CATALOGAZIONE COLLETTIVA:
UNA BIBLIOGAFIA
PREMESSA
A cercare tra le pagine dei manuali di bibliografia una definizione
del termine « catalogo collettivo » ci si imbatte di solito in poche righe
che difficilmente illuminano: « i cataloghi collettivi o centrali hanno
come fine quello di registrare i fondi di più biblioteche » (Totock)1 ; «
un catalogo collettivo è un inventario dei libri comuni a più istituti »
(Malclès)2 . Poche parole sono destinate alla loro funzione e in genere
rinviano all’idea utopistica e forse ingenua di un catalogo unico sovranazionale.
Nonostante le incertezze di definizione essi sono, tuttavia, registrati tra i principali generi bibliografici: sono indicati, cioè fra gli strumenti di chi fa ricerca. Di fatto il più delle volte essi sono ignorati e
sembra, in effetti, giustificata la domanda che Serrai pone in un suo
scritto sulla cumulazione dei cataloghi: « ...un catalogo collettivo di
tante biblioteche, lontane le une dalle altre e difformi per natura e ambiti di interesse, dopo aver ingoiato con il suo allestimento una grande
quantità di risorse finanziarie, che cosa ci dà? La ricerca bibliografica
ha mezzi più economici, perché più astuti; non punta sullo schedario
universale che sa essere mito di matrice ottocentesca; seleziona le richieste fondandole sugli interessi e non sulle
1
TOTOK, W.- WEITZEL, R., Manuale internazionale di bibliografia. Parte prima.
Opere generali. Milano, Bibliografica, 1979, p. 41.
2
MALCLÈS, L. N., Manuel de bibliographie, 3 ed., Paris, Presses Universitaires
de France, 1976, p. 69.
1
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astrattezze; opera sugli schemi delle classificazioni tracciati dai problemi e dalle indagini stesse, e non sulle utopie... » 3 .
I grandi cataloghi collettivi, quelli nazionali, risultano quindi poco
significativi e poco funzionali alla ricerca. Del resto, anche l’interesse
teorico per l’argomento negli ultimi anni è andato scemando e per
quanto riguarda il piano pratico non dimentichiamo che la compilazione del Primo Catalogo Collettivo delle Biblioteche Italiane incominciata nel 1962 è risultata un fallimento.
Quanto si è fin quì detto non è, comunque, generalizzabile. Se infatti sul piano nazionale l’impianto di un catalogo collettivo risulta
difficilissimo, poco pratico e non funzionale, oltre che dispendioso,
per quanto riguarda il piano locale (provincie e comuni) il discorso
sulla catalogazione collettiva cambia direzione.
Di fatto quella che è in crisi è proprio l’idea di un catalogo collettivo nazionale; la catalogazione collettiva riacquista, invece, credibilità e funzionalità se la si riferisce ai fondi di un territorio ristretto quale
può essere quello di un comune o di una provincia, o di un certo tipo
di biblioteche quali ad esempio quelle specializzate o quelle scolastiche di uno stesso territorio. In che modo? Soprattutto ridefinendo la
funzione dei cataloghi collettivi. Non bisogna dimenticare che essi
non sono solo dei repertori bibliografici, ma soprattutto sono dei cataloghi. La funzione principale di un catalogo, sia esso per autori, per
soggetti, per classi, di una sola biblioteca o collettivo è una funzione
di localizzazione; se non fosse possibile localizzare il documento il catalogo risulterebbe solo un elenco di libri, cioè una bibliografia. E’ il
rinvio ad una biblioteca, ad uno scaffale, ad un preciso palchetto che
lo fa diventare catalogo.
Questa funzione di localizzazione è, però, giustificata su un territorio ristretto. Un utente della Biblioteca Comunale di Torremaggiore
può ritenere poco pratico che un certo libro di diritto sia sicuramente
presente tra i fondi della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; gli
può essere invece di gran conforto sapere che lo reperirà nella Biblioteca Giuridica del Tribunale di Foggia. Si può dire, allora, che la funzionalità di un catalogo unico, inteso come strumento atto ad individuare e localizzare un documento è direttamente proporzionale all’importanza che il documento ha per l’utente e che lo rende disponibile a spostarsi.
La catalogazione collettiva sul piano nazionale risulta, invece, ancora giustificata per quanto riguarda il materiale speciale come incunaboli e cinquecentine.
3
SERRAI, A., Sistemi bibliotecari e meccanismi catalografici. Roma, Bulzoni,
1980, p. 148.
2
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Al di là di questa funzione di tipo topografico, ai cataloghi collettivi ne può essere attribuita un’altra di carattere tecnico. Essi diventano indispensabili se si comincia a considerarli uno strumento di controllo bibliografico e catalografico. Essi possono essere la risposta ad
un problema, quello della catalogazione, che più degli altri complica
la vita dei bibliotecari italiani, soprattutto di quelli che operano nelle
biblioteche comu nali, in quelle scolastiche o di quartiere, costretti dalla contingenza ad essere contemporaneamente catalogatori, addetti al
prestito, operatori culturali, responsabili di sala, fotocopiatori e, non
per ultimo, depositari della cultura locale. Per un altro verso non si
può ignorare che in Italia non esistono strutture che curano la formazione professionale del personale di biblioteca, fatta eccezione per le
scuole di perfezionamento universitarie quali, ad esempio, quelle di
Roma e Napoli, mal funzionanti e oltretutto molto teoriche e la Scuola
Vaticana che per il suo carattere fortemente selettivo (è a numero
chiuso e con frequenza obbligatoria) esclude di fatto dai suoi corsi i
bibliotecari che non risiedono a Roma o che lavorano a tempo pieno.
Qualcosa viene fatto dagli Enti Locali attraverso corsi di formazione o
di riqualificazione (sic!) professionale, condensati di sociologia
dell’utenza, teoria dell’animazione culturale, regole di catalogazione e
semantica delle indicizzazioni.
Non è, infine, da sottovalutare il fatto che solo da due anni il Ministero per i beni culturali ha pubblicato le RICA, le Regole Italiane di
Catalogazione per Autori e che per la prima volta in Italia la questione
dell’uniformità è stata codificata in norme precise che il più delle volte vanno a scontrarsi con i vecchi sistemi di catalogazione non del tutto privi di elementi generati dalla zelante creatività del catalogatore.
La risposta a queste difficoltà, si è già detto, può essere data dai
cataloghi collettivi ed è in questa direzione che ho potuto lavorare alla
Biblioteca Provinciale di Foggia.
Il progetto di un catalogo collettivo provinciale costituisce il tentativo di dare una soluzione concreta alla domanda che il territorio ha
posto negli ultimi anni: biblioteche scolastiche, specializzate e comunali si sono rivolte con urgenza sempre maggiore alla Biblioteca Provinciale per risolvere i loro problemi di ordine catalografico. La maggior parte di queste strutture sono soltanto degli enormi depositi di
materiale non catalogato e quindi non utilizzato e il personale che dovrebbe attendere alla catalogazione è costituito per la maggior parte da
docenti e da giovani ‘285’ poco esperti di biblioteconomia.
A questo tipo di problemi si sta ovviando producendo, attraverso
tecniche automatizzate, un repertorio, il più ampio possibile, in cui fino ad oggi sono confluite le schede bibliogra-
3
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fiche della Biblioteca Provinciale, della Biblioteca Giuridica
dell’Ordine degli avvocati, della biblioteca del liceo-ginnasio « Lanza
». L’idea è quella della costituzione di una banca di dati il più possibile controllati e corretti dal punto di vista bibliografico che faccia da
supporto alla catalogazione. Ogni scheda e stata verificata su due importanti repertori bibliografici: il Catalogo collettivo delle biblioteche
italiane su microfiches per il periodo 1958-73; la Bibliografia Nazionale Italiana,
il Catalogo alfabetico annuale dal 1974 in poi. Tutte le schede sono state, inoltre, corrette nelle parti essenziali (aree dell’intestazione e
delle note editoriali) secondo le RICA (le intestazioni della BNI e soprattutto delle microfiches, del resto, non sempre sono uniformi) e tutti i volumi che non erano catalogati su questi repertori sono stati schedati ex novo.
Non poche sono state le difficoltà da superare e alcune anche di tipo teorico. L’impianto del catalogo collettivo presupponeva in effetti
alcune scelte: doveva trattarsi di un catalogo sistematico o per autori?
Un catalogo collettivo che deve essere usato come strumento catalografico deve essere formalmente uniforme. In Italia è solo il catalogo per autori il più formalizzato. Solo per il catalogo per autori esistono delle norme a carattere vincolante per quanto riguarda
l’intestazione principale, mentre solo per quelle secondarie è lasciato
un certo margine di scelta al catalogatore. I cataloghi per soggetti e per
classi difficilmente sfuggono ad una interpretazione personale e dipendono molto dalla intelligenza, livello di cultura, capacità di lettura
di chi soggetta o classifica. Il soggettario in uso nelle biblioteche italiane, quello della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è, inoltre,
mancante di una « grammatica » esplicita (cioè di indicazioni precise
sulla formulazione dei soggetti composti) ed è quindi difficile assicurare una uniformità nella intestazione o nell’ordine di sequenza delle
suddivisioni formali.
D’altro canto si deve tener presente che, per quanto riguarda le indicizzazioni semantiche, il livello di individuazione del soggetto o del
numero di classe è, e deve esserlo, differenziato a seconda del livello
di specializzazione della biblioteca. Mi spiego meglio con un esempio.
Il livello di indicizzazione semantica della Biblioteca Giuridica
dell’Ordine degli avvocati e procuratori di Foggia deve essere il più
possibile esaustivo per quanto riguarda la disciplina giuridica; non è
necessario, però, che lo stesso livello di esaustività sia applicato alla
classe « diritto » nella biblioteca di un liceo linguistico; in questa, al
contrario, la massima esaustività dovrà essere garantita per i settori «
linguistica » e « letterature straniere ».
Questo tipo di considerazioni ha portato alla conclusione
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che il catalogo collettivo che si andava compilando doveva essere alfabetico per autori e doveva garantire la descrizione uniforme di tutti i
volumi per quanto riguardava l’intestazione e il corpo della scheda.
Per quanto riguarda invece l’indicizzazione semantica, il livello di esaustività resta differenziato biblioteca per biblioteca.
Fin qui per quanto concerne le difficoltà di tipo teorico che questo
catalogo ha posto. Non meno importanti sono quelle a carattere puramente pratico. Vorrei sottolineare tra tutte una, quella che riguarda il
personale utilizzato in questa operazione. Presso la Biblioteca Provinciale non esiste ufficialmente un Centro che si occupi della catalogazione centralizzata e collettiva. Esistono, però, delle persone qualificate che di questa si stanno occupando. Si tratta, per lo più, di personale
precario e saltuario. Solo la istituzionalizzazione di questo servizio potrà garantirne la continuità. In effetti questa nuova modalità di uso dei
cataloghi unici, strumenti di lavoro, su cui controllare schede e intestazioni potrà avere successo solo se si costituiscono centri di catalogazione centralizzata che li producano. E non si intenda per ‘centro di
catalogazione’ un istituto megagalattico che cataloghi il patrimonio
bibliografico di tutte le biblioteche del territorio. La catalogazione, per
quanto è possibile, deve continuare ad essere effettuata in queste biblioteche. Un centro di catalogazione ha ragione di essere se è punto
di riferimento e di coordinamento per le biblioteche periferiche. In
questa struttura centralizzata esse potranno far confluire le loro schede
e il personale del centro, che dovrà essere altamente specializzato, si
occuperà del controllo bibliografico, dell’elaborazione elettronica, della produzione di cataloghi singoli o collettivi.
Una struttura di questo tipo diviene sempre più urgente e solo se
essa esiste potrà divenire possibile la formazione di sistemi bibliotecari provinciali, comunali, distrettuali; si potrà cioè costituire « una rete
di collegamenti bibliografici tale che renda palese a biblioteche appartenenti a livelli omogenei di esercizio bibliografico quali sono le zone
bibliografiche carenti o quelle mancanti e così permetta di migliorare i
servizi bibliografici nel loro insieme » 4 .
4
Ibidem, p. 149.
5
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INTRODUZIONE
L’idea di compilare una bibliografia sulla catalogazione collettiva
nasce dalla necessità di risolvere dubbi e problemi all’interno di
un’equipe di tecnici che di catalogazione collettiva si sta occupando.
Il centro di catalogazione e di elaborazione dati della Biblioteca
Provinciale di Foggia sta lavorando alla catalogazione del patrimonio
librario di biblioteche pubbliche, scolastiche e specializzate con
l’obbiettivo di costituire un catalogo collettivo che da un lato assolverebbe la funzione di registrare i fondi di più biblioteche della provincia per garantire la piena utilizzazione delle risorse librarie, dall’altro
diverrebbe strumento di controllo catalografico e bibliografico per una
più razionale utilizzazione delle procedure di catalogazione ed indicizzazione.
Non avendo fatto altre esperienze di questo tipo, l’équipe in questione si è trovata a dover dare una soluzione a tutti quei problemi che
la costituzione di un catalogo collettivo pone: la selezione del materiale e delle biblioteche (della sola città o della provincia),
l’organizzazione i metodi di lavoro, le dimensioni del catalogo e la sua
forma (a schede o a stampa); gli elementi di descrizione catalografica
indispensabili e quelli accessori, le sigle di identificazione e di controllo (ad esempio il numero della BNI corrispondente), il tipo di classificazione da usare, l’ordinamento delle schede (alfabetico o per classi), gli indici (per soggetti, titoli, parole chiave), l’inserimento di materiale speciale (antiquariato, periodici, ecc.) e il software da usare
nell’elaborazione elettronica dei dati.
Di qui l’esigenza di saperne di più, di venire a conoscenza
dell’esperienze già in atto in altre bibiloteche, di possedere una solida
base teorica su cui impostare il lavoro.
Se infatti la possibilità di risolvere alcuni di questi problemi viene
a volte dal lavoro stesso e man mano che esso va avanti si possono, attraverso l’eliminazione progressiva degli errori, correggere le procedure usate, risulta invece evidente che lo strumento principale che
permette di risolvere problemi di tipo teorico, di stabilire i criteri che
condizionano le scelte e che modifica la professionalità di fronte a certi elementi contingenti, è la documentazione scritta e in particolare la
letteratura professionale.
E’ diventato a questo punto urgente individuare un certo numero di
documenti su cui confrontarsi e tali che il loro contenuto investisse
non solo il problema dei cataloghi collettivi, ma risolvesse anche problemi di ordine catalografico e tecnico.
6
6
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Fin qui le motivazioni contingenti che giustificano l’argomento di
questo lavoro. Ma al di là di esse questa premessa vuol essere una precisazione della metodologia usata nella ricerca del materiale,
nell’impostazione del lavoro, nell’articolazione delle singole parti.
Ritengo indispensabile a questo punto sottolineare un grave scompenso all’interno delle biblioteche italiane che pesa soprattutto sulla
professionalità degli addetti ai lavori: uno dei settori in cui esse sono
più carenti è quello della letteratura professionale. Tanto più questa
carenza è evidente se la si rapporta alla enormità di produzione che ci
viene dall’estero. Questa mancanza di equilibrio fra produzione nazionale e produzione straniera ha condizionato non poco il modo di procedere di questa ricerca e ancor di più l’ha condizionata di fatto la
possibilità e a volte l’impossibilità di reperire fonti primarie.
Precisando che sull’argomento non esistono repertori bibliografici,
per non parlare di bibliografie di bibliografie, il lavoro ha preso
l’avvio dalla lettura, nei principali manuali di bibliografia (Malclès,
Totok, Guide to reference boock), dei capitoli concernenti i cataloghi
collettivi e la loro compilazione. Questa lettura è risultata funzionale a
due operazioni. In primo luogo ha facilitato la formulazione di uno
schema che, tenendo presente i problemi da risolvere, avrebbe orientato le fasi successive del lavoro individuando le tematiche intorno alle
quali articolare la ricerca e costituendo un punto di riferimento per la
organizzazione del materiale recuperato. Questo schema con qualche
variazione ha dato corpo alla struttura finale del lavoro e alla divisione
dei capitoli. In secondo luogo è risultata utile per il reperimento delle
opere essenziali per approfondire l’argomento.
La ricerca, dopo queste letture preliminari, ha preso l’avvio in due
direzioni:
1) recupero del materiale bibliografico presente nei cataloghi di
biblioteche;
2) spoglio, a partire dal 1960, delle principali riviste professionali
italiane e straniere, per reperire articoli, segnalazioni, recensioni.
Per quanto riguarda il primo punto, si è dovuto per motivi di forza
maggiore, circoscrivere la ricerca a cinque biblioteche:
la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la Biblioteca Provinciale di Foggia, la Biblioteca Vaticana, le biblioteche specializzate
dell’Associazione Italiana Biblioteche e della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari della Università di Roma. Se nelle prime tre è
stato possibile ritrovare il materiale esistente consultando il catalogo
alfabetico per soggetti e quello sistema7
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tico, nelle ultime due, che più delle altre avrebbero dovuto favorire il
recupero delle informazioni e della letteratura professionale utili, il lavoro è stato difficile, se non impossibile, perché condizionato dalla totale assenza di cataloghi per soggetti e per materia.
In queste biblioteche è stato anche possibile esaminare direttamente il materiale segnalato e all’interno di questo recuperare un
certo numero di documenti citati nelle bibliografie poste in chiusura
dei capitoli e dei volumi stessi. Si è pensato di inserire nella ricerca
anche questo materiale di seconda mano che, pur mancando
dell’attributo della reperibilità immediata (d’altra parte era possibile
reperirlo anche in una fase successiva, consultando cataloghi di altre
biblioteche), era utile per allargare il numero delle informazioni e
quindi ad elevare il livello di esaustività della bibliografia che si andava compilando.
L’altra direzione percorsa è stata quella dello spoglio delle riviste
di biblioteconomia. A partire dal 1960 sono stati esaminati i più importanti periodici italiani e stranieri, i bollettini delle associazioni di
bibliotecari, il bollettino dell’UNESCO, il Bulletin Segnaletique, il
LISA ed altri.
Anche in questo caso la ricerca non sempre è stata rigorosa. Di alcune riviste non tutte le annate erano complete. E non tutte erano presenti a partire dal 1960. Ciò non ostante attraverso questa indagine si è
potuto reperire la maggior parte del materiale, soprattutto quello che
riguardava le esperienze già avviate in altre biblioteche.
Al tempo stesso però, ancora una volta, si è dovuto constatare lo
scarso contributo che questo tipo di letteratura a volte dà alla professionalità del bibliotecario. La presenza di letteratura primaria, di articoli teorici e tecnici frutto di una sperimentazione in atto e di un lavoro concreto, soprattutto nei bollettini delle associazioni professionali, è
spesso molto limitata, mentre molto spazio è dato a notizie, relazioni,
cronache di cose viste o lette, materiale secondario qualche volta del
tutto privo di approfondimento e di una giustificazione critica.
Al di là di questi limiti, questo tipo di ricerca è stata comunque utile, tenendo anche conto che in quasi tutti i periodici di questo tipo è
presente una rubrica bibliografica che segnala e commenta le novità
per quel che riguarda la letteratura professionale.
Anche dall’analisi di queste recensioni è stato possibile individuare materiale significativo.
Tutto il materiale raccolto, e nella ricerca ai cataloghi e attraverso
lo spoglio dei periodici, man mano che veniva recu8
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perato è stato diviso in quattro gruppi corrispondenti allo schema
compilato all’inizio. Esso individuava quattro temi principali. Il primo
concerneva naturalmente i cataloghi collettivi, la loro importanza, la
loro funzione. Gli altri tre ruotavano intorno alle questioni complementari all’argomento principale. Il secondo e il terzo riguardavano i
problemi della catalogazione e indicizzazione per materia e per soggetto, l’ultimo l’automazione nelle biblioteche.
E’ evidente infatti che non è possibile compilare cataloghi collettivi se non si hanno le idee chiare sulla catalogazione e ignorando le
tecniche automatiche già in uso per compilare i normali cataloghi di
biblioteca.
Una volta conclusa la fase di individuazione dei documenti è cominciata una fase di controllo sia per quel che riguardava la loro pertinenza, sia per quel che riguardava gli elementi di descrizione bibliografica.
Ad un primo esame del materiale si è giunti alla conclusione che
se per problemi come la catalogazione e le indicizzazioni era possibile
individuare come criterio di pertinenza almeno un limite cronologico
nella Conferenza di Parigi (1961) e se per l’automazione la scelta si
restringeva ancora di più. data l’obsolescenza del materiale, per quanto riguarda invece i cataloghi collettivi è stato quasi impossibile, a
causa della esiguità della documentazione esistente, restringere la selezione in precisi margini temporali. E’ sembrata quindi più idonea la
scelta di organizzare e ordinare ogni singola parte del lavoro secondo
criteri propri e di questo si dirà meglio in apertura di ogni capitolo.
Per gli elementi di descrizione utili alla individuazione e alla citazione dei documenti, il controllo è stato fatto su tutte le parole
d’ordine facendo riferimento alle Regole Italiane concernenti la scelta
e la forma della intestazione. Per quanto riguarda gli altri elementi si è
tenuto conto della distinzione che corre tra descrizione catalografica e
citazione bibliografica1 . In primo luogo esiste una differenza spaziale.
Nella citazione bibliografica non si può certo avere lo stesso uso della
punteggiatura, degli spazi, dei margini che invece sono presenti nella
scheda di un catalogo. Anche graficamente esse si differenziano per
l’uso di sottolineature o corsivo che, presenti nella citazione, sono invece escluse dalla descrizione su scheda.
In linea di massima. per ogni documento, si è data l’intestazione
principale: indicazione d’autore (cognome e nome puntato) o di ente
autore: per le opere scritte in collaborazione sono stati citati i nomi di
tutti gli autori fino a tre; in caso
1
Cfr. DE NICHILO A., Citazione e catalogo in «Bollettino d’informazioni AIB»,
19 (1979), p. 97-105.
9
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diverso il documento è segnalato sotto il nome del curatore seguito
dalla indicazione ed e nel caso questo mancasse, sotto il titolo. Seguono le indicazioni del titolo (in corsivo), dell’edizione, del luogo di
pubblicazione, dell’editore, dell’anno di edizione, il numero complessivo di pagine.
Nel caso di contributi all’interno di un periodico, il titolo del periodico è dato tra virgolette; seguono il numero del volume, l’anno e le
pagine. Per contributi all’interno di un volume collettivo o di una miscellanea di studi, dopo le indicazioni che riguardano il particolare
contributo, seguono quelle del volume il cui titolo è, al contrario dei
periodici, sempre in corsivo.
Un’ultima considerazione prima di concludere. La bibliografia che
segue non vuol certo avere l’attributo della massima esaustività. Si è
coscienti, invece, della sua inadeguatezza soprattutto per quel che riguarda alcuni temi complementari.
Non sempre è stato possibile, per motivi contingenti, essere rigorosi nella ricerca. Inoltre la stessa metodologia si è andata via via affinando durante il lavoro, anche alla luce di errori che, a volte, inevitabilmente sono stati commessi.
Indubbiamente uno dei valori positivi che essa racchiude e proprio
quello dell’acquisizione e sperimentazione di un metodo di ricerca e di
indagine, all’interno di una produzione che non sempre è possibile
imbrigliare nei limiti di una ricerca bibliografica.
10
ELENCO DEI PERIODICI CONSULTATI
Accademie e Biblioteche d’Italia. Roma.
Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma.
BID. Bollettino di informazione e documentazione. Roma.
Bolletino d’informazioni dell’Associazione Italiana Biblioteche
(AIB). Roma.
Bulletin de l’UNESCO a l’intention des bibliothèques. Paris. Bulletin
des bibliothèques de France. Paris.
Bulletin d’informations de l’Association des Bibliothecaires de
France. Paris.
Bulletin signaletique. 101: Sciences de l’information. Documentation.
Paris.
Journal of librarianship. London.
Journal of library automation. Chicago.
Library and information science abstract. London.
Library journal. New York.
Library of Congress information bulletin. Washington.
The library quartely. Chicago.
Libri. Copenhagen.
Revue del’UNESCO pour la science de l’information, la bibliothèconomie et l’arquivistique. Paris.
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1. I CATALOGHI COLLETTIVI
Nel presentare la rassegna bibliografica Che riguarda la catalogazione collettiva è bene fare qualche precisazione.
Prima di tutto si tratta di una ricerca che esclude tutto ciò che concerne i cataloghi collettivi di materiale speciale e di periodici. In secondo luogo si tratta di una bibliografia che non ha precisi limiti territoriali. D’altra parte il concetto di catalogazione collettiva è poco assoggettabile a limitazioni di tipo geografico: « come ogni inventano,
un catalogo collettivo è internazionale per il suo contenuto », dice la
Malclès 1 , e la stessa compilazione di un qualsiasi catalogo collettivo
(provinciale, regionale o nazionale) dovrebbe essere finalizzata
all’idea, che certo appare utopistica, della produzione di un catalogo
unico mondiale.
Presa la decisione di compilare un elenco a carattere internazionale, si è cercato di individuare il maggior numero di scritti
pertinenti anche se per alcuni di essi non esiste l’attributo della reperibilità immediata, per cercare di avere un panorama di titoli quanto più
esaustivo.
Tutto il materiale è stato ordinato in ordine cronologico in due
gruppi: il primo, che investe l’arco di tempo tra il 1935 e il 1955, vuol
avere soprattutto una funzione storica e permette di individuare le
prime esperienze e i primi scritti teorici di una certa importanza (ad
esempio alcuni tra i primi scritti della Malclès e del Brummel); il secondo riguarda il periodo 1955-1980 e raccoglie quegli scritti utili dal
punto di vista pratico operativo e registra, così come si sono susseguite nel tempo, le più importanti esperienze italiane e straniere (ad esempio l’esperienza del C.U.B.I.).
Complessivamente si tratta di un quadro abbastanza esaustivo se si
tien conto che intorno alla questione della catalogazione collettiva soprattutto negli ultimi anni l’interesse teorico è stato scarso. Non si dimentichi a questo proposito l’atteggiamento rinunciatario che gli addetti ai lavori hanno avuto per quel che riguarda il Primo Catalogo
Collettivo delle Biblioteche Italiane, da anni fermo alle prime lettere
dell’alfabeto ed ora definitivamente abbandonato2 .
1
MALCLÈS, L. N., Manuel de bibliographie, 3 ed., Paris, Presses Universitaires
de France, 1976, p. 69.
2
Cfr. Sicco, M., Per una bibliografia nazionale retrospettiva: censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, in « Accademie e Biblioteche d’Italia, 48 (1980), p. 462464.
12
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1935 - 1955
1. PAFFORD, J. H. P., Cooperation: national and international. In: «
Year’s works in librarianship », 8 (1935), p. 90-106.
2. PAFFORD, J. H. P., Library co-operation in Europe. London, Library association, 1935, 354 p.
3.BERTHOLD, A. B., Union catalogues: a selective bibliography. Introduced by E. C. Richardson. Philadelphya, Union Library Catalogue, 1936, xii, 70 p.
4. MALCLÉS, L. N., L’ceuvre des catalogues collectifs imprimès a la
Prussjsche Staatsbibliothek de Berlin. In: « Archives et
bibliotheques », 2 (1936), p. 36-65.
5. NEWCOMBE, L., Union catalogues, nationai and regional: their
preparation and utilization. A.S.L.I.B. Report of proceedings of
the l3th conference, 1936, p. 65-76.
6. BISHOP, W. W., Union catalogues. In: « Library Journal», 7
(1937), p. 38-49.
7. NEWCOMBE, L., Library co-operation in British Isle. London, Allen, 1937. 184 p.
8. VORTIUS, J., Vergangenheit, Gegenwart und Zukunft des deutschen Gesamtkatalogs. In: Festschrift georg leyh. Leipnzing, 1937,
p. 312-328.
9. BRUMMEL, L., De Nederlandse centrale catalogus. Handeligen
van het Se wetenshappelik Vlaamsch Congres voor boek -en bibliotheekwezen. Louvain, 1938, p. 159-171.
10. GROLIER, E. de, Quelques methodes et quelques exemples de
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France. In: «La documentation en France. Bulletin mensuel de
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11. KURNERT, E., Zur Entstehung und Gestaltung des Gesamkatalogs. In: « Zentralblatt fùr Bibliothekswesen », 55 (1938), p.
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12. MALCLÉS, L. N., L’entr’aide des bibliothèques par les catalogues collectifs. In: « Revue du livre », (1938), p. 87-94.
13. BERTHOLD, A. B., Union catalogue and documentation. Report
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13
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5. Directory of union catalogs in the U. S., by A. B. Berthold.
6. Selected Bibliography, p. 395-402. (150 titoli).
15. LIBRARY of Congress. Washington, Descriptive cataloguing Division, Cooperative cataloguing manual for the ttse of contributing
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17. MERRIT, L. C., Le catalogue collectif regional americain en tant
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19. BESTERMAN, T., Esquisse des projects d’activitè du centre de
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Bulletin mensuel de l’UFOD », (1947).
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2. CATALOGAZIONE BIBLIOGRAFICA
Il problema della catalogazione collettiva, come si è già in altre parti
detto, deve essere affrontato considerandolo strettamente legato ai
problemi della catalogazione in generale.
Pur tenendo presente che catalogare per autori, per soggetti, per classi
sono aspetti diversi di un medesimo lavoro di indicizzazione, non si
può dimenticare che la catalogazione per autori resta comunque quella
di maggior rilievo e quella che
piu delle altre è stata formalizzata, codificata in regole ben precise.
Per questo si è ritenuto opportuno segnalare un certo numero di scritti
su quest’ultimo argomento.
Pertanto la scelta è stata condotta al fine di segnalare documenti
che fossero immediatamente fruibili (si sono esclusi, ad esempio i documenti non facilmente reperibili) da parte di chi si occupa di tecnica
dei cataloghi, e che non fossero anteriori al 1961.
Questo è, infatti, l’anno della Conferenza internazionale di Parigi
in cui fu affrontato il problema della compilazione di un codice internazionale di regole di catalogazione per autori e da cui hanno preso vita anche i principi che animano il nuovo codice italiano.
La Conferenza di Parigi ha di fatto condizionato quasi tutta la letteratura tecnica degli ultimi anni, non si dimentichi ad esempio il dibattito serrato e polemico sulle RICA che ha trovato posto su riviste
come il « Bollettino AIB » e « Accademie e Biblioteche d’Italia », e,
dopo di essa, non ci sono stati grossi mutamenti per quanto riguarda la
catalogazione.
Tenendo conto di questo si è ritenuto opportuno ordinare il materiale, che, si ripete, non è anteriore al 1961, in ordine alfabetico e non
cronologico.
L’elenco dei titoli proposti ha principalmente una funzione pratico-operativa, con l’attributo della immediata reperibilità dei documenti.
20
________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA
Per questo si è dato più spazio agli articoli apparsi sulle riviste professionali che, segnalando esperienze concrete, più di altri scritti testimoniano la varietà dei problemi e delle loro possibili soluzioni.
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by G. Fry & Associates. Chicago, Library Technology Project,
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62. VISWANATHAN, C. G., Cataloguing theory and practice. London, Asia Publishing house, 1965. xvi, 283 p.
3. INDICIZZAZIONE SEMANTICA:
Soggettazione e classificazione
Se la catalogazione per autori riveste una importanza pn-maria rispetto agli altri sistemi di indicizzazione, non si deve dimenticare che
essa presenta dei limiti per quanto riguarda le esigenze dell’utente.
Queste sono meglio indirizzate nel catalogo per soggetti e in Quello
sistematico.
Di qui la decisione di individuare un certo numero di documenti
concernenti le indicizzazioni semantiche.
Come per la catalogazione, si è cercato di indicare materiale facilmente reperibile e che non fosse anteriore al 1960.
Quasi tutti i documenti riguardano i vari sistemi di indicizzazione
semantica (CDD, CDU, Colon, Faccette, Library of Congress), ma
l’attenzione si accentra soprattutto sui sistemi di soggettazione e sulla
classificazione Dewey che più delle altre sono utilizzate nelle biblioteche di Ente Locale e nei sistemi bibliotecari.
Molta parte dei documenti è di origine angloamericana perché non
si può ignorare che gli studi più significativi sull’argomento sono inglesi o americani.
Si è preferito ordinare il materiale raccolto secondo l’ordine alfabetico. Come per la catalogazione, infatti, anche per le indicizzazioni
semantiche, negli ultimi venti anni, non e e stata una evoluzione tale
da essere evidenziata in una sequenza cronologica.
1. ARCAMONE, M. L., Sull’ordinamento del catalogo per soggetti.
In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 35 (1967), p. 260-271.
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10. BIBLIOTECA Apostolica Vaticana. Scuola di biblioteconomia.
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82. VIGINI, G., Nuovo soggettario italiano. Principi e schema di
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Italiana Biblioteche. Milano, Bibliografica, 1978. 341 p.
83. WYMAR, B. S. - TANNENBAUM, E., Introduction to cataloging
and classification. A teaching guide with illustration of major
principles for descriptive cataloging and classification. Preliminary edition. Denver, Colo., Bibliographie Institute, 1965. 204 p.
4. L’AUTOMAZIONE NELLE BIBLIOTECHE
Produrre cataloghi collettivi sarebbe pura utopia se si ignorassero
le procedure automatizzate. Solo utilizzando un elaboratore è possibile
di fatto star dietro alla eccezionale produzione libraria di questi anni.
Ma nei confronti di queste procedure il bibliotecario-umanistico
che opera nella maggior parte delle biblioteche italiane ha ancora un
atteggiamento scettico e diffidente. Molte volte questa diffidenza nasce dalla disinformazione.
30
________________________________________________________________CATALOGAZIONE COLLETTIVA
Non potendo ignorare la grande importanza che per la catalogazione collettiva assume l’automazione, si è ritenuto necessario
dedicare l’ultima parte di questa ricerca bibliografica a questo tema.
In Italia non è molta la letteratura professionale che riguarda
l’automazione nelle biblioteche e ancora una volta si è dovuto constatare la nostra dipendenza dall’estero per quanto riguarda la documentazione scritta. Al tempo stesso, però, per chi comincia ad interessarsi
delle tecniche automatiche di catalogazione, è difficile orientarsi
all’interno di una produzione che, come quella straniera, è a volte
troppo avanti rispetto a quelle che sono le esigenze delle piccole e
medie biblioteche italiane, di quelle biblioteche cioè che più delle altre
si consorziano e danno vita ai cataloghi collettivi.
Si è creduto opportuno, allora, selezionare solo materiale in lingua
italiana allo scopo di fornire informazioni immediate e facilmente
comprensibili. Si sono anche esclusi documenti generali, come quelli
riguardanti il recupero delle informazioni, o quelli troppo particolari
sulla programmazione e i linguaggi dell’elaboratore, preferendo invece segnalare solo quei documenti specifici sull’uso dell’elaboratore
nei servizi di biblioteca.
Data l’obsolescenza del materiale di questo tipo di letteratura, si è
deciso di organizzare il materiale secondo un ordine cronologico che
meglio evidenzia il susseguirsi delle esperienze, scegliendo come data
di partenza il 1966, anno che segna l’avvio della prima esperienza italiana di una certa importanza: quella del CUBI.
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4. L’AUTOMAZIONE nelle biblioteche degli Stati Uniti. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 37 (1968), p. 81.
5. L’ELETTRONICA al servizio del libro. Una « libreria pilota » alla EXPO CT ‘68. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 36
(1968), p. 380-381.
6. RAZIONALIZZAZIONE e automazione nella Biblioteca
Nazionale di Firenze. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 8
(1968), p. 171-173.
7. SERRAI, A., L’elaboratore elettronico migliora l’efficienza dei
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servizi bibliotecari? In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 36
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8. CICHI, D. R., L’automazione e le biblioteche. In: « Bollettino
d’Informazioni AIB », 9 (1969), p. 168-176.
9. LA MECCANIZZAZIONE della documentazione nelle biblioteche in una conferenza al British Council. In: « Accademie e Biblioteche d’Italia », 37 (1969), p. 454-457.
10. BASSI, S., L’automazione delle biblioteche. In: « Accademie e
Biblioteche d’Italia », 38 (1970), p. 336-339.
11. CIARROCCA, G., Note per una documentazione automatica.
Roma, Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari, 1970. xxxvi,
33 p.
12. COBLAN, H., La meccanizzazione della documentazione e delle
procedure di routine nelle biblioteche. In: « Bollettino d’Informazioni AIB », 10 (1970), p. 3-18.
13. PIANTONI, M., Automazione e biblioteche. In: « Bollettino
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14. RAZIONALIZZAZIONE e automazione nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Incontro di studi organizzato
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29-31 ottobre 1968. Atti a cura di Diego Maltese. Firenze, 1970.
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LUCIA RINALDI
36
BIBLIOGRAFIA SU MARIO SANSONE
Introduzione
Questa bozza di bibliografia, ancora incompleta, ed anzi gioiosamente aperta a nuovi arricchimenti dell’operosissimo Autore, vuoi essere un dono che l’Amministrazione e la Biblioteca Provinciale di
Foggia, insieme ad un gruppo di scolari dell’Istituto di Letteratura e
Filologia moderna della Facoltà di Magistero dell’Università di Bari,
offrono al professor Mario Sansone per i suoi splendidi 82 anni.
L’incompletezza della ricognizione, pur spinta con tenace volontà
di spoglio, rende certamente esigua l’offerta, e non corrispondente all’immensa gratitudine che da tutti noi si porta al Maestro.
Né sarà necessario dire quanto quella sua opera, che qui si dispiega
in un arco di cinquant’anni di studi e di scritti, sia stata vivace e ricca
di risultati di lungo periodo.
Dalla Storia della letteratura italiana del lontano anno. 1938, che
lo rese noto nelle scuole d’Italia e che ancor oggi, nelle successive edizioni, rimane un testo di validissimo riferimento, dagli studi alfieriani e tassiani degli anni della guerra, si offre in queste paginette la
testimonianza sintetica di una laboriosità fecondissima che ha i suoi
punti di risalto negli studi manzoniani, nella discussione di problematiche ed interpretazioni dantesche, nell’acuto esame dei rapporti tra la
letteratura italiana e le letterature dialettali, nelle questioni di cultura e
di letteratura connesse al dibattito sulla lingua, da Dante ai cinquecentisti, agli illuministi e romantici, nella definizione del pensiero leopardiano nei confronti delle sue matrici settecentesche; ed ancora, gli studi su Cuoco, De Sanctis, Romagnosi, Ciaia, sulla letteratura napoletana e su quella pugliese; la sicura impostazione dei rapporti tra culture
regionali e letteratura nazionale, la individuazione e discussione dei
valori e dei limiti dell’insegnamento crociano e le vicende della critica
letteraria contemporanea: un impegno di studio attento soprattutto ai
nodi problematici, allo svolgimento delle idee e delle forme della cultura, in una attenta considerazione della storia nei suoi complessi avanzamenti, tra
37
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
spinte apparentemente contraddittorie di innovazione e di conservazione.
Ma tutto questo non definisce se non in parte il campo di gratitudine che si deve a Mario Sansone, che non si restringe solo a benemerenze letterarie, e neppure a quelle, assai più larghe di ambito, di
insegnamento e di « scuola ».
Il suo merito grandissimo è di aver fatto e di fare « scuola» non solo di critica e di letteratura, ma di tolleranza, di civiltà, di laicismo, di
partecipazione democratica. Da lui ci sono venuti e vengono insegnamenti non solo di storiografia e di metodo critico, ma di umanità, di
amicizia, di misura, di determinazione ed impegno civile.
La Puglia e Bari e la Capitanata gli devono molto, e così tutti
quanti noi che ci riconosciamo cresciuti alla scuola di questo Maestro:
quel poco che potrà seguirne, seguirà da quel tronco.
Ed è per ciò che con gioia gli offriamo questo dono esile, lieti soprattutto se vorrà aggiungervi ancora molte schede in questa sua sempre viva ed alacre giovinezza.
M ICHELE DELL’A QUILA
38
BIBLIOGRAFIA SU MARIO SANSONE
M. SANSONE, ordinario di Letteratura Italiana presso la Facoltà di
Lettere. Incaricato di Lingua e Letteratura Italiana presso la Facoltà di Magistero dal suo primo costituirsi sino al 1970.
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Vinciguerra. Il Vinciguerra per persecuzioni fasciste non poteva
apparire quale autore del libro).
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Torquato Tasso (Il Gerusalemme - Il Rinaldo - La Gerusalemme conquistata - Il mondo Creato), Bari, Adriatica, pp. 256.
45
LE BIBLIOTECHE
NELLO SPIRITO DELLA NUOVA POLITICA
DEI BENI CULTURALI
La costituzione del Ministero per i Beni Culturali con il D.P.R.
805 del 13-12-1975 ha voluto significare una volontà politica eccezionale davanti alla gravità del deterioramento crescente negli ultimi anni
del patrimonio culturale; l’inizio di un’opera di reintegrazione e di recupero. Negli scarni articoli, il travaglio di un decennio che risale alla
data d’inizio dei lavori della commissione Franceschini (1964). Nel
1975 si ebbe l’avvio ad una gestione autonoma dei Beni Culturali
nell’ambito di un Ministero non burocratizzato e non centralizzato,
moderno per assicurare strumenti operativi.
Fu considerato necessario un rapporto di integrazione con le Regioni alfine di consentire quella che l’art. 9 della Costituzione chiama
la tutela del patrimonio storico e artistico della nazione, oltre che la tutela del paesaggio.
Le metodologie scientifiche non possono essere affidate allo Stato
attraverso le Sovrintendenze anche nel coordinamento con
l’autonomia operativa dei Musei locali, delle Biblioteche Civiche.
Come già fu affermato nell’età giolittiana i beni culturali sono beni
pubblici: un recupero alla coscienza delle grandi masse popolari di
questi valori, attraverso un’opera di conservazione prima e di promozione poi. Conservazione non antiquariale, conservazione non conservatrice (il vecchio principio cui obbediva il conservatore dei Musei).
Ma conservazione nel senso di creare le premesse per una fruizione
più larga dei beni culturali: diritto alla cultura della società civile.
Le Regioni hanno una competenza primaria in materia di beni culturali, mentre lo Stato una funzione di guida e di orientamento nella
loro difesa.
Nel passato le leggi sulle cose d’arte facevano intravedere una protezione retorica, tollerante. Solo fra il 1902 e il 1909, una particolare
parentesi: il bene culturale un bene collettivo sottoposto ad una d isciplina legislativa di controlli, di denunce, di schedature, di vigilanza.
Questo principio riemerge nel 1975. Oggi, una politica che fissa
dal centro taluni punti fermi. Unità di tutela, del restauro, del catalogo,
della patologia del libro o del documento, e lascia
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poi alle Regioni funzioni di promozione e di coordinamento costanti,
nel nesso essenziale fra monumento e territorio, fra testimonianze storiche e ambiente.
La Biblioteca nella cornice di queste premesse è un istituto sociale, moderno, in piena evoluzione, al servizio di tutti per
l’istruzione, la ricerca. La Biblioteca sempre più vitale, per funzionalità e ricchezza di materiale. Verso un sistema organizzativo che
si fa più automatico. I cittadini ormai sono più vicini alla Biblioteca,
se ne servono di più. Pertanto, un personale più preparato, una migliore cura dei servizi. Fra i vari settori, un legame di immediatezza. Certamente negli ultimi 25-30 anni si sono create nuove idee intorno alla
Biblioteca. Ancora all’inizio degli anni 50 la parola Biblioteca non
evocava altra immagine se non quella di Istituti di alti studi e di conservazione. Biblioteche deserte, polverose. Il Bibliotecario era un tecnico del catalogo, letterato. Queste immagini sono ora anacronistiche.
La Biblioteca come Istituto ha rivelato la sua poliedrica realtà. Si
distinguono oggi Biblioteche di conservazione o Biblioteche di museo
(fondi antichi); Biblioteche di ricerca o Biblioteche-laboratorio (in esse si auspica l’impiego dei calcolatori per la raccolta e per la comunicazione della informazione bibliografica e documentale); Biblioteche
di pubblica lettura o Biblioteche pubbliche-centri culturali. Anche i
bibliotecari non più soltanto compilatori di schede, ma managers e organizzatori di cultura, non più studiosi di varie discipline, ma studiosi
delle scienze della Biblioteca. Ma in ogni Biblioteca vi sono i tre aspetti, anche se è preminente quello della Biblioteca pubblica-centro
culturale. La biblioteca deve essere aperta a tutti, anche nel senso che
deve formare le sue raccolte avendo presenti gli interessi, il livello di
cultura e la capacità di lettura di tutti i membri della comunità. La Biblioteca deve andare incontro ai potenziali lettori: deve essere, cioè,
un organismo attivo e dinamico; con i suoi servizi al pubblico dovrà
contribuire ad una migliore utilizzazione del tempo libero.
Il concetto di utilizzazione del tempo libero va spostato da una
semplice dimensione evasiva ad una dimensione che contribuisce
all’accrescimento culturale di tutti gli strati della popolazione, anche
di quelli meno privilegiati. Utilizzazione del tempo libero significa
formazione culturale e sociale.
Perché i servizi abbiano un’efficienza e siano a tutto vantaggio
degli utenti la Biblioteca deve avere un alto grado organizzativo, deve
aggiornare le tecniche; trovare modi e mezzi idonei perché essa non
resti un istituto, tanto meno un ufficio, isolato dalla realtà quotidiana,
bensì diventi un servizio effettivamente pubblico. La Biblioteca pubblica deve essere aperta a tutti, nel senso che tutti devono avere a disposizione un « punto di servizio bibliotecario ».
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LEONARDO SELVAGGI_________________________________________________________________________
Poiché non è soltanto un diritto fondamentale del cittadino disporre dei mezzi di informazione e di educazione che la Biblioteca
raccoglie ed offre, ma è anche interesse della comunità che il cittadino
si educhi e si informi, come lavoratore e come uomo, così deve essere
obbligatorio per le autorità di governo istituire Biblioteche pubbliche e
regolarne l’attività con una chiara legislazione. In una società moderna
le funzioni di una Biblioteca sono più estese; pure più ampia l’area topografica e sociale in cui deve esplicarsi la sua attività. Aumentate le
esigenze di informazione e documentazione con la diffusione della
cultura, è normale che risultino più estesi e più numerosi i servizi da
rendere.
Deve la Biblioteca avere uno sviluppo ordinato e previsto, prevedere i bisogni per adeguare a questi i servizi. I provvedimenti in una
visione organica, in base a scelte prioritarie.
Obiettivi di una Biblioteca: la raccolta e la conservazione di libri
o altro materiale in collezioni organizzate allo scopo di facilitare al
massimo la conoscenza. Oggetto primo delle cure del Bibliotecario
prima che il libro è il lettore, sia esso effettivo sia potenziale, poiché il
libro non è che il mezzo di cui la Biblioteca si serve per raggiungere il
fine di arricchire con la lettura la personalità del cittadino e prepararlo
all’esercizio delle sue funzioni sociali. L’arredamento, l’ubicazione
della Biblioteca, la scelta dei libri, la loro schedatura devono mirare
sempre al fine di dover invogliare il lettore. L’Istituto deve essere organizzato secondo i più moderni sistemi della tecnica bibliotecaria.
Locali aerati, luminosi, asciutti, di facile accesso, ampi. I libri,
come prodotti dell’industria umana, sono entità fisiche che necessitano di un particolare clima ed ambiente, e vanno soggetti a deterioramenti e logorii. Aerazione, luce naturale agli ambienti; vietare che i
raggi del sole colpiscano direttamente i libri. Lo spazio è fattore essenziale e deve essere proporzionato alle esigenze del patrimonio librario e al flusso dei lettori. Per evitare il reciproco disturbo, i lettori
vanno distribuiti; si creano, specie nelle grandi Biblioteche, sale di lettura separate: per la consultazione dei libri, dei periodici, dei manoscritti. Si debbono creare anche sezioni per ragazzi. Perché i servizi al
pubblico abbiano buoni risultati, il personale deve avere acquisito una
notevole praticità: rendere quanto più possibile snello il servizio, con
l’apporto diretto, personale dando tono all’adempimento dei compiti
assegnati. Nei servizi di Biblioteca evitare la meccanicizzazione e la
parcellizzazione delle operazioni; più partecipazione umana, più rapporto con il pubblico.
La qualifica che ogni dipendente riveste si riempie di contenuto
mantenendo la piena presenza sul servizio.
Certamente occorrono corsi di preparazione professionale, viaggi
di studio all’estero, scambi di vedute sui sistemi di funzionalità dei
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servizi di una Biblioteca. Affidati a funzionari con preparazione e
mentalità amministrative, i nostri servizi risentono di un certo immobilismo burocratico, poco sensibile alle mutate esigenze della società e
della cultura. Siamo lontani dal realizzare, come nei paesi anglosassoni, attività culturali dette di estensione, servizi adeguati ai vari lettori,
diversificati per età e categoria. Rispetto ai paesi anglosassoni, ci siamo mossi con un buon mezzo secolo di ritardo. Occorre una più organica programmazione dei servizi bibliotecari, coordinamento e cooperazione. Il personale deve rendersi partecipe della vita dell’Istituto con
alto senso di dignità sociale. Sul servizio, responsabilità ed autorevolezza, nel senso di atteggiamento coerente e severo nell’esecuzione dei
propri doveri. Il carattere sociale ed educativo dell’attività bibliotecaria è incompatibile con atteggiamenti personalistici, incapaci di collaborazione ed apertura. Occorre una cultura di base ed una specifica.
Oggi i due campi, quello umanistico e quello scientifico, tenuti sino a
ieri separati, convergono e si compenetrano La preparazione professionale deve avere carattere interdisciplinare Sono utili le nuove conoscenze: documentazione, informatica, sociologia. A livello specialistico vanno tenuti distinti i due aspetti, quello relativo alla conservazione
e alla valorizzazione dei fondi antichi, degli oggetti rari, l’altro, in
prospettiva sempre più ampia, relativo alla conservazione e alla valorizzazione dei fondi moderni e dei nuovi oggetti culturali.
Di tutta la funzionalità della biblioteca il servizio delle informazioni bibliografiche è il più importante: quello che, in sintesi,
rappresenta la finalità precipua e lo strumento attivo di tutta la struttura bibliotecaria. Con la informazione bibliografica la Biblioteca incide
con la sua attività in modo qualificante sul mondo esterno: rapporto
con l’utenza e le forze vive del paese. La Biblioteca, una struttura aperta, deve vitalizzare il bisogno di cultura. Il personale addetto al
servizio delle informazioni bibliografiche e un personale attivo, non si
limita alla semplice conservazione e registrazione del materiale, ma
deve anche produrre cultura, sotto forma di bibliografie, deve già predisporre in un certo senso le risposte ai quesiti degli utenti. Completezza e celerità dell’informazione. Cataloghi aggiornati, collaborazione con l’intero sistema bibliotecario. Occorre un modo più dinamico
per organizzare meglio tutto il materiale librario.
Migliorare i servizi che presta la Biblioteca significa porsi il problema dello smaltimento dei lavori arretrati, ma soprattutto individuarne dei nuovi nel quadro di una nuova politica dell’Informazione
bibliografica. Necessità dell’automazione, confronto con la Biblioteca
Nazionale Centrale di Roma, con le Regioni. Quando non sono sufficienti gli strumenti che si posseggono, bisogna ricorrere all’Istituto
Centrale per il Catalogo unico che fornisce informazioni bibliografiche, segnalando le
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LEONARDO SELVAGGI_________________________________________________________________________
Biblioteche e le collezioni in cui possono trovarsi pubblicazioni, manoscritti o documenti di interesse dei richiedenti. Lo stesso Istituto
centrale per il catalogo unico corrisponde con Istituti bibliografici
stranieri, pubblici e privati e con organismi internazionali operanti nel
settore. Per le informazioni bibliografiche sono strumenti: il catalogo
collettivo retrospettivo delle Biblioteche statali, comprendenti tutti i
fondi fino al 1957 e il catalogo collettivo corrente, che raccoglie invece le schede a partire dal 1958. Inoltre, i cataloghi a stampa delle
grandi Biblioteche straniere: come i cataloghi della Biblioteca Nazionale di Parigi, del British Museum, della Library of Congress, per
consentire di reperire opere cercate e non possedute dalla Biblioteca,
ai fini di studio, di prestito esterno ed internazionale, di fotocopie e
comunque di informazioni bibliografiche.
Abbiamo un patrimonio culturale immenso da conservare e da
valorizzare. La domanda interna di beni culturali si accentua sempre
più. Oltre alle informazioni bibliografiche si deve parlare anche di riproduzioni. Quelle più richieste sono in microfilm poco costose e non
ingombranti. Non si pensi che la riproduzione fotografica o in microfilm sia sviluppata solo per i mss. o per le opere pregevoli, ma è richiesta anche per i libri comuni, per articoli di giornali e riviste. La riproduzione è il mezzo indispensabile a quella attività oggi in grande
sviluppo, detta documentazione. Si ricorre ad esso perché è impossibile che una Biblioteca possa avere tutto.
Il lettore deve trovare un facile accesso. La ricerca va permessa
nel modo migliore, perché è l’attività dello studioso che garantisce lo
sviluppo continuo della cultura. Il rispetto del pubblico e il dovere di
servirlo con prontezza fanno sì che la Biblioteca viva nella maniera
migliore e cresca tramite una piena collaborazione tra pubblico ed impiegati. Le grandi Biblioteche che hanno un’origine storica presentano
anche l’aspetto di Biblioteche ‘di mo vimento. In queste l’uso pubblico
impone le sue crescenti esigenze al di sopra di quelle della conservazione del libro, il cui logorio è inevitabile. E’ la parte moderna della
Biblioteca che generalmente viene sottoposta a questa usura, i fondi
particolari antichi o pregevoli non vengono concessi in prestito e anche la consultazione in Biblioteca è circondata da particolari cautele.
La maggior parte delle Biblioteche italiane, riunisce insieme le qualifiche di Biblioteca di conservazione e di Biblioteca di movimento, in
relazione al duplice aspetto delle sue collezioni e dei suoi servizi.
In ogni modo lo sviluppo della Biblioteca pubblica moderna si associa
armoniosamente alle esigenze della Biblioteca storica. Il libero accesso alla Biblioteca, la possibilità di avere libri in prestito hanno spezzato quella barriera tra libri e pubblico che si innalzava in tutte le antiche
Biblioteche e che s’innalza tuttora in alcune di alta cultura,
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talvolta veri e propri « musei del libro ».
Il bene culturale, è una ricchezza incalcolabile e rappresenta il
contributo più efficace alla maturazione morale del Paese, alla sua armonia sociale, costituisce anche il più qualificato mezzo di partecipazione dell’Italia ad una società internazionale che sempre più domanderà cultura e scambio di cultura. Occorre sempre più un coordinamento delle Biblioteche e un loro potenziamento. Un sistema bibliotecario nazionale, che eviterà l’isolamento delle zone meno favorite e la
provincializzazione della cultura. Due i fini essenziali di una viva attività bibliotecaria:
tutela e catalogo per rendere più vasta la fruizione del bene culturale.
Nel contesto di una società pluralistica la Biblioteca moderna è
uno strumento primario di progresso sociale.
Con l’impostazione dei principi democratici su cui poggia
l’istituzione del nuovo Ministero sarà senz’altro possibile animare il
dettato costituzionale che agli artt. 9 e 117 programma le direttive ed i
contenuti del problema della valorizzazione del patrimonio culturale.
LEONARDO SELVAGGI
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ROMOLO CAGGESE (1881 - 1981)
Nel centenario della nascita
Nell’ambito della scuola storiografica economico - giuridica, che
tanta importanza ha avuto per gli studi storici e per la cultura italiana,
tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, un ruolo non secondario
svolse Romolo Caggese, originario di Ascoli Satriano, del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita.
Nacque il 26 giugno 1881, in una famiglia della media borghesia,
da Potito e da Amalia Ursomando; rimase ad Ascoli sino all’età di sedici anni, alunno del Seminario locale, poi si trasferì a Foggia, per frequentarvi il Liceo, sotto la guida di un altro illustre storico pugliese,
Francesco Carabellese. Da allora ritornò solo saltuariamente nel paese
d’origine, dal quale lo tennero lontano, dapprima, gli impegni di studio, successivamente, quelli connessi con la docenza universitaria.
Nell’ottobre del 1900 si iscrisse all’Istituto di Studi Superiori di
Firenze, grazie ad una borsa di studio; qui, con Gaetano Salvemini, fu
discepolo di Pasquale Villari che, con Achille Coen, Gerolamo Vitelli
ed Alberto del Vecchio, influì positivamente sulla sua formazione storiografica e lo avviò ad una sistematica indagine dei problemi meridionali, anche se, in seguito, il Caggese risentì molto il fascino del
pessimismo naturalistico di Giustino Fortunato.
Nel 1904, si laureò, discutendo con il Villari la tesi Un Comune libero alle porte di Firenze nel secolo XIII, nella quale esaminava, più
diffusamente per la città di Prato, quei problemi econofnici dei Comuni medievali, che già aveva trattato, ancor prima di laurearsi, esordendo precocemente nel campo degli studi storici con pubblicazioni come: Una cronaca economica del secolo XIV. In: Rivista delle Biblioteche e degli Archivi, 1902; Su l’origine della parte guelfa e le sue relazioni col Comune. In: Studi storici, 1904; Intorno all’origine dei
Comuni Rurali in Italia. Roma, 1905.
In seguito, la sua ricerca storica, impostata sui presupposti teoricostoriografici della frattura verticale tra città e campagna e dello sfruttamento intensivo del contado da parte delle nuove classi borghesi cittadine, succedute alla vecchia feudalità, precisò la formazione e
l’evoluzione del Comune rurale durante il Medioevo nell’opera, Classi e Comuni rurali nel Medioevo Italiano.
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__________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
Saggio di storia economica e giuridica. Firenze, 1907-1909, la quale
ancora oggi, sebbene superata in alcune sue tesi, resta un punto di partenza insostituibile per ogni indagine che, nel Medioevo italiano, voglia trattare il Comune nel duplice rapporto città - camp agna.
Gli studi storici del Caggese, sempre condotti secondo gli indirizzi
metodologici della scuola economico - giuridica, della quale fu un entusiasta fautore, malgrado le severe critiche di Benedetto Croce, continuarono negli anni successivi sino alla morte; tappe fondamentali
della sua instancabile attività scientifica furono opere come, Gli Statuti della Repubblica Fiorentina. Firenze, 1910-1921 (voll. 2); Firenze
dalla decadenza di Roma al Risorgimento d’Italia. Firenze, 19121921 (voll. 3); Roberto d’Angiò e i suoi tempi. Firenze, 1921-1930;
Mirabeau. Bologna, 1924; L’Alto Medioevo. Torino, 1937; Dal Concordato di Worms alla fine della prigionia di Avignone (1122-1377).
Torino, 1939.
Nel 1907, il Caggese, dopo aver conseguito a Pavia, il 24 giugno,
la libera docenza in Storia Moderna, si trasferì a Napoli, per insegnare
in un istituto commerciale. In questo periodo partecipò attivamente
all’orientamento politico socialista - riformista ed avvertì con parecchi
altri settori della sinistra italiana l’esigenza di dover opporre un blocco
di forze al sistema di « mazzieri» e di prefetti imposto da Giolitti.
In qualità di militante del P.S.I. diede il suo apporto alla ricostituzione della sezione socialista napoletana, dirigendone per qualche
numero l’organo Il Socialista, ma nel 1910 si dimise dal Partito per
incompatibilità politica con il filosindacalista Arnaldo Lucci.
Continuò, tuttavia, a pubblicizzare i problemi della terra di origine
negli articoli che scrisse sul Secolo dal 1912 al 1914 (Il dazio sul grano e l’agricoltura meridionale; La questione meridionale: Il governo
e la questione agraria; Per la resurrezione economica dell’Italia;
etc.). Si fece, infatti, portavoce, insieme con Fortunato, Colajanni,
Ciccotti, Salvemini, delle secolari sofferenze del Mezzogiorno presso
la società settentrionale della borghesia e della classe operaia; collaborò a far conoscere la povertà naturale delle terre meridionali, la stretta
fiscale che opprimeva i contadini, le sofferenze e le umiliazioni in terra straniera degli emigrati. Denunciò l’incuria del governo verso il
Sud dell’Italia, suggerì ai partiti politici programmi per incanalare verso lo Stato la protesta delle plebi meridionali.
Fu, però, nel 1914 che iniziò il periodo politicamente più importante per il Caggese, il quale, nelle elezioni amministrative del 12 luglio, venne eletto, con l’appoggio del massone socialista Carlo Altobelli, nella coalizione bloccarda di Napoli, consigliere comunale e
provinciale e negli anni 1916-1917 giunse a svolgere le funzioni di vicesindaco accanto al Labriola ed a dirigere di fatto, negli anni del
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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
conflitto, la Deputazione provinciale partenopea.
Nel 1918, inoltre, si inserì, finalmente, nell’insegnamento universitario, come straordinario di storia moderna a Messina e l’anno successivo, come ordinario della stessa disciplina a Pisa.
Di fronte ai conflitto mondiale, il Caggese, in consonanza con
l’atteggiamento socialista, dapprima si dichiarò neutrale; successivamente, anche influenzato dall’amico Leonida Bis solati. si schierò a
favore dell’intervento, conducendo al riguardo una intensa campagna
propagandistica sulle pagine dell’Idea democratica, organo della Massoneria di Palazzo Giustiniani, dalla quale, molto probabilmente, era
stato appoggiato nelle elezioni comunali e provinciali di Napoli.
Negli anni del dopoguerra si accentuò in Caggese quella crisi ideologica, già presente negli anni del conflitto, che lo fece spostare lentamente ma inesorabimente dalle originarie posizioni democratiche a
quelle di concentrazione borghese in funzione apertamente antis ocialista.
Crisi politica sottolineata dall’intensa pubblicistica antigovernativa
condotta sulle colonne di giornali reazionari come La Sera; Il Mattino; Il Telegrafo; Il Mezzogiorno e dal rifiuto della candidatura socialista nelle elezioni politiche in Capitanata, del 1919, ed in quelle amministrative di Napoli, del 1920.
Prima del delitto Matteotti, il Caggese si avvicinò al Croce ed ai
gruppi di democrazia liberale, soprattutto per avversione al Gentile,
che, quando era stato ministro della Pubblica Istruzione, lo aveva
spesso ripreso a causa del fiacco insegnamento nell’università di Pisa,
e, sempre in funzione antigentiliana, sottoscrisse, nel 1925, il manifesto degli intellettuali antifascisti.
A distanza di un mese soltanto, però. il Caggese rinnegò il manifesto crociano, si dimise a Napoli dalla amendoliana Unione Nazionale
e si allineò completamente con la politica del Partito Nazionale Fascista.
Aderì, infatti, al progetto gentiliano dell’Enciclopedia Italiana, alla
quale collaborò con un certo numero di voci di storia angioina: Carlo I
e Carlo II d’Angiò; Giovanna I e Giovanna II; Roberto d’Angiò; e con
alcune voci di storia della rivoluzione francese: Babeuf; Barbè - Marbois; Barère de Vieuzac; Barnave; Barras; Bastiglia; Bourmont; Mirabeau; etc.
Il Caggese, quindi, come molti altri intellettuali italiani non ebbe la
capacità di assumere un atteggiamento di decisa opposizione al Fascismo; basti pensare che già nel 1926 il primo elenco di collaboratori
dell’Enciclopedia annoverava 1410 studiosi, che nel 1937 diventarono
3266. Inoltre, quando, nel 1931, il Fascismo impose ai professori universitari il giuramento di fedeltà, solo dodici, contro milleduecento. si
rifiutarono.
Dopo aver tenuto, dal dicembre 1923, la cattedra di storia
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__________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
economica dell’Istituto di Scienze Economiche di Napoli, il Caggese
riuscì ad ottenere un incarico accademico prestigioso e si trasferì a Milano, dove, dal gennaio 1926 sino alla morte, insegnò, in luogo del
Volpe, storia medievale e moderna alla Facoltà di Lettere.
Il Regime, però, poco convinto della sua fede fascista, provvide ad
emarginarlo sempre di più, tanto sul piano dell’organizzazione culturale che su quello storiografico, revocandogli tutti gli incarichi ufficiali e lasciandogli solo l’insegnamento universitario e le lezioni di « alta
cultura » presso l’Università per Stranieri di Perugia.
A rompere questo umiliante isolamento, imposto dalle autorità, a
nulla servirono le istanze e le preghiere che il Caggese, mettendo da
parte ogni sentimento d’orgoglio, indirizzò ai responsabili culturali del
Partito Fascista, sino a pochi giorni prima della morte, che lo colse a
Milano il 5 luglio 1938.
A NTONIO VENTURA
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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
BIBLIOGRAFIA
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del P.S.I. dal 1908 al 1911. In: Movimento Operaio. Genova,
1953.
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B. CROCE, Intorno alle condizioni presenti della Storiografia in Italia. IV. La Storiografia sociale e politica. In: La Critica. Napoli,
1928. Voi. XXVII.
B. CROCE, Professori di storia. In: La Critica. Napoli, 1935. Voi.
XXXIII.
B. CROCE, Storia della Storiografia italiana nel secolo decimo nono.
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160.
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STORIA D’ITALIA. Vol. IV. Dall’Unità a oggi. Tomo Il. La Cultura.
Torino, 1975.
G. TURI, Il progetto dell’Enciclopedia italiana: l’organizzazione del
consenso fra gli intellettuali. In: Studi Storici Roma, 1972. N. 1.
56
SCRITTI DI ROMOLO CAGGESE
(In ordine cronologico)
1. K. Lamprecht e la storia sociale. In: Medusa. S. 1. 2 marzo 1902.
(recensione)
2. Una cronaca economica del secolo XIV. In: Rivista delle Biblioteche e degli Archivi - Periodico di Biblioteconomia e di Bibliografia. Di Paleografia e di Archivistica. Firenze. N. 7-8. LuglioAgosto 1902, p. 97-116.
3. Niccolò Rodolico, Cronaca Fiorentina di Marchionne di Coppo
Stefani. In: Rivista Storica Italiana. Roma. Luglio 1905. (recensione)
4. Su l’origine della parte guelfa e le sue relazioni col Comune.
1903. «Estratto dall’Archivio Storico Italiano. Dispensa LV del
1903 », p. 47.
5. Il Comune rurale di Tredozio e i conti da Romena. Firenze. Tip.
Galileiana, 1904. « Per nozze Schiaparelli - Vitelli », p. 14.
6. Michele Lupo Gentile, Studi sulla storiografia fiorentina alla Corte di Cosimo de’ Medici. In: Tempi Moderni. Bari 1905. (recensione)
7. Giulio Coggiola, Ascanio della Cornia e la sua condotta negli a vvenimenti del 1555-1556. In: Tempi Moderni. Bari 1905. (recensione)
8. Intorno alla origine dei Comuni Rurali in Italia. Roma 1905. « Estratto dalla Rivista Italiana di Sociologia. Fasc. II. Marzo-Aprile
1905 », p. 42.
9. La Repubblica di Siena e il suo con tado nel secolo decimoterzo.
In: Bullettino Senese di Storia Patria. XIII [1906], p. 120.
10. Ai piedi del Vesuvio. (Eruzione del 21 maggio 1906). In: Florentia
Nova. Firenze 1906, p. 3.
11. Una vecchiezza gloriosa. P. Villari. In: Il Marzocco. Firenze 6 ottobre 1907.
12. L’insegnamento della Storia nelle Università. In: Il Marzocco. Firenze 7 novembre 1907.
13. Note e documenti per la storia del Vescovado di Pistoia nel secolo
XII. Pistoia 1907. « Estratto dal Bullettino Storico Pistoiese. Fasc.
4 », p. 55.
14. Classi e Comuni rurali nel Medio Evo Italiano. Saggio di storia
economica e giuridica di Romolo Caggese. Firenze, Tip. Galiieiana - Ed. O. Gozzini, 1907-1909.
15. L’opera di R. Davidsohn. Documenti e storia di Firenze. In: Il
Marzocco. Firenze 5 gennaio 1908.
16. La storia di Firenze di R. Davidsohn. In: Il Marzocco. Firenze 1
marzo 1908.
17. Etnografia, Storia e Politica. A proposito del nuovo « Museo di
Etnografia Italiana ». Rocca S. Casciano. «Estratto dalla
57
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Rassegna Contemporanea. N. 3 », p. 19, 6 tav. f.t.
18. La situazione in Puglia. In: Il Pungolo. Napoli 11-12 gennaio
1909.
19. Nuovi orizzonti della storiografia moderna. Prolusione ad un corso libero di Storia moderna tenuta nella Regia Università di Napoli il 3 Dicembre 1908. Rocca S. Casciano, Tip. Cappelli, 1909, p.
39.
20. La crisi del partito socialista. (A proposito del Congresso Nazionale). In: La Rivista Popolare. Roma 1910. Fasc. I-II.
21. Foggia e la Capitanata. Bergamo, ed. Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1910, p. 144, 5 tav. n.t.
22. Statuti della Repubblica Fiorentina editi a cura del Comune di Firenze da Romolo Caggese. Vol. I: Statuto del Capitano dei Popolo
degli anni 1322-25. Vol. II: Statuto del Podestà dell’anno 1325.
Firenze, ed. Comune di Firenze, 1910-1921.
23. Chiese parrocchiali e Università rurali. Pavia 1911. « Estratto da
Studi Storici. XX - 2 », p. 48.
24. Cinquant’anni di studi storici in Italia. In: Le Cronache Letterarie.
S.I. 24 settembre - 22 ottobre 1911.
25. Gaetano Salvemini storico. In: Gaetano Salvemini. Prime elezioni
generali a suffragio universale. 26 ottobre 1913.
Collegi di Bitonto e Molfetta. Bari, tip. Cooperativa Tipografica.
1913, p. 9-15.
26. Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento d’Italia. Firenze, ed. Succ. B. Seeber e F. Lumachi, 1912-1921. (Voll. 3)
27. Oro, incenso e mirra. In: Il Secolo. Milano 22 gennaio 1913.
28. Il problema delle classi medie. In: Il Secolo. Milano 9 marzo 1913.
29. La crisi del Partito Radicale. In: Il Secolo. Milano 17 aprile 1913.
30. Programmi elettorali. In: Il Secolo. Milano 26 aprile 1913.
31. Il Mezzogiorno e lo Stato italiano. In: Rassegna Contemporanea.
Roma. N. 11. 10 giugno 1913, n. 731-751.
32. 1 pericoli del regionalismo. In: Il Secolo. Milano 27 giugno 1913.
33. La crisi del lavoro e lo Stato. In: Il Secolo. Milano 4 luglio 1913.
34. La mobilitazione clericale. In: Il Secolo. Milano 31 luglio 1913.
35. 1 socialisti al bivio. In: Il Secolo. Milano 20 agosto 1913.
36. Il dazio sul grano e l’agricoltura meridionale. In: Il Secolo. Milano i settembre 1913.
37. Corruzione elettorale e problema meridionale. In: Il Secolo. Milano 10 settembre 1913.
58
__________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
38. I moribondi della prima Camera italiana. In: Il Secolo. Milano 16
settembre 1913.
39. La questione meridionale. In: Il Secolo. Milano 23 settembre 1913.
40. I partiti politici e il Mezzogiorno. In: Il Secolo. Milano 6 ottobre
1913.
41. L’insurrezione della plebe. Le elezioni nel Mezzogiorno. In: Il Secolo. Milano 26 ottobre 1913.
42. L’ora della riscossa. In: Il Secolo. Milano 7 novembre 1913.
43. La crisi liberale. In: Il Secolo. Milano 16 novembre 1913.
44. Stato e Chiesa. In: il Secolo. Milano 8 dicembre 1913.
45. Dove andiamo?. In: Il Secolo. Milano 24 dicembre 1913.
46. Problemi amministrativi e democrazia. In: L’idea Democratica.
Roma 28 dicembre 1913.
47. il lavoro italiano e la Libia. In: L’Idea Democratica. Roma 18
gennaio 1914.
48. L’inevitabile. In: L’idea Democratica. Roma 22 febbraio 1914.
49. Lo Stato colonizzatore?. In: L’idea Democratica. Roma 5 aprile
1914.
50. Movimento operaio e partiti democratici. In: L’idea Democratica.
Roma 17 maggio 1914.
51. Senza uscita. In: L’Idea Democratica. Roma 21 giugno 1914.
52. Per la resurrezione economica dell’Italia. In: L’Idea Democratica.
Roma 12 luglio 1914.
53. Le elezioni amministrative di Napoli. In: L’Idea Democratica.
Roma 26 luglio 1914.
54. «Sono costretto a sfoderare la spada... ». In: L’idea Democratica.
Roma 9 agosto 1914.
55. Il dilemma per l’italia. In: L’Idea Democratica. Roma 23 agosto
1914.
56. La coscienza italiana e la Germania. In: L’idea Democratica.
Roma 4 ottobre 1914.
57. L’agonia della neutralità. In: L’idea Democratica. Roma 18 ottobre 1914.
58. Premesse e conseguenze. In: L’Idea Democratica. Roma 31 ottobre 1914.
59. Illusioni balcaniche. In: L’idea Democratica. Roma 14 novembre
1914.
60. Il male antico. In: L’Idea Democratica. Roma 16 gennaio 1915.
61. La Chiesa degli Absburgo. In: L’Idea Democratica. Roma 30 gennaio 1915.
62. Perché si combatte?. In: L’idea Democratica. Roma 20 febbraio
1915.
59
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
63. A proposito di trattative. In: L’idea Democratica. Roma 27 marzo
1915.
64. Discussioni tendenziose. In: L’Idea Democratica. Roma 24 aprile
1915.
65. La preoccupazione russa. In: L’Idea Democratica. Roma 8 maggio 1915.
66. Il lavacro morale. In: L’idea Democratica. Roma 22 maggio 1915.
67. Gli scritti politici di Antonio Salandra. In: Rivista d’Italia. Roma.
Fase. V, 31 maggio 1915, p. 709-728.
68. La logica della guerra. In: L’Idea Democratica. Roma 5 giugno
1915.
69. Mercanti ed eroi. In: L’idea Democratica. Roma 19 giugno 1915.
70. La neutralità del Vaticano. In: L’Idea Democratica. Roma 3 luglio
1915.
71. Guardando all’avvenire. In: L’idea Democratica. Roma 17 luglio
1915.
72. I convertiti. In: L’Idea Democratica. Roma 31luglio 1915.
73. Il piccolo agguato. In: L’Idea Democratica. Roma 14 agosto 1915.
74. Il conflitto nuovissimo. In: L’idea Democratica. Roma 28 agosto
1915.
75. Gli Americani in vedetta. In: L’Idea Democratica. Roma 11 settembre 1915.
76. Per la dignità della cultura italiana. In: L’Idea Democratica. Roma 25 settembre 1915.
77. Quando è cominciata la crisi del marxismo. In: Il Marzocco. Firenze 3 ottobre 1915.
78. La guerra e il libro. In: L’Idea Democratica. Roma 9 ottobre
1915.
79. Concordia e libertà. In: L’Idea Democratica. Roma 23 ottobre
1915.
80. La Quadruplice e i Balcani. In: L’idea Democratica. Roma 6 novembre 1915.
81. Il Punto di vista democratico. In: L’idea Democratica. Roma 13
maggio 1916.
82. Responsabilità democratiche. In: L’Idea Democratica. Roma 17
giugno 1916.
83. La scuola italiana e la guerra. In: L’Idea Democratica. Roma 6
agosto 1916.
84. La scuola professionale e la guerra. In: italianissima. Rivista
mensile inviata a tutti i soci della « Fratelli d’Italia ». Milano. N. 4.
10 settembre 1916, p. 12-13.
85. Il Mezzogiorno d’Italia e la guerra. Firenze. 1916. « Estratto dalla
Rivista delle Nazioni Latine. N. 7. 10 novembre 1916 », p. 17.
60
__________________________________________ROMOLO CAGGESE NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
86. Il prologo della tragedia europea. Conferenza detta in Roma per
la Latina Gens al Teatro delle Quattro Fontane il 6 gennaio 1918.
Roma, tip. Impr. Gen. d’Affissioni e Pubblicità, 1918, p. 12.
87. Vita provinciale: Napoli vecchia, bisogni nuovi. In: Rivista
d’Italia. Milano. Fase. V. 31 maggio 1919, p. 134-138.
88. Gli studi storici e l’ora presente. In: Rivista d’Italia. Milano. Fase.
XI. 30 novembre 1919, p. 285-315.
89. Leonida Bissolati. In: Rivista d’italia. Milano. Fase. V. 15 maggio
1920, p. 86-101.
90. Vita provinciale: Sperduti nel buio. In: Rivista d’Italia. Milano.
Fase. I. 15 gennaio 1920, p. 117-122.
91. Ettore Ciccotti. In: Rivista d’Italia. Milano. Fase. V. 15 maggio
1920, p. 360-378.
92. Roberto D’Angiò e i suoi tempi. Firenze, ed. R. Bemporad, 19211930. (Voll. 2).
93. Prato nell’età di Dante. Conferenza tenuta da Romolo Caggese
nel salone dei Misoduli in Prato il 5 novembre 1921. Prato, ed. La
Tipografica, 1922, p. 26.
94. Storia del commercio. Ad uso dei RR. Istituti Commerciali. Firenze, ed. Soe. Anonima Perrella, 1922, p. 305.
95. Mirabeau. Bologna, ed. N. Zanichelli, 1924, p. XI, 361. (Le Grandi Civiltà. Uomini e Movimenti rappresentativi. Collezione diretta
da Guido Manacorda).
96. Giovanni Pipino conte d’Altamura. In: Studi di Storia Napoletana
in onore di Michelangelo Schipa. Napoli, 1926, p. 141-165.
97. È possibile in italia una storia d’italia?. In: Corriere della Sera.
Milano. 7 febbraio 1926.
98. La guerra e la sua storia. In: Corriere della Sera. Milano. 24 febbraio 1926.
99. Della vita di Mirabeau. In: Corriere della Sera. Milano. 24 maggio 1926.
100. Pasquale Villari. Nel primo centenario della nascita (18271927). In: Rivista d’italia. Milano. Fase. X. 15 ottobre 1927, p.
214-231.
101. Ciò che è vivo nel pensiero di Machiavelli. In: Rivista d’italia.
Milano. Fase. VI. 15 giugno 1927, p. 359-375.
102. Storia Moderna, I. Il secolo della dominazione spagnola nella
storta della nazione italiana, II. Dal Medioevo alla fine del Rinascimento. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista. 1928-1929.
(lezioni).
103. Il Settecento, Il secolo dei pensatori e dei riformatori. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia. 1929. (lezioni).
104. Italy 1313-1414. In: Cambridge Medieval History. Vol. VII, p.
49-76.
61
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
105. Storia Moderna. La storia diplomatica d’Europa nel sec. XIX.
Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista.1929-1930.(lezioni).
106. La Rivoluzione Unitaria Italiana. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia 1930.
(lezioni).
107. La civiltà comunale e la originalità della storia della nazione
italiana. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia. 1931. (lezioni).
108. Il trionfo delle signorie cittadine e il rinascimento politico
d’Italia. In: Bollettino della Regia Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia.1932.(lezioni).
109. Lezioni di Storia Moderna. L’età comunale in Italia. Milano,
tip.Bruni-Marelli,1931-1932.(lezioni).
110. Corso di Storia Moderna. Il Cinquecento. Milano, ed.
Gruppo Universitario Fascista « Ugo Pepe ». 1932-1933. (lezioni).
111. Il Cinquecento. Luci ed ombre nel Cinquecento politico
italiano, in: Bollettino della Regia Università Italiana per
Stranieri.Perugia.Perugia.1933.(lezioni).
112. Ciò che resta della questione meridionale. In: Nuova Antologia.Roma.Vol.CCCLXV.1933,p.347-366.
113.Da Metternich a Mussolini. In: Nuova Antologia. Roma.Vol.CCCLXVIII.1933,p.334-351.
114.Il Seicento. Dominazione straniera e fermenti di indipendenza
nell’Italia del Seicento. In: Bollettino della Regia
Università Italiana per Stranieri. Perugia. Perugia. 1934.
(lezioni).
115.Storia Moderna. L’ordinamento della Società Italiana nel secolo
IX. Milano, ed. Gruppo Universitario Fascista« Ugo Pepe».1935.(lezioni).
116.La Civiltà italiana da Gregorio VII a Bonifacio VIII. Milano, ed.
Gruppo Universitario Fascista « Ugo Pepe ». 1936.
(lezioni).
117.L’epistolario di Letizia Bonaparte. In: Nuova Antologia. Roma.Vol.CCCXCI.1937, p.103-115.
118.L’Alto Medioevo. Torino, ed. U.T.E.T. 1937 (Grande Storia
d’Italia)
119.Il Trecento e gli albori del Rinascimento. Milano, ed.
Gruppo Universitario Fascista « Ugo Pepe » 1937. (lezioni).
120.Dal Concordato di Worms alla fine della prigionia di Avignone
(1122-1377). Prefazione di Corrado Barbagallo. Torino,ed. U.T.E.T. 1939. (Grande Storia d’Italia).
A NTONIO VENTURA
62
UN INEDITO PRIVILEGIO TRANESE DEL 1647
CONSERVATO PRESSO LA BIBLIOTECA PROVINCIALE
DI FOGGIA
Presso la sezione manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia esiste un piccolo fondo diplomatico costituito prevalentemente di
documenti privati; l’unico documento pubblico è un privilegio di Filippo IV indirizzato a Francesco Mondelli, per confermargli l’acquisto
dell’ufficio di doganiere della città di Trani.
Quella di vendere gli uffici pubblici era una consuetudine già praticata dalla dinastia aragonese e, successivamente, conservata dagli
Spagnoli soprattutto al fine di assicurare una presenza costante e diffusa di funzionari pubblici nelle province e di mantenere permanentemente in funzione al centro un numero di uffici che facessero sentire
in ogni momento alla periferia il peso dei poteri pubblici.
Un’organizzazione burocratica così opprimente e l’indiscutibile
superiorità politico-militare del governo centrale avevano determinato
la lenta ed inesorabile decadenza del Viceregno di Napoli ad un ruolo
di secondo piano nella politica internazionale. Di conseguenza, anche
Trani aveva visto finire la sua floridezza e la funzione del suo porto
nella vita pugliese tra fine XVI ed inizio XVII secolo, quando la città
sfinita e stanca viveva ormai una irreversibile crisi economico-sociale,
accelerata dalla presenza della Sacra Reale Udienza, che contribuì in
modo determinante a cambiare il corso delle sue vicende e della sua
attività.
La decadenza economica, a Trani, era stata anche accompagnata
da una notevole flessione della popolazione che, dopo i disastri
dell’invasione franco-veneta del 1528-1529, era scesa nel 1532 a 716
fuochi e nel 1627 ad appena 600.
Il governo dell’Università, inoltre, aveva subito un grave processo
involutivo a danno della democrazia: esisteva sempre, è vero, il consiglio annuale di sessanta membri, egualmente ripartiti tra nobili, mercanti e plebei; ma, a partire dal secolo XV, ebbe solo una funzione
formale, perché la nobiltà cittadina e quella più antica feudale, dopo
aver lottato tra loro, si coalizzarono ed attraverso i Seggi esercitarono
il vero potere, soprattutto dal secolo XVI in poi, quando nella città decadde e quasi scomparve del tutto l’elemento mercantile e commerciale.
63
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
I Seggi a Trani erano quattro ed erano così designati:
dell’Arcivescovado, di Portanova, del Campo dei Longobardi e di San
Marco. Il primo era situato sotto l’atrio delle scale della chiesa arcivescovile e verso la metà del XVI secolo venne trasportato in un portico
ceduto dal capitolo della cattedrale; il secondo, vicino al monastero
dei frati Agostiniani, sembra si chiamasse in precedenza di
Sant’Andrea, nome che cambiò, poi, in quello di Portanova, al momento dell’apertura di questa porta sotto il dominio dei Veneziani; il
terzo era davanti la chiesetta di Santa Maria del Campo dei Longobardi; il quarto si chiamava di San Marco dalla chiesa omonima presso la
quale sorgeva.
Quelle dei Seggi, in origine, erano state circoscrizioni topiche abbraccianti la nobiltà dei singoli rioni, alla quale soltanto spettava deliberare le nuove ascrizioni. L’appartenenza ai Seggi dava adito al Consiglio ed ai pubblici uffici e tutti i suoi membri appartenevano di diritto al Generale Parlamento. E evidente, quindi, come la nobiltà fosse
gelosissima di questa sua prerogativa e rendesse ogni nuova ammissione estremamente difficile. In questo modo la nobiltà cittadina limitò sempre di più i compiti dell’Università sino a restringerli solo alla
elezione degli ufficiali del Comune, alla ripartizione dei pesi fiscali ed
alla polizia della città.
Insieme con i nobili divideva il potere a Trani il Capitano, il più
importante dei magistrati, il diretto rappresentante dell’autorità regia,
l’anello di congiunzione tra il sovrano e la Università. Solo a lui spettava la convocazione del consiglio e la preventiva approvazione degli
argomenti da discutere; nella votazione prevaleva sempre il suo parere
e dinanzi a lui i consiglieri eletti giuravano di adempiere fedelmente il
loro ufficio.
Durante il Viceregno il suo potere si accrebbe notevolmente sino a
restringere sempre di più la libertà dei cittadini e divenire strumento di
oppressione e tirannia.
Compito del capitano era pure l’amministrazione della giustizia
nelle cause di prima istanza e, a partire dal secolo XVI, in quelle
d’appello per le sentenze emanate dai mastri mercato durante le fiere.
Quando esercitava questa delicata funzione era accompagnato da un
seguito composto da uno o più assessori, dal mastro d’atti e da alcuni
soldati, tutti estranei alla città.
Minore autorità del capitano avevano nell’amministrazione della
giustizia penale e civile i Baiuli, alla cui curia spettava svolgere compiti di polizia campestre; approvare i mundualdi che dovevano assistere la donna negli atti civili e pubblicare i bandi per l’amministrazione
dei dazi da riscuotere.
Magistrature speciali erano, infine, a Trani quelle del Mastro
64
_____________________________________________________________UN INEDITO PRIVILEGIO TRANESE
mercato e del Protontino; uno aveva giurisdizione civile e criminale
nel periodo delle fiere, l’altro era il tipico ufficiale delle città marittime che non solo aveva cura del naviglio ma, fatto importante, esercitava anche giurisdizione su tutta la gente di mare.
Altri ufficiali nominati direttamente dal governo centrale erano il
Castellano, che deteneva il potere militare; il Mastrodatti della città; il
Regio archivario del maestro portolano di Puglia ed il Doganiere.
La maggior parte di questi uffici, lo si è detto, venivano acquistati
dalla nobiltà locale che, in questo modo, non solo realizzava lauti
guadagni, ma otteneva anche protezione dai supremi ufficiali del regno e privilegi che di solito ricadevano su quanti, non potendo unirsi
agli oppressori, restavano necessariamente oppressi.
I Mondelli acquistarono sin dalla fine del XVI secolo l’ufficio di
doganiere.
Questa famiglia era ascritta al sedile dell’Arcivescovado con quelle dei Bonismiro, De Pando, Rocca e Rogadeo; era venuta a Trani negli ultimi anni del secolo XV, il primo a stabilirvi la sua dimora da
Ruvo, dove prima abitava, fu Marco Antonio, marito di Ginevra Pignatelli, dama della regina Isabella d’Aragona. Un figlio di lui si unì
alla nobiltà tranese, sposando Lucrezia Pagano; un altro, invece, Alessandro, fu nominato da Carlo V conte palatino nel 1536.
La famiglia Mondelli continuò a mantenere la dogana di Trani ancora nel 1645, perché il documento che qui si trascrive contiene la
conferma di Filippo IV all’acquisto da parte di Francesco Mondelli
dell’ufficio di doganiere, già appartenuto al defunto cugino Francesco.
Per la trascrizione sono state seguite le norme per la pubblicazione
dei documenti pubblicati dal Pratesi sull’Archivio Storico Pugliese del
1964.
65
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
BIBLIOGRAFIA
F. CARABELLESE, La Puglia nel secolo XV da fonti inedite. Bari,
1901.
F. CARABELLESE, La Puglia nel secolo XV. Parte II: Documenti di
Bari, Giovinazzo, Trani. Bari, 1907.
R. COLAPIETRA, Profilo storico-urbanistico di Trani dalle origini
alla fine dell’Ottocento. In: Archivio Storico Pugliese. Bari, 1980.
S. NISIO, Degli « Ordinamenta et consuetudo maris » di Trani. In:
Archivio Storico Pugliese. Bari, 1963.
E. NOYA DI BITETTO, Blasonario Generale di Terra di Bari. Bologna, 1969. [ristampa anastatica].
A. PRATESI, Norme per la pubblicazione delle fonti documentane
nel « Codice Diplomatico Barese ». In: Archivio Storico Pugliese.
Bari, 1964.
V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli. Contributo alla storia civile e commerciale di Puglia nei secoli XV e XVI. Bari, 1912.
66
IL DOCUMENTO
1645 marzo 27, Saragozza
Filippo IV di Spagna conferma solennemente a Francesco Mondelli l’acquisto dell’ufficio di doganiere della città di Trani che gli era
stato già concesso il sedici maggio milleseicentoquarantatrè, alla mo rte del cugino, dietro pagamento della terza parte del suo valore, corrispondente a quattrocento ducati.
Originale, Biblioteca Provinciale di Foggia, senza collocazione archivistica. [A].
Sul verso, capovolto rispetto alla scrittura del documento: « Confirmacion en forma de la ampliacion que se concedio en Naples a
Francisco Mondelo de su officio de Dohanero de la Dohana de la Ciudad de Tranì para la vida de un heredo en que ha succedido Francisco
Mondelo su sobrino. El Consejo ». E la segnatura originale « 153 fol.
».
La pergamena (mm. 390 x 760) è in ottimo stato di conservazione
e su di essa è chiaramente visibile il sigillo impresso e la rigatura a
secco.
(S.I.) † Philippus Dei gratia † rex Castellae Aragonum Legionis
utriusque Siciliae Hierusalem Portugaliae Hungariae/ Dalmatiae Croaciae Navarrae Gianatae Toleti Valentiae Galleciae Maioriearum Hispalis Sardiniae, Cordubae, Corsicae Murtiae Giennis Algarbii Algezirae Gibraltaris Insularum Canariae necnon Indianarum Orìentalium et
Occidentalium Insularum/aeternae firmae maris Oceani. Archidux
Austriae. Dux Burgundiae Bra-
67
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
bantiae Medìolani Athenarum et Neopatriae. Comes Habspurgii Tyrolis Barcinonae Rossilionis et Ceritaniae. Marchio Oristani et Goceani.Universis et sin=/gulis praesentium seriem inspecturis tam praesentibus quam futuris nomine fidelis nobis dilecti Francisci Mondeli dohanerii Dohane civitatis nostrae Trani in Citerioris nostro Siciliae Regno expositum nobis fuit per Regiam Curiam eiusdem Regni/concessam fuisse quondam Francisco Mondelo avunculo suo amphationem officii praedicti ad vitam unius heredis a se nominandi soluta per ipsum tertia parte valoris ipsius quod est quatuor centorum
ducatorum, virtuteque dictae ampliationis, no=/minatum fuisse dictum
Franciscum Mondelum consobrinum suum in officio praedicto prout
ex literis nostrae Regiae Camerae Summariae sub die deeimo sexto
mensis Maii anni praeteriti millesimi sexcentesimi quadragesimi tertii
ad quas relatio habea / tur latius patet cumque nobis humiliter supplicaverit ut dictam ampliationem modo ut praefertur concessam approbare et confirmare dignaremur. Nos praefata petitione benigne suscepta eius votis hac in re libenter annuendum decrevimus. Tenore igitur
praesen / tium ex certa scientia regiaque auctoritate nostra deliberate
et consulto ac ex gratia speciali maturaque Sacri nostri Supremi Consilii accedente de liberatione praefatam ampliationem ut supra concessam de praedicto officio dohanerii Dohanae civitatis nostrae Trani in
dicto Citerio/ris nostro Siciliae Regno omniaque et singula superinde
contenta declarata et expressa iuxta earum seriem continentiam et tenorem laudamus approbamus ratificamus et confirmamus et quatenus
opus sit denovo concedimus dicto Francisco Mondelo vita sua durante
ac/,dum de nostra mera et libera voluntate proeesserit, nostraeque
huiusmodì laudationis approbationis ratificationis et confirmationis
munimine seu praesidio roboramus et validamus. Volentes et expresse
decernentes quod praesens nostra approbatio ratificatio et confirmatio/sit et esse debeat praedicto Francisco Mondelo stabilis realis valida
atque firma, nullumque in iuditiis aut extra sentiat imp ugnationis obiectum defectus incommodum aut noxae cuiuslibet alterius detrimentum sed in suo semper robore et firmitate persistat non/obstantibus legibus constitutionibus consuetudinibus ordinationibus et aliis in contrarium facientibus etiam si talia forent de quibus specialis et individua mentio fieri debuisset quibus omnibus et singulis hoc in casu derogamus et derogatum esse volumus, in caeteris vero/in suis robore et
firmitate permansuris, et ut praemissa quem volumus sortiantur effectum serenissimo propterea Balthasari Carolo principi Asturiarum et
Gerundae ducique Calabriae filio primogenito nostro carissimo ac post
foelices et longoevos dies nostro in omnibus/regnis et dominiis nostris, Deo propitio, immediato heredi et legitimo successori intentum
aperientes nostrum sub
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_____________________________________________________________UN INEDITO PRIVILEGIO TRANESE
paternae benedictionis obtentu dicimus eumque rogamus. Illustribus
vero Spectabilibus Nobilibus Magnificis Dilectis Consiliariis et fidelibus nostri Proregi/Locumtenenti et Capitaneo Ge nerali nostro Magno
Camerario Protonotario Magistro Iustitiario eorumque Locumtenentibus Sacro nostro Consilio Castri Capuanae Praesidentibus et Rationalibus Camerae nostrae Summariae Regenti et Iudicibus Magnae Curiae Vicariae Scribae/ portionum Thesaurario nostro Generali seu id
officium regenti, Advocatis quoque et Procuratoribus fiscalibus caeterisque demum universis et singulis officialibus et subditis nostris
maioribus et minoribus quocumque nuncupatis titulo officio auctoritate et potestate fungen= /tibus tam praeteritis quam futuris in eodem
Regno constitutis et constituendis dicimus praecipimus et iubemus.
Quatenus forma praesentium per eos et eorumquemlibet diligenter inspecta illam dicto Francisco Mondelo ad unguem et inviolabiliter teneant firmiter et observent/tenerique et inviolabiliter observari faciant
per quoscumque, contrarium nullatenus tentaturi ratione aliqua sive
causa si dictus serenis simus princeps fihius noster charissimus nobis
morem gerere, caeteri autem officiales et subditi nostri praedicti gratiam nostram caram habent/ac praeter irae et indignationis nostrae incursum poenam ducatorum mille nostris inferendorum aerariis cupiunt
evitare. Respectu vero iuris dimidiae annatae cum nobis constare fecerit dictus Franciscus Mondelus solutos fuisse ducatos triginta sex pro
prima solutione dicti iuris/assumptamque fuisse de eo rationem hic
pro cautela annotari volumus, in cuius rei testimonium praesentes fieri
iussimus nostro magno negotiorum praefati Citerioris Siciliae Regni
sigillo impendenti munitas. Datum in civitate nostra Caesaraugusta die
vigesimo septimo/mensis Martii anno a nativitate Domini millesimo
sexcentesimo quadragesimo quinto, regnorum autem nostrorum anno
vigesimo quinto.
YO EL REY
Dominus Rex mandavit mihi Don Inico Lopez de Carate
Vidit Dotenzanus D(ominu)s
Vidit Caracciolus D(ominu)s
S(tim)at dueatos duos tarenos duos
Ruiz de Arichulet taxator
In Privilegiorum Neapolis - 22 - folio 100.
69
GIORNALI, GIORNALISTI E PUBBLICISTI
A MANFREDONIA
Su questo argomento si conosce poco o niente; si sono occupati
per inciso solo Michele Magno1 e Giuseppe D’Addetta2 .
Il giudizio che il Magno esprime sulla pubblicistica locale è molto
severo; nel suo volume « Lotte sociali e politiche a Manfredonia » egli
così scrive: «…..A Manfredonia, viceversa, manca qualsiasi iniziativa
di rilievo nel campo pubblicistico. Nel 1902 vengono pubblicati alcuni
numeri del ‘Corriere Sipontino’, organo per le feste estive, guida settimanale de’ bagnanti, sotto la direzione di un foggiano, il pubblicista
Vincenzo Padalino, e con sedi a Foggia e Manfredonia. Poi ad iniziativa di alcuni laici, il 26 luglio 1908, si pubblicherà un giornaletto intitolato Ruit Hora’ e, sul finire del primo decennio di questo secolo, sarà diffuso un numero unico con il titolo ‘La Corrida’. Perfino nella
corrispondenza dai comuni che pubblicano « Il Corriere delle Puglie »
di Bari, ‘Il Foglietto’ ed altri periodici, le note di cronaca da Manfredonia sono rare e meno interessanti di quelle che giungono da altri
comuni: fenomeno indicativo di un ambiente socialmente e culturalmente molto arretrato, anche dopo il primo decennio di questo secolo,
quando, con 1’assunzione da parte dell’avv. Angelo Donnamaria alla
direzione del ‘Gazzettino del Gargano’ di Monte S. Angelo, questo
foglio darà ampio spazio alle diatribe municipalistiche manfredoniane
».
Se è così in quegli anni non è che le cose siano andate meglio dopo.
Nel 1915, e per qualche annata, si pubblica la rivista « La Puglia
Municipale », diretta da Francesco Lo Balsamo, segretario capo al
Comune di Manfredonia; la rivista ha solo carattere amministrativo.
Dobbiamo arrivare al 1942, per quello che ci è dato sapere, per vedere pubblicati alcuni numeri de’ « La Prora », bollettino quindicinale
del Fascio di combattimento, edito dalla tipografia O. Bilancia di
Manfredonia e diretto da Luigi Rogato.
E sempre alcuni numeri appaiono nel 1958 e nel 1959 del Periodico apolitico indipendente », denominato « Il Vessilli-
1
MAGNO M.: Lotte sociali e politiche a Manfredonia, CESP, 1973.
D’ADDETTA G.: Giornali e giornalisti garganici, Quaderno n. 1 de « Il Gargano »,
Cappetta, Foggia, 1952.
2
70
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71
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fero », il cui direttore è Matteo Capurso.
Appariranno, poi, dei numeri unici in occasione delle elezioni, a
cura dei partiti politici, o per avvenimenti occasionali come: « Campanile sera » (agosto 1960); « La Corrente del Golfo », per le feste goliardiche del 1964, del 1966, del 1967 e del 1968; «Il Campanile », redatto il 1970, in occasione dell’ingresso nella Diocesi Sipontina di
mons. Valentino Vailati, arcivescovo della Città; « Atletica Sipontina
» (del 1973), a cura dell’U.S. Manfredonia e della SAF Manfredonia,
diretto da Michele Losito; « Incontro », a cura dell’AIAS di Manfredonia, diretto da Matteo Di Turo; « Il Clandestino » (1965), diretto da
Michele di Palma, con intenti studenteschi-goliardici.
Fra i fogli ad iniziativa politica si hanno:
— Realtà Sipontina, a cura della D.C., edito nel 1956 e nel 1970.
— Energie Nuove, a cura del P.L.I., nel 1969; lo stesso partito, poi,
nel 1974 cura la pubblicazione del « Comizio Liberale », con una nutrita serie di numeri unici, ai quali viene cambiata la denominazione in
« Riscossa Liberale ».
— Il Risveglio di Manfredonia (nel marzo del 1970) e Cronache di
Manfredonia (nel maggio del 1970), a cura del P.C.I.
— Avanti Manfredonia, a cura del P.S.I., pubblicato sempre nel
1970.
— La Voce Repubblicana, edizione di Manfredonia, a cura del
P.R.I.. pubblicato nel 1974.
Ma la testata politica di più ampio respiro è stata quella edita a cura del P.C.I.: « La Voce di Manfredonia » che, uscita nel 1971, come
numero unico, ha noi proseguito periodicamente dal 5 luglio 1973 al
23 maggio 1976. E’ seguita una interruzione di tre anni, per riprendere
il 15 dicembre 1979 ed interrompersi ancora il 24 maggio 1980.
Con carattere culturale è apparso nel 1974 il numero unico «
L’Ipotesi », direttore Domenico Piemontese, al quale ha fatto seguito
alcuni anni dopo (novembre 19791 il mensile politico-culturale: «
Dimensioni Sud ». alla cui direzione è chiamato Matteo Di Turo. La
rivista non ha avuto vita facile, tanto che da Manfredonia è passata in
proprietà ad alcuni « mecenati » di Barletta, nella quale città oggi si
pubblica, sempre sotto la stessa direzione.
Ha avuto vita brevissima, solo tre numeri. « Tele Manfredonia », il
1978 e il 1979, a cura dell’omonima emittente locale, diretto da Matteo Di Sabato.
E’ ancora fresca di inchiostro l’ultima esperienza giornalistica di
Manfredonia: « Gargano oggi », la cui testata, in saggi di prova, ebbe
vita a S. Giovanni Rotondo.
Non ci pare il caso di menzionare i giornaletti parrocchiali o scolastici, che pur meritano di essere letti per la loro fresca ingenuità.
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In campo strettamente cattolico le cose sono andate in tutto altro
modo. Dal 1933 viene pubblicato il Bollettino dell’Archidiocesi di
Manfredonia e della Diocesi di Vieste, organo ufficiale per gli atti di
Curia, che prende prima di nome di « Vita Cattolica » e poi di « Vita
Diocesana ».
Il periodico, prima mensile, e poi trimestrale, oltre ad essere una
fonte importantissima per la storia del vescovado sipontino, ha ospitato saggi di Mauro Del Giudice, il giudice del processo Matteotti, nel
1937.
E nel 1935, nonostante lo scioglimento delle azioni cattoliche,
questo periodico fornisce i nomi dei relativi presidenti, come i Raffaele Diana, come i Raffaello Di Sabato e come i Berardino Tizzani, ecc.
E sempre su Vita Cattolica e poi su Vita Diocesana sono apparsi i
primi studi sipontini di Silvestro Mastrobuoni. Ma le stesse note degli
Arcivescovi Gagliardi, Macchi, Cesarano, Cunial, Vailati, sono la
chiara testimonianza del come il pensiero cattolico si sia venuto adeguando ai nuovi tempi.
Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento è
in voga, a Manfredonia, un altro tipo di pubblicistica: gli amministratori comunali si preoccupano di far conoscere all’opinione pubblica i
bilanci gestiti e le opere effettuate, con una lunga serie di opuscoli che
costituiscono una valida fonte bibliografica per la Storia della nostra
città in quel torno di tempo. Fra questi autori citiamo: il Falconi
(1888), il Borgia (1899), il Lo Balsamo (1903), il Cessa (1893), il
Grassi (1905-1910), il Galli (1901), il Guerra (1903), il Bissanti
(1907), ecc. Ma c’è di più, sempre a cavallo dei due secoli si hanno
importanti pubblicazioni su Smonto e Manfredonia: dal D’Aloe
(18771 all’Abatino (1902), dal Padalino (1900) al Marchianò (1903),
dal Capuano (1909) al Camobreco (1913), che restano fondamentali
per la storia della nostra città. E non va dimenticata la figura di amministratore illuminato, Vincenzo Capparelli, amante della propria città e finissimo pittore, che queste ricerche commissiona e stimola, curando egli stesso una raccolta di antichità sipontine, ora, in parte, presso Matteo Sansone a Mattinata.
Tra i pubblicisti si annoverano, nei primi anni del Novecento, Y da
Manfredonia, Eden da Manfredonia, rispettivamente corrispondenti
de « Il Gazzettino del Gargano » (Monte S. Angelo) e della « Rune »
(Carpino). Sul « Gazzettino del Gargano », con la ripresa delle pubblicazioni, scrivono: F.ta e Veritas, ed ancora: Effeù, Rudel e Belliger,
oltre al Donnamaria, trasferitosi da Monte S. Angelo a Manfredonia; e
tutti questi sui fogli del Gargano. Mentre, per quanto riguarda i giornali dauni, si hanno:
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Manf. su « Il Foglietto » (1907), Adone su « Il Rinnovamento »(1913),
Lince, sullo stesso giornale, ed infine Anguis.
Nel 1913, in occasione delle elezioni politiche, la battaglia giornalistica è accesissima; Manfredonia è sede di Collegio, e non disdegnano molti notabili locali di scrivere lettere ai vari direttori di giornali
per smentire o per confermare il loro appoggio ai diversi ipotizzati
candidati.
Dal 1920 comincia a scrivere su « Il Foglietto » l’ing. Antonio Ferrara, con brillanti articoli sul movimento cooperativo dei lavoratori.
Sullo stesso giornale scrive pure l’avv. Francesco De Padova che si
occupa più strettamente dei fatti locali. Anche l’avv. Bartolomeo
D’Onofrio, con le sue lettere al direttore, fa sentire la sua voce, già
abbastanza autorevole. In quegli anni c’è pure un corrispondente de «
Il Mattino », di cui non si conosce il nome.
Altri corrispondenti da Manfredonia de’ « Il Foglietto» sono: Silpe, Alea, ecc. Continuando il vecchio stile del 1913 si hanno molte lettere al direttore, siglate da Raffaele Garzia e Pietro Simone; mentre
Alfredo Petrucci, sulla rivista « Emporium », si occupa del Tempio di
Siponto, che il « Marzocco » di Firenze e la « Stampa » di Torino recensiscono lodevolmente.
I1 1922 (il 20 marzo) Manfredonia è scossa da un risveglio politico: si hanno dimostrazioni socialiste contro l’avv. Farina che coinvolgono pure il sindaco di allora. Si ha l’intervento dei carabinieri con
qualche colpo di pistola. L’episodio riporta ampia eco sulla stampa e
persino nel Parlamento nazionale. Dell’episodio si ha la versione delle
parti sia sul « Foglietto » che su « Fiammata ». Su questo ultimo foglio scrive lo stesso avv. Farina. In questo periodo corrispondente del
giornale di Cerignola è un non meglio identificato Bellum.
Altro avvenimento che suscita l’interesse della stampa è la scoperta a Manfredonia, nel 1925, di una loggia massonica.
Si denunciano, intanto, i vari problemi che affliggono Manfredonia: il porto, sul quale intervengono il Ferrara ed il Grassi, si ha persino la costituzione di un Comitato permanente con la relativa stampa di
un opuscolo (Proporto di Manfredonia), le paludi, sulle quali interviene il Lo Balsamo (« Il Rinnovamento » del 24-4-1927).
Intanto comincia a scrivere pure Michele Cainazzo, prima sul «
Foglietto » e poi su « La Gazzetta del Mezzogiorno ». Dalle colonne
di quest’ultimo quotidiano scrive su Manfredonia il giornalista Gino
Maffucci.
I tempi sono maturi, almeno culturalmente, perché Domenico Mario Simone pubblichi i « Quaderni pugliesi » e fonda e diriga « La Puglia a Roma ».
Altro problema che affligge la campagna e la città di Manfredonia,
specie nell’intorno del 1930, è la periodicità delle alluvioni, problema
che, naturalmente, è oggetto di varie e continue corrispondenze.
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Sempre nel 1930 un X e Domenico Maselli si occupano, rispettivamente, del turismo balneare e della storia di Manfredonia dalle
colonne de’ « La Gazzetta del Mezzogiorno », già allora il massimo
organo di informazione regionale.
Inizia a scrivere da Manfredonia, dove si è trasferito da S. Marco
in Lamis, Donato Apollonio, il quale porta al suo attivo l’esperienza
de’ « Il Solco » e la direzione de’ « La Fionda » editi nella sua città
natale.
Un nuovo fecondo corrispondente nasce nel 1932, Vincenzo Palma, con minute notizie cittadine su’ « Il Foglietto »; e lo stesso anno
Michele Bellucci pubblica su « Il Popolo Nuovo » un’ampia sintesi
della storia di Manfredonia, ripresa poi da Luigi Pascale che, in
quell’anno pubblica l’ultima edizione della sua « Antica e nuova Siponto » per i tipi di Conti e Rifredi di Firenze, arricchita di moltissime
testimonianze storiche e dai cataloghi delle sue raccolte archeologiche
e numismatiche.
Nel 1934 esordisce Raffaello Di Sabato che scrive sul « Gazzettino
»; gli articoli sulle effigi della Madonna di Siponto verranno poi ampliati nella pubblicazione « La Madonna di Siponto », edita nel 1935.
Sempre nel 1932 appare una corrispondenza a firma di D.D. da « Il
Foglietto » riguardante la spiaggia di Manfredonia, mentre all’inizio
del 1937 si ha un’altra corrispondenza sul porto di Manfredonia, a
firma di A.V.. In questo anno Alfredo Petrucci e Rosario Labadessa
siglano rispettivamente due importanti articoli su « La Madonna di Siponto » (Il Gazzettino dell’8-5-1937) e su « La bonifica sipontina »
(La Gazzetta del Mezzogiorno del 29-5-1937).
Il 1939 (16 maggio) Michele Cainazzo firma un ottimo articolo su
« La Gazzeta del Mezzogiorno » dal titolo: « La pesca delle seppie nel
golfo di Manfredonia ». Il tema ha suscitato sempre molto interesse
tanto che il Cannaviello 3 prima ed il de Angelis 4 poi ne hanno fatto
oggetto di relative pubblicazioni nel 1915 e nel 1965.
3
CANNAVIELLO F.P.: La pesca delle seppie nel Comune di Manfredonia, Estratto dalla Rivista di Pesca e Idrologia, anno X (XV), 1915, n. 4-6.
4
DE ANCELIS R.: La pesca delle seppie nel golfo di Manfredonia, Roma, 1965.
Sulla pesca delle seppie a Manfredonia cfr. pure:
OGNISSANTI P.: La seppia a Manfredonia, in « Gargano Studi », Monte S. Angelo, 1978 (da pag. 32 a pag. 37)
OGNISSANTI P.: La pesca delle seppie a Manfredonia, in « Lingua e Storia in
Puglia », Siponto, 1979 (da pag. 121 a pag. 126).
77
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Nell’immediato dopoguerra esordisce Raffaele Occhionero che
sulle colonne de’ « Il Popolo Dauno » dibatte il problema, sempre attuale, del traffico portuale. E sullo stesso tema, l’Apollonio, dalle pagine de’ « La Gazzetta del Mezzogiorno », già nel 1940, scriveva un
brillantissimo articolo. Su questo argomento, nel 1947, sempre sullo
stesso quotidiano barese si ha un intervento di Arnaldo Di Nardi.
Esordisce, intanto, Berardino Tizzani, prima su’ « Il Foglietto e poi
su « Il Progresso Dauno », il tema preferito è la pesca. Negli anni ‘50
si ha un altro corrispondente de’ « Il Foglietto » da Manfredonia, Carlo Ferrara, il quale pubblica una nutrita serie di articoli sugli argomenti più vari. Scrivono pure su questo giornale, dal prestigioso passato,
Silvestro Mastrobuoni e Cristanziano Serricchio. Il Mastrobuoni, in
particolare, pubblica intensamente e produce le sue cose migliori che
troveranno organica sistemazione nel volume « S. Leonardo di Siponto » (SED, Foggia, 1960).
In questi ultimi anni si è avuta una nuova schiera di pubblicisti:
Michele Apollonio (La Gazzetta del Mezzogiorno, Ansa, ecc.), Matteo
Di Turo (Il Tempo), Matteo di Sabato (Il Mattino), ed ancora: Vincenzo Lillo, Marco Guerra, Michele Di Palma, Ruggiero Borgia, Roberto
Caterino, Enzo D’Onofrio, N. Feltri, ecc.
Una menzione a parte meritano Matteo Carpano e Michele Melillo. Matteo Carpano, parente dell’omonimo illustre parassitologo, pure
di Manfredonia, ha firmato dei bellissimi articoli, fra il 1962 e il 1965,
sul « Corriere della Pesca» di Pescara.
Michele Melillo ha fondato a Siponto, da dove la dirige, la rivista
« Lingua e Storia in Puglia », con la valida collaborazione di Pasquale
Piemontese, che ne è l’editore con la casa editrice Atlantica, e di Pasquale .Caratù, che cura i saggi di dialettologia.
Nel campo e editoriale l’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo ha curato la pubblicazione di 10 quaderni, i cui autori sono noti5 ,
ed altre pubblicazioni, l’ultima delle quali « Andar per masserie » di
N. De Feudis è fra le primissime, nel suo genere, in Puglia.
L’iniziativa dell’Azienda di Soggiorno si innesta nel grande filone
tracciato da Salomone Ottaviano, tipografo in Cosenza nel secolo XV,
dalla stamperia dell’arcivescovado del 1680, da Mario Simone con le
sue varie accurate edizioni. Restano poi alcune iniziative isolate che
fanno capo a Giuseppe Antonio Gentile, con i suoi poderosi volumi su
Siponto e su Manfredonia, alla Società di Cultura « Michele Bellucci
» e, speriamo, alla Società
5
Gli autori sono:
SERRICCHIO C., quaderni nn. 1, 4, 9;
FERRARA A., quaderni nn. 5, 8;
DE FEUDIS N., quaderni nn. 6, 10;
VAILATI -DELLA MALVA, quaderno n. 3;
FERRI - NAVA, quaderno n. 2;
DI TURO M., quaderno n. 7.
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PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________
di Storia Patria per la Puglia, sezione di Manfredonia.
Mi pare doveroso accennare, qui, ai bollettini curati dalle Locali
sezioni dei « Lions e del « Rotary », ad uso interno dei soci, ed in particolare alle pubblicazioni curate dal Comune di Manfredonia, quali: «
Bollettino Sipontino » (1950-1951), « Quaderni del Comune » (19721973), « Il Libro Rosso dell’università di Manfredonia » (1974), con
introduzione di Pasquale Di Cicco.
PASQUALE OGNISSANTI
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GLI EBREI A MANFREDONIA
Le prime notizie certe sugli Ebrei di Siponto si hanno dal Ferorelli1
e dal Colafemmina2 .
Dal Ferorelli3 si rileva che nel 1065 a Salerno dimora Melchisedeck, « magnus vir », di Siponto; mentre dal Colafemmina apprendiamo che .Siponto, « ... porto della penisola, risplendette nei secoli
XI-XII per i suoi poeti, come Anan ben Merinos, e per i suoi maestri,
come Isaac ben Melchisedeq... »4 . A proposito di quest’ultimo il Ferorelli, cambiando la data dal 1065 al 1165, scrive: « ... Si è, intanto,
accennato che nel 1165 viveva a Salerno Melchisedeck di Siponto.
Quivi si convertì, più tardi, con la famiglia un certo Leucio, e in suo
favore, nel 1220, il pontefice esortava il priore del convento di S. Leonardo a non privarlo del sussidio di un’oncia all’anno, acciocché il
poveretto ‘... ab aratro manu retracta, retro respicare non compellatur in ignominia nominis christiani... ‘ » 5 .
Sulla scorta di quanto riferito dal Ferorelli abbiamo consultato il «
Regesto di S. Leonardo di Siponto »6 , ma non abbiamo riscontrato alcuna indicàzione in merito ad una specifica presenza ebraica a Siponto; si rilevano solo dei nomi, di cui, però, non abbiamo certezza sulla
loro fede religiosa: Nathanael ‘scriba’, attivo tra il 1151 ed il 11807 , e
« Lia de Siponto », attivo alla fine del secolo XII8 .
1
FERORELLI N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, ristampa anastatica, Forni, Bologna, 1968.
2
COLAFEMMINA C, Gli Ebrei a Vieste, in « Rassegna di studi dauni », anno III,
n. 3, luglio-settembre 1976.
3
FERORELLI N., op. cit., pag. 38, in nota viene citato: Beniant Tudel., Itinerarium, etc., p. 23.
4
COLAFEMMINA C., op. cit., pag. 49; in nota viene citato: cf. 3. SCHIRMA N.,
Gli albori della poesia ebraica in Italia, in «La Rassegna mensile d’Israel 24 35 (1969),
p. 198; N. PAVONCELLO, La letteratura ebraica in Italia, Roma 1963, p. 10; A. TOAFF, Siponto, in EJJ, 14, 1617; C. COLAFEMMINA, L’itinerario pugliese di Beniamino da Tudela, in « Archivio Storico Pugliese » 28 (1975), p. 83.
5
FERORELLI N, op. cit., pag. 46. In nota viene citat o: Originali pergamene di Curia ecclesiastica, a. 1201-1247, vol. II, f. 19.
6
CAMOBRECO F., Re gesto di S. Leonardo di Siponto, Loescher, Roma, 1913.
7
CAMOBRECO F., op. cit. (d’ora in poi CAMOB.) docc. nn. 31, 39, 41, 45, 48,
65, 89.
8
CAMOBRECO F., op. cit., doc. n. 104.
81
Manfredonia: Via Maddalena (con scorcio Palazzo dei Celestini)
_______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA
Resta, comunque, la certezza della presenza ebraica a Siponto nel
periodo Svevo; in tal senso si esprimono oltre che il Ferorelli9 anche la
Summo 10 .
Nel periodo angioino le notizie sugli ebrei di Manfredonia si fanno
più specifiche: nel 1278 si ha notizia di « ... ex parte Iudeorum », che
non è verso la « ... ruga dicta de Comite ex parte montem », ma precisamente « ... extra murum »11 . Verso la fine del secolo, nel 1294, si sa
pure che ben 75 neofiti di Manfredonia vengono esentati dai pagamenti fiscali. Non sappiamo se tutti gli ebrei esistenti allora a Manfredonia
siano o meno passati alla fede cristiana, sta di fatto, però, che il numero è notevole se si considera che nello stesso anno sono esentati: 138 a
Napoli, 150 a Salerno, 45 a Capua, 7 a Caserta, 34 a Sessa, 60 ad Aversa, 1 a Pontecorvo; e in Capitanata: 10 a Foggia, 2 a San Severo,
33 a Troia, 34 a Casalnuovo, mentre 310 a Trani, 72 a Bari e 172 a
Taranto, per un totale di circa 130012 .
Sono città già note per la presenza ebraica e che hanno modo di effettuare un donativo per il matrimonio di Donna Beatrice di Aragona
nel 1475, e che, nel 1481, pagano parte dei 10 mila ducati occorrenti
agli aragonesi per fronteggiare l’invasione dei Turchi.
Per l’anno 1481, secondo il Ferorelli, gli ebrei di Capitanata pagano 800 ducati, mentre quelli di Terra di Lavoro ne pagano 3.200 e
vengono calcolati per circa 15.00013 .
Ora, tenuto conto che la contribuzione della Capitanata è pari a
circa 1/3 di quella di Terra di Lavoro, ne viene che anche gli ebrei devono essere pari a circa 1/3, ovvero pari a 4.000 circa. Di questi ebrei
una buona parte deve risiedere a Manfredonia se è rimasto fermo, nei
secoli, il rapporto del 1294, in base ai neofiti. Basti pensare che in
quell’anno su 151 neofiti presenti in Capitanata, ben 75 sono di Manfredonia. Sono delle ipotesi, comunque, che non escludono un calcolo
di 373 ebrei nel 1294, per un rapporto di 5/1 tra neofita e nucleo abitato.
Siamo propensi a credere che dal periodo angioino a quello aragonese gli Ebrei devono essere aumentati pure a Manfredonia,
9
FERORELLI N., op. cit., pag. 46.
SUMMO G., Gli Ebrei in Puglia dall’XI al XVI secolo, Bari, Cressanti, 1939,
pag. 48.
11
Il Mazzoleni J. (a cura di) I Registri della cancelleria angioina, vol. XVIII (12771278), doc. n. 148, pag. 69. Il documento riporta integralmente: « Pro danda pecunia pro
opere murorum Manfridonie... et licebit eidem magistro (Giordano da Monte S. Angelo)
accipere pro muro ipso omnes iapides qui sunt in eadem terra a Ruga dicta de Comite ex
parte montane ét omnes lapides muri eiusdem terre qui fuit inceptus et omnes alios Iapides qui sunt extra murum quam modo de novo signari fecimus ex parte Iudeorum » (9
febbraio 1278).
12
FERORELLI N., op. cit., pag. 55. L’A. in nota cita i Registri angioini.
13
Ibidem, pag. 97 e seg.
83
10
PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________
considerato la relativa protezione loro accordata ed i favori ricevuti, in
ispecie da re Alfonso. Infatti, le maggiori notizie sugli ebrei di Manfredonia si hanno proprio in questo periodo.
Dal Colafemmina apprendiamo che nel 1472 è residente, in questa
città, il medico Rafael Kohen da Lurul14 , mentre dalle «Fonti Aragonesi a, si rileva che il 25 gennaio 1487 un « ... Petro de Iudeis de Barulo (Barletta) ha licentia... extrahendo de dicto portu et ferendum in
portu Manfridonie cum subscriptis barcis... »15 . Il 25 febbraio 1486,
poi, viene concessa « licentia » a un « ... Dionisio de Florio et sociis
de Manfredonia et... Masello iudeo de Manfridonia extrahendo de dicto portu et ferendum infra regnum cum navi Perri Antighii de Ragusio
de curribus centum frumenti... car. C » 16 .
Oltre ai dottori in medicina ed ai commercianti di grano si rilevano
dalle stesse « Fonti a altre presenze, come: « Salomone iudìo a, che il
primo aprile del 1489 è fornitore di « ... un farinaro... per cernere la
arena per aboccare lo castello »17 ; « Iudeo de Franco a, che il 27 aprile
1487 riceve la concessione per dicentia ext rhaendi de dicto portu et ferendi infra regnum cum navigio Barholomei magistri Radi de Manfridonia de curribus quinque et thumulis duodecim ordei ad mensuram
siptilem »18 ; Basilio de Solitro, che al mezzo del quale, 16 gennaio
1488, viene pagata la fornitura di « ... vinti coffe de carreggiare terra
me hanno venduti per grana quactro la una » 19 .
Nel periodo 1480-81, si ha notizia di un « Isac hebreo de Manfridonia», tassato per 4 Ducati19a.
E mette conto dire che fra gli Ebrei notabili di Manfredonia di
questo periodo potrebbe annoverarsi il primo stampatore pugliese, Ottaviano Salomone, attivo in Cosenza nell’intorno del 1478.
Anche dopo la caduta degli Aragonesi si registrano Ebrei a Manfredonia, almeno fino al 1534. Il Coniglio, in uno studio di alcuni anni
fa 20 , riporta la denuncia verso alcuni cittadini di Manfredonia, novelli
cristiani, che di fatto praticano ancora le costumanze ebraiche.
La data della denuncia è il 3 febbraio 1534; siamo già con
14
COLAFEMMINA C., op. cit., pag. 52; in nota: A. FREIMANN, art. cit., p. 287,
n. 267.
15
SALVATI C. (a cura di): Fonti Aragonesi, vol. VI, Napoli, 1968, pag. 29.
16
Ibidem, pag. 22.
17
Ibidem, pag. 125.
18
Ibidem, pag. 49.
19
Ibidem, pag. 89.
19a
SILVESTRI A. M., Una fonte per La storia della guerra di Otranto nel 148081, in « Archivio storico pugliese », a. XXXIII, gen.-dic. 1980, pag. 216: « Item pone
havere receputo da Isac hebreo de Manfridonia, duc. IIII ».
20
CONIGLIO G., Ebrei e cristiani novelli a Manfredonia nel 1534, in Archivio
Storico Pugliese, anno XXI, fasc. I-IV, genn.-dic. 1968.
84
Manfredonia: Largo « Te atro vecchio » (sede del « Teatro de Florio »)
PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________
la presenza degli spagnuoli nel Regno di Napoli e con le relative sanzioni verso gli Ebrei. I1 documento rivela le lotte intestine per
l’amministrazione dell’Università di Manfredonia e, soprattutto, ci
svela i nomi di questi presunti Ebrei. Essi sono:
— il figlio di Olivieri Capuano che mangia le «azimelle » nel periodo pasquale;
— Ercole Stellatello che sull’« astrico di sua casa have adorato il
sole quando leva il mattino »; lo stesso Ercole, di sabato, non fa « esercizio alcuno »;
— Martino Sixto che « nel capo del molo have adorato il sole »;
— Gasparro de Granito » che « ei stato visto fare il sacrificio nel
sabato et star vestito de amito biancho et tenere uno idolo in alto fatto
de pasta cotta et ad quello sacrificare »;
— certe donne « de genere marrano» vengono viste nella chiesa di
Santa Maria, dove mangiano e ridono, deridendo la santa Vergine;
— il figlioletto di Aurelio de Calia che è circonciso;
— due giudei: Angelus de Aabraham et Mahomet di Troia;
— notaio Giovanni Stellatello che ha circonciso un suo figliolo;
— Gaspare de Grumpta che è stato visto leggere un libro ebraico;
— Barnaba Capuano che, si dice, abbia rinnegato la fede in Turchia;
— Pier Giorgio Capuano che è stato visto coprire « lo cantaro con
una figura de la Vergine Maria ».
I nomi di questi presunti ebrei sono, dunque, i Capuano, gli Stellatello, i Sixto, i de Granito, i De Calia, ecc. Diamo uno sguardo alle rispettive vicende.
Va innanzitutto detto che i Capuano e gli Stellatello sono imp arentati tra di loro, in quanto un « Lusulus Capuano » risulta essere cognato a Berardino Stellatello nel 149621 .
Gli Stellatello sono presenti a Manfredonia già dal 1446 con un
Benedetto, quale giudice, proveniente da Lucera 22 . Un componente
questa famiglia, Antonio, è citato, nel 1486, come fattore di San Leonardo di Siponto23 . L’attività prevalente di questa famiglia è il commercio del grano che viene esercitato pure fuori di Manfredonia, infatti, si hanno: Cola Maria che nel 1547 è agente dei mercanti fiorentini
Raffaele Acciaioli e Giuliano e Guglielmo del Tovaglia; un altro Stellatello, Antonio, esercita il commercio a Manfredonia e a Barletta nel
1551; un Angelo Stellatello è attivo agli inizi del secolo XVII, mentre
un altro Antonio Stellatello è presente a Manfredonia in occasione
dell’assedio e
21
SERRICCHIO C., Iscrizioni romane paleo-cristiane e medievali di Siponto,
Quaderno n. 9 dell’A.A.S.T. di Manfredonia, 1978, pag. 64.
22
CAMOBR., doc. n. 304.
23
SALVATI C., op. cit., pagg. 20 e 22.
23a
CONIGLIO G., op. cit., pag. 65.
86
_______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA
del sacco dei Turchi nel 162024 . Egli, con un de Nicastro, viene mandato a trattare la resa agli invasori. Come si vede, anche dopo il 1534
gli Stellatello restano a Manfredonia, dove svolgono la mercatura e si
qualificano tra i personaggi più notevoli del]a città.
Per i De Granito non si conosce alcuna notizia dopo la denuncia,
invero la loro presenza, quali commercianti di grano, è molto attiva
verso la fine del XV secolo 25a.
I De Sisto sono presenti a Manfredonia verso la fine del secolo
XVI, così come i De Calia o Calia, attivi tra il 1580 e il 1599 con un
Alessandro o con una Giacoma, oppure con una Vittoria. La presenza
dei Calia a Manfredonia si registra pure tra il 1636 e il 1639, con un
Giulio Antonio, oppure tra il 1642 e il 1649 con un Giuseppe Antonio,
e con un Francesco Antonio Pietro nel periodo tra il 1659 e il 1665.
Pure questa famiglia, dunque, resta a Manfredonia dopo la denuncia 25 .
Un discorso a parte merita la famiglia Capuano.
Di questa famiglia si hanno notizie nel «Regesto di S. Leonardo »,
ininterrottamente, dal 1325 al 148325b ; mentre dalle «Fonti Aragonesi
» si registra una cospicua attività dei suoi componenti dal 1486 al
149125c. Nel 1528 ad Eligio, a Federico ed a Luisetto vengono confiscati i beni dagli spagnuoli, mentre
24
LA CAVA A., Il sacco turchesco di Manfredonia nel 1620, in « Archivio Storico
per le Province Napoletane», a. XXVI (nuova sede), 1940, pag. 81. Un Angelo Stellatello figura nei libri dei battezzati della Cattedrale di S. Lorenzo di Manfredonia, nel periodo 1602-1621: cfr. Libro dei battezzati vol. 2°, fol. 143.
25
Libro dei battezzati della Cattedrale di S. Lorenzo di Manfredonia, vol. 10 (15801599), fol. 164 (Federico Antonio), fol. 18 (Giovanni Pietro), fol. 62 (Giovanni Alfonso), fol. 22 (Isabella).
25a
SALVATI C., op. cit, pagg 11, 13, 15. 88, 90, 94, 95, 97, 100, 103, 111, 114,
127 (per un Antonio e per un Fabrizio), 88, 90, 91, 94, 95, 97, 100, 101, 103 (per un Lorenzo).
25b
CAMOBR., op. cit.: Fioritus Capuanus (doc. n. 330). Hector Capuanus (doc. n.
292). Helya Capuanus (doc. n. 307), Henricus Capuanus (doc. nn. 253, 320). Iohannino
Antonio Capuano (doc. n. 345), Lancileo Capuanus (doc. n. 310), La Capuanus (doc. n.
307), Lisiuius Capuanus (docc. un. 289, 298), Loysius Rogerius Capuanus (doc. n. 283),
Maurizius Capuani (doc. n. 244), Melchior Capuanus (doc. n. 317).
25c
SALVATI C., op. cit.: Alfonso (pag. 90), Angelo (p. 8), Ansi (p. 134), Daminao,
padrone di barche (p. 14), Daniele (pp. 13 e 111), Ercole (p. 88), Ettore di Luigi (pp.
12). Gaetano (pp. 11, 12, 13), Gaspare (pp. 14, 15, 17, 131), Giovanni (pp. 8, 13), Giovanni Antonio (pp. 8 13), Lia, lavorante nella fabbrica del castello (pp. 100, 101, 104),
Luigi (pp. 4, 5, 114, 118), Luisetto (p. 88), Manfredi (p. 7), Ovidio (p. 108), Roberto (p.
14), Valeriano (pp. 13, 14), Vincenzo (p. 9). Un Capuano Ettore, poi, esercitava « relevio sull’ufficio di protontino di Manfredonia » nel 1457, cfr. OREFICI R., Funzionari
nelle Province di Terra di Bari, Terra d’Otranto, Basilicata e Capitanata negli anni
1457-1497, in Archivio Storico Pugliese, a. XXXII, fasc. I-IV, genn.-dic. 1979, da pag.
165 a pag. 220.
87
Manfredonia: Cortile « Boccalicchio »
(esempio di architettura spontanea)
_______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA
Giovanni Luigi, nobile di seggio, viene giustiziato a Napoli nel 1547,
durante i moti contro l’Inquisizione26 .
A questa famiglia appartengono pure: Francesco, vissuto intorno al
1490, dottore medico, filosofo e matematico insigne, lettore di astronomia nell’università di Padova, divenuto poi monaco con il nome di
Giovan Battista di Manfredonia; Luigi, vissuto nel 1800, sacerdote e
scrittore emerito27 . Così come gli Stellatello, i de Calia, anche i Capuano datano la loro presenza a Manfredonia dopo la denuncia del
1534.
Che i componenti queste famiglie siano stati o meno ebrei non è
dato sapere con certezza, anche se siamo indotti a crederlo, ciò nondimeno va detto che nella denuncia del 1534 si fa un esplicito riferimento a degli ebrei esistenti nella città, così come alle donne di « genere marrano », ovvero donne convertite al cristianesimo e di origini
ebraiche. Ne consegue, pertanto, che dal 1165 fino al 1534 si registra
prima a Siponto, e poi a Manfredonia, la presenza, più o meno continua, dell’elemento ebraico. Non sappiamo se dopo quest’ultimo anno
siano o meno rimasti degli ebrei, se pure convertiti, a Manfredonia: la
presenza degli Stellatello, dei Capuano, dei Calia ce lo fa credere. Ma
c’è di più. nel 1740, allorquando si ha il « Bando col quale
s’introducono gl’ebrei ne’ regni delle due Sicilie e loro dipendenze » e
la relativa integrazione di alcuni articoli, a Manfredonia è concessa la
possibilità della dimora degli ebrei. Le città che hanno questa facoltà
nel Regno di Napoli sono 12. fra cui Otranto, Brindisi. Barletta, oltre a
Manfredonia, in Puglia 28 . Saremmo, così, indotti a credere che
l’elemento ebraico sia persistito nella nostra città dal 1534 fino al
1740 ed oltre. A riprova di questa convinzione va detto che tra i toponimi esiste ancora una posta « Giudea », sita alle pendici del Gargano,
verso S. Giovanni Rotondo, ma soprattutto vi è la conservazione. ancor oggi, di nomi come Mosè, come Balaham (cc Barlajamme »), Beniamino, Giosafatte, Mattia, Aronne, ecc.
Rilevata, così, la presenza degli ebrei a Manfredonia, ed in qualche
periodo in misura anche cospicua, viene da chiederci dove questi abbiano dimorato. Il problema non è facile da risolvere perché oltre la
posta « Giudea », di cui si è detto, non esiste altra indicazione a Manfredonia che possa far individuare, in modo certo, una « giudecca ».
La presenza di 75 neofiti, pari
26
PEDIO T., Napoli e Spagna, nella prima metà del Cinquecento, Cacucci, Bari,
1971, pag. 252.
27
VILLANI C., Daunia Inclyta, memorie storico-biografiche, Napoli, fili Orfeo,
1890, pagg. 19 e 20. Va pur detto che nel Libro dei battezzati della Cattedrale di S. Lorenzo i Capuano vi figurano ininterrottamente dal mano 1570 (Alfonso Mario) (Cesare
Pietro) a tutto il 1797 (Antonio Gaetano) (Giuseppe Paolo).
26
FERRORELLI N., op. cit., pag. 254.
89
Manfredonia: Arco del « Boccalicchio »
(probabile ingresso alla Giudecca)
_______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA
a 375 anime, nel 1294, su una popolazione che quasi mai raggiunse i
5.000 abitanti non può non lasciare tracce; ed invero nel 1278 vi è una
« .. ex parte Iudeorum », poi più nulla. Dal che ci viene da credere che
gli ebrei erano sparsi un po’ da per tutto nella città. Ma ciò non ci basta, vorremmo ancor più indagare tra le citazioni del « Regesto », per
vedere dove i vari neofiti del 1534 abitassero; e giocoforza l’indagine
deve restringersi alla sola famiglia Capuano.
In un documento del 1394 si ha notizia di una casa appartenente a
«Rogerii Capuani »: « ... domum aliam terraneam que fuit alia R.C.,
sitam in platea S. Mathei in cantone, iuxta domos palaciatas qd. notarii
Capuani »29 . Dal 1421 questa famiglia avverte il bisogno di costruire
altre abitazioni in Manfredonia; e ciò non può che dipendere
dall’aumentato numero dei suoi componenti, di cui si hanno cospicue
indicazioni nel « Regesto » e nelle “Fonti Aragonesi ». Abbiamo così:
un « ... Loysio Rogerii Capuani de Manfredonia... domus nove edificate per ipsum Loysium »30 ; un « ... Lisuli Capuani... sacristie eccl. S.
Lucie et domus noviter edificate L.C. de Manfridonia » 31 .
La famiglia Capuano dispone pure di alcune proprietà nella via
detta la « Strofella » (o la « Scrofella »), come si rileva da un documento del 1466: « ... ruga que dic. la Strofella... domus Nicolai Grimaidi Capuani, Marsilii Canuani, Fioriti Capuani... », ed ancora: « ...
in omnibus territoris Capuani »32 . Come si vede l’espansione demografica dei Capuano spinge questa famiglia ad essere presente con le
proprie abitazioni su tutto il tessuto urbano della città.
Questa considerazione non ci basta ancora, perché i Capuanò, come gli Stellatello, pur di poter svolgere i loro commerci granari, sono
costretti ad abiurare la fede’ avita e quindi in grado di inserirsi nei più
delicati strati della vita comuntaria; non così, però, per le donne «
marrane » e per gli ebrei di più umili condizioni sociali ed economiche. Per questi ultimi ci deve pur essere un sito abitativo, ci devono
pur essere delle botteghe per i loro lavori artigianali. Ne viene la necessità di seguire un’altra pista per la nostra indagine sulla dimora degli ebrei a Manfredonia:
l’attività commerciale ed artigianale espletata dagli stessi.
E’ risaputo che gli ebrei esercitavano, oltre che l’usura, il commercio, specie quello granario, la salagione delle seppie, la concia delle
pelli, la macellazione degli animali, quello ovino in particolare, attività queste in uso in Manfredonia fino a data recente. Non è che queste
attività siano un solo appannagio
29
30
31
32
CAMOBR., doc. n. 273.
Ibidem, doc. n. 283.
Ibidem.
Ibidem, doc. n. 330.
91
PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________
degli ebrei, ma sta di fatto che essi erano indotti a trasmigrare là dove
c’era la possibilità di svolgere buoni affari o a trovar sfogo alle proprie
capacità lavorative; il che comporta, naturalmente, che lì dove ci sono
gli ebrei la vita economica deve essere abbastanza florida, rappresentando essi stessi un ottimo elemento propulsore di questa attività.
Ordunque, fino a tutto il secolo XX a Manfredonia esistevano mo lte conciarie di pelli, alcune di proprietà del monastero dei Celestini,
site nell’attuale via Maddalena, allora chiamata « ruga» della « Confectaria », come si rileva dai documenti dello stesso fondo « Celestini
» 33 . Ed il Convento dei Domenicani, nel cui retro dell’attuale omonima chiesa attigua è posta la cappella della Maddalena, « domum magnam palatiatam cum archo... » e sito proprio: « ... in capite ruge que
dic. la Confectaria » 34 .
A Manfredonia si è sempre esercitata l’attività della salagione e
conservazione, oltre che la pesca, delle seppie; ed ancora, già nei documenti del « Regesto » si fa spesso cenno ai formaggi, alla ricotta,
ecc., oggetti di attività cospicua nella plaga sipontina, anche ad opera
degli abruzzesi, che richiede l’uso di canestri di giunchi, copiosi nelle
paludi sipontine, ove, per l’allevamento dei bufali si produce un tipo
particolare di formaggio, chiamato, appunto, « marrama ».
L’esplicazione di queste attività presuppone dei fondaci, specie per la
conservazione e lo smistamento del grano, e questi non possono che
essere nei pressi dell’approdo, verso il mare. E mette conto notare che
il mattatoio pubblico, il « macello », era posto proprio in uno sbocco a
mare della via della « confectaria »: « ... prope ecclesiam fratrum Predicatorum Manfridonie domos sua palatiatas tres contiguas seu coniuctas cum muris suis. sub una quarum triutn domorum, videlicet sub
illa que est in medio earum domorum, est arcus, sub quo arcu est via
puplica qua itur ad macellum seu buccariam Manfridonie » 35 .
A settentrione della via della « confectaria », in particolare, nei
pressi della cappella della Maddalena, chiamata pure « S. Marie Magdalene », trovasi la « Platea Magna » della città di Manfredonia; e
sempre nei pressi di questa strada è situata, nel 1421, la casa di « Loysio Rogerii Capuani », ovvero: « ... domunculam unam palaciatam...
scitam in ruga transversa per quam itur ad portam S. Leonardi maniarum civitatis... ». Ed una traversa della via della « confectaria » è denominata via della « Scrofella », dove hanno dimora, nel 1466, gli altri Capuano.
Come si può facilmente capire ci sono molte coincidenze che individuano il sito degli ebrei presso questa via della « Confectaria »,
33
34
35
FONDO DEI CELESTINI presso l’Archivio Diocesano di Manfredonia.
CAMOBR., doc. 307.
Ibidem, doc. n. 289.
92
_______________________________________________________________________EBREI A MANFREDONIA
come la stessa chiesa di S. Maria, dove le donne « marrane » pare che
deridano la sacra effige.
Non ci pare cosa inutile voler sottolineare coloro che confinano,
con le proprie abitazioni, con la sopraddetta via della « confectaria »,
essi sono, per lo più forestieri, come: « ... Floria, mulier magistri Bartholomei de Verona... domo una in platea Manfridonie que dic. Taberna » (1295)36 « ... Sabinus de Iuvenacio miles civis Manfridonie et Nicolaus Speciarus » (1311)37 ; « ... Angeli de Ortona e Theobaldi filii
magistri Francisci de Pedemonte » (1311)38 ; « ... Clementis de Pedimonte, (giudice) Angeli de Benedicto, Colucius de Pasca » (1394) 39 «
... Antonelli dicti Perilli »(1432)40 . Gente che è immigrata in Manfredonia in ogni tempo, così come si ha notizia sia in altri documenti del
« Regesto » che nei documenti dei « Registri Angioini » e delle « Fonti Aragonesi ». Da ciò appare chiaro come Manfredonia sia il crogiuolo di gente più varia, proveniente oltre che dalla penisola, anche, e soprattutto, dall’oltre sponda adriatica, come i Ragusei, i Dalmati e gli
Schiavoni. Ed essi non possono che far capo alla via della « Confectaria », ove vi è pure una « Taberna ». In definitiva, dunque, è possibile
ipotizzare la presenza degli ebrei su questa via, chiamata oggi via della Maddalena.
Questa strada presenta molte caratteristiche di isolamento, specie
se si osserva il vicolo che ad essa fa capo: cortile del Boccolicchio.
Questo cortile è delimitato, sulla via Campanile, da un arco a sesto
acuto, che prende il nome dallo stesso cortile, che a sua volta dava il
nome all’omonima porta sita in fondo alla stessa via Campanile;
dall’altro lato del cortile si accede dalla parte terminale dell’attuale via
cap. E. Valente, prima chiamata via Ospedale Orsini, dall’omonimo
Ospedale fattovi adattare da quello arcivescovo nel 1679 circa. In fondo a questa via esiste ancora un piccolo arco, individuabile in
quell’arco « ... qua itur ad macellum seu buccariam », e quindi verso il
mare.
Studiando la conformazione urbanistica della città, almeno per
quanto è possibile vedere dalla pianta del Pacichelli, solo in due parti
si individuano delle casupole, piuttosto cadenti, nella parte bassa della
città, su via Maddalena, e nei pressi della Chiesa di S. Francesco, corrispondenti appunto alla parte opposta del monte, ovvero « ... extra
murum » dove è « parte Iudorum ». Non è escluso, poi, che da questo
primo nucleo, per un incremento demografico, gli ebrei si siano incanalati su tutta
36
37
38
39
40
Ibidem,
Ibidem,
Ibidem,
Ibidem,
Ibidem,
doc. n. 377.
doc. n. 235.
doc. n. 236.
doc. n. 273.
doc. n. 284.
93
PASQUALE OGNISSA NTI_______________________________________________________________________
via Maddalena e anche in altre parti della città, come sulla via S. Matteo, dove abitano i Capuano e molti altri cittadini forestieri. Ma
l’espansione deve avvenire anche verso la parte alta della città, come
attesta la « ruga de Comite », chiamata pure vie degli Schiavoni, come
si evince da un documento del 1432: «…in recta ruga eccl. S. Laurentii... prope rectam rugam Sclavonis, que alias dicebatur de Comite »41 .
Come si vede la città è abitata pure da schiavoni, oppure da schiavi
mori, come si evince dal « Libro dei battezzati della Chiesa di S. Lorenzo »42 . E in questo complesso di razze, di fedi religiose, di lingue e
di caratteri somatici, la città ci appare quanto mai viva, aperta a tutte le
innovazioni di idee, e pertanto socialmente, economicamente e culturalmente aperta. La presenza ebraica in Manfredonia assume proprio
questo significato, capacità di influire sulle sue scelte operative, donde
la denuncia del 1534 per estromettere dall’università pubblica della
gente di già economicamente potente.
PASQUALE OGNISSANTI
41
Ibidem, doc. n. 290.
Libro dei battezzati nella chiesa di S. Lorenzo, presso la sagrestia della stessa
chiesa.
42
94
IL CIRCOLO
Le popolazioni sparse a valle che avevano a lungo combattuto eroicamente contro i romani per ottenere la cittadinanza e gli stessi loro
diritti si raggrupparono alla caduta del potere centrale e al passaggio
dall’evo antico a quello medioevale in casolari, fra cui Santa Maria
d’Olivola e San Pietro. Divennero presto facile bersaglio di continue
incursioni e vittime di saccheggi da parte dei bizantini, goti, longobardi, predoni d’ogni specie, saraceni compresi.
Fu necessario allora abbandonare la pianura e insediarsi sulla montagna. Sorse così S. Agata in un punto strategico e d’incontro di civiltà
diverse, conteso da chi da Ascoli Satriano si muoveva verso il nord e
soprattutto da chi dall’Irpinia voleva estendere il dominio verso la
Daunia. Gli abitanti vi trovarono finalmente una certa sicurezza per
dedicarsi ai lavori della campagna, all’artigianato e alle pratiche religiose.
L’influsso bizantino sembra segnare il suo limite con le bianche
costruzioni che lambiscono la cima della montagna di via Monteforte
su cui troneggia il castello longobardo impiantato là dove si trovava
un tempio romano.
Si notano ancora le lunghe scalinate esterne delle prime case, gli
archi, le logge, i pianterreni ornati dal profumato basilico, l’erba regia,
Basiliko, in barattoli di fertile terra nera, appesi nelle « trasonne » ai
muri laterali poco distanti dagli stipiti di stile orientale, del quale il
Chiancato, con il suo incomparabile e ben conservato claustro, è
l’espressione più evidente.
Là sorse il primo circolo!
Man mano che il paese si estese verso sud si spostarono anche i
circoli, prima alla piazza vecchia e poi nell’attuale piazza, ove ne sorsero ben tre, quello d’Unione, degli operai e degli ex combattenti. Solamente quest’ultimo è rimasto al suo posto in seguito al tanto chiacchierato abbattimento della vecchia sede municipale. Esso è regolato
dal nuovo statuto nazionale del 24 giugno 1949. I soci manifestano il
culto della Patria, glorificano i caduti, osservano una rigida disciplina,
restando attaccati alla propria Arma e chi è appartenuto al Corpo fondato da Alfonso La Marmora ripete spesso, con una certa spavalderia,
il noto motto: « bersagliere a venti anni, bersagliere tutta la vita ».
Gli aviatori parlano delle loro acrobatiche gesta nei cieli
95
MICHELE ANTONACCIO_______________________________________________________________________
dell’Europa e dell’Africa, i marinai delle imprese nel Mar Mediterraneo e nell’Adriatico e, i più numerosi, i commilitoni della fanteria, la « Regina delle battaglie », affermano costantemente che se le varie specialità contribuiscono a raggiungere la Vittoria, sono le scarpe
chiodate dei fanti a mantenere le posizioni conquistate.
C’è chi preso dalla mania di narrare gli episodi di cui è stato protagonista lo fa con tanto calore da aggiungere ogni volta qualche particolare nuovo.
Ne vien fuori una favola alla quale nessuno presta più fede e ci
crede solamente chi, degno di Tartarin, ne è stato l’inventore. Coloro
che avevano prima interesse ad ascoltarlo non riescono più a contenere l’indifferenza per un racconto divenuto ormai noioso.
Il Circolo Operaio Ricreativo regola la sua funzione in base allo
statuto del 25 marzo 1945: ne fanno parte muratori, sarti, barbieri e artigiani in genere che si considerano la spina dorsale del paese.
Al passaggio di un corteo funebre le porte vengono socchiuse.
Se il deceduto è un iscritto, sull’architrave è sistemato un grosso
panno nero in segno di lutto; il bidello, circondato dai soci liberi da
impegni, porta appresso al feretro la bandiera abbrunata.
Raramente, per brevi periodi, si cade nei giochi d’azzardo, le bische sono subito soppresse e i trasgressori immediatamente espulsi.
Il Circolo d’Unione, il Dopolavoro Professionisti e Artisti del periodo fascista dal 28 gennaio 1957 ha un nuovo statuto.
Ebbe la maggior floridezza verso gli anni trenta. Poteva competere
con quello di Candela, di Cerignola, di Lucera in piazza Duomo e con
il sodalizio Dauno di Foggia fondato il 13 settembre 1897.
Le relazioni sociali rappresentano una esigenza per il sollievo dello
spirito: ne sono un’eloquente dimostrazione i salotti del diciassettesimo secolo in Francia a carattere letterario e quelli del diciottesimo con
tendenza scientifica, i clubs in Inghilterra, la nazione tradizionalista
per eccellenza e in America, ove, per il deterioramento dell’istituto
della famiglia, il circolo si sta sostituendo all’abitazione individuale.
I Santagatesi all’estero, in Lombardia, a Foggia, a Roma, a Torino
costituiscono associazioni per ritrovarsi e tener desti i legami con
l’ambiente di provenienza.
Un incontro fortuito fra coetanei vecchi conoscenti può favorire la
comparsa istintiva di immagini dimenticate che impegni giornalieri e
abitudini avevano sepolto nell’inconscio, come asseriscono gli psicologi e che, quando riappaiono, sono invece libere dall’ansia della caducità perché extratemporali e perennemente vive in noi.
96
___________________________________________________________________________________IL CIRCOLO
E’ il fenomeno che si verifica anche per i monumenti e le antiche costruzioni che dopo millenni ritornano alla luce nella loro genuina autenticità, eliminate le croste che vi si erano sovrapposte.
Un mondo che sembrava estinto con le sue caratteristiche, la sua
maniera di esprimersi, per effetto della memoria involontaria, ritorna a
noi e s’impone con il ricordo nitido del passato non più sottoposto alla
mortalità, se diviene oggetto di vera opera d’arte.
Personaggio di primo piano di quel sodalizio era un avvocato,
snello, il viso piuttosto lungo, capelli lisci, colorito fra il bruno e
l’olivastro, con l’inseparabile uncino. Sapeva attrarre la gente che volentieri rincasava tardi la notte per sentirlo parlare perché esercitava
un fascino straordinario per il suo stato di « vigilato » e per il suo passato di comunista intellettuale, oppositore nella Campania del movimento fascista sul nascere.
I giovani per essere accolti nella famiglia dei soci dovevano conoscere le regole di Chitarrella, aver conseguito almeno un titolo di
scuola media superiore se non esercitavano una attività, saper giocare
il tressètte, così chiamato perché in origine chi aveva tre sette faceva
un punto.
Intanto potevano da spettatori assistere dalla soglia alle partite di
bigliardo, s’inoltravano di pochi passi quando il severo bidello
s’assentava per un’ordinazione al bar, mostravano entusiasmo per
l’atteggiamento che il provetto giocatore assumeva: la mano sinistra
ben piazzata sul tavolo, il dorso a forma di ponte, il pollice in fuori
leggermente sollevato per far da guida alla stecca impugnata con
scioltezza dalla mano destra ed esplodevano in applausi se la palla
d’avorio, spinta dalla punta ricoperta dal girello di cuoio, con uno strato di gesso, per l’effetto ricevuto, faceva carambola con le altre che finivano nelle buche della sponda opposta, non senza aver determinato
la caduta dei birilli sui panno verde.
Importante era il censore a vita, don Ettore Nova, dalle spalle quadrate, gigantesco, aveva voce possente. Era stato corazziere!
Impareggiabile giocatore, richiamava chiunque commettesse una
gaffa: bastavano poche sillabe per far ammutolire perfino una persona
di spicco come don Antonio, il generale, scattante, gli occhi vivaci, di
media statura, in grande considerazione per essersi distinto in alcune
azioni dopo Caporetto e per essere stato maestro di balistica del principe ereditario, Vittorio Emanuele, divenuto poi Re d’Italia. Non ne
era esente don Ciccio, insigne magistrato, senatore, alto, il pizzo brizzolato, lo sguardo espressivo, dal portamento solenne.
Don Ettore non sceglieva mai il compagno di giochi, si affidava alla sorte: i possessori del quattro e del cinque denari
97
MICHELE ANTONACCIO_______________________________________________________________________
formavano una coppia, gli altri due gli avversari. Al primo errore emetteva una specie di sospiro contenuto e poi pronunziava una serie di
rimproveri violenti: « Non hai visto lo scarto, con la mia napoletana
sesta e il mio “buongioco” di tre due potevamo far cappotto, non hai
osservato le scartine, schiappa, sei degno di passare al tavolo dei colonnelli! ».
Questi ufficiali famosi all’estero per i colpi di Stato erano celebri a
S. Agata perchè pessimi tressettis ti; quando si trovavano in tre non riuscivano mai a trovare il quarto ed erano costretti a giocare con il «
morto ».
Investito dai cicchetti lo sfortunato compagno in quei mo mento avrebbe voluto eclissarsi, biascicava qualche frase di discolpa verso gli
spettatori che, in piedi, intorno al tavolo, implacabili, gli davano torto,
« se il raccoglimento non è completo », dicevano, « si perde e non ci si
distrae dalle ansie comuni ».
Al tempo della scoperta della radio, i primi tentativi di fare funzionare i rudimentali apparecchi furono effettuati da marconisti appena
congedati. Una grande moltitudine di persone assisteva davanti al circolo agli esperimenti dei tecnici improvvisati, che, con lunghi prolungamenti di fili di antenne fra un tetto e l’altro, cercavano di captare le
onde. Dopo numerose prove, e un ennesimo disappunto, si sentì, quasi
improvvisamente, un rumore confuso, diverso dai soliti.
Tutti si fissarono: cosa era successo?, il radiomarconista, da personaggio divenuto già importante, al centro della folla emo zionata, poté
finalmente esclamare in tono altezzoso: « se siéntene le prime sfarchisce! ». Si arrivò pian piano ai suoni più distinti dell’emittente da Napoli, i.R.A. e, successivamente fu trasmesso il bollettino meteorologico per la navi da pesca di piccolo tonnellaggio!
Erano le sedici d’una meravigliosa giornata dell’aprile del 1927!
Le distanze s’annullavano, S. Agata non rimaneva più il paese isolato
fra i monti, il miracolo della radio si realizzava e il circolo confermava
di essere il cuore della vita cittadina!
Gli orari delle varie attività erano regolati dalle campane: al mattino l’Angelus indicava ai ragazzi il momento di andare a scuola e, a chi
ne avesse avuto interesse, l’apertura del circolo, a mezzogiorno l’ora
del pranzo e della momentanea sua chiusura fino al Vespero, a Ventiquattrore, a lavoro compiuto i consoci potevano tranquillamente riunirvisi al mesto suono dell’Avemaria, « una di flauti lenta melodia »,
secondo il mirabile verso dell’inno a Satana.
Trore juorne era commovente per i santagatesi che interrompevano
qualunque cosa stessero facendo per recitare il Credo a ricordo del
Redentore crocifisso, mentre i trentatré rintocchi si diffondevano nelle
campagne, oltre le colline circostanti. Sembrava che il sentimento di
S. Antonio Maria Zaccaria, vissuto
98
___________________________________________________________________________________IL CIRCOLO
oltre quattro secoli fa, medico e religioso santificato da Leone XIII,
permeasse quello santagatese per il suono delle campane e il posto in
cui si trovava il circolo il più idoneo per udirlo. Erano voci che nelle
grandi solennità giungevano tutte insieme dai cinque campanili ed ognuna con il suo tono pur nella generale sinfonia: da S. Andrea fra il
baritono e il basso, dalla Madonna delle Grazie fioche e lontane, chiare e rapide da S. Antonio, alte e sonore da S. Nicola per l’abbondante
quantità d’argento fuso con il rame, io stagno e il piombo; leggeri, alati, infantili s’inserivano i rintocchi ritmici dell’orologio della torretta
campanaria dell’antico Comune con cronometrica precisione e si dileguavano presto lasciando un’eco simile al tintinnio di monetine di metallo lanciate a gruppi di ragazzi, in occasione di particolari ricorrenze,
sul lastricato di basalto.
La piazza sembrava divenire un’armoniosa orchestra che sprigionava una musica d’indescrivibile soavità!
Interessante anche osservare dal circolo la partenza della carrozza
di posta diretta a Candela, uno spettacolo da ammirare quello di vedere, verso la fine di giugno di ogni anno, partire il notaio, sempre gioviale, con paglietta alle ventitré, abito di lino, cravatta bianca svolazzante, fazzoletto rosso a sbuffo dal taschino, il bastoncino nella mano
destra. Arrivava con passo svelto e, dopo un rapido saluto agli amici
che dal circolo lo riverivano, prendeva immediatamente posto nella
prima classe, in fondo alla vettura, separata dalla seconda da un tramezzo, lo seguiva il fratello prete ansimante, la fronte imperlata di sudore, impaziente di sedersi. Ultima la cugina, un’elegante massaia che
sembrava però una matrona, andatura misurata, gesto controllato, rispondeva garbatamente agli ossequi, compiaciuta della stima che godeva, si fermava di proposito con un piede sul predellino come per nascondere l’impaccio di trovarsi in piazza tra gente che mal celava
l’invidia e la meraviglia per quei fortunati che andavano in zone tanto
decantate per le bellezze naturali e, trascorsi alcuni secondi, entrava
risoluta anche lei mostrando di spalle ai presenti l’abbondante crocchia di un nero lucente dietro il capo.
Al centro del divisorio fra la prima e la seconda classe c’era un finestrino che veniva aperto solamente quando il postiglione doveva
comunicare eventuali notizie relative al viaggio. Il posto a cassetta
rappresentava la terza classe.
Scrupolosi osservanti delle prescrizioni dello specialista di Napoli,
essi si recavano a Castellammare di Stabia per le acque termali e per la
cura dei fanghi.
Una scena davvero comica che si offriva alla vista dei curiosi nei
pomeriggi canicolari era quella di alcuni obesi signori, per la maggior
parte impiegati, seduti su comode sedie, l’enorme
99
MICHELE ANTONACCIO_______________________________________________________________________
pancia cadente sulle ginocchia, schiacciare il più saporito dei pis olini!
Malinconico colui che partiva da S. Agata rimpiangeva il circolo
luogo veramente atto alla distensione della mente e dei nervi. Sulla
strada panoramica, incastonata nel monte della Croce, dal veicolo che
lo portava verso Foggia, incessantemente girava il capo per vedere ancora una volta il paese, che si sottraeva alla vista alle tre curve per riapparire alla « Madonnina » a « Monte Rutunne », al Viticone sparire di
nuovo e infine farsi notare, appena al di là del bivio di Castelluccio,
nella contrada Bongo, non più nel suo gioioso aspetto piramidale con
terrazze e balconi esposti a sud, ma nella forma di un indistinto cono
racchiuso in sé, come un cipresso, per la tristezza della partenza di un
suo figlio.
Se è vero che la mentalità è in parte cambiata e i circoli sono ora in
ribasso come alcuni rinomati caffè, il Gàmbrinus focolare della belle
époque napoletana e il caffè Aragno di Roma, famoso per la terza saletta riservata ai letterati, è sempre vera la massima, « Nihil sub sole
novum! » e, pur non volendo essere esageratamente ottimista alla
Leibnitz: « Tutto è per il meglio nei migliore dei modi possibili », si
può sperare che, caduta l’effimera moda, il senso artistico e
l’equilibrio ritorneranno; non sarà più in voga la canzone « Maledetta
Primavera » e il circolo per antonomasia, senza discriminazione di ceto, nonostante l’appellativo di galantuomini, offrirà nuovamente il piacere dell’incontro fra persone amiche, pronte alla conversazione serena, alla battuta di spirito, alla critica degli avvenimenti locali, mai
stanche di osservare gli interminabili sopra e sotto di chi passeggia in
piazza, sarà il luogo dei trattenimenti eleganti e continuerà ad essere il
perno principale intorno al quale si svolgerà la vita del paese.
Poiché non è possibile utilizzare gli angusti vani del prònao antistante il municipio, il Circolo non può essere sostituito da una sede
sindacale o di partito, ma deve essere il luogo da ricercare ove
s’incontrino e si possano fondere vitali esperienze stratificate attraverso decenni e da proiettare nel futuro per la sopravvivenza di una civiltà e di alcuni sani costumi che non debbono perire.
M ICHELE A NTONACCIO
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IL TORRENTE JANO NELLA STORIA
DI S. MARCO IN LAMIS
(appunti etimologici)
L’età avanzata mi rappresenta con urgenza il bisogno dello spirito
di ordinare ricordi d’infanzia, meditazioni dell’età matura e ruminazioni tardive su quello che fu il corso di un torrente, oramai ridotto a
tombone fognario, il quale nei tempi determinò, a mio parere, la storia
di San Marco e del suo insediamento umano, sempre servendolo con
immobile e fluente presenza.
I giovani ed anche quelli in età matura, non vecchi, conoscono un
tombone, conobbero e forse ricordano un « canalone », non ricordano
più che quel canalone ebbe per secoli (duemila anni o più) il nome di
torrente « Jano ». « lana » secondo Tommaso Nardella.
A quel torrente, che il nome caratterizzò e definì, ritengo legata la
varia fortuna di S. Marco, da « palude » a centro fiorente di commerci
e di arti e mestieri, a moderno borgo montano quale sta diventando.
Non so se porto vasi a Samo o nottole ad Atene; ma l’e cose, che
dirò, non le riferisco per averle sentite dire prime.
La folgorante illuminazione sul nome del torrente, e sul suo significato, la ebbi tornando a S. Marco, dopo molti anni di lontananza, in
una mattina di estate della mia età matura, vedendo il massiccio del
Gargano quale mi appariva, avvicinandomi ad esso da San Severo.
Chi faccia quella strada vede il fronte compatto dell’acrocoro garganico scendere a picco sulla pianura al suo sud, e torreggiare curvando verso ovest. In questo fronte compatto una ampia fessura si addentra nella montagna da ovest - sud - ovest, e verso quella fessura vi
conduce la strada che seguite, per andare da S. Severo a S. Marco.
Questa è l’unica apertura del Gargano verso il resto del mondo a sud,
unica via naturale di traffico e di accesso rapido.
Per gli insediamenti umani la cosa è diversa, sorgendo tali insediamenti lentamente negli anni, influenzati da condizioni ambientali e
sociali varie; mentre non è sempre determinante per essi la ubicazione
lungo le strade. Indifferente quindi, per gli insediamenti, raggiungere
il cuore del Gargano dal nord, ove
101
VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________
la piana di Lesina e le pieghe della montagna, ormai addomesticata,
discendono al mare variamente accessibili e più o meno agevoli. Ma
nei tempi antichi per chi, dalla pianura, avesse voluto raggiungere rapidamente il cuore del Gargano, senza sobbarcarsi a quattro o cinque o
più giorni di periplo del monte, l’unica apertura era proprio quella: il
letto del torrente Jano, che conduce dalla pianura Dauna alla piccola
valle di S. Marco e, attraversatala, seguendo lo « Starale » e costeggiando la base conica del monte Celano, porta a S. Giovanni Rotondo,
e da S. Giovanni si irradia in tutti i sensi nel Ga rgano.
Il nome « Jano» ha un evidente suono latino. E non è meraviglia se
si pensa che molte oarole del dialetto di S. Marco, del più profondo
dialetto, quello ormai dimenticato dai più, sono latine. Il « casciu »
(difficile la grafia di molti suoni, « iu » semimuta), più che da cacio
deriva da caseum; sartania — parola latina non corrotta — è la padella: chiaione il lenzuolo, e così via. « Jano », dunque è nome che deriva
da quello latino, ed il suo significato è lampante per chi osservi il fronte della montagna dalla strada di S. Severo: quella è la porta, la JANUA del Gargano. Jano dunque è il torrente che scorre nella « porta »,
o una corruzione del nome stesso di «Janua »; porta esso stesso.
I Romani le diedero quel nome, come era loro consuetudine. Esempio più illustre è Genova, Janua, la porta che dal Tirreno e dalla
Via Aurelia apre alla opima pianura padana attraverso la valle del
POLCEVERA, sfociante a mare come una porta, Janua, Genova.
Posto questo primo punto, i corollari sono numerosi e rigorosamente conseguenti.
Procediamo dalla pianura verso il cuore del Gargano.
Oggi una comoda strada conduce da S. Marco a S. Severo attraverso curve larghe ed un tracciato che riduce il dislivello ad una costante
superabile, per un’auto, in terza e forse quarta marcia.
Seguirò la strada, allora, nei ricordi della mia infanzia, all’inizio
del secolo, quando il viaggio da e per San Severo era una avventura
che durava quattro o cinque ore polverose, sballottati in una corriera
che in quattro posti ammucchiava almeno sei viaggiatori, trainata da
tre cavallucci stanchi; oppure, se si voleva essere più liberi, si noleggiava uno char-à-bancs con una pariglia di cavalli. Era lo « sciarabà »
un carretto di forma uguale, ma un po’ più piccolo e leggero del «
traino », carro da carico, e con balestre ammortizzatori ed era colorato
di grigio, talora coperto con un tendone. (A proposito, nella nomenclatura dialettale dei carri troviamo i francesi: « sciarabà », « traino »; forse che prima non vi erano carri su ruote?).
Saliamo da S. Severo a S. Marco con lo char-à-bancs.
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___________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO
Approssimandoci al monte, e già nel seno dell’apertura, la strada
saliva con accettabile pendenza e non si vedeva traccia del torrente,
traccia cancellata da anni, forse da misurare in tempi geologici. Ad un
certo punto, arrivati a Stignano, il paesaggio cambiava bruscamente.
Sotto il convento di Stignano il letto del torrente compariva, e lo si attraversava su uno stretto ponte raccordato ad angolo retto con il percorso della « via nova » (erano « vie nove » questa e quella che, arrampicandosi sul fianco delle polline a sud del paese, congiungeva S.
Marco a S. Giovanni, con diramazioni per Rignano e per S. Matteo.
La strada recente, che oggi, con altro tracciato, congiunge San Marco
a S. Giovanni e a Foggia è « via nuova »? Vie nuove, quelle, perché?
Forse perché, dopo centinaia di anni e forse millenni, abbandonavano i
tracciati originari della « Janua » e dello « Starale »; oppure « vie nove
» perché pavimentate in macadam e non più sterrate?).
Subito dopo lo stretto ponticello, la strada maestra si impennava
con tre tornanti ripidi, e la quota saliva dalla torrida ed afosa pianura
alla più fresca aria di collina. Il conducente scendeva da cassetta e s uperava a piedi i tornanti, per alleggerire il carico ed i viaggiatori, se
appena giovani, venivano invitati a fare altrettanto. Si riprendeva, al
colmo, la strada, attraverso un sentiero che si arrampicava tra alberi
radi e rocce sulle quali comparivano i primi muschi, in un terreno odoroso di nepitella. D’estate, il coro delle cicale dava un leggero stordimento al viandante, dando corpo al silenzio della valle divenuta improvvisamente stretta; silenzio sottolineato dallo zoccolio non molto
lontano dei cavalli e dal loro soffiare. E si comprendeva l’etimologia
di « Stignano »: « ostium januae »; evidente bocca della porta, strettoia
più stretta di un comune serravalle; bocca od apertura della porta che
ti immetteva senza transizione da una larga petraia assolata mista a
coltivo, in una stretta buia valle con pareti alte e ripide incombenti; al
fondo un tracciato torrentizio petroso, divenuto rapidamente basso rispetto alla « via nova» la quale si aggrappava alla falda della parete
valliva di destra (seguendo il corso del torrente verso la sua foce carsica; è la parete prospiciente a sud della spaccatura da est ad ovest della
«Janua »).
A Stignano, ostium januae, doveva fiorire un centro di traffici. Mio
padre, nella sua gioventù, fu inviato a Stignano a ricostituirsi dopo una
malattia. Qui egli trovò alcune monete certamente romane, ed altre
che ritenne greche ed anche fenicie. Purtroppo ho veduto quelle monete da bambino e poi non ne ho saputo più niente. Poiché non furono
cedute, desumo che andarono perse. Ho ancora, invece, un altro reperto: una magnifica pietra nero-verdastra, delle dimensioni di circa cm.
7 x 4 x 3 a forma di accetta, meravigliosamente lavorata,
103
VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________
liscia e levigata sia nella rotondità del cozzo acuto che nel filo del taglio. Pietra che non so definire, né so a chi dover dare, verosimilmente
da non interpretare come uno strumento dell’età della pietra (che era
lavorata col metodo della scheggiatura); ma di epoca e civiltà assai più
recenti.
In base a questi reperti, sui quali purtroppo non si può fare più luce, e più ancora alla presenza in luogo di un convento (il convento, nei
passi, era luogo di sosta, riposo e soccorso ai viandanti), non è eccessivo immaginare in questo luogo un punto di incontro, forse di sosta e
ristoro, forse di scambio o di acquisto merci, con passare di moneta da
una ad altra mano; e di parecchia moneta, se ne poteva perdere per la
terra. Ma, noti Volendo costruire eccessivamente sulla fantasia, riprendiamo un viaggio, fatto agli inizi del 1900, da Stignano a S. Marco.
Qui il torrente, dopo essere stato attraversato al livello di Stignano,
perde di nuovo la chiara configurazione di via d’acqua tra sponde. Ma
anche a Stignano, più che di via d’acqua, si trattava a quel tempo di
superare una cunetta di scarico delle occasionali fiumare precipitanti a
valle nel corso o dopo eccezionali precipitazioni, specie temporalesche, non rare in quei tempi di ordinato decorrere delle stagioni1 . Il
letto del torrente, asciutto, si intravede in fondo alla valle, stretto tra
pareti scoscese, ad angolo molto acuto, e totalmente sprovvisto di vie
di fuga. Tanto che vien fatto di pensare (fatta salva l’ipotesi che la «
janua » avesse avuto caratteristiche originali diverse, perse nei secoli a
causa della non manutenzione conseguente alla apertura della « via
nova ») che la strada della porta non fosse percorribile da carri, ma da
carovane someggiate sui robusti muli, detti Foggiani o Dauni, pregiatissimi, che all’inizio del secolo erano ancora i vettori dei carichi (legna, carbonella, provviste e granaglie) attraverso l’altopiano garganico. Anche questa però è fantasia.
Arriviamo a S. Marco dal rione più declive, che allora era detto di
S. Berardino, poi chiamato più propriamente « porta S. Severo ». Qui,
nel punto ove si incontravano le — allora —prime case del paese, ricompariva a fondo valle il letto del torrente, sporco e con qualche esigua chiazza di acqua stagnante. Ben presto però, all’imbocco del paese, il torrente scompariva sotto una larga tombinatura che consentiva,
deviando a destra, l’accesso al « piano di sotto », esiguo pianoro triangolare di prato scorteggiato e misero d’erba, costeggiato dal viale di
circonvallazione del paese, che congiunge la « via nova » di San Severo col « Largo delle grazie », dal quale partiva la « via nova »
1
La corriera, fig. 20 (in « Dal fondo dei paesi » quaderni del sud Lacaita, documento 2)
doveva fare due o più manovre per imboccare il ponte.
104
____________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO
per S. Giovanni, con diramazioni per Rignano e per S. Matteo. Da
questo viale si vedeva l’apertura a monte del tombone ed il letto del
torrente, basso in fondo ad un argine naturale terroso, mentre dalla
parte opposta, a nord, ove si allineavano le case del paese, il torrente,
ormai diventato canalone, era fiancheggiato da una banchina in terra e
contenuto da un basso muretto - argine. Tutte le strade del paese decorrevano perpendicolarmente ed in linea retta al torrente, ed ognuna
aveva una cunetta centrale che convogliava a cielo aperto al canalone
le acque di pioggia.
A metà circa del paese si trovava un ponticello, in corrispondenza
de « l’Orto di S. Chiara », che univa il centro alla piazzetta del mercato 2 ; e poi una più centrale e più vasta tombinatura: il « ponte delle
Grazie ». In questa zona il paese aveva iniziato il secondo sconfinamento oltre la sponda sud del torrente, ad interrompere l’antica armonia costruttiva del borgo (il primo sconfinamento era all’ingresso del
paese, in corrispondenza del tombone di S. Bernardino, dove era costituito il rione dell’Addolorata; il terzo seguì dietro « i pozzi », di cui
parleremo). Il paese era infatti contenuto nei suoi confini primitivi, e
tutto sulla sponda nord del torrente, dai « piani » e dalle « vigne » dei
maggiorenti locali, che lo stringevano da est e da sud, impiantati negli
scarsi allargamenti del fondo valle, su terre portate dalle piogge. A
sud, ove le colline sono meno scoscese, era più facile la sedimentazione e qui erano nati « i piani » bordati a loro volta dalla ricordata corona di « vigne ». I livelli qui sono più alti di quello del torrente. Scomparsi i tabù del rispetto dei « piani » e delle proprietà private, il paese
ha dilagato verso est e sud.
Siamo arrivati alle « Grazie », chiesetta al servizio del secondo
(topograficamente, e sempre viaggiando lungo il decorso della janua
dalla sua apertura verso la naturale conclusione) nucleo abitato moderno; e qui comincia la primitiva storia paesana del torrente Jano.
Alle spalle della chiesa delle Grazie c’era, e forse c’è ancora, « la
villa », giardino comunale 3 , polmone verde del fondo valle, la quale
confinava alta col torrente che decorreva lungo il suo fianco, qui arginato con un alto muro; l’altra sponda, più bassa di qualche metro, era
anch’essa arginata con un muro, e fiancheggiata da una larga ed irregolare banchina, una vera piazzetta, tagliata anch’essa in senso perpendicolare al torrente da numerose e larghe cunette. Allineate più o
meno irregolarmente su questo, che fu il primo polmone del paese, le
casette basse
2
3
Fig. 21 1.c.
Fig. 18 e 24 I. c.
105
VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________
del retro della « Palude »; il rione primigenio, dove comincia la vera
storia di S. Marco.
La Palude, agli inizi del secolo e fino alla sua metà (oggi non so)
era il « vicolo palude » 4 ; ma conservava la dignità ordinata di un corso
primitivo, ben lastricato in pietra, bordato in bell’allineamento da casette, alcune con scale esterne, con seminterrati protetti dalle acque di
piena della strada, con tetti diseguali da casa a casa. Una strada a cui si
accedeva misteriosamente da un vicolo a linea spezzata, e poi, dal corso principale, attraverso uno stretto cunicolo coperto. Improvvis amente ti trovavi in un nucleo concluso in sé, inglobato dal paese da cui pur
distava dei secoli, in una nobiltà silenziosa, priva di traffici. La « Palude » si caratterizzava per la presenza di pozzi, le cui vere aperte sulla pubblica strada erano accessibili a tutti. Altri pozzi si aprivano
nell’interno di case private in zone adiacenti, e davano acqua limpida
e fresca tutto l’anno. I pozzi della palude, paralleli al torrente distante
una trentina di metri, attingevano presumibilmente alla sottocorrente
del fiume, mentre quelli racchiusi in case private, dislocati irregolarmente ed isolati, più ricchi di acque, verosimilmente attingevano a vene idriche rocciose, che costituivano sorgenti del primitivo fiume. Rari, ma oltremodo ricchi di acque, i pozzi a sud del torrente. Ricordo
quello di « Donna Michelina Gravina », alle spalle di un attuale edificio scolastico, che veniva aperto al pubblico nei periodi di maggior
siccità, e forniva ottima acqua quando i pozzi comunali permettevano
di pescare niente altro che una fanghiglia largamente e macroscopicamente inquinata.
All’estremità della « palude » il canalone finiva pressoché alla
quota del suolo. A questo livello la strada, che fiancheggia la Chiesa
Madre, incrocia la traccia del torrente, rappresentata in quel punto da
una larga cunetta che raccoglie sia le acque della strada, sia quelle che
dal lato opposto vengono dal piano inclinato su cui si affronta
l’ingresso della villa comunale, sia quelle dell’originario torrente.
Queste ultime acque, presenti solo in periodo di piena, fuoriescono da
una tombinatura costruita, pensiamo, all’atto della costruzione della «
Chiesa Madre » e del suo campanile, cui segue nel loro retro fino a
quella che era la piana « dei pozzi ». Ivi ricompariva il torrente, privo
di sponde manufatte; una trincea terrosa, che era scavalcata da un ponte costituito da travi affiancate senz’altra opera d’arte. Quel ponte dava accesso alla spianata dei pozzi, scavati su una linea che sbarrava
trasversalmente la valle, nell’intento di raccogliere l’acqua della sottocorrente del torrente, a monte del paese. In caso di pioggia, la cunetta
che ormai rappresentava il letto
4
Fig. 1 e didascalia annessa - 1. c.
106
____________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO
del torrente a livello del suolo si gonfiava di acque e doveva essere
guidata.
Facciamo sosta un po’ prima, alla « palude ». Qui terminava la
prima parte del viaggio verso il cuore del Gargano. La sponda della «
Janua» o vuoi del torrente Jano, certamente naturale nei tempi remoti,
consentiva ai carri, se ve ne erano, ed alle bestie someggiate di raggiungere la piazza, oggi rappresentata dalla irregolare banchina già ricordata, sul retro del vico palude.
Vi era spazio per il riposo, per il rifornimento di acqua e di
quant’altro occorreva al viaggiatore.
Riposo forse non lungo, perché si riprendeva ben presto il viaggio
seguendo il corso del torrente, in fondo valle, per lo « Starale », « ostium aralis », che portava all’attuale S. Matteo. In testa allo Starale
evidentemente vi era un’ara, per ringraziare gli Dei di essere scampati
al mal passo. Mal passo che non è una ipotesi di fantasia, se si pensa
alla zona di sosta paludosa, (in lamis) nella foresta, per se stessa in ospitale, ed inoltre esposta alla probabile aggressione od imboscata dei
nativi.
Ma discorrere di questo ci porterebbe lontano. Certo invece che,
percorso « l’ostium aralis », ai piedi del monte Celano, « coelum januae », i viaggiatori si fermavano a sacrificare su un’ara, ove ringraziavano gli Dei per aver superato il passo peggiore del viaggio, sia per
i pericoli naturali del percorso di fondo valle, sia per quelli derivanti
dal brigantaggio 5 .
Va ricordato in modo particolare questo « Starale », che mi sembra
destinato a scomparire dopo la costruzione della nuova strada per
Foggia (che non è « via nova »), la quale corre in fondo valle, seguendo in qualche sua parte il tracciato della antica strada. Ai primi del secolo, lo « Starale » era il corso di un torrente di fondo valle, praticabile come una strada anche per carri nei giorni secchi e nelle stagioni asciutte, incassato tra basse sponde di muro a secco. Era ancora, lo Starale, via di accesso alle numerose casette rurali e ai piccoli, opimi coltivi di fondo valle, disseminati lungo la sua sponda nord, mentre la
sponda sud era scoscesa, sassosa, incolta; su quest’ultima si arramp icava la «Via nova ». Poiché lo Starale era la via vecchia, conservava
aspetto, funzioni, servizio e nome primitivi.
Quella strada si seguiva nelle gite al Convento di S. Matteo, che
rimangono vivissime tra i nostri ricordi di infanzia, per l’ombra discreta del fresco cammino e la raccolta delle more dolci, nere, sporcanti, che si spigolavano dalle siepi fiancheggianti il percorso.
Il viaggio della porta, « Janus », dunque iniziava con una
5
La vocazione deIl’ARA in questo posto è documentata dalla ricca iconografia degli ex voto « per grazia ricevuta in S. Matteo ». Perché qui e non altrove, se non per tradizione secolare?
107
VITTORIO DE FILIPPIS_________________________________________________________________________
apertura, Stignano, « ostium januae » e si chiudeva con una chiusura,
lo Starale « ostium aralis ». Si chiudeva alle falde di un monte conico:
il Monte Celano, che ad est chiude la valle, incombendo su di essa: «
Coelum januae ».
Aggirando la base del monte Celano, si arriva al cuore del Gargano. La vera zona del riposo era forse quella dell’altare, su cui sorse il
convento di S. Matteo? Ed ancora nei ricordi di giovinezza attingiamo
quelli delle carovane dei «Romei », pellegrini abruzzesi che in maggio
percorrevano il corso principale, la « piazza di sotto », marciando in «
passo di strada », sulle ciocie, uomini e donne, appoggiandosi agli alti
bastoni pastorali, preceduti da una campanella e salmodiando a bassa
voce inni sacri. In coda, asini e muli: gli « impedimenta ». Queste carovane non si fermavano in paese, ma proseguivano direttamente attraverso lo Starale (non per la « via nova ») per far tappa nei sotterranei del Convento di S. Matteo, dove si accampavano e sostavano finché non fossero pronti per l’ultima tappa del pellegrinaggio, il « Monte Santangelo ». Tanto conferma nei secoli l’importanza dell’Ara.
Ancora una nota: come nella toponomastica latina si trova una correlazione certa fra Stignano «ostium januae », torrente Jano « janua »,
Starale « ostium aralis », monte Celano « coelum januae », così nella
toponomastica cristiana troviamo tre Evangelisti: Marco e Giovanni
ed in mezzo, forse posteriore, Matteo. Non vi sono ripetizioni di tali
nomi nel Gargano, ma una loro sequenza lungo la strada. Denominazioni frequenti Marco e Giovanni, rara quella di Matteo: nel codice
postale si trovano numerosi i S. Marco ed i S. Giovanni; due soli S.
Matteo e S. Luca. Quel nome S. Matteo fu forse ricercato, e voluto per
dare un nome cristiano all’Ara, e congiungere la linea del viaggio fra
l’uno e l’altro Evangelista? Esiste una leggenda, che noi sappiamo,
che collega il nome di S. Matteo al ritrovamento di un busto in legno
del Santo.
Giusto una leggenda: ha fondamento?
Concluso il viaggio, non è merito di grande fantasia immaginare la
banchina del « canalone » tra gli odierni « ponte di mezzo » o delle
Grazie e la via della Chiesa, più o meno gremita di muli e di carri. Né
è fantasia immaginare che quell’essere punto di arrivo e di partenza
dal Gargano verso la pianura, e viceversa, abbia costituito la fortuna di
S. Marco. Il quale, nei primi anni del 900, e prima della emigrazione «
americana », era un paese di fiorenti artigianato e commercio. Vi si
trovavano fondachi riccamente forniti di stoffe pregiate; mercerie; calzolai; falegnami; maestri d’ascia costruttori di carri; bastai; fabbri;
stagnari; « zocari » che fabbricavano dello spago a grossi cavi di canapa. Erano orafi raffinatissimi, che confezionavano gli « ori »; i corredi più o meno ricchi delle spose: collane, brac-
108
____________________________________________________________________________IL TORRENTE JANO
ciali, orecchini, intessuti in filigrana ed arricchiti di pietre dure mirabilmente assortite. Erano fabbricanti di pecorino e caprino, commercianti di vino.
Erano latifondisti, alcuni ingrassati dall’ozio e dal buon cibo, pigramente semisdraiati sulle sedie di paglia, al « casino dei signori »;
erano agricoltori, « fittavoli » attivi ed arditi, che affidavano all’alea
del raccolto intere fortune. Muratori e capimastri
Sarà una coincidenza, ma l’apertura di strade montane. opere di
ingegneria moderna e la motorizzazione, tagliando fuori dal traffico S.
Marco e la « janus » del Gargano, concluso un periodo di fiorenti
commerci, sembrano condurre di pari passo ad una modernizzazione
appiattita di valori; ma anche ad una diminuzione del prestigio di S.
Marco.
E’ un bene? Probabilmente sì, per la elevazione del tenore di vita
del popolo; non so per il Paese.
Non so inquadrare S. Marco in altri momenti della sua storia; ma
non era mio intento altro, se non sottolineare il significato di alcuni
nomi di luoghi e ricordi che vanno scomparendo nel tempo e nella
memoria.
VITTORIO DE FILIPPIS
P. S. - Si potrebbe obiettare che S. Matteo, agli effetti della sicurezza, non fosse luogo
da impiantarvi un’ara. Benissimo: spostiamo l’ara alla « Cappelluccia »,
all’inizio del Borgo Celano; con che si darebbe un significato anche alla Cappelluccia. S. Matteo sarebbe venuto dopo — molto dopo — in località riparata
dalle intemperie e con la vocazione conventuale alla sosta ed al riposo del
viandante. Con che i conti tornano.
109
ARPI E FOGGIA
Se è vero che la storia dovrebbe essere riscritta per essere in parte
demitizzata, è anche vero che la demolizione di miti incontra sempre
forti resistenze. Siamo ancora troppo suggestionati dal carattere
trionfalistico di certa storia ufficiale, che scrittori di parte hanno
tramandato per affermare verità di comodo, necessarie alle esigenze di
particolari poteri od alle pretese di faziose rivendicazioni.
Nel quadro più vasto di condizionamenti nazionali si inquadrano
così « fanatis mi periferici e municipali » artatamente sostenuti per
creare contrasti tra città e città, nella presunzione di supremazie che
nobili e prestigiose origini possono affermare.
Foggia, per esempio.
Le sue origini sono normanne, ma la nobiltà normanna non bastava
al clero locale che, sempre insofferente della sua dipendenza dal
vescovo di Troia, per conquistare una sua autonomia, aveva bisogno
di dimostrare che la sua chiesa vantava origini più antiche di quelle
della chiesa di Troia.
Troia, dicevano, era stata fondata appena all’inizio dell’undecimo
secolo, mentre Foggia discendeva da Arpi, che aveva origini daune e
che era stata presente, col suo vescovo Pardus, al concilio di Arles
convocato nel 314 da Costantino, nelle Gallie.
Sostenendo questa tesi veniva, intanto, dimenticato che Troia,
discendendo a sua volta dall’antichissima Aecae, non aveva origini
meno nobili di Arpi.
Si volle ignorare, inoltre, che è certamente possibile dimostrare
una sicura continuità storica tra Aecae e Troia, i cui cittadini
veramente si trasferirono da una località all’altra per arroccarsi in un
sito naturalmente più fortificato1 .
1
Cfr. MARIO DE SANTIS, La Civitas troiana e la sua Cattedrale, Foggia, Studio
editoriale dauno, 1967.
110
_______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA
Invece, tra la scomparsa di Arpi, distrutta nell’anno 5452 , e la
nascita di Foggia, avvenuta nei primi decenni del 1000, si contano ben
cinque secoli di buio storico, difficile da schiarire, malgrado la
preesistenza dello sparuto Borgo del Gufo, abitato da poveri pastori di
ignota origine e di più sconosciuta provenienza.
E, tuttavia, la fazione doveva prevalere.
Nel 1794 il clero di Foggia affidò all’abate Alessio Aurelio
Pelliccio la ricerca e lo studio di documenti atti a dimostrare la
supremazia delle più nobili origini di Foggia rispetto a quelle di Troia.
L’abate Pelliccia, da buon relatore di parte, con eccesso di zelo ed
artificiose interpretazioni, dopo lunghe e sofferte disquisizioni
storiche, arriva finalmente alle conclusioni desiderate dai committenti,
ma con argomenti che permettono di impugnare facilmente il suo
manoscritto3 .
Egli, principalmente, si basa su un documento del 1024, pubblicato
in Italia Sacra dall’Ughelli e che riguarda la delimitazione dei confini
della nuova Troia, che arrivavano fino alla « civitas quae dicitur
Arpum ».
Al Pelliccia la risoluzione del problema appare ovvia: nel 1024
Arpi ancora esiste. Allora anche la continuità storica tra Arpi e Foggia
è facilmente dimostrabile, perché Foggia nasce a breve distanza da
Arpi e solo pochi anni dopo il 1024.
A questo punto, però, dopo una conclusione sospetta di iniziale
preconcetto e non convalidata da più solide prove, alcuni interrogativi
si impongono.
Come mai di una città che ancora esiste nell’undecimo secolo non
si trovano più documenti del decimo, del nono, dell’ottavo e del
settimo secolo?
E perché, subito dopo la nascita di Foggia, si perdono
definitivamente tracce e testimonianze di una città gloriosa come Arpi,
2
Cfr. L’ARCHIDIOCESI METROPOLITANA DI FOGGIA, Ufficio diocesano per
le comunicazioni sociali, Foggia, Tipografia adriatica, 1981.
3
Il manoscritto dell’abate A. A. Pelliccia è conservato nell’Archivio capitolare di
Foggia.
111
UGO JARUSSI_________________________________________________________________________________
che non può scomparire nel nulla solo perché vicino ad essa è sorta
un’altra città?
Che importanza si può, inoltre, dare al documento citato
dall’Ughelli e che non alla storia di Arpi si riferisce, ma alle vicende
nuove della grande erede di Aecae?
Ed infine, esistono ruderi o reperti archeologici che possano
testimoniare in qualche modo la sopravvivenza di Arpi fino
all’undecimo secolo?
E’ difficile trovare risposte concrete e convincenti a questi
interrogativi.
Tra l’altro, nel medioevo, già da prima del mille, estendendo il suo
originario significato a più generici concetti, il termine « civitas »
veniva adoperato anche per indicare una località, un territorio, un
distretto od una diocesi4 .
Da molto tempo prima della scomparsa di Arpi, non si hanno più
notizie di Vescovi presenti nella città come successori di Pardus che,
subito dopo il 314, pur conservando l’originaria giurisdizione, trasferì
a Lucera la sua diocesi, per la rapida decadenza di Arpi a causa di
probabili terremoti5 .
In questo caso, quindi, il termine « civitas », lungi dall’indicare la
comunità degli abitanti ormai dispersi, non può indicare nemmeno la
diocesi di Arpi.
Allora il documento citato dall’Ughelli va interpretato nel senso
che i confini del tenimento di Troia, arrivavano, nel 1024, fino alla «
località » chiamata Arpi.
Evidentemente, scomparsa la città, la denominazione rimase,
tramandandosi fino ai nostri giorni per indicare l’agro di un particolare
distretto catastale di Foggia, al centro del quale, oggi, sepolta da
spesse coltri di terreno vegetale, in attesa di un risveglio archeologico
da tempo agognato, ma molto lento a venire, la vecchia Arpi nasconde
ancora gelosa il mistero della sua fine ed i tesori della sua grande
civiltà.
Con bolla del 25 giugno 1855, Pio IX eresse finalmente la chiesa
collegiata di Foggia a diocesi, dichiarandola subito
4
Cfr. Du CHANGE, Glossarium mediae et infimae latinitas, Graz, 1954, V, I, sub
Civitas.
5
Da L’ARCHIDIOCESI METROPOLITANA DI FOGGIA, già citato.
112
_______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA
soggetta direttamente alla Santa Sede ed affrancandola, così, dalla
lunga dipendenza dal Vescovo di Troia.
Si realizzano in questo modo per Foggia antiche aspirazioni e
favorevoli condizioni di privilegio, che avrebbero potuto porre
termine ad ogni controversia.
La polemica invece è continuata a lungo, rinnovandosi con
ricorrenze periodiche fino ai nostri giorni ed interessando, di volta in
volta, studiosi di cultura diversa come sacerdoti e giornalisti, uomini
di lettere e cultori di storia locale, od urbanisti interessati alle origini
della città.
Il mito, infatti, era stato creato e risultava difficile superarlo, tanto
più che anche altri autori, come P. Giovio (Historiarum sui temporis
libri XLV; 1550-1557) e F. Leandro Alberti (Descrizione di tutta
Italia, 1661), sia pure fugacemente, avevano accennato già prima del
Pelliccia, alla probabile derivazione di Foggia da Arpi. Ma fu il Pelliccia ad avvalorarne l’ipotesi, con la pretesa di una sicura
dimostrazione storica.
Spesso senza nemmeno consultare più i documenti dell’Archivio
Capitolare, fino al XIX secolo, alla relazione dello stesso Pelliccia si
rifanno quasi tutti gli storici locali, da Pasquale Manerba a Ferdinando
Villani.
A questi nomi molti tra gli studiosi che seguirono hanno dato più
credito di quanto talvolta non ne meritassero, convincendosi così
sempre più della derivazione di Foggia da Arpi, specie in riferimento
alle conclusioni non documentate riportate dal Villani nel libro « La
nuova Arpi », stampato in Salerno, a cura dell’editore Migliaccio nel
1870.
Nel mio libro Foggia, genesi urbanistica, vicende storiche e
carattere della città (Bari, Adda editore, 1975), per amore di
razionalità, ho dovuto invece accennare alla difficoltà di accettare una
ipotesi sentimentale e campanilistica, perché non pare che
all’incremento del primo nucleo urbano abbiano potuto concorrere
anche sbandati e profughi di Arpi. Non esistono, infatti, testimonianze
veramente probanti per una opposta tesi.
Contro deduzioni che sono sembrate lesive per il prestigio di
Foggia, rinnovando vecchie diatribe, insistenti fino a
113
UGO JARUSSI_________________________________________________________________________________
questi ultimi giorni, si sono levate nuove voci. che, per sostenersi, si
basano pedissequamente ancora sulle azzardate istanze finali del
Pelliccia e sul significato classico della parola « civitas » del famoso
documento del 1024 che, tra l’altro, da alcuni è ritenuto Spurio.
Eppure, per superare ogni dubbio, basterebbe richiamare alla
memoria le Note foggiane di Nunzio Federico Faragia 6 che, più degli
altri, con riferimento agli stessi documenti considerati da Alessio
Aurelio Pelliccia, analizza in chiave scientifica ed in termini ragionati
la relazione dell’Abate che « tanto ha nociuto alla storia di Foggia ».
Ma altre considerazioni sono ancora possibili; oggi si dà molta
importanza allo studio del territorio perché dalla sua conoscenza, e
dalla conoscenza della economia che al territorio in un certo periodo
presiede, può derivare l’accertamento di fatti e vicende non
diversamente documentabili.
Le indagini relative alla genesi urbanistica del centro antico di
Foggia dimostrano che la nuova città non nacque da un naturale
incremento della « Terra Vecchia ».
Fu invece il nuovo nucleo urbano, che andava crescendo intorno
alla chiesa di S. Maria, ad incorporare le sparute capanne di Borgo del
Gufo, assimilandone il sito ed integrando tra nuova gente i suoi poveri
pastori.
Se pure, tra questi pastori, sopravvive ancora qualche lontano
erede della scomparsa Arpi, non si può certo pensare a tenaci
fondatori di città, ma a soggetti inerti e passivi, succubi di eventi
nuovi che sovrastano le loro capacità e le loro iniziative.
Gente che si adatta a tutti i disagi del pantano, dimenticando le
grandi tradizioni agricole e commerciali di Arpi.
Arpi aveva un’agricoltura ricca e fiorente, resa possibile da
particolari bonifiche che, con canalizzazioni e drenaggi, conservavano
freschezza perenne ai terreni sottratti alla palude e continuo deflusso
alle acque superficiali convogliate verso corsi naturali, all’epoca
navigabili7 .
6
In NAPOLI NOBILISSIMA, vol. XIII, Anno 1904.
Cfr. UGO JARUSSI, Trasformazioni paesaggistiche ed ambientali ad opera
dell’uomo nel Tavoliere di Puglia, in « Continuità » - Rassegna tecnica pugliese, Anno
X, n. 4, Bari, Tip. Grandolfo, ottobre-dicembre 1976.
7
114
_______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA
La costante ed impegnativa manutenzione di strutture ed impianti
richiesta da un simile sistema di bonifica, se trascurata solo per poco,
poteva trasformare i campi in una irrecuperabile terra sommersa. La
presenza dell’uomo era perciò indispensabile alla duratura efficienza
della bonifica stessa.
All’epoca della nascita di Foggia, la grande estensione di paludi
incolte, atte solo al pascolo di grossi capi, esclude la presenza di
popolazioni agricole attive sul posto, perché non si potrebbe spiegare
diversamente la inefficienza dei drenaggi e l’allagamento dei terreni,
per intasamento di canali non più assistiti da continui interventi
manutentivi.
Solo durante il periodo degli Svevi ricompaiono tra gli stagni di
Arpi rari vigneti, mentre della città sono ancora in parte visibili i
fossati di difesa e sparuti ruderi di murature, appena emergenti
dall’acqua8 .
Anche la pastorizia, limitata all’allevamento di grossi capi,
denuncia la scomparsa di tradizioni che dall’eredità di Arpi potevano
derivare.
Molti terreni di Arpi erano sistemati a pascoli perenni per
l’allevamento stanziale di ovini e per la produzione della lana, che
alimentava ricchi commerci con l’oriente.
Nell’undecimo secolo, all’epoca della nascita di Foggia, questo
traffico scompare dalla zona, come scompare la produzione della seta
di lasiocampa, con la quale Arpi commerciava con l’isola di Chio 9 .
Non esistono quindi i presupposti che possano, in qualche modo e
per via indiretta, sopperire alla mancanza di documenti ed avvalorare
l’ipotesi di una continua presenza di arpani nella zona. Con essi, se
pure in modo ridotto e decadente, avrebbero dovuto sopravvivere
anche le attività che caratterizzarono l’industria ed il commercio di un
periodo veramente prosperoso per l’economia della Daunia.
Del resto, da quel poco che è possibile interpretare dalle
8
QUATERNUS DE EXCADENCII ET REVOCATIS CAPITINATAE DE
MANDATO IMPERIALIS FEDERICI SECUNDI, Montis Casini, Typis
Archicoenobii, MCMIII.
9
Cfr. PEDONE FRANCESCO, La lasiocampa e la rinascita della seta nell’antica
Roma, Roma, Società per il progresso delle scienze, 1940.
115
UGO JARUSSI_________________________________________________________________________________
Agro di Foggia: la zona archeologica di Arpi e la città sepolta intravista
Da alta quota, con i moderni mezzi dell’aerofotogrammetria.
116
_______________________________________________________________________________ARPI E FOGGIA
fotogrammetrie aeree, nei tracciati di Arpi non si rilevano
sovrapposizioni urbane o « addizioni » di origine medioevale. Né si
deve ritenere che si pretenda troppo da rilievi di difficile lettura,
perché con gli stessi mezzi sono stati individuati, lungo la costa
adriatica di Capitanata, insediamenti medioevali oggi scomparsi10 .
Possiamo quindi concludere, con Faraglia, che volendo impostare
uno studio serio per una buona storia di Foggia, anche in attesa che
nuove ricerche e scavi diligenti squarcino il velo di antichi misteri,
bisogna lasciare da parte Arpi senza che, pertanto, si comprometta
l’aurea dignità di un glorioso campanile.
Se Foggia veramente discende da Arpi potrebbe, al massimo,
ricordare con nostalgia il vanto di una nobiltà perduta.
Foggia, come città indipendente e distinta da Arpi, acquista invece
il carattere di una città capostipite di nuove tradizioni, nuovi impegni e
nuova civiltà.
Cosa che, al di là di ogni mito, a me pare più meritoria e più
prestigiosa, per la sua origine, la sua storia ed il suo avvenire.
Foggia, Settembre, 1981.
UGO JARUSSI
10
Rivoli e l’isola lagunare di cupola (da CATERINA DELANO SMITH, Daunia
Vetus, Foggia, Amministrazione Provinciale, 1978).
117
OCCUPAZIONE SOTTOCCUPAZIONE
DISOCCUPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA
DAL 1960 AL 1974: IL PROBLEMA
DELLA RILEVAZIONE DEI DATI STATISTICI
E DELLA LORO INTERPRETAZIONE
Il principale strumento per la misurazione dell’occupazione in Italia è costituito dai dati Istat risultanti dalle indagini campionarie sulle
forze di lavoro. A questi vanno aggiunti i Censimenti della Popolazione; quelli dell’Industria e del Commercio (sempre a cura dell’Istat);
indagini sull’occupazione condotte dal Ministero del Lavoro e della
Previdenza Sociale; dati INAIL, INPS, SCAU ed altre. Tutte queste rilevazioni, che pure si differenziano tra loro per finalità e alcuni aspetti
di metodologia d’indagine (popolazione di riferimento, cadenza
dell’indagine, periodo di riferimento dell’indagine stessa...) si possono
accomunare sotto il titolo di rilevazioni ufficiali perché, in primo luogo, le indagini vengono condotte da enti statali o parastatali precipuamente preposti a questo scopo (es. ISTAT) o per i quali comunque la
rilevazione statistica è in stretta connessione con l’attività dell’Ente
stesso (es. statistiche del Ministero del Lavoro sugli iscritti alle liste di
collocamento o dati INPS o altri); in secondo luogo, i dati ottenuti attraverso queste fonti costituiscono natura di dibattito in merito ai
provvedimenti da prendere a livello governativo; infine, queste indagini si estendono sull’intero territorio nazionale e vengono ripetute
con regolari cadenze nel tempo.
Accanto a queste fonti statistiche « ufficiali » si sono aggiunte, nel
corso degli ultimi anni, altre promosse dalle équipes di studiosi (statistici, economisti, sociologi) che conducono le indagini presso istituti
universitari, collegati ad enti di ricerche indipendenti dall’Istat o per
conto di organi locali; ci sono ricerche volte a fotografare alcuni caratteri
118
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
del mercato del lavoro, in un dato momento, non ripetute con regolare
cadenza.
In questo lavoro, ci occuperemo delle inchieste degli studiosi che,
pur avvalendosi delle rilevazioni ufficiali, ne valutano però criticamente la capacità di essere rappresentative dell’articolata realtà del
mercato del lavoro e di coglierne alcuni particolari aspetti (lavoro precario, a domicilio, doppio lavoro ecc.). I risultati vengono quindi confrontati e integrati con altre statistiche ufficiali, giungendo spesso a
classificazioni e definizioni dei fenomeni diverse e non comprese nella terminologia Istat.
Dalle rilevazioni campionarie delle forze di lavoro-Istat, si evince
che nel 1974 le donne costituiscono più della metà della popolazione
(51,2%), meno di un terzo delle forze di lavoro (27,9%), più della metà dei sottoccupati (52,5%) quasi un terzo dei dis occupati (28,4%),
poco meno della metà delle persone in cerca di prima occupazione
(41,8%) (tav. 1)1 .
Dall’analisi sull’evoluzione nel tempo della popolazione e delle
forze di lavoro, riscontriamo che i dati relativi ai maschi (tav. 2a), indicano che la popolazione è aumentata costantemente passando da
23.845 unità a 26.590 unità con un aumento del 12%. Le forze di lavoro, invece, in valore assoluto, sono diminuite quasi costantemente fino
al 1973 registrando un calo del 5,5%; tra il 1973 e il 1974 si nota un
lieve aumento. Se si adottano come misura i tassi di attività, cioè la
percentuale delle forze di lavoro sulla popolazione, si riscontra una
diminuzione costante. Quanto alle femmine (tav. 2b) con riferimento
alle cifre assolute riguardanti l’evoluzione della popolazione, si rileva
un aumento complessivo del 12% nell’intero periodo osservato. Tra il
1960 e il 1972 le forze di lavoro registrano una diminuzione del
18,3%, con qualche oscillazione negli anni intermedi, e solo dopo il
1972 è iniziata una tendenza all’aumento. I tassi di attività registrano
una riduzione dal 1960 al 1972 di oltre 6 punti (dal 24,9% al 18,6%)
pari al 25,3% contro un’analoga riproduzione del 10,4% per gli uomi-
1
Conferenza nazionale, Sviluppo sociale ed economico del Paese ed occupazione
femminile, I gruppo, 1975.
119
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
ni. Negli anni ‘73-’74, di fronte al proseguire della tendenza discendente del tasso di attività maschile, il tasso di attività femminile ha registrato un certo incremento, riportandosi a livelli un poco superiori al
19%.
Il calo dell’occupazione femminile, in termini assoluti, significa
l’uscita dalle forze di lavoro di 1.148 mila unità, se si considera il periodo 1960-1972, e 828 mila unità, se si considera il periodo 19601974.
L’analisi della struttura delle forze di lavoro secondo i tre grandi
settori di attività economica (tav. 3) dimostra che la donna più
dell’uomo è presente nel settore dell’agricoltura, mentre la sua partecipazione al lavoro industriale non ha mai superato il limite massimo
del 33,3% raggiunto nel 1970.
In cifre assolute, tra il 1960 e il 1974 sono uscite dall’industria 142
mila donne mentre vi entrava 1 milione di uomini, facendo salire la
percentuale degli occupati maschi dal 39,5% al 48,1%. Il settore in
cui, a partire dal 1963, più si è addensata la partecipazione femminile
è quello terziario.
Dai dati sulla dinamica dei tassi di attività per sesso, classi di età e
settori di attività economica dal 1960 al 1973 (tavv. 4-5) risulta che,
nell’età di piena produttività (classe 39/40 anni) sulle quali non influisce l’aumentata scolarità e sulle quali non dovrebbe influire ancora
l’eventuale anticipo del ritiro dal lavoro, soltanto per le donne si è avuta una contrazione dei tassi (dal 33,6% al 31,0%) che si è verificata
non solo nell’agricoltura ma anche nell’industria, contro un certo aumento nel terziario, laddove per gli uomini la contrazione è limitata
nel solo settore agricolo con un aumento notevole negli altri settori.
Quest’ultimo dato fornisce elementi significativi utili a far cadere
l’interpretazione fornita dal professor De Meo, presidente dell’Istat,
secondo cui la variazione del numero degli occupati in Italia sia da
considerarsi come effetto della caduta dell’offerta di lavoro, sia da
parte dei maschi che delle femmine, attribuibile all’azione di due fattori interellati: 1) il vasto processo di esodo che nell’ultimo quindicennio ha pressoché dimezzato le forze di lavoro agricole e che tra
l’altro
120
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
avrebbe provocato il passaggio nella « popolazione non attiva » di
buona parte dei coadiuvanti, in particolare femmine; 2) l’incremento
dei redditi da lavoro, dovuto sia alla ricollocazione di lavoratori agricoli in altri settori di attività, sia alle lotte sindacali sviluppatesi in tali
settori, che avrebbe permesso ad un maggior numero di anziani di ritirarsi definitivamente dal lavoro e ad un maggior numero di giovani,
anche proletari, di dilazionare la scadenza del loro ingresso nel mercato del lavoro (aumento della scolarizzazione)2 .
I critici di tale interpretazione hanno osservato, in merito
all’importanza assegnata alla « crescita del benessere », che la caduta
del saggio di attività risulta più marcata nelle regioni meridionali e
nelle isole, cioè proprio dove — stando alla prima ipotesi — il fenomeno avrebbe dovuto apparire più attenuato e, inoltre, si sono soffermati ad analizzare i contenuti della scatola che porta l’etichetta di «
popolazione non attiva », rivolgendo l’attenzione alla composizione
della caduta dei tassi di attività in termini di età e di sesso, studiata
come tendenza collegata ai processi di ristrutturazione in atto
nell’economia italiana3 .
La conclusione a cui sono pervenuti tali critici è che la caduta del
saggio di attività femminile è dovuto ad una contrazione della domanda di forza lavoro da parte dei settori industriali più avanzati, che negli anni del boom avevano rappresentato il fattore dinamizzante del
mercato del lavoro — anche se non avevano assorbito neppure in quel
periodo la maggioranza della forza lavoro resasi eccedente.
Nel tentativo di pervenire alle cause che stanno all’origine della
caduta dei tassi di attività femminili, alcuni studiosi4 si sono serviti
2
Cfr. G. DE MEO, Evoluzione e prospettive delle forze di lavoro in Italia, Milano,
Istat, 1970; inoltre, Istat, Indagine speciale sulle persone non appartenenti alle forze di
lavoro, « Supplemento straordinario al Bollettino mensile di Statistica », Novembre
1971.
3
G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Agricoltura, Mezzogiorno e Mercato del lavoro
il Mulino, Bologna, 1975.
121
4
Cfr. G. MOTTURA - E. PUGLIESE, op. cit., pag. 244; inoltre, L. FREY, Analisi
economica della sottoccupozione femminile in Italia, pagg. 9-65, in « Occupazione e
sottoccupazione femminile in Italia », di L. Frey, R. Livraghi, G. Mottura, M. Salvati,
Franco Angeli ed., Milano, 1976.
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
del concetto marxiano di « sovrappopolazione relativa ». Per Marx,
essa è causata dal fatto che, nei sistemi di produzione capitalistica, « la
crescita dei mezzi di produzione e della produttività è assai più rapida
di quella della popolazione che produce » e in essa distingue la s.r.
fluttuante (la disoccupazione esplicita che risulta « . ..dall’intensità e/o
dalle forme assunte dal processo di accumulazione capitalistica »); la
s.r. latente (la popolazione impiegata in settori produttivi o in unità
produttive non ancora interessati dai processi di accumulazione del
capitale che tende a trasformarsi in parte dell’« esercito operaio », cioè
o in s.r. fluttuante o in s.r. stagnante); la s.r. stagnante (parte dell’« esercito operaio attivo.., alimentata di continuo dai lavoratori espulsi
dalla grande industria e dalla grande agricoltura » e rappresentata dai
lavoratori del tipo lavoranti a domicilio ed occupati precari a tempo
parziale). All’interno di questi tre tipi, Marx distingue uno « strato
pauperizzato » la cui sopravvivenza «…grava sulle spalle del proletariato e della piccola classe media » 5 .
Dal momento che l’esistenza della sovrappopolazione relativa e la
sua utilizzazione sono bene interpretate se la si riferisce all’esigenza di
valorizzazione del capitale, attraverso l’analisi dell’andamento
dell’occupazione, della sottoccupazione e della disoccupazione femminile nei tre grandi settori economici è possibile illustrare le tendenze in atto nel mercato del lavoro italiano e le forme che vanno assumendo i processi di ristrutturazione in settori di primaria importanza.
5
K. MARX, Il Capitale, Roma, Rinascita, libro I, sez. VII, cap. XXIII, pagg. 81-
82.
122
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
AGRICOLTURA
Se si accetta come valida l’osservazione di Sylos-Labini6 secondo
cui il divario effettivo dei redditi contribuisce all’esodo rurale insieme
ad altri motivi non direttamente misurabili in termini economici, quali
la durezza del lavoro agricolo, le minori condizioni di sviluppo intellettuale e culturale, i rischi connessi con l’andamento stagionale e con
quello climatico, la deficienza dei servizi pubblici e di luoghi di svago, ne consegue che l’esodo rurale dipende principalmente dal saggio
di incremento delle attività extra-agricole e dalla domanda di lavoro.
Del resto, la disparità città-campagna è da ritenersi, secondo questo
autore, direttamente funzionale al processo di sviluppo, perché la produzione può crescere al saggio relativamente basso, occorrente, grazie
all’incremento di produttività di un numero decrescente di lavoratori.
In Italia, nel decennio ‘60, il peso specifico di sovrappopolazione
latente in agricoltura è diminuito per l’imponente ondata di esodo che,
negli anni del cosiddetto « miracolo economico », fu favorita dal dischiudersi di canali di deflusso in maniera eccezionalmente larga in
seguito all’accresciuta domanda di forza lavoro negli altri settori, in
Italia e in altri Paesi europei, dalla ripresa accelerata dello sviluppo
capitalistico all’interno del settore e dall’accelerarsi di processi di proletarizzazione nei settori contadini più deboli7 .
Dal 1959 al 1972 lasciano complessivamente il settore primario
1.321.000 unità lavorative femminili. In termini percentuali le donne,
che nel 1959 rappresentavano il 34,2% degli occupati del settore, nel
1972 erano calate al 31,0% (tav. 6), nonostante la battuta d’arresto verificatasi nel 1971, in virtù della quale il totale della forza lavoro
femminile occupata in agricoltura è apparsa improvvisamente incrementata di 24.000 unità in un solo anno. In questo lasso di tempo, si
verificano fenomeni apparentemente contraddittori. Dopo una prima
fase in cui si assiste ad un alto flusso di esodo maschile, che aveva dato luogo a fenomeni
6
SYLOS - LABINI, Problemi dello sviluppo economico, Laterza, Bari, 1972, pagg.
200-201
7
G. MOTTURA - E. PUGLIESE, op. Cit.
123
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
di rimpiazzo, per lo più temporaneo, che erano apparsi come correnti
di « femminizzazione » dell’agricoltura, negli anni successivi al boom
economico si assiste al gonfiarsi del fenomeno della « messa in soprannumero » di manodopera femminile sotto la forma di passaggio
alla condizione di casalinghe. Tale passaggio si è reso necessario sia
perché prosegue il processo di esodo dalle aree agricole agli stessi
saggi del quinquennio precedente, salvo una battuta d’arresto nell’annata ‘63-’64, sia perché, nella generale caduta della domanda di
forza lavoro da parte dei settori extra-agricoli — soprattutto di quello
industriale — la manodopera femminile viene coinvolta in modo più
rilevante non soltanto a livello delle nuove assunzioni, ma anche per
quel che riguarda la quota della forza lavoro che nel quinquennio precedente era entrata a far parte dell’esercito operaio attivo.
Data l’insufficienza a valutare il fenomeno della messa in soprannumero della manodopera femminile nel primario sulla base dei dati
Istat, Mottura e Pugliese8 hanno analizzato i dati forniti dallo SCAU
(Servizio Contributi Agricoli Unificati) per rilevare la forza di lavoro
che, indipendentemente dal numero di giornate realmente effettuate in
Operazioni agricole, continua a gravitare in questo settore, dal momento che le altre possibilità di occupazione presentano caratteristiche
di saltuarietà o di precarietà, e comunque non garantiscono una copertura previdenziale e assicurativa. Mentre i dati Istat, disaggregati per
sesso, forniscono una stima di 1.131.000 addette nel settore nel 1970, i
dati SCAU ne forniscono 2.435.000 che, in termini di incidenza della
forza lavoro femminile sul totale degli addetti agricoli, rivelano una
differenza rilevante: per l’Istat, tale incidenza è del 30% circa, per lo
SCAU del 49% (tav. 7).
Dopo il ‘63, cessa il processo di « femminizzazione »
dell’agricoltura. Se ci si limita ai soli dati Istat, bisogna convenire con
Paci9 , secondo cui, a partire da quell’anno, si assiste ad un processo di
« mascolinizzazione » dell’agricoltura, dal momento che entra in crisi
l’azienda diretto-coltivatrice
8
9
G. MOTTURA - E. PUGLIESE, ibidem.
M. PACI, Mercato del lavoro e classi sociali in Italia, Il Mulino, Bologna, 1973.
124
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
a conduzione familiare e si sviluppa, al suo posto, l’azienda capitalistica che tende ad espellere forze di lavoro femminili in misura maggiore di quelle maschili. Ma se si mettono a confronto i dati SCAU
con i dati Istat, si nota che per lo SCAU le donne, con lievi differenze,
rappresentano circa la metà degli occupati agricoli in tutte le circoscrizioni (nel 1970, ultimo anno disponibile, le percentuali variano tra il
47,4% del Nord e il 50,5% del Centro), per l’Istat la forza lavoro
femminile rappresenta rispettivamente, nel Nord, il 26,8% degli addetti agricoli, nel Centro il 29,8%, nel Sud e nelle Isole il 33,9% (tav. 8).
Se si assume che i dati Istat rispecchiano l’occupazione effettiva,
risulta confermata la tesi di Paci sulla « mascolinizzazione » del settore, la quale appare più accentuata nel Nord che nel Sud. Tuttavia, è da
tenere presente che la reazione al processo di « mascolinizzazione »
del settore non è un flusso di espulsione delle donne — tanto è vero
che esse permangono iscritte negli elenchi anagrafici — ma il loro
confinamento in un’area di attività precaria di vario tipe che alimenta
la s.r. stagnante.
Se, infatti, si disaggregano i dati Istat per categorie professionali, si
rileva che, nella sezione dei lavoranti indipendenti (che comprende
tanto gli effettivi lavoratori indipendenti quanto i coadiuvanti) i maschi sono il 69,1% del totale, le femmine il 31,9% (tav. 7). Se si calcola l’incidenza dei coadiuvanti sul totale dei lavoratori indipendenti, si
riscontra che la forza lavoro femminile rappresenta il 72,4% contro il
19% di quella maschile e che tale rapporto non ha subito variazioni
nel periodo considerato (tav. 9). Per quanto è possibile, dal momento
che le due fonti hanno metodi differenti di rilevazione, dal confronto
dei dati Istat con quelli SCAU risulta che il numero dei lavoranti indipendenti di sesso femminile è maggiore in quello SCAU (tav. 10 e che
tale discrepanza, pur essendo riscontrabile per l’intero territorio nazionale, risulta particolarmente accentuata nelle regioni settentrionali in
cui minore è il numero delle addette all’agricoltura. L’interpretazione
che Mottura e Pugliese10
10
G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Op. cit.
125
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
danno di questi dati è che le lavoratrici « indipendenti », censite presso lo SCAU e non risultanti alle rilevazioni Istat, sia rappresentata da
figure del tipo casalinga-coadiuvante agricola/lavorante a domicilio,
che l’Istat esclude dalle forze di lavoro. Una riprova di ciò è che
l’incidenza delle lavoratrici sul totale della forza lavoro impiegata è
maggiore nelle aziende contadine e mezzadrili delle regioni centrali,
dove il fenomeno del lavoro a domicilio è più diffuso (tav. 11).
I dati riguardanti i lavoratori dipendenti mostrano differenze notevoli tra i dati Istat e i dati SCAU, tuttavia risultano meno rilevanti di
quelle relative ai lavoratori indipendenti ed hanno una diversa localizzazione territoriale, dal momento che le differenze maggiori riguardano le regioni meridionali (tav. 12).
Si può ipotizzare 11 che nelle regioni meridionali le possibilità di
occupazione extra-agricole siano limitate anche nel lavoro precario,
particolarmente a domicilio — attualmente lo sbocco principale della
forza lavoro femminile —. Sul piano statistico, infatti, le forze di lavoro femminili impegnate in lavori saltuari presso altre aziende agricole,
oltre che in quelle familiari — considerata la particolare forma di utilizzazione del suolo nel Sud che comporta un’elevata domanda di lavoro in alcuni periodi dell’anno — si trovano nella categoria dei « lavoratori dipendenti » e, per quanto loro è possibile, tendono ad iscriversi presso gli elenchi anagrafici SCAU, garantendosi in tal modo
una copertura previdenziale ed assicurativa più efficace di quella fornita dalla Cassa Mutua Coltivatori Diretti. L’incidenza delle femmine
sul totale dei lavoratori agricoli dipendenti nel Sud (46,2% secondo lo
Scau, 32,5% secondo l’Istat) si spiega anche col fatto che per le forze
di lavoro maschile esistono altri sbocchi, se non altro l’emigrazione.
INDUSTRIA
Secondo alcuni studiosi12 , le cause del basso livello occupazionale
registrato in Italia al 1971 vanno ricercate negli
11
12
Cfr. G. MOTTURA - E. PUGLIESE, op. cit.
Cfr. M. PACI, op. cit.; L. FREY, op. cit.
126
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
anni ‘64-’66, quando nel nostro Paese si avvia il processo di recessione economica.
A partire dal ‘63, la situazione di favorevole congiuntura che aveva caratterizzato l’occupazione in Italia per tutti gli anni ‘50 e in particolare negli anni ‘59-’63, subisce una variazione di tendenza. Gli interventi contrattuali e legislativi che furono originati dalle lotte sindacali del ‘63 comportarono, nel loro complesso, un drastico mutamento
nella condizione di sottosalario di ampie fasce di forza lavoro marginale, costituita in prevalenza dai giovani, dagli immigrati non qualificati, dalle donne, sulle cui spalle era stato possibile, nel corso degli
anni ‘50, fondare un sistema industriale dualistico, basato sulla piccola-media/grande industria con diversi livelli retributivi che agevolarono l’accumulazione capitalistica in Italia. Gli interventi legislativi,
d’altra parte, eliminarono la possibilità di assumere e licenziare manodopera a seconda del fabbisogno disponendo, a tale scopo, di forza lavoro non qualificata e a basso salario.
L’atto, a partire dal quale l’Italia entra in una fase di depressione, è
la stretta creditizia dell’autunno del ‘63, con la quale le autorità monetarie intesero far fronte all’inflazione derivante da eccesso di domanda. Ma la stretta creditizia, eliminando per le imprese le fonti di finanziamento esterne (il margine di profitto utilizzabile per
l’autofinanziamento aziendale era stato eroso dalle lotte sindacali del
‘61-’63), provocò una caduta negli investimenti produttivi e nella domanda globale 13 . Ciò si tradusse nella caduta dell’occupazione, in particolare di quella femminile, che registra una flessione in tutti i comparti economici. Tuttavia, come ha dimostrato Sylos-Labini14 , la stagnazione dei livelli globali dell’occupazione, dopo il ‘63, è conseguenza di importanti processi di riorganizzazione della produzione dal
momento che, alla caduta degli investimenti, non si accompagna una
diminuzione, bensì un aumento della produttività nell’industria manifatturiera. Tale riorganizzazione viene considerata dagli studio-
13
A. GRAZIANI, L’economia italiana: 1945-1970, Il Mulino, Bologna, 1972.
P. SYLOS - LABINI, Flessione dei profitti, prospettive del Mezzogiorno. effetti
della liberalizzazione, in « Rivista internazionale di scienze economiche », 1971.
14
127
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
si15 come la risposta che il sistema industriale dà alle lotte sindacali e
alla pressione salariale derivatane. Gli aspetti principali di questo processo sono, da un lato, l’eliminazione, per fallimento o per assorbimento, di numerose aziende medie e piccole da parte delle imprese
maggiori e, dall’altro, l’intensificazione dei ritmi di lavoro per la manodopera rimasta occupata a cui si accompagna un approfondimento
degli aumenti di merito. La smobilitazione di parte del settore industriale periferico, per il quale risulta difficile mantenere in organico i
lavoratori marginali che esso aveva appena « regolarizzato », si traduce nell’espulsione dall’attività lavorativa delle « quote deboli » della
forza lavoro — donne, giovani, lavoratori non qualificati — delle quali una parte rifluirà, negli anni seguenti, nelle campagne; un’altra darà
nuovo alimento all ‘emigrazione temporanea all’estero; una altra, la
più consistente, resterà in condizioni di inoccupazione. Questo ha fatto
ritenere ad alcuni autori16 che a partire dal ‘65, grosso modo, il capitalismo italiano entri in una fase che potrebbe definirsi di « maturità » o
di accumulazione intensiva caratterizzata, per quanto riguarda il mercato del lavoro, da un approfondimento qualitativo della domanda di
lavoro da parte del settore industriale più moderno. Gli operai più richiesti sono i maschi, compresi nella fascia d’età tra i 20 e i 45 anni,
preferibilmente sposati, in possesso del titolo di scuola media inferiore, già socializzati all’ambiente urbano-industriale.
La condizione di inoccupazione è avvertita in modo più accentuato
dalla manodopera femminile in quanto, in questi anni, come già detto,
il meccanismo sostitutivo della forza lavoro maschile nelle campagne
perde la sua importanza di fronte al gonfiarsi del fenomeno della «
messa in soprannumero » di manodopera femminile sotto la forma di
passaggio alla condizione di « casalinghe ». Alla fine del fenomeno
recessivo (1966), l’occupazione femminile dipendente totale risulta al
di sotto degli indici generici esistenti all’inizio della
15
M. PACI, Op. cit.
M. PACI, Le contraddizioni del mercato del lavoro, in « Inchiesta », Anno II, n.
6, 1972, Ed. Dedalo.
16
128
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
fase espansiva (1959). Se si assumono, come periodi di riferimento,
quello della massima espansione dell’occupazione femminile (1963) e
quello della fine del fenomeno recessivo (1966), la caduta dei livelli di
occupazione femminile appare più pesante: 334.000 unità femminili
dipendenti in meno, di cui 180.000 nel settore dell’industria. La gravità del problema emerge ulteriormente se si considera che la diminuzione dell’occupazione femminile autonoma è stata pari a 1.123.000
unità in meno dal ‘59 al ‘66 e non ha potuto essere assorbita
dall’occupazione dipendente a causa della recessione in atto17 .
La ripresa economica degli anni ‘67-’70 circa viene interpretata da
Paci18 come un tentativo del sistema industriale di far ripartire
l’accumulazione capitalistica senza l’ausilio del settore periferico. Ma
le lotte sindacali del ‘69, e gli obiettivi egualitari che le caratterizzano,
segnano la sconfitta di questo primo tentativo, perché esse si rivolgono contro la « riorganizzazione industriale » e la differenziazione salariale all’interno del settore centrale dell’industria.
Tale settore si trova, dunque, di fronte ad una rigidità dell’offerta
di lavoro per molti aspetti imprevista: il proletariato marginale, espulso dal settore periferico negli anni della recessione economica, non
funziona più come esercito industriale di riserva e come strumento di
divisione e di ricatto della classe operaia del settore centrale. A questa
rigidità, che potrebbe definirsi una contraddizione del mercato del lavoro, se ne uniscono altre quali la forza acquisita dal sindacato in fabbrica con il movimento dei delegati (una delle conquiste normative dei
contratti del ‘69 e dello Statuto dei lavoratori); il gonfiamento del terziario improduttivo e dei ceti parassitari, alimentato dal clientelismo e
finanziato con denaro pubblico; la diffusione della scolarizzazione a
livello di massa e la fuga dalla condizione operaia di ampie quote di
forza lavoro giovanile; i vincoli esistenti, infine, dal lato dell’offerta
17
Rassegna Sindacale, Per il dibattito e l’iniziativa in preparazione della conferen-
za sulla occupazione femminile, Inserto e documentazione per la conferenza per
l’occupazione femminile, in « Rassegna sindacale », n. 114, 1967.
18
M. PACI, Mercato... op. cit.
129
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
del lavoro, per una piena utilizzazione della forza lavoro femminile a
causa della carenza di servizi e di strutture sociali di assistenza ai fanciulli e agli anziani, nonché i problemi attinenti all’aumento dei prezzi
e alla carenza di alloggi e di trasporti nell’ambiente urbanoindustriale. Il disegno 19 che sta all’origine della divaricazione delle
opportunità di lavoro per i maschi e per le femmine, a partire dagli anni ‘64-’66, consiste nello sforzo, da parte degli imprenditori, di elevare, da un lato, la produttività del lavoro e di minimizzare, dall’altro,
tanto i rischi sindacali (dato che, a causa della duplicità del suo ruolo
nel lavoro e in famiglia, la manodopera femminile appare assai più
immediatamente sensibile che non quella maschile alle contraddizioni
tra livelli retributivi, condizioni di vita e costo della vita in genere, e
tende a rifletterle con durezza nel comportamento sindacale) quanto i
livelli di assenteismo (vedi anche matrimonio e maternità) i quali, in
una situazione di virtuale parità salariale, si traducono in una maggiore onerosità del lavoro femminile. Tuttavia, alla luce delle modificazioni tecnologiche e organizzative all’interno delle imprese e delle esigenze che le originano, la enfatizzazione della minore produttività
della forza-lavoro femminile rispetto a quella maschile, quasi fosse un
attributo naturale piuttosto che una condizione storicamente e strutturalmente determinata, deve essere considerata la giustificazione ideologica di una situazione di fatto, come del resto dimostra la situazione
esistente in altri Paesi o esistita in altri periodi, per alcuni settori, anche in Italia.
Nella maggior parte dei Paesi capitalisticamente avanzati, infatti,
si nota un andamento del mercato « a gobba di cammello », rappresentativo delle due fasce d’età in cui la partecipazione femminile al mercato è particolarmente elevata: la fascia che va dai 15 ai 25 anni, e la
fascia di donne al di sopra dei 35 anni. Tra questi due massimi c e una
fascia che partecipa poco al mercato del lavoro e che corrisponde
all’età in cui le donne si sposano e hanno figli. L’Italia, invece, presenta una curva d’età il cui andamento raggiunge il massimo in corrispondenza delle età più giovani
19
CENSIS, anno IV, nn. 74-75, pag. 639.
130
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
(15-25 anni) per poi calare in modo continuo (tav. 13). I tassi d’attività
delle donne sui 35-40 anni diminuiscono lentamente ma inequivocabilmente, sebbene la percentuale delle donne sposate sul totale delle
donne che lavorano sia in leggero aumento, e ciò in connessione
all’approvazione della legge sugli asili-nido approvata nel 1971 (Lg.
6-12-1971)20 .
E’ ipotizzabile 21 che, nelle fasce d’età che negli altri Paesi vedono
un cospicuo « rientro » di forza lavoro femminile nel mercato, sia diffuso in Italia un’occupazione nascosta, soprattutto nelle aree di maggiore sviluppo complessivo. Dai risultati di un’indagine Istat22 , relativa alle « non forze di lavoro » svolta nel 1971, risulta che, delle « persone non appartenenti alle forze di lavoro », la maggioranza
(14.312.000 su 18.837.000) era costituita da donne, di cui 2.644.000
alla domanda relativa alla disponibilità ad accettare un lavoro retributivo, hanno risposto affermativamente: il 14,5% ha dichiarato di essere
disposto a lavorare « ovunque »; il 56% « nelle vicinanze di casa »; il
29% « in casa ». Questa indagine conferma un’effettiva presenza sul
mercato del lavoro di donne, che nelle statistiche Istat risultano inoccupate o come popolazione non attiva, ovvero come « casalinghe », e
mette in evidenza (si pensi a quelle che hanno espresso una preferenza
a lavorare « in casa ») che esse rappresentano un fertile terreno per lo
sviluppo del lavoro a domicilio.
Il tentativo di ripresa economica che si verifica dopo il ‘70 è stato
favorito dalla svolta a destra a livello governativo e dall’inflazione,
che ha comportato una ripresa dell’orario straordinario e della turnazione, entrambi strumenti di flessibilità del lavoro, ma soprattutto dal
rilancio in grande stile del settore periferico e del rifiorire del subappalto e del lavoro « nero » in tutte le sue forme. Secondo Paci23 entra
in funzione, in questi anni, un tipo di piccola impresa — definita impresa ingranaggio — che rivela i sintomi di un processo
20
M. PIA MAY, Mercato del lavoro femminile: espulsione o occupazione nascosta?, in « Inchiesta », Anno III, n. 9, 1973, Ed. Dedalo.
21
M. PIA MAY, ibidem.
22
ISTAT, Indagine speciale... op. cit.
23
M. PACI, Crisi, ristrutturazione e piccola impresa, in « Inchiesta », Anno V, n.
20, 1975, ed. Dedalo.
131
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
vero e proprio di destrutturazione di certe produzioni « centrali », a
cui si accompagnano l’innovazione e la diversificazione della produzione nel settore centrale. Secondo Frey24 , il decentramento produttivo
è una via per evitare eccessi di produzione di fronte a impreviste oscillazioni qualitative e quantitative della domanda, così da rafforzare la
tendenza ad una sostanziale rigidità dei prezzi verso il basso e da assicurare una relativamente rapida risposta della produzione alla domanda presso le unità produttive che sono in grado di guidare l’« amministrazione » dei prezzi. Ne è risultata la proliferazione di unità operanti
s u commessa di dimensioni minori, fino a coinvolgere imprese artigiane e, come ultimo anello dei processi di decentramento, i lavoratori
a domicilio in senso stretto, che alimentano la s.r. stagnante.
Le ragioni che spiegano il lavoro a domicilio 25 sono fondamentalmente quattro: nelle lavorazioni commesse a domicilio le economie di scala sono nulle, o comunque poco rilevanti; il lavoro a
domicilio costa molto meno che il lavoro in fabbrica; comporta bassissimi investimenti per addetto e diminuisce i rischi; consente
un’altissima flessibilità nell’uso della forza lavoro. Questa manovrabilità della forza lavoro è particolarmente importante nei settori tessile e
abbigliamento, della maglieria, delle calzature, della pelle e del cuoio,
della farmaceutico-cosmetica, delle materie plastiche per le produzioni
leggere e i prodotti finiti.
L’aspetto più grave di questa situazione è che la rilevante massa di
manodopera femminile impiegata in modo precario nel lavoro « nero
», che comprende sia il lavoro a domicilio in senso stretto che
l’elevata quota di forza lavoro impiegata nelle piccole imprese nate
per effetto del decentramento produttivo26 non è rilevabile dai dati Istat. Impedisce una corretta rilevazione del fenomeno il fatto che, in
entrambe le condizioni, i datori di lavoro, soprattutto nei settori delle
confezioni e della trasformazione del prodotti agricoli, non
24
L. FREY, Le piccole e medie imprese industriali di fronte al mercato del lavoro
in Italia, in « Inchiesta », Anno IV, n. 14, 1974, Ed. Dedalo.
25
S. BRUSCO, Prime note per uno studio del lavoro a domicilio in Italia, in « Inchiesta», Anno III, n. 10, 1973, ed. Dedalo.
26
G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Op. Cit.
132
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
regolarizzano l’assunzione per eludere il pagamento dei contributi
previdenziali ed assicurativi. A ciò si aggiungono, da parte della donna, sia l’esigenza di difesa fiscale e la necessità di conservare la protezione previdenziale goduta dal capofamiglia, che cadrebbe nel caso di
una configurazione professionale specifica, sia la condizione di ricatto
da parte del « gruppista », che mantiene con la lavorante un rapporto
di tipo personale. Tuttavia Bergonzini27 ha dimostrato che le stesse definizioni adottate dall’Istat nel censimento del ‘71 offrono ampie possibilità di alterazione nell’accertamento della professionalità reale della donna, dato che « lavorante a domicilio » è, secondo le disposizioni
date ai rilevatori del censimento, chi lavora « contro retribuzione per
una o più imprese e non per conto di consumatori », mentre il compenso « tanto a pezzo » non può essere considerato una retribuzione.
A ciò si aggiunga l’equivoca definizione di « casalinga », secondo cui
le donne che, pur attendendo alle cure domestiche svolgono un’attività
professionale solo occasionalmente, devono essere in ogni caso considerate casalinghe.
Secondo una stima indiretta di Frey28 , il numero complessivo della
quota delle dipendenti di piccole fabbriche che sfuggono alla rilevazione statistica più quello delle lavoranti a domicilio, può essere stimato pari al numero delle forze di lavoro femminili che risultano ufficialmente occupate nell’industria (si tratta di cifre che si mantengono
intorno al milione e mezzo di unità).
ALTRE ATTIVITÀ
Il settore terziario è un settore composito e molto differenziato nel
suo interno. Esso ha rappresentato, in quest’ultimo quindicennio, uno
sbocco per una parte della forza lavoro uscita dall’agricoltura che non
ha trovato collocazione nell’industria né è scomparsa dalla popolazione attiva. In esso viene assorbita una quota cospicua dell’occupazione
femminile e
27
L. BERGONZINI, Casalinghe o lavoranti a domicilio?, in « Inchiesta », Anno
III, n. 10, 1973, ed. Dedalo.
28
Cfr. S. BRUSCO, op. Cd.
133
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
tale assorbimento permane quantitativamente elevato ed anzi tendenzialmente crescente: nel 1974, le donne addette al terziario rappresentano circa la metà di tutte le occupate: 48,8%.
E molto arduo affrontare il problema della composizione del terziario in termini di classe, sia pure distinguendo preventivamente i diversi rami di cui esso si compone perché, se da un lato può considerarsi incontrovertibile l’esistenza di una componente proletaria
nell’imponente flusso di forza lavoro riversatosi nel quindicennio in
questo settore, risulta problematico quantificare questa affermazione e
tradurre la quantificazione in figure sociali distintamente caratterizzate. Tuttavia Frey29 , facendo riferimento a sistemi economici in cui,
come nel nostro, per presupposto la donna assume una funzione integrativa del reddito familiare ritenuto necessario, colloca in posizione
chiave la disoccupazione/sottoccupazione femminile esplicita (che
consiste nell’offerta di lavoro calcolata in base ai dati ufficiali) e quella implicita (che consiste nell’offerta di lavoro effettiva non inclusa
nei dati ufficiali e pertanto non tutelata sul piano normativocontrattuale, che Frey cerca di calcolare attraverso altre fonti con vari
metodi).
Partendo dal concetto di sovrappopolazione relativa e fermando
l’attenzione sullo strato pauperizzato, egli cerca di quantificare la quota delle sottoccupate che lavorano, per effettivo bisogno, nel settore
terziario in Italia.
Secondo calcoli basati sul confronto tra i risultati delle indagini Istat sulle forze di lavoro e le serie « corrette » sull’occupazione presente, permanente e marginale (ma tenendo conto anche di informazioni provenienti da altra fonte pubblica), Frey individua una sottoccupazione terziaria esplicita continuamente crescente dal 1961 al
1971. Essa risulta calcolabile, per il 1971, in almeno 340.000 donne in
più rispetto ai livelli massimi di forze di lavoro rilevate nelle indagini
Istat.
Per quantificare la sottoccupazione implicita femminile terziaria,
Frey si serve di un metodo di calcolo che guarda analiticamente alle
attività produttive, tenendo conto delle persone coinvolte anche se in
modo molto discontinuo e per
29
L. FREY, Analisi economica... op. cit., pag. 30 e segg.
134
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
un numero di giornate lavorative annue, di ore settimanali o giornaliere, « anormali » rispetto alle persone occupate e tutelate sul piano
normativo contrattuale. L’entità di tale sottoccupazione è calcolata o
correggendo i risultati delle indagini trimestrali Istat o integrando questi con le informazioni quantitative desumibili dagli uffici preposti al
collocamento, dagli enti previdenziali e dai risultati dei censimenti
sulla popolazione. Pertanto, per quanto riguarda la sottoccupazione
femminile non censita nel settore turistico-alberghiero, essa risulta, nel
1971, pari a 67.000 unità, di cui 12.000 possono essere considerate
sottocupazione esplicita configurate nelle forze di lavoro « corrette »,
e 55.000 come sottoccupazione implicita.
A questa sottoccupazione implicita va aggiunta quella riguardante
i pubblici esercizi (di calcolo molto incerto ma rilevante, secondo la
ricerca da Frey condotta sul potenziale di lavoro femminile e coinvolgente donne accanto a minori, specie nel Sud) e quella coinvolta nel
turismo extra-alberghiero, per la prestazione di servizi di alloggio, vitto e altro. Anche se i dati disponibili non consentono una sicura base
quantitativa su cui fondare stime per la sottoccupazione nei pubblici
esercizi e nel turismo extra-alberghiero. tuttavia, dati sulle licenze nei
pubblici esercizi, sul movimento turistico interno ed estero, oltre ai dati sulle licenze ad esercizi alberghieri, permettono di ipotizzare che vi
sia stata una tendenza al progressivo aumento della sottoccupazione
femminile implicita coinvolta nel settore degli alberghi e dei pubblici
esercizi (escludendo il turismo extra-alberghiero nel senso detto) dall’inizio degli anni ‘60 in poi, con un’accelerazione nella seconda metà
degli anni ‘60 specialmente nelle regioni più terziarie (si può ipotizzare che in un decennio tale sottoccupazione sia più che raddoppiata.
con marcati aumenti nel 1966 e negli anni dal 1967 al 1970). Inoltre.
si può ritenere che le dimensioni di tale sottoccupazione fossero,
all’inizio degli anni ‘70, nettamente superiori alle 150.000 unità.
Anche le riflessioni sul turismo extra-alberghiero, secondo Frey.
rafforzano la convinzione che la sottoccupazione femminile implicita
sia cresciuta dal 1963 in poi e soprattutto abbia registrato una più marcata espansione dal 1969 in poi.
Per quanto riguarda gli addetti ai servizi domestici, tenendo
135
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
presente anche l’insegnamento offerto dalle indagini sul campo, da cui
risulta uno stretto legame tra fenomeni di urbanesimo e dinamica dei
servizi domestici configurabili come lavoro dipendente, anche se non
tutelato sui piano normativo-contrattuale, Frey giunge a calcolare
un’occupazione-sottoccupazione effettiva pari a 445 mila occupati/sottoccupati effettivi, di cui 190 mila sottoccupati impliciti minimi,
per il 1961, per arrivare a 530 mila occupati/sottoccupati effettivi. di
cui 195 mila sottoccupati impliciti minimi, per il 1973. L’occupazione
effettiva nei servizi domestici può essere considerata almeno per il
90% di sesso femminile; mentre in generale, secondo Frey, la sottoccupazione implicita si può considerare pressocché interamente di questo sesso.
Quanto alla sottoccupazione implicita femminile nelle attività
commerciali, Frey tenta di tradurre le informazioni quantitative desunte dalle indagini, in suggerimenti per la « correzione » e l’« utilizzo »
dei dati disponibili. Con una stima molto prudente, egli sostiene che la
sottoccupazione femminile implicita nel commercio in senso stretto
può essere calcolata in circa 140-145 mila unità a metà degli anni ‘60,
in 150 mila unità nel 1969, in 170 mila unità nel 1971, in 160 mila unità nel 1973.
Questa è una stima che, secondo l’autore, rimane nettamente al di
sotto delle’ dimensioni della sottoccupazione effettiva settoriale, ma
che è ritenuta consigliabile.
L’interesse per i calcoli effettuati da Frey sulla sottoccupazione
femminile terziaria è dovuto principalmente al fatto che essi dimostrano che l’offerta di lavoro femminile in Italia, lungi dal diminuire, è in
realtà cresciuta dal 1960 in poi.
SOVRAPPOPOLAZIONE RELATIVA FLUTTUANTE
Nella sovrappopolazione r. fluttuante sono presenti coloro che
vengono registrati, nelle pubblicazioni dell’Istituto di Statistica, tra la
forza lavoro disoccupata (cioè, in attiva ricerca di occupazione) oppure sottoccupata30 .
30
Cfr. G. MOTTURA - E. PUGLIESE, Op. cit., pag. 283 e segg.
136
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Come è stato dimostrato da più parti31 , le definizioni, sulla base
delle quali vengono svolte le rivelazioni, conducono le statistiche disponibili a sottostimare largamente il fenomeno di disoccupazione,
sebbene ciò avvenga in misura differente per le varie fonti. Se si mettono a confronto i dati sulla disoccupazione forniti dall’Istat e quelli
forniti dal Ministero del Lavoro (tav. 14), si nota che i dati Istat differiscono sempre per difetto da quelli provenienti dagli Uffici di Collocamento. Le ragioni addotte dall’Istat per spiegare tale divario sottolineano che molte persone si iscrivono all’Ufficio di collocamento « per
motivi esclusivamente amministrativi » e che perciò tra essi figurerebbero anche « categorie di persone non appartenenti alle forze di lavoro (casalinghe e pensionati) »; inoltre, si fa menzione a persone che
per vari mo tivi « non figurano fra gli iscritti »32 . Ciò vuoi dire che una
parte di forza lavoro effettiva, che viene registrata come disoccupata
dal Ministero del Lavoro, appare invece censita dall’Istat come parte
della « popolazione non attiva », cioè non appartenente alle forze di
lavoro (nelle quali rientrano — per definizione Istat — i bambini, gli
studenti, le casalinghe, i pensionati, i benestanti eccetera).
La presenza di un numero elevato di donne nelle liste di collocamento deve essere intesa come effettiva disponibilità di forza lavoro,
almeno per un’alta percentuale. Infatti, l’iscrizione in tale sede comporta la possibilità di ricevere un sussidio. Quest’ultimo particolare
induce a pensare che nella pratica tali forze di lavoro non siano necessariamente del tutto disoccupate, ma che in esse bisogna includere tanto gli effettivi disoccupati quanto coloro che svolgono attività — tipo
le varie forme di lavoro a domicilio — per le quali non godono di alcuna legale prestazione assicurativa.
Tra i sottoccupati l’Istat include « tutti gli occupati che nella settimana di riferimento hanno effettuato attività lavorativa da 1 a 32 ore
per ragioni economiche, vale a dire imputabili alla mancanza di offerte
di lavoro ».
31
Cfr. M. FURNARI, Occupazione femminile in agricoltura e mercato del lavoro,
in « Rivista di Economia Agraria », 1973, n. I; L. MELDOLESI, Disoccupazione ed esercito industriale di riserva in Italia, Bari, Laterza, 1972.
32
V. ISTAT, Annuario di Statistiche del lavoro 1971, pagg. 18-19.
137
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
Dai dati forniti dalla tavola 15 risulta che la quota di sottoccupazione femminile è stata sempre elevata rispetto ai livelli di occupazione. La diminuzione, che si osserva negli ultimi anni, riguarda
l’industria e il terziario; in agricoltura, invece, si è verificato un aumento tale che, nel 1972, le forze di lavoro agricolo sottoccupate rappresentavano l’8% dell’occupazione femminile nel settore. Ma anche
negli altri settori, dove tale incidenza appare più modesta oltre che in
diminuzione, il fenomeno della sottoccupazione è tipicamente « femminile ». Sempre dalla tavola 15, infatti, risulta che l’incidenza delle
femmine sul totale dei sottoccupati era, nel 1972, del 36%
nell’industria e del 50% nelle altre attività. In quello stesso anno (tav.
6), l’incidenza delle femmine sul totale degli occupati negli stessi settori era del 19,5% e del 32,7%.
Nell’ambito della disoccupazione/sottoccupazione esplicita,
Frey33 , attraverso il confronto tra fonti statistiche ufficiali diverse, calcola una disoccupazione/sottoccupazione aggiuntiva femminile, per il
1971, pari a 720.000 unità. Infatti, dal confronto tra i risultati delle indagini Istat sulle forze di lavoro e le serie Istat « corrette »
sull’occupazione presente, permanente e marginale (tav. 16), è possibile individuare una sottoccupazione « esplicita » calcolabile in almeno 340.000 unità femminili in più, coinvolte nel settore terziario, rispetto ai livelli massimi di forze di lavoro rilevate nelle indagini Istat
(di ciò si è già detto). Dal confronto tra i dati riguardanti le donne iscritte nella prima classe (lavoratori già occupati) delle liste di collocamento e le indagini trimestrali Istat sulle forze di lavoro (tav. 17), risulta una disoccupazione esplicita aggiuntiva pari a 180.000 unità. Dal
confronto tra indagini Istat sulle forze di lavoro, iscrizione nelle liste
di collocamento e censimento della popolazione, risulta una disoccucupazione giovanile censita aggiuntiva pari a 200.000 unità (340.000
+ 180.000 + 200.000 = 720.000 unità). Un posto importante, per la
comprensione del tipo di sviluppo sperimentato in Italia, occupa la
considerazione della sottoccupazione femminile implicita nei tre settori economici, al cui calcolo Frey è pervenuto seguendo vari metodi.
33
L. FREY, Analisi economica..., op. cit., pag. 30 e segg.
138
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tenendo presente la tavola 18, si deduce che le modifiche strutturali intervenute nel sistema produttivo italiano, con le relative conseguenze in termini di distribuzione, spesa, struttura della domanda di
lavoro, hanno comportato una riduzione abbastanza marcata (anche
nella seconda metà degli anni ‘60) della sottoccupazione agricola, in
risposta alla ris trutturazione dell’agricoltura ed ai processi di urbanesimo, in misura tale da incidere profondamente sull’andamento della
sottoccupazione implicita complessiva. Tale riduzione si è sostanzialmente arrestata all’inizio degli anni ‘70, quando appare un’offerta di
lavoro femminile effettiva di circa il 40% superiore a quella indicata
dai dati ufficiali. Si è verificato, inoltre, un aumento della sottoccupazione implicita manifatturiera femminile, con alterne vicende nella sua
struttura e nei rapporti con disoccupazione/sottoccupazione esplicita
inclusa nelle forze di lavoro « corrette ». Infine, si è assistito ad una
continua e rilevante espansione della sottoccupazione femminile implicita terziaria fino a far sì che, con l’inizio degli anni ‘70, questa superasse le dimensioni della sottoccupazione femminile implicita manifatturiera e si avvicinasse con decisione alle dimensioni della sottoccupazione implicita agricola.
Se si analizzano i dati sull’offerta di lavoro femminile e sulla sua
struttura nel temp o, con riferimento all’offerta esplicita ed implicita
calcolata da Frey34 , l’offerta di lavoro femminile in Italia risulta diminuita da 8.700.000 unità nel 1961 a 7.835.000 unità nel 1965 come
conseguenza delle ristrutturazioni dell’attività agricola e dei processi
di urbanesimo; nella seconda metà degli anni ‘60, la riduzione si è
gradatamente arrestata per poi trasformarsi in graduale aumento
dell’offerta agli inizi degli anni ‘70, sotto la spinta della sottoccupazione esplicita terziaria.
Il potenziale di lavoro, invece, si presenta in progressivo aumento dal 1961 al 1973; i tassi di attività/partecipazione calcolati da
Frey sul potenziale si rivelerebbero costanti al 36,4% dal 1961 al
1965, per poi aumentare al 38,3% nel 1969, al 39,4% nel 1971 e al
39,7% nel 1973.
34
L. FREY, Ibidem.
139
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
Ciò significa che, dal punto di vista delle esigenze potenziali di integrazione di reddito familiare, il lavoro femminile in Italia, nel corso
degli anni ‘60, ha manifestato la tendenza ad aumentare progressivamente; ma il tipo di sviluppo produttivo sperimentato ha frapposto difficoltà crescenti, specialmente negli anni dal 1961 al 1969, all’utilizzo
del potenziale in espansione.
ANNA MARIA CHIROLLI
140
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. I
POPOLAZIONE E FORZE DI LAVORO SECONDO ALCUNI CARATTERI
PERCENTUALE DELLE FEMMINE SUL TOTALE (Fonte ISTAT)
ANNI
POPOLAZ.
FL
OCCUPATI
SOTTOCCUPATI
29,9
DISOCCUPATI
-
IN CE RCA
DI IA
OCCUPAZIONE
1980
51,3
29,8
21,3
40,2
1961
51,4
30,2
30,2
-
25,1
40,9
1962
51,4
29,8
29,7
-
26,5
41,2
1983
51,4
29,0
28,9
58,9
24,8
38,7
1964
51,3
28,0
27,9
51,1
24,7
40,5
1965
51,4
27,6
27,6
44,6
21,9
40,6
1966
51,4
27,0
26,9
43,3
21,2
38,5
1967
51,3
26,8
26,?
43,6
22,1
39,5
1968
51,3
27,0
26,9
45,9
23,7
40,8
1969
51,3
27,2
27,0
46,5
23,7
42,5
1970
51,3
27,1
26,9
50,8
22,7
43,2
1971
51,3
27,2
27,0
51,4
23,3
43,3
1972
51,3
26,9
26,6
48,9
22,5
39,1
1973
51,3
27,5
27,1
50,9
28,2
42,6
1974
51,2
27,9
27,6
52,5
28,4
41,8
141
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
Tav. 2 a POPOLAZIONE E FORZE DI LAVORO SECONDO ALCUNI CARATTERI (Fonte ISTAT)
MASCHI
SOTT.
ANNI
POPOLAZ.
FL
FL
OCCUPATI
POP
IN
DISOCC. CERCA SOTT. RO
(RO)
FO
OCC. OCC. OC OC
%
%
%
__________________________________________________________________________________
1960
23845
14714
61,7
14110
-
433
171
-
3,1
1,2
1961
23871
14575
61,1
I4087
-
325
163
-
2,3
1,2
1962
24097
14487
60,1
14077
-
253
157
-
1,8
1,1
1963
24275
14306
58,9
13958
143
212
136
1,0
1,5
1,0
1964
24549
14413
58,7
14037
194
235
141
1,4
1,7
1,0
1965
24723
14268
57,7
13757
288
363
148
2,1
2,6
1,1
1966
24921
14168
56,9
13620
165
369
179
1,2
2,7
1,3
1967
25176
14297
56,8
13819
137
300
178
1,0
2,2
1,3
1968
25367
14215
56,0
13749
138
273
193
1,0
2,0
1,4
1969
25320
14019
34,9
13585
147
232
202
1,1
1,7
1,3
1970
25704
14070
34,7
13669
123
208
193
0,9
1,5
1,4
1971
25889
14018
54,1
13167
151
214
187
1,1
1,6
1,4
1972
26102
13918
53,3
13450
142
203
265
1,1
1,5
2,0
1973
26304
13901
52,8
13482
139
178
241
1,0
1,3
1,8
1974
26590
14028
52,8
13676
144
139
213
1,0
1,0
1,6
142
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 2b POPOLAZIONE E FORZE DI LAVORO SECONDO ALCUNI CARATTERI (Fonte ISTAT)
FEMMINE
ANNI
POPOLAZ.
FL
FL
FOP
SOTTOC.
IN
OCCUPATI DISOCC.CERCA SOTT. RO
PO
(RO) OCCU. OCC OC OC
_______________________________________________________________________________________________________________
1960
25122
6258
24,9
6026
-
117
115
-
1,9
1,9
1961
25285
6307
24,9
6085
-
109
113
-
1,8
1,9
1962
25466
6142
24,1
5941
-
91
110
-
1,5
1,9
1963
25661
5831
22,7
5675
205
70
86
3,6
1,2
1,5
1964
25890
5613
21,7
5440
203
77
96
3,7
1,4
1,8
1965
26117
5449
20,9
5246
232
102
101
4,4
1,9
1,9
1966
26306
5228
19,9
5017
126
99
112
2,5
2,0
2,2
1967
26488
5228
19,7
5027
106
85
116
2,1
1,7
2,3
1968
26675
5269
19,7
5051
117
85
133
2,3
1,7
2,6
1960
26856
5247
19,5
5026
128
72
149
2,5
1,4
3,0
1970
27067
5232
19,3
5024
127
61
147
2,5
1,2
2,9
1971
27235
5236
19,2
3028
160
65
143
3,2
1,3
2,6
1972
27446
5110
18,6
4881
136
59
170
2,8
1,2
3,5
1973
27677
5267
19,0
5018
144
70
179
2,9
1,4
3,6
1974
27951
5430
19,4
5222
159
55
153
3,0
1,1
2,9
143
TAV. 3 OCCUPATI PER SESSO E SETTORE DATI ASSOLUTI E PERCENTUALI
ANNI
AGRIC.
IND.
MASCHI
A.ATT. TOTALE
%
1960
4403
5567
4140
14110
1961
4097
5755
4235
14027
1962
3810
6021
4246
14077
1963
3513
6180 4265
13958
25,2
1964
3311
6258
4468
14037
1965
3351
6057
4349
13757
1966
3192
5983
4445
13620
1967
3122
6125
4572
1968
2869
6211
4669
1969
2706
6321
4558
13 585
1970
2499
6442
4728
1971
2453
6502
1972
2274
6466
1973
2176
6451
1974
2105
6577
31,2
%
% TOTALE
AGRIC.
39,5 29,3 100,0
2164
29,1
40,8 30,1 100,0
27,1
42,8 30,1 100,0
FEMMINE
A.ATT. TOTALE % %
IND.
1891
2.041
2110
1891
2013
1821
44,3 33,5 100,0
1778
1813
23,6
44,6 31,8 100,0
1625
1699
24,4
44,0 31,6 100,0
1547
1602
23,5
43,9 32,6 100,0
1397
1549
13819
22,6
44,3 33,1 100,0
13749
20,9 45,2 33,9
% TOTALE
6026
35,9
30,2 33,9 100,0
2084
6085
34,7 31,1 34,2 100,0
2107
5941
33,9
2084
5675
31,3 32,0 36,7 100,0
2116
5440
29,9 31,2 38,9 100,0
2097
5246
29,5 30,5 40,0 100,0
2071
5017
27,8 30,9 41,3 100,0
30,6 35,5 100,0
1358
1567
2102
5027
27,0
100,0
1304
1566
2161
5051
25,8 31,4 42,8 100,0
19,9
46,5 33,6 100,0
1245
1634
2147
5026
24,8 32,5 42,7 100,0
13669
18,3
47,1 34,6 100,0
1114
1675
2235
5024
22,2
4662
13617
18,0 47,8 34,2 100,0
1135
1652
2241
5028
4710
13450
16,9
48,1 35,0 100,0
1024
1570
2287
4881
21,0
4855
13482
16,1
47,9 36,0 100,0
1016
1600
2402
5018
20,2 31,9 47,9 100,0
4994
13676
15,4
48,1 36,5
100,0
1006
1679
2537
5222
31,2 41,8 100,0
33,3 44,5 100,0
22,6 32,8 44,6 100,0
32,2 46,8 100,0
19,0 33,1 48,6 100,0
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 4
TASSI SPECIFICI DI ATTIVITÀ’ DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PER SESSO, CONDIZIONE SETTORE DI
ATTIVITÀ’ ECONOMICA E GRUPPO DI ETÀ’: MASCHI
GRUPPI
Di Età
1960 1961 1962
(Anni Comp.)
1963 1964 1965
1966 1967
1968
1969 1970
1971
1972
1973
FORZE DI LAVORO IN CONDIZIONE PROFESSIONALE
14—29 20,4
30—49 24,9
50—64 31,2
65 e +
19,3
TOTALE 24,1
1. AGRICOLTURA
17,6 14,8 12,8 1l,7
22,9 21,8 20,5 19,0
30,7 29,5 28,4 26,9
18,4 15,4 12,1 11,9
22,4 20,5 18,9 17,7
2. INDUSTRIA
14—29 40,0 41,4 42,4 42,4
30—49 39,4 40,2 41,7 47,2
50—64 26,2 27,1 27,6 28,1
65 e + 4,2
4,1 3,7
3,6
TOTALE33,1 34,0 34,8 35,3
42,0
43,5
28,6
2,5
35,2
11,7
19,5
27,1
11,2
17,8
10,8
19,0
25,3
9,7
16,8
10,4
18,7
24,6
9,4
16,3
8,7
17,8
23,2
8,8
15,0
7,7
15,8
22,2
7,7
14,1
6,7
15,4
20,4
7,2
12,9
6,4
15,3
19,8
7,0
12,6
5,8
14,5
18,2
5,3
11,5
5,4
13,7
17,3
5,4
10,9
40,5
43,9
28,0
2,7
34,6
38,7
43,5
27,9
2,3
33,6
38,9
43,2
27,2
2,2
33,5
38,1
44,0
26,8
2,2
33,4
38,4
45,2
25,8
2,0
33,9
37,7
45,8
26,1
2,0
33,9
37,7
46,5
26,5
1,8
34,2
36,5
46,8
26,2
1,7
33,6
35,1
46,9
25,8
1,6
33,1
16,5
34,6
25,6
4,9
4,9
23,3
23,5
16,7
35,4
25,9
4,5
24,0
16,9
36,1
26,1
3,8
24,3
3. ALTRE ATTIVITA’
14—29 16,5 16,7
16,4 16,7 17,3
30—49 32,9 33,7
33,7 33,4 34,7
50—64 24,7 24,3
24,1 24,0 24,8
65e +
6,5 6,5
6,1
5,3 5,4
4,6
TOTALE23,1 23,4
23,1 23,0 23,8
17,1
33,9
24,5
16,4
35,2
25,6
3,7
23,8
16,7
36,0
26,6
3,7
24,3
16,4
16,2
35,7
35,9
26,4
26,5
3,4
3,2
23,9
23,9
16,3
16,9
27,1
24,4
TOTALE FORZE DI LAVORO
14—29 79,7 78,4
30—49 97,2 96,8
50—64 82,1 82,1
65 e +
30,0.29,0
TOTALE 81,280,6
76,2 74,2 73,3 71,8
69,0 68,9 66,9 65,9
97,2 97,1 97,2 97,3
97,1 97,3 97,3 97,2
81,2 80,5 80,3 79,6
78,8 77,7
76,1
25,2 21,0 19,7 18,5
16,9 16,5
15,5
79,2 77,9 77,4 76,5
74,8 74,7
73,6
64,4
97,2
73,6
13,5
72,8
63,6
97,3
73,1
12,9
72,1
62,9
97,3
72,7
12,5
71,6
60,8
97,6
70,9
10,4
70,4
145
70,2
10,2
69,6
TAV. 5 Tassi Specifici Di Attività Della Popolazione Residente Per Sesso Condizione
Settore di Attività Economica e Gruppo di Età: FEMMINE
Gruppi di Età 1960 1961
(Anni compiuti)
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
3,5
7,5
7,1
1,2
5,4
3,4
7,7
7,2
1,3
5,4
3,0
7,1
6,4
0,9
4,9
2,8
7.1
6.3
0,9
4,0
15,7
8,0
2,6
0,2
7,9
14 ,9
7,9
2,6
0,1
7,3
14,7
8,3
2,5
0,1
7,5
FORZE DI LAVORO IN CONDIZIONE PROFESSIONALE
14-29
30-49
50-64
65 e +
TOTALE
14-29
30-49
50-64
65 e +
TOTALE
14-29
30-49
50-64
65 e +
TOTALE
1. AGRICOLTURA
11,2 10,1
9,8
12,2 12,3
11,7
12,1 12,2
11,5
4,8
4,4
3,7
11,0 10,6
10,0
2. INDUSTRIA
17,9
18,8
18,8
8,4
8,5
8,2
3,7
3,6
3,3
1,1
1,1
0,8
9,5
9,8
9,3
8,1
10,7
10,7
2,8
8,8
6,9
10,7
10,2
2,6
8,1
18,3
6,2
9,5
10,0
2,5
7,7
5,6
8,8
8,7
2,1
6,9
5,2
8,7
8,6
1,8
6,7
16,7
7,4
2,8
0,3
7,8
15,7
7,3
2,7
0,2
7,8
8,3
3,3
0,8
9,2
7,7
3,0
0,4
8,7
17,6
7,4
2,9
0,4
8,2
3. ALTRE ATTIVITÀ’
12,4
12,4 12,5
12,7
12,9
13,3
13,2
13,0
9,0
9,1
9,0
8,6
2,6
2,5
2,5
2,1
10,7
10,8
10,8
10,6
12,5
13,5
8,7
1,9
10,5
12,9
13,3
8,3
1,8
10,5
12,3
13,3
8,3
1,7
10,2
37,4
30,2
21,9
4,7
26,9
35,4
29,5
19,8
4,1
25,4
4,6
8,4
8,3
1,8
6,3
15,8
4,2
8,3
8,0
1,3
5,1
15,8
16,4
16,0
7,5
2,5
0,3
7,7
7,4
2,4
0,3
7,9
8,0
2,6
0,2
8,0
12,6
13,4
8,1
1,7
10,3
12,6
13,9
8,2
1,5
10,5
12,4
13,9
7,8
1,3
10,4
13,0
14,3
8,3
1,2
10,7
13,1
14,4
7,9
1,1
10,7
13,1
14,9
8,1
1,1
10,8
13,8
15,5
8,5
1,1
11,2
35,5
29,4
19,4
3,7
25,3
35,2
29,8
19,0
3,6
25,3
35,5
29,6
18,2
2,9
25,1
34,8
29,9
18,0
2,6
24,8
34,5
30,2
17,7
2,6
24,7
33,8
30,0
17,1
2,1
23,9
34,2
31,0
17,3
2,1
24,3
TOTALE FORZE DI LAVORO
14-29
30-49
50-64
65 e +
TOTALE
43,4
33,6
24,8
8,5
31,7
43,1
34,1
24,9
8,0
31,7
42,6
40,5
38,6
33,1
32,0
31,2
23,8
22,6
21,9
7,0 5,7
4,9
30,6
29,0
27,8
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 6 OCCUPAZIONE FEMMINILE NEI DIVERSI SETTORI E SUA INCIDENZA
SULL’OCCUPAZIONE TOTALE NEI VARI SETTORI IN ALCUNE ANNATE
SIGNIFICATIVE.
1959
1963
1966
a)
2345
1778
1397
b)
34,2
33,6
a)
1830
b)
a)
1969
1972
1245
1024
30,4
31,4
31,0
1813
1549
1634
1570
25,50
22,7
20,5
20,4
19,5
2065
2084
2071
AGRICOLTURA
INDUSTRIA
2147
2287
ALTRE ATTIVITA’
b)
a)
33,6
6240
32,8
5675
31,7
5017
31,9
32,7
5026
4881
26,9
26,6
TOTALE
b)
30,9
28,9
26,9
Fonte: ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICA DEL LAVORO, E “BOLLETTINO
MENSILE DI STATISTICA”, AGOSTO 1973
(ELABORAZIONE: MOTTURA — PUGLIESE)
a)= VALORI ASSOLUTI (IN MIGLIAIA)
b)= INCIDENZA % SUL TOTALE (MASCHI E FEMMINE) DEGLI ADDETTI
NEL SETTORE
147
Tav. 7 OCCUPAZIONE AGRICOLA PER SESSO E CONDIZIONE PROFESSIONALE
IN ITALIA SECONDO L’ISTAT E LO SCAU AL 1970
DIFFERENZA
SCAU
ISTAT
SCAU-ISTAT
VALORI ASSOLUTI (IN MIGLIAIA)
LAVORATORI INDIPENDEN.
MASCHI
1571
1672
-101
FEMMINE
1676
779
+897
3247
2451
+796
MASCHI
976
880
+96
FEMMINE
759
322
+407
1735
1232
+503
TOTALE
LAVORATORI DIPENDENTI
TOTALE
TOTALE IND. E DIPEN.
MASCHI
2547
FEMNINE
2435
TOTALE
4982
INCIDENZA %
2552
1131
3683
-5
+1304
+1299
FEMMINE % SUL TOTALE (M e F)
LAVORATORI INDIPEN.
51,6
31,9
LAVORATORI DIPENDEN.
43,7
26,1
TOT.INDIPEN. E DIPEN.
48,9
30,7
Fonti:ISTAT. ANNUARIO DI STATISTICHE DEL LAVORO; SCAU,
“PREVIDENZA SOCIALE IN AGRICOLTURA” (ELABORAZIONE
MOTTURA — PUGLIESE).
148
TAV. 8 Incidenza Percentuale Dell’occupazione Femminile in Agricoltura Sul Totale
(M e F) Per Circoscrizione Territoriale Secondo ISTAT e SCAU
1965
Scau Istat
1966
Scau Istat
1967
Scau Istat
ITALIA SETTEN.
48,6 29,0
47,9 27,3
48,8 27,2
48,2
28,4
47,8
27,5
47,4
ITALIA CENTR.
50,3 32,8
48,0 31,6
49,4 29,4
49,3
30,3
48,1
30,4
50,5
ITALIA MERIDION.
48,3 33,3
48,9 32,5
49,8 33,0
49,9
33,4
50,3
34,5
49,4
48,8 31,6
48,3 30,4
49,3 30,3
49,1
31,1
49,1
31,4
48,9
ITALIA
1968
Scau
Fonte ISTAT , Annuario di Statistiche del Lavoro, Scau “Previdenza in Agricoltura”
(ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE)
Istat
1969
Scau
Istat
Scau
1970
Istat
Tav. 9 INCIDENZA PERCENTUALE DI “COADIUVANTI” SUL TOTALE
DEI LAVORATORI AGRICOLI IN CONDIZIONE “INDIPENDENTE”
PER SESSO E PER CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE
1965
1966
1967
1968
1969
1970
ITALIA SETTENTRION.
77,1
75,3
76,6
75,6
74,0
74,6
ITALIA CENTRALE
85,8
86,9
84,3
84,2
81,1
79,9
ITALIA MERIDIONALE
74,4
72,1
70,5
71,0
72,2
67,3
TOTALE ITALIA
78,0
FEMMINE
76,6
75,6
75,4
74,7
72,4
MASCHI
ITALIA SETTENTRION.
28,1
28,0
26,8
24,5
23,5
21,7
ITALIA CENTRALE
30,8
30,2
29,6
25,4
23,5
21,0
ITALIA MERIDIONALE
21,3
20,1
19,7
17,5
16,8
15,4
TOTALE ITALIA
26,3
25,7
24,7
22,1
21,0
19,1
Fonte:
ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE SU DATI ISTAT
150
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 10
OCCUPAZIONE FEMMINILE INDIPENDENTE IN AGRICOLTURA PER
CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE SECONDO ISTAT E SCAU E
DIFFERENZE AL 1970.
Fonte:
SCAU
ISTAT
DIFFERENZA
SCAU/ISTAT
ITALIA SETT.
735
275
460
ITILIA CENTRALE
468
159
309
ITALIA MERID.
473
345
128
TOTALE ITALIA
1676
779
897
ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICHE DEL LAVORO;
SCAU, “PREVIDENZA SOCIALE IN AGRICOLTURA”.
151
Tav. 1l
INCIDENZA PERCENTUALE DELLA FORZA LAVORO FEMMINILE SUL
TOTALE (M e F) DEI COLTIVATORI DIRETTI E MEZZADRI E COLONI.
1965
1966
1967
1968
1969
1970
ITALIA SETTENTR.
51,5
50,5
52,0
51,2
50,6
50,2
ITALIA CENTRALE
54,2
51,6
55,9
54,5
54,2
55,1
ITALIA MERIDION.
53,9
54,5
56,1
55,7
55,4
54,5
TOTALE ITALIA
52,7
52,0
54,0
53,7
52,9
52,6
ITALIA SETTENT.
45,6
45,4
45,5
45,1
45,0
44,9
ITALIA CENTRALE
51,5
48,5
48,4
48,4
48,4
48,1
ITALIA MERIDIONALE
47,0
47,2
47,5
47,4
47,5
47,1
TOTALE ITALIA
49,0
47,3
47,3
47,2
47,2
47,0
COLTIVATORI DIRET.
MEZZADRI E COLONI
Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE SU DATI SCAU
152
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 12
OCCUPAZIONE FEMMINILE DIPENDENTE IN AGR ICOLTURA
PER CIRCOSCRIZIONE TERRITORIALE SECONDO ISTAT e
SCAU e DIFFERENZE AL 1970
DIFFERENZA
SCAU
ISTAT
SCAU/ISTAT
VALORI ASSOLUTI IN MIGLIAIA
ITALIA SETTENTRIO.
153
59
94
ITALIA CENTRALE
71
18
53
ITALIA MEPIDION.
535
275
260
TOTALE ITALIA
759
352
407
(INCIDENZA % SU TOTALE M e F)
ITALIA SETTENTR.
39,1
23,0
ITALIA CENTRALE
38,4
14,1
ITALIA MERIDION.
46,2
32,5
TOTALE ITALIA
43,7
28,6
Fonti: ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICA DEL LAVORO
SCAU, “PREVIDENZA SOCIALE IN AGRICOLTURA”
153
Tav. 13
OCCUPAZIONE FEMMINILE PER SETTORE E PER
STATO CIVILE.
SETTORI
TOTALE OCCUPAZ.
NEL SETTORE
(MIGLIAIA)
DI CUI
SPOSATE
N°
AGRICOLTURA
1131
862
76,2
INDUSTRIA
1679
675
40,2
SERVIZI
2258
1.158
51,3
TOTALE
5068
2695
53,2
%
Fonte: ISTAT, ANNUARIO DI STATISTICA, DEL LAVORO 1971
154
TAV. 14 DISOCCUPAZIONE FEMMINILE IN ITALIA SECONDO ISTAT E MINISTERO DEL LAVORO
1959 1960
1961
a) ISTAT
(MIGLIAIA DI UNITA’) 301 232 222
b) MINISTERO DEL LAVORO
(MIGLIAIA DI UNITA’) 580 544
514
INCIDENZA % a/b
51,9 42,6 43,2
1962
1963
1064
1965 1966
1967 19661969
201
156
173
203
211
202
219 224
208
208
437
46,0
401
38,9
388
44,6
370
54,9
639
62,2
317
63,7
307 294
71,3 76,2
297
70,0
366
53,8
Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA-PUGLIESE SU DATI ISTAT E DEL MINISTERO DEL LAVORO
1970
1971 1972
ANNA MARIA CHIROLLI_______________________________________________________________________
Tav. 15SOTTOCCUPAZIONE FEMMINILE NEI VARI SETTORI DI ATTIVITA’
E SUA INCIDENZA SULL’OCCUPAZIONE FEMMINILE E SULLA
SOTTOCCUPAZIONE TOTALE NEGLI STESSI SETTORI.
1963
1966
1969
1972
72-73
AGRICOLTURA
SOTTOCCUPATE
(A)
70
64
84
82
OCCUPATE
(B)
1778
1397
1245
1024
INCIDENZA
%(A/B)
3,4
4,6
6,7
8,0
64,2
56,1
59,6
55,8
+ 12
- 754
INCIDENZA % DELLA
SOTTOCC. FEMM. SULLA
SOTTOCC. TOTALE (M+F)
INDUSTRIA
SOTTOCCUPATE
(A)
63
42
19
29
OCCUPATE
(B)
1813
1549
1634
1570
%
3,5
2,1
1,2
1,8
84,1
28,6
23,5
35,8
INCIDENZA A/B
- 34
- 243
INCIDENZA % DELLA
SOTTOCC. FEM. SULLA
SOTTOCC. TOTALE (M+F)
ALTRE ATTIVITA’
SOTTOCCUPATE
(A)
72
30
25
25
OCCUPATE
(B)
2084
2071
2147
2287
A/B
3,4
1,4
1,2
1,1
70,3
46,3
INCIDENZA %
- 47
+ 203
INCIDENZA % DELLA
SOTTOCC. FEMM. SULLA
SOTTOCC. TOTALE (M+F)
50,0
TOTALE
SOTTOCCUPATE
(A)
205
126
128
136
- 69
OCCUPATE
(B)
5675
50I7
5026
4881
- 794
3,6
2,5
2,5
58,9
43,3
46,4
INCIDENZA
% A/B
2,8
INCIDENZA % DELLA
SOTTOCC. FEM. SULLA
SOTTOCC. TOTALE (M+F)
51,1
Fonte: ELABORAZIONE MOTTURA — PUGLIESE SU DATI ISTAT
156
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 16
CONFRONTO TRA I DATI ISTAT CORRETTI SULL’OCCUPAZIONE PRESENTE E
I RISULTATI DELLE INDAGINI SULLE FORZE DI LAVORO CON RIGUARDO
ALL’OCCUPAZIONE (MIGLIAIA DI UNITA’).
AGRICOLTURA
INDUSTRIA
ALTRE ATTIVITÀ’
OCCU. OCCU. DIFF. OCCU. OCCU. DIFF. OCCU. OCCU. DIFF.
CORR. RILE.
CORR. RILE.
CORR. RILE.
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
6207
5810
5295
4967
4956
4660
4556
4247
4023
3683
3652
3335
TOTALE
OCCU.
OCCU. DIFF.
CORR.
RILE.
6207
- 7646
7646 6576
6319
257 20430
20172 258
5810
- 7810
7810
6591
6330
261 20211
19950 261
5295
- 7986
7986
6613
6349
264 19894
19630 264
4936 31 7996
7957 39
6885
6584
301 19848
19477 371
4898 58 7728
7659 89
6785
6446
339
I9469
I9003
466
4589 71 7621
7532 89
6876
6516 360 19157
10637 520
4480 76 7782
7692 90
7046
6674
372 19383
18818 537
4173 74 7890
7797 93
7210
6830
380 19347
18800 547
3951 72 8048
7955 93
7361
6705
656 19432
18611
821
361370 8209
8117 92 7565
6963
602
19457
18693
764
2588 64 8162
8154
8 7595
6903
692
19409
18645 764
3298 57 8017
8036 -19 7723
6997
726
19095
18331
Fonte. :ISTAT ELABORAZIONE FREY
157
764
Tav. 17
ISCRITTI ALLE LISTE DI COLLOCAMENTO IN ITALIA
DAL 1961 AL 1973 (MIGLIAIA DI UNITA’).
MF
I CLASSE
F
II CLASSE
MF
F
III CLASSE
F
TOTALE
MF
F
1961
997
293
410
130
58
1608
514
1962
855
274
308
98
41
1311
437
1963
784
253
285
90
36
1197
401
1964
805
248
282
90
30
1204
388
1965
922
247
258
81
23
1286
370
1966
875
228
240
73
20
1209
339
1967
800
216
224
69
18
1106
317
1968
736
205
225
70
16
1048
307
1969
665
194
222
70
16
964
294
1970
667
196
221
72
16
961
297
1971
779
240
259
93
20
1120
366
1972
771
241
274
102
23
1134
379
1973
717
232
286
110
29
1093
383
Fonte: DATI DEL MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA
SOCIALE RIPORTATI IN ISTAT, ANNUARI DI STATISTICHE
DEL LAVORO.
____________________________OCCUPAZIONE, SOTTOCCUPAZIONE DISOCCUPAZIONE FEMMINILE…
Tav. 18
STIME SULLA SOTTOCCUPAZIONE IMPLICITA FEMMINILE
IN MIGLIAIA DI UNITA’.
INDUSTR.
COMMERCIO SERVIZI
AGRICOLTU. MANIFAT.
1961
TOTALE
VARI
470
200
190
1965
1000
480
240
205
1925
1969
830
495
270
176
1771
1971
730
486
320
185
1721
1973
725
500
340
195
1760
Fonte: FREY, ANALISI ECONOMICA.......op. cit.
159
la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale
Direttore responsabile: m 0 Mario Taronna
Redazione: dott. Luigi Mancino
Tipografia Laurenziana - Napoli - Via Tribunali, 316
Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963
Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150
Tipografia Laurenziana — Napoli — Ottobre 1983
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Parte II (file pdf - Kb. 982) - Biblioteca Provinciale di Foggia La