime di un grande progetto di produzione di
energie pulite e di idrogeno che, nelle cifre degli investimenti e
dei conseguenti risultati in termini di energia disponibile e di
nuova occupazione, fa ben capire la valenza economica e
industriale dell’attivazione di questo comparto.
E’ importante poi rilevare che le cifre del CIRPS implicano una
gradualità ragionevole nello sviluppo delle fonti rinnovabili e
l’attivazione di neanche il 5% della loro potenzialità al 2020,
secondo i rendimenti “obiettivo” (quelli che i dispositivi di utilizzo
avranno raggiunto per quella data); o, se si vuole un altro criterio
di confronto, corrisponde a dedicare alla produzione
dell’idrogeno tanti Twh da fonti pulite quanti ne prevede per
l’Italia la direttiva UE (approvata nel settembre 2001), non al
2020, ma al 2010.
Questa produzione di idrogeno potrebbe coprire, ipotizzando al
2020 una sostituzione con auto a idrogeno del 20% delle
autovetture attualmente circolanti, tutto il fabbisogno italiano e
quasi tutto quello europeo.
Di valenza più generale per l’industria energetica, ma senz’altro
anche uno dei punti chiave per le auto a
idrogeno, sono le fuel cells , le celle a combustibile5: sono
dispositivi elettrochimici che convertono
l’energia di una reazione chimica direttamente in energia
elettrica. Il loro principio di funzionamento fu scoperto oltre un
secolo e mezzo fa da Sir William Grove, un fisico inglese che
inventò un piccolo apparato
in grado di produrre energia elettrica proprio dalla combustione
dell’idrogeno ad opera dell’ossigeno.
Attualmente questi generatori elettrici sono in sviluppo con
una considerevole differenziazione: diversi i tipi di
combustibile che le alimentano - idrogeno, metano,
metanolo ecc.- , di ossidante, di elettrolita; diverse le
temperature di esercizio (da meno di 100 °C a più di 800 °C)
e i processi di reforming del combustibile.
In quanto generatori di energia elettrica non è difficile capire la
molteplicità di usi nei quali le fuel cells possono essere
impiegate. Sul terreno strettamente energetico sono utilizzabili
anche per la micro-cogenerazione: produzione di elettricità
con rendimenti superiori al 50% e di calore, circa il 25%, con
potenze dai 250 KW ai 2 MW, cioè dalla domanda commerciale
e residenziale a quella industriale; ad es., l’Edison conduce a
Spinetta Marengo, con il supporto della Regione Piemonte e del
Ministero dell’Ambiente, un progetto integrato “celle a
combustibile + microturbina” su tecnologia Siemens, per un
impianto di micro-cogenerazione da 300 KW in grado di erogare
circa 170 KW di potenza elettrica e circa 70 KW di potenza termica.
Questa tecnologia fornisce, insomma, un orizzonte assai
interessante in un mix di opzioni e di scenari
possibili e non è solo Peter Hoffmann1 a ipotizzare che possa
proprio essere la micro-cogenerazione la
(*)
Twh, terawattora, è un multiplo del più familiare kwh (1
terawattora = 1 miliardo di kwh); per capire l’entità in gioco, 325
Twh è il fabbisogno nazionale di energia elettrica prevedibile per il
2006. Con MW, megawatt, si indica un multiplo del watt (mega =
106 = 1 milione), l’unità di misura della potenza (non solo
elettrica), cioè dell’energia erogata nell’unità di tempo; 137.000
MW di potenza elettrica è più del doppio della potenza oggi
richiesta in Italia, ma, in quanto riferita prevalentemente a fonti
(sole, vento ecc.) che non sono utilizzabili con continuità, ad essa si
può associare un’energia erogata, in media, per meno di 2500 delle
8760 ore di un anno.
tecnologia che decollerà per prima sul mercato come traino per
tutta l’“economia a idrogeno”.
Davanti ai dati ed alle ipotesi per sommi capi illustrate non possono
certo restare indifferenti tutti coloro che ritengono, ricordando
sempre libro bianco della UE, che non tutte le produzioni possano
essere dematerializzate (elettronica, informatica, telecomunicazioni,
servizi ecc.), relegando nel terzo e quarto mondo quell’industria
energetico-manifatturiera dei cui prodotti avremo in ogni caso
bisogno; tutti coloro che ritengono invece auspicabile una sorta di
re-industrializzazione ambientale in attività, appunto,
sostenibili.
Se pensiamo a tutte le attività di formazione, di education, di
ricerca e sviluppo, di progettazione e produzione, di sistema e di
rete ci si rende ben conto che l’ “economia a idrogeno” potrebbe
rappresentare una valida alternativa a quel declino del nostro
Paese, evocato di recente anche dal Governatore della Banca di
Italia. Un declino che già da tempo si legge non tanto, o non
solo, sui vari indicatori economici, ma sulla contrazione dei già
esigui fondi per la ricerca, sui gravi ritardi nell’innovazione
tecnologica, sulla mancanza di una forte politica di
investimenti nell’istruzione e nella formazione in una
prospettiva diametralmente opposta a quella para-aziendale e
classista che ispira il Governo, che si parli della riforma Moratti o di
quella del CNR.
LO STATO DELL’ARTE NELL’UNIONE EUROPEA E IN
ITALIA
Il Consiglio di Göteborg del 2001, che ha fatto della
sostenibilità una priorità dell’Unione europea e un criterio che
deve informare la totalità delle sue politiche, prevede un maggiore
sostegno alla ricerca, allo sviluppo e alla diffusione di
tecnologie relative a risorse di energia pulita e rinnovabile.
Nel settembre del 2001 la direttiva 2001/77 “sulla
promozione di elettricità prodotta da fonti energetiche
rinnovabili” (FER) riconosceva, in premessa, la primaria
importanza di una decisa iniziativa nel campo delle FER, dal punto
di vista della protezione ambientale - e, in particolare, per
realizzare gli obiettivi di Kyoto -, ma anche dal punto di vista
dell’occupazione, della coesione sociale e del contributo alla
sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
L’obiettivo comunitario al 2010 per le fonti energetiche
rinnovabili veniva fissato in un contributo pari al 22% della
produzione lorda di energia elettrica, in modo da poter
raddoppiare la quota delle energie rinnovabili nel consumo
lordo di energia totale: dal 6% del 1998 al 12%.
Per conseguire tale obiettivo, la direttiva si propone di creare un
quadro favorevole mediante forme di sostegno finanziario,
semplificazione delle procedure amministrative e per l’accesso alla
trasmissione e distribuzione di elettricità. La direttiva rinuncia
però a porre precisi obiettivi vincolanti ai singoli Stati membri,
limitandosi a stabilire obiettivi nazionali indicativi, così come
giudica prematuro armonizzare il sostegno finanziario, che resta
così prerogativa dei singoli paesi.
Solo se i progressi degli Stati membri si rivelassero insufficienti
rispetto agli obiettivi, la Commissione allora presenterebbe al
Parlamento e al Consiglio proposte che potrebbero includere
obiettivi obbligatori ed un Quadro Comunitario per i regimi di
sostegno.
La Commissione, in una recente comunicazione: “Prospettive a
livello mondiale delle politiche in materia di Energia,
Tecnologia e Clima all’orizzonte 2030”, delinea per la prima
volta in maniera dettagliata le sfide globali che dovrebbero
presentarsi in questo settore entro i prossimi trent’anni. Del
documento, interessante per molti aspetti, non condividiamo
assolutamente gli accenti sul nucleare e non solo per le ragioni
prima molto schematicamente ricordate: essi sembrano, infatti, più
figli dei ripetuti richiami in materia del Commissario de Palacio, che
non una più realistica presa d’atto delle risposte a quei richiami dei
Governi nazionali, negative - a cominciare dal Governo italiano - o
formali, e degli orientamenti in corso6. Del tutto condivisibile,
invece, la missione internazionale della UE, delineata, attraverso
il riorientamento delle sue politiche e dei suoi investimenti pubblici
e privati, a favore dello sviluppo sostenibile, come impegno anche
nei confronti dei PVS.
E’ poi in dirittura d’arrivo l’adozione del programma “Energia
intelligente per l’Europa”, che disporrà dal 2003 al 2006 di una
dotazione di 200 milioni di euro. Il nuovo programma rafforza le
componenti “energie rinnovabili” (ALTENER) ed “efficienza
energetica” (SAVE) e introduce altre due componenti, relative agli
aspetti energetici dei trasporti (STEER) e della promozione delle
fonti energetiche rinnovabili e dell’efficienza energetica a
livello internazionale (COOPENER), soprattutto nei Paesi in via di
Sviluppo. Inoltre esso potenzia le attività di diffusione e
promozione delle migliori pratiche in materia di energia mediante
azioni di sensibilizzazione ed educazione e la promozione di
investimenti nelle nuove tecnologie7.
Sempre per il quadriennio 2003-2006, il VI Programma
quadro europeo della ricerca sviluppa un obiettivo di
diversificazione delle fonti energetiche, che assegna allo “Sviluppo
sostenibile” - che include attività su cambiamento climatico, energia
e trasporti - 2,120 miliardi di euro. Le priorità in campo
energetico riguardano: i) Celle a combustibile e la loro
applicazione; ii) Nuove tecnologie per i vettori d’energia, il
trasporto e lo stoccaggio, con particolare riguardo all’idrogeno;
iii) Nuove tecnologie per le energie rinnovabili; iv) Isolamento
delle emissioni di CO2.
Questo nuovo programma quadro attribuisce più risorse per
l’idrogeno (circa 200-300 milioni di euro) rispetto ai programmi
precedenti e individua la cattura e l’isolamento della CO2 come una
priorità a lungo termine7.
L’”economia dell’idrogeno” è una delle principali priorità della
Commissione Prodi, soprattutto nelle politiche dell’energia e dei
trasporti.
Nell’ottobre del 2002, la Vicepresidente de Palacio, con delega
all’energia e ai trasporti e il Commissario alla Ricerca Busquin
istituivano un gruppo ad alto livello, che, il 16 giugno scorso, ha
presentato a Bruxelles il rapporto alla Commissione: “L'idrogeno e
le pile a combustibile - una visione per il futuro”.
Il gruppo ad alto livello raccomanda vivamente il lancio di una
piattaforma tecnologica europea sull'idrogeno e le pile a
combustibile sotto la guida di un Consiglio consultivo, al fine di
incoraggiare un quadro politico coerente in materia di trasporti,
energia, ambiente e imprese per premiare le tecnologie di sviluppo
sostenibile.
La piattaforma deve anche prevedere un'Agenda per la ricerca e
una strategia europea a lungo termine, inclusi programmi pilota
e dimostrativi, per l'idrogeno e le pile a combustibile, che guidi la
transizione, nell’arco di 20 - 30 anni, verso un'economia
orientata all'idrogeno. Il rapporto presenta anche le “linee guida”
per la piattaforma, indica le priorità di intervento e le possibili linee
di finanziamento. Altre informazioni, e il loro aggiornamento, sono
reperibili nel sito riportato nella nota bibliografica8.
Questo è anche un modo con cui l’Unione europea può porsi come
interlocutore credibile delle politiche energetiche planetarie,
dopo l’esperienza negativa della guerra in Iraq e delle
profonde divisioni che hanno attraversata l’UE, attuale e futura,
nella speranza che il cammino della Convenzione rafforzi la sua
credibilità politica.
In Italia, ci troviamo di fronte alla deprimente la politica del
Governo Berlusconi. Certo, l’Ulivo non aveva brillato, ma, se
non altro, era stato emanato nel 2000 il decreto legislativo Bersani
sulla promozione dell’impiego di fonti rinnovabili nella produzione
elettrica, in sintonia con la direttiva europea - la già citata 2001/77
- allora ancora in gestazione. Oggi, l’attuazione del decreto batte il
passo, mentre l’azione del Governo consta di due provvedimenti,
per non parlare della famigerata Ordinanza della Presidenza del
Consiglio dei Ministri in materia di scorie nucleari del 7 marzo
scorso, uno già preso e l’altro in itinere: il decreto
“sbloccacentrali” e il d.d.l. Marzano sull’energia.
Col primo, in nome di un liberismo pezzente, si dà licenza alle
imprese costruttrici di centrali a turbogas e altro di far affari al di
fuori di ogni programmazione e di ogni effettiva esigenza:
100mila megawatt richiesti dalle aziende, circa ventimila già
autorizzati, rispetto a una punta della domanda di 51.980 MW nel
2002 e di un parco elettrico esistente di oltre 70mila MW. Un
provvedimento così grossolano e miope da essere stato
respinto dalla Regione Lazio, governata dalla CdL, che nel
gennaio di quest’anno ha approvato all’unanimità, oltretutto
in materia costituzionalmente concorrente, la sua
sospensione.
L’altro, il “piano quinquennale”, disegna un programma per i
prossimi cinque anni che definire low profile è ottimistico.
Dovrebbe essere proprio uno strumento del genere a definire una
strategia, gli obiettivi e gli investimenti per politiche energetiche
innovative, di grande rilevanza tecnologico-industriale e
occupazionale come quella che stiamo qui delineando. Al contrario,
tra le altre cose, riduce la quota di FER dei “certificati verdi”
previsti dal decreto Bersani, assimilando all’energia elettrica da
fonti rinnovabili quella ottenuta dalla combustione dei rifiuti e dei
mangimi, e dalla combustione del gas ricavato dal tar, cioè dalla
morchia che residua nei processi di raffinazione del petrolio.
Quest’ultima estensione, che rinnovava il regime di favore che i
petrolieri avevano già ottenuto con lo scandaloso CIP 6 del ’92,
è stata bocciata il 17 luglio alla Camera; ma qualcuno la
ripresenterà senz’altro al Senato.
Non si vede proprio come, sulla base di queste azioni di governo,
l’Italia possa rimontare il gravissimo ritardo nel settore delle
FER, riassumibile in due dati vergognosi: al 2001 i m2 di
pannelli solari installati in Italia erano meno di quelli installati in
Danimarca, un sesto di quelli dell’Austria, un dodicesimo della
Germania; mentre la Germania supera i 12mila MW di potenza
eolica installati, l’Italia non ha ancora raggiunto i 1000 MW.
LE AUTO A IDROGENO E IL CASO FIAT
Quello delle auto a idrogeno è senz’altro uno dei settori di
maggior interesse: i beninformati mormorano che già nel 2005 si
dovrebbero vedere in circolazione le mitiche Bmw e Mercedes di
cui parlavo all’inizio, e le stazioni di rifornimento potrebbero non
essere più quei “santini” mostrati in libri e riviste. Del resto, dalla
Ford, alla Toyota, alla GM tutte le grandi multinazionali del settore
hanno esibito da tempo i loro prototipi a celle a combustibile
marcianti, mentre la Daimler Chrysler, non paga dei bus, si
impegna anche nel trasporto aereo.
Molti mesi fa Beppe Grillo, con la sua eclatante e intelligente
presenza davanti agli stabilimenti di Mirafiori tolse la questione
idrogeno dal terreno degli addetti ai lavori e implicitamente, ma
non troppo, fece sorgere l’interrogativo: “Ma non è che la Fiat,
nell’accordo con la General Motors, abbia fatto un passo
indietro in questo settore?”.
Più che un interrogativo sembrerebbe quasi una certezza, se si
pensa all’impegno sulle auto a idrogeno della GM, a partire
dall’Opel, la controllata della GM che rappresenta l’interfaccia
europea dell’accordo e che ha già presentato nel ‘98 uno dei suoi
modelli di successo, la Zafira, con le celle a combustibile.
In un recente Salone la GM ha presentato come concept car un
“ibrido”, cioè una vettura con un doppio dispositivo: a celle a
combustibile alimentate a idrogeno, e a benzina, con un reformer
che estrae dalla benzina idrogeno. Quale sia il significato di questa
seconda possibilità merita certamente attenzione: l’idrogeno
sembrava porre problemi di stoccaggio a bordo, ma già nel
1999 in una conferenza a Vancouver i consulenti della Ford
concludevano che lo stoccaggio a bordo è possibile e che
l’idrogeno “potrebbe addirittura essere il combustibile meno
costoso per i veicoli con celle a combustibile, con prezzo inferiore a
quello della benzina in rapporto ai chilometri percorsi”1. E del resto
già oggi un litro di idrogeno costa meno, in Europa, di un litro
di benzina.
Perché allora nella concept car della GM anche l’alimentazione a
benzina (con il reformer per l’idrogeno)? E’ una questione di
strategia: se si valuta che la rete di distribuzione dell’idrogeno
per le autovetture abbia tempi di realizzazione più lunghi e che le
difficoltà complessive possano essere maggiori di quelle
preventivate, c’è una soluzione di transizione che consente di
poter continuare a consumare benzina e, per il breve termine, c’è
un miglioramento dal punto di vista dei consumi e, quindi,
dell’autonomia. Proprio in questa chiave la GM ha proposto, come
vari giornali hanno riportato, un veicolo militare, un “ibrido”
gasolio-idrogeno (con celle a combustibile), che è l’oggetto di una
possibile massiccia commessa di 30mila unità. Alla luce di questo
fatto si può pensare - basta aver a mente i fondi che l’esercito Usa
può mettere a disposizione della sperimentazione e della
produzione - ad un’accelerazione formidabile della diffusione
delle auto a idrogeno. Tant’è che Rick Wagoner, presidente e
amministratore delegato di GM, ha annunciato l’offerta entro il
2003 di un’intera gamma ibrida, dai pick up alle berline medie,
con la prospettiva di ridurre il divario generazionale tra i motori a
combustione interna e quelli a celle a combustibile e in sostanziale
accordo, peraltro, con le indicazioni dello studio del MIT del
febbraio di quest’anno9.
Il panorama finora evocato fa capire l’entità della partita in
gioco e come la crisi Fiat potrebbe rappresentare
un’opportunità, ove fosse stata e fosse gestita in termini diversi,
a partire dalla concessione della cassa integrazione all’impegno di
risorse pubbliche e private, da quelli, tradizionalmente finanziari e
di industrial planning, secondo i quali viene affrontata.
Non è una critica gratuita o un pregiudizio, come si può capire
dall’esame dell’accordo di Arese10. L’accordo - stipulato tra
Sindacato, Regione Lombardia, Amministrazioni locali interessate e
imprese proprietarie delle aree - prevede la creazione di un Polo
della Mobilità Sostenibile, costituito da centri di ricerca
applicata per nuove tecnologie nel campo della mobilità e
dell’energia “volte alla salvaguardia dell’ambiente e della salute” e
di sostegno tecnologico agli operatori industriali, centri di
sperimentazione, gestione del traffico con sistemi intelligenti; ma,
soprattutto, prevede condizioni favorevoli per l’insediamento
progressivo di realtà produttive nei settori dei veicoli,
trasformazione a metano di veicoli pesanti, pneumatici, celle a
combustibile per l’uso dell’idrogeno. Completano il quadro i centri
di omologazione per componenti e veicoli e di studio per la
sicurezza. Insomma, un evento di importanza significativa per la
prospettiva che apre in direzione di una riconversione produttiva
improntata alla sostenibilità. E, accanto all’impegno per interventi
di sostegno normativo, la Regione annuncia una dotazione di
partenza dell’ordine dei 40 milioni di euro.
Che fine ha fatto la Fiat in tutto questo? Oggi la Fiat non c’è.
Ma, superato, almeno sembra, il momento peggiore del rapporto
con le banche, e ridisegnata una missione che ripone al centro del
core businness la produzione di autovetture competitive, in molti
sperano che i promotori dell’accordo di Arese abbiano qualche
carta per stanare, in un prossimo futuro, Fiat ad una prospettiva
che si potrebbe rivelare straordinariamente positiva.
La parte più significativa potrebbe essere proprio quella
dell’idrogeno. Sarà forse improbabile, ma non è utopia concepire un
grande accordo di programma tra la Fiat, gli Enti territoriali
interessati, i Ministeri competenti ed altri soggetti - Università,
Centri di ricerca - che abbia come obbiettivo la riconversione
parziale di alcuni segmenti produttivi nella ricerca &
sviluppo e realizzazione delle auto a idrogeno, ma anche nel
trasporto aereo; nella produzione delle diverse tipologie di
celle a combustibile, per autovetture e per la microcogenerazione, attingendo ai finanziamenti europei
disponibili. Innovazione tecnologica e difesa
dell’occupazione si salderebbero, a Torino come a Termini
Imerese, in una prospettiva di sostenibilità. Insomma, Fiat
potrebbe rappresentare la capofila di una rete di imprese per
l’ampio sistema di componentistica necessario, assistita da un
insieme di partner scientifici degni di rispetto: dalla disponibilità
annunciata dal Politecnico milanese, al già ricordato CIRPS, al
laboratorio del CNR di Messina, all’Enea.
Anche in Italia, come in molti Paesi avanzati, l’automobile
potrebbe essere una sorta di “cavallo di Troia” per andare verso
l’era dell’idrogeno, in tempi ragionevoli e con la ricaduta, di
grande rilevanza rispetto agli obiettivi di Kyoto, di abbattere una
quota significativa di CO2; e di ridurre fortemente, anche nel
caso di una transizione con gli ‘ibridi’, l’inquinamento urbano
dovuto al traffico veicolare, con guadagno certo per la
salute.
L’ENERGIA SOLARE E IL MEDITERRANEO
In questo ragionamento, fortemente incentrato sulle prospettive
dell’energia da idrogeno, non si può certo tacere quella “fusione
fredda” che Giuliano Preparata, le sue sperimentazioni, i
successi suoi e dei suoi collaboratori hanno sottratto dal limbo del
futuribile: nel medio periodo la fusione fredda potrebbe, tra l’altro,
rendere disponibili dei reattori di piccola potenza al servizio di
un’incredibile pluralità di usi domestici. Giuliano non è più con noi,
ma la battaglia istituzionale che, mi sia consentito, ho
pervicacemente condotto, è riuscita da tempo a incardinare quelle
ricerche di base, con la autorevole comprensione di Carlo Rubbia,
nei laboratori dell’Enea di Frascati.
Come non ricordare, allora, che, in occasione della
commemorazione di Giuliano Preparata alla Sala del Cenacolo della
Camera (24 ottobre 2000), fu proprio Carlo Rubbia a presentare
un progetto di solare termodinamico, quasi con gli stessi
argomenti e gli stessi esempi che molti di noi avevano usato, senza
successo, oltre vent’anni prima: nelle parole del premio Nobel
l’enorme potenziale di energia solare del Mediterraneo veniva
proposto quasi come sfida da lanciare al Nord Europa, ricco di
carbone e di petrolio; cioè, venendo al nostro tema, uno dei modi
puliti per avere energia elettrica, in generale, e per produrre
con essa l’idrogeno.
Su quel progetto, pochi giorni dopo, vennero appostati 200 MLD
di lire nella Finanziaria 2001, ai quali se ne sarebbero dovuti
aggiungere altri 300 dei due colossi di proprietà del Tesoro, Eni e
Enel. Alla presentazione della fattibilità del progetto, nell’autunno
2001, furono liquidati all’Enea 30 miliardi, una novantina vagano
nel “piano quinquennale” di Marzano, gli altri sono spariti e
quelli che il Governo doveva far sborsare a Eni ed Enel non si
sono più visti: non c’è più il progetto. Memoria di esso e della
fusione fredda si può trovare in un opuscolo, certo non di larga
diffusione11.
Resta però ferma la convinzione che è in quella direzione che
bisogna muoversi. In questi mesi, in seminari e convegni, è stata
spesso posta la questione:“Ma perché produrre elettricità dal sole
per poi produrre idrogeno, che serve, a sua volta, per produrre
elettricità? Utilizziamo direttamente l’elettricità prodotta dal sole o
dal vento”. Sarebbe sbagliato vedere queste scelte come fossero in
contrapposizione: la risposta è: “Sviluppiamo al massimo tutte le
fonti rinnovabili - i diversi tipi di solare, il vento, le biomasse -; e
sviluppiamo al massimo le potenzialità del vettore idrogeno”.
Se 2500 km2 dell’assolato interno della Sicilia - un po’ meno di un
decimo della superficie dell’isola, l’8 per mille del territorio
italiano - potrebbero rispondere a tutta la richiesta di elettricità
dell’Italia, appunto per via solare, quanto può dare, con molto
minor problemi socio-ambientali, l’8 per mille degli oltre 5
milioni di km2 di superficie del Sahara? Quanto basterebbe a
far fronte al fabbisogno elettrico al 2030 di tutta l’Africa e
dell’Europa dei “25”.
Ma le migliaia di terawattora producibili, per poter essere gestiti
rispetto ai “carichi”, cioè alle diverse esigenze quantitative,
stagionali e orarie in un sistema a rete devono prevedere grandi
capacità di accumulo per poter trasmettere e distribuire secondo
le flessibilità richieste. Del resto questo è sempre stato il fascino e il
grande sogno del “leone” e dell’ “acquario”12: enormi potenziali di
energia solare, a grandi distanze dalle utenze (Sahara,
Australia, Gobi), trasformata in idrogeno per poterla poi erogare
secondo le modulazioni della domanda.
Il CEPES (Centro Studi di Politica Economica in Sicilia) e
l’indomabile Nicola Cipolla che lo dirige hanno capito a pieno
queste potenzialità e la necessità di coinvolgere in un progetto
epocale gli interlocutori sociali, associazioni, movimenti,
sindacato e imprese, qui in Italia, per metterli in rapporto con gli
esponenti della sponda “di fronte” del Mediterraneo.
E’ un’iniziativa lungimirante alla quale bisogna assicurare
supporti finanziari e, soprattutto, iniziative politicoistituzionali. Basta ricordare che nella comunicazione adottata il
13 maggio scorso dalla Commissione UE, tra i vari campi di
intervento individuati nell’ambito del rafforzamento della
cooperazione energetica con i paesi vicini, venivano indicati quelli
della creazione di mercati euromediterranei dell'elettricità e
del gas; della stretta partecipazione dei paesi vicini e dei
partner in via di sviluppo all'armonizzazione tecnica e
all'interoperabilità delle reti di gas e di elettricità; della costruzione
di nuove infrastrutture eventualmente necessarie per un buon
funzionamento dell'Unione ampliata, in stretta collaborazione con i
paesi fornitori e con le regioni di transito. Nel quadriennio 20032006 è poi operativo il già ricordato programma europeo
COOPENER, dedicato proprio alla cooperazione con i Paesi in via di
sviluppo per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili.
L’UE si assume il compito di affrontare con strumenti transnazionali
sfide di carattere transnazionale, che integrino gli aspetti
tecnologici con quelli infrastrutturali, economici, sociali e culturali;
l’Italia si dovrebbe muovere in questo main stream.
Ma, per i motivi già ricordati, mi sembra che il Governo non sia
proprio in grado di mettersi in sintonia, o non voglia, con progetti
di così gran peso e momento; il suo cervello a tutt’altre faccende
affaccendato a queste cose è morto e sotterrato. Si tratta allora di
pensare a un’alternativa politica rispetto alla indisponibilità del
Governo, sia di quello centrale che di quello della Sicilia,
ricorrendo esplicitamente ad alcuni grandi enti territoriali, penso
alla Regione Campania, ai Comuni di Roma e di Napoli, per
stimolarne la “vocazione mediterranea” e uno sponsorship nella
direzione indicata. Anzi, pensare in grande non fa mai male, a una
più generale iniziativa non solo sul terreno del sole e
dell’idrogeno, ma dell’acqua e della gestione dei rifiuti.
Questo è l’impegno particolare, a nome del Movimento
Ecologista, nell’ambito di un più generale impegno politico che
stiamo da vari mesi profondendo su tutti questi terreni; insieme,
ovviamente, al proseguire la comune impresa di sensibilizzare
tutti gli interlocutori sociali, CGIL nazionale in testa, ma anche il
mondo imprenditoriale e della formazione.
E’ bene chiarire che a un progetto del genere spetterebbe definire
tutte le questioni di sicurezza per l’accumulo e il trasporto
dell’idrogeno ed i relativi costi. Su queste problematiche esistono
esperienze industriali, analisi sugli incidenti (ad es., quelle
raccolte dalla NASA1), studi sui materiali (ad es., la questione
dello sfaldamento delle tubature) e sull’esigenza di additivare
l’idrogeno, che è inodore e incolore, con altre sostanze che gli
diano un odore o un colore13; come anche dettagliate analisi sui
costi del trasporto (ad es., dall’Algeria alla Ruhr1)
Senza soggiacere alla sindrome dell’Hinderburg - il disastro nel
1937 del dirigibile tedesco, che stende a tutt’oggi sull’idrogeno
un’ombra nell’opinione pubblica14 - , è però del tutto connaturato
alla cultura ecologista dare priorità alle questioni di sicurezza (a
partire dalle norme e dalle leggi che devono regolare gli usi
energetici dell’idrogeno13); e questo impegno vale ovviamente non
solo per il progetto abbozzato, ma anche per tutti i momenti e i
dispositivi di utilizzo prevedibili in un prossimo futuro, autovetture
in testa.
DALLA QUANTITA’ ALLA QUALITA’
Abbiamo sempre contrastato sul terreno energetico la concezione
de “la scelta”, come unica e risolutiva, alla quale ambiva il
nucleare. Storicamente non è mai stato così, né ci sono validi
motivi razionali per ritenere che ci sia “una sola risposta” e non,
invece, una pluralità, un mix di soluzioni possibili. La “svolta
idrogeno” sarà una delle risposte cardinali per il 21° secolo
se, come per ogni altra scelta economica, industriale e,
quindi, sociale, potrà essere inscritta nel passaggio epocale
dalla quantità alla qualità, evocato fin dalle sue origini dal
movimento ecologista e perno di ogni politica della
sostenibilità.
NOTA BIBLIOGRAFICA
1
Peter Hoffmann, L’era dell’idrogeno, 2002, Franco Muzzio
Editore, Roma;
2
Jeremy Rifkin, Economia all’idrogeno, 2002, Mondadori, Milano;
3
Florentin Krause, La risorsa efficienza, 1999, rapporto
commissionato dall’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione
Ambientale), Roma;
4
Vincenzo Naso, direttore del CIRPS, relazione al Seminario: “La
svolta idrogeno”, Camera dei Deputati, 28 gennaio 2003, Roma
(disponibile sui siti: www.uniroma1.sae.it; www.yoyoba.it );
5
Per il loro funzionamento e le diverse tipologie vedi, ad es., ENEA,
TEA-CCBT/MR/2001;
6
Il parlamento tedesco approvò già nella precedente legislatura
una mozione che dava alla Germania l’obiettivo di sostituire, entro il
2050, i combustibili fossili tramite l’uso efficiente dell’energia e le
fonti rinnovabili. Il premier francese Raffarin ha sostenuto che un
massiccio impegno nelle fonti rinnovabili per l’adempimento del
protocollo di Kyoto, nella linea della sostenibilità, costituisce una
delle priorità del suo Governo. Per il Regno Unito, è assai istruttivo
lo studio: “Slow Road to UK Hydrogen Economy/Fuelling Road
Transport - Implications for energy policy”, EST (Energy Saving
Trust) www.est.org.uk, IEEP (Institute for European Environmental
Policy) www.ieep.org.uk, NSCA (National Society for Clean Air and
Environmental Protection) www.nsca.org.uk, novembre 2002;
7
Carlotta Gualco, direttore del Centro In Europa, relazione al
Seminario: “Verso l’era dell’idrogeno”, Palazzo Doria Spinola,
19 maggio 2003, Genova;
8
http://www.europa.eu.int/comm/research/energy/nn/nn_rt_hlg1_e
n.html ;
9
MIT LFEE_2003_001_RP.pdf : “Comparative Assessment of
Fuel Cell Cars”;
10
Gianni Mattioli e Massimo Scalia, “Da Arese parte il futuro
italiano dell’idrogeno”, Il Manifesto, 22 aprile 2003;
11
L’energia fredda e le fonti rinnovabili. In ricordo di
Giuliano Preparata, Maggioli Editore, 2002, Rimini;
12
In verità va riconosciuta a Cesare Marchetti , per quel che
riguarda l’Italia, una primogenitura sull’idrogeno, con un’ipotesi
contrapposta a quella di questa relazione, ma con molti elementi
comuni: egli infatti sostenne a livello europeo, con decisione ed
entusiasmo, la promozione dell’idrogeno in accoppiata con la
produzione nucleo-elettrica. Marchetti, un tecnologo che aveva
lavorato all’ENI negli anni ’50 e dirigeva nel ’70 il Centro di ricerca
per l’energia atomica della CEE di Ispra, sosteneva il ricorso
all’idrogeno non soltanto per superare l’era dei combustibili fossili,
ma anche per usi energetici diversi dall’elettricità (ad es., come
combustibile domestico e industriale), come input per produzioni
nell’industria chimica, estrattiva, dei trasporti e per produzioni
alimentari (proteine);
13
Vale la pena di menzionare anche lo sforzo fatto, già dal 1990,
per la costituzione di un Comitato tecnico per l’energia da idrogeno
- il TC 197 - all’interno dell’Organizzazione Internazionale per gli
Standard1. La sostanziale assenza in molti Paesi avanzati di norme
e di misure di sicurezza per gli usi energetici dell’idrogeno rende
problematico il lavoro del TC 197 ed è, ovviamente, uno dei punti di
prima attenzione anche per l’Italia;
14
All’incontro annuale del 1997 della National Hydrogen
Association, Addison Bain, un tecnico della NASA, presentò i
risultati di un suo decennale lavoro sull’incidente che configuravano
una primaria responsabilità non dell’idrogeno, ma delle scariche
elettriche atmosferiche in presenza del materiale altamente
infiammabile di cui era costituito il rivestimento del dirigibile
(alcune sostanze, come l’ossido di ferro e la polvere d’alluminio,
sono usate nei razzi ausiliari dello Space Shuttle). Quei risultati
furono pubblicati, tra l’altro, nella sezione scientifica del New York
Times e furono oggetto di vari documentari televisivi1. Bain mostrò
nell’ultima diapositiva l’incendio, che a prima vista poteva sembrare
quello dell’Hindenburg, di un dirigibile in una base della Georgia,
che era stato riempito non con idrogeno ma con elio (un gas
chimicamente inerte), e concluse: “La morale della storia è: non
verniciate il vostro dirigibile con combustibile da razzi”1.
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M. Scalia - Il leone e l`acquario