TITOLO TITOLO TITOLO TITOLO 140 Anna Maria Ambrosini Massari ‘Ei solo non ne restò interamente appagato…’. Simone Cantarini e il Miracolo di San Pietro. Passossene a Fano, per proseguire l’istesso avanzamento sulle due tanto rinomate tavole del Duomo, del Cristo dante le chiavi a S. Pietro e della Nunziata dell’istesso Guido, e da lui mirabilmente ricavate; che però gli fecero strada, dopo un lungo tempo, all’ottenimento d’uno almeno de’ due quadri laterali al detto primo nella Cappella maggiore, ove rappresentando l’indemoniato liberato dal Principe degli Apostoli, osservando il modo, e il maneggio di que’ duoi [Cristo che dà le chiavi a san Pietro; Annunciazione di Guido Reni] così imitò quel carattere, che non fu sulle prime, e non vi è anche oggidì che passando per quella città, e osservando quest’opra, non le giudichi della stessa mano, che colorì il S. Pietro e la Nunziata suddetta. Ei solo non ne restò interamente appagato, parendogli mancargli pur anche una certa grandezza e nobiltà guidesca […]1. Così il racconto di Carlo Cesare Malvasia, sempre avvolto nella sintesi aneddotica ma indubbiamente con molti fondamenti di verità. Il fatto che il pittore si recasse a Fano per continuare la palestra sui testi di Guido Reni, dopo lo studio e l’esercizio sulla Pala Olivieri (Pinacoteca Vaticana) fa parte dello schema interpretativo che inserisce ogni avanzamento dentro i modelli del maestro bolognese. L’esperienza fanese diventa così la tappa decisiva per recarsi presso Reni a Bologna. Si è ampiamente discusso, in occasione della recentissima mostra che Fano ha dedicato a Cantarini nel 400° dalla nascita, di quanto la cittadina, in realtà, sia stata centrale per “L’educazione sentimentale”2 del pittore, molto probabilmente anche prima della sua visione della pala eseguita da Reni per la famiglia Olivieri di Pesaro. Indubbiamente, Cantarini ebbe una mobilità ben più agile e precoce su Fano, rispetto a quanto riportato da Malvasia. Un ruolo importante, in tal senso, dovettero giocarlo anche contatti diretti con la committenza più importante, non ultima la famiglia Marcolini, soprattutto se la pista che lega i Cantarini di Pesaro con il ramo nobiliare di Fano, debba essere tenuta nella giusta considerazione3. D’altra parte, anche gli esordi pittorici dell’artista, che ad oggi si appuntano alla pala con la Be- ata Rita per la chiesa di Sant’Agostino a Pesaro, attirano fin da subito l’attenzione sul ruolo notevole e continuativo che tale ordine era destinato ad avere nella vita e nella carriera di Simone. Strettamente connesse agli agostiniani sono le altre due pale eseguite per Fano, Madonna della cintura coi santi Agostino e Monica e La Vergine col bambino appare a san Tommaso da Villanova4. Più di un indizio consente di essere certi, dunque, che Simone Cantarini conosceva le pale fanesi di Guido Reni, che risplendevano in San Pietro in Valle dal 1622, l’ Annunciazione e dal 1626, la Consegna delle chiavi a san Pietro. Ben prima che in Duomo a Pesaro giungesse la Pala di Reni oggi alla Vaticana che dovrebbe collocarsi attorno al 1631-’325. L’esercitazione su quei famosissimi testi pittorici, proprio a Fano, dovette essere un viatico non secondario per farsi conoscere e guadagnarsi la stima dei committenti, fino all’ottenimento d’uno almeno, come recita Malvasia, dei laterali alla Consegna delle chiavi di Reni ed é evidente che anche dietro quell’accenno a una commissione ben più prestigiosa e completa, per entrambi i laterali, si celino i risvolti ancora oscuri della vicenda. Dalle parole di Malvasia6, in ogni caso, affiorano almeno due dati rilevanti. In particolare quando afferma: dopo un lungo tempo, […] l’ottenimento d’uno almeno dei due laterali all’altar maggiore. Veniamo dunque informati che dovette passare molto tempo prima di giungere alla definizione della commissione e che il pittore dovette darsi da fare per riuscire ad eseguire uno almeno dei due dipinti in ballo. E infatti, infine, l’altro laterale alla pala di Reni oggi al Louvre, con la raffigurazione del Miracolo della resurrezione di Tabita, fu eseguito da un pittore di probabili origini tedesche, influenzato da artisti nordici ma anche con precisi debiti guercineschi. Si tratta di Matteo Loves, una presenza abbastanza fuori centro nel contesto di una armonia linguistica quale quella, classicamente intesa, del binomio Reni-Cantarini. D’altra parte, la datazione della tela di Loves entro il 1635, resa plausibile dal confronto con un’opera conservata alla Galleria Estense di Modena, il Ritratto del cappuccino Giovanni Batti- Simone Cantarini, Miracolo di san Pietro che risana lo storpio, Fano, Pinacoteca Civica 141 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO sta d’Este già duca Alfonso III di Modena, datato 1635 e dalla precisa memoria dei dipinti di Giovan Francesco Guerrieri, che Loves poteva aver visto solo nella Cappella di San Carlo in San Pietro in Valle, ne colloca l’impegno fanese prima o comunque a ridosso di quella data. Dovendo dunque immaginare una precedente doppia commissione dei laterali Marcolini a Cantarini, si dovrà risalire prima del 1635, perlomeno per l’impostazione di una commissione, travagliata e, come dice appunto Malvasia, definita e poi anche condotta a termine, in tempi lunghi. Che dovette trattarsi di una commissione protratta molto a lungo nel tempo lo conferma la storia stessa dei committenti, a partire dall’ideatore del progetto, Francesco Maria Marcolini senior (1599-1622). Il nobile Marcolini aveva sposato diciottenne, nel 1617, la cugina Caterina ed era morto a Pisa nel maggio 1622, dove quattro mesi dopo nasceva il figlio Francesco Maria junior7. Le scritte sotto le cornici8, che contenevano i dipinti del Loves e del Cantarini, in parte riportate nel manoscritto con la storia dell’oratorio fanese9 spiegano come la commissione, seguita successivamente da Caterina Marcolini, venne infine portata a compimento dal figlio, dunque non prima del 1640, quando questi avrebbe avuto appena diciotto anni. Il progetto della decorazione, perlomeno le indicazioni circa il soggetto del ciclo pittorico, dovevano essere stati già impostati dal primo Francesco Marcolini, se il dipinto del Reni per l’altare maggiore era già finito nel 162310. La Cappella testimonia il gusto composito dei committenti, a partire dalla cultura baroccesca, negli affreschi sulla volta di Antonio Viviani, fino agli aggiornamenti di punta sulle novità bolognese romane. L’imponente commissione fu indubbiamente concertata insieme al Padre Girolamo Gabrielli, fondatore e finanziatore della congregazione e della chiesa11. Non a caso ambedue si rivolgono al Reni: a Gabrielli si deve la presenza a Fano della celebre Annunciazione, commissionata per il proprio altare in San Pietro in Valle e giunta al suo posto nel 162112. 142 Dopo la morte del Marcolini i lavori dovettero subire una battuta d’arresto, se il quadro di Guido per l’altare maggiore venne collocato solo nel 162613. Più che probabile che un peso non secondario nella scelta verso il coinvolgimento del giovane pittore pesarese, dovette esercitarlo il nucleo fanese della famiglia Cantarini, soprattutto se si considera che Camillo Cantarini, del ramo fanese, sposò in seconde nozze Francesca Marcolini, della nobile famiglia committente14. Sulle successive decisioni per i completamenti della decorazione, oltre al fatto che coinvolsero un tempo assai più lungo di quanto inizialmente previsto, le indicazioni di Malvasia indirizzano, come accennato, verso una potenziale doppia commissione, perlomeno auspicata, per l’esecuzione, da parte di Cantarini, di entrambi i laterali all’altare maggiore. Una prova intrigante di tale eventualità sono i due disegni per la Resurrezione di Tabita, conservati l’uno a Roma, presso la Galleria Nazionale (Gabinetto Disegni e Stampe, inv. F.N. 125646)15, l’altro a Londra, al Victoria and Albert Museum (inv. D. 988-1900). Quest’ultimo è stato interpretato come preparatorio per il San Pietro che risana lo storpio16 ma va senz’altro ricondotto17 alla tematica affrontata nell’esemplare romano, vale a dire per la Resurrezione di Tabita. Nella sanguigna londinese, infatti, accanto ad altri studi per una Sacra Famiglia con San Giovannino, Cantarini rappresenta san Pietro, di profilo e in piedi, col braccio alzato in atto di compiere il miracolo, con atteggiamento analogo a quello che effettivamente si ritrova nel dipinto con lo storpio. Nel disegno, però, si rivolge chiaramente a una donna distesa in un letto: Tabita appunto, in quella che avrebbe potuto essere la scena della sua resurrezione, se fosse toccato al pittore pesarese dipingerla. In conclusione, è più che probabile che Cantarini avesse ricevuto in una prima fase l’incarico di dipingere tutti e due i laterali della pala sull’altar maggiore con la Consegna della chiavi di Guido Reni ma poi qualcosa non dovette andare per il verso giusto. Considerando quanto sopra esposto relativamente alla presenza a Fano e all’im- ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. postazione almeno del dipinto di Matteo Loves, prima o a ridosso del 1635, verrebbe naturale escludere che nell’attribuzione della commissione a Cantarini possa avere avuto un ruolo lo stesso Reni, come accadrà altre volte nella carriera del pittore, per esempio nel caso celeberrimo che portò poi alla rottura tra i due, in occasione della esecuzione della pala con la Trasfigurazione di Cristo, per il Forte Urbano di Castelfranco Emilia, oggi alla Vaticana. Infatti, il periodo più documentato e felice della collaborazione a Bologna con Reni si colloca proprio negli anni della sua prima residenza bolognese, tra 1635’37 circa. Eventualmente, invece, furono proprio i rapporti di Cantarini con quella prestigiosa committenza che poterono avere qualche ruolo o peso nella sua imminente introduzione presso il maestro bolognese. Lo pensava, per esempio, Anna Colombi Ferretti, che individuava nell’impegno per questo dipinto, la spinta decisiva che condusse Cantarini a Bologna, per un viaggio di studio che poi coinvolse un periodo della sua vita forse più lungo del previsto 18. Più difficile indagare le ragioni che infine gli consentirono di realizzare solo uno dei due dipinti. Indubbiamente, il carattere del pittore dovette avere un peso nella delicata questione. Sappiamo bene come andò a finire con il dipinto per i Barberini, che fu la ragione della rottura col maestro che aveva osato suggerirgli una correzione19. Potrebbe anche darsi che i rapporti con la committenza fanese, ab antiquo legata al Reni, sia stata negativamente influenzata dalla rottura dei suoi rapporti con Cantarini, che in effetti si ritrovò molto isolato ed emarginato in quel periodo. E certo il pittore non semplificava la situazione. La fonte malvasiana, tra l’altro, ci informa che la lentezza, accompagnata da un carattere assai difficile e per nulla accomodante, doveva essere una caratteristica atavica di Cantarini, che gli alienò molti protettori e collezionisti che, conquistati dalla sua pittura, venivano allontanati dalla sua lunghezza ed anche, ancora una volta, dalla sua arroganza20. Quando, infatti, racconta della sua situazione disperata dopo il litigio del 1637 col Reni, afferma che nessuno voleva avere a che fare con lui, a pericolo di lunghezze, Simone Cantarini, Studio per San Pietro che risuscita Tabita e schizzi per Sacra famiglia con san Giovannino, Londra, Victoria and Albert Museum, Dipartimento disegni e stampe Simone Cantarini, Studio per San Pietro che risuscita Tabita, Roma, Galleria Nazionale, Gabinetto disegni e stampe 143 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO e strapazzi21. Alcuni nuovi documenti, che ho rintracciato ultimamente presso l’Archivio di Stato di Pesaro, confermano le difficoltà che di frequente insorgevano nei rapporti coi clienti, con esempi di commissioni pesaresi, che vedono contestazioni di vario genere sulle opere richieste, in particolare per il fatto che non vengono consegnate e risultano irreperibili, nonostante il pittore avesse ricevuto le caparre22. Ancora una conferma, dunque, di quel temperamento orgoglioso e arrogante ma anche passionale, discontinuo, che fa scrivere a Malvasia alcune delle sue pagine più belle, in quel suo stile calibrato tra una retorica enfatizzata, ricca di metafore e ridondante di aggettivazione e una mai tradita esigenza di chiarezza, di precisazione dei concetti e delle notizie23. Il dipinto fanese si presta, anche in ragione dei motivi suddetti, meglio d’ogni altro a impostare il problema del rapporto di Cantarini col Reni, in quanto introduce i termini di un confronto immediato e inevitabile di cui Cantarini doveva essere perfettamente consapevole, quando ebbe e forse cercò con forza di ottenere un ruolo nell’impegnativa commissione. Una serie serrata di spunti da Reni, alcuni al limite del plagio, sono messi in campo qui da Cantarini ed offrono, ovviamente, ineludibili punti di appoggio anche dal punto di vista cronologico. Il sistema di sontuosi sfondi architettonici, che si aprono con archi e balaustre sulla destra viene senz’altro da opere quali la pala di San Giobbe di Notre Dame, a Parigi (1635) 24. Un’invenzione25 che piacque a Cantarini e che contrassegna non solo il Miracolo, ma anche altre opere eseguite in apertura di quinto decennio, come il San Tommaso da Villanova della Pinacoteca Civica di Fano26 e le due versioni del Sogno di San Giuseppe, del Duomo di Camerino e della romana Cassa Depositi e Prestiti, nelle quali campeggia un angelo, specialmente a Camerino, protagonista di conturbante bellezza e di sintomatica somiglianza con il San Giovanni evangelista al centro del nostro dipinto. Sono dipinti accomunati da un punto di stile di singolare sintonia, con il ritorno del motivo delle quinte architettoniche, con evocativi scorci 144 di strade, che si aprono su un lato del dipinto. Nel Miracolo, il confronto con Reni è ricercato, insistito, basti osservare la figura di vecchio sacerdote ammantata e confrontarla con quella nella Circoncisione di San Martino a Siena, del 163627. I grandi sacerdoti tramano in disparte contro gli apostoli e Cantarini copia, in controparte, la figura del sacerdote ammantato d’azzurro. E trovo molto pertinente il giudizio di Luigi Lanzi, nelle note manoscritte assai più diffuso che nel testo a stampa, dove, accanto all’apprezzamento di un lavoro che non sfigura accanto a quello di Reni, nonostante troppo affondo negli scuri, specialmente nella figura principale, sottolinea uno sguardo a fattezze piene, tornite, che richiamano Domenichino – si veda in particolare la giovinetta dietro la donna seduta, con l’acconciatura e l’attitudine davvero domenichiniana: basti pensare solo alla Caccia di Diana della Galleria Borghese –. Così il Lanzi: Ivi a’ Filippini un quadro laterale col miracolo dello storpio: S. Pietro gli porge mano; S. Giovanni è al di sopra in atto di orare, turba all’intorno, farisei e sacerdoti velati in vicinanza e un putto graziosissimo presso lo storpio. ‘E pittura che vicino al S. Pietro di Guido non iscomparisce, meno delicata ma forse più viva e certamente di più effetto. La verità e varietà de’ volti è sorprendente. In questa pittura ha amato un colorito forte fattezze piene e che tirano alquanto da Domenichino e ha fatto uso moderato di chiaroscuro, nel quale però ha troppo involta la figura principale se già non è effetto delle tinte alquanto scadute28. Al tempo stesso, la composizione si nutre di altre fonti, indubbiamente stimolate dalla meditazione sulle opere del Guerrieri, come il Miracolo del cieco nato, da cui la giovane madre col bambino sembra passare nel quadro di Cantarini, in una più composta attitudine29. Guerrieri è alla base della curiosità caravaggesca di Cantarini e si può ipotizzare che in particolare le tele per la cappella Petrucci in San Pietro in Valle, entro la prima metà del quarto decennio, abbiano costituito l’avvio di una serie di meditazioni che hanno spinto alcune successive ricerche del pittore, come dimostrano almeno alcuni disegni30. ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. Guido Reni, Elemosina di san Giobbe, Parigi, Notre Dame 145 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO A sinistra Simone Cantarini, Apparizione della Vergine col bambino a San Tommaso da Villanova, Fano, Pinacoteca Civica (particolare) A destra Simone Cantarini, Miracolo di San Pietro che risana lo storpio, Fano, Pinacoteca Civica (particolare, a destra, con veduta sullo sfondo di San Giovanni Battista e Arco d’ingresso di Villa Miralfiore a Pesaro) A sinistra Simone Cantarini, Sogno di San Giuseppe, Camerino, Duomo (particolare) A destra Simone Cantarini, Sogno di San Giuseppe, Roma, Cassa Depositi e Prestiti (particolare) 146 ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. Guido Reni, La circoncisione, Siena, San Martino 147 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO Giovan Francesco Guerrieri, Miracolo del cieco nato, Fano, Pinacoteca Civica 148 ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. Un documento importante, perché, ad oggi, le nostre certezze rispetto a un viaggio romano di Cantarini, in apertura di quinto decennio, risiedono nell’attendibile affermazione di Malvasia e in convincenti confronti stilistici ma va detto che siamo di fronte a un pittore di straordinaria capacità ricettiva, che si trovava a lavorare in una città, come Bologna, dove transitavano molti artisti, anche tra quelli che lo hanno più interessato. Si tratta di un pittore onnivoro, che faceva grande uso delle incisioni31, anche se questo non pare argomento sufficiente ad escludere un suo viaggio a Roma32. Colpisce sullo sfondo del quadro una citazione precisa di due importanti monumenti pesaresi, con cui il pittore apre la finzione sulla realtà, con uno squarcio sulla storia contemporanea e indirettamente sulla sua stessa vita. Attraverso l’arco aperto sulla destra del dipinto si vede33 in primo piano il portale poggiante su quattro colonne della villa Miralfiore a Pesaro su cui spiccano, anche oggi, le tre mete simbolo del potere ducale dei Della Rovere. Ancora più indietro emerge la parte alta della chiesa pesarese di San Giovanni Battista, trasferita dalla sua sede topografica, l’attuale via Passeri, che non sarebbe visibile dietro Miralfiore, con un assemblaggio chiaramente simbolico. Doveva trattarsi in primo luogo di un affettuoso pensiero alla sua città, che d’altra parte deve avere un’ulteriore motivazione, inserito com’è in un’opera per un’altra città, nell’ambito di un preciso progetto di committenza. Per quanto riguarda Miralfiore, l’arco che lo simboleggia poteva contenere una serie di rimandi incrociati34, a partire dalla famiglia ducale, nella persona di Livia Della Rovere, per continuare con gli Albani-Tomasi, che del possedimento percepivano tradizionalmente le rendite, fino allo stesso cardinale-legato Antonio Barberini junior, rappresentante della chiesa, attuale proprietario dei beni immobili dell’ex ducato. Va detto, peraltro, che nel caso della ex villa suburbana dei Della Rovere, essa resta con un gruppo selezionato di altri beni immobili, di proprietà acclarata della famiglia ducale, entrando dunque a far parte dei beni della famiglia Medici, grazie alle nozze di Vittoria Della Rovere con Ferdinando II dei Medici. Un omaggio pertanto che pare direttamente indirizzato alla famiglia ducale, probabilmente attraverso la mediazione degli Albani, famiglia con cui Cantarini risulta ampiamente in rapporto e che riceverà in seguito la piena proprietà della Villa35. La presenza del tempio di San Giovanni, dove nella seconda metà del Settecento è ricordato anche un San Giovanni della Marca di Simone, fa pensare a un omaggio esteso al who’s who pesarese del tempo. La chiesa, infatti, gioiello non finito di Girolamo 36, era diventata nel corso del quarto decennio del Seicento la più qualificante per possedervi un altare e il sepolcro di famiglia37, tanto da avere il maggior numero di presenze tra le più nobili casate della città. Fra gli altri spiccano i Mosca, come riferisce il Bonamini38 nella sua Cronaca, committenti qui, nel 1633, del Guercino per il loro altare dedicato a San Giovanni e ornato con stupendi marmi di Verona e tra i principali sostenitori del Cantarini, insieme alla famiglia Olivieri, come delinea ancora il Bonamini39, specialmente nel suo Abecedario degli architetti e pittori pesaresi, dal quale la presenza del pittore in patria non sembra subire prolungati periodi di interruzione, come del resto la sua perfetta integrazione nel tessuto collezionistico di alto rango. L’ episodio trattato da Cantarini è tolto dagli Atti degli Apostoli (3,1-8) e riguarda la guarigione di uno storpio operata da san Pietro, assistito da san Giovanni. É per primo Malvasia a confondere sul soggetto del quadro, che descrive come l’indemoniato liberato dal Principe degli Apostoli portandosi dietro gran parte della tradizione storiografica impostata sul suo testo40. Andrea Emiliani datava l’opera attorno al 1639 per la vivida attenzione all’ esempio del maestro come un cartone raffaellesco e insieme i ripensamenti naturalistici, che collega alla coeva attività riminese di Guido Cagnacci e alla cultura marchigiana, in particolare del Guerrieri41. La critica successiva si è orientata su queste indicazioni cronologiche e di stile42. Sull’importanza della lezione di verità di uno dei suoi maestri ideali, il Guerrieri, insiste Be- 149 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO Simone Cantarini, Studio per figure femminili e Alegoria della Carità, Milano, Pinacoteca di Brera, Gabinetto disegni e stampe nati, evidenziando l’uso naturalistico della luce. Disegni strettamente connessi a studi per la donna col bambino sono un foglio a penna con diversi schizzi di Brera (Milano, Gabinetto disegni e stampe, inv. 495)43 e soprattutto una sanguigna conservata a Windsor (Royal LibraSimone Cantarini, Studio per figure femminili, Windsor, Royal Collections 150 ry, inv.5321)44, dove le donne coi bambini al seno in primo piano, e specialmente quella seduta riconducono al nostro modello. Le stesse poi tornano nel gruppo collocato in una strada cittadina con architetture di palazzi, che si intravede nel dipinto con La Vergine che appare a san Tommaso da Villanova, che riconferma l’armonia di punto di stile già sottolineata, col dipinto in esame. Delle sinuose eleganze ‘femminili’ di Cantarini – da quelle sullo sfondo del San Tommaso da Villanova al gruppo sulla destra del dipinto in parola – si ricorderà Sebastiano Ceccarini, in particolare nel suo San Peterniano fa abbattere gli idoli, nell’anticappella del santo patrono, nella chiesa a lui dedicata a Fano. La contiguità con l’ideazione del San Tommaso da Villanova è un dato che rappresenta un’indicazione in favore di una datazione avanzata del Miracolo, se effettivamente elaborato in qualche prossimità all’altra pala fanese, databile almeno in apertura del quinto decennio45. Elemento di confronto con questa ideazione, come già accennato, è anche lo sfondo che si apre di lato su architetture e vedute di città, come poi nei due Sogni di San Giuseppe. Il rapporto, in particolare con il San Tommaso da Villanova, di cui si può documentare l’esecuzione non prima della fine del quarto decennio e ancor meglio nei primi anni del quinto, consente di immaginare una data analoga anche per il dipinto in esame. Ed è forse in tal senso da riconsiderare la notizia ricavata dal libretto per nozze GiacominiRinalducci di Alessandro Billi46, secondo cui, mentre stava dando l’ultima mano alla tavola dello storpio... cominciava a dipingere un mediocre san Tommaso di Villanova, personalissima e contestabile opinione dell’autore, che comunque più avanti aggiunge che quest’ultima tela era ritenuta da alcuni sapienti uomini realizzata da Cantarini prima di recarsi a Mantova, vale a dire nei momenti estremi della vita, circa una anno prima di morire. Anche l’impianto naturalistico del dipinto denota una complessità nuova di riferimenti, che supera i termini di una riviviscenza connessa al ritorno in patria e alla rinnovata riflessione sul Guerrieri, per aprire la questione di una conoscenza diretta del Caravaggio, come già ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. hanno indotto a credere47 le figure della vecchia e dello zoppetto. Davvero questa tela si può descrivere come il pantheon della qualità e della bellezza pittorica dell’intera regione metaurense a questi anni48, un complesso riassunto delle sue fonti culturali, dei suoi interessi pittorici, tra i quali, per esempio, anche l’elegante Michele Desubleo49, inseriti nel vibrante terreno del confronto-sfida col maestro bolognese e quasi giustapposti in una singolare orchestrazione compositiva, dove assume valore non secondario la bellezza di smalto appresa da Alessandro Turchi50. Eppure, non ultimo tra questi altissimi ed articolati modelli, va ricordato il capolavoro del suo primo maestro pesarese, quel Gian Giacomo Pandolfi che sullo scorcio del secondo decennio del Seicento decorava la splendida chiesa del Nome di Dio a Pesaro, con, tra le altre, una scena dove si vede un Miracolo dello storpio, di inusitata potenza, anche materica, memoria alla base dello svolgimento poi sempre più distillato del brillante allievo: assai diverso quel Pandolfi da certo manierismo esacerbato quale si vede anche nelle tele eseguite proprio per San Pietro in Valle. Un Pandolfi quasi barocco, quale posSebastiano Ceccarini, San Paterniano fa abbattere gli idoli, Fano, San Paterniano (particolare) 151 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO Simone Cantarini, Studio per figure san Pietro che risana lo storpio, Milano, Pinacoteca di Brera, Gabinetto disegni e stampe Simone Cantarini, Studio per figure san Pietro che risana lo storpio, già mercato antiquario 152 siamo intravvedere nel corpus dei disegni. Per il dipinto in esame, il disegno preparatorio più completo ma in controparte e con varianti è una sanguigna conservata al Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca di Brera, a Milano (inv. 517)51, di cui è stata sottolineata l’impostazione che conserva urgente il dato immediato di realtà e propone il miracolo in chiave oltre misura naturale52, specialmente osservando san Pietro che afferra il braccio dello storpio. In relazione alla testa della vecchia e al fanciullo col bastone sono due disegni conservati agli Uffizi (inv. 20244F e 1658F; Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi; nel secondo, la figura in questione, pur denunciando palesi coincidenze con quella del nostro dipinto, è ugualmente leggibile come un pastore dentro il tema del disegno, che è appunto un’Adorazione dei pastori). Lo studio diretto dei disegni di Cantarini alla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro ha consentito di escludere da questo progetto pittorico e dal catalogo grafico di Cantarini un disegno a penna che vi sembrava connesso (inv. A6)53, mentre va senza dubbio ricondotto agli studi per il Miracolo fanese, con varianti sul tema, un bellissimo disegno passato in asta54, che era stato attribuito a Cantarini da Philip Pouncey. Una bella stampa, ricavata in controparte dall’opera e incisa da Gerolamo Ferroni, datata approssimativamente al 172355, porta una dedica in margine per Monsignor Fabio degli Abbati Olivieri, e l’autore si augura di far cosa gradita anche perchè questi era della stessa patria del pittore56. Sappiamo oggi che Carlo Magini eseguì una copia dal dipinto, che offrì alla città di Fano in cambio di “qualche atto di riconoscenza, anche in riflesso de’ bisogni dei suoi famigliari”57. Nello stesso verso della stampa è una copia del dipinto in una collezione privata fanese58. Due copie si trovano a Zagabria (National Muzeum) e a Genova (San Pietro alla Foce, come Carlo Giuseppe Ratti). Come ha brillantemente individuato Carmela Baronicini, una vivida memoria dell’invenzione di Cantarini resta nel dipinto di Lorenzo Pasinelli con un Miracolo di sant’Antonio da Padova, in San Petronio a Bologna59. L’associazione inventiva affiora soprattutto dal confronto col bozzetto dell’opera60, conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna, da cui si profila l’attenzione per il gruppo di personaggi a sinistra nella tela di Cantarini e la relazione fra gesti e pose del santo e dell’uomo a terra, che evoca la figura dello storpio nel dipinto di Fano. ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. Note 1. C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, Bologna 1678; ed. a cura di G.P. Zanotti et alii, 2 voll., Bologna 1841, II, p. 374. Ripubblico qui, con alcune integrazioni e varianti il testo in forma di saggio che ho dedicato al dipinto di Cantarini in occasione della mostra Fano per Simone Cantarini genio ribelle 1612-2012, catalogo della mostra Fano 2012, ed. Fano 2012, pp. 56-64. Non mi è sembrato opportuno ripetere l’elenco consistente di voci bibliografiche riguardanti il dipinto in esame, in quanto dotato di una scheda di riferimento nella monografia del 1975 di M. Mancigotti, di una scheda nel catalogo completo della Pinacoteca Civica di Fano, (A.M. Ambrosini Massari, in La Pinacoteca Civica di Fano, a cura di A.M. Ambrosini Massari, R. Battistini, R. Morselli, Milano 1993, pp. 254-256, n.471) e poi di quella pubblicata nel catalogo della mostra di Bologna del 1997, anch’essa completa di bibliografia (A.M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini detto il Pesarese 1612-1648, catalogo della mostra (Bologna 1997 - 1998), a cura di A. Emiliani, Milano 1997, pp. 151-153, n. I.42). Anche di recente la si è ripubblicata con ampio corredo bibliografico in Ambrosini Massari, Meraviglie delle Marche, catalogo della mostra, a cura di C. Costanzi, G. Morello, S. Papetti, Città del Vaticano 2012, ed. Torino, Allemandi 2012, pp. 99-101. Si fornisce dunque in questo testo una selezione bibliografica sui principali temi sviluppati nel saggio, con l’occasione di qualche necessario aggiustamento e opportuna aggiunta. Il dipinto, olio su tela rifoderata, misura 309 x 266,5 cm ed è conservato presso la Pinacoteca Civica di Fano, in deposito dalla Chiesa di San Pietro in Valle per la quale è stato realizzato. Nel 1990 è stato restaurato da Isidoro Bacchiocca. Per un restauro di Guglielmo Gelli del 1880, si rimanda ai regesti di Giuseppina Tombari Boiani, sempre in questo volume. 2. L’educazione sentimentale: Simone Cantarini e Fano è il titolo che ho dato al mio saggio sull’argomento, proprio per condensare il senso di un legame profondo con la città e il suo ambiente cul- turale, d’altra parte denso di documenti, sia nella pittura che nella vita del pittore pesarese ma lo si veda in A.M. Ambrosini Massari, a cura di, Fano per Simone Cantarini genio ribelle 1612-2012, catalogo della mostra Fano 2012, ed. Fano 2012, pp. 34-43 e testi sulle opere eseguite per Fano: Madonna della cintura coi santi Agostino e Monica, Fano, Pinacoteca Civica, pp. 44-49; La vergine col bambino appare a san Tommaso da Villanova, Fano, Pinacoteca Civica, pp. 50-55; San Pietro risana lo storpio, pp. 56-63. 3. Rimando anche per questo argomento al mio più recente intervento sul tema, in ibidem, in particolare, Indizi per una utile parentela: i Cantarini di Fano, pp. 42-43. 4. Sulle quali si veda qui sopra alla nota 2. Sul tema degli stretti rapporti con l’ordine agostiniano, a partire da quello pesarese, si veda in particolare, Ambrosini Massari in Fano per Simone…cit., pp. 39-40, note 83-84 e Eadem, ‘Becoming Simone’. Per Simone Cantarini a trecentosessant’anni dalla morte, in Pesaro, dalla Devoluzione all’Illuminismo, ‘Historica Pisaurensia’, Venezia 2009, (pp. 325-394), p. 339 e nota 89, con bibliografia precedente, a partire dalla mia tesi di dottorato, (“Originale di Simone da Pesaro”. Simone Cantarini disegnatore e pittore fra Marche e Emilia, Dottorato di ricerca, VII ciclo, Università degli Studi di Bologna 1996, p. 237), dove identificavo il fratello agostiniano di Simone, nel più giovane, Giovanni Antonio, confortato dal quale il pittore morirà, presso il convento agostiniano di Sant’Eufemia a Verona, nel 1648. Si veda anche Ambrosini Massari in Fano per Simone, cit., pp. 53-54. 5. La cronologia incerta della pala di Reni per Pesaro si può a mio parere arretrare di qualche anno, anche prima o a ridosso del 1631, Ambrosini Massari in Fano per Simone, cit., pp. 46-47. 6. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., p. 374. 7. Archivio di Stato di Fano, Notaio Bernardino Dudoni, Prot. NN, 1617, c. 314; per la nascita del figlio, Fano, Biblioteca Federiciana, Ms Bertozzi, vol. F, c. 82 (L. Bertozzi, Indice di tutte le famiglie che sono descritte in questo Protocollo con gli alberi genealogici delle medesime, (sec. XVIII), Fano, Biblioteca Federiciana). 8. Ambrosini Massari in La Pinacoteca, cit., p. 254, n. 471. 9. J. Ligi, Congregazione dell’Oratorio di Fano, (1710 ca.), Fano, Biblioteca Federiciana, Ms 76, c. 53. 10. D. Mahon, Some suggestions for Reni’s Chronology, in “The Burlington Magazine”, 99, 1957, (pp. 238-241), p. 241. 11. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., p. 378. Su esecuzioni talora anche molto protratte nel tempo, si veda A. Colombi Ferretti, Simone Cantarini, in La scuola di Guido Reni, a cura di E. Negro, M. Pirondini, Modena 1992, pp. 109-154. ‘E probabile che anche le vicende che portarono alla realizzazione di solo uno dei dipinti laterali alla Consegna delle chiavi a san Pietro del Reni, in San Pietro in Valle a Fano, risieda in motivazioni analoghe, A.M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini detto il Pesarese 16121648, catalogo della mostra (Bologna 1997 - 1998), a cura di A. Emiliani, Milano 1997, pp. 151-153, come già anche la Colombi Ferretti pensava e si confronti L. Carloni, Luoghi filippini nelle Marche. Le fondazioni più antiche, in La regola e la fama. San Filippo Neri e l’arte, catalogo della mostra (Roma), Milano 1995, pp. 224-2245, anche per una probabile, originaria commissione, già a Reni, dei laterali come ricava da una notizia un po’ ambigua, ma non sottovalutabile del Marciano: G. Marciano, Memorie historiche della Congregazione dell’Oratorio, Napoli 1693-1702, 1698, III, p. 147 e per il confronto con l’impresa per i Barberini, organizzata dal Reni, in cui Simone riceve l’incarico della Trasfigurazione per il Forte Urbano di Castelfranco Emilia. Sui contrasti impliciti nella pala col Miracolo, già D. Benati, Disegni emiliani Sei-Settecento. Come nascono i dipinti, Milano 1991, p. 145. ‘E per primo Malvasia cit. p. 374, d’altronde, a definire i contorni ambigui di questa committenza per San Pietro in Valle, quando Girolamo Ferroni, da Simone Cantarini, Studio per figure san Pietro che risana lo storpio, incisione, collezione privata 153 LA CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE A FANO dice che lo studio sulle opere fanesi del Reni, cioè la progressiva acquisizione di quello stile, gli fecero strada, dopo un lungo tempo, all’ottenimento d’uno almeno, dei due laterali all’altare maggiore. 12. Sul tema della committenza dell’Annunciazione, si veda sempre R. Battistini, Una lettera a Guido Reni ritrovata, ‘Quaderni dell’Accademia fanestre’, 2, 2003, pp. 205-216, anche per bibliografia precedente e lo scritto in questo volume, oltre al testo nel catalogo della mostra Guido Reni. La consegna delle chiavi un capolavoro che ritorna, Fano 2013, pp. 60-67. 13. Ligi. op. cit. pagina 54 e si veda S. Loire, La consegna delle chiavi a San Pietro di Guido Reni, in Guido Reni, cit., pp. 50-59. 14. Sul tema, più in generale, A.M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini nelle Marche, catalogo della mostra (Pesaro), a cura di A. Emiliani, A.M. Ambrosini Massari, M. Cellini, R. Morselli, Venezia 1997, p. 56; Fano per Simone, cit., 2012, pp. 42-43. Si confronti altresì il Regesto in M. Cellini, in ibidem, pp. 400-401. 15. Si veda anche in Ambrosini Massari, Simone Cantarini, cit., p. 153, n. I.42b. Si tratta di studio già da tempo collegato a questo soggetto, A. Emiliani, Simone Cantarini opera grafica, in “Arte antica e moderna”, 8, 1959, pp. 438-458, tav. 186c; A. Emiliani, Mostra di disegni del Seicento emiliano nella Pinacoteca di Brera, catalogo della mostra, Milano 1959, p. 122; Carloni, op. cit., p. 222, fig. 228. 16. A. Emiliani, Simone Cantarini opera grafica, cit., tav.186b; Mostra di disegni, cit., p.121; D. Benati, Disegni emiliani Sei-Settecento. Come nascono i dipinti, Milano 1991, p.161, p. 164, n. 40.1. 17. A.M. Ambrosini Massari, L. Marquez, R. Morselli, a cura di, Disegni italiani della Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro, La Collezione Costa e Silva, Milano 1995, p. 231; poi anche A.M. Ambrosini Massari, in Simone Cantarini detto il Pesarese 16121648, catalogo della mostra (Bologna 1997 - 1998), a cura di A. Emiliani, ed. Milano 1997, p.153. 18. Cit., p. 113. E in fondo è quanto suggerito da Malvasia, Felsina Pittrice, cit., p. 374. 19. Malvasia, op. cit., p. 377. 20. Per la progressiva alienazione della protezione degli amorevoli, tra i quali Bernardino Locatelli, che di casa sua l’aveva fatto padrone, e il dottor Orazio Zamboni, che tante volte l’aveva soccorso di moneta, si veda ibidem, p. 377, 378. Con essi riallaccerà i rapporti solo dopo il 1642, quando tornato a Bologna, vi impianterà la sua fiorente bottega, p. 380. Infine, solo quelli come lui, o peggio, lo avvicinavano e per motivi strumentali: sarà il caso di Giovan Battista Manzini. l’Autore, tra l’altro, con altri letterati, come Virgilio Malvezzi, Ovidio Mariscotti, Jacopo Gaufrido e il poeta Claudio Achillini, del quale le fonti documentano un ritratto di Cantarini, si veda L. Marzocchi, Le carte di Carlo Cesare Malvasia, Bologna 1980, p.182, nella collezione bolognese Arnoaldi) del Trionfo del pennello, stampato a Bologna nel 1634, omaggio di Bologna a Guido Reni per il suo Ratto di Elena. Sul tema si rimanda a E. Raimondi, Il colore eloquente, Letteratura e arte barocca, Bologna 1995, in particolare, pp. 40-44, 68-71. Su Manzini, per rapporti con Cantarini, si veda Regesto di M. Cellini in Simone Cantarini, cit, pp. 410 - 411; su Manzini vedi anche W. Munglaub, Bolognese painting and Barberini aspirations: Giovan Battista Manzini in the Archivio Dal Pozzo, “Accademia Clementina Atti e memorie” 38 - 39 (1998 - 1999), pp. 31 - 75. Sui rapporti con i Locatelli e in generale sul mercato bolognese attorno a Cantarini, R. Morselli, in Simone Cantarini detto il Pesarese 1612-1648, catalogo della mostra (Bologna 1997 - 1998), a cura di A. Emiliani, Milano, pp. 50-69. 21. Malvasia, op. cit., p. 378. 22. Per una compiuta discussione e trascrizione degli importanti documenti, che comprendono l’allogazione al pittore, lui presente, dei dipinti per la distrutta chiesa di San Filippo, oggi al 154 Museo Civico, rimando al mio articolo, Nuovi documenti per Simone Cantarini e nuove opere per Domenico e Giovanni Peruzzini, “Nuovi Studi”, 14, 2009a, pp. 145-161. I documenti che relazionano di atti intentati contro Cantarini, rappresentato dal padre Girolamo e dal fratello Vincenzo, sono pubblicati in Ambrosini Massari, Becoming Simone, cit., pp. 379-380. 23. Sul metodo di Malvasia, sulla sua buona attendibilità, specie per argomenti contemporanei, in particolare G. Perini, L’arte di descrivere: la tecnica dell’ecfrasi in Malvasia e Bellori, in “I Tatti studies” 3, 1989, pp. 175-206. Anche sul linguaggio di Malvasia restano imprescindibili numerosi studi di Perini, in particolare, Il marinismo di Malvasia: dalle poesie giovanili alla prosa della Felsina Pittrice, “Letteratura e Arte”, 3, 2005(2006), pp. 142-164. Notevole attenzione al caso Cantarini anche per questo aspetti, in A. Emiliani, Le certain et le vrai : le mécanisme littéraire de Malvasia; écrivain d’art, in Histoire de l’histoire de l’art, atti del convegno, a cura di É. Pommier, Paris, Klincksieck, 1995, pp. 257-282. 24. Di lenta realizzazione dal 1622 al 1635 circa, Colombi Ferretti, Simone Cantarini, cit. p. 113; Ambrosini Massari in La Pinacoteca, cit., pp. 254-256; Simone Cantarini detto, cit., pp. 151-153. 25. Ambrosini Massari in La Pinacoteca, cit., pp. 254-256. Una fonte per lo scenario di arcate magniloquenti è stato richiamato anche nella pala del Duomo di Reggio Emilia, di Annibale Carracci, Carloni, op. cit., p. 225. 26. Opera che ci offre un appiglio cronologico più sicuro, grazie al documento che lo determina eseguito post 1638, Ambrosini Massari, ibidem, pp. 56-57, n. 35 e si veda anche Fano per Simone, cit. p. 51, nota 86. 27. Colombi Ferretti, op. cit., p. 113; Ambrosini Massari, “Becoming Simone”, cit., p. 359. 28. L. Lanzi, Viaggio del 1783 per la Toscana Superiore, per l’Umbria, per la Marca, per la Romagna, pittori veduti: antichità trovatevi, Firenze, Biblioteca degli Uffizi, Ms 36.V, a cura di C. Costanzi, Venezia 2003, p. 39. Poi, molto più sintetico, sempre L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal risorgimento delle belle arti fin presso la fine del XVIII secolo, ed. Bassano 1809, a cura di M. Capucci, Firenze 1974, ed. 1809 (1968-’74), III, pp. 79-80. 29. I rimandi a Guerrieri, a partire da Emiliani, Simone Cantarini, in Maestri della pittura del Seicento emiliano, catalogo della mostra, Bologna 1959, pp. 114-118. 30. Sul tema si veda Ambrosini Massari, “Becoming Simone”, cit., p. 361 e Guercino e Co. Bolognesi nelle Marche del Seicento: appunti per un’altra mostra, in M.R. Valazzi (a cura di), Guercino a Fano tra presenza e assenza, catalogo della mostra, Fano 2011, p. 30, per il confronto tra disegni di Cantarini, come per lo Studio di Madonna col bambino e due devoti, del fondo Acqua a Brera, inv. 98, impensabile senza la conoscenza della Madonna dei pellegrini di Caravaggio, attraverso la mediazione del commovente San Carlo Borromeo che accoglie i coniugi Petrucci in abito da mendicanti del Guerrieri, proveniente dalla cappella di San Carlo in San Pietro in Valle. Il disegno é base di importanti riflessioni di R. Roli, I disegni italiani del Seicento. Scuole emiliana, toscana, romana, marchigiana e umbra, Treviso 1969, p. 36, per l’influenza di Cantarini a Bologna nel suo secondo soggiorno, dopo Roma. 31. M. Di Giampaolo in Simone Cantarini detto, cit., p. 291. Anche se non può essere documento certo della residenza romana, va ricordato che il San Filippo Neri con due angioletti della Galleria Pallavicini, dimostra una precisa conoscenza della statua con San Filippo e l’angelo, eseguita da Alessandro Algardi per la sacrestia di Chiesa Nuova, dove si trova collocata dal 1640, si confronti M. Pupillo, in Luoghi filippini nelle Marche. Le fondazioni più antiche, in La regola e la fama. San Filippo Neri e l’Arte, catalogo della mostra (Roma), Milano 1995, p. 539. 32. Non necessariamente prova di un sicuro soggiorno romano ‘EI SOLO NON NE RESTÒ INTERAMENTE APPAGATO…’. ma indubbiamente della sua straordinaria capacità di captare temi e linguaggi variegati, può essere l’inequivocabile citazione (Ambrosini Massari, in A.A.V.V. (a cura di), Pinacoteca Nazionale di Bologna, Catalogo generale 3. Guido Reni e il Seicento, Venezia 2008, pp. 411-412, 237) della soluzione offerta da Artemisia Gentileschi, nella sua Susanna e i vecchioni, firmata e datata 1610, conservata nella collezione Graf von Schönborn di Pommersfelden, della figura di Susanna, della quale il dipinto alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, senz’altro derivante da un prototipo cantariniano, pare ricalcare pressoché in tutto la figura e la posa, mentre preferisce allo sfondo angosciante con la balaustra chiusa, una maggior ariosità e decorazione, attinti da altri esempi sullo stesso tema, quali quello del Reni (Londra, National Gallery) o quello, del 1603, di Domenichino (Roma, Galleria Doria Pamphili); forse ricavato da un prototipo perduto di Annibale Carracci che, secondo G. P. Bellori, Le vite de’ Pittori. Scultori ed Architetti moderni, Roma 1672, p. 86, avrebbe copiato Lanfranco. 33. Ambrosini Massari in Pinacoteca Civica, cit. 34. Ambrosini Massari in Simone Cantarini nelle Marche, cit., pp. 55-57 e scheda dell’opera, pp. 98-101. 35. Sul tema, anche per i variegati e documentati rapporti di Cantarini con l’ambito dei Della Rovere e specialmente con gli Albani, si veda Ambrosini Massari in ibidem, pp. 55-57 e, più di recente in Fano per Simone, cit., p. 61. Per le notizie relative ai rapporti con gli Albani nella scheda relativa al dipinto con Ritratto di Eleonora Albani Tomasi, Pesaro, Banca dell’Adriatico, si veda Ambrosini Massari in Pesaro per Simone Cantarini genio ribelle 1612-2012, catalogo della mostra Pesaro 2012, ed. Fano 2012, pp.74-77. Per il chiarimento dei passaggi di proprietà del bene si veda B. Dini, Il giardino roveresco di Villa Miralfiore, ‘Città e Contà 19, 2004, (pp. 37-47), p. 37. Per altre notizie più in generale, ancora Dini, Guidubaldo e Francesco Maria II Della Rovere mecenati di Villa Miralfiore, in P. Dal Poggetto a cura di, I Della Rovere. Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, catalogo della mostra Senigallia, Urbino, Pesaro, Urbania 2004, ed. Milano 2004, pp. 170-173. Lo stemma dei Della Rovere torna peraltro quale simbolo di Pesaro in un’incisione con l’Allegoria del fiume Foglia e stemma di Pesaro, anch’essa databile tra le prime del pittore, comunque entro la fine del quarto decennio, ormai in pieno potere legatizio. 36. Progettata da Girolamo, i lavori vennero poi seguiti anche dal figlio Bartolomeo, G. Patrignani, Pesaro. La Radio storia della Città, Pesaro, 2008, pp. 66-67; per il tema individuato sullo sfondo del dipinto fanese, Ambrosini Massari, Simone Cantarini nelle Marche, cit., pp. 49-61, poi in Simone Cantarini detto, cit., pp. 151-153, n. I.42. 37. Qui viene sepolto un altro fratello di Cantarini, Francesco Maria, atto di morte 20 aprile 1649, Fondo San Cassiano a Pesaro, ma si veda Ambrosini Massari in Simone Cantarini nelle Marche, cit., p. 63. Il padre e il fratello Vincenzo furono sepolti in Sant’Agostino, come ho più sopra indicato e si veda, in genere per la revisione dei documenti, Cellini in Simone Cantarini detto, cit., pp. 397-418. 38. D. Bonamini, Cronaca della città di Pesaro, (1760-1790), Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Ms 966, IV. 39. D. Bonamini, Abecedario degli architetti e pittori pesaresi, (1799ca.), Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Ms 1009; ed. a cura di G. Patrignani, “Città e Contà”, 6, 1996, p. 104. 40. Malvasia, op. cit., p. 374; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze 1681-1728, v, p. 333; M. Oretti, Notizie de’ Professori del disegno, cioè Pittori, Scultori, et Architetti bolognesi e de’ forestieri di sua scuola, (1760-1780), Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Ms B123135a, sec XVIII, ms B 128, c. 444; M. Oretti, Pitture nella città di Pesaro descritte da Marcello Oretti nel 1777, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Ms B 165 bis, c. 13; Lanzi, Storia pittorica, cit. III, p. 80; A. Bolognini Amorini, Vite dei professori e artefici bolognesi, 3 voll., Bologna (1841-1843), 1843, p. 274. 41. Emiliani, Mostra di disegni del Seicento emiliano nella Pinacoteca di Brera, catalogo della mostra, Milano 1959, p. 121. 42. Mancigotti, Simone Cantarini, cit.; A. Colombi Ferretti, Simone Cantarini: dalla marca baroccesca alla bassa padana, in “Bollettino d’Arte”, LXVII-VI, 13, 1982, pp. 19-34; Benati, Simone Cantarini, cit.; Simone Cantarini in Pinacoteca di Brera, Scuola Emiliana, Milano 1991; Colombi Ferretti, Simone Cantarini, cit. 43. Ambrosini Massari in Simone Cantarini detto, cit., pp. 155156, n. 12. 44. O. Kurz, Bolognese drawings of the XVII and XVIII Centuries in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle, London 1955, n.47, p.85, fig.11. 45. Vedi nota 26. 46. A.C. Billi, Brettino e Simone Cantarini. Cenni storico-artistici, opuscolo per le nozze Giacomini-Rinalducci, Fano1866, p. 25. 47. C. Thiem, L’eredità di Guido Reni a Bologna e nell’Emilia Romagna, in Guido Reni e l’Europa: fama e fortuna, catalogo della mostra (Frankfurt 1988, Bologna 1989), a cura di S. Ebert-Schifferer, A. Emiliani, E. Schleier, Bologna 1988, pp. 489-497. Per il versante del modello caravaggesco, si veda più sopra e alla nota 30. 48. A. Emiliani, Simone Cantarini in La Pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, I, Milano 1992, pp. 207-218. 49. Colombi Ferretti, Simone Cantarini in La scuola, cit., p.116. 50. Cellini, in Simone Cantarini nelle Marche, cit., p.215. 51. Lo si veda in Ambrosini Massari in Simone Cantarini detto, cit., p. 153, n. I. 42a. 52. Cellini in Simone Cantarini nelle Marche, cit., p.215. 53. Ambrosini Massari in Disegni italiani, cit., 1995, pp. 229231, n. 181. 54. Londra, Colnaghi 1950, n.20; Londra, Sotheby’s 1962, 5 febr., lot. 162; Londra, Christie’s 1978, 16 may, lot.38; Londra, Christie’s, 11 dec. 2009, lot. 330. 55. P. Bellini (a cura di), Simone Cantarini. Disegni, incisioni e opere di riproduzione, catalogo della mostra, San Severino Marche 1987, p. 104, n. 67; Ambrosini Massari in Simone Cantarini nelle Marche, cit., p. 153. 56. M Cellini, “Disegni di Simone da Pesaro”. L’Album Horne, a cura di M. Cellini, Cinisello Balsamo 1996, p.120. 57. SASF, ASC, Consigli, reg. 218, cc 147v-150r. che si vede nei regesti documentari a cura di Giuseppina Boiani Tombari sempre in questo volume. 58. I. Amaduzzi, in I. Amaduzzi, N. Cecini, L. Fontebuoni (a cura di), Collezioni private a Fano, Fano 1983, p.187. 59. C. Baroncini, Lorenzo Pasinelli, Rimini 1993, p. 296; A. Mazza, “Il metodo d’una vera e lodevole imitazione”. La fortuna di Simone Cantarini nella pittura bolognese della seconda metà del Seicento e del primo Settecento, in Simone Cantarini detto, cit., (pp. 359-396), p. 365. 60. Mazza, ibidem. 155