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L’ADOLESCENTE E IL GRUPPO
(Parte seconda)
ANNO VI N.RO 01
del 01/01/2012
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Pag. psicologica
Donna nella storia
Lo psicopompo
La donna di Samo
I grandi misteri
Nicodemate
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Rascel
Racconto del mese
Stranezze
Momento tenero
Proverbi
Pagina medica
Rieducazione
Giuseppe Verdi
Concorso di poesia
Donna nella letter.
L’eros nei secoli
In Questo Mese
Macchina ladrona
Critica letteraria
Piatti tipici
Dentro la storia
Un altro tempo
Aisopos favole
De cognomine
Dentro la città
Leviora
Nei comportamenti più evidenti, maschi e femmine sembrano
vivere la stessa adolescenza: sono vestiti allo stesso modo, hanno gli stessi interessi, frequentano gli stessi luoghi di ritrovo e
appaiono ugualmente liberi di vivere la propria sessualità e
protési verso forme di affermazioni sociale molto simili. Pur tuttuttavia, il modo di vivere l’amicizia e la vita sentimentale è profondamente diverso.
La differenza emerge a livello comportamentale, nel modo di vivere l’amicizia nei
suoi aspetti sociali, a livello interiore, nell’affettiva e nella sessualità, che proietta gli
adolescenti in una dimensione di vita adulta.
Per i maschi, la protezione del gruppo li fa sentire più sicuri, nel mentre che vengono
agevolati nella conoscenza delle ragazze e nella libertà di espressione.
Nella preadolescenza, nel periodo quindi della scuola media, il vero sentimento di
amicizia sostituisce l’importanza delle relazioni familiari. Il preadolescente avrà un
patos più forte nei confronti dei compagni, l’investimento sulle amicizie diventa molto
più alto e deve proprio servire, in termini evolutivi, a “distanziare” la presenza dei
genitori. Non deve stupire, né spaventare che, dalla preadolescenza in poi, gli amici
diventino più importanti della famiglia. Ciò non significa che il ragazzo non ama più
papa e mamma, significa solo che papà e mamma gli hanno insegnato ad amare e
rispettare i valori dell’amicizia, della solidarietà, della scoperta dell’altro, della
condivisione di un progetto con l’altro. Ora è tempo di realizzare in proprio questo
progetto, mettendosi alla prova con il gruppo di coetanei. 1
Per i motivi su detti, l’amicizia nella scuola media è uno degli indicatori fondamentali circa la crescita dei nostri figli, rivelandoci se stanno crescendo in maniera
serena o se c’è qualche difficoltà nel loro processo evolutivo. Un adolescente che ha
molti amici, che frequenta più gruppi amicali (la classe, la parrocchia, gli scout, la
palestra...) e che, in ognuno, riesce a creare delle relazioni importanti, è dotato di
molte risorse di crescita. Se invece non elegge gli amici come palestra relazionale,
emotiva ed evolutiva, e rimane ancorato a mamma e papà (per esempio preferendo
uscire con loro la domenica piuttosto che stare con gli amici), può anche significare la
presenza di qualche problema2.
I genitori devono preoccuparsi del figlio che vuole stare con loro, invece che uscire
con gli amici della loro età, perché è una tappa evolutiva degli adolescenti preferire la
compagnia degli amici. In questa fascia d’età, infatti, l’amicizia si sviluppa in una
chiave monosessuale, monogenere. I maschi preferiscono stare con i maschi e
viceversa: l’amicizia è verso lo stesso sesso.
Nel gruppo, il preadolescente rispecchia delle parti di sé. In questa fase, l’amico del
cuore serve ad avere un io supplementare, che aiuti a sviluppare l’identità: ” io che ho
paura di diventare grande mi appoggio all’altro per trovare la forza di diventare me
stesso”.
Nelle femmine si sviluppa molto il cicaleccio e l’amicizia è fatta di segreti, di
chiacchiere, di ammiccamenti verso il maschile, nel gioco dell’avvicinarsi e allontanarsi di continuo3. Il gioco degli ammiccamenti, nelle ragazzine, crea il coraggio di
sentirsi donne, nel corpo e nella mente, donne che avvicineranno quel mondo maschile
che per ora sta a distanza. (continua)
Franco Pastore
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1.
2.
3.
MARROCCO MUTTINI C.; “LA PREADOLESCENZA”; CENTRO SCIENTIFICO, 2007.
PETTER, “PROBLEMI PSICOLOGICI DELLA PREADOLESCENZA”. ED. LA NUOVA ITALIA.
PIETROPOLLI CHARMET GUSTAVO; “ I NUOVI ADOLESCENTI”; RAFFAELLO CORTINA EDITORE.
-1-
Andropos in the world
LA DONNA NELLA STORIA
LA REGINA TIYE
Amenhotep III, data la giovane età che aveva al
momento della salita al trono, dovette affidare la monarchia
alla madre Mutemuya. La donna aveva dato alla luce l'erede
al trono a Tebe, ma il giovane re visse a lungo, esattamente
fino al ventinovesimo anno di regno, a Menfi, dove i giovani
principi candidati al trono ricevevano l'educazione necessaria
per guidare il Paese. Poi, forse per via dello scoppio di una
pestilenza, il faraone decise di trasferirsi con la corte e i
familiari nella capitale Tebe che, grazie alla presenza del
sovrano, diventò una città di sogno, ricca di monumenti
sontuosi, che con le loro dimensioni grandiose ne sottolinearono l'importanza e il prestigio, dentro e fuori
l'impero.Le rovine odierne ci permettono di immaginare e
ricostruire lo splendore di un tempo: tra il Nilo e i suoi
palmeti, fra il verde dei campi e la sabbia del deserto,
troneggiavano palazzi accuratamente arredati e immersi nel
cuore di rigogliosi giardini, ricchi di vegetazione e
impreziositi da piccoli laghi artificiali.
In questo scenario il re trascorse momenti felici a
fianco della sua amata compagna, la regina Tiye, che
sposò nel secondo anno di regno quando era ancora un
ragazzino. Questa donna, che ricevette il titolo di Grande
Sposa Reale, esercitò una notevole influenza sull'impero
e sopravvisse al marito continuando a seguire la sorte del
popolo egizio anche quando salì al trono il figlio
Akhenaton.
I ritratti mostrano una donna dai tratti sensuali e piuttosto marcati (probabilmente per una possibile origine
nubiana della regina), le labbra carnose nelle raffigurazioni giovanili e sottili in quelli senili, sottolineano una
personalità forte e determinata, mentre i grandi occhi
neri, sono vivaci e profondi. Tiye fu particolarmente
venerata da Amenhotep III, il quale volle che la moglie
venisse rappresentata al proprio fianco sui rilievi e sui
monumenti e nelle statue in coppia, talvolta, alla sua
stessa grandezza. Per sottolineare il ruolo regale e divino
della coppia, il faraone fece costruire a Soleb, in Alta
Nubia, un tempio dedicato al proprio culto personale e,
nella vicina Seddenga, uno dedicato al culto della
moglie, come personificazione della dea Hathor. Il primo
è il più importante monumento egizio che si sia conservato in Alta Nubia e il secondo, purtroppo crollato e in
attesa che gli splendidi blocchi decorati possano un
giorno venire restaurati, aveva il nome di "Casa di Tiye".
Di fronte a tanta dimostrazione di affetto, alcuni hanno
voluto considerare il matrimonio reale come il risultato
di una romantica storia d'amore fra il re e una modesta
suddita.
Tiye in effetti non aveva origini principesche ma non
era neppure l'ultima delle fanciulle di Tebe. Era figlia di
Yuya, un importante dignitario di Akhmin - la città del
dio Min - che possedeva vaste proprietà ed era sovrain-
-2-
tendente degli armenti. Inoltre, aveva preso in moglie
una donna di nome Thuya, sacerdotessa del tempio di Min, che
aveva accesso alla corte del re, e
uno dei suoi figli, Aanen, era sacerdote di Amon.Yuya era anche
direttore delle scuderie reali, ufficiale del faraone e, nel corso degli anni, gli venne conferito il nome di Padre del Dio", titolo di difficile interpretazione
attribuitogli probabilmente per il suo ruolo di suocero
del re e forse anche per quello dì padre di Ay, il faraone
che regnò sull'Egitto dopo il breve regno dì Tutankhamon. Le nozze di Amenhotep III, quindi, pur dettate
da un sentimento di affetto sincero, erano destinate ad
avere anche effetti positivi sulla stabilità della
monarchia.
A cura di Franco Pastore
___________________
(AGE) Un'equipe di archeologi della John Hopkins University ha
ritrovato a Karnak una statua della regina Tiye, nonna di Tutankhamon, sposa di Amenofi III (circa 1408-1372 a.C.), un faraone
della XIII dinastia, il cui regno conobbe uno straordinario fiorire
delle arti. Il team di archeologi della John Hopkins University ha
trovato la statua in granito nero, alta 160 centimetri, nel tempio di
Mut, nel complesso di Karnak. Priva delle gambe, ma complessivamente ben conservata, la statua, che risale a circa 3.400 anni fa,
era sepolta sotto circa mezzo metro di pietre e sabbia.
VESUVIOWEB.COM
1
Di Aniello Langella
Cultura, arte, ricerche di sapore antropologico, sulla vasta area
tra il vulcano ed il mare: La porta di Capotorre – Villa Angelica
– Le torri aragonesi – Vico Equense - Sorrento e Capri - I
Funari – La villanella – Diz.rio torrese – Eros a Pompei – La
lenga turrese - Santa Maria di Costantinopoli a Torre del Greco
di A. Langella- L’incendio vesuviano del 26 aprile del 72 – Il
monastero della SS.Trinità di Vico Equense – L’incendio
vesuviano dell’aprile del 1872 – Soprannomi sarnesi di A.
Mirabella – Il Vesuvio e la sirena – Storie di lazzari e briganti –
il Vesuvio tra il 21 ed il 23 – Lettere di un fante dal fronte.
Novità di Dicembre: Luciano Galassi - Le zandraglie, ’A
prevasa - Aniello Langella - Polpo Vesuviano - Pompeii old map 1817 - Consiglia Licciardi interpreta la canzone dal titolo "Rusella ’e
maggio" - Misteriosi oggetti luminosi a forma di sigaro ripresi sul
Vesuvio - L’eruzione vesuviana del 1861 - Otto Storie Turrese .
Ed ancora: Armando Polito - Nardò chiama, Napoli risponde - 29
- Pillole linguistiche napoletane - Mazza e ppivezo – La cantata dei
pastori
1) A. Langella è nato a Torre del Greco. Nel 1978, si laurea in
Medicina e Chirurgia alla Federico II di Napoli. In seguito, si
specializza in Ortopedia e Traumatologia a Padova ed in Riabilitazione
a Trieste Assunto in Ente Ospedaliero Monfalcone, nel 2000, fonda il
Gruppo Archeologico del Mandamento Isontino. Ha scritto numerose pubblicazioni scientifiche e, da più di 30 anni, studia Torre e
il Vesuvio con amore e dedizione.
Andropos in the world
MITOLOGIA GRECO-LATINA
LO PSICOPOMPO
Nella mitologia e in religione, lo psicopompo è una
figura (in genere una divinità) che svolge la funzione di
accompagnare le anime dei morti nell'oltretomba. La parola
"psicopompo" deriva dal greco ψυχοπομπóς, da psyche
(anima) e pompós (colui che manda).
La figura dello psicopompo è una figura centrale di
molte mitologie e religioni antiche, e trova anche corrispondenze nelle religioni monoteistiche (talvolta per integrazione di miti antecedenti; si pensi per esempio al
Caronte dantesco). Sovente è in coppia con un'altra divinità
maggiore creatrice del mondo nella misura in cui lo
psicopompo è un'entità neutrale, un messaggero dell'aldilà,
una sorta di demiurgo tra il mondo sensibile ed il mondo
sovrasensibile. Lo psicopompo non è quindi una divinità in
senso proprio, poiché non giudica gli uomini ma si limita a
traghettarli nel mondo ultraterreno.
Data l'importanza della riformulazione della morte
come passaggio (trasformazione) nelle religioni e nelle
mitologie, non stupisce che lo psicopompo sia in genere
una figura di rilievo (nelle religioni politeistiche si tratta
quasi sempre di una figura importante del relativo pantheon).
Da non confondere con Thanatos, dal greco θάνατος,
dio della mitologia greca, che personificava la morte ed era
ritenuto figlio dell'Erebo e della Notte (o di Astrèa) nonché
fratello gemello di Ipno.
Era rappresentato come un uomo barbuto ed alato,
insensibile alle preghiere perché dal cuore di ferro e dai
visceri di bronzo. Tuttavia due strane leggende di origine
popolare narrano di come il terribile Tànato fu costretto a
far richiamare in vita Alcèsti dopo una lotta con Eracle e di
come, in un'altra occasione, fu incatenato da Sisifo.
Psicopompo era Caronte, in greco Χάρων, "ferocia illuminata", che nella religione greca e romana, traghettatore
dell'Ade. Come psicopompo trasportava i nuovi morti da
una riva all'altra del fiume Acheronte, ma solo se i loro
cadaveri avevano ricevuto i rituali onori funebri (o, in
un'altra versione, se disponevano di un obolo per pagare il
viaggio); chi non li aveva ricevuti (o non aveva l'obolo) era
costretto a errare in eterno, senza pace, tra le nebbie del
fiume o, secondo alcuni autori, per cento anni.
Nella Grecia antica vigeva la tradizione di mettere una
moneta sotto la lingua del cadavere prima della sepoltura.
La tradizione rimase viva in Grecia fino ad epoche abbastanza recenti ed è probabilmente di origine molto antica.
Qualche autore sostiene che il prezzo era di due monete,
sistemate sopra gli occhi del defunto o sotto la lingua.
Nessuna anima viva è mai stata trasportata dall'altra
parte, con le sole eccezioni della dea Persefone, degli eroi
Enea, Teseo, Piritoo, Ercole, Odisseo, del vate Orfeo, della
sibilla cumana Deifobe, di Psyche, di S. Paolo e di Dante.
Approfondimenti: Le opere più significative in cui si
incontra la figura di Caronte sono sicuramente l'Eneide di
Virgilio e la Divina Commedia di Dante.
Alla fine del V secolo a.C., compare nella commedia
Le rane di Aristofane, in cui Caronte urla insulti nei riguardi della gente che lo attornia. Egli viene descritto con
un barba rossa e capelli bianchi e la descrizione è conservata, nella Divina commedia.
«…Portitor has horrendus aquas et flumina servat
terribili squalore Charon, cui plurima mento
canities inculta iacet, stant lumina flamma,
sordidus ex umeris nodo dependet amictus…
Ipse ratem conto subigit velisque ministrat
et ferruginea subvectat corpora cumba,
iam senior, sed cruda deo viridisque senectus…» 1
«…Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave!
Non ispirate mai veder lo cielo
Io vegno per menarvi all’altra riva
Nelle tenebre eterne,in caldo ed in gelo …
Quinci fuor queste le lanose gote
al nocchier de la livida palude, che ’ntorno
a li occhi avea di fiamme rote…»2
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1) Virgilio - Eneide VI 209-304.
2) D.Alighieri - Inferno III 82-99
Accademia dei Lincei
Villa Farnesina
Via della Lungara, 10, 00165 Roma
Accademia delle Scienze di Roma
Via L. Spallanzani 5/a - 7
00161 ROMA
Sagra dell’olivo e dell’olio
LA PRO LOCO DI CANINO
Presenta la Compagnia dell'Adramelek Theater
in
LA CELLA DI ALESSIO
(La prigionia di Dostoevskij)
Fëdor Dostoevskij, nella cella tetra, s'imbatte nel suo
doppio, il principe Myskin che immortalerà nell'Idiota.
Regia: Gennaro Francione
SCUOLA DI PSICOTERAPIA PSICOANALITICA
DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA
dott. G. D'Orazio dott.ssa E. Lelli
Milano - Genova
Provider Nazionale ECM
Via Poggi 1 (MM2-Piola-Citta' Studi) – tel. 0236596378
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-3-
Andropos in the world
I COMMEDIOGRAFI GRECI
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,"odè",
canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile
riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per scongiurare
una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un componimento poetico che
comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il
suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le
fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano
sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano
alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi.
I commentatori antichi distinsero tre fasi della commedia greca: quella arcaica, che va dalle origini, al IV secolo a.C.; la
commedia di mezzo, che va dal 388 a.C., all'inizio dell'Ellenismo (323 a.C.); la commedia nuova, che coincide con l'età
ellenistica. Dopo l'ultima fase, il genere comico continuò all'interno della cultura latina, con i commediografi latini, autori
delle “palliate”. Il maggiore rappresentante della commedia attica è Aristofane l'unico commediografo di questo periodo, di cui
ci siano pervenuti testi completi. Egli utilizzò elementi fantastici e introdusse la satira politica fino all'attacco personale,secondo il principio dell' ὀνομαζηὶ κωμῳδεῖν, cioè ironizzare su di una persona attraverso il suo nome.
MENANDRO: Σαμία
L'ultima fase della commedia attica coincide con l'età ellenistica. I temi della commedia si adattano alla nuova realtà,
spostandosi dall'analisi dei problemi politici, all'universo dell'individuo. I personaggi rientrano tutti in uno schema, che
diventerà tipico nella commedia romana e, più tardi, nella
commedia dell'arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico, lo schiavo astuto ed il crapulone. Il maggior esponente
della commedia nuova è Menandro (IV-III secolo a.C.).
Menandro scrisse ad Atene settant'anni dopo la morte di
Aristofane: la società greca aveva subito enormi cambiamenti. Egli fu il massimo esponente della Commedia Nuova.
L'Ellenismo era un periodo in cui il ruolo predominante
dell'intellettuale non si concretizzava nella partecipazione
attiva alla vita politica in senso stretto, bensì nell'intrattenimento di un pubblico elitario. La produzione menandrea mal
si adatta all'interesse politico, egli intende attuare una
indagine sull'uomo, attraverso uno squarcio nel quotidiano da
cui possiamo tutti noi trarre i tratti più autentici dell'individuo
comune. Le sue opere sono: Aspis ("Lo Scudo"; pervenuta per
circa una metà) - Georgos ("L'Agricoltore") - Dis Exapaton
("Il Duplice Ingannatore") - Dyskolos (l'unica opera pervenuta
nella sua interezza) - Encheiridion ("Il Manuale") Epitrepontes ("L'Arbitrato"; pervenuta in gran parte) - Heros
("L'Eroe") – Hypobolimaios - Karchedonios ("Il Cartaginese")
-Kitharistes ("Il Citaredo") – Kolax Koneiazomenai - Leukadia
– Methe – Misoumenos - Naukleros ("Il Capitano della Nave")
– Orge - Perikeiromene ("La donna tosata") – Perinthia Plokion ("La Collana") - Pseudherakles ("Il falso Ercole") Samia (La donna di Samo) - Sentenze. Non una commedia ma
una raccolta di aforismi di saggezza popolare, sulle donne,
l'amicizia, l'educazione, la fortuna. - Sikyonioi o Sikyonios –
Synaristosai - Phasma ("Il Fantasma") – Theophoroumene –
Trophonios.
La donna di Samo - Moschione, figlio adottivo di
Demea, ama la figlia di Nicerato, la giovane Plangone, con
la quale si è unito carnalmente durante una festa: la giovane
è rimasta incinta e Moschione ha giurato di sposare la
donna. Tuttavia, dal momento che Moschione non vuole
per il momento rivelare la propria paternità, il figlio, ormai
nato, viene fatto passare per quello della concubina di
Demea, Criside (la donna di Samo), la quale aveva da poco
dato alla luce un bimbo morto . Al suo ritorno, Demea cade
-4-
vittima di equivoci che lo portano a credere che il piccolo
sia davvero nato dall'unione tra il figlio e Criside. L'uomo
allora, cieco di gelosia, caccia di casa la concubina
accusandola di tradimento, e la donna tace sulla verità per
difendere l'onore di Plangone. Da qui nascono una serie di
fraintendimenti, durante i quali Nicerato afferma addirittura di voler uccidere Criside, e Demea per placarlo gli
racconta che la concubina non sarebbe incinta di
Moschione ma nientemeno che di Zeus. Quando la tensione è al culmine, finalmente Moschione racconta al
padre che il figlioletto non è nato da Criside ma da Plangone. Chiarito l’equivoco, Moschione fa l’offeso per i
sospetti di cui è stato oggetto, ma alla fine tutto si aggiusta
e si possono celebrare le nozze tra lui e Plangone.
SINOSSI: Non si conosce la data di prima rappresentazione dell’operra, ma alcuni indizi nel testo inducono a collocarla tra le opere giovanili dell’autore. può
essere definita una commedia degli equivoci, che sono
peraltro tipici delle trame della Commedia Nuova.
Nonostante tutti i personaggi della commedia si comportino in assoluta buona fede e manchi dunque la figura
del malvagio, la situazione potrebbe precipitare. Causa
degli equivoci è essenzialmente il silenzio, ovvero due tipi
di silenzio: quello di Moschione e quello di Criside. Il
primo esita a raccontare a Demea come stanno le cose,
ingenerando quindi in lui la convinzione che il figlio non
sia di Plangone. Il personaggio che nell’opera svetta su
tutti gli altri per sensibilità è indubbiamente Criside, la
donna di Samo, capace di subire offese ingiuste ed essere
anche cacciata di casa, senza per questo venire meno al
compito di solidarietà femminile cui si è votata. Pur di
difendere l’onorabilità di Plangone, la donna subisce
ingiurie e ritorsioni senza proferire parola, ma alla fine
tutto sfocerà nella sua definitiva rivalutazione. Anche
Demea ha una sua originalità, giacché si tratta di un
personaggio comico tradizionale ma dotato di caratteristiche particolari: lungi dall’essere un vecchio sconcio e
ridicolo, Demea si vergogna delle sue smanie senili, ma al
tempo stesso non può impedirsi di essere geloso.
(A cura di Andropos)
Andropos in the world
I GRANDI MISTERI
Cosa c’è al centro della terra della Terra?
La prestigiosa rivista scientifica New Scientist, di recente,
ha selezionato i sette interrogativi a cui non siamo ancora
stati capaci di dare una risposta:
1. Come mai sulla terra si sono create le condizioni
migliori? Nonostante i pianeti siano nati dalla stessa
nuvola di gas e polvere, sulla Terra si sono create le
giuste condizioni di vita e la distanza dal Sole non basta
a spiegare questo interrogativo.
2. Cosa è successo durante l’Età Oscura della Terra? I
primi 500 milioni di anni, periodo in cui un grosso
asteroide dell’ampiezza di Marte ha colpito il nostro
pianeta generando la Luna, restano tutt’oggi senza
spiegazione.
3. Da dove viene la vita sulla Terra? È sicuramente
l’interrogativo più affascinante a cui non è ancora stata
data una risposta scientifica.
4. Perché la Terra ha la tettonica a zolle? Il nostro
pianeta è l’unico che presenta il fenomeno della
divisione a placche.
5. Perché il clima della Terra è così stabile? Sul nostro
pianeta, a differenza di tutti gli altri, il clima è rimasto
stabile per almeno quattro miliardi di anni. Perché?
6. Possiamo prevenire i terremoti e l’eruzione dei
vulcani? Possiamo prevenire i movimenti delle placche
ma non il luogo esatto in cui si generano dei terremoti.
Ad oggi, le previsioni si basano esclusivamente sul
calcolo probabilistico dei terremoti registrati in anni
precedenti.
7. Cosa c’è al centro della Terra? La risposta è ferro. Ma
all’origine il nucleo del pianeta poteva avere una
composizione diversa. Si cerca la risposta a questo
interrogativo.
ILLINOIS (Stati Uniti) – I geofisici iniziano a capire
qualcosa di più: l'epicentro del nostro pianeta perde il suo
aspetto mitologico e, molto gradatamente, inizia a essere più
conosciuto agli esperti. Viktor Struzhkin, con altri esperti
della Carnegie Institution di Washington, ha riprodotto in
laboratorio un modello che ricalca le condizioni esistenti
sotto la crosta terrestre e che in futuro potrebbe essere
illuminante per capire esattamente cosa c'è al centro della
terra.
Come nel romanzo di Verne, il viaggio nelle cavità sotterranee potrebbe essere sorprendente e, com’è noto, l'interno della terra continua a essere avvolto dal mistero per
l'impossibilità di essere studiato direttamente. I pozzi più
profondi non superano infatti i 15 km e oltre questa distanza
le temperature e la pressione sono troppo elevate. Ma le
ricerche continuano e le più preziose sono eseguite in mare,
proprio perché la crosta oceanica è molto meno spessa (8-10
km) di quella terrestre (35-40 km).
Per il momento le perforazioni che presto saranno
effettuate nelle acque marine tra Capoverde e i Caraibi sono
state simulate nei laboratori di Argonne. I dati inducono gli
scienziati a ipotizzare uno strato transizionale a un km di
profondità, in cui temperatura ( 1.727 C) e pressione (100
mila volte quella sulla superficie) elevatissime fondono i
materiali ferrosi. Inoltre Struzhkin spiega che i minerali
compatti esistenti sviluppano una sorta di onde sismiche,
che si muovono verso il centro della Terra.
Questi sono i primissimi risultati delle rilevazioni artificiali effettuate dall'Argonne National Laboratory dell'Illinois. Molti scenari sono ancora aperti su quello che
potrebbe esserci al centro della terra, giganti e mastodonti
compresi. Per il momento Argonne rappresenta per le
condizioni di temperatura e di pressione uno dei pochi siti
idonei per approfondire le conoscenze in questo campo, in
attesa di una rilevazione effettiva. Struzhkin rileva: «È solo
la prima parte del puzzle. Riteniamo che possano ancora
arrivare grandi sorprese».
Il simbolismo esoterico del dollaro
Avete mai riflettuto sull’insolito disegno che figura sul
dorso dei biglietti americani da un dollaro? E’ chiamato "The
Great Seals" e si compone da una Piramide tronca sul cui
vertice figura un triangolo con dentro un occhio. Tutt’intorno
è scritto "Annuit Coeptis" e "Novus Ordo Seclorum". 72
mattoni formano la Piramide, disposti su 13 livelli. E’ il
simbolo degli Illuminati e fu "stampato sul dollaro per ordine
del Presidente Roosevelt massone del 32esimo grado". Così
scrive Barry R. Smith a pag. 83, nel suo libro Warning
(Wright and Carman LTD, Nuova Zelanda). La scritta "The
Great Seal" (Il Grande Suggello) non sta certo ad indicare
che si tratti del simbolo dell’America che, come sappiamo, è
rappresentato dall’aquila. Qual è allora il significato occulto
di questo simbolo che è presente finanche nella Sala della
Meditazione del Palazzo dell’O.N.U. a New York?
La valenza di questo simbolo è satanica. Infatti, "il simbolismo dell’occhio è connesso al demonio attraverso la sua
affinità con la lettera ebraica Ayin, il numero 70 che, come 7
x 0, rappresenta l’aspetto più materiale del numero sette
(Sevekh, Venere)", spiega Kenneth Grant che di diavoli se ne
intende.
L' "Ordine degli Illuminati" (Illuminaten Orden) fu fondato dal principe Jean Adam Weishaupt (1748-1830) l'1
maggio del 1776 all'età di 28 anni. Il simbolo dell'Ordine fu
costituito da un "punto tracciato in un Cerchio" (rappresentante il simbolo del Sole e del dio Horus). Weishaupt,
incredibile a dirsi, fu educato dai Gesuiti e, all'età di 20 anni,
fu nominato professore di Diritto Canonico a Ingolstadt, città
in cui era nato. In quegli anni l'Ordine dei Gesuiti si trovava
sotto l'effetto di una bolla papale di scioglimento che verrà
revocata molto più tardi.
Cadet-Gassicourt nel suo libro "Le Tombeau de Jacques
de Molay" (1797) trascrive il terribile giuramento degli
Illuminati che, tra l’altro, recitava l’impegno di: "...
sterminare tutti i re e la razza dei Capeti; di distruggere
la potenza del papa; di predicare la libertà dei popoli...
di fondare una repubblica Universale...". Haugwitz e
Wollerner denunceranno il "vasto complotto degli Illuminati contro le Monarchie e contro le Chiese".
-5-
Andropos in the world
NICODEMATE
La bruttezza
“ Lasciamo le belle a chi non ha fantasia …” (Michelangelo)
Un famoso detto afferma che “ Non è bello ciò che è
bello, è bello ciò che piace”; un altro ribadisce che “Ogni
scarrafone è bello a’ mamma soja”, per cui la scimmia
può dire “Mio figlio è il più bello del mondo”, anche
perché, ad onor del vero, dopo millenni non si è ancora
riusciti a definire la bellezza oggettiva (la Venere di
Milo?).
La bellezza, infatti, non è stata mai un valore assoluto
e atemporale ma legata alla sensibilità delle varie epoche,
per cui in ogni secolo filosofi e artisti hanno fornito
diverse definizioni del bello1.
Bisogna però ammettere che nemmeno esiste una
bruttezza oggettiva, assoluta, sulla quale, però, non si è
scritto e poetato molto 2.
Un’insegnante di Perugia, Loredana Frescura, considerò la bruttezza più che altro uno stato d’animo presente nella fase adolescenziale, per cui le ragazze non
sperano di avere il medesimo destino del brutto anatroccolo.
Per il truccatore di dive, Nando Chiesa, le brutte addirittura non esistono; “Una donna che si piace – affermò è già pronta per piacere”3 ed aggiunse che qualche volta i
difetti vanno messi in evidenza, oppure giocati con molta
abilità, nel senso che se, ad esempio, l’occhio non è molto bello si mette in evidenza la bocca e viceversa.
Dichiaro subito che non credo nei rapporti bruttezza/intelligenza e bellezza/stupidità , perché non esiste; è
vero piuttosto, com’è stato dimostrato di recente da due
studiosi spagnoli che le persone belle sono egoiste per
natura, in quanto non sono spinte dall’istinto a cercare
partner migliori di loro e sono darwinianamente autosufficienti e meno bisognosi dell’aiuto da parte di altri. Così
come credo che il problema riguardi soprattutto le donne: il mostro di Notre Dame uno straccio di donna lo
trova sempre, mentre per una donna brutta la situazione
si fa difficile se non drammatica. Theophile Gautier affermò, ne “La signorina di Maupin”, che una donna non
bella è più brutta di un uomo non bello.
Ma, a parte i consigli del truccatore, si dice che un
uomo è sintetico ( di lui si dice che è bello, brutto, simpatico, ecc) mentre la donna è analitica (di lei si notano
le gambe, il viso, i capelli, il lato B, ecc), per cui uno dei
tanti aspetti può essere passabile, ed in questo caso ecco
cosa scrisse Michelangelo4
Se in donna alcuna parte è che sia bella,
Quantunque altre sien brutte,
Debb’io amarle tutte
Nutrito dal piacer ch’io trovo in quella.
La parte men gradita, che s’appella
-6-
Alla ragion, pur vuole,
Mentre l’intera gioia per lei s’attrista,
Che l’innocente error si scusi ed ami.
Amor, che mi favella
Della nojosa vista,
Com’irato suole,
Che nel suo regno non si vuol richiami.
E ‘l ciel pur vuol ch’io brami
Quel che non piace, perché in voglia umana
L’uso, amandosi ‘l bello, il brutto sana.
Infine, conducendo spesso la bruttezza sulla via della
virtù (Heine) non può trascurasi il fatto che un uomo,
con una donna brutta al fianco, oltre a dare sfogo alla
fantasia, come ha fatto il principe Carlo d’Inghilterra
con la sua Camilla, può camminar sicuro a testa alta.
Renato Nicodemo
_________________
1) cf U. Eco, Storia della bellezza, 2004.
2) cf U. Eco, Storia della bruttezza, 2007.
3) Panorama 28.5.95.
4) Michelangelo, Madrigale XXIV.
CONCERTI NEI PAESI DEL CRATERE
Prima tappa al castello di Quaglietta
E’ iniziato il tour che prevede sei appuntamenti con la
storia di un vasto territorio campano, incontri che avranno termine il sei gennaio 2012.
La prima tappa è stata al castello longobardo della
nostra Quaglietta (Aqua-electa), con Teresa De Sio.
Nella suggestiva frazione di Calabritto, le note folk
della brava cantautrice.
Successivamente, toccherà ad altri centri limitrofi,
con le performances di Peppe Servillo, nel borgo di
Senerchia, Francesco Baccini e Marco Masini nel
castello Guerritore di Oliveto Citra. In serata, grande
exploit di fronte
alla chiesa di S. Maria della
Misericordia.
L’ORCHESTRA DEL VERDI AL SENATO
Il tradizionale Concerto di Natale al Senato, questo
anno, ha visto protagonista l’orchestra del teatro Verdi
di Salerno, diretta, per l’occasione, da Daniel Oren.
Nella scaletta: Un americano a Parigi di Gershwin,
Bolero di Ravel, nonché brani celebri tratti dalla Norma
del Bellini, e dalla Cavalleria Rusticana del Mascagni.
E’ prestigioso un tale evento per la città della scuola
medica che ha, già da tempo, investito nell’arte e nella
musica. L’incasso dell’evento è stato devoluto in beneficenza. Presentatore dello spettacolo, il bravo Pippo
Baudo.
n.d.D.
Andropos in the world
OMAGGIO AD UN GRANDE ATTORE COMICO
RENATO RASCEL (a cura di Andropos)
Renato Rascel nasce "per caso" a Torino durante una tappa della
tournée della compagnia d'arte in cui lavorano suo padre Cesare
Ranucci, cantante di operetta, e sua madre Paola Massa, ballerina
classica. Riceve il battesimo nella Basilica di San Pietro secondo il
desiderio del padre, romano da sette generazioni, ed alla città eterna
la sua vita resterà sempre legata. Affidato dai genitori ad una zia, a
causa del loro lavoro che li costringeva a continui spostamenti,
Renato cresce nell'antico rione di Borgo insieme alla sorella Giuseppina (scomparsa prematuramente a diciassette anni). Frequenta
la Scuola Pontificia Pio IX, gestita dai Fratelli di Nostra Signora
della Misericordia i quali, oltre ad impartire l'insegnamento scolastico, organizzavano corsi di canto, musica e recitazione. Già
durante la partecipazione a queste attività Renato mostra i segni del
suo precoce talento, al punto di essere ammesso a far parte, all'età di
dieci anni, del Coro delle Voci Bianche della Cappella Sistina,
allora diretto dal Maestro don Lorenzo Perosi. Sempre in questo
periodo si esibisce per la prima volta in pubblico come batterista di
un complesso jazz di dilettanti scritturato dal Circolo della Stampa.
Poco tempo dopo debutta in teatro a fianco del padre, divenuto
direttore della filodrammatica "Fortitudo", nel dramma popolare Più
che monelli, dove interpreta la parte di un ragazzino che muore a
causa di un sasso tiratogli da un compagno di giochi. Consapevole
del fatto che la carriera artistica non è tra le più facili e
remunerative, il padre cerca di avviare Renato a lavori più sicuri e
redditizi. Per qualche tempo lavora come apprendista calderaio,
muratore e garzone di barbiere, ma il richiamo dell'arte è troppo
forte per lui. Renato ha solo tredici anni quando viene scritturato in
pianta stabile come musicista dal proprietario del locale "La
Bomboniera", ed in seguito suonerà alla "Sala Bruscolotti" noto
ritrovo della Capitale. A quindici anni entra a far parte del
complesso musicale "Arcobaleno". L'impresario teatrale napoletano
Luigi Vitolo, notata la sua esuberanza, lo spinge ad improvvisare
negli intervalli dell'orchestra numeri di danza e di arte varia che
riscuotono ilarità e successo dal pubblico.
All'inizio degli anni trenta, e dopo un lungo tirocinio in compagnie
di avanspettacolo, Renato Ranucci decide di scegliersi un nome
d'arte e sceglie casualmente quello di "Rachel" (dal nome di una
cipria francese molto famosa in quel tempo); tuttavia, poiché, come
ammetterà più tardi in alcune interviste, sono in molti a sbagliarne
la pronuncia, decide di sostituire la "ch" con "sc", onde evitare
errori. Successivamente gli viene addirittura imposto il nome
italianizzato di "Rascele" in ottemperanza alle direttive emanate da
Achille Starace per conto del governo fascista, malgrado le
resistenze del giovane ma arguto Renato che pare abbia risposto:
«Cambiate prima Manin in "Manino", e poi ne riparliamo». Nel
1932 Rascel viene scritturato dalla compagnia teatrale dei fratelli
Schwartz per recitare la parte di Sigismondo nell'operetta Al
Cavallino Bianco, con la quale debutta al Teatro Lirico di Milano il
24 febbraio del 1933, venendo notato dal critico teatrale Renato
Simoni, che in un suo articolo loda le sue qualità acrobatiche. È in
questo periodo che matura la decisione di creare un suo personaggio
originale e libero dai manierismi recitativi dell'epoca, un omino
dall'aria candida che declama monologhi assurdi, ricchi di spericolate invenzioni linguistiche (talvolta a doppio senso). L'aspetto
fisico gracile e minuto, accentuato da una palandrana troppo grande
con un taschino sulla schiena, insieme alle sgangherate battute
comiche talvolta inventate sul momento dalla sua fervida fantasia,
ne fanno un personaggio decisamente anticonformista. Gli esordi
non sono incoraggianti, ma durante una fatidica serata al cinemateatro Medica di Bologna il pubblico, composto in grande maggioranza da studenti, dopo attimi di muto sbalordimento esplode in
applausi e addirittura lo porta in trionfo. Rascel
capisce allora che saranno le generazioni più
giovani ad apprezzare la sua "nuova" comicità,
ed a trovare nelle sue battute senza senso l'antidoto al clima oppressivo dell'epoca. Nel 1939, durante una pausa
in camerino, scrive di getto le prime strofe di quella che suona
come un'altra delle sue surreali filastrocche: "È arrivata la
bufera / è arrivato il temporale / chi sta bene e chi sta male / e
chi sta come gli par", che il pubblico accoglie con una risata
generale e liberatoria, quasi a voler sdrammatizzare l'addensarsi
sull'Europa di un nuovo conflitto bellico a cui le parole della
canzone sembrano fare riferimento neanche troppo velatamente.
Il personaggio di Renato Rascel, oltre al successo nel teatro di
rivista, aveva attirato l'attenzione di scrittori del calibro di Cesare
Zavattini e Vittorio Metz, che scrive per lui il soggetto e la
sceneggiatura del suo primo film. Nel 1942 hanno quindi inizio
le riprese del film che doveva intitolarsi Un manoscritto in
bottiglia, ma durante la lavorazione Rascel conosce l'attrice Tina
De Mola, della quale si innamora e scrive per lei la canzone
Pazzo d'Amore, che diventerà la colonna sonora ed il titolo del
film, diretto da Giacomo Gentilomo. Il 19 luglio del 1943 Rascel
e Tina De Mola si sposano, ma pochi mesi dopo in seguito alla
caduta del fascismo ed all'occupazione di Roma da parte dei
nazisti Rascel e la moglie, invisi alle autorità occupanti, furono
costretti a nascondersi trovando rifugio in Vaticano. In seguito
Rascel manifesterà la propria gratitudine per il suo salvataggio
collaborando con la sezione propaganda e stampa della DC e
partecipando al film di propaganda Ho scelto l'amore. Dopo la
fine della guerra, Rascel torna al teatro di rivista con la nuova
macchietta del "Piccolo Corazziere", altro personaggio incentrato sul contrasto tra la sua bassa statura e l'elmo e lo sciabolone
d'ordinanza. Il 1952 è per lui l'anno della svolta, poiché
interpreta per la regia di Alberto Lattuada il film Il cappotto,
tratto dal racconto di Nikolai Gogol. Nel 1957, Rascel acquisisce
notorietà internazionale con la sua canzone Arrivederci Roma
che spinge un produttore cinematografico di Hollywood a
proporgli di girare un film al fianco del tenore Mario Lanza.
Nasce così The Seven Hills of Rome, girato in esterni a Roma ed
in interni negli stabilimenti della Titanus, dove Rascel non
sfigura al fianco del grande tenore americano e di Marisa
Allasio. Il film verrà distribuito in Italia con il titolo Arrivederci
Roma. Nel 1960 Renato Rascel, in coppia con Tony Dallara
partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Romantica, da
lui composta e con il testo firmato da Dino Verde. La sua
interpretazione, melodica e molto "sussurrata" è in aperto
contrasto con la versione di Dallara, che è uno dei cosiddetti
"cantanti urlatori". Ma sarà proprio Dallara a portare alla vittoria
Rascel e la sua canzone. La vittoria tuttavia non sarà senza
polemiche in quanto Rascel verrà accusato di aver copiato la
musica, dando adito ad una causa in tribunale che vedrà Rascel
vincitore grazie ad una perizia di parte firmata nientepopodimeno che da Igor Stravinski. Negli anni ottanta, complice
l'avanzare dell'età, Renato Rascel comincia a diradare i suoi impegni.
Muore a Roma il2 gennaio del 91. Se fosse ancora vivo, sicura-
mente ne scriverebbe di cose, nell’attuale clima politico e certamente direbbe ai microfoni della Rai:
È arrivata la bufera /È arrivato il temporale
Chi sta bene e chi sta male,/e chi sta come gli par....
___________
Al link Rascel e Claudio Villa
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=mJ5ekL4yHyY#t=10s
-7-
Andropos in the world
IL RACCONTO DEL MESE
L’ELEZIONE DEL PARROCO
di Umberto Vitiello
- I preti ne sanno sempre una più del diavolo. E a questo
proposito - disse il ciabattino Giacinto Jannelli, detto ‘o
professore, - mi viene in mente un altro aneddoto. Avete
tempo e voglia di ascoltarlo? Sì? Allora. statemi a sentire.
Da tempi immemorabili in alcuni paesi della Campania, quasi
tutti nella penisola sorrentina, il parroco viene eletto dai fedeli
tra una rosa di tre nomi proposti dal vescovo. Pensate che
questa tradizione è stata rispettata perfino durante la dittatura
fascista, quando in Italia di elezioni era proibito perfino
parlare.
Ebbene, vari anni fa in uno di questi paesi il parroco morì e il
vescovo di Sorrento, passato il periodo di lutto, scelse come
candidati alla successione tre preti della diocesi: il cinquantenne viceparroco don Anselmo, dello stesso paese; don
Paolino, un anziano e santo sacerdote di Vico Equense, e
l’intraprendente don Aniello, di appena trent’anni, di MassaLubrense. Quest’ultimo, pur sapendo di essere stato incluso
nella rosa dei candidati solo per fare numero, ci teneva a
diventare parroco come e più degli altri. Certo, di carte da
giocare ne aveva poche. E per farsi un’idea di come agire in
circostanze così difficili ed avere qualche probabilità di
successo, si recò un giorno da un ragioniere di Meta di
Sorrento, un vecchio marpione che in passato aveva saputo
fare con le sue astuzie la fortuna di non pochi politici.
- Se volete vincere le elezioni, dovete spararle grosse - gli
consigliò il ragioniere.
- Spiegatevi meglio - gli chiese stupefatto don Aniello.
- Al popolino piacciono le promesse sostanziose. Perciò,
andate in giro, informatevi quali sono i desideri più diffusi e
dichiarate poi pubblicamente e senza esitazione che vi
ripromettete di soddisfarli tutti.”
- E se una volta eletto non mi sarà possibile?
- L’elezione del parroco non è forse a vita?
- Certo che è a vita. Ma, se gli faccio delle promesse e poi non
le mantengo, dovrò pure giustificarmi.
- E qui sta l’abilità del vero politico, caro don Aniello. Voi
dovete spararle grosse, le vostre promesse; ma dovete anche
studiarvi il modo di venirne fuori senza perdere la faccia, una
volta eletto.
- E come? - chiese il giovane prete.
- Al momento opportuno potete dichiarare, che so?, che non è
colpa vostra se non potete mantenerle, ma degli eventi
avversi. Anzi, meglio ancora se riuscirete a dimostrare che la
colpa è proprio dei vostri stessi elettori. Avete capito?
- Sì, ho capito. Ma sarebbe meglio se mi faceste un esempio.
- Non sia mai! Vi toglierei ogni merito. E questo, da
parte mia, sarebbe imperdonabile - concluse il ragioniere. Don
Aniello apprezzò la risposta, ringraziò e se ne andò.
E, trascorsi alcuni giorni a riflettere su quello che aveva
appreso, si mise in giro per informarsi di cosa si lamentassero gli abitanti del paese e quali fossero i loro veri desideri.
Poi, tornato a casa, si studiò due o tre promesse di grande
effetto, che espose alla presentazione dei candidati, quando,
per la sua più giovane età, fu invitato a parlare per ultimo.
- Cari fratelli, - esordì con voce sicura e suadente - hoascoltato con la vostra stessa attenzione le sante parole di don
Paolino e le interessanti argomentazioni di don Anselmo e vi
-8-
confesso che non esito un solo istante a sottoscrivere e fare
mie sia le une che le altre. Sono le stesse che avevo in animo
di pronunciare io. Anche se ... - e qui fece una breve pausa. Anche se le ritengo manchevoli di qualcosa che io non esito a
definire indispensabile. Ebbene, ai piedi di questo sacro altare
vi dichiaro in tutta sincerità e convinzione che, se mi riterrete
degno di essere il vostro parroco, non solo m’impegno a
rispettare e realizzare ciò che vi hanno detto don Paolino e
don Anselmo, ma vi faccio anche tre promesse solenni.
Primum et in tempore opportuno, non appena vi sarete messi
d’accordo farò liberare la piazza dalla montagnola di terriccio,
detriti e rifiuti che, accumulatasi indecentemente da non so
quanti anni, è la vergogna della nostra parrocchia e dell’intero
paese. Deinde et toto pectore, prometto che per venirvi
incontro nelle vostre attività di lavoro, pregherò e farò in
modo che piova solo quando vorrete voi. Postremo
- et sine ulla haesitatione, con la speranza di non scandalizzare nessuno dei presenti, vi assicuro che impedirò con
ogni mezzo che la morte vi porti via senza il vostro consenso Don Anselmo e don Paolino si guardarono intorno esterrefatti, si levarono poi in piedi e protestarono ad alta voce.
- Cose dell’altro mondo! - Questa è pura demagogia! Don Aniello li invitò alla calma e riprese la parola.
- Io vi ho ascoltati senza fiatare e ho perfino dichiarato di
condividere i vostri discorsi - disse loro e, rivolgendosi poi
all’assemblea dei fedeli, soggiunse:
- Se saprete mettervi d’accordo, vi assicuro che io le mie
promesse le manterrò. Tutt’e tre! Il rappresentante del vescovo, per evitare altre discussioni,
si avvicinò all’altare, fece cenno ai fedeli di inginocchiarsi,
impartì loro la santa benedizione e li invitò a tornarsene a
casa.
La domenica seguente si votò, don Aniello vinse le elezioni e
da quel giorno ebbe inizio la sua vita di parroco.
Non passò però molto tempo che alcuni fedeli, passando per
la piazza e notando la montagnola di terriccio, detriti e rifiuti,
andarono da don Aniello per ricordargli la prima delle sue tre
promesse.
Il giovane parroco li accolse con cordialità e li informò di
avere già approntato un piano di risanamento della piazza
che avrebbe illustrato dal pulpito a tutti i fedeli.
E la domenica seguente, alla fine della messa annunciò che
per la pulizia definitiva della piazza aveva predisposto una
corvée generale alla quale dovevano partecipare tutti i
maggiorenni della parrocchia.
- Dopo il lavoro quotidiano – disse. - muniti di picconi,
vanghe e pale, sbancheremo l’enorme cumulo che negli
anni si è ammassato davanti alla chiesa, caricando e
trasportando terriccio, detriti e rifiuti nei luoghi che adesso
vi comunico -.
A questo punto estrasse dal libro che aveva sul leggio un
foglio di carta e si mise a leggere.
- Cinque carri saranno scaricati nell’orto di Menico ‘o Curto1,
cinque carri nei campi di Raffaele ‘a Patana1, cinque carri
nella vigna di Zi Pasquale, cinque carri in quella di Tore ‘o
Andropos in the world
Zelluso1, cinque carri nell’oliveto dei fratelli Sciarrillo,
cinque carri nell’agrumeto dei coniugi Scamuso, cinque carri
nel giardino di don Liborio...” - e continuò lentamente per un
pezzo, facendo finta di non accorgersi del mormorio dei
fedeli da lui citati, gli stessi che andarono poi a protestare in
sagrestia.
- Fratelli carissimi, io non so cosa farci. In qualche luogo
bisognerà pure buttare tutta quella terra e quei rifiuti! Perciò,
cercate di mettervi d’accordo tra di voi - disse don Aniello
senza scomporsi.
- La promessa era che ci avreste pensato voi! - osò intervenire
Zi Pasquale, il più anziano di loro.
- Sì, è vero. Ma vi avevo pure precisato che le promesse io
l’avrei mantenute solo in pieno accordo di tutti - rispose il
giovane parroco e nessuno fiatò.
Qualche giorno dopo, accompagnato da alcuni compaesani,
Zi Pasquale si presentò di nuovo in sagrestia.
- Don Aniello carissimo – disse, - un accordo tra di noi per lo
sterramento dell’enorme cumulo della piazza è difficile, se
non addirittura impossibile. Perciò abbiamo deciso che, visto
ormai che da anni quella maledetta montagnola di fetenzie
nessuno è riuscito a spostarla di là, per la buona pace di tutti è
meglio che ci resti ancora. Il giovane parroco annuì e tutti se
ne andarono felici e contenti.
Non molto tempo dopo si scatenò una tempesta e piovve.
Guglielmo il vasaio si ricordò della seconda promessa di don
Aniello e andò a lamentarsi in sagrestia per i danni subiti.
- Tu quando vuoi che venga a piovere? - gli chiese senza
scomporsi il giovane parroco.
- Per potermi rifare, non prima di giovedì della prossima
settimana - gli rispose Guglielmo il vasaio.
Don Aniello fece subito suonare le campane a raccolta, salì
sul pulpito non appena la chiesa si riempì di fedeli e disse
loro che se tutti si dichiaravano d’accordo avrebbe pregato il
Signore di non far piovere per più di una settimana.
Si levò allora il solito mormorio e Menico ‘o Curto prese la
parola.
- Da mesi il mio orto era secco e asciutto. Finalmente il
Padreterno mi manda un po’ d’acqua e voi volete far subito
smettere di piovere?
Altri si unirono alla sua protesta e il giovane parroco chiese
come si doveva comportare.
- Don Aniello carissimo, - intervenne l’anziano Zi Pasquale un accordo per i giorni di pioggia e quelli di sole è
impossibile da raggiungere. Perciò io penso che sia meglio
rimetterci alla volontà di Dio.”
- E così sia! - esclamò don Aniello e si ritirò.
Un paio di mesi dopo si diffuse la voce che il vecchio Catiello
stava morendo. Qualcuno si ricordò della terza promessa di
don Aniello e si recò da lui in compagnia dei più vecchi e
interessati del paese.
- Alla vostra elezione ci avete assicurato che avreste impedito
con ogni mezzo di farci portare via dalla morte contro il
nostro volere.
- E allora? - chiese serafico il giovane parroco.
- Il vecchio Catiello, che come tutti sanno è attaccato alla vita
più di tutti noi, sta morendo. Perciò non c’è tempo da perdere
se volete dimostrare che siete in grado di mantenere la vostra
promessa.
Il giovane parroco non si lasciò pregare due volte, prese
cappotto e cappello e si fece accompagnare da Catiello, in
fondo al paese.
Il vecchio rantolava e i suoi parenti tutt’intorno già recitavano
le preghiere dei morti.
Don Aniello impartì a tutti la santa benedizione, chiamò la
moglie di Catiello e le ordinò di preparare una grossa bistecca
di maiale.
La vecchia andò a comprare la carne, la cucinò con le sue
stesse mani e la portò al parroco.
- No, non a me, - le disse don Aniello - ma a vostro marito.
Se riuscite a fargliela mangiare tutta, vedrete che si rimetterà
in forza come e meglio di prima.”
La vecchia si diede subito da fare. Ma, per quanti sforzi
facesse, non riuscì a fargliene mangiare neppure un pezzetto.
Poco dopo Catiello spirò e la vecchia si mise a piangere come
una disperata.
- Se vostro marito si è rifiutato di mangiare quella bella
bistecca di maiale è segno che voleva morire - le disse don
Aniello.
- No, Catiello non voleva morire. Siete voi che l’avete
ammazzato! - protestò la vecchia - E l’avete mandato pure
all’inferno. Invece di dargli l’estrema unzione vi siete
accanito a ripetermi di ficcargli in gola questa maledetta
bistecca.
Don Aniello non si scompose e attese che si calmasse.
- Se vostro marito s’è ostinato a voler morire - le disse - è
segno che aveva la coscienza a posto. Perciò sono certo che
non è andato all’inferno, ma in paradiso -.
Per consolare la vedova tutti diedero ragione a don Aniello,
ma da quel giorno, ogni volta che qualcuno del paese era in
fin di vita, per non rischiare di mandarlo all’inferno, pensarono bene di rivolgersi al parroco solo a morte avvenuta.
(da “Napoli, racconti filosofici di ieri e di oggi”)
ET C’EST LE SOIR
De rares nuages
dessinent l'azur du ciel,
pas de discours
dans le jour
qui meurt en silence.
Le vert cache
plus vert
les rayons du soleil,
un écho lointain
apporte
la voix de la mer.
Et c'est le soir
____________________
1
Corto; basso di statura.
La Patata.
1
Il Tignoso.
Franco Pastore
1
IL BASILISCO
PERIODICO DI CULTURA
PRESID. ROCCO RISOLIA
E-mail:[email protected]
Tel./fax 089.750196-089.7014561
PARTECIPIAMO.IT
portale d’arte e letteratura
www.partecipiamo.it
http://www.dentroroma.it/
[email protected]
ATENEUM
UN OSSERVATORIO SUL MONDO
DELL’UNIVERSITA’
---------
http://www.andropos.eu/PAGINA
UNISA.html
FAEDRUS –AISOPOS
Le favole di Esopo e Fedro
in napoletano
di Franco Pastore
-9-
Andropos in the world
STRANEZZE E PINZILLACCHERE
 Questo non basta, avverte Bersani: « Chi ha di più
deve dare di più». Ed ancora: « E’ il momento di uno
sforzo collettivo ma noi chiediamo equità: il governo non
resti sordo e disattento alle nostre idee…». E ancora: «
Bisogna fare in modo che le misure siano il meno
possibile recessive e abbiano occhio alle esigenze di
consumi, redditi, situazioni più difficili dei ceti popolari».
Andropos risponde: « Parole sante, se si iniziasse proprio
da loro, i politici! Come? E’ semplice, abolendo i loro
privilegi: le auto blu, i pranzi a spese del popolo italiano,
la gratuità delle cure mediche (visto che anche i più poveri
pagano il ticket), la gratuità delle visite specialistiche, dei
ricoveri nelle cliniche di lusso, la notevole pensione dopo
appena una legislatura, altrimenti è un paradosso quando
al popolo si vuol far credere che siamo tutti uguali. Poi,
quanti ce ne sono, per una nazione così piccola! Per non
parlare dell’età pensionabile… ma riflettiamo: i nostri
figli, con questa difficoltà nel trovar lavoro, a quarant’anni
sono ancora in famiglia, con i loro genitori, iniziando a
lavorare a quella età, quando dovrebbero andare in
pensione, a novant’anni?
Allora, si insiste fortemente sulla esigenza di riversare sul
popolo il “sacrificio” del debito pubblico, ma forse che
non è stata l’incoscienza e la superficialità dei politici a
creare negli anni questa situazione? Oggi, c’è gente che ha
difficoltà a rimediare il pasto del mezzodì e si sfama alla
mensa dei poveri, mentre la maggior parte degli italiani si
veste comprando “i capi” ai mercatini rionali, o degli
anziani che vanno a pescare tra i rifiuti dei mercati.
L’Agenzia delle entrate grava pesantemente su pensionati e redditi mediobassi; tasse eccessive anche sull’aria
che respiri, oltre alle difficoltà del vivere quotidiano.
Attenti, signori miei! I giovani non sono armati, come i
loro vecchi, di pecorile pazienza! Non so perché, ma mi
sovviene, in questo momento, l’episodio dei vari “Masanielli” del Sud, al tempo dei Borboni…, che cito per la
memoria di tutti: Cristiano in Basilicata, Domenico
Colessa (detto Pappone) in Terradilavoro, Giuseppe
Gervasi a Cosenza, il carrettiere Onofrio della Gatta a
Capitanata, Paolo Rebecca a Bari, Sabato Pastore a
Foggia, Paolo di Napoli a Sanseverino, Giovanni Guarnieri a Campagna ed Eboli, il settantenne Scarano a
Nocera, Pietro di Blasio a Montoro, il Gargano nel Cilento e Ippolito Pàstina a Salerno, Masaniello a Napoli». Allora, ricordiamoci di Aristotele, nell’Etica Nimomachea: In medio stat Virtus!- Meglio ancora le sagge
parole di Cicerone:« Cum sint in nobis concilium ratio
prudentia, necesse est patres conscriptos haec ipsa habere maiora, tradotto: Dal momento che noi possediamo
l’intelligenza, la ragione, la saggezza, “i politici” devono
necessariamente possedere queste facoltà in misura
maggiore». Gli indignati, ora, sono gli italiani onesti.
 Con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, l’Italia ha
aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27
gennaio come giornata della commemorazione delle
vittime del nazifascismo, in particolare degli appartenenti
- 10 -
alla razza ebraica, oggetto di un Olocausto che lasciò il
segno nella politica e nelle coscienze e che a tutt’oggi
condiziona lo stato ebraico che si regge solo perché armato fino ai denti. Un autentico equilibrio del terrore con gli
stati confinanti che aspettano l’occasione propizia per
eliminare una volta per sempre quelli che, ai loro occhi,
non sono altro che gli odiati discendenti della stirpe di
Israele.
La celebrazione della cosiddetta “Giornata della Memoria” in ricordo della shoah è stata concordemente fissata al 27 gennaio, a memoria del giorno in cui le armate
alleate (specificatamente quelle sovietiche), oltrepassarono
i cancelli del lager di Auschwitz testimoniando al mondo il
vero volto del nazismo.
Andropos risponde: Ciò ci sta bene, ma stranamente,
nessuno si era accorto, che c’erano altre vittime che
aspettavano un analogo gesto di umana pietà, dopo essere
stati buttate vive nelle foibe carsiche dai partigiani comunisti del maresciallo Tito, versione speculare dei nazisti di
Hitler .
Alla fine, hanno sopperito alla dimenticanza con legge n°
92 del 30 marzo 2004, dedicando la “giornata del ricordo”,
da celebrarsi ogni anno il 10 febbraio, per le
vittime
delle foibe. La legge motiva così l’evento: «…Al fine di
conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli
italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro
terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale…».
A mio avviso, questa differenziazione tra le vittime, questo considerare la morte nella diversità è assurdo e discriminante. Perché non fare una giornata unica per tutte le
vittime, senza più distinguere quelle della scelleratezza
nazista, da quelle di matrice comunista ? Anche perché, la
celebrazione del 27 gennaio si compie con un dispiegamento mediatico di grosso spessore, mentre l’omologa
circostanza del 10 febbraio si svolge in sordina, come se
fossero vittime di serie “B”. Ciò la dice lunga… forse che
sussiste ancora un conflitto d’ideologie? Se fosse, sarebbe
assurdo, folle e bestiale!
 Anche Londra potrebbe avere la sua “torre pendente”: la torre dell’orologio del Palazzo di Westminster (nota
ai più con il nome della campana al suo interno, “Big
Ben”). L’inclinazione della torre deriverebbe da un indebolimento delle fondamenta, forse dovuto anche ai molti lavori fatti nel corso degli anni .
DENTROSALERNO
Quotidiano on line
Direttore
Rita Occidente Lupo
_________________________
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via S. Caterina Alessandrina, 9
84100 - Salerno
Andropos in the world
DALLA REDAZIONE DI TORRE DEL LAGO PUCCINI
a cura di C. Pastore
UN’AUTO ELETTRICA IN DOTAZIONE AL COMUNE PER UN MESE
Per un mese il Comune di Capannori, potrà utilizzare
un’auto 100% elettrica, la Citroen C Zero, che è stata
gentilmente messa a disposizione dell’Ente dalla Citroen
Italia spa. Sarà impiegata per gli spostamenti sul territorio
del sindaco e della giunta.
La city car di nuova generazione è a zero emissioni di
Co2, zero emissioni inquinanti e zero rumorosità. Un nuovo
approccio alla mobilità quotidiana che ben si inserisce nelle
politiche ambientali portate avanti da anni dall’amministrazione comunale che adesso vogliono incentrasi anche sulla
promozione di veicoli ecologici e in particolare elettrici per
combattere il fenomeno dell’inquinamento atmosferico
purtroppo particolarmente presente in questi giorni anche a
causa delle condizioni meteorologiche.
“Capannori è un modello nazionale di buone pratiche
ambientali – afferma il sindaco, Giorgio Del Ghingaro -. In
linea con l’obiettivo ‘Emissioni zero entro il 2050’ stiamo
portando avanti iniziative concrete, come i pannelli fotovoltaici sugli edifici pubblici, già attivi nel palazzo municipale e nelle scuole medie e le pensiline fotovoltaiche sui
parcheggi, di prossima realizzazione.
Ringraziamo Citroen Italia per questa collaborazione,
che auspichiamo possa essere proficua”.
“ Non è un caso che Citroen Italia abbia scelto Capannori per mettere a disposizione questa vettura ecologica “
aggiungel’assessore all’ambiente, Alessio Ciacci. “Grazie
al bando sui parcheggi fotovoltaici doteremo 10 parcheggi comunali di pensiline di ricarica per auto, moto,
scooter e bici elettriche in modo che sarà ancora più
facile effettuare la ricarica per chi sceglie questo tipo di
mobilità”. “Capannori vuole andare in questa direzione e
scegliere la sostenibilità in tutte le scelte, dall’energia ai
rifiuti, dall’acqua alla mobilità”.
La propulsione dell’auto avviene mediante un motore
elettrico che sviluppa 49 Kw di potenza alimentato da una
batteria agli ioni di litio di 16 Kwh di capacità. La
batteria non fornisce solo l’energia necessaria ad alimentare il motore, ma anche la climatizzazione e il sistema di riscaldamento. Si ricarica in 6-7 ore collegando il
cavo in dotazione ad una semplice presa elettrica
domestica da 220 volt. L’auto ha una velocità massima di
130 chilometri orari e un’autonomia di 150 chilometri.
(da http://www.comune.capannori.lu.it )
ARRIVANO GLI ‘ORTI COMUNALI’. INDIVIDUATE TRE AREE A MARLIA,
CAPANNORI E GUAMO. A GENNAIO IL BANDO PER PARTECIPARE
Gli Orti Comunali sono appezzamenti di terreno di proprietà del Comune che verranno messi a disposizione dei
cittadini residenti attraverso un bando pubblico che sarà
pubblicato a gennaio, per favorire un utilizzo di carattere
ricreativo, ma anche la manutenzione del territorio e la
valorizzazione dei prodotti tipici locali. Nell’orto comunale,
che è grande circa 30 metri quadrati e viene dato in concessione per 5 anni, si possono coltivare ortaggi e piccoli frutti
(mirtilli, lamponi, fragole) ad uso familiare e senza fini di
lucro. E’ previsto un simbolico canone di concessione e
saranno a carico degli assegnatari eventuali consumi di
acqua e luce.
“L’amministrazione comunale rispondendo
alle molte richieste provenienti dai cittadini - spiega
l’assessore all’ambiente Alessio Ciacci - ha individuato tre
appezzamenti di terreno di sua proprietà a Marlia per la
zona nord, a Capannori per la zona centro e a Guamo per
la zona sud, per metterli a disposizione dei cittadini che
sono interessati a coltivarli”.”Il loro utilizzo è dettagliatamente disciplinato dal regolamento appena approvato dalla
commissione consiliare di competenza e che presto andrà in
consiglio comunale”. “Sarà possibile solo la coltivazione
biologica e saranno privilegiate le famiglie numerose e con
Isee più bassi. Se le domande dei cittadini saranno numerose valuteremo sicuramente anche l’estensione del progetto ad altri terreni”. Ma quali sono i requisiti per avere in
concessione un orto comunale?
E’ necessario risiedere a Capannori ed essere maggiorenni, non avere ottenuto per sé o propri familiari un altro orto
sociale e non essere proprietari o comproprietari, usufruttuari o affittuari di terreni coltivabili sul territorio provinciale. Per l’assegnazione dell’appezzamento di terreno
saranno privilegiato le famiglie numerose e di condizione
lavorative critiche. A parità di requisiti sarà privilegiato
che avrà l’ISEE inferiore. Sarà compiti del Comune
l’individuazione, l’orientamento e suddivisione delle aree
in lotti minimi, la richiesta dell’autorizzazione al prelievo
per l’approvvigionamento idrico e la formazione delle
graduatorie dei richiedenti per l’assegnazione delle aree.
Tra gli obblighi di coloro che avranno gli orti in concessione: curare l’ordine, la buona sistemazione e la pulizia del proprio orto; contribuire alla manutenzione degli
spazi comuni, aderire all’apertura dell’orto al pubblico per
eventuali iniziative di promozione e informazione realizzate dall’amministrazione comunale per le scuole e i cittadini sull’agricoltura biologica e le tradizioni del territorio.
Negli orti comunali è vietata la piantumazione di alberi
di qualunque genere e l’allevamento di animali. I residui
vegetali dovranno essere trasformati in compost attraverso
le apposite compostiere.
Per ogni frazione sarà istituito un Comitato di gestione
degli orti costituito da cinque assegnatari eletti dall’assemblea degli assegnatari, che avrà il compito di verificare il
rispetto del regolamento, svolgere funzioni di collegamento con l’Ufficio Patrimonio, promuovere iniziative di
socializzazione tra gli assegnatari e fra questi e i cittadini.
(da gonews.it)
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Andropos in the world
PROVERBI, DETTI E MODI DI DIRE
OVVERO, ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA
 Vase ‘e vòcca core ‘nu tocca
 Ammòre, ‘o dispiétte, arraggia e a ggelusìa ncòppa
a femmena tenene signurìa.
 Quanne arriva a gloria, scumpàre a memoria.
 ‘Ntiémpe d’elezione, dicene ‘e manifeste: sarrémo
tutt’oneste e tutti bbuòni.
Esplicatio: I baci senza amore non arrivano al cuore.
La rabbia e la gelosia, insieme al dispetto, dominano
l’animo della donna. Quando si arriva al posto di
comando si dimenticano origini e propositi. Durante le
elezioni, ogni politico fa voto di onestà ed equità.
Implicanze semantiche:
VASE: sost. femm., bacio. Etimologia: deverbale dal
latino basiāre, con sj>si (vedi camisia-m in camicia)
VOCCA: sost. femm., bocca.Etimologia: dal latino acc.
bucca-m, con metamorfosi di labiale
b>v (cfr. basiare>vasare e bibere>
vevere).
DISPIETTE: sost. masch., dispetto.
Etimologia: dall’acc. lat. despēctu-m,
deverbale da despῑcere. disprezzare.
Sirica Dora
SCUMPARE:verbo intr. dall’italiano scomparire.
Etimologia: dal verbo latino cum- parēre preceduta da
“ s “ intensiva, che inverte il significato dell’apparire
insieme.
‘NTIÈMPE: dall’italiano in tempo, con valore avverbiale. dal latino in tempus.
Si ricorda che in greco conserva la stessa radice:
tem-no (έ=dividere) che porta all’idea di sezione,
stagione, periodo, epoca.
LA GEOPARAMIOLOGIA
La paremiologia, dal greco ὶ( proverbio, detto), è la
scienza che studia i proverbi, i modi di dire ed ogni frase che ha il
fine di trasmettere la conoscenza basata sull'esperienza.
La paremiologia comparativa studia nei proverbi differenti linguaggi e culture. Essa si occupa dei proverbi, delle informazioni
accumulate in moltissimi anni di storia. Queste informazioni possono in genere essere di: sociologia, gastronomia, meteorologia,
storia, letteratura, zoologia, linguistica, religione, agronomia.
Un proverbio nasce frequentemente dall'abbreviazione di una
storia bizzarra o di una composizione tradizionale: in esso viene
espressa la credenza popolare, ricca di allegorie, oltre a possedere talvolta un formato letterario.
La geoparemiologìa paremiologia territoriale è una disciplina nata trent'anni or sono dalle prime ricerche sul
campo svolte da laureandi dell'università di Urbino, applicando alla paremiologìa i criterî della geolinguistica. Lo
studio dei fatti paremiologici tradizionali secondo una
prospettiva geografica ha introdotto e valorizzato anche nel
campo paremiologico il concetto di variante e quello correlato dello studio variantistico ‘orizzontale’. Si ha qui una
nuova visione della paremiologìa. Il proverbio è primariamente definito sotto l'aspetto funzionale, che (di contro al concetto tradizionale dell'ammaestrare dilettando) è
quello comunicativo: come appare dal suo meccanismo di
richiamo alla memoria, che è comune a ogni elemento del
linguaggio articolato. La Geoparemiologìa distingue il
proverbio ‘vero’, o detto paremìaco (Dp), espressione della
saggezza popolare, da quello‘spurio’, o detto didattico Dd),
espressione della scienza popolare, che è tautologico, ossìa
non intende altro che quel che dice: per la Candelora, dall'inverno siamo fora; santa Lucìa è la notte più lunga che
ci sia. La Geoparemiologìa s'interessa ad entrambi, perché
anche il secondo presenta forme di alto interesse
linguistico; ma il suo oggetto primario è il detto paremiaco,
che definisce allologico, brachilogico e analogico, perché
vale a comunicare, sinteticamente e allusivamente, qualcosa di diverso dalla sua lettera. Qualcosa che va ricavato
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per via non logica ma intuitiva, in analogìa alla figura
proposta (il diavolo fa le pentole - ma non i coperchi).
I valori applicativi alle singole situazioni possono
essere molti (e tanto maggiori, quanto più generica risulta
l'enunciazione, ad es. uno - non è nessuno). Non si può
pertanto parlare di un unico ‘significato’ di un DP, ma di
un insieme, a volte anche eterogeneo e mai delimitabile a
priori, perché la fantasìa umana saprà sempre trovarne una
nuova, imprevedibile applicazione. Si può soltanto parlare
di una gamma di possibili valori traslati, che la Scuola
geoparemiologica denomina ‘valore paremiaco’.
Secondo la dottrina geoparemiologica, il DP è, insieme con altre formule (quali i modi di dire), importantissimo strumento della struttura di ogni idioma, quale
segno retorico, componente del codice retorico comunitario. È questo un sottosistema che va postulato all'interno di ogni codice linguistico, a comprendervi la materia
linguistica "motivata" di una tradizione culturale. Si tratta
degli strumenti tradizionali della retorica, o arte del dire e
del convincere; e anche della poesìa, con cui difatti il
proverbio condivide caratteri formali quali la rima e,
soprattutto, il ritmo. Come quello linguistico, anche il
segno retorico è unitario e indivisibile: il suo significante è
costituito dall'intera formula, e può scaturire soltanto dalla
sua completa enunciazione.
A cura di Andropos
CAIATINI CONTEMPORANEI
Mercoledí 21 dicembre alle ore 17, a Caiazzo (Caserta), nel Centro di Promozione Culturale “Franco de
Simone”, vico N. de Simone, è stato presentato il libro di
Aldo Cervo “Caiatini contemporanei - Franco de Simone Renata Montanari - ... due personalità, lo stesso stile...”,
appena uscito per le Edizioni Eva di Venafro. Ne hanno
parlato lo scrittore A. Iannacone e lo stesso autore, i quali
si confronteranno anche con i protagonisti Franco de Simone e R. Montanari.
Andropos in the world
MOMENTO TENERO
COME IL SOLE
AL TRAMONTO
di
Franco Pastore
______
Perché
questa maschera
di rughe spietate,
sul viso,
mi stravolge
il sorriso?
Una voce profonda,
senza note di gioia,
come il sole al tramonto,
tra tristezza e la noia,
non ha voglia di dire,
di parlare d’amore?
Quante fitte nel cuore,
tra sconforto e vergogna,
d’esser solo passato,
che non vive né sogna,
solo tempo ch’è andato.
Una bimba, guardando
quella maschera grigia
tra il collo e l’orecchio,
grida forte :- C’è un vecchio
che piange come fosse un bambino,
sembra, mamma, un piccino
che ha bisogno d’amore!-Ma non c’è la sua mamma,
è un vecchio che muore!-
APPROFONDIMENTO LINGUISTICO
LE FIGURE RETORICHE DI SIGNIFICATO
A cura di Andropos
Dette pure tropi, dal greco òϛ, derivato da έ, «volgo, trasferisco», Sono quelle che concorrono all’arricchi-mento
del significato, evocando particolari immagini,
il
cambiamento, ampliamento, evidenziazione, del discorso.
LA LITOTE: figura logica consistente nella formulazione
attenuata di un giudizio di un’idea attraverso la negazione del
suo contrario. dal greco antico litótēs, "semplicità" e "attenuazione", da òϛ "semplice. Può avere intento di attenuazione o enfasi, ma anche di eufemismo o ironia. Un
esempio di litote è dire "il ghepardo non è lento" per indicare
che il ghepardo è veloce. Esempi:
« Il nostro Don Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso
ancor meno ... » (A. Manzoni, I Promessi Sposi)
« ... onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito
verso di colui che l'acque cantò fatali ... » (U.Foscolo – A Zacinto)
LA ENUMERAZIONE: accumulare una sequenza di parole e
di proposizione collegandole per polisindeto, mediante una
serie di congiunzioni coordinative o per asindeto, senza l’ausilio di alcune particelle coordinate. Può essere ancora: anticipatoria o ricapitolativa, a seconda se viene collocata prima o
dopo il concetto a cui si riferisce.
Sono forme di enumerazione l'accumulazione, che consiste
nell'accostare una serie di elementi in modo ordinato o caotico,
ma senza congiunzioni, e la distribuzione, che invece separa i
termini con complementi, apposizioni o attributi.
Sono casi particolari di enumerazione anche la reiterazione e
l'anafora. Oggi, l'enumerazione è molto usata in pubblicità,
quando vengono elencate le caratteristiche di un prodotto.
Esempio:
« La bufera che sgronda sulle foglie...
il lampo che candisce alberi e muri...
e poi lo schianto rude, i sistri,
il fremeredei tamburelli
sulla fossa buia » ( E.Montale, La bufera)
‘A CRAVATTA
Agostino Rizzo (1942-2008), del
‘A cravatta è chélla cosa
ca si troppo troppo attìse
tu te truòve muòrte mpìse
e accussì tu muòre accìse,
ma elegante e cu’ ‘o surrìse.
quale riportiamo “ ’A cravatta”, fu
attore della compagnia di E. De
Filippo. Di grande ingegno, conseguì la laurea in materie letterarie;
a quella in medicina aveva rinunciato da ragazzo, per seguire la via
del teatro.
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Andropos in the world
LA PAGINA MEDICA
MIRTILLI E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Uno studio presentato alla conferenza Experimental
Biology tenutasi a New Orleans ha messo in evidenza che l’
assunzione di mirtilli nella dieta potrebbe aiutare a prevenire il
rischio di malattie cardiovascolari, diabete e colesterolo alto. I
benefici secondo gli studiosi deriverebbero dal loro alto
contenuto in antocianine. "Nello studio a lungo termine
Women's Health Study, e' risultato che le donne che seguivano
un'alimentazione ricca di antocianine avevano un rischio
notevolmente ridotto di malattia cardiaca", ha affermato il
ricercatore della University of Michigan, E. Mitchell Seymour. Inoltre, un team di ricercatori trentini hanno trovato
che il gustoso frutto ha nuove proprietà antiossidanti, anticancerogene e di protezione dalle malattie coronariche. Un
punto in più dunque, per questi frutti saporiti, già noti per gli
effetti benefici alle pareti dei vasi capillari e venosi. La
scoperta ha ben presto sorvolato i confini italiani, finendo per
essere pubblicata sulla rivista scientifica americana “Journal
of food composition and analysis”. L'articolo è firmato da
Urska Vrhovsek, Domenico Masuero, Luisa Palmieri e Fulvio
Mattivi.
In particolare, secondo gli esperti le proprietà benefiche
sui vasi erano da addebitare alle già citate antocianine, mentre
le nuove caratteristiche sono dovute al contenuto di flavonoidi
glicosidi, in particolare la quercetina. Informazioni, queste,
che sono potute emergere grazie ad uno studio durato quattro
anni, finanziato Provincia autonoma di Trento e condotto
nei laboratori dello Iasma, Istituto agrario di San Michele
all'Adige. È stato così appurato che il mirtillo coltivato è del
tutto simile a quello di bosco e può contenere in media circa
200 milligrammi per chilogrammo di una complessa miscela
contenente fino a 23 diversi flavonoidi. Una singola porzione
di mirtilli, pari a circa 150 grammi, fornisce quindi in media
30 milligrammi di flavonoidi, ossia due o tre volte superiore a
quelli che vengono giornalmente assunti nella dieta
occidentale.
I mirtilli sono piccoli arbusti. Il gigante tra i mirtilli, il
Vaccinium arboreum del Nordamerica, è un piccolo albero,
che può arrivare a 9 m. Altri mirtilli sono arbusti che superano
il metro, mentre molti (tutti quelli presenti in Italia) sono di
piccole dimensioni o addirittura striscianti.
Il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus) fiorisce in maggio e
fruttifica in luglio-agosto, ha foglie ovali e frutti bluastri, che
si consumano freschi o trasformati in marmellata. Il mirtillo
rosso (Vaccinium vitis-idaea) ha foglie coriacee sempreverdi,
con fiori bianchi o rosa, riuniti in grappoli terminali; produce
bacche rosse commestibili ma amarognole, anch'esse adatte ad
essere trasformate in marmellata. I fiori hanno una forma
tipica a orcio rovesciato, con petali saldati tra loro. Questa
forma è comune a tutte le Ericacee. I frutti hanno l'aspetto di
bacche, ma in realtà sono false bacche, come le banane e i
cocomeri, perché si originano - oltre che dall'ovario - da
sepali, petali e stami. La maggior parte delle specie vive
nell' emisfero settentrionale e soprattutto in climi temperati e
freddi, ma non mancano mirtilli propri di aree tropicali come
le Hawaii, il Madagascar, Giava. In Italia il genere Vaccinium
è rappresentato solo nel Nord e sui monti del Centro. Il
mirtillo rosso è di valido aiuto nella prevenzione delle
infezioni delle vie urinarie. Sembra che agisca principalmente
impedendo che i batteri patogeni (come l'Escherchia coli)
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aderiscano alla mucosa delle vie urinarie, evitando in questo
modo lo sviluppo dell’infezione.
Il mirtillo nero, invece, ricco di antocianine, delle quali
almeno sette sono state identificate, studi clinici rigorosi
dimostrano che gli antocianosidi riducono i danni ai capillari
della retina in modo statisticamente significativo rispetto al
placebo, in pazienti che soffrono di retinopatia ipertensiva e/o
diabetica.
Ricerche effettuate su soggetti adulti diabetici hanno
dimostrato che la somministrazione per bocca di 300 mg al
giorno di estratto secco titolato di mirtillo provoca una
efficace riduzione della sintesi del connettivo e del tessuto
fibroso in genere. Siccome una delle cause principali della
retinopatia diabetica è l'aumentata produzione di connettivo,
gli antocianosidi possono essere utili per preve-nire la
retinopatia diabetica.
A ciò si aggiunge un’azione protettiva sui vasi venosi,
dovuta agli antocianosidi presenti nel mirtillo, che vanno ad
inibire l'attività di alcuni enzimi proteolitici, capaci di
distruggere il collageno e il tessuto elastico, quali le elastasi e
le collagenasi, rendendo in tal modo il connettivo più stabile
ed elastico. Inoltre, gli antocianosidi agiscono positivamente
sulla parete dei vasi sanguigni venosi, diminuendo il livello
delle glicoproteine in essi accumulate, e favorendo così la
normalizzazione della resistenza e dell'elasticità della parete
dei vasi.
Ancora si è riscontrata un’azione antiradicalica, gli antocianosidi del mirtillo, infatti, inibiscono validamente i radicali liberi, essendo in grado di intrappolare quasi tutte le specie radicaliche conosciute. Infine, hanno un’azione antidiarroica e anticistitica: recentemente si è scoperto che gli antocianosidi del mirtillo inibiscono l'adesione dei colibacilli alla
parete dello intestino e della vescica, fornendo così una spiegazione al loro uso come antidiarroici e disinfettanti urinari.
_______________________________________
1. Jepson R. et al. Cranberries for preventing urinary tract infections. Cochrane Database
Syst Rev. 2004;1:CD001321.
2. Colantuoni A. et al. Effects of vaccinium myrtillus anthocyanosides on arterial
vasomotion. Arzneim. Forsch. Drug. Res. 41, 905-909, 1991.
Regimen Sanitatis Salernitanum
1) Questo scrisse al re anglicano
l’Ateneo salernitano:
Se dai mali vuoi guardarti,
se vuoi sano ognor serbarti,
le rie cure da te scaccia,
di frenar l’ira procaccia,
sii nel ber e nel mangiar parco.
Quando al cibo hai chiuso il varco,
lascia il desco e il corpo avviva.
Del meriggio il sonno schiva,
mai non stringere a fatica
l’intestino né la vescica.
Tutto ciò se ben mantieni,
dì vivrai lunghi e sereni.
Se non hai medici appresso,
farai medico te stesso:
mente ognor lieta, dolce requie
e sobria dieta.
Andropos in the world
NOTE ANTROPOLOGICHE
LA RIEDUCAZIONE E’ FORSE DEFINITIVA DEVASTAZIONE?
di Vincenzo Andraous
Se qualcuno volesse soppesare il mal di pancia di un
paese, il malessere-disagio sociale che recide il valore
delle relazioni, è sufficiente smanettare nella rete, saltellando da un blog all’altro. C’è un po’ di tutto, il furore e
la rabbia di un popolo di delusi, e c’è pure poca conoscenza, un metodo artigianale dell’imparare, poco propenso a educarci a conoscere quanto ci circonda.
Di fronte a questo pasticcio delle intenzioni, che
affondano le radici nelle nostre emozioni, c’è forte la
richiesta di abbandonare i parolai interessati e intenzionali, di mettere in campo una giustizia equa, una solidarietà costruttiva, che non dimentica le priorità di tutela a
garanzia delle vittime di soprusi e omertà, ma che da
questo punto di partenza rilancia nuove opportunità di
conciliazione da parte del detenuto.
La società non è qualcosa di astratto, che si riduce al
parlato, al raccontato, è piuttosto una comunità fatta di
persone, d’istituzioni, di regole autorevoli da rispettare.
E il carcere è società, non certamente una manciata di
feudi out rispetto alle normative statuali, ma soggetti
fondanti lo stato di diritto, eppure il carcere è diventato
quotidianamente un caso che desta interrogativi, inquietudini, sordamente rispedite al mittente.
Dentro le celle ci sono persone che scontano la
propria pena, persone che lavorano, altre che svolgono il
proprio servizio volontaristico, si tratta in ogni caso di
cittadini, siano essi detenuti, o che prestano la loro professionalità, che consegnano il loro tempo alla speranza
di tirare fuori insieme il meglio da ogni uomo privato
della libertà. Ma ciò può essere raggiunto unicamente
operando con lo strumento dell’educare, non con la solita
reiterata tergiversazione per impedire la comprensione, la
possibilità di una parete di vetro, dove osservare quel che
accade, o purtroppo non accade per niente, perché il
diritto è sottomesso e violentato dal sovraffollamento,
dagli eventi critici, dai problemi endemici all’Amministrazione.
Il rispetto per il valore di ogni persona ha urgenza di
essere inteso non come qualcosa di come imposto, ma
una condizione esistenziale da raggiungere attraverso
l’esempio di persone autorevoli, anche là, dove lo spazio
ristretto di un cubicolo blindato, non dovrebbe mai
annientare la dignità del recluso.
Se è vero che le vittime sono quelle che soffrono dimenticate nella propria solitudine, se i parenti delle vittime se la passano peggio dei colpevoli, occorre davvero
fermarci a riflettere, pensare quale società desideriamo,
di conseguenza quale carcere condividere, e non rimanere indifferenti a un penitenziario ridotto all’ingiustizia di
un’afflizione fine a se stessa. In questa sopravvivenza
carceraria, c’è un’incultura che alla pena di morte vorrebbe consegnare la patente salvavita, basti pensare ai
quaranta suicidi in questa metà di nuovo anno. Forse
come nel Fidelio di Beethoven, non è sufficiente “cacciare via velocemente il cattivo suddito “, alle teorie
assolute che pretendono di punire perché è stato commesso un reato, e le altre, che puniscono per impedire
che nel futuro se ne commettano altri, c’è urgenza di
chiederci quale persona entra in un carcere, e quale
“cosa” ne esce, quale trattamento ha ricevuto quella persona, se oltre alla doppia punizione impartita, ha avuto
possibilità di imparare qualcosa di positivo, o se invece
di rieducazione, si tratta di una definitiva devastazione.
Vincenzo Andraous
DALL’AMERICA CENTRALE:
VIAREGGIO FRA MARE, ARTE E CARNEVALE
La penisola italiana bagnata dal Mar Mediterraneo su tre
lati ha la fortuna di contare su 8.000 km. di coste talvolta
frastagliate con rocce impervie che strapiombano nelle acque
azzurre di un mare generoso che fin dall’antichità ha avuto
un’enorme importanza nelle vicende storiche ed economiche
del Paese. I litorali più ospitali e leggendari accolsero da
subito insediamenti abitativi che diedero luogo a fiorenti
commerci marittimi e a scambi culturali tra i popoli del bacino del Mediterraneo. Le coste liguri diedero vita a una delle
zone rivierasche più belle, con un paesaggio mozzafiato,
ammirato da artisti e turisti: la Riviera Ligure e in particolare
quella frazione di territorio racchiusa tra mare e montagne,
patrimonio dell’umanità, chiamata Le Cinque Terre recentemente, purtroppo, devastata da una inclemente alluvione.
Scendendo dalla Liguria verso la Toscana, il litorale si
addolcisce formando lunghi tratti di spiaggia, ideali per la
balneazione. Con l’andar del tempo, sono sorti lungo queste
coste privilegiate insediamenti abitativi trasformatisi, poi, in
città e porti assai importanti : Pisa, Livorno e anche piccoli
centri abitativi dediti dapprima alla pesca e in seguito al
turismo: il Lido di Camaiore, Forte dei Marmi e Viareggio tra
i più rinomati. Quest’ultima cittadina, nei primi due decenni
del secolo scorso, divenne il luogo di villeggiatura preferito
dagli artisti: i pittori del gruppo dei Macchiaioli toscani,
scrittori e poeti affermati, musicisti, insomma, quasi tutta
l’intellettualità dell’epoca si riversò sulle sue spiagge.
Al punto che Leonida Repaci la scelse come sede di uno
dei più ambiti premi letterari. L’ambiente che si venne a
creare non sfuggì all’occhio attento della mondanità che
cominciò anch’essa a frequentare Viareggio. Più tardi, per
animare anche i mesi invernali, si pensò al Carnevale con
carri allegorici che sfilano per la principale via della città, la
Passeggiata, lunga alcuni chilometri. Bastarono pochi anni
perché Viareggio acquistasse un’altra fisionomia non
non più elitaria, bensì popolare.
Da “L’amico d’Italia Anno - X V nº 134-135
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Andropos in the world
STORIA DELLA MUSICA
IL MELODRAMMA: GIUSEPPE VERDI
A cura di Ermanno Pastore
Il melodramma italiano definì la sua struttura di opera
seria grazie al compositore Alessandro Scarlatti e si
affermò con Pietro Metastasio, autore di 27 testi, messi in
musica negli anni a seguire più di ottocento volte.
Metastasio stabilì la struttura drammaturgica e la metrica
delle arie, auspicando una assoluta serietà nelle sceneggiature. In contrapposizione, a Napoli nacque l’Opera
Buffa. Lo spunto venne dagli intermezzi musicali che gli
autori inserivano tra un atto e l’altro per intrattenere il
pubblico. Queste brevi scenette, che narravano in chiave
comica episodi tratti dalla quotidianità, avevano un grande
successo tra gli spettatori e nell’arco di poco tempo
diventarono un genere teatrale a sé stante.
Rispetto all’opera seria, l’opera buffa era molto più
libera da schemi precostituiti: i compositori s’ispiravano a
vicende legate alla vita di tutti i giorni che il pubblico
capiva con maggior facilità, riuscendo ad identificarsi nei
personaggi. L’opera buffa raggiunse l’apice della sua
espressione con Il Barbiere di Siviglia di Rossini. Proprio
Rossini, insieme a Bellini, Donizetti e Verdi rappresentò il
periodo di maggior popolarità del melodramma che nel
frattempo assunse il nome di Opera. Sul finire dell'Ottocento sorse la Scuola verista, un movimento che, pur non
rinunciando alla concezione tradizionale del melodramma,
lo rese più vero ed aderente alla vita quotidiana. Tra i
musicisti ricordiamo Mascagni, Leoncavallo, Cilea, Giordano, oltre, naturalmente, a Giacomo Puccini.
Giuseppe nacque nelle campagne della bassa parmense, a Roncole, frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813
da Carlo Verdi, oste e rivenditore di generi alimentari, e
Luigia Uttini, filatrice. Carlo, come sua moglie, proveniva
da una famiglia di agricoltori piacentini e, dopo aver messo
da parte un po' di denaro, aveva aperto una modesta osteria
nella casa di Roncole, la cui conduzione alternava al lavoro
dei campi. L'atto di nascita fu redatto in francese,
appartenendo in quegli anni Busseto e il suo territorio
all'Impero francese creato da Napoleone.
Anche se di umile condizione sociale, riuscì tuttavia a
seguire la propria vocazione di compositore grazie alla
buona volontà e al desiderio di apprendere dimostrato.
L'organista della chiesa di Roncole, Pietro Baistrocchi, lo
prese a benvolere e lo indirizzò verso lo studio della musica
e alla pratica dell'organo. Più tardi, Antonio Barezzi, un
negoziante amante della musica e direttore della locale
società filarmonica, divenne suo mecenate e protettore
aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi. La prima
formazione avvenne presso la ricca biblioteca della Scuola
dei Gesuiti a Busseto, ancora esistente, e prendendo lezioni
da Ferdinando Provesi, maestro dei locali filarmonici, che
gli insegnò i principi della composizione musicale e della
pratica strumentale. Verdi aveva solo quindici anni quando,
nel 1828, una sua sinfonia d'apertura venne eseguita, in
- 16 -
luogo di quella di Rossini, nel corso di una rappresentazione de Il barbiere di Siviglia al teatro di Busseto.
Nel 1832 si stabilì a Milano, grazie all'aiuto di Antonio
Barezzi dove tentò inutilmente di essere ammesso al prestigioso Conservatorio e per diversi anni fu allievo di
Vincenzo Lavigna, maestro concertatore alla Scala.
Nel 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia
del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a
vivere a Milano in una modesta abitazione a Porta Ticinese.
Nel 1839 riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a
far rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto,
Conte di San Bonifacio, un lavoro di stampo donizettiano,
su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e
riadattato da Temistocle Solera. L’opera piacque al pubblico tanto che ebbe quattordici repliche.
Visto l'esito dell'Oberto, l'impresario della Scala Bartolomeo Merelli gli commissionò la commedia Un giorno di
regno, andata in scena con esito disastroso. L'insuccesso
dell'opera fu dovuto, con ogni probabilità, alle condizioni in
cui fu composta. Un tremendo dolore attanagliava Verdi a
causa della tragedia familiare che aveva vissuto: la morte
della moglie e dei figli avuti da lei. La prima ad andarsene
era stata la piccola Virginia Maria, nata nel marzo 1837 e
morta nell'agosto 1838; Icilio Romano, nato nel luglio
1838, era morto invece nell'ottobre 1839. Infine la loro
madre Margherita era spirata nel giugno 1840. Verdi era
solo, privo ormai della sua famiglia.
Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la
lirica, consegnandogli personalmente un libretto di soggetto
biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle Solera. Verdi,
però, ancora scosso dalla tragedia familiare ripose il libretto
senza neanche leggerlo, se non ché, una sera per spostarlo
gli cadde per terra e si aprì, caso volle proprio sulle pagine
del Va, pensiero, e quando verdi lesse il testo del famoso
brano rimase scosso...dopo di ché andò a dormire ma non
riuscì a prendere sonno, si alzò e rilesse il testo più volte e
alla fine lo musicò, e una volta musicato il Va, pensiero
decise di leggere e musicare tutto il libretto. L'opera andò in
scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala e il successo fu,
questa volta, trionfale, tanto che venne replicata ben 64
volte solo nel suo primo anno di esecuzione.
Con Nabucco iniziò l’ascesa di Verdi. Sotto il profilo
musicale l'opera presenta ancora un impianto belcantistico,
in linea con i gusti del pubblico italiano del tempo, ma
teatralmente è un'opera riuscita, nonostante la debolezza e
alcune ingenuità del libretto. Lo sviluppo dell'azione è
rapido, incisivo, e tale caratteristica avrebbe contraddistinto
anche la successiva, e più matura, produzione del compositore. (continua)
____________
Dal Nabucco, Va pensiero
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=u_kisjUm6hs
Andropos in the world
UNA PRESENZA ATTENTA
La logica del dovere conto l’indifferenza
Rientravo in carcere come accade ogni sera da qualche
decennio, e non perché io sia un funzionario della Casa
Circondariale, ma perché la mia condizione è quella di
cittadino detenuto per metà libero, infatti di giorno svolgo la
mia attività lavorativa, mantengo le relazioni familiari,
affettive e sociali, mentre la sera ritorno nella mia cella a
fare i conti non più solo con i pesi del passato, ma con il
futuro che è già oggi.
Ho saputo che un altro uomo se n’è andato dal carcere,
ma non è fuggito, né ha agito disperatamente, non è morto
dentro un’azione personale muta e sorda, è scomparso per
un accidente, un arresto cardiaco, non era un detenuto, ma
un Agente di Polizia Penitenziaria.
Un episodio come tanti altri, che può accadere tutti i giorni e
a chiunque, se non fosse che quest’uomo io lo conoscevo,
risultando una persona profondamente umana e rispettosa
del proprio ruolo, e della condizione di tanti altri uomini
privati della libertà.
Umanità e giustizia hanno parentela stretta, storie che non
sono di ieri, ma di tempi trapassati, che però hanno
temprato gli individui, le generazioni, le società, imparando
anche dentro una galera a crescere insieme, rispettando se
stessi e gli altri. E questo nonostante il carcere sia ridotto a
un’arena di residualità di poco interesse.
Un Agente che sapeva distinguersi, ascoltare, consegnare
una parola non soltanto di conforto, ma precisa nell’informare chi era in difficoltà, un agente che non ha mai lesinato
accenti autorevoli per rendere corretta e quindi applicabile
la norma.
Un uomo consapevole della propria professionalità,
dell’importanza del proprio mandato, uno di quegli uomini
che consentono di accorciare le distanze, di sostituire alla
parola ideologia la parola risocializzazione, opponendo una
volontà valoriale dedicata a contrastare quella desensibilizzazione, altamente cancerogena, che attraversa il carcere e
buona parte del consorzio sociale.
Anche in una cella può accadere che l’uomo faccia un
passo indietro e possa avverarsi un dialogo costruttivo,
leale, onesto, nella consapevolezza di un nuovo percorso
formativo e esistenziale, uno spazio dove c’è una pena che,
sì, sottoscrive la privazione della libertà, ma allo stesso
tempo obbliga al rispetto della dignità di chi è detenuto, con
la possibilità di svolgere una prevenzione di forma e di
contenuti appropriati a una espiazione funzionale alla
salvaguardia della collettività.
Nonostante i problemi endemici all’Amministrazione
Penitenziaria, da restringere drammaticamente la vivibilità
del recluso, c’è comunque speranza di avviarci verso un modo nuovo di intendere la pena, il rispetto delle persone prigioniere o libere, degli operatori penitenziari e degli uomini
in cammino verso la propria liberazione, reclamando con un
comportamento dignitoso e equilibrato quelle riforme necessarie e non più rinviabili.
Era un Agente di Polizia Penitenziaria, dalle buone
maniere, deputato a fare rispettare le regole e le norme, ma
anche una persona che non ci stava ad abdicare al suo
dovere di educatore e di operatore di giustizia, un riferimento che con la sua presenza pacata e attenta, sapeva
mettere pancia a terra molte delle contraddizioni di cui si
nutre il carcere, ma soprattutto con il suo comportamento
equilibrato, non contribuiva mai a rafforzare una “collettività di distratti e noncuranti”, causa nefasta di quell’indifferenza dell’uomo verso l’uomo.
Andraous
IL TUO GIORNO
di Leonardo Garet
Oggi sei nato per essere uomo
con il tuo pennacchio di sole a mezzogiorno
circondato da lingue pressanti come coltelli
oggi sei nato uruguayano d'altezza uno e ottanta
replicando nelle tue ossa la nascita degli dei
scartando squame branchie piume e doppio stomaco
con gli occhi abituati a che fuori ci sia qualcosa
oggi sei nato con il numero totale dei tuoi giorni
sulle unghie che si tagliano e sui capelli che cadono
sei nato con le donne che ti terranno a fianco
e con chi ordina la tua presenza sui moli
come un bastimento giocattolo
sei nato con preciso apparato medico
con rischio equivalente ad attraversare una strada
sei nato per toccare con le tue mani
i confini i limiti i margini degli altri
i registri di scuole carceri manicomi si sono aperti
le bocche come fossero rane
è per te la tempesta che apre l'orizzonte.
(Trad. di traduzione Piera Mattei)
TU DÍA
Hoy naciste para ser hombre
con tu penacho de sol a las doce
cercado de idiomas apremiantes como cuchillos
hoy naciste uruguayo de altura uno ochenta
repitiendo en tus huesos el nacimiento de los dioses
desechando escamas branquias plumas y doble
estómago con tus ojos acostumbrados a que afuera
hay algo hoy naciste con el número total de tus días
en las uñas que se cortan en el pelo que se cae
naciste con las mujeres que te tendrán a su lado
y con los que ordenan tu presencia en los muelles
como un barco de juguete
naciste en ceremonia por minuto de médico
con riesgo equivalente al de cruzar una calle
naciste para tocar con tus manos
las marcas los límites el borde de los otros
se abrieron los registros de escuelas cárceles
manicomios las bocas como si fueran ranas
y para vos la tormenta que abre el horizonte
__________________
Leonardo Garet è nato a Salto, Uruguay, dove vive, nel 1949.
Si è dedicato con uguale continuità alla poesia, alla narrativa
e alla critica letteraria. Esordisce nel 1972, con Pentalogía.
- 17 -
Andropos in the world
UNA DONNA NELLA LETTERATURA
PEPPA L’AMANTE DI GRAMIGNA
a cura di Andropos
[…]Parecchi anni or sono, laggiù lungo il Simeto, davano la
caccia a un brigante, certo Gramigna, se non erro, un nome
maledetto come l'erba che lo porta, il quale da un capo all'altro
della provincia s'era lasciato dietro il terrore della sua fama.
Carabinieri, soldati, e militi a cavallo, lo inseguivano da due
mesi, senza esser riesciti a mettergli le unghie addosso era
solo, ma valeva per dieci, e la mala pianta minacciava di
moltiplicarsi. […] E lo seguì per valli e monti, affamata,
seminuda, correndo spesso a cercargli un fiasco d'acqua o un
tozzo di pane a rischio della vita. Se tornava colle mani vuote,
in mezzo alle fucilate, il suo amante, divorato dalla fame e
dalla sete, la batteva. Una notte c'era la luna,e si udivano
latrare i cani, lontano, nella pianura. Gramigna balzò in piedi a
un tratto, e le disse: - Tu resta qui, o t'ammazzo com'è vero
Dio! –
Lei addossata alla rupe, in fondo al burrone, lui invece a
correre tra i fichidindia. Però gli altri, più furbi, gli venivano
incontro giusto da quella parte.
- Ferma! ferma! –
E le schioppettate fioccarono. Peppa, che tremava solo per
lui, se lo vide tornare ferito, che si strascinava appena, e si
buttava carponi per ricaricare la carabina. - È finita! - disse
lui.- Ora mi prendono - e aveva la schiuma alla bocca,gli occhi
lucenti come quelli del lupo. Appena cadde sui rami secchi
come un fascio di legna, i compagni d'armi gli furono addosso tutti in una volta.
Il giorno dopo lo strascinarono per le vie del villaggio, su di
un carro, tutto lacero e sanguinoso. La gente gli si accalcava
intorno per vederlo; e la sua amante, anche lei, ammanettata,
come una ladra, lei che ci aveva dell'oro quanto Santa
Margherita! La povera madre di Peppa dovette vendere «tutta
la roba bianca» del corredo, e gli orecchini d'oro, e gli anelli
per le dieci dita , onde pagare gli avvocati di sua figlia , e
tirarsela di nuovo in casa, povera, malata, svergognata, e col
figlio di Gramigna in collo. In paese nessuno la vide più mai.
Stava rincantucciata nella cucina come una bestia feroce, e ne
uscì soltanto allorché la sua vecchia fu morta di stenti, e si
dovette vendere la casa. Allora, di notte, se ne andò via dal
paese, lasciando il figliuolo ai trovatelli, senza voltarsi indietro
neppure,e se ne venne alla città dove le avevano detto ch'era in
carcere Gramigna. Gironzolava intorno a quel gran fabbricato
tetro, guardando le inferriate, cercando dove potesse esser lui,
cogli sbirri alle calcagna, insultata e scacciata ad ogni passo.
Finalmente seppe che il suo amante non era più lì, l'avevano
condotto via,di là del mare, ammanettato e colla sporta al
collo. Che poteva fare? Rimase dov'era, a buscarsi il pane
rendendo qualche servizio ai soldati, ai carcerieri, come
facesse parte ella stessa di quel gran fabbricato tetro e
silenzioso. Verso i carabinieri poi, che le avevano preso
Gramigna nel folto dei fichidindia, sentiva una specie di
tenerezza rispettosa, come l'ammirazione bruta della forza, ed
era sempre per la caserma, spazzando i cameroni e lustrando
gli stivali, tanto che la chiamavano «lo strofinacciolo della
caserma». Soltanto quando partivano per qualche spedizione
rischiosa, e li vedeva caricare le armi, diventava pallida e
pensava a Gramigna. (Da “ L’amante di Gramigna” di G.Verga)
- 18 -
Trasposizione in versi di Franco Pastore
PROLOGO
E scalpitava lì,
sul suol dell’aia,
di compar Finu
la sua mula baia.
su per la montagna.
Di notte lo scaldava
col suo amore,
di giorno lo seguiva
con terrore.
Iddio colorava
l’aria bruna,
coi tenui raggi
della bianca luna
EPILOGO
Rifiutava la Peppa
oro e vigna,
scegliendo, per amor,
il rio Gramigna.
Ed una notte,
di quel caldo giugno,
corse tra i fichidindia
dietro al sogno.
Senza pensar lontano,
né all’onore,
tra nudi sassi
ricercò l’amore,
il fiato le mancava
tra corsa e passi
come una bestia
ne seguì l’odore
Divenne del bandito
la compagna,
lacera e nuda
Ma un dì, lungo il Simeto,
come lupa,
fu presa la selvaggia,
e restò cupa.
Finirono le gesta
del Gramigna
La Peppa, triste,
ritornò alla vigna.
Guardando il cielo
tra la costa e il tiglio,
per amore del padre,
si staccò dal figlio.
Finì così,
lasciandosi campare,
vivendo solamente
col sognare,
senza il suo cuore
perso in una notte
lì nel burrone,
tra le cave grotte.
(F.Pastore, Un grande sogno – Agosto 2007 )
_____________________
Per la videopoesia “L’amante”, cliccare sul link:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=2tC2tplbUmU#t=20s
SEMINARIO BIBLICO
( CON INGRESSO GRATUITO )
Sabato, 10 Dicembre A MILANO (MI)
Sabato, 17 dicembre CATANIA (CT)
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Tel.: +39 035 452 35 73 - Fax: +39 035 066 21 42
La Direzione e le Redazioni di
ANDROPOS IN THE WORLD
augurano un felice e sereno
2012
Andropos in the world
L’EROS NEI SECOLI
LA LUSSURIA
La radice della parola lussuria coincide con quella della
parola lusso - che indica una esagerazione - e quella della
parola lussazione - che significa deformazione o divisione.
Appare quindi chiaro il significato di lussuria, che designa
qualche cosa di esagerato e di parziale, per non parlare del
significato etimologico: dal latino luxuria, sinonimo di
impudicitia e di libῑdo. Il lussurioso cioè è portato a
concentrarsi solo su alcuni aspetti del partner (il corpo o
una parte di questo) che diventano il polo dell'attrazione
erotica; tutto il resto è escluso, l'interezza è negata.
Il corpo viene oggettivato e la persona spersonalizzata:
le vesti, gli accessori, i gesti, la musica, le luci arrivano ad
assumere un'importanza fondamentale poiché devono
supplire alla mancanza di un altro tipo di seduzione che
scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre che
fisica.
La lussuria è quindi una conseguenza di un certo tipo di
paura: la paura del confronto con un altro essere umano nel
quale è possibile rispecchiarsi. Il lussurioso non si vuole
specchiare, non si vuole vedere, non si vuole confrontare …
La lussuria, per quanto ci si reputi disinvolti, ha cattiva
fama. Teneramente compiaciuti, sorridiamo agli innamorati
che camminano tenendosi per mano, ma storciamo il naso
se colgono l’amore tra i cespugli. L'amore, dunque, ha il
plauso del mondo, ma la lussuria è furtiva, genera imbarazzo ed architetta seduzioni ad ogni opportunità.
Sembrerebbe, allora, un paradosso cercare di difenderla
dal fango che la ricopre, liberandola alquanto dalle pesanti
condanne che giammai l’hanno risparmiata. Blackburn, nel
suo libro “LUSSURIA”, cerca di sottrarla all'ambito del
vizio ed elevarla a virtù, avvalendosi delle intuizioni di
alcuni dei grandi conoscitori della natura umana per arrivare, con efficacia, al nocciolo del problema.
Diogene pensava che il sesso si risolvesse al meglio con
la masturbazione, la via più comoda, e sappiamo quanto gli
stoici diffidassero delle emozioni e i cristiani dei piaceri
della carne.
Schopenhauer, nel suo pessimismo, non vedeva nella
lussuria che un'occasione per renderci ridicoli.
David Hume sosteneva che cedere al desiderio fosse il
più scusabile dei peccati, data la potenza della tentazione.
Con arguzia e Blackburn, con grande sagacia ed intelligenza, perora l’eccitante causa della lussuria, celebrandola
“come una raffinata forma di umana vitalità”. Infatti, egli
così esordisce: “… sembra dunque donchisciottesco,
paradossale o perfino indecente cercare di difendere la
lussuria. Ma è proprio quello che cercherò di fare”.
Partendo, così, dalla definizione della parola non solo
nei termini di “desiderio sessuale”, ma come “brama di
vita, brama di oro, brama di potere” e proseguendo con
Saffo, la diffidenza dei filosofi greci nei confronti del sesso,
Platone, Diogene, Plinio il Vecchio, per arrivare, passando
attraverso il “panico cristiano”, Agostino e Tommaso, Shakespeare, Hobbes, E. Kant, Freud, l’evoluzionismo,
Blackburn giunge sino a questo assunto finale: “…
possiamo reclamare la lussuria per l’umanità e possiamo
imparare che essa prospera al meglio quando non è gravata da oneri quali cattiva filosofia e ideologia, falsità,
corruzione, controlli, storture, perversioni e sospetti che
impediscono il suo libero fluire”.
Nel linguaggio comune, la lussuria è associata
all'erotismo, o eros. In questa accezione del termine, la
lussuria non è propriamente un peccato capitale, a meno
che la persona non si faccia travolgere dalle proprie
passioni, perdendo completamente il controllo di sé. Ma
anche la situazione opposta non è raccomandabile: le
persone che esercitano un controllo esagerato delle
proprie pulsioni vanno incontro a grosse frustrazioni, e
rischiano di inaridirsi, diventando fredde, giudicanti e
bigotte. Inoltre, quando la repressione è protratta nel
tempo, nei casi estremi assistiamo a episodi di sdoppiamento di personalità: impiegati modello o brave
casalinghe che di pomeriggio o di notte si trasformano in
qualcos'altro …
L'istinto alla sessualità quindi non va represso. Le
passioni danneggiano l'essere umano sia quando sono
eccessivamente compresse, sia quando sono scatenate
senza limiti. E la salute del corpo e l'equilibrio della
mente non si mantengono con la repressione o la
rimozione delle passioni, ma con la loro misurata
espressione.
DA NEW YORK, CRISTINA
FONTANELLI SCRIVE
Cari amici,
Sono felice di segnalarvi il mio
8 ° annuale di NY "Natale in Italia".
Il concerto è stato di un grande successo e che gioia di cantare le grandi canzoni d'Italia. Così nuovi amici
e fan hanno applaudito il mio spettacolo. Vi invierò
presto un aggiornamento, ora sono sulla strada, per
la bella città di San Diego!
Che dirvi della mia partecipazione in televisione?
E’ stata una gioia essere in rete diverse volte nelle
ultime 2 settimane: il mio concerto alla CBS di New
York - Co-presentatore alla PBS, per la storica
“Andrea Bocelli speciale” in Central Park e PBS cohost a Vienna con il Coro ragazzi, il loro prossimo 18
alla Carnegie Hall. Buon Natale! Per visualizzare il concerto della Fontanelli,
vai al link:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=5geKEk08uGA#t=53s
- 19 -
Andropos in the world
CRITICA LETTERARIA
LA BASE FISICA DELLA VITA
Thomas Henry Huxley
(Saggio - ISBN: 978-88-6683-000-9- 46 pag. – € 07,00)
Perché oggi tradurre per la prima volta in italiano “Le
basi fisiche della vita” di Thomas Huxley? La conferenza
che il geniale autodidatta, poi professore di Storia Naturale alla Royal School of Mines, tenne nel 1868, in che
senso può, circa centocinquant’anni dopo, essere d’attualità? I contemporanei, soprattutto gli ambienti accademici
vicini al potere ecclesiastico, lo disprezzarono, ma anche
il più vasto contesto scientifico lo ignorò a lungo. Solo
recentemente le sue idee, nella loro appassionata e anche
direi poetica esposizione, tornano a esibire l’intuizione
profonda circa la base comune di tutte le forme viventi.
In quella famosa conferenza dunque Thomas Huxley,
che sarebbe diventato il nonno del più famoso Aldous,
volle illustrare a un vasto pubblico l’idea scientifica su
cui un piccolo gruppo di ricercatori europei aveva in
quegli anni raggiunto un accordo e cioè che i sistemi
viventi sono formati da una sostanza comune a tutti chiamata protoplasma.
Il nome era stato coniato nel 1861 da Max Schultze,
professore di Istologia e direttore dell’Istituto di
Anatomia di Bonn, in Germania. Per lui il protoplasma
appariva come una sostanza, grigiastra, viscida, o mucillaginosa semitrasparente e semi-liquida in continuo
movimento. Il francese F. Dujardin l’aveva descritta
come una gelatina vivente, una sostanza glutinosa, traslucida, insolubile in acqua come un muco, che forma masse
globulari sugli aghi da dissezione. Hugo von Mohl, nel
1846, la vedeva come materia dura, viscida, granulare,
semi-liquida. Christian Gottfried Ehrenberg che, con le
sue osservazioni al microscopio, si era dedicato allo
studio di un enorme numero di sistemi viventi unicellulari raccolti in parti lontane del mondo, soprattutto
nell’immenso Impero Russo e in Africa al seguito del
famoso esploratore Alexander von Humboldt, la descrive
semplicemente come la sostanza vivente comune in tutte
le classi di organismi viventi.
Anche Thomas Huxley considera il protoplasma come
la sostanza fondamentale della materia vivente all’interno di una cellula, la base fisica e materiale della vita e
vede quest’identica vita brulicare nelle capsule urticanti
della foglia dell’ortica, come nella goccia di sangue
spillata da un polpastrello. Inoltre per lui la possibilità
che esista una sostanza comune a tutte le forme della vita
viene vista nella prospettiva che la vita si manifesti in
innumerevoli forme la cui evoluzione è guidata da una
legge universale della natura, la legge di Darwin, secondo il principio della selezione naturale. “La base fisica
della vita”, il titolo scelto da Huxley per condensare le
sue idee è certo un bel titolo ma è solo apparentemente
inoffensivo, in realtà è profondamente rivoluzionario.
- 20 -
Il punto di vista che esprime in questo opuscolo era
al di fuori degli schemi dell’accademia, sia dei fisici
che dei biologi. Pertanto la sua idea fu attaccata da
diversi autori ben quotati, ridicolizzata e poi dimenticata. Cosa certamente grata al mondo ecclesiastico, sia
protestante che cattolico.
Antonio Bianconi
(da Gattomerlino press)
Thomas Henry Huxley, nato a Ealing, il 4 maggio 1825 e
morto a Eastbourne, il 29 giugno 1895, è stato un biologo e
filosofo inglese. È nonno del biologo Julian Sorell Huxley, su
cui ebbero notevole influenza le sue idee guida sia scientifiche
che filosofiche, e dello scrittore e saggista Aldous Leonard
Huxley.
Convinto sostenitore dell'evoluzionismo darwiniano, tanto
da essere soprannominato il "mastino di Darwin", si batté
incessantemente per il superamento del fissismo teologico.
In prima persona, durante un soggiorno in Australia dal 1846
al 1850, verificò e confermò quanto già anticipato privatamente da Darwin. Importanti sono i suoi studi relativi a forme
inferiori di vita animale, classificando tra l'altro in modo
nuovo gli idrozooi in radiati e nematofori.
Attaccò duramente la dottrina del teologo George Berkeley
per quanto riguarda la concezione della mente umana e della
conoscenza, ma con essa anche tutti gli immaterialismi e gli
spiritualismi posteriori. Il suo pensiero è materialistico ed
agnostico, ed è una diretta conseguenza delle sue ricerche ed
esperienze di biologo alla luce della teoria evoluzionistica e a
sua conferma sul campo.
In campo filosofico sono notevoli le sue opere Science and
Culture del 1881 ed Evolution and Ethics del 1893. Ha
coniato il termine epifenomeno e ha dato una definizione
dell'agnosticismo che si continua a considerare soddisfacente
anche nella filosofia contemporanea e alla quale si fa correntemente riferimento.
Nel saggio On the Hypothesis That Animals Are Automata,
and Its History criticò la teoria cartesiana che intendeva gli
animali come semplici macchine, date le «terribili conseguenze per gli animali» che potevano derivare da tale teoria,
e considerando come invece sia bene «occuparci di loro come
di fratelli minori».
Dal 1883 al 1885 è stato presidente della Royal Society
britannica.
_________________________________________________
Il fissismo è la teoria biologica secondo cui le specie vegetali ed animali
non hanno subito e non subiranno modificazioni nel corso del tempo. Il
fissismo si contrappone dunque all'evoluzionismo. Le teorie fissiste erano
legate ad un'interpretazione letterale della Genesi, e cioè all'idea di un'unica
creazione originaria di tutte le specie viventi (creazionismo). Il riferimento
alla creazione iniziò a venir meno, soprattutto nella cultura francese, in
epoca illuministica. Il fissismo fu allora enunciato nella sua forma più
ristretta, come teoria della costanza delle specie, senza alcuna ipotesi sulla loro origine. È il caso, tra gli altri, del botanico Michel
Adanson, il quale si limitò a sostenere che la cosiddetta «trasmutazione» non ha luogo né tra animali, né tra le piante. Il fissismo
fu sostenuto da Linneo e da Georges Cuvier, considerato il padre
fondatore della paleontologia,.
Andropos in the world
IN QUESTO MESE
MACCHINA CONTAMONETE
DISONESTA
(Lettera al Direttore della Banca D’Italia)
Gentilissimo Direttore,
se può dedicarmi 5 preziosi minuti del suo tempo, vorrei
narrarle un fatterello che mi è capitato fresco fresco
stamattina nella Banca d’Italia .
Dovendo affrontare un viaggio non preventivato, abbiamo
deciso di rompere il nostro salvadanaio di spiccioli e portarli
in banca ( quale luogo più idoneo e serio? ) per il cambio in
moneta cartacea.
Mia figlia mi ha aiutato a contare le monete tutte da 1 e 2
euro, mentre io ,controllata l’esattezza della conta, le sistemavo in rotolini , sui quali apponevo a penna l’ammontare
della cifra.
Con le monete da 2 euro ho confezionato 8 rotolini da 50
euro, con quelle da 1 euro ne ho confezionato 16 da 25 euro e,
se la matematica non è un’opinione, in tutto abbiamo contato
800 euro.
Con il carico di monetine mi sono recata insieme a mio
marito in banca, dove l’impiegato mi ha dato un suo cestino,
dicendomi di disfare i rotoli e mettere le monete nel cesto.
Così ho fatto, dopo di che le monetine sono state portate nel
retro per la conta, presumo presso una macchina apposita.
Quando l’impiegato è ritornato ha detto: “ 770 euro”.
Sono rimasta esterefatta: come, 30 euro in meno?
Alla mia obiezione l’impiegato mi ha mostrato lo scontrino
uscito dalla macchina. Possibile che mia figlia ha sbagliato a
contare, io ho sbagliato a controllare e mio marito (impiegato
alla ragioneria del Tesoro), che sovraintendeva ai lavori, non
si è accorto che eravamo in errore? Va bene che c’è crisi, ma
mai avrei pensato che una macchina potesse essere così
disonesta. E poi, come si fa a contrastare una macchina? La
mia parola contro il suo scontrino.
Forse, l’errore sta nel fatto che questa macchina contamonete è nel retro e, non osservata, crede di poter fare a modo
suo. Se fosse stata sotto i miei occhi, mentre contava le mie
monete, sono certa che avrebbe fatto i conti più accuratamente.
La prego signor Direttore controlli quella macchina, gli dia
una seria occhiata e, se proprio non va, la cambi! Perché non è
giusto essere defraudati da un macchinario disonesto.
Saluti ed ossequi
Rosa Maria Pastore
SON QUASI TUTTI LA’
(Edizione Brontolo, pag.84)
la nuova pubblicazione
di
NELLO TORTORA
Un viatico del ricordo, dedicato ai collaboratori che non ci
sono più. La celebrazione di un rosario di eventi, scanditi
da una simpatica vedova che… accomuna tutto
alla santa anima del coniuge defunto.
“SALERNO IN THE WORLD”
PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA
La Rivista ANDROPOS IN THE WORLD bandisce
il premio internazionale di Poesia “Salerno in the
world”, riservato a poeti italiani e stranieri.
Si può partecipare con una lirica edita o inedita, mai
premiata in altri concorsi. I componimenti dovranno
essere redatti in cinque copie e rigorosamente in lingua
italiana, mentre le generalità dell’autore accompagneranno gli elaborati, inseriti in busta chiusa ed inviati al
seguente indirizzo:
Al Direttore responsabile di Andropos in the world,
prof. Franco Pastore, via Posidonia, 171/h – 84128
Salerno – Italy.
Per le spese di segreteria è richiesto l’invio do € 10,00
da spillare alla domanda di partecipazione, re-datta nei
canoni previsti dalla consuetudine: nome, cognome,
indirizzo, numero di telefono, titolo del la-voro e la
dicitura “chiede di partecipare al premio”.
Le medesime modalità valgono anche per i partecipanti
stranieri.
Il termine ultimo di presentazione degli elaborati è
fissato per il trenta aprile 2012. La giuria, composta da
noti esponenti del mondo della cultura, sarà resa nota al
momento della preniazione. Il giorno e la sede della
premiazione saranno comunicati sulla rivista entro il 30
aprile. I premi consisteranno in coppe, oggetti ed opere
d’arte, l’abbonamento gratuito al giornale per un anno,
nonché la pubblicazione sulla rivista di tutti i lavori
premiati.
Il Direttore
PER UN NATALE DI SPERANZA
Il Bambino nasce per ogni uomo libero […]
E’ Avvento di perdono
che non teme tradimenti,
non lascia scampo alle attenuanti,
quelle comode di ieri,
di oggi che è già domani,
non sta nascosto alle parole,
ai gesti, ai comportamenti. […]
Riconoscere Natale non sta nell’acquisto
dell’albero di luce meglio addobbato,
alla messa di mezzanotte
perentoriamente in prima fila. […]
Non sarà il solito Natale in vendita,
è un monito a difesa di chi ha bisogno,
di chi rimane indietro,
di chi è in difficoltà,
non ci sarà bisogno di recarsi
al mercato delle bugie
per acquistare un altro po’
di quella speranza indignata,
essa sta dietro ogni croce piegata,
ogni fossa scavata malamente,
ogni fallimento del cuore …
VINCENZO ANDRAOUS
- 21 -
Andropos in the world
PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO
Il RISO ha cominciato a farsi apprezzare nel mondo
occidentale verso il I° secolo a.C.. Nel mondo greco-romano
era considerato una spezia esotica, molto costosa e quindi
da usarsi con parsimonia in occasioni particolari oppure come medicamento.
Anche nel Medioevo, in Italia, il riso mantenne tale
fama, come confermano alcune annotazioni riportate sui registri del Sant'Andrea, ospedale di Vercelli, risalenti al 1250. In
Italia la coltivazione del riso iniziò a diffondersi tra la fine del
XIV e l'inizio del XV secolo nelle zone del milanese e del vercellese, ancora oggi zone di produzione d'eccellenza di questa
coltivazione.
Con il riso si possono realizzare un numero incredibile
di piatti diversi, dall’antipasto al dolce e, se cucinato a
dovere, può soddisfare anche i palati più esigenti. La riuscita
della ricetta prescelta è comunque condizionata dall’uso della
varietà più indicata, bisogna quindi tener conto delle rispettive
caratteristiche dei tipi di riso, che riguardano esclusivamente
le dimensioni dei chicchi e le modalità di cottura. Poco significative, invece, sono le differenze delle proprietà nutritive tra
le varietà a disposizione. Le varietà italiane sono quattro:
1) Comuni: con chicchi piccoli e tondi, adatti per minestre,
minestroni e dolci, con una cottura di 12-13 minuti. Le
varietà più note sono: l’Originario e il Balilla
2) Semifini: con chicchi tondeggianti di media lunghezza,
adatti per antipasti, risi in bianco, supplì, timballi, sartù.
Cuociono in 13-15 minuti. Le varietà più note sono: Rosa
Marchetti, Padano, Vialone nano, Italico R.
3) Fini: con chicchi lunghi e affusolati, adatti special-mente
a risotti e contorni, cuociono in 14-16 minuti. Le principali
varietà sono: R.B., S. Andrea, Europa.
4) Superfini: con chicchi grossi e molto lunghi, particolarmente adatti alla preparazione di risotti e contorni, che
cuociono in 16-18 minuti. Le principali varietà sono: Roma,
Carnaroli e Baldo.
Si producono anche speciali tipi di riso vitaminizzato,
soffiato o preriscaldato; quest’ultimo tipo di lavorazione
(parboiling) conferisce al riso una maggiore resistenza alla
cottura e gli permette di conservare intatti i suoi elementi
nutritivi, che in parte si disperdono nei liquidi di cottura o
vengono distrutti da un’ebollizione prolungata. Un’altra qualità di riso a cui la lavorazione speciale ha conferito pregi
eccezionali, è il riso Avorio o riso Ambra, ottenuto sottoponendo le varietà più fini a un bagno di vapore acqueo sotto
pressione, prima di fargli subire le lavorazioni successive.
Nella palude di Casalbeltrame (una riserva naturale gestita
dal Parco Naturale Lame del Sesia), tra le distese di risaie che
caratterizzano la piana, alcune delle “terre d’acqua” producono
l’insolito riso nero, esotico, ricco di proprietà nutritive e magico fin dal suo nome. Si chiama riso nero Venere, la cui
coltivazione ha origini antichissime, si ritiene che sia iniziata
tra il 2800 e il 2200 a. C. in vaste aree della Cina e dell’India.
Il colore nero del pericarpo del Venere è una rara caratteristica
e, in passato, i contadini cinesi lo coltivavano solo per l’imperatore e la sua corte. Un’altra caratteristica tutta orientale del
riso nero Venere è che durante la cottura sprigiona un profumo
che ricorda il pane appena sfornato o il legno di sandalo.
- 22 -
È utile sapere che:
 Il riso deve essere versato, per la
cottura, in liquidi bollenti, mai in liquidi freddi o tiepidi. Anche i liquidi che si uniranno al riso durante la cottura dovranno essere bollenti.
 Va cotto in recipienti scoperti.
 Si conserva in sacchetti di tela a trama piuttosto rada o in
barattoli di vetro chiusi.
 Nei mesi caldi non conviene fare grosse provviste di riso.
 Non si deve lavare il riso prima dell'uso, poiché perderebbe
una parte delle sue qualità nutritive: da questo si deduce
che il riso utilizzato senza il suo liquido di cottura è meno
nutriente di quello in cui invece lo si utilizza.
 Un riso troppo cotto non è più digeribile di un riso poco
cotto: sono entrambi da evitare, cercando di raggiungere
sempre il giusto grado di cottura.
 Il riso va mondato con la massima attenzione, poiché può
accadere che contenga corpi estranei.
 Per la sua alta digeribilità il riso, che non affatica lo
stomaco, è l'alimento ideale per chi teme la sonnolenza che
assale dopo i pasti: chi deve mettersi in viaggio e chi deve
subito riprendere il lavoro, sia fisico che intellettuale.
PROPRIETA’ CURATIVE - La sua crusca abbassa il
colesterolo; non mondato o semi integrale, è adatto in tutte le
diete alimentari e per ogni tipo di malattia; normalizza il pH
dell’intestino favorendo quindi la proliferazione della giusta
flora intestinale.
Per l’uso alimentare, il riso integrale o semi integrale è
ottimo e molto più digeribile del frumento; la crusca di riso è
importante perché contiene antiossidanti, minerali e vitamine.
Poco lavorato, quindi solo decorticato, cioè non brillato, fa
scendere i protidi ed i suoi grassi, mentre i glicidi salgono.
Non esiste malattia che non tragga giovamento con la terapia
alimentare a base di riso integrale o semi integrale.
Per i colitici, riso bollito, con olio di girasole misto a quello
di sesamo ed a quello di oliva extra vergine.
Per coloro che hanno allergie al “glutine” degli altri cereali,
il riso in fiocchi è insostituibile, nelle affezioni della pelle
riso cotto nel latte.
Riso bollito fino ad ottenere una pastetta, per cataplasmi da
utilizzare su dermatosi, foruncoli, su emorroidi calma e dà
sollievo. Il bagno in vasca, con amido di riso 200-500 gr. in
un sacchetto nella vasca, favorisce il mantenimento della
pelle giovanile.
UN ANTIPASTO
ARANCINE DI RISO CON
PROSCIUTTO E MOZZARELLA
Ingredienti e preparazione – per 4 persone
Per il risotto: mettere al fuoco 40 gr di burro con 2 foglioline
intere di cipolla, quando queste sono ben appassite eliminarle
e versare nel condimento 250 gr di riso, bagnarlo con un
mestolino di brodo bollente e proseguire la cottura aggiungendo a poco a poco il brodo bollente necessario. Togliere il
risotto dal fuoco al dente e unirvi 40 gr di parmigiano grattugiato, una manciatina di noce moscata e
Andropos in the world
rimescolare bene. Lasciar raffreddare. Per il ripieno: riunire in
una terrina 100 gr di mozzarella tagliata a dadini, 20 gr di
parmigiano, 10 gr di burro a pezzettini, una manciatina di
prezzemolo tritato, un pizzico di sale e poco pepe; impastare
bene il tutto con un uovo e completare con 100 gr di prosciutto
magro tagliato a pezzettini. Formare delle arancine, mettere al
centro un po’ di ripieno e chiuderle bene; passarle prima nella
farina, poi nell’uovo sbattuto con un po’ di sale ed infine nel
pangrattato. Friggerle in abbondante olio fumante e sgocciolarle dorate e croccanti.
UN PRIMO PIATTO
RISOTTO
ALLE MELANZANE
Ingredienti e preparazione – per 4 persone
Tagliare longitudinalmente 2 melanzane e, dopo averle salate,
lasciarle riposare per trenta minuti. Fare appassire una cipolla
tritata in un filo d’olio. Aggiungere 500 gr di pomodori passati
al setaccio e salare. Dopo circa dieci minuti di cottura, versare
metà del contenuto in una scodella. Alla metà rimasta nella
casseruola aggiungere 200 gr di riso e il brodo bollente.
Mescolando con cura portare a cottura il risotto, che comunque dovrà rimanere al dente. Asciugare le melanzane, cospargerle di farina e friggerle in abbondante olio caldo. Prendere
ora una pirofila, ungerla con olio, versarvi il contenuto della
casseruola, coprire con le melanzane, la mozzarella tagliata a
dadini e un po’ di basilico. Coprire il tutto con la salsa di
pomodoro tenuta da parte e spolverizzare con abbondante
parmigiano grattugiato. Far gratinare in forno a 200°.
UN SECONDO PIATTO
GAMBERONI IMPERIALI
CON CONTORNO DI RISO PILAF
Ingredienti e preparazione – per 4 persone
Staccare le code a 24 gamberoni, rosolarle in olio d’oliva ed
DA ALTRE RIVISTE
aglio, sfumare col vino e sgusciarle. A parte rosolare in olio
un trito di cipolla, carota, sedano, aglio, peperoncino,
scottarvi teste e gusci, sfumare col vino, unire 300 gr di salsa
di pomodoro, salare e cuocere per 10 minuti. Passare la salsa
al passaverdure, schiacciando anche teste e gusci, rimettere
sul fuoco, unire le code e far insaporire per 5 minuti.
Per il riso pilaf: appassire poca cipolla tritata in 50 gr di
burro, tostarvi 300 gr di riso, versarvi il brodo e cuocere
coperto in forno a 170° per 18 minuti; versarlo sul piatto e
mescolarvi una noce di burro. Fare col riso una bordura ed al
centro mettere i gamberoni col loro sugo.
DOLCE
TORTA DI RISO
Ingredienti e preparazione (per 4 persone)
Scottare 100 gr di mandorle in acqua bollente, pelarle e
passarla al trita mandorle. Far cuocere 150 gr di riso in l. ¾
di latte per 20 minuti, aggiungere 200 gr di zucchero e le
mandorle tritate. Fuori dal fuoco unire i tuorli di 3-4 uova (
secondo la giusta consistenza dell’impasto), le chiare montate
a neve e un bicchierino di liquore Sassolino o di frutta.
Mettere il composto in una tortiera imburrata ed infarinata e
cuocere in forno a calore moderato per 30 minuti. Io
preferisco foderare la tortiera di pasta frolla e incrociare sul
ripieno striscioline ricavate dalla rimanente pasta.
VINO CONSIGLIATO: un bianco morbido, fermo o
frizzante
FRUTTA: quella di stagione
_____________________
La cucina della Campania “I nostri chef”, Il Mattino - Gastronomia
salernitana di A. Talarco, ed. Salernu - Cucina dalla A alla Z di L.
Carnacina, Fabbri Editori - Le mille e una… ricetta, S. Fraia Editore
- Mille ricette, Garzanti - L‟antica cucina della Campania , Il
Mattino - Giorni ricchi . La cucina di Mani di fata.
L’AMMIRATORE SCONOSCIUTO
di Delfina Ducci
Quel fischio di ammirazione la riempí di gioia. Sorrise.
Un’emozione improvvisa e inaspettata le fece battere il
cuore. Richiuse il portone dietro di sé. Quella mattina non
aveva avuto dubbi. Aveva fatto la scelta giusta. Un tailleur
blu e una camicia di seta, il primo bottone slacciato
maliziosamente. Ogni giorno il bisogno di conferme la
spingeva a ricercare consensi ovunque. Le bastava uno
sguardo compiacente, un borbottio di apprezzamento.
Affrontava il lavoro, le relazioni sociali, le amicizie con
sicurezza che svaniva non appena pensava di non suscitare
l’interesse. Aveva un disperato bisogno di attenzione.
Senza approvazione si sentiva improvvisamente
svuotata di ogni qualità: né bella, né intelligente, neppure
simpatica. Quel fischio aveva riacceso la sicurezza.
Qualcuno dunque l’aveva notata. Un rapido sguardo alle
finestre del palazzo di fronte. Da quella socchiusa era
uscito il fischio. Ne era sicura. Non troppo signorile a dir la
verità ma efficace. Questo sibilo le infondeva coraggio. Il
passo diventava leggero, il corpo sinuoso, sensuale.
L’immaginazione crea mostri e creature divine.
L’ammiratore sconosciuto aveva occhi scuri, labbra
carnose, il sorriso di perla. Nell’attesa che si mostrasse,
Cosetta ostentava varie versioni di se stessa. Una
passerella giornaliera studiata con attenzione per piacere a
colui che ormai era entrato nella mente e nel cuore. La
pioggia battente non riusciva a rendere la giornata
uggiosa. Cosetta aveva indossato un impermeabile rosso,
un colore vivace nonostante il grigio del cielo. Provava
turbamento al solo pensiero che da un momento all’altro
questa presenza si materializzasse. Aprí il portone. Un
sussulto e l’attesa del fischio. Silenzio. Assurdo. Glaciale.
Guardò verso la finestra. La vide chiusa. Attese un attimo.
Le parve un’eternità. Trattenne il respiro.
Un’amarezza simile a quella della fine di un amore la
gettò nello sconforto. Un gioco, una beffa dunque?
Un’illusione una povera, stupida illusione.
Rimproverando se stessa per aver ceduto a una simile
lusinga camminava sotto lo scroscio dell’acqua.
Lí a pochi metri quasi sotto la sua scarpa giaceva con le
penne bagnate, il becco giallo aperto, gli occhi vitrei, il
povero merlo indiano artefice della sua immensa felicità e
della sua drammatica delusione.
[Da Il Foglio volante – dic. 2011]
- 23 -
Andropos in the world
DENTRO LA STORIA
LA MORTE DI ADOLF HITLER
La morte di Adolf Hitler, capo del nazionalsocialismo tedesco dal 1933 al 1945, è avvenuta il 30 Aprile
tramite suicidio mediante un colpo di rivoltella alla testa.
I servizi segreti sovietici del KGB hanno sempre
dichiarato il ritrovamento del cadavere bruciato e confermato grazie all'impronta dentale. Nel tempo, già dopo la
fine della seconda guerra mondiale, sono sorte alcune
teorie alternative sulla scomparsa o sulla sorte dei suoi
resti che non trovarono alcuna conferma.
Nel 1993, con l'apertura di alcuni
archivi del disciolto KGB, i documenti
concernenti la morte di Hitler hanno
ufficialmente confermato la testimonianza di Hugh Trevor-Roper raccolta
nel libro The Last Days of Hitler (Gli
ultimi giorni di Hitler) del 1947 e
concomitante con quella sovietica.
Nel 1969, il giornalista sovietico Lev Bezymensky
pubblica i referti, conservati dalla SMERSH, dell'autopsia eseguita da una commissione russa diretta dal Dr.
Faust Sherovsky sui resti di Hitler l'8 maggio 1945
nell'ospedale militare di Berlino. La guerra fredda tra
l'Europa occidentale e l'Europa comunista, tuttavia, ha
fatto sì che il testo venisse bollato come falso e ricoperto
di infamante disinformazione attuata da ambedue le
parti.
Nel 1993, con l'apertura degli archivi di KGB e FSB,
il pubblico dominio dei documenti ha potuto fare
chiarezza sulle sorti dei corpi di Hitler e Eva Braun
L'armata rossa entrò nel Führerbunker approssimativamente alle 23:00, ossia circa 7 ore e 30 minuti dopo il
suicidio del führer. Un cadavere molto simile ad Hitler
fu ritrovato tra le macerie, ma dopo accurate ricerche, i
soldati smentiscono dicendo "Non è lui!", poiché il
cadavere era uno dei tanti sosia di cui il leader nazista
amava circondarsi per sbaragliare i nemici. In seguito, I
cadaveri di Hitler, Braun, il cane Blondi e il suo cucciolo
Wolf sono stati trovati da Ivan Churakov, capo della
SMERSH. Temendo che il sito scelto per la sepoltura
dei cadaveri potesse divenire centro di culto per neonazisti e fanatici, il direttore del KGB, Yuri Andropov,
ordinò la cremazione dei resti e il 4 aprile 1970 le ceneri
furono sparse nel fiume Elba.
Secondo le voci ufficiali, Hitler si suicidò nel suo
bunker il 30 aprile 1945, insieme alla storica amante Eva
Braun che aveva sposato il giorno prima. Aveva 56 anni.
Come parte delle sue ultime volontà, ordinò che il suo
corpo venisse portato all'esterno e bruciato. Nel suo
testamento, scaricò tutti gli altri leader nazisti e nominò
il grandammiraglio Karl Dönitz come nuovo Presidente
del Reich e Joseph Goebbels come nuovo Cancelliere
- 24 -
del Reich. Tuttavia quest'ultimo si suicidò il 1º maggio
1945 insieme alla moglie dopo aver ucciso i suoi sei
figli. L' otto maggio 1945, la Germania si arrese. Il
"Reich millenario" di Hitler era durato poco più di 12
anni.
Oltre la storia - Non tutti credettero alla sua morte.
Non ci credette del tutto Stalin, né l'allora primo
ministro inglese Clement Attlee e lo dichiarò in una
conferenza stampa: il corpo era carbonizzato e quindi
non di facile identificazione. Allora fu fatta la prova
del calco dentario e corrispondeva a quella del cadavere, ma se Hitler, sapendo che la guerra era persa,
avesse fatto fare un calco dentario al sosia, per far si
che fosse riconosciuto come il vero Fuhrer quando ne
avrebbero trovato il cadavere?
Gli storici obbiettano che la fuga non era possibile
anche perché la dottrina nazista considerava disonorevole la fuga e la resa, infatti Goebbels, Himmler e
più tardi Goering si suicidarono con il cianuro.
Se vogliamo considerare possibile l’idea della fuga,
allora Hitler potrebbe aver riparato in Argentina, dove
la dittatura era a favore dei nazisti, per poi spostarsi in
Paraguay negli anni sessanta.
Ma come potrebbe essere arrivato in Sudamerica?
Probabilmente con un sottomarino, più altri due di
scorta, con il tacito aiuto degli USA (un documento
segreto dell’ FBI conserverebbe delle testimonianze di
chi dice di aver parlato con il Fuhrer dopo il 1945).
_______________________
Filmato sulla vita privata del Furer:
http://www.google.it/url?url=http://video.yandex.ru/users/falke04/view/388/&rct=j&sa=X&ei=Q2HdTvcsj92y
BuX6tc8E&ved=0CF0QuAIwCQ&q=hitler&usg=AFQjCNH6KKdAnFi4h4h-MYk8QmVc4AXisA
IO CASALESE
di A.Trillicoso
(Diana Edizioni)
In questo libro, il protagonista è un ragazzo di sedici anni
che comincia a farsi le grandi domande della vita e non
accetta di vivere in una città assediata, che rifiuta e vive
come un fardello il binomio casalesi-delinquenti. Viene
fuori dal libro la voglia di avere una vita normale, perché
la maggior parte dei casalesi e degli abitanti dei paesi
vicini sono persone oneste, che hanno sogni e progetti ma
sono costretti a vivere una vita difficile. La copertina del
libro, il ragazzo seduto su una pistola, indica la consapevolezza ed il rifiuto di vivere in una realtà diffi-cile.
Definito dalla stampa l'altra faccia di GOMORRA, vuole
essere l'altra faccia dei Casalesi.
Per l’acquisto:
[email protected]@virgilio.it331760
8254..Compra
Andropos in the world
IL PERSONAGGIO DEL MESE
LAURA FABIAN
Lara Fabian, il cui nome è ispirato al personaggio
femminile del Dottor Zivago, è una cantante e compositrice
francofona, nata in Belgio da madre siciliana (Luisa Fabiano,
da cui ha preso il nome d'arte) e padre fiammingo (Pierre
Crokaert, chitarrista di Petula Clark). Ha vissuto la prima
parte della sua infanzia in Sicilia, a Catania; l'italiano è infatti
la prima lingua che ha imparato. Nel 1975, all'età di cinque
anni, si trasferisce con la famiglia in Belgio, a Ruisbroek.
Nel 1978 inizia ad affiancare agli studi scolastici, presso
l'Istituto Santa Ursula di Forest, anche le lezioni di piano,
solfeggio e canto presso il Conservatorio Reale.
All'età di dieci anni, Lara Fabian compone le sue prime
melodie, ispirata da artisti come Barbra Streisand e i Queen e
verso i quindici comincia ad esibirsi in alcuni locali di
Bruxelles.
Determinante è l'incontro con Marc Lerchs, con cui inizia
una collaborazione che tra il 1986 e il 1988 li porterà ad
esibirsi insieme nei cabaret della capitale belga, tra cui il Black
Bottom e il Caffè dell'Ilôt.
Partecipa inoltre a diversi concorsi amatoriali, tra cui Le
Tremplin di Bruxelles, che vince. Registra così il suo primo 45
giri, omaggio a Daniel Balavoine e stampato in 500 copie. Le
canzoni L'Aziza Est En Pleurs e Il Y Avait, scritte da Marc,
vengono ascoltate dal produttore Hubert Terheggen che,
incuriosito, decide di assistere dal vivo ad una delle sue serate
al Black Bottom. Nel 1988 Hubert Terheggen le propone di
partecipare all'Eurovision Song Contest (che in quell'anno si
svolge a Dublino), in rappresentanza del Lussemburgo. Si
classifica al quarto posto (la vincitrice sarà Céline Dion,
rappresentante della Svizzera) con la canzone Croire, che
verrà tradotta in inglese (Trust) e tedesco (Glaub).
Lara Fabian - per via del successo - abbandona gli studi di
criminologia infantile, che stava seguendo in Italia, e decide di
dedicarsi completamente alla carriera musicale.
Nel 1988 Hubert Terheggen le propone di partecipare
all'Eurovision Song Contest (che in quell'anno si svolge a
Dublino), in rappresentanza del Lussemburgo. Si classifica al
quarto posto (la vincitrice sarà Céline Dion, rappresentante
della Svizzera) con la canzone Croire, che verrà tradotta in
inglese (Trust) e tedesco (Glaub).
Lara Fabian - per via del successo - abbandona gli studi di
criminologia infantile, che stava seguendo in Italia, e decide di
dedicarsi completamente alla carriera musicale.
Incide il suo secondo 45 giri, Je Sais, e parte per il Québec
per promuovere il disco. Nel 1996 la Walt Disney Studios la
ingaggia per doppiare Esmeralda nella versione francese del
Gobbo di Notre Dame. Il 1997 è l'anno di "Pure", che segna il
suo debutto francese (tra i brani: Tout, Je T'Aime, Humana e la
canzone La Différence) e grazie al quale si aggiudica il disco
di platino, il Félix come Miglior Album Popolare e l'Juno
Awards come Miglior Album Francofono. Nel cd è contenuta
anche la cover della canzone Perdere L'Amore di Massimo
Ranieri.
Nel 1998 canta con Johnny Hallyday Requiem Pour Un
Fou, durante un concerto di beneficenza ("Les Enfoirés").
Nel 1999 registra tra New York e San Francisco il suo primo
album internazionale, intitolato "Lara Fabian". Oltre a Rick
Allison, collabora con Walter Afanasieff e Patrick Leonard.
In Italia è conosciuta soprattutto per
la canzone Adagio, con un testo scritto
to da Lara Fabian stessa sopra un pezzo
di musica classica, l' Adagio, composto
da Remo Giazzotto su basso numerato di
Tomaso Albinoni. Altro singolo noto in Italia è I Will Love Again (al primo posto negli U.S.A.
nella classifica Billboard Hot Dance Music/Club Play).
L'album si aggiudica il World Music Awards per le due
milioni di copie vendute.
Nel 2000 collabora con Hollywood e incide le colonne
sonore dei film A.I. - Intelligenza Artificiale e Final Fantasy.
Nel 2001 esce l'album "Nue"; J'Y Crois Encore, Immortelle,
Aimer Déjà, Tu Es Mon Autre (in duetto con Maurane) sono
solo alcuni dei pezzi scritti con Allison.
Nel 2002, a Roma, in una serata organizzata a Piazza di
Spagna dalla tv di stato francese France 2, per celebrare la
canzone italiana, Lara Fabian duetta con Laura Pausini ne La
Solitudine.
Nel 2003 incide la sua personale versione di Caruso di
Lucio Dalla, interpretata durante il tour diventato successivamente un disco live, intitolato "En Toute Intimité"; nel
quale si cimenta anche nell'aria della Traviata di Giuseppe
Verdi, Addio Del Passato.
Il 2004 è la volta di "A Wonderful Life", suo secondo
album in inglese. I singoli estratti, come The Last Goodbye e
I Guess I Loved You consolidano il successo di Lara Fabian
nei paesi latini, e in special modo in Brasile. Tra gli altri
brani, la cover di Wonderful Life, resa nota in Italia perché
sigla dello spot dell'acqua Panna. Nel marzo 2005 esce
l'album 9 che segna per la cantante l'inizio della fase artistica
successiva allo scioglimento del sodalizio con Allison. Nuove
sonorità, nuove collaborazioni, nuovo compositore e produttore, Jean-Félix Lalanne (suo compagno dal 2003 al
2006), nuovo tour mondiale, "Un Regard 9", che la vede
impegnata in più di 60 concerti in vari paesi europei ed
extraeuropei. Dal tour viene realizzato un CD/DVD dal titolo
"Un Ragard 9 - Live", registrato durante il concerto allo
Zenith di Parigi nel marzo 2007, e in cui sono contenuti un
inedito registrato a Montréal, Aime, e quindici performances
live, tra cui Je T'Aime cantata a cappella in apertura, Humana
(durata oltre dieci minuti) e un omaggio a Barbra Streisand,
con le interpretazioni di Papa Can You Hear Me e A Piece Of
Sky. Il 29 marzo 2006, durante il concerto al teatro Zenith di
Parigi, canta con Gigi D'Alessio La Donna Che Vorrei, in
una versione italo-francese.
____________________________________________________________
I link seguenti, per le esecuzioni sue di maggior successo:
L’Adagio di Albinoni:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=xXdQj2Vxcp4#t=6s
Caruso:
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=k62uNTaP5WI#t=3s
Perdere l’amore:
http://www.youtube.com/watch?v=PAYmRpOWUJ8&feature=player_detailpage#t=35s
Always:
http://www.youtube.com/watch?v=AvZNr63b_L4&feature=player_detailpage#t=16s
Je suis malade:
http://www.youtube.com/watch?v=bIIL5p7_WKk&feature=player_detailpage#t=5s
- 25 -
Andropos in the world
IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO: La vespa, lo scooter storico della Piaggio
A cura di Andropos
La Vespa, storico modello di scooter della Piaggio, fu
brevettato il 23 aprile del ‘46, su progetto dell'ingegnere
aeronautico Corradino D'Ascanio. Il nome, divenuto poi
famoso in tutto il mondo, sembra sia nato da un'esclamazione di Enrico Piaggio, il quale, alla vista del prototipo,
esclamò: «Sembra una vespa!», per via del suono del
motore e delle forme della carrozzeria. Il suo prototipo l'MP5 Paperino - fu concepito nel biellese quando durante la seconda guerra mondiale - gli stabilimenti di
Pontedera vennero trasferiti in Piemonte, luogo ritenuto
più sicuro in funzione dei bombardamenti alleati. Il
progetto fu però poi accantonato e il modello non venne
più prodotto e commercializzato. Forse la più grande
innovazione di questo modello, che contribuì al suo successo planetario, fu la presenza di una carrozzeria portante, che sostituiva il telaio e che copriva integralmente il
motore e le parti meccaniche principali, con i risultati di
una protezione efficace dalle intemperie e del poter utilizzare finalmente la motocicletta con l'abbigliamento di
tutti i giorni, sfatando la nomea della motocicletta che
imbrattava il guidatore.
La posizione del motore consentiva la trasmissione
diretta dal cambio alla ruota posteriore senza catena, che
faceva parte della semplicità progettuale che ha favorito il
successo planetario della Vespa.
La prima Vespa aveva una cilindrata di 98 cm3, motore
a due tempi, tre marce, accensione a volano magnete,
potenza massima di 3,2 cavalli a 4500 giri al minuto, che
consentivano una velocità massima di 60 km/h e il
superamento di pendenze del 20%.
Per il lancio del nuovo scooter, Enrico Piaggio ottenne
di essere ospitato nelle concessionarie della Lancia, anche
per sottolineare il telaio-carrozzeria a scocca portante,
sperimentato da Vincenzo Lancia, nel 1923, sul modello
Lambda. I 100 esemplari pre-serie esposti andarono a
ruba e si diede avvio alla produzione in serie di un primo
lotto di 2.500 esemplari, 2.181 dei quali furono venduti
nel 1946; un risultato destinato a quintuplicare nell'anno
successivo, con 10.535 Vespa vendute.
Il prezzo di 68.000 lire equivaleva a diversi mesi di
lavoro di un impiegato, tuttavia la possibilità del pagamento rateizzato fu uno stimolo notevole per le vendite:
la Vespa dette il primo impulso alla motorizzazione di
massa in Italia, prima ancora dell'avvento dell'altra grande protagonista, la Fiat 500.
Anche i modelli successivi avevano rigorosamente
motori a due tempi, funzionanti con miscela di benzina e
olio (in una prima fase al 6% e al 5%, successivamente al
2%). Il motore era sostenuto posteriormente dalla carrozzeria portante nelle vicinanze della ruota, il serbatoio situato anch'esso posteriormente dal lato opposto del motore e, perlomeno in alcuni modelli, con la presenza anche
- 26 -
della ruota di scorta. Il cambio a tre o quattro marce
era comandato dal manubrio tramite la rotazione della
manopola in blocco unico con la leva di comando della
frizione. Con questo modello si inaugurò la caratteristica della posizione di guida con le gambe non più
separate dal serbatoio e appoggiate su una larga pedana
posizionata dietro lo scudo di protezione, caratteristica
precipua che si ritrova anche negli scooter odierni.
La Vespa è stata prodotta dai modelli 50 cm3 (1963)
per uso dai 14 anni senza patente e rigorosamente senza passeggero, alle 125 cm3 che potevano ospitare
anche un passeggero (in particolare il modello Primavera) guidabili in Italia a partire dai 16 anni, fino alle
versioni da 150 e 200 cm3 autorizzate anche al transito
autostradale.
Nello scorrere degli anni, la Vespa rimane uno degli
esempi di design industriale più riuscito al mondo. La
sua linea, pur variando nel particolare, rimane inconfondibile nell'insieme: qualsiasi sia il modello, qualsiasi sia l'anno di produzione, le sue caratteristiche fondamentali rimangono impresse a tal punto che l'oggetto
Vespa è identificabile in modo univoco.
L'unico scooter "rivale" dell'epoca degno di nota è
stato la Lambretta della Innocenti, nata un anno dopo e
che ha cessato di essere prodotta in Italia nel 1971.
La Vespa appare in svariati film, tra i quali ad esempio (in ordine cronologico) Vacanze romane (1953),
Quadrophenia (1979), Caro diario (1993), Il talento di
Mr. Ripley (1999), American Pie (1999) e The Interpreter (2005). Di curioso interesse è anche una foto
fuori scena di Charlton Heston e Stephen Boyd in abiti
storici nel film Ben-Hur accanto ad una vespa VNA1T
del 1959, utilizzata per gli spostamenti sul set.
Miami-Florida – Auguri a Lorenzo Branchetti
che scrive: ” HAPPY HOLIDAYS EVERYONE AND A
WONDERFUL NEW YEAR FULL OF GOOD TIDINGS”
THE BRANCHETTI'S LAWRENCE AND TOMMY
http://www.branchetti.com/demos/denny_farrell_summer_wind2.mp3
Andropos in the world
AISOPOS ET PHAEDRUS IN NAPOLETANO
L’asino ed il leone
έὶὄ
Un asino sbruffone si vantava con gli altri animali, del
proprio coraggio e della propria forza. Un giorno ricevette un’inaspettata proposta dal re della foresta di
andare a caccia insieme. Di buon mattino, s’incamminarono verso una caverna, dove avevano visto rifugiarsi
un gran numero di capre selvatiche. Il leone si fermò
davanti all’entrata, con l'intento di catturare le prede
appena sarebbero uscite dal rifugio, l'asino, invece,
entrando nella grotta e balzando in mezzo ad esse ragliava per spaventarle. Quando il leone le ebbe catturate quasi tutte, l’asino venne fuori e gli chiese se era
stato un guerriero valoroso, nella cacciata delle capre.
Il leone sorridendo rispose: “Ma sai, avrei avuto anche
io paura di te se non avessi saputo che eri un asino!"
Così, chi fa il fanfarone davanti a quelli che lo conoscono bene, si guadagna giustamente le beffe.
‘O LIONE E ‘O CIUCCIO
(Si si’ fesse, nu’ te chiammà baròne)
‘Nu ciuccio, millantatore e un po’ buffone,
vantava la sua forza e ’o curaggio.
Un leone, ca era di passaggio,
gli chiese ’e fa ’na sucietà,
e jère a caccia là pe’ llà.
Quando arrivajene davanti a ’na caverna,
L’asino currette dìnte cumm’ ’o fesso
Mént’ ‘o liòne se fermàje all’ingresso.
Spaventate de’ ragli e do’ rrevuòto
‘e crapre, che là s’erano annaccuvàte,
currère ‘a fòre tutte ‘ntribulàte
e do’ lione furono catturate.
Dòppe tanta fatica, l’asinello
jètte a bruca’ l’ erba da stronzetto,
e ‘o liòne, chiuttòsto cattivello,
si strafocaje ‘e crapre in un banchetto.
___________________________
Aἲsopo – μύθο CCVIII
Lexicon necessarium:
Arrivàjene: arrivarono; denom. dal latinismo,
ad - ripare: giungere a riva.
Annaccuvàte: da annaccuvà, ripararare.
Revuòto: chiasso, rivolta; dal lat. revolvere.
Strafucàje: divorare; da (e)xtra +focare (den. da fauces
___________
Fabula docet (‘ύò:
Chi vanta meriti che non ha, si guadagna le beffe.
L’alleanza con i potenti non conduce proprio a
niente.
(Da “ Aìsopos, favole in napoletano ” di F.Pastore)
LO SAPEVATE CHE
 La Cazzeide e la Cunneide sono opere di Donnu Pantu, alias Domenico Piro, prete e poeta di Aprigliano, il paese più vicino
a Pietrafitta, nato il 14 ottobre 1660 e morto nel 1696. Ecco qualche verso: “E mo curre nu sièculu puttanu,/ ppe’ nun dire nu
sièculu curnutu,/ n’età chi nun se trova cunnu sanu /né culu chi nun sia statu futtutu… “(Parla, ovviamente, del 700; ma che
direbbe se vivesse oggi?). Poi, a proposito della verginità della Madonna, ha scritto: “ …La Marunnuzza che di minghia non ne
vide manco na ndecchiuzza…”
 Numerosi farmaci di uso comune interferiscono con il sonno: gli antidepressivi, gli ansiolitici e gli estratti tiroidei, ma anche
i broncodilatatori.
 L’uso della bicicletta è l’ideale per combattere l’ipertensione arteriosa, le cardiopatie e favorire la riabilitazione post
traumatica. L’uso della bicicletta porta all’aumento dei capillari della muscolatura interessata e fa diminuire l’incidenza delle
malattie respiratorie.

 I Carmina triumphalia sono una delle forme preletterarie, come l’Atellana ed i Fescennini, appartenenti alle origini della
letteratura latina. Erano versi orali improvvisati e recitati durante le cerimonia di trionfo: un corteo formato dalle massime
autorità romane, dal generale vittorioso e dai sui soldati sfilava dalla Porta Triumphalis al Campidoglio. In questa occasione, i
legionari romani improvvisavano tali carmina, che erano un insieme di lodi e di frasi di scherno, indirizzate verso al comandante vincitore . In effetti, i soldati, approfittando dell'atmosfera festosa e permissiva del momento, non si limitavano soltanto ad
elogiare il loro comandante, ma ne facevono anche oggetto di ilarità. Svetonio ci tramanda parte di un carmina rivolto a Giulio
Cesare, post bellum gallicum, nel momento del suo ingresso trionfale nell’Urbe:
« Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce
« Cesare ha sottomesso le Gallie, Nicomede Cesare: ecco, ora
Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicometrionfa Cesare, che sottomise le Gallie, mentre non trionfa Nicodes non triumphat qui subegit Caesarem ». « Urbani,
mede, che pur sottomise Cesare » « Civili, state attenti alle moservate uxores: moechum calvum adducimus. Aurum in
gli: vi portiamo l'amatore calvo. L' oro in Gallia te lo sei consuGallia effutuisti, hic sumpsisti mutuum ».
mato in donne, qui (a Roma) l'hai preso in prestito ».
- 27 -
Andropos in the world
DE COGNOMINE DISPUTĀMUS
“ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che si è
imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di
un ruolo circo-scritto alla persona, quasi una spinta
naturale a proseguire nella ricerca travagliata di un altro
sé. Il sistema antroponimico era dunque binominale,
formato da un nome seguito o da un’indicazione di luogo
(per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di
Ugolino) o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o
da un attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et
cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso,
che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui
origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la
conoscenza di come si siano formati, e la maggior parte di
essi resta inspiegabile a studiosi e ricercatori.
Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari. Inutilmente ci
si sforzerebbe di capire il significato e l’origine di soprannomi come "centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano",
lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. E
così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto storico,
sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione
in cui il soprannome è nato. Solo dunque i soprannomi che
hanno un preciso riscontro nel mondo quotidiano e quelli di
conio più recente possono essere interpretati, spiegati e
capiti; per gli altri dobbiamo accontentarci di avere le
raccolte. I primi cognomi appaiono in Italia nel IX secolo
come prerogativa distintiva di una classe privilegiata, poi
man manoil fenomeno si diffonde sempre più, fino ad arrivare. in epoca rinascimentale ad essere abbastanza diffuso.
Non è ancora comunque una caratteristica ereditaria, ma
piut-tosto un carattere distintivo della persona, solo i
nobili trasferiscono ai figli primogeniti l'uso dell'identificativo del casato, che così si perpetua. Verso il XVIII°
secolo il bisogno di far un po’ d'ordine e la necessità di
identificare popolazioni diventate ormai troppo popolose
porta all'impo-sizione per legge dell'obbligo del cognome.
Questo mese, ci occuperemo del cognome
BERLUSCONI
Etimologia - Ha origine probabilmente dal vocabolo
del dialetto milanese berlusch (strabico, storto) ed è situato nelle provincie settentrionali della Lombardia.
Dal provenzale lòsco o lusco; francese losque; spagnolo e portoghese lusco, dal latino luscus, una contrazione di lux captus, privo di luce, di un occhio.
Il Grande dizionario della Lingua Italiana del Battaglia,
non differisce da quanto sopra ed infatti, alla voce “Berlusco”, riporta: “Agg. (plur. m. – chi). Dialettale: strabico. Voce d’area lombardo-veneta. Milanese: ber-lusc,
barlusc, affine al lucchese bilusco”. La stessa etimologia
della parola “berlusco” si trova nel Vocabolario Etimologico di Ottaviano Pianigiani (Fi - 1907, p.148)
Personaggi – Silvio Berlusconi, operaio; 57 anni,
omonimo del premier, è morto oggi in un incidente in
- 28 -
montagna nel Comasco, sul sentiero che sale alla capanna
Menaggio.Berlusconi è scivolato su
un lastrone di ghiaccio ed è precipitato per trenta metri: inutili i soccorsi, il corpo è stato recuperato dall'elicottero del 118.
Operaio in tessitura, Silvio Berlusconi viveva a Veniano (Como) e spesso la sua omonimia era stata al centro
di servizi giornalistici, specialmente in occasione delle
elezioni politiche, appartenendo egli allo schieramento
opposto a quello del suo illustre omonimo.
Silvio Berlusconi, (Milano, 29 settembre 1936) è un
politico e imprenditore italiano, Cavaliere del Lavoro ed
uomo politico. Siede alla Camera dei Deputati dal 1994,
anno della sua prima elezione. Ha ottenuto quattro
incarichi da presidente del Consiglio: il primo nella XII
legislatura (1994), due consecutivi nella XIV (2001-2005
e 2005-2006); ed infine nella XVI (2008-2011). Ha
iniziato la sua attività imprenditoriale nel campo dell'edilizia. Nel 1975 ha fondato la società finanziaria Fininvest
e nel 1993 la nota società di produzione multimediale
Mediaset.
G.Rispoli
ALLORA PRENDI IL MIO CUORE
ALLORA PRENDI IL MIO CUORE…
Allora prendi il mio cuore
ma prendilo delicatamente
prendilo dolcemente il rosso cuore
… ora esso è tuo.
Batte così sereno,
batte in sordina
perché ha amato ed ha sofferto
ora è calmo … ora esso è tuo …
e può essere ferito,
può venir meno,
può dimenticare e spesso dimenticare
ma mai dimenticare che è tuo …
era così forte e così orgoglioso il mio cuore,
dormiva e sognava nella passione e nel gioco,
ora può essere schiacciato …
ma soltanto da te!
Maria Grazia Falsone
_______________
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=DTxM-K_rmcY#t=6s
Maria Grazia Falsone, nata a Campobello di Licata(AG)da Giuseppe e Carmen
Camilleri, ha trascorso la prima infanzia, a causa del lavoro del padre, militare
del- l'arma dei carabinieri, a Sermoneta e a Gavignano, comuni in pro- vincia di
Latina l'uno e di Roma l'altro. Ha completato gli studi superiori , in successivi
trasferimenti della famiglia , tra Gela e Acireale. Ha ottenuto diversi premi,
segnalazioni e menzioni .
________________
Andropos in the world
DENTRO LA CITTA’ DI SALERNO
L’ALTRA FACCIA DEL NATALE
A cura di Sofia Gargano
Ogni anno, in questo periodo, tante persone
avrebbero bisogno della solidarietà degli uomini e
dell’effetto di quello spirito di fratellanza che è il
fondamento del Cristianesimo.
Purtroppo, sono costretto a chiedermi dove sia
finito quello spirito natalizio, che costituiva il
contesto del Natale di un tempo, quando la carità
era manifestazione d’amore dell’uomo per il
proprio fratello.
Eppure in tempi di crisi come quello che stiamo
vivendo, la cosa più importante, dovrebbe essere
lo stare insieme; il volersi bene, trascorrendo in
famiglia la festa più bella dell’anno.
Il mio pensiero va a coloro che avrebbero bisogno di un tetto sulla testa, di una famiglia, di un
buon pasto, senza essere costretti a vivere in ripari
fatiscenti, rimediando un pasto alla mensa dei
poveri.
E che dire dei nostri militari, che sono ancora
in zone di guerra e di tutti quegli italiani che sono
all’estero, alla ricerca di lavoro e fortuna?
Sono queste riflessioni che ci fanno capire
quanto noi siamo più fortunati ! Per questo, a me
basta davvero poco a rendermi felice, ma non solo
a Natale, e così dovrebbe essere un po’ per tutti.
Vivere della gioia che nasce nel nostro cuore e
cercare di aprirsi agli altri, abbandonando l’aspetto
di chi non è mai soddisfatto di nulla è, in fondo, lo
spirito del Natale, una festa che ci rinnova e toglie,
o almeno dovrebbe, il grigiore dai nostri visi perennemente alterati dal livore della più nera mediocrità.
E’ACCADUTO A …
Bologna - Dirigente comunale, con tanto di stipendio a
quattro zeri, ma senza avere una laurea e con un diploma
fortemente a rischio. Marco Lombardelli, 37 anni, dal 19
dicembre non è più il responsabile del Gabinetto del
sindaco di Bologna. L'ormai ex braccio destro di Virginio
Merola ha deciso di tirare i remi in barca dopo la bufera
mediatica scatenata dall'ex assessore della giunta Cofferati,
Antonio Amorosi, che aveva reso pubblico il suo singolare
status all'interno della macchina comunale bolognese: capo
di Gabinetto del sindaco, con stipendio e qualifica da
dirigente, ma senza un titolo di studio adeguato così come
prevede la legge.
Un'anomalia che ha fatto gridare allo scandalo le opposizioni. Scoperta la magagna, avevano già annunciato il
ricorso d'urgenza alla Corte dei Conti. Ma prima che la
situazione precipitasse, Lombardelli ha deciso di mollare,
motivando la sua scelta con l'ormai perduta serenità nel
suo lavoro quotidiano e con la salvaguardia della giunta
guidata da Merola.
«Le notizie di questi giorni riguardo il mio ruolo
all'interno dell'amministrazione comunale hanno segnato
irreparabilmente la serenità per svolgere al meglio un
compito delicato come quello di responsabile di Gabinetto
del sindaco», ha scritto Lombardelli in una nota inviata alla
stampa. «Ho sufficiente senso di responsabilità per agire
evitando che situazioni come questa possano essere
strumentalizzate a recare danno al sindaco e alla giunta che
stanno lavorando intensamente per il bene di Bologna». Un
addio che quasi certamente non basterà però a mettere al
riparo la giunta di centrosinistra e che adesso dovrà
spiegare una situazione quantomeno singolare. E cioè
come sia stato possibile affidare un ruolo fiduciario così
importante senza verificare, al momento della stesura del
contratto di incarico, che esistessero i requisiti di legge,
ovvero la laurea. A portare alla ribalta il curioso caso di
Marco Lombardelli è stato qualche giorno fa l'ex assessore
alla casa di Sergio Cofferati, Antonio Amorosi. Svestiti i
panni politici, Amorosi da qualche mese si è messo a fare le
pulci alla giunta Merola e dopo aver sollevato più di un
dubbio sui concorsi per alti dirigenti del Comune, ha deciso
di prendere di mira il ruolo di Lombardelli.
Quello di Lombardelli però non è un caso isolato. Altri
dirigenti, a Bologna come in molti altri comuni d'Italia, ricoprono incarichi e incassano stipendi a quattro zeri senza
necessariamente avere tutti i requisiti richiesti dalla legge.
L'escamotage più utilizzato è quello delle nomine
attraverso il meccanismo dello staff politico, particolare che
permette di far guadagnare stipendi da dirigenti laureati
anche a chi non ha mai messo un piede in un'aula
universitaria.[…]
M.Papasso
Usa animali veri per le sue opere
Si chiama Katinka Simonse, ha 31 anni e vive
ad Amsterdam. l’assassina continua a uccidere
criceti, maiali, cani e gatti, per realizzare quelle
che impropriamente chiama opere d'arte. Ma gli
animalisti non ci stanno e le fanno la guerra...
Nel 2004 Katinka Simonse, uccise il suo gatto
domestico per fabbricarsi una borsetta, generando l'ira degli animalisti olandesi.
- 29 -
Andropos in the world
LEVIORA
Cose dell’altro mondo –
Dante e Virgilio vanno per l'Inferno.
Arrivano al girone dei sodomiti, dove i dannati che camminano sulla sabbia infuocata sotto una pioggia di fuoco.
Arriva Dante con Virgilio e un diavolo scaraventa il poeta fiorentino sotto la pioggia di fuoco.
"Ahi! -grida Dante uscendo di corsa - non vedi che sono Dante? -.
Ma il diavolo lo ripiglia e lo sbatte nella sabbia rovente. «Ahia! -urla Dante- diglielo tu o maestro che sono
Dante!».
Ma il diavolone imperturbabile: -Non importa, dante o prendente, la pena é sempre la stessa! -.
Sui simpatici carabinieri –
 Nell'intervallo tra due numeri di acrobazia il presentatore propone un gioco per coinvolgere il pubblico.
Si tratta di superare tre prove per vincere 100 milioni: 1) bere in 1 minuto 20 grappini; 2) tagliare la criniera di
un ferocissimo leone; 3) sodomizzare una vecchia di 80 anni.
Si presenta il primo: crolla dopo 10 grappini, il secondo ha troppa paura del leone, il terzo.... rinuncia alla terza
prova. Finché si presenta alla gara un aitante carabiniere di 25 anni, orgoglio dell'arma.
In 30 secondi si scola i grappini.
Poi, un po' barcollante, entra nella gabbia, che viene celata al pubblico da un enorme telone.
Inizia così una lotta furibonda che il pubblico può solo intuire. Dopo qualche minuto, il ruggito di resa del leone…
poi il silenzio.
Il tendone si alza, il carabiniere, uscendo dalla gabbia, tutto stracci, esclama: "E adesso dov'é la vecchia che la
rapo a zero!".
 Esami di ammissione a carabiniere: "Mi dica il nome di tre metalli".
Il candidato: "Uranio, ustagnu, uferru".
"Mi dispiace, ustagnu e uferru vanno bene, ma uranio no; é un insetto!".
 Un carabiniere é in auto con un cucchiaio fuori del finestrino. Cosa sta facendo? Imbocca la strada!.
Son cose da pazzi –
Un ingegnere racconta ai suoi amici ingegneri: - Ieri ho conosciuto una donna bellissima in discoteca...
La invito a casa mia, le offro una cosa da bere, e comincio a baciarla…Gli amici:-Ueeehhhheeehhhhe!!- Lei mi fa: "Spogliami"!Gli amici: - Perdiana! - Al che io la spoglio completamente, la sollevo e la faccio sedere sulla tastiera del mio nuovo PC...Gli amici: - Hai un PC nuovo? Figata! Che processore? … L’hdd di quanti giga?...-
Ė vecchia, ma sempre efficace –
In un manicomio un pazzo, convinto che fuori dalla sua cella ci sia il mare, decide di scappare buttandosi dalla
finestra. Presto fatto: Dopo il tonfo il suo compagno si affaccia e gli chiede:
-Tutto apposto?L'altro, mezzo morto, da terra gli risponde:
-Si! Ma tu buttati dall'altro lato, che qui ci sono gli scogli! -
Freddure ed altro
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Abbiamo riso abbastanza, adesso pasta.
Come si chiama il direttore delle poste di Dublino? Frank o'boll.
"Tutte le strade portano a Roma" E’ un detto popolare o la conclusione dei giudici antimafia?
Era un uomo così piccolo che i capelli gli puzzavano di piedi.
Perché il bue sbatte la testa contro il muro ? ...... per farsi la bua.
Cosa fa un indiano in frak ? ........ il fico d'India.
Se lavorare fa bene, perché non lo lasciamo fare agli ammalati?
Qual é l'uccello che vola più in alto? - Quello degli astronauti!
Che premio hai vinto al concorso dei brutti? - Il No bel!
Perché agli uomini di una certa età cresce la pancetta? - Per dare un tetto ad un disoccupato!Cosa dice una supposta a un missile? - Beato te che vai in cielo!-
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- 31 -
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Giornale del 01/01 2012