Cittadini, città e
videosorveglianza
Verso un utilizzo responsabile e
democratica della videosorveglianza
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Questa pubblicazione è il risultato della collaborazione di tutti i partner del progetto «Cittadini, città
e videosorveglianza». E ‘stata pubblicata dal Forum
europeo per la Sicurezza Urbana, Roxana Calfa,
Sebastian Sperber e Nathalie Bourgeois.
Traduzione: Helga Birkle Helga, Jara Campelo,
Charlotte Combe, Kerstin Elsner, Nathalie Elson,
Gianfranca Gabbai, John Tyler Tuttle, Mariapia
Falcone.
Grafica: Pete Jeffs, Marie Aumont, STIPA
Stampato nel giugno 2010
da STIPA - Montreuil
ISBN : 2-913181-37-6
N° EAN : 9782913181373
European Forum for Urban Security
10 rue des Montiboeufs, Parigi, Francia
Tel: + 33 (0) 1 40 64 49 00
Fax: + 33 (0) 1 40 64 49 10
www.efus.eu
[email protected]
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Il progetto « Cittadini, città e videosorveglianza » e
questa pubblicazione sono stati realizzati grazie al
sostegno della Commissione Europea / Direzione
Generale Giustizia Libertà e Sicurezza /Programma
Diritti Fondamentali e Cittadinanza.
Questa pubblicazione rispecchia il parere degli autori.
La Commissione Europea non puo’ essere ritenuta
responsabile del suo contenuto e dell’uso fatto delle
informazioni e delle opinioni che contiene.
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare vivamente i partner del progetto, le città, le regioni e le forze di polizia che, con
la loro esperienza e la loro calorosa accoglienza,
hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto e di questa pubblicazione.
Esprimiamo inoltre i nostri sentiti ringraziamenti
agli esperti per il contributo ai contenuti del progetto
e alla redazione di questo libro.
Infine, i nostri più sinceri ringraziamenti vanno a
tutte le persone incontrate nel corso delle riunioni,
delle visite di studio e della conferenza finale per la
loro professionalità e la loro partecipazione.
Partners:
Catherine Schlitz, Christian Beaupère, Guy Geraerts,
Serge Lodrini (Liègi,Belgio), Bertrand Binctin Christophe Bois (Le Havre, Francia),Charles Gautier,
Dominique Talledec, Eric Fossembas (Saint-Herblain, Francia), Rossella Selmini, Gian Guido Nobili
(Regione Emilia Romagna,Italia), Francesco Scidone,
Mariapia Verdona, Marcelo Sasso, Marco Morelli
(Genova, Italia), Giorgio Vigo (Regione Veneto,
Italia), Ahmed Aboutaleb, Ineke Nierstrazs, Afke
Besselink, Niels Witterholt, Nienke Riemersma,
Wilco Mastenbroek, Linda Ouwerling, Ciska Scheidel
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(Rotterdam, Paesi Bassi), Manuel Garcia Ayala, Juan
Jose Ferrer Planells, Tomás Paris (Ibiza, Spagna),
Christopher Ambler, Fox Roger (Polizia del Sussex,
Regne Unito), Andrew Bayes, James Farrel (Polizia
metropolitana di Londra, Regno Unito).
Partners coinvolti: Stanislav Jaburek Lenka Stepankov (Brno ,Repubblica Ceca), Bela Danielisz
Gabor Gulyàs, Zoltan Nemeth, Krisztina Szego (Budapest, Ungheria).
Esperti:
Benjamin Goold (Università d’Oxford, Regno-Unito /
Università della Colombia-Britannica, Canada), Jeroen Van Den Hoven (Università technica di
Delft,Paesi-Bassi), Laurent Lim (CNIL, Francia), Maye
Seck (Forum Francese per la Securezza Urbana), Peter
Squires (Università di Brighton, Regno-Unito), Eric
Topfer (Università tecnica di Berlino, Germania).
Altri oratori /persone incontrate:
Alessandra Risso, Gianluca Saba, Yuri Piccione, Rinaldo Sironi, Valerio Piazzi, Piero Anchin, Amerigo
Alunno Dario Messina, Furio Truzzi (Genova, Italia),
Graeme Gerrad, Brian Watkinson, Hinton Dave,
Crawley Ken, Mick Neville, Isabella Sankey, (Londra
/ Brighton, Regno Unito), Isabelle Mercier, Didier
Delorme, Emmanuel Magne, George Pasini, LouisJean Despres, M. Pareja, Patrick Aujogue, Jacques
Signourel, Thierry Dussauze, Jacques Comby (Lyon,
Francia), József Schmidt, Attila Cserép, Richárd
Schranz, Péter Rózsas, Endre Szabo, Tivadar Hüttl,
Tomáš Koníček, Klára Svobodová (Budapest, Ungheria), RV de Mulder, Bush Laurie, Zsuzsanna Belényessy, Sylvie Murengerantwari , Caroline Atas (Rotterdam, Paesi Bassi).
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Sommario
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p. 9
Prefazione
Michel Marcus , direttore esecutivo del Forum Europeo
per la Sicurezza Urbana
p. 13
Introduzione
Parte I - La sfida: Conciliare l’utilizzo della
videosorveglianza con le libertà individuali
p. 27
Videosorveglianza e diritti umani
Benjamin Goold, Docente, Università di Columbia /
Università di Oxford
p. 37
Valutare la videosorveglianza : Lezioni di una
cultura di sorveglianza
Peter Squires, Professore di Criminologia e Politiche
Pubbliche, Università di Brighton
p. 61
«Privacy by design» o la protezione dei dati
personali dalla fase di progettazione: il caso
della videosorveglianza
Jeroen van den Hoven, Professore di Filosofia morale,
Technical University di Delft
p. 71
Videosorveglianza urbana in Europa: una
scelta politica?
Eric Töpfer, Ricercatore, Università Tecnica di Berlino
p. 88
La regolamentazione giuridica della
videosorveglianza in Europa
Laurent Lim, consulente, Commissione Nazionale per
la protezione dei dati personali e le libertà (CNIL)
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Parte II-Verso una Carta per l’uso democratico
della videosorveglianza nelle città europee
Invito ad aderire all’iniziativa del FESU per
l’uso democratico della videosorveglianza - una
intervista al senatore Charles Gautier
p. 107
1. Perché (raccomandazioni sotto forma di)
p. 114
una carta?
2. I principi della Carta
p. 122
3. Verso un linguaggio comune della
p. 153
videosorveglianza in Europa: proposta di una
segnaletica comune
Parte III- Focus sulle città: utilizzo della
videosorveglianza e protezione dei diritti e
delle libertà fondamentali
1.Bologna
p. 163
2.Brno
p. 168
3.Genova
p. 174
4.Ibiza
p. 179
5.Le Havre
p. 183
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p. 187
6.Liègi
p. 192
7.Londra
p. 201
8.Lione
p. 205
9.Rotterdam
p. 211
10.Saint-Herblain
p. 216
11.Sussex
p. 224
12.Veneto
p. 231
Conclusione
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Prefazione
Le città si densificano e si espandono,
moltiplicando le offerte di mobilità, di
cultura, di educazione, con conseguente
richiesta di impianti sempre più complessi, con costi
di funzionamento elevati. Diversi flussi di traffico si
incrociano, le offerte commerciali più invitanti sono
in bella mostra sotto gli occhi dei passanti e ne stuzzicano gli appetiti. La sorveglianza umana 24 ore su
24 diventa impossibile per ragioni economiche, ma
le possibilità offerte dall’espansione dell’elettronica,
che permette di raccogliere, immagazzinare e incrociare dati e informazioni ai fini del controllo, o di disporre di strumenti a fini preventivi o dissuasivi, incitano a moltiplicare le telecamere di sorveglianza
negli spazi pubblici riservati ai trasporti, utilizzati
per grandi raduni, o per esporre merci o oggetti di
alto valore commerciale. La prevenzione degli incidenti tecnici è la finalità predominante ricercata con
l’installazione di telecamere, le cui immagini non
sono unicamente visionate ‘in diretta‘, ma sono
anche, sempre più spesso, analizzate dal software.
La seconda priorità di tali impianti è quella di preservare l’integrità degli impianti pubblici; un cattivo utilizzo e il deterioramento volontario richiedono interventi tempestivi nel caso di impianti il cui
funzionamento può riguardare migliaia di persone.
➤
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La terza motivazione di tali installazioni è quella di
compensare la riduzione del personale incaricato del
controllo del buon funzionamento di un impianto.
Per tutte queste ragioni, le nostre città sono diventate accanite consumatrici di immagini di sorveglianza. I soggetti che utilizzano tali immagini
appartengono sia al settore privato, che a quello
pubblico.
È emerso però un quarto motivo, che ha impresso
una decisa svolta politica al dibattito. È infatti possibile arrestare dei delinquenti che agiscono sulla pubblica via e negli spazi pubblici grazie alle telecamere
di sorveglianza. Tale motivo è nato da una constatazione negativa, o piuttosto dal sentimento di scarsa
fiducia nell’efficienza dei servizi di polizia. Aumentare il tasso di casi chiariti dovrebbe quindi permettere di diminuire le velleità dei delinquenti di passare
all’atto. Questo assioma della criminologia di
tendenza liberale è basato sul principio che il delinquente rinuncerà al suo progetto se diventa consapevole della probabilità di farsi arrestare. È la ragione
per la quale è stata utilizzata nei testi ufficiali questa
duplice argomentazione: le telecamere di videosorveglianza contribuiscono a prevenire la delinquenza
e servono ad arrestare i delinquenti. Forse, forse...
Siamo sicuri che il gioco vale la candela? Gli studi finora condotti non dimostrano una netta diminuzione della delinquenza; si riscontrano arresti per
atti delittuosi che avevano giustificato indagini approfondite, ma non si è verificato il tanto atteso effetto di massa...e del resto tale attesa non era esente
da inquietudini. Per conseguire almeno il secondo
obiettivo, e tanto più il primo, occorre piazzare telecamere dappertutto nelle città, poiché i reati sono
distribuiti piuttosto equamente sul territorio urbano.
Di conseguenza, a partire da questa soglia, che porterebbe alla saturazione dello spazio pubblico con
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telecamere di sorveglianza, si entra in una società
della diffidenza, segnata dalle restrizioni delle libertà. Il dibattito è aperto.
Quale prezzo siamo disposti a pagare per costruire
una società il cui valore assoluto è la sicurezza? Una
relazione parlamentare francese è stata recentemente pubblicata a seguito di una serie di calamità
naturali. La sua principale conclusione è che occorre
interrogarsi sulla necessità di diffondere nuovamente tra i cittadini una cultura del rischio. Il trionfalismo della tecnologia ha fatto perdere di vista al
cittadino la nozione di rischio. Che fare per fargli
comprendere che, malgrado la tecnologia, deve
essere consapevole del fatto che viviamo in una
continua situazione di rischio? Non è forse la stessa
domanda che dovremmo porci per quanto riguarda
la delinquenza? Non esistono società sicure, senza
delinquenza, e i cittadini responsabili dovrebbero
interrogarsi e rifiutare qualsiasi mezzo che si vanti di
potere eliminare completamente il rischio.
Saturare lo spazio pubblico con una miriade di telecamere è in contrasto con il nostro diritto all’anonimato. L’autorità pubblica ha il dovere di giustificare
la violazione della nostra vita privata. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo tutela tale diritto,
ma ci pare indispensabile che le modalità dell’utilizzo delle telecamere e delle immagini siano precisate. È questo l’obiettivo del lavoro realizzato da
professionisti ed esperti, sotto l’egida del Forum.
Michel Marcus
Direttore esecutivo del Forum Europeo
per la Sicurezza Urbana
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Introduzione
L’impennata della videosorveglianza
Il primo decennio del XXI° secolo è iniziato
all’insegna di un evento che ha colpito profondamente le menti e segnato le pratiche.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno imposto
la sicurezza in quanto priorità sull’agenda mondiale.
Da quel momento, sono stati dispiegati a ogni livello
e con profusione tutti i mezzi ritenuti utili nella lotta
al terrorismo, tra cui la videosorveglianza. Sono state
invece relegate in secondo piano le questioni riguardanti la loro efficacia, l’incontro tra gli obiettivi ricercati e gli strumenti utilizzati, nonché il loro impatto
sulle libertà, soprattutto a lungo termine.
➤
Attentati terroristici erano stati commessi già ben
prima del 2001, ma non avevano avuto una tale
mediatizzazione globale. Non è certo un caso che lo
Stato europeo che più regolarmente e più a lungo
aveva vissuto l’esperienza drammatica di attentati sul
suo territorio, il Regno Unito, sia quello che ha cercato maggiormente di sviluppare tutte le risposte
possibili, sia in termini di prevenzione, che di
resilienza.
La scelta della tecnologia da applicare per far fronte
alla crescente domanda di sicurezza da parte dei cittadini ha trovato la propria giustificazione negli eventi
traumatici dell’11 settembre 2001, seguiti da quelli
dell’11 marzo 2004 a Madrid e del 7 luglio 2005 a
Londra. Da quel momento, il ricorso alla tecnologia
non ha mai smesso di espandersi in tutti gli altri paesi
europei.
Naturalmente, hanno fatto il giro del mondo sia le
immagini impressionanti trasmesse dalla televisione
solo poche ore dopo gli attentati di Londra, in cui si
vedeva come i presunti terroristi erano giunti sul
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luogo della strage, che l’intervento televisivo del
2008, nel quale il responsabile della videosorveglianza di Londra la definiva un fallimento. Passata
l’emozione degli eventi, occorreva interrogarsi sulla
pertinenza dell’utilizzo della tecnologia nelle azioni
di prevenzione, nonché sulla sua efficacia e sui vantaggi e gli inconvenienti derivanti dal suo utilizzo.
Tali interrogativi sono di attualità sia nei paesi che
prevedono di ricorrere a maggiori impianti di videosorveglianza, come è stato deciso in Francia nel 2008,
che in quelli già molto avanzati nel suo utilizzo, come
il Regno Unito. Da ormai 25 anni il Regno Unito ha
assistito a una crescita esponenziale di tali tecnologie
ed è oggi il leader mondiale dell’utilizzo della videosorveglianza. Tuttavia, da alcuni anni, numerosi voci
si sono levate per rimettere in discussione la fondatezza del principio della «videosorveglianza onnipresente» e per trarre degli insegnamenti dall’esperienza.
I britannici oggi riflettono sui loro sistemi e in particolare sul modo di utilizzarli1. Il nuovo vice primo
ministro, Nick Clegg, ha recentemente annunciato
che il governo avrebbe predisposto una nuova legge
per la tutela dei diritti fondamentali. In una conferenza stampa, rilasciata il 19 maggio 2010, ha dichiarato: “Questo governo porrà fine a questa cultura dell’intrusione nella vita privata dei cittadini. È inaccettabile
che persone rispettose della legge siano trattate come se
avessero qualcosa da nascondere …La videosorveglianza
sarà oggetto di leggi su misura2 … ” .
Tali interrogativi sono un tema di crescente attualità
anche nelle città europee, in quanto la tecnologia è
entrata a far parte delle discussioni per l’elaborazione
delle politiche locali e regionali in materia di sicurezza. Gli eletti locali devono soddisfare le domande
di sicurezza dei loro concittadini, e giustificare le loro
scelte, nel rispetto della trasparenza e dell’esercizio
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Introduzione
democratico del processo decisionale. Pur ammettendo che la tecnologia offra agli Stati la risposta più
appropriata per contrastare gravi minacce, quali il
terrorismo, cosa si fa a livello locale per la prevenzione della criminalità? La maggior parte delle città e
delle regioni europee si trova a dovere affrontare una
delinquenza quotidiana, che non ha effetti spettacolari come un attacco terroristico, ma che rappresenta
un rischio per il benessere del territorio e può nuocere
al suo sviluppo sostenibile. Devono quindi esaminare
qualsiasi strumento atto ad aiutarle a garantire la
sicurezza dei loro cittadini; non possono di conseguenza trascurare i potenziali vantaggi della
tecnologia.
I cittadini, nel conferire ai loro eletti il mandato di garantire la loro sicurezza, implicitamente danno loro
fiducia e fanno affidamento sulle loro decisioni,
affinché le scelte in materia di sicurezza non siano
operate a scapito del rispetto dei diritti e delle libertà
garantiti dalla legge. Tale fiducia presuppone d’altro
canto che le autorità assumano la responsabilità delle
loro scelte e dell’utilizzo trasparente degli strumenti
attivati ai fini della sicurezza.
Diritto alla sicurezza, diritto alla tutela della vita privata? C’è un ordine di priorità? L’uno prevale
sull’altro? In teoria, i cittadini dovrebbero poter godere di entrambi i diritti, senza dovere scegliere tra
l’uno e l’altro. I due diritti vanno di pari passo in una
società democratica e sono garantiti ugualmente sia
dalle normative nazionali, che dai testi internazionali,
quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del
Consiglio d’Europa (1950) o la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000). Nella pratica,
tuttavia, la possibilità di conciliare sicurezza e libertà
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Strategia nazionale per la videosorveglianza, 2008
Vice primo ministroDiscorso e risposte alla stampa
– 19/05/2010, Londra
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è lungi dall’essere evidente. La libertà è un diritto ‘
debole’, facilmente relativizzato di fronte alle problematiche dell’insicurezza. La videosorveglianza è una
tecnologia che solleva in tal senso molti interrogativi.
Che cosa si può filmare? Negli spazi pubblici, esiste
un diritto alla vita privata? E come tutelare tale diritto,
se esiste? Come evitare di discriminare alcuni gruppi
e come mettere i vantaggi di questo dispositivo di sorveglianza al servizio di tutta la popolazione? Cosa fare
perché la videosorveglianza funzioni bene e quando
invece si deve ricorrere ad altri strumenti? Quando si
rivela efficace nell’analisi costi-benefici? Come tutelare i dati personali e come evitare di raccoglierli inutilmente? Come utilizzare la videosorveglianza coinvolgendo i cittadini, in quanto strumento di
prevenzione della criminalità e di garanzia dell’ordine
e della tranquillità pubblica?
Una riflessione e uno scambio di esperienze
sulle prassi in materia di videosorveglianza nel
rispetto della tutela delle libertà individuali
Il progetto europeo « Cittadini, città e videosorveglianza » è nato appunto per cercare di trovare
risposte all’insieme di queste problematiche e per individuare le buone prassi. La riflessione ha potuto
svilupparsi grazie al coinvolgimento di dieci partner,
ossia le città di Le Havre e Saint-Herblain (Francia),
Rotterdam (Paesi Bassi), Liegi (Belgio), Ibiza (Spagna),
Genova e le Regioni Veneto e Emilia-Romagna (Italia),
le polizie di Londra e del Sussex (Regno Unito), con il
contributo di esperti europei. Il progetto ha ottenuto
il sostegno finanziario della Commissione europea
(programma «Diritti fondamentali e cittadinanza «).
Il progetto si era prefisso lo scopo di fornire alle città
le conoscenze e gli strumenti necessari per l’applicazione di una politica integrata in materia di sicurezza,
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Introduzione
che prenda in considerazione le realtà sociali e le
libertà, ponendole sullo stesso piano della tranquillità pubblica.
Per raccogliere le sfide poste dalla videosorveglianza
sotto il profilo dei diritti e delle libertà, i partner del
progetto si sono fissati l’obiettivo specifico di approfondire la questione fondamentale della responsabilità dell’eletto locale, che deve trovare un equilibrio
tra la domanda di sicurezza e le scelte strategiche che
gli consentono di soddisfarla in modo democratico.
Come lo indica il titolo del progetto, i cittadini sono al
centro delle politiche locali. È pertanto fondamentale
accordare un’attenzione particolare alle loro esigenze
al momento di mettere in opera o di valutare dei dispositivi di videosorveglianza. Infatti, nella misura in
cui tali dispositivi sono essenzialmente destinati ai
cittadini, questi ultimi dovrebbero non solo essere
consultati, per meglio fare conoscere le loro aspettative e i loro fabbisogni in materia di sicurezza, ma dovrebbero anche essere pienamente informati sul funzionamento, i costi e i vantaggi di tali nuovi impianti.
I partner hanno quindi esaminato come prendere in
considerazione tali questioni a ciascuna delle tappe
della messa in opera di un progetto di videosorveglianza, dalla sua installazione, al funzionamento,
fino alla valutazione, e hanno dibattuto e proposto
soluzioni alternative o complementari.
Inoltre, questo partenariato tra città, regioni, polizie
municipali e regionali ha espresso il desiderio e l’ambizione di elaborare una Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza, nel rispetto, cioè, dei diritti
fondamentali. L’obiettivo a lungo termine è di mettere
in atto le disposizioni di questa carta e di definire un
label per contrassegnare le città rispettose dei suoi
principi e delle sue raccomandazioni.
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L’idea che sottende questa iniziativa congiunta è
anche quella di stabilire un linguaggio comune sulla
videosorveglianza in Europa, accessibile e comprensibile per tutti. È un approccio necessario per garantire la trasparenza dei processi decisionali politici.
Le città aiutano le città…
La metodologia del progetto è basata sulla missione
fondamentale del Forum europeo per la sicurezza
urbana: « Le città aiutano le città ». Le città, regioni e
autorità di polizia avevano espresso il desiderio di
migliorare i loro rispettivi sistemi, condividendo le
esperienze e avvalendosi degli insegnamenti che se
ne potevano trarre. Questo scambio di opinioni è
stato arricchito e completato dai contributi di esperti,
quali il Forum francese per la sicurezza urbana e un
certo numero di professori di importanti università e
di alti funzionari, che hanno permesso di arricchire la
riflessione e di collegare ricerca e prassi. Le esperienze
di ciascuno dei partner sono state analizzate secondo
una griglia di lettura. Questi scambi di prassi e di
competenze hanno dato vita alla Carta per un utilizzo
democratico della videosorveglianza.
…per elaborare, nell’ambito di una cooperazione europea, una carta per un utilizzo
democratico della videosorveglianza.
Fin dalla riunione di avvio del progetto, svoltasi a Parigi nell’aprile del 2009, la quantità delle esperienze e
la diversità delle situazioni dei vari partner sono state
poste in risalto. In primo luogo le diversità tecniche,
con notevoli divari, sia per quanto riguarda il numero
di telecamere (da quattro a 60.000!), che il tipo di
impianti e le loro funzionalità, nonché la copertura
geografica. È altresì emersa la diversità dei contesti
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Introduzione
politici: quali autorità possono decidere di installare
telecamere di sorveglianza negli spazi pubblici, quali
operatori possono essere i gestori degli impianti,
quali sono le persone autorizzate a trasmettere le
informazioni e quali possono esserne i destinatari,
quale ambito giuridico, quali dibattiti sulla videosorveglianza a livello nazionale e locale (vedi parte III di
questa pubblicazione). Si è constatata inoltre una diversità in termini di leggibilità e di percezione della
videosorveglianza da parte dei cittadini delle città
partner del progetto: percezione favorevole per gli uni,
diffidenza per gli altri, con conseguenti vari livelli di
dibattito pubblico sul tema dell’utilizzo delle telecamere e della protezione dei diritti fondamentali. Diversità anche di situazioni e di normative, infine, che
ha posto in evidenza la difficoltà di giungere a un
accordo su quale dovesse essere il campo di applicazione del progetto: la videosorveglianza unicamente
nello spazio pubblico? Come trattare gli spazi semipubblici, quelli privati ad uso pubblico? L’impostazione prescelta è stata quella di concentrarsi sullo
spazio pubblico, per il quale tutti i partner hanno
competenza, senza peraltro perdere di vista i sistemi
di videosorveglianza degli spazi semipubblici, che
costituiscono una parte notevole dei sistemi esistenti
e per i quali le conclusioni del progetto potrebbero
fornire utili spunti di riflessione.
Il primo obiettivo del progetto è stato quello di disporre di una panoramica delle prassi in materia di
videosorveglianza e dei provvedimenti adottati per
tutelare la vita privata dei cittadini. Le griglie di lettura delle prassi dei partner del progetto hanno
consentito di vedere in che modo e fino a che punto la
protezione dei dati fosse integrata nelle differenti fasi
del ciclo di vita di un sistema di videosorveglianza
(l’analisi dei bisogni, l’installazione, la gestione e la
valutazione).
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Per completare questo quadro generale e avere una
comprensione comune della problematica, i partner
del progetto, fin dal primo seminario, che si è svolto
nella città di Le Havre dal 3 al 4 giugno 2009, hanno
potuto avvalersi del contributo di esperti provenienti
da vari ambiti, giuridico, politico/sociologico, tecnico,
filosofico, nonché di rappresentanti di ONG attive nel
campo della tutela dei diritti umani e di associazioni
delle forze di polizia.
Gli esperti e i professionisti hanno concordato sulle
principali sfide della videosorveglianza negli spazi
pubblici, e cioè:
➤ trovare il modo di preservare i codici sociali dell’intimità nello spazio pubblico videosorvegliato. La tematica è sviluppata in questa pubblicazione da Benjamin Goold. È inoltre trattata nella giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, relativa ai ricorsi presentati contro i
«paparazzi»;
➤ trovare un buon equilibrio in termini di rapporto
costi-benefici tra il prezzo che la gente è disposta a
pagare, rinunciando a un certo livello di intimità, e i
vantaggi che ottiene grazie a una sicurezza potenziata. Il che implicherebbe che tutte le decisioni fossero prese con la perfetta consapevolezza e la piena
conoscenza dei loro effetti e delle loro conseguenze;
➤ il mancato rispetto delle disposizioni relative alla
tutela della sua intimità non è percepito dal cittadino
come un fattore molto importante, ma, in fin dei
conti, tutte le piccole intrusioni nella vita privata possono assumere alla fine proporzioni notevoli, e ogni
sviluppo tecnologico può decuplicare questa tendenza. La tutela della vita privata nello spazio pubblico è di competenza dell’autorità politica e i soggetti
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Introduzione
interessati dovrebbero essere associati alla definizione di questo approccio. È quindi parso necessario
prendere in considerazione la tutela dei dati e delle
libertà individuali a ogni livello dell’utilizzo della
videosorveglianza.
In un secondo tempo, il progetto ha consentito di esaminare in modo particolareggiato le prassi seguite in
materia di videosorveglianza in occasione di visite di
studio organizzate da tre partner del progetto: il comune di Genova (Italia), la polizia metropolitana di
Londra e la polizia del Sussex (Regno Unito) e Lione
(Francia), città associata al progetto.
Queste visite hanno anzitutto permesso di ottenere informazioni dettagliate sull’utilizzo della videosorveglianza, nonché di vedere sul campo come è gestito un
sistema e scambiare opinioni con i vari soggetti che lo
gestiscono sulle problematiche e sui vantaggi di questa
tecnologia.
La visita di studio a Londra e a Brighton ha in particolare fornito informazioni sull’esperienza inglese della
videosorveglianza, integrata negli strumenti di investigazione per le indagini criminologiche, e ha permesso
di avere un’idea sui dibattiti in corso nel Regno Unito
sull’impatto di questa tecnologia sulla vita
privata, grazie ad incontri con esperti del governo in
materia di lotta al terrorismo e con militanti di ONG, tra
cui Liberty.
La visita a Genova ha illustrato la realtà di una città italiana in cui esistono più sistemi di videosorveglianza,
dipendenti da istituzioni diverse. La sfida in questo
caso è rappresentata dalla condivisione delle informazioni: fino a che punto e in quali condizioni?
La visita a Lione ha in particolare permesso di comprendere l’approccio di una città che già aveva accom-
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pagnato il suo sistema di videosorveglianza con una
carta etica, e che aveva inoltre creato un centro etico,
incaricato di controllare il funzionamento del sistema.
Le visite di studio hanno inoltre posto in risalto il fatto
che le città e le regioni utilizzano la videosorveglianza
in modo diverso, in funzione degli obiettivi perseguiti,
e hanno anche di conseguenza permesso di constare le
differenze riguardanti i protocolli di gestione, la
comunicazione, i rapporti tra telecamere pubbliche e
private e il comportamento dei cittadini, divisi tra sostegno e opposizione. È emerso chiaramente che l’impatto della videosorveglianza varia a seconda della natura e della dimensione degli spazi sorvegliati, del tipo
di reati, del fatto che la tecnologia sia associata o meno
ad altre misure di prevenzione.
Le visite hanno d’altra parte permesso di individuare
un certo numero di dispositivi e di misure attuate per
garantire la tutela della vita privata dei cittadini, tra cui
il parametraggio speciale delle telecamere, la formazione degli operatori in materia di quadro giuridico
disciplinante la tutela dei dati, le carte di buone prassi
o di «buon utilizzo» con le quali le città si impegnano a
rispettare i diritti fondamentali, nonché i sistemi di supervisione indipendente.
Le consulenze degli esperti, le visite di studio dei siti,
gli incontri con i professionisti locali, le griglie di lettura per descrivere le prassi dei partner hanno in seguito servito come punto di partenza e come base delle
discussioni dei due seminari di lavoro, che si sono tenuti a Budapest, dal 2 al 3 dicembre 2009 e a Bologna,
dall’11 al 12 marzo 2010.
Il seminario di Budapest ha inoltre fornito l’occasione
per includere nel progetto alcune prassi dell’Europa
centrale, grazie ai contributi locali e alle visite du studio
nella città, grazie anche all’incontro con l’ombudsman
per la tutela dei dati e con varie ONG ungheresi e ai
contributi della città di Brno (Repubblica ceca) e del
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Introduzione
ministero dell’interno della repubblica ceca. Il seminario ha permesso di porre in risalto la difficoltà di trovare un linguaggio comune, destinato a rispecchiare
problematiche europee diverse, e la necessità di superare le divisioni politiche per trovare un denominatore
comune che non sia semplicemente un accordo minimo dei partner. Per esempio, la nozione di una carta
« etica », del tutto apprezzata in Francia, non è stata
accettata in modo unanime a livello europeo. La soluzione raggiunta, ossia di una carta per un « utilizzo
democratico » della videosorveglianza, traduceva nel
miglior modo possibile lo spirito del progetto, che
pone il cittadino al centro delle politiche sociali, nel
rispetto dell’esercizio democratico del potere rappresentativo degli eletti. La scelta tra le nozioni di « videoproiezione» o di « videosorveglianza » è stata anch’essa
lungamente dibattuta.
Le discussioni si sono ugualmente concentrate sulla
creazione di un label per la messa in applicazione della
Carta. Tale label dovrebbe essere assegnato alle città
che rispettano questi principi. Anche su questo punto i
pareri non erano del tutto convergenti: mentre taluni
lo hanno visto immediatamente come il proseguimento logico del lavoro svolto per la messa in opera
della carta, altri hanno espresso delle riserve sull’idea
che una città debba essere sottoposta a una valutazione per poter ottenere il label. In ogni modo, nell’ambito di questo progetto non si era previsto di studiare
l’istituzione di un label, ma unicamente di esaminarne
la fattibilità.
Il seminario di Bologna è servito a individuare i principi fondamentali della carta, declinati a ogni fase del
ciclo di vita del sistema. La sfida consisteva nel trovare
dei principi indipendenti, ma complementari, che possano caratterizzare, nel loro insieme, un utilizzo democratico della videosorveglianza. Ha inoltre fornito
l’occasione per proporre un’iniziativa mirante a creare
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un linguaggio comune in tutta Europa nel campo della
videosorveglianza, ossia di creare una segnaletica comune, standardizzata, in grado di trasmettere un messaggio chiaro e completo a qualsiasi cittadino europeo.
Numerose discussioni si sono concentrate sulle informazioni indispensabili che dovrebbe comportare tale
segnaletica, sulla base di quanto già esiste nelle città e
nei paesi partecipanti al progetto. La definizione dei
sette principi unificatori che rappresentano il fulcro
della Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza e le spiegazioni e i commenti che li hanno accompagnati sono stati stilati dai partner nel corso di
un lavoro comune, in occasione di un seminario svoltosi a Parigi il 9 aprile 2010.
La conferenza finale del progetto, ospitata dalla città
di Rotterdam dal 27 al 28 maggio 2010, oltre ad essere il coronamento dei 18 mesi di lavoro dei partner,
ha sottolineato il riconoscimento della responsabilità
degli eletti in materia di utilizzo della videosorveglianza. I sindaci di Rotterdam, Ahmed Aboutaleb e
di Saint-Herblain, Charles Gautier, senatore e presidente del Forum francese per la sicurezza urbana, in
quanto primi firmatari della carta, hanno ribadito il
fatto che gli amministratori locali sono responsabili
dinanzi ai cittadini degli strumenti scelti per l’attuazione delle loro politiche e che hanno inoltre l’obbligo
di trasparenza. I due sindaci hanno invitato le altre
città europee a firmare la carta.
La presente pubblicazione intende rispecchiare, come
già indicato, questo lungo lavoro, che ha consentito ai
dieci partner europei del progetto di condividere punti
di vista con esperti provenienti da diversi paesi europei, scambiare opinioni sulle prassi sperimentate
nelle città, dibattere delle sfide e delle problematiche
poste dalla videosorveglianza in materia di rispetto
della vita privata e infine formulare alcune proposte
miranti a trovare risposte comuni.
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Parte I
➤
La sfida:
conciliare l’utilizzo della
videosorveglianza con
le libertà individuali
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I sistemi di videosorveglianza e
i diritti umani
Benjamin Goold, Docente, Università della British
Columbia Columbia / Università di Oxford
Nel corso degli ultimi vent’anni, l’utilizzo
di telecamere di videosorveglianza si è
generalizzato in tutta l’Europa. Sebbene
certi paesi, quali la Francia, la Germania, i Paesi Bassi
e l’Italia siano stati all’inizio piuttosto riluttanti a
seguire l’esempio del Regno Unito, i sistemi di videosorveglianza sono ormai installati nelle città di tutto il
continente, con la conseguenza che la presenza di
telecamere per monitorare le aree pubbliche è diventato per un crescente numero di europei un aspetto
imprescindibile della vita cittadina. Malgrado il
notevole sostegno che buona parte dell’opinione
pubblica sembra accordare all’utilizzo dei sistemi di
videosorveglianza, tra le conseguenze più serie della
diffusione di questa tecnologia si deve citare la preoccupazione che possa incidere negativamente sulle
libertà civili e sui rapporti tra i cittadini e lo Stato. In
particolare, le telecamere di videosorveglianza rappresentano una concreta minaccia per la vita privata delle
persone e per il libero esercizio dei loro diritti, quali la
libertà di espressione e di associazione. Di conseguenza, è indispensabile che i responsabili della
gestione e del funzionamento di questi sistemi siano
sensibilizzati ai pericoli legati alla sorveglianza delle
aree pubbliche, e che si adoperino per garantire che
non costituisca una minaccia per i diritti umani
fondamentali.
➤
Il presente capitolo contiene una breve rassegna delle
conseguenze della videosorveglianza sui diritti umani
e si propone di aiutare i gestori e gli operatori dei sistemi di controllo a sviluppare politiche e prassi di sor-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
veglianza delle aree pubbliche coerenti con l’impegno
di tutelare i diritti fondamentali degli individui e il
rispetto delle libertà civili.
I sistemi di videosorveglianza e il rispetto della
vita privata
Noi tutti, senza eccezione, abbiamo bisogno di un certo
livello di privacy, senza il quale sarebbe impossibile
mantenere la propria dignità, sviluppare significative
relazioni con gli altri, o semplicemente riflettere nei
momenti di solitudine. La privacy è fondamentale per
conoscere ed esprimere il proprio io; ci libera infatti
dalla preoccupazione di essere costantemente osservati
e giudicati dalle persone che ci circondano e ci permette
di decidere in modo autonomo come e quando trasmettere ad altri delle informazioni che ci riguardano3.
Per questi motivi, la maggior parte dei paesi riconosce
almeno il diritto basilare al rispetto della vita privata e
limita la possibilità che individui, enti privati o Stato
possano raccogliere informazioni sulla vita privata delle
persone, o monitorarle senza il loro consenso e a loro
insaputa4.
È importante riconoscere che il diritto al rispetto della
vita privata non scompare appena usciamo da casa.
Sebbene nessun essere ragionevole si aspetti di godere
dello stesso identico livello di privacy per strada e nel
salotto di casa propria, la maggior parte di noi si aspetta
comunque di avere diritto a una certa privacy e alla legittima tutela dell’anonimato quando si trova in un
luogo pubblico. In realtà, uno dei grandi piaceri di
vivere nelle metropoli o in città di medie dimensioni è
appunto la possibilità di perdersi nella folla senza
doversi preoccupare di quello che pensano i familiari,
gli amici o i colleghi. In parte, potremmo dire che è proprio tale promessa di anonimato e di libertà che attira
molta gente nelle strade delle città. Parimenti, anche se
poche persone, incontrando per caso un amico o un
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I sistemi di videosorveglianza e i diritti umani
conoscente in un ristorante o in un bar, si aspettano di
non essere affatto oggetto di osservazione o di eventuali critiche, esistono salde convenzioni sociali che ci
aiutano a godere di un ragionevole livello di privacy in
tali circostanze. È chiaro che abbiamo diritto a una
certa privacy in pubblico5, anche se non possiamo
pretendere che sia identica a quella di cui godiamo
nello spazio privato della nostra abitazione, o della
nostra auto.
Per natura, i sistemi di videosorveglianza nelle aree
pubbliche limitano tale diritto. Le telecamere di sorveglianza, per il semplice fatto che ci espongono al rischio
di essere osservati ogni qualvolta passeggiamo per
strada, ci tolgono la libertà dell’anonimato e ci rendono
visibili all’occhio vigile dello Stato. Pur essendo ovvio
che rinunciamo a gran parte della nostra privacy
quando ci rechiamo in un luogo pubblico, non è valido
l’argomento degli utilizzatori della videosorveglianza,
quando sottolineano che altre persone in ogni modo ci
osservano se siamo in un’area pubblica. Una cosa è
essere osservati da un estraneo che passa, un’altra è
essere osservato (e probabilmente ripreso) da una telecamera. Questo tipo di osservazione è di norma più
prolungato, più intenso ed è intimamente connesso
con il potere dello Stato. Proprio per il fatto che non
3
Per una panoramica delle varie teorie della privacy, vedi: Solove, D.J.
(2002), “Conceptualizing Privacy”, California Law Review 90:
1087-1155; Solove, D.J. (2009) Understanding Privacy (Harvard
University Press: Cambridge, Mass.); Nissenbaum, H. (2010), Privacy
in Context (Stanford University Press: Stanford, California).
4
Una delle affermazioni più incisive di tale diritto è sancita nell’articolo
8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che enuncia: “Ogni
persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo
domicilio e della sua corrispondenza.”
5
Vedi: Goold, B.J. (2002), “Privacy Rights and Public Spaces:
CCTV and the Problem of the ‘Unobservable Observer’”, Criminal
Justice Ethics 21(1) Winter/Spring; and Goold, B.J. (2008)
“The Difference between Lonely Old Ladies and CCTV Cameras:
A Response to Jesper Ryberg”, Res Publica (marzo).
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
possiamo vedere, né interrogare la persona dietro la
telecamera, è difficile per noi sapere come comportarci
quando ci rendiamo conto di essere osservati, o decidere che cosa fare al riguardo. Non sappiamo se le
immagini riprese dalle telecamere saranno conservate,
né sappiamo chi vi può avere accesso; non possiamo
neanche essere sicuri che non saranno male interpretate o utilizzate a fini impropri. Come lo ha notato il
filosofo e criminologo Andrew von Hirsch, essere
osservati da telecamere di videosorveglianza “è come
svolgere le proprie attività entro uno spazio dotato di
specchio unidirezionale, con la consapevolezza che
qualcuno ci sta osservando attraverso lo specchio,
senza necessariamente sapere chi ci sta osservando o
che cosa stia ricercando6.”
Oltre all’evidente intrusione nella vita privata, è
questa incertezza causata dalla presenza di telecamere di videosorveglianza che rappresenta una delle
maggiori minacce alla nostra privacy quando ci
troviamo in un luogo pubblico. Di fronte alla prospettiva di una videosorveglianza costante, è ragionevole aspettarsi che alcune persone sopportino difficilmente la perdita della privacy e cambino i loro
comportamenti, non perché stanno compiendo un
atto riprovevole, bensì perché non vogliono essere
oggetto delle attenzioni della polizia o rischiare di
essere male interpretate. È probabile che sia questo
l’atteggiamento dei giovani e di certe minoranze, che
possono già sentirsi ingiustamente controllate dalla
polizia e dagli enti locali. Come lo ha sostenuto
Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della
tutela dei dati personali:
“Il fatto di sentirsi osservati cambia il nostro comportamento. In realtà, molti di noi, se sanno di essere osservati, possono autocensurarsi. Certamente è quanto
avviene in presenza di una videosorveglianza diffusa e
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I sistemi di videosorveglianza e i diritti umani
continua. Sapere che ogni nostro movimento o gesto è
monitorato da una telecamera può avere un impatto
psicologico e spingerci a mutare i nostri comportamenti.
Il che costituisce un’interferenza nella nostra vita
privata.7”
In che modo gli operatori e i gestori dei sistemi di
videosorveglianza devono sforzarsi di garantire che
la loro presenza nelle aree pubbliche non costituisca
una violazione del diritto alla vita privata o non provochi cambiamenti negativi nel nostro utilizzo degli
spazi pubblici? È anzitutto essenziale che tali sistemi
siano gestiti conformemente alle legislazioni locali e
nazionali e che venga compiuto ogni sforzo per
prevenire l’abuso delle telecamere e le intrusioni
nella sicurezza del sistema. In secondo luogo, le
telecamere di sorveglianza dovrebbero essere utilizzate unicamente per le finalità individuate al momento in cui è stata presa la decisione di installarle:
si devono evitare i rischi di “function creep” (“scivolamento” indebito degli obiettivi verso altre finalità).
I sistemi devono infine essere aperti e trasparenti e le
persone incaricate della loro gestione devono essere
direttamente responsabili delle loro scelte di fronte
al pubblico. Nella consapevolezza che le installazioni
di telecamere di videosorveglianza negli spazi pubblici hanno inevitabilmente un effetto negativo sulla
privacy dei singoli individui, gli operatori e i responsabili della videosorveglianza, adottando le impostazioni sopraccitate, possono aiutare a minimizzare al
6
von Hirsch, A. (2000), “The Ethics of Public Television Surveillance”
in von Hirsch, A., Garland, D. and Wakefield, A. (eds.)
Ethical and Social Perspectives on Situational Crime Prevention
(Hart Publishing: Oxford)
7
«Legal Restrictions – Surveillance and Fundamental Rights», discorso
pronunciato da Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della
tutela dei dati personali al Palazzo di Giustizia, Vienna, 19 giugno
2009 (disponibile sul sito:
ww.edps.europa.eu/.../site/.../09-06-19_Vienna_surveillance_EN.pdf)
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
massimo il rischio della perdita di privacy e garantire
che la sorveglianza sia legittima ed appropriata.
I sistemi di videosorveglianza, la libertà di
espressione e di associazione
Fermo restando che le telecamere di videosorveglianza incidono negativamente sulla vita privata
delle persone, l’uso delle tecnologie di sorveglianza
delle aree pubbliche da parte della polizia e dei
governi locali può inoltre violare altri diritti umani
fondamentali. In particolare, la videosorveglianza
può scoraggiare le persone a esercitare il diritto alla
libertà di espressione e di associazione negli spazi
pubblici. Si tratta di due diritti essenziali per il
concetto stesso di autodeterminazione democratica,
che devono essere tutelati per garantire a tutti la
libertà di organizzarsi secondo le loro opinioni politiche, di criticare le decisioni dei loro rappresentanti
eletti e di chiedere ai loro governi di rendere conto del
loro operato. Se i cittadini sanno che possono essere
ripresi da telecamere ogni qualvolta partecipano a un
raduno o a una marcia di protesta, esiste un rischio
reale che la presenza di telecamere di sorveglianza
possa paralizzare la loro libertà di azione e ridurre le
libertà politiche e la partecipazione democratica8.
Questo punto è stato recentemente riconosciuto dal
Dipartimento della sicurezza nazionale degli Stati
Uniti in una valutazione dell’impatto sulla privacy di
un sistema di videosorveglianza gestito dal dipartimento dell’immigrazione e delle dogane degli Stati
Uniti:
8
Come affermato da Keith Boone, la tutela della privacy è “essenziale
per una società democratica, [poiché] garantisce la libertà di
esprimere il proprio voto, di tenere discussioni politiche e di associarsi
liberamente lontano dagli sguardi e senza timore di rappresaglie.” Di
conseguenza, laddove la sorveglianza minaccia la privacy, costituisce
anche una minaccia per la libertà politica. Boone, C. K. (1983),
“Privacy and Community”, Social Theory and Practice 9(1): 8.
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I sistemi di videosorveglianza e i diritti umani
Le telecamere possono riprendere e registrare le immagini delle persone e fornire al governo informazioni su
quello che dicono, fanno e leggono nelle aree pubbliche,
per esempio filmando un determinato raduno o
riunione. Il che può avere un effetto paralizzante e limitare il loro desiderio di avvalersi dei loro diritti di
espressione e di associazione”9.
In considerazione della minaccia potenziale che rappresenta per la libertà di espressione e di associazione, è importante che la videosorveglianza sia utilizzata unicamente per prevenire la criminalità e
promuovere la sicurezza pubblica, e mai allo scopo
di raccogliere informazioni sulle idee politiche o sulle
attività dei cittadini. Per esempio, se le forze di
polizia dovessero utilizzare la videosorveglianza per
monitorare una marcia di protesta, al fine di mantenere l’ordine o di evitare violenze, devono accertarsi
di non conservare le immagini delle persone, a meno
di doverle utilizzare come prova nell’ambito di indagini penali. D’altra parte, qualora le immagini di una
persona fossero registrate allo scopo di perseguirla
per un reato penale, non dovrebbero essere successivamente trasmesse ai servizi di sicurezza o ad altre
autorità incaricate di fare rispettare la legge, tranne
in caso di impellente necessità.
9
Dipartimento della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Privacy
Impact Assessment for the Livewave CCTV System (Settembre 17, 2009).
Lo stesso punto è stato sollevato da G. Buttarelli, che ha affermato: “La
videosorveglianza può scoraggiare comportamenti legittimi, quali
proteste contro politiche impopolari. I partecipanti a tali manifestazioni
tradizionalmente hanno il diritto di partecipare in modo anonimo a
raduni pacifici, senza correre il rischio di essere identificati o di possibili
ripercussioni. La situazione sta fondamentalmente cambiando.” Vedi:
“Legal Restrictions – Surveillance and Fundamental Rights”, Discorso
pronunciato da Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della
tutela dei dati personali, al Palazzo di Giustizia, Vienna, 19 giugno
2009, p. 8.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
Oltre a tali restrizioni, la polizia e gli altri utilizzatori
della videosorveglianza nelle aree pubbliche devono
garantire che il pubblico sia pienamente informato
sugli scopi, il funzionamento e i regolamenti del sistema. Se si vogliono evitare gli effetti paralizzanti
della videosorveglianza, non basta restringere l’utilizzo di tali sistemi e adottare adeguati e solidi provvedimenti per la tutela della privacy. Il pubblico
deve inoltre essere convinto che non ci saranno abusi
di tali sistemi, e che col passare del tempo non
saranno utilizzati a scopi politici. E’ particolarmente
importante in quei paesi in cui il processo di transizione democratica è ancora recente e dove con ogni
probabilità sono ancora relativamente freschi nella
memoria dei cittadini i ricordi della repressione politica. La fiducia nelle forze di polizia e nel governo è
difficile da ottenere e la si può perdere facilmente, e
pare evidente che il cattivo utilizzo dei sistemi di
videosorveglianza a scopi politici o per altri scopi
illegittimi potrebbe minare seriamente tale fiducia.
Riconciliare sicurezza e sicurezza nazionale
e diritti umani
In certe circostanze è effettivamente legittimo e necessario
sacrificare fino a un certo punto la privacy e altri diritti
fondamentali, nell’interesse della sicurezza. Le nostre società devono essere in grado di difendersi nel miglior modo
possibile contro le minacce. Tuttavia, l’onere della prova
deve sempre risultare a carico di coloro che affermano che
tali sacrifici sono necessari e che le misure proposte sono
pienamente efficaci per proteggere la società.
Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto della
tutela dei dati personali:
Vienna, giugno 2009 10
Una delle questioni più complesse che deve affron-
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I sistemi di videosorveglianza e i diritti umani
tare la società è quella di trovare il modo di conciliare
la domanda di sicurezza della popolazione con la necessità di rispettare e di tutelare i diritti degli individui. La videosorveglianza nelle aree pubbliche,
nelle strade e nei centri cittadini può svolgere un
ruolo essenziale per ridurre la criminalità e i disordini, ma può altresì rappresentare una seria minaccia
per i diritti dei singoli individui e i diritti politici. È
pertanto indispensabile che la polizia e gli altri
utilizzatori della videosorveglianza tengano presenti
i seguenti principi quando installano qualsiasi forma
di sorveglianza nei luoghi pubblici:
➤ La videosorveglianza rappresenta inevitabilmente
una violazione del diritto al rispetto della vita privata
Ne deriva che la polizia e i governi locali hanno l’obbligo di fornire una giustificazione convincente e legittima per l’utilizzo delle telecamere di sorveglianza
nelle aree pubbliche e di sviluppare sistemi di
controllo e di rendicontazione che si sforzino di
minimizzare al massimo gli effetti negativi della
videosorveglianza sulla privacy dei cittadini.
➤ La videosorveglianza rappresenta una seria minaccia
per l’esercizio della libertà politica
Dal momento che la sorveglianza degli spazi pubblici
e degli eventi da parte dello Stato può seriamente
ridurre la capacità e la volontà delle persone di esercitare il loro diritto di espressione e di associazione,
non deve mai essere utilizzata al fine di raccogliere
informazioni sulle attività politiche dei cittadini o
sulla loro adesione ad associazioni. Gli organismi
che utilizzano la videosorveglianza devono essere in
10
«Legal Restrictions – Surveillance and Fundamental Rights»,
Discorso pronunciato da Giovanni Buttarelli, Garante europeo aggiunto
della tutela dei dati personali, al Palazzo di Giustizia, Vienna, 19
giugno 2009, p.4 (disponibile sul sito: www.edps.europa.eu/.../
site/.../09-06-19_Vienna_surveillance_EN.pdf)
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
grado di garantire che le telecamere non saranno utilizzate a scopo politico, o al fine di scoraggiare la
partecipazione a raduni o proteste.
➤ I cittadini devono essere convinti che gli enti che uti-
lizzano la videosorveglianza rispetteranno i loro diritti
Occorre rilevare che uno degli aspetti forse più importanti è che i cittadini devono potere avere fiducia
negli organismi che utilizzano la videosorveglianza
ed essere convinti che rispetteranno i loro diritti, e
tale fiducia deve essere giustificata. Anche nei casi in
cui la videosorveglianza non è utilizzata per fini impropri, se il pubblico è convinto che i suoi diritti
potrebbero essere violati, la presenza di telecamere
può minare seriamente la fiducia nella polizia e nel
governo. Non basta che gli organi che utilizzano la
videosorveglianza rispettino i diritti degli individui:
la gente deve essere inoltre convinta che si impegnano a tutelare la privacy e a rispettare la libertà di
espressione e di associazione.
Per operare la videosorveglianza, le forze di polizia e
gli enti pubblici devono affrontare una delle esigenze
maggiormente sentite nelle società democratiche
moderne, e cioè la coerenza tra la domanda di sicurezza e l’impegno di tutelare i diritti degli individui.
Per conciliare tali obiettivi, la polizia e gli altri organi
devono per prima cosa cominciare col riconoscere
che spetta allo Stato giustificare la necessità di osservare i cittadini, e non ai cittadini spiegare perché
non vorrebbero essere osservati. Se si trascura questa
verità fondamentale, sarà solo questione di tempo
prima che la videosorveglianza incominci a compromettere certi diritti.
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Valutare la videosorveglianza:
insegnamenti che si possono trarre
da una cultura della sorveglianza
Peter Squires, Professore di Criminologia e Politiche
Pubbliche, Università di Brighton
Fin dagli anni ’90, la Gran Bretagna ha
stanziato massicci investimenti per la realizzazione di sistemi di videosorveglianza,
al punto che il paese conta attualmente il numero
più elevato di impianti di questo tipo rispetto al resto
del mondo. La questione della proliferazione della
videosorveglianza e del diritto dei cittadini al rispetto
della vita privata e delle libertà fondamentali ha suscitato appassionati dibattiti nel corso delle ultime
elezioni generali. È vero che la videosorveglianza ha
contribuito a diminuire la criminalità nel Regno
Unito? Che lezioni si possono trarre dall’esperienza
britannica? Risponde a tali interrogativi Peter
Squires, Docente di criminologia e di politiche per la
sicurezza presso l’Università di Brighton.
➤
Il dispiegamento dei sistemi di videosorveglianza nel
Regno Unito può fornire ad altre società un’ottima
opportunità per trarre utili insegnamenti. Alcuni potrebbero ritenere che persino questa affermazione
sia un punto di partenza troppo controverso. Come
lo ha sostenuto la Professoressa Marianne L. Gras
nel suo articolo del 2004, The Legal Regulation of
CCTV in Europe, anche se il Regno Unito è probabilmente stato il primo paese in Europa in termini di
importanza dei suoi investimenti in materia di
videosorveglianza, altri esperti non sono così
convinti che i meccanismi britannici di vigilanza
giuridica e politica siano andati di pari passo o che il
modello britannico debba essere seguito dappertutto.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
Nel corso degli ultimi vent’anni, il governo britannico è stato il leader mondiale per quanto riguarda
gli investimenti in materia di videosorveglianza. Come
lo ha affermato senza mezzi termini il Ministero britannico dell’Interno: «Sotto molti punti di vista, abbiamo guidato il resto del mondo, a partire dalle
prime introduzioni della videosorveglianza negli
anni ’70, fino al massiccio incremento degli impianti
e dell’uso degli anni ’90.» Soltanto tra il 1999 e il
2003, circa 170 milioni di sterline (corrispondenti
più o meno a 200 milioni di euro del 2010) sono stati
messi a disposizione delle autorità locali per il finanziamento della videosorveglianza, nel quadro di un
processo di gare di appalto, con il risultato che oltre
680 programmi di videosorveglianza sono stati
installati nei centri città e altre aree pubbliche in
tutta la Gran Bretagna.
Come è forse comprensibile, con la rapida estensione
di una tecnologia relativamente ancora nuova e poco
conosciuta, furono commessi molti errori; ci è voluto
del tempo, e talvolta la lezione è stata dura, prima
che si potessero trarre insegnamenti su quello che la
videosorveglianza poteva o non poteva ottenere.
Benjamin Goold, Professore associato alla Facoltà di
legge dell’Università della British Columbia, e precedentemente professore incaricato a Oxford, nel 2004
aveva già osato affermare che, per quanto il Governo
fosse disposto a finanziare lo sviluppo di nuovi sistemi di videosorveglianza in molte città britanniche,
«apparentemente non dimostra grande interesse per
accertarsi che funzionino effettivamente». Ne deriva
che la videosorveglianza si è sviluppata molto rapidamente nel Regno Unito, più rapidamente, in realtà,
di quando fosse giustificato dal suo impatto o dalla
sua efficacia, dal momento che nelle aree in cui era
stata installata il suo effetto è parso piuttosto trascurabile sulla diminuzione del tasso di criminalità.
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
Malgrado ciò, ha prevalso un’ondata di grandi aspettative, per niente realistiche, sostenute in parte dalla
“diabolica alleanza» di dirigenti della polizia entusiasti, di direttori marketing dell’industria della sicurezza e di cittadini timorosi, fiduciosi nelle capacità
della videosorveglianza di risolvere molti dei problemi
di criminalità e di ordine pubblico delle nostre città.
Come indicato nelle conclusioni di una valutazione
del Ministero dell’interno del 2005:
«la [videosorveglianza] è stata “venduta” dai vari governi successivi come la risposta ai problemi della
criminalità. Pochi degli enti che si precipitarono per
ottenere i fondi disponibili hanno intravisto la
necessità di dimostrare la sua efficacia....eppure
raramente il suo utilizzo si è rivelato la miglior risposta possibile per contrastare la criminalità in certe
specifiche circostanze.» Con l’aumento degli investimenti negli impianti di videosorveglianza da parte di
altri paesi, l’esperienza del Regno Unito può fornire
utili insegnamenti, grazie al trasferimento delle esperienze, aiutando a evitare gli errori, a sviluppare
migliori prassi, a chiarire le questioni in sospeso e
perfino a risparmiare denaro pubblico. Può inoltre
dare vita a linee politiche comprovate dai fatti. In un
processo decisionale che verte sulla questione
fondamentale del potere statale e della sicurezza, da
un lato, e del rispetto della privacy e dei diritti dei
cittadini, dall’altro lato, le tematiche riguardanti la
gestione, la governance e il controllo dei sistemi di
videosorveglianza nel Regno Unito possono fornire
ad altri paesi un’utile base sulla quale definire le loro
politiche. L’esperienza britannica può essere un
valido insegnamento per il Forum europeo per la
sicurezza urbana, che mira a sviluppare un carta
etica europea di buone prassi in materia di videosorveglianza. Più generalmente, l’esperienza britannica
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
può inoltre confermare una scomoda verità sulle
politiche a favore dell’ordine pubblico e della sicurezza. Come già sottolineato da David Garland nel
2001, nel suo libro The culture of control, «Le strategie di controllo della criminalità … non sono state
adottate perché hanno dimostrato di potere risolvere
i problemi.»
Le linee politiche e le strategie spesso sono adottate
perché sono vantaggiose, popolari, poco onerose,
coerenti con priorità esistenti, o sostenute da interessi dominanti. Stephen Savage (Professore di criminologia e Direttore dell’Istituto di studi sulla giustizia penale dell’Università di Portsmouth) ha rilevato
che molte politiche in materia di sicurezza degli anni
’90 sono state essenzialmente stimolate dalla politica e dall’ideologia, piuttosto che dalla ricerca. È
quindi plausibile sostenere che i vari «CCTV challenge» le gare per i finanziamenti organizzate dal
Ministero dell’Interno fin dagli anni ’90 e le loro
forme, che corrispondevano ad appalti per i finanziamenti basati su partenariati pubblico-privato, ricercavano tanto l’avvio di partnership per la prevenzione della criminalità locale quanto la possibilità di
finanziare la videosorveglianza stessa. Si può sostenere che l’industria della videosorveglianza nel
Regno Unito è stata la straordinaria beneficiaria di
un concorso di circostanze eccezionali e delle proprie
campagne pubblicitarie. Una prossima volta, le cose
potrebbero andare diversamente.
In un’epoca in cui le minacce rappresentate dalla
criminalità, dalla violenza, dai disordini e dal terrorismo provocano nuove domande in materia di sicurezza, che tradiscono l’allarme delle popolazioni, e in
cui si spalancano per le industrie della sicurezza prospettive allettanti di nuovi mercati lucrativi, la ricerca
dovrebbe orientare i propri studi su due aspetti essen-
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
ziali: garantire che i provvedimenti adottati per la
prevenzione della criminalità diano effettivamente i
vantaggi promessi,
accertarsi che tali provvedimenti non diventino dei
mezzi onerosi destinati a intensificare certe politiche
in materia di ordine pubblico e di sicurezza già problematiche e disfunzionali, aumentando per esempio
i poteri della polizia rispetto ai diritti dei cittadini, o
aggravando le tensioni sociali tra i presunti «cittadini innocenti» e «gli altri», demonizzando la gioventù e altri gruppi «visibili», sovvenzionando la sicurezza delle persone agiate e spostando i rischi di
criminalità in aree già vulnerabili, facilitando quindi
l’emergere di un ordine pubblico condizionato
dall’avversione al rischio e in fin dei conti meno
responsabile.
Loic Wacquant, autore e sociologo francese, ha
constatato tali evoluzioni negli USA nell’ultimo decennio e mette in guardia gli europei contro il rischio
di cercare di affrontare i problemi della criminalità
unicamente mediante provvedimenti di giustizia
penale e misure di sicurezza. Fa rilevare che: «Qualsiasi linea politica che affermi di volere affrontare
persino la criminalità violenta con strumenti di giustizia penale si condanna da sola all’inefficacia.....
aggravando il male che vuole curare.»
Di conseguenza, l’adozione della videosorveglianza
nel Regno Unito, che assomiglia alla ricerca della
«pallottola magica», destinata a sanare ogni male,
accompagnata da un’ondata di sostegno pubblico
populista e male informato, non costituisce necessariamente la via che potremmo raccomandare ad altri
paesi di seguire ciecamente. Non tanto perché la tecnologia non ha procurato i vantaggi promessi (alcuni
dei quali erano comunque esagerati, irrealistici o ir-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
ragionevoli), ma piuttosto perché l’adozione della
videosorveglianza richiede la presa in considerazione
di molti altri fattori nel campo dell’applicazione della
legge e delle prassi da seguire per contrastare la
criminalità, se si vuole che tale tecnologia sia integrata in modo efficace nelle infrastrutture della giustizia penale e della sicurezza.
Al di fuori del Regno Unito, i cittadini e le autorità
possono trovare risposte a tali questioni in modi
completamente diversi, e possono desiderare di installare telecamere di videosorveglianza per aiutarli a
risolvere altri tipi di problemi. In un certo senso,
questo deve essere proprio il primo punto della
nostra riflessione. Piuttosto di chiederci: che cosa
può fare per noi la videosorveglianza? Dovremmo
invece chiederci: Quali problemi vogliamo affrontare
e in che modo la videosorveglianza potrebbe aiutarci
a risolverli?
Prospettive in materia di mantenimento dell’ordine e di contrasto alla criminalità
A partire dal 2007, pur riconoscendo che era ancora
in corso un “dibattito» sulla questione dell’effettiva
«efficacia della videosorveglianza per ridurre e
prevenire la criminalità», il Ministero dell’interno
britannico e l’Associazione dei funzionari di polizia
(ACPO) hanno riconosciuto francamente che la
videosorveglianza ha contribuito a «proteggere i cittadini e ad assistere la polizia» malgrado il fatto che i
sistemi di videosorveglianza siano stati sviluppati in
modo frammentario, con pochi orientamenti strategici, poco controllo e poche regolazioni e che tale approccio ha impedito di massimizzare il potenziale
delle nostre infrastrutture di videosorveglianza».
Tale «assenza di approccio coordinato per lo sviluppo della videosorveglianza,» prosegue il rapporto,
«presenta rischi significativi in termini di compatibi-
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
lità dei sistemi, di costi per avere accesso alle immagini e di perdite potenziali nel campo dell’efficacia
operativa.»
Ciononostante, come abbiamo notato, oltre a queste
questioni essenzialmente operative in materia di
valore, impatto ed efficacia, ci sono molte altre questioni riguardanti la democrazia, i diritti, la cittadinanza, il controllo, la responsabilità e i mezzi di
ricorso, che incidono negativamente sulla fiducia del
pubblico in materia di mantenimento dell’ordine. Le
società che sviluppano i propri sistemi di videosorveglianza devono prendere in considerazione anche
tali aspetti, e non soltanto quelli di ordine tecnico.
Malgrado il fatto che le forze di polizia si dimostrino
attualmente disposte a riconoscere le critiche che gli
ambienti accademici e quelli della ricerca hanno formulato da oltre un decennio, la risposta non implica
necessariamente lo smantellamento del complesso
sistema di videosorveglianza attualmente in funzione. È stata invece avanzata la proposta di una
«strategia nazionale» per affrontare gli insuccessi
dell’espansione fino ad ora «selvaggia e incrementale» degli impianti in questi ultimi anni. Naturalmente non sarebbe la prima volta che i decisori politici in materia di giustizia penale, al fine di superare
un insuccesso, invocano una dose «maggiore e
migliore» di una soluzione già applicata nel passato
e rivelatasi insufficiente.
Non è certo sorprendente che la British Security Industry Association, l’organizzazione che raggruppa
le aziende della sicurezza del Regno Unito, non abbia
accolto con favore tale impostazione e che il loro portavoce abbia fatto notare che, per quanto la crescita
della videosorveglianza sia stata forse frammentaria,
le colpe sono delle forze dell’ordine, che non hanno
saputo massimizzare il potenziale dei loro sistemi.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
Come in altri settori della giustizia penale, pare prevalere una preoccupante ‘circolarità del pensiero’.
Qualunque siano i problemi associati alla videosorveglianza, la soluzione proposta è una maggiore
videosorveglianza, e sia la polizia, che l’industria
della sicurezza sembrano concordare su questo semplice fatto. La questione essenziale, però, ed è questo
l’insegnamento per gli altri paesi, è di cercare di pensare al di fuori di questo schema specifico e riduttore,
andando oltre le telecamere di videosorveglianza.
Più recentemente, un’altra fonte di polizia ha dato
un sostegno entusiasta alla videosorveglianza. Nella
sua controversa autobiografia, The Terrorist Hunters,
l’ex Commissario aggiunto della polizia londinese,
Andy Hayman, ha citato il contributo significativo
che a suo avviso le tecnologie di videosorveglianza
stanno fornendo alla tutela dell’ordine pubblico:
«Malgrado le preoccupazioni espresse da gruppi
della società civile, le telecamere di videosorveglianza, gli impianti di intercettazione e i database
che raccolgono le nostre mail e le nostre telefonate,
i casellari giudiziari e i registri delle immatricolazioni
delle auto, e ogni altro sistema a cui si possa pensare
stanno ottenendo ottimi risultati per arrestare i
criminali e i terroristi.»
Questo breve commento, con i punti che rende espliciti e quelli che tace, si ricollega alle innumerevoli
tematiche che sono il nocciolo della questione, ossia
quale ruolo svolga realmente la videosorveglianza
per una gestione efficace della sicurezza pubblica.
Anzitutto, Hayman elogia il contributo delle tecnologie di sorveglianza ”malgrado le preoccupazioni
espresse da gruppi della società civile», come se ci
fosse sempre una contraddizione tra il mantenimento dell’ordine e la libertà. Non è necessariamente
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
il caso, ma il dibattito risale all’istituzione della
prima forza di polizia a Londra. Robert Peel, il fondatore della Metropolitan Police nel 1829, aveva osservato, «La libertà non consiste nel permettere a bande
organizzate di ladri di svaligiare le vostre case, né nel
lasciare la notte le principali vie londinesi alla mercé
di donne ubriache e di vagabondi. Una sorveglianza
adattata, gestita adeguatamente e controllata efficacemente può migliorare la sicurezza delle persone,
la sicurezza pubblica e la libertà.»
Hayman si riferisce anche a tecnologie di sorveglianza diverse dalla videosorveglianza, ponendo
l’accento sul fatto che tutto il settore del mantenimento dell’ordine e della sicurezza ha avuto una rapida evoluzione nel corso degli ultimi anni, al punto
che le implicazioni sociali, il diritto e i principi di
governance non si sono ancora adeguati al potenziale tecnologico.. Eppure, può verificarsi una sorta
di «deriva», quando le tecnologie sono utilizzate in
modi diversi non previsti, con conseguenti investimenti costosi e inadeguati e presunte soluzioni
(«adattamenti tecnologici») inefficaci, che suscitano
scetticismo e disillusione quando il sistema non dà i
risultati auspicati.
Alcuni di questi problemi si sono certamente posti
con l’utilizzo della videosorveglianza nel Regno
Unito, per esempio al momento delle indagini per gli
attentati suicidi di Londra del 2005, «a causa della
mancanza di integrazione del sistema, della scarsa
qualità delle immagini e delle difficoltà per recuperare le sequenze riprese dalle telecamere digitali»,
come lo ha riconosciuto l’Associazione dei funzionari
di polizia (ACPO). Inoltre, almeno uno studio è
giunto alla conclusione che una migliore illuminazione delle strade potrebbe avere un impatto significativamente più positivo sulla criminalità della
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
videosorveglianza (Farrington and Welsh, 2002) – e
l’illuminazione pubblica è molto meno cara.
Hayman parla dell’uso delle tecnologie di videosorveglianza per «arrestare i criminali e i terroristi»,
mentre l’adozione dei sistemi di videosorveglianza
delle aree pubbliche del Regno Unito era basata sul
potenziale di prevenzione delle telecamere. Si era ritenuto che la videosorveglianza, operata in situazioni
di prevenzione della criminalità, avrebbe costituito un
deterrente per i delinquenti, rendendoli visibili e
identificabili in aree relativamente poco sorvegliate.
Entrambi questi approcci suggerivano una relazione
tra la sorveglianza e la scelta razionale, ossia si riteneva che il fatto di sapere di essere osservati e ripresi
avrebbe influenzato il comportamento dei delinquenti e li avrebbe dissuasi dal commettere infrazioni. Nella pratica, tuttavia, la videosorveglianza ha
dimostrato di avere un impatto relativamente ridotto
su certi tipi di reati, per esempio la violenza interpersonale (forse perché dovuta all’influenza dell’alcol).
In realtà, pochissimi dei programmi lanciati per valutare l’efficacia delle telecamere sulla criminalità
nei centri cittadini approfondirono il loro esame; si
limitarono, nella maggior parte dei casi a una valutazione dell’impatto della videosorveglianza basandosi
sulle statistiche del tasso di criminalità. Ci furono
successivamente pochissimi studi per esaminare gli
effetti della videosorveglianza sulla gestione degli incidenti, la raccolta di prove, la preparazione dei casi e
delle incriminazioni, anche se perfino i funzionari di
polizia si rendevano conto che proprio in tale campo
si sarebbero potuti riscontrare alcuni dei vantaggi
più importanti del sistema.
Un ultimo punto in merito ai commenti di Hayman
riguarda quello che potremmo definire il «punto di
vista della polizia». I più entusiasti sostenitori della
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
videosorveglianza sono sovente proprio i membri
delle forze dell’ordine, che mostrano interesse a provare qualsiasi nuova tecnologia per il controllo della
criminalità venga loro esposta. La polizia non è tuttavia l’organo più adatto per l’analisi del problema, e
a lungo la videosorveglianza è stata paragonata nel
Regno Unito a una «cura alla ricerca della malattia».
C’era forse una forte sensazione che la videosorveglianza avrebbe potuto – e anzi che avrebbe dovutoincidere positivamente sui livelli di criminalità, ma si
disponeva di scarse prove della sua efficacia.
Alcuni osservatori hanno affermato con scetticismo che i
dirigenti della polizia forse adottavano la videosorveglianza per potere risparmiare delle risorse e ridurre le
pattuglie di polizia in certe aree. In altri periodi, sono
stati citati il potere della lobby e il marketing dell’industria della sicurezza. In tal modo, il marketing può avere
generato aspettative non realistiche sui risultati che si
potevano ottenere grazie alle telecamere di sicurezza.
La valutazione delle prime installazioni di videosorveglianza si è quindi limitata alle semplici questioni
dell’impatto sulla riduzione della criminalità, trascurando il ruolo potenzialmente più vasto che potrebbero svolgere le tecnologie di videosorveglianza in
altri settori più vasti per il mantenimento dell’ordine: possiamo forse dire che questo è un esempio di
visione limitata. Quando si esaminano futuri sistemi
di videosorveglianza, o quando si devono ammodernare o sviluppare quelli esistenti, tali questioni devono essere prese adeguatamente in considerazione,
poiché certi sistemi devono potere essere adattati per
una varietà di finalità, come lo hanno riconosciuto il
Ministero dell’Interno e l’ACPO.
La squadra dell’APCO incaricata della videosorveglianza si lamenta che»la qualità delle immagini riprese con i sistemi di videosorveglianza varia note-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
volmente», mentre è dimostrato che «oltre l’80%
delle riprese fornite alla polizia sono lungi dall’essere ideali, soprattutto se sono utilizzate per consentire l’identificazione del sospetto».
Infine, nel settore della videosorveglianza, come in
altri settori di lotta alla criminalità, è importante esaminare l’aspetto riguardante il controllo effettuato da
staff civile, la responsabilità pubblica e il monitoraggio
indipendente. Non solo per aiutare il pubblico a comprendere le finalità della videosorveglianza, ma per
anche per farla accettare; oltre a migliorare la fiducia
dei cittadini, può accrescere l’efficacia dei sistemi di
tutela dell’ordine pubblico. È un aspetto spesso trascurato, anche in un recente documento del Ministero
dell’Interno britannico sulla strategia in materia di videorveglianza, che sottolinea la necessità di una collaborazione tra i vari organi, l’importanza del coinvolgimento dei soggetti interessati locali e dei partner e il
bisogno di una governance e di un controllo efficace
delle tecniche di videosorveglianza, ma non si pronuncia sugli aspetti della responsabilità locale dinanzi
ai cittadini. Viene fatto riferimento ai processi nazionali di ispezione e di controllo e alle figure dell’Information Commissioner (il Garante per la protezione dei
dati) e il Surveillance Commissioner, ma si trascurano
gli accordi locali, anche se esistono molti buoni
esempi e modelli cui ispirarsi. Questo, al contrario,
potrebbe essere un settore nel quale culture politiche
diverse, o differenti tradizioni nel campo della lotta
alla criminalità potrebbero suggerire soluzioni alternative. Dopo tutto, non si vogliono imporre
soluzioni»che vadano bene per tutti» nelle varie
culture europee, ma piuttosto si cerca di stimolare il
dibattito su questioni che si sono dimostrate rilevanti
al momento di prendere in considerazione la
videosorveglianza.
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si possono trarre da una cultura della sorveglianza
Come lo ha sostenuto Gras, numerosi altri paesi di diversa cultura, tra cui la Germania, la Francia, i Paesi
Bassi e la Svezia possono esigere norme più stringenti
di quelle del Regno Unito. La Sig.ra Riches, da parte
sua, ha sottolineato nel suo discorso alla conferenza
del FESU a Saragozza che nel Regno Unito la videosorveglianza si è sviluppata in modo essenzialmente
pragmatico, senza preoccuparsi troppo delle questioni
di monitoraggio e di responsabilità, se non quando i
sistemi erano già installati e funzionanti.
CONCLUSIONI
Analisi del problema e messa in opera
Dopo avere esaminato l’insieme della questione, possiamo trarre alcuni insegnamenti importanti dalle migliori esperienze del Regno Unito in materia di installazione e utilizzo delle tecniche di videosorveglianza.
Anzitutto, direi che vale la pena notare le conclusioni,
in un certo qual senso sorprendenti, di Martin Gill e
Angela Spriggs nella loro valutazione del 2005, effettuata per il Ministero dell’interno britannico:
Sarebbe facile concludere che … la videosorveglianza
non è efficace: la maggior parte dei programmi valutati
non hanno ridotto il tasso di criminalità, e anche nei
casi in cui si è riscontrata una diminuzione, essa non
era dovuta essenzialmente alla videosorveglianza;
d’altro canto, i programmi di videosorveglianza non
hanno dato un maggior senso di sicurezza alle persone,
né tantomeno hanno mutato i loro comportamenti.
Con tali conclusioni, ci si potrebbe chiedere perché i
sistemi di videosorveglianza si siano talmente sviluppati nel Regno Unito, fino a raggiungere le dimensioni attuali. A parte le questioni politiche, dobbiamo anche tenere conto di altri fattori legati
all’implementazione dei sistemi di videosorve-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
glianza, che spesso sono stati presi in considerazione
troppo tardi e troppo lentamente dai gestori della sicurezza e dalla polizia, in particolare. Come lo hanno
rilevato Gill e Spriggs, è fuorviante affermare che la
videosorveglianza sia stata un fallimento, come del
resto sono state esagerate le promesse dell’industria
della sicurezza.
Per un’affermazione meno assoluta e maggiormente
corroborata dai fatti, occorre tenere presente un certo
numero di questioni ed esaminare alcuni fattori.
Il tasso di criminalità e gli atti criminosi da soli non
sono necessariamente un buon indicatore della criminalità o dei problemi di disordini, o dei timori e
delle preoccupazioni della popolazione in un’area
determinata, né della qualità e della percezione della
sicurezza nei quartieri delle città. Le iniziative per il
mantenimento dell’ordine e per la prevenzione della
criminalità devono prendere in considerazione tale
complessità.
Occorre poi esaminare i ruoli e le complesse finalità
dei sistemi di videosorveglianza: lo sviluppo dei sistemi di intelligence, la raccolta di prove, la gestione
degli incidenti e il mantenimento dell’ordine pubblico devono essere debitamente riconosciuti. La
riduzione della criminalità, grazie alla prevenzione o
agli effetti deterrenti, non è l’unico risultato. Quanto
è essenziale, è avere una visione chiara dell’insieme
delle finalità. Lo ha ben indicato il Ministero dell’Interno nella sua valutazione della messa in opera dei
progetti di videosorveglianza, che risale al 2003:
«Nel considerare quale tipo di meccanismo di prevenzione della criminalità occorre utilizzare, è importante conoscere chiaramente i problemi dell’area
e sapere con precisione quali sono le capacità del sistema di videosorveglianza. Se non c’è incontro tra
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
queste due esigenze, la videosorveglianza non è la
soluzione giusta.»
Infine, i sistemi di videosorveglianza devono essere
integrati nelle iniziative già esistenti per la gestione
dell’ordine e della criminalità. Potrebbe essere necessario cambiare altri processi di contrasto della
criminalità. Era del tutto irrealistico immaginare che
la videosorveglianza potesse avere un impatto duraturo da sola. Parimenti, le priorità della polizia dovevano essere determinate rispetto ai problemi che
richiedevano una soluzione non fondata sul presupposto che fosse necessaria una sorveglianza mediante
telecamere.
A partire dal 1999, le direttive del Ministero dell’interno in materia di partenariati per lo sviluppo della
videosorveglianza hanno insistito sul fatto che ogni
richiesta di finanziamento doveva esporre «i criteri
per individuare un meccanismo adeguato di prevenzione della criminalità». Vale a dire che le proposte
per installare la videosorveglianza dovevano essere
sostenute dalla dimostrazione di «principi teorici sicuri per una riduzione della criminalità, sulla base
dei quali era ritenuto plausibile che meccanismi adeguati permettessero al sistema di videosorveglianza
di agire contro la criminalità o i problemi di disordini, nel contesto attuale.»
Gill e Spriggs hanno tuttavia indicato nella loro relazione finale che anche nei casi in cui i progetti di
videosorveglianza avevano obiettivi chiari, che «dovevano essere indicati nei documenti della gara di
appalto «, questi ultimi «spesso non costituivano il
motore trainante del progetto… e raramente erano
integrati nella pratica quotidiana». Pertanto, anche
quando le candidature per l’ottenimento dei finanziamenti contenevano una dimostrazione e un’ana-
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con le libertà individuali
lisi dei problemi, spesso erano trascurate non appena
ottenuto il finanziamento.
Riduzione della criminalità e impatti
sulla sicurezza della collettività
Nel proclamare che «è in atto un dibattito sull’efficacia della videosorveglianza per ridurre e prevenire
la criminalità»,il documento National CCTV Strategy
del 2007 del Ministero dell’Interno cercava, come del
resto era comprensibile, di mantenere vivo il dibattito. Infatti, le dimostrazioni fornite dalle ricerche e
dalle valutazioni, in cui si notano risultati contrastanti, insignificanti o altrimenti deludenti o inaffidabili, forniscono un quadro più convincente.
Numerose valutazioni di sistemi di videosorveglianza
a livello locale sono state effettuate nel Regno Unito
dopo le varie ondate successive di installazioni di tali
impianti, anche se non sempre sono state molto rigorose dal punto di vista metodologico e si sono spesso
limitate a una valutazione dell’impatto. Molte furono
anche condotte a troppo breve scadenza per fornire
una dimostrazione affidabile della loro reale influenza
sui trend e sui modelli di criminalità. Detto ciò, numerosi progetti più estesi e/o analoghi cominciarono
a farsi strada successivamente, accanto a una maggiore esperienza nel campo della valutazione.
Nel 2002, Brandon Welsh e David Farrington hanno
intrapreso per il centro ricerche del Ministero dell’Interno un’indagine relativa alla valutazione di 46 progetti di videosorveglianza in tutto il mondo.
I risultati furono piuttosto contrastanti, poiché la
metà degli studi «ha constatato un effetto positivo
sulla criminalità» sebbene cinque di essi abbiano
rilevato un impatto «non desiderato» e altri cinque
non rilevarono alcun impatto significativo. I programmi di videosorveglianza nel Regno Unito in ge-
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
nerale mostrarono maggiori impatti rispetto a quelli
del Nord America. Inoltre, è stato notato che la videosorveglianza “non aveva un effetto sui reati violenti,
bensì.....un effetto significativo e desiderabile sulle
infrazioni relative alla guida degli autoveicoli «, e
sulle infrazioni nei parcheggi. Infine, «nei centri città
e nelle zone residenziali, è stato dimostrato che la videosorveglianza ha ottenuto una riduzione trascurabile della criminalità, intorno al due per cento nelle
aree controllate».
Nell’indicare che gli «studi sulla sorveglianza» erano
ancora un tema relativamente nuovo, gli autori hanno
suggerito la necessità di portare avanti ulteriori
ricerche sia sulle condizioni ottimali per l’efficacia
della videosorveglianza, che sui meccanismi che
consentono di ottenere risultati positivi. È parso piuttosto evidente che era necessaria una serie appropriata di interventi per conseguire i migliori risultati.
Gli autori hanno concluso con un certo ottimismo
che «la videosorveglianza riduce la criminalità in misura ridotta». Hanno inoltre consigliato di fare in
modo che «i futuri programmi di videosorveglianza
siano implementati attentamente in diverse località e
utilizzino impostazioni di valutazione di alta qualità
con lunghi periodi di follow-up. Alla fine, un approccio alla prevenzione della criminalità basato su
fatti comprovati e che utilizzi il massimo livello di
conoscenze scientifiche disponibili offre il miglior
mezzo per costruire una società più sicura.»
Tali conclusioni sull’impatto della videosorveglianza
sono state confermate in numerosi altri studi analoghi, e in particolare nel vasto studio nazionale
condotto nel 2005 da Gill e Spriggs. Questi ultimi
hanno altresì concluso che la videosorveglianza
sembra avere effetti limitati in materia di riduzione
della criminalità nei centri città e nelle zone residen-
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con le libertà individuali
ziali, ma pare funzionare meglio in ubicazioni con
superfici relativamente ristrette e ad accesso controllato (ospedali, parcheggi, centri commerciali). La
videosorveglianza ha dimostrato inoltre di avere
scarsi risultati sulla violenza impulsiva e sui reati legati al consumo di alcol, ma migliori risultati per reati
più premeditati.
Come negli altri studi, gli autori hanno inoltre fatto
notare gli effetti «alone“ ossia, in altri termini, la riduzione della criminalità nelle aree adiacenti e il suo spostamento verso altre zone. Le caratteristiche tecniche
dei singoli sistemi sembrano avere influenze o marginalmente positive, o negative sull’efficacia dei sistemi,
ma la loro rilevanza globale è relativamente minima.
Infine, le indagini presso membri della popolazione
in tutte le aree in cui esiste un sistema di videosorveglianza hanno indicato pochissimi elementi che permettono di individuare cambiamenti significativi nel
comportamento o a livello dei timori e delle preoccupazioni riguardanti la criminalità.
Gill e Spriggs hanno così concluso: «La videosorveglianza valutata sulla base delle prove presentate in
questa relazione non può essere considerata un successo. È costata ingenti somme di denaro, e non ha
generato i vantaggi previsti.» Tuttavia, hanno proseguito, si sono tratti degli insegnamenti e la tecnologia si
sta rapidamente migliorando, con un nuovo sistema di
riconoscimento biometrico «come conseguenza diretta
di un evento», proattivo «intelligente», che propone
nuove opportunità per la gestione della sicurezza, e nel
contempo rappresenta nuove minacce e nuove sfide.
Essenzialmente, le loro conclusioni «basate sulle
prove» costituiscono un avvertimento nei confronti
della ‘facilistica’ ricerca di nuove soluzioni tecniche.
La videosorveglianza altro non è se non uno stru-
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
si possono trarre da una cultura della sorveglianza
mento, e laddove si è avvertito che è stata un insuccesso, si è compreso che era dovuto soprattutto al
fatto che le aspettative erano troppo ambiziose,
oppure perché era utilizzata in luoghi non adeguati e
per problemi per i quali non era adatta. In tali casi, la
videosorveglianza può essere stata male programmata o implementata in modo inappropriato, oppure
forse non era stata integrata efficacemente nelle altre
strategie in materia di sicurezza e nei sistemi di gestione dell’ordine pubblico della collettività.
Kevin Haggarty, criminologo canadese esperto in videosorveglianza, nota che forse uno dei miti seducenti che dobbiamo mettere in discussione è la semplice ipotesi che esistano «soluzioni di sorveglianza»
per i problemi sociali. Quella che il Ministero dell’Interno ha chiamato nel 2007 «la ricerca… della panacea della videosorveglianza» può rivelarsi futile.
Tali «soluzioni» genereranno senza alcun dubbio ulteriori problemi e dilemmi.
Tra le questioni da prendere in esame in questa sede
potremmo esaminare i maggiori beneficiari della videosorveglianza protettiva: i centri città del Regno
Unito, le aree ad alto valore di mercato sono stati i
primi a trarne vantaggio, contrariamente alle zone residenziali, ai parchi giochi per i bambini o alle scuole.
Non erano necessariamente quelle le priorità più ovvie
della collettività, né le aree che più ne avevano bisogno, ma la natura degli accordi per i finanziamenti
nei primi programmi faceva sì che i loro occupanti
potessero più facilmente degli altri permettersi di
stanziare i co-finanziamenti richiesti per gli
investimenti.
Sorge quindi un’altra questione sulle disuguaglianze:
contro chi sono essenzialmente rivolte le telecamere,
in altri termini, chi sono le persone più frequentemente sotto sorveglianza. Le questioni legate ai pro-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
cessi di sorveglianza sollevano profondi interrogativi
di ordine sociale ed etico.
Questi interrogativi etici vanno dalla definizione dei
problemi di criminalità e di sicurezza che stiamo cercando di risolvere, fino alla progettazione, al monitoraggio e all’integrazione dei sistemi. Comprendono
inoltre i processi per il controllo, il monitoraggio, la
valutazione, la responsabilità e le procedure di ricorso
che devono essere parte integrante di tutte le strategie efficaci per la sicurezza della comunità. Se tali
questioni non sono prese in considerazione a ogni
livello, e a ogni tappa, emergeranno probabilmente
altri problemi, che sminuiranno l’efficacia del sistema
stesso. Per quanto sofisticato possa essere un sistema dal punto di vista tecnico, la sua efficacia dipenderà dai suoi operatori e migliorerà la sicurezza della
collettività unicamente se soddisferà le esigenze e
rassicurerà i cittadini per i quali è stato creato.
Non dimentichiamo quanto hanno scritto Gill e
Spriggs: «Non ci si deve aspettare troppo dalla videosorveglianza. Rappresenta più di una semplice soluzione tecnica; richiede l’intervento umano per offrire
il massimo della sua efficacia e i problemi che aiuta a
trattare sono molto complessi. Può aiutare a ridurre
la criminalità e a stimolare il senso di sicurezza dei
cittadini e può anche produrre altri vantaggi. Tuttavia, per ottenerli, occorre un maggiore riconoscimento del fatto che ridurre e prevenire la criminalità
non è semplice e che soluzioni male preparate hanno
scarse probabilità di funzionare, per quanto rilevanti
possano essere gli investimenti realizzati».
NOTA: questa è una versione modificata del documento del Professor Squires. La versione completa è disponibile on line sul sito:
http://www.brighton.ac.uk/sass/contact/details.php?uid=pas1
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Valutare la videosorveglianza: insegnamenti che
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La Privacy by Design: il caso della
videosorveglianza
di Jeroen van den Hoven
Università di Delft, Facoltà di Scienze
e Tecnologie
Sostengo il principio della tutela dei dati
personali nei sistemi di videosorveglianza
destinati al mantenimento dell’ordine e
della sicurezza fin dalla loro progettazione (il cosiddetto ‘Privacy by Design’), poiché permette di superare le profonde controversie ideologiche, politiche e
filosofiche sulla natura e l’importanza della privacy.
Il principio “Privacy by Design” sta acquistando
rapidamente sempre maggiore importanza nelle
politiche di tutela dei dati e nell’ingegneria del
software. L’Ue sta promuovendone l’idea e la sostiene in quanto nuova norma nelle Linee guida per la
videosorveglianza del Garante europeo sulla protezione dei dati (GEPD) (Bruxelles, 17 marzo 2010, p.
10):“La tutela dei dati e della vita privata dovrebbe
essere inclusa nelle esigenze e nelle specifiche della
progettazione della tecnologia utilizzata dalle istituzioni e nelle loro prassi”.
➤
Sono convinto che sia questa l’impostazione
da seguire, ma sono necessarie due condizioni
perché tale idea possa avere successo:
➤1 – Si deve comprendere che il principio Privacy by
Design o le applicazioni per il miglioramento della
privacy (Privacy Enhancing) rientrano in un approccio
globale di innovazione tecnologica, chiamato talvolta
Value Sensitive Design o Design for Values, ossia la
progettazione che prende in considerazione i valori
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
etici. È un approccio che richiede una metodologia
specifica, al fine di evitare le improvvisazioni nel
campo dell’ingegneria del software, che potrebbero
accrescere il rischio di una mancanza di trasparenza,
di attendibilità o di responsabilità;
➤2 - Il concetto “Privacy by Design” può rivelarsi un
successo unicamente se si hanno idee precise sui
valori morali su cui deve poggiare la tutela dei dati e
se si dispone di una spiegazione dettagliata e precisa
delle giustificazioni della necessità della tutela dei
dati, poiché tutte le decisioni in materia di progettazione, per quanto piccole e apparentemente insignificanti, dovranno essere prese sulla base di considerazioni morali chiare e convincenti.
La questione della tutela della privacy è al centro di un
dibattito di grande attualità tra liberisti e comunitaristi
in quasi tutte le democrazie occidentali, in merito al
buon equilibrio tra diritti individuali, bene collettivo e
interessi della collettività. Nel caso della privacy, il dibattito oppone coloro che affermano la necessità di
proteggere la vita privata degli individui, limitando
l’accesso alle informazioni personali, e quelli che invece credono necessario allargare tale accesso, per il
bene di tutta la collettività. Alcuni hanno argomentato
che si tratta di un’opposizione fittizia; permane nondimeno una vera tensione, che emerge ogni qualvolta si
verificano casi di violazione della vita privata, quali ad
esempio le attività investigative condotte dalla polizia
su internet, la divulgazione di cartelle cliniche a scopi
assicurativi o di ricerca epidemiologica, lo scambio e
l’incrocio di informazioni tra database per l’individuazione delle frodi in materia di previdenza sociale, per
richiedere informazioni ai provider sul comportamento
on-line degli utenti di internet nei casi di giustizia penale e l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza nelle
aree pubbliche, per la prevenzione della criminalità.
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« Privacy by design »
Il filosofo della morale e della politica Michael Walzer
osserva giustamente che “il liberismo è afflitto dai problemi causati dagli opportunisti, le persone che continuano a godere di vantaggi senza più partecipare alle
attività che li generano. Viceversa il comunitarismo è il
sogno di una società perfetta, priva di opportunisti. I
comunitaristi si aspettano che le tecnologie informatiche possano aiutarli a perseguire il loro sogno di una
perfetta società, esente da opportunismo.
La privacy è stata oggetto di molte discussioni filosofiche (Nissenbaum, 2004; Roessler 2005; Decew,
1997, Van den Hoven 2009) e numerosi autori
hanno esposto le loro diverse visioni sul suo significato. Spiegazioni concettuali e filosofiche diverse
danno risposte differenti alla questione del senso e
dell’importanza della privacy. Sfortunatamente, non
è stato trovato un consenso, che del resto sembra
molto improbabile potere ottenere con facilità.
La controversia su questo argomento si fa ora più
vivace, viste le evoluzioni attuali e l’emergere del
concetto che la privacy sia una nozione completamente obsoleta (“Hai zero privacy, fattene una
ragione”), relegata dalle tecnologie moderne tra i ricordi del passato, e che lo si debba accettare come un
dato di fatto.
Numerosi concetti diversi sottendono l’idea di privacy, e nessuno sa con precisione che cosa significhi
veramente, né quali siano le reali incidenze negative
esercitate dalle tecnologie, dall’ingegneria del
software e dai sistemi di sviluppo. Malgrado le
ragioni pratiche, quali la formulazione di leggi, di
politiche e di tecnologie, la confusione concettuale e
i malintesi sulla natura e l’importanza della privacy
hanno provocato a livello della loro applicazione indecisioni, ritardi, inefficacia, costi elevati e insuccessi nei progetti per l’utilizzo delle TIC.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
È oggi necessario «ricostruire» la nozione di privacy,
per avanzare e affrontare le questioni urgenti che si
pongono quotidianamente, senza trovarsi impelagati
in dibattiti interminabili.
Il ruolo centrale che accordiamo al concetto di privacy quando discutiamo di questioni morali incentrate sulla protezione dei dati della vita privata
confonde le idee e ostacola la ricerca di soluzioni pratiche. Si resta pertanto bloccati nella profonda
controversia irrisolvibile sulla natura dell’Io e della
Collettività, che oppone liberisti e comunitaristi. Non
essendo facile schierarsi a favore degli uni o degli
altri, propongo di affrontare la questione partendo da
un altro punto di vista e ponendo una semplice domanda: perché dovremmo proteggere i nostri dati
personali? Quali ragioni morali ci spingono a farlo?
Possiamo ritenere che dovremmo proteggerli semplicemente come proteggiamo, per esempio, i reattori
nucleari, i manoscritti medioevali, l’infanzia, o i santuari degli uccelli? In tutti questi casi abbiamo buoni
motivi per limitare l’accesso, gli orari di visita, definire i comportamenti adeguati e stabilire quali persone sono autorizzate ad avvicinarsi e in che modo.
In ciascuno dei suddetti esempi, la protezione assume forme diverse, con motivazioni e logiche specifiche. Quale potrebbe essere la buona ragione morale
che giustifichi la necessità di tutelare i dati personali
e di limitare il diritto altrui all’accesso a tali dati?
Le ragioni morali che ci spingono a preoccuparci
della tutela dei nostri dati personali sono le stesse
che giustificano di imporre dei limiti a quello che gli
altri possono farne (elaborare, immagazzinare,
divulgare, avere accesso). Sono le seguenti :
In primo luogo, la protezione degli individui i cui dati
personali possono essere a disposizione del pubblico. In una società dell’informazione, c’è il rischio
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« Privacy by design »
che certe persone possano essere danneggiate
appunto perché altri hanno accesso a informazioni
personali che le riguardano. È quanto si vorrebbe
impedire, evitando cioè che l’utilizzo di dati personali possa arrecare danno agli interessati.
La seconda ragione è legata all’equità nel trattamento dei dati personali. Tuteliamo i dati personali e
abbiamo adottato legislazioni al riguardo perché
nella nostra società ci sono numerosi soggetti che
vorrebbero potervi avere accesso in modo facile e a
buon mercato. Molti individui e molte società hanno
ottime ragioni per nascondere al pubblico il valore di
mercato dei dati personali e l’utilizzo secondario che
se ne potrebbe fare. I contratti offerti ai clienti per
avere accesso ai loro dati personali, quali le carte fedeltà, spesso non sono equi. I regimi di tutela dei
dati personali dovrebbero garantire una giusta linea
di condotta e tutelare i cittadini contro gli abusi o le
inadempienze contrattuali.
La terza ragione riguarda l’equità nella gestione delle
informazioni. I dati individuali hanno, per così dire,
un « habitat» naturale. Le informazioni sono raccolte
e scambiate in un ambito ben definito e sono gestite
da gruppi determinati di persone, che possono
essere medici, funzionari di polizia, direttori delle
risorse umane, avvocati, ecc. È illecito divulgare tali
informazioni al di fuori dell’ambito sociale cui si riferiscono; per esempio, non è consentito trasmettere
un’informazione dal settore medico a quello commerciale, o dalla sfera familiare a quella politica.
Ciascuna di tali sfere deve essere mantenuta
separata.
Infine, la quarta ragione è data dal fatto che ogni
individuo ha il diritto di esercitare la propria autonomia morale e di controllare il modo come intende
presentarsi agli altri. Le persone vogliono essere
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
viste come coloro con cui vogliono identificarsi, o
come credono di essere. Il che richiede discrezione e
una scelta delle informazioni personali che si
vogliono divulgare. Richiede inoltre la protezione dei
dati e il rispetto del diritto sovrano di ogni individuo
sulle informazioni personali.
Value Sensitive Design e Privacy by Design la progettazione che prende in considerazione
i valori etici
Integrare la sicurezza e la privacy nella progettazione,
in architettura e nell’ingegneria non è un’idea completamente nuova. Già nel 18° secolo, il filosofo Jeremy Bentham aveva indicato quella che a suo avviso
avrebbe dovuto essere l’architettura penitenziaria
ideale: “La morale riformata, la salute tutelata, l’industria stimolata, l’istruzione diffusa, l’onere pubblico alleggerito, l’economia stabile come se fosse
una roccia, il nodo gordiano delle leggi sulla povertà
non reciso, ma sciolto, tutto ciò grazie a una semplice
idea architettonica!” La sua idea era che la sicurezza e
il controllo dei carcerati sarebbero stati notevolmente
migliorati grazie al concetto di una prigione a struttura circolare, da lui chiamata “Panopticon», con una
torretta di osservazione per le guardie carcerarie
situata al centro, per permettere loro di controllare
continuamente i detenuti nelle celle disposte intorno.
Questo è uno dei primissimi esempi di concetto integrato nella progettazione. Oggi, quando si pensa a
valori etici integrati nella progettazione di tecnologie
ci si riferisce al Value-Sensitive Design (VSD). Il
concetto Privacy by Design è una delle applicazioni
del Value Sensitive Design.
Il Value Sensitive Design integra i valori morali nella
progettazione di elementi e di sistemi tecnici, considerando la progettazione da un punto di vista etico, e
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« Privacy by design »
ricercando come i valori morali (p.es. la libertà,
l’uguaglianza, la fiducia, l’autonomia, la privacy o la
giustizia) possano essere stimolati o frenati dalla
progettazione (Friedman 1997; Friedman 2005). Il
Value Sensitive Design pone un’enfasi particolare anzitutto e specificamente sui valori morali, mentre la
progettazione tradizionale si concentra piuttosto su
esigenze di funzionamento, quali la rapidità, l’efficacia, la capacità di stoccaggio e la facilità di utilizzo.
Per quanto la costruzione di una tecnologia di uso
semplice possa avere l’effetto di accrescere la fiducia
dell’utente o il suo senso di autonomia, nell’ambito
del Value Sensitive Design l’integrazione dei valori
morali nella progettazione è essenzialmente una
finalità principale, piuttosto che una conseguenza. Il
Value Sensitive Design è anche, come ho avuto l’occasione di indicarlo in opere precedenti (Van den
Hoven 2005: 4), “un modo di lavoro etico, che mira a
rendere i valori morali parte integrante della progettazione, della ricerca e dello sviluppo tecnologico”.
La progettazione etica (VSD) può essere utilizzata
nel campo della protezione dei dati soltanto se si
riesce a definire chiaramente quali sono i valori morali che si devono integrare nella progettazione di un
sistema, e come devono tradursi in “esigenze non
funzionali”. La tappa seguente impone di elencare in
modo particolareggiato tali esigenze in un insieme di
funzioni chiare e precise da assegnare al sistema.
Tale metodologia, però, per ora non esiste, e il pericolo è che, a seguito dell’evoluzione della tecnologia,
i sistemi possano diventare ancora meno trasparenti
di quanto non lo siano già ora.
La VSD mira a conciliare valori diversi e opposti nella
progettazione ingegneristica o nell’innovazione (Van
den Hoven 2008b). È direttamente applicabile ai valori opposti che sono al centro del dibattito sulla vi-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
deosorveglianza: la sicurezza e la privacy.
Nella nostra società, accordiamo importanza alla vita
privata, ma nel contempo accordiamo un’uguale importanza alla sicurezza e alla disponibilità delle
informazioni sui cittadini. Nei dibattiti relativi alla
presenza di telecamere di videosorveglianza nelle
aree pubbliche si contrappongono appunto queste
due tensioni. O accettiamo di rinunciare alla nostra
privacy a vantaggio della sicurezza, installando telecamere dappertutto, o rifiutiamo di farlo in nome del
rispetto della vita privata, e ci accontentiamo di una
minore sicurezza. I sistemi di videosorveglianza
intelligente ci consentono di ottenere entrambi i
risultati, poiché la loro architettura intelligente integra le funzioni di sorveglianza con sistemi che
limitano il flusso e la disponibilità delle informazioni
registrate.
La prima generazione di telecamere a circuito chiuso
offre relativamente poca sicurezza. Le immagini
sono confuse e violano la privacy dei passanti poiché
registrano la loro presenza nei luoghi che frequentano. La seconda generazione offre una qualità di
gran lunga superiore e, di conseguenza, una maggiore sicurezza. Appunto perché la qualità delle
immagini è eccellente, sono però più invasive.
Attualmente, invece, la terza generazione di sistemi
di telecamere “intelligenti” registra unicamente gli
eventi sospetti e dispone di una funzione integrata
che blocca la ripresa di immagini all’interno di abitazioni private. È la soluzione perfetta, basata sulla
tecnologia, per risolvere il nostro dilemma morale.
Per esempio, la polizia di Rotterdam utilizza già
questi sistemi «smart», equipaggiati con un software
che impedisce agli operatori delle telecamere di
riprendere all’interno delle abitazioni private.
I parametri tecnologici di questi sistemi intelligenti
possono essere impostati in modo talmente preciso,
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« Privacy by design »
da offrire tutti i vantaggi e le funzionalità di una
videosorveglianza all’avanguardia, senza violare le
norme in materia di tutela dei dati. Mentre i sistemi
precedenti erano basati sulla soluzione «tutto o
niente», disponiamo oggi di una tecnologia che ci
permette di scegliere chi può accedere ai dati registrati, a quali condizioni, per quanto tempo saranno
immagazzinate le immagini, come utilizzare le
riprese e come incorporarle in altri database.
Una caratteristica comune a numerose tecnologie
innovative e «intelligenti» è il fatto che permettono
di conciliare valori o preferenze precedentemente
inconciliabili. Per esempio, le tecnologie ambientali
intelligenti possono conciliare crescita economica e
sviluppo sostenibile e le cosiddette bombe “intelligenti” contengono la promessa di colpire il nemico
senza causare danni ai civili.
Privacy by Design: un’innovazione morale
Sembra legittimo affermare che, dal momento che la
società ha l’obbligo morale di garantire la tutela della
vita privata dei cittadini e di mantenere la sicurezza in
tutti i luoghi pubblici, ha quindi anche l’obbligo di fare
quanto è necessario per soddisfare questi due requisiti. Siamo pertanto moralmente obbligati a continuare
le ricerche e le innovazioni sul modello della Privacy by
Design, una tecnologia che ci consente di conciliare
sicurezza e tutela della vita privata.
Tale impegno richiede una precisa impostazione della
tecnologia e una riflessione approfondita sulla giustificazione morale della tutela dei dati. Richiede inoltre
una metodologia sistematica per collegare entrambe le
realtà, la tecnologia e i nostri valori morali.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
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La videosorveglianza nelle città
europee: una scelta politica?
Eric Töpfer, Ricercatore, Università Tecnica
di Berlino
La videosorveglianza urbana è diventata
per la prima volta una problematica
europea nel 1997, quando è stata scelta
tra i temi principali della Conferenza europea “Prevenzione della criminalità: verso una dimensione
europea”, organizzata dalla Presidenza olandese
dell’Ue nella città di Noordwijk (Paesi Bassi). Nella
dichiarazione finale della conferenza, è stato affermato segnatamente che:
➤
“Le telecamere, in quanto strumento per la prevenzione della criminalità, rappresentano, in genere, un
mezzo innovativo ed economico per rassicurare i cittadini preoccupati per la loro sicurezza. Hanno sovente un effetto deterrente per la criminalità e possono servire a fornire prove per perseguire i reati.
[Tuttavia], le tecniche delle telecamere di videosorveglianza dovrebbero essere utilizzate unicamente
[nell’ambito di] una politica locale e/o nazionale di
prevenzione della criminalità […] e dovrebbero essere
controllate da personale debitamente formato […]. Il
pubblico dovrebbe essere messo al corrente del loro
utilizzo. Dovrebbe essere tutelata la privacy delle
persone.”
Si era agli albori della videosorveglianza. Tre anni
prima, nel 1994, il Ministero dell’Interno britannico
aveva lanciato una “rivoluzione delle telecamere di
sorveglianza”, sostenendo finanziariamente una
serie di City Challenge Competitions, dotate di una
prima tranche di 2 milioni di sterline11. In Francia, il
Parlamento aveva promulgato nel 1995 la cosiddetta
Legge Pasqua, che autorizzava esplicitamente la
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
messa in opera di dispositivi di videosorveglianza in
una serie di aree «sensibili» delle principali città
francesi. Due anni prima, erano state installate 96
telecamere di sorveglianza nella cittadina di Levallois-Perret12, alla periferia di Parigi, che avevano
suscitato profonde controversie. Nella Repubblica
ceca, è nel 1996 che il governo ha cominciato a
finanziare iniziative destinate alla lotta contro la criminalità locale, che comprendevano l’installazione
di sistemi di videosorveglianza. Lo stesso anno,
seguendo l’esempio della Repubblica ceca, il dipartimento della Polizia locale di Lipsia aveva installato
nel centro città una telecamera, la prima di tutta la
Germania13. Nei Paesi Bassi, il primo sistema è stato
inaugurato nel 1998, soltanto un anno dopo la
Conferenza di Noordwijk sulla prevenzione della criminalità, quando il consiglio comunale della città di
Ede ha deciso di installare 12 telecamere per la sorveglianza notturna di un’area situata nei pressi della
stazione centrale14.
Sulla base delle conclusioni della conferenza di
Noordwijk, la delegazione francese ha lanciato alla
fine del 1998 un dibattito sulla videosorveglianza
all’interno del gruppo di lavoro «Cooperazione con la
Polizia» (PCWP) del Consiglio dell’Unione europea.
Il rapporto del suddetto gruppo ha concluso i lavori
indicando che “le autorità locali utilizzano poco i sistemi di videosorveglianza, eccetto nel Regno Unito e
in Finlandia” e affermando che il Gruppo di cooperazione PCWP “avrebbe potuto promuovere lo
sviluppo di tali sistemi”15.
Verso l’ubiquità?
La videosorveglianza o la “televisione a circuito
chiuso”, come era chiamata agli inizi, è nata alla
stessa epoca dei primi programmi televisivi. Per nu-
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
merosi decenni, tuttavia, l’uso delle telecamere di
videosorveglianza da parte della polizia è stato limitato al controllo e alla gestione del traffico, oppure,
occasionalmente, alla sorveglianza di folle e raduni
di massa nel corso di eventi particolarmente importanti o per le investigazioni penali. La videosorveglianza di aree pubbliche urbane era all’epoca un’
eccezione. Nel Regno Unito, per esempio, i sistemi
di videosorveglianza erano stati installati soltanto in
poche aree di interesse nazionale, quali Westminster
e Whitehall, dove la polizia municipale londinese
aveva istituito una rete di sorveglianza dopo i disordini della fine degli anni ‘6016.
Oggi, 13 anni dopo la conferenza svoltasi in Paesi
Bassi sulla prevenzione della criminalità, che ha evidentemente avviato un processo di trasferimento internazionale di pratiche di polizia, esistono sistemi
di videosorveglianza in migliaia di città e cittadine
11
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13
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15
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16
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
europee. Come lo aveva già previsto nel 1999 Steve
Graham, Professore di geografia umana presso l’Università di Durham (Regno Unito) e specialista mondiale del fenomeno delle cybercittà, pare che la
videosorveglianza sia diventata la “quinta utility”
della vita urbana moderna, dopo l’acqua, il gas,
l’elettricità e le telecomunicazioni17.
La diffusione della videosorveglianza, intesa come
sorveglianza continua di aree pubbliche urbane, 24
ore su 24 per sette giorni alla settimana, con lo scopo
dichiarato di combattere la criminalità e di gestire
l’ordine pubblico, è iniziata negli anni 1980. Sono
tre i fattori principali che spiegano il «boom» della
videosorveglianza nelle città europee:
➤ l’emergere di un nuovo paradigma su cui poggiano
le nostre politiche di giustizia penale, per cui l’approccio tradizionale, che considerava il reato essenzialmente come una devianza individuale, è stato
sostituito dall’idea che la criminalità trova piuttosto
le proprie radici in gruppi e in luoghi specifici, considerati «generatori di criminalità». Ne deriva il convincimento che il rischio possa essere valutato, prevenuto e gestito, grazie a metodi statistici attuariali.
➤ il declino dell’industria in quanto base delle eco-
nomie urbane e il crescente aumento del consumerismo e dei servizi, accompagnato dall’emergere del
«place marketing», o del «city branding», la valorizzazione dell’immagine di una città. Al giorno d’oggi,
la sicurezza individuale e pubblica sono considerati
elementi essenziali per promuovere l’attrattività di
una città, nella competizione globale per gli investimenti e le attività economiche.
➤ la tendenza verso il decentramento, per cui degli
enti locali si sono assunti l’incarico di gestire il
controllo della delinquenza locale e dell’ordine
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
urbano. Numerosi paesi hanno conferito ai comuni il
mandato esplicito di installare telecamere sul loro
territorio, al fine di combattere la criminalità18.
La diversità nella videosorveglianza delle aree
pubbliche in Europa
A parte l’aspetto globale dei fattori testé citati, è importante prendere in considerazione le specificità di
ogni paese europeo, i vari contesti socio-economici, i
sistemi istituzionali e le esperienze nel campo della
criminalità. Come lo fa notare il sociologo canadese
David Lyon:
“È vero che alcune analogie strutturali e certi
problemi comuni che devono affrontare gli Stati moderni possono riprodurre tecniche analoghe in luoghi
diversi. [...] È anche vero che il contesto sociale, politico e culturale a livello locale e regionale porterà a
sperimentare la sorveglianza in modo diverso. [...] Il
mero fatto che esistano nuove tecnologie non è una
ragione sufficiente per utilizzarle”19.
Nel Granducato del Lussemburgo, la prima videosorveglianza è stata installata in una via cittadina nel
2007, 13 anni dopo il lancio in Gran Bretagna della
prima City Challenge Competition. 20 In Norvegia,
17
Graham, S. (1999): Towards the fifth utility? On the extension and
normalisation of CCTV. In: Surveillance, Closed Circuit Television
and Social Control, ed. by C. Norris et al. Aldershot:
Ashgate, pp. 89-112.
18
Per consultare la teoria dettagliata, vedi McCahill, M. (1998):
Beyond Foucault. Towards a contemporary theory of surveillance.
In: Surveillance, Closed Circuit Television and social control, ed.
by C. Norris et al., Aldershot: Ashgate, pp. 41-65.
19
Lyon, D. (2004): Globalizing surveillance. Comparative and
sociological perspectives. In: International Sociology, Vol. 19,
No. 2, pp. 135-149 (141-142).
20
Tageblatt. Zeitung für Luxemburg, 12 dicembre 2007.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
esistono solo sei telecamere gestite dalla polizia
locale di Oslo, la capitale, installate nel 1999.21
Viceversa, nel Regno Unito si contano approssimativamente da 40.000 a 50.000 telecamere in oltre 500
città.22 In Francia, circa 500 comuni- nella maggior
parte dei casi grandi agglomerati urbani – gestiscono
un totale di 20.000 telecamere di videosorveglianza.
Inoltre, il Ministero dell’interno francese ha
annunciato nel 2009 che il numero di telecamere
utilizzate in tutto il paese sarebbe stato triplicato.23
Nei Paesi Bassi, un quinto dei 443 enti locali utilizza
la videosorveglianza nelle aree pubbliche, con un totale di circa 4.000 telecamere.24
Nell’Europa orientale, Polonia, Repubblica ceca, Ungheria e Paesi baltici operano centinaia di telecamere
nelle principali città.
I paesi dell’Europa meridionale hanno adottato posizioni contrastanti nei confronti della videosorveglianza. Mentre il Portogallo e la Spagna sono stati
restii a utilizzarla, la Grecia ha installato all’incirca
1.200 telecamere di videosorveglianza per i Giochi
olimpici del 2004, decisione che aveva suscitato le
proteste della popolazione. Tuttavia, 200 telecamere
sono state mantenute, dopo i Giochi.25 Centinaia di
comuni italiani, invece, utilizzano i sistemi di
videosorveglianza.
In Germania, dove la Conferenza dei Ministri dell’interno, nel 2000, aveva caldeggiato l’utilizzo della videosorveglianza, considerata “strumento appropriato per
sostenere il lavoro della polizia”, oggi si contano meno di
200 telecamere in funzione per un totale di circa 30 - 40
città.26 In Austria, che ha lanciato il suo primo sistema
nel 1994 nei pressi della stazione ferroviaria di Villach,
un’iniziativa a livello federale ha accelerato la diffusione
della videosorveglianza dopo il 2005. A seguito di un
emendamento della legislazione relativa alla polizia di
sicurezza, il Ministero dell’interno ha annunciato l’espansione della sorveglianza nelle aree pubbliche.
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
Nel 2006, cinque città austriache hanno installato dei
sistemi di videosorveglianza in 11 aree pubbliche; sono
state inoltre presentate domande per l’installazione di
impianti in 17 nuove ubicazioni.27
In Danimarca, il governo ha presentato una nuova serie
di provvedimenti destinati a rafforzare la sicurezza,
comprendenti l’autorizzazione ufficiale della videosorveglianza nelle aree pubbliche, una novità rispetto al
passato.28 Questa rapida rassegna indica che l’utilizzo
della videosorveglianza in Europa varia a seconda dei
paesi. Nemmeno all’interno delle città, del resto, lo si
può ritenere uniforme, poiché ci sono aree dotate di una
fitta rete di centinaia di telecamere, ed altre zone sorvegliate unicamente da un sistema più ridotto, comprendente meno di una dozzina di telecamere.
21
Winge, S. & Knutsson, J. (2003): An evaluation of the CCTV
scheme at Oslo Central Railway Station. In: CCTV, ed. by M. Gill,
Leicester: Perpetuity Press, pp. 127-140.
22
Williams, K. S. & Johnstone, C. (2000): The politics of the
selective gaze. Closed Circuit Television and the policing of public
space. In: Crime, Law and Social Change, Vol. 34,
No. 2, pp. 183-210.
23
France Soir, 16 febbraio 2009.
24
Dekkers, S. et al. (2007): Evaluatie Cameratoezicht op Openbare
Plaatsen. Éénmeting. Eindrapport. Regioplan publicatienr. 1515.
Amsterdam, maggio 2007, p.IV.
25
Samatas, M. (2007): Security and surveillance in the Athens 2004
Olympics. Some lessons from a troubled story. In: International
Criminal Justice Review, Vol. 17, No. 3, pp. 220-238.
26
Cifre aggiornate da Töpfer, E. (2005): Polizeiliche Videoüberwachung des öffentlichen Raums. Entwicklung und Perspektiven.
In: Datenschutz Nachrichten, Vol. 28, No. 2, pp. 5-9.
27
Salzburger Nachrichten, 4 febbraio 2006.
28
heise online, 4 novembre 2005
77
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
Sostegni e normative
La videosorveglianza è ampiamente sostenuta dai principali partiti politici e dall’opinione pubblica, come lo
dimostrano i sondaggi condotti regolarmente. Nondimeno, il sostegno varia a seconda dell’ubicazione e
della diffusione della sorveglianza. Un’indagine realizzata nel 2003 in cinque capitali europee ha indicato
che il 90% delle persone intervistate a Londra era a
favore della videosorveglianza nelle vie cittadine,
mentre a Vienna, soltanto il 25% condivideva questa
opinione.29 In Gran Bretagna, dopo il caso Bulger del
1993, è emerso un vasto consenso intorno all’idea che
i sistemi di videosorveglianza potrebbero essere la
“pallottola d’argento” per sconfiggere il crimine. Le immagini dei due ragazzini di 10 anni ripresi mentre rapivano in un centro commerciale un bambino di due
anni, James Bulger, il cui corpicino mutilato venne ritrovato due giorni dopo sui binari di una vicina linea
ferroviaria vennero trasmesse per settimane su tutti i
principali canali televisivi. Le reazioni a questo evento
drammatico diedero luogo a riflessioni su una «tecnica» in grado di prevenire simili orrendi episodi in
futuro.30
Tuttavia, la videosorveglianza quale è praticata nel
Regno Unito è considerata in alcuni paesi europei come
una specie di controllo del tipo “Grande Fratello”. Per
esempio, in Germania, il precedente ministro federale
dell’Interno, Otto Schily, sostenne la videosorveglianza
sulla pubblica via quando questa divenne una questione politica alla fine degli anni ’90, ma mise anche in
guardia contro una “sorveglianza generalizzata”, ritenendo che costituiva una violazione sproporzionata dei
diritti fondamentali. 31
In un certo senso, tali atteggiamenti si ritrovano nelle
norme giuridiche relative alla videosorveglianza di
luoghi pubblici. In Gran Bretagna, la prima espansione
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
avvenne nel quadro di un vuoto giuridico. La Legge del
1984 sulla protezione dei dati si applica unicamente al
trattamento dei dati digitali, tralasciando i sistemi
CCTV analogici installati agli inizi dell’era della videosorveglianza. Inolte, la legge Giustizia penale e ordine
pubblico del 1994 autorizzava esplicitamente gli enti
locali a predisporre “impianti per riprendere immagini
di eventi in qualsiasi area del loro territorio”, e li esonerava dall’obbligo di versare onerosi canoni di licenza
per il sistema di cablaggio, contemplati dalla legge sulle
telecomunicazioni. Il quadro normativo è cambiato
soltanto con il recepimento della Direttiva Ue sulla protezione dei dati, che ha portato alla modifica della Legge
sulla protezione dei dati del 1998, e con il recepimento,
nel 2000, della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo nella Legge britannica sui diritti umani.
Contrariamente alla Gran Bretagna, la maggior parte
dei paesi europei ha ritenuto fin dall’inizio che la videosorveglianza nelle aree pubbliche costituisse una violazione dei diritti fondamentali. In Francia, nel 1990, un
tribunale amministrativo di Marsiglia si è pronunciato
contro il progetto del consiglio municipale di Avignone
di installare 93 telecamere di rete, ritenendo che le
riprese costituissero una violazione sproporzionata
della vita privata. La videosorveglianza nelle aree pubbliche e la registrazione di sequenze filmate vennero
autorizzate solo nel 1995, nel quadro della Legge
Pasqua, che ne prescriveva l’utilizzo nelle aree dove
29
Hempel, L. & Töpfer, E. (2004): CCTV in Europe. Final report
of the Urbaneye Project. Zentrum Technik und Gesellschaft, TU Berlin.
(Urbaneye Working Paper No. 15), p. 44.
Online: http://www.urbaneye.net/results/ue_wp15.pdf.
30
McGrath, J. (2004): Loving Big Brother. Surveillance culture
and performance space, London: Routledge.
31
Discorso dinanzi al Parlamento federale, 9 novembre 2000.
Plenarprotokoll 14/130.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
«esista un rischio elevato di aggressioni o furti”. 32
Nell’allora Repubblica federale tedesca, nel 1983, la
decisione Census della Corte costituzionale ha sviluppato il concetto del “diritto all’autodeterminazione informativa ”, dichiarando illegale qualsiasi raccolta di
dati personali senza il consenso informato dell’interessato, tranne in caso di “interesse generale”, in coerenza
con il principio di proporzionalità e con una chiara base
giuridica. Infatti, la videosorveglianza nelle aree pubbliche è generalmente regolata in Germania dalla
polizia regionale, ed è limitata ai cosiddetti “punti
caldi”. In numerosi altri paesi si possono notare approcci giuridici analoghi, che limitano l’utilizzo delle
telecamere di videosorveglianza a un certo numero di
aree più o meno chiaramente definite. In alcuni paesi,
per esempio l’Ungheria e la Norvegia, la normativa relativa alla protezione dei dati costituisce il riferimento
per gestire la questione della videosorveglianza; la situazione è oggi analoga nel Regno Unito. Un certo numero di normative relative alla protezione dei dati tratta
esplicitamente della videosorveglianza,mentre altre la
menzionano unicamente in modo generico. In Gran
Bretagna, per esempio, il primo «Codice di buone prassi
per l’utilizzo della videosorveglianza» è stato emanato
nel 2000 dall’ Information Commissioner (l’autorità
incaricata della protezione dei dati personali). 33
Organizzazione e sorveglianza
L’organizzazione della videosorveglianza delle aree
pubbliche presenta particolarità diverse nei vari
paesi europei, in funzione del loro quadro giuridico.
In alcuni paesi, la sorveglianza delle vie cittadine si
svolge sotto l’esclusiva responsabilità della polizia,
che opera i sistemi di videosorveglianza, di cui è proprietaria e ne garantisce il controllo. Per esempio in
Germania, è gestita dalle forze di polizia regionale
dei Länder, anche se talvolta condividono le informazioni con la Polizia federale e con i dipartimenti di
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
pubblica sicurezza locali. In Austria, rientra nell’ambito delle competenze della polizia federale. In Norvegia, il sistema di videosorveglianza della città di
Oslo è gestito dalla polizia nazionale. In altri paesi, la
videosorveglianza è essenzialmente gestita dalle amministrazioni locali. Per esempio, in Gran Bretagna
si stima che circa l’80% dei sistemi di videosorveglianza installati nelle vie cittadine sia di proprietà e
sia gestito dai consigli comunali. 34
I sistemi di videosorveglianza sono generalmente
gestiti dalle forze di polizia comunale o locale nei
paesi dove esiste la polizia locale. Molto spesso, la
gestione effettiva degli impianti è affidata a personale civile, in cooperazione con le forze di polizia comunali, regionali e/o nazionali.
Esistono anche esempi di partenariati pubblico-privato. Per esempio a Vilnius, capitale della Lituania,
le operazioni della sala di controllo sono affidate a
una società di sicurezza privata.35 Nel Regno Unito,
la prima ondata di sistemi di videosorveglianza è
stata sovente co-finanziata da imprese locali e, in
numerosi casi, è stato istituito uno stretto collegamento tra la sala di controllo della videosorveglianza
pubblica e i programmi privati “ShopWatch” 36.
Sempre nel Regno Unito, sono state promosse
32
Sezione10 della Legge 95-73 del 21 gennaio 1995
di orientamento e di programmazione in materia di sicurezza.
33
Si troverà la versione riveduta sul sito: http://www.ico.gov.uk/
upload/documents/library/data_protection/detailed_specialist_
guides/ico_cctvfinal_2301.pdf.
34
CCTV Image, No. 25 (febbraio 2008), pp. 5-6.
35
Töpfer, E. (2008): Videoüberwachung in Europa. Entwicklung,
Perspektiven und Probleme. In: Informatik und Gesellschaft.
Verflechtungen und Perspektiven, ed. by H.-J. Kreowski, Münster:
LIT Verlag, pp. 61-82 (65-66).
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
iniziative volte a sensibilizzare e coinvolgere il pubblico, quali l’esperienza condotta alcuni anni fa
nell’area londinese di Shoreditch, dove i residenti ricevevano immagini di videosorveglianza sui loro
televisori privati. 37
In gran parte, questa diversità organizzativa è certamente dovuta alle normative relative al controllo e
alle licenze esistenti nei vari paesi. In numerosi
paesi, i sistemi di videosorveglianza delle aree pubbliche sono controllati dalle autorità responsabili
della protezione dei dati, normalmente autorizzate a
ispezionare i sistemi, a denunciare le cattive prassi, e
a raccomandare i miglioramenti necessari per la gestione dei dati. Tuttavia, in alcuni paesi i sistemi di
videosorveglianza non rientrano nella sfera di competenza delle autorità responsabili della protezione
dei dati. In Austria, per esempio, il Garante della
protezione giuridica (Rechtsschutzbeauftragter) del
Ministero dell’Interno ha l’autorità di controllare i
sistemi di videosorveglianza prima della loro installazione, ma le sue raccomandazioni non sono vincolanti. In Francia, l’autorità responsabile della protezione dei dati (il CNIL) è stata superata dalla “Legge
Pasqua” che ha creato nuovi enti in ogni provincia, le
Commissioni provinciali per la Videosorveglianza
(Commissions Départementale de Vidéosurveillance
-CDV). Tali commissioni, presiedute da un giudice,
esaminano ogni progetto di sistema di videosorveglianza e i membri votano a favore o contro. La decisione finale spetta tuttavia al Prefetto, che è il rappresentante del governo contrale nella provincia.
Nella maggior parte dei casi, il Prefetto segue le raccomandazioni della Commissione.
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
Approccio globale o approccio locale
I costi sono un fattore determinante per la diffusione
dei sistemi di videosorveglianza. Non è quindi
sorprendente constatare che la loro presenza è più
limitata nei paesi in cui soltanto i funzionari di polizia competenti sono autorizzati a monitorare le
immagini trasmesse dalle telecamere nella sala di
controllo, rispetto ai paesi che utilizzano invece uno
staff civile meno retribuito.
In un certo numero di paesi, il governo centrale ha
fatto notevoli investimenti per la sorveglianza delle
vie delle città. Per esempio nel Regno Unito, il Ministero dell’Interno ha finanziato nel periodo 1994 1998 quattro serie di City Challenge Competitions
per un ammontare totale di 85 milioni di sterline,
corrispondenti a circa il 75% del bilancio globale per
la prevenzione della criminalità. Dopo il 1998, il
nuovo Governo laburista ha seguito la stessa linea
politica e ha investito circa 170 milioni di sterline
nella “CCTV Initiative” fino al 2002.38
Tra gli altri paesi che hanno fatto importanti investimenti in questo settore figurano la Repubblica ceca,
dove il budget per la prevenzione della criminalità
comprende un cospicuo stanziamento di fondi per i
sistemi di videosorveglianza, come pure l’Italia e la
Germania, i cui governi regionali hanno stanziato
contributi per l’installazione di tali sistemi.
36
Coleman, R. (2004): Reclaiming the streets. Surveillance,
social control and the city, Cullompton: Willan Publishing.
37
Guardian, 11 gennaio 2006.
38
Töpfer, Eric (2007): Entgrenzte Raumkontrolle? Videoüberwachung im Neoliberalismus. In: Kontrollierte Urbanität.
Zur Neoliberalisierung städtischer Sicherheitspolitik, ed. by V. Eick
et al., Bielefeld: transcript, pp. 193-226 (204-206)
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
I governi nazionali e/o regionali europei hanno
promosso l’adozione a livello locale di sistemi di
videosorveglianza non solo mediante normative e
stanziando risorse finanziarie, ma anche definendone l’uso. In numerosi paesi, il governo centrale ha
stilato delle linee guida rivolte alle autorità locali, per
evitare di «reinventare la ruota» a livello locale.
L’opuscolo redatto dal Ministero dell’Interno del
Regno Unito “CCTV: Looking Out For You”, pubblicato nel 1994, è uno dei primi esempi, anche se
all’epoca aveva essenzialmente lo scopo di promuovere il sistema, e non quello di fornire delle linee
guida. La guida Handreiking Cameratoezicht del
governo olandese, pubblicata nel 2000 e distribuita
a tutti i comuni del paese, è già più dettagliata. Presenta una rassegna delle esperienze di videosorveglianza nelle aree pubbliche nei Paesi Bassi e all’estero, e fornisce informazioni sugli aspetti tecnici dei
sistemi di controllo, nonché strumenti pratici, quali
una check-list e un CD contenente informazioni
complementari.39 Il Governo belga ha elaborato un
documento analogo, che fornisce linee guida,
consigli e promuove lo scambio di esperienze.
Nel Regno Unito, l’espansione dei sistemi di videosorveglianza e le discussioni sulla loro efficacia per
combattere la criminalità hanno sollevato crescenti
critiche negli ultimi anni, in particolare dopo la pubblicazione di una valutazione nazionale nel 2005,
per cui il Ministero dell’Interno e l’Associazione dei
funzionari di Polizia ha pubblicato nel 2007 una
“National CCTV Strategy”. Il documento contiene 44
raccomandazioni destinate a ottenere “miglioramenti potenziali”. Tra l’altro, raccomanda la standardizzazione di tutti gli aspetti dei sistemi di videosorveglianza, la creazione di un network di immagini
riprese e immagazzinate, la formazione di tutto il
personale, e invita a una migliore sinergia tra i vari
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
attori coinvolti nella gestione degli impianti. Sollecita inoltre maggiori poteri per l’Information Commissioner, al fine di garantire la conformità con la Legge
sulla protezione dei dati. Tale strategia è stata sostenuta con la creazione di un Consiglio per una strategia nazionale della videosorveglianza, che avrà il
compito di fornire consulenze su come mettere in
atto le raccomandazioni contenute nel rapporto e
coordinare le attività future. 40
La Francia segue lo stesso indirizzo, e il governo sta
attualmente elaborando una strategia nazionale per
la videosorveglianza.
La maggior parte degli altri paesi europei non ha ancora raggiunto tale livello di elaborazione di un approccio strategico e si limita a lasciare essenzialmente alle iniziative locali lo sviluppo della
videosorveglianza.
Scelta politica o spinta tecnologica?
Come lo si è potuto constare, il panorama della
videosorveglianza urbana in Europa è caratterizzato
da un’estrema diversità, in termini di sostegno politico, di normative, di organizzazione, di regimi per la
tutela dei dati e di strategie nazionali. La sua evoluzione nelle aree pubbliche varia a seconda dell’ambito istituzionale di ogni paese, nonché delle risorse
39
Tali linee guida sono aggiornate regolarmente. La versione attuale
è scaricabile dal sito:
http://www.hetccv.nl/binaries/content/assets/ccv/dossiers/
bestuurlijk-handhaven/cameratoezicht/handreiking_cameratoezicht_mei_2009.pdf.
40
Gerrard, G. et al.. (2007): National CCTV Strategy.
Londra: Ministero dell‘interno.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
finanziarie stanziate e, fattore non meno importante,
del consenso del pubblico.
In tutta Europa, il motore del suo sviluppo è costituito tuttavia dal livello locale. Funzionari pubblici,
politici locali e forze di polizia sostengono o impediscono lo sviluppo dei sistemi di videosorveglianza
in funzione delle loro opinioni, dei loro interessi e
delle loro intenzioni.
Fino a che punto, però, si può ritenere che siano i politici ad influenzare l’evoluzione della videosorveglianza, piuttosto che la tecnologia? Le telecamere di
videosorveglianza sono utilizzate da oltre 50 anni per
monitorare le aree pubbliche ai fini del mantenimento
dell’ordine. A partire dagli anni ’90, si è assistito a
un’espansione massiccia della videosorveglianza,
promossa in quanto strumento efficace per la lotta
alla criminalità. Nel contempo, degli studi e delle valutazioni si interrogano sulla sua effettiva efficacia in
quanto «pallottola d’argento» contro la criminalità.
Oggi, nei dibattiti pubblici, per giustificare l’utilità
della videosorveglianza si pone l’accento non più
sulla prevenzione della criminalità, bensì sulle indagini penali e si presenta la videosorveglianza come un
utile elemento di prova nelle indagini per un reato.
Oggi, i sistemi di videosorveglianza non si limitano
alla prevenzione della criminalità. Un sistema, una
volta installato, può essere utilizzato per controllare
infrazioni quali i rifiuti gettati per terra o il mancato
rispetto del divieto di parcheggio, oppure per osservare il personale municipale che opera nelle strade.
Può inoltre essere usato per la gestione di grandi
eventi pubblici o per qualsiasi importante
emergenza.
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La videosorveglianza nelle città europee:
una scelta politica?
Si fa strada una nuova tendenza, con la messa in rete
di sistemi cosiddetti «discreti». La polizia e le altre
forze dell’ordine richiedono un accesso in tempo
reale alle immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza di un sistema di trasporti pubblici cittadini, per esempio, o di altri importanti luoghi pubblici
o privati. Le aree pubbliche sono al giorno d’oggi
equipaggiate con una fitta rete di sistemi di videosorveglianza. 41
Allo scopo di trattare il crescente numero di immagini, la sorveglianza algoritmica sta soppiantando i
metodi tradizionali, con la conseguenza che decisioni
di fondamentale importanza sono delegate a una
tecnologia biometrica attraverso scatole nere, al riconoscimento automatico delle immagini e a sistemi di
supporto alle decisioni basati su GIS. Pertanto, dal
momento che diventa sempre più difficile per i cittadini e i decisori pubblici comprendere le forme e le
funzioni dei network dei sistemi di videosorveglianza
semi automatici, questa tendenza attuale solleva seri
interrogativi sulla trasparenza e la responsabilità democratica della sorveglianza urbana contemporanea.
L’espansione e l’evoluzione della videosorveglianza
in Europa hanno raggiunto uno stadio in cui è diventato ora urgente discutere, sviluppare e implementare
principi comuni per il suo utilizzo.
41
Termine utilizzato da McCahill, M. (2002): The surveillance web.
The rise of visual surveillance in an English city, Cullompton, Devon,
UK: Willan Publishing.
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
L’inquadramento giuridico della
videosorveglianza in Europa
Laurent Lim, consulente, Commissione Nazionale
per i dati pesonali e le libertà (CNIL)
Le telecamere di sorveglianza sono utilizzate oggi in misura più o meno massiccia
in tutto il mondo per controllare gli spazi
pubblici e privati. I sistemi di videosorveglianza,
associati allo sviluppo tecnologico generale che
rende sempre più facile l’acquisizione delle immagini, si perfezionano ed evolvono rapidamente.
➤
In tal modo, gli strumenti di videosorveglianza oggi
propongono soprattutto la trasmissione delle immagini via Internet (Video IP), interfacce di gestione in
grado di integrarsi in ambiente burotico, qualità
delle immagini e capacità di archiviazione sempre
più avanzate. Sono disponibili software di segnalazione di allarmi basati su una lettura «intelligente»
delle immagini, che dovrebbero evolversi per offrire
possibilità di analisi ancora più avanzate, segnatamente con l’uso di immagini video associate ad altre
tecnologie (riconoscimento sonoro, riconoscimento
facciale).
Le future evoluzioni, la diversificazione degli utilizzi
e la maturità del mercato della videosorveglianza
pongono alcune sfide alle norme giuridiche europee
e nazionali che delimitano specificamente l’utilizzo
della videosorveglianza o trattano in modo generico
la protezione dei dati di carattere personale.
Se le istituzioni europee hanno disciplinato abbastanza presto la raccolta e l’uso dei dati di carattere
personale, i primi strumenti che trattano specificamente la problematica dell’inquadramento sono
apparsi solo di recente.
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
A livello nazionale, le legislazioni degli Stati membri
dell’Unione europea, benché fissino norme e condizioni diverse, consentono di ricorrere alla
videosorveglianza.
In Europa, si pone il problema di conformare l’uso
dei sistemi di videosorveglianza alla direttiva sulla
protezione dei dati e vedremo che esistono risposte
legislative diverse al modo di inquadrare giuridicamente tali sistemi. Giova sottolineare che la legge
non è necessariamente l’unico strumento giuridico
per inquadrare la videosorveglianza: devono essere
prese in considerazione la giurisprudenza, le risoluzioni, i pareri e le raccomandazioni delle istituzioni
europee o nazionali, nonché delle autorità di protezione dei dati. Infine, alcuni codici di buone prassi o
carte etiche costituiscono strumenti particolarmente
utili all’autoregolamentazione.
I. IL QUADRO GIURIDICO EUROPEO
Taluni principi fondamentali sono stati adottati a livello europeo in materia di protezione dei diritti e
delle libertà fondamentali nonché per la protezione
dei dati di carattere personale. Questi testi riguardano
anche il trattamento dei dati nell’ambito di operazioni di videosorveglianza.
A. Le garanzie fondamentali dei testi del
Consiglio d’Europa
La convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma
il 4 novembre 1950 dal Consiglio d’Europa, all’articolo 8
enuncia il Diritto al rispetto della vita privata e familiare,
del suo domicilio e della sua corrispondenza.
Tale convenzione è stata completata dal IV protocollo
addizionale del 16 settembre 1963, che all’articolo 2
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
garantisce la libertà di circolazione per chiunque si trovi
regolarmente sul territorio di uno Stato.
Tra l’altro, la Convenzione n°108/1981 per la protezione delle persone relativamente al trattamento automatizzato dei dati di carattere personale, adottata dal
Consiglio d’Europa il 28 gennaio 1981 e ratificata da 40
Stati europei, è il primo strumento internazionale vincolante inteso a fissare norme minime per proteggere gli
individui da abusi, che potrebbero intervenire in caso di
raccolta e trattamento dei dati di carattere personale che
li riguardano.
Si applica ai settori pubblico e privato ed enuncia alcuni
principi generali riguardanti la raccolta, il trattamento e
la comunicazione dei dati di carattere personale attraverso le nuove tecnologie dell’informazione.
Le attività di videosorveglianza rientrano nel suo campo
di applicazione, nella misura in cui implicano il trattamento dei dati di carattere personale secondo la Convenzione n° 108, e nella misura in cui il comitato consultivo,
istituito da tale Convenzione, ha ritenuto che voci e immagini devono essere considerate dati personali, ove
forniscano informazioni su un individuo rendendolo,
anche se indirettamente, identificabile.
Tali principi riguardano segnatamente la liceità e la lealtà
della raccolta e del trattamento automatico dei dati personali, il principio della loro registrazione per finalità
determinate e legittime, il mancato utilizzo dei dati per
scopi incompatibili con tali finalità, il limite della durata
di conservazione al periodo strettamente necessario, il
carattere adeguato e non eccedente le finalità perseguite,
e la pertinenza dei dati e l’obbligo di aggiornamento. La
Convenzione vieta il trattamento dei dati « sensibili »
(relativi all’origine razziale, le opinioni politiche, la salute, la religione, la vita sessuale) e garantisce anche il
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
diritto delle persone interessate di conoscere le informazioni raccolte che le riguardano e, se del caso, di chiedere
delle rettifiche.
La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha avuto modo di
delimitare tali garanzie in materia di videosorveglianza.
Ha infatti stabilito che, nell’ambito di campagne di lotta
contro il crimine, la rivelazione e la pubblicazione sui
media di immagini tratte da sistemi di videosorveglianza
pubblica, all’insaputa dell’individuo filmato, costituiscono una violazione dell’articolo 8 42.
Per rispondere alla necessità di proporre un quadro
giuridico più specifico per le operazioni di videosorveglianza, e dopo avere constatato « con preoccupazione
che le leggi nazionali in materia sono lungi dall’essere
omogenee », l’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa, il 25 gennaio 2008, ha adottato la risoluzione
n°1604, mediante la quale invita formalmente gli Stati
membri del Consiglio d’Europa ad applicare un insieme
di « principi di orientamento per la protezione degli individui rispetto alla raccolta e la trattamento dei dati tramite
videosorveglianza ».
Tali principi, in numero di dodici, riprendono e applicano in materia di videosorveglianza i principi stabiliti
dagli strumenti del Consiglio d’Europa e insistono in
modo particolare sulla necessità: di un utilizzo pertinente, adeguato e non eccedente le finalità; di evitare che
i dati raccolti siano indicizzati, confrontati o conservati
senza necessità; di non impegnarsi in attività di videosorveglianza se il trattamento dei dati di carattere personale rischia di trasformarsi in una discriminazione
contro taluni individui o gruppi di individui solo a
motivo delle loro opinioni politiche, del loro credo religioso della loro salute o della loro vita sessuale, o della
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Sentenza della camera del 28/01/2003 Peck contro
Regno Unito App. 44647/98
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
loro origine razziale o etnica; di informare chiaramente e
in modo adeguato gli individui, indicando la loro finalità
e l’identità dei responsabili; di garantire l’esercizio del
diritto di accesso alle immagini e alle registrazioni;
nonché garantire la sicurezza e l’integrità delle immagini
con ogni misura tecnica e organizzativa necessaria.
Il Consiglio d’Europa invita così i suoi membri a fare in
modo di prevedere nel loro ordinamento nazionale
alcune disposizioni che definiscono le restrizioni tecniche atte a limitare l’installazione di tali attrezzature in
funzione del luogo sorvegliato, le zone private da escludere dal campo della videosorveglianza, imponendo
l’uso di software adeguati, il ricorso in pratica alla codificazione dei dati video, nonché l’istituzione di vie di
ricorso giuridico in caso di presunti abusi nell’uso della
videosorveglianza.
In particolare, giova rilevare che l’Assemblea parlamentare ritiene necessario che gli Stati membri adottino al
più presto e utilizzino una segnaletica e un testo di
accompagnamento uniformati. Alla luce dei costanti
progressi tecnici in materia di videosorveglianza, sottolinea la necessità di continuare in futuro i lavori sul tema
della videosorveglianza.
B. Gli altri testi europei
Riguardo agli altri testi europei applicabili alle attività di videosorveglianza, occorre citare in particolare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea. Questa proclamazione solenne, adottata
dall’Unione europea il 7 dicembre 2000, è ora menzionata dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre
2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, nell’articolo sui diritti fondamentali. Punta a conferire alla
Carta un valore giuridicamente vincolante (con forti
restrizioni per taluni paesi: la Polonia e il Regno
Unito e la Repubblica Ceca).
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
L’articolo 7 della Carta prevede infatti che « Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni ».
Inoltre, l’articolo 8 garantisce che « Ogni individuo ha
diritto alla protezione dei dati di carattere personale
che lo riguardano ». Precisa anche che « tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona
interessata o a un altro fondamento legittimo previsto
dalla legge », che « ogni individuo ha il diritto di
accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne
la rettifica » e che « il rispetto di tali regole è soggetto
al controllo di un’autorità indipendente ».
Occorre anche segnalare che il Garante europeo per la
protezione dei dati (GEPD)43, competente per sovrintendere al trattamento dei dati personali attuato dalle
istituzioni europee, il 17 marzo 2010 ha pubblicato
una serie di orientamenti sulla videosorveglianza, rivolti alle istituzioni e agli organismi europei.
Questi orientamenti dettagliati, elaborati al termine
di un processo di consultazione, comprendono
alcune raccomandazioni pratiche. Introducono in
particolare il concetto di « privacy by design », secondo cui le barriere tecniche che consentono di proteggere meglio i dati di carattere personale e la vita
privata degli individui ripresi dalle telecamere
devono essere introdotti, sin dalla progettazione,
nelle specifiche tecnologiche delle apparecchiature.
43
Cfr il sito web www.edps.europa.eu
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
C. La Direttiva 95/46/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995
relativa alla tutela delle persone fisiche con
riguardo al trattamento dei dati personali,
nonché alla libera circolazione di tali dati
Questa direttiva costituisce lo strumento giuridico
adottato all’Unione europea per stabilire i principi di
protezione dei dati di carattere personale dei cittadini
europei. Sulla base di questo testo gli Stati membri
hanno adottato le legislazioni nazionali sulla
protezione dei dati.
La Direttiva si applica, di massima, ai sistemi di
videosorveglianza, dal momento che si applica a
qualsiasi informazione, sotto forma di suoni e immagini, concernenti una persona identificata o identificabile, prendendo in considerazione l’insieme dei
mezzi che possono essere ragionevolmente utilizzati
dal responsabile del trattamento o da altri per identificare detta persona.
Infatti, i dati in forma di immagini e suoni relativi a
persone fisiche identificate o identificabili rappresentano dati personali, anche se le immagini sono
usate nell’ambito della videosorveglianza, anche se
non sono connesse con caratteristiche specifiche di
una persona; anche se non riguardano individui i cui
volti sono stati filmati, anche se contengono altre
informazioni (ad esempio il numero di targa della
loro automobile).
Tuttavia, la videosorveglianza dei luoghi pubblici
rientra solo in parte nel campo della Direttiva 95/46,
nella misura in cui essa non si applica al trattamento
dei dati sotto forma di suoni e immagini per fini
connessi con la sicurezza pubblica, la difesa, la sicurezza dello Stato, e per l’esercizio di attività dello Stato
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
relative al diritto penale o altre attività estranee al
campo di applicazione della legislazione comunitaria.
Peraltro, la Direttiva non si applica alle operazioni di
trattamento di dati effettuate da una persona fisica
nell’esercizio di attività a carattere esclusivamente
personale o domestico.
Il gruppo della autorità nazionali di protezione dei
dati a livello europeo (detto « Gruppo dell’articolo 29 »
o « G29 ») ha infatti precisato, in un parere del
2004 44, l’interpretazioni delle disposizioni della
direttiva n° 95/46.
Tale parere sottolinea in particolare la necessità che
le competenti istanze degli Stati membri valutino la
videosorveglianza da un punto di vista generale per
« evitare che l’eccessiva proliferazione di sistemi di acquisizione di immagini in zone pubbliche e private si
traduca nell’applicazione di restrizioni ingiustificate ai
diritti e alle libertà fondamentali dei cittadini »
che renderebbero questi ultimi « identificabili in
massa in numerosi posti pubblici e privati »; nonché
una valutazione dell’evoluzione delle tecniche di
videosorveglianza per evitare che lo sviluppo di applicazioni di software basate sul riconoscimento facciale degli individui e sull’individuazione/previsione
del comportamento umano « si traducano avventatamente in una sorveglianza dinamico-preventiva ».
Questi due messaggi sono di attualità e la definizione
di strumenti e metodi quanto più possibili affidabili
per valutare l’efficacia della videosorveglianza
rimane critica e indispensabile.
44
Parere del G29 n° WP 89 dell’11 febbraio 2004
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
II. LE LEGISLAZIONI NAZIONALI
A. La diversità dei sistemi di regolazione
In vari Stati membri sono già stati svolti studi analitici riguardo alla videosorveglianza, basati su norme
costituzionali o disposizioni costituzionali o in legislazioni specifiche, ordinanze o altre decisioni
promulgate dalle competenti autorità nazionali.
In alcuni paesi esistono anche disposizioni specifiche applicabili indipendentemente dal fatto che la
videosorveglianza possa comportare il trattamento
di dati di carattere personale. A norma di tali regolamentazioni, l’installazione e l’uso di un sistema di
videosorveglianza debbono essere autorizzati
preventivamente da un ente amministrativo, che può
essere rappresentato, in tutto o in parte, dall’autorità
nazionale per la protezione dei dati personali. Tali
regolamentazioni possono differire a seconda della
natura pubblica o privata dell’ente responsabile del
funzionamento delle attrezzature in questione.
In altri paesi, la videosorveglianza non forma attualmente oggetto di legislazioni specifiche. Tuttavia, in
alcuni casi, le autorità per la protezione dei dati
hanno svolto lavori per garantire la corretta applicazione delle disposizioni generali in tema di
protezione dei dati, tra l’altro elaborando pareri,
orientamenti o codici di comportamento (Regno
Unito, Italia).
Il suddetto parere del G 29 dell’11 febbraio 2004
contiene una tabella riepilogativa delle principali
fonti giuridiche nazionali in materia di videosorveglianza, note negli Stati membri al momento
dell’adozione del parere.
AVVERTENZA: La tabella sottostante, riportata a
titolo informativo, non è da ritenersi esaustiva perché
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
possono essere stati pubblicati altri testi dopo l’11
febbraio 2004.
Belgio
Pareri dell’autorità per la protezione dei dati, in particolare parere 34/99 del 13 dicembre 1999, relativo
al trattamento di immagini, in particolare attraverso
l’utilizzazione di sistemi di videosorveglianza.
Parere 3/2000 del 10 gennaio 2000 relativo all’
utilizzazione di sistemi di videosorveglianza negli
atri dei condomini.
Legge del 21 marzo 2007 che disciplina l’installazione e l’utilizzo di telecamere di sorveglianza.
Danimarca
Testo unico n. 76 del 1° febbraio 2000 relativo al
divieto della videosorveglianza. La legge vieta ad
organismi privati di effettuare la videosorveglianza
di vie, strade, piazze e simili zone pubbliche utilizzate per normali spostamenti. In merito a tale
divieto, esistono peraltro talune eccezioni.
Decisione dell’autorità per la protezione dei dati, del
3 giugno 2002, relativa alla videosorveglianza da
parte di un grande gruppo di supermercati e la
trasmissione in diretta su Internet da un pub.
Decisione dell’autorità per la protezione dei dati, del
1° luglio 2003, secondo la quale la videosorveglianza svolta da un’azienda privata operante nel
settore dei trasporti pubblici deve essere adeguata e
conforme alle disposizioni della legge danese sulla
tutela dei dati.
Decisione dell’autorità per la protezione dei dati, del
13 novembre 2003, che pone talune limitazioni alla
videosorveglianza condotta dalle autorità
pubbliche.
Due leggi sono state adottate in materia di videosorveglianza nel giugno 2007 : la prima conferisce alle
aziende private il potere di effettuare la videosorve-
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
glianza di zone di cui sono proprietarie, senza
l’obbligo di una previa dichiarazione all’autorità di
protezione dei dati, la seconda attribuisce ai servizi
di polizia maggior poteri che consentono di imporre
ad amministrazioni o enti privati l’installazione e
l’uso di sistemi di videosorveglianza.
Finlandia
In Finlandia non esiste una legislazione speciale in
merito alla videosorveglianza, ma varie leggi contemplano disposizioni sulla videosorveglianza ed altri
sistemi di sorveglianza, osservazione e controlli
tecnici.
L’ Ombudsman responsabile della tutela dei dati ha
formulato il suo parere in merito alle registrazioni di
conversazioni telefoniche presso i servizi di assistenza ai clienti e nell’ambito professionale (fascicoli
1061/45/2000 e 525/45/2000).
Francia
Legge n.78-17, del 6 gennaio 1978 relativa al trattamento dei dati, agli archivi e alle libertà (CNIL)
Legge n° 95-73 del 21 gennaio 1995 sulla sicurezza
(modificata), decreto n° 96-926 del 17 ottobre 1996
(modificato) e circolare del 22 ottobre 1996 (modificata) sull’attuazione della legge n° 95-73 che
delimita con un regime specifico di autorizzazione
della prefettura l’uso di sistemi di videosorveglianza
a fini di sicurezza pubblica in luoghi pubblici
La «Commission nationale de l’informatique et des
libertés» (CNIL), l’autorità incaricata della tutela dei
dati, ha pubblicato una Guida contenente alcune
raccomandazioni relative alla videosorveglianza sul
posto di lavoro.
Germania
Articolo 6, b della legge federale del 2000.
Articolo 25 della legge sulla protezione delle
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
frontiere.
Altri regolamenti relativi alla videosorveglianza
effettuata dalle forze di polizia nelle leggi dei Länder
sulla polizia.
Grecia
Lettera n. 390 del 28 gennaio 2000 concernente
l’installazione di un sistema di televisione a circuito
chiuso nella metropolitana di Atene
Direttiva n. 1122 del 26 settembre 2000 sulla televisione a circuito chiuso.
Decisione N. 84/2002 relativa ai sistemi di televisione a circuito chiuso negli alberghi.
Irlanda
Legge sulla tutela dei dati del 1998 e del 2003.
Studio analitico n. 14/1996 (utilizzazione di televisione a circuito a chiuso).
Italia
Articolo 34 del Codice di tutela dei dati personali
(decreto legge n.. 196 del 30 giugno 2003, che fissa
l’adozione di un codice di comportamento)
Decisioni del Garante: n. 2, del 10 aprile 2002 (che promuove l’adozione di codici di comportamento), 28
settembre 2001 (biometria e tecniche di riconoscimento
facciale applicate dalle banche) e 29 novembre 2000
(denominata «decalogo della videosorveglianza»)
Decreto presidenziale n. 250, del 22 giugno 1999 (che
regola l’accesso di veicoli al centro città e alle zone ad
accesso limitato)
Decreto legislativo n. 433 del 14 novembre 1992 e legge
n. 4/1993 (applicabile a musei, biblioteche e archivi di
stato)
Decreto legislativo n. 45 del 04 febbraio 2000 (navi
passeggeri su rotte nazionali)
Articolo 4 della legge n. 300 del 20 maggio 1970 (denominata «Statuto dei lavoratori»)
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
Lussemburgo
Articoli 10 e 11 della legge del 02.08.2002 sulla protezione delle persone riguardo al trattamento dei dati
personali.
Paesi Bassi
Relazione dell’autorità per la protezione dei dati
pubblicata nel 1997, che contiene orientamenti in
merito alla videosorveglianza specialmente per la
protezione delle persone e delle proprietà in luoghi
pubblici.
Indagine , nel 2003, sulla sorveglianza mediante
videocamere in tutti i comuni olandesi.
Modifica del Codice penale, in vigore a decorrere dal
1° gennaio 2004, che estende l’ambito di atto criminale alla ripresa di fotografie di luoghi accessibili al
pubblico senza informare le persone interessate.
Portogallo
Decreto legge 231/98, del 22 luglio 98 (attività di
sicurezza private e sistemi di autoprotezione)
Legge 38/98 del 4 agosto 98 (misure da adottare in
caso di violenza connessa con manifestazioni
sportive)
Decreto legge 263/01, del 28 settembre 2001
(luoghi destinati alle danze)
Decreto legge 94/2002, del 12 aprile 2002 (manifestazioni sportive)
Regno Unito
Codice di comportamento per televisioni a circuito
chiuso (Commissario per l’informazione), sottoposto
a revisione nel 2008.
Spagna
Legge organica n. 4/1997 (videosorveglianza da parte
di agenzie di sicurezza in luoghi pubblici) Real decreto
n. 596/1999 in applicazione della legge n. 4/1997
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
Svezia
La videosorveglianza è specificatamente regolamentata dalla legge (1998:150) sulla videosorveglianza
generale e dalla legge (1995:1506) sulla videosorveglianza segreta (nelle indagini criminali).
Per la videosorveglianza generale è richiesta in
genere l’autorizzazione degli organi di amministrazione regionale, benché esistano alcune eccezioni
perché l’autorizzazione non è richiesta per la sorveglianza di uffici postali, agenzie bancarie e negozi. La
videosorveglianza segreta deve essere autorizzata da
un tribunale. Le decisioni della prefettura potranno
formare oggetto di ricorso dinanzi al ministro della
giustizia.
La videosorveglianza mediante telecamere digitali va
considerata come trattamento di dati personali ed
essere soggetta alla supervisione dell’organismo di
ispezione dei dati, ove non sia specificatamente disciplinata dalla legge relativa alla videosorveglianza
generale.
Una commissione di inchiesta ha pubblicato nel
2002 una relazione sulla videosorveglianza (SOU
2002:110).
Altri importanti strumenti normativi che giova menzionare sono stati adottati in Islanda (articolo 4,
legge n. 77/2000), Norvegia (titolo VII della legge n.
31, del 14 febbraio 2000), Svizzera (raccomandazione del Commissario federale) e Ungheria (raccomandazione dell’autorità per la protezione dei dati,
del 20 dicembre 2000)
B. Verso una specifica legislazione europea?
La diversità delle legislazioni, associata ai rapidi
progressi tecnologici dei sistemi, avvalora la pertinenza di un approccio giuridico maggiormente armonizzato. Infatti numerosi lavori recenti in ambito
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La sfida: conciliare l’utilizzo della videosorveglianza
con le libertà individuali
europeo si inseriscono in quest’ottica e raccomandano il rafforzamento delle legislazioni europee e
nazionali.
Nella sua relazione del 7 maggio 2010 concernente
il ruolo delle autorità di protezione dei dati in
Europa45, l’Agenzia europea per i diritti fondamentali
considera lo sviluppo dei sistemi di videosorveglianza un motivo di preoccupazione che richiede
un’azione urgente: « La videosorveglianza dei luoghi
pubblici è ampiamente diffusa, ma il quadro legislativo
è rimasto indietro. La relazione evidenzia,
ad esempio, che spesso, in pratica, in taluni Stati
membri le telecamere di sorveglianza non sono
dichiarate e/o non sono sottoposte ad alcuna forma di
controllo».
La relazione precisa che in Austria, la stragrande
maggioranza delle telecamere non sono dichiarate
(sfuggendo così al controllo dell’autorità per la protezione dei dati), che in Germania sono stati segnalati casi di videosorveglianza sul posto di lavoro effettuati all’insaputa dei lavoratori. Si ricorda che in
Grecia, l’autorità per la protezione dei dati si è vista
negare l’accesso alla sede della polizia in cui era stato
effettuato il trattamento dei dati, mentre nel Regno
Unito vigono scarse restrizioni sull’uso delle telecamere negli spazi pubblici e che in questo Stato
membro esiste la più alta concentrazione di telecamere del mondo.
Pertanto, l’agenzia per i diritti fondamentali ritiene
che, pur tenuto conto delle specificità tecniche
intrinseche dei dati sonori e visivi nonché dell’impatto potenzialmente importante sui diritti degli individui, in futuro si dovrebbe prevedere uno specifico
strumento legislativo europeo.
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L’inquadramento guiridico della videosorveglianza
in Europa
Infine, il Consiglio d’Europa, nella sua bozza di raccomandazione sulla tutela delle persone riguardo al
trattamento automatizzato dei dati personali, adottata il 15 giugno 201046, nell’ambito del trattamento
di « profilazione » rileva che la raccolta e il trattamento dei dati per fini di profilazione possono usare
vari tipi di dati, come quelli « provenienti dai sistemi
di videosorveglianza ».
In assenza di un’iniziativa legislativa europea volta a
inquadrare in modo specifico le operazioni di videosorveglianza, gli operatori possono fare riferimento
ai pareri o alle raccomandazioni settoriali delle autorità nazionali di protezione dei dati.
Nell’intento di assicurare il migliore inquadramento
giuridico e l’uso quanto più possibile coerente dei
sistemi di videosorveglianza, alcuni scelgono di
adottare una carta etica che fissi regole di buona
prassi e di corretta gestione. In quest’ottica si inserisce la Carta proposta dal Forum europeo per la
sicurezza urbana nell’ambito del progetto « Cittadini, città e videosorveglianza ».
45
Consultabile sul sito Internet dell’Agenzia europea per i diritti
fondamentali: http://fra.europa.eu/
46
Consultabile sul sito Internet del Consiglio d’Europa:
http://www.coe.int/t/dghl/standardsetting/DataProtection/
default_en.asp
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Partie II
➤
Verso una
carta per l’uso
democratico della
videosorveglianza
nelle città europee
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« Invito gli eletti a studiare e a firmare
la Carta per un utilizzo democratico
della videosorveglianza »
Intervista con Charles Gautier, senatore e sindaco
di Saint-Herblain e Presidente del Forum francese
per la sicurezza urbana.
Lei è uno dei primi due firmatari,
insieme al sindaco di Rotterdam,
della nuova Carta per un utilizzo
democratico della videosorveglianza. Perché si
è avvertito il bisogno di una Carta?
Charles Gautier: Questa Carta è il frutto di un
lavoro condotto a livello europeo da un gruppo
di città e di soggetti ed enti coinvolti nella
videosorveglianza.
Da una quindicina d’anni a questa parte, la videosorveglianza urbana ha conosciuto un importantissimo
sviluppo in Europa, sebbene esistano differenze
significative da un paese all’altro, sia per quanto riguarda la capillarità delle reti installate, che in materia di legislazioni e modalità di controllo. Oggi
siamo giunti al punto in cui è diventata necessaria
una riflessione comune su questa tecnologia, che
non si può certo considerare irrilevante, poiché
costituisce di fatto un’ingerenza nella vita privata dei
cittadini, ripresi a loro insaputa mentre camminano
per le vie delle nostre città.
L’Efus ha pertanto promosso un progetto europeo su
questa problematica, nell’ambito del quale il Forum
francese ha svolto un ruolo di esperto. L’obiettivo è
stato quello di avviare un dibattito comune sulle
conseguenze politiche e sociali della videosorveglianza urbana. Come utilizzare questa tecnologia?
In quale ambito giuridico e politico? Come garantire
il rispetto delle libertà? Chi controlla? Chi sorveglia?
➤
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
Chi viene sorvegliato? Quali esperienze condotte in
una determinata città o in un singolo paese possono
essere applicate altrove? Quali insegnamenti trarre
dalle «cattive» esperienze?
La Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza riprende i temi principali sui quali abbiamo
lavorato e, soprattutto, presenta un certo numero di
principi fondatori destinati a favorire, come lo indica
il suo stesso titolo, un utilizzo democratico della
videosorveglianza, nel rispetto delle libertà fondamentali dei cittadini.
A chi si rivolge la Carta e a cosa serve?
Anzitutto, occorre precisare che questa Carta non
costituisce assolutamente un documento normativo
che possa imporre un certo numero di direttive alle
città europee. È stata concepita ed elaborata dalle città
stesse, per chiarificare un certo numero di idee
comuni. Rappresenta pertanto uno strumento messo
a disposizione delle città, per aiutarle a definire sia il
posto che deve occupare la videosorveglianza nelle
loro politiche di sicurezza urbana, che le modalità
pratiche del suo utilizzo. Potremmo dire che in un
certo senso è una specie di guida. È anche una dichiarazione di principi.
A che titolo ha partecipato a questo progetto?
In primo luogo, nella mia veste di senatore e di
sindaco di Saint-Herblain, una delle dieci città partner del progetto. Saint-Herblain è una città di 45.000
abitanti, situata nell’agglomerato urbano di Nantes,
nella Loira Atlantica, nel nord-ovest della Francia.
L’agglomerato di Nantes conta 500.000 abitanti.
Saint-Herblain ha installato nel 1999 le prime telecamere di videosorveglianza, che attualmente sono 18.
In quanto sindaco, seguo una linea politica chiara:
conciliare l’esigenza di sicurezza dei cittadini con il
rispetto delle libertà individuali. Lo sviluppo del
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Intervista con Charles Gautier
nostro sistema di videosorveglianza avviene in funzione di tale scelta strategica.
Ho inoltre partecipato a questo progetto in qualità di
senatore, in quanto sono stato il co-relatore, insieme
al senatore Jean-Patrick Courtois, di una relazione
informativa sulla videosorveglianza presentata al Senato. Le nostre raccomandazioni coincidono con i
principi definiti nel progetto europeo Cittadini, città e
videosorveglianza. Sono poi stato associato a questo
progetto in qualità di Presidente del Forum francese,
all’interno del quale gli amministratori eletti francesi
hanno ugualmente riflettuto su questa tematica.
La videosorveglianza è un tema importante
per gli eletti francesi ?
Indubbiamente. Non solo perché la videosorveglianza è un elemento di grande rilievo nelle politiche di sicurezza delle città, ma anche perché esiste
una volontà politica a livello nazionale. Il governo ha
annunciato che, nell’ambito della lotta al terrorismo,
aveva l’obiettivo di triplicare il numero di telecamere
installate in Francia, per giungere a un totale di
60.000 entro la fine del 2011. Sono stati stanziati
ingenti investimenti per gli impianti di videosorveglianza. Per esempio, è dedicata al suo finanziamento una quota sostanziale del Fondo interministeriale per la prevenzione della delinquenza. Altri
finanziamenti provengono dalle province, che le
assegnano una quota importante delle loro dotazioni
finanziarie: non meno di 30 milioni di euro, su un
totale di circa 49 milioni per il 2010.
Quale è la posizione del Forum e degli eletti
francesi sulla questione?
Non abbiamo una posizione dogmatica all’interno
della nostra rete di città. È certo però che numerosi
enti locali cercano attualmente di valutare l’efficacia
della videosorveglianza e, soprattutto, di conciliare
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
questa tecnologia con il rispetto delle libertà
fondamentali.
Molte discussioni vertono su questi temi. In sintesi,
possiamo dire che c’è un consenso generale intorno
a quattro principi essenziali:
In primo luogo, i sistemi di videosicurezza sono
strumenti che devono essere utilizzati nell’ambito di
una politica globale di prevenzione della delinquenza. È importante prendere in considerazione
non solo gli aspetti tecnici, ma anche l’organizzazione, le risorse umane, i costi e la dimensione etica.
In secondo luogo, ci sembra fondamentale che i comuni stanzino fondi per la formazione degli operatori, non soltanto in materia di utilizzo tecnico dei
sistemi, ma anche per renderli consapevoli degli
obiettivi del comune. Gli operatori devono conoscere
le politiche locali di sicurezza e di prevenzione della
delinquenza e gli obiettivi della municipalità. Devono inoltre conoscere le normative in vigore, in particolare quelle relative al rispetto della vita privata e
delle libertà individuali. Terzo principio: l’importanza di mettere in atto un metodo di valutazione del
sistema locale di videosorveglianza in funzione degli
obiettivi che gli sono stati assegnati. Si tratta di sistemi che costano caro alle collettività e ci pare pertanto indispensabile che queste ultime dispongano
dei mezzi di valutazione, in particolare per garantire
una buona coerenza tra il sistema di videosorveglianza e gli altri dispositivi locali di sicurezza, e, se
del caso, apportare i miglioramenti necessari. Infine,
la quarta idea chiave è che qualsiasi sistema di videosicurezza deve essere utilizzato nel rispetto delle
norme etiche. Sono essenzialmente due le nozioni che
ci sembrano più importanti: l’utilizzo trasparente di
questi sistemi e la «tracciabilità» dei dati raccolti.
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Intervista con Charles Gautier
Insieme al sindaco di Rotterdam (Paesi Bassi),
Lei è stato uno dei primi firmatari della Carta per
un utilizzo democratico della videosorveglianza.
Che cosa propone di nuovo questa Carta?
Attualmente, non esistono testi europei sulla videosorveglianza. La Carta può quindi essere definita
un’anteprima. È sorta per volontà di un certo numero
di città europee, che hanno voluto dotarsi di un quadro
di riferimento in materia. Il fatto che i sindaci abbiano
avvertito tale esigenza dimostra che hanno il senso
della realtà e conoscono le aspettative dei cittadini in
materia di sicurezza, nonché i loro timori per quanto
concerne il rispetto della vita privata. È quindi tutto il
contrario di un approccio burocratico, con decisioni
prese «dal vertice». La presente Carta offre a noi, eletti
locali, dei criteri di valutazione e delle raccomandazioni concrete nell’ambito delle normative europee e
nazionali attuali. Non si tratta di una dichiarazione a
favore o contro la videosorveglianza.
Avete invitato i vostri colleghi sindaci e amministratori locali europei a firmare questa Carta. Cosa
cambia, concretamente, se si è firmatari?
Invito gli eletti non solo a firmare, ma anche a studiare
la Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza perché sono persuaso che affronta un tema
essenziale e urgente. Al giorno d’oggi, vista la diffusione dei sistemi di videosorveglianza e le loro evoluzioni tecnologiche, qualsiasi sindaco o rappresentante
di un ente locale, anche relativamente piccolo, è
obbligato a gestire tali sistemi, quindi a prendere
posizione.Questa Carta permette agli amministratori
locali che lo desiderano di fare propri alcuni principi
basilari che garantiscono l’utilizzo democratico della
videosorveglianza. Firmare la Carta, per un eletto, significa impegnarsi pubblicamente nei confronti dei
cittadini della propria città o collettività a garantire il
rispetto delle loro libertà fondamentali.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
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LA VIDEOSORVEGLIANZA IN
FRANCIA: CIFRE CHIAVE
➤ La Francia conta 396.000 telecamere
di videosorveglianza autorizzate, di cui
20.000 nelle aree pubbliche (cifre 2007)
➤ 9772 autorizzazioni sono state rilasciate
per il 2007 ad operatori pubblici e privati (pari
a un incremento del 5% rispetto al 2006),
l’86% delle quali riguardava dei sistemi
installati in luoghi pubblici o aperti al pubblico
e il 14% era costituito da sistemi che
riprendono le strade pubbliche. Nota: Tali
dati devono tuttavia essere interpretati con cautela.
Alcuni sistemi sono stati probabilmente installati
senza autorizzazione e possono essere regolarizzati
in seguito. Viceversa, delle autorizzazioni possono
essere state rilasciate, senza che le telecamere
siano poi state installate.
➤ 1522 comuni francesi (su un totale
di 36.682 comuni al 1° gennaio 2009,
secondo l’Istituto nazionale delle statistiche
e degli studi economici) utilizzano almeno
un sistema di videosorveglianza.
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Videosorveglianza in Francia: cifre chiave
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UNA LARGA MAGGIORANZA DEI
FRANCESI È FAVOREVOLE ALLA
VIDEOSORVEGLIANZA
Secondo un sondaggio realizzato nel 2008, il
71% della popolazione francese è a favore
dell’utilizzo della videosorveglianza nei luoghi
pubblici, mentre è contrario solo il 28%.
Alla domanda, «In modo generale, è favorevole,
piuttosto favorevole, piuttosto contrario o molto
contrario alla presenza di telecamere di
videosorveglianza nei luoghi pubblici ?»,
➤ Il 21 % si dichiara a favore
➤ Il 50 % piuttosto favorevole
➤ Il 15 % piuttosto contrario
➤ Il 13 % molto contrario
➤ Il 1 % non sa
Sondaggio realizzato dal 14 al 17 marzo 2008
dalla società Ipsos, per la Commissione nazionale
Informatica e Libertà (Commission nationale
informatique et libertés (CNIL)), presso un
campione di 972 persone rappresentative della
popolazione francese di oltre 18 anni.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
1. Perché una Carta?
Mediante il Progetto Cittadini, città e
videosorveglianza, il Forum europeo per
la sicurezza urbana ha voluto avviare una
riflessione e uno scambio di esperienze sulle prassi
seguite in materia di videosorveglianza nel rispetto
delle libertà individuali. La nostra attività, grazie a
tre visite di studio a Genova, Londra e Brighton (Regno Unito) e a Lione (Francia), e alle esperienze dei
partner del progetto, ci ha consentito di avere una
visione d’insieme delle pratiche seguite per l’utilizzo
della videosorveglianza e dei mezzi messi in atto per
garantire il rispetto dei diritti dei cittadini.
➤
Quali sono le prime conclusioni di questo progetto?
Che insegnamenti trarre dalle esperienze e dalle
competenze delle città? Che consigli offrire alle città
partner dell’Efus e, oltre ai suoi membri, all’insieme
dei soggetti interessati dalla videosorveglianza? Si
possono raccomandare delle buone prassi?
Dei principi chiave per conciliare la videosorveglianza con la tutela dei diritti fondamentali
Il progetto ha naturalmente individuato delle prassi,
definite « buone » dai partner, quando sono applicate per un determinato problema, in un contesto
specifico. All’inizio, i partner hanno sviluppato in
comune una griglia di lettura, per valutare le varie
prassi secondo i medesimi criteri, ponendosi ogni
volta le stesse domande: tutela dei dati, per garantire
il rispetto della vita privata, coinvolgimento dei cittadini in ciascuna delle tappe del percorso di un
progetto di videosorveglianza – progettazione, attuazione, utilizzo, valutazione e sviluppo del sistema. I
partner hanno tuttavia considerato difficile racco-
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Perché una Carta?
mandare a tutte le città di applicare questa o quella
prassi predisposta e attivata da un’altra città, in funzione di un contesto specifico. Il progetto ha dimostrato infatti che non esiste una buona prassi europea,
ma che invece è interessante scambiarsi molteplici
idee e pratiche, al fine di consentire a ciascuno di
definire quale è la migliore strada da percorrere per
raggiungerere l’obiettivo comune, quello cioè della
tutela dei diritti individuali.
In un primo tempo, è stato pertanto necessario individuare i principi generali sui quali si basano le
buone prassi. In un secondo tempo, sono state esaminate le varie sfide poste dalla videosorveglianza.
Infine, sono state formulate delle idee di buone
prassi per mettere in opera tali principi, tenendo
conto delle sfide precedentemente individuate.
L’idea di una carta per un utilizzo democratico della
videosorveglianza, che intende essere universale e
formula principi basilari che dovrebbero governare la
videosorveglianza è nata da una triplice riflessione:
1) Principi che possono applicarsi alla
videosorveglianza dappertutto in Europa
In una riflessione europea sull’utilizzo della videosorveglianza, nel rispetto dei diritti fondamentali,
occorre trovare un denominatore comune per orientare gli utilizzatori al di là dei diversi contesti istituzionali, legali e culturali. Non si ricerca un minimo
comune denominatore, bensì si individuano i punti
essenziali sui quali tutti sono d’accordo, sapendo
che ciascuno avrà poi la facoltà di scegliere tra una
vasta gamma di opzioni, al fine di adottare la soluzione o le soluzioni meglio adattare a ogni paese,
a ogni regione, in funzione delle situazioni.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
2) Principi che possono essere applicati a tutte
le sfide poste dalla videosorveglianza
L’obiettivo della carta è quello di formulare un
insieme di norme che soddisfino tutte le sfide poste
dalla videosorveglianza. È la ragione per la quale i partner hanno cercato di individuare i principi fondamentali sui quali poggia il diritto al rispetto della vita privata
in tutti gli aspetti dell’utilizzo della videosorveglianza.
Sono principi indipendenti e complementari. Possono
essere applicati in tutti i casi in cui si ricorre alla videosorveglianza, per la pianificazione di un progetto, la
messa in opera di un sistema, il suo utilizzo, la protezione dei dati, o lavalutazione del sistema e le sue eventuali modifiche. Le raccomandazioni sui tipi di azioni
da condurre emergono al momento dell’applicazione di
questi principi. Successivamente, gli esempi di prassi e
le tecniche concrete possono fornire utili spunti per la
messa in opera delle azioni.
3) Principi sostenibili in un contesto di rapido
sviluppo tecnologico
L’evoluzione tecnologica e il costante aumento delle
capacità dei sistemi di videosorveglianza hanno
costituito una delle tematiche principali dei dibattiti
sulla protezione della vita privata. Si constata infatti
che i sistemi sono sempre più potenti e intelligenti
(riconoscimento automatico dei veicoli, delle persone, dei comportamenti, ecc) e sono sempre più
spesso collegati ad altri sistemi informativi. La
videosorveglianza rappresenta soltanto un elemento
di tutta una fitta rete tecnologica che gestisce le
nostre città e che si sviluppa in modo irreversibile,
con rapidità esponenziale. Per questo, qualsiasi
raccomandazione su un buon utilizzo della videosorveglianza può essere presto superata dalla realtà
tecnologica.
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Perché una Carta?
D’altro canto, l’evoluzione delle tecnologie offre
nuove soluzioni a certi dilemmi etici. Oggi esistono
per esempio dei sistemi che impediscono alle telecamere di filmare all’interno degli spazi privati (vedi
l’articolo di Jeroen van den Hoven). Le raccomandazioni contenute nella Carta non riguardano quindi
dei metodi pratici per l’utilizzo di una determinata
tecnica, ma trattano dell’applicazione di principi
sostanziali.
Vale inoltre la pena segnalare che la Carta per un
utilizzo democratico della videosorveglianza non ha la
pretesa di riassumere l’insieme dei dibattiti che si sono
tenuti nell’ambito del progetto. Essa non può e non
intende del resto sostituirsi allo scambio di pratiche
concrete effettuato nel corso del progetto e illustrato
nella presente pubblicazione, che deve considerarsi un
complemento della carta e si augura di rappresentare
un primo passo verso una guida pratica.
Una Carta europea delle città e delle regioni
La stesura della carta non è stata effettuata unicamente
sulla base delle prassi raccolte presso le città. È evidente che i dibattiti si sono fondati sulle normative nazionali vigenti, sui testi europei e sulle prime iniziative
di carte locali, riguardanti la garanzia del rispetto dei
diritti individuali.
L’iniziativa condotta fino ad ora dall’Efus non è l’unica
nel suo genere. Rappresenta piuttosto un lavoro complementare, che va a colmare un vuoto locale ed europeo. La videosorveglianza è un fenomeno europeo,
che riguarda tutti i cittadini che vivono, lavorano e si
spostano in Europa. Nel contempo, la videosorveglianza delle aree pubbliche rientra nell’ambito delle
responsabilità delle autorità locali. L’originalità della
Carta consiste nel creare un ponte tra le dimensioni locali e quella europea.
I testi europei in materia di videosorveglianza possono
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
in realtà fornire unicamente dei pareri e delle raccomandazioni formulate da esperti. Una carta degli enti
locali europei, invece, rispecchia l’impegno di un insieme di città e di regioni di tutta Europa a rispettare, a
livello locale, i principi che garantiscono un utilizzo democratico della videosorveglianza.
Le istituzioni europee svolgono un ruolo di grande rilievo nella protezione dei diritti fondamentali e nella
tutela della vita privata, come lo dimostrano i seguenti
testi: Convenzione dei diritti dell’uomo del Consiglio
d’Europa (1950), articolo 8, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2001/2009) articoli 7 e 8, e,
per quanto concerne la tutela dei dati, Convenzione n°
108 (1981) del Consiglio d’Europa, Direttiva 95/46/
CE dell’Unione europea. Hanno inoltre preso posizione
sulla questione della videosorveglianza, formulando
raccomandazioni molto analoghe a quelle della Carta,
che si ritrovano nella relazione del Comitato europeo di
cooperazione giuridica (CDCJ) (2003), nel Parere
4/2004 del Gruppo di lavoro Articolo 29», nei rapporti
della Commissione di Venezia (2007), nella Risoluzione 1604 (2008) dell’Assemblea parlamentare del
Consiglio d’Europa, e nelle linee guida sulla videosorveglianza del Garante europeo per la protezione dei dati
personali (GEPD) (2010).
I suddetti testi molto completi ed esaurienti sono stati
fonte di ispirazione per il progetto, ma non hanno esplicitato i principi sui quali si basano le loro raccomandazioni. Sebbene numerosi paesi abbiano colto l’occasione del recepimento della Direttiva 95/46/CE nel
diritto nazionale per promulgare leggi anche sulla videosorveglianza, e le convenzioni sulla salvaguardia
dei diritti fondamentali facciano parte del diritto europeo e internazionale, le istituzioni europee per il momento non hanno la competenza di legiferare sulla videosorveglianza. Devono accontentarsi di formulare
pareri e raccomandazioni e contare sul fatto che il mes-
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Perché una Carta?
saggio è stato recepito e sulla buona volontà dei soggetti interessati. È proprio in assenza di una normativa
europea che la Carta del Forum assume tutto il suo
senso.
Le legislazioni nazionali, che definiscono l’ambito giuridico vincolante per l’utilizzo della videosorveglianza,
variano molto da un paese all’altro (vedi l’articolo di
Laurent Lim nel presente rapporto). Mentre certi paesi
dispongono di legislazioni e di normative molto precise
in materia di videosorveglianza, altri hanno mantenuto
una legislazione più generale riguardante la tutela della
vita privata e dei dati personali. In alcuni paesi una
carta sulla videosorveglianza costituirebbe pertanto
una novità. In numerosi altri paesi, i principi della carta
potrebbero andare a completare la legislazione esistente e potrebbero soprattutto porre un risalto una
volontà politica e una preoccupazione per un utilizzo
responsabile di questa tecnologia da parte delle autorità e degli amministratori eletti territoriali.
L’impegno assunto dalle città con l’adesione alla
carta– un importante complemento della
legislazione vigente.47
Le carte e i codici di condotta sono forme di regolamentazione informale o della cosiddetta «soft law», poiché
non costituiscono una legislazione ufficiale. Sarebbe
tuttavia errato pensare che tali carte non siano importanti per la regolamentazione interna di un paese. In
considerazione del fatto che propongono valori e principi di gestione, possono svolgere un ruolo centrale
nella creazione di una cultura organizzativa nel campo
della videosorveglianza e fornire agli operatori e ai responsabili delle telecamere dei principi destinati a guidarli nei loro processi decisionali quotidiani. Inoltre,
possono servire da punto di riferimento (benchmark)
per misurare le performance del sistema e porre le basi
per lo sviluppo di procedure più particolareggiate rela-
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
tive al funzionamento e alla gestione di un centro di
videosorveglianza.
Le carte possono inoltre svolgere un ruolo rilevante per
facilitare la comunicazione rivolta al pubblico. Una
carta, poiché fornisce una spiegazione chiara della
ragion d’essere e dei limiti dell’installazione di un impianto di videosorveglianza, può rassicurare i cittadini
sulla finalità del sistema, consentendo loro di disporre
di un certo numero di criteri necessari per valutare il
buon funzionamento e il successo del sistema. In tal
senso, possono fornire ai cittadini un ambito preciso
nel quale esprimere le loro preoccupazioni. Tale ambito
può di conseguenza aiutarli a verificare che i responsabili del sistema assumano le loro responsabilità e
non vadano oltre il loro mandato di garantire una « sorveglianza ».
Le carte possono inoltre svolgere un ruolo rilevante per
facilitare la comunicazione rivolta al pubblico. Una
carta, poiché fornisce una spiegazione chiara della ragion d’essere e dei limiti dell’installazione di un impianto di videosorveglianza, può rassicurare i cittadini
sulla finalità del sistema, consentendo loro di disporre
di un certo numero di criteri necessari per valutare il
buon funzionamento e il successo del sistema. In tal
senso, possono fornire ai cittadini un ambito preciso
nel quale esprimere le loro preoccupazioni. Tale ambito
può di conseguenza aiutarli a verificare che i responsabili del sistema assumano le loro responsabilità e
non vadano oltre il loro mandato di garantire una « sorveglianza ».
Per quanto concerne i rapporti tra le carte e il potere
discrezionale dell’organo esecutivo locale, è evidente
che l’importanza della “soft law” dipende dalle circostanze e dai fabbisogni locali. In numerose città europee
si ritiene che gli impianti di videosorveglianza dovrebbero essere sotto il controllo diretto degli amministratori locali e che il loro funzionamento dovrebbe rientrare nell’ambito del loro potere discrezionale.
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Perché una Carta?
Evidentemente, poiché le carte non sono giuridicamente vincolanti o opponibili, non possono sostituirsi
al potere discrezionale dell’organo esecutivo. Non possono nemmeno essere utilizzate per modificare o interpretare le leggi vigenti. Tuttavia, l’adozione di una carta
avrebbe il vantaggio di fornire una struttura per l’uso
del potere discrezionale, di consentire una maggiore
trasparenza nell’utilizzo della videosorveglianza e di
garantire che i suoi obiettivi siano conosciuti e compresi dal pubblico. Infine, le carte possono aiutare i
neo-eletti a comprendere il funzionamento e le sfide
della videosorveglianza e a garantire un certo livello di
continuità operativa e di gestione, a seguito di elezioni
o di altri cambiamenti politici.
In sintesi, si può affermare che il principale vantaggio
delle carte è la loro capacità di creare prassi organizzative e operative, di promuovere la responsabilità (accountability) e la trasparenza, e di favorire la comprensione della videosorveglianza da parte del pubblico. Per
tutte queste ragioni possono rappresentare un reale
vantaggio per le normative e le regolazioni esistenti e
un utile complemento alla gestione della videosorveglianza esercitata dalla discrezionalità del potere esecutivo e dall’amministrazione. Sono le ragioni che
hanno spinto numerose città membre dell’Efus, come
Lione e Le Havre, a dotarsi di una carta. È anche per
questo che la Commissione nazionale francese Informatica e Libertà (CNIL) ha sostenuto tale iniziativa e ha
fornito il suo contributo a un’iniziativa analoga, lanciata dal Gruppo ‘Articolo 29’, encomiata dal Garante
europeo per la protezione dei dati (GEPD). I partner del
progetto ritengono pertanto che qualsiasi iniziativa
volta a elaborare una carta possa interessare non soltanto le città e le regioni europee, ma anche tutti i soggetti pubblici che perseguono obiettivi analoghi.
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Per questa parte, vedi Benjamin Goold, Università della British
Columbia/Università di Oxford.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
2. I principi della Carta
1. Il principio di liceità
1.1 - Perché?
Il Forum si è costituito intorno al convincimento «le
città aiutano le città», principio ispiratore di tutti i
progetti europei che ha sviluppato. Nell’ambito della
riflessione intorno alla tematica centrale del progetto
sulla videosorveglianza, ogni città partner ha
espresso la volontà di conoscere l’esperienza e il
contesto delle altre città partecipanti all’iniziativa.
I principi sono anzitutto determinati dalla legislazione in vigore. Il principio di liceità non è sorto
spontaneamente dalle nostre riflessioni, come fosse
un’evidenza. In realtà, ci siamo posti l’interrogativo:
bisogna parlare di liceità o piuttosto di legittimità?
Legittimità significa il diritto di compiere un’azione
o di occupare una funzione. Gli eletti, per esempio,
traggono la loro legittimità dalle elezioni e i poliziotti
dallo status di membri delle forze dell’ordine, ottenuto dopo avere superato esami e concorsi. L’unica
legittimità applicata in tutti i casi è quella della legge.
Affermare il principio di liceità in materia di videosorveglianza significa ribadire che la principale legittimità di un sistema deve essere basata sulle legislazioni in vigore.
Tali legislazioni traducono una mentalità e sono il
frutto delle scelte della società. Sono inoltre rivelatrici di una cultura, di una storia e di rapporti di forza,
di equilibri o di compromessi tra le autorità/i cittadini/le città/lo Stato, oppure anche tra vari livelli
territoriali.
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I principi della Carta
Pongono in risalto rapporti di fiducia o di sfiducia e,
per essenza, sono uno strumento indispensabile per
legittimare una prassi.
Costituiscono pertanto una base di lavoro essenziale.
Il primo livello preso in esame dai partner di questo
studio è stato quello comunitario. Le normative
comunitarie definiscono delle regole destinate a essere applicate in tutti i paesi dell’Unione.
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
La Carta ricorda quindi che:
I sistemi di videosorveglianza possono essere elaborati e sviluppati unicamente nel rispetto della legge e
delle norme vigenti.
Rispetto e conformità alle normative europee,
nazionali, regionali o locali. Lo sviluppo di tali sistemi deve ugualmente essere realizzato nel rispetto
delle norme in materia di tutela dei dati, dei testi in
materia di intercettazioni di comunicazioni e di
conversazioni, di interferenze illecite nella vita privata, di tutela della dignità, dell’immagine, del
domicilio e degli altri luoghi per i quali esiste un’analoga protezione. Devono altresì essere prese
in considerazione le norme relative alla tutela
dei lavoratori.
Come mettere quindi in pratica questo
principio di liceità?
Occorre anzitutto una conoscenza dei testi in vigore. I
partner hanno dovuto affrontare la sfida di porre in evidenza tali testi, che non riguardano specificamente la
videosorveglianza, ma che le città dovranno prendere in
considerazione al momento dell’installazione del loro
sistema, oltre alla normativa nazionale, qualora esista.
➤ I sistemi di videosorveglianza devono essere
elaborati in coerenza con:
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
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1) Il diritto europeo e internazionale:
➤ la Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)
del Consiglio d’Europa – 1950;
➤ la Convenzione 108 del Consiglio d’Europa
sulla protezione delle persone rispetto al
trattamento automatizzato di dati a carattere
personale– 1981;
➤ la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea;
➤ la direttiva 95/46/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995
relativa alla tutela delle persone fisiche con
riguardo al trattamento dei dati personali;
nonché alla libera circolazione di tali dati;
2) Le normative nazionali e locali
che disciplinano i sistemi di videosorveglianza e il trattamento e la tutela
dei dati personali;
➤ Valutare la pertinenza di un impianto di
videosorveglianza rispetto agli obiettivi per
i quali la Costituzione consente una limitazione
all’esercizio dei diritti fondamentali dei
cittadini.
3) Le diverse giurisprudenze esistenti
in materia
➤ In considerazione delle evoluzioni
tecnologiche, in presenza di un vuoto
normativo su una determinata questione,
la realizzazione del sistema di videosorveglianza
deve avvenire accertandosi che siano osservati
gli altri principi definiti nella presente carta.
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I principi della Carta
Tale principio di liceità sottolinea la seguente
affermazione: il rispetto delle normative in
vigore è il primo atto della democrazia. Le
normative, per quanto diverse, consentono di
inquadrare legalmente lo sviluppo dei sistemi di
videosorveglianza.
La presa in considerazione delle normative
vigenti è una garanzia di sostenibilità.
Questo principio di liceità fornisce un ambito
per legittimare, oggettivare la videosorveglianza,
ma, come per qualsiasi altro ambito, deve
essere precisato.
La liceità messa in pratica
Questo principio di liceità si declina in modo diverso
attraverso l’Europa. Mentre per certi Stati il funzionamento della videosorveglianza è disciplinato da
una legge generale relativa alla tutela dei dati, in altri
paesi, come il Belgio, l’Italia e la Spagna, l’utilizzo di
questa tecnologia è strettamente delimitato. La legge
impone tra l’altro in questi paesi un parametraggio
del sistema che consenta un mascheramento delle
aree private (finestre e porte, per esempio). La legge
fissa inoltre la durata di conservazione dei dati personali e stabilisce l’obbligo di informare il pubblico
sull’identità dell’autorità responsabile dell’installazione e della gestione del sistema. Su quest’ultimo
punto, sia il sistema italiano, che quello belga impongono le norme da rispettare per la comunicazione
ai cittadini, ed esigono che tutte le città utilizzino lo
stesso tipo di cartello per indicare l’area videosorvegliata, nel quale devono figurare un certo numero di
informazioni fissate per legge.
Altro aspetto importante del principio di liceità riguarda la formazione degli operatori delle telecamere.
È fondamentale che il personale conosca la legisla-
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
zione in materia di tutela dei dati. È obbligatorio in
certi paesi, tra cui il Regno Unito. In altri, come ad
esempio la Francia, la formazione figura solitamente
tra le prescrizioni deontologiche rivolte agli operatori
da parte dagli enti locali. Infine, in altri paesi, la formazione dipende dalla volontà delle autorità locali.
Un terzo aspetto del principio di liceità riguarda le
procedure di controllo indipendenti. Numerosi paesi
hanno creato degli organi indipendenti, incaricati di
vigilare sul rispetto della legge da parte dei pubblici
poteri che utilizzano i sistemi di videosorveglianza.
In Francia, si tratta dei Comitati etici, in Italia esiste
il «Garante della Privacy», in Spagna è stata creata
l’Agenzia spagnola per la tutela dei dati (AEPD), che
dispone tra l’altro del diritto di proporre delle sanzioni, se non sono rispettate le disposizioni legali.
L’utilizzo sempre più diffuso della videosorveglianza
impone di adattare le leggi, al fine di limitare e
inquadrare le ingerenze nella vita privata. Nel Regno
Unito, è stato definito fin dal 2008 un ambito strategico nazionale, e il governo eletto nel giugno del
2010 ha inserito nel proprio programma di azione il
tema della tutela della vita privata in relazione alla
videosorveglianza.
Conoscere e rispettare la legge è evidentemente la
condizione sine qua non, ma nulla impedisce alla
città di adottare provvedimenti che vadano ben oltre
la legge, al fine di garantire il rispetto della vita privata e delle libertà fondamentali. Raccogliere esperienze e formulare raccomandazioni in materia era
un altro degli obiettivi del progetto che ha dato vita a
questa carta.
La legge non ha forza prescrittiva; fornisce un ambito
che consente di operare il sistema. Pertanto, quali
sono gli elementi di un sistema di videosorveglianza
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I principi della Carta
che possono essere considerati prescrittivi? In altri
termini, come applicare i principi della carta quando
si installa e/o si gestisce un sistema di
videosorveglianza?
2. Principio di necessità
Tutti i partner l’hanno constatato: la videosorveglianza
non è una soluzione di per sé, bensì uno dei tanti strumenti di una strategia globale in materia di sicurezza.
Vista l’evoluzione tecnologica dei sistemi di videosorveglianza e il crescente numero di città che li utilizzano, è
importante ricordare che l’installazione di un sistema
non può essere considerata di per sé una finalità. Deve
essere necessaria.
Tuttavia, come definire tale necessità, senza rischiare di
scivolare nell’apologia della videosorveglianza? Come
definire un principio di necessità senza pregiudicare la
libertà di ogni città di definire le proprie scelte strategiche
in materia di sicurezza, utilizzando o meno la
videosorveglianza?
D’altro canto, possiamo affermare che la necessità sia di
per sé un principio fondamentale?
Si rivela sempre delicato definire la scelta di installare un
sistema di videosorveglianza come una necessità, dal
momento che per sapere se si tratta di una reale necessità occorrono conoscenze sull’efficacia della videosorveglianza. Qual è il contributo fornito dalla videosorveglianza per risolvere un problema specifico? È la risposta
più adeguata in un determinato contesto?
Tali domande non hanno risposte semplici, e i partner
del progetto ne hanno dibattuto a lungo. Le valutazioni
scientifiche indicano un bilancio mitigato, come lo
dimostrano tra l’altro gli studi condotti dal Ministero
dell’interno britannico (Welsh e Farrington 2002, Gill e
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
Sprigg 2005, Gill e al 2005). Occorre anzitutto distinguere la finalità del sistema: si vuole prevenire la criminalità o facilitare le indagini a posteriori? Per quanto
riguarda gli effetti scontati, possono variare notevolmente nel tempo e non sono sempre gli stessi per tutti i
tipi di reati. La funzione di prevenzione presuppone che
il delinquente potenziale ragioni e agisca in modo razionale. Sappiamo in realtà che numerosi delitti sono stati
commessi, appunto, «sotto l’effetto» di un raptus emotivo. D’altro canto, non è garantita l’efficacia della videosorveglianza per le investigazioni, né è dimostrato il suo
ruolo nella riduzione del senso di insicurezza.
Tutte queste considerazioni devono essere prese in
considerazione quando si parla di necessità. Non si
tratta di una necessità a sé stante, ma piuttosto di una
necessità che deve essere formulata dopo avere condotto
la necessaria diagnosi. È il ragionamento che porta alla
decisione di installare un sistema di videosorveglianza
che rivela che esiste una reale necessità.
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DEFINIZIONE DEL PRINCIPIO
CONTENUTO NELLA CARTA:
L’impianto di un sistema di videosorveglianza non può costituire di per
sé un’esigenza
Deve essere deciso in base alle necessità.
La necessità fa riferimento all’incontro tra
determinate circostanze e un bisogno, da
un lato, e la risposta fornita dal sistema di
videosorveglianza, dall’altro lato. Tale bisogno
e tali circostanze rendono pertinente la
decisione, per cui l’azione diventa inevitabile.
È il principio di necessità che sottende la
decisione di installare un sistema di videosorveglianza. La necessità assume in tal modo
una dimensione prescrittiva: « La necessità
non conosce legge ».
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I principi della Carta
Come mettere in opera questo principio
di necessità? Attraverso tale principio, è il
ragionamento preliminare che giustifica
l’installazione del sistema di videosorveglianza.
Tale ragionamento si articola intorno
all’individuazione delle circostanze, alla
definizione dei bisogni e della necessità
di trovarvi una risposta tramite la
videosorveglianza.
Sono tre gli elementi costitutivi di
questo principio di necessità:
L’incontro tra le circostanze e il bisogno è alla
base della necessità della risposta.
Le circostanze
Il bisogno
La risposta
La carta riprende un metodo di soluzione dei
problemi analogo a quello utilizzato dalla polizia
britannica per le sua attività di prossimità (neighborhood policing). Il metodo seguito è il cosiddetto
procedimento «SARA», che significa, secondo la
sigla inglese, scanning (passare in rassegna un
problema, una situazione, delle circostanze), analysis
(analizzare i bisogni), response (definire una risposta)
e assessment (valutare l’efficacia della risposta
fornita).
L’interesse principale di tale impostazione è quello
di permettere di distinguere tra il problema da risolvere e i sintomi osservati. Se non si effettuano le
prime due fasi dello «scanning» e dell’ «analysis»
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
con sufficiente rigore, si rischia di trovare una
risposta adatta soltanto a trattare i sintomi, e non il
vero problema.
Nel caso della videosorveglianza, il pericolo è costituito dal fatto che è tentante credere che costituisca
la risposta ricercata e che di conseguenza non sia
necessario seguire tutto il processo. La domanda
centrale non sarebbe più: «quale è la risposta più
adeguata per questo problema?» ma piuttosto: «vorremmo installare un sistema di videosorveglianza,
come lo si può giustificare?».
Il principio di necessità indicato nella Carta impone
un approccio diverso, che mette il problema davanti
alla soluzione, in considerazione del fatto che, a
seconda dei casi, la videosorveglianza può essere efficace, oppure no. Tale approccio considera che la
videosorveglianza rappresenta una delle tante
risposte possibili e permette di relativizzarne l’efficacia rispetto ad altri strumenti di sicurezza urbana.
È inoltre molto importante valutare il sistema (la
quarta tappa del processo SARA). Il principio di necessità non riguarda soltanto la decisione di installare un sistema, ma anche i vari sviluppi lungo tutto
il suo «ciclo di vita». La domanda relativa alla necessità è quindi costante. Si pone per esempio quando si
ipotizza l’eventualità di ampliare un sistema. È un
investimento necessario per la sicurezza 48? La
domanda si impone, inoltre, se è cambiata la situazione iniziale. Che fare, per esempio, se si registra un
notevole miglioramento della sicurezza? La videosorveglianza è ancora necessaria? Pur essendo irresponsabile non prendere in considerazione gli investimenti già effettuati, e non riflettere sulle eventuali
48
È ovvio che i costi per l’ampliamento di un sistema sono
normalmente molto meno importanti, poiché si possono utilizzare gli
investimenti già effettuati e non ha gli stessi costi fissi.
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I principi della Carta
conseguenze della decisione di eliminare il sistema
di videosorveglianza, è sempre possibile ipotizzare
l’eventualità di rimuovere le telecamere.
La città di Rotterdam, per esempio, a seguito di un
processo di valutazione, ha ipotizzato di rimuovere
alcune telecamere. Gli abitanti del quartiere si sono
opposti, poiché si sentivano rassicurati dalla loro
presenza. Altre città europee hanno avuto la stessa
esperienza, il che rivela inoltre che il principio del
coinvolgimento dei cittadini può essere più complesso di quanto non lo si potrebbe supporre. Per la
città di Rotterdam alla fine è stato deciso di ridurre il
numero di telecamere, il che equivale a fornire una
risposta adattata alla nuova necessità.
Un altro esempio interessante è costituito dalla legge
del Land tedesco del Baden Württemberg, che stabilisce che un sistema di videosorveglianza può essere
considerato necessario solo se le statistiche hanno
dimostrato che una zona è particolarmente criminogena. A Mannheim, le autorità locali e la polizia
hanno provveduto a rimuovere un sistema di sei
telecamere installate cinque anni prima nel centro
città, poiché il tasso di criminalità era sceso in modo
significativo. Dopo la rimozione delle telecamere, la
situazione è rimasta stabile, il che potrebbe essere
anche dovuto ad altri provvedimenti presi dalle autorità locali, quali un migliore assetto della zona e l’illuminazione pubblica.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
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RACCOMANDAZIONI /
MODI DI AZIONE
In tale contesto, per l’applicazione
del principio di necessità si può
raccomandare:
A livello delle CIRCOSTANZE
➤ Individuare in modo preciso, tramite un
audit o una diagnosi, le problematiche di
sicurezza e di prevenzione della delinquenza
riscontrate sul territorio della città;
➤ Tracciare un bilancio delle risorse locali
disponibili e dei dispositivi esistenti, che
consentano di trovare risposte alla situazione
diagnosticata;
A livello dei BISOGNI
➤ Reperire i bisogni individuati nel corso della
diagnosi e dell’inventario delle potenzialità
locali. I bisogni devono essere precisati per
quanto possibile, poiché da loro dipendono
i futuri obiettivi del progetto;
➤ Considerare se altri mezzi meno intrusivi
sono possibili per trovare risposte adeguate a
queste problematiche;
A livello della RISPOSTA
➤ Occorre definire gli obiettivi e individuare
i vantaggi e i risultati attesi dal sistema.
Tali obiettivi devono essere tradotti in modi
di funzionamento. Per esempio, bisognerà
quindi definire quali sono gli aspetti e le
implicazioni funzionali di un sistema
di videosorveglianza finalizzato alla
prevenzione della delinquenza;
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I principi della Carta
➤ Stabilire il tipo di sistema che può consentire
alla città di conseguire tali obiettivi in modo
realistico; il sistema di videosorveglianza deve
essere calibrato per rispondere in modo
pertinente ed efficace ai fabbisogni individuati;
➤ Gli impianti di videosorveglianza possono
essere attivati unicamente quando altre misure
meno intrusive si sono rivelate insufficienti o
inapplicabili (dopo una valutazione), o quando
la natura del problema da risolvere non rientra
nel campo di applicazione di tali altre misure.
In ogni modo, la videosorveglianza deve
rappresentare unicamente una parte di una
risposta coordinata a un problema individuato;
➤ Autorizzarsi ad applicare il diritto di ritornare
sulla decisione, ove necessario. Le città devono
avere la possibilità di giudicare, sulla base
di una valutazione, che la videosorveglianza
non rappresenta più una necessità o che
occorrerebbe una ridistribuzione delle
telecamere;
Dopo avere stabilito la necessità del sistema,
occorre ancora definirne le dimensioni e il
calibraggio rispetto al ragionamento effettuato.
Tale calibraggio dei dispositivi di
videosorveglianza deve avvenire nella
giusta proporzione.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
3.Principio di proporzionalità
La proporzionalità è un principio difficile da
definire; lo si potrebbe intendere come la giusta
misura. Come valutarlo, in che momento e rispetto
a che cosa? Inoltre, come determinare la proporzionalità al di fuori di un contesto specifico? Come
raccomandare in una carta europea quanto è
adeguato in questo o quel contesto specifico di
una città o di una regione?
Per i partner, nel corso dei dibattiti su questo principio, l’elemento importante non è stato quello di
definire una norma generale, ma di insistere sulla
necessità di calibrare il sistema di videosorveglianza
in funzione di ogni contesto particolare e delle
circostanze.
I confronti tra i sistemi di videosorveglianza spesso
si effettuano in funzione del numero di telecamere.
Non è però necessariamente il miglior criterio,
poiché il numero di telecamere deve essere coerente
con i bisogni individuati nella città.
Dietro al principio di proporzionalità, c’è la ricerca
della giusta misura. Il dispiegamento di un sistema di
videosorveglianza deve essere effettuato in modo coerente rispetto al ragionamento raccomandato dal
principio di necessità. Il principio di proporzionalità è
inoltre anche legato al principio di responsabilità. Infatti, definire un sistema che rispetti la giusta misura
è un atto di responsabilità da parte delle autorità.
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Di conseguenza:
L’elaborazione, l’installazione, il funzionamento e lo sviluppo dei sistemi di videosorveglianza devono rispettare la giusta misura
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I principi della Carta
Il dispiegamento dei sistemi di videosorveglianza deve essere commisurato ai problemi
che intende risolvere. Tale ricerca di proporzionalità è anzitutto una questione di equilibrio tra
gli obiettivi perseguiti e i mezzi messi in opera
per conseguirli. Il principio di proporzionalità è
pertanto intimamente legato alla nozione di
equilibrio, che impone che l’impianto di
videosorveglianza non costituisca l’unica
risposta elaborata in una città in materia di
sicurezza e di prevenzione della delinquenza.
Come mettere in applicazione questo principio
di proporzionalità? Si esercita a diversi livelli
nella definizione e il dispiegamento del sistema.
RACCOMANDAZIONI/
MODI DI AZIONE
La proporzionalità deve essere valutata a ogni
fase e in ogni modalità del trattamento dei dati,
in particolare allorquando occorre definire:
La dimensione dell’impianto e le capacità
tecniche delle telecamere
➤ L’organizzazione tecnica e umana deve
essere adattata allo stretto necessario, il che
impone di utilizzare una tecnologia in grado
di rispondere agli obiettivi assegnati, senza
andare oltre. L’utilizzo di un sistema di
videosorveglianza deve essere limitato nel
tempo e nello spazio: a un momento
determinato e su un territorio specifico,
in risposta a un bisogno definito. Assegnare
una nuova funzione al sistema di
videosorveglianza richiede una riflessione
sulla necessità (principio I).
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
➤ Tale impianto tecnico dovrebbe integrare
in particolare un sistema di occultamento delle
aree private, mediante un mascheramento
dinamico, poiché la videosorveglianza di
spazi pubblici non può avere come « effetto
secondario » la sorveglianza di uno spazio
privato. È un imperativo da prendere in
considerazione ugualmente quando si
deve pianificare il posizionamento e la
configurazione delle telecamere e il loro
tipo (fissa o mobile);
La tutela dei dati
Le immagini catturate dalle telecamere di
videosorveglianza costituiscono dei dati
personali e come tali devono essere tutelate.
Il che impone l’osservanza di regole severe,
relative alla registrazione, la conservazione,
la condivisione e l’eventuale cancellazione o
soppressione delle immagini. Occorre accertarsi
che gli obiettivi siano coerenti con:
➤ la decisione di immagazzinare o meno le
immagini;
➤ la durata di un’eventuale conservazione
dei dati, che comunque deve essere sempre
temporanea. La durata di conservazione
deve essere limitata allo stretto necessario,
deve essere fissata e definita mediante
parametraggio nel sistema
➤ la protezione fisica e tecnica dei dati
personali
E’ pertanto necessario definire i protocolli di
gestione delle autorizzazione di accesso e di
trattamento delle immagini. Occorre integrare
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I principi della Carta
in tali protocolli l’approccio « Privacy by design
» che presuppone che la tutela dei dati
personali sia presa in considerazione a monte,
fin dal momento della progettazione degli
impianti di videosorveglianza;
➤ I sistemi di videosorveglianza devono trovare
il loro equilibrio e la loro proporzione in una
politica integrata di sicurezza e di prevenzione
della delinquenza. Sono uno strumento di una
politica di sicurezza globale e devono pertanto
essere coerenti con le altre risposte messe in
atto localmente.
La proporzionalità messa in pratica….
La città di Saint-Herblain ha avviato nel 1997 un
audit sulla sicurezza, affidato a un ufficio studi
esterno, prima di installare un sistema di videosorveglianza. Parallelamente, la Commissione Sicurezza e prevenzione della delinquenza (CCPD) del
Consiglio comunale è stata incaricata di riflettere
sulle questioni relative alla sicurezza nella città di
Saint-Herblain. La relazione è stata consegnata nel
1998 al Senatore e sindaco della città, che ha deciso
di creare un certo numero di gruppi di lavoro sulle
tematiche relative alla sicurezza. Nel 1999, la sintesi dei gruppi di lavoro è stata presentata al Consiglio comunale. Un sondaggio sulla sicurezza è stato
inoltre condotto su un campione rappresentativo, e
ha rivelato che questo tema costituiva la principale
preoccupazione degli abitanti di Saint-Herblain.
Il sindaco, sulla base di questa diagnosi, ha avviato
un dibattito in seno al Consiglio municipale sull’applicazione delle proposte della commissione comunale per la prevenzione della delinquenza, tra cui
figurava la videosorveglianza. Nel giugno 1999, il
Consiglio municipale ha votato l’installazione di un
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
sistema nel comune e la creazione di un Comitato
di etica per accompagnare la messa in opera del
progetto.
Si deve rilevare che a Saint-Herblain il dibattito
sulla videosorveglianza è stato integrato in una
riflessione globale sulle questioni di sicurezza. La
diagnosi iniziale ha consentito di individuare un
bisogno e di fornire gli elementi utili per il calibraggio del dispositivo.
La proporzionalità si esercita sia nella definizione
delle dimensioni e della portata del sistema di videosorveglianza, che nel modo in cui è integrato in
una politica locale di sicurezza e di prevenzione
della delinquenza. La videosorveglianza è integrata
nella politica globale ed è proporzionalmente coerente con gli altri elementi del dispositivo.
L’installazione del sistema, poiché risponde a una
necessità e viene effettuata secondo una giusta
misura, soddisferà quindi inoltre il bisogno di
trasparenza.
4. Principio di trasparenza
Nel corso di tutto il progetto, una delle questioni essenziali dei partner è stata la seguente: come fare in
modo che i sistemi di videosorveglianza siano comprensibili per i cittadini e come garantire il rispetto
della loro vita privata e dei loro diritti fondamentali?
La trasparenza è legata all’informazione che viene
fornita ai cittadini: quale è il tipo di informazione
pertinente? Fino a che punto bisogna informare i cittadini? Questi ultimi vogliono essere informati?
E su che cosa?
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I principi della Carta
La posta in gioco di questo principio non è tanto
quella di affermare la necessità di informare i cittadini, quanto piuttosto di definire le informazioni da
trasmettere e le condizioni da rispettare.
Qualsiasi autorità incaricata dell’applicazione di un
sistema di videosorveglianza deve condurre una
politica chiara e leggibile per quanto concerne il funzionamento del proprio sistema
La trasparenza è legata all’informazione.
È trasparente tutto quanto si vede dall’esterno.
Tale principio si basa quindi sull’informazione
che viene trasmessa. Si tratta di un principio
essenziale, poiché, dal momento che la
videosorveglianza può essere considerata una
tecnologia restrittiva delle libertà, deve essere
utilizzata in modo completamente trasparente
ed essere corredata da incisive campagne di
informazione del pubblico. Qualsiasi
informazione relativa a tale dispositivo, nel
rispetto delle normative vigenti, dovrà andare
nel senso di questo principio di trasparenza.
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
RACCOMANDAZIONI/
MODI DI AZIONE
➤ L’autorità che prende l’iniziativa di installare
telecamere di videosorveglianza deve informare
chiaramente i cittadini:
➤ sul progetto che prevede l’installazione di un
sistema di videosorveglianza;
➤ sugli obiettivi delle telecamere;
➤ sui mezzi stanziati per la messa in servizio
del sistema;
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
➤ sulle aree videosorvegliate. Al riguardo, è
necessario utilizzare una segnaletica visibile e
riconoscibile mediante un pittogramma;
➤ sull’identità, la funzione e il nome delle
persone a cui rivolgersi per qualsiasi richiesta
di informazioni. L’insieme di tali informazioni
deve figurare sui cartelli che segnalano le aree
videosorvegliate;
➤ sulle misure specifiche di tutela delle immagini
registrate. I dati ottenuti mediante un sistema di
videosorveglianza devono essere protetti con un
accesso ristretto mediante password. Devono
essere utilizzati unicamente per le finalità
previste, dalle persone autorizzate e devono
essere conservati il tempo necessario. Qualsiasi
utilizzo delle immagini registrate deve essere
notificato in un registro regolarmente aggiornato
a tale scopo
➤ sulle autorità che possono essere i
destinatari di tali immagini registrate;
➤ sui loro diritti relativi alle immagini che
li riguardano. Si tratta in particolare dei
seguenti diritti:
Diritto di accesso alle proprie immagini, nel
rispetto del diritto dei terzi. Tale diritto potrà
essere rifiutato nel caso di indagini giudiziarie,
oppure nel caso di rischi legati alla sicurezza e
alla difesa nazionale;
Diritto di verifica della cancellazione delle
immagini che li riguardano, superato il periodo
di conservazione delle immagini;
Tali informazioni devono essere comprensibili ed
espresse in un linguaggio chiaro e intelligibile
➤ L’autorità responsabile del sistema dovrà
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I principi della Carta
informare regolarmente i cittadini sui risultati
e il conseguimento degli obiettivi, tramite i mezzi
di comunicazione utilizzati solitamente. Il che
implica una formulazione chiara degli obiettivi a
monte, fin dall’avvio del progetto e richiederebbe
delle valutazioni del dispositivo basate su
indicatori predefiniti;
➤ È fortemente sconsigliato ricorrere a finte
telecamere, dal momento che tale falsa
informazione può screditare il sistema e
impegnare la responsabilità dei gestori;
La trasparenza messa in pratica
Tutte le città partner del progetto hanno attivato un
sistema di informazione dei cittadini riguardante i
loro dispositivi di videosorveglianza.
A Rotterdam, per esempio, ogni qualvolta è installata
una telecamera, tutti i soggetti interessati sono invitati a
visitare il centro di controllo, compresi i cittadini. L’esperienza ha dimostrato che la trasparenza è molto
apprezzata e che dà eccellenti risultati: l’80% della
popolazione intervistata in occasione di un sondaggio
che mirava a valutare i diversi dispositivi di sicurezza si è
dichiarato favorevole all’installazione delle telecamere e
soltanto l’1,2% era contrario, mentre il resto era senza
opinione. Emergono difficoltà quando sopravviene un
incidente e non ci sono immagini registrate, perché in
tal caso sono maggiori le aspettative della popolazione.
La città di Lione ha anch’essa avviato un’azione incisiva a favore della trasparenza, attraverso l’attività del
Centro di etica, e grazie alla segnaletica. Il centro gode
infatti di una buona visibilità, essendo conosciuto dal
30-40% della popolazione. Esiste inoltre una segnaletica regolamentare che permette di informare i citta-
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
dini. Su ogni sito videosorvegliato, ci sono indicazioni
molto chiare e visibili. Il pubblico in tal modo è informato del fatto che può rivolgere qualsiasi reclamo al
centro di etica. Inoltre, la carta etica, elaborata dalla
città di Lione, che riprende gli impegni della città a favore della tutela dei diritti dei cittadini, è disponibile sul
sito internet della città, nel municipio dei vari arrondissements, nel municipio principale e in tutte le associazioni membre del centro di etica.
5. Principio di responsabilità
Il principio di responsabilità deve garantire che la responsabilità del sistema sia affidata a una precisa autorità. Ne
consegue che tali responsabilità sono chiare e conosciute e
che la suddetta autorità assume la responsabilità del
sistema.
Il diritto di sorvegliare gli spazi pubblici è riservato ad autorità da definirsi in modo restrittivo. Sono responsabili dei
sistemi installati a loro nome.
Le autorità incaricate dei sistemi di videosorveglianza sono
i garanti di un loro utilizzo legale e rispettoso della vita privata e delle libertà fondamentali. La loro responsabilità
potrà quindi essere impegnata in caso di inosservanza o di
violazioni constatate. Le autorità amministrative dinanzi
alle quali tale responsabilità potrà essere invocata devono
essere individuate chiaramente. Le aziende private che
possiedono e gestiscono sistemi di videosorveglianza che
riprendono spazi pubblici devono osservare le stesse norme
delle autorità pubbliche.
Ci si potrebbe chiedere quale sarebbe una responsabilità
senza sanzioni. La carta non intende definirle, perché non
è questa la sua missione, ma si propone di mettere a disposizione degli strumenti per evidenziare le autorità respon-
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I principi della Carta
sabili e porre in risalto le prassi delle città che obbligano gli
operatori ad assumere la loro responsabilità.
L’elezione degli amministratori eletti locali a suffragio
universale è per eccellenza la garanzia della loro legittimità e della loro responsabilità. L’eletto deve assumere le proprie responsabilità dinanzi ai propri
elettori, e, se viene meno ai suoi obblighi, rischia di
non essere rieletto. Occorre tuttavia notare che, nella
maggior parte dei casi, gli eletti non sono direttamente
responsabili di un sistema di videosorveglianza, in
particolare quando non è esclusivamente municipale.
In tal caso, è più complicato individuare i responsabili. Per questa ragione, il principio di responsabilità
deve essere associato a quello di trasparenza.
La responsabilità non riguarda unicamente la decisione di installare un sistema di videosorveglianza, né
soltanto il buon funzionamento del sistema e il
rispetto degli altri principi. Si applica anche ai vari
utilizzi del sistema, che devono corrispondere agli
obiettivi che gli sono stati assegnati. Un rischio possibile è il fenomeno del cosiddetto «function creep»,
cioè lo «scivolamento» verso nuove funzioni e finalità
che non erano state pianificate all’origine e per le quali
si trovano nuove giustificazione, o che sono rese
possibili grazie all’evoluzione tecnologica. La logica
non deve capovolgersi e spingere a utilizzare un sistema per qualche altra funzione, unicamente perché
ciò è possibile, e non perché è necessario (principio 1).
Se sono assegnate nuove missioni al sistema, devono
essere applicate sotto l’esplicita responsabilità
dell’operatore.
RACCOMANDAZIONI/
MODI DI AZIONE
Per tale ragione, la carta suggerisce le seguenti
raccomandazioni e modi di azione:
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
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➤ Comunicare il referente dell’ente e del servizio
responsabile e i loro estremi. Ogni segnaletica
indicante l’area videosorvegliata potrà in
particolare comportare tali informazioni;
➤ Affermare l’obbligo di riservatezza dei
gestori del sistema, nell’ambito della
definizione di un regolamento interno, oppure
di un codice deontologico destinato ai gestori
del sistema. La loro responsabilità potrà essere
impegnata in caso di inosservanza di tale
obbligo;
➤ Ricorrere a misure di sicurezza che
consentano di tutelare l’accesso alla sala
controllo del sistema, ma anche di proteggere
l’accesso alle immagini immagazzinate. Devono
essere messe in opera misure tecniche di
controllo di tali accessi;
➤ Divulgare le modalità per la consultazione
delle autorità amministrative incaricate di
sanzionare ogni abuso constatato;
➤ Mettere in opera un meccanismo
appropriato per la divulgazione delle
informazioni necessarie per la comprensione da
parte del pubblico dell’utilizzo della
videosorveglianza.
6. Principio di supervisione indipendente
Una delle idee fondamentali per un utilizzo democratico della videosorveglianza è quella di istituire un sistema di controllo indipendente dai gestori del sistema.
Come l’ha sintetizzato il Prof. Richard de Mulder,
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I principi della Carta
dell’Università di Rotterdam, nel titolo del suo intervento in occasione della conferenza finale del
progetto: «Sorvegliare i cittadini: nessun problema...
Ma chi sorveglia i sorveglianti?» I cittadini devono
essere rassicurati sul fatto che i gestori della videosorveglianza rispettano i loro diritti. Occorre pertanto un
controllo, al fine di garantire che gli operatori del
sistema rispettino le norme e gli altri principi della
carta.
La supervisione indipendente non deve essere necessariamente effettuata da un’autorità di controllo che disponga del potere di applicare sanzioni nei confronti
dell’autorità pubblica che ha predisposto la videosorveglianza. Il concetto di supervisione indipendente è più
flessibile di quello dell’autorità dello Stato, ma anche
più vincolante. Rispecchia l’idea dei pesi e contrappesi
(«check and balance»), come i federalisti hanno battezzato questo principio del bilanciamento dei poteri, che
già era alla base della nozione della separazione dei poteri definita da Montesquieu (il quarto potere).
Non richiede una gerarchia, ma si fonda sull’idea che il
peso della responsabilità non ricade su un unico soggetto. L’utilizzatore della videosorveglianza è osservato
nello svolgimento delle sue azioni (principio di trasparenza) e deve rendere conto delle proprie azioni (principio di responsabilità). Tale supervisione deve essere
esercitata da un supervisore indipendente dalle autorità che gestiscono il sistema di videosorveglianza.
Il Prof. Richard de Mulder spiega come le nuove
tecnologie e la videosorveglianza stessa conferiscono
nuovi poteri ai loro utilizzatori, il che presenta un rischio inedito di squilibrio dei poteri e del sistema di pesi
e contrappesi su cui poggia la democrazia. A suo avviso,
la soluzione consisterebbe nell’instaurare un quarto
potere (a parte l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario),
con funzioni di controllo/sorveglianza/supervisione.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
Già esistono istituzioni che esercitano questo «quarto
potere», ad esempio la figura dell’Ombudsman (mediatore), che possono sorvegliare il buon funzionamento,
e, cosa ancora più importante, intervenire quando un
sistema non funziona nel modo voluto.49 De Mulder
sottolinea altresì che è più importante accertarsi che
esista tale figura di controllore indipendente, piuttosto
che cercare di prevenire qualsiasi disfunzionamento. Il
supervisore può, se del caso, intervenire e correggere
un cattivo funzionamento. È in tal senso che la supervisione è indipendente.
L’idea di supervisione va oltre l’idea di
autorizzazione. La supervisione deve essere
garantita nel tempo e dovrebbe applicarsi
all’insieme delle sfide poste dalla videosorveglianza, nonché a tutte le fasi di un progetto in
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
materia di videosorveglianza.
.
Per tali ragioni, la supervisione indipendente
è difinita come
« Un sistema di freni e contrappesi per
vigilare sul funzionamento della videosorveglianza attuato attraverso un processo di
controllo indipendente».
Qualsiasi controllo presuppone la definizione
di norme. Tale principio di supervisione
indipendente consente, tramite il rispetto
di queste norme, di armonizzare le pratiche nel
senso indicato dalla Carta. Il processo di
controllo indipendente può assumere più forme
e intervenire a vari momenti nello sviluppo dei
49
Talvolta anche i media sono considerati un quarto potere.
Per Mulder, però, possono svolgere tale funzione in modo solo parziale,
poiché hanno la loro agenda e i loro interessi, per cui non trattano
necessariamente delle sfide realmente più importanti per la società.
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I principi della Carta
sistemi. Svolge il proprio ruolo nella progettazione di un sistema, per esempio insistendo
affinché la soluzione proposta corrisponda al
problema, oppure, se dispone di tale potere, può
autorizzare la videorveglianza. Successivamente,
può accompagnare l’installazione del sistema
e vigilare sul suo buon funzionamento e sul suo
buon utilizzo, sulla protezione dei dati e sulla
formazione degli operatori delle telecamere,
e discutere il risultato della valutazione delle
performance del sistema, per deciderne
l’eventuale sviluppo.
Il « controllore indipendente » può essere una
personalità qualificata, oppure un organo
specifico. È possibile in particolare affidare tale
ruolo ai cittadini.
Esistono numerosissime modalità per l’organizzazione di questa supervisione indipendente. Inoltre,
nella grande maggioranza dei casi, tale supervisione
è già presente, a vari livelli. Ci sono autorità che
danno l’autorizzazione di installare un sistema di
videosorveglianza; per esempio in Francia, tale compito è svolto da una commissione provinciale che
dipende dal governo centrale. In Italia, il Garante
della privacy svolge un ruolo importante nel settore
della videosorveglianza, conformemente a una legislazione precisa, come del resto in Spagna, Francia e
Belgio.
Nelle città tale ruolo spetta tradizionalmente al
consiglio comunale, che è più o meno coinvolto nella
gestione della videosorveglianza. L’esempio del
consiglio comunale mostra però anche i suoi limiti,
poiché sono sovente le stesse maggioranze che decidono e controllano la videosorveglianza. Quando il
sindaco non è eletto a suffragio universale e quindi
non è indipendente dalla maggioranza del consiglio
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
comunale, o se l’opposizione non svolge un ruolo in
questa supervisione, quest’ultima non può più
essere considerata indipendente. Inoltre, occorrerebbe che tale supervisore avesse la facoltà di autoadirsi o di essere adito dall’esterno.
Nella miriade di pesi e contrappesi esistenti, i
partner del progetto hanno individuato due prassi
particolarmente interessanti, che garantiscono la
supervisione in modo molto diverso l’una dall’altra.
La prima è costituita dal comitato etico (come quello
istituito a Lione o a Le Havre in Francia), e l’altra è la
figura dell’ «ispettore indipendente» istituita nella
contea del Sussex nel Regno Unito.
Comitato etico (Francia)
Il comitato etico è un’istituzione appositamente
creata per la supervisione della videosorveglianza
nelle città francesi di Lione e di Le Havre, la cui
missione specifica consiste nel vigilare sul rispetto
delle libertà. «La sua composizione soddisfa gli
obiettivi di equilibrio, di indipendenza e di pluralità. È composto da una pari rappresentanza di eletti
della maggioranza e dell’opposizione, da personalità qualificate rappresentanti il mondo del diritto,
dell’economia, dell’istruzione e da rappresentanti
di associazioni per la difesa dei diritti umani. È incaricato di vigilare non solo sul rispetto degli obblighi legislativi e regolamentari, ma deve altresì
accertarsi che il sistema di videosorveglianza messo
in opera dalla città non violi le libertà pubbliche e
private fondamentali. Informa i cittadini sulle
condizioni di funzionamento del sistema di videosorveglianza e ne riceve le lagnanze.» (Art 4.1 della
carta etica della videosorveglianza degli spazi pubblici della città di Lione). La carta etica, come quella
adottata dalla città di Lione, o quella proposta dal
presente progetto, può funzionare come un docu-
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I principi della Carta
mento di riferimento di base per il comitato e regolarne il funzionamento. Il comitato vigila sul rispetto dell’applicazione della carta etica. A tal fine,
elabora ogni anno una relazione sulle condizioni di
funzionamento e sull’impatto del sistema. Può al
riguardo chiedere al sindaco di fare effettuare degli
studi da parte di enti indipendenti, come lo ha
deciso la città di Lione al momento della stampa di
questo rapporto (luglio 2010), che ha affidato alla
facoltà di urbanistica e di pianificazione dell’Università di Lione (Prof. Jaques Comby) l’incarico di
effettuare una valutazione globale (tecnica e sociologica) del suo sistema di videosorveglianza. Successivamente, il comitato etico formula delle raccomandazioni rivolte al sindaco.
Nella pratica, i comitati etici di Lione e di Le Havre
sono sollecitati molto raramente dai cittadini, il che
potrebbe anche essere interpretato come la prova
del loro buon funzionamento. I cittadini sanno che
un controllore indipendente vigila sul rispetto della
vita privata e controlla il buon funzionamento del
sistema. Inoltre può essere adito per qualsiasi questione rientrante nella sua sfera di competenza.
Ispettori indipendenti (Regno Unito)
La partnership «videosorveglianza» della contea del
Sussex, che riunisce forze di polizia ed enti locali, ha
optato per un’altra forma di supervisione. I cittadini
stessi sono invitati a verificare il buon funzionamento del sistema e a controllarne la conformità con
il Codice per il buon uso. Per questo, un gruppo di
dodici cittadini è stato designato, previo esame delle
varie candidature, per realizzare delle “verifiche specifiche” dei locali di videosorveglianza della polizia e
garantire la conformità con il Codice. Tali ispettori
indipendenti possono inoltre assistere alle riunioni
di valutazione e alle relazioni annuali presentate
dalle autorità di polizia.
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
Le verifiche possono essere effettuate in qualsiasi
momento, di giorno o di notte, senza preavviso. Nella
maggior parte dei casi, sono effettute da due persone. All’inizio del loro mandato, questi cittadini
ricevono una formazione sul sistema e sul Codice per
il buon uso, per conoscere esattamente quello che
devono controllare. Se individuano un problema o se
qualcosa li preoccupa, ne informano le autorità di
polizia e la direzione della videosorveglianza.
Contrariamente al sistema dei comitati etici, questo
dispositivo si applica essenzialmente al funzionamento della videosorveglianza. È pertanto completato dal lavoro dell’autorità di polizia, che associa gli
amministratori locali. Questi ultimi lavorano in
collaborazione con la polizia sull’insieme delle sue
attività, ma anche in materia di programmazione,
gestione, valutazione e sviluppo del sistema di
videosorveglianza. Si tratta di un dispositivo particolarmente interessante, vista la sua semplicità, il
coinvolgimento dei cittadini (principio 7) e la sua
grande trasparenza (principio 4).
Per l’applicazione del principio di supervisione indipendente si può pertanto raccomandare che:
➤ questa autorità indipendente sia incaricata di fornire, dopo studio delle pratiche, le autorizzazioni per
l’installazione dei sistemi di videosorveglianza;
➤ sia incaricata di vigilare affinché la messa in opera
e l’utilizzo del sistema rispettino le regole e norme
definite.
7. Principio del coinvolgimento dei cittadini
È probabilmente il principio più direttamente legato alla
tematica di questo progetto europeo « Cittadini, città e
videosorveglianza»: come prendere in considerazione i
diritti e le libertà degli individui e come coinvolgere i
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I principi della Carta
cittadini nelle riflessioni riguardanti la messa in opera di
un sistema locale di videosorveglianza.
Non è impresa facile coinvolgere i cittadini. Fin dove si
può penetrare nella vita privata dei cittadini, al fine di
garantire la loro sicurezza? Come coinvolgere i cittadini
in un sistema che deve garantire la riservatezza delle informazioni che raccoglie?
Occorre adoperarsi per favorire il coinvolgimento dei
cittadini in ogni tappa della vita di un sistema di
videosorveglianza
Il principio del coinvolgimento dei cittadini consiste
nel dare la parola ai cittadini, attraverso varie forme di
consultazione, di partecipazione, di deliberazione e di
codecisione. Ogni nuova installazione o estensione di
un impianto di videosorveglianza dovrà sempre prevedere l’attiva partecipazione dei cittadini residenti
sul territorio, per esempio attraverso gruppi di discussione. Buona parte del successo di un sistema di videosorveglianza dipende dall’adesione degli abitanti.
RACCOMANDAZIONI /
MODI DI AZIONE
➤ Consultare i cittadini per l’individuazione
dei
bisogni, nell’ambito della diagnosi
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
preliminare, per esempio attraverso la
realizzazione di indagini di vittimizzazione;
➤ Favorire un coinvolgimento iniziale dei
cittadini per quanto riguarda l’installazione di
telecamere, allorquando risponde a un bisogno.
Può assumere la forma di “marce esplorative”,
nel corso delle quali i partecipanti percorrono
un settore considerato problematico;
la forme de marches exploratoires ;
➤ Ricercare l’accettazione dei progetti di
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
sicurezza globale da parte dei cittadini,
organizzando, per esempio, delle riunioni
pubbliche informative, per potere ottenere la
loro adesione ai progetti del comune;
➤ Favorire la partecipazione dei cittadini al
controllo e alla valutazione del sistema, tramite
questionari di soddisfazione;
➤ Prevedere un processo ben inquadrato e
formalizzato, che offra ai cittadini la possibilità
di visitare la sala di controllo e di gestione del
sistema di videosorveglianza, anche in modo
estemporaneo. Qualsiasi rifiuto deve essere
motivato (per esempio, per ragioni di un’indagine giudiziaria in corso). Tale possibilità deve
essere definita e gestita in modo da non
mettere in discussione il diritto di terzi;
➤ Rafforzare l’impegno delle autorità locali
ad attivare uno strumento in grado di consentire
la partecipazione regolare dei cittadini.
La creazione di una struttura locale incaricata
di vigilare sul buon utilizzo del sistema dovrà
comprendere un’attiva partecipazione dei
cittadini alla vita e allo sviluppo del sistema.
Il principio del coinvolgimento dei cittadini
messo in pratica
Per le città partecipanti al progetto, questo principio
era già una realtà, poiché il progetto di installare un
sistema di videosorveglianza era stato studiato per rispondere a un’accresciuta domanda di sicurezza da
parte dei cittadini. Per esempio a Ibiza (Spagna), dopo
avere analizzato le domande dei cittadini, nonché i
dispositivi già attivati e i loro risultati, il comune ha deciso di installare cinque telecamere nelle zone in cui
nessun altro mezzo si era rivelato efficace. Altri comuni, come Genova, Le Havre e Saint-Herblain, hanno
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I principi della Carta
organizzato dibattiti pubblici con gli abitanti o incontri
con le associazioni di quartiere per determinare i bisogni e il modo migliore per soddisfarli.
A Rotterdam, questo principio è integrato in tutte le
politiche della città, comprese quelle in materia di sicurezza. Per accertarsi che le politiche proposte dal
comune soddisfino le esigenze dei cittadini, il
comune valuta ogni anno i propri dispositivi di sicurezza, tra cui il sistema di videosorveglianza. Il sindaco
si riserva il diritto di decidere di installare o di rimuovere delle telecamere, in funzione delle reazioni della
popolazione e dei risultati ottenuti.
Tale principio non è applicato unicamente al
momento di decidere di installare delle telecamere o di
valutare se la risposta fornita dalle autorità ha soddisfatto le domande dei cittadini. È rispettato in tutte le
tappe della messa in opera di uno strumento per una
politica integrata in materia di sicurezza, quindi anche
a livello del funzionamento del sistema di videosorveglianza. Solo dopo avere consultato la popolazione le
autorità possono scegliere l’ubicazione esatta di una
telecamera per rendere più sicura un’area percepita
come potenzialmente pericolosa. Tale consultazione
permanente rafforza il senso di partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche.
A Liegi esistono delle giornate «porte aperte», nel
corso delle quali gli abitanti possono effettuare delle
visite guidate delle sale di controllo.
Nel Sussex, il sistema degli «ispettori indipendenti»
ha riscosso un grandissimo successo presso la popolazione. Si tratta di alcuni esempi di iniziative prese dalle
autorità responsabili per associare i cittadini alla definizione delle politiche di sicurezza.
3. Verso un linguaggio comune
della videosorveglianza in Europa:
proposta di una segnaletica comune
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
Come procedere insieme sulla via della
creazione di un linguaggio comune in
Europa in termini di sicurezza e videosorveglianza ? Anche questo punto è stato uno dei
fili conduttori del progetto, incentrato sull’importanza di una comunicazione trasparente rivolta ai
cittadini. Di fronte all’accresciuta mobilità delle
persone sul territorio europeo, appare sempre
più evidente la necessità di creare dei riferimenti
comuni e di tradurre le politiche pubbliche in un linguaggio di facile comprensione per tutti. È sorta in
tal modo l’idea di proporre una segnaletica comune
per le città che utilizzano le telecamere di videosorveglianza. Tale proposta corrisponde anche direttamente a una domanda formulata da una delle istanze europee, l’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa, che nella sua Risoluzione 1604 del
2008 ha sollecitato la creazione di una segnaletica
europea, come lo aveva fatto nel 2004 il gruppo di
lavoro ‘Articolo 29’ sulla protezione dei dati nel suo
Parere 4/2004 sulla videosorveglianza.
➤
Un primo studio relativo a quanto già esisteva ha
permesso di evidenziare un certo numero di ottimi
strumenti di comunicazione, ma anche delle lacune.
In certi paesi, tra cui il Belgio e l’Italia, la legislazione
relativa alla segnaletica è molto precisa, e fornisce
una struttura definita, indicante tutti gli elementi
particolareggiati da indicare, che vanno fino ad imporre un pittogramma standardizzato. In altri paesi,
la normativa prevede che i cittadini siano informati
del fatto che si trovano in un’area videosorvegliata,
senza dare istruzioni precise, e spetta a ogni autorità
responsabile decidere la forma di tale comunicazione. In tali casi, si sono potuti constatare esempi di
segnaletica che non comportava nessun pittogramma, con cartelli unicamente nella lingua del
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Proposta di una segnaletica comune
paese, di difficile comprensione per un turista, senza
informazioni sull’identità dell’autorità responsabile.
Visti i risultati di questa ricerca, è stato deciso che i
partner del progetto avrebbero condotto una riflessione sulla possibilità di creare una segnaletica
comune e sulla definizione di un capitolato
appropriato.
A seguito di tali riflessioni, è stato affermato che
una segnaletica comune europea dovrebbe
assolutamente:
➤ comportare sia un testo, che delle immagini, in
modo da essere comprensibile per coloro che non
parlano la lingua locale;
➤ il pittogramma dovrebbe rispecchiare l’attualità
delle evoluzioni tecnologiche. Le telecamere a
«duomo» sono sempre più utilizzate nelle città, ed,
essendo una novità, non sempre sono individuate e
identificate dai cittadini. Nel proporre un pittogramma rappresentante tale duomo, il progetto intende non solo informare i cittadini sull’utilizzo
sempre più frequente di questo tipo di telecamera,
ma anche informarli dell’esistenza di questa nuova
tecnologia, e in tal modo la segnaletica svolge anche
un ruolo pedagogico;
➤ Per quanto riguarda il testo, tutti i partner concordano sul fatto che debba figurare il termine «video»,
essendo comune a tutte le lingue europee;
➤ Altro elemento importante che è stato sottolineato
è il suggerimento di fare figurare il termine «spazio
pubblico», poiché è necessario segnalare che la politica pubblica di sicurezza riguarda lo spazio pubblico
e non gli spazi privati;
➤ È parso inoltre importante affermare qual è il compito assegnato al sistema di videosorveglianza, affiché
gli abitanti comprendano chiaramente il nesso tra tale
dispositivo e la politica locale in materia di sicurezza;
➤ Le norme di trasparenza delle politiche pubbliche
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Verso una carta per l’uso democratico della
videosorveglianza nelle città europee
richiedono che l’autorità responsabile dell’installazione e del funzionamento delle telecamere sia indicata chiaramente, e che sia previsto almeno un mezzo
per contattarla direttamente (telefono, sito internet);
➤ Infine, il principio di liceità, secondo il quale l’installazione e la gestione di un sistema di videosorveglianza deve avvenire unicamente nel rispetto della
legge deve essere incluso nella segnaletica, che deve
indicare l’ambito legale preciso del sistema e le disposizioni regolamentari relative alla tutela dei dati.
Come utilizzare questa segnaletica?
Dal momento che la maggior parte delle città hanno
già approntato una segnaletica, i partner del progetto
si sono evidentemente chiesti quale sarebbe il valore
aggiunto di questa segnaletica paneuropea.
In primo luogo, le raccomandazioni della carta relative a una segnaletica destinata a fornire il massimo
di informazioni possono stimolare le città a modificare o completare quella già esistente.
Per le città che ancora non hanno predisposto una
segnaletica, le raccomandazioni possono fornire una
facile guida, che potrà essere adattata al contesto locale.Per altre autorità responsabili del finanziamento
della videosorveglianza, quali le regioni o i ministeri,
gli elementi qui citati costituiscono una sorta di capitolato per preparare la loro comunicazione.
E infine, last but not least, l’utilizzo di una segnaletica comune a tutta l’Europa contribuirà a sviluppare
una maggiore trasparenza delle politiche pubbliche,
a vantaggio di tutti i cittadini degli Stati membri
dell’Unione europea.
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VIDEO
SORVEGLIANZA
PER LA SUA
SICUREZZA
DIRETTIVA 95/46/CE
AUTORITÀ RESPONSABILE
CITTÀ DI XXXX
INFORMAZIONI
04 55 55 55 55
WWW.VIDEO-CITTA.IT
SPAZIO
PUBBLICO
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SORVEGLIANZA
PER LA SUA
SICUREZZA
DIRETTIVA 95/46/CE
AUTORITÀ RESPONSABILE
CITTÀ DI XXXX
INFORMAZIONI
04 55 55 55 55
WWW.VIDEO-CITTA.IT
SPAZIO
PUBBLICO
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Partie III
focus sulle
città: utilizzo della
videosorveglianza
e protezione dei
dirittie delle libertà
fondamentali
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BOLOGNA
NUMERO DI ABITANTI:
377 258
NUMERO DI TELECAMERE:
291
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
Città di Bologna & Regione
Emilia-Romagna, Italia
Il progetto di videosorveglianza della città
di Bologna nasce dalla volontà di trovare
delle soluzioni ai problemi prioritari: il
senso d’insicurezza, legato alla presenza di gruppi di
spacciatori e il degrado di alcuni spazi pubblici nel
centro storico della città.
➤
Nel mese di aprile 2000, il servizio responsabile
della sicurezza del Comune di Bologna ha condotto
un’indagine fra 753 abitanti, allo scopo di comprendere la loro percezione d’insicurezza. I risultati
hanno dimostrato che il senso d’insicurezza legato
alla criminalità era particolarmente forte nel centro
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Focus sulle città
storico della città. Di fronte a tale situazione, l’amministrazione comunale ha deciso d’installare un
sistema di videosorveglianza nella zona nord-orientale del centro storico.
In giugno 2000, tale progetto preliminare di videosorveglianza è stato presentato dal Comune di Bologna alla Regione Emilia-Romagna, che finanzia
regolarmente gli interventi di rafforzamento della sicurezza urbana e degli spazi pubblici nelle città e, in
particolare, la riqualificazione urbana, l’illuminazione pubblica e la sorveglianza dei territori mediante le nuove tecnologie.
Il progetto di videosorveglianza è stato finanziato al
50 % dalla Regione Emilia-Romagna nel quadro di
un accordo di programma siglato nel 2002 con il
Comune di Bologna.
Il costo totale dell’installazione è stato di 1.829.164,
80 euro. Il costo della rete di fibre ottiche per la trasmissione delle immagini ammonta a circa 100.000
euro l’anno. A tale cifra, bisogna aggiungere un’ulteriore somma di circa 50.000 euro di manutenzione
all’anno.
Inoltre, circa 200.000 euro sono stati stanziati nel
2009 – finanziati al 66% dalla Regione Emilia-Romagna e, per il resto, dal Comune di Bologna – per la
sostituzione delle telecamere più obsolete (installate
nel 2000), e per migliorare gli aspetti tecnologici del
sistema nel suo insieme. I costi d’installazione sono
stati ripartiti al 50% fra il Comune e la Regione.
Mentre per quel che concerne i costi di servizio e di
manutenzione, questi sono totalmente a carico del
Comune.
In totale, nella città di Bologna sono state installate
291 telecamere. Il nuovo finanziamento da parte
della Regione Emilia-Romagna farà salire questo
numero fino a 315 entro la fine del 2010.
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Bologna, Italia
Le telecamere sono analogiche e dotate di un sistema
di visione notturna. In 18 casi, si tratta di telecamere
a cupola (telecamere “Dome” orientabili orizzontalmente a 360° con possibilità di zoom).
Il sistema di trasmissione dati è coassiale e analogico. Il trasferimento fra le telecamere e il sistema di
registrazione avviene per mezzo di un cavo coassiale,
mentre le centrali operative di polizia sono collegate
mediante fibre ottiche. Futuri finanziamenti della
Regione Emilia-Romagna permetteranno di collegare l’intero sistema a fibre ottiche.
Il « Progetto Sistema-rete integrato di protezione e
sicurezza» si basa sull’utilizzo delle nuove tecnologie per prevenire e limitare la delinquenza.
Le immagini delle telecamere posizionate in tutte le
zone pedonali più frequentate e presso le fermate
degli autobus, in centro città, sono inviate simultaneamente alle stazioni della questura e alla centrale
della polizia municipale. La questura potrà in seguito
decidere di trasmetterle alle autorità giudiziarie competenti come elementi di prova. Le forze di polizia
locale e nazionale possono visionare le immagini
criptate e conservarle per sette giorni prima della
loro distruzione.
L’operatore della stazione della questura e della polizia municipale avrà la possibilità di:
•visualizzare le immagini di tutte le telecamere
•dirigere le telecamere a distanza.
La polizia municipale gestisce l’installazione avvalendosi del supporto di tecnici di un’impresa privata
e della polizia nazionale. La polizia di Stato, la polizia municipale e i Carabinieri controllano le
telecamere.
Nella stazione centrale di videosorveglianza della
polizia, tre agenti lavorano simultaneamente a turni
per assicurare il controllo 24 ore su 24.
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Focus sulle città
Un ispettore della polizia di Stato e due assistenti
presiedono 24 ore su 24 la stazione di videosorveglianza della questura. Uno dei due assistenti e
l’ispettore hanno partecipato al corso di formazione
organizzato dal Comune di Bologna.
Il potere decisionale degli operatori è limitato dalla
legislazione nazionale che limita il potere di scelta ai
funzionari della polizia giudiziaria. In totale, le immagini sono consultate da una decina di operatori
ripartiti fra la polizia di Stato, la polizia municipale
e i Carabinieri. Le immagini non possono essere
trasmesse in tempo reale ad altri servizi.
Solo gli agenti di polizia giudiziaria possono accedere alle immagini registrate, su autorizzazione della
magistratura. Per visionare le immagini, serve non
soltanto un’autorizzazione, ma anche la chiave di
accesso fisica. D’altra parte, soltanto il responsabile
dell’installazione è abilitato a consultare le registrazioni e deve utilizzare una particolare chiave
di accesso.
La funzione della polizia di Stato ha principalmente
un carattere repressivo in tempo reale (in seguito
all’allarme che scatta in base alle immagini trasmesse dalle telecamere), ma permette anche di effettuare una forma di « pedinamento » degli individui
sospetti mediante l’attivazione dello zoom delle
telecamere.
La funzione preventiva è legata all’aumento del rischio per i delinquenti di commettere dei reati, quali
furti o altri atti d’inciviltà. Una maggiore sorveglianza
del territorio permette di offrire ai cittadini un senso
di maggiore sicurezza e protezione e una maggiore
tempestività d’intervento da parte della polizia.
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Bologna, Italia
La rete è stata valutata prima, durante e dopo il suo
funzionamento. La valutazione è stata realizzata
sulla base delle statistiche dei reati, della segnalazione di piccoli reati e di atti d’inciviltà, del degrado
urbano e della percezione d’insicurezza.
E’ tuttavia difficile misurare la portata del progetto in
maniera precisa, in quanto le statistiche della criminalità non sono molto dettagliate (in particolare dal
punto di geografico) e non permettono di analizzarne
correttamente l’evoluzione. Le forze di polizia, da
parte loro, si ritengono soddisfatte, in quanto percepiscono la videosorveglianza come uno strumento efficace per l’individuazione di soggetti sospetti e per la
possibilità di utilizzarla in ambito giudiziario (sottolineandone l’aspetto repressivo). Mentre l’aspetto preventivo è meno chiaro. Il grado di soddisfazione dei
cittadini sembra essere tuttavia abbastanza buono,
anche se non corrisponde perfettamente alle aspettative espresse prima della costituzione della rete.
I cosiddetti effetti di spostamento/delocalizzazione
della criminalità (“displacement effects”) non sono
quantificabili, a causa di mancanza di statistiche
affidabili.
Gian Guido Nobili
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Focus sulle città
BRNO
NUMERO DI ABITANTI:
405 352
NUMERO DI TELECAMERE:
164
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
La videosorveglianza è stata istituita a
Brno da parte del Comune e della Polizia
Nazionale nel quadro di programmi di
prevenzione della criminalità fra il 1996 e il 2008. Si
tratta di un sistema composto da 18 telecamere, che
ha richiesto un investimento di 627.000 euro (sulla
base del tasso di cambio del luglio 2010). Le telecamere coprono principalmente il centro città, gli spazi
intorno alle stazioni ferroviarie, le fermate degli
autobus e luoghi molto frequentati. Prima dell’installazione del sistema il comune aveva effettuato
tutta una serie di ricerche sulla sicurezza a Brno,
compresi dei sondaggi di opinione fra la popolazione, delle analisi sociodemografiche e delle statistiche della polizia. I lavori preparatori sono stati
inoltre conclusi mediante colloqui con gli agenti di
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➤
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Brno, Repubblica Ceca
polizia, operatori sociali e rappresentanti delle ONG
e altri attori che svolgono un ruolo chiave nello
spazio pubblico.
I principali obiettivi individuati che devono
essere perseguiti dal sistema sono:
➤ Aumentare il senso di sicurezza nei luoghi della città
caratterizzati da un tasso di criminalità fra i più elevati;
➤ prevenire la criminalità;
➤ facilitare l’intervento delle forze di sicurezza in
caso di reati negli spazi video sorvegliati.
Oltre a questo sistema, sono installate altre 57 telecamere in diversi quartieri della città, che sono gestite
dalla polizia municipale e dagli enti locali del quartiere. Il costo per l’installazione di questo sistema
ammonta a circa 2,3 milioni di euro (sulla base del
tasso di cambio del luglio 2010). Tali telecamere sorvegliano i luoghi considerati problematici, anche a
causa della presenza di gruppi di persone note per essere spesso implicate in affari criminali. Inoltre,
l’azienda di trasporti pubblici della città utilizza 24
sistemi di videosorveglianza all’esterno e ha dotato
38 vetture di tram con telecamere. Infine, il servizio
di manutenzione stradale utilizza altre 64 telecamere. Nei rapporti annuali di queste aziende non
sono pubblicati né l’ammontare degli investimenti,
né i costi di esercizio di tali sistemi.
Secondo la legge ceca, solo la polizia nazionale o la
polizia municipale sono autorizzate di gestire dei sistemi di videosorveglianza nello spazio pubblico. Tali
sistemi sono finanziati mediante i fondi stanziati dal
bilancio municipale e le sovvenzioni previste per i
programmi di prevenzione della criminalità. Il costo di
esercizio è a carico delle autorità di polizia e delle
aziende di trasporto pubblico e di manutenzione delle
strade. Tutti i sistemi di videosorveglianza di Brno
sono integrati in rete.
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Focus sulle città
Secondo la regolamentazione dell’ufficio per la protezione dei dati personali – che ha potere sanzionatorio
– anche degli operatori privati possono essere incaricati di pattugliare alcuni luoghi (semi-pubblici) come,
ad esempio, parcheggi o supermercati, ma i loro sistemi di videosorveglianza non possono registrare le
immagini, che non possono dunque essere utilizzate
nelle indagini di polizia.
Le registrazioni del sistema di videosorveglianza della
città di Brno e della polizia nazionale sono conservate
per 20 giorni e in seguito automaticamente cancellate e sostituite dalle nuove registrazioni. Le immagini possono essere visionate unicamente dalla
polizia nazionale (70 agenti di polizia e 3 membri del
Dipartimento delle analisi sono incaricati della sorveglianza). La polizia criminale e la polizia stradale
possono, inoltre, utilizzare le immagini nel corso
delle indagini. Le registrazioni sono conservate in
una sala speciale presso il centro di comando della
polizia nazionale, a cui hanno accesso soltanto gli
agenti autorizzati. Tali agenti hanno ricevuto una
formazione speciale e sono gli unici che possiedono i
codici di accesso alla sala.
La legislazione della Repubblica Ceca in materia di
protezione della privacy è parte integrante del codice
civile e della legge sulla protezione dei dati. Le autorità ceche si attengono, inoltre, al Codice ISO delle
buone prassi per la gestione della sicurezza delle
informazioni (CSN ISO 27 001). Inoltre, esiste un regolamento specifico della polizia per la gestione dei
centri operativi e delle direttive per il trattamento
delle registrazioni video della polizia nazionale. La
funzione del supervisore per la protezione dei dati
personali è stata istituita nell’ambito della polizia per
assicurare l’applicazione di tale regolamento.
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Brno, Repubblica Ceca
La tecnologia attuale non permette d’invadere
lo spazio privato.
Una carenza del sistema che deve essere sottolineata
è la mancanza di informazioni trasmesse all’opinione pubblica. La gente non è informata dell’installazione di nuove telecamere, se non mediante conferenze stampa.
Da un lato, in alcuni luoghi problematici, il comune
ha predisposto un’apposita segnaletica stradale che
indica la presenza di telecamere, quando in realtà
non ne è presente alcuna. Tale iniziativa è stata
intrapresa poiché ha un forte effetto di deterrenza
della delinquenza e aumenta il senso di sicurezza
della popolazione, ad un costo poco elevato.
La città effettua regolarmente delle indagini nell’ambito della popolazione sul loro senso di sicurezza e
apprezzamento del sistema di videosorveglianza.
Tali studi indicano che la maggioranza degli abitanti
non sono affatto informati dell’installazione di telecamere, ma ritengono tuttavia di sentirsi più sicuri
grazie alla presenza di telecamere per la videosorveglianza. Nel 2005, il 4,5% delle persone intervistate
sosteneva che l’installazione del sistema di videosorveglianza limitava la propria libertà personale.
Nel 2009, tale percentuale è scesa all’1,9%. Dato il
margine abituale di errore in questo tipo di studi, è
ragionevole affermare che il numero di persone che
ritiene che la videosorveglianza violi la libertà personale è attualmente molto esiguo.
Infatti, il sistema di videosorveglianza a Brno non ha
generato alcun dibattito pubblico né sollevato opposizioni. Non si sono verificati né episodi di proteste
pubbliche, né iniziative contrarie o favorevoli alla
videosorveglianza. Tutti i partiti politici democratici
rappresentati presso l’assemblea municipale di Brno
prevedono nel loro programma un capitolo sulla si-
171
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Focus sulle città
curezza alla prevenzione della criminalità e nell’intero ventaglio politico sono tutti di fatto favorevoli
alla prevenzione.
Tutte le fasi d’installazione del sistema di videosorveglianza sono state discusse presso il Consiglio
sulla prevenzione della criminalità della città, poi
raccomandate al Consiglio comunale e infine approvate dall’assemblea municipale di Brno. A livello nazionale, il Dipartimento per la prevenzione della criminalità presso il Ministero degli Interni è stato
consultato e il progetto è stato approvato dal comitato nazionale per la prevenzione della criminalità.
il pubblico non è autorizzato a visionare le registrazioni video, così come previsto dalla legislazione.
Nel caso di reati estremamente gravi, la polizia è
autorizzata a diffondere alcune immagini ai media.
Tale intervento è svolto dal Dipartimento per le informazioni della polizia, con sede presso il quartiere
generale regionale della Moravia meridionale.
La valutazione del sistema di videosorveglianza è
svolto dal Dipartimento per la prevenzione della criminalità del Ministero degli Interni, fra l’altro, grazie
ad informazioni fornite dal Comune alla polizia,
comprese le analisi comparative sui tassi di criminalità e di reati riscontrati nei luoghi videosorvegliati e
non. E’ interessante notare che effettivamente la
videosorveglianza ha permesso di ridurre il numero
di reati contro la proprietà. Inoltre, dei gruppi di
delinquenti specializzati in borseggi hanno abbandonato i luoghi sottoposti a videosorveglianza
migrando verso altre zone meno « attraenti». Infine,
degli studi dimostrano che i cittadini si sentono
maggiormente sicuri nei luoghi sorvegliati.
Tutti questi elementi dimostrano che il sistema di
videosorveglianza può essere considerato come uno
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Brno, Repubblica Ceca
strumento utile nella politica di sicurezza della città
di Brno. Può infatti essere raccomandao in una
società funzionale democratica, a condizione che i
dati e le registrazioni siano sufficientemente messi
in sicurezza degli strumenti legislativi e tecnici,
garantendo i diritti delle libertà individuali fondamentali. Il rischio, come sempre, quando si manipolano dei dati sensibili, è il fattore umano. Da parte
nostra non raccomanderemmo certo l’utilizzo della
videosorveglianza in una società non democratica
dove il ricatto e l’estorsione sono all’ordine del
giorno.
Stanislas Jaburek
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Focus sulle città
GENOVA
NUMERO DI ABITANTI:
610 766
NUMERO DI TELECAMERE:
60
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
La videosorveglianza in Italia
e l’esperienza del Comune di Genova
In Italia, si assiste a una domanda crescente
di sicurezza da parte dei cittadini, nonostante la diminuzione o, se non altro, la relativa stabilizzazione del numero di reati gravi. I fattori
che contribuiscono a far aumentare questa esigenza di
sicurezza sono principalmente:
a) la mediatizzazione dei delitti e la ricerca permanente
del sensazionale, che ha come conseguenza quella di
banalizzare i crimini eccezionalmente spettacolari e di
aumentare il sentimento generalizzato d’insicurezza,
sull’onda emotiva di un particolare evento;
b) la paura della diversità, una sfida a cui siamo cos-
➤
174
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Genova, Italia
tantemente confrontati a causa del ritmo incalzante
e dell’evoluzione continua dei cambiamenti sociali e
dei problemi legati all’immigrazione;
c) la convinzione che si dovrebbe trovare un mezzo
per controllare qualsiasi aspetto del nostro contesto
di vita, nelle sue componenti individuali o collettive e
che, conseguentemente, qualsiasi altro evento negativo che potrebbe capitarci dovrebbe essere imputabile alla responsabilità di qualcuno, almeno dal
punto di vista della responsabilità obiettiva;
d) il fatto che il « nostro » comportamento sia una
variabile indipendente e che spetta a qualcun’altro
garantire la nostra sicurezza.
In questo quadro, le misure d’intervento più richieste
sono:
1) delle pene più severe;
2) una polizia dotata di maggiori risorse e poteri;
3) ddelle tecnologie di controllo. Ma, molto spesso,
queste ultime offrono delle risposte in funzione delle
circostanze e soltanto in un numero limitato di casi.
In Italia, l’ordine e la sicurezza pubblici sono di competenza dello Stato. La recente modifica della legislazione ha conferito ai sindaci delle competenze
specifiche in materia di sicurezza urbana, mediante
lo strumento delle ordinanze e, in particolare,
tramite i sistemi di videosorveglianza.
Nella città di Genova, le politiche municipali di sicurezza urbana hanno cominciato a svilupparsi verso
la seconda metà degli anni 90, mentre emergeva
un’aspettativa sempre maggiore da parte degli abitanti affinché la sicurezza fosse assicurata non
soltanto tramite le istituzioni tradizionali (forze
dell’ordine e autorità pubblica) ma anche direttamente da parte degli amministratori locali e dei
sindaci.
Tali politiche di sicurezza si sono concentrate, in un
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Focus sulle città
primo tempo, su un intervento nel centro storico
della città. Sono state realizzate nel quadro del
programma europeo Urban II, che ha permesso, con
l’avvallo della Questura, d’installare delle telecamere
sotto la responsabilità delle forze dell’ordine, per
sorvegliare un certo numero di luoghi sensibili. In
seguito, è stato siglato il Patto per la sicurezza fra il
ministero degli Interni e l’Associazione nazionale dei
comuni italiani, nonché il patto “Genova città sicura”
nel 2007 ed è proprio in questo quadro che è stato
finanziato un progetto di videosorveglianza municipale. L’obiettivo principale era quello di attuare uno
strumento di prevenzione della delinquenza allo
scopo di rassicurare gli abitanti.
Allo scopo d’individuare i punti sensibili della città
da videosorvegliare, è stato ritenuto indispensabile
coinvolgere i Comuni, in quanto rappresentanti della
popolazione residente nelle zone interessate.
Convinti che l’individuazione dei luoghi e le scelte
delle tecnologie più adeguate da adottare debba fornire una risposta concreta ai bisogni di sicurezza dei
cittadini, abbiamo avviato una mappatura dei luoghi
critici grazie a un sistema di georeferenziazione, che
ci ha permesso d’installare le telecamere. L’informazione sui risultati da trasmettere ai cittadini avverrà
attraverso diversi canali di comunicazione.
Sul territorio del comune di Genova esistono attualmente tre sistemi di videosorveglianza, di cui uno
destinato al controllo della fluidità del traffico stradale, composto da 38 telecamere poste sulle principali arterie.
La polizia di Stato, dalla stazione centrale di controllo
gestisce il proprio sistemi di videosorveglianza composto da 97 telecamere.
Le prime 60 telecamere del sistema di videosorveglianza municipale sono state installate nel 2009.
I principi guida atti a garantire uno sviluppo ade-
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Genova, Italia
guato del sistema municipale sono contenuti nell’
ordinanza del Garante per la protezione dei dati personali, promulgata in aprile 2004 e che enuncia
quattro grandi principi generali:
1-Legalità
2-Necessità
3-Proporzionalità
4-Finalità
Allo scopo di garantire il rispetto di tali principi, è
stata creata una commissione tecnica speciale, composta da un rappresentante della polizia locale, da
un rappresentante della polizia di Stato e da un funzionario esperto di videosorveglianza. In funzione
dei bisogni espressi dai cittadini, ha il compito d’individuare i luoghi oggetto di videosorveglianza.
Da un punto di vista legislativo, l’elaborazione delle
immagini è in generale assimilato al trattamento dei
dati personali. Data la grande differenza fra la natura
dei dati personali contenuti nelle immagini, risposto
al supporto cartaceo o informatico, è stato ritenuto
necessario allineare le modalità di trattamento delle
immagini alle norme in vigore in materia di protezione della privacy, allo scopo di garantire la protezione e i diritti dei cittadini.
A tal scopo, il Comune di Genova ha elaborato una
normativa, attualmente in fase di adozione, che:
➤ Enuncia i principi generali che devono essere ris-
pettati dall’amministrazione comunale nelle attività
di videosorveglianza;
➤ Enumera gli obiettivi sulla base dei quali l’amministrazione comunale può effettuare il trattamento
delle immagini;
➤ Delimita i casi in cui è possibile ricorrere a queste
misure di videosorveglianza;
➤ Individua gli strumenti da utilizzare;
➤ Impone l’obbligo della rintracciabilità dell’accesso
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ai dati registrati;
➤ Definisce le modalità di comunicazione con i cittadini e fissa il periodo durante il quale le immagini
possono essere conservate, in funzione dei diversi
scopi e obiettivi seguiti;
➤ Riconosce i diritti delle persone filmate a quelli
della popolazione nel suo insieme e definisce sotto
quale forma tali diritti possono essere esercitati.
In particolare, il diritto d’accesso alle immagini delle
persone filmate deve essere definito rispetto agli
obiettivi degli attori pubblici in materia di efficacia,
efficienza ed economia. Bisogna, inoltre, prendere in
considerazione la protezione dell’identità di terzi. È,
infine, necessario osservare il principio di risposta a
una domanda ragionevole, nel rispetto dell’obbligo
d’imparzialità e del buon funzionamento della pubblica amministrazione, così come sancito dalla Costituzione italiana.
Data l’importanza delle risorse umane e finanziarie
necessarie alla messa in opera dei sistemi di videosorveglianza, è indispensabile valutarne e verificarne
l’efficacia. Un primo passo in questo senso, effettuato dal Comune di Genova, consiste nel realizzare
periodicamente delle indagini sul grado di soddisfazione da parte degli abitanti. Esse hanno l’obiettivo
di valutare l’impatto degli interventi sul senso di
sicurezza dei cittadini. Più in generale, la città è impegnata nella definizione di una serie d’indicatori
che permetteranno di misurare l’impatto dell’insieme delle iniziative prese nel quadro della politica
di sicurezza urbana.
Mariapia Verdona
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Ibiza, Spagna
IBIZA
NUMERO DI ABITANTI:
41 000
NUMERO DI TELECAMERE:
4
ENTE RESPONSABILE:
IL COMUNE
L’attuazione nel luglio 2009 di un sistema di
videosorveglianza della città d’Ibiza, la capitale dell’isola balneare e porto lo stesso nome,
fa parte di una serie di misure prese dal comune per riqualificare i quartieri del centro storico, degradati dalla
emarginazione dalla delinquenza. Le diverse giunte comunali che si sono succedute a partire dal 1987 hanno
investito in totale circa 50 milioni di euro della ristrutturazione dei tre quartieri più «difficili» della città vecchia, ossia Sa Penya, La Marina e Dalt Villa: sono stati
effettuati diversi interventi fra cui la pedonalizzazione
di alcune strade, la creazione di nuovi spazi culturali e
l’ammodernamento delle infrastrutture...
Parallelamente, il comune ha rafforzato la sua politica
di prevenzione della delinquenza aumentando il nu-
➤
179
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Focus sulle città
mero di addetti della polizia di prossimità in tali quartieri e avviando nel 2006, tutte le procedure necessarie
presso il governo regionale per ottenere l’autorizzazione per l’installazione delle telecamere. La pratica di
presentazione del progetto comprendeva anche i dati
statistici sulla criminalità locale oltre ad alcuni articoli
di giornale inerenti a fatti criminali compiuti nell’ambito della città vecchia. Il dossier descriveva tutte le
caratteristiche tecniche delle telecamere così come i
dettagli relativi all’installazione. Data una popolazione
permanente di circa 41.000 abitanti, la città d’Ibiza (Eivissa in lingua catalana locale) accoglie ogni anno circa
400.000 turisti. Furti, piccoli traffici di droga, episodi di
ubriachezza in strada... Il successo turistico d’Ibiza uno dei luoghi più frequentati del Mediterraneo e uno
dei simboli della leggendaria «movida» spagnola -ha
un impatto diretto sulla delinquenza, in particolare
quella legata allo spaccio di droga. Tale traffico riveste
un ruolo particolarmente importante nella città vecchia
di Eivissa, punto nevralgico della vita notturna.
Secondo alcune informazioni pubblicate nel giugno
2006 dal quotidiano local Diario de Ibiza, il tasso di
criminalità registrato nelle isole d’Ibiza e Formentera
era allora due volte superiore alla media spagnola (118
«reati le infrazioni» per abitante, contro una media di
49,3 in Spagna)*. Il comune ha sollecitato l’autorizzazione di installare in totale cinque telecamere, di cui
quattro sono state installate in luglio 2009. Il costo
dell’installazione è ammontato a 89.600 euro e la manutenzione finanziata dal comune.
Protezione dei dati e rispetto della privacy
Il consiglio municipale responsabile della conservazione delle registrazioni, delegata alla polizia municipale, così come il loro utilizzo o distruzione. Un’équipe
di otto operatori è incaricata del funzionamento delle
telecamere e ha accesso diretto alle immagini. una volta
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Ibiza, Spagna
registrate, solo tre funzionari di polizia graduati sono
autorizzati a visionarle. Non è previsto nessun altro
tipo di trasmissione, in diretta o differita, delle immagini. Tuttavia, si è verificato il caso che la polizia municipale consegni alcune registrazioni alla polizia
nazionale nel quadro delle sue indagini.
Le registrazioni sono distrutte dopo una scadenza massima di un mese, a meno che non siano utilizzate nel
quadro di un’inchiesta su un reato grave o nel caso di
una procedura giudiziaria in corso.
Nel caso in cui siano registrati dei fatti potenzialmente
illeciti, i video saranno trasmessi alle autorità giudiziaria entro un termine di massimo 62 ore dopo la
registrazione. Nel caso in cui si tratti di atti che possono costituire un «illecito amministrativo» legato alla
«pubblica sicurezza» (ai sensi della legge spagnola), Le
registrazioni saranno immediatamente trasmesse alle
autorità competenti, al fine di avviare una procedura
penale. In caso di registrazione illegale di immagini o
suoni, la registrazione dovrà essere distrutto immediatamente, in conformità alla legge Fondamentale
4/1997.
Nel caso in cui sia necessaria solo una distruzione parziale o se la distruzione totale e impossibile inadeguata,
per motivi tecnici o in funzione della procedura utilizzata, il responsabile della conservazione delle registrazioni dovrà distorcere, mascherare o bloccare quei
suoni e immagini in questione al fine di renderli inutilizzabili, utilizzando i mezzi tecnici a sua disposizione.
Informazione al pubblico
Gli abitanti di Eivissa sono informati dell’installazione
del sistema di videosorveglianza principalmente mediante una campagna stampa sui media locali. La popolazione dei quartieri interessati è stata inoltre informata dalle autorità locali di tutte le disposizioni di legge
sulla protezione dei dati personali e sulle procedure di
ricorso in caso di anomalia. Inoltre, i residenti degli im-
181
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Focus sulle città
mobili in cui sono installate delle telecamere sono personalmente informati dagli addetti responsabili
dell’installazione, che ne hanno richiesto il consenso
(benché questo non sia obbligatorio per legge). D’altra
parte, si può notare che a parte gli abitanti degli edifici
in cui sono posizionate le telecamere, il resto della popolazione di Eivissa non è stato informato del posizionamento esatto di tali dispositivi.
La realizzazione del sistema di videosorveglianza non
ha provocato nessuna contestazione né controversia.
Tutto al più, si sono verificate alcune proteste per
quanto riguarda i tempi di installazione, talvolta giudicati troppo lunghi da alcuni.
Un bilancio positivo
Al termine del primo anno di funzionamento, di amministratori locali e la polizia municipale giudicano positivamente i risultati del sistema, in quanto ha permesso
di ridurre il numero dei reati e si è inoltre rivelato utile
nel quadro di numerose operazioni di polizia. La videosorveglianza costituisce così un complemento utile al
lavoro della polizia di prossimità svolto nei quartieri
della città vecchia di Eivissa. In generale, quest’opinione è condivisa dalla popolazione locale.
* «Las Pitiüses duplican la tasa media de delincuencia por
habitante de España», Diario de Ibiza, 6 giugno 2006.
Manuel Ayala Garcia
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LE HAVRE
NUMERO DI ABITANTI:
180 000
NUMERO DI TELECAMERE:
90
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
A Le Havre è stato costituito un partenariato permanente con i servizi statali – il
Sotto-Prefetto - , della Giustizia – il Procuratore della Repubblica, la Polizia Nazionale – il
Capo della Sicurezza Pubblica per la Circoscrizione
di Havre, Il Ministero Nazionale della Pubblica Istruzione – l’Ispettore d’Accademia, che si riunisce
sistematicamente ogni 15 giorni con il Vice-Sindaco,
l’Assessore alla Sicurezza e la Direzione della Sicurezza Municipale, nel quadro del gruppo ristretto del
Comitato Locale per la Sicurezza e la Prevenzione
della Delinquenza « C. L. S. P. D ».
➤
➤ Sin dalle prime fasi di riflessione sul progetto
d’installazione di un sistema di videosorveglianza,
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Focus sulle città
abbiamo sottoposto la questione ai nostri partner
per raccoglierne le opinioni e poi ad ogni fase della
sua attuazione, realizzazione e creazione di un eventuale Comitato Etico e della sua composizione, e
continuiamo a portare avanti questi scambi ogni
volta che emerge la necessità di estendere le zone
videosorvegliate.
➤ E’ talvolta su richiesta della Polizia Nazionale che
prevediamo e proponiamo un’estensione della videosorveglianza in funzione del numero di fatti
concreti di delinquenza, in maniera sostenibile, in
una certa zona o quartiere.
➤ E’ dunque solo in seguito ad una riflessione collettiva, e sempre in tempo utile, che decidiamo d’installare delle telecamere supplementari, e non come reazione a una richiesta da parte di un cittadino, vittima di
un reato.
Le richieste d’installazione di telecamere in tutti i
quartieri, da parte di privati, commercianti o titolari
d’imprese sono così numerose, d’altra parte, che non
potremmo rispondere a tutte.
Dal 2004 alla fine del 2005, data dell’installazione
delle prime 3 telecamere in un centro commerciale di
quartiere che stava per chiudere a causa della delinquenza dilagante, l’Assessore alla Sicurezza informò
il Consiglio Municipale del progetto e incontrò i rappresentanti di tutti i media: la stampa, la radio, la
televisione e le associazioni, fra cui la Lega dei Diritti
Umani, le associazioni di quartiere e tutti i cittadini
di Havre che sollecitavano un incontro per essere informati sull’iniziativa. Furono dunque trasmesse
tutte le informazioni disponibili prima, durante e
dopo l’installazione, attenendosi ad informazioni
precise, trasparenti e complete.
Riteniamo che la videosorveglianza urbana sia uno
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Le Havre, Francia
strumento al servizio della politica di sicurezza e di
prevenzione della delinquenza nel quadro del
contratto locale di sicurezza della Città di Havre. I
suoi obiettivi sono quelli di prevenire i reati contro
gli individui e la proprietà, di partecipare e rafforzare
il senso di sicurezza dei cittadini e di mettere in sicurezza gli edifici comunali e gli spazi pubblici esposti
a tali rischi.
Questa azione deve conciliarsi con l’imperativo del
rispetto delle libertà pubbliche e individuali in
conformità allo spirito della Legge di Orientamento e
di Programmazione della Sicurezza del 21 gennaio
1995 e dei suoi decreti attuativi.
E’ con questa preoccupazione permanente di garantire ai cittadini la massima protezione che la Città di
Havre ha auspicato la creazione del Comitato Etico
per la videosorveglianza degli spazi pubblici.
Tale Comitato Etico è composto da 3 collegi:
➤ 3 amministratori locali di cui uno nominato
dall’opposizione municipale.
➤ 3 personalità qualificate:
• l’ex Rettore dell’Università
• un ex Presidente del Collegio Forense
• un rappresentante della Camera di Commercio
➤ 3 rappresentanti di Associazioni
• il Presidente dell’Associazione d’Aiuto alle Vittime
• il Presidente del Consiglio Superiore dei Senegalesi
di Havre
• il Presidente di un’associazione di assistenti
sociali
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Focus sulle città
Il Comitato Etico della videosorveglianza degli spazi
pubblici è incarico di:
➤ vigilare che sia assicurato il rispetto permanente
delle libertà pubbliche
➤ informare i cittadini sul funzionamento del
sistema
➤ esaminare su richiesta del Sindaco di Havre
tutte le richieste d’accesso alle immagini e altre lamentele dei cittadini
➤ formulare pareri e raccomandazioni al Sindaco
sul funzionamento del sistema
➤ presentare al Sindaco di Havre un rapporto annuale sul funzionamento della videosorveglianza
Tutte queste informazioni, e la realtà della loro
concreta utilità, fanno sì che non vi sia attualmente
alcuna opposizione, se non estremamente marginale
(!), al funzionamento della videosorveglianza nella
nostra città.
Bertrand Binctin
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LIEGI
NUMERO DI ABITANTI:
190 000
NUMERO DI TELECAMERE:
109
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
Liegi, città millenaria, città universitaria,
metropoli economica e culturale della Vallonia, è situata nel cuore d’un agglomerato
urbano di 600.000 abitanti, al punto d’incontro di
reti ferroviarie ad alta velocità (TGV) ed autostradali
per gli autotrasporti transeuropei, ad una distanza di
100 km da Bruxelles, 25 km da Maastricht e 40 km
da Aix-la-Chapelle.
➤
Città vivace, di giorno come di notte, privilegia la
convivialità e l’ospitalità. E’ teatro di numerosi eventi
sportivi, ricreativi e culturali.
A partire dal 2002, il progetto di rinnovo della rete di
telecamere di sorveglianza era stato inserito
187
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Focus sulle città
nell’agenda delle proposte d’azioni prioritarie da
sottoporre al voto dei cittadini di Liegi, nel quadro
del progetto “Città sicure” avviato dalla consulta
cittadina sul progetto di città. Era stato sostenuto a
larga maggioranza da tutti coloro che avevano
partecipato al sondaggio.
A partire da quella data, su richiesta del sindaco
(borgomastro), i servizi di polizia locale di Liegi
hanno proceduto all’installazione di un totale di 109
telecamere di sorveglianza, scaglionate su un
periodo di cinque anni, dal 2003 al 2008.
Da un punto di vista tecnologico, si tratta di telecamere di tipo “speed dome” ad alta tecnologia e ad
alta definizione, che permettono una rotazione a
360° orizzontalmente e a 90° verticalmente. Lo
zoom permette di leggere chiaramente una targa
d’immatricolazione a una distanza di 150 metri, sia
di giorno sia di notte.
Queste telecamere sono tutte parametrizzate in
modo da rendere impossibile la visualizzazione nelle
abitazioni private, ma non sono dotate di un supporto intelligente di elaborazione delle immagini. Da
cui l’importanza della formazione degli operatori,
che devono anche conoscere bene il quartiere che
sorvegliano e la popolazione residente.
Le telecamere sono collegate in rete, mediante un
circuito chiuso a fibre ottiche – che esclude qualsiasi
rischio di pirateria. Le immagini sono visualizzate
nella centrale di gestione degli eventi e in due commissariati di quartiere. I dati non sono condivisi con
altri servizi o istituzioni.
La visualizzazione è effettuata esclusivamente da
agenti di polizia – dunque, da personale autorizzato
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Liegi, Belgo
che ha prestato giuramento ed è tenuto al segreto
professionale.
Le immagini sono registrate e distrutte dopo sette
giorni, benché la legge ne permetta la conservazione
fino a un mese.
Qualsiasi abitante può sollecitare la visualizzazione
delle immagini che lo riguarda, se ne fa richiesta
presso il gestore del sistema, ossia il borgomastro. E’
possibile fare ricorso contro il gestore del sistema.
La Procura della Repubblica e il Giudice istruttore
possono inoltre richiedere le immagini nel quadro di
una causa penale.
I luoghi d’installazione delle telecamere sono scelti in
funzione degli obiettivi attribuiti al sistema, in occasione della sua messa in funzione. Si tratta di apportare
una risposta di qualità ai tre tipi di problematiche
seguenti:
➤ problematiche di circolazione, mediante la visualizzazione delle grandi arterie d’immissione in città,
➤ problematiche di ordine pubblico, mediante la visualizzazione dei luoghi di manifestazioni ricorrenti,
➤ problematiche di sicurezza, mediante la visualizzazione di alcune zone sensibili, come le arterie dei quartieri di vita notturna.
È stata prediposta una segnaletica specifica che indica
il nome del gestore del sistema.
In ognuna delle quattro fasi d’installazione successive,
i fascicoli sono sottoposti all’approvazione del consiglio comunale, in cui i timori relativi al rispetto delle
libertà individuali sonno discussi pubblicamente.
Gli obiettivi perseguiti così come l’ubicazione precise
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Focus sulle città
delle telecamere sono regolarmente oggetto di mediatizzazione attraverso i comunicati e le conferenze
stampa.
Le informazioni alla popolazione sono inoltre trasmesse attraversi dei contatti con i comitati di quartiere,
una pratica che è stata istituita prima ancora dell’installazione del sistema e che è attuata mediante una
valutazione regolare. I partecipanti a queste riunioni
sono apertamente invitati dal borgomastro per esprimere le loro esigenze.
Nel 2007, è stata istituita una commissione
di controllo locale. E’ composta da rappresentanti di
ciascuno dei quattro gruppi politici democratici
rappresentati presso il consiglio comunale di Liegi e si
riunisce ogni due o tre mesi.
La sua mission consiste nel garantire un’adeguata
attuazione della legge del 2007.
In particolare, intende vigilare affinché:
➤ la visualizzazione presso il centro «telecamere» sia
effettuata esclusivamente da personale di polizia con
specifica formazione;
➤ la dichiarazione alla «commissione per la privacy»
sia correttamente redatta;
➤ dei parametri siano utilizzati per mascherare le zone
private e gli immobili privati;
➤ sia utilizza una segnaletica corrispondente alle
prescrizioni legali posizionata nelle strade
individuate;
➤ le immagini siano conservate e poi distrutte dopo
sette giorni.
I consiglieri comunali sono regolarmente informati sui
vari elementi di valutazione, ossia su: i risultati dei lavori della commissione di controllo locale, le riunioni
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Liegi, Belgo
della commissione speciale di polizia, le visite presso il
«centro di gestione degli eventi». . .
Anche il pubblico è regolarmente invitato a visitare
questo centro, ad esempio nel quadro delle giornate
dedicate alle «porte aperte» della polizia. Tali giornate
attirano un gran numero di visitatori.
Dal punto di vista dei costi, l’installazione dell’insieme
del sistema ammonta a oltre cinque milioni di euro. Le
spese di gestione sono nulle, in quanto la rete si basa
sulle fibre ottiche. Il budget annuale di manutenzione
preventive è di circa 100.000 euro. Bisogna, inoltre,
tener conto delle spese relative all’aggiornamento regolare del sistema, in particolare l’acquisto di nuovi
software.
L’impatto del sistema è valutato positivamente in
termini di dissuasione e di messa in sicurezza della
popolazione. Tuttavia, tale impatto non è ancora stato
sottoposto ad una valutazione esterna.
Su un periodo di un anno, le telecamere hanno
permesso di accertare 54 fatti di criminalità in flagrante e di apportare 58 risultati positivi a delle
richieste di prosieguo di inchieste.
Catherine Schlitz
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Focus sulle città
LONDRA
NUMERO DI ABITANTI:
7 684 700
NUMERO DI TELECAMERE:
≈
60 000
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
Descrizione del progetto di creazione
di un sistema di videosorveglianza
L’esperienza londinese della videosorveglianza, così come, più in generale, l’esperienza britannica, non corrisponde unicamente ad un solo progetto. Innanzitutto, Londra è
suddivisa in 33 aree o distretti amministrativi (Boroughs), ognuno dei quali è dotato del proprio sistema di videosorveglianza. Inoltre, esistono numerosi altri progetti su iniziativa delle autorità pubbliche
e diversi sistemi privati di videosorveglianza che coprono spazi pubblici (es. telecamere appartenenti a
imprese, che sorvegliano i punti d’ingresso e uscita).
➤
L’utilizzo della videosorveglianza è aumentato in
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Londra, Regno Unito
maniera esponenziale nel corso degli ultimi decenni.
All’inizio degli anni 60, furono installate delle telecamere al fine di controllare il traffico. Successivamente, nel corso degli anni 70 e 80, furono installate
dei sistemi di videosorveglianza nei grandi centri
commerciali, dove esiste una certa ambiguità
rispetto alla natura dello spazio. In altre parole, nei
grandi centri commerciali si ha l’impressione che le
corsie su cui si affacciano i vari negozi rappresentano
uno spazio pubblico, mentre in realtà si tratta di
luoghi privati. La maggior parte dei centri commerciali è pattugliata da agenti di sicurezza privati, in
generale, in convenzione con la polizia locale, che
permette loro e li incoraggia ad effettuare dei servizi
di pattugliamento regolari. Inoltre, negli ultimi
tempi, i sistemi di videosorveglianza sono stati utilizzati per gestire i grandi eventi sportivi – in particolare, le partite di calcio, in cui si sono rivelati essere
uno strumento efficace a servizio della strategia volta
a sopprimere la violenza negli stadi e nelle zone
circostanti. Tutto ciò, combinato con un periodo
prolungato di minaccia reale del terrorismo, ha permesso di abituare l’opinione pubblica britannica
all’utilizzo della videosorveglianza. Tale processo è
ormai talmente radicato che molto spesso sono gli
stessi cittadini che richiedono l’installazione di
telecamere.
La volontà di ridurre la criminalità è stata uni dei fattori fondamentali dello sviluppo di progetti di videosorveglianza, naturalmente con l’obiettivo potenziale e supplementare di prevenire il terrorismo e di
fornire una valida alternativa all’utilizzo di detective.
La videosorveglianza è oggi talmente onnipresente
che si ha la tendenza a credere di essere osservati,
anche quando non è presente alcun sistema. La maggior parte (se non addirittura la totalità) dei centricittà di tutto il territorio londinese è coperta da tele-
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Focus sulle città
camere di sorveglianza. Non è facile affermare con
certezza qual è il numero esatto di telecamere installate. Tuttavia, il Centro di comando e controllo della
polizia può avere accesso a 60.000 telecamere. A
titolo indicativo, solo l’aeroporto di Heathrow di per
se è dotato di ben 3000 telecamere.
E’ stato affermato con sempre maggiore determinazione che l’uso e l’installazione di telecamere sono
stati finora effettuati un po’ a caso. La tendenza era
quella di non prendere in considerazione l’impatto
potenziale sulla delocalizzazione della criminalità o
sul disturbo dell’ordine pubblico ed esistono poche
prove di casi in cui, una volta ridimensionato il
problema specifico, le telecamere siano state rimosse
o spostate altrove. Tali problemi sono ora affrontati
in maniera più strutturale, grazie alla messa a punto
di una strategia nazionale per la videosorveglianza,
con il benestare del Ministero degli Interni (Home
Office). Chiaramente, tale attività è svolta solo dopo
che l’uso di una tale tecnologia si è ben consolidato.
Infatti, siamo già alla seconda, se non addirittura alla
terza generazione di questa tecnologia, in quanto gli
enti locali e le altre istituzioni partner modernizzano
i loro sistemi per trarre vantaggio dagli ultimi
sviluppi della tecnologia in questo campo. Ad
esempio, è in atto un passaggio tecnologico dall’analogico al digitale verso l’utilizzo delle telecamere a
cupola, che offrono il vantaggio di non svelare a
coloro che si trovano nel loro angolo di visione in
quale direzione è rivolta la telecamera. E’ certamente
anche vero che ogni volta che è disponibile una
nuova tecnologia di ultimo grido, può spesso prevalere il desiderio di possedere a tutti i costi l’ultimo
modello sulla riflessione più razionale che porta a
decidere quale livello di complessità tecnologica
corrisponderebbe effettivamente alle proprie particolari esigenze – un’analogia di facile comprensione
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Londra, Regno Unito
sarebbe quella di voler acquistare una Ferrari per
andare a fare la spesa al supermercato! Esiste oggi
un desiderio crescente di esaminare i vantaggi accumulati da tale sistema, dati i costi considerevoli che
sono in gioco. Tuttavia, pare che il ritiro di tali
sistemi sarebbe una decisione politica delicata.
Con l’emergenza dei sistemi di videosorveglianza
degli enti locali, a partire dal 1985 circa ad oggi, vi è
stata la presunzione di ritenere che tali sistemi
dovessero essere sottoposti al controllo degli enti
locali piuttosto che della polizia.
Tuttavia, è sempre stato previsto dalle modalità di
accesso alle telecamere da parte della polizia che ciò
avvenga mediante gli agenti addetti alle sale di
controllo o mediante le immagini ritrasmesse in
diretta alle sale di controllo della polizia, per opera di
personale esperto autorizzato al visionamento delle
telecamere, allo scopo di sorvegliare e individuare
specifici incidenti.
Il rapido sviluppo di partenariati efficaci fra la polizia
e gli enti locali ha contribuito all’eliminazione della
distinzione fra la polizia e gli enti locali per quel che
concerne il controllo della videosorveglianza. Un
certo numero di sale di controllo di videosorveglianza
è attualmente localizzato presso le sale di controllo
della polizia, e nonostante gli operatori addetti alla
videosorveglianza facciano parte del personale
dipendente degli enti locali, i poliziotti hanno costantemente accesso alle immagini in diretta.
Un certo numero di sale di controllo degli enti locali
è preposto allo svolgimento di operazioni di sorveglianza confidenziali, che permette di effettuare la
sorveglianza di telecamere isolatamente rispetto alla
centrale principale di sorveglianza, all’insaputa degli
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Focus sulle città
operatori e senza il loro coinvolgimento. La messa in
pratica di una tale funzione potrebbe, ad esempio,
essere un’operazione speciale in diretta antiterrorismo o un’indagine su un importante fatto criminale. Questo sarebbe un argomento interessante da
trattare in relazione alla questione del rispetto dei
diritti umani e della privacy!
La legislazione in questo campo comprende la legge
sui diritti umani (Human Rights Act) oltre alla legge
sulla protezione dei dati (Data Protection Act). Bisogna osservare che non esistono clausole legali
specifiche per la videosorveglianza nel Regno Unito.
Tuttavia, la legislazione, compresa quella sulla protezione dei dati, si riferisce a tutti e non è limitata
agli enti pubblici. Oltre a ciò, come già sottolineato,
la strategia nazionale della videosorveglianza prevede la messa a punto di un codice deontologico
relativo a tutti gli aspetti della videosorveglianza.
Inoltre, il Regno Unito, di concerto con altri Stati,
utilizza diverse tecnologie per proteggere gli spazi
privati dalla sorveglianza indiscreta. Ad esempio, i
sistemi appartenenti agli enti locali hanno l’abitudine di oscurare o offuscare le parti delle immagini
delle telecamere riguardanti uno spazio privato. Un
esempio potrebbe essere quello di una proprietà
residenziale al di sopra di un locale pubblico, su una
strada principale. Mentre la telecamera scansiona il
perimetro di osservazione, le zone private sono automaticamente oscurate. Tuttavia, è possibile annullare questa tecnologia in caso di situazioni particolari, come ad esempio gravi delitti, indagini
antiterrorismo, (mediante ricorso alle autorità competenti, che dovranno emettere un’autorizzazione
speciale di alto livello.
Tutti i luoghi coperti da videosorveglianza devono
essere segnalati da appositi cartelli segnaletici che
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Londra, Regno Unito
indicano la presenza di telecamere oltre alle informazioni su come contattare gli operatori. Tuttavia,
pare che attualmente le telecamere siano diventate
talmente onnipresenti che tale segnalazione è ampiamente ignorata. Come già sottolineato, è ancora
in atto un lavoro di messa a punto di una strategia
nazionale per l’uso della videosorveglianza. I relativi
documenti possono essere trovati sul sito Internet
del Ministero degli Interni britannico (Home Office).
Al momento della redazione del presente testo, il
governo di coalizione recentemente eletto ha manifestato l’intenzione di rafforzare la regolamentazione
sulla videosorveglianza. Ciò influenzerà l’attuazione
della strategia nazionale, ma per il momento non si
conoscono i dettagli della nuova struttura normativa
che sarà messa a punto.
Esistono dei codici deontologici a cui devono attenersi gli operatori addetti alla sorveglianza dei sistemi, che costituiscono le basi della formazione impartita. La maggior parte delle sale di controllo di
videosorveglianza sono esse stesse soggette a telecamere di sorveglianza in permanenza – un vero
esempio di ‘sorveglianza dei sorveglianti’! Inoltre, è
prevista la prassi di ‘visitatori non iniziati’ che passano nelle sale di controllo di videosorveglianza. Tale
progetto deriva da quello già in funzione nel quadro
di accesso alle persone detenute nei commissariati.
Dei volontari della comunità hanno diritto di accesso
diretto alla zona di detenzione e hanno l’opportunità
di parlare con i detenuti per stabilire le condizioni
della loro detenzione. Così come possono presentarsi improvvisamente dei volontari nelle sale di
controllo di videosorveglianza, senza farsi
annunciare, al fine di verificare l’operato degli addetti e il rispetto delle procedure.
In tutte le zone di prestazione del servizio pubblico,
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Focus sulle città
esiste un certo dinamismo volto a coinvolgere maggiormente i cittadini nel processo decisionale. Nel
contesto del mantenimento dell’ordine pubblico, lo
si può constatare in diversi modi, ad esempio attraverso le commissioni di quartiere. Questa iniziativa,
che fa parte dell’approccio nazionale per il mantenimento dell’ordine nei quartieri, si fonda sul coinvolgimento dei membri della comunità locale al fine di
stabilire delle priorità in materia di mantenimento
dell’ordine e di porre la polizia locale e i suoi partner
dinanzi alle loro responsabilità al fine di rispondere a
tali priorità. Questi organismi possono fungere da
catalizzatore per l’installazione di sistemi di
videosorveglianza.
Poiché la percezione pubblica è ampiamente positiva
e riguarda i potenziali vantaggi della videosorveglianza, tali gruppi diventano dei e propri veri militanti a sostegno dei progetti locali. Ciò può persino
evocare un’immagine contrastante della polizia, che
cercherebbe di attenuare l’entusiasmo per la videosorveglianza, puntualizzando come si tratti soltanto
di una delle numerose misure che possono essere
utilizzate per affrontare un problema che è stato
individuato e correttamente analizzato.
Nel corso degli ultimi anni, è stata registrata un’ondata crescente di opinioni favorevoli alla prudenza (e
non verso un’opposizione categorica) dinanzi alla videosorveglianza. Tale prudenza sembra derivare sia
da un’analisi costi-benefici che da episodi di violazione della privacy. Bisogna vedere questo fenomeno
come una conseguenza dell’esperienza di situazioni
in cui erano state installate delle telecamere sconsideratamente o senza le risorse necessarie per rispondere efficacemente alla situazione osservata; nulla
sminuisce più rapidamente il valore della videosorveglianza della percezione generalizzata che tanto
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Londra, Regno Unito
non arriverà nessuno nel caso in cui dovesse avvenire un reato sotto lo sguardo delle telecamere.
Come per qualsiasi altra attività di sicurezza della
comunità o di mantenimento dell’ordine, il compito
di valutare l’efficacia della videosorveglianza è complesso. La stima dell’efficacia della prestazione
rispetto agli obiettivi prefissati è difficile da compiere
se gli obiettivi stessi sono già confusi. Ad esempio,
cosa s’intende per ‘efficacia’? prevenzione o lotta?
Esiste un valore intrinseco e misurabile nella percezione di sicurezza apparentemente generata dalla
videosorveglianza ? Come separare gli effetti della
videosorveglianza da tutti gli altri interventi che sono
stati messi in atto in risposta ad un determinato
problema?
E’ stato provato che la videosorveglianza possa
ridurre la criminalità e il disordine pubblico, benché
sia meno certo che tali effetti continuino necessariamente nel lungo termine. Così com’è stato provato
che la videosorveglianza sia efficace nel contesto di
reati, gravi come il terrorismo – persino per gli attentati kamikaze – probabilmente per la limitazione
delle fasi di perlustrazione necessarie che precedono
gli attacchi.
Esistono probabilmente molteplici prove che stanno
a dimostrare come la videosorveglianza possa fornire
un supporto di grande valore per gli investigatori.
Nella peggiore delle ipotesi fornisce delle prove
inconfutabili di comportamento e identificazione.
Bisogna inoltre osservare che sono stati effettuati
degli studi che indicano l’esistenza di prove secondo
cui la videosorveglianza comporti un’elevata percentuale di dichiarazioni di colpevolezza, il che evita la
necessità di adire le vie giudiziarie e dunque di risparmiare sui costi. D’altra parte, è stato dimostrato
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Focus sulle città
che quando sono portate come prove le immagini di
videosorveglianza, è emessa una sentenza più
severa.
Per quel che concerne la garanzia, ancora una volta, i
risultati non sono chiari. L’uso della videosorveglianza è talmente onnipresente che spesso è
ignorato. Allo stesso tempo, ci si potrebbe interrogare sulla tendenza all’aumento della paura nelle
zone non coperte da telecamere. Il bisogno umano di
sicurezza è il motivo trainante che porta a richiedere
sempre maggiori garanzie, che si tratti di un poliziotto ad ogni angolo di strada o di una telecamera
su ogni lampione!
Concludendo, possiamo affermare che la videosorveglianza rappresenta uno strumento di grande valore,
in quanto parte integrante della cassetta degli
attrezzi della sicurezza a servizio della comunità, ma
non rappresenta una risposta in sé. Essa deve iscriversi nel quadro di in una risposta strategica programmata, coerente e ben elaborata. La sua efficacia
deve essere stabilita sulla base degli obiettivi sottostanti la sua attuazione, caso per caso. Gli obiettivi
varieranno a seconda dell’insieme di crimini e delitti
e dei luoghi fisici e, dunque, le prove di successo varieranno di conseguenza.
Andrew Bayes
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LIONE
NUMERO DI ABITANTI:
472 000
NUMERO DI TELECAMERE:
219
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
Il Comitato Etico della
videosorveglianza a Lione
Dal momento in cui la città di Lione si è
orientata a favore della realizzazione di un
sistema di videosorveglianza, è stato
deciso di costituire una commissione extra-municipale, con funzioni di Comitato Etico. Il Presidente
naturale di questa commissione, il sindaco di Lione
ha delegato questo compito ad una persona indipendente, Jean-Pierre Hoss, Consigliere di Stato, che ha
così assolto il primo mandato del Comitato. Per il
secondo mandato è stato nominato Daniel Chabanol,
Consigliere di Stato, ex Presidente della Corte d’Appello Amministrativa di Lione.
➤
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Focus sulle città
La composizione del Comitato riflette la volontà di
rispondere a diverse esigenze: oltre agli amministratori locali appartenenti alle diverse aree politiche
(compresa l’opposizione), fanno parte del Comitato
alcuni membri della cosiddetta società civile, ossia
dei rappresentanti di associazioni, come la lega dei
diritti umani, o altre personalità qualificate fra cui
possiamo annoverare un membro onorario dell’
ordine degli avvocati e un rettore onorario dell’accademia di Lione.
La mission ufficiale del Comitato ruota intorno a tre
assi principali:
➤ Redigere e tenere aggiornato un dossier sulla
videosorveglianza, lavoro compiuto sotto la presidenza di M. Hoss, ma che dovrà essere aggiornato
per tener conto degli sviluppi legislativi sulla questione. L’oggetto di questo capitolato (sottoposto alla
decisione dei politici locali consiste, nel pieno
rispetto delle prescrizioni di legge, nel definire le
modalità complementari di acquisizione e utilizzo
delle immagini proprie ad aumentare le garanzie
degli utenti dello spazio pubblico. Il dibattito attualmente in corso (oltre all’attuazione delle nuove
norme legislative) è incentrato sul diritto di accesso
alle immagini e l’utilizzo che se ne può fare: le persone filmate possono ottenere il diritto di accesso
alle immagini che le riguardano, secondo quali
modalità / quali autorità possono guardare gli
schermi « in tempo reale » e a quali fini / chi può
accedere alle registrazioni e a quali condizioni?
➤ Ricevere dei reclami da parte di persone filmate,
fornire pareri sul follow-up di questi reclami e elaborare una proposta a tal fine. Bisogna però ovviamente osservare che tale attività è molto marginale,
in quanto rarissimi sono i casi di reclami: per definizione, le persone che sarebbero filmate in circos202
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Lione, Francia
tanze discutibili (ad esempio, in uno spazio privato,
in caso di deregolamentazione dei meccanismi che
si oppongono a tale pratica) o casi in cui le immagini
sarebbero conservate oltre i tempi legali stabiliti o
ancora nel caso in cui sarebbero viste da persone
non abilitate inconsapevoli della mancanza commessa e dunque non hanno l’occasione di sporgere
reclamo …
➤ Costituire una banca dati sulle pratiche in materia
di videosorveglianza, osservata sia in Francia sia in
altri paesi d’Europa. L’obiettivo in questo caso è duplice. Da una parte, questi dati dovrebbero permettere di rispondere in maniera quanto più scientifica
possibile alla questione dell’utilità della videosorveglianza. Bisogna segnalare che la città di Lione ha
avviato, sotto lo sguardo attento del Comitato Etico,
uno studio universitario dedicato alla questione: un
laureando per la sua tesi di laurea ha condotto una
ricerca in ambito strettamente universitario (Università di Lione-II e di Ginevra), con il sostegno
finanziario da parte del Comune, nel pieno rispetto
di tutte le garanzie del caso affinché tale ricerca
fosse condotta nella più totale indipendenza
universitaria.
D’altra parte, i contatti stabiliti in occasione della
ricerca dovrebbero condurre infine alla realizzazione
di una rete di comuni, con l’idea di realizzare uno
spin-off dell’istituzione universitaria di Lione.
➤ Nell’esercizio delle proprie competenze, è impor-
tante notare che nell’ambito del Comitato,
gli scambi che animano le riunioni hanno come effetto quello di condurre a una riflessione pacata
e serena su un argomento sensibile, sdrammatizzando e apportando concretezza a un dibattito
spesso fantasioso. Ciò non vuol dire che si tratti di
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Focus sulle città
un «consenso debole» che sostituisce un dibattito
necessario su un tema sociale così essenziale, il che
non sarebbe auspicabile. Le forze di opposizione al
progetto sono presenti e vigili e la dialettica fra gli
entusiasti e i detrattori è molto vivace e continua.
Ma ciò arricchisce la riflessione, più che i dati statistici e le posizioni rigide. Per concludere, è il contributo fondamentale apportato dall’esistenza del
Comitato.
Emmanuel Magne
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ROTTERDAM
NUMERO DI ABITANTI:
589 615
NUMERO DI TELECAMERE:
289
ENTE RESPONSABILE:
La polizia
La videosorveglianza a Rotterdam:
conservare un sistema efficace pur
rispondendo allo stesso tempo alle
aspettative
La partecipazione di Rotterdam al progetto
FESU sulla videosorveglianza è coerente
con l’obiettivo di migliorare il nostro
sistema di videosorveglianza. Quali sono le opzioni
che non sono ancora utilizzate? Qual è l’equilibrio
fra la tecnologia e la capacità degli individui di reagire agli eventi ? Come interpretare il concetto di
privacy nello spazio pubblico ?
➤
Il presente articolo esamina la nostra esperienza di
videosorveglianza a Rotterdam, le normative che
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Focus sulle città
sottendono tale sistema e i problemi particolari
su cui Rotterdam lavora.
Esperienze
Ogni città cerca di controllare i fenomeni della criminalità e del disturbo dell’ordine pubblico. Ogni città
è alla ricerca di metodi intelligenti ed efficaci per
aumentare la sicurezza. Ogni città può utilizzare
delle innovazioni tecnologiche. Rotterdam non fa eccezione. La videosorveglianza persegue l’obiettivo,
da una parte, di ridurre la criminalità e il disturbo
dell’ordine pubblico e, dall’altra, di aumentare il
senso di sicurezza della popolazione.
Le primissime telecamere furono installate a Rotterdam dieci anni fa. La ragione immediata fu il campionato di calcio europeo Euro 2000. Era importante
assicurare che tutto si svolgesse in maniera fluida e
senza problemi, il che presupponeva una visione
d’insieme precisa dell’atmosfera in cui si svolgeva il
campionato e dei vari avvenimenti man mano che si
verificavano. Furono dunque installate delle telecamere nel centro-città al fine di sorvegliare gli afflussi
in massa dei tifosi.
Lo stesso anno, furono installate delle telecamere a
Saftlevenkwartier, un quartiere vicino alla stazione
centrale. Nell’ambito di questo progetto, l’obiettivo
consisteva nel ridurre e prevenire i problemi di violenza e di disturbi della quiete pubblica nelle strade.
A partire dal 2000, il numero di telecamere negli
spazi pubblici è regolarmente aumentato fino a raggiungere un totale di 300 telecamere. Altre 1. 600
telecamere sono presenti in totale nella rete di trasporto pubblico (metro, tram, bus e stazioni). Queste
telecamere appartengono a delle compagnie private
di trasporto, che sono responsabili del controllo e
della sorveglianza. In caso d’incidente, possono trasmettere le immagini in diretta alla sala di
videosorveglianza.
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Rotterdam, Paesi Bassi
Ogni richiesta d’installazione di una telecamera di
sorveglianza deve essere accompagnata da un rapporto dettagliato che descrive il numero e il genere
d’incidenti che si verificano nella zone e che presenta
la situazione locale in materia di sicurezza. Qualsiasi
decisione d’installare una telecamera è minuziosamente esaminata. Non s’installa una telecamera a
caso, ma perché esiste la profonda convinzione che
si tratta di uno strumento necessario per migliorare
la sicurezza.
Le telecamere di sorveglianza non sono un rimedio
contro tutti i mali. Tuttavia, a Rotterdam, sono diventate uno strumento di base pour garantire la sicurezza e prevenire i reati contro la proprietà e le
violenze.
Nel caso di atti di violenza, ad esempio, è stato riscontrato che essi si verificano spesso «per un colpo
di testa» o sotto l’influenza di droghe o alcool. La
presenza delle telecamere non dissuaderà probabilmente i delinquenti, tuttavia potrà rivelarsi molto
utile: infatti, le immagini potranno servire a fornire
delle prove da portare dinanzi ad un tribunale.
I reati contro la proprietà, come ad esempio i borseggi o i furti nelle automobili, sono di altra natura:
sono premeditati. Nel caso in cui siano state installate delle telecamere e la polizia agisca rapidamente
dopo che è stata commessa l’infrazione, il delinquente tenderà a non ricominciare nello stesso
quartiere. Ciò potrà, dunque, ridurre il numero
d’incidenti.
Condizioni
Dopo l’avvento della videosorveglianza, una stessa
domanda si ripresenta regolarmente: come utilizzarla in maniera etica e democratica? Più grande sarà
il numero di telecamere, più sarà importante gestire
correttamente questi aspetti.
Ai sensi della legge olandese, sono i consigli munici-
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Focus sulle città
pali che autorizzano l’installazione di telecamere di
sorveglianza. Se il consiglio decide favorevolmente,
potrà conferire al sindaco l’autorità di designare le
ubicazioni in cui si procederà all’installazione di
telecamere. Le decisioni del sindaco saranno rese
pubbliche e aperte alle obiezioni degli abitanti del
quartiere. Una volta che le telecamere cominceranno
a registrare delle immagini, queste saranno soggette
alla legge sui dati della polizia, che limita rigorosamente l’uso e lo scambio di queste immagini (con
riferimento al caso di Rotterdam).
Dopo l’avvio del progetto, la videosorveglianza a
Rotterdam si è ispirata a tutta una serie di principi:
tutte le telecamere sono sorvegliate 24 ore su 24,
sette giorni la settimana. Le immagini sono sempre
registrate. Gli abitanti del quartiere possono essere
tranquilli che tutti gli incidenti saranno rilevati. Una
volta osservati, gli incidenti dovranno essere poi
seguiti. La presenza di telecamere significa, dunque,
un’intensificazione considerevole della sorveglianza
in un quartiere. Non soltanto perché la zona è sotto
osservazione, ma anche perché ogni incidente esige
una risposta da parte della polizia o degli altri organismi di controllo.
Alcuni punti da segnalare
Numerosi partiti politici si sono impegnati per rendere Rotterdam una città più sicura. I nostri cittadini
esigono che l’amministrazione locale garantisca una
città pulita, corretta e sicura. Vedono i problemi nelle
strade, sotto i loro occhi, nel quartiere dove abitano.
E’ dunque fondamentale che i consigli locali rispondano alle attese dei cittadini. Le telecamere di sorveglianza sono uno strumento indispensabile per
assolvere a tale compito.
L’investimento realizzato da Rotterdam è importante. La videosorveglianza è una tecnologia onerosa
e bisogna allo stesso tempo prevedere il finanzia-
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Rotterdam, Paesi Bassi
mento della manutenzione delle apparecchiature e il
costo del personale, ossia delle squadre di operatori
e del personale incaricato degli interventi da attivare.
A Rotterdam, il numero d’immagini che un individuo
può sorvegliare simultaneamente è limitato. Il che
significa che ogni volta che s’installa una nuova telecamera nella zona, bisogna assumere ulteriore
personale. Questo è un punto problematico da discutere ogni volta che è effettuata una richiesta d’installazione di una nuova telecamera.
Tuttavia, il valore della sorveglianza, è ugualmente
importante. Taluni incidenti, che sarebbero altrimenti passati inosservati oppure per i quali l’onere
della prova sarebbe complesso, sono ora oggetto
d’inchieste. Nel 2009, il dipartimento addetto alle
telecamere di sorveglianza ha registrato 23.700
incidenti, ossia 65 al giorno. Dobbiamo dunque
continuare a svolgere un’analisi costi-benefici.
L’atteggiamento degli abitanti del quartiere è cambiato nel corso degli ultimi dieci anni. Dieci anni fa,
le prime telecamere erano state accolte con una certa
diffidenza. La gente nutriva dei dubbi riguardo la loro
efficacia. Inoltre, non avevano una grande fiducia
nella professionalità degli utenti e temevano le ingerenze nella privacy.
Oggi, dieci anni più tardi, l’atteggiamento si è
evoluto in maniera significativa. Infatti, gli abitanti
del quartiere si sono affezionati alle « loro » telecamere. Inoltre, la gente richiede delle telecamere di
sorveglianza nel loro quartiere. Un’inchiesta annua
ha inoltre evidenziato un livello molto elevato di
fiducia verso il sistema di videosorveglianza, che gli
abitanti del quartiere considerano come uno
strumento efficace.
In conclusione
Le telecamere sono diventate una caratteristica
familiare dei luoghi pubblici. A Rotterdam, devono
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Focus sulle città
provare il loro valore in occasione di avvenimenti di
una certa gravità. Abbiamo cominciato a utilizzare i
sistemi di videosorveglianza in occasione di Euro
2000. Recentemente, si sono rilevati in tutta la loro
importanza in occasione di gravi sommosse. Infatti,
grazie alle immagini delle telecamere, siamo stati in
grado di riconoscere numerosi responsabili dei
disordini.
La nostra esperienza della videosorveglianza è
dunque stata positiva. Il quadro legale si è sviluppato
per rispondere ai problemi legati al diritto civile e alle
aspettative dell’opinione pubblica in materia di sicurezza. Abbiamo attivato un’organizzazione e una
struttura di gestione solide. Le procedure operative
sono chiare. Dobbiamo perseguire i nostri sforzi per
mantenere tale sistema anche negli anni a venire.
Tuttavia, appare chiaro che la nostra mission è destinata a cambiare, nel momento in cui emergono delle
nuove questioni ed aspettative nell’opinione
pubblica. Dobbiamo essere in grado di rispondere a
queste nuove esigenze. Allo stesso tempo, la crisi
economica comporta importanti tagli di bilancio. Il
nostro obiettivo consiste nel controllare i costi della
videosorveglianza pur mantenendo il nostro budget.
Una sfida ambiziosa che richiede una profonda
riflessione.
Afke Besselink, Niels Wittersholt
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SAINT-HERBLAIN
NUMERO DI ABITANTI:
43 516
NUMERO DI TELECAMERE:
18
ENTE RESPONSABILE:
Il comune
Saint-Herblain è una città francese di
45.000 abitanti ubicata nella prima corona
dell’agglomerato di Nantes (500.000 abitanti). È la seconda città dell’agglomerato di Nantes e
la terza del dipartimento della Loira Atlantica.
➤
Il progetto d’installazione d’un sistema di videosorveglianza è stato sostenuto dal senatore-sindaco e dagli
amministratori locali agli inizi del mandato 19962002. Le prime telecamere sono state installate
partire dalla 1999. Attualmente, la città dispone di un
sistema composto da 18 telecamere. Nel 2000 ha istituito il proprio Centro di supervisione urbana (CSU)
su autorizzazione mediante decreto prefettizio. Tale
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Focus sulle città
Centro era nato inizialmente con la vocazione di
gestire unicamente il sistema di videosorveglianza.
Attualmente, permette di gestire simultaneamente la
videosorveglianza urbana oltre al dispositivo di telesorveglianza e tende a diventare sempre di più uno
strumento globale di gestione urbana.
Nel 1997, fu realizzato un audit di sicurezza da parte
di una società esterna. Allo stesso tempo, la Commissione di sicurezza del Consiglio comunale per la
prevenzione della delinquenza (CCPD) fu incaricato di
condurre un’indagine sulle questioni della sicurezza
nell’ambito della città di Saint-Herblain. Nel 1998,
tale Commissione presentò il suo rapporto alla senatore-sindaco, che decise dunque la creazione di più
gruppi di lavoro sulle tematiche legate alla sicurezza.
Nel 1999, la sintesi dei gruppi di lavoro fu presentata
al Consiglio municipale. Parallelamente a questo lavoro svolto nell’ambito della CCPD, fu somministrato
un questionario relativo alla sicurezza a un campione
di cittadini di Saint-Herblain, che rivelò che la sicurezza era la preoccupazione numero uno.
Forte di tali elementi di diagnosi, il sindaco diede vita
a un dibattito nell’ambito del Consiglio municipale
sull’applicazione delle proposte del CCPD, fra cui
quella dell’installazione del sistema di videosorveglianza. Nel giugno 1999, il Consiglio municipale
votò a favore dell’installazione d’un sistema di videosorveglianza nell’ambito comunale e della creazione
d’un Comitato Etico per accompagnare la realizzazione di tale progetto.
La città di Saint-Herblain si è proposta di raggiungere
tre grandi obiettivi mediante il dispositivo della
videosorveglianza:
➤ Mettere in sicurezza i luoghi in cui i flussi di beni e
persone sono particolarmente intensi, allo scopo di
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St Herblain, Francia
ridurre il numero di reati commessi nei luoghi
pubblici;
➤ Completare mediante dei mezzi tecnologici il dispositivo esistente di prevenzione della delinquenza
(polizia municipale, interventi di prevenzione in
ambito scolastico);
➤ Rassicurare gli abitanti e fornire ai servizi di polizia
nazionale degli elementi che permettano di far luce
sui reati commessi, con il duplice obiettivo di: sostenere la polizia nazionale nell’aumentare il tasso di
risoluzione dei casi, per ora molto ridotto, per rendere
gli spazi pubblici a vocazione commerciale, industriale o sociale più sicuri.
Il sistema di videosorveglianza è stato attuato per migliorare la sicurezza di tutti gli abitanti di Saint-Herblain. È stato ideato come uno strumento supplementare integrato alla politica locale di sicurezza e di
prevenzione della delinquenza. In questo senso, il
Centro di supervisione urbana della città gestisce il
sistema di videosorveglianza e di telesorveglianza, che
assicura una maggiore reattività des servizi municipali (polizia municipale, servizi tecnici, ecc. ) e della
polizia nazionale o della gendarmerie. Si tratta dunque
di un vero è proprio strumento di gestione della città.
La politica municipale in materia di prevenzione e di
sicurezza risale a oltre vent’anni fa. S’iscrive in un
quadro di preoccupazione permanente di prevenzione
della delinquenza sul nascere e dei comportamenti a
rischio, considerando che tale tappa è fondamentale
prima di ogni intenzione repressiva. È mediante tali diversi strumenti che tali azioni di prevenzione nell’ambito degli istituti scolastici, la prevenzione situazionale,
gli interventi della polizia municipale o la realizzazione
di atti normativi comunali relativi alla gestione del
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Focus sulle città
spazio pubblico, possono tradursi in una vera e propria
volontà politica di prevenzione.
L’insieme degli interventi di prevenzione è organizzato
a livello politico dall’assessore comunale incaricato
della prevenzione e della sicurezza pubblica e a livello
amministrativo dalla Direzione per la prevenzione e
l’ordine pubblico, composta da 40 agenti.
In tale contesto, la videosorveglianza urbana costituisce uno degli elementi della politica globale di
prevenzione e di sicurezza. Lo strumento della videosorveglianza è stato creato nel massimo rispetto delle
normative relative alle libertà individuali e, in particolare, per quel che riguarda l’uso e la conservazione delle
immagini. Il Comune di Saint-Herblain desidera perseguire tale obiettivo in completa trasparenza nei
confronti della popolazione. A tale scopo, sono state
organizzate numerose presentazioni e visite per permettere ai cittadini di prendere visione e consapevolezza delle garanzie messe in atto per preservare la
privacy.
Il sistema installato è composto da 18 telecamere. Il
CSU è composto da 14 agenti e da un responsabile
della gestione del sistema di videosorveglianza. Il
sistema è dotato di un dispositivo digitale che permette
di rispettare l’interdizione di visualizzare l’ambito
privato o di discernere i tratti del viso di un individuo.
In conformità alla regolamentazione in vigore, sono
installati dei pannelli di segnalazione nei diversi punti
di accesso stradali della città per informare i cittadini
della presenza di telecamere.
Le immagini di videosorveglianza della città sono poi
trasmesse in tempo reale al Centro di informazione e
commando della polizia nazionale.
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St Herblain, Francia
Le immagini possono essere consultate soltanto su
autorizzazione dei servizi della polizia nazionale, nel
quadro di denunce presentate dai cittadini o di richieste
specifiche dei servizi di sicurezza di Stato.
Il sistema di videosorveglianza ha avuto delle ricadute
positive sui luoghi sorvegliati e sulla riduzione della
criminalità. Inoltre, non è stato constatato nessun
effetto di migrazione della criminalità.
L’attività del CSU (videosorveglianza e telesorveglianza)
è finanziata mediante stanziamenti nell’ambito del
bilancio annuale. D’altra parte, gli operatori ricevono
una formazione speciale, fornita da un ente esterno,
che verte sugli aspetti deontologici, ambientali, del partenariato e delle responsabilità nel campo della
sicurezza.
Dominique Talledec
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Focus sulle città
SUSSEX
NUMERO DI ABITANTI:
1 392 737
NUMERO DI TELECAMERE:
396
ENTE RESPONSABILE:
La polizia nazionale
e le autorità locali
La nascita dei Sistemi di videosorveglianza in Sussex
L’uso dei sistemi di videosorveglianza
negli spazi pubblici nella Contea del
Sussex risale al 1993, quando fu installata
la prima serie di 15 telecamere nelle strade di Brighton, in seguito a una decisione della Polizia del
Sussex e degli enti locali, che prevedeva l’installazione di telecamere ai fini della prevenzione, riduzione e identificazione della criminalità. Questa
prima fase d’installazione è stata poi seguita da
successivi programmi di ampliamento sia a Brighton
sia in altre città, grandi e piccole, finanziate da
sovvenzioni locali e nazionali. Sin dagli inizi, la
➤
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Sussex, Regno Unito
videosorveglianza in Sussex è stata sviluppata grazie
a una stretta collaborazione fra le forze di polizia e
gli enti locali, mediante la realizzazione di sale di
controllo istituite presso le stazioni di polizia di Brighton, Haywards Heath, Bognor e Eastbourne, e di
cinque strutture di monitoraggio presso gli enti
locali. Allo stesso tempo, è stato adottato il principio
della condivisione dei costi.
Le iniziative del governo centrale a favore dell’ampliamento della videosorveglianza sono proseguite
nella 1994 nell’ambito di una serie di bandi pubblici
sulla videosorveglianza (CCTV Challenge Competition) ed il Programma di Riduzione della Criminalità
1999-2003. Tale processo ha dato un ulteriore
impulso legislativo attraverso la legge sulla prevenzione della criminalità e del disturbo dell’ordine
pubblico del 1998 (Crime and Disorder Act), che
obbligava gli enti pubblici a collaborare per affrontare insieme le problematiche della criminalità e dei
comportamenti antisociali. Conseguentemente,
entro il 2006, erano circa 30 le città e le cittadine in
tutta la Contea del Sussex ad essere dotati di telecamere per la videosorveglianza, con il coinvolgimento
di 17 enti locali e 1 associazione di proprietari
immobiliari.
Fu così creato il Partenariato per la videosorveglianza
del Sussex (Sussex CCTV Partnership). Tale Partenariato è attualmente definito da singoli contratti legali
fra la Polizia del Sussex e ogni singolo ente locale,
che ne definisce i protocolli operativi, i ruoli, le
responsabilità e gli accordi finanziari.
La videosorveglianza nel Sussex oggi
Attualmente sono installate circa 400 telecamere in
tutta la contea. Si tratta di un mix di telecamere analogiche del tipo “Pan-Tilt-Zoom” e “a Cupola” (“Dome”),
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Focus sulle città
collegate alle sale di monitoraggio, attraverso una rete
di fibre ottiche di trasmissione. La piattaforma di
controllo, monitoraggio e registrazione rappresenta un
nuovo sistema digitale di recente installazione denominato “i-Witness” – progettato da Teleste e installato
da BT Redcare. Tale piattaforma permette la registrazione standard in “background” di 2 fotogrammi al
secondo, nonché di 25 fotogrammi al secondo in
“tempo reale” delle sequenze selezionate del filmato.
Inoltre, sono stati posizionati dei terminali “client” in
tutti i principali commissariati di polizia e centri di detenzione, che permettono l’accesso immediato alle
immagini video agli agenti locali a scopi investigativi.
Tale sistema totalmente collegato in rete permette il
controllo “in diretta” delle immagini trasmesse dalle
telecamere da ognuna delle sale di monitoraggio
dislocate attraverso la contea, così come l’accesso
immediato alle registrazioni in archivio mediante
uno dei dei diversi terminali “client”.
Vantaggi
Un sistema totalmente collegato in rete offre tutta
una serie di vantaggi operativi.
1. Continuità del servizio – il sistema è intrinsecamente robusto. Le Telecamere possono essere gestite da uno qualsiasi dei numerosi “punti di accesso”
del sistema, assicurando in tal modo una continuità
di servizio al pubblico.
2. Risparmio di tempo per gli agenti – gli investigatori
che operano presso i commissariati locali possono
usufruire di un accesso più facile e veloce alle riprese
video di cui hanno bisogno per le loro indagini. Ciò ha
infatti ridotto sprechi di tempo nell’effettuare viaggi
attraverso la contea per recuperare, su appuntamento,
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Sussex, Regno Unito
le necessarie immagini. Il risultato netto è un guadagno in termini di tempo per gli agenti da dedicare
alle loro attività di sorveglianza e pattugliamento e per
far sentire la loro presenza nella comunità.
3. Vantaggi ambientali – la riduzione del numero di
spostamenti in auto ha permesso la riduzione delle
emissioni di CO2 e il risparmio sui costi di carburante.
4. Accelerazione delle procedure giudiziarie – i sospetti
arrestati sono ora messi di fronte a delle prove video
inconfutabili sin dalle fasi preliminari delle indagini,
riducendo così il numero dei casi di rilasci su cauzione,
accelerando le pratiche di accertamento dei fatti e di
dichiarazione di colpevolezza ed infine offrendo un servizio migliore alle vittime della criminalità.
5. Sicurezza delle immagini – l’accesso è protetto da
password e totalmente sottoposto a verifica attraverso
un’analisi dei log di sistema che assicura un migliore
controllo dei dati sensibili.
Diritti individuali, privacy e uso della videosorveglianza in Sussex
L’utilisation proprement dite de la vidéosurveillance
L’uso appropriato della videosorveglianza nel Regno
Unito è regolamentato da 3 principali misure legislative oltre alle linee guida messe a punto dal “garante”
dell’informazione britannico (Information Commissioners Office). La Legge sulla Protezione dei Dati
(Data Protection Act) del 1998 istituisce 8 principi
per la protezione dei dati, che riguarda il trattamento
equo, l’adeguato controllo dei dati, l’esattezza di
tutti i dati presi in considerazione, della proporzionalità nei tempi di conservazione di tali dati. La legge
sui diritti umani (Human Rights Act) del 1998
recepisce nella legislazione britannica i principi fondamentali sanciti dalla Convenzione Europea sui
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Focus sulle città
Diritti Umani – il diritto alla privacy, così come
contemplato dall’articolo 8, assume una particolare
rilevanza per quel che concerne il tema della videosorveglianza. La disciplina britannica sui poteri
investigativi (Regulation of Investigatory Powers Act)
2000 stabilisce delle rigide regole per l’uso di telecamere nascoste, che prevedono dei livelli di autorizzazione molto severi.
Nel Sussex, tutti gli operatori sono formati secondo
gli standard della Security Industry Authority. Tale
formazione riguarda la legislazione esistente e le
responsabilità dell’operatore nell’utilizzo delle telecamere, nonché il rispetto dell’uguaglianza della diversità. Inoltre, un codice deontologico sulla videosorveglianza stabilisce le migliori prassi da adottare
riguardanti l’uso etico ed operativo della videosorveglianza. Tale codice deontologico è stato condiviso e
concordato fra i vari partner e, in conformità ai
protocolli sottoscritti dalle forze di polizia e dagli enti
locali, assicura il rispetto dei principi di coerenza e
compatibilità.
Allo stesso tempo, è garantita l’assicurazione qualità
di qualsiasi utilizzo di terminali “client” ubicati
localmente, mediante un programma di formazione
sull’uso e il trattamento adeguato di materiale video
sensibile. L’utilizzo di password individuali di
accesso al sistema ne garantisce l’uso adeguato.
La fiducia del pubblico e la credibilità della
polizia nell’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza in Sussex
La responsabilità dell’operato della polizia nei
confronti dei cittadini del Sussex è assicurata attraverso processi paralleli di incontri di gestione
adeguatamente verificati con tutti gli attori coinvolti
nella pratica della videosorveglianza e attraverso un
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Sussex, Regno Unito
processo assolutamente innovativo di monitoraggio
indipendente.
Gestione del Sussex CCTV Partnership
Il Partenariato per la Videosorveglianza del Sussex
(Sussex CCTV Partnership) ha adottato un approccio
congiunto alla gestione e al funzionamento delle
telecamere installate nello spazio pubblico. Le telecamere di competenza degli enti locali sono gestite
da personale congiunto di polizia presso i commissariati di polizia e dipendenti pubblici presso le sale
di monitoraggio degli enti locali e i costi di manutenzione del sistema sono anch’essi condivisi.
Sono organizzati degli incontri trimestrali tra le forze
di polizia e gli enti locali addetti alla videosorveglianza per affrontare le tematiche relative alle prestazioni del sistema, gli sviluppi tecnici, le questioni
finanziarie e qualsiasi altra problematica che si presenta. In tal modo, si tiene conto dell’utilizzo da
parte degli agenti di polizia delle telecamere di proprietà degli enti locali.
Attualmente stiamo mettendo a punto un processo
concordato per attivare l’installazione di nuove telecamere, per assicurare un approccio coerente nella
Contea del Sussex.
Monitoraggio Indipendente
In Sussex vi è la consapevolezza che è essenziale ottenere la fiducia dell’opinione pubblica nell’utilizzo
della videosorveglianza. È stato adottato attualmente
un processo indipendente di monitoraggio e verifica
dell’utilizzo delle telecamere da parte degli agenti di
polizia. La Polizia del Sussex ha assunto 12 nuovi
membri in rappresentanza della comunità per effettuare dei controlli “spot” sulle attività di monitoraggio della polizia al fine di assicurare che si
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Focus sulle città
svolgano nel totale rispetto della legislazione e del
codice deontologico. Tali controlli possono avvenire
a qualsiasi ora del giorno della notte, senza nessun
preavviso. Qualsiasi problematica che può essere
sollevata, o eventuali preoccupazioni che sono messe
in luce, sono inoltrate all’autorità di Polizia e di
gestione della videosorveglianza (“Police Authority
and the CCTV Management”). Inoltre, l’organizzazione di incontri e la pubblicazione di rapporti annui
sull’operato della polizia accessibili al pubblico
rendono il processo trasparente.
È recentemente stata presentata una proposta per
estendere tale sistema alle sale operative degli enti
locali.
La collaborazione con gli altri partner europei
nell’ambito del progetto FESU ha confermato la validità e l’adeguatezza di questo approccio da noi adottato in Sussex e riteniamo che tale processo sia un
elemento essenziale di una qualsiasi futura Carta
sull’utilizzo della videosorveglianza.
La strategia nazionale sulla videosorveglianza
in Sussex
per la prima volta nell’ottobre 2007 e presenta i risultati di un’approfondita indagine sulla videosorveglianza in Inghilterra e in Galles. Inizialmente intrapresa da un gruppo di lavoro congiunto fra l’ACPO e il
Ministero degli Interni (Home Office), tale Strategia è
adesso sostenuta da un comitato interistituzionale
preposto a tale programma, con rappresentanti di
numerosi stakeholder.
Tale Strategia intende sostenere e mettere a punto
delle raccomandazioni che permetteranno di ottenere:
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Sussex, Regno Unito
1. una videosorveglianza efficace e ben gestita che
tenga conto del ruolo svolto dal settore della videosorveglianza e delle opinioni espresse dalla pubblico
2. buone prassi di partenariato fra enti locali, operatori della videosorveglianza, forze di polizia e servizi
di emergenza - offrendo una migliore protezione ai
cittadini sia in termini di deterrenza e investigazione
del crimine
3. migliori standard nel funzionamento dei sistemi di
videosorveglianza, gestione e visualizzazione delle
immagini.
La Sussex CCTV Partnership, attraverso la strategia
ivi descritta, intende adottare e attuare ognuno di
questi elementi chiave allo scopo di assicurare la
totale conformità alle migliori prassi attuate a livello
nazionale.
Christopher Ambler, Roger Fox
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Focus sulle città
VENETO
NUMERO DI ABITANTI:
4 912 438
NUMERO DI TELECAMERE:
1973
ENTE RESPONSABILE:
Le autorità locali
La regione Veneto è situata al nord-est dell’Italia e
conta circa 5 milioni di abitanti, di cui il 7 % d’immigrati, e si estende su una superficie di 18.400 km2.
Rappresenta uno dei principali poli economici e
industriali e figura fra le prime 30 regioni europee. È
inoltre la regione italiana che accoglie il maggior
numero di turisti, con un totale di 60 milioni di visitatori l’anno. È suddivisa in sette province e comprende
581 comuni, di cui l’80% conta meno di 5.000
abitanti.
Nel corso degli ultimi anni, in base ai dati generali riguardanti i fenomeni di criminalità nella regione, si è
potuto constare una netta tendenza al ribasso, talvolta
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Veneto, Italia
accompagnata da un sentimento crescente d’insicurezza, che ha spinto numerosi enti locali a mettere a
punto o a elaborare delle politiche di sicurezza
urbana. A partire dal 2002, l’amministrazione regionale ha adottato un testo di legge (Legge 9/2002) che
mira a promuovere un piano d’azione per garantire la
sicurezza urbana. La regione intende creare un
“sistema”, destinato a gestire in maniera coordinata i
complessi problemi che si pongono sul suo territorio,
nel quadro di una collaborazione fra diversi livelli di
governo (Stato, regione, province e comuni) e le forze
di polizia (nazionale e locali).
I comuni e le province sono così state invitate a elaborare dei progetti integrati di sicurezza urbana, che
sono in seguito stati esaminati e finanziati dalla
regione. Nel corso degli ultimi cinque anni (20052009), sono stati approvati e finanziati 278 progetti
che sono ora in corso di attuazione. In base ai dati amministrativi, 131 comportano l’attuazione di sistemi
di videosorveglianza (ossia quasi un progetto su due).
Nel 2007, l’Osservatorio regionale della sicurezza (la
cui creazione è stata prevista dalla legge regionale di
cui sopra) ha realizzato la sua prima inchiesta, allo
scopo di verificare il numero di dispositivi di videosorveglianza installati e di valutarne l’utilizzo. Sull’insieme dei 581 comuni, 215 hanno risposto al questionario e i risultati ottenuti hanno permesso di
constatare che la presa in carico del finanziamento da
parte della regione è stata una delle principali ragioni
che hanno incoraggiato la creazione e l’installazione
di tali dispositivi. D’altra parte, l’inchiesta ha messo
in luce una tendenza all’aumento della domanda di
videosorveglianza.
Per quanto riguarda la scelta dei dispositivi, in oltre il
70 % dei casi, si tratta di sistemi digitali dotati di più
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Focus sulle città
di tre telecamere. I luoghi più frequentemente scelti
per l’installazione delle telecamere sono i parcheggi
pubblici, gli incroci, i parchi pubblici e gli istituti scolastici. In circa il 60 % dei casi, si assiste a una riduzione dei fenomeni di piccola criminalità e di disturbi
della quiete pubblica, in base alle stime dei comandanti delle stazioni della polizia locale che hanno
risposto al questionario. Bisogna, tuttavia, sottolineare che nel 21 % dei casi, si è potuto osservare che i
comportamenti illeciti osservati si sono spostati verso
altre zone non videosorvegliate.
Un altro progetto specifico riguarda l’installazione di
telecamere nei mezzi di trasporto pubblico dei capoluoghi di provincia della regione Veneto. Infatti, il sistema dei trasporti pubblici urbani sembra essere esposto a molteplici fattori di rischio, quali gli atti di
vandalismo, di violenza e di piccola criminalità, ma
può ugualmente diventare il bersaglio di attentati terroristici (come dimostrato dalle tragiche esperienze di
Londra e Madrid). E’ per questa ragione che sono stati
installati dei sistemi di videosorveglianza nella rete
dei trasporti urbani, oltre che alle fermate degli
autobus. Nella città di Venezia, è stata prestata una
particolare attenzione agli imbarcadero dei vaporetti.
La regione ha dunque svolto un ruolo chiave nello stimolo e nel coordinamento delle installazioni messe in
atto e gestite dai diversi enti locali o da parte delle
province. Ciò ha notevolmente contribuito a sviluppare l’utilizzo e la diffusione della videosorveglianza
nella zona a forte concentrazione urbana. Nell’insieme, il bilancio sembra piuttosto positivo, come
mostrato dall’aumento esponenziale del numero dei
sistemi messi in funzione.
Sulla base delle attività e delle esperienze realizzate
nel quadro del progetto europeo sulla sicurezza
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Veneto, Italia
urbana, è ora importante interrogarsi sul ruolo che
può
essere svolto dalle amministrazioni regionali nella
gestione delle politiche di sicurezza urbana, in particolare in materia di videosorveglianza.
L’approccio adottato dalla regione Veneto è stato
successivamente seguito da altre regioni italiane. Due
elementi chiave della sua politica consistono, da una
parte nella concessione di sussidi economici al fine di
stimolare gli investimenti degli enti locali e, d’altra
parte, nella proposta di strumenti d’analisi finalizzati
a individuare, nell’ambito di un progetto locale, i
mezzi più idonei da mettere in atto per affrontare il
tema della sicurezza urbana. Resta inteso che è preferibile di trattare e risolvere i problemi alla scala più
vicina alla popolazione, ossia a livello locale.
E’ tuttavia possibile prevedere una seconda fase, che
deve ancora essere messa a punto, durante la quale
prevedere un ruolo di coordinamento più stretto della
regione con i comuni, allo scopo di garantire una
maggiore omogeneità e una migliore sinergia nell’attuazione della loro politica di sicurezza, per evitare
così il rischio d’isolamento. D’altra parte, si potrebbe
allo stesso tempo incoraggiare l’utilizzo di strumenti
complementari su scala regionale per favorire la partecipazione e il controllo. Ciò per il momento non ha
suscitato molto interesse fra i comuni, che si sono
limitati finora a vigilare sull’applicazione rigida e
burocratica delle norme previste dal Garante nazionale responsabile della protezione della privacy.
In altri termini, bisognerebbe sviluppare un coordinamento fra gli enti locali dal punto di vista delle tecnologie utilizzate, al fine di permettere una maggiore
efficacia dei mezzi di videosorveglianza utilizzati e alo
stesso tempo di ottenere degli interventi immediati e
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Focus sulle città
delle azioni preventive (grazie all’utilizzo di altre
banche dati disponibili e a una migliore organizzazione del servizio). Infatti, tali sistemi sono utilizzati
per ora solo come un supporto tecnico di appoggio
alle indagini di polizia.
Gli strumenti tecnologici devono tuttavia essere
sostenuti da una buona organizzazione dei servizi di
polizia. In questo senso, la regione Veneto sta realizzando un progetto di ripartizione territoriale
nell’organizzazione dei servizi della polizia locale
(“distrettualizzazione”), che permette di conglobare
più comuni in bacini di utenza di almeno 20.000 abitanti, corrispondenti quanto più possibile alla struttura dell’organizzazione della polizia di Stato. Questa
nuova ripartizione territoriale permette ai comuni più
piccoli di beneficiare di un servizio di polizia municipale più completo, in coordinamento con la polizia di
Stato, che garantisce così degli interventi più rapidi e
delle azioni preventive. E’ soltanto mediante delle
attività di prevenzione, infatti, che potrà essere ottimizzato l’impatto della videosorveglianza.
Parallelamente, bisogna aumentare il coinvolgimento
dei cittadini nella comunità e sensibilizzarli maggiormente all’utilizzo della videosorveglianza, che, pur
essendo abbastanza invasiva, è in generale ben accettata in Veneto. E’ necessario che i cittadini siano
convinti dei vantaggi della sorveglianza civica e della
cooperazione al fine di lottare contro i fenomeni diffusi di degrado e di disordine urbano. L’esistenza di
«reti sociali» civili è un elemento fondamentale della
vita in comune ed è anche un punto di riferimento per
le forze dell’ordine.
In questo campo, la regione può formulare degli
orientamenti normativi (elaborazione di leggi e di disposizioni normative adeguate) e agire sul piano finan-
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Veneto, Italia
ziario, orientando gli investimenti verso una migliore
integrazione delle tecnologie secondo degli standard
condivisi.
La regione intende inoltre sostenere le amministrazioni locali, fornendo loro delle linee guida e delle
direttive per aiutarle a mettere in atto dei sistemi di
sicurezza urbana che comprendono l’installazione di
sistemi di videosorveglianza secondo un approccio
coordinato, in collaborazione con i cittadini. Tale approccio può contribuire a far evolvere il concetto di
sicurezza e posizionare la videoprotezione come uno
degli strumenti disponibili insieme ad altri e facenti
parte di una politica globale.
Christopher Ambler, Roger Fox
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Conclusioni
Verso un utilizzo della
videosorveglianza rispettoso d
elle libertà individuali
Nel 2008, oltre il 50% della popolazione
mondiale viveva nelle città e siamo di
fronte a un fenomeno in continuo
aumento. Si assisterà in futuro a una maggiore
concentrazione nei contesti urbani, con conseguenti
incidenze anche sulla sicurezza. La videosorveglianza, pertanto, non rappresenta più soltanto uno
strumento tecnologico, ma illustra anche una forma
di collaborazione sociale tra varie istituzioni e
amministrazioni.
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Pone inoltre numerose sfide, che il presente
progetto ha voluto approfondire:
1. I rapporti tra la videosorveglianza, strumento
tecnologico, e il fattore umano che la controlla. Non
è la tecnologia in quanto tale a presentare dei rischi,
bensì l’utilizzo che ne viene fatto; il rischio che le sue
potenzialità siano sviate dal loro obiettivo deve
essere esaminato e correttamente inquadrato
nell’ambito delle riflessioni fin dall’installazione dei
sistemi, grazie a misure tecniche e a un impegno
politico.
2. Un sistema di videosorveglianza può essere progettato come un terminale intelligente, che consente
di recuperare delle immagini, ma può anche essere
visto e studiato come un mezzo per meglio strutturare le varie risorse della città. Può infatti agevolare il
lavoro degli agenti di polizia; ciò richiede però delle
risposte meno generiche e meglio adattate ai bisogni.
In tal caso, la questione della sicurezza potrà godere
di una migliore visibilità, basata su una informazione
più completa dei cittadini.
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3. Il numero ridotto di studi realizzati fino ad ora
sull’efficacia della videosorveglianza ha dimostrato
che i risultati ottenuti grazie a questa tecnologia
devono essere valutati tenendo conto del contesto
particolare nel quale si è ritenuto necessario installare le telecamere. Il che significa che occorre prendere in considerazione la natura e la dimensione del
territorio, la popolazione, ma anche i bisogni, che
devono essere individuati attraverso audit di sicurezza. Degli esperti e dei professionisti hanno riconosciuto in modo unanime che la videosorveglianza
non è la panacea che potrebbe risolvere ogni
problema di sicurezza in una città, ma che deve
essere vista come uno strumento, tra tanti altri,
nell’ambito di una politica globale di sicurezza. È
quindi necessario trovare il buon equilibrio tra l’utilizzo dei vari mezzi che i decisori politici hanno a loro
disposizione. È d’altronde essenziale non limitarsi
all’utilizzo di un unico strumento, poiché la vera efficacia di una politica di sicurezza dipende dalla complementarità degli strumenti attivati e dalla capacità
di fornire risposte coordinate e adattate a ogni
singola situazione.
4. La ricerca di efficacia si traduce ugualmente nella
possibilità di integrare diversi sistemi di videosorveglianza dello spazio pubblico. In alcune città, esistono in effetti più sistemi gestiti da vari soggetti. Tale
possibilità di integrazione dei sistemi, che presuppone una migliore condivisione delle informazioni,
non si limita al livello locale, ma comprende anche
quello regionale e metropolitano. Potrebbe assumere
la forma di patti «trasversali» tra i governi, le regioni
e i comuni, oppure anche, laddove la legislazione lo
consente, di partenariati pubblico-privato, in particolare quando occorre sorvegliare spazi semipubblici. È però necessario definire protocolli precisi e
stringenti per la condivisione delle informazioni, nel
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rispetto della tutela dei dati personali e della vita privata. Nel contempo, l’incrocio dei dati ottenuti con la
videosorveglianza con altri sistemi di informazione e
altri database, che sta diventando tecnologicamente
possibile, è un’arma a doppio taglio. Infatti, pur
considerando che accresce la capacità di sorveglianza
dei sistemi, non si deve dimenticare che il principio
di necessità impone una rigorosa giustificazione del
bisogno di accumulare e di mettere in rete un
numero così importante di informazioni riguardanti
i cittadini.
Infine, la questione trasversale esaminata in riferimento all’insieme di questi interrogativi è stata quella
di sapere quali sono i limiti da non superare per
garantire la sicurezza dei cittadini, senza interferire
con la loro vita privata. Esiste un diritto all’intimità
nello spazio pubblico? Fino a che punto? In quale
misura il diritto alla sicurezza può incidere su altri
diritti fondamentali, quali la libertà di espressione,
di associazione e di manifestazione?
Tali problematiche sono state affrontate, attraverso il
prisma degli abitanti delle città, nel corso di questi 18
mesi di cooperazione europea. I partner hanno posto
il cittadino al centro delle loro preoccupazioni. I cittadini hanno infatti il bisogno di sentirsi sicuri nel loro
ambiente di vita, ma non vogliono che venga rimesso
in discussione il loro diritto di tutelare la loro immagine. In quanto garanti del benessere dei cittadini, i
decisori politici hanno pertanto l’obbligo di tenere
conto di questa preoccupazione costante e di trovare
il giusto equilibrio tra questi vari aspetti. Da un paese
all’altro, ma anche da una città all’altra può variare il
modo di trovare il giusto equilibrio tra la domanda di
sicurezza e la rivendicazione del diritto all’anonimato. Il presente progetto, nell’esaminare le politiche
pubbliche rispetto alle percezioni dell’opinione
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pubblica, si è posto l’obiettivo di rafforzare il posto
assegnato al cittadino e alla sua informazione
nell’ambito dell’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza, nello sforzo costante di mantenere l’indispensabile trasparenza per un’applicazione democratica delle politiche pubbliche.
In quanto utenti dei servizi pubblici, i cittadini richiedono la videosorveglianza? Costituisce la risposta
adattata ai timori che esprimono? Rientra nei budget
disponibili? Quali sono le formazioni ipotizzabili e
quali sono i mezzi di controllo e di ricorso?
In che modo i cittadini esprimono la loro richiesta,
-oppure il loro rifiuto-, di videosorveglianza? In che
modo sono informati e associati alle varie tappe
dell’applicazione di una politica di videosorveglianza?
In che modo tali dispositivi incidono sulle percezioni
dei cittadini e sul comportamento delle vittime o degli
autori potenziali di reati?
Sono questi alcuni degli interrogativi che si sono
posti i partner, cercando di fornire delle risposte, sia
esponendo le loro prassi, sia sotto forma di raccomandazioni. Il risultato di queste domande e di
questa ricerca di soluzioni è stato l’elaborazione della
Carta per un utilizzo democratico della videosorveglianza, documento che attesta la volontà politica
delle città. Si tratta di città che si impegnano, nel loro
utilizzo della videosorveglianza, a rispettare i diritti
fondamentali dei cittadini, garantendo la piena trasparenza del processo decisionale.
Per concretizzare tale impostazione, i primi firmatari
della Carta, il sindaco di Rotterdam (Paesi Bassi), il
presidente del Forum europeo e sindaco di Matosinhos (Portogallo) e il presidente del Forum francese
e sindaco di Saint-Herblain (Francia) invitano gli altri
sindaci a impegnarsi in questo processo
volontaristico.
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Cittadini, città e videosorveglianza