CATALOGAZIONE COLLETTIVA: UNA BIBLIOGAFIA PREMESSA A cercare tra le pagine dei manuali di bibliografia una definizione del termine « catalogo collettivo » ci si imbatte di solito in poche righe che difficilmente illuminano: « i cataloghi collettivi o centrali hanno come fine quello di registrare i fondi di più biblioteche » (Totock)1 ; « un catalogo collettivo è un inventario dei libri comuni a più istituti » (Malclès)2 . Poche parole sono destinate alla loro funzione e in genere rinviano all’idea utopistica e forse ingenua di un catalogo unico sovranazionale. Nonostante le incertezze di definizione essi sono, tuttavia, registrati tra i principali generi bibliografici: sono indicati, cioè fra gli strumenti di chi fa ricerca. Di fatto il più delle volte essi sono ignorati e sembra, in effetti, giustificata la domanda che Serrai pone in un suo scritto sulla cumulazione dei cataloghi: « ...un catalogo collettivo di tante biblioteche, lontane le une dalle altre e difformi per natura e ambiti di interesse, dopo aver ingoiato con il suo allestimento una grande quantità di risorse finanziarie, che cosa ci dà? La ricerca bibliografica ha mezzi più economici, perché più astuti; non punta sullo schedario universale che sa essere mito di matrice ottocentesca; seleziona le richieste fondandole sugli interessi e non sulle 1 TOTOK, W.- WEITZEL, R., Manuale internazionale di bibliografia. Parte prima. Opere generali. Milano, Bibliografica, 1979, p. 41. 2 MALCLÈS, L. N., Manuel de bibliographie, 3 ed., Paris, Presses Universitaires de France, 1976, p. 69. 1 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ astrattezze; opera sugli schemi delle classificazioni tracciati dai problemi e dalle indagini stesse, e non sulle utopie... » 3 . I grandi cataloghi collettivi, quelli nazionali, risultano quindi poco significativi e poco funzionali alla ricerca. Del resto, anche l’interesse teorico per l’argomento negli ultimi anni è andato scemando e per quanto riguarda il piano pratico non dimentichiamo che la compilazione del Primo Catalogo Collettivo delle Biblioteche Italiane incominciata nel 1962 è risultata un fallimento. Quanto si è fin quì detto non è, comunque, generalizzabile. Se infatti sul piano nazionale l’impianto di un catalogo collettivo risulta difficilissimo, poco pratico e non funzionale, oltre che dispendioso, per quanto riguarda il piano locale (provincie e comuni) il discorso sulla catalogazione collettiva cambia direzione. Di fatto quella che è in crisi è proprio l’idea di un catalogo collettivo nazionale; la catalogazione collettiva riacquista, invece, credibilità e funzionalità se la si riferisce ai fondi di un territorio ristretto quale può essere quello di un comune o di una provincia, o di un certo tipo di biblioteche quali ad esempio quelle specializzate o quelle scolastiche di uno stesso territorio. In che modo? Soprattutto ridefinendo la funzione dei cataloghi collettivi. Non bisogna dimenticare che essi non sono solo dei repertori bibliografici, ma soprattutto sono dei cataloghi. La funzione principale di un catalogo, sia esso per autori, per soggetti, per classi, di una sola biblioteca o collettivo è una funzione di localizzazione; se non fosse possibile localizzare il documento il catalogo risulterebbe solo un elenco di libri, cioè una bibliografia. E’ il rinvio ad una biblioteca, ad uno scaffale, ad un preciso palchetto che lo fa diventare catalogo. Questa funzione di localizzazione è, però, giustificata su un territorio ristretto. Un utente della Biblioteca Comunale di Torremaggiore può ritenere poco pratico che un certo libro di diritto sia sicuramente presente tra i fondi della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; gli può essere invece di gran conforto sapere che lo reperirà nella Biblioteca Giuridica del Tribunale di Foggia. Si può dire, allora, che la funzionalità di un catalogo unico, inteso come strumento atto ad individuare e localizzare un documento è direttamente proporzionale all’importanza che il documento ha per l’utente e che lo rende disponibile a spostarsi. La catalogazione collettiva sul piano nazionale risulta, invece, ancora giustificata per quanto riguarda il materiale speciale come incunaboli e cinquecentine. 3 SERRAI, A., Sistemi bibliotecari e meccanismi catalografici. Roma, Bulzoni, 1980, p. 148. 2 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA Al di là di questa funzione di tipo topografico, ai cataloghi collettivi ne può essere attribuita un’altra di carattere tecnico. Essi diventano indispensabili se si comincia a considerarli uno strumento di controllo bibliografico e catalografico. Essi possono essere la risposta ad un problema, quello della catalogazione, che più degli altri complica la vita dei bibliotecari italiani, soprattutto di quelli che operano nelle biblioteche comu nali, in quelle scolastiche o di quartiere, costretti dalla contingenza ad essere contemporaneamente catalogatori, addetti al prestito, operatori culturali, responsabili di sala, fotocopiatori e, non per ultimo, depositari della cultura locale. Per un altro verso non si può ignorare che in Italia non esistono strutture che curano la formazione professionale del personale di biblioteca, fatta eccezione per le scuole di perfezionamento universitarie quali, ad esempio, quelle di Roma e Napoli, mal funzionanti e oltretutto molto teoriche e la Scuola Vaticana che per il suo carattere fortemente selettivo (è a numero chiuso e con frequenza obbligatoria) esclude di fatto dai suoi corsi i bibliotecari che non risiedono a Roma o che lavorano a tempo pieno. Qualcosa viene fatto dagli Enti Locali attraverso corsi di formazione o di riqualificazione (sic!) professionale, condensati di sociologia dell’utenza, teoria dell’animazione culturale, regole di catalogazione e semantica delle indicizzazioni. Non è, infine, da sottovalutare il fatto che solo da due anni il Ministero per i beni culturali ha pubblicato le RICA, le Regole Italiane di Catalogazione per Autori e che per la prima volta in Italia la questione dell’uniformità è stata codificata in norme precise che il più delle volte vanno a scontrarsi con i vecchi sistemi di catalogazione non del tutto privi di elementi generati dalla zelante creatività del catalogatore. La risposta a queste difficoltà, si è già detto, può essere data dai cataloghi collettivi ed è in questa direzione che ho potuto lavorare alla Biblioteca Provinciale di Foggia. Il progetto di un catalogo collettivo provinciale costituisce il tentativo di dare una soluzione concreta alla domanda che il territorio ha posto negli ultimi anni: biblioteche scolastiche, specializzate e comunali si sono rivolte con urgenza sempre maggiore alla Biblioteca Provinciale per risolvere i loro problemi di ordine catalografico. La maggior parte di queste strutture sono soltanto degli enormi depositi di materiale non catalogato e quindi non utilizzato e il personale che dovrebbe attendere alla catalogazione è costituito per la maggior parte da docenti e da giovani ‘285’ poco esperti di biblioteconomia. A questo tipo di problemi si sta ovviando producendo, attraverso tecniche automatizzate, un repertorio, il più ampio possibile, in cui fino ad oggi sono confluite le schede bibliogra- 3 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ fiche della Biblioteca Provinciale, della Biblioteca Giuridica dell’Ordine degli avvocati, della biblioteca del liceo-ginnasio « Lanza ». L’idea è quella della costituzione di una banca di dati il più possibile controllati e corretti dal punto di vista bibliografico che faccia da supporto alla catalogazione. Ogni scheda e stata verificata su due importanti repertori bibliografici: il Catalogo collettivo delle biblioteche italiane su microfiches per il periodo 1958-73; la Bibliografia Nazionale Italiana, il Catalogo alfabetico annuale dal 1974 in poi. Tutte le schede sono state, inoltre, corrette nelle parti essenziali (aree dell’intestazione e delle note editoriali) secondo le RICA (le intestazioni della BNI e soprattutto delle microfiches, del resto, non sempre sono uniformi) e tutti i volumi che non erano catalogati su questi repertori sono stati schedati ex novo. Non poche sono state le difficoltà da superare e alcune anche di tipo teorico. L’impianto del catalogo collettivo presupponeva in effetti alcune scelte: doveva trattarsi di un catalogo sistematico o per autori? Un catalogo collettivo che deve essere usato come strumento catalografico deve essere formalmente uniforme. In Italia è solo il catalogo per autori il più formalizzato. Solo per il catalogo per autori esistono delle norme a carattere vincolante per quanto riguarda l’intestazione principale, mentre solo per quelle secondarie è lasciato un certo margine di scelta al catalogatore. I cataloghi per soggetti e per classi difficilmente sfuggono ad una interpretazione personale e dipendono molto dalla intelligenza, livello di cultura, capacità di lettura di chi soggetta o classifica. Il soggettario in uso nelle biblioteche italiane, quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è, inoltre, mancante di una « grammatica » esplicita (cioè di indicazioni precise sulla formulazione dei soggetti composti) ed è quindi difficile assicurare una uniformità nella intestazione o nell’ordine di sequenza delle suddivisioni formali. D’altro canto si deve tener presente che, per quanto riguarda le indicizzazioni semantiche, il livello di individuazione del soggetto o del numero di classe è, e deve esserlo, differenziato a seconda del livello di specializzazione della biblioteca. Mi spiego meglio con un esempio. Il livello di indicizzazione semantica della Biblioteca Giuridica dell’Ordine degli avvocati e procuratori di Foggia deve essere il più possibile esaustivo per quanto riguarda la disciplina giuridica; non è necessario, però, che lo stesso livello di esaustività sia applicato alla classe « diritto » nella biblioteca di un liceo linguistico; in questa, al contrario, la massima esaustività dovrà essere garantita per i settori « linguistica » e « letterature straniere ». Questo tipo di considerazioni ha portato alla conclusione 4 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA che il catalogo collettivo che si andava compilando doveva essere alfabetico per autori e doveva garantire la descrizione uniforme di tutti i volumi per quanto riguardava l’intestazione e il corpo della scheda. Per quanto riguarda invece l’indicizzazione semantica, il livello di esaustività resta differenziato biblioteca per biblioteca. Fin qui per quanto concerne le difficoltà di tipo teorico che questo catalogo ha posto. Non meno importanti sono quelle a carattere puramente pratico. Vorrei sottolineare tra tutte una, quella che riguarda il personale utilizzato in questa operazione. Presso la Biblioteca Provinciale non esiste ufficialmente un Centro che si occupi della catalogazione centralizzata e collettiva. Esistono, però, delle persone qualificate che di questa si stanno occupando. Si tratta, per lo più, di personale precario e saltuario. Solo la istituzionalizzazione di questo servizio potrà garantirne la continuità. In effetti questa nuova modalità di uso dei cataloghi unici, strumenti di lavoro, su cui controllare schede e intestazioni potrà avere successo solo se si costituiscono centri di catalogazione centralizzata che li producano. E non si intenda per ‘centro di catalogazione’ un istituto megagalattico che cataloghi il patrimonio bibliografico di tutte le biblioteche del territorio. La catalogazione, per quanto è possibile, deve continuare ad essere effettuata in queste biblioteche. Un centro di catalogazione ha ragione di essere se è punto di riferimento e di coordinamento per le biblioteche periferiche. In questa struttura centralizzata esse potranno far confluire le loro schede e il personale del centro, che dovrà essere altamente specializzato, si occuperà del controllo bibliografico, dell’elaborazione elettronica, della produzione di cataloghi singoli o collettivi. Una struttura di questo tipo diviene sempre più urgente e solo se essa esiste potrà divenire possibile la formazione di sistemi bibliotecari provinciali, comunali, distrettuali; si potrà cioè costituire « una rete di collegamenti bibliografici tale che renda palese a biblioteche appartenenti a livelli omogenei di esercizio bibliografico quali sono le zone bibliografiche carenti o quelle mancanti e così permetta di migliorare i servizi bibliografici nel loro insieme » 4 . 4 Ibidem, p. 149. 5 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ INTRODUZIONE L’idea di compilare una bibliografia sulla catalogazione collettiva nasce dalla necessità di risolvere dubbi e problemi all’interno di un’equipe di tecnici che di catalogazione collettiva si sta occupando. Il centro di catalogazione e di elaborazione dati della Biblioteca Provinciale di Foggia sta lavorando alla catalogazione del patrimonio librario di biblioteche pubbliche, scolastiche e specializzate con l’obbiettivo di costituire un catalogo collettivo che da un lato assolverebbe la funzione di registrare i fondi di più biblioteche della provincia per garantire la piena utilizzazione delle risorse librarie, dall’altro diverrebbe strumento di controllo catalografico e bibliografico per una più razionale utilizzazione delle procedure di catalogazione ed indicizzazione. Non avendo fatto altre esperienze di questo tipo, l’équipe in questione si è trovata a dover dare una soluzione a tutti quei problemi che la costituzione di un catalogo collettivo pone: la selezione del materiale e delle biblioteche (della sola città o della provincia), l’organizzazione i metodi di lavoro, le dimensioni del catalogo e la sua forma (a schede o a stampa); gli elementi di descrizione catalografica indispensabili e quelli accessori, le sigle di identificazione e di controllo (ad esempio il numero della BNI corrispondente), il tipo di classificazione da usare, l’ordinamento delle schede (alfabetico o per classi), gli indici (per soggetti, titoli, parole chiave), l’inserimento di materiale speciale (antiquariato, periodici, ecc.) e il software da usare nell’elaborazione elettronica dei dati. Di qui l’esigenza di saperne di più, di venire a conoscenza dell’esperienze già in atto in altre bibiloteche, di possedere una solida base teorica su cui impostare il lavoro. Se infatti la possibilità di risolvere alcuni di questi problemi viene a volte dal lavoro stesso e man mano che esso va avanti si possono, attraverso l’eliminazione progressiva degli errori, correggere le procedure usate, risulta invece evidente che lo strumento principale che permette di risolvere problemi di tipo teorico, di stabilire i criteri che condizionano le scelte e che modifica la professionalità di fronte a certi elementi contingenti, è la documentazione scritta e in particolare la letteratura professionale. E’ diventato a questo punto urgente individuare un certo numero di documenti su cui confrontarsi e tali che il loro contenuto investisse non solo il problema dei cataloghi collettivi, ma risolvesse anche problemi di ordine catalografico e tecnico. 6 6 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA Fin qui le motivazioni contingenti che giustificano l’argomento di questo lavoro. Ma al di là di esse questa premessa vuol essere una precisazione della metodologia usata nella ricerca del materiale, nell’impostazione del lavoro, nell’articolazione delle singole parti. Ritengo indispensabile a questo punto sottolineare un grave scompenso all’interno delle biblioteche italiane che pesa soprattutto sulla professionalità degli addetti ai lavori: uno dei settori in cui esse sono più carenti è quello della letteratura professionale. Tanto più questa carenza è evidente se la si rapporta alla enormità di produzione che ci viene dall’estero. Questa mancanza di equilibrio fra produzione nazionale e produzione straniera ha condizionato non poco il modo di procedere di questa ricerca e ancor di più l’ha condizionata di fatto la possibilità e a volte l’impossibilità di reperire fonti primarie. Precisando che sull’argomento non esistono repertori bibliografici, per non parlare di bibliografie di bibliografie, il lavoro ha preso l’avvio dalla lettura, nei principali manuali di bibliografia (Malclès, Totok, Guide to reference boock), dei capitoli concernenti i cataloghi collettivi e la loro compilazione. Questa lettura è risultata funzionale a due operazioni. In primo luogo ha facilitato la formulazione di uno schema che, tenendo presente i problemi da risolvere, avrebbe orientato le fasi successive del lavoro individuando le tematiche intorno alle quali articolare la ricerca e costituendo un punto di riferimento per la organizzazione del materiale recuperato. Questo schema con qualche variazione ha dato corpo alla struttura finale del lavoro e alla divisione dei capitoli. In secondo luogo è risultata utile per il reperimento delle opere essenziali per approfondire l’argomento. La ricerca, dopo queste letture preliminari, ha preso l’avvio in due direzioni: 1) recupero del materiale bibliografico presente nei cataloghi di biblioteche; 2) spoglio, a partire dal 1960, delle principali riviste professionali italiane e straniere, per reperire articoli, segnalazioni, recensioni. Per quanto riguarda il primo punto, si è dovuto per motivi di forza maggiore, circoscrivere la ricerca a cinque biblioteche: la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la Biblioteca Provinciale di Foggia, la Biblioteca Vaticana, le biblioteche specializzate dell’Associazione Italiana Biblioteche e della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari della Università di Roma. Se nelle prime tre è stato possibile ritrovare il materiale esistente consultando il catalogo alfabetico per soggetti e quello sistema7 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ tico, nelle ultime due, che più delle altre avrebbero dovuto favorire il recupero delle informazioni e della letteratura professionale utili, il lavoro è stato difficile, se non impossibile, perché condizionato dalla totale assenza di cataloghi per soggetti e per materia. In queste biblioteche è stato anche possibile esaminare direttamente il materiale segnalato e all’interno di questo recuperare un certo numero di documenti citati nelle bibliografie poste in chiusura dei capitoli e dei volumi stessi. Si è pensato di inserire nella ricerca anche questo materiale di seconda mano che, pur mancando dell’attributo della reperibilità immediata (d’altra parte era possibile reperirlo anche in una fase successiva, consultando cataloghi di altre biblioteche), era utile per allargare il numero delle informazioni e quindi ad elevare il livello di esaustività della bibliografia che si andava compilando. L’altra direzione percorsa è stata quella dello spoglio delle riviste di biblioteconomia. A partire dal 1960 sono stati esaminati i più importanti periodici italiani e stranieri, i bollettini delle associazioni di bibliotecari, il bollettino dell’UNESCO, il Bulletin Segnaletique, il LISA ed altri. Anche in questo caso la ricerca non sempre è stata rigorosa. Di alcune riviste non tutte le annate erano complete. E non tutte erano presenti a partire dal 1960. Ciò non ostante attraverso questa indagine si è potuto reperire la maggior parte del materiale, soprattutto quello che riguardava le esperienze già avviate in altre biblioteche. Al tempo stesso però, ancora una volta, si è dovuto constatare lo scarso contributo che questo tipo di letteratura a volte dà alla professionalità del bibliotecario. La presenza di letteratura primaria, di articoli teorici e tecnici frutto di una sperimentazione in atto e di un lavoro concreto, soprattutto nei bollettini delle associazioni professionali, è spesso molto limitata, mentre molto spazio è dato a notizie, relazioni, cronache di cose viste o lette, materiale secondario qualche volta del tutto privo di approfondimento e di una giustificazione critica. Al di là di questi limiti, questo tipo di ricerca è stata comunque utile, tenendo anche conto che in quasi tutti i periodici di questo tipo è presente una rubrica bibliografica che segnala e commenta le novità per quel che riguarda la letteratura professionale. Anche dall’analisi di queste recensioni è stato possibile individuare materiale significativo. Tutto il materiale raccolto, e nella ricerca ai cataloghi e attraverso lo spoglio dei periodici, man mano che veniva recu8 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA perato è stato diviso in quattro gruppi corrispondenti allo schema compilato all’inizio. Esso individuava quattro temi principali. Il primo concerneva naturalmente i cataloghi collettivi, la loro importanza, la loro funzione. Gli altri tre ruotavano intorno alle questioni complementari all’argomento principale. Il secondo e il terzo riguardavano i problemi della catalogazione e indicizzazione per materia e per soggetto, l’ultimo l’automazione nelle biblioteche. E’ evidente infatti che non è possibile compilare cataloghi collettivi se non si hanno le idee chiare sulla catalogazione e ignorando le tecniche automatiche già in uso per compilare i normali cataloghi di biblioteca. Una volta conclusa la fase di individuazione dei documenti è cominciata una fase di controllo sia per quel che riguardava la loro pertinenza, sia per quel che riguardava gli elementi di descrizione bibliografica. Ad un primo esame del materiale si è giunti alla conclusione che se per problemi come la catalogazione e le indicizzazioni era possibile individuare come criterio di pertinenza almeno un limite cronologico nella Conferenza di Parigi (1961) e se per l’automazione la scelta si restringeva ancora di più. data l’obsolescenza del materiale, per quanto riguarda invece i cataloghi collettivi è stato quasi impossibile, a causa della esiguità della documentazione esistente, restringere la selezione in precisi margini temporali. E’ sembrata quindi più idonea la scelta di organizzare e ordinare ogni singola parte del lavoro secondo criteri propri e di questo si dirà meglio in apertura di ogni capitolo. Per gli elementi di descrizione utili alla individuazione e alla citazione dei documenti, il controllo è stato fatto su tutte le parole d’ordine facendo riferimento alle Regole Italiane concernenti la scelta e la forma della intestazione. Per quanto riguarda gli altri elementi si è tenuto conto della distinzione che corre tra descrizione catalografica e citazione bibliografica1 . In primo luogo esiste una differenza spaziale. Nella citazione bibliografica non si può certo avere lo stesso uso della punteggiatura, degli spazi, dei margini che invece sono presenti nella scheda di un catalogo. Anche graficamente esse si differenziano per l’uso di sottolineature o corsivo che, presenti nella citazione, sono invece escluse dalla descrizione su scheda. In linea di massima. per ogni documento, si è data l’intestazione principale: indicazione d’autore (cognome e nome puntato) o di ente autore: per le opere scritte in collaborazione sono stati citati i nomi di tutti gli autori fino a tre; in caso 1 Cfr. DE NICHILO A., Citazione e catalogo in «Bollettino d’informazioni AIB», 19 (1979), p. 97-105. 9 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ diverso il documento è segnalato sotto il nome del curatore seguito dalla indicazione ed e nel caso questo mancasse, sotto il titolo. Seguono le indicazioni del titolo (in corsivo), dell’edizione, del luogo di pubblicazione, dell’editore, dell’anno di edizione, il numero complessivo di pagine. Nel caso di contributi all’interno di un periodico, il titolo del periodico è dato tra virgolette; seguono il numero del volume, l’anno e le pagine. Per contributi all’interno di un volume collettivo o di una miscellanea di studi, dopo le indicazioni che riguardano il particolare contributo, seguono quelle del volume il cui titolo è, al contrario dei periodici, sempre in corsivo. Un’ultima considerazione prima di concludere. La bibliografia che segue non vuol certo avere l’attributo della massima esaustività. Si è coscienti, invece, della sua inadeguatezza soprattutto per quel che riguarda alcuni temi complementari. Non sempre è stato possibile, per motivi contingenti, essere rigorosi nella ricerca. Inoltre la stessa metodologia si è andata via via affinando durante il lavoro, anche alla luce di errori che, a volte, inevitabilmente sono stati commessi. Indubbiamente uno dei valori positivi che essa racchiude e proprio quello dell’acquisizione e sperimentazione di un metodo di ricerca e di indagine, all’interno di una produzione che non sempre è possibile imbrigliare nei limiti di una ricerca bibliografica. 10 ELENCO DEI PERIODICI CONSULTATI Accademie e Biblioteche d’Italia. Roma. Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma. BID. Bollettino di informazione e documentazione. Roma. Bolletino d’informazioni dell’Associazione Italiana Biblioteche (AIB). Roma. Bulletin de l’UNESCO a l’intention des bibliothèques. Paris. Bulletin des bibliothèques de France. Paris. Bulletin d’informations de l’Association des Bibliothecaires de France. Paris. Bulletin signaletique. 101: Sciences de l’information. Documentation. Paris. Journal of librarianship. London. Journal of library automation. Chicago. Library and information science abstract. London. Library journal. New York. Library of Congress information bulletin. Washington. The library quartely. Chicago. Libri. Copenhagen. Revue del’UNESCO pour la science de l’information, la bibliothèconomie et l’arquivistique. Paris. 11 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ 1. I CATALOGHI COLLETTIVI Nel presentare la rassegna bibliografica Che riguarda la catalogazione collettiva è bene fare qualche precisazione. Prima di tutto si tratta di una ricerca che esclude tutto ciò che concerne i cataloghi collettivi di materiale speciale e di periodici. In secondo luogo si tratta di una bibliografia che non ha precisi limiti territoriali. D’altra parte il concetto di catalogazione collettiva è poco assoggettabile a limitazioni di tipo geografico: « come ogni inventano, un catalogo collettivo è internazionale per il suo contenuto », dice la Malclès 1 , e la stessa compilazione di un qualsiasi catalogo collettivo (provinciale, regionale o nazionale) dovrebbe essere finalizzata all’idea, che certo appare utopistica, della produzione di un catalogo unico mondiale. Presa la decisione di compilare un elenco a carattere internazionale, si è cercato di individuare il maggior numero di scritti pertinenti anche se per alcuni di essi non esiste l’attributo della reperibilità immediata, per cercare di avere un panorama di titoli quanto più esaustivo. Tutto il materiale è stato ordinato in ordine cronologico in due gruppi: il primo, che investe l’arco di tempo tra il 1935 e il 1955, vuol avere soprattutto una funzione storica e permette di individuare le prime esperienze e i primi scritti teorici di una certa importanza (ad esempio alcuni tra i primi scritti della Malclès e del Brummel); il secondo riguarda il periodo 1955-1980 e raccoglie quegli scritti utili dal punto di vista pratico operativo e registra, così come si sono susseguite nel tempo, le più importanti esperienze italiane e straniere (ad esempio l’esperienza del C.U.B.I.). Complessivamente si tratta di un quadro abbastanza esaustivo se si tien conto che intorno alla questione della catalogazione collettiva soprattutto negli ultimi anni l’interesse teorico è stato scarso. Non si dimentichi a questo proposito l’atteggiamento rinunciatario che gli addetti ai lavori hanno avuto per quel che riguarda il Primo Catalogo Collettivo delle Biblioteche Italiane, da anni fermo alle prime lettere dell’alfabeto ed ora definitivamente abbandonato2 . 1 MALCLÈS, L. N., Manuel de bibliographie, 3 ed., Paris, Presses Universitaires de France, 1976, p. 69. 2 Cfr. Sicco, M., Per una bibliografia nazionale retrospettiva: censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, in « Accademie e Biblioteche d’Italia, 48 (1980), p. 462464. 12 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA 1935 - 1955 1. PAFFORD, J. H. P., Cooperation: national and international. In: « Year’s works in librarianship », 8 (1935), p. 90-106. 2. PAFFORD, J. H. P., Library co-operation in Europe. London, Library association, 1935, 354 p. 3.BERTHOLD, A. B., Union catalogues: a selective bibliography. Introduced by E. C. Richardson. 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Pur tenendo presente che catalogare per autori, per soggetti, per classi sono aspetti diversi di un medesimo lavoro di indicizzazione, non si può dimenticare che la catalogazione per autori resta comunque quella di maggior rilievo e quella che piu delle altre è stata formalizzata, codificata in regole ben precise. Per questo si è ritenuto opportuno segnalare un certo numero di scritti su quest’ultimo argomento. Pertanto la scelta è stata condotta al fine di segnalare documenti che fossero immediatamente fruibili (si sono esclusi, ad esempio i documenti non facilmente reperibili) da parte di chi si occupa di tecnica dei cataloghi, e che non fossero anteriori al 1961. Questo è, infatti, l’anno della Conferenza internazionale di Parigi in cui fu affrontato il problema della compilazione di un codice internazionale di regole di catalogazione per autori e da cui hanno preso vita anche i principi che animano il nuovo codice italiano. La Conferenza di Parigi ha di fatto condizionato quasi tutta la letteratura tecnica degli ultimi anni, non si dimentichi ad esempio il dibattito serrato e polemico sulle RICA che ha trovato posto su riviste come il « Bollettino AIB » e « Accademie e Biblioteche d’Italia », e, dopo di essa, non ci sono stati grossi mutamenti per quanto riguarda la catalogazione. Tenendo conto di questo si è ritenuto opportuno ordinare il materiale, che, si ripete, non è anteriore al 1961, in ordine alfabetico e non cronologico. L’elenco dei titoli proposti ha principalmente una funzione pratico-operativa, con l’attributo della immediata reperibilità dei documenti. 20 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA Per questo si è dato più spazio agli articoli apparsi sulle riviste professionali che, segnalando esperienze concrete, più di altri scritti testimoniano la varietà dei problemi e delle loro possibili soluzioni. 1. AMERICAN Library Association. Library technology Project. Chicago, Catalog card reproduction. Report on a study conducted by G. Fry & Associates. Chicago, Library Technology Project, ALA, 1965. xii, 81 p. 2. ANDERSON, D., Universal bibliographic control: a long term policy a plan for action. Pullach bei Mùnchen, Verlag Dokumentation, 1974. 87 p. 3. ANGLO - American Cataloguing Rules. British text. London, The Library Association, 1967. 4. ASCARELLI, F., Verso un codice internazionale di catalogazione. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 1 (1961), p. 4-11. 5. ASCARELLI, F., Principi di catalogazione con riferimenti alla conferenza internazionale di Parigi. Relazione al XIV congresso della Associazione Italiana Biblioteche, 1962. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 33 (1965), p. 271-283. 6. BAKEWELL, K. G. B., A manual of cataloguing practice. Oxford, Pergamon Press. 1972. xiii, 298 p. 7. BARBERI, F., Il nuovo codice di regole di catalogazione. 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INDICIZZAZIONE SEMANTICA: Soggettazione e classificazione Se la catalogazione per autori riveste una importanza pn-maria rispetto agli altri sistemi di indicizzazione, non si deve dimenticare che essa presenta dei limiti per quanto riguarda le esigenze dell’utente. Queste sono meglio indirizzate nel catalogo per soggetti e in Quello sistematico. Di qui la decisione di individuare un certo numero di documenti concernenti le indicizzazioni semantiche. Come per la catalogazione, si è cercato di indicare materiale facilmente reperibile e che non fosse anteriore al 1960. Quasi tutti i documenti riguardano i vari sistemi di indicizzazione semantica (CDD, CDU, Colon, Faccette, Library of Congress), ma l’attenzione si accentra soprattutto sui sistemi di soggettazione e sulla classificazione Dewey che più delle altre sono utilizzate nelle biblioteche di Ente Locale e nei sistemi bibliotecari. Molta parte dei documenti è di origine angloamericana perché non si può ignorare che gli studi più significativi sull’argomento sono inglesi o americani. Si è preferito ordinare il materiale raccolto secondo l’ordine alfabetico. Come per la catalogazione, infatti, anche per le indicizzazioni semantiche, negli ultimi venti anni, non e e stata una evoluzione tale da essere evidenziata in una sequenza cronologica. 1. ARCAMONE, M. L., Sull’ordinamento del catalogo per soggetti. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 35 (1967), p. 260-271. 2. AUSTIN, D., PRECIS: a manual of concept analysis and subject indexing. London, The British Library, Bibliographic services division, 1975. 3. BAKEWELL, K. G. B., Classification and indexig in practice. London, Clive Bingley, 1978. 216 p. 4. BANCROFT, R., The British Museum subject index. In: « The Indexer », (1962), p. 4-9. 5. BARBERI, F., Soggettazione e classificazione. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 2 (1962), p. 123-130. 6. BATTY, C. 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A teaching guide with illustration of major principles for descriptive cataloging and classification. Preliminary edition. Denver, Colo., Bibliographie Institute, 1965. 204 p. 4. L’AUTOMAZIONE NELLE BIBLIOTECHE Produrre cataloghi collettivi sarebbe pura utopia se si ignorassero le procedure automatizzate. Solo utilizzando un elaboratore è possibile di fatto star dietro alla eccezionale produzione libraria di questi anni. Ma nei confronti di queste procedure il bibliotecario-umanistico che opera nella maggior parte delle biblioteche italiane ha ancora un atteggiamento scettico e diffidente. Molte volte questa diffidenza nasce dalla disinformazione. 30 ________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA Non potendo ignorare la grande importanza che per la catalogazione collettiva assume l’automazione, si è ritenuto necessario dedicare l’ultima parte di questa ricerca bibliografica a questo tema. In Italia non è molta la letteratura professionale che riguarda l’automazione nelle biblioteche e ancora una volta si è dovuto constatare la nostra dipendenza dall’estero per quanto riguarda la documentazione scritta. Al tempo stesso, però, per chi comincia ad interessarsi delle tecniche automatiche di catalogazione, è difficile orientarsi all’interno di una produzione che, come quella straniera, è a volte troppo avanti rispetto a quelle che sono le esigenze delle piccole e medie biblioteche italiane, di quelle biblioteche cioè che più delle altre si consorziano e danno vita ai cataloghi collettivi. Si è creduto opportuno, allora, selezionare solo materiale in lingua italiana allo scopo di fornire informazioni immediate e facilmente comprensibili. Si sono anche esclusi documenti generali, come quelli riguardanti il recupero delle informazioni, o quelli troppo particolari sulla programmazione e i linguaggi dell’elaboratore, preferendo invece segnalare solo quei documenti specifici sull’uso dell’elaboratore nei servizi di biblioteca. Data l’obsolescenza del materiale di questo tipo di letteratura, si è deciso di organizzare il materiale secondo un ordine cronologico che meglio evidenzia il susseguirsi delle esperienze, scegliendo come data di partenza il 1966, anno che segna l’avvio della prima esperienza italiana di una certa importanza: quella del CUBI. 1. MALTESE, D., Il centro meccanografico della bibliografia nazionale italiana. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 6 (1966), p. 129-134. 2. ROMA. Banca d’Italia. Centro elettronico, Elaborazione automatica dei dati riguardanti gli schedari della Biblioteca Centrale. Roma, 1966. 65 p., 23 all. 3. SERRAI, A., Biblioteche e automazione. In: « Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari », 7 (1967), p. 127-136. 4. L’AUTOMAZIONE nelle biblioteche degli Stati Uniti. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 37 (1968), p. 81. 5. L’ELETTRONICA al servizio del libro. Una « libreria pilota » alla EXPO CT ‘68. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 36 (1968), p. 380-381. 6. RAZIONALIZZAZIONE e automazione nella Biblioteca Nazionale di Firenze. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 8 (1968), p. 171-173. 7. SERRAI, A., L’elaboratore elettronico migliora l’efficienza dei 31 LUCIA RINALDI_______________________________________________________________________________ servizi bibliotecari? In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 36 (1968), p. 226-236. 8. CICHI, D. R., L’automazione e le biblioteche. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 9 (1969), p. 168-176. 9. LA MECCANIZZAZIONE della documentazione nelle biblioteche in una conferenza al British Council. 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DACCÒ, A., Ipotesi di progetto operativo per la ripresa dei lavori della catalogazione delle biblioteche lombarde. Milano, Soprintendenza ai Beni librari della Regione Lombardia, 1979. 6 p. ciclostilate. 63. MAGGIOLINI, P., Sistemi informativi e banche di dati a livello regionale. In: Atti del convegno I.D.I. ‘79. Mondovì, 2-4 maggio 1979. Padova, Cleup tip., 1979, p. 279-286. 64. PIANTONI, M., Basi-dati bibliografiche nel con testo italiano: per la gestione del patrimonio bibliografico per le esigenze dell’utenza. In: Atti del convegno I.D.I. ‘79... Padova, Cleup tip., 1979, p. 179-186. 65. ALICE: L’elaboratore elettronico al servizio della informazione libraria. In: « Giornale della libraria », 93 (1980), p. 10-11. 66. CAPRONI, A. M., « Biblioteche ed informatica » in Italia. Contributo per una rassegna (1976-1980). Estratto dal Supplemento ad « Informatica e documentazione » n. 10 (1980), 16 p. 67. SEMINARIO: Alcuni problemi e prospettive di organizzazione e diffusione della informazione bibliografica. Padova, 27 novembre - 4 dicembre 1979. Padova, Cleup tip., 1980. 156 p. 68. SISINNI, F., Diffusione dell’informazione bibliografica. Problemi e prospettive. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia 69. », 48 (1980), p. 5-10. LUCIA RINALDI 36 BIBLIOGRAFIA SU MARIO SANSONE Introduzione Questa bozza di bibliografia, ancora incompleta, ed anzi gioiosamente aperta a nuovi arricchimenti dell’operosissimo Autore, vuoi essere un dono che l’Amministrazione e la Biblioteca Provinciale di Foggia, insieme ad un gruppo di scolari dell’Istituto di Letteratura e Filologia moderna della Facoltà di Magistero dell’Università di Bari, offrono al professor Mario Sansone per i suoi splendidi 82 anni. L’incompletezza della ricognizione, pur spinta con tenace volontà di spoglio, rende certamente esigua l’offerta, e non corrispondente all’immensa gratitudine che da tutti noi si porta al Maestro. Né sarà necessario dire quanto quella sua opera, che qui si dispiega in un arco di cinquant’anni di studi e di scritti, sia stata vivace e ricca di risultati di lungo periodo. Dalla Storia della letteratura italiana del lontano anno. 1938, che lo rese noto nelle scuole d’Italia e che ancor oggi, nelle successive edizioni, rimane un testo di validissimo riferimento, dagli studi alfieriani e tassiani degli anni della guerra, si offre in queste paginette la testimonianza sintetica di una laboriosità fecondissima che ha i suoi punti di risalto negli studi manzoniani, nella discussione di problematiche ed interpretazioni dantesche, nell’acuto esame dei rapporti tra la letteratura italiana e le letterature dialettali, nelle questioni di cultura e di letteratura connesse al dibattito sulla lingua, da Dante ai cinquecentisti, agli illuministi e romantici, nella definizione del pensiero leopardiano nei confronti delle sue matrici settecentesche; ed ancora, gli studi su Cuoco, De Sanctis, Romagnosi, Ciaia, sulla letteratura napoletana e su quella pugliese; la sicura impostazione dei rapporti tra culture regionali e letteratura nazionale, la individuazione e discussione dei valori e dei limiti dell’insegnamento crociano e le vicende della critica letteraria contemporanea: un impegno di studio attento soprattutto ai nodi problematici, allo svolgimento delle idee e delle forme della cultura, in una attenta considerazione della storia nei suoi complessi avanzamenti, tra 37 MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________ spinte apparentemente contraddittorie di innovazione e di conservazione. Ma tutto questo non definisce se non in parte il campo di gratitudine che si deve a Mario Sansone, che non si restringe solo a benemerenze letterarie, e neppure a quelle, assai più larghe di ambito, di insegnamento e di « scuola ». Il suo merito grandissimo è di aver fatto e di fare « scuola» non solo di critica e di letteratura, ma di tolleranza, di civiltà, di laicismo, di partecipazione democratica. Da lui ci sono venuti e vengono insegnamenti non solo di storiografia e di metodo critico, ma di umanità, di amicizia, di misura, di determinazione ed impegno civile. La Puglia e Bari e la Capitanata gli devono molto, e così tutti quanti noi che ci riconosciamo cresciuti alla scuola di questo Maestro: quel poco che potrà seguirne, seguirà da quel tronco. Ed è per ciò che con gioia gli offriamo questo dono esile, lieti soprattutto se vorrà aggiungervi ancora molte schede in questa sua sempre viva ed alacre giovinezza. M ICHELE DELL’A QUILA 38 BIBLIOGRAFIA SU MARIO SANSONE M. SANSONE, ordinario di Letteratura Italiana presso la Facoltà di Lettere. Incaricato di Lingua e Letteratura Italiana presso la Facoltà di Magistero dal suo primo costituirsi sino al 1970. 1937 Storia della Letteratura Italiana, Napoli, Loffredo; Milano, Principato 1938, 19563 , 19733 . 1938 V. Alfieri e la « Vita », in « Civiltà moderna », X (1938), p. 1. Religiosità e poesia in A. Manzoni, in « La Nuova Italia », n. 10. Saggio sulla storiografia manzoniana, Napoli, Ricciardi, pp. 130; Bari, Adriatica, pp. 158. 1940 L’elegia tragica di V. Alfieri, in « La Nuova Italia », n. 12. Disegno storico della letteratura italiana, Milano, Principato 19572 , 19793 . 1941 L’« Aminta » di Torquato Tasso, Milano-Messina, Principato. La poesia giovanile di Alessandro Manzoni, Milano-Messina, Principato. 1942 G. GIUSTI, Poesie, a cura di M. S., Milano (in realtà a cura di M. Vinciguerra. Il Vinciguerra per persecuzioni fasciste non poteva apparire quale autore del libro). 1943 V. 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Torquato Tasso (Il Gerusalemme - Il Rinaldo - La Gerusalemme conquistata - Il mondo Creato), Bari, Adriatica, pp. 256. 45 LE BIBLIOTECHE NELLO SPIRITO DELLA NUOVA POLITICA DEI BENI CULTURALI La costituzione del Ministero per i Beni Culturali con il D.P.R. 805 del 13-12-1975 ha voluto significare una volontà politica eccezionale davanti alla gravità del deterioramento crescente negli ultimi anni del patrimonio culturale; l’inizio di un’opera di reintegrazione e di recupero. Negli scarni articoli, il travaglio di un decennio che risale alla data d’inizio dei lavori della commissione Franceschini (1964). Nel 1975 si ebbe l’avvio ad una gestione autonoma dei Beni Culturali nell’ambito di un Ministero non burocratizzato e non centralizzato, moderno per assicurare strumenti operativi. Fu considerato necessario un rapporto di integrazione con le Regioni alfine di consentire quella che l’art. 9 della Costituzione chiama la tutela del patrimonio storico e artistico della nazione, oltre che la tutela del paesaggio. Le metodologie scientifiche non possono essere affidate allo Stato attraverso le Sovrintendenze anche nel coordinamento con l’autonomia operativa dei Musei locali, delle Biblioteche Civiche. Come già fu affermato nell’età giolittiana i beni culturali sono beni pubblici: un recupero alla coscienza delle grandi masse popolari di questi valori, attraverso un’opera di conservazione prima e di promozione poi. Conservazione non antiquariale, conservazione non conservatrice (il vecchio principio cui obbediva il conservatore dei Musei). Ma conservazione nel senso di creare le premesse per una fruizione più larga dei beni culturali: diritto alla cultura della società civile. Le Regioni hanno una competenza primaria in materia di beni culturali, mentre lo Stato una funzione di guida e di orientamento nella loro difesa. Nel passato le leggi sulle cose d’arte facevano intravedere una protezione retorica, tollerante. Solo fra il 1902 e il 1909, una particolare parentesi: il bene culturale un bene collettivo sottoposto ad una d isciplina legislativa di controlli, di denunce, di schedature, di vigilanza. Questo principio riemerge nel 1975. Oggi, una politica che fissa dal centro taluni punti fermi. Unità di tutela, del restauro, del catalogo, della patologia del libro o del documento, e lascia 46 _____________________________________________________BIBLIOTECHE E POLITICA BENI CU LTURALI poi alle Regioni funzioni di promozione e di coordinamento costanti, nel nesso essenziale fra monumento e territorio, fra testimonianze storiche e ambiente. La Biblioteca nella cornice di queste premesse è un istituto sociale, moderno, in piena evoluzione, al servizio di tutti per l’istruzione, la ricerca. La Biblioteca sempre più vitale, per funzionalità e ricchezza di materiale. Verso un sistema organizzativo che si fa più automatico. I cittadini ormai sono più vicini alla Biblioteca, se ne servono di più. Pertanto, un personale più preparato, una migliore cura dei servizi. Fra i vari settori, un legame di immediatezza. Certamente negli ultimi 25-30 anni si sono create nuove idee intorno alla Biblioteca. Ancora all’inizio degli anni 50 la parola Biblioteca non evocava altra immagine se non quella di Istituti di alti studi e di conservazione. Biblioteche deserte, polverose. Il Bibliotecario era un tecnico del catalogo, letterato. Queste immagini sono ora anacronistiche. La Biblioteca come Istituto ha rivelato la sua poliedrica realtà. Si distinguono oggi Biblioteche di conservazione o Biblioteche di museo (fondi antichi); Biblioteche di ricerca o Biblioteche-laboratorio (in esse si auspica l’impiego dei calcolatori per la raccolta e per la comunicazione della informazione bibliografica e documentale); Biblioteche di pubblica lettura o Biblioteche pubbliche-centri culturali. Anche i bibliotecari non più soltanto compilatori di schede, ma managers e organizzatori di cultura, non più studiosi di varie discipline, ma studiosi delle scienze della Biblioteca. Ma in ogni Biblioteca vi sono i tre aspetti, anche se è preminente quello della Biblioteca pubblica-centro culturale. La biblioteca deve essere aperta a tutti, anche nel senso che deve formare le sue raccolte avendo presenti gli interessi, il livello di cultura e la capacità di lettura di tutti i membri della comunità. La Biblioteca deve andare incontro ai potenziali lettori: deve essere, cioè, un organismo attivo e dinamico; con i suoi servizi al pubblico dovrà contribuire ad una migliore utilizzazione del tempo libero. Il concetto di utilizzazione del tempo libero va spostato da una semplice dimensione evasiva ad una dimensione che contribuisce all’accrescimento culturale di tutti gli strati della popolazione, anche di quelli meno privilegiati. Utilizzazione del tempo libero significa formazione culturale e sociale. Perché i servizi abbiano un’efficienza e siano a tutto vantaggio degli utenti la Biblioteca deve avere un alto grado organizzativo, deve aggiornare le tecniche; trovare modi e mezzi idonei perché essa non resti un istituto, tanto meno un ufficio, isolato dalla realtà quotidiana, bensì diventi un servizio effettivamente pubblico. La Biblioteca pubblica deve essere aperta a tutti, nel senso che tutti devono avere a disposizione un « punto di servizio bibliotecario ». 47 LEONARDO SELVAGGI_________________________________________________________________________ Poiché non è soltanto un diritto fondamentale del cittadino disporre dei mezzi di informazione e di educazione che la Biblioteca raccoglie ed offre, ma è anche interesse della comunità che il cittadino si educhi e si informi, come lavoratore e come uomo, così deve essere obbligatorio per le autorità di governo istituire Biblioteche pubbliche e regolarne l’attività con una chiara legislazione. In una società moderna le funzioni di una Biblioteca sono più estese; pure più ampia l’area topografica e sociale in cui deve esplicarsi la sua attività. Aumentate le esigenze di informazione e documentazione con la diffusione della cultura, è normale che risultino più estesi e più numerosi i servizi da rendere. Deve la Biblioteca avere uno sviluppo ordinato e previsto, prevedere i bisogni per adeguare a questi i servizi. I provvedimenti in una visione organica, in base a scelte prioritarie. Obiettivi di una Biblioteca: la raccolta e la conservazione di libri o altro materiale in collezioni organizzate allo scopo di facilitare al massimo la conoscenza. Oggetto primo delle cure del Bibliotecario prima che il libro è il lettore, sia esso effettivo sia potenziale, poiché il libro non è che il mezzo di cui la Biblioteca si serve per raggiungere il fine di arricchire con la lettura la personalità del cittadino e prepararlo all’esercizio delle sue funzioni sociali. L’arredamento, l’ubicazione della Biblioteca, la scelta dei libri, la loro schedatura devono mirare sempre al fine di dover invogliare il lettore. L’Istituto deve essere organizzato secondo i più moderni sistemi della tecnica bibliotecaria. Locali aerati, luminosi, asciutti, di facile accesso, ampi. I libri, come prodotti dell’industria umana, sono entità fisiche che necessitano di un particolare clima ed ambiente, e vanno soggetti a deterioramenti e logorii. Aerazione, luce naturale agli ambienti; vietare che i raggi del sole colpiscano direttamente i libri. Lo spazio è fattore essenziale e deve essere proporzionato alle esigenze del patrimonio librario e al flusso dei lettori. Per evitare il reciproco disturbo, i lettori vanno distribuiti; si creano, specie nelle grandi Biblioteche, sale di lettura separate: per la consultazione dei libri, dei periodici, dei manoscritti. Si debbono creare anche sezioni per ragazzi. Perché i servizi al pubblico abbiano buoni risultati, il personale deve avere acquisito una notevole praticità: rendere quanto più possibile snello il servizio, con l’apporto diretto, personale dando tono all’adempimento dei compiti assegnati. Nei servizi di Biblioteca evitare la meccanicizzazione e la parcellizzazione delle operazioni; più partecipazione umana, più rapporto con il pubblico. La qualifica che ogni dipendente riveste si riempie di contenuto mantenendo la piena presenza sul servizio. Certamente occorrono corsi di preparazione professionale, viaggi di studio all’estero, scambi di vedute sui sistemi di funzionalità dei 48 _____________________________________________________BIBLIOTECHE E POLITICA BENI CU LTURALI servizi di una Biblioteca. Affidati a funzionari con preparazione e mentalità amministrative, i nostri servizi risentono di un certo immobilismo burocratico, poco sensibile alle mutate esigenze della società e della cultura. Siamo lontani dal realizzare, come nei paesi anglosassoni, attività culturali dette di estensione, servizi adeguati ai vari lettori, diversificati per età e categoria. Rispetto ai paesi anglosassoni, ci siamo mossi con un buon mezzo secolo di ritardo. Occorre una più organica programmazione dei servizi bibliotecari, coordinamento e cooperazione. Il personale deve rendersi partecipe della vita dell’Istituto con alto senso di dignità sociale. Sul servizio, responsabilità ed autorevolezza, nel senso di atteggiamento coerente e severo nell’esecuzione dei propri doveri. Il carattere sociale ed educativo dell’attività bibliotecaria è incompatibile con atteggiamenti personalistici, incapaci di collaborazione ed apertura. Occorre una cultura di base ed una specifica. Oggi i due campi, quello umanistico e quello scientifico, tenuti sino a ieri separati, convergono e si compenetrano La preparazione professionale deve avere carattere interdisciplinare Sono utili le nuove conoscenze: documentazione, informatica, sociologia. A livello specialistico vanno tenuti distinti i due aspetti, quello relativo alla conservazione e alla valorizzazione dei fondi antichi, degli oggetti rari, l’altro, in prospettiva sempre più ampia, relativo alla conservazione e alla valorizzazione dei fondi moderni e dei nuovi oggetti culturali. Di tutta la funzionalità della biblioteca il servizio delle informazioni bibliografiche è il più importante: quello che, in sintesi, rappresenta la finalità precipua e lo strumento attivo di tutta la struttura bibliotecaria. Con la informazione bibliografica la Biblioteca incide con la sua attività in modo qualificante sul mondo esterno: rapporto con l’utenza e le forze vive del paese. La Biblioteca, una struttura aperta, deve vitalizzare il bisogno di cultura. Il personale addetto al servizio delle informazioni bibliografiche e un personale attivo, non si limita alla semplice conservazione e registrazione del materiale, ma deve anche produrre cultura, sotto forma di bibliografie, deve già predisporre in un certo senso le risposte ai quesiti degli utenti. Completezza e celerità dell’informazione. Cataloghi aggiornati, collaborazione con l’intero sistema bibliotecario. Occorre un modo più dinamico per organizzare meglio tutto il materiale librario. Migliorare i servizi che presta la Biblioteca significa porsi il problema dello smaltimento dei lavori arretrati, ma soprattutto individuarne dei nuovi nel quadro di una nuova politica dell’Informazione bibliografica. Necessità dell’automazione, confronto con la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, con le Regioni. Quando non sono sufficienti gli strumenti che si posseggono, bisogna ricorrere all’Istituto Centrale per il Catalogo unico che fornisce informazioni bibliografiche, segnalando le 49 LEONARDO SELVAGGI_________________________________________________________________________ Biblioteche e le collezioni in cui possono trovarsi pubblicazioni, manoscritti o documenti di interesse dei richiedenti. Lo stesso Istituto centrale per il catalogo unico corrisponde con Istituti bibliografici stranieri, pubblici e privati e con organismi internazionali operanti nel settore. Per le informazioni bibliografiche sono strumenti: il catalogo collettivo retrospettivo delle Biblioteche statali, comprendenti tutti i fondi fino al 1957 e il catalogo collettivo corrente, che raccoglie invece le schede a partire dal 1958. Inoltre, i cataloghi a stampa delle grandi Biblioteche straniere: come i cataloghi della Biblioteca Nazionale di Parigi, del British Museum, della Library of Congress, per consentire di reperire opere cercate e non possedute dalla Biblioteca, ai fini di studio, di prestito esterno ed internazionale, di fotocopie e comunque di informazioni bibliografiche. Abbiamo un patrimonio culturale immenso da conservare e da valorizzare. La domanda interna di beni culturali si accentua sempre più. Oltre alle informazioni bibliografiche si deve parlare anche di riproduzioni. Quelle più richieste sono in microfilm poco costose e non ingombranti. Non si pensi che la riproduzione fotografica o in microfilm sia sviluppata solo per i mss. o per le opere pregevoli, ma è richiesta anche per i libri comuni, per articoli di giornali e riviste. La riproduzione è il mezzo indispensabile a quella attività oggi in grande sviluppo, detta documentazione. Si ricorre ad esso perché è impossibile che una Biblioteca possa avere tutto. Il lettore deve trovare un facile accesso. La ricerca va permessa nel modo migliore, perché è l’attività dello studioso che garantisce lo sviluppo continuo della cultura. Il rispetto del pubblico e il dovere di servirlo con prontezza fanno sì che la Biblioteca viva nella maniera migliore e cresca tramite una piena collaborazione tra pubblico ed impiegati. Le grandi Biblioteche che hanno un’origine storica presentano anche l’aspetto di Biblioteche ‘di mo vimento. In queste l’uso pubblico impone le sue crescenti esigenze al di sopra di quelle della conservazione del libro, il cui logorio è inevitabile. E’ la parte moderna della Biblioteca che generalmente viene sottoposta a questa usura, i fondi particolari antichi o pregevoli non vengono concessi in prestito e anche la consultazione in Biblioteca è circondata da particolari cautele. La maggior parte delle Biblioteche italiane, riunisce insieme le qualifiche di Biblioteca di conservazione e di Biblioteca di movimento, in relazione al duplice aspetto delle sue collezioni e dei suoi servizi. In ogni modo lo sviluppo della Biblioteca pubblica moderna si associa armoniosamente alle esigenze della Biblioteca storica. Il libero accesso alla Biblioteca, la possibilità di avere libri in prestito hanno spezzato quella barriera tra libri e pubblico che si innalzava in tutte le antiche Biblioteche e che s’innalza tuttora in alcune di alta cultura, 50 _____________________________________________________BIBLIOTECHE E POLITICA BENI CU LTURALI talvolta veri e propri « musei del libro ». Il bene culturale, è una ricchezza incalcolabile e rappresenta il contributo più efficace alla maturazione morale del Paese, alla sua armonia sociale, costituisce anche il più qualificato mezzo di partecipazione dell’Italia ad una società internazionale che sempre più domanderà cultura e scambio di cultura. Occorre sempre più un coordinamento delle Biblioteche e un loro potenziamento. Un sistema bibliotecario nazionale, che eviterà l’isolamento delle zone meno favorite e la provincializzazione della cultura. Due i fini essenziali di una viva attività bibliotecaria: tutela e catalogo per rendere più vasta la fruizione del bene culturale. Nel contesto di una società pluralistica la Biblioteca moderna è uno strumento primario di progresso sociale. Con l’impostazione dei principi democratici su cui poggia l’istituzione del nuovo Ministero sarà senz’altro possibile animare il dettato costituzionale che agli artt. 9 e 117 programma le direttive ed i contenuti del problema della valorizzazione del patrimonio culturale. LEONARDO SELVAGGI 51 ROMOLO CAGGESE (1881 - 1981) Nel centenario della nascita Nell’ambito della scuola storiografica economico - giuridica, che tanta importanza ha avuto per gli studi storici e per la cultura italiana, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, un ruolo non secondario svolse Romolo Caggese, originario di Ascoli Satriano, del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita. Nacque il 26 giugno 1881, in una famiglia della media borghesia, da Potito e da Amalia Ursomando; rimase ad Ascoli sino all’età di sedici anni, alunno del Seminario locale, poi si trasferì a Foggia, per frequentarvi il Liceo, sotto la guida di un altro illustre storico pugliese, Francesco Carabellese. Da allora ritornò solo saltuariamente nel paese d’origine, dal quale lo tennero lontano, dapprima, gli impegni di studio, successivamente, quelli connessi con la docenza universitaria. Nell’ottobre del 1900 si iscrisse all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, grazie ad una borsa di studio; qui, con Gaetano Salvemini, fu discepolo di Pasquale Villari che, con Achille Coen, Gerolamo Vitelli ed Alberto del Vecchio, influì positivamente sulla sua formazione storiografica e lo avviò ad una sistematica indagine dei problemi meridionali, anche se, in seguito, il Caggese risentì molto il fascino del pessimismo naturalistico di Giustino Fortunato. Nel 1904, si laureò, discutendo con il Villari la tesi Un Comune libero alle porte di Firenze nel secolo XIII, nella quale esaminava, più diffusamente per la città di Prato, quei problemi econofnici dei Comuni medievali, che già aveva trattato, ancor prima di laurearsi, esordendo precocemente nel campo degli studi storici con pubblicazioni come: Una cronaca economica del secolo XIV. In: Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, 1902; Su l’origine della parte guelfa e le sue relazioni col Comune. In: Studi storici, 1904; Intorno all’origine dei Comuni Rurali in Italia. Roma, 1905. In seguito, la sua ricerca storica, impostata sui presupposti teoricostoriografici della frattura verticale tra città e campagna e dello sfruttamento intensivo del contado da parte delle nuove classi borghesi cittadine, succedute alla vecchia feudalità, precisò la formazione e l’evoluzione del Comune rurale durante il Medioevo nell’opera, Classi e Comuni rurali nel Medioevo Italiano. 52 __________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA Saggio di storia economica e giuridica. Firenze, 1907-1909, la quale ancora oggi, sebbene superata in alcune sue tesi, resta un punto di partenza insostituibile per ogni indagine che, nel Medioevo italiano, voglia trattare il Comune nel duplice rapporto città - camp agna. Gli studi storici del Caggese, sempre condotti secondo gli indirizzi metodologici della scuola economico - giuridica, della quale fu un entusiasta fautore, malgrado le severe critiche di Benedetto Croce, continuarono negli anni successivi sino alla morte; tappe fondamentali della sua instancabile attività scientifica furono opere come, Gli Statuti della Repubblica Fiorentina. Firenze, 1910-1921 (voll. 2); Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento d’Italia. Firenze, 19121921 (voll. 3); Roberto d’Angiò e i suoi tempi. Firenze, 1921-1930; Mirabeau. Bologna, 1924; L’Alto Medioevo. Torino, 1937; Dal Concordato di Worms alla fine della prigionia di Avignone (1122-1377). Torino, 1939. Nel 1907, il Caggese, dopo aver conseguito a Pavia, il 24 giugno, la libera docenza in Storia Moderna, si trasferì a Napoli, per insegnare in un istituto commerciale. In questo periodo partecipò attivamente all’orientamento politico socialista - riformista ed avvertì con parecchi altri settori della sinistra italiana l’esigenza di dover opporre un blocco di forze al sistema di « mazzieri» e di prefetti imposto da Giolitti. In qualità di militante del P.S.I. diede il suo apporto alla ricostituzione della sezione socialista napoletana, dirigendone per qualche numero l’organo Il Socialista, ma nel 1910 si dimise dal Partito per incompatibilità politica con il filosindacalista Arnaldo Lucci. Continuò, tuttavia, a pubblicizzare i problemi della terra di origine negli articoli che scrisse sul Secolo dal 1912 al 1914 (Il dazio sul grano e l’agricoltura meridionale; La questione meridionale: Il governo e la questione agraria; Per la resurrezione economica dell’Italia; etc.). Si fece, infatti, portavoce, insieme con Fortunato, Colajanni, Ciccotti, Salvemini, delle secolari sofferenze del Mezzogiorno presso la società settentrionale della borghesia e della classe operaia; collaborò a far conoscere la povertà naturale delle terre meridionali, la stretta fiscale che opprimeva i contadini, le sofferenze e le umiliazioni in terra straniera degli emigrati. Denunciò l’incuria del governo verso il Sud dell’Italia, suggerì ai partiti politici programmi per incanalare verso lo Stato la protesta delle plebi meridionali. Fu, però, nel 1914 che iniziò il periodo politicamente più importante per il Caggese, il quale, nelle elezioni amministrative del 12 luglio, venne eletto, con l’appoggio del massone socialista Carlo Altobelli, nella coalizione bloccarda di Napoli, consigliere comunale e provinciale e negli anni 1916-1917 giunse a svolgere le funzioni di vicesindaco accanto al Labriola ed a dirigere di fatto, negli anni del 53 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ conflitto, la Deputazione provinciale partenopea. Nel 1918, inoltre, si inserì, finalmente, nell’insegnamento universitario, come straordinario di storia moderna a Messina e l’anno successivo, come ordinario della stessa disciplina a Pisa. Di fronte ai conflitto mondiale, il Caggese, in consonanza con l’atteggiamento socialista, dapprima si dichiarò neutrale; successivamente, anche influenzato dall’amico Leonida Bis solati. si schierò a favore dell’intervento, conducendo al riguardo una intensa campagna propagandistica sulle pagine dell’Idea democratica, organo della Massoneria di Palazzo Giustiniani, dalla quale, molto probabilmente, era stato appoggiato nelle elezioni comunali e provinciali di Napoli. Negli anni del dopoguerra si accentuò in Caggese quella crisi ideologica, già presente negli anni del conflitto, che lo fece spostare lentamente ma inesorabimente dalle originarie posizioni democratiche a quelle di concentrazione borghese in funzione apertamente antis ocialista. Crisi politica sottolineata dall’intensa pubblicistica antigovernativa condotta sulle colonne di giornali reazionari come La Sera; Il Mattino; Il Telegrafo; Il Mezzogiorno e dal rifiuto della candidatura socialista nelle elezioni politiche in Capitanata, del 1919, ed in quelle amministrative di Napoli, del 1920. Prima del delitto Matteotti, il Caggese si avvicinò al Croce ed ai gruppi di democrazia liberale, soprattutto per avversione al Gentile, che, quando era stato ministro della Pubblica Istruzione, lo aveva spesso ripreso a causa del fiacco insegnamento nell’università di Pisa, e, sempre in funzione antigentiliana, sottoscrisse, nel 1925, il manifesto degli intellettuali antifascisti. A distanza di un mese soltanto, però. il Caggese rinnegò il manifesto crociano, si dimise a Napoli dalla amendoliana Unione Nazionale e si allineò completamente con la politica del Partito Nazionale Fascista. Aderì, infatti, al progetto gentiliano dell’Enciclopedia Italiana, alla quale collaborò con un certo numero di voci di storia angioina: Carlo I e Carlo II d’Angiò; Giovanna I e Giovanna II; Roberto d’Angiò; e con alcune voci di storia della rivoluzione francese: Babeuf; Barbè - Marbois; Barère de Vieuzac; Barnave; Barras; Bastiglia; Bourmont; Mirabeau; etc. Il Caggese, quindi, come molti altri intellettuali italiani non ebbe la capacità di assumere un atteggiamento di decisa opposizione al Fascismo; basti pensare che già nel 1926 il primo elenco di collaboratori dell’Enciclopedia annoverava 1410 studiosi, che nel 1937 diventarono 3266. Inoltre, quando, nel 1931, il Fascismo impose ai professori universitari il giuramento di fedeltà, solo dodici, contro milleduecento. si rifiutarono. Dopo aver tenuto, dal dicembre 1923, la cattedra di storia 54 __________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA economica dell’Istituto di Scienze Economiche di Napoli, il Caggese riuscì ad ottenere un incarico accademico prestigioso e si trasferì a Milano, dove, dal gennaio 1926 sino alla morte, insegnò, in luogo del Volpe, storia medievale e moderna alla Facoltà di Lettere. Il Regime, però, poco convinto della sua fede fascista, provvide ad emarginarlo sempre di più, tanto sul piano dell’organizzazione culturale che su quello storiografico, revocandogli tutti gli incarichi ufficiali e lasciandogli solo l’insegnamento universitario e le lezioni di « alta cultura » presso l’Università per Stranieri di Perugia. A rompere questo umiliante isolamento, imposto dalle autorità, a nulla servirono le istanze e le preghiere che il Caggese, mettendo da parte ogni sentimento d’orgoglio, indirizzò ai responsabili culturali del Partito Fascista, sino a pochi giorni prima della morte, che lo colse a Milano il 5 luglio 1938. A NTONIO VENTURA 55 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ BIBLIOGRAFIA G. ARFÈ, Per la storia del socialismo napoletano. Atti della Sezione del P.S.I. dal 1908 al 1911. In: Movimento Operaio. Genova, 1953. G. CHITT0LINI, Città e contado nella tarda età comunale. In: Nuova Rivista Storica. Milano, 1969. E. CRISTIANI, Città e campagna nell’età comunale in alcune pubblicazioni dell’ultimo decennio. In: Rivista Storica Italiana. Napoli, 1963. Fasc. IV. B. CROCE, Intorno alle condizioni presenti della Storiografia in Italia. IV. La Storiografia sociale e politica. In: La Critica. Napoli, 1928. Voi. XXVII. B. CROCE, Professori di storia. In: La Critica. Napoli, 1935. Voi. XXXIII. B. CROCE, Storia della Storiografia italiana nel secolo decimo nono. Bari, 1921. DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI, Roma, 1973, vol. 160. M. FATICA, Origini del Fascismo e del Comunismo a Napoli (19111915). Firenze, 1971. E. FIUMI, Sui rapporti economici tra città e contado nell’età comunale. In: Archivio Storico Italiano, Firenze, 1956. G. M. MONTI, Nuovi Studi Angioini. Trani, 1937. R. ROMANO, La storiografia italiana oggi. Milano, 1978. M. SIMONETTI, Storiografia e politica avanti la grande guerra. Romolo Caggese fra revisionismo e meridionalismo (1911-1914). In: Archivio Storico Italiano. Firenze, 1973. STORIA D’ITALIA. Vol. IV. Dall’Unità a oggi. Tomo Il. La Cultura. Torino, 1975. G. TURI, Il progetto dell’Enciclopedia italiana: l’organizzazione del consenso fra gli intellettuali. In: Studi Storici Roma, 1972. N. 1. 56 SCRITTI DI ROMOLO CAGGESE (In ordine cronologico) 1. K. Lamprecht e la storia sociale. In: Medusa. S. 1. 2 marzo 1902. (recensione) 2. Una cronaca economica del secolo XIV. In: Rivista delle Biblioteche e degli Archivi - Periodico di Biblioteconomia e di Bibliografia. Di Paleografia e di Archivistica. Firenze. N. 7-8. LuglioAgosto 1902, p. 97-116. 3. Niccolò Rodolico, Cronaca Fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani. In: Rivista Storica Italiana. Roma. Luglio 1905. (recensione) 4. Su l’origine della parte guelfa e le sue relazioni col Comune. 1903. «Estratto dall’Archivio Storico Italiano. Dispensa LV del 1903 », p. 47. 5. Il Comune rurale di Tredozio e i conti da Romena. Firenze. Tip. Galileiana, 1904. « Per nozze Schiaparelli - Vitelli », p. 14. 6. Michele Lupo Gentile, Studi sulla storiografia fiorentina alla Corte di Cosimo de’ Medici. In: Tempi Moderni. Bari 1905. (recensione) 7. Giulio Coggiola, Ascanio della Cornia e la sua condotta negli a vvenimenti del 1555-1556. In: Tempi Moderni. Bari 1905. (recensione) 8. Intorno alla origine dei Comuni Rurali in Italia. Roma 1905. « Estratto dalla Rivista Italiana di Sociologia. Fasc. II. Marzo-Aprile 1905 », p. 42. 9. La Repubblica di Siena e il suo con tado nel secolo decimoterzo. In: Bullettino Senese di Storia Patria. XIII [1906], p. 120. 10. Ai piedi del Vesuvio. (Eruzione del 21 maggio 1906). In: Florentia Nova. Firenze 1906, p. 3. 11. Una vecchiezza gloriosa. P. Villari. In: Il Marzocco. Firenze 6 ottobre 1907. 12. L’insegnamento della Storia nelle Università. In: Il Marzocco. Firenze 7 novembre 1907. 13. Note e documenti per la storia del Vescovado di Pistoia nel secolo XII. Pistoia 1907. « Estratto dal Bullettino Storico Pistoiese. Fasc. 4 », p. 55. 14. Classi e Comuni rurali nel Medio Evo Italiano. Saggio di storia economica e giuridica di Romolo Caggese. Firenze, Tip. Galiieiana - Ed. O. Gozzini, 1907-1909. 15. L’opera di R. Davidsohn. Documenti e storia di Firenze. In: Il Marzocco. Firenze 5 gennaio 1908. 16. La storia di Firenze di R. Davidsohn. In: Il Marzocco. Firenze 1 marzo 1908. 17. Etnografia, Storia e Politica. A proposito del nuovo « Museo di Etnografia Italiana ». Rocca S. Casciano. «Estratto dalla 57 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ Rassegna Contemporanea. N. 3 », p. 19, 6 tav. f.t. 18. La situazione in Puglia. In: Il Pungolo. Napoli 11-12 gennaio 1909. 19. Nuovi orizzonti della storiografia moderna. Prolusione ad un corso libero di Storia moderna tenuta nella Regia Università di Napoli il 3 Dicembre 1908. Rocca S. Casciano, Tip. Cappelli, 1909, p. 39. 20. La crisi del partito socialista. (A proposito del Congresso Nazionale). In: La Rivista Popolare. Roma 1910. Fasc. I-II. 21. Foggia e la Capitanata. Bergamo, ed. Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1910, p. 144, 5 tav. n.t. 22. Statuti della Repubblica Fiorentina editi a cura del Comune di Firenze da Romolo Caggese. Vol. I: Statuto del Capitano dei Popolo degli anni 1322-25. Vol. II: Statuto del Podestà dell’anno 1325. Firenze, ed. Comune di Firenze, 1910-1921. 23. Chiese parrocchiali e Università rurali. Pavia 1911. « Estratto da Studi Storici. XX - 2 », p. 48. 24. Cinquant’anni di studi storici in Italia. In: Le Cronache Letterarie. S.I. 24 settembre - 22 ottobre 1911. 25. Gaetano Salvemini storico. In: Gaetano Salvemini. Prime elezioni generali a suffragio universale. 26 ottobre 1913. Collegi di Bitonto e Molfetta. Bari, tip. Cooperativa Tipografica. 1913, p. 9-15. 26. Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento d’Italia. Firenze, ed. Succ. B. Seeber e F. Lumachi, 1912-1921. (Voll. 3) 27. Oro, incenso e mirra. In: Il Secolo. Milano 22 gennaio 1913. 28. Il problema delle classi medie. In: Il Secolo. Milano 9 marzo 1913. 29. La crisi del Partito Radicale. In: Il Secolo. Milano 17 aprile 1913. 30. Programmi elettorali. In: Il Secolo. Milano 26 aprile 1913. 31. Il Mezzogiorno e lo Stato italiano. In: Rassegna Contemporanea. Roma. N. 11. 10 giugno 1913, n. 731-751. 32. 1 pericoli del regionalismo. In: Il Secolo. Milano 27 giugno 1913. 33. La crisi del lavoro e lo Stato. In: Il Secolo. Milano 4 luglio 1913. 34. La mobilitazione clericale. In: Il Secolo. Milano 31 luglio 1913. 35. 1 socialisti al bivio. In: Il Secolo. Milano 20 agosto 1913. 36. Il dazio sul grano e l’agricoltura meridionale. In: Il Secolo. Milano i settembre 1913. 37. Corruzione elettorale e problema meridionale. In: Il Secolo. Milano 10 settembre 1913. 58 __________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA 38. I moribondi della prima Camera italiana. In: Il Secolo. Milano 16 settembre 1913. 39. La questione meridionale. In: Il Secolo. Milano 23 settembre 1913. 40. I partiti politici e il Mezzogiorno. In: Il Secolo. Milano 6 ottobre 1913. 41. L’insurrezione della plebe. Le elezioni nel Mezzogiorno. In: Il Secolo. Milano 26 ottobre 1913. 42. L’ora della riscossa. In: Il Secolo. Milano 7 novembre 1913. 43. La crisi liberale. In: Il Secolo. Milano 16 novembre 1913. 44. Stato e Chiesa. In: il Secolo. Milano 8 dicembre 1913. 45. Dove andiamo?. In: Il Secolo. Milano 24 dicembre 1913. 46. Problemi amministrativi e democrazia. In: L’idea Democratica. Roma 28 dicembre 1913. 47. il lavoro italiano e la Libia. In: L’Idea Democratica. Roma 18 gennaio 1914. 48. L’inevitabile. In: L’idea Democratica. Roma 22 febbraio 1914. 49. Lo Stato colonizzatore?. In: L’idea Democratica. Roma 5 aprile 1914. 50. Movimento operaio e partiti democratici. In: L’idea Democratica. Roma 17 maggio 1914. 51. Senza uscita. In: L’Idea Democratica. Roma 21 giugno 1914. 52. Per la resurrezione economica dell’Italia. In: L’Idea Democratica. Roma 12 luglio 1914. 53. Le elezioni amministrative di Napoli. In: L’Idea Democratica. Roma 26 luglio 1914. 54. «Sono costretto a sfoderare la spada... ». In: L’idea Democratica. Roma 9 agosto 1914. 55. Il dilemma per l’italia. In: L’Idea Democratica. Roma 23 agosto 1914. 56. La coscienza italiana e la Germania. In: L’idea Democratica. Roma 4 ottobre 1914. 57. L’agonia della neutralità. In: L’idea Democratica. Roma 18 ottobre 1914. 58. Premesse e conseguenze. In: L’Idea Democratica. Roma 31 ottobre 1914. 59. Illusioni balcaniche. In: L’idea Democratica. Roma 14 novembre 1914. 60. Il male antico. In: L’Idea Democratica. Roma 16 gennaio 1915. 61. La Chiesa degli Absburgo. In: L’Idea Democratica. Roma 30 gennaio 1915. 62. Perché si combatte?. In: L’idea Democratica. Roma 20 febbraio 1915. 59 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ 63. A proposito di trattative. In: L’idea Democratica. Roma 27 marzo 1915. 64. Discussioni tendenziose. In: L’Idea Democratica. Roma 24 aprile 1915. 65. La preoccupazione russa. In: L’Idea Democratica. Roma 8 maggio 1915. 66. Il lavacro morale. In: L’idea Democratica. Roma 22 maggio 1915. 67. Gli scritti politici di Antonio Salandra. In: Rivista d’Italia. Roma. Fase. V, 31 maggio 1915, p. 709-728. 68. La logica della guerra. In: L’Idea Democratica. Roma 5 giugno 1915. 69. Mercanti ed eroi. In: L’idea Democratica. Roma 19 giugno 1915. 70. La neutralità del Vaticano. In: L’Idea Democratica. Roma 3 luglio 1915. 71. Guardando all’avvenire. In: L’idea Democratica. Roma 17 luglio 1915. 72. I convertiti. In: L’Idea Democratica. Roma 31luglio 1915. 73. Il piccolo agguato. In: L’Idea Democratica. Roma 14 agosto 1915. 74. Il conflitto nuovissimo. In: L’idea Democratica. Roma 28 agosto 1915. 75. Gli Americani in vedetta. In: L’Idea Democratica. Roma 11 settembre 1915. 76. Per la dignità della cultura italiana. In: L’Idea Democratica. Roma 25 settembre 1915. 77. Quando è cominciata la crisi del marxismo. In: Il Marzocco. Firenze 3 ottobre 1915. 78. La guerra e il libro. In: L’Idea Democratica. Roma 9 ottobre 1915. 79. Concordia e libertà. In: L’Idea Democratica. Roma 23 ottobre 1915. 80. La Quadruplice e i Balcani. In: L’idea Democratica. Roma 6 novembre 1915. 81. Il Punto di vista democratico. In: L’idea Democratica. Roma 13 maggio 1916. 82. Responsabilità democratiche. In: L’Idea Democratica. Roma 17 giugno 1916. 83. La scuola italiana e la guerra. In: L’Idea Democratica. Roma 6 agosto 1916. 84. La scuola professionale e la guerra. In: italianissima. Rivista mensile inviata a tutti i soci della « Fratelli d’Italia ». Milano. N. 4. 10 settembre 1916, p. 12-13. 85. Il Mezzogiorno d’Italia e la guerra. Firenze. 1916. « Estratto dalla Rivista delle Nazioni Latine. N. 7. 10 novembre 1916 », p. 17. 60 __________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA 86. Il prologo della tragedia europea. Conferenza detta in Roma per la Latina Gens al Teatro delle Quattro Fontane il 6 gennaio 1918. Roma, tip. Impr. Gen. d’Affissioni e Pubblicità, 1918, p. 12. 87. Vita provinciale: Napoli vecchia, bisogni nuovi. In: Rivista d’Italia. Milano. Fase. V. 31 maggio 1919, p. 134-138. 88. Gli studi storici e l’ora presente. In: Rivista d’Italia. Milano. Fase. XI. 30 novembre 1919, p. 285-315. 89. Leonida Bissolati. In: Rivista d’italia. Milano. Fase. V. 15 maggio 1920, p. 86-101. 90. Vita provinciale: Sperduti nel buio. In: Rivista d’Italia. Milano. Fase. I. 15 gennaio 1920, p. 117-122. 91. Ettore Ciccotti. In: Rivista d’Italia. Milano. Fase. V. 15 maggio 1920, p. 360-378. 92. Roberto D’Angiò e i suoi tempi. Firenze, ed. R. Bemporad, 19211930. (Voll. 2). 93. Prato nell’età di Dante. Conferenza tenuta da Romolo Caggese nel salone dei Misoduli in Prato il 5 novembre 1921. Prato, ed. La Tipografica, 1922, p. 26. 94. Storia del commercio. Ad uso dei RR. Istituti Commerciali. Firenze, ed. Soe. Anonima Perrella, 1922, p. 305. 95. Mirabeau. Bologna, ed. N. Zanichelli, 1924, p. XI, 361. (Le Grandi Civiltà. Uomini e Movimenti rappresentativi. Collezione diretta da Guido Manacorda). 96. Giovanni Pipino conte d’Altamura. In: Studi di Storia Napoletana in onore di Michelangelo Schipa. Napoli, 1926, p. 141-165. 97. È possibile in italia una storia d’italia?. In: Corriere della Sera. Milano. 7 febbraio 1926. 98. La guerra e la sua storia. In: Corriere della Sera. Milano. 24 febbraio 1926. 99. Della vita di Mirabeau. In: Corriere della Sera. Milano. 24 maggio 1926. 100. Pasquale Villari. Nel primo centenario della nascita (18271927). In: Rivista d’italia. Milano. Fase. X. 15 ottobre 1927, p. 214-231. 101. Ciò che è vivo nel pensiero di Machiavelli. In: Rivista d’italia. Milano. Fase. VI. 15 giugno 1927, p. 359-375. 102. Storia Moderna, I. Il secolo della dominazione spagnola nella storta della nazione italiana, II. Dal Medioevo alla fine del Rinascimento. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista. 1928-1929. (lezioni). 103. Il Settecento, Il secolo dei pensatori e dei riformatori. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia. 1929. (lezioni). 104. Italy 1313-1414. In: Cambridge Medieval History. Vol. VII, p. 49-76. 61 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ 105. Storia Moderna. La storia diplomatica d’Europa nel sec. XIX. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista.1929-1930.(lezioni). 106. La Rivoluzione Unitaria Italiana. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia 1930. (lezioni). 107. La civiltà comunale e la originalità della storia della nazione italiana. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia. 1931. (lezioni). 108. Il trionfo delle signorie cittadine e il rinascimento politico d’Italia. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia.1932.(lezioni). 109. Lezioni di Storia Moderna. L’età comunale in Italia. Milano, tip.Bruni-Marelli,1931-1932.(lezioni). 110. Corso di Storia Moderna. Il Cinquecento. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista « Ugo Pepe ». 1932-1933. (lezioni). 111. Il Cinquecento. Luci ed ombre nel Cinquecento politico italiano, in: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri.Perugia.Perugia.1933.(lezioni). 112. Ciò che resta della questione meridionale. In: Nuova Antologia.Roma.Vol.CCCLXV.1933,p.347-366. 113.Da Metternich a Mussolini. In: Nuova Antologia. Roma.Vol.CCCLXVIII.1933,p.334-351. 114.Il Seicento. Dominazione straniera e fermenti di indipendenza nell’Italia del Seicento. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia. 1934. (lezioni). 115.Storia Moderna. L’ordinamento della Società Italiana nel secolo IX. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista« Ugo Pepe».1935.(lezioni). 116.La Civiltà italiana da Gregorio VII a Bonifacio VIII. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista « Ugo Pepe ». 1936. (lezioni). 117.L’epistolario di Letizia Bonaparte. In: Nuova Antologia. Roma.Vol.CCCXCI.1937, p.103-115. 118.L’Alto Medioevo. Torino, ed. U.T.E.T. 1937 (Grande Storia d’Italia) 119.Il Trecento e gli albori del Rinascimento. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista « Ugo Pepe » 1937. (lezioni). 120.Dal Concordato di Worms alla fine della prigionia di Avignone (1122-1377). Prefazione di Corrado Barbagallo. Torino,ed. U.T.E.T. 1939. (Grande Storia d’Italia). A NTONIO VENTURA 62 UN INEDITO PRIVILEGIO TRANESE DEL 1647 CONSERVATO PRESSO LA BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA Presso la sezione manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia esiste un piccolo fondo diplomatico costituito prevalentemente di documenti privati; l’unico documento pubblico è un privilegio di Filippo IV indirizzato a Francesco Mondelli, per confermargli l’acquisto dell’ufficio di doganiere della città di Trani. Quella di vendere gli uffici pubblici era una consuetudine già praticata dalla dinastia aragonese e, successivamente, conservata dagli Spagnoli soprattutto al fine di assicurare una presenza costante e diffusa di funzionari pubblici nelle province e di mantenere permanentemente in funzione al centro un numero di uffici che facessero sentire in ogni momento alla periferia il peso dei poteri pubblici. Un’organizzazione burocratica così opprimente e l’indiscutibile superiorità politico-militare del governo centrale avevano determinato la lenta ed inesorabile decadenza del Viceregno di Napoli ad un ruolo di secondo piano nella politica internazionale. Di conseguenza, anche Trani aveva visto finire la sua floridezza e la funzione del suo porto nella vita pugliese tra fine XVI ed inizio XVII secolo, quando la città sfinita e stanca viveva ormai una irreversibile crisi economico-sociale, accelerata dalla presenza della Sacra Reale Udienza, che contribuì in modo determinante a cambiare il corso delle sue vicende e della sua attività. La decadenza economica, a Trani, era stata anche accompagnata da una notevole flessione della popolazione che, dopo i disastri dell’invasione franco-veneta del 1528-1529, era scesa nel 1532 a 716 fuochi e nel 1627 ad appena 600. Il governo dell’Università, inoltre, aveva subito un grave processo involutivo a danno della democrazia: esisteva sempre, è vero, il consiglio annuale di sessanta membri, egualmente ripartiti tra nobili, mercanti e plebei; ma, a partire dal secolo XV, ebbe solo una funzione formale, perché la nobiltà cittadina e quella più antica feudale, dopo aver lottato tra loro, si coalizzarono ed attraverso i Seggi esercitarono il vero potere, soprattutto dal secolo XVI in poi, quando nella città decadde e quasi scomparve del tutto l’elemento mercantile e commerciale. 63 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ I Seggi a Trani erano quattro ed erano così designati: dell’Arcivescovado, di Portanova, del Campo dei Longobardi e di San Marco. Il primo era situato sotto l’atrio delle scale della chiesa arcivescovile e verso la metà del XVI secolo venne trasportato in un portico ceduto dal capitolo della cattedrale; il secondo, vicino al monastero dei frati Agostiniani, sembra si chiamasse in precedenza di Sant’Andrea, nome che cambiò, poi, in quello di Portanova, al momento dell’apertura di questa porta sotto il dominio dei Veneziani; il terzo era davanti la chiesetta di Santa Maria del Campo dei Longobardi; il quarto si chiamava di San Marco dalla chiesa omonima presso la quale sorgeva. Quelle dei Seggi, in origine, erano state circoscrizioni topiche abbraccianti la nobiltà dei singoli rioni, alla quale soltanto spettava deliberare le nuove ascrizioni. L’appartenenza ai Seggi dava adito al Consiglio ed ai pubblici uffici e tutti i suoi membri appartenevano di diritto al Generale Parlamento. E evidente, quindi, come la nobiltà fosse gelosissima di questa sua prerogativa e rendesse ogni nuova ammissione estremamente difficile. In questo modo la nobiltà cittadina limitò sempre di più i compiti dell’Università sino a restringerli solo alla elezione degli ufficiali del Comune, alla ripartizione dei pesi fiscali ed alla polizia della città. Insieme con i nobili divideva il potere a Trani il Capitano, il più importante dei magistrati, il diretto rappresentante dell’autorità regia, l’anello di congiunzione tra il sovrano e la Università. Solo a lui spettava la convocazione del consiglio e la preventiva approvazione degli argomenti da discutere; nella votazione prevaleva sempre il suo parere e dinanzi a lui i consiglieri eletti giuravano di adempiere fedelmente il loro ufficio. Durante il Viceregno il suo potere si accrebbe notevolmente sino a restringere sempre di più la libertà dei cittadini e divenire strumento di oppressione e tirannia. Compito del capitano era pure l’amministrazione della giustizia nelle cause di prima istanza e, a partire dal secolo XVI, in quelle d’appello per le sentenze emanate dai mastri mercato durante le fiere. Quando esercitava questa delicata funzione era accompagnato da un seguito composto da uno o più assessori, dal mastro d’atti e da alcuni soldati, tutti estranei alla città. Minore autorità del capitano avevano nell’amministrazione della giustizia penale e civile i Baiuli, alla cui curia spettava svolgere compiti di polizia campestre; approvare i mundualdi che dovevano assistere la donna negli atti civili e pubblicare i bandi per l’amministrazione dei dazi da riscuotere. Magistrature speciali erano, infine, a Trani quelle del Mastro 64 _____________________________________________________________UN INEDITO PRIVILEGIO TRANESE mercato e del Protontino; uno aveva giurisdizione civile e criminale nel periodo delle fiere, l’altro era il tipico ufficiale delle città marittime che non solo aveva cura del naviglio ma, fatto importante, esercitava anche giurisdizione su tutta la gente di mare. Altri ufficiali nominati direttamente dal governo centrale erano il Castellano, che deteneva il potere militare; il Mastrodatti della città; il Regio archivario del maestro portolano di Puglia ed il Doganiere. La maggior parte di questi uffici, lo si è detto, venivano acquistati dalla nobiltà locale che, in questo modo, non solo realizzava lauti guadagni, ma otteneva anche protezione dai supremi ufficiali del regno e privilegi che di solito ricadevano su quanti, non potendo unirsi agli oppressori, restavano necessariamente oppressi. I Mondelli acquistarono sin dalla fine del XVI secolo l’ufficio di doganiere. Questa famiglia era ascritta al sedile dell’Arcivescovado con quelle dei Bonismiro, De Pando, Rocca e Rogadeo; era venuta a Trani negli ultimi anni del secolo XV, il primo a stabilirvi la sua dimora da Ruvo, dove prima abitava, fu Marco Antonio, marito di Ginevra Pignatelli, dama della regina Isabella d’Aragona. Un figlio di lui si unì alla nobiltà tranese, sposando Lucrezia Pagano; un altro, invece, Alessandro, fu nominato da Carlo V conte palatino nel 1536. La famiglia Mondelli continuò a mantenere la dogana di Trani ancora nel 1645, perché il documento che qui si trascrive contiene la conferma di Filippo IV all’acquisto da parte di Francesco Mondelli dell’ufficio di doganiere, già appartenuto al defunto cugino Francesco. Per la trascrizione sono state seguite le norme per la pubblicazione dei documenti pubblicati dal Pratesi sull’Archivio Storico Pugliese del 1964. 65 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ BIBLIOGRAFIA F. CARABELLESE, La Puglia nel secolo XV da fonti inedite. Bari, 1901. F. CARABELLESE, La Puglia nel secolo XV. Parte II: Documenti di Bari, Giovinazzo, Trani. Bari, 1907. R. COLAPIETRA, Profilo storico-urbanistico di Trani dalle origini alla fine dell’Ottocento. In: Archivio Storico Pugliese. Bari, 1980. S. NISIO, Degli « Ordinamenta et consuetudo maris » di Trani. In: Archivio Storico Pugliese. Bari, 1963. E. NOYA DI BITETTO, Blasonario Generale di Terra di Bari. Bologna, 1969. [ristampa anastatica]. A. PRATESI, Norme per la pubblicazione delle fonti documentane nel « Codice Diplomatico Barese ». In: Archivio Storico Pugliese. Bari, 1964. V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli. Contributo alla storia civile e commerciale di Puglia nei secoli XV e XVI. Bari, 1912. 66 IL DOCUMENTO 1645 marzo 27, Saragozza Filippo IV di Spagna conferma solennemente a Francesco Mondelli l’acquisto dell’ufficio di doganiere della città di Trani che gli era stato già concesso il sedici maggio milleseicentoquarantatrè, alla mo rte del cugino, dietro pagamento della terza parte del suo valore, corrispondente a quattrocento ducati. Originale, Biblioteca Provinciale di Foggia, senza collocazione archivistica. [A]. Sul verso, capovolto rispetto alla scrittura del documento: « Confirmacion en forma de la ampliacion que se concedio en Naples a Francisco Mondelo de su officio de Dohanero de la Dohana de la Ciudad de Tranì para la vida de un heredo en que ha succedido Francisco Mondelo su sobrino. El Consejo ». E la segnatura originale « 153 fol. ». La pergamena (mm. 390 x 760) è in ottimo stato di conservazione e su di essa è chiaramente visibile il sigillo impresso e la rigatura a secco. (S.I.) † Philippus Dei gratia † rex Castellae Aragonum Legionis utriusque Siciliae Hierusalem Portugaliae Hungariae/ Dalmatiae Croaciae Navarrae Gianatae Toleti Valentiae Galleciae Maioriearum Hispalis Sardiniae, Cordubae, Corsicae Murtiae Giennis Algarbii Algezirae Gibraltaris Insularum Canariae necnon Indianarum Orìentalium et Occidentalium Insularum/aeternae firmae maris Oceani. Archidux Austriae. Dux Burgundiae Bra- 67 ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________ bantiae Medìolani Athenarum et Neopatriae. Comes Habspurgii Tyrolis Barcinonae Rossilionis et Ceritaniae. Marchio Oristani et Goceani.Universis et sin=/gulis praesentium seriem inspecturis tam praesentibus quam futuris nomine fidelis nobis dilecti Francisci Mondeli dohanerii Dohane civitatis nostrae Trani in Citerioris nostro Siciliae Regno expositum nobis fuit per Regiam Curiam eiusdem Regni/concessam fuisse quondam Francisco Mondelo avunculo suo amphationem officii praedicti ad vitam unius heredis a se nominandi soluta per ipsum tertia parte valoris ipsius quod est quatuor centorum ducatorum, virtuteque dictae ampliationis, no=/minatum fuisse dictum Franciscum Mondelum consobrinum suum in officio praedicto prout ex literis nostrae Regiae Camerae Summariae sub die deeimo sexto mensis Maii anni praeteriti millesimi sexcentesimi quadragesimi tertii ad quas relatio habea / tur latius patet cumque nobis humiliter supplicaverit ut dictam ampliationem modo ut praefertur concessam approbare et confirmare dignaremur. Nos praefata petitione benigne suscepta eius votis hac in re libenter annuendum decrevimus. Tenore igitur praesen / tium ex certa scientia regiaque auctoritate nostra deliberate et consulto ac ex gratia speciali maturaque Sacri nostri Supremi Consilii accedente de liberatione praefatam ampliationem ut supra concessam de praedicto officio dohanerii Dohanae civitatis nostrae Trani in dicto Citerio/ris nostro Siciliae Regno omniaque et singula superinde contenta declarata et expressa iuxta earum seriem continentiam et tenorem laudamus approbamus ratificamus et confirmamus et quatenus opus sit denovo concedimus dicto Francisco Mondelo vita sua durante ac/,dum de nostra mera et libera voluntate proeesserit, nostraeque huiusmodì laudationis approbationis ratificationis et confirmationis munimine seu praesidio roboramus et validamus. Volentes et expresse decernentes quod praesens nostra approbatio ratificatio et confirmatio/sit et esse debeat praedicto Francisco Mondelo stabilis realis valida atque firma, nullumque in iuditiis aut extra sentiat imp ugnationis obiectum defectus incommodum aut noxae cuiuslibet alterius detrimentum sed in suo semper robore et firmitate persistat non/obstantibus legibus constitutionibus consuetudinibus ordinationibus et aliis in contrarium facientibus etiam si talia forent de quibus specialis et individua mentio fieri debuisset quibus omnibus et singulis hoc in casu derogamus et derogatum esse volumus, in caeteris vero/in suis robore et firmitate permansuris, et ut praemissa quem volumus sortiantur effectum serenissimo propterea Balthasari Carolo principi Asturiarum et Gerundae ducique Calabriae filio primogenito nostro carissimo ac post foelices et longoevos dies nostro in omnibus/regnis et dominiis nostris, Deo propitio, immediato heredi et legitimo successori intentum aperientes nostrum sub 68 _____________________________________________________________UN INEDITO PRIVILEGIO TRANESE paternae benedictionis obtentu dicimus eumque rogamus. Illustribus vero Spectabilibus Nobilibus Magnificis Dilectis Consiliariis et fidelibus nostri Proregi/Locumtenenti et Capitaneo Ge nerali nostro Magno Camerario Protonotario Magistro Iustitiario eorumque Locumtenentibus Sacro nostro Consilio Castri Capuanae Praesidentibus et Rationalibus Camerae nostrae Summariae Regenti et Iudicibus Magnae Curiae Vicariae Scribae/ portionum Thesaurario nostro Generali seu id officium regenti, Advocatis quoque et Procuratoribus fiscalibus caeterisque demum universis et singulis officialibus et subditis nostris maioribus et minoribus quocumque nuncupatis titulo officio auctoritate et potestate fungen= /tibus tam praeteritis quam futuris in eodem Regno constitutis et constituendis dicimus praecipimus et iubemus. Quatenus forma praesentium per eos et eorumquemlibet diligenter inspecta illam dicto Francisco Mondelo ad unguem et inviolabiliter teneant firmiter et observent/tenerique et inviolabiliter observari faciant per quoscumque, contrarium nullatenus tentaturi ratione aliqua sive causa si dictus serenis simus princeps fihius noster charissimus nobis morem gerere, caeteri autem officiales et subditi nostri praedicti gratiam nostram caram habent/ac praeter irae et indignationis nostrae incursum poenam ducatorum mille nostris inferendorum aerariis cupiunt evitare. Respectu vero iuris dimidiae annatae cum nobis constare fecerit dictus Franciscus Mondelus solutos fuisse ducatos triginta sex pro prima solutione dicti iuris/assumptamque fuisse de eo rationem hic pro cautela annotari volumus, in cuius rei testimonium praesentes fieri iussimus nostro magno negotiorum praefati Citerioris Siciliae Regni sigillo impendenti munitas. Datum in civitate nostra Caesaraugusta die vigesimo septimo/mensis Martii anno a nativitate Domini millesimo sexcentesimo quadragesimo quinto, regnorum autem nostrorum anno vigesimo quinto. YO EL REY Dominus Rex mandavit mihi Don Inico Lopez de Carate Vidit Dotenzanus D(ominu)s Vidit Caracciolus D(ominu)s S(tim)at dueatos duos tarenos duos Ruiz de Arichulet taxator In Privilegiorum Neapolis - 22 - folio 100. 69 GIORNALI, GIORNALISTI E PUBBLICISTI A MANFREDONIA Su questo argomento si conosce poco o niente; si sono occupati per inciso solo Michele Magno1 e Giuseppe D’Addetta2 . Il giudizio che il Magno esprime sulla pubblicistica locale è molto severo; nel suo volume « Lotte sociali e politiche a Manfredonia » egli così scrive: «…..A Manfredonia, viceversa, manca qualsiasi iniziativa di rilievo nel campo pubblicistico. Nel 1902 vengono pubblicati alcuni numeri del ‘Corriere Sipontino’, organo per le feste estive, guida settimanale de’ bagnanti, sotto la direzione di un foggiano, il pubblicista Vincenzo Padalino, e con sedi a Foggia e Manfredonia. Poi ad iniziativa di alcuni laici, il 26 luglio 1908, si pubblicherà un giornaletto intitolato Ruit Hora’ e, sul finire del primo decennio di questo secolo, sarà diffuso un numero unico con il titolo ‘La Corrida’. Perfino nella corrispondenza dai comuni che pubblicano « Il Corriere delle Puglie » di Bari, ‘Il Foglietto’ ed altri periodici, le note di cronaca da Manfredonia sono rare e meno interessanti di quelle che giungono da altri comuni: fenomeno indicativo di un ambiente socialmente e culturalmente molto arretrato, anche dopo il primo decennio di questo secolo, quando, con 1’assunzione da parte dell’avv. Angelo Donnamaria alla direzione del ‘Gazzettino del Gargano’ di Monte S. Angelo, questo foglio darà ampio spazio alle diatribe municipalistiche manfredoniane ». Se è così in quegli anni non è che le cose siano andate meglio dopo. Nel 1915, e per qualche annata, si pubblica la rivista « La Puglia Municipale », diretta da Francesco Lo Balsamo, segretario capo al Comune di Manfredonia; la rivista ha solo carattere amministrativo. Dobbiamo arrivare al 1942, per quello che ci è dato sapere, per vedere pubblicati alcuni numeri de’ « La Prora », bollettino quindicinale del Fascio di combattimento, edito dalla tipografia O. Bilancia di Manfredonia e diretto da Luigi Rogato. E sempre alcuni numeri appaiono nel 1958 e nel 1959 del Periodico apolitico indipendente », denominato « Il Vessilli- 1 MAGNO M.: Lotte sociali e politiche a Manfredonia, CESP, 1973. D’ADDETTA G.: Giornali e giornalisti garganici, Quaderno n. 1 de « Il Gargano », Cappetta, Foggia, 1952. 2 70 ________________________________________________________GIORNALI GIORNALISTI PUBBLICISTI . . . 71 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ fero », il cui direttore è Matteo Capurso. Appariranno, poi, dei numeri unici in occasione delle elezioni, a cura dei partiti politici, o per avvenimenti occasionali come: « Campanile sera » (agosto 1960); « La Corrente del Golfo », per le feste goliardiche del 1964, del 1966, del 1967 e del 1968; «Il Campanile », redatto il 1970, in occasione dell’ingresso nella Diocesi Sipontina di mons. Valentino Vailati, arcivescovo della Città; « Atletica Sipontina » (del 1973), a cura dell’U.S. Manfredonia e della SAF Manfredonia, diretto da Michele Losito; « Incontro », a cura dell’AIAS di Manfredonia, diretto da Matteo Di Turo; « Il Clandestino » (1965), diretto da Michele di Palma, con intenti studenteschi-goliardici. Fra i fogli ad iniziativa politica si hanno: — Realtà Sipontina, a cura della D.C., edito nel 1956 e nel 1970. — Energie Nuove, a cura del P.L.I., nel 1969; lo stesso partito, poi, nel 1974 cura la pubblicazione del « Comizio Liberale », con una nutrita serie di numeri unici, ai quali viene cambiata la denominazione in « Riscossa Liberale ». — Il Risveglio di Manfredonia (nel marzo del 1970) e Cronache di Manfredonia (nel maggio del 1970), a cura del P.C.I. — Avanti Manfredonia, a cura del P.S.I., pubblicato sempre nel 1970. — La Voce Repubblicana, edizione di Manfredonia, a cura del P.R.I.. pubblicato nel 1974. Ma la testata politica di più ampio respiro è stata quella edita a cura del P.C.I.: « La Voce di Manfredonia » che, uscita nel 1971, come numero unico, ha noi proseguito periodicamente dal 5 luglio 1973 al 23 maggio 1976. E’ seguita una interruzione di tre anni, per riprendere il 15 dicembre 1979 ed interrompersi ancora il 24 maggio 1980. Con carattere culturale è apparso nel 1974 il numero unico « L’Ipotesi », direttore Domenico Piemontese, al quale ha fatto seguito alcuni anni dopo (novembre 19791 il mensile politico-culturale: « Dimensioni Sud ». alla cui direzione è chiamato Matteo Di Turo. La rivista non ha avuto vita facile, tanto che da Manfredonia è passata in proprietà ad alcuni « mecenati » di Barletta, nella quale città oggi si pubblica, sempre sotto la stessa direzione. Ha avuto vita brevissima, solo tre numeri. « Tele Manfredonia », il 1978 e il 1979, a cura dell’omonima emittente locale, diretto da Matteo Di Sabato. E’ ancora fresca di inchiostro l’ultima esperienza giornalistica di Manfredonia: « Gargano oggi », la cui testata, in saggi di prova, ebbe vita a S. Giovanni Rotondo. Non ci pare il caso di menzionare i giornaletti parrocchiali o scolastici, che pur meritano di essere letti per la loro fresca ingenuità. 72 ________________________________________________________GIORNALI GIORNALISTI PUBBLICISTI . . . 73 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ In campo strettamente cattolico le cose sono andate in tutto altro modo. Dal 1933 viene pubblicato il Bollettino dell’Archidiocesi di Manfredonia e della Diocesi di Vieste, organo ufficiale per gli atti di Curia, che prende prima di nome di « Vita Cattolica » e poi di « Vita Diocesana ». Il periodico, prima mensile, e poi trimestrale, oltre ad essere una fonte importantissima per la storia del vescovado sipontino, ha ospitato saggi di Mauro Del Giudice, il giudice del processo Matteotti, nel 1937. E nel 1935, nonostante lo scioglimento delle azioni cattoliche, questo periodico fornisce i nomi dei relativi presidenti, come i Raffaele Diana, come i Raffaello Di Sabato e come i Berardino Tizzani, ecc. E sempre su Vita Cattolica e poi su Vita Diocesana sono apparsi i primi studi sipontini di Silvestro Mastrobuoni. Ma le stesse note degli Arcivescovi Gagliardi, Macchi, Cesarano, Cunial, Vailati, sono la chiara testimonianza del come il pensiero cattolico si sia venuto adeguando ai nuovi tempi. Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento è in voga, a Manfredonia, un altro tipo di pubblicistica: gli amministratori comunali si preoccupano di far conoscere all’opinione pubblica i bilanci gestiti e le opere effettuate, con una lunga serie di opuscoli che costituiscono una valida fonte bibliografica per la Storia della nostra città in quel torno di tempo. Fra questi autori citiamo: il Falconi (1888), il Borgia (1899), il Lo Balsamo (1903), il Cessa (1893), il Grassi (1905-1910), il Galli (1901), il Guerra (1903), il Bissanti (1907), ecc. Ma c’è di più, sempre a cavallo dei due secoli si hanno importanti pubblicazioni su Smonto e Manfredonia: dal D’Aloe (18771 all’Abatino (1902), dal Padalino (1900) al Marchianò (1903), dal Capuano (1909) al Camobreco (1913), che restano fondamentali per la storia della nostra città. E non va dimenticata la figura di amministratore illuminato, Vincenzo Capparelli, amante della propria città e finissimo pittore, che queste ricerche commissiona e stimola, curando egli stesso una raccolta di antichità sipontine, ora, in parte, presso Matteo Sansone a Mattinata. Tra i pubblicisti si annoverano, nei primi anni del Novecento, Y da Manfredonia, Eden da Manfredonia, rispettivamente corrispondenti de « Il Gazzettino del Gargano » (Monte S. Angelo) e della « Rune » (Carpino). Sul « Gazzettino del Gargano », con la ripresa delle pubblicazioni, scrivono: F.ta e Veritas, ed ancora: Effeù, Rudel e Belliger, oltre al Donnamaria, trasferitosi da Monte S. Angelo a Manfredonia; e tutti questi sui fogli del Gargano. Mentre, per quanto riguarda i giornali dauni, si hanno: 74 ________________________________________________________GIORNALI GIORNALISTI PUBBLICISTI . . . 75 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ Manf. su « Il Foglietto » (1907), Adone su « Il Rinnovamento »(1913), Lince, sullo stesso giornale, ed infine Anguis. Nel 1913, in occasione delle elezioni politiche, la battaglia giornalistica è accesissima; Manfredonia è sede di Collegio, e non disdegnano molti notabili locali di scrivere lettere ai vari direttori di giornali per smentire o per confermare il loro appoggio ai diversi ipotizzati candidati. Dal 1920 comincia a scrivere su « Il Foglietto » l’ing. Antonio Ferrara, con brillanti articoli sul movimento cooperativo dei lavoratori. Sullo stesso giornale scrive pure l’avv. Francesco De Padova che si occupa più strettamente dei fatti locali. Anche l’avv. Bartolomeo D’Onofrio, con le sue lettere al direttore, fa sentire la sua voce, già abbastanza autorevole. In quegli anni c’è pure un corrispondente de « Il Mattino », di cui non si conosce il nome. Altri corrispondenti da Manfredonia de’ « Il Foglietto» sono: Silpe, Alea, ecc. Continuando il vecchio stile del 1913 si hanno molte lettere al direttore, siglate da Raffaele Garzia e Pietro Simone; mentre Alfredo Petrucci, sulla rivista « Emporium », si occupa del Tempio di Siponto, che il « Marzocco » di Firenze e la « Stampa » di Torino recensiscono lodevolmente. I1 1922 (il 20 marzo) Manfredonia è scossa da un risveglio politico: si hanno dimostrazioni socialiste contro l’avv. Farina che coinvolgono pure il sindaco di allora. Si ha l’intervento dei carabinieri con qualche colpo di pistola. L’episodio riporta ampia eco sulla stampa e persino nel Parlamento nazionale. Dell’episodio si ha la versione delle parti sia sul « Foglietto » che su « Fiammata ». Su questo ultimo foglio scrive lo stesso avv. Farina. In questo periodo corrispondente del giornale di Cerignola è un non meglio identificato Bellum. Altro avvenimento che suscita l’interesse della stampa è la scoperta a Manfredonia, nel 1925, di una loggia massonica. Si denunciano, intanto, i vari problemi che affliggono Manfredonia: il porto, sul quale intervengono il Ferrara ed il Grassi, si ha persino la costituzione di un Comitato permanente con la relativa stampa di un opuscolo (Proporto di Manfredonia), le paludi, sulle quali interviene il Lo Balsamo (« Il Rinnovamento » del 24-4-1927). Intanto comincia a scrivere pure Michele Cainazzo, prima sul « Foglietto » e poi su « La Gazzetta del Mezzogiorno ». Dalle colonne di quest’ultimo quotidiano scrive su Manfredonia il giornalista Gino Maffucci. I tempi sono maturi, almeno culturalmente, perché Domenico Mario Simone pubblichi i « Quaderni pugliesi » e fonda e diriga « La Puglia a Roma ». Altro problema che affligge la campagna e la città di Manfredonia, specie nell’intorno del 1930, è la periodicità delle alluvioni, problema che, naturalmente, è oggetto di varie e continue corrispondenze. 76 ________________________________________________________GIORNALI GIORNALISTI PUBBLICISTI . . . Sempre nel 1930 un X e Domenico Maselli si occupano, rispettivamente, del turismo balneare e della storia di Manfredonia dalle colonne de’ « La Gazzetta del Mezzogiorno », già allora il massimo organo di informazione regionale. Inizia a scrivere da Manfredonia, dove si è trasferito da S. Marco in Lamis, Donato Apollonio, il quale porta al suo attivo l’esperienza de’ « Il Solco » e la direzione de’ « La Fionda » editi nella sua città natale. Un nuovo fecondo corrispondente nasce nel 1932, Vincenzo Palma, con minute notizie cittadine su’ « Il Foglietto »; e lo stesso anno Michele Bellucci pubblica su « Il Popolo Nuovo » un’ampia sintesi della storia di Manfredonia, ripresa poi da Luigi Pascale che, in quell’anno pubblica l’ultima edizione della sua « Antica e nuova Siponto » per i tipi di Conti e Rifredi di Firenze, arricchita di moltissime testimonianze storiche e dai cataloghi delle sue raccolte archeologiche e numismatiche. Nel 1934 esordisce Raffaello Di Sabato che scrive sul « Gazzettino »; gli articoli sulle effigi della Madonna di Siponto verranno poi ampliati nella pubblicazione « La Madonna di Siponto », edita nel 1935. Sempre nel 1932 appare una corrispondenza a firma di D.D. da « Il Foglietto » riguardante la spiaggia di Manfredonia, mentre all’inizio del 1937 si ha un’altra corrispondenza sul porto di Manfredonia, a firma di A.V.. In questo anno Alfredo Petrucci e Rosario Labadessa siglano rispettivamente due importanti articoli su « La Madonna di Siponto » (Il Gazzettino dell’8-5-1937) e su « La bonifica sipontina » (La Gazzetta del Mezzogiorno del 29-5-1937). Il 1939 (16 maggio) Michele Cainazzo firma un ottimo articolo su « La Gazzeta del Mezzogiorno » dal titolo: « La pesca delle seppie nel golfo di Manfredonia ». Il tema ha suscitato sempre molto interesse tanto che il Cannaviello 3 prima ed il de Angelis 4 poi ne hanno fatto oggetto di relative pubblicazioni nel 1915 e nel 1965. 3 CANNAVIELLO F.P.: La pesca delle seppie nel Comune di Manfredonia, Estratto dalla Rivista di Pesca e Idrologia, anno X (XV), 1915, n. 4-6. 4 DE ANCELIS R.: La pesca delle seppie nel golfo di Manfredonia, Roma, 1965. Sulla pesca delle seppie a Manfredonia cfr. pure: OGNISSANTI P.: La seppia a Manfredonia, in « Gargano Studi », Monte S. Angelo, 1978 (da pag. 32 a pag. 37) OGNISSANTI P.: La pesca delle seppie a Manfredonia, in « Lingua e Storia in Puglia », Siponto, 1979 (da pag. 121 a pag. 126). 77 78 ________________________________________________________GIORNALI GIORNALISTI PUBBLICISTI . . . Nell’immediato dopoguerra esordisce Raffaele Occhionero che sulle colonne de’ « Il Popolo Dauno » dibatte il problema, sempre attuale, del traffico portuale. E sullo stesso tema, l’Apollonio, dalle pagine de’ « La Gazzetta del Mezzogiorno », già nel 1940, scriveva un brillantissimo articolo. Su questo argomento, nel 1947, sempre sullo stesso quotidiano barese si ha un intervento di Arnaldo Di Nardi. Esordisce, intanto, Berardino Tizzani, prima su’ « Il Foglietto e poi su « Il Progresso Dauno », il tema preferito è la pesca. Negli anni ‘50 si ha un altro corrispondente de’ « Il Foglietto » da Manfredonia, Carlo Ferrara, il quale pubblica una nutrita serie di articoli sugli argomenti più vari. Scrivono pure su questo giornale, dal prestigioso passato, Silvestro Mastrobuoni e Cristanziano Serricchio. Il Mastrobuoni, in particolare, pubblica intensamente e produce le sue cose migliori che troveranno organica sistemazione nel volume « S. Leonardo di Siponto » (SED, Foggia, 1960). In questi ultimi anni si è avuta una nuova schiera di pubblicisti: Michele Apollonio (La Gazzetta del Mezzogiorno, Ansa, ecc.), Matteo Di Turo (Il Tempo), Matteo di Sabato (Il Mattino), ed ancora: Vincenzo Lillo, Marco Guerra, Michele Di Palma, Ruggiero Borgia, Roberto Caterino, Enzo D’Onofrio, N. Feltri, ecc. Una menzione a parte meritano Matteo Carpano e Michele Melillo. Matteo Carpano, parente dell’omonimo illustre parassitologo, pure di Manfredonia, ha firmato dei bellissimi articoli, fra il 1962 e il 1965, sul « Corriere della Pesca» di Pescara. Michele Melillo ha fondato a Siponto, da dove la dirige, la rivista « Lingua e Storia in Puglia », con la valida collaborazione di Pasquale Piemontese, che ne è l’editore con la casa editrice Atlantica, e di Pasquale .Caratù, che cura i saggi di dialettologia. Nel campo e editoriale l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo ha curato la pubblicazione di 10 quaderni, i cui autori sono noti5 , ed altre pubblicazioni, l’ultima delle quali « Andar per masserie » di N. De Feudis è fra le primissime, nel suo genere, in Puglia. L’iniziativa dell’Azienda di Soggiorno si innesta nel grande filone tracciato da Salomone Ottaviano, tipografo in Cosenza nel secolo XV, dalla stamperia dell’arcivescovado del 1680, da Mario Simone con le sue varie accurate edizioni. Restano poi alcune iniziative isolate che fanno capo a Giuseppe Antonio Gentile, con i suoi poderosi volumi su Siponto e su Manfredonia, alla Società di Cultura « Michele Bellucci » e, speriamo, alla Società 5 Gli autori sono: SERRICCHIO C., quaderni nn. 1, 4, 9; FERRARA A., quaderni nn. 5, 8; DE FEUDIS N., quaderni nn. 6, 10; VAILATI -DELLA MALVA, quaderno n. 3; FERRI - NAVA, quaderno n. 2; DI TURO M., quaderno n. 7. 79 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ di Storia Patria per la Puglia, sezione di Manfredonia. Mi pare doveroso accennare, qui, ai bollettini curati dalle Locali sezioni dei « Lions e del « Rotary », ad uso interno dei soci, ed in particolare alle pubblicazioni curate dal Comune di Manfredonia, quali: « Bollettino Sipontino » (1950-1951), « Quaderni del Comune » (19721973), « Il Libro Rosso dell’università di Manfredonia » (1974), con introduzione di Pasquale Di Cicco. PASQUALE OGNISSANTI 80 GLI EBREI A MANFREDONIA Le prime notizie certe sugli Ebrei di Siponto si hanno dal Ferorelli1 e dal Colafemmina2 . Dal Ferorelli3 si rileva che nel 1065 a Salerno dimora Melchisedeck, « magnus vir », di Siponto; mentre dal Colafemmina apprendiamo che .Siponto, « ... porto della penisola, risplendette nei secoli XI-XII per i suoi poeti, come Anan ben Merinos, e per i suoi maestri, come Isaac ben Melchisedeq... »4 . A proposito di quest’ultimo il Ferorelli, cambiando la data dal 1065 al 1165, scrive: « ... Si è, intanto, accennato che nel 1165 viveva a Salerno Melchisedeck di Siponto. Quivi si convertì, più tardi, con la famiglia un certo Leucio, e in suo favore, nel 1220, il pontefice esortava il priore del convento di S. Leonardo a non privarlo del sussidio di un’oncia all’anno, acciocché il poveretto ‘... ab aratro manu retracta, retro respicare non compellatur in ignominia nominis christiani... ‘ » 5 . Sulla scorta di quanto riferito dal Ferorelli abbiamo consultato il « Regesto di S. Leonardo di Siponto »6 , ma non abbiamo riscontrato alcuna indicàzione in merito ad una specifica presenza ebraica a Siponto; si rilevano solo dei nomi, di cui, però, non abbiamo certezza sulla loro fede religiosa: Nathanael ‘scriba’, attivo tra il 1151 ed il 11807 , e « Lia de Siponto », attivo alla fine del secolo XII8 . 1 FERORELLI N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, ristampa anastatica, Forni, Bologna, 1968. 2 COLAFEMMINA C, Gli Ebrei a Vieste, in « Rassegna di studi dauni », anno III, n. 3, luglio-settembre 1976. 3 FERORELLI N., op. cit., pag. 38, in nota viene citato: Beniant Tudel., Itinerarium, etc., p. 23. 4 COLAFEMMINA C., op. cit., pag. 49; in nota viene citato: cf. 3. SCHIRMA N., Gli albori della poesia ebraica in Italia, in «La Rassegna mensile d’Israel 24 35 (1969), p. 198; N. PAVONCELLO, La letteratura ebraica in Italia, Roma 1963, p. 10; A. TOAFF, Siponto, in EJJ, 14, 1617; C. COLAFEMMINA, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, in « Archivio Storico Pugliese » 28 (1975), p. 83. 5 FERORELLI N, op. cit., pag. 46. In nota viene citat o: Originali pergamene di Curia ecclesiastica, a. 1201-1247, vol. II, f. 19. 6 CAMOBRECO F., Re gesto di S. Leonardo di Siponto, Loescher, Roma, 1913. 7 CAMOBRECO F., op. cit. (d’ora in poi CAMOB.) docc. nn. 31, 39, 41, 45, 48, 65, 89. 8 CAMOBRECO F., op. cit., doc. n. 104. 81 Manfredonia: Via Maddalena (con scorcio Palazzo dei Celestini) _______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA Resta, comunque, la certezza della presenza ebraica a Siponto nel periodo Svevo; in tal senso si esprimono oltre che il Ferorelli9 anche la Summo 10 . Nel periodo angioino le notizie sugli ebrei di Manfredonia si fanno più specifiche: nel 1278 si ha notizia di « ... ex parte Iudeorum », che non è verso la « ... ruga dicta de Comite ex parte montem », ma precisamente « ... extra murum »11 . Verso la fine del secolo, nel 1294, si sa pure che ben 75 neofiti di Manfredonia vengono esentati dai pagamenti fiscali. Non sappiamo se tutti gli ebrei esistenti allora a Manfredonia siano o meno passati alla fede cristiana, sta di fatto, però, che il numero è notevole se si considera che nello stesso anno sono esentati: 138 a Napoli, 150 a Salerno, 45 a Capua, 7 a Caserta, 34 a Sessa, 60 ad Aversa, 1 a Pontecorvo; e in Capitanata: 10 a Foggia, 2 a San Severo, 33 a Troia, 34 a Casalnuovo, mentre 310 a Trani, 72 a Bari e 172 a Taranto, per un totale di circa 130012 . Sono città già note per la presenza ebraica e che hanno modo di effettuare un donativo per il matrimonio di Donna Beatrice di Aragona nel 1475, e che, nel 1481, pagano parte dei 10 mila ducati occorrenti agli aragonesi per fronteggiare l’invasione dei Turchi. Per l’anno 1481, secondo il Ferorelli, gli ebrei di Capitanata pagano 800 ducati, mentre quelli di Terra di Lavoro ne pagano 3.200 e vengono calcolati per circa 15.00013 . Ora, tenuto conto che la contribuzione della Capitanata è pari a circa 1/3 di quella di Terra di Lavoro, ne viene che anche gli ebrei devono essere pari a circa 1/3, ovvero pari a 4.000 circa. Di questi ebrei una buona parte deve risiedere a Manfredonia se è rimasto fermo, nei secoli, il rapporto del 1294, in base ai neofiti. Basti pensare che in quell’anno su 151 neofiti presenti in Capitanata, ben 75 sono di Manfredonia. Sono delle ipotesi, comunque, che non escludono un calcolo di 373 ebrei nel 1294, per un rapporto di 5/1 tra neofita e nucleo abitato. Siamo propensi a credere che dal periodo angioino a quello aragonese gli Ebrei devono essere aumentati pure a Manfredonia, 9 FERORELLI N., op. cit., pag. 46. SUMMO G., Gli Ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari, Cressanti, 1939, pag. 48. 11 Il Mazzoleni J. (a cura di) I Registri della cancelleria angioina, vol. XVIII (12771278), doc. n. 148, pag. 69. Il documento riporta integralmente: « Pro danda pecunia pro opere murorum Manfridonie... et licebit eidem magistro (Giordano da Monte S. Angelo) accipere pro muro ipso omnes iapides qui sunt in eadem terra a Ruga dicta de Comite ex parte montane ét omnes lapides muri eiusdem terre qui fuit inceptus et omnes alios Iapides qui sunt extra murum quam modo de novo signari fecimus ex parte Iudeorum » (9 febbraio 1278). 12 FERORELLI N., op. cit., pag. 55. L’A. in nota cita i Registri angioini. 13 Ibidem, pag. 97 e seg. 83 10 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ considerato la relativa protezione loro accordata ed i favori ricevuti, in ispecie da re Alfonso. Infatti, le maggiori notizie sugli ebrei di Manfredonia si hanno proprio in questo periodo. Dal Colafemmina apprendiamo che nel 1472 è residente, in questa città, il medico Rafael Kohen da Lurul14 , mentre dalle «Fonti Aragonesi a, si rileva che il 25 gennaio 1487 un « ... Petro de Iudeis de Barulo (Barletta) ha licentia... extrahendo de dicto portu et ferendum in portu Manfridonie cum subscriptis barcis... »15 . Il 25 febbraio 1486, poi, viene concessa « licentia » a un « ... Dionisio de Florio et sociis de Manfredonia et... Masello iudeo de Manfridonia extrahendo de dicto portu et ferendum infra regnum cum navi Perri Antighii de Ragusio de curribus centum frumenti... car. C » 16 . Oltre ai dottori in medicina ed ai commercianti di grano si rilevano dalle stesse « Fonti a altre presenze, come: « Salomone iudìo a, che il primo aprile del 1489 è fornitore di « ... un farinaro... per cernere la arena per aboccare lo castello »17 ; « Iudeo de Franco a, che il 27 aprile 1487 riceve la concessione per dicentia ext rhaendi de dicto portu et ferendi infra regnum cum navigio Barholomei magistri Radi de Manfridonia de curribus quinque et thumulis duodecim ordei ad mensuram siptilem »18 ; Basilio de Solitro, che al mezzo del quale, 16 gennaio 1488, viene pagata la fornitura di « ... vinti coffe de carreggiare terra me hanno venduti per grana quactro la una » 19 . Nel periodo 1480-81, si ha notizia di un « Isac hebreo de Manfridonia», tassato per 4 Ducati19a. E mette conto dire che fra gli Ebrei notabili di Manfredonia di questo periodo potrebbe annoverarsi il primo stampatore pugliese, Ottaviano Salomone, attivo in Cosenza nell’intorno del 1478. Anche dopo la caduta degli Aragonesi si registrano Ebrei a Manfredonia, almeno fino al 1534. Il Coniglio, in uno studio di alcuni anni fa 20 , riporta la denuncia verso alcuni cittadini di Manfredonia, novelli cristiani, che di fatto praticano ancora le costumanze ebraiche. La data della denuncia è il 3 febbraio 1534; siamo già con 14 COLAFEMMINA C., op. cit., pag. 52; in nota: A. FREIMANN, art. cit., p. 287, n. 267. 15 SALVATI C. (a cura di): Fonti Aragonesi, vol. VI, Napoli, 1968, pag. 29. 16 Ibidem, pag. 22. 17 Ibidem, pag. 125. 18 Ibidem, pag. 49. 19 Ibidem, pag. 89. 19a SILVESTRI A. M., Una fonte per La storia della guerra di Otranto nel 148081, in « Archivio storico pugliese », a. XXXIII, gen.-dic. 1980, pag. 216: « Item pone havere receputo da Isac hebreo de Manfridonia, duc. IIII ». 20 CONIGLIO G., Ebrei e cristiani novelli a Manfredonia nel 1534, in Archivio Storico Pugliese, anno XXI, fasc. I-IV, genn.-dic. 1968. 84 Manfredonia: Largo « Te atro vecchio » (sede del « Teatro de Florio ») PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ la presenza degli spagnuoli nel Regno di Napoli e con le relative sanzioni verso gli Ebrei. I1 documento rivela le lotte intestine per l’amministrazione dell’Università di Manfredonia e, soprattutto, ci svela i nomi di questi presunti Ebrei. Essi sono: — il figlio di Olivieri Capuano che mangia le «azimelle » nel periodo pasquale; — Ercole Stellatello che sull’« astrico di sua casa have adorato il sole quando leva il mattino »; lo stesso Ercole, di sabato, non fa « esercizio alcuno »; — Martino Sixto che « nel capo del molo have adorato il sole »; — Gasparro de Granito » che « ei stato visto fare il sacrificio nel sabato et star vestito de amito biancho et tenere uno idolo in alto fatto de pasta cotta et ad quello sacrificare »; — certe donne « de genere marrano» vengono viste nella chiesa di Santa Maria, dove mangiano e ridono, deridendo la santa Vergine; — il figlioletto di Aurelio de Calia che è circonciso; — due giudei: Angelus de Aabraham et Mahomet di Troia; — notaio Giovanni Stellatello che ha circonciso un suo figliolo; — Gaspare de Grumpta che è stato visto leggere un libro ebraico; — Barnaba Capuano che, si dice, abbia rinnegato la fede in Turchia; — Pier Giorgio Capuano che è stato visto coprire « lo cantaro con una figura de la Vergine Maria ». I nomi di questi presunti ebrei sono, dunque, i Capuano, gli Stellatello, i Sixto, i de Granito, i De Calia, ecc. Diamo uno sguardo alle rispettive vicende. Va innanzitutto detto che i Capuano e gli Stellatello sono imp arentati tra di loro, in quanto un « Lusulus Capuano » risulta essere cognato a Berardino Stellatello nel 149621 . Gli Stellatello sono presenti a Manfredonia già dal 1446 con un Benedetto, quale giudice, proveniente da Lucera 22 . Un componente questa famiglia, Antonio, è citato, nel 1486, come fattore di San Leonardo di Siponto23 . L’attività prevalente di questa famiglia è il commercio del grano che viene esercitato pure fuori di Manfredonia, infatti, si hanno: Cola Maria che nel 1547 è agente dei mercanti fiorentini Raffaele Acciaioli e Giuliano e Guglielmo del Tovaglia; un altro Stellatello, Antonio, esercita il commercio a Manfredonia e a Barletta nel 1551; un Angelo Stellatello è attivo agli inizi del secolo XVII, mentre un altro Antonio Stellatello è presente a Manfredonia in occasione dell’assedio e 21 SERRICCHIO C., Iscrizioni romane paleo-cristiane e medievali di Siponto, Quaderno n. 9 dell’A.A.S.T. di Manfredonia, 1978, pag. 64. 22 CAMOBR., doc. n. 304. 23 SALVATI C., op. cit., pagg. 20 e 22. 23a CONIGLIO G., op. cit., pag. 65. 86 _______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA del sacco dei Turchi nel 162024 . Egli, con un de Nicastro, viene mandato a trattare la resa agli invasori. Come si vede, anche dopo il 1534 gli Stellatello restano a Manfredonia, dove svolgono la mercatura e si qualificano tra i personaggi più notevoli del]a città. Per i De Granito non si conosce alcuna notizia dopo la denuncia, invero la loro presenza, quali commercianti di grano, è molto attiva verso la fine del XV secolo 25a. I De Sisto sono presenti a Manfredonia verso la fine del secolo XVI, così come i De Calia o Calia, attivi tra il 1580 e il 1599 con un Alessandro o con una Giacoma, oppure con una Vittoria. La presenza dei Calia a Manfredonia si registra pure tra il 1636 e il 1639, con un Giulio Antonio, oppure tra il 1642 e il 1649 con un Giuseppe Antonio, e con un Francesco Antonio Pietro nel periodo tra il 1659 e il 1665. Pure questa famiglia, dunque, resta a Manfredonia dopo la denuncia 25 . Un discorso a parte merita la famiglia Capuano. Di questa famiglia si hanno notizie nel «Regesto di S. Leonardo », ininterrottamente, dal 1325 al 148325b ; mentre dalle «Fonti Aragonesi » si registra una cospicua attività dei suoi componenti dal 1486 al 149125c. Nel 1528 ad Eligio, a Federico ed a Luisetto vengono confiscati i beni dagli spagnuoli, mentre 24 LA CAVA A., Il sacco turchesco di Manfredonia nel 1620, in « Archivio Storico per le Province Napoletane», a. XXVI (nuova sede), 1940, pag. 81. Un Angelo Stellatello figura nei libri dei battezzati della Cattedrale di S. Lorenzo di Manfredonia, nel periodo 1602-1621: cfr. Libro dei battezzati vol. 2°, fol. 143. 25 Libro dei battezzati della Cattedrale di S. Lorenzo di Manfredonia, vol. 10 (15801599), fol. 164 (Federico Antonio), fol. 18 (Giovanni Pietro), fol. 62 (Giovanni Alfonso), fol. 22 (Isabella). 25a SALVATI C., op. cit, pagg 11, 13, 15. 88, 90, 94, 95, 97, 100, 103, 111, 114, 127 (per un Antonio e per un Fabrizio), 88, 90, 91, 94, 95, 97, 100, 101, 103 (per un Lorenzo). 25b CAMOBR., op. cit.: Fioritus Capuanus (doc. n. 330). Hector Capuanus (doc. n. 292). Helya Capuanus (doc. n. 307), Henricus Capuanus (doc. nn. 253, 320). Iohannino Antonio Capuano (doc. n. 345), Lancileo Capuanus (doc. n. 310), La Capuanus (doc. n. 307), Lisiuius Capuanus (docc. un. 289, 298), Loysius Rogerius Capuanus (doc. n. 283), Maurizius Capuani (doc. n. 244), Melchior Capuanus (doc. n. 317). 25c SALVATI C., op. cit.: Alfonso (pag. 90), Angelo (p. 8), Ansi (p. 134), Daminao, padrone di barche (p. 14), Daniele (pp. 13 e 111), Ercole (p. 88), Ettore di Luigi (pp. 12). Gaetano (pp. 11, 12, 13), Gaspare (pp. 14, 15, 17, 131), Giovanni (pp. 8, 13), Giovanni Antonio (pp. 8 13), Lia, lavorante nella fabbrica del castello (pp. 100, 101, 104), Luigi (pp. 4, 5, 114, 118), Luisetto (p. 88), Manfredi (p. 7), Ovidio (p. 108), Roberto (p. 14), Valeriano (pp. 13, 14), Vincenzo (p. 9). Un Capuano Ettore, poi, esercitava « relevio sull’ufficio di protontino di Manfredonia » nel 1457, cfr. OREFICI R., Funzionari nelle Province di Terra di Bari, Terra d’Otranto, Basilicata e Capitanata negli anni 1457-1497, in Archivio Storico Pugliese, a. XXXII, fasc. I-IV, genn.-dic. 1979, da pag. 165 a pag. 220. 87 Manfredonia: Cortile « Boccalicchio » (esempio di architettura spontanea) _______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA Giovanni Luigi, nobile di seggio, viene giustiziato a Napoli nel 1547, durante i moti contro l’Inquisizione26 . A questa famiglia appartengono pure: Francesco, vissuto intorno al 1490, dottore medico, filosofo e matematico insigne, lettore di astronomia nell’università di Padova, divenuto poi monaco con il nome di Giovan Battista di Manfredonia; Luigi, vissuto nel 1800, sacerdote e scrittore emerito27 . Così come gli Stellatello, i de Calia, anche i Capuano datano la loro presenza a Manfredonia dopo la denuncia del 1534. Che i componenti queste famiglie siano stati o meno ebrei non è dato sapere con certezza, anche se siamo indotti a crederlo, ciò nondimeno va detto che nella denuncia del 1534 si fa un esplicito riferimento a degli ebrei esistenti nella città, così come alle donne di « genere marrano », ovvero donne convertite al cristianesimo e di origini ebraiche. Ne consegue, pertanto, che dal 1165 fino al 1534 si registra prima a Siponto, e poi a Manfredonia, la presenza, più o meno continua, dell’elemento ebraico. Non sappiamo se dopo quest’ultimo anno siano o meno rimasti degli ebrei, se pure convertiti, a Manfredonia: la presenza degli Stellatello, dei Capuano, dei Calia ce lo fa credere. Ma c’è di più. nel 1740, allorquando si ha il « Bando col quale s’introducono gl’ebrei ne’ regni delle due Sicilie e loro dipendenze » e la relativa integrazione di alcuni articoli, a Manfredonia è concessa la possibilità della dimora degli ebrei. Le città che hanno questa facoltà nel Regno di Napoli sono 12. fra cui Otranto, Brindisi. Barletta, oltre a Manfredonia, in Puglia 28 . Saremmo, così, indotti a credere che l’elemento ebraico sia persistito nella nostra città dal 1534 fino al 1740 ed oltre. A riprova di questa convinzione va detto che tra i toponimi esiste ancora una posta « Giudea », sita alle pendici del Gargano, verso S. Giovanni Rotondo, ma soprattutto vi è la conservazione. ancor oggi, di nomi come Mosè, come Balaham (cc Barlajamme »), Beniamino, Giosafatte, Mattia, Aronne, ecc. Rilevata, così, la presenza degli ebrei a Manfredonia, ed in qualche periodo in misura anche cospicua, viene da chiederci dove questi abbiano dimorato. Il problema non è facile da risolvere perché oltre la posta « Giudea », di cui si è detto, non esiste altra indicazione a Manfredonia che possa far individuare, in modo certo, una « giudecca ». La presenza di 75 neofiti, pari 26 PEDIO T., Napoli e Spagna, nella prima metà del Cinquecento, Cacucci, Bari, 1971, pag. 252. 27 VILLANI C., Daunia Inclyta, memorie storico-biografiche, Napoli, fili Orfeo, 1890, pagg. 19 e 20. Va pur detto che nel Libro dei battezzati della Cattedrale di S. Lorenzo i Capuano vi figurano ininterrottamente dal mano 1570 (Alfonso Mario) (Cesare Pietro) a tutto il 1797 (Antonio Gaetano) (Giuseppe Paolo). 26 FERRORELLI N., op. cit., pag. 254. 89 Manfredonia: Arco del « Boccalicchio » (probabile ingresso alla Giudecca) _______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA a 375 anime, nel 1294, su una popolazione che quasi mai raggiunse i 5.000 abitanti non può non lasciare tracce; ed invero nel 1278 vi è una « .. ex parte Iudeorum », poi più nulla. Dal che ci viene da credere che gli ebrei erano sparsi un po’ da per tutto nella città. Ma ciò non ci basta, vorremmo ancor più indagare tra le citazioni del « Regesto », per vedere dove i vari neofiti del 1534 abitassero; e giocoforza l’indagine deve restringersi alla sola famiglia Capuano. In un documento del 1394 si ha notizia di una casa appartenente a «Rogerii Capuani »: « ... domum aliam terraneam que fuit alia R.C., sitam in platea S. Mathei in cantone, iuxta domos palaciatas qd. notarii Capuani »29 . Dal 1421 questa famiglia avverte il bisogno di costruire altre abitazioni in Manfredonia; e ciò non può che dipendere dall’aumentato numero dei suoi componenti, di cui si hanno cospicue indicazioni nel « Regesto » e nelle “Fonti Aragonesi ». Abbiamo così: un « ... Loysio Rogerii Capuani de Manfredonia... domus nove edificate per ipsum Loysium »30 ; un « ... Lisuli Capuani... sacristie eccl. S. Lucie et domus noviter edificate L.C. de Manfridonia » 31 . La famiglia Capuano dispone pure di alcune proprietà nella via detta la « Strofella » (o la « Scrofella »), come si rileva da un documento del 1466: « ... ruga que dic. la Strofella... domus Nicolai Grimaidi Capuani, Marsilii Canuani, Fioriti Capuani... », ed ancora: « ... in omnibus territoris Capuani »32 . Come si vede l’espansione demografica dei Capuano spinge questa famiglia ad essere presente con le proprie abitazioni su tutto il tessuto urbano della città. Questa considerazione non ci basta ancora, perché i Capuanò, come gli Stellatello, pur di poter svolgere i loro commerci granari, sono costretti ad abiurare la fede’ avita e quindi in grado di inserirsi nei più delicati strati della vita comuntaria; non così, però, per le donne « marrane » e per gli ebrei di più umili condizioni sociali ed economiche. Per questi ultimi ci deve pur essere un sito abitativo, ci devono pur essere delle botteghe per i loro lavori artigianali. Ne viene la necessità di seguire un’altra pista per la nostra indagine sulla dimora degli ebrei a Manfredonia: l’attività commerciale ed artigianale espletata dagli stessi. E’ risaputo che gli ebrei esercitavano, oltre che l’usura, il commercio, specie quello granario, la salagione delle seppie, la concia delle pelli, la macellazione degli animali, quello ovino in particolare, attività queste in uso in Manfredonia fino a data recente. Non è che queste attività siano un solo appannagio 29 30 31 32 CAMOBR., doc. n. 273. Ibidem, doc. n. 283. Ibidem. Ibidem, doc. n. 330. 91 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ degli ebrei, ma sta di fatto che essi erano indotti a trasmigrare là dove c’era la possibilità di svolgere buoni affari o a trovar sfogo alle proprie capacità lavorative; il che comporta, naturalmente, che lì dove ci sono gli ebrei la vita economica deve essere abbastanza florida, rappresentando essi stessi un ottimo elemento propulsore di questa attività. Ordunque, fino a tutto il secolo XX a Manfredonia esistevano mo lte conciarie di pelli, alcune di proprietà del monastero dei Celestini, site nell’attuale via Maddalena, allora chiamata « ruga» della « Confectaria », come si rileva dai documenti dello stesso fondo « Celestini » 33 . Ed il Convento dei Domenicani, nel cui retro dell’attuale omonima chiesa attigua è posta la cappella della Maddalena, « domum magnam palatiatam cum archo... » e sito proprio: « ... in capite ruge que dic. la Confectaria » 34 . A Manfredonia si è sempre esercitata l’attività della salagione e conservazione, oltre che la pesca, delle seppie; ed ancora, già nei documenti del « Regesto » si fa spesso cenno ai formaggi, alla ricotta, ecc., oggetti di attività cospicua nella plaga sipontina, anche ad opera degli abruzzesi, che richiede l’uso di canestri di giunchi, copiosi nelle paludi sipontine, ove, per l’allevamento dei bufali si produce un tipo particolare di formaggio, chiamato, appunto, « marrama ». L’esplicazione di queste attività presuppone dei fondaci, specie per la conservazione e lo smistamento del grano, e questi non possono che essere nei pressi dell’approdo, verso il mare. E mette conto notare che il mattatoio pubblico, il « macello », era posto proprio in uno sbocco a mare della via della « confectaria »: « ... prope ecclesiam fratrum Predicatorum Manfridonie domos sua palatiatas tres contiguas seu coniuctas cum muris suis. sub una quarum triutn domorum, videlicet sub illa que est in medio earum domorum, est arcus, sub quo arcu est via puplica qua itur ad macellum seu buccariam Manfridonie » 35 . A settentrione della via della « confectaria », in particolare, nei pressi della cappella della Maddalena, chiamata pure « S. Marie Magdalene », trovasi la « Platea Magna » della città di Manfredonia; e sempre nei pressi di questa strada è situata, nel 1421, la casa di « Loysio Rogerii Capuani », ovvero: « ... domunculam unam palaciatam... scitam in ruga transversa per quam itur ad portam S. Leonardi maniarum civitatis... ». Ed una traversa della via della « confectaria » è denominata via della « Scrofella », dove hanno dimora, nel 1466, gli altri Capuano. Come si può facilmente capire ci sono molte coincidenze che individuano il sito degli ebrei presso questa via della « Confectaria », 33 34 35 FONDO DEI CELESTINI presso l’Archivio Diocesano di Manfredonia. CAMOBR., doc. 307. Ibidem, doc. n. 289. 92 _______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA come la stessa chiesa di S. Maria, dove le donne « marrane » pare che deridano la sacra effige. Non ci pare cosa inutile voler sottolineare coloro che confinano, con le proprie abitazioni, con la sopraddetta via della « confectaria », essi sono, per lo più forestieri, come: « ... Floria, mulier magistri Bartholomei de Verona... domo una in platea Manfridonie que dic. Taberna » (1295)36 « ... Sabinus de Iuvenacio miles civis Manfridonie et Nicolaus Speciarus » (1311)37 ; « ... Angeli de Ortona e Theobaldi filii magistri Francisci de Pedemonte » (1311)38 ; « ... Clementis de Pedimonte, (giudice) Angeli de Benedicto, Colucius de Pasca » (1394) 39 « ... Antonelli dicti Perilli »(1432)40 . Gente che è immigrata in Manfredonia in ogni tempo, così come si ha notizia sia in altri documenti del « Regesto » che nei documenti dei « Registri Angioini » e delle « Fonti Aragonesi ». Da ciò appare chiaro come Manfredonia sia il crogiuolo di gente più varia, proveniente oltre che dalla penisola, anche, e soprattutto, dall’oltre sponda adriatica, come i Ragusei, i Dalmati e gli Schiavoni. Ed essi non possono che far capo alla via della « Confectaria », ove vi è pure una « Taberna ». In definitiva, dunque, è possibile ipotizzare la presenza degli ebrei su questa via, chiamata oggi via della Maddalena. Questa strada presenta molte caratteristiche di isolamento, specie se si osserva il vicolo che ad essa fa capo: cortile del Boccolicchio. Questo cortile è delimitato, sulla via Campanile, da un arco a sesto acuto, che prende il nome dallo stesso cortile, che a sua volta dava il nome all’omonima porta sita in fondo alla stessa via Campanile; dall’altro lato del cortile si accede dalla parte terminale dell’attuale via cap. E. Valente, prima chiamata via Ospedale Orsini, dall’omonimo Ospedale fattovi adattare da quello arcivescovo nel 1679 circa. In fondo a questa via esiste ancora un piccolo arco, individuabile in quell’arco « ... qua itur ad macellum seu buccariam », e quindi verso il mare. Studiando la conformazione urbanistica della città, almeno per quanto è possibile vedere dalla pianta del Pacichelli, solo in due parti si individuano delle casupole, piuttosto cadenti, nella parte bassa della città, su via Maddalena, e nei pressi della Chiesa di S. Francesco, corrispondenti appunto alla parte opposta del monte, ovvero « ... extra murum » dove è « parte Iudorum ». Non è escluso, poi, che da questo primo nucleo, per un incremento demografico, gli ebrei si siano incanalati su tutta 36 37 38 39 40 Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, Ibidem, doc. n. 377. doc. n. 235. doc. n. 236. doc. n. 273. doc. n. 284. 93 PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________ via Maddalena e anche in altre parti della città, come sulla via S. Matteo, dove abitano i Capuano e molti altri cittadini forestieri. Ma l’espansione deve avvenire anche verso la parte alta della città, come attesta la « ruga de Comite », chiamata pure vie degli Schiavoni, come si evince da un documento del 1432: «…in recta ruga eccl. S. Laurentii... prope rectam rugam Sclavonis, que alias dicebatur de Comite »41 . Come si vede la città è abitata pure da schiavoni, oppure da schiavi mori, come si evince dal « Libro dei battezzati della Chiesa di S. Lorenzo »42 . E in questo complesso di razze, di fedi religiose, di lingue e di caratteri somatici, la città ci appare quanto mai viva, aperta a tutte le innovazioni di idee, e pertanto socialmente, economicamente e culturalmente aperta. La presenza ebraica in Manfredonia assume proprio questo significato, capacità di influire sulle sue scelte operative, donde la denuncia del 1534 per estromettere dall’università pubblica della gente di già economicamente potente. PASQUALE OGNISSANTI 41 Ibidem, doc. n. 290. Libro dei battezzati nella chiesa di S. Lorenzo, presso la sagrestia della stessa chiesa. 42 94 IL CIRCOLO Le popolazioni sparse a valle che avevano a lungo combattuto eroicamente contro i romani per ottenere la cittadinanza e gli stessi loro diritti si raggrupparono alla caduta del potere centrale e al passaggio dall’evo antico a quello medioevale in casolari, fra cui Santa Maria d’Olivola e San Pietro. Divennero presto facile bersaglio di continue incursioni e vittime di saccheggi da parte dei bizantini, goti, longobardi, predoni d’ogni specie, saraceni compresi. Fu necessario allora abbandonare la pianura e insediarsi sulla montagna. Sorse così S. Agata in un punto strategico e d’incontro di civiltà diverse, conteso da chi da Ascoli Satriano si muoveva verso il nord e soprattutto da chi dall’Irpinia voleva estendere il dominio verso la Daunia. Gli abitanti vi trovarono finalmente una certa sicurezza per dedicarsi ai lavori della campagna, all’artigianato e alle pratiche religiose. L’influsso bizantino sembra segnare il suo limite con le bianche costruzioni che lambiscono la cima della montagna di via Monteforte su cui troneggia il castello longobardo impiantato là dove si trovava un tempio romano. Si notano ancora le lunghe scalinate esterne delle prime case, gli archi, le logge, i pianterreni ornati dal profumato basilico, l’erba regia, Basiliko, in barattoli di fertile terra nera, appesi nelle « trasonne » ai muri laterali poco distanti dagli stipiti di stile orientale, del quale il Chiancato, con il suo incomparabile e ben conservato claustro, è l’espressione più evidente. Là sorse il primo circolo! Man mano che il paese si estese verso sud si spostarono anche i circoli, prima alla piazza vecchia e poi nell’attuale piazza, ove ne sorsero ben tre, quello d’Unione, degli operai e degli ex combattenti. Solamente quest’ultimo è rimasto al suo posto in seguito al tanto chiacchierato abbattimento della vecchia sede municipale. Esso è regolato dal nuovo statuto nazionale del 24 giugno 1949. I soci manifestano il culto della Patria, glorificano i caduti, osservano una rigida disciplina, restando attaccati alla propria Arma e chi è appartenuto al Corpo fondato da Alfonso La Marmora ripete spesso, con una certa spavalderia, il noto motto: « bersagliere a venti anni, bersagliere tutta la vita ». Gli aviatori parlano delle loro acrobatiche gesta nei cieli 95 MICHELE ANTONACCIO_______________________________________________________________________ dell’Europa e dell’Africa, i marinai delle imprese nel Mar Mediterraneo e nell’Adriatico e, i più numerosi, i commilitoni della fanteria, la « Regina delle battaglie », affermano costantemente che se le varie specialità contribuiscono a raggiungere la Vittoria, sono le scarpe chiodate dei fanti a mantenere le posizioni conquistate. C’è chi preso dalla mania di narrare gli episodi di cui è stato protagonista lo fa con tanto calore da aggiungere ogni volta qualche particolare nuovo. Ne vien fuori una favola alla quale nessuno presta più fede e ci crede solamente chi, degno di Tartarin, ne è stato l’inventore. Coloro che avevano prima interesse ad ascoltarlo non riescono più a contenere l’indifferenza per un racconto divenuto ormai noioso. Il Circolo Operaio Ricreativo regola la sua funzione in base allo statuto del 25 marzo 1945: ne fanno parte muratori, sarti, barbieri e artigiani in genere che si considerano la spina dorsale del paese. Al passaggio di un corteo funebre le porte vengono socchiuse. Se il deceduto è un iscritto, sull’architrave è sistemato un grosso panno nero in segno di lutto; il bidello, circondato dai soci liberi da impegni, porta appresso al feretro la bandiera abbrunata. Raramente, per brevi periodi, si cade nei giochi d’azzardo, le bische sono subito soppresse e i trasgressori immediatamente espulsi. Il Circolo d’Unione, il Dopolavoro Professionisti e Artisti del periodo fascista dal 28 gennaio 1957 ha un nuovo statuto. Ebbe la maggior floridezza verso gli anni trenta. Poteva competere con quello di Candela, di Cerignola, di Lucera in piazza Duomo e con il sodalizio Dauno di Foggia fondato il 13 settembre 1897. Le relazioni sociali rappresentano una esigenza per il sollievo dello spirito: ne sono un’eloquente dimostrazione i salotti del diciassettesimo secolo in Francia a carattere letterario e quelli del diciottesimo con tendenza scientifica, i clubs in Inghilterra, la nazione tradizionalista per eccellenza e in America, ove, per il deterioramento dell’istituto della famiglia, il circolo si sta sostituendo all’abitazione individuale. I Santagatesi all’estero, in Lombardia, a Foggia, a Roma, a Torino costituiscono associazioni per ritrovarsi e tener desti i legami con l’ambiente di provenienza. Un incontro fortuito fra coetanei vecchi conoscenti può favorire la comparsa istintiva di immagini dimenticate che impegni giornalieri e abitudini avevano sepolto nell’inconscio, come asseriscono gli psicologi e che, quando riappaiono, sono invece libere dall’ansia della caducità perché extratemporali e perennemente vive in noi. 96 ___________________________________________________________________________________IL CIRCOLO E’ il fenomeno che si verifica anche per i monumenti e le antiche costruzioni che dopo millenni ritornano alla luce nella loro genuina autenticità, eliminate le croste che vi si erano sovrapposte. Un mondo che sembrava estinto con le sue caratteristiche, la sua maniera di esprimersi, per effetto della memoria involontaria, ritorna a noi e s’impone con il ricordo nitido del passato non più sottoposto alla mortalità, se diviene oggetto di vera opera d’arte. Personaggio di primo piano di quel sodalizio era un avvocato, snello, il viso piuttosto lungo, capelli lisci, colorito fra il bruno e l’olivastro, con l’inseparabile uncino. Sapeva attrarre la gente che volentieri rincasava tardi la notte per sentirlo parlare perché esercitava un fascino straordinario per il suo stato di « vigilato » e per il suo passato di comunista intellettuale, oppositore nella Campania del movimento fascista sul nascere. I giovani per essere accolti nella famiglia dei soci dovevano conoscere le regole di Chitarrella, aver conseguito almeno un titolo di scuola media superiore se non esercitavano una attività, saper giocare il tressètte, così chiamato perché in origine chi aveva tre sette faceva un punto. Intanto potevano da spettatori assistere dalla soglia alle partite di bigliardo, s’inoltravano di pochi passi quando il severo bidello s’assentava per un’ordinazione al bar, mostravano entusiasmo per l’atteggiamento che il provetto giocatore assumeva: la mano sinistra ben piazzata sul tavolo, il dorso a forma di ponte, il pollice in fuori leggermente sollevato per far da guida alla stecca impugnata con scioltezza dalla mano destra ed esplodevano in applausi se la palla d’avorio, spinta dalla punta ricoperta dal girello di cuoio, con uno strato di gesso, per l’effetto ricevuto, faceva carambola con le altre che finivano nelle buche della sponda opposta, non senza aver determinato la caduta dei birilli sui panno verde. Importante era il censore a vita, don Ettore Nova, dalle spalle quadrate, gigantesco, aveva voce possente. Era stato corazziere! Impareggiabile giocatore, richiamava chiunque commettesse una gaffa: bastavano poche sillabe per far ammutolire perfino una persona di spicco come don Antonio, il generale, scattante, gli occhi vivaci, di media statura, in grande considerazione per essersi distinto in alcune azioni dopo Caporetto e per essere stato maestro di balistica del principe ereditario, Vittorio Emanuele, divenuto poi Re d’Italia. Non ne era esente don Ciccio, insigne magistrato, senatore, alto, il pizzo brizzolato, lo sguardo espressivo, dal portamento solenne. Don Ettore non sceglieva mai il compagno di giochi, si affidava alla sorte: i possessori del quattro e del cinque denari 97 MICHELE ANTONACCIO_______________________________________________________________________ formavano una coppia, gli altri due gli avversari. Al primo errore emetteva una specie di sospiro contenuto e poi pronunziava una serie di rimproveri violenti: « Non hai visto lo scarto, con la mia napoletana sesta e il mio “buongioco” di tre due potevamo far cappotto, non hai osservato le scartine, schiappa, sei degno di passare al tavolo dei colonnelli! ». Questi ufficiali famosi all’estero per i colpi di Stato erano celebri a S. Agata perchè pessimi tressettis ti; quando si trovavano in tre non riuscivano mai a trovare il quarto ed erano costretti a giocare con il « morto ». Investito dai cicchetti lo sfortunato compagno in quei mo mento avrebbe voluto eclissarsi, biascicava qualche frase di discolpa verso gli spettatori che, in piedi, intorno al tavolo, implacabili, gli davano torto, « se il raccoglimento non è completo », dicevano, « si perde e non ci si distrae dalle ansie comuni ». Al tempo della scoperta della radio, i primi tentativi di fare funzionare i rudimentali apparecchi furono effettuati da marconisti appena congedati. Una grande moltitudine di persone assisteva davanti al circolo agli esperimenti dei tecnici improvvisati, che, con lunghi prolungamenti di fili di antenne fra un tetto e l’altro, cercavano di captare le onde. Dopo numerose prove, e un ennesimo disappunto, si sentì, quasi improvvisamente, un rumore confuso, diverso dai soliti. Tutti si fissarono: cosa era successo?, il radiomarconista, da personaggio divenuto già importante, al centro della folla emo zionata, poté finalmente esclamare in tono altezzoso: « se siéntene le prime sfarchisce! ». Si arrivò pian piano ai suoni più distinti dell’emittente da Napoli, i.R.A. e, successivamente fu trasmesso il bollettino meteorologico per la navi da pesca di piccolo tonnellaggio! Erano le sedici d’una meravigliosa giornata dell’aprile del 1927! Le distanze s’annullavano, S. Agata non rimaneva più il paese isolato fra i monti, il miracolo della radio si realizzava e il circolo confermava di essere il cuore della vita cittadina! Gli orari delle varie attività erano regolati dalle campane: al mattino l’Angelus indicava ai ragazzi il momento di andare a scuola e, a chi ne avesse avuto interesse, l’apertura del circolo, a mezzogiorno l’ora del pranzo e della momentanea sua chiusura fino al Vespero, a Ventiquattrore, a lavoro compiuto i consoci potevano tranquillamente riunirvisi al mesto suono dell’Avemaria, « una di flauti lenta melodia », secondo il mirabile verso dell’inno a Satana. Trore juorne era commovente per i santagatesi che interrompevano qualunque cosa stessero facendo per recitare il Credo a ricordo del Redentore crocifisso, mentre i trentatré rintocchi si diffondevano nelle campagne, oltre le colline circostanti. Sembrava che il sentimento di S. Antonio Maria Zaccaria, vissuto 98 ___________________________________________________________________________________IL CIRCOLO oltre quattro secoli fa, medico e religioso santificato da Leone XIII, permeasse quello santagatese per il suono delle campane e il posto in cui si trovava il circolo il più idoneo per udirlo. Erano voci che nelle grandi solennità giungevano tutte insieme dai cinque campanili ed ognuna con il suo tono pur nella generale sinfonia: da S. Andrea fra il baritono e il basso, dalla Madonna delle Grazie fioche e lontane, chiare e rapide da S. Antonio, alte e sonore da S. Nicola per l’abbondante quantità d’argento fuso con il rame, io stagno e il piombo; leggeri, alati, infantili s’inserivano i rintocchi ritmici dell’orologio della torretta campanaria dell’antico Comune con cronometrica precisione e si dileguavano presto lasciando un’eco simile al tintinnio di monetine di metallo lanciate a gruppi di ragazzi, in occasione di particolari ricorrenze, sul lastricato di basalto. La piazza sembrava divenire un’armoniosa orchestra che sprigionava una musica d’indescrivibile soavità! Interessante anche osservare dal circolo la partenza della carrozza di posta diretta a Candela, uno spettacolo da ammirare quello di vedere, verso la fine di giugno di ogni anno, partire il notaio, sempre gioviale, con paglietta alle ventitré, abito di lino, cravatta bianca svolazzante, fazzoletto rosso a sbuffo dal taschino, il bastoncino nella mano destra. Arrivava con passo svelto e, dopo un rapido saluto agli amici che dal circolo lo riverivano, prendeva immediatamente posto nella prima classe, in fondo alla vettura, separata dalla seconda da un tramezzo, lo seguiva il fratello prete ansimante, la fronte imperlata di sudore, impaziente di sedersi. Ultima la cugina, un’elegante massaia che sembrava però una matrona, andatura misurata, gesto controllato, rispondeva garbatamente agli ossequi, compiaciuta della stima che godeva, si fermava di proposito con un piede sul predellino come per nascondere l’impaccio di trovarsi in piazza tra gente che mal celava l’invidia e la meraviglia per quei fortunati che andavano in zone tanto decantate per le bellezze naturali e, trascorsi alcuni secondi, entrava risoluta anche lei mostrando di spalle ai presenti l’abbondante crocchia di un nero lucente dietro il capo. Al centro del divisorio fra la prima e la seconda classe c’era un finestrino che veniva aperto solamente quando il postiglione doveva comunicare eventuali notizie relative al viaggio. Il posto a cassetta rappresentava la terza classe. Scrupolosi osservanti delle prescrizioni dello specialista di Napoli, essi si recavano a Castellammare di Stabia per le acque termali e per la cura dei fanghi. Una scena davvero comica che si offriva alla vista dei curiosi nei pomeriggi canicolari era quella di alcuni obesi signori, per la maggior parte impiegati, seduti su comode sedie, l’enorme 99 MICHELE ANTONACCIO_______________________________________________________________________ pancia cadente sulle ginocchia, schiacciare il più saporito dei pis olini! Malinconico colui che partiva da S. Agata rimpiangeva il circolo luogo veramente atto alla distensione della mente e dei nervi. Sulla strada panoramica, incastonata nel monte della Croce, dal veicolo che lo portava verso Foggia, incessantemente girava il capo per vedere ancora una volta il paese, che si sottraeva alla vista alle tre curve per riapparire alla « Madonnina » a « Monte Rutunne », al Viticone sparire di nuovo e infine farsi notare, appena al di là del bivio di Castelluccio, nella contrada Bongo, non più nel suo gioioso aspetto piramidale con terrazze e balconi esposti a sud, ma nella forma di un indistinto cono racchiuso in sé, come un cipresso, per la tristezza della partenza di un suo figlio. Se è vero che la mentalità è in parte cambiata e i circoli sono ora in ribasso come alcuni rinomati caffè, il Gàmbrinus focolare della belle époque napoletana e il caffè Aragno di Roma, famoso per la terza saletta riservata ai letterati, è sempre vera la massima, « Nihil sub sole novum! » e, pur non volendo essere esageratamente ottimista alla Leibnitz: « Tutto è per il meglio nei migliore dei modi possibili », si può sperare che, caduta l’effimera moda, il senso artistico e l’equilibrio ritorneranno; non sarà più in voga la canzone « Maledetta Primavera » e il circolo per antonomasia, senza discriminazione di ceto, nonostante l’appellativo di galantuomini, offrirà nuovamente il piacere dell’incontro fra persone amiche, pronte alla conversazione serena, alla battuta di spirito, alla critica degli avvenimenti locali, mai stanche di osservare gli interminabili sopra e sotto di chi passeggia in piazza, sarà il luogo dei trattenimenti eleganti e continuerà ad essere il perno principale intorno al quale si svolgerà la vita del paese. Poiché non è possibile utilizzare gli angusti vani del prònao antistante il municipio, il Circolo non può essere sostituito da una sede sindacale o di partito, ma deve essere il luogo da ricercare ove s’incontrino e si possano fondere vitali esperienze stratificate attraverso decenni e da proiettare nel futuro per la sopravvivenza di una civiltà e di alcuni sani costumi che non debbono perire. M ICHELE A NTONACCIO 100 IL TORRENTE JANO NELLA STORIA DI S. MARCO IN LAMIS (appunti etimologici) L’età avanzata mi rappresenta con urgenza il bisogno dello spirito di ordinare ricordi d’infanzia, meditazioni dell’età matura e ruminazioni tardive su quello che fu il corso di un torrente, oramai ridotto a tombone fognario, il quale nei tempi determinò, a mio parere, la storia di San Marco e del suo insediamento umano, sempre servendolo con immobile e fluente presenza. I giovani ed anche quelli in età matura, non vecchi, conoscono un tombone, conobbero e forse ricordano un « canalone », non ricordano più che quel canalone ebbe per secoli (duemila anni o più) il nome di torrente « Jano ». « lana » secondo Tommaso Nardella. A quel torrente, che il nome caratterizzò e definì, ritengo legata la varia fortuna di S. Marco, da « palude » a centro fiorente di commerci e di arti e mestieri, a moderno borgo montano quale sta diventando. Non so se porto vasi a Samo o nottole ad Atene; ma l’e cose, che dirò, non le riferisco per averle sentite dire prime. La folgorante illuminazione sul nome del torrente, e sul suo significato, la ebbi tornando a S. Marco, dopo molti anni di lontananza, in una mattina di estate della mia età matura, vedendo il massiccio del Gargano quale mi appariva, avvicinandomi ad esso da San Severo. Chi faccia quella strada vede il fronte compatto dell’acrocoro garganico scendere a picco sulla pianura al suo sud, e torreggiare curvando verso ovest. In questo fronte compatto una ampia fessura si addentra nella montagna da ovest - sud - ovest, e verso quella fessura vi conduce la strada che seguite, per andare da S. Severo a S. Marco. Questa è l’unica apertura del Gargano verso il resto del mondo a sud, unica via naturale di traffico e di accesso rapido. Per gli insediamenti umani la cosa è diversa, sorgendo tali insediamenti lentamente negli anni, influenzati da condizioni ambientali e sociali varie; mentre non è sempre determinante per essi la ubicazione lungo le strade. Indifferente quindi, per gli insediamenti, raggiungere il cuore del Gargano dal nord, ove 101 VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________ la piana di Lesina e le pieghe della montagna, ormai addomesticata, discendono al mare variamente accessibili e più o meno agevoli. Ma nei tempi antichi per chi, dalla pianura, avesse voluto raggiungere rapidamente il cuore del Gargano, senza sobbarcarsi a quattro o cinque o più giorni di periplo del monte, l’unica apertura era proprio quella: il letto del torrente Jano, che conduce dalla pianura Dauna alla piccola valle di S. Marco e, attraversatala, seguendo lo « Starale » e costeggiando la base conica del monte Celano, porta a S. Giovanni Rotondo, e da S. Giovanni si irradia in tutti i sensi nel Ga rgano. Il nome « Jano» ha un evidente suono latino. E non è meraviglia se si pensa che molte oarole del dialetto di S. Marco, del più profondo dialetto, quello ormai dimenticato dai più, sono latine. Il « casciu » (difficile la grafia di molti suoni, « iu » semimuta), più che da cacio deriva da caseum; sartania — parola latina non corrotta — è la padella: chiaione il lenzuolo, e così via. « Jano », dunque è nome che deriva da quello latino, ed il suo significato è lampante per chi osservi il fronte della montagna dalla strada di S. Severo: quella è la porta, la JANUA del Gargano. Jano dunque è il torrente che scorre nella « porta », o una corruzione del nome stesso di «Janua »; porta esso stesso. I Romani le diedero quel nome, come era loro consuetudine. Esempio più illustre è Genova, Janua, la porta che dal Tirreno e dalla Via Aurelia apre alla opima pianura padana attraverso la valle del POLCEVERA, sfociante a mare come una porta, Janua, Genova. Posto questo primo punto, i corollari sono numerosi e rigorosamente conseguenti. Procediamo dalla pianura verso il cuore del Gargano. Oggi una comoda strada conduce da S. Marco a S. Severo attraverso curve larghe ed un tracciato che riduce il dislivello ad una costante superabile, per un’auto, in terza e forse quarta marcia. Seguirò la strada, allora, nei ricordi della mia infanzia, all’inizio del secolo, quando il viaggio da e per San Severo era una avventura che durava quattro o cinque ore polverose, sballottati in una corriera che in quattro posti ammucchiava almeno sei viaggiatori, trainata da tre cavallucci stanchi; oppure, se si voleva essere più liberi, si noleggiava uno char-à-bancs con una pariglia di cavalli. Era lo « sciarabà » un carretto di forma uguale, ma un po’ più piccolo e leggero del « traino », carro da carico, e con balestre ammortizzatori ed era colorato di grigio, talora coperto con un tendone. (A proposito, nella nomenclatura dialettale dei carri troviamo i francesi: « sciarabà », « traino »; forse che prima non vi erano carri su ruote?). Saliamo da S. Severo a S. Marco con lo char-à-bancs. 102 ___________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO Approssimandoci al monte, e già nel seno dell’apertura, la strada saliva con accettabile pendenza e non si vedeva traccia del torrente, traccia cancellata da anni, forse da misurare in tempi geologici. Ad un certo punto, arrivati a Stignano, il paesaggio cambiava bruscamente. Sotto il convento di Stignano il letto del torrente compariva, e lo si attraversava su uno stretto ponte raccordato ad angolo retto con il percorso della « via nova » (erano « vie nove » questa e quella che, arrampicandosi sul fianco delle polline a sud del paese, congiungeva S. Marco a S. Giovanni, con diramazioni per Rignano e per S. Matteo. La strada recente, che oggi, con altro tracciato, congiunge San Marco a S. Giovanni e a Foggia è « via nuova »? Vie nuove, quelle, perché? Forse perché, dopo centinaia di anni e forse millenni, abbandonavano i tracciati originari della « Janua » e dello « Starale »; oppure « vie nove » perché pavimentate in macadam e non più sterrate?). Subito dopo lo stretto ponticello, la strada maestra si impennava con tre tornanti ripidi, e la quota saliva dalla torrida ed afosa pianura alla più fresca aria di collina. Il conducente scendeva da cassetta e s uperava a piedi i tornanti, per alleggerire il carico ed i viaggiatori, se appena giovani, venivano invitati a fare altrettanto. Si riprendeva, al colmo, la strada, attraverso un sentiero che si arrampicava tra alberi radi e rocce sulle quali comparivano i primi muschi, in un terreno odoroso di nepitella. D’estate, il coro delle cicale dava un leggero stordimento al viandante, dando corpo al silenzio della valle divenuta improvvisamente stretta; silenzio sottolineato dallo zoccolio non molto lontano dei cavalli e dal loro soffiare. E si comprendeva l’etimologia di « Stignano »: « ostium januae »; evidente bocca della porta, strettoia più stretta di un comune serravalle; bocca od apertura della porta che ti immetteva senza transizione da una larga petraia assolata mista a coltivo, in una stretta buia valle con pareti alte e ripide incombenti; al fondo un tracciato torrentizio petroso, divenuto rapidamente basso rispetto alla « via nova» la quale si aggrappava alla falda della parete valliva di destra (seguendo il corso del torrente verso la sua foce carsica; è la parete prospiciente a sud della spaccatura da est ad ovest della «Janua »). A Stignano, ostium januae, doveva fiorire un centro di traffici. Mio padre, nella sua gioventù, fu inviato a Stignano a ricostituirsi dopo una malattia. Qui egli trovò alcune monete certamente romane, ed altre che ritenne greche ed anche fenicie. Purtroppo ho veduto quelle monete da bambino e poi non ne ho saputo più niente. Poiché non furono cedute, desumo che andarono perse. Ho ancora, invece, un altro reperto: una magnifica pietra nero-verdastra, delle dimensioni di circa cm. 7 x 4 x 3 a forma di accetta, meravigliosamente lavorata, 103 VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________ liscia e levigata sia nella rotondità del cozzo acuto che nel filo del taglio. Pietra che non so definire, né so a chi dover dare, verosimilmente da non interpretare come uno strumento dell’età della pietra (che era lavorata col metodo della scheggiatura); ma di epoca e civiltà assai più recenti. In base a questi reperti, sui quali purtroppo non si può fare più luce, e più ancora alla presenza in luogo di un convento (il convento, nei passi, era luogo di sosta, riposo e soccorso ai viandanti), non è eccessivo immaginare in questo luogo un punto di incontro, forse di sosta e ristoro, forse di scambio o di acquisto merci, con passare di moneta da una ad altra mano; e di parecchia moneta, se ne poteva perdere per la terra. Ma, noti Volendo costruire eccessivamente sulla fantasia, riprendiamo un viaggio, fatto agli inizi del 1900, da Stignano a S. Marco. Qui il torrente, dopo essere stato attraversato al livello di Stignano, perde di nuovo la chiara configurazione di via d’acqua tra sponde. Ma anche a Stignano, più che di via d’acqua, si trattava a quel tempo di superare una cunetta di scarico delle occasionali fiumare precipitanti a valle nel corso o dopo eccezionali precipitazioni, specie temporalesche, non rare in quei tempi di ordinato decorrere delle stagioni1 . Il letto del torrente, asciutto, si intravede in fondo alla valle, stretto tra pareti scoscese, ad angolo molto acuto, e totalmente sprovvisto di vie di fuga. Tanto che vien fatto di pensare (fatta salva l’ipotesi che la « janua » avesse avuto caratteristiche originali diverse, perse nei secoli a causa della non manutenzione conseguente alla apertura della « via nova ») che la strada della porta non fosse percorribile da carri, ma da carovane someggiate sui robusti muli, detti Foggiani o Dauni, pregiatissimi, che all’inizio del secolo erano ancora i vettori dei carichi (legna, carbonella, provviste e granaglie) attraverso l’altopiano garganico. Anche questa però è fantasia. Arriviamo a S. Marco dal rione più declive, che allora era detto di S. Berardino, poi chiamato più propriamente « porta S. Severo ». Qui, nel punto ove si incontravano le — allora —prime case del paese, ricompariva a fondo valle il letto del torrente, sporco e con qualche esigua chiazza di acqua stagnante. Ben presto però, all’imbocco del paese, il torrente scompariva sotto una larga tombinatura che consentiva, deviando a destra, l’accesso al « piano di sotto », esiguo pianoro triangolare di prato scorteggiato e misero d’erba, costeggiato dal viale di circonvallazione del paese, che congiunge la « via nova » di San Severo col « Largo delle grazie », dal quale partiva la « via nova » 1 La corriera, fig. 20 (in « Dal fondo dei paesi » quaderni del sud Lacaita, documento 2) doveva fare due o più manovre per imboccare il ponte. 104 ____________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO per S. Giovanni, con diramazioni per Rignano e per S. Matteo. Da questo viale si vedeva l’apertura a monte del tombone ed il letto del torrente, basso in fondo ad un argine naturale terroso, mentre dalla parte opposta, a nord, ove si allineavano le case del paese, il torrente, ormai diventato canalone, era fiancheggiato da una banchina in terra e contenuto da un basso muretto - argine. Tutte le strade del paese decorrevano perpendicolarmente ed in linea retta al torrente, ed ognuna aveva una cunetta centrale che convogliava a cielo aperto al canalone le acque di pioggia. A metà circa del paese si trovava un ponticello, in corrispondenza de « l’Orto di S. Chiara », che univa il centro alla piazzetta del mercato 2 ; e poi una più centrale e più vasta tombinatura: il « ponte delle Grazie ». In questa zona il paese aveva iniziato il secondo sconfinamento oltre la sponda sud del torrente, ad interrompere l’antica armonia costruttiva del borgo (il primo sconfinamento era all’ingresso del paese, in corrispondenza del tombone di S. Bernardino, dove era costituito il rione dell’Addolorata; il terzo seguì dietro « i pozzi », di cui parleremo). Il paese era infatti contenuto nei suoi confini primitivi, e tutto sulla sponda nord del torrente, dai « piani » e dalle « vigne » dei maggiorenti locali, che lo stringevano da est e da sud, impiantati negli scarsi allargamenti del fondo valle, su terre portate dalle piogge. A sud, ove le colline sono meno scoscese, era più facile la sedimentazione e qui erano nati « i piani » bordati a loro volta dalla ricordata corona di « vigne ». I livelli qui sono più alti di quello del torrente. Scomparsi i tabù del rispetto dei « piani » e delle proprietà private, il paese ha dilagato verso est e sud. Siamo arrivati alle « Grazie », chiesetta al servizio del secondo (topograficamente, e sempre viaggiando lungo il decorso della janua dalla sua apertura verso la naturale conclusione) nucleo abitato moderno; e qui comincia la primitiva storia paesana del torrente Jano. Alle spalle della chiesa delle Grazie c’era, e forse c’è ancora, « la villa », giardino comunale 3 , polmone verde del fondo valle, la quale confinava alta col torrente che decorreva lungo il suo fianco, qui arginato con un alto muro; l’altra sponda, più bassa di qualche metro, era anch’essa arginata con un muro, e fiancheggiata da una larga ed irregolare banchina, una vera piazzetta, tagliata anch’essa in senso perpendicolare al torrente da numerose e larghe cunette. Allineate più o meno irregolarmente su questo, che fu il primo polmone del paese, le casette basse 2 3 Fig. 21 1.c. Fig. 18 e 24 I. c. 105 VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________ del retro della « Palude »; il rione primigenio, dove comincia la vera storia di S. Marco. La Palude, agli inizi del secolo e fino alla sua metà (oggi non so) era il « vicolo palude » 4 ; ma conservava la dignità ordinata di un corso primitivo, ben lastricato in pietra, bordato in bell’allineamento da casette, alcune con scale esterne, con seminterrati protetti dalle acque di piena della strada, con tetti diseguali da casa a casa. Una strada a cui si accedeva misteriosamente da un vicolo a linea spezzata, e poi, dal corso principale, attraverso uno stretto cunicolo coperto. Improvvis amente ti trovavi in un nucleo concluso in sé, inglobato dal paese da cui pur distava dei secoli, in una nobiltà silenziosa, priva di traffici. La « Palude » si caratterizzava per la presenza di pozzi, le cui vere aperte sulla pubblica strada erano accessibili a tutti. Altri pozzi si aprivano nell’interno di case private in zone adiacenti, e davano acqua limpida e fresca tutto l’anno. I pozzi della palude, paralleli al torrente distante una trentina di metri, attingevano presumibilmente alla sottocorrente del fiume, mentre quelli racchiusi in case private, dislocati irregolarmente ed isolati, più ricchi di acque, verosimilmente attingevano a vene idriche rocciose, che costituivano sorgenti del primitivo fiume. Rari, ma oltremodo ricchi di acque, i pozzi a sud del torrente. Ricordo quello di « Donna Michelina Gravina », alle spalle di un attuale edificio scolastico, che veniva aperto al pubblico nei periodi di maggior siccità, e forniva ottima acqua quando i pozzi comunali permettevano di pescare niente altro che una fanghiglia largamente e macroscopicamente inquinata. All’estremità della « palude » il canalone finiva pressoché alla quota del suolo. A questo livello la strada, che fiancheggia la Chiesa Madre, incrocia la traccia del torrente, rappresentata in quel punto da una larga cunetta che raccoglie sia le acque della strada, sia quelle che dal lato opposto vengono dal piano inclinato su cui si affronta l’ingresso della villa comunale, sia quelle dell’originario torrente. Queste ultime acque, presenti solo in periodo di piena, fuoriescono da una tombinatura costruita, pensiamo, all’atto della costruzione della « Chiesa Madre » e del suo campanile, cui segue nel loro retro fino a quella che era la piana « dei pozzi ». Ivi ricompariva il torrente, privo di sponde manufatte; una trincea terrosa, che era scavalcata da un ponte costituito da travi affiancate senz’altra opera d’arte. Quel ponte dava accesso alla spianata dei pozzi, scavati su una linea che sbarrava trasversalmente la valle, nell’intento di raccogliere l’acqua della sottocorrente del torrente, a monte del paese. In caso di pioggia, la cunetta che ormai rappresentava il letto 4 Fig. 1 e didascalia annessa - 1. c. 106 ____________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO del torrente a livello del suolo si gonfiava di acque e doveva essere guidata. Facciamo sosta un po’ prima, alla « palude ». Qui terminava la prima parte del viaggio verso il cuore del Gargano. La sponda della « Janua» o vuoi del torrente Jano, certamente naturale nei tempi remoti, consentiva ai carri, se ve ne erano, ed alle bestie someggiate di raggiungere la piazza, oggi rappresentata dalla irregolare banchina già ricordata, sul retro del vico palude. Vi era spazio per il riposo, per il rifornimento di acqua e di quant’altro occorreva al viaggiatore. Riposo forse non lungo, perché si riprendeva ben presto il viaggio seguendo il corso del torrente, in fondo valle, per lo « Starale », « ostium aralis », che portava all’attuale S. Matteo. In testa allo Starale evidentemente vi era un’ara, per ringraziare gli Dei di essere scampati al mal passo. Mal passo che non è una ipotesi di fantasia, se si pensa alla zona di sosta paludosa, (in lamis) nella foresta, per se stessa in ospitale, ed inoltre esposta alla probabile aggressione od imboscata dei nativi. Ma discorrere di questo ci porterebbe lontano. Certo invece che, percorso « l’ostium aralis », ai piedi del monte Celano, « coelum januae », i viaggiatori si fermavano a sacrificare su un’ara, ove ringraziavano gli Dei per aver superato il passo peggiore del viaggio, sia per i pericoli naturali del percorso di fondo valle, sia per quelli derivanti dal brigantaggio 5 . Va ricordato in modo particolare questo « Starale », che mi sembra destinato a scomparire dopo la costruzione della nuova strada per Foggia (che non è « via nova »), la quale corre in fondo valle, seguendo in qualche sua parte il tracciato della antica strada. Ai primi del secolo, lo « Starale » era il corso di un torrente di fondo valle, praticabile come una strada anche per carri nei giorni secchi e nelle stagioni asciutte, incassato tra basse sponde di muro a secco. Era ancora, lo Starale, via di accesso alle numerose casette rurali e ai piccoli, opimi coltivi di fondo valle, disseminati lungo la sua sponda nord, mentre la sponda sud era scoscesa, sassosa, incolta; su quest’ultima si arramp icava la «Via nova ». Poiché lo Starale era la via vecchia, conservava aspetto, funzioni, servizio e nome primitivi. Quella strada si seguiva nelle gite al Convento di S. Matteo, che rimangono vivissime tra i nostri ricordi di infanzia, per l’ombra discreta del fresco cammino e la raccolta delle more dolci, nere, sporcanti, che si spigolavano dalle siepi fiancheggianti il percorso. Il viaggio della porta, « Janus », dunque iniziava con una 5 La vocazione deIl’ARA in questo posto è documentata dalla ricca iconografia degli ex voto « per grazia ricevuta in S. Matteo ». Perché qui e non altrove, se non per tradizione secolare? 107 VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________ apertura, Stignano, « ostium januae » e si chiudeva con una chiusura, lo Starale « ostium aralis ». Si chiudeva alle falde di un monte conico: il Monte Celano, che ad est chiude la valle, incombendo su di essa: « Coelum januae ». Aggirando la base del monte Celano, si arriva al cuore del Gargano. La vera zona del riposo era forse quella dell’altare, su cui sorse il convento di S. Matteo? Ed ancora nei ricordi di giovinezza attingiamo quelli delle carovane dei «Romei », pellegrini abruzzesi che in maggio percorrevano il corso principale, la « piazza di sotto », marciando in « passo di strada », sulle ciocie, uomini e donne, appoggiandosi agli alti bastoni pastorali, preceduti da una campanella e salmodiando a bassa voce inni sacri. In coda, asini e muli: gli « impedimenta ». Queste carovane non si fermavano in paese, ma proseguivano direttamente attraverso lo Starale (non per la « via nova ») per far tappa nei sotterranei del Convento di S. Matteo, dove si accampavano e sostavano finché non fossero pronti per l’ultima tappa del pellegrinaggio, il « Monte Santangelo ». Tanto conferma nei secoli l’importanza dell’Ara. Ancora una nota: come nella toponomastica latina si trova una correlazione certa fra Stignano «ostium januae », torrente Jano « janua », Starale « ostium aralis », monte Celano « coelum januae », così nella toponomastica cristiana troviamo tre Evangelisti: Marco e Giovanni ed in mezzo, forse posteriore, Matteo. Non vi sono ripetizioni di tali nomi nel Gargano, ma una loro sequenza lungo la strada. Denominazioni frequenti Marco e Giovanni, rara quella di Matteo: nel codice postale si trovano numerosi i S. Marco ed i S. Giovanni; due soli S. Matteo e S. Luca. Quel nome S. Matteo fu forse ricercato, e voluto per dare un nome cristiano all’Ara, e congiungere la linea del viaggio fra l’uno e l’altro Evangelista? Esiste una leggenda, che noi sappiamo, che collega il nome di S. Matteo al ritrovamento di un busto in legno del Santo. Giusto una leggenda: ha fondamento? Concluso il viaggio, non è merito di grande fantasia immaginare la banchina del « canalone » tra gli odierni « ponte di mezzo » o delle Grazie e la via della Chiesa, più o meno gremita di muli e di carri. Né è fantasia immaginare che quell’essere punto di arrivo e di partenza dal Gargano verso la pianura, e viceversa, abbia costituito la fortuna di S. Marco. Il quale, nei primi anni del 900, e prima della emigrazione « americana », era un paese di fiorenti artigianato e commercio. Vi si trovavano fondachi riccamente forniti di stoffe pregiate; mercerie; calzolai; falegnami; maestri d’ascia costruttori di carri; bastai; fabbri; stagnari; « zocari » che fabbricavano dello spago a grossi cavi di canapa. Erano orafi raffinatissimi, che confezionavano gli « ori »; i corredi più o meno ricchi delle spose: collane, brac- 108 ____________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO ciali, orecchini, intessuti in filigrana ed arricchiti di pietre dure mirabilmente assortite. Erano fabbricanti di pecorino e caprino, commercianti di vino. Erano latifondisti, alcuni ingrassati dall’ozio e dal buon cibo, pigramente semisdraiati sulle sedie di paglia, al « casino dei signori »; erano agricoltori, « fittavoli » attivi ed arditi, che affidavano all’alea del raccolto intere fortune. Muratori e capimastri Sarà una coincidenza, ma l’apertura di strade montane. opere di ingegneria moderna e la motorizzazione, tagliando fuori dal traffico S. Marco e la « janus » del Gargano, concluso un periodo di fiorenti commerci, sembrano condurre di pari passo ad una modernizzazione appiattita di valori; ma anche ad una diminuzione del prestigio di S. Marco. E’ un bene? Probabilmente sì, per la elevazione del tenore di vita del popolo; non so per il Paese. Non so inquadrare S. Marco in altri momenti della sua storia; ma non era mio intento altro, se non sottolineare il significato di alcuni nomi di luoghi e ricordi che vanno scomparendo nel tempo e nella memoria. VITTORIO DE FILIPPIS P. S. - Si potrebbe obiettare che S. Matteo, agli effetti della sicurezza, non fosse luogo da impiantarvi un’ara. Benissimo: spostiamo l’ara alla « Cappelluccia », all’inizio del Borgo Celano; con che si darebbe un significato anche alla Cappelluccia. S. Matteo sarebbe venuto dopo — molto dopo — in località riparata dalle intemperie e con la vocazione conventuale alla sosta ed al riposo del viandante. Con che i conti tornano. 109 ARPI E FOGGIA Se è vero che la storia dovrebbe essere riscritta per essere in parte demitizzata, è anche vero che la demolizione di miti incontra sempre forti resistenze. Siamo ancora troppo suggestionati dal carattere trionfalistico di certa storia ufficiale, che scrittori di parte hanno tramandato per affermare verità di comodo, necessarie alle esigenze di particolari poteri od alle pretese di faziose rivendicazioni. Nel quadro più vasto di condizionamenti nazionali si inquadrano così « fanatis mi periferici e municipali » artatamente sostenuti per creare contrasti tra città e città, nella presunzione di supremazie che nobili e prestigiose origini possono affermare. Foggia, per esempio. Le sue origini sono normanne, ma la nobiltà normanna non bastava al clero locale che, sempre insofferente della sua dipendenza dal vescovo di Troia, per conquistare una sua autonomia, aveva bisogno di dimostrare che la sua chiesa vantava origini più antiche di quelle della chiesa di Troia. Troia, dicevano, era stata fondata appena all’inizio dell’undecimo secolo, mentre Foggia discendeva da Arpi, che aveva origini daune e che era stata presente, col suo vescovo Pardus, al concilio di Arles convocato nel 314 da Costantino, nelle Gallie. Sostenendo questa tesi veniva, intanto, dimenticato che Troia, discendendo a sua volta dall’antichissima Aecae, non aveva origini meno nobili di Arpi. Si volle ignorare, inoltre, che è certamente possibile dimostrare una sicura continuità storica tra Aecae e Troia, i cui cittadini veramente si trasferirono da una località all’altra per arroccarsi in un sito naturalmente più fortificato1 . 1 Cfr. MARIO DE SANTIS, La Civitas troiana e la sua Cattedrale, Foggia, Studio editoriale dauno, 1967. 110 _______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA Invece, tra la scomparsa di Arpi, distrutta nell’anno 5452 , e la nascita di Foggia, avvenuta nei primi decenni del 1000, si contano ben cinque secoli di buio storico, difficile da schiarire, malgrado la preesistenza dello sparuto Borgo del Gufo, abitato da poveri pastori di ignota origine e di più sconosciuta provenienza. E, tuttavia, la fazione doveva prevalere. Nel 1794 il clero di Foggia affidò all’abate Alessio Aurelio Pelliccio la ricerca e lo studio di documenti atti a dimostrare la supremazia delle più nobili origini di Foggia rispetto a quelle di Troia. L’abate Pelliccia, da buon relatore di parte, con eccesso di zelo ed artificiose interpretazioni, dopo lunghe e sofferte disquisizioni storiche, arriva finalmente alle conclusioni desiderate dai committenti, ma con argomenti che permettono di impugnare facilmente il suo manoscritto3 . Egli, principalmente, si basa su un documento del 1024, pubblicato in Italia Sacra dall’Ughelli e che riguarda la delimitazione dei confini della nuova Troia, che arrivavano fino alla « civitas quae dicitur Arpum ». Al Pelliccia la risoluzione del problema appare ovvia: nel 1024 Arpi ancora esiste. Allora anche la continuità storica tra Arpi e Foggia è facilmente dimostrabile, perché Foggia nasce a breve distanza da Arpi e solo pochi anni dopo il 1024. A questo punto, però, dopo una conclusione sospetta di iniziale preconcetto e non convalidata da più solide prove, alcuni interrogativi si impongono. Come mai di una città che ancora esiste nell’undecimo secolo non si trovano più documenti del decimo, del nono, dell’ottavo e del settimo secolo? E perché, subito dopo la nascita di Foggia, si perdono definitivamente tracce e testimonianze di una città gloriosa come Arpi, 2 Cfr. L’ARCHIDIOCESI METROPOLITANA DI FOGGIA, Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali, Foggia, Tipografia adriatica, 1981. 3 Il manoscritto dell’abate A. A. Pelliccia è conservato nell’Archivio capitolare di Foggia. 111 UGO JARUSSI_________________________________________________________________________________ che non può scomparire nel nulla solo perché vicino ad essa è sorta un’altra città? Che importanza si può, inoltre, dare al documento citato dall’Ughelli e che non alla storia di Arpi si riferisce, ma alle vicende nuove della grande erede di Aecae? Ed infine, esistono ruderi o reperti archeologici che possano testimoniare in qualche modo la sopravvivenza di Arpi fino all’undecimo secolo? E’ difficile trovare risposte concrete e convincenti a questi interrogativi. Tra l’altro, nel medioevo, già da prima del mille, estendendo il suo originario significato a più generici concetti, il termine « civitas » veniva adoperato anche per indicare una località, un territorio, un distretto od una diocesi4 . Da molto tempo prima della scomparsa di Arpi, non si hanno più notizie di Vescovi presenti nella città come successori di Pardus che, subito dopo il 314, pur conservando l’originaria giurisdizione, trasferì a Lucera la sua diocesi, per la rapida decadenza di Arpi a causa di probabili terremoti5 . In questo caso, quindi, il termine « civitas », lungi dall’indicare la comunità degli abitanti ormai dispersi, non può indicare nemmeno la diocesi di Arpi. Allora il documento citato dall’Ughelli va interpretato nel senso che i confini del tenimento di Troia, arrivavano, nel 1024, fino alla « località » chiamata Arpi. Evidentemente, scomparsa la città, la denominazione rimase, tramandandosi fino ai nostri giorni per indicare l’agro di un particolare distretto catastale di Foggia, al centro del quale, oggi, sepolta da spesse coltri di terreno vegetale, in attesa di un risveglio archeologico da tempo agognato, ma molto lento a venire, la vecchia Arpi nasconde ancora gelosa il mistero della sua fine ed i tesori della sua grande civiltà. Con bolla del 25 giugno 1855, Pio IX eresse finalmente la chiesa collegiata di Foggia a diocesi, dichiarandola subito 4 Cfr. Du CHANGE, Glossarium mediae et infimae latinitas, Graz, 1954, V, I, sub Civitas. 5 Da L’ARCHIDIOCESI METROPOLITANA DI FOGGIA, già citato. 112 _______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA soggetta direttamente alla Santa Sede ed affrancandola, così, dalla lunga dipendenza dal Vescovo di Troia. Si realizzano in questo modo per Foggia antiche aspirazioni e favorevoli condizioni di privilegio, che avrebbero potuto porre termine ad ogni controversia. La polemica invece è continuata a lungo, rinnovandosi con ricorrenze periodiche fino ai nostri giorni ed interessando, di volta in volta, studiosi di cultura diversa come sacerdoti e giornalisti, uomini di lettere e cultori di storia locale, od urbanisti interessati alle origini della città. Il mito, infatti, era stato creato e risultava difficile superarlo, tanto più che anche altri autori, come P. Giovio (Historiarum sui temporis libri XLV; 1550-1557) e F. Leandro Alberti (Descrizione di tutta Italia, 1661), sia pure fugacemente, avevano accennato già prima del Pelliccia, alla probabile derivazione di Foggia da Arpi. Ma fu il Pelliccia ad avvalorarne l’ipotesi, con la pretesa di una sicura dimostrazione storica. Spesso senza nemmeno consultare più i documenti dell’Archivio Capitolare, fino al XIX secolo, alla relazione dello stesso Pelliccia si rifanno quasi tutti gli storici locali, da Pasquale Manerba a Ferdinando Villani. A questi nomi molti tra gli studiosi che seguirono hanno dato più credito di quanto talvolta non ne meritassero, convincendosi così sempre più della derivazione di Foggia da Arpi, specie in riferimento alle conclusioni non documentate riportate dal Villani nel libro « La nuova Arpi », stampato in Salerno, a cura dell’editore Migliaccio nel 1870. Nel mio libro Foggia, genesi urbanistica, vicende storiche e carattere della città (Bari, Adda editore, 1975), per amore di razionalità, ho dovuto invece accennare alla difficoltà di accettare una ipotesi sentimentale e campanilistica, perché non pare che all’incremento del primo nucleo urbano abbiano potuto concorrere anche sbandati e profughi di Arpi. Non esistono, infatti, testimonianze veramente probanti per una opposta tesi. Contro deduzioni che sono sembrate lesive per il prestigio di Foggia, rinnovando vecchie diatribe, insistenti fino a 113 UGO JARUSSI_________________________________________________________________________________ questi ultimi giorni, si sono levate nuove voci. che, per sostenersi, si basano pedissequamente ancora sulle azzardate istanze finali del Pelliccia e sul significato classico della parola « civitas » del famoso documento del 1024 che, tra l’altro, da alcuni è ritenuto Spurio. Eppure, per superare ogni dubbio, basterebbe richiamare alla memoria le Note foggiane di Nunzio Federico Faragia 6 che, più degli altri, con riferimento agli stessi documenti considerati da Alessio Aurelio Pelliccia, analizza in chiave scientifica ed in termini ragionati la relazione dell’Abate che « tanto ha nociuto alla storia di Foggia ». Ma altre considerazioni sono ancora possibili; oggi si dà molta importanza allo studio del territorio perché dalla sua conoscenza, e dalla conoscenza della economia che al territorio in un certo periodo presiede, può derivare l’accertamento di fatti e vicende non diversamente documentabili. Le indagini relative alla genesi urbanistica del centro antico di Foggia dimostrano che la nuova città non nacque da un naturale incremento della « Terra Vecchia ». Fu invece il nuovo nucleo urbano, che andava crescendo intorno alla chiesa di S. Maria, ad incorporare le sparute capanne di Borgo del Gufo, assimilandone il sito ed integrando tra nuova gente i suoi poveri pastori. Se pure, tra questi pastori, sopravvive ancora qualche lontano erede della scomparsa Arpi, non si può certo pensare a tenaci fondatori di città, ma a soggetti inerti e passivi, succubi di eventi nuovi che sovrastano le loro capacità e le loro iniziative. Gente che si adatta a tutti i disagi del pantano, dimenticando le grandi tradizioni agricole e commerciali di Arpi. Arpi aveva un’agricoltura ricca e fiorente, resa possibile da particolari bonifiche che, con canalizzazioni e drenaggi, conservavano freschezza perenne ai terreni sottratti alla palude e continuo deflusso alle acque superficiali convogliate verso corsi naturali, all’epoca navigabili7 . 6 In NAPOLI NOBILISSIMA, vol. XIII, Anno 1904. Cfr. UGO JARUSSI, Trasformazioni paesaggistiche ed ambientali ad opera dell’uomo nel Tavoliere di Puglia, in « Continuità » - Rassegna tecnica pugliese, Anno X, n. 4, Bari, Tip. Grandolfo, ottobre-dicembre 1976. 7 114 _______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA La costante ed impegnativa manutenzione di strutture ed impianti richiesta da un simile sistema di bonifica, se trascurata solo per poco, poteva trasformare i campi in una irrecuperabile terra sommersa. La presenza dell’uomo era perciò indispensabile alla duratura efficienza della bonifica stessa. All’epoca della nascita di Foggia, la grande estensione di paludi incolte, atte solo al pascolo di grossi capi, esclude la presenza di popolazioni agricole attive sul posto, perché non si potrebbe spiegare diversamente la inefficienza dei drenaggi e l’allagamento dei terreni, per intasamento di canali non più assistiti da continui interventi manutentivi. Solo durante il periodo degli Svevi ricompaiono tra gli stagni di Arpi rari vigneti, mentre della città sono ancora in parte visibili i fossati di difesa e sparuti ruderi di murature, appena emergenti dall’acqua8 . Anche la pastorizia, limitata all’allevamento di grossi capi, denuncia la scomparsa di tradizioni che dall’eredità di Arpi potevano derivare. Molti terreni di Arpi erano sistemati a pascoli perenni per l’allevamento stanziale di ovini e per la produzione della lana, che alimentava ricchi commerci con l’oriente. Nell’undecimo secolo, all’epoca della nascita di Foggia, questo traffico scompare dalla zona, come scompare la produzione della seta di lasiocampa, con la quale Arpi commerciava con l’isola di Chio 9 . Non esistono quindi i presupposti che possano, in qualche modo e per via indiretta, sopperire alla mancanza di documenti ed avvalorare l’ipotesi di una continua presenza di arpani nella zona. Con essi, se pure in modo ridotto e decadente, avrebbero dovuto sopravvivere anche le attività che caratterizzarono l’industria ed il commercio di un periodo veramente prosperoso per l’economia della Daunia. Del resto, da quel poco che è possibile interpretare dalle 8 QUATERNUS DE EXCADENCII ET REVOCATIS CAPITINATAE DE MANDATO IMPERIALIS FEDERICI SECUNDI, Montis Casini, Typis Archicoenobii, MCMIII. 9 Cfr. PEDONE FRANCESCO, La lasiocampa e la rinascita della seta nell’antica Roma, Roma, Società per il progresso delle scienze, 1940. 115 UGO JARUSSI_________________________________________________________________________________ Agro di Foggia: la zona archeologica di Arpi e la città sepolta intravista Da alta quota, con i moderni mezzi dell’aerofotogrammetria. 116 _______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA fotogrammetrie aeree, nei tracciati di Arpi non si rilevano sovrapposizioni urbane o « addizioni » di origine medioevale. Né si deve ritenere che si pretenda troppo da rilievi di difficile lettura, perché con gli stessi mezzi sono stati individuati, lungo la costa adriatica di Capitanata, insediamenti medioevali oggi scomparsi10 . Possiamo quindi concludere, con Faraglia, che volendo impostare uno studio serio per una buona storia di Foggia, anche in attesa che nuove ricerche e scavi diligenti squarcino il velo di antichi misteri, bisogna lasciare da parte Arpi senza che, pertanto, si comprometta l’aurea dignità di un glorioso campanile. Se Foggia veramente discende da Arpi potrebbe, al massimo, ricordare con nostalgia il vanto di una nobiltà perduta. Foggia, come città indipendente e distinta da Arpi, acquista invece il carattere di una città capostipite di nuove tradizioni, nuovi impegni e nuova civiltà. Cosa che, al di là di ogni mito, a me pare più meritoria e più prestigiosa, per la sua origine, la sua storia ed il suo avvenire. Foggia, Settembre, 1981. UGO JARUSSI 10 Rivoli e l’isola lagunare di cupola (da CATERINA DELANO SMITH, Daunia Vetus, Foggia, Amministrazione Provinciale, 1978). 117 OCCUPAZIONE SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA DAL 1960 AL 1974: IL PROBLEMA DELLA RILEVAZIONE DEI DATI STATISTICI E DELLA LORO INTERPRETAZIONE Il principale strumento per la misurazione dell’occupazione in Italia è costituito dai dati Istat risultanti dalle indagini campionarie sulle forze di lavoro. A questi vanno aggiunti i Censimenti della Popolazione; quelli dell’Industria e del Commercio (sempre a cura dell’Istat); indagini sull’occupazione condotte dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale; dati INAIL, INPS, SCAU ed altre. Tutte queste rilevazioni, che pure si differenziano tra loro per finalità e alcuni aspetti di metodologia d’indagine (popolazione di riferimento, cadenza dell’indagine, periodo di riferimento dell’indagine stessa...) si possono accomunare sotto il titolo di rilevazioni ufficiali perché, in primo luogo, le indagini vengono condotte da enti statali o parastatali precipuamente preposti a questo scopo (es. ISTAT) o per i quali comunque la rilevazione statistica è in stretta connessione con l’attività dell’Ente stesso (es. statistiche del Ministero del Lavoro sugli iscritti alle liste di collocamento o dati INPS o altri); in secondo luogo, i dati ottenuti attraverso queste fonti costituiscono natura di dibattito in merito ai provvedimenti da prendere a livello governativo; infine, queste indagini si estendono sull’intero territorio nazionale e vengono ripetute con regolari cadenze nel tempo. Accanto a queste fonti statistiche « ufficiali » si sono aggiunte, nel corso degli ultimi anni, altre promosse dalle équipes di studiosi (statistici, economisti, sociologi) che conducono le indagini presso istituti universitari, collegati ad enti di ricerche indipendenti dall’Istat o per conto di organi locali; ci sono ricerche volte a fotografare alcuni caratteri 118 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… del mercato del lavoro, in un dato momento, non ripetute con regolare cadenza. In questo lavoro, ci occuperemo delle inchieste degli studiosi che, pur avvalendosi delle rilevazioni ufficiali, ne valutano però criticamente la capacità di essere rappresentative dell’articolata realtà del mercato del lavoro e di coglierne alcuni particolari aspetti (lavoro precario, a domicilio, doppio lavoro ecc.). I risultati vengono quindi confrontati e integrati con altre statistiche ufficiali, giungendo spesso a classificazioni e definizioni dei fenomeni diverse e non comprese nella terminologia Istat. Dalle rilevazioni campionarie delle forze di lavoro-Istat, si evince che nel 1974 le donne costituiscono più della metà della popolazione (51,2%), meno di un terzo delle forze di lavoro (27,9%), più della metà dei sottoccupati (52,5%) quasi un terzo dei dis occupati (28,4%), poco meno della metà delle persone in cerca di prima occupazione (41,8%) (tav. 1)1 . Dall’analisi sull’evoluzione nel tempo della popolazione e delle forze di lavoro, riscontriamo che i dati relativi ai maschi (tav. 2a), indicano che la popolazione è aumentata costantemente passando da 23.845 unità a 26.590 unità con un aumento del 12%. Le forze di lavoro, invece, in valore assoluto, sono diminuite quasi costantemente fino al 1973 registrando un calo del 5,5%; tra il 1973 e il 1974 si nota un lieve aumento. Se si adottano come misura i tassi di attività, cioè la percentuale delle forze di lavoro sulla popolazione, si riscontra una diminuzione costante. Quanto alle femmine (tav. 2b) con riferimento alle cifre assolute riguardanti l’evoluzione della popolazione, si rileva un aumento complessivo del 12% nell’intero periodo osservato. Tra il 1960 e il 1972 le forze di lavoro registrano una diminuzione del 18,3%, con qualche oscillazione negli anni intermedi, e solo dopo il 1972 è iniziata una tendenza all’aumento. I tassi di attività registrano una riduzione dal 1960 al 1972 di oltre 6 punti (dal 24,9% al 18,6%) pari al 25,3% contro un’analoga riproduzione del 10,4% per gli uomi- 1 Conferenza nazionale, Sviluppo sociale ed economico del Paese ed occupazione femminile, I gruppo, 1975. 119 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ ni. Negli anni ‘73-’74, di fronte al proseguire della tendenza discendente del tasso di attività maschile, il tasso di attività femminile ha registrato un certo incremento, riportandosi a livelli un poco superiori al 19%. Il calo dell’occupazione femminile, in termini assoluti, significa l’uscita dalle forze di lavoro di 1.148 mila unità, se si considera il periodo 1960-1972, e 828 mila unità, se si considera il periodo 19601974. L’analisi della struttura delle forze di lavoro secondo i tre grandi settori di attività economica (tav. 3) dimostra che la donna più dell’uomo è presente nel settore dell’agricoltura, mentre la sua partecipazione al lavoro industriale non ha mai superato il limite massimo del 33,3% raggiunto nel 1970. In cifre assolute, tra il 1960 e il 1974 sono uscite dall’industria 142 mila donne mentre vi entrava 1 milione di uomini, facendo salire la percentuale degli occupati maschi dal 39,5% al 48,1%. Il settore in cui, a partire dal 1963, più si è addensata la partecipazione femminile è quello terziario. Dai dati sulla dinamica dei tassi di attività per sesso, classi di età e settori di attività economica dal 1960 al 1973 (tavv. 4-5) risulta che, nell’età di piena produttività (classe 39/40 anni) sulle quali non influisce l’aumentata scolarità e sulle quali non dovrebbe influire ancora l’eventuale anticipo del ritiro dal lavoro, soltanto per le donne si è avuta una contrazione dei tassi (dal 33,6% al 31,0%) che si è verificata non solo nell’agricoltura ma anche nell’industria, contro un certo aumento nel terziario, laddove per gli uomini la contrazione è limitata nel solo settore agricolo con un aumento notevole negli altri settori. Quest’ultimo dato fornisce elementi significativi utili a far cadere l’interpretazione fornita dal professor De Meo, presidente dell’Istat, secondo cui la variazione del numero degli occupati in Italia sia da considerarsi come effetto della caduta dell’offerta di lavoro, sia da parte dei maschi che delle femmine, attribuibile all’azione di due fattori interellati: 1) il vasto processo di esodo che nell’ultimo quindicennio ha pressoché dimezzato le forze di lavoro agricole e che tra l’altro 120 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… avrebbe provocato il passaggio nella « popolazione non attiva » di buona parte dei coadiuvanti, in particolare femmine; 2) l’incremento dei redditi da lavoro, dovuto sia alla ricollocazione di lavoratori agricoli in altri settori di attività, sia alle lotte sindacali sviluppatesi in tali settori, che avrebbe permesso ad un maggior numero di anziani di ritirarsi definitivamente dal lavoro e ad un maggior numero di giovani, anche proletari, di dilazionare la scadenza del loro ingresso nel mercato del lavoro (aumento della scolarizzazione)2 . I critici di tale interpretazione hanno osservato, in merito all’importanza assegnata alla « crescita del benessere », che la caduta del saggio di attività risulta più marcata nelle regioni meridionali e nelle isole, cioè proprio dove — stando alla prima ipotesi — il fenomeno avrebbe dovuto apparire più attenuato e, inoltre, si sono soffermati ad analizzare i contenuti della scatola che porta l’etichetta di « popolazione non attiva », rivolgendo l’attenzione alla composizione della caduta dei tassi di attività in termini di età e di sesso, studiata come tendenza collegata ai processi di ristrutturazione in atto nell’economia italiana3 . La conclusione a cui sono pervenuti tali critici è che la caduta del saggio di attività femminile è dovuto ad una contrazione della domanda di forza lavoro da parte dei settori industriali più avanzati, che negli anni del boom avevano rappresentato il fattore dinamizzante del mercato del lavoro — anche se non avevano assorbito neppure in quel periodo la maggioranza della forza lavoro resasi eccedente. Nel tentativo di pervenire alle cause che stanno all’origine della caduta dei tassi di attività femminili, alcuni studiosi4 si sono serviti 2 Cfr. G. DE MEO, Evoluzione e prospettive delle forze di lavoro in Italia, Milano, Istat, 1970; inoltre, Istat, Indagine speciale sulle persone non appartenenti alle forze di lavoro, « Supplemento straordinario al Bollettino mensile di Statistica », Novembre 1971. 3 G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Agricoltura, Mezzogiorno e Mercato del lavoro il Mulino, Bologna, 1975. 121 4 Cfr. G. MOTTURA - E. PUGLIESE, op. cit., pag. 244; inoltre, L. FREY, Analisi economica della sottoccupozione femminile in Italia, pagg. 9-65, in « Occupazione e sottoccupazione femminile in Italia », di L. Frey, R. Livraghi, G. Mottura, M. Salvati, Franco Angeli ed., Milano, 1976. ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ del concetto marxiano di « sovrappopolazione relativa ». Per Marx, essa è causata dal fatto che, nei sistemi di produzione capitalistica, « la crescita dei mezzi di produzione e della produttività è assai più rapida di quella della popolazione che produce » e in essa distingue la s.r. fluttuante (la disoccupazione esplicita che risulta « . ..dall’intensità e/o dalle forme assunte dal processo di accumulazione capitalistica »); la s.r. latente (la popolazione impiegata in settori produttivi o in unità produttive non ancora interessati dai processi di accumulazione del capitale che tende a trasformarsi in parte dell’« esercito operaio », cioè o in s.r. fluttuante o in s.r. stagnante); la s.r. stagnante (parte dell’« esercito operaio attivo.., alimentata di continuo dai lavoratori espulsi dalla grande industria e dalla grande agricoltura » e rappresentata dai lavoratori del tipo lavoranti a domicilio ed occupati precari a tempo parziale). All’interno di questi tre tipi, Marx distingue uno « strato pauperizzato » la cui sopravvivenza «…grava sulle spalle del proletariato e della piccola classe media » 5 . Dal momento che l’esistenza della sovrappopolazione relativa e la sua utilizzazione sono bene interpretate se la si riferisce all’esigenza di valorizzazione del capitale, attraverso l’analisi dell’andamento dell’occupazione, della sottoccupazione e della disoccupazione femminile nei tre grandi settori economici è possibile illustrare le tendenze in atto nel mercato del lavoro italiano e le forme che vanno assumendo i processi di ristrutturazione in settori di primaria importanza. 5 K. MARX, Il Capitale, Roma, Rinascita, libro I, sez. VII, cap. XXIII, pagg. 81- 82. 122 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… AGRICOLTURA Se si accetta come valida l’osservazione di Sylos-Labini6 secondo cui il divario effettivo dei redditi contribuisce all’esodo rurale insieme ad altri motivi non direttamente misurabili in termini economici, quali la durezza del lavoro agricolo, le minori condizioni di sviluppo intellettuale e culturale, i rischi connessi con l’andamento stagionale e con quello climatico, la deficienza dei servizi pubblici e di luoghi di svago, ne consegue che l’esodo rurale dipende principalmente dal saggio di incremento delle attività extra-agricole e dalla domanda di lavoro. Del resto, la disparità città-campagna è da ritenersi, secondo questo autore, direttamente funzionale al processo di sviluppo, perché la produzione può crescere al saggio relativamente basso, occorrente, grazie all’incremento di produttività di un numero decrescente di lavoratori. In Italia, nel decennio ‘60, il peso specifico di sovrappopolazione latente in agricoltura è diminuito per l’imponente ondata di esodo che, negli anni del cosiddetto « miracolo economico », fu favorita dal dischiudersi di canali di deflusso in maniera eccezionalmente larga in seguito all’accresciuta domanda di forza lavoro negli altri settori, in Italia e in altri Paesi europei, dalla ripresa accelerata dello sviluppo capitalistico all’interno del settore e dall’accelerarsi di processi di proletarizzazione nei settori contadini più deboli7 . Dal 1959 al 1972 lasciano complessivamente il settore primario 1.321.000 unità lavorative femminili. In termini percentuali le donne, che nel 1959 rappresentavano il 34,2% degli occupati del settore, nel 1972 erano calate al 31,0% (tav. 6), nonostante la battuta d’arresto verificatasi nel 1971, in virtù della quale il totale della forza lavoro femminile occupata in agricoltura è apparsa improvvisamente incrementata di 24.000 unità in un solo anno. In questo lasso di tempo, si verificano fenomeni apparentemente contraddittori. Dopo una prima fase in cui si assiste ad un alto flusso di esodo maschile, che aveva dato luogo a fenomeni 6 SYLOS - LABINI, Problemi dello sviluppo economico, Laterza, Bari, 1972, pagg. 200-201 7 G. MOTTURA - E. PUGLIESE, op. Cit. 123 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ di rimpiazzo, per lo più temporaneo, che erano apparsi come correnti di « femminizzazione » dell’agricoltura, negli anni successivi al boom economico si assiste al gonfiarsi del fenomeno della « messa in soprannumero » di manodopera femminile sotto la forma di passaggio alla condizione di casalinghe. Tale passaggio si è reso necessario sia perché prosegue il processo di esodo dalle aree agricole agli stessi saggi del quinquennio precedente, salvo una battuta d’arresto nell’annata ‘63-’64, sia perché, nella generale caduta della domanda di forza lavoro da parte dei settori extra-agricoli — soprattutto di quello industriale — la manodopera femminile viene coinvolta in modo più rilevante non soltanto a livello delle nuove assunzioni, ma anche per quel che riguarda la quota della forza lavoro che nel quinquennio precedente era entrata a far parte dell’esercito operaio attivo. Data l’insufficienza a valutare il fenomeno della messa in soprannumero della manodopera femminile nel primario sulla base dei dati Istat, Mottura e Pugliese8 hanno analizzato i dati forniti dallo SCAU (Servizio Contributi Agricoli Unificati) per rilevare la forza di lavoro che, indipendentemente dal numero di giornate realmente effettuate in Operazioni agricole, continua a gravitare in questo settore, dal momento che le altre possibilità di occupazione presentano caratteristiche di saltuarietà o di precarietà, e comunque non garantiscono una copertura previdenziale e assicurativa. Mentre i dati Istat, disaggregati per sesso, forniscono una stima di 1.131.000 addette nel settore nel 1970, i dati SCAU ne forniscono 2.435.000 che, in termini di incidenza della forza lavoro femminile sul totale degli addetti agricoli, rivelano una differenza rilevante: per l’Istat, tale incidenza è del 30% circa, per lo SCAU del 49% (tav. 7). Dopo il ‘63, cessa il processo di « femminizzazione » dell’agricoltura. Se ci si limita ai soli dati Istat, bisogna convenire con Paci9 , secondo cui, a partire da quell’anno, si assiste ad un processo di « mascolinizzazione » dell’agricoltura, dal momento che entra in crisi l’azienda diretto-coltivatrice 8 9 G. MOTTURA - E. PUGLIESE, ibidem. M. PACI, Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, Il Mulino, Bologna, 1973. 124 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… a conduzione familiare e si sviluppa, al suo posto, l’azienda capitalistica che tende ad espellere forze di lavoro femminili in misura maggiore di quelle maschili. Ma se si mettono a confronto i dati SCAU con i dati Istat, si nota che per lo SCAU le donne, con lievi differenze, rappresentano circa la metà degli occupati agricoli in tutte le circoscrizioni (nel 1970, ultimo anno disponibile, le percentuali variano tra il 47,4% del Nord e il 50,5% del Centro), per l’Istat la forza lavoro femminile rappresenta rispettivamente, nel Nord, il 26,8% degli addetti agricoli, nel Centro il 29,8%, nel Sud e nelle Isole il 33,9% (tav. 8). Se si assume che i dati Istat rispecchiano l’occupazione effettiva, risulta confermata la tesi di Paci sulla « mascolinizzazione » del settore, la quale appare più accentuata nel Nord che nel Sud. Tuttavia, è da tenere presente che la reazione al processo di « mascolinizzazione » del settore non è un flusso di espulsione delle donne — tanto è vero che esse permangono iscritte negli elenchi anagrafici — ma il loro confinamento in un’area di attività precaria di vario tipe che alimenta la s.r. stagnante. Se, infatti, si disaggregano i dati Istat per categorie professionali, si rileva che, nella sezione dei lavoranti indipendenti (che comprende tanto gli effettivi lavoratori indipendenti quanto i coadiuvanti) i maschi sono il 69,1% del totale, le femmine il 31,9% (tav. 7). Se si calcola l’incidenza dei coadiuvanti sul totale dei lavoratori indipendenti, si riscontra che la forza lavoro femminile rappresenta il 72,4% contro il 19% di quella maschile e che tale rapporto non ha subito variazioni nel periodo considerato (tav. 9). Per quanto è possibile, dal momento che le due fonti hanno metodi differenti di rilevazione, dal confronto dei dati Istat con quelli SCAU risulta che il numero dei lavoranti indipendenti di sesso femminile è maggiore in quello SCAU (tav. 10 e che tale discrepanza, pur essendo riscontrabile per l’intero territorio nazionale, risulta particolarmente accentuata nelle regioni settentrionali in cui minore è il numero delle addette all’agricoltura. L’interpretazione che Mottura e Pugliese10 10 G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Op. cit. 125 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ danno di questi dati è che le lavoratrici « indipendenti », censite presso lo SCAU e non risultanti alle rilevazioni Istat, sia rappresentata da figure del tipo casalinga-coadiuvante agricola/lavorante a domicilio, che l’Istat esclude dalle forze di lavoro. Una riprova di ciò è che l’incidenza delle lavoratrici sul totale della forza lavoro impiegata è maggiore nelle aziende contadine e mezzadrili delle regioni centrali, dove il fenomeno del lavoro a domicilio è più diffuso (tav. 11). I dati riguardanti i lavoratori dipendenti mostrano differenze notevoli tra i dati Istat e i dati SCAU, tuttavia risultano meno rilevanti di quelle relative ai lavoratori indipendenti ed hanno una diversa localizzazione territoriale, dal momento che le differenze maggiori riguardano le regioni meridionali (tav. 12). Si può ipotizzare 11 che nelle regioni meridionali le possibilità di occupazione extra-agricole siano limitate anche nel lavoro precario, particolarmente a domicilio — attualmente lo sbocco principale della forza lavoro femminile —. Sul piano statistico, infatti, le forze di lavoro femminili impegnate in lavori saltuari presso altre aziende agricole, oltre che in quelle familiari — considerata la particolare forma di utilizzazione del suolo nel Sud che comporta un’elevata domanda di lavoro in alcuni periodi dell’anno — si trovano nella categoria dei « lavoratori dipendenti » e, per quanto loro è possibile, tendono ad iscriversi presso gli elenchi anagrafici SCAU, garantendosi in tal modo una copertura previdenziale ed assicurativa più efficace di quella fornita dalla Cassa Mutua Coltivatori Diretti. L’incidenza delle femmine sul totale dei lavoratori agricoli dipendenti nel Sud (46,2% secondo lo Scau, 32,5% secondo l’Istat) si spiega anche col fatto che per le forze di lavoro maschile esistono altri sbocchi, se non altro l’emigrazione. INDUSTRIA Secondo alcuni studiosi12 , le cause del basso livello occupazionale registrato in Italia al 1971 vanno ricercate negli 11 12 Cfr. G. MOTTURA - E. PUGLIESE, op. cit. Cfr. M. PACI, op. cit.; L. FREY, op. cit. 126 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… anni ‘64-’66, quando nel nostro Paese si avvia il processo di recessione economica. A partire dal ‘63, la situazione di favorevole congiuntura che aveva caratterizzato l’occupazione in Italia per tutti gli anni ‘50 e in particolare negli anni ‘59-’63, subisce una variazione di tendenza. Gli interventi contrattuali e legislativi che furono originati dalle lotte sindacali del ‘63 comportarono, nel loro complesso, un drastico mutamento nella condizione di sottosalario di ampie fasce di forza lavoro marginale, costituita in prevalenza dai giovani, dagli immigrati non qualificati, dalle donne, sulle cui spalle era stato possibile, nel corso degli anni ‘50, fondare un sistema industriale dualistico, basato sulla piccola-media/grande industria con diversi livelli retributivi che agevolarono l’accumulazione capitalistica in Italia. Gli interventi legislativi, d’altra parte, eliminarono la possibilità di assumere e licenziare manodopera a seconda del fabbisogno disponendo, a tale scopo, di forza lavoro non qualificata e a basso salario. L’atto, a partire dal quale l’Italia entra in una fase di depressione, è la stretta creditizia dell’autunno del ‘63, con la quale le autorità monetarie intesero far fronte all’inflazione derivante da eccesso di domanda. Ma la stretta creditizia, eliminando per le imprese le fonti di finanziamento esterne (il margine di profitto utilizzabile per l’autofinanziamento aziendale era stato eroso dalle lotte sindacali del ‘61-’63), provocò una caduta negli investimenti produttivi e nella domanda globale 13 . Ciò si tradusse nella caduta dell’occupazione, in particolare di quella femminile, che registra una flessione in tutti i comparti economici. Tuttavia, come ha dimostrato Sylos-Labini14 , la stagnazione dei livelli globali dell’occupazione, dopo il ‘63, è conseguenza di importanti processi di riorganizzazione della produzione dal momento che, alla caduta degli investimenti, non si accompagna una diminuzione, bensì un aumento della produttività nell’industria manifatturiera. Tale riorganizzazione viene considerata dagli studio- 13 A. GRAZIANI, L’economia italiana: 1945-1970, Il Mulino, Bologna, 1972. P. SYLOS - LABINI, Flessione dei profitti, prospettive del Mezzogiorno. effetti della liberalizzazione, in « Rivista internazionale di scienze economiche », 1971. 14 127 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ si15 come la risposta che il sistema industriale dà alle lotte sindacali e alla pressione salariale derivatane. Gli aspetti principali di questo processo sono, da un lato, l’eliminazione, per fallimento o per assorbimento, di numerose aziende medie e piccole da parte delle imprese maggiori e, dall’altro, l’intensificazione dei ritmi di lavoro per la manodopera rimasta occupata a cui si accompagna un approfondimento degli aumenti di merito. La smobilitazione di parte del settore industriale periferico, per il quale risulta difficile mantenere in organico i lavoratori marginali che esso aveva appena « regolarizzato », si traduce nell’espulsione dall’attività lavorativa delle « quote deboli » della forza lavoro — donne, giovani, lavoratori non qualificati — delle quali una parte rifluirà, negli anni seguenti, nelle campagne; un’altra darà nuovo alimento all ‘emigrazione temporanea all’estero; una altra, la più consistente, resterà in condizioni di inoccupazione. Questo ha fatto ritenere ad alcuni autori16 che a partire dal ‘65, grosso modo, il capitalismo italiano entri in una fase che potrebbe definirsi di « maturità » o di accumulazione intensiva caratterizzata, per quanto riguarda il mercato del lavoro, da un approfondimento qualitativo della domanda di lavoro da parte del settore industriale più moderno. Gli operai più richiesti sono i maschi, compresi nella fascia d’età tra i 20 e i 45 anni, preferibilmente sposati, in possesso del titolo di scuola media inferiore, già socializzati all’ambiente urbano-industriale. La condizione di inoccupazione è avvertita in modo più accentuato dalla manodopera femminile in quanto, in questi anni, come già detto, il meccanismo sostitutivo della forza lavoro maschile nelle campagne perde la sua importanza di fronte al gonfiarsi del fenomeno della « messa in soprannumero » di manodopera femminile sotto la forma di passaggio alla condizione di « casalinghe ». Alla fine del fenomeno recessivo (1966), l’occupazione femminile dipendente totale risulta al di sotto degli indici generici esistenti all’inizio della 15 M. PACI, Op. cit. M. PACI, Le contraddizioni del mercato del lavoro, in « Inchiesta », Anno II, n. 6, 1972, Ed. Dedalo. 16 128 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… fase espansiva (1959). Se si assumono, come periodi di riferimento, quello della massima espansione dell’occupazione femminile (1963) e quello della fine del fenomeno recessivo (1966), la caduta dei livelli di occupazione femminile appare più pesante: 334.000 unità femminili dipendenti in meno, di cui 180.000 nel settore dell’industria. La gravità del problema emerge ulteriormente se si considera che la diminuzione dell’occupazione femminile autonoma è stata pari a 1.123.000 unità in meno dal ‘59 al ‘66 e non ha potuto essere assorbita dall’occupazione dipendente a causa della recessione in atto17 . La ripresa economica degli anni ‘67-’70 circa viene interpretata da Paci18 come un tentativo del sistema industriale di far ripartire l’accumulazione capitalistica senza l’ausilio del settore periferico. Ma le lotte sindacali del ‘69, e gli obiettivi egualitari che le caratterizzano, segnano la sconfitta di questo primo tentativo, perché esse si rivolgono contro la « riorganizzazione industriale » e la differenziazione salariale all’interno del settore centrale dell’industria. Tale settore si trova, dunque, di fronte ad una rigidità dell’offerta di lavoro per molti aspetti imprevista: il proletariato marginale, espulso dal settore periferico negli anni della recessione economica, non funziona più come esercito industriale di riserva e come strumento di divisione e di ricatto della classe operaia del settore centrale. A questa rigidità, che potrebbe definirsi una contraddizione del mercato del lavoro, se ne uniscono altre quali la forza acquisita dal sindacato in fabbrica con il movimento dei delegati (una delle conquiste normative dei contratti del ‘69 e dello Statuto dei lavoratori); il gonfiamento del terziario improduttivo e dei ceti parassitari, alimentato dal clientelismo e finanziato con denaro pubblico; la diffusione della scolarizzazione a livello di massa e la fuga dalla condizione operaia di ampie quote di forza lavoro giovanile; i vincoli esistenti, infine, dal lato dell’offerta 17 Rassegna Sindacale, Per il dibattito e l’iniziativa in preparazione della conferen- za sulla occupazione femminile, Inserto e documentazione per la conferenza per l’occupazione femminile, in « Rassegna sindacale », n. 114, 1967. 18 M. PACI, Mercato... op. cit. 129 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ del lavoro, per una piena utilizzazione della forza lavoro femminile a causa della carenza di servizi e di strutture sociali di assistenza ai fanciulli e agli anziani, nonché i problemi attinenti all’aumento dei prezzi e alla carenza di alloggi e di trasporti nell’ambiente urbanoindustriale. Il disegno 19 che sta all’origine della divaricazione delle opportunità di lavoro per i maschi e per le femmine, a partire dagli anni ‘64-’66, consiste nello sforzo, da parte degli imprenditori, di elevare, da un lato, la produttività del lavoro e di minimizzare, dall’altro, tanto i rischi sindacali (dato che, a causa della duplicità del suo ruolo nel lavoro e in famiglia, la manodopera femminile appare assai più immediatamente sensibile che non quella maschile alle contraddizioni tra livelli retributivi, condizioni di vita e costo della vita in genere, e tende a rifletterle con durezza nel comportamento sindacale) quanto i livelli di assenteismo (vedi anche matrimonio e maternità) i quali, in una situazione di virtuale parità salariale, si traducono in una maggiore onerosità del lavoro femminile. Tuttavia, alla luce delle modificazioni tecnologiche e organizzative all’interno delle imprese e delle esigenze che le originano, la enfatizzazione della minore produttività della forza-lavoro femminile rispetto a quella maschile, quasi fosse un attributo naturale piuttosto che una condizione storicamente e strutturalmente determinata, deve essere considerata la giustificazione ideologica di una situazione di fatto, come del resto dimostra la situazione esistente in altri Paesi o esistita in altri periodi, per alcuni settori, anche in Italia. Nella maggior parte dei Paesi capitalisticamente avanzati, infatti, si nota un andamento del mercato « a gobba di cammello », rappresentativo delle due fasce d’età in cui la partecipazione femminile al mercato è particolarmente elevata: la fascia che va dai 15 ai 25 anni, e la fascia di donne al di sopra dei 35 anni. Tra questi due massimi c e una fascia che partecipa poco al mercato del lavoro e che corrisponde all’età in cui le donne si sposano e hanno figli. L’Italia, invece, presenta una curva d’età il cui andamento raggiunge il massimo in corrispondenza delle età più giovani 19 CENSIS, anno IV, nn. 74-75, pag. 639. 130 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… (15-25 anni) per poi calare in modo continuo (tav. 13). I tassi d’attività delle donne sui 35-40 anni diminuiscono lentamente ma inequivocabilmente, sebbene la percentuale delle donne sposate sul totale delle donne che lavorano sia in leggero aumento, e ciò in connessione all’approvazione della legge sugli asili-nido approvata nel 1971 (Lg. 6-12-1971)20 . E’ ipotizzabile 21 che, nelle fasce d’età che negli altri Paesi vedono un cospicuo « rientro » di forza lavoro femminile nel mercato, sia diffuso in Italia un’occupazione nascosta, soprattutto nelle aree di maggiore sviluppo complessivo. Dai risultati di un’indagine Istat22 , relativa alle « non forze di lavoro » svolta nel 1971, risulta che, delle « persone non appartenenti alle forze di lavoro », la maggioranza (14.312.000 su 18.837.000) era costituita da donne, di cui 2.644.000 alla domanda relativa alla disponibilità ad accettare un lavoro retributivo, hanno risposto affermativamente: il 14,5% ha dichiarato di essere disposto a lavorare « ovunque »; il 56% « nelle vicinanze di casa »; il 29% « in casa ». Questa indagine conferma un’effettiva presenza sul mercato del lavoro di donne, che nelle statistiche Istat risultano inoccupate o come popolazione non attiva, ovvero come « casalinghe », e mette in evidenza (si pensi a quelle che hanno espresso una preferenza a lavorare « in casa ») che esse rappresentano un fertile terreno per lo sviluppo del lavoro a domicilio. Il tentativo di ripresa economica che si verifica dopo il ‘70 è stato favorito dalla svolta a destra a livello governativo e dall’inflazione, che ha comportato una ripresa dell’orario straordinario e della turnazione, entrambi strumenti di flessibilità del lavoro, ma soprattutto dal rilancio in grande stile del settore periferico e del rifiorire del subappalto e del lavoro « nero » in tutte le sue forme. Secondo Paci23 entra in funzione, in questi anni, un tipo di piccola impresa — definita impresa ingranaggio — che rivela i sintomi di un processo 20 M. PIA MAY, Mercato del lavoro femminile: espulsione o occupazione nascosta?, in « Inchiesta », Anno III, n. 9, 1973, Ed. Dedalo. 21 M. PIA MAY, ibidem. 22 ISTAT, Indagine speciale... op. cit. 23 M. PACI, Crisi, ristrutturazione e piccola impresa, in « Inchiesta », Anno V, n. 20, 1975, ed. Dedalo. 131 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ vero e proprio di destrutturazione di certe produzioni « centrali », a cui si accompagnano l’innovazione e la diversificazione della produzione nel settore centrale. Secondo Frey24 , il decentramento produttivo è una via per evitare eccessi di produzione di fronte a impreviste oscillazioni qualitative e quantitative della domanda, così da rafforzare la tendenza ad una sostanziale rigidità dei prezzi verso il basso e da assicurare una relativamente rapida risposta della produzione alla domanda presso le unità produttive che sono in grado di guidare l’« amministrazione » dei prezzi. Ne è risultata la proliferazione di unità operanti s u commessa di dimensioni minori, fino a coinvolgere imprese artigiane e, come ultimo anello dei processi di decentramento, i lavoratori a domicilio in senso stretto, che alimentano la s.r. stagnante. Le ragioni che spiegano il lavoro a domicilio 25 sono fondamentalmente quattro: nelle lavorazioni commesse a domicilio le economie di scala sono nulle, o comunque poco rilevanti; il lavoro a domicilio costa molto meno che il lavoro in fabbrica; comporta bassissimi investimenti per addetto e diminuisce i rischi; consente un’altissima flessibilità nell’uso della forza lavoro. Questa manovrabilità della forza lavoro è particolarmente importante nei settori tessile e abbigliamento, della maglieria, delle calzature, della pelle e del cuoio, della farmaceutico-cosmetica, delle materie plastiche per le produzioni leggere e i prodotti finiti. L’aspetto più grave di questa situazione è che la rilevante massa di manodopera femminile impiegata in modo precario nel lavoro « nero », che comprende sia il lavoro a domicilio in senso stretto che l’elevata quota di forza lavoro impiegata nelle piccole imprese nate per effetto del decentramento produttivo26 non è rilevabile dai dati Istat. Impedisce una corretta rilevazione del fenomeno il fatto che, in entrambe le condizioni, i datori di lavoro, soprattutto nei settori delle confezioni e della trasformazione del prodotti agricoli, non 24 L. FREY, Le piccole e medie imprese industriali di fronte al mercato del lavoro in Italia, in « Inchiesta », Anno IV, n. 14, 1974, Ed. Dedalo. 25 S. BRUSCO, Prime note per uno studio del lavoro a domicilio in Italia, in « Inchiesta», Anno III, n. 10, 1973, ed. Dedalo. 26 G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Op. Cit. 132 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… regolarizzano l’assunzione per eludere il pagamento dei contributi previdenziali ed assicurativi. A ciò si aggiungono, da parte della donna, sia l’esigenza di difesa fiscale e la necessità di conservare la protezione previdenziale goduta dal capofamiglia, che cadrebbe nel caso di una configurazione professionale specifica, sia la condizione di ricatto da parte del « gruppista », che mantiene con la lavorante un rapporto di tipo personale. Tuttavia Bergonzini27 ha dimostrato che le stesse definizioni adottate dall’Istat nel censimento del ‘71 offrono ampie possibilità di alterazione nell’accertamento della professionalità reale della donna, dato che « lavorante a domicilio » è, secondo le disposizioni date ai rilevatori del censimento, chi lavora « contro retribuzione per una o più imprese e non per conto di consumatori », mentre il compenso « tanto a pezzo » non può essere considerato una retribuzione. A ciò si aggiunga l’equivoca definizione di « casalinga », secondo cui le donne che, pur attendendo alle cure domestiche svolgono un’attività professionale solo occasionalmente, devono essere in ogni caso considerate casalinghe. Secondo una stima indiretta di Frey28 , il numero complessivo della quota delle dipendenti di piccole fabbriche che sfuggono alla rilevazione statistica più quello delle lavoranti a domicilio, può essere stimato pari al numero delle forze di lavoro femminili che risultano ufficialmente occupate nell’industria (si tratta di cifre che si mantengono intorno al milione e mezzo di unità). ALTRE ATTIVITÀ Il settore terziario è un settore composito e molto differenziato nel suo interno. Esso ha rappresentato, in quest’ultimo quindicennio, uno sbocco per una parte della forza lavoro uscita dall’agricoltura che non ha trovato collocazione nell’industria né è scomparsa dalla popolazione attiva. In esso viene assorbita una quota cospicua dell’occupazione femminile e 27 L. BERGONZINI, Casalinghe o lavoranti a domicilio?, in « Inchiesta », Anno III, n. 10, 1973, ed. Dedalo. 28 Cfr. S. BRUSCO, op. Cd. 133 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ tale assorbimento permane quantitativamente elevato ed anzi tendenzialmente crescente: nel 1974, le donne addette al terziario rappresentano circa la metà di tutte le occupate: 48,8%. E molto arduo affrontare il problema della composizione del terziario in termini di classe, sia pure distinguendo preventivamente i diversi rami di cui esso si compone perché, se da un lato può considerarsi incontrovertibile l’esistenza di una componente proletaria nell’imponente flusso di forza lavoro riversatosi nel quindicennio in questo settore, risulta problematico quantificare questa affermazione e tradurre la quantificazione in figure sociali distintamente caratterizzate. Tuttavia Frey29 , facendo riferimento a sistemi economici in cui, come nel nostro, per presupposto la donna assume una funzione integrativa del reddito familiare ritenuto necessario, colloca in posizione chiave la disoccupazione/sottoccupazione femminile esplicita (che consiste nell’offerta di lavoro calcolata in base ai dati ufficiali) e quella implicita (che consiste nell’offerta di lavoro effettiva non inclusa nei dati ufficiali e pertanto non tutelata sul piano normativocontrattuale, che Frey cerca di calcolare attraverso altre fonti con vari metodi). Partendo dal concetto di sovrappopolazione relativa e fermando l’attenzione sullo strato pauperizzato, egli cerca di quantificare la quota delle sottoccupate che lavorano, per effettivo bisogno, nel settore terziario in Italia. Secondo calcoli basati sul confronto tra i risultati delle indagini Istat sulle forze di lavoro e le serie « corrette » sull’occupazione presente, permanente e marginale (ma tenendo conto anche di informazioni provenienti da altra fonte pubblica), Frey individua una sottoccupazione terziaria esplicita continuamente crescente dal 1961 al 1971. Essa risulta calcolabile, per il 1971, in almeno 340.000 donne in più rispetto ai livelli massimi di forze di lavoro rilevate nelle indagini Istat. Per quantificare la sottoccupazione implicita femminile terziaria, Frey si serve di un metodo di calcolo che guarda analiticamente alle attività produttive, tenendo conto delle persone coinvolte anche se in modo molto discontinuo e per 29 L. FREY, Analisi economica... op. cit., pag. 30 e segg. 134 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… un numero di giornate lavorative annue, di ore settimanali o giornaliere, « anormali » rispetto alle persone occupate e tutelate sul piano normativo contrattuale. L’entità di tale sottoccupazione è calcolata o correggendo i risultati delle indagini trimestrali Istat o integrando questi con le informazioni quantitative desumibili dagli uffici preposti al collocamento, dagli enti previdenziali e dai risultati dei censimenti sulla popolazione. Pertanto, per quanto riguarda la sottoccupazione femminile non censita nel settore turistico-alberghiero, essa risulta, nel 1971, pari a 67.000 unità, di cui 12.000 possono essere considerate sottocupazione esplicita configurate nelle forze di lavoro « corrette », e 55.000 come sottoccupazione implicita. A questa sottoccupazione implicita va aggiunta quella riguardante i pubblici esercizi (di calcolo molto incerto ma rilevante, secondo la ricerca da Frey condotta sul potenziale di lavoro femminile e coinvolgente donne accanto a minori, specie nel Sud) e quella coinvolta nel turismo extra-alberghiero, per la prestazione di servizi di alloggio, vitto e altro. Anche se i dati disponibili non consentono una sicura base quantitativa su cui fondare stime per la sottoccupazione nei pubblici esercizi e nel turismo extra-alberghiero. tuttavia, dati sulle licenze nei pubblici esercizi, sul movimento turistico interno ed estero, oltre ai dati sulle licenze ad esercizi alberghieri, permettono di ipotizzare che vi sia stata una tendenza al progressivo aumento della sottoccupazione femminile implicita coinvolta nel settore degli alberghi e dei pubblici esercizi (escludendo il turismo extra-alberghiero nel senso detto) dall’inizio degli anni ‘60 in poi, con un’accelerazione nella seconda metà degli anni ‘60 specialmente nelle regioni più terziarie (si può ipotizzare che in un decennio tale sottoccupazione sia più che raddoppiata. con marcati aumenti nel 1966 e negli anni dal 1967 al 1970). Inoltre. si può ritenere che le dimensioni di tale sottoccupazione fossero, all’inizio degli anni ‘70, nettamente superiori alle 150.000 unità. Anche le riflessioni sul turismo extra-alberghiero, secondo Frey. rafforzano la convinzione che la sottoccupazione femminile implicita sia cresciuta dal 1963 in poi e soprattutto abbia registrato una più marcata espansione dal 1969 in poi. Per quanto riguarda gli addetti ai servizi domestici, tenendo 135 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ presente anche l’insegnamento offerto dalle indagini sul campo, da cui risulta uno stretto legame tra fenomeni di urbanesimo e dinamica dei servizi domestici configurabili come lavoro dipendente, anche se non tutelato sui piano normativo-contrattuale, Frey giunge a calcolare un’occupazione-sottoccupazione effettiva pari a 445 mila occupati/sottoccupati effettivi, di cui 190 mila sottoccupati impliciti minimi, per il 1961, per arrivare a 530 mila occupati/sottoccupati effettivi. di cui 195 mila sottoccupati impliciti minimi, per il 1973. L’occupazione effettiva nei servizi domestici può essere considerata almeno per il 90% di sesso femminile; mentre in generale, secondo Frey, la sottoccupazione implicita si può considerare pressocché interamente di questo sesso. Quanto alla sottoccupazione implicita femminile nelle attività commerciali, Frey tenta di tradurre le informazioni quantitative desunte dalle indagini, in suggerimenti per la « correzione » e l’« utilizzo » dei dati disponibili. Con una stima molto prudente, egli sostiene che la sottoccupazione femminile implicita nel commercio in senso stretto può essere calcolata in circa 140-145 mila unità a metà degli anni ‘60, in 150 mila unità nel 1969, in 170 mila unità nel 1971, in 160 mila unità nel 1973. Questa è una stima che, secondo l’autore, rimane nettamente al di sotto delle’ dimensioni della sottoccupazione effettiva settoriale, ma che è ritenuta consigliabile. L’interesse per i calcoli effettuati da Frey sulla sottoccupazione femminile terziaria è dovuto principalmente al fatto che essi dimostrano che l’offerta di lavoro femminile in Italia, lungi dal diminuire, è in realtà cresciuta dal 1960 in poi. SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA FLUTTUANTE Nella sovrappopolazione r. fluttuante sono presenti coloro che vengono registrati, nelle pubblicazioni dell’Istituto di Statistica, tra la forza lavoro disoccupata (cioè, in attiva ricerca di occupazione) oppure sottoccupata30 . 30 Cfr. G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Op. cit., pag. 283 e segg. 136 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Come è stato dimostrato da più parti31 , le definizioni, sulla base delle quali vengono svolte le rivelazioni, conducono le statistiche disponibili a sottostimare largamente il fenomeno di disoccupazione, sebbene ciò avvenga in misura differente per le varie fonti. Se si mettono a confronto i dati sulla disoccupazione forniti dall’Istat e quelli forniti dal Ministero del Lavoro (tav. 14), si nota che i dati Istat differiscono sempre per difetto da quelli provenienti dagli Uffici di Collocamento. Le ragioni addotte dall’Istat per spiegare tale divario sottolineano che molte persone si iscrivono all’Ufficio di collocamento « per motivi esclusivamente amministrativi » e che perciò tra essi figurerebbero anche « categorie di persone non appartenenti alle forze di lavoro (casalinghe e pensionati) »; inoltre, si fa menzione a persone che per vari mo tivi « non figurano fra gli iscritti »32 . Ciò vuoi dire che una parte di forza lavoro effettiva, che viene registrata come disoccupata dal Ministero del Lavoro, appare invece censita dall’Istat come parte della « popolazione non attiva », cioè non appartenente alle forze di lavoro (nelle quali rientrano — per definizione Istat — i bambini, gli studenti, le casalinghe, i pensionati, i benestanti eccetera). La presenza di un numero elevato di donne nelle liste di collocamento deve essere intesa come effettiva disponibilità di forza lavoro, almeno per un’alta percentuale. Infatti, l’iscrizione in tale sede comporta la possibilità di ricevere un sussidio. Quest’ultimo particolare induce a pensare che nella pratica tali forze di lavoro non siano necessariamente del tutto disoccupate, ma che in esse bisogna includere tanto gli effettivi disoccupati quanto coloro che svolgono attività — tipo le varie forme di lavoro a domicilio — per le quali non godono di alcuna legale prestazione assicurativa. Tra i sottoccupati l’Istat include « tutti gli occupati che nella settimana di riferimento hanno effettuato attività lavorativa da 1 a 32 ore per ragioni economiche, vale a dire imputabili alla mancanza di offerte di lavoro ». 31 Cfr. M. FURNARI, Occupazione femminile in agricoltura e mercato del lavoro, in « Rivista di Economia Agraria », 1973, n. I; L. MELDOLESI, Disoccupazione ed esercito industriale di riserva in Italia, Bari, Laterza, 1972. 32 V. ISTAT, Annuario di Statistiche del lavoro 1971, pagg. 18-19. 137 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ Dai dati forniti dalla tavola 15 risulta che la quota di sottoccupazione femminile è stata sempre elevata rispetto ai livelli di occupazione. La diminuzione, che si osserva negli ultimi anni, riguarda l’industria e il terziario; in agricoltura, invece, si è verificato un aumento tale che, nel 1972, le forze di lavoro agricolo sottoccupate rappresentavano l’8% dell’occupazione femminile nel settore. Ma anche negli altri settori, dove tale incidenza appare più modesta oltre che in diminuzione, il fenomeno della sottoccupazione è tipicamente « femminile ». Sempre dalla tavola 15, infatti, risulta che l’incidenza delle femmine sul totale dei sottoccupati era, nel 1972, del 36% nell’industria e del 50% nelle altre attività. In quello stesso anno (tav. 6), l’incidenza delle femmine sul totale degli occupati negli stessi settori era del 19,5% e del 32,7%. Nell’ambito della disoccupazione/sottoccupazione esplicita, Frey33 , attraverso il confronto tra fonti statistiche ufficiali diverse, calcola una disoccupazione/sottoccupazione aggiuntiva femminile, per il 1971, pari a 720.000 unità. Infatti, dal confronto tra i risultati delle indagini Istat sulle forze di lavoro e le serie Istat « corrette » sull’occupazione presente, permanente e marginale (tav. 16), è possibile individuare una sottoccupazione « esplicita » calcolabile in almeno 340.000 unità femminili in più, coinvolte nel settore terziario, rispetto ai livelli massimi di forze di lavoro rilevate nelle indagini Istat (di ciò si è già detto). Dal confronto tra i dati riguardanti le donne iscritte nella prima classe (lavoratori già occupati) delle liste di collocamento e le indagini trimestrali Istat sulle forze di lavoro (tav. 17), risulta una disoccupazione esplicita aggiuntiva pari a 180.000 unità. Dal confronto tra indagini Istat sulle forze di lavoro, iscrizione nelle liste di collocamento e censimento della popolazione, risulta una disoccucupazione giovanile censita aggiuntiva pari a 200.000 unità (340.000 + 180.000 + 200.000 = 720.000 unità). Un posto importante, per la comprensione del tipo di sviluppo sperimentato in Italia, occupa la considerazione della sottoccupazione femminile implicita nei tre settori economici, al cui calcolo Frey è pervenuto seguendo vari metodi. 33 L. FREY, Analisi economica..., op. cit., pag. 30 e segg. 138 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tenendo presente la tavola 18, si deduce che le modifiche strutturali intervenute nel sistema produttivo italiano, con le relative conseguenze in termini di distribuzione, spesa, struttura della domanda di lavoro, hanno comportato una riduzione abbastanza marcata (anche nella seconda metà degli anni ‘60) della sottoccupazione agricola, in risposta alla ris trutturazione dell’agricoltura ed ai processi di urbanesimo, in misura tale da incidere profondamente sull’andamento della sottoccupazione implicita complessiva. Tale riduzione si è sostanzialmente arrestata all’inizio degli anni ‘70, quando appare un’offerta di lavoro femminile effettiva di circa il 40% superiore a quella indicata dai dati ufficiali. Si è verificato, inoltre, un aumento della sottoccupazione implicita manifatturiera femminile, con alterne vicende nella sua struttura e nei rapporti con disoccupazione/sottoccupazione esplicita inclusa nelle forze di lavoro « corrette ». Infine, si è assistito ad una continua e rilevante espansione della sottoccupazione femminile implicita terziaria fino a far sì che, con l’inizio degli anni ‘70, questa superasse le dimensioni della sottoccupazione femminile implicita manifatturiera e si avvicinasse con decisione alle dimensioni della sottoccupazione implicita agricola. Se si analizzano i dati sull’offerta di lavoro femminile e sulla sua struttura nel temp o, con riferimento all’offerta esplicita ed implicita calcolata da Frey34 , l’offerta di lavoro femminile in Italia risulta diminuita da 8.700.000 unità nel 1961 a 7.835.000 unità nel 1965 come conseguenza delle ristrutturazioni dell’attività agricola e dei processi di urbanesimo; nella seconda metà degli anni ‘60, la riduzione si è gradatamente arrestata per poi trasformarsi in graduale aumento dell’offerta agli inizi degli anni ‘70, sotto la spinta della sottoccupazione esplicita terziaria. Il potenziale di lavoro, invece, si presenta in progressivo aumento dal 1961 al 1973; i tassi di attività/partecipazione calcolati da Frey sul potenziale si rivelerebbero costanti al 36,4% dal 1961 al 1965, per poi aumentare al 38,3% nel 1969, al 39,4% nel 1971 e al 39,7% nel 1973. 34 L. FREY, Ibidem. 139 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ Ciò significa che, dal punto di vista delle esigenze potenziali di integrazione di reddito familiare, il lavoro femminile in Italia, nel corso degli anni ‘60, ha manifestato la tendenza ad aumentare progressivamente; ma il tipo di sviluppo produttivo sperimentato ha frapposto difficoltà crescenti, specialmente negli anni dal 1961 al 1969, all’utilizzo del potenziale in espansione. ANNA MARIA CHIROLLI 140 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. I POPOLAZIONE E FORZE DI LAVORO SECONDO ALCUNI CARATTERI PERCENTUALE DELLE FEMMINE SUL TOTALE (Fonte ISTAT) ANNI POPOLAZ. FL OCCUPATI SOTTOCCUPATI 29,9 DISOCCUPATI - IN CE RCA DI IA OCCUPAZIONE 1980 51,3 29,8 21,3 40,2 1961 51,4 30,2 30,2 - 25,1 40,9 1962 51,4 29,8 29,7 - 26,5 41,2 1983 51,4 29,0 28,9 58,9 24,8 38,7 1964 51,3 28,0 27,9 51,1 24,7 40,5 1965 51,4 27,6 27,6 44,6 21,9 40,6 1966 51,4 27,0 26,9 43,3 21,2 38,5 1967 51,3 26,8 26,? 43,6 22,1 39,5 1968 51,3 27,0 26,9 45,9 23,7 40,8 1969 51,3 27,2 27,0 46,5 23,7 42,5 1970 51,3 27,1 26,9 50,8 22,7 43,2 1971 51,3 27,2 27,0 51,4 23,3 43,3 1972 51,3 26,9 26,6 48,9 22,5 39,1 1973 51,3 27,5 27,1 50,9 28,2 42,6 1974 51,2 27,9 27,6 52,5 28,4 41,8 141 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ Tav. 2 a POPOLAZIONE E FORZE DI LAVORO SECONDO ALCUNI CARATTERI (Fonte ISTAT) MASCHI SOTT. ANNI POPOLAZ. FL FL OCCUPATI POP IN DISOCC. CERCA SOTT. RO (RO) FO OCC. OCC. OC OC % % % __________________________________________________________________________________ 1960 23845 14714 61,7 14110 - 433 171 - 3,1 1,2 1961 23871 14575 61,1 I4087 - 325 163 - 2,3 1,2 1962 24097 14487 60,1 14077 - 253 157 - 1,8 1,1 1963 24275 14306 58,9 13958 143 212 136 1,0 1,5 1,0 1964 24549 14413 58,7 14037 194 235 141 1,4 1,7 1,0 1965 24723 14268 57,7 13757 288 363 148 2,1 2,6 1,1 1966 24921 14168 56,9 13620 165 369 179 1,2 2,7 1,3 1967 25176 14297 56,8 13819 137 300 178 1,0 2,2 1,3 1968 25367 14215 56,0 13749 138 273 193 1,0 2,0 1,4 1969 25320 14019 34,9 13585 147 232 202 1,1 1,7 1,3 1970 25704 14070 34,7 13669 123 208 193 0,9 1,5 1,4 1971 25889 14018 54,1 13167 151 214 187 1,1 1,6 1,4 1972 26102 13918 53,3 13450 142 203 265 1,1 1,5 2,0 1973 26304 13901 52,8 13482 139 178 241 1,0 1,3 1,8 1974 26590 14028 52,8 13676 144 139 213 1,0 1,0 1,6 142 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 2b POPOLAZIONE E FORZE DI LAVORO SECONDO ALCUNI CARATTERI (Fonte ISTAT) FEMMINE ANNI POPOLAZ. FL FL FOP SOTTOC. IN OCCUPATI DISOCC.CERCA SOTT. RO PO (RO) OCCU. OCC OC OC _______________________________________________________________________________________________________________ 1960 25122 6258 24,9 6026 - 117 115 - 1,9 1,9 1961 25285 6307 24,9 6085 - 109 113 - 1,8 1,9 1962 25466 6142 24,1 5941 - 91 110 - 1,5 1,9 1963 25661 5831 22,7 5675 205 70 86 3,6 1,2 1,5 1964 25890 5613 21,7 5440 203 77 96 3,7 1,4 1,8 1965 26117 5449 20,9 5246 232 102 101 4,4 1,9 1,9 1966 26306 5228 19,9 5017 126 99 112 2,5 2,0 2,2 1967 26488 5228 19,7 5027 106 85 116 2,1 1,7 2,3 1968 26675 5269 19,7 5051 117 85 133 2,3 1,7 2,6 1960 26856 5247 19,5 5026 128 72 149 2,5 1,4 3,0 1970 27067 5232 19,3 5024 127 61 147 2,5 1,2 2,9 1971 27235 5236 19,2 3028 160 65 143 3,2 1,3 2,6 1972 27446 5110 18,6 4881 136 59 170 2,8 1,2 3,5 1973 27677 5267 19,0 5018 144 70 179 2,9 1,4 3,6 1974 27951 5430 19,4 5222 159 55 153 3,0 1,1 2,9 143 TAV. 3 OCCUPATI PER SESSO E SETTORE DATI ASSOLUTI E PERCENTUALI ANNI AGRIC. IND. MASCHI A.ATT. TOTALE % 1960 4403 5567 4140 14110 1961 4097 5755 4235 14027 1962 3810 6021 4246 14077 1963 3513 6180 4265 13958 25,2 1964 3311 6258 4468 14037 1965 3351 6057 4349 13757 1966 3192 5983 4445 13620 1967 3122 6125 4572 1968 2869 6211 4669 1969 2706 6321 4558 13 585 1970 2499 6442 4728 1971 2453 6502 1972 2274 6466 1973 2176 6451 1974 2105 6577 31,2 % % TOTALE AGRIC. 39,5 29,3 100,0 2164 29,1 40,8 30,1 100,0 27,1 42,8 30,1 100,0 FEMMINE A.ATT. TOTALE % % IND. 1891 2.041 2110 1891 2013 1821 44,3 33,5 100,0 1778 1813 23,6 44,6 31,8 100,0 1625 1699 24,4 44,0 31,6 100,0 1547 1602 23,5 43,9 32,6 100,0 1397 1549 13819 22,6 44,3 33,1 100,0 13749 20,9 45,2 33,9 % TOTALE 6026 35,9 30,2 33,9 100,0 2084 6085 34,7 31,1 34,2 100,0 2107 5941 33,9 2084 5675 31,3 32,0 36,7 100,0 2116 5440 29,9 31,2 38,9 100,0 2097 5246 29,5 30,5 40,0 100,0 2071 5017 27,8 30,9 41,3 100,0 30,6 35,5 100,0 1358 1567 2102 5027 27,0 100,0 1304 1566 2161 5051 25,8 31,4 42,8 100,0 19,9 46,5 33,6 100,0 1245 1634 2147 5026 24,8 32,5 42,7 100,0 13669 18,3 47,1 34,6 100,0 1114 1675 2235 5024 22,2 4662 13617 18,0 47,8 34,2 100,0 1135 1652 2241 5028 4710 13450 16,9 48,1 35,0 100,0 1024 1570 2287 4881 21,0 4855 13482 16,1 47,9 36,0 100,0 1016 1600 2402 5018 20,2 31,9 47,9 100,0 4994 13676 15,4 48,1 36,5 100,0 1006 1679 2537 5222 31,2 41,8 100,0 33,3 44,5 100,0 22,6 32,8 44,6 100,0 32,2 46,8 100,0 19,0 33,1 48,6 100,0 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 4 TASSI SPECIFICI DI ATTIVITÀ’ DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PER SESSO, CONDIZIONE SETTORE DI ATTIVITÀ’ ECONOMICA E GRUPPO DI ETÀ’: MASCHI GRUPPI Di Età 1960 1961 1962 (Anni Comp.) 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 FORZE DI LAVORO IN CONDIZIONE PROFESSIONALE 14—29 20,4 30—49 24,9 50—64 31,2 65 e + 19,3 TOTALE 24,1 1. AGRICOLTURA 17,6 14,8 12,8 1l,7 22,9 21,8 20,5 19,0 30,7 29,5 28,4 26,9 18,4 15,4 12,1 11,9 22,4 20,5 18,9 17,7 2. INDUSTRIA 14—29 40,0 41,4 42,4 42,4 30—49 39,4 40,2 41,7 47,2 50—64 26,2 27,1 27,6 28,1 65 e + 4,2 4,1 3,7 3,6 TOTALE33,1 34,0 34,8 35,3 42,0 43,5 28,6 2,5 35,2 11,7 19,5 27,1 11,2 17,8 10,8 19,0 25,3 9,7 16,8 10,4 18,7 24,6 9,4 16,3 8,7 17,8 23,2 8,8 15,0 7,7 15,8 22,2 7,7 14,1 6,7 15,4 20,4 7,2 12,9 6,4 15,3 19,8 7,0 12,6 5,8 14,5 18,2 5,3 11,5 5,4 13,7 17,3 5,4 10,9 40,5 43,9 28,0 2,7 34,6 38,7 43,5 27,9 2,3 33,6 38,9 43,2 27,2 2,2 33,5 38,1 44,0 26,8 2,2 33,4 38,4 45,2 25,8 2,0 33,9 37,7 45,8 26,1 2,0 33,9 37,7 46,5 26,5 1,8 34,2 36,5 46,8 26,2 1,7 33,6 35,1 46,9 25,8 1,6 33,1 16,5 34,6 25,6 4,9 4,9 23,3 23,5 16,7 35,4 25,9 4,5 24,0 16,9 36,1 26,1 3,8 24,3 3. ALTRE ATTIVITA’ 14—29 16,5 16,7 16,4 16,7 17,3 30—49 32,9 33,7 33,7 33,4 34,7 50—64 24,7 24,3 24,1 24,0 24,8 65e + 6,5 6,5 6,1 5,3 5,4 4,6 TOTALE23,1 23,4 23,1 23,0 23,8 17,1 33,9 24,5 16,4 35,2 25,6 3,7 23,8 16,7 36,0 26,6 3,7 24,3 16,4 16,2 35,7 35,9 26,4 26,5 3,4 3,2 23,9 23,9 16,3 16,9 27,1 24,4 TOTALE FORZE DI LAVORO 14—29 79,7 78,4 30—49 97,2 96,8 50—64 82,1 82,1 65 e + 30,0.29,0 TOTALE 81,280,6 76,2 74,2 73,3 71,8 69,0 68,9 66,9 65,9 97,2 97,1 97,2 97,3 97,1 97,3 97,3 97,2 81,2 80,5 80,3 79,6 78,8 77,7 76,1 25,2 21,0 19,7 18,5 16,9 16,5 15,5 79,2 77,9 77,4 76,5 74,8 74,7 73,6 64,4 97,2 73,6 13,5 72,8 63,6 97,3 73,1 12,9 72,1 62,9 97,3 72,7 12,5 71,6 60,8 97,6 70,9 10,4 70,4 145 70,2 10,2 69,6 TAV. 5 Tassi Specifici Di Attività Della Popolazione Residente Per Sesso Condizione Settore di Attività Economica e Gruppo di Età: FEMMINE Gruppi di Età 1960 1961 (Anni compiuti) 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 3,5 7,5 7,1 1,2 5,4 3,4 7,7 7,2 1,3 5,4 3,0 7,1 6,4 0,9 4,9 2,8 7.1 6.3 0,9 4,0 15,7 8,0 2,6 0,2 7,9 14 ,9 7,9 2,6 0,1 7,3 14,7 8,3 2,5 0,1 7,5 FORZE DI LAVORO IN CONDIZIONE PROFESSIONALE 14-29 30-49 50-64 65 e + TOTALE 14-29 30-49 50-64 65 e + TOTALE 14-29 30-49 50-64 65 e + TOTALE 1. AGRICOLTURA 11,2 10,1 9,8 12,2 12,3 11,7 12,1 12,2 11,5 4,8 4,4 3,7 11,0 10,6 10,0 2. INDUSTRIA 17,9 18,8 18,8 8,4 8,5 8,2 3,7 3,6 3,3 1,1 1,1 0,8 9,5 9,8 9,3 8,1 10,7 10,7 2,8 8,8 6,9 10,7 10,2 2,6 8,1 18,3 6,2 9,5 10,0 2,5 7,7 5,6 8,8 8,7 2,1 6,9 5,2 8,7 8,6 1,8 6,7 16,7 7,4 2,8 0,3 7,8 15,7 7,3 2,7 0,2 7,8 8,3 3,3 0,8 9,2 7,7 3,0 0,4 8,7 17,6 7,4 2,9 0,4 8,2 3. ALTRE ATTIVITÀ’ 12,4 12,4 12,5 12,7 12,9 13,3 13,2 13,0 9,0 9,1 9,0 8,6 2,6 2,5 2,5 2,1 10,7 10,8 10,8 10,6 12,5 13,5 8,7 1,9 10,5 12,9 13,3 8,3 1,8 10,5 12,3 13,3 8,3 1,7 10,2 37,4 30,2 21,9 4,7 26,9 35,4 29,5 19,8 4,1 25,4 4,6 8,4 8,3 1,8 6,3 15,8 4,2 8,3 8,0 1,3 5,1 15,8 16,4 16,0 7,5 2,5 0,3 7,7 7,4 2,4 0,3 7,9 8,0 2,6 0,2 8,0 12,6 13,4 8,1 1,7 10,3 12,6 13,9 8,2 1,5 10,5 12,4 13,9 7,8 1,3 10,4 13,0 14,3 8,3 1,2 10,7 13,1 14,4 7,9 1,1 10,7 13,1 14,9 8,1 1,1 10,8 13,8 15,5 8,5 1,1 11,2 35,5 29,4 19,4 3,7 25,3 35,2 29,8 19,0 3,6 25,3 35,5 29,6 18,2 2,9 25,1 34,8 29,9 18,0 2,6 24,8 34,5 30,2 17,7 2,6 24,7 33,8 30,0 17,1 2,1 23,9 34,2 31,0 17,3 2,1 24,3 TOTALE FORZE DI LAVORO 14-29 30-49 50-64 65 e + TOTALE 43,4 33,6 24,8 8,5 31,7 43,1 34,1 24,9 8,0 31,7 42,6 40,5 38,6 33,1 32,0 31,2 23,8 22,6 21,9 7,0 5,7 4,9 30,6 29,0 27,8 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 6 OCCUPAZIONE FEMMINILE NEI DIVERSI SETTORI E SUA INCIDENZA SULL’OCCUPAZIONE TOTALE NEI VARI SETTORI IN ALCUNE ANNATE SIGNIFICATIVE. 1959 1963 1966 a) 2345 1778 1397 b) 34,2 33,6 a) 1830 b) a) 1969 1972 1245 1024 30,4 31,4 31,0 1813 1549 1634 1570 25,50 22,7 20,5 20,4 19,5 2065 2084 2071 AGRICOLTURA INDUSTRIA 2147 2287 ALTRE ATTIVITA’ b) a) 33,6 6240 32,8 5675 31,7 5017 31,9 32,7 5026 4881 26,9 26,6 TOTALE b) 30,9 28,9 26,9 Fonte: ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICA DEL LAVORO, E “BOLLETTINO MENSILE DI STATISTICA”, AGOSTO 1973 (ELABORAZIONE: MOTTURA — PUGLIESE) a)= VALORI ASSOLUTI (IN MIGLIAIA) b)= INCIDENZA % SUL TOTALE (MASCHI E FEMMINE) DEGLI ADDETTI NEL SETTORE 147 Tav. 7 OCCUPAZIONE AGRICOLA PER SESSO E CONDIZIONE PROFESSIONALE IN ITALIA SECONDO L’ISTAT E LO SCAU AL 1970 DIFFERENZA SCAU ISTAT SCAU-ISTAT VALORI ASSOLUTI (IN MIGLIAIA) LAVORATORI INDIPENDEN. MASCHI 1571 1672 -101 FEMMINE 1676 779 +897 3247 2451 +796 MASCHI 976 880 +96 FEMMINE 759 322 +407 1735 1232 +503 TOTALE LAVORATORI DIPENDENTI TOTALE TOTALE IND. E DIPEN. MASCHI 2547 FEMNINE 2435 TOTALE 4982 INCIDENZA % 2552 1131 3683 -5 +1304 +1299 FEMMINE % SUL TOTALE (M e F) LAVORATORI INDIPEN. 51,6 31,9 LAVORATORI DIPENDEN. 43,7 26,1 TOT.INDIPEN. E DIPEN. 48,9 30,7 Fonti:ISTAT. ANNUARIO DI STATISTICHE DEL LAVORO; SCAU, “PREVIDENZA SOCIALE IN AGRICOLTURA” (ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE). 148 TAV. 8 Incidenza Percentuale Dell’occupazione Femminile in Agricoltura Sul Totale (M e F) Per Circoscrizione Territoriale Secondo ISTAT e SCAU 1965 Scau Istat 1966 Scau Istat 1967 Scau Istat ITALIA SETTEN. 48,6 29,0 47,9 27,3 48,8 27,2 48,2 28,4 47,8 27,5 47,4 ITALIA CENTR. 50,3 32,8 48,0 31,6 49,4 29,4 49,3 30,3 48,1 30,4 50,5 ITALIA MERIDION. 48,3 33,3 48,9 32,5 49,8 33,0 49,9 33,4 50,3 34,5 49,4 48,8 31,6 48,3 30,4 49,3 30,3 49,1 31,1 49,1 31,4 48,9 ITALIA 1968 Scau Fonte ISTAT , Annuario di Statistiche del Lavoro, Scau “Previdenza in Agricoltura” (ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE) Istat 1969 Scau Istat Scau 1970 Istat Tav. 9 INCIDENZA PERCENTUALE DI “COADIUVANTI” SUL TOTALE DEI LAVORATORI AGRICOLI IN CONDIZIONE “INDIPENDENTE” PER SESSO E PER CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE 1965 1966 1967 1968 1969 1970 ITALIA SETTENTRION. 77,1 75,3 76,6 75,6 74,0 74,6 ITALIA CENTRALE 85,8 86,9 84,3 84,2 81,1 79,9 ITALIA MERIDIONALE 74,4 72,1 70,5 71,0 72,2 67,3 TOTALE ITALIA 78,0 FEMMINE 76,6 75,6 75,4 74,7 72,4 MASCHI ITALIA SETTENTRION. 28,1 28,0 26,8 24,5 23,5 21,7 ITALIA CENTRALE 30,8 30,2 29,6 25,4 23,5 21,0 ITALIA MERIDIONALE 21,3 20,1 19,7 17,5 16,8 15,4 TOTALE ITALIA 26,3 25,7 24,7 22,1 21,0 19,1 Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE SU DATI ISTAT 150 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 10 OCCUPAZIONE FEMMINILE INDIPENDENTE IN AGRICOLTURA PER CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE SECONDO ISTAT E SCAU E DIFFERENZE AL 1970. Fonte: SCAU ISTAT DIFFERENZA SCAU/ISTAT ITALIA SETT. 735 275 460 ITILIA CENTRALE 468 159 309 ITALIA MERID. 473 345 128 TOTALE ITALIA 1676 779 897 ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICHE DEL LAVORO; SCAU, “PREVIDENZA SOCIALE IN AGRICOLTURA”. 151 Tav. 1l INCIDENZA PERCENTUALE DELLA FORZA LAVORO FEMMINILE SUL TOTALE (M e F) DEI COLTIVATORI DIRETTI E MEZZADRI E COLONI. 1965 1966 1967 1968 1969 1970 ITALIA SETTENTR. 51,5 50,5 52,0 51,2 50,6 50,2 ITALIA CENTRALE 54,2 51,6 55,9 54,5 54,2 55,1 ITALIA MERIDION. 53,9 54,5 56,1 55,7 55,4 54,5 TOTALE ITALIA 52,7 52,0 54,0 53,7 52,9 52,6 ITALIA SETTENT. 45,6 45,4 45,5 45,1 45,0 44,9 ITALIA CENTRALE 51,5 48,5 48,4 48,4 48,4 48,1 ITALIA MERIDIONALE 47,0 47,2 47,5 47,4 47,5 47,1 TOTALE ITALIA 49,0 47,3 47,3 47,2 47,2 47,0 COLTIVATORI DIRET. MEZZADRI E COLONI Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE SU DATI SCAU 152 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 12 OCCUPAZIONE FEMMINILE DIPENDENTE IN AGR ICOLTURA PER CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE SECONDO ISTAT e SCAU e DIFFERENZE AL 1970 DIFFERENZA SCAU ISTAT SCAU/ISTAT VALORI ASSOLUTI IN MIGLIAIA ITALIA SETTENTRIO. 153 59 94 ITALIA CENTRALE 71 18 53 ITALIA MEPIDION. 535 275 260 TOTALE ITALIA 759 352 407 (INCIDENZA % SU TOTALE M e F) ITALIA SETTENTR. 39,1 23,0 ITALIA CENTRALE 38,4 14,1 ITALIA MERIDION. 46,2 32,5 TOTALE ITALIA 43,7 28,6 Fonti: ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICA DEL LAVORO SCAU, “PREVIDENZA SOCIALE IN AGRICOLTURA” 153 Tav. 13 OCCUPAZIONE FEMMINILE PER SETTORE E PER STATO CIVILE. SETTORI TOTALE OCCUPAZ. NEL SETTORE (MIGLIAIA) DI CUI SPOSATE N° AGRICOLTURA 1131 862 76,2 INDUSTRIA 1679 675 40,2 SERVIZI 2258 1.158 51,3 TOTALE 5068 2695 53,2 % Fonte: ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICA, DEL LAVORO 1971 154 TAV. 14 DISOCCUPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA SECONDO ISTAT E MINISTERO DEL LAVORO 1959 1960 1961 a) ISTAT (MIGLIAIA DI UNITA’) 301 232 222 b) MINISTERO DEL LAVORO (MIGLIAIA DI UNITA’) 580 544 514 INCIDENZA % a/b 51,9 42,6 43,2 1962 1963 1064 1965 1966 1967 19661969 201 156 173 203 211 202 219 224 208 208 437 46,0 401 38,9 388 44,6 370 54,9 639 62,2 317 63,7 307 294 71,3 76,2 297 70,0 366 53,8 Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA-PUGLIESE SU DATI ISTAT E DEL MINISTERO DEL LAVORO 1970 1971 1972 ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________ Tav. 15SOTTOCCUPAZIONE FEMMINILE NEI VARI SETTORI DI ATTIVITA’ E SUA INCIDENZA SULL’OCCUPAZIONE FEMMINILE E SULLA SOTTOCCUPAZIONE TOTALE NEGLI STESSI SETTORI. 1963 1966 1969 1972 72-73 AGRICOLTURA SOTTOCCUPATE (A) 70 64 84 82 OCCUPATE (B) 1778 1397 1245 1024 INCIDENZA %(A/B) 3,4 4,6 6,7 8,0 64,2 56,1 59,6 55,8 + 12 - 754 INCIDENZA % DELLA SOTTOCC. FEMM. SULLA SOTTOCC. TOTALE (M+F) INDUSTRIA SOTTOCCUPATE (A) 63 42 19 29 OCCUPATE (B) 1813 1549 1634 1570 % 3,5 2,1 1,2 1,8 84,1 28,6 23,5 35,8 INCIDENZA A/B - 34 - 243 INCIDENZA % DELLA SOTTOCC. FEM. SULLA SOTTOCC. TOTALE (M+F) ALTRE ATTIVITA’ SOTTOCCUPATE (A) 72 30 25 25 OCCUPATE (B) 2084 2071 2147 2287 A/B 3,4 1,4 1,2 1,1 70,3 46,3 INCIDENZA % - 47 + 203 INCIDENZA % DELLA SOTTOCC. FEMM. SULLA SOTTOCC. TOTALE (M+F) 50,0 TOTALE SOTTOCCUPATE (A) 205 126 128 136 - 69 OCCUPATE (B) 5675 50I7 5026 4881 - 794 3,6 2,5 2,5 58,9 43,3 46,4 INCIDENZA % A/B 2,8 INCIDENZA % DELLA SOTTOCC. FEM. SULLA SOTTOCC. TOTALE (M+F) 51,1 Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE SU DATI ISTAT 156 ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 16 CONFRONTO TRA I DATI ISTAT CORRETTI SULL’OCCUPAZIONE PRESENTE E I RISULTATI DELLE INDAGINI SULLE FORZE DI LAVORO CON RIGUARDO ALL’OCCUPAZIONE (MIGLIAIA DI UNITA’). AGRICOLTURA INDUSTRIA ALTRE ATTIVITÀ’ OCCU. OCCU. DIFF. OCCU. OCCU. DIFF. OCCU. OCCU. DIFF. CORR. RILE. CORR. RILE. CORR. RILE. 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 6207 5810 5295 4967 4956 4660 4556 4247 4023 3683 3652 3335 TOTALE OCCU. OCCU. DIFF. CORR. RILE. 6207 - 7646 7646 6576 6319 257 20430 20172 258 5810 - 7810 7810 6591 6330 261 20211 19950 261 5295 - 7986 7986 6613 6349 264 19894 19630 264 4936 31 7996 7957 39 6885 6584 301 19848 19477 371 4898 58 7728 7659 89 6785 6446 339 I9469 I9003 466 4589 71 7621 7532 89 6876 6516 360 19157 10637 520 4480 76 7782 7692 90 7046 6674 372 19383 18818 537 4173 74 7890 7797 93 7210 6830 380 19347 18800 547 3951 72 8048 7955 93 7361 6705 656 19432 18611 821 361370 8209 8117 92 7565 6963 602 19457 18693 764 2588 64 8162 8154 8 7595 6903 692 19409 18645 764 3298 57 8017 8036 -19 7723 6997 726 19095 18331 Fonte. :ISTAT ELABORAZIONE FREY 157 764 Tav. 17 ISCRITTI ALLE LISTE DI COLLOCAMENTO IN ITALIA DAL 1961 AL 1973 (MIGLIAIA DI UNITA’). MF I CLASSE F II CLASSE MF F III CLASSE F TOTALE MF F 1961 997 293 410 130 58 1608 514 1962 855 274 308 98 41 1311 437 1963 784 253 285 90 36 1197 401 1964 805 248 282 90 30 1204 388 1965 922 247 258 81 23 1286 370 1966 875 228 240 73 20 1209 339 1967 800 216 224 69 18 1106 317 1968 736 205 225 70 16 1048 307 1969 665 194 222 70 16 964 294 1970 667 196 221 72 16 961 297 1971 779 240 259 93 20 1120 366 1972 771 241 274 102 23 1134 379 1973 717 232 286 110 29 1093 383 Fonte: DATI DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE RIPORTATI IN ISTAT, ANNUARI DI STATISTICHE DEL LAVORO. ____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE… Tav. 18 STIME SULLA SOTTOCCUPAZIONE IMPLICITA FEMMINILE IN MIGLIAIA DI UNITA’. INDUSTR. COMMERCIO SERVIZI AGRICOLTU. MANIFAT. 1961 TOTALE VARI 470 200 190 1965 1000 480 240 205 1925 1969 830 495 270 176 1771 1971 730 486 320 185 1721 1973 725 500 340 195 1760 Fonte: FREY, ANALISI ECONOMICA.......op. cit. 159 la Capitanata Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale Direttore responsabile: m 0 Mario Taronna Redazione: dott. Luigi Mancino Tipografia Laurenziana - Napoli - Via Tribunali, 316 Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963 Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150 Tipografia Laurenziana — Napoli — Ottobre 1983