UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI
“M.FANNO”
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE
TESI DI LAUREA
Corporate Governance e Impression Management nella comunicazione
ambientale delle società quotate americane del settore Oil & Gas:
un’analisi empirica
RELATORE:
CH.MO PROF. SAVERIO BOZZOLAN
LAUREANDA: PAOLA BORDIGNON
MATRICOLA N.: 1012900
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
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Sommario
Introduzione .............................................................................................................................. 5
CAPITOLO 1 ............................................................................................................................ 9
1.1 Responsabilità sociale, teoria della legittimità e reputazione ........................................... 9
1.2 Evoluzione del concetto di Corporate Social Responsibility (CSR) .............................. 18
1.3 La rendicontazione socio-ambientale ............................................................................. 25
1.4 Fattori che influenzano la rendicontazione socio-ambientale ......................................... 33
1.5 L’utilizzo della CSR come strumento di Impression Management ................................ 38
1.5.1 Prospettive sull’Impression Management ................................................................ 39
1.5.2 Strategie di Impression Management ....................................................................... 47
CAPITOLO 2 .......................................................................................................................... 50
2.1 Introduzione all’analisi empirica .................................................................................... 51
2.2 Sviluppo delle ipotesi...................................................................................................... 53
2.3 Selezione del campione .................................................................................................. 56
2.4 Metodologia e misurazione delle variabili...................................................................... 58
2.4.1 Variabili dipendenti .................................................................................................. 60
2.4.2 Variabili indipendenti............................................................................................... 63
2.4.3 Variabili di controllo ................................................................................................ 72
2.5 Analisi empirica .............................................................................................................. 73
2.5.1 Analisi descrittive..................................................................................................... 73
2.5.2 Analisi multivariata .................................................................................................. 78
2.6 Conclusioni ..................................................................................................................... 88
Bibliografia .............................................................................................................................. 91
Siti web .................................................................................................................................... 97
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Introduzione
Negli ultimi anni le preoccupazioni riguardo la sostenibilità e la responsabilità sociale delle
imprese sono diventate un tema rilevante in molti settori e Paesi: la globalizzazione, infatti,
ha imposto nuovi confini di competizione alimentando il dibattito sulle tematiche sociali e
ambientali. L’opinione pubblica pone sempre più attenzione alla condotta delle imprese e alle
azioni di sviluppo sostenibile implementate, dimostrando una preferenza verso i
comportamenti più etici e socialmente responsabili. La Responsabilità Sociale d’Impresa (o
Corporate Social Responsibility - CSR) fa riferimento alle particolari attività di business che
mirano a raggiungere la sostenibilità economica, sociale e ambientale (Jenkins e Yakovleva,
2006). Mentre un tempo queste pratiche venivano percepite dalle imprese come il
soddisfacimento di un mero obbligo morale, le stesse sono oggi diventate un potenziale
mezzo per l’accrescimento del valore del business, da integrare nella strategia per promuovere
l’innovazione e l’apprendimento (KPMG, 2011). Le imprese si affidano sempre di più alla
comunicazione volontaria e, in particolare, a quella socio-ambientale per soddisfare la
richiesta di maggiore trasparenza e responsabilità da parte degli stakeholder (Rupley, Brown e
Marshall, 2012). Le azioni dell’organizzazione devono essere percepite come coerenti e
appropriate ai sistemi normativi della società, affinché la legittimità sia pienamente
riconosciuta; tuttavia tale legittimità è compromessa ogni qual volta si verifichi una
discrepanza tra i valori della società e la condotta dell’impresa (Haniffa e Cooke, 2005). La
manipolazione della comunicazione socio-ambientale è efficace sia come strumento difensivo
per riparare a una percepita perdita di legittimità, sia come strumento proattivo per alterare
volontariamente la percezione degli stakeholder riguardo a uno specifico avvenimento
(Haniffa e Cooke, 2005).
La maggior parte della comunicazione socio-ambientale è di natura volontaria, pertanto le
decisioni finali sul se, quanto e cosa divulgare spettano al top management. I meccanismi di
corporate governance e in particolare il Consiglio di Amministrazione, svolgono l’importante
funzione di controllo sull’operato dei manager e permettono di salvaguardare gli interessi non
solo degli azionisti, ma anche degli stakeholder. I board agiscono infatti come spartiacque tra
l’impresa e l’ambiente esterno e sono in grado di promuovere la legittimità sviluppando
proficue relazioni con gli stakeholder stessi (Michelon e Parbonetti, 2012). Le politiche di
rendicontazione socio-ambientale vengono dunque influenzate dalle caratteristiche, dalla
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composizione, dalla struttura e dalla leadership del Consiglio di Amministrazione e la qualità
e la forza del board possono essere buoni indicatori della qualità della comunicazione
dell’impresa. Il consiglio di amministrazione, in quanto organo di governo dell’impresa, può
far uso, tra gli altri strumenti, della diffusione di informazioni per ridurre l’asimmetria
informativa nel tentativo di prevenire eventuali comportamenti opportunistici del management
atti all’alterazione della percezione dell’immagine pubblica dell’impresa (Frias-Aceituno,
Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012). L’influenza delle caratteristiche di corporate
governance sulla quantità della disclosure socio-ambientale è ampiamente documentata nella
letteratura precedente, tuttavia non è ancora stata adeguatamente approfondita l’influenza
sulla qualità della comunicazione. Di particolare rilievo è l’effetto sul tono verbale,
fondamentale al trasferimento di un sentimento al destinatario che va oltre al significato
letterario delle parole e al loro contenuto semantico (Cho, Roberts e Patten, 2010).
L’obiettivo di questa tesi è quello di verificare l’esistenza di una relazione tra l’utilizzo del
tono verbale come strategia di Impression Management e il ruolo del Consiglio di
Amministrazione come meccanismo di governo dell’impresa. Seguendo il lavoro di Cho,
Roberts e Patten (2010) si indagherà la relazione tra l’ottimismo e la certezza (che misurano il
tono verbale) e i due ruoli del Consiglio di Amministrazione, individuati da Hillman e Dalziel
(2003): il ruolo di monitoraggio e il ruolo di acquisizione delle risorse, basati rispettivamente
l’uno sulla teoria dell’agenzia e l’altro sulla teoria della dipendenza dalle risorse. Per
verificare tale relazione è stata analizzata la comunicazione ambientale (form 10-k e
comunicati stampa) di un campione di 107 società quotate americane appartenenti al settore
Oil & Gas dall’anno 2008 all’anno 2010. Attraverso il software per l’analisi di contenuto
DICTION 5.0 è stato stimato il valore delle variabili ottimismo e certezza e con un’analisi
multivariata è stata studiata la significatività delle relazioni di tali variabili con quelle
selezionate come proxy per i due ruoli del Consiglio di Amministrazione.
I risultati ottenuti suggeriscono che il ruolo che ha un effettivo impatto sul tono della
comunicazione ambientale è quello legato all’acquisizione delle risorse. Tale ruolo
rappresenta, infatti, l’abilità del Consiglio di soddisfare gli interessi del più ampio gruppo
degli stakeholder. Al contrario, il ruolo di monitoraggio non sembra avere un’influenza
rilevante sul tono della comunicazione ambientale.
Questo studio contribuisce alla letteratura precedente, apportando ulteriori elementi all’ancora
acerbo dibattito sull’impatto della corporate governance sulla qualità della disclosure socio6
ambientale. L’utilizzo di una prospettiva combinata tra la teoria dell’agenzia e quella della
dipendenza dalle risorse, consente, inoltre, di riconoscere pienamente il doppio ruolo del
Consiglio di Amministrazione, sia di controllo del management che dell’acquisizione delle
risorse fondamentali al buon funzionamento dell’organizzazione. Inoltre il seguente lavoro
fornisce evidenze empiriche sulle variabili che hanno un reale impatto sul tono della
comunicazione ambientale e permette dunque di conoscere quali aspetti di corporate
governance sono più efficaci per limitare il ricorso da parte del management a strategie e
tecniche di Impression Management, quale la manipolazione del tono verbale.
La tesi è organizzata in due capitoli: nel primo capitolo è introdotto il tema della
responsabilità sociale d’impresa (par. 1.1 e par. 1.2) e della rendicontazione socio-ambientale
(par. 1.3 e 1.4) e viene approfondito l’utilizzo della corporate social responsibility come
strumento di Impression Management (par. 1.5); il secondo capitolo presenta l’analisi
empirica condotta (par. 2.5), preceduta da una breve introduzione (par. 2.1), dalla
specificazione delle ipotesi (par. 2.2), dalla selezione del campione (par. 2.3) e dalla
metodologia e misurazione delle variabili oggetto di studio (par. 2.4).
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CAPITOLO 1
1.1 Responsabilità sociale, teoria della legittimità e reputazione
La Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate Social Responsibility - CSR) fa riferimento
alle particolari attività di business che mirano a raggiungere la sostenibilità economica,
sociale e ambientale (Jenkins e Yakovleva, 2006). Mentre un tempo queste pratiche venivano
percepite dalle imprese come il soddisfacimento di un mero obbligo morale, le stesse sono
oggi diventate un potenziale mezzo per l’accrescimento del valore del business, da integrare
nella strategia per promuovere l’innovazione e l’apprendimento. In particolare, il reporting
delle attività sociali, permette non solo di mantenere la propria posizione competitiva nel
contesto di riferimento, ma anche di ottenere un miglioramento nella comprensione
dell’impatto di queste nelle diverse aree di business, sia in termini di riduzione dei costi, che
nell’identificazione di nuove opportunità per l’impresa (KPMG, 2011).
Negli ultimi anni le preoccupazioni riguardo la sostenibilità e la responsabilità sociale delle
imprese sono diventate un tema rilevante in molti settori e Paesi: la globalizzazione, infatti,
ha imposto nuovi confini di competizione alimentando di fatto il dibattito sulle tematiche
sociali ed ambientali. L’opinione pubblica ha posto notevole attenzione verso la condotta
delle imprese e le loro azioni di sviluppo sostenibile, mostrandosi sempre più informata verso
i comportamenti etici e socialmente responsabili. Pertanto, le organizzazioni operanti in
mercati industrializzati ed esposti alla globalizzazione, stanno acquisendo sempre più
coscienza dell’importanza di perseguire, accanto agli obiettivi di economicità, attività e
politiche di protezione dell’ambiente sociale e naturale nel quale agiscono quotidianamente.
Assumere un comportamento di tipo proattivo, attraverso il progresso tecnologico e il lancio
di prodotti compatibili con l’ambiente, permette quindi all’impresa di ottenere un vantaggio
competitivo nei confronti dei competitor. Cogliere i cambiamenti dell’ambiente di
riferimento, anticiparli e, con scelte di governo e di gestione ad hoc, orientarli a proprio
favore è essenziale per la sopravvivenza dell’organizzazione che opera in un contesto ad
elevata competitività.
La CSR trae origine dalla consapevolezza che l’impresa deve realizzare uno sviluppo
sostenibile, inteso come sviluppo economico in senso ampio, dove, oltre a generare valore per
gli azionisti si riesca a conservare in modo duraturo il capitale ambientale, sociale e umano.
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La sostenibilità aziendale implica dunque che i servizi e i prodotti offerti non debbano
competere sul mercato solo in termini di immagine aziendale e velocità di disponibilità, ma
anche sulla base del minor impatto ambientale possibile in termini di risparmio energetico,
diminuzione dei costi di distribuzione, dell’inquinamento atmosferico e di altri tipi di danni
ambientali. In tal senso risulta indispensabile considerare e implementare il triple bottom up
approach, uno schema adatto a misurare e registrare le prestazioni aziendali sotto il profilo
economico, sociale ed ambientale. Secondo tale approccio le imprese devono sviluppare
investimenti sostenibili e decisioni societarie partendo dalla base (bottom), perseguendo
contemporaneamente tre diversi obiettivi (triple line): l’equità sociale, la qualità ambientale e
la prosperità economica diffusa. La globalizzazione e la crescente esposizione mediatica
portano alla costante messa in discussione della legittimità delle organizzazioni e, dunque,
alla continua rinegoziazione del contratto sociale con i propri stakeholder e con la società in
generale. L’acquisizione e il mantenimento della legittimità è strettamente connesso allo
sviluppo di pratiche di Corporate Social Responsibility. Attraverso tali pratiche le imprese
comunicano alla società il proprio impegno nel perseguire obiettivi non solo economici, ma
anche sociali ed ambientali: tra gli altri, la rendicontazione socio-ambientale è uno degli
strumenti di CSR più efficaci a disposizione delle organizzazioni per il rinnovamento e
l’accrescimento della legittimità.
La letteratura in tema di rendicontazione socio-ambientale può ricondursi a tre principali
gruppi di teorie: decision-usefulness studies, economic theory studies e social political theory
studies. Secondo l’approccio decision-usefulness i contenuti dei report e la loro
comunicazione dipendono dalla percezione che i manager hanno dei bisogni dei destinatari: le
informazioni possono essere classificate in base all’importanza percepita (ranking studies)
oppure essere indagate alla luce della reazione dei partecipanti al mercato azionario (the
investigation of information effect on share price behaviour). Nonostante questa teoria abbia
posto in evidenza, nella comunicazione aziendale, fattori non economico-finanziari, essa è
stata criticata per la rilevanza attribuita ai soli aspetti che impattano sul comportamento
finanziario. Anche le teorie appartenenti al filone economic theory studies (economic agency
theory e positive accounting theory) sembrano non chiarire adeguatamente le ragioni alla
base della rendicontazione socio-ambientale: in particolare appare empiricamente
inverosimile l’idea che tutte le azioni siano motivate da una forma di degradante egoismo. Più
approfondite e condivise, invece, le teorie appartenenti ai social and political theory studies
comprendenti: stakeholder theory, legitimacy theory perspectives, contingency theory e
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political economy. La political economy, introdotta da Jackson nel 1982, sancisce
l’impossibilità di studiare il dominio economico isolatamente dal contesto politico, sociale e
istituzionale nell’ambito del quale si svolge l’attività economica. In linea con questa
prospettiva è il pensiero sottostante la stakeholder theory (Freeman, 1984), che si allontana
dalle teorie tradizionali (che vedono la massimizzazione del profitto come fine ultimo
dell’impresa) e afferma la necessità di soddisfare le esigenze di tutti gli stakeholder al fine di
cogliere le complesse interazioni impresa-ambiente. La legitimacy theory, definita da
Dowling e Pfeffer nel 1975, è fondata sull’idea che tra le organizzazioni e la comunità
sussistano dei “contratti sociali” impliciti, secondo i quali le imprese devono impegnarsi
costantemente nel garantire alla comunità che le loro attività rientrino nei limiti delle norme
socialmente riconosciute e, in tal modo, conquistare il così detto “stato di legittimità”. Infine,
la contingency theory (Chandler, 1962) sostiene che le organizzazioni debbano affrontare le
contingenze esterne adeguando le proprie strutture e i propri sistemi. Le teorie socio-politiche
sono spesso complementari, benché intendano la comunicazione sociale in modo diverso:
come mezzo di dialogo tra l’impresa e gli stakeholder (stakeholder theory), come strumento
per perseguire e gestire la legittimità sociale (legitimacy theory), come mezzo di influenza
della performance economica, se capace di adattarsi alle condizioni imposte dall’ambiente
esterno (contingency theory).
La legitimacy theory è il quadro teorico di riferimento più utilizzato nell’indagare il
comportamento socio-ambientale delle organizzazioni in materia di rendicontazione. Le
norme della società sono in evoluzione, pertanto le organizzazioni devono continuamente
dimostrare di comportarsi come “buoni cittadini” e che le proprie azioni siano legittime: un
modo per farlo è proprio quello di comunicare le informazioni socio ambientali attraverso
report chiari e affidabili (Hooghiemstra, 2000). Secondo questa teoria, le imprese sono
integrate in un più ampio sistema sociale, dal quale dipendono in quanto non dotate di risorse
intrinseche e dunque incapaci di vivere autonomamente. Secondo un approccio strategico la
legittimità diviene così una risorsa da cui dipende la sopravvivenza dell’organizzazione e i
manager possono intervenire al fine di garantirne l’approvvigionamento continuo (resource
dependance theory). L’approccio istituzionalista, invece, vede la legittimità come un insieme
di vincoli esterni ai quali l’impresa deve sottostare all’interno del proprio ambiente
istituzionale. Per un’organizzazione, dunque, essere considerata legittima significa attrarre
con più facilità risorse economiche e ottenere il supporto sociale e politico necessario a
perseguire con successo la propria attività. Tuttavia, acquisire e mantenere la legittimità
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risulta difficoltoso per la maggioranza delle imprese, indipendentemente dal supporto sociale
già accordato in precedenza (Ogden e Clarke, 2005). Occorre pertanto intraprendere delle
azioni specifiche al fine di accrescere la legittimità e, nello stesso tempo, occorre renderle
note alla società. Le azioni che un’impresa può compiere sono molte e diversi autori hanno
cercato di raggrupparle in categorie. Quelle individuate da Dowling e Pfeffer nel 1975
(Cormier et al. 2004, pg. 144) sono: (1) l’impresa può adattare i propri output, obiettivi e
operazioni alle definizioni di legittimità prevalenti nella società in cui opera; (2) l’impresa può
tentare di alterare, attraverso la comunicazione, la definizione di legittimità sociale al fine di
farla aderire ai propri output, obiettivi e operazioni attuali; (3) l’impresa può tentare, sempre
attraverso la comunicazione, di identificarsi con simboli, valori o istituzioni considerati dalla
società fortemente legittimi. Due di queste tre categorie enfatizzano il ruolo della
comunicazione come mezzo per raggiungere la legittimità ed è per questo che la
rendicontazione socio-ambientale assume un’importanza rilevante per l’impresa (Cormier et
al., 2004). I manager hanno il compito fondamentale di comunicare con i diversi gruppi di
stakeholder per raggiungere o proteggere la legittimità acquisita, cercando di soddisfare
contemporaneamente le diverse esigenze di ciascuno(Ogden e Clarke, 2005). Identificare gli
stakeholder chiave e determinare il tipo di influenza esercitata è importante per mantenere le
promesse del contratto sociale che lega l’impresa con la società di riferimento. Nel loro studio
Cormier, Gordon e Magnan (2004) hanno individuato i sei gruppi di stakeholder più
probabilmente coinvolti nei risultati della performance socio-ambientale dell’impresa: gli
investitori, i creditori, i fornitori, i clienti, le istituzioni governative e il pubblico. Qualora
l’impresa agisse irresponsabilmente rispetto all’ambiente, gli azionisti rischierebbero di
perdere il proprio investimento, i creditori potrebbero decidere di revocare il prestito
concesso, i fornitori e i clienti scegliere di non fare più riferimento all’organizzazione,
interrompendo così la catena del valore. Le istituzioni governative stabiliscono norme e leggi
per regolamentare questioni socio-ambientali ed, infine, nel pubblico, sono compresi tutti
quegli stakeholder interessati alla gestione e all’utilizzo delle risorse scarse compiuto
dall’organizzazione. La rilevanza attribuita a ciascuno di questi stakeholder (che dipende dalla
percezione dei manager) influenza sia il livello che la qualità della rendicontazione socioambientale e, di conseguenza, la legittimità dell’impresa all’interno della società: se la
disclosure annuncia il mancato rispetto del contratto sociale, allora la società potrà reagire
negativamente e gli stakeholder potranno rivalutare la propria relazione con l’organizzazione
(Comier et al., 2004). Alla base del concetto di legittimità si trova dunque quello di
percezione (Aerts e Cormier, 2009). Il modo nel quale le organizzazioni si presentano alla
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società (corporate identity) può influenzare la percezione che la società stessa ha
dell’organizzazione (corporate image), ma vale anche il viceversa: tra le due realtà sussiste
infatti una relazione a doppio senso (Hooghiemstra, 2000). La percezione della legittimità
socio-ambientale può essere determinata anche dalla credibilità che l’impresa ha sviluppato
nel tempo o di cui il settore di appartenenza beneficia. La legittimità del settore può avere,
infatti, un impatto significativo sulla credibilità ex ante di qualsiasi atto di comunicazione
socio-ambientale prodotto dall’impresa. Nel contesto della comunicazione, la credibilità è
riferita alla congruenza tra ciò che viene asserito dalla fonte informativa e gli effettivi atti ed
eventi corrispondenti: la credibilità del messaggio dipende dalla percezione di competenza
della fonte, dal comportamento attuale o atteso dell’impresa e dalle caratteristiche intrinseche
del messaggio stesso (Aerts e Cormier, 2009).
Difendere l’organizzazione da minacce di legittimità diviene fondamentale per la
sopravvivenza aziendale e un modo per farlo è guadagnare e mantenere una solida
reputazione nell’ambiente di riferimento. Una reputazione positiva rappresenta per l’impresa
uno degli asset più di valore di cui poter disporre, in quanto strettamente connessa a un
incremento del ritorno finanziario: sviluppare una buona reputazione richiede tempo e
adeguati investimenti, perciò essa è difficilmente imitabile dai competitor e dunque fonte di
vantaggio competitivo (Peloza, 2005). Accanto a questa prospettiva strategica, che vede
appunto la reputazione come un asset intangibile che crea valore, si affianca
un’interpretazione di tipo sociologico: Brown definisce la reputazione come “l’insieme delle
associazioni aziendali che gli individui al di fuori dell’organizzazione credono essere centrali,
durature e distintive all’organizzazione stessa”(Nikolaeva e Bicho 2011, pg. 143). Legittimità
e reputazione sono spesso considerati due concetti sovrapposti, soprattutto a causa delle
variabili a cui fanno riferimento (dimensione, performance finanziaria e posizione strategica)
e del loro parallelo utilizzo nella valutazione aziendale da parte degli stakeholder. Tuttavia, in
tema di rendicontazione socio-ambientale, la reputazione sembra essere, nello stesso tempo,
sia effetto che driver della disclosure. Secondo Bebbington la reputazione è costruita sulla
base di cinque elementi: (1) performance finanziaria; (2) qualità del management; (3)
performance socio-ambientale; (4) qualità dei dipendenti; (5) qualità dei beni e servizi
(Michelon 2007, pg. 9); tali elementi si riconducono alle tre dimensioni della sostenibilità:
performance finanziaria, sociale ed ambientale. Ci si attende dunque che le imprese con una
forte reputazione presentino una maggiore rendicontazione socio-ambientale. Nella sua
ricerca, Michelon (2007) ha dimostrato l’esistenza di una relazione tra reputazione e
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disclosure: in particolare, secondo l’autrice, le imprese con una forte reputazione forniscono
agli stakeholder un ammontare maggiore di rendicontazione socio-ambientale rispetto alle
altre imprese, probabilmente al fine di mantenere la reputazione acquisita e la propria
legittimità ad operare.
La recente adozione degli standard GRI nella rendicontazione socio-ambientale delle imprese,
fornisce un esempio del legame tra corporate identity, legittimità e reputazione. Ogni
organizzazione raggruppa dentro di sé diverse identità sociali, ciascuna delle quali associata
ad un particolare set normativo. Un’impresa può dunque provare la propria appartenenza ad
una specifica categoria sociale, aderendo agli standard di responsabilità sociale previsti dalla
categoria stessa. Poiché i GRI rappresentano lo standard di riferimento attuale, aderirvi
significa rivendicare la propria appartenenza alla categoria “responsabilità in materia CSR”,
incrementando così il quoziente di legittimità e, mettendo in luce le proprie attività di CSR
all’interno del report, aumentare la reputazione dell’organizzazione (Nikolaeva e Bicho,
2011).
Godere di una buona reputazione può talvolta rivelarsi controproducente. Le organizzazioni
impegnate in attività di CSR attraggono, infatti, l’attenzione degli attivisti, i quali cercano
obiettivi ad elevato impatto mediatico per catalizzare la maggiore attenzione possibile sui
temi socio-ambientali di cui si fanno portavoce. Un’eventuale violazione del comportamento
pro-sociale di un’impresa ad elevato status suscita un’indignazione tra l’opinione pubblica
maggiore rispetto a quella di un’impresa con una reputazione meno affermata. In più, la
comunicazione di risultati positivi in tema socio-ambientale può essere travisata come
tentativo di greenwashing da parte dell’organizzazione.
Secondo alcuni manager, costruire una reputazione complessivamente positiva è un metodo
per evitare di diventare futuro bersaglio dell’azione degli attivisti, proteggendo così
l’organizzazione dalle conseguenti critiche da parte dei propri stakeholder. Secondo questa
prospettiva, che viene detta “reputational halo effect”, le imprese che adottano pratiche di
CSR segnalano alla società il proprio impegno nel sociale, producendo una sorta di protezione
assicurativa dai possibili attacchi degli attivisti. Quest’ultimi, infatti, saranno più propensi a
concedere il beneficio del dubbio o a ricercare un dialogo privato con l’organizzazione
qualora un fatto negativo dovesse minare la buona reputazione acquisita. In più, consci della
buona condotta dell’impresa, è probabile che abbassino il livello di monitoraggio della sua
performance socio-ambientale. Questo “effetto alone” aiuta l’impresa ad evitare critiche e
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attenzioni negative indesiderate. L’effetto si intensifica se l’organizzazione occupa le
posizioni più alte di una classifica del grado di reputazione (ad esempio il Fortune’s
reputation index), in quanto gli stakeholder associano la qualità e il valore riconosciuto
all’impresa al suo comportamento, distogliendo l’attenzione dalla performance effettiva. La
costruzione della reputazione attraverso le pratiche di CSR, vista secondo la prospettiva degli
attivisti, potrebbe tuttavia portare a un effetto opposto (“reputational liability effect”). Se
l’obiettivo degli attivisti è quello di individuare le tattiche più efficaci per attirare l’attenzione
del pubblico, allora le organizzazioni a maggiore visibilità saranno le prescelte per veicolare i
messaggi di protesta. Le imprese, dichiarando pubblicamente il proprio impegno in campo
socio-ambientale, si mettono in luce tra i consumatori e gli investitori, esponendosi
all’attenzione degli attivisti. Lo sviluppo di una buona reputazione è dunque associato ad un
maggiore rispetto delle norme sociali e di conseguenza un’eventuale violazione delle stesse
può provocare una maggiore indignazione e penalizzazione attraverso proteste e boicottaggi.
La visibilità ottenuta si traduce in una minaccia reputazionale: la vulnerabilità all’attento
scrutinio degli attivisti accresce il potenziale sviluppo di contraddizioni interne
all’organizzazione che potrebbero generare malcontento tra gli stakeholder (King e
McDonnell, 2012). Nel loro studio, King e McDonnel, suggeriscono che le pratiche di CSR,
piuttosto di fornire un’assicurazione contro le future accuse degli attivisti, rendono le
organizzazioni dei bersagli più allettanti. L’impatto sociale derivante dall’azione degli attivisti
è complessivamente positivo. Una volta che l’impresa ha acquisito una buona reputazione è,
infatti, obbligata a mantenerla; dopo essere stata boicottata sarà incentivata ad aumentare le
risorse dedicate alle pratiche di CSR per rinnovare la propria immagine dando avvio ad un
circolo vizioso: la reputazione riacquisita (ottenuta a seguito dell’incremento delle attività di
CSR post-boicottaggio) riporterà l’impresa sotto la mira degli attivisti, promuovendo il
rinnovamento dell’impegno sociale. Il rischio che si incorre nel considerare solo le
organizzazioni con elevata reputazione è, però, quello di non soffermarsi sulle altre, le quali
non saranno stimolate ad adottare pratiche di CSR e potranno deviare dalla norme sociali e
morali assumendo un comportamento irresponsabile.
Un altro motivo per il quale i manager esitano a promuovere il loro comportamento
responsabile e alimentare quindi una buona reputazione, è la potenziale accusa di
greenwashing da parte degli attivisti. Con l’avvento della globalizzazione la sensibilità degli
individui alle questioni ambientali è cresciuta notevolmente e, di conseguenza, le imprese
sono costantemente monitorate per assicurare che l’impegno nei confronti dell’ambiente sia
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rispettato. Un contributo alla diffusione dell’informazione sui progressi delle organizzazioni
riguardanti la sostenibilità è quello di Terrachoice, un’agenzia di marketing americana che
dal 2007 pubblica un report sui “7 peccati capitali del greenwashing”. La ricerca ha l’obiettivo
di individuare e stimare l’ammontare e il tipo delle dichiarazioni false e ingannevoli che
caratterizzano certi prodotti dichiarati green nel mercato. I prodotti analizzati sono oltre 5000
e provengono dai punti di vendita di Canada e Stati Uniti. L’ultimo report (2010) ha
constatato l’aumento dei prodotti green (ora al 73%) e la leggera diminuzione del fenomeno
del greenwashing. Nonostante il 95% dei prodotti abbia commesso almeno uno dei sette
peccati capitali, la percentuale dei prodotti “senza peccato” è passata dal 1% del 2007 al 4,5%
del 2010. Inoltre, le imprese accrescendo la propria esperienza nella salvaguardia
dell’ambiente producono prodotti con certificazioni di idoneità più affidabili e riducono il
greenwashing (Terrachoice, 2010). I sette peccati capitali individuati sono i seguenti:
 peccato di omessa informazione (hidden trade-off). Si commette sostenendo che un
prodotto sia green basandosi su un ristretto insieme di caratteristiche senza prestare
attenzione ad altre importanti questioni ambientali;
 peccato di mancanza di prove (no proof). Si commette ogni volta che si afferma la
natura green di un prodotto senza avere dati o informazioni facilmente verificabili
oppure senza una certificazione esterna;
 peccato di vaghezza (vagueness). Si commette quando le affermazioni sono così
generiche e imprecise da renderne incomprensibile il significato al consumatore;
 peccato di adorazione di false etichette (worshiping false labels). Si commette creando
una falsa impressione del prodotto attraverso l’utilizzo di parole, immagini o simboli
che lascino intendere un appoggio di terzi (ad esempio una certificazione) che in realtà
non esiste;
 peccato di irrilevanza (irrilevance). Si commette comunicando informazioni sì
veritiere, ma irrilevanti per l’effettiva selezione di prodotti green;
 peccato del minore dei due mali (lesser of two devils). Si commette quando le
informazioni comunicate sono veritiere all’interno di una specifica categoria di
prodotti, ma distolgono di fatto l’attenzione del consumatore dal più grande impatto
ambientale che la categoria ha nel suo insieme;
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 peccato del raccontare frottole (fibbing). Si commette trasferendo informazioni false al
consumatore.
Il report mette in luce come il greenwashing stia evolvendo nel corso del tempo. Per esempio,
il peccato di omessa informazione è diminuito drasticamente dal 2009 (71,3% di tutti i
prodotti) al 2010 (27,4%); quello della mancanza di prove è invece aumentato dal 56,4% al
70,1%; il peccato dell’adorazione di false etichette è anch’esso aumentato passando dal 23,3%
al 30,9%. In figura 1 sono rappresentati i sette capitali e la loro percentuale di ricorrenza nei
tre anni di redazione del report, 2007, 2009 e 2010.
Fig. 1: I sette peccati capitali del greenwashing, Terrachoice (2010).
Lyon e Maxwell (2011, pg.5) definiscono il greenwashing come “la disclosure selettiva di
informazioni positive, e la non completa rivelazione di quelle negative, sulla performance
socio-ambientale dell’impresa allo scopo di creare una corporate image eccessivamente
positiva”. Se un’organizzazione sceglie strategicamente di comunicare solo le informazioni
ambientali legate a performance positive, gli attivisti potrebbero notarlo e, di conseguenza,
penalizzare l’impresa criticandone l’ipocrisia sottesa. Lyon e Maxwell hanno ripreso questo
concetto e hanno sviluppato un modello che ha fornito il seguente risultato: sotto la pressione
degli attivisti, le imprese che più probabilmente ricorrono alla disclosure selettiva sono quelle
con una probabilità intermedia di produrre risultati socio-ambientali positivi. Per tali
organizzazioni, infatti, comunicare un successo può migliorare la percezione dell’impresa tra
il pubblico e trattenere informazioni negative può prevenire la formazione di giudizi
17
sfavorevoli nei suoi confronti, pertanto esse saranno incentivate ad operare una disclosure
parziale nonostante il rischio di ripercussioni a livello pubblico. Gli autori hanno dimostrato
che esiste una relazione non monotona tra la performance ambientale attesa dell’impresa e la
sua rendicontazione ambientale: sono le imprese top performer quelle che, in caso di risultati
non propriamente positivi, più probabilmente adotteranno una strategia di omissione di
informazioni. La valutazione della comunicazione ambientale da parte degli attivisti indurrà
ad una maggiore apertura e trasparenza quelle imprese più consce del proprio impatto sociale,
mentre potrebbe produrre un effetto opposto tra le imprese con risultati più positivi. Pertanto,
se l’obiettivo degli attivisti è quello di incrementare il livello e la qualità della disclosure, è
bene prestare molta attenzione nella selezione delle organizzazioni da scrutinare, per evitare
che la minaccia di una ripercussione pubblica porti le imprese a “tenere la bocca chiusa”
piuttosto che ad incrementare la trasparenza (Lyon e Maxwell, 2011).
1.2 Evoluzione del concetto di Corporate Social Responsibility (CSR)
Le pratiche di Corporate Social Responsibility (CSR) sono fondamentali per la definizione del
sentiero di comportamento che porta al raggiungimento della legittimità dell’impresa
all’interno della società di riferimento. Le prime riflessioni sulla CSR nascono dalla pressione
sociale verso il costituirsi di un’etica nella vita economica. Inizialmente l’attenzione degli
studiosi si è soffermata per lo più sulla responsabilità degli uomini d’affari piuttosto che
dell’impresa in quanto tale e si dovranno attendere gli anni ’60 per l’affermazione definitiva
del termine. Attraverso il contributo di Zarri (2009) s’intende fornire una breve rassegna dei
passaggi salienti dell’evoluzione del concetto di CSR nel tempo.
L’apertura del dibattito sul miglioramento delle condizioni abitative, di salute e sicurezza
previdenziale dei lavoratori inizia già in America a partire dagli anni ‘20 , quando
organizzazioni sindacali e altre autorità morali esercitarono forme di pressione democratica
nei confronti degli uomini d’affari. I tentativi di reinterpretazione della natura degli obblighi
aziendali da parte di alcuni industriali attraverso azioni di tipo filantropico, si arrestarono con
l’avvento della Grande Depressione, ma i primi studi teorici (Berle e Means, 1932)
cominciarono a svilupparsi nuovamente a partire dagli anni ’30. In seguito alla Grande
Depressione, gli uomini d’affari si trovarono ad affrontare le tensioni sociali ed economiche
in atto, spinti dall’esigenza pressante di trovare nuove forme di legittimazione alla propria
professione dopo la caduta del mito americano dell’uomo d’affari come eroe sociale. Essi
tentarono dunque di dimostrare che l’impresa rappresentava l’istituzione economica più
18
idonea a servire la società (“in quanto proprio nel servizio alla società risiederebbe la sua
ragion d’essere”) e che appartenevano ad un movimento unitario di professionisti (in risposta
alla costituzione di un movimento unitario dei lavoratori). Da qui il tentativo di affermare la
moralità dell’impresa in quanto cellula di un sistema più complesso, alla cui conservazione
occorre contribuire. È Bowen, nel 1953, a fornire la prima definizione di responsabilità
sociale degli uomini d’affari, riconducendo ai businessman l’obbligo di perseguire politiche in
linea ai valori dell’intera società (e non solo rispetto all’utilità propria o a quella degli
azionisti).
Nel 1960 con la celebre “iron law of responsibility”, Davis afferma l’indissolubilità del
legame tra potere e responsabilità sostenendo che, poiché una mancata assunzione di
responsabilità da parte dell’impresa darebbe campo libero a sindacati e governi per porre
limiti e vincoli al potere, l’unico modo per mantenere un certo grado di libertà è divenire
attori attivi e propositivi anche in ambito sociale. Qualche anno più tardi (1966) l’autore
teorizza l’esistenza di un legame univoco tra ambiente sociale e business, dove quest’ultimo è
chiamato a rispondere in modo creativo alle domande poste dall’ambiente per poterlo
influenzare attivamente.
Il pensiero sulla CSR inizia a diversificarsi durante gli anni ’70 quando, contestualmente alla
teoria neoclassica di Friedman (secondo la quale “l’interesse sociale dell’impresa è
rappresentato dal profitto e qualsiasi cosa comprometta l’efficienza dell’impresa rappresenta
un costo superfluo”, Zarri p.7, dunque il comportamento socialmente responsabile è
giustificato solo in risposta a incentivi provenienti dai mercati in cui l’impresa opera), si
sviluppano le premesse alla teoria degli stakeholder. Secondo questa prospettiva l’impresa
deve rendere conto a una pluralità di soggetti, sintetizzando più funzioni obiettivo. La CSR
viene vista come un costo necessario in quanto manifestazione sia del dovere dell’impresa, sia
dei vincoli posti dalla società, ma nello stesso tempo rimane uno strumento accessorio di
risposta a stimoli esterni finalizzato al perseguimento di politiche di differenziazione.
La necessità di trovare una definizione esaustiva di questo fenomeno di sensibilizzazione in
crescita, porta gli studiosi a riflettere sulle caratteristiche che rendono un’azienda socialmente
responsabile. È possibile individuare quattro principali filoni di pensiero.
Un primo filone di pensiero ritiene che sia proprio la volontarietà del comportamento
socialmente responsabile una delle caratteristiche chiave (Davis, 1973). Nel 1979 Carroll
propone una definizione di responsabilità sociale comprendente quattro categorie della
19
business performance: economic (produrre i beni e servizi richiesti dalla società e ottenere un
profitto dalla loro vendita), legal (raggiungere gli obiettivi economici nel rispetto dei requisiti
legali), ethical (promozione di attività e comportamenti ritenuti etici oltre a quelli richiesti
dalla legge) e discretionary (attività volontarie di filantropia) responsibilities. La
responsabilità sociale include dunque le aspettative economiche, legali, etiche e filantropiche
che la società ha sull’organizzazione in un determinato momento. Nel 1991 lo stesso Carroll
introduce una scala di priorità per ordinare questi quattro tipi di responsabilità, inserendole in
uno schema a piramide (Fig.2).
Fig. 2: La piramide della CSR, Carroll (1991).
La performance economica sorregge l’intera piramide e fornisce la solida base su cui tutte le
altre componenti poggiano. Nello stesso tempo all’impresa è richiesto di obbedire alle leggi,
che rappresentano la decodifica dei comportamenti ritenuti accettabili o meno dalla società di
riferimento. Il gradino successivo è occupato dalle responsabilità etiche che si traducono nel
perseguire ciò che è ritenuto giusto ed equo evitando, o quantomeno minimizzando, i danni
agli stakeholder. Infine viene richiesto al business di contribuire finanziariamente e
umanamente alla comunità, migliorando la qualità di vita (Carroll, 1991). Alcuni studiosi
20
hanno fortemente criticato la gerarchia piramidale proposta da Carroll, accusando in
particolare la prevalenza della responsabilità economica sulle altre.
Un secondo filone di pensiero concentra la sua attenzione più sul contesto socio-culturale nel
quale l’organizzazione si trova ad operare. Johnson (1971), infatti, afferma che l’impresa è
collocata all’interno di un più ampio sistema socio-culturale che “definisce i compiti del
business e nel quale essa è chiamata a elaborare risposte a specifiche problematiche sociali”
(Zarri 2009, p. 11). Nello stesso anno il Committee for Economic Development (CED)
pubblica il rapporto “Social Responsibilities of Business Corporation” che illustra
l’evoluzione del contratto sociale fra imprese e società e introduce l’approccio dei tre cerchi
concentrici. Nel cerchio più interno sono incluse le responsabilità necessarie allo svolgimento
efficiente delle funzioni economiche dell’organizzazione (produzione, sviluppo della forza
lavoro, crescita economica); quello intermedio comprende la responsabilità di perseguire il
primo obiettivo di efficienza economica nel rispetto dei valori e delle priorità sociali
(conservazione delle risorse naturali, relazione con i dipendenti, trattamento equo e protezione
da danni); il cerchio più esterno, infine, rappresenta la propensione dell’impresa a farsi carico
di responsabilità che non sarebbero proprie, ma destinate al potenziamento dell’ambiente
sociale (lotta alla povertà e al degrado urbano).
Un terzo filone cerca invece di individuare quali sono le motivazioni alla base dell’adozione
dell’approccio socialmente responsabile da parte delle imprese. Wood (1991) individua tre
principali interpretazioni: secondo la prima le imprese vedono nell’assunzione di
responsabilità la propria legittimazione e il loro successo economico; secondo una diversa
interpretazione le imprese sono solamente responsabili dei problemi sociali direttamente o
indirettamente connessi alla propria attività; infine, un’ultima visione considera la forte
influenza dei principi etici nell’esercizio del potere discrezionale del quale dispongono i
manager.
Il quarto, e ultimo, filone di pensiero è quello degli studiosi della Harvard Business School
(HBS), i quali propongono un approccio incentrato sulla gestione strategica dell’impresa,
finalizzato ad anticipare e quindi gestire le istanze sociali provenienti dall’ambiente esterno.
Secondo Steiner (1971) la responsabilità sociale deve guidare il decision making manageriale,
nonostante l’impresa rimanga pur sempre un’istituzione essenzialmente economica.
Al
concetto di responsabilità sociale di impresa (CSR1) si affianca quello di “corporate social
responsiveness” (CSR2), secondo il quale è fondamentale capire quali azioni concrete può
21
intraprendere l’impresa per fronteggiare le pressioni sociali, quali strumenti implementare
(social forecasting e social auditing) e quali variabili sociali inserire nelle strategie aziendali.
Con il contributo del 1978, Frederick evidenzia questa transizione ridefinendo il concetto di
CSR da etico-filosofico a manageriale, orientato all’azione. L’organizzazione aziendale e le
competenze dei manager assumono un ruolo fondamentale nella capacità di rispondere ai
bisogni della società; è dunque opportuno focalizzarsi su quegli aspetti pratici che rendono
un’organizzazione maggiormente reattiva all’ambiente sociale di riferimento (Frederick,
1994).
Un contributo significativo all’evoluzione della disciplina della CSR è fornito dalla teoria
degli stakeholder; quest’ultimi sono stati definiti da Freeman nel 1984 (in “Strategic
Management. A stakeholder approach”) come “qualsiasi gruppo o individuo che può avere un
influsso o è influenzato dal raggiungimento dello scopo di un’organizzazione”. Secondo
questa teoria poiché tra impresa e ambiente si stabiliscono delle complesse interazioni,
diviene fondamentale curare le relazioni con tutti i portatori di interesse, interni ed esterni. Per
ottenere e conservare il proprio successo, dunque, l’impresa dovrà soddisfare le attese dei
soggetti influenti, sfruttando le risorse relazionali per ottenere un vantaggio competitivo.
L’obiettivo dell’impresa non è solo quello di massimizzare il profitto, ma di realizzare gli
interessi di tutti gli stakeholder, distribuendo omogeneamente la ricchezza prodotta.
L’impegno nei confronti degli stakeholder deve essere esplicito, duraturo e deve inoltre
continuare oltre gli obblighi imposti dalla legge. Grazie alla semplicità di questo modello è
possibile trasformare gli aspetti etici in pratiche e strategie manageriali.
Durante gli anni ’80 si sviluppano gli studi sull’etica degli affari (o business ethics) e nasce il
concetto di “corporate social rectitude” (CSR3), introdotto da Frederick nel 1986. Operare nel
rispetto della CSR3 significa, per un’impresa, posizionare le questioni etiche in primo piano
nelle politiche manageriali, possedere sofisticati strumenti di analisi per l’individuazione e
l’anticipazione delle problematiche etiche afferenti all’impresa, cercare di allineare le
politiche aziendali correnti e future ai valori tipici di una cultura basata sull’etica. Oltre
all’etica degli affari negli stessi anni si fa strada anche la teoria della Corporate Social
Performance. Tale approccio non si basa tanto sull’identificazione del comportamento
socialmente responsabile, bensì sul processo e i metodi con i quali l’impresa identifica gli
obiettivi e risolve le questioni etiche per accordare gli interessi degli stakeholder a quelli
dell’impresa stessa. La responsabilità sociale è dunque un processo integrato nei processi
decisionali aziendali.
22
Risale al 2001 la prima definizione ufficiale di CSR riconosciuta a livello europeo. È infatti la
Commissione Europea a esporre nel Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la
responsabilità sociale delle imprese” le linee guida in materia di CSR, proponendola come
uno degli elementi basilari della cultura imprenditoriale. La responsabilità sociale d’impresa è
definita come la “decisione volontaria di contribuire al progresso della società e alla tutela
dell’ambiente, integrando preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle operazioni aziendali e
nelle
interazioni con gli stakeholder”. Gli elementi caratterizzanti sono dunque: la
volontarietà di adottare comportamenti responsabili, la sostenibilità declinata sotto
l’approccio triple bottom line, il riferimento agli stakeholder ed infine la stretta connessione
alla gestione strategica e alla competitività.
Negli anni più recenti il dibattito teorico sulla CSR si sposta sul più ampio contesto
competitivo e territoriale e si indaga sulla natura delle interazioni tra l’impresa e l’ambiente di
riferimento. I principali riferimenti teorici sono rappresentati dall’evoluzione del pensiero di
Porter (2006), Zadek (2001, 2007) e Freeman (2005).
Secondo Porter e Kramer (2006) gli approcci prevalenti in tema di CSR sono così
frammentati e sconnessi dalla strategia di business da oscurare le opportunità per l’impresa di
beneficiare della società in cui è inserita. Se le organizzazioni analizzassero le prospettive di
responsabilità sociale secondo la stessa ottica con la quale guidano il proprio core business,
scoprirebbero che la CSR è molto più di un costo o di un atto caritatevole: essa può rivelarsi
una fonte di opportunità, di innovazione e vantaggio competitivo. I due autori introducono,
quindi, un modello che le imprese possono utilizzare per identificare gli effetti, positivi o
negativi, che hanno sulla società, al fine di determinare quali di essi necessitino di un
intervento e il modo più efficace per intervenire. Tra business e società esiste una stretta
relazione di interdipendenza ed è per questo che le decisioni e le politiche sociali di entrambi
dovrebbero seguire il principio del valore condiviso. Concentrarsi sui punti di intersezione,
piuttosto che sugli attriti tra le due realtà permette di conoscere quali attività dell’impresa
influenzano la società e, nello stesso tempo, quali condizioni sociali hanno un impatto
sull’organizzazione. È bene accettare che nessun business può risolvere tutti i problemi della
società e tantomeno riuscire a sostenerne il costo, perciò occorre dare priorità a quelle
questioni sociali che hanno un’influenza diretta sui driver di competitività dell’impresa nel
contesto in cui opera e, solo in secondo luogo, considerare anche quelle che influenzano
l’impresa nella sua catena del valore o la collettività in generale. Il successo delle imprese e il
bene sociale non va più visto come un gioco a somma zero, ma secondo una logica di win23
win. Le imprese prelevano dal sistema competitivo delle risorse economiche, sociali e
ambientali per svolgere la propria attività; al termine del processo produttivo restituiscono
valore (economico, sociale e ambientale) al sistema competitivo e il processo ricomincia con
un nuovo prelievo: se l’impresa ha reso al contesto un valore aggiunto superiore a ciò che ha
già prelevato, sarà essa stessa a godere di tali nuove risorse da reintrodurre nel proprio
processo produttivo (Porter e Kramer, 2006).
L’idea dell’impresa che non solo preleva ma può anche apportare valore sociale, è stata
ripresa anche da Freeman nel 2005 con l’innovativo concetto di Company Stakeholder
Responsibility. Secondo questa prospettiva le imprese devono gestire il business attraverso un
approccio incentrato sugli stakeholder: il principale obiettivo della CSR, infatti, è quello di
creare valore per i portatori di interesse chiave e adempire la responsabilità verso di loro; nel
fare questo occorre considerare tutte le tipologie aziendali e tutte le forme di creazione di
valore e di scambio. Freeman individua dieci principi cardine della Company Stakeholder
Responsibility: (1) raggruppare gli interessi degli stakeholder nel corso del tempo; (2)
riconoscere che gli stakeholder sono persone vere con un nome, un volto e dei valori; (3)
ricercare soluzioni ai problemi che soddisfino più stakeholder contemporaneamente; (4)
dialogare con tutti gli stakeholder accettando le critiche; (5) preferire una relazione di tipo
volontario con gli stakeholder, piuttosto che la stessa sia gestita dal governo; (6) utilizzare
tecniche i marketing per sviluppare una migliore comprensione delle esigenze dei diversi
stakeholder; (7) mai dare precedenza all’interesse di uno stakeholder rispetto ad un altro in
modo continuativo; (8) essere disponibili alla negoziazione con gli stakeholder primari e
secondari; (9) monitorare costantemente i processi al fine di apportare miglioramenti non
appena necessari; (10) agire con uno scopo che miri al pieno soddisfacimento degli interessi
sia dell’azienda che degli stakeholder (Freeman et al., 2006).
Il riconoscimento della capacità dell’impresa di incidere sulla creazioni di valore economico e
sociale oltre ai confini della propria organizzazione, implica la problematica di come
coordinare tale azione con quella degli altri attori appartenenti al medesimo ambito di
riferimento. Simon Zadek propone una revisione del concetto di governance come
“governance partecipata”, alla cui realizzazione “prendono parte tutti gli attori sociali che
contribuiscono alla creazione del valore: il soggetto pubblico, il mondo imprenditoriale e la
società civile organizzata” (Zarri 2009, p. 29). Questo nuovo concetto di “new civil
governance” permette di combinare tra loro culture organizzative e competenze differenti,
24
potenziando la capacità di raggiungere più efficacemente sia gli obiettivi di business che
quelli sociali.
1.3 La rendicontazione socio-ambientale
Fino alla fine degli anni ’80, l’attenzione degli studiosi si è prevalentemente concentrata sul
tentativo di dare un’appropriata definizione di CSR e sull’identificazione delle caratteristiche
del comportamento socialmente responsabile. L’affermazione della teoria degli stakeholder,
in concomitanza con la maggiore esperienza in tema di responsabilità sociale da parte delle
imprese, fa nascere l’esigenza di rendere conto delle azioni intraprese, attraverso strumenti
adatti a condividere l’operato con i propri interlocutori. È così che negli anni ’90 il dibattito
sulla responsabilità sociale d’impresa tende ad identificarsi con il tema dell’accountability e
della rendicontazione socio-ambientale (Zarri, 2009).
Nel 1986 Parker cerca di indagare quali sono gli scopi della rendicontazione socio-ambientale
e quali ragioni storiche sono alla base dell’affermazione di tali pratiche. L’evoluzione del
rapporto fra l’impresa e i suoi interlocutori rende necessaria l’adozione di strumenti adatti a
tutelare e migliorare l’immagine aziendale e, nello stesso tempo, ad informare gli interlocutori
esterni rispetto all’attività aziendale e alla sue risorse. Secondo l’autore, dunque, la
rendicontazione socio-ambientale è una pratica necessaria alla quale l’azienda non può
sottrarsi, ma della quale è possibile farne un utilizzo a proprio vantaggio nel soddisfacimento
di precise necessità. Nel 1995 Gray, Kouhy e Lavers propongono una prima definizione di
rendicontazione come il “reporting effettuato da terzi e l’attività di self-reporting da parte
delle aziende, attraverso la quale le informazioni di natura qualitativa e quantitativa relative
agli effetti ambientali e sociali dell’attività aziendale vengono veicolate, utilizzando diversi
media, verso un gruppo più ampio di interlocutori sociali”, ma solamente un anno più tardi la
prospettiva muta verso il concetto di rendicontazione come processo grazie al contributo di
Gray, Adams e Owen (1996). Secondo gli autori il comportamento economico s’inserisce
all’interno di un più ampio contesto, comprendente la sfera sociale, culturale, etica e
ambientale. La società si compone dunque di un insieme di gruppi di potere capaci di
esercitare una pressione gli uni sugli altri, e per questo motivo ciascun individuo necessita di
un’adeguata informazione che gli permetta di prendere parte al processo politico e decisionale
con consapevolezza. La nuova definizione di rendicontazione socio-ambientale proposta è la
seguente: “il processo di comunicare gli effetti sociali e ambientali che derivano dalle attività
economiche delle aziende a specifici gruppi di interlocutori sociali appartenenti alla società e
25
alla società nel suo essere più ampio”; l’accountability (intesa come il “dovere di rendere
conto”) delle aziende va quindi estesa oltre il tradizionale compito di fornire un rendiconto
economico-finanziario agli azionisti. Il diritto a ricevere e il dovere a produrre una
rendicontazione socio-ambientale si crea solo nel momento in cui l’impresa adotta un
comportamento socialmente responsabile. L’approccio di Bebbington e Thomson (2002) si
distingue da quello informativo precedente, evidenziando la funzione educativa della
rendicontazione socio-ambientale. Essa, infatti, ha la funzione di avviare un dialogo tra
l’impresa e i propri stakeholder, i quali saranno propensi a modificare il proprio punto di vista
grazie alla migliore comprensione del contesto (Zarri, 2009).
Al dibattito teorico è corrisposto da un lato lo sviluppo di varie forme di rendicontazione,
dall’altro il tentativo di sviluppare standard a livello internazionale (Linee Guida GRI).
Per quanto concerne il primo punto, la rendicontazione socio-ambientale può assumere forme
molto diverse ed è veicolata attraverso svariati mezzi di comunicazione. I media più
comunemente utilizzati sono i seguenti: inserzioni pubblicitarie o dettagliati articoli che
promuovano le attività dell’impresa; relazioni annuali; opuscoli o volantini; report su formato
elettronico (CD); community report; report ambientali; etichette di sensibilizzazione alle
tematiche ambientali poste sui prodotti; comunicati stampa; supplementi alla relazione
annuale o a quella provvisoria; video/DVD; siti web. Le relazioni annuali sono il documento
più pubblicizzato e visibile e sono considerate una tra le più importanti fonti di informazione
socio-ambientale, in quanto richieste dalla legislazione e perciò prodotte regolarmente dalla
maggior parte delle imprese. Nonostante il livello di rendicontazione socio-ambientale stia
crescendo nel corso degli anni, le informazioni che le imprese scelgono di condividere
all’interno della relazione annuale sono spesso poco dettagliate e principalmente di tipo
qualitativo. Molte organizzazioni, invece, producono una relazione ambientale, nella quale
illustrano le politiche e le principali questioni legali, nonché l’impatto delle attività aziendali
sull’ambiente circostante. Questa forma di rendicontazione si è evoluta nel tempo da semplice
dimostrazione di impegno, a mezzo per la comunicazione dei dati sulla performance
ambientale, evidenziando così l’apertura nei confronti degli stakeholder e l’importanza dello
strategic environmental management. Le prime imprese a rilasciare una relazione ambientale
di questo tipo sono state quelle appartenenti al settore petrolchimico tra la fine degli anni ’80
e l’inizio degli anni ’90: è stato infatti dimostrato in seguito che le imprese operanti nei settori
environmentally-sensitive (estrazione di minerali, gas e petrolio; industria chimica e
silvicoltura) hanno una maggiore probabilità di fornire una rendicontazione di tipo socio26
ambientale. Alcune organizzazioni includono all’interno della relazione ambientale anche
altre informazioni sulla salute e la sicurezza, dando origine a delle relazioni che integrano
diverse questioni legate alla sostenibilità (Health, Safety and Environmental Reports). La
diffusione delle informazioni socio-ambientali è affidata sempre di più al Web: le imprese non
solo inseriscono nel proprio sito Internet le relazioni ambientali, ma spesso le accompagnano
a notizie costantemente aggiornate sui dipendenti, sulla comunità di appartenenza, sulla
società in generale e sulle più recenti questioni legate all’ambiente. L’utilizzo di Internet
come mezzo per la circolazione di questo tipo di informazioni rappresenta un valido aiuto per
l’impresa, in quanto permette di raggiungere un vasto e variegato gruppo di stakeholder.
Questo è reso possibile soprattutto dalla facilità di accesso ai dati e dall’interattività tipica dei
siti Internet. A questi si uniscono ulteriori vantaggi, come la possibilità di aggiornare
costantemente le informazioni, quella di ridurre i costi e l’impatto ambientale legato
all’utilizzo di altri mezzi di comunicazione ed, infine, quella di poter disporre di un feedback
dagli stakeholder veloce e diretto. L’attrattività di questo strumento, non deve però
nascondere i possibili problemi che possono derivare dal suo utilizzo. La visibilità delle
informazioni è strettamente connessa alla promozione del sito Internet tra i diversi portatori di
interessi e problemi di natura tecnica nell’upload o download dei report potrebbero
interrompere il flusso informativo. Altre criticità sono legate agli utenti, i quali potrebbero
imbattersi in problemi di overload informativo: la facilità con la quale è possibile condividere
informazioni in rete, può portare un’impresa a pubblicare più notizie di quelle necessarie
creando così disagio e confusione tra il pubblico (Jenkins e Yakovleva, 2006).
Nella maggior parte dei Paesi la rendicontazione socio-ambientale è volontaria e pertanto non
esistono regole definite sulla sua forma e contenuto. L’assenza di regolazione pone la
questione della credibilità delle informazioni comunicate, perciò si fa sempre più forte
l’esigenza di sviluppare degli standard generalmente riconosciuti nella rendicontazione socioambientale (Jenkins e Yakovleva, 2006). In risposta a questa mancanza la US-based Coalition
for Environmentally Responsible Economies, nel 1999, fonda la Global Reporting Initiative
(GRI) allo scopo di riunire le numerose iniziative di rendicontazione socio-ambientale che si
sono sviluppate in modo indipendente nel mondo, in un insieme coerente e coeso di standard
internazionali. L’intuizione di definire uno schema condiviso per incrementare il rigore, la
comparabilità e la verificabilità dei rendiconti ambientali, è concepita nel 1997 da Allen
White e Robert Massie. Una delle due organizzazioni non governative alla quale
appartengono, la Coalition for Environmentally Responsible Economics (CERES) ha
27
l’obiettivo di portare la rendicontazione socio-ambientale allo stesso livello di quella
finanziaria in modo da potenziare l’accesso alle informazioni da parte di tutti gli stakeholder e
di conseguenza responsabilizzarli maggiormente. Dopo diverse partnership (in particolare con
il United Nations Environment Program) nel 1999 viene rilasciata la prima relazione redatta
secondo i principi GRI. Nel corso del tempo tali principi (inizialmente applicati alla sola
rendicontazione ambientale) hanno abbracciato l’approccio triple bottom line, focalizzandosi
dunque, oltre che sulla performance ambientale (indicatori sull’utilizzo delle risorse, gestione
degli sprechi e rischi per la salute delle generazioni presenti e future), anche su quella sociale
(indicatori sulle condizioni di lavoro e diritti umani) ed economica (indicatori dell’impatto
economico sui clienti, fornitori, dipendenti, prestatori di capitali e settore pubblico). Il
pensiero sottostante GRI è che la disponibilità di informazioni incentiva gli attori della società
a richiedere accountability da parte delle imprese, soprattutto nel fornire dati standardizzati
che permettano sia il benchmarking che il ranking tra le imprese stesse. L’adozione dei
principi GRI può creare un vantaggio competitivo per quelle organizzazioni che
pubblicamente sanciscono la propria vocazione alla trasparenza e alla responsabilità sociale:
la riduzione dell’incertezza e l’incremento di legittimità che ne derivano sono due degli
aspetti principali per cui GRI è divenuto lo schema di riferimento per la rendicontazione
socio-ambientale più conosciuto e utilizzato dalle organizzazioni. Nonostante l’indubbio
vantaggio di aumentare la propria credibilità, le imprese stanno ancora riflettendo sugli
effettivi benefici derivanti dall’adozione di tali principi e non tutte sembrano essere
interessate a seguire le linee guida proposte. Assumere gli standard GRI richiede, infatti, un
notevole impiego di risorse e un impegno costante da parte del management, senza garantire
risultati positivi certi. Tuttavia, in un contesto competitivo dinamico qual è quello attuale,
l’adozione dei principi GRI da parte di un concorrente diretto, può innescare un processo di
imitazione. La pressione competitiva e, dunque, il timore di un possibile svantaggio nei
confronti delle imprese rivali, può incentivare fortemente l’adesione a questi standard di
rendicontazione, soprattutto qualora le imprese aderenti siano particolarmente note e visibili
all’interno del settore. Più organizzazioni adotteranno gli standard GRI più questi saranno
indiscutibilmente accettati, fino al caso limite in cui la non adozione sarà considerata
anormale. È vero anche che, ad un certo punto, le imprese, grazie alle nuove informazioni
disponibili, riusciranno a giudicare in modo migliore se le pratiche GRI sono adatte o meno al
loro specifico contesto (Nikolaeva e Bicho, 2011).
28
L’attenzione nei confronti della responsabilità sociale e delle pratiche di corporate social
reporting è sempre più elevata. Tenere in considerazione gli aspetti socio-ambientali è
divenuto oramai un fatto imprescindibile nella gestione dell’attività economica, tanto che
un’adeguata rendicontazione può apportare un accrescimento del valore finanziario
dell’impresa. Innumerevoli organizzazioni hanno infatti potuto scoprire nuove opportunità di
crescita e miglioramento del business dall’analisi dei dati socio-ambientali, grazie a una
riduzione dei costi e/o all’incremento della propria reputazione nel mercato (il 47% delle
imprese appartenenti al G250 e il 33% delle N100 hanno riportato un incremento del valore
finanziario). Alcune pratiche permettono di raggiungere entrambi gli obiettivi: è il caso dei
prodotti green i quali non solo portano all’abbattimento dei costi e degli sprechi, ma anche
forniscono i dividendi di un’accresciuta reputazione sia da parte degli azionisti che dei
consumatori. La disponibilità di prodotti green risponde dunque alle esigenze e alle
considerazione etiche di un determinato segmento di consumatori, incrementando la brand
reputation: il 62% delle imprese G250 e il 45% delle N100 sostiene di offrire prodotti
sostenibili (KPMG, 2011). Un significativo riconoscimento dell’importanza di riportare di più
e più approfonditamente le questioni socio-ambientali, è dato dalla recente volontà di Nasdaq
OMX di incoraggiare le aziende quotate presso il proprio gruppo a rendicontare
maggiormente la performance legata a tali attività. Nell’ambito del UN Rio +20 Sustainable
Development Summit (Giugno 2012), il gruppo ha infatti manifestato (assieme a Brazil’s
BM&FBovespa e alle borse valori di Johannesburg, Istanbul ed Egitto) il desiderio di
promuovere investimenti sostenibili di lungo termine e di migliorare la rendicontazione socioambientale delle oltre 4.600 imprese quotate nelle borse di riferimento. Il vice-presidente di
Nasdaq, Sandy Frucher, ha comunque affermato che ciò non si tradurrà in un requisito per
l’ammissione alla quotazione, ma piuttosto nella ricerca di sviluppare degli standard globali,
adatti a promuovere l’investimento sostenibile in tutte le borse valori (Clark, 2012).
La “KPMG International Survey of Corporate Responsibility Reporting 2011” rappresenta
una delle indagini più complete sulla reportistica aziendale in materia di Corporate
Responsibility e permette di analizzare le principali tendenze in atto. Sono state incluse nella
ricerca 3400 società appartenenti a 34 Paesi, tra cui le 250 società più grandi al mondo
secondo il Fortune Global 500 List – G250. Il 95% di quest’ultime sceglie oggi di riportare
notizie sulle proprie attività di CR e, poiché i due terzi del 5% restante appartengono agli Stati
Uniti, è lecito pensare che la percentuale salirà in un futuro prossimo. La rendicontazione
socio-ambientale sta inoltre guadagnando terreno anche tra le migliori 100 società dei Paesi
29
appartenenti al campione: la crescita in questo segmento è, infatti, pari all’11% rispetto alla
precedente relazione KPMG del 2008 (raggiungendo quota 64%). L’esempio dell’Europa per
quanto riguarda la diffusione del reporting socio-ambientale e i conseguenti miglioramenti
derivanti dalla sua applicazione, incoraggia anche gli altri Paesi a seguire lo stesso percorso.
Negli Stati nordici, per esempio, si è verificato un notevole incremento del numero di imprese
che producono un report: in Danimarca si è passati dal 24% al 91%, in Finlandia dal 41%
all’85% e in Svezia dal 60% al 72%. Questi risultati non derivano solamente dall’accresciuto
interesse nei confronti della responsabilità d’impresa, ma anche dalle politiche governative
implementate nell’area scandinava (in Svezia le imprese statali devono dare conto delle
attività di CR, in Danimarca il reporting è un requisito per tutte le quotate). I tassi di crescita
dell’America, derivano soprattutto dal notevole aumento del numero delle imprese in Messico
(per quanto riguarda il Nord), che è passato in un paio d’anni dal 17% al 66% e in Brasile (per
quanto riguarda il Sud), giunto ad un 88%. Secondo gli studiosi del KPMG l’apertura dei
mercati e la maggiore integrazione nell’economia globale incrementerà la consapevolezza
della rilevanza del CR reporting. I Paesi emergenti stanno velocemente raggiungendo il passo
di Svezia, Spagna e Olanda, con la Cina che raggiunge quota 60% e la Russia subito dietro
con un 58%. India (20%), Taiwan (37%), Israele (18%), invece, non hanno ancora raggiunto
livelli di rendicontazione socio-ambientale significativi. I Paesi che dominano la classifica
sono gli stessi del 2008: il Giappone (99%) e l’Inghilterra (100%). Con una percentuale del
97%, il Sud Africa si posiziona al terzo posto, grazie al notevole incremento di imprese
avvenuto in seguito all’emanazione delle norme del codice di Corporate Governance
promosso dalla King Corporate Governance Commission. Per quanto concerne invece il
legame tra disclosure e dimensioni dell’impresa i risultati confermano la credenza condivisa
per la quale le società più grandi si occupano di rendicontazione socio-ambientale in modo
migliore rispetto a quelle più piccole. Le imprese con ricavi superiori a 50 milioni di dollari
hanno, infatti, il doppio della probabilità di riportare le attività di CR rispetto a quelle con
ricavi inferiori.
Grazie a 18 anni di esperienza (il primo rapporto risale al 1993) KMPG ha brevettato un
modello per la stima dei seguenti elementi: sistemi informativi e processi; livello e portata
delle certificazioni esterne; rivisitazioni/correzioni; canali multipli di comunicazione; utilizzo
degli standard GRI; reporting integrato. Questi elementi sono tracciati all’interno di una
matrice a quattro quadranti, dove gli assi rappresentano la qualità della comunicazione da una
parte e il livello di maturità del processo dall’altra. All’interno dei quadranti è dunque indicata
30
la posizione di ciascun Paese (Fig. 3) e settore (Fig. 4) in base alla documentazione
pubblicata.
Fig. 3: Corporate Reporting Quadrants (Countries) , KMPG (2011).
Fig. 4: Corporate Reporting Quadrants (Sectors) , KMPG (2011).
31
Nel quadrante “Leading the Pack” (letteralmente “in testa al gruppo”) è concentrata la
maggioranza dei Paesi appartenenti all’Unione Europea, i quali, sensibili alle tematiche socioambientali da oltre un decennio, dimostrano professionalità e una forte comunicazione. La
posizione occupata dall’India constata la serietà e il rigore con i quali le (poche) imprese che
producono una rendicontazione di tipo socio-ambientale, affrontano la governance e il
controllo. Gli Stati Uniti d’America sembrano concentrarsi perlopiù sulla comunicazione, ma
lo squilibrio tra il reporting e l’effettiva implementazione attraverso i processi potrebbe dare
origine a rischi di tipo reputazionale. Uno scenario opposto si palesa per Paesi come Il Sud
Corea e la Cina, che potrebbero rafforzare la propria reputazione e credibilità con una
comunicazione più incisiva ed efficace. Alcuni Paesi appartenenti ad economie emergenti, o
comunque più poveri, sembrano, invece, non dare troppa importanza alla reportistica sulla
responsabilità sociale: nonostante questa non venga percepita come priorità, l’integrazione
della CSR all’interno del business potrebbe conferire un vantaggio competitivo utile alla
crescita delle economie stesse.
A un maggiore livello di dettaglio si nota come le società appartenenti al quadrante “Leading
the Pack” hanno totalizzato un alto punteggio sia sulla sofisticatezza dei propri sistemi
informativi interni e del grado di accountability esterna, che sulla qualità della
comunicazione. I processi di produzione delle informazioni forniscono, infatti, dati affidabili,
che non necessitano di correzioni o rivisitazioni successive. Queste società, in più, si
rivolgono a enti esterni per la certificazione delle informazioni prodotte e hanno scelto di
aderire ai principi GRI per ottenere credibilità e soddisfare maggiormente le aspettative degli
stakeholder. Le imprese “Starting behind” (letteralmente “che partono indietro”) dimostrano
di non avere ancora ottenuto risultati soddisfacenti in entrambe le dimensioni della matrice:
dispongono di sistemi informativi non ancora adeguati rispetto ai leader e non fanno ricorso
alle certificazioni esterne per il miglioramento dei processi. Il gruppo “Getting it Right”
(letteralmente “ottenerlo nel modo giusto”) intraprende un sentiero di tipo conservativo per
raggiungere il quadrante dei leader, focalizzandosi sull’implementazione dei sistemi
informativi piuttosto che sull’eccessiva comunicazione (per evitare il rischio di una caduta
reputazionale). Il basarsi quasi esclusivamente sulla comunicazione, e dunque su una pluralità
di canali di comunicazione, è invece caratteristica tipica delle società appartenenti al gruppo
“Scratching the Surface” (letteralmente “graffiare la superficie”); tali società, però, incorrono
nell’elevato rischio di disattendere le promesse fatte nell’ambito della rendicontazione. Come
si evince da Fig. 3, i settori che hanno il maggiore impatto sulla società e l’ambiente (quelli
32
legati all’energia e all’industria delle risorse naturali) mostrano un impegno nei confronti
della rendicontazione socio-ambientale più netto rispetto agli altri settori. I settori trasporti e
Trade & Retail si distinguono invece per la bassa pozione in classifica (sono collocati nel
quadrante “starting behind”), nonostante l’integrazione recente nel business di politiche sulle
basse emissioni e la consapevolezza crescente dei consumatori della responsabilità sociale dei
diversi brand.
La ricerca KPMG indaga, inoltre, altri aspetti rilevanti nel dibatto sulla rendicontazione socioambientale: tra questi l’impatto dell’assetto proprietario sulla propensione a comunicare
informazioni sulla sostenibilità dell’impresa. Le società quotate pubblicamente sono
sottoposte ad un esame più minuzioso da parte degli stakeholder e degli investitori e questa
pressione incentiva una più attenta cura delle pratiche di rendicontazione socio-ambientale (il
69% delle società quotate produce un report sulla CSR). L’adozione degli standard
internazionali GRI e l’utilizzo di diversi mezzi di comunicazione, sono altri due importanti
fattori che la relazione KPMG mette in luce al fine di cogliere il livello dello sviluppo del CR.
L’80% delle imprese G250 e il 69% delle N100 sono allineate alle pratiche GRI,
evidenziando l’importanza dell’adesione a degli standard internazionali per il progresso del
benchmarking, sia interno che esterno tra i competitor. Le organizzazioni stanno inoltre
utilizzando sempre di più diversi canali per la comunicazione dei dati socio-ambientali:
ricorrere a più mezzi permette di raggiungere con più efficacia un molteplicità di stakeholder.
Nonostante un certo livello di incoerenza nel formato e nell’accessibilità dei report di CR,
solo il 20% delle G250 si affida ad un unico media per la comunicazione dei risultati.
La rendicontazione socio-ambientale si trova, ad oggi, ancora in uno stadio di sviluppo e le
società si stanno adeguando alle nuove pratiche attraverso una lenta evoluzione dei propri
sistemi informativi e dei processi. Errori, omissioni e correzioni successive, tipici in questa
fase, possono tuttavia minare la fiducia degli investitori: informazioni socio-ambientali di
qualità e certificazioni di enti esterni sull’accuratezza dei dati riportati diventano dunque
necessarie per mantenere standard elevati di credibilità nei confronti degli stakeholder.
1.4 Fattori che influenzano la rendicontazione socio-ambientale
Studi precedenti hanno dimostrato che l’atteggiamento nei confronti della rendicontazione
socio-ambientale varia considerevolmente a seconda del contesto in cui l’impresa si trova ad
operare. Infatti il tipo di impresa, il settore di appartenenza, la nazione in cui è collocata e il
33
tempo sono degli elementi fondamentali da considerare nell’analisi dell’ammontare e della
qualità delle informazioni comunicate. La sofisticazione della reportistica socio-ambientale
coincide, dunque, con l’affermazione e lo sviluppo della CSR che pone in evidenza gli
interessi e i bisogni di un ampio gruppo di stakeholder tra cui i consumatori, i dipendenti, i
fornitori e i legislatori/regolatori (Brammer e Pavelin, 2008). Le difficoltà nel campionamento
e nella metodologia di analisi dei dati hanno tuttavia portato a risultati spesso inconcludenti in
molti degli studi sulla qualità della rendicontazione socio-ambientale. Nella loro ricerca del
2008, Brammer e Pavelin ipotizzano sei principali caratteristiche che determinano la
variazione nella qualità della disclosure: la natura dell’attività di business; la performance
ambientale dell’impresa; le dimensioni e la visibilità dell’organizzazione; l’assetto
proprietario; le risorse a disposizione dell’impresa; la composizione del consiglio di
amministrazione.
Per quanto concerne il primo aspetto si prevede che la qualità della rendicontazione socioambientale sia maggiore per le imprese appartenenti a settori coinvolti in questioni ambientali.
Tali imprese, ad esempio appartenenti al settore petrol-chimico o energetico, hanno un forte
impatto sull’ambiente circostante (prodotti o processi di produzione inquinanti, spreco di
risorse non rinnovabili) e pertanto sono soggette ad uno scrutinio più approfondito da parte
degli stakeholder. L’elevata pressione esterna porta dunque l’impresa a porre una maggiore
attenzione nell’accuratezza della rendicontazione socio-ambientale, in risposta all’esigenza di
chiarezza e trasparenza degli interlocutori socio-economici (Brammer e Pavelin, 2008).
La qualità della disclosure ambientale dipende, inoltre, dalle dimensioni dell’impresa:
maggiore è l’impresa, maggiore è la qualità attesa. Più un’organizzazione è grande, infatti, più
è rilevante la sua importanza economica e, di conseguenza, maggiore sarà la sua visibilità nei
confronti dei pubblici rilevanti (Brammer e Pavelin, 2008). È possibile distinguere due tipi di
visibilità: un’impresa con un’alta visibilità generica possiede delle caratteristiche
organizzative, come ad esempio uno status elevato, una buona reputazione o un’importanza
tali da renderla ampiamente conosciuta all’interno della società; invece, la visibilità nel
dominio specifico, si ha quando alcune caratteristiche dell’organizzazione, come ad esempio i
rapporti di lavoro o la performance ambientale, espongono la stessa ad un maggiore grado di
pressione istituzionale in determinati domini, come quelli esercitati dalle Organizzazioni Non
Governative (NGOs) o da particolari gruppi di attivisti (Marquis e Toffel, 2012). Lo studio di
Marquis e Toffel (2012) ha dimostrato che una più elevata visibilità nel dominio specifico
34
agisce da maggiore deterrente per la comunicazione selettiva delle informazioni socioambientali rispetto alla visibilità generica.
La visibilità dell’impresa accresce anche attraverso l’esposizione mediatica, la quale può,
nello stesso tempo, favorire o minare la popolarità dell’impresa tra gli interlocutori chiave
(Brammer e Pavelin, 2008). Negli ultimi decenni la consapevolezza del ruolo delle imprese
all’interno della società è cresciuta notevolmente: mentre ad alcune di queste è stato
riconosciuto il contributo dato nello sviluppo economico e tecnologico dell’ambiente di
riferimento, altre sono state invece criticate per i problemi sociali legati alla loro attività. Le
questioni legate alla tutela dell’ambiente e delle condizioni di lavoro sono, infatti, sempre più
al centro dell’attenzione dei media. Poiché i media stessi sono uno tra i canali di
comunicazione dell’identità dell’impresa ritenuti più affidabili tra i consumatori, le imprese
stanno incrementando il loro ruolo all’interno della corporate governance. L’esposizione
mediatica è dunque utilizzata come proxy per la visibilità sociale, rendendo le imprese
oggetto di attenzione e di valutazione pubblica. Le organizzazioni più attive nel gestire la
propria immagine mediatica e quelle con più alto impatto sulla società, saranno,
probabilmente, più visibili agli stakeholder esterni, indipendentemente dalla positività o
negatività dell’esposizione stessa. Ciò comporta che queste imprese producano una
rendicontazione socio-ambientale più chiara e dettagliata, al fine di promuovere la propria
immagine o difenderla dall’eventuale pubblicità negativa avanzata dei media (Nikolaeva e
Bicho, 2011).
Le politiche di rendicontazione sono influenzate anche dall’assetto proprietario dell’impresa.
Un azionariato frammentato/diffuso nasconde potenziali asimmetrie informative che
potrebbero portare a reazioni avverse da parte degli investitori. Il management è dunque
incentivato a soddisfare la richiesta degli azionisti a fornire informazioni socio-ambientali
dettagliate e affidabili (Brammer e Pavelin, 2008). Nonostante la minor visibilità, anche le
imprese non quotate o quelle detenute da fondi di private equity stanno attribuendo sempre
più importanza alla cura della rendicontazione socio-ambientale (KPMG, 2011). Un altro
aspetto da considerare è la salute finanziaria dell’impresa: la dotazione di risorse a
disposizione e il basso grado di leva finanziaria favoriscono la qualità della rendicontazione
socio ambientale. Infine la qualità della disclosure potrebbe essere maggiore nelle imprese
con direttori di tipo non esecutivo: queste figure, infatti, possono avere uno sguardo più ampio
sul mondo circostante poiché tendono ad essere maggiormente allineate agli interessi degli
stakeholder esterni rispetto al management.
35
Dall’analisi di un campione di 447 imprese inglesi i due studiosi hanno constatato che la
qualità della rendicontazione socio-ambientale è associata soprattutto alle imprese più grandi
e a quelle appartenenti a settori ad elevata sensibilità ambientale, mentre gli altri fattori non
hanno un’incidenza significativa.
Più ampio è invece il dibattito sul legame tra la disclosure e la performance ambientale. I
risultati contrastanti ottenuti dagli studi precedenti possono trovare giustificazione nella scelta
del background teorico di riferimento. Due sono i framework principali: la teoria della
disclosure volontaria da un lato e le teorie socio-politiche dall’altro. La teoria della disclosure
volontaria afferma che le imprese performanti sono incentivate a rilasciare informazioni per
evitare il problema della selezione avversa. Le organizzazioni con una performance
economica superiore sono propense a comunicare il proprio “tipo” producendo una
rendicontazione socio-ambientale credibile, che le altre imprese meno performanti
troverebbero difficile imitare. Pertanto, secondo la teoria della disclosure volontaria la
performance ambientale e la rendicontazione socio-ambientale sono positivamente associate.
Contrariamente, secondo le teorie socio-politiche, la relazione esistente è di tipo negativo:
poiché la disclosure è uno dei metodi a disposizione per accrescere la legittimità, le imprese
sono incentivate ad incrementare la produzione di informazioni per incontrare le esigenze
degli stakeholder e gestire, in questo modo, la propria immagine piuttosto di operare un
cambiamento effettivo della performance (Clarkson et al., 2008; Clarkson et al., 2011).
Con l’avvento della globalizzazione il contesto di riferimento per l’impresa si è notevolmente
allargato, sottoponendo le organizzazioni alle pressioni delle legislazioni globali e della
concorrenza internazionale. L’integrazione globale spinge i governi domestici ad allineare le
proprie regolamentazioni agli altri Paesi, esercitando un’ulteriore pressione istituzionale sulle
organizzazioni che sono chiamate ad adottare nuove pratiche di governance. La
rendicontazione socio-ambientale è dunque influenzata anche da fattori “globali” che
incidono sia sul livello che sulla qualità della disclosure. In questa prospettiva si colloca il
contributo di Marquis e Toffel (2011), i quali hanno svolto un’indagine su un campione di
4.646 imprese pubbliche di diversi settori con sede in 46 Paesi durante il triennio 2005/2008,
ipotizzando che i fattori caratteristici dell’organizzazione, come dimensione o impatto
ambientale, diano forma al tipo di disclosure, ma che le pressioni globali istituzionali siano
determinanti nelle relazioni tra l’impresa e l’ambiente. Secondo i due autori le imprese
presentano più rendicontazione socio-ambientale quando la sede dell’impresa è in un Paese:
36
-
con un’ampia partecipazione in organizzazioni governative internazionali (IGOs)
orientate alla tutela dell’ambiente;
-
che adotta stringenti regolamentazioni ambientali;
-
i cui cittadini sono maggiormente connessi alla società globale;
-
che garantisce più diritti politici e libertà civili.
La partecipazione in una IGO riflette il sistema di valori e credenze del governo di un Paese e
le organizzazioni possono fare da tramite alla propagazione delle idee a livello internazionale.
Gli effetti dell’appartenenza ad una IGO a livello nazionale possono influenzare anche la
rendicontazione socio-ambientale delle imprese. Se un Paese aderisce, per esempio, alle
Nazioni Unite, adotterà, tra le altre, misure per la riduzione dell’inquinamento e la
promozione della conservazione ambientale: queste azioni segnalano alle organizzazioni di
porre particolare attenzione all’impatto delle proprie attività e le incentivano ad adottare
pratiche ambientali globali condivise, tra cui la rendicontazione. Lo stesso effetto si ottiene
quando un Paese adotta leggi e regolamentazioni ambientali stringenti: le imprese sono
chiamate a conformarsi al comportamento ritenuto appropriato dalle istituzioni sia per
rispondere alle richieste di trasparenza da parte degli stakeholder, sia per prevenire nuove
regolamentazioni ancora più rigide. L’integrazione dei cittadini nella società globale è un altro
fattore da tenere in considerazione poiché l’esposizione alle norme e alle idee globali
influenza le attività degli individui e, di conseguenza, anche quelle delle organizzazioni
all’interno della nazione. Infine, le libertà civili e politiche che caratterizzano un Paese
possono inibire o promuovere l’influenza dei movimenti sociali di protesta sui processi
decisionali dell’impresa (le imprese saranno incentivate a produrre una maggiore
rendicontazione socio-ambientale nei Paesi il cui governo protegge attivamente la libertà di
espressione) (Marquis e Toffel, 2011). I risultati dello studio hanno confermato che anche gli
attori economici (e di conseguenza la rendicontazione socio-ambientale) sono condizionati
dalle pressioni globali, attraverso diversi processi istituzionali e l’azione dei movimenti socioambientali.
I possibili fattori che influenzano la rendicontazione socio-ambientale sono stati finora
ricercati tra le caratteristiche tipiche dell’impresa, come la dimensione, il settore di
appartenenza o la performance, oppure tra fattori di contesto politico o socio-culturale
generali; tuttavia, altri fattori interni all’impresa dovrebbero essere presi in considerazione, in
37
particolare le caratteristiche del modello di corporate governance adottato dall’impresa stessa
(Haniffa e Cooke, 2005; Michelon e Parbonetti, 2012). La maggior parte della
rendicontazione socio-ambientale è di natura volontaria, pertanto le decisioni finali su che
cosa e quanto comunicare agli interlocutori esterni sono prese dal management il quale è
sottoposto al continuo monitoraggio del Consiglio di Amministrazione e all’influenza degli
stakeholder rilevanti (clienti, fornitori, investitori istituzionali, istituti di credito, altre
organizzazioni) (Rupley, Brown e Marshall, 2012). La domanda di maggiore trasparenza nella
comunicazione delle informazioni aziendali ha di fatto segnato il passaggio dal dialogo per lo
più finanziario con gli azionisti all’approfondimento di aspetti anche sociali, ambientali ed
etici con il più ampio gruppo dei portatori d’interesse nell’impresa (Prado-Lorenzo e GarciaSanchez, 2010). La responsabilità crescente nei confronti delle tematiche socio-ambientali,
porta dunque gli amministratori del consiglio a irrobustire il proprio ruolo di monitoraggio del
comportamento sostenibile dell’impresa, influenzando così le politiche di rendicontazione e il
processo decisionale, al fine di sviluppare o mantenere la legittimità (Post, Rahman e Rubow,
2011). È’ più probabile, dunque, che consigli di amministrazione risoluti, competenti e
partecipativi perseguano una politica di rendicontazione che miri alla trasparenza e
all’accrescimento della quantità delle informazioni comunicate e, di conseguenza, la qualità
degli amministratori può diventare un buon indicatore della qualità delle informazioni socioambientali divulgate dall’impresa (Osma e Guillamon-Saorin, 2011).
1.5 L’utilizzo della CSR come strumento di Impression Management
Come indicato in precedenza, il modo in cui un’organizzazione è percepita dai suoi
stakeholder e dall’ambiente di riferimento è fondamentale alla sua sopravvivenza. Pertanto le
imprese possono tentare di influenzare tale percezione e di accrescere la legittimità
utilizzando dispositivi di auto-presentazione: l’Impression Management è, di fatto, lo studio
di come gli individui si presentano allo scopo di essere percepiti favorevolmente dagli altri
(Hooghiemstra, 2000). I manager fanno uso di comunicati stampa, relazioni annuali e altri
documenti aziendali per condizionare la percezione che gli attori, interni ed esterni,
sviluppano rispetto all’impresa (Bansal e Clelland, 2004). Spesso le imprese preferiscono la
contabilità narrativa, come, ad esempio, la rendicontazione socio-ambientale, a quella
finanziaria o, comunque quantitativa, poiché essa permette di essere “confezionata su misura”
allo scopo di gestire l’impressione pubblica e dunque utilizzata per incrementare la legittimità
e per creare una nuova e favorevole immagine aziendale. Più la performance dell’impresa si
38
discosta dal benchmark desiderato, più il management è incentivato a modificare
l’impressione creata: per farlo può agire sulla quantità delle informazioni comunicate, sulla
scelta dei contenuti e sul tono e sul linguaggio verbale (Cho et al., 2010).
1.5.1 Prospettive sull’Impression Management
Nel contesto della rendicontazione aziendale, la prospettiva predominante sull’Impression
Management è quella delle economic-based theories, in particolare la Teoria dell’Agenzia.
Questa teoria si basa sulla relazione tra manager e azionista, caratterizzata dalla razionalità e
dalla ricerca di massimizzazione della propria utilità. La rendicontazione e le decisioni di
investimento sono infatti motivate dall’opportunismo e si basano su un calcolo preciso di
costi e benefici. Poiché i manager operano in un contesto nel quale la loro remunerazione è
legata alla performance finanziaria dell’impresa, essi avranno un incentivo economico a
comunicare i propri successi piuttosto che gli insuccessi. Il fatto che la relazione tra
management e investitori sia incentrata sulla sola performance finanziaria non permette di
cogliere il ruolo del reporting nella mediazione della relazione stessa e perciò nasce l’esigenza
di trovare nuove prospettive per indagare il fenomeno. Il concetto di razionalità economica
sotteso alle economic-based theories non è adeguato nel descrivere la realtà nella quale il
management e gli azionisti si relazionano, in quanto caratterizzata da conoscenza imperfetta e
incertezza. Il processo decisionale è di fatto influenzato da una serie di fattori sia interni che
esterni, tra questi: vincoli di tempo, credenze, regole e norme sociali. La razionalità limitata
tiene in considerazione questi elementi ed afferma che gli attori economici prendono le
decisioni basandosi su informazioni incomplete, esplorando un numero limitato di alternative
e assegnando un valore solo approssimativo ai risultati di ciascuna scelta. La soluzione finale
non sarà più quella ottima, ma la prima considerata soddisfacente. Le limitazioni sociali e
cognitive che subentrano all’interno del processo decisionale rendono gli individui suscettibili
all’Impression Management. Tuttavia, sia la razionalità economica che quella limitata
escludono la componente affettiva, che invece gioca un ruolo significativo secondo la
psicologia e la finanza comportamentale: nella vita reale il processo decisionale è infatti una
sorta di processo olistico che coniuga i fattori emotivi a quelli cognitivi (ad esempio ansia e
stress potrebbero influenzare negativamente il risultato di una decisione). Inoltre, le relazioni
tra l’impresa e i suoi stakeholder avvengono in un contesto sociale pertanto sono condizionate
dalle norme e regole sociali vigenti. Ci si sposta quindi da una razionalità strumentale
(scegliere la miglior alternativa per raggiungere lo scopo ultimo) ad una razionalità
39
sostanziale caratterizzata da ideali, obiettivi e fini di eguaglianza, giustizia, libertà e rispetto
per l’ambiente. Nella reportistica narrativa ciò si traduce in un’attenzione particolare alle
questioni sociali ed ambientali, come il commercio equo-solidale, il benessere dei lavoratori e
la riduzione dell’inquinamento conseguente all’attività produttiva: le imprese faranno
potenziale uso dell’Impression Management in caso di violazione delle norme e regole sociali
per non danneggiare la propria immagine nei confronti degli stakeholder sensibili a queste
tematiche (Merkl-Davies e Brennan, 2011).
Le motivazioni alla base del comportamento dei manager e dei pubblici dipendono soprattutto
da come viene concettualizzata la relazione tra l’organizzazione e l’ambiente, ovvero dalla
dipendenza o meno dal contesto istituzionale e sociale esterno. L’Impression management e le
risposte ad esso associate possono essere determinati da fattori economici o psicologici, da
vincoli esterni (norme sociali) oppure da sistemi di credenze. Secondo la teoria della
razionalità limitata i manager cercano di massimizzare la propria utilità per accrescere il
proprio salario o per ottenere bonus extra e gli azionisti perseguono l’incremento del proprio
cash flow. Secondo la psicologia sociale, invece, l’Impression Management non è altro che il
tentativo da parte dell’impresa di anticipare il comportamento di determinati individui, la cui
reazione potrebbe provocare problemi indesiderati all’organizzazione. L’Impression
Management diviene dunque un mezzo per contrastare potenziali conseguenze negative: il
controllo della percezione è ottenuto attraverso la presentazione di una rendicontazione già
pregiudicata prima del suo rilascio (reporting bias) oppure dalla modifica della descrizione
della causalità degli eventi e delle azioni aziendali (self-serving bias). Nel caso specifico della
rendicontazione socio-ambientale, i manager possono ricorrere all’Impression Management in
risposta alle preoccupazioni di diversi gruppi di stakeholder (stakeholder theory) o per
conformarsi a specifiche regole e norme della società di riferimento (legitimacy theory)
(Merkl-Davies e Brennan, 2011).
Merkl-Davies e Brennan (2011) hanno sviluppato una tassonomia basata sulle prospettive che
spiegano il managerial impression management: economica, psicologica/comportamentale,
sociologica e critica. Queste prospettive sono fondate sui diversi tipi di razionalità sottesa al
comportamento dei manager e dei pubblici e sulle diverse motivazioni alla base della
contabilità narrativa discrezionale. Quattro sono le possibili spiegazioni di un reporting
pregiudicato (biased):
40
1. Impression Management opportunistico. I manager manipolano la presentazione delle
informazioni per indurre in errore gli azionisti circa i risultati aziendali; gli investitori non
sono in grado di valutare l’improprietà del reporting nel breve termine.
2. informazione incrementale. I manager non hanno un incentivo economico a fare uso
dell’Impression Management poiché, in base alla razionalità degli investitori e all’ipotesi di
efficienza del mercato, gli attori economici sono in grado di valutare un reporting
pregiudicato e, di conseguenza, ciò impatterà sulla performance del prezzo delle azioni
(aumenta il costo del capitale e si riduce la performance), sul cui andamento è calcolato il loro
compenso.
3. tracotanza (hubris). Bias cognitivo subconscio originato da eccessivo orgoglio negli
individui. Coloro i quali occupano posizioni di potere possono, infatti, prendere decisioni
irrazionali forti della loro capacità di gestione, senza prestare attenzione alla provata
rischiosità della decisione stessa. La distorsione prodotta nell’individuo è quella di pensarsi
sotto una luce positiva e proteggere così la propria autostima a discapito dell’effettiva
performance.
4. retrospective sense-making. È l’interpretazione retrospettiva di eventi che si sono già
verificati (Merkl-Davies et al., 2011). I risultati della ricerca di Merkl-Davies et al. (2011) su
un campione di 93 imprese quotate inglesi, hanno dimostrato come le organizzazioni non
utilizzino le dichiarazioni del presidente per creare un’immagine diversa da quella che emerge
dalla relazione annuale, bensì, i risultati negativi spingono i manager a darne una
interpretazione il più possibile favorevole attraverso il retrospective sense-making.
Mentre la prospettiva economica spazia tra l’Impression Management e l’informazione
incrementale, la prospettiva psicologica è fondata sulla teoria dell’attribuzione che riguarda
come gli individui spiegano gli eventi che accadono: vi è una distorsione se i risultati positivi
vengono attribuiti a circostanza interne all’organizzazione, mentre quelli negativi vengono
attribuiti a circostanze esterne. Un’errata attribuzione può essere dovuta sia a fattori sociopsicologici (Impression Management derivante dall’anticipazione di potenziali conseguenze
negative e dunque self-serving bias) che a fattori cognitivo-psicologici (hubris derivante dalla
dissonanza cognitiva tra immagine di sé e performance effettiva). L’attribuzione nel corporate
reporting può dunque essere utilizzata per formare a proprio vantaggio la percezione dei
risultati e degli eventi aziendali (Impression Management) e proteggere il sé
dell’organizzazione (hubris), ma anche per fornire un resoconto degli eventi retroattivo e
41
favorevole (retrospective sense-making) (Merkl-Davies e Brennan, 2011). Un’attenzione
particolare al modello dell’attribuzione è rivolta da Aerts nel suo studio del 2005. L’autore ha
svolto un’indagine empirica sulle pratiche della disclosure narrativa attraverso l’analisi di un
campione di imprese del Belgio. I dati hanno confermato l’ipotesi secondo la quale le imprese
quotate, nelle proprie dichiarazioni, fanno ricorso all’attribuzione in misura maggiore rispetto
alle imprese non quotate, esibendo un elevato grado di difensiva nello spiegare eventuali
risultati negativi. I risultati della ricerca di Aerts, inoltre, sostengono l’interpretazione
motivazionale del self-serving bias: le tendenze all’attribuzione sono influenzate dall’impatto
di fattori sociali e ambientali, pertanto l’errore di attribuzione è in larga misura dipendente dal
contesto. Una comprensione approfondita del contesto di riferimento permette dunque di
cogliere le caratteristiche del comportamento delle organizzazioni (Aerts, 2005). La
prospettiva sociologica si base, invece, sulla teoria della legittimità, su quella degli
stakeholder e su quella istituzionale: la disclosure diventa mezzo per rispondere alle attese
degli stakeholder e per accrescere la propria legittimità. L’Impression Management prende
spazio qualora i valori dell’impresa siano in contrasto con quelli della società di appartenenza.
Nella prospettiva critica, infine, la razionalità è intesa come un costrutto sociale che fornisce
la regole per il comportamento ritenuto socialmente accettato, pertanto pratiche di Impression
Management saranno adottate per dimostrare di agire secondo tale razionalità.
In sintesi la prospettiva economica concettualizza l’Impression Management come un
reporting bias e rileva una discordanza tra i risultati aziendali riportati e quelli effettivi; quella
psicologica rimarca un’inconsistenza tra l’attribuzione riportata ed effettiva e vede
l’Impression Management come un self-serving bias; secondo la prospettiva sociologica
l’organizzazione risponde alle preoccupazioni degli stakeholder e aderisce alle norme sociali
attraverso strategie di symbolic management (sposare obiettivi socialmente accettati, ridefinire
i mezzi come fini, conformità cerimoniale) in modo da sopperire al divario tra valori riportati
ed effettivi; infine la prospettiva critica individua una difformità tra processo decisionale
riportato ed effettivo e l’Impression Management viene concettualizzato come retrospective
rationality e accounting rhetoric.
Merkl-Davies e Brennan (2011) analizzano le quattro prospettive secondo i due punti di vista
tipici nella disclosure aziendale: coloro i quali preparano il report (preparer) e coloro i quali
ne fruiscono (user).
42
La figura 5 sintetizza le prospettive che caratterizzano il managerial impression management
(preparer perspective) declinate, in particolare, nelle diverse dimensioni di razionalità e
motivazioni. Secondo la prospettiva economica il management si avvantaggia dell’asimmetria
informativa con gli azionisti attraverso la manipolazione della presentazione e della
comunicazione delle informazioni aziendali al fine di massimizzare il proprio benessere
personale e dare una rappresentazione interessata della performance dell’impresa. Il concetto
socio-psicologico di Impression Management, invece, è incorporato (e nello stesso tempo
dipende) nella relazione tra il management e il pubblico di riferimento. I manager sono
responsabili (accountable) nei confronti sia degli stakeholder che degli azionisti per le loro
azioni e decisioni. La necessità di “dare conto” (accountability) coinvolge tre componenti in
grado di influenzare il giudizio e il processo decisionale. Il primo componente è l’indagine,
ovvero l’anticipare o il sottoporsi ad un’inchiesta da parte di un pubblico che valuta le azioni
e le decisioni in riferimento ad uno specifico oggetto; il secondo componente è la contabilità,
ovvero lo strumento che permette di comunicare la propria versione degli eventi, descrivendo
e interpretando favorevolmente le informazioni aziendali; il terzo componente è il verdetto,
ovvero la possibilità da parte del pubblico di giudicare ed emettere un verdetto, con le
conseguenti sanzioni o riconoscimenti. Nella disclosure aziendale, l’Impression Management
si alimenta a causa della componente di indagine e viene utilizzato per contrastare potenziali
conseguenze negative derivanti dalla valutazione degli stakeholder. Inoltre, si manifesta anche
nella componente contabile, sotto forma di strategie adottate dal management al fine di dare
una rappresentazione degli eventi favorevole che eviti le sanzioni e promuova ricompense
sociali e materiali (self-serving bias o retrospective sense-making). Diversamente da quella
pura, il processo informativo del management può essere caratterizzato da razionalità limitata:
l’impresa potrebbe fornire una spiegazione distorta delle propria performance al fine di
accrescere la propria autostima attribuendo i risultati positivi a sforzi interni
all’organizzazione e i risultati negativi a fattori esterni. Questo errore di egocentrismo (hubris)
si manifesta in uno spiccato ottimismo del management sui risultati futuri attesi e
un’eccessiva confidenza nelle proprie abilità di previsione. Secondo la prospettiva sociologica
il reporting è determinato dai vincoli strutturali esercitati sia dai diversi gruppi di stakeholder,
che dalla società più in generale. Il processo decisionale, dunque, si fonda su una razionalità
di tipo sostanziale (teorie degli stakeholder e della legittimità) e il management fa uso di
strategie di symbolic management per dare l’impressione che le attività dell’impresa siano
congruenti alle norme e ai valori sociali. La prospettiva critica introduce, invece, il concetto di
razionalità retrospettiva: la razionalità non è altro che un costrutto normativo che definisce il
43
comportamento socialmente accettato al quale l’impresa deve aderire per dimostrare di essere
un decisore razionale e proteggere quindi la sua legittimità. L’Impression Management
comporta l’utilizzo di tale razionalità al fine di oscurare il reale processo decisionale (politico)
che avviene all’interno dell’organizzazione.
Fig. 5: Prospettive sul Managerial Impression Management, Merkl-Davies e Brennan (2011).
44
Speculare alla prospettiva del preparer è quella dello user, ovvero come gli investitori
rispondono all’Impression Management. Anche per questo punto di vista i due autori, MerklDavies e Brennan (2011), hanno sviluppato una tassonomia riconducibile a quattro
prospettive (Fig. 6), di cui due predominanti (economica e della finanza comportamentale) e
due alternative (sociologica e critica). Secondo la prospettiva economica gli investitori
agiscono razionalmente e il prezzo delle azioni riflette le informazioni riguardanti
l’organizzazione in modo obiettivo e tempestivo. In base alla teoria dell’agenzia, gli azionisti
riconoscono l’interesse opportunistico che si cela dietro al comportamento dei manager e
rispondono razionalmente ignorando la disclosure delle informazioni distorte (cheap talk). Gli
investitori sono però soggetti all’Impression Management se il loro processo decisionale è
caratterizzato da razionalità limitata: sono, infatti, incapaci di valutare la distorsione nella
comunicazione a causa di diversi errori cognitivi, sociali ed emozionali. La prospettiva
sociologica si focalizza sull’analisi di come gli user percepiscono la legittimità
dell’organizzazione, indagando di fatto la percezione degli azionisti attraverso l’andamento
del prezzo delle azioni e la percezione degli stakeholder attraverso i resoconti mediatici. Per
quanto concerne la prospettiva critica, ancora oggi non è chiaro se i lettori dei report aziendali
siano veramente persuasi dall’utilizzo di strategie di razionalità retrospettiva e contabilità
retorica nel credere alla razionalità del processo decisionale oppure alla legittimità delle
attività dell’organizzazione. Tuttavia, nel caso lo fossero, ciò rinforzerebbe ulteriormente lo
status quo dell’impresa, mantenendo una posizione informativa privilegiata rispetto ad
un’inconsapevole società (Merkl-Davies e Brennan, 2011).
45
Fig. 6: Prospettive sulle risposte all’impression management, Merkl-Davies e Brennan (2011).
46
1.5.2 Strategie di Impression Management
I comportamenti che i manager possono assumere sono di due tipi: occultamento o
attribuzione. Mentre l’occultamento consiste nell’oscurare notizie negative o enfatizzare
quelle positive, l’attribuzione è una tattica di framing che mira a trasferire la colpa di eventi
sfavorevoli al di fuori dell’impresa. A ciascuno di questi due comportamenti corrispondono
delle strategie di impression management che l’organizzazione può adottare al fine di
presentarsi nel modo più favorevole possibile al pubblico (Fig. 7). All’occultamento sono
associate sei strategie: la manipolazione della facilità di lettura e la manipolazione retorica
alterano le informazioni verbali offuscando le notizie negative; la manipolazione tematica,
quelle visuale e strutturale, il confronto tra performance e la scelta degli earning numbers
sono invece strategie che enfatizzano le notizie positive alterando informazioni verbali e/o
numeriche; la settima e ultima strategia, l’attribuzione della performance, è tipica invece del
comportamento di attribuzione. La differenza tra una strategia e l’altra risiede nelle diverse
scelte delle informazioni da comunicare e dal modo di presentarle attraverso i bias
(trasmissione delle informazioni in una luce molto positiva o molto negativa) e/o la selettività
(includere od omettere alcuni elementi dell’informazione) (Merkl-Davies e Brennan, 2007).
 Leggibilità/ manipolazione della facilità di lettura.
L’offuscamento viene definito da Courtis (Merkl-Davies e Brennan 2007, pg. 18)
come “una tecnica di scrittura narrativa che oscura il messaggio o confonde, distrae o
perplime il lettore, lasciandolo sconcertato o disorientato”. I manager possono di
proposito rendere i documenti narrativi aziendali difficili da leggere e consultare, al
fine di manipolare la percezione del lettore riguardo all’effettiva performance
dell’impresa. La complessità sintattica non deve però superare il limite oltre il quale
la leggibilità venga meno e l’intenzione del management si palesi apertamente. La
difficoltà di lettura può anche non derivare da un premeditato tentativo dei manager di
indurre in errore gli user, ma essere dovuta ad una mancanza di competenze stilistiche
dello scrittore. Anche se non è facile distinguere i due casi, la mancanza di abilità
nello scrivere è ritenuta l’interpretazione meno probabile: i documenti aziendali sono
infatti spesso redatti da personale competente o da agenzie professionali; in più, a
causa delle conseguenze sulla propria reputazione e sul risultato economico-
47
finanziario, le imprese investono tempo e pongono notevole attenzione all’esattezza di
ciò che comunicano all’ambiente esterno.
 Manipolazione retorica.
I manager possono celare i risultati negativi dietro a meccanismi retorici come
l’utilizzo di pronomi o di voce passiva. Questa strategia attiene non tanto a cosa, ma a
come viene comunicata l’informazione attraverso un linguaggio persuasivo.
Nel suo studio Henry (2008) ha svolto un’analisi retorica sul genere dei comunicati
stampa degli earnings, allo scopo di valutare l’impatto del tono e di altri attributi
linguistici sugli azionisti. La sua indagine esplora le relazioni tra le reazioni della
borsa e alcune misure quantitative dello stile linguistico sviluppate attraverso
un’analisi di contenuto
di un corpo di comunicati. I risultati dimostrano come
l’impatto del tono sulle reazioni del mercato sia coerente con la prospect theory che
sostiene che il presentare positivamente la performance finanziaria dell’impresa, porta
gli azionisti a pensare ai risultati in termini di incremento dei punti di riferimento.
 Manipolazione tematica.
L’impresa tenta di nascondere le notizie negative o non riportandole o non attribuendo
loro la stessa attenzione di quelle positive. Questo effetto viene chiamato “Principio di
Pollyanna” (un personaggio ricordato per il suo eterno ottimismo) e si manifesta nella
prevalenza di parole/argomenti positivi, piuttosto che di quelli negativi, allo scopo di
far percepire l’organizzazione nel modo più favorevole possibile.
 Manipolazione visuale e strutturale.
Alcune informazioni all’interno dei documenti aziendali possono essere enfatizzate
rispetto alle altre. Quattro sono i modi per farlo: ripetere un elemento più di una volta
(ripetizione), enfatizzare un’informazione attraverso un aggettivo qualificativo
(rinforzo), evidenziare un elemento attraverso alcuni espedienti (tipo di scrittura e
dimensione diverse, grassetto, ecc.), ordinare o localizzare l’informazione in un punto
specifico al fine di concentrare o distrarre l’attenzione del lettore.
 Confronti tra performance.
48
L’organizzazione può introdurre distorsioni anche attraverso le informazioni
numeriche, scegliendo di comparare la propria performance a quella di altre imprese
che ne favoriscano un’immagine favorevole. Due sono i tipi di comparazioni più
comuni: scegliere l’earning number precedente più basso al fine di riportare il
maggiore incremento possibile da un anno all’altro degli earnings oppure raffrontare
indicatori di performance non compatibili l’uno con l’altro.
 Scelta degli earning numbers.
Il management può agire sulla disclosure numerica, selezionando specifici earning
numbers ed omettendone altri. L’utilizzo dei proforma numbers (cioè quelli alternativi
ai principi contabili) rappresenta un modo per alterare la percezione della redditività
dell’impresa.
 Performance attribution.
L’organizzazione attribuisce i risultati positivi a fattori interni (“diritti”) mentre
attribuisce quelli negativi a fattori esterni (“scuse”).
49
Fig. 7: Strategie di Managerial Impression Management nei documenti narrativi aziendali, MerklDavies e Brennan (2007).
50
CAPITOLO 2
2.1 Introduzione all’analisi empirica
Le imprese si affidano sempre di più alla comunicazione volontaria e, in particolare, a quella
socio-ambientale per soddisfare la richiesta di maggiore trasparenza e responsabilità da parte
degli stakeholder (Rupley, Brown e Marshall, 2012). Le azioni dell’organizzazione devono
essere percepite coerenti e appropriate ai sistemi normativi della società, affinché la
legittimità sia pienamente riconosciuta; tuttavia tale legittimità organizzativa è compromessa
ogni qual volta si verifichi una discrepanza tra i valori della società e la condotta dell’impresa
(Haniffa e Cooke, 2005). Poiché l’ambiente esterno è in continua evoluzione, le imprese
devono costantemente adattare il proprio comportamento alle mutevoli norme sociali e, di
conseguenza, la legittimità organizzativa diviene risorsa fondamentale alla sopravvivenza
dell’impresa stessa (Michelon e Parbonetti, 2012). Il management può agire concretamente
per favorire il processo di legittimazione, attraverso alcune strategie tra le quali: informare gli
stakeholder sui miglioramenti della performance, tentare di modificare la percezione degli
eventi, distogliere l’attenzione su una particolare questione oppure modificare l’aspettativa
riguardo i risultati di una specifica performance. La manipolazione della comunicazione è uno
strumento efficace sia come strumento difensivo per riparare ad una percepita perdita di
legittimità, sia come strumento proattivo per alterare volontariamente la percezione degli
stakeholder riguardo a una specifico avvenimento (Haniffa e Cooke, 2005). Le politiche di
rendicontazione socio-ambientale si inseriscono nel contesto più ampio della comunicazione
dell’impresa con i suoi stakeholder e aiutano a rispondere alle diverse aspettative della società
riguardo questioni sensibili come l’influenza sulla vita sociale e l’impatto ambientale delle
attività aziendali. La maggior parte della comunicazione socio-ambientale è di natura
volontaria, pertanto le decisioni finali sul se, quanto e cosa divulgare spettano al top
management. I meccanismi di corporate governance e in particolare il Consiglio di
Amministrazione, svolgono l’importante funzione di controllo sull’operato dei manager e
permettono di salvaguardare gli interessi degli stakeholder, accrescendo la trasparenza
(Rupley, Brown e Marshall, 2012). Considerare le esigenze degli stakeholder nelle decisioni
51
aziendali è fondamentale per l’organizzazione e il Consiglio di Amministrazione è chiamato a
interpretare e rappresentare le aspettative etiche, sociali, ambientali ed economiche degli
interlocutori esterni all’impresa. I board agiscono infatti come spartiacque tra l’impresa e
l’ambiente e sono in grado di promuovere la legittimità sviluppando proficue relazioni con
gli stakeholder stessi (Michelon e Parbonetti, 2012). Le politiche di rendicontazione socioambientale vengono dunque influenzate dalle caratteristiche, dalla composizione, dalla
struttura e dalla leadership del Consiglio di Amministrazione e la qualità e la forza del board
possono essere buoni indicatori della qualità della comunicazione dell’impresa. Il consiglio di
amministrazione, in quanto organo di governo dell’impresa, è responsabile della salvaguardia
degli interessi dei diversi stakeholder e a tal fine può far uso, tra gli altri strumenti, della
diffusione di informazioni per ridurre l’asimmetria informativa nel tentativo di prevenire
eventuali comportamenti opportunistici del management atti all’alterazione della percezione
dell’immagine pubblica dell’impresa (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez,
2012). La rendicontazione socio-ambientale può essere utilizzata dai manager come strumento
di Impression Management pregiudicandone volontariamente o l’ammontare delle
informazioni (quantità), o la gamma degli argomenti (contenuto tematico), o il linguaggio e il
tono verbale (dispositivi retorici). Gli studi precedenti si sono focalizzati per lo più sui primi
due aspetti, tuttavia l’utilizzo del linguaggio e la scelta del tono verbale sono altrettanto
importanti nello studio delle pratiche di Impression Management nella comunicazione socioambientale delle imprese, in quanto contribuiscono a trasferire un sentimento al destinatario
che va oltre al significato letterario delle parole e al loro contenuto semantico (Cho, Roberts e
Patten, 2010). Il tono verbale rappresenta dunque una strategia di Impression Management
quando si fa uso di un linguaggio positivo per trasmettere un’immagine favorevole della
performance dell’impresa. (Garcia Osma e Guillamon-Saorin, 2011). Gli studi precedenti sul
tono verbale si sono concentrati maggiormente sulla relazione con la performance aziendale
(Clathworthy e Jones, 2003) e pochi ne hanno indagato il rapporto con altre variabili di rilievo
come lo può essere la corporate governance. Nel loro studio Garcia Osma e Guillamon-Saorin
(2011) hanno analizzato l’associazione tra i meccanismi di corporate governance e la
potenziale manipolazione della comunicazione aziendale, verificando che una governance
forte riduce l’incidenza delle pratiche di Impression Management sia da un punto di vista
quantitativo che da un punto di vista qualitativo. I manager forniscono informazioni più
ottimistiche quando le notizie sono favorevoli o quando si aspettano buoni risultati nel
periodo subito successivo e, le imprese con una forte corporate governance, tendono a
includere più informazioni negative nei propri comunicati stampa fornendo una
52
comunicazione meno pregiudicata agli interlocutori esterni (Garcia Osma e GuillamonSaorin, 2011). Nello specifico ambito della rendicontazione socio-ambientale anche Michelon
e Parbonetti (2012) hanno indagato l’impatto della corporate governance sulla comunicazione
sostenibile, in particolare soffermandosi su determinate variabili di governance riguardanti la
composizione, la struttura e la leadership del Consiglio di Amministrazione e dimostrando
che la corporate governance può orientare l’eterogeneità della comunicazione socioambientale fornita dalle organizzazioni. Le caratteristiche di ciascun amministratore sono
dunque rilevanti nel processo che porta alla divulgazione delle informazioni aziendali, tanto
che il board nel suo insieme e grazie al suo ruolo, può contrastare le eventuali pratiche di
Impression Management opportunisticamente messe in atto dal management. Diventa dunque
interessante approfondire la natura della relazione tra il Consiglio di Amministrazione e le
potenziali pratiche di Impression Management sulla rendicontazione socio-ambientale, poiché
quest’ultima assume oggi un’importanza strategica per la sopravvivenza e la legittimazione
dell’impresa stessa. In particolare si cercherà di capire se esiste una relazione tra l’utilizzo del
tono verbale come strategia di Impression Management e il ruolo del Consiglio di
Amministrazione come meccanismo di governo dell’impresa.
2.2 Sviluppo delle ipotesi
La maggior parte degli studi sul Consiglio di Amministrazione si incentra su i due ruoli
specifici di monitoraggio e di acquisizione delle risorse del Consiglio stesso. La teoria
predominante è quella dell’agenzia che sostiene che una della principali attività degli
amministratori sia quella di monitorare la condotta dei manager per conto degli azionisti; la
teoria della dipendenza dalle risorse, invece, indaga il ruolo del board come fornitore di
risorse e come collegamento indispensabile con l’ambiente esterno. I sostenitori del ruolo del
monitoraggio si sono concentrati più sui sistemi di incentivazione piuttosto che sull’effettiva
abilità di controllo degli amministratori (board capital), mentre quelli del ruolo di
acquisizione delle risorse non hanno incluso una riflessione adeguata sugli incentivi,
approfondendo solamente il tema del board capital. Tuttavia, nella pratica, il Consiglio di
Amministrazione ricopre entrambi questi ruoli contemporaneamente perciò risulta importante
integrare le due prospettive (Hillman e Dalziel, 2003).
I ruoli di monitoraggio e acquisizione delle risorse del Consiglio di Amministrazione,
possono influenzare concretamente il ricorso alle pratiche di Impression Management che
53
l’impresa può mettere in atto per produrre un’immagine favorevole dei risultati aziendali o per
ristabilire la legittimità temporaneamente perduta. Tra le diverse strategie di Impression
Management alle quali possono ricorrere i manager, in questa analisi si vuole approfondire la
manipolazione del linguaggio e in particolare il tono della comunicazione socio-ambientale, la
quale negli ultimi anni, data la sua rilevanza accanto ai dati quantitativi economico-finanziari,
risulta essere spesso veicolo di Impression Management. Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e
Patten (2010) si indagheranno due specifici aspetti del tono del linguaggio: l’ottimismo e la
certezza. La rendicontazione socio-ambientale può essere manipolata esagerando il ricorso a
parole con accezione positiva, facendo risultare così la comunicazione eccessivamente
ottimista. L’ottimismo viene definito dal software per l’analisi di contenuto DICTION come
l’utilizzo di un linguaggio che approvi una persona, un gruppo, un concetto o un evento o che
ne evidenzi il valore positivo. Alternativamente il linguaggio della rendicontazione socioambientale può risultare contorto, incerto e debole per mascherare o offuscare le eventuali
cattive notizie e l’attribuzione interna di responsabilità. La certezza si traduce nell’utilizzo di
un linguaggio che indichi risolutezza, inflessibilità, completezza e una tendenza a parlare ex
cathedra (con un tono autorevole, dogmatico, categorico, che non ammette obiezioni): bassi
valori di questa variabile possono nascondere tentativi di Impression Management (Short e
Palmer, 2007; Cho, Roberts e Patten, 2010). Con la seguente analisi empirica, s’intende
verificare se, sia nell’ambito della prospettiva del ruolo di monitoraggio del board che in
quella dell’acquisizione delle risorse, le variabili di corporate governance influenzano
attivamente il tono della comunicazione ambientale delle imprese.
La teoria alla base della funzione di monitoraggio è quella dell’agenzia: secondo tale teoria il
management (agente), grazie al potere e alla libertà di cui dispone, è incentivato a
massimizzare la propria utilità, perseguendo obiettivi in contrasto a quelli della proprietà
(principale). La separazione tra proprietà e controllo porta dunque allo sviluppo di asimmetrie
informative e a potenziali conflitti di interesse tra il management e gli azionisti. All’interno di
questo contesto il Consiglio di Amministrazione riveste il critico ruolo del monitoraggio e
dell’incentivazione dei manager affinché gli interessi degli azionisti siano egualmente
rispettati (Eisenhardt, 1989; Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). Le asimmetrie informative
che si sviluppano nel rapporto tra agente e principale possono essere in parte mitigate dalla
diffusione delle informazioni da parte dell’impresa: in condizioni di razionalità limitata, dove
le informazioni non sono interamente condivise tra i soggetti, la rendicontazione e la
corporate governance agiscono come meccanismi di responsabilità che incrementano la
54
trasparenza tra le parti (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Una delle possibili manifestazioni dei
problemi di agenzia è l’Impression Management: i manager, infatti, ricorrono alla flessibilità
tipica della comunicazione volontaria per manipolarne la percezione (Gracia-Osma e
Guillamon-Saorin, 2011). L’Impression Management secondo la prospettiva della teoria
dell’agenzia, rappresenta dunque il comportamento opportunistico dei manager derivante
dall’asimmetria informativa con gli azionisti: attraverso l’alterazione della reportistica
aziendale si cerca di dare una rappresentazione favorevole della performance economicofinanziaria dell’impresa enfatizzando i risultati positivi e offuscando quelli negativi.
(Brennan e Merkl-Davies, 2013). A seconda dell’attività di monitoraggio esercitata dal
Consiglio di Amministrazione sul management ci si aspetta un diverso ricorso alla
manipolazione del tono della comunicazione ambientale dell’impresa, pertanto s’intende
verificare le seguenti ipotesi:
(Ipotesi 1a) esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di ottimismo
risultante nella comunicazione ambientale delle imprese
(Ipotesi 1b) esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di certezza
risultante nella comunicazione ambientale delle imprese
La seconda funzione del Consiglio di Amministrazione si riferisce all’abilità degli
amministratori di convogliare risorse all’interno dell’impresa e si riconduce alla prospettiva
della dipendenza dalle risorse teorizzata nel 1978 da Pfeffer e Salancik. Secondo i due autori
alla nomina di membro del board di un individuo deve corrispondere un supporto totale
all’impresa e un completo coinvolgimento nell’affrontare e risolvere eventuali problematiche
e criticità. Il Consiglio di Amministrazione dovrebbe dunque essere in grado di fornire quattro
tipi di benefici all’impresa: (1) offrire consulenze e pareri sull’attività aziendale, (2) conferire
legittimità, (3) creare un canale di comunicazione con l’ambiente esterno, (4) garantire un
accesso preferenziale a specifiche risorse. Il board rappresenta il confine chiave tra l’impresa
e l’ambiente esterno: gli amministratori forniscono informazioni tempestive ai dirigenti e
grazie al loro riconosciuto prestigio nella società sono in grado di estrarre risorse utili per la
sopravvivenza dell’organizzazione (Zahra e Pearce, 1989). Attraverso gli amministratori che
fungono da collegamento tra l’organizzazione e l’ambiente, l’impresa può quindi ridurre
l’incertezza e la dipendenza dalle risorse esterne e includendo nel consiglio personalità
specifiche è in grado di accedere a informazioni rilevanti, accrescere la credibilità e la
reputazione dell’organizzazione e, di conseguenza, creare o conservare la legittimità. Accanto
55
ai benefici della riduzione dell’incertezza e alla maggiore facilità di acquisizione delle risorse,
avere all’interno del board amministratori indipendenti, può portare anche a una riduzione dei
costi di transazione connessi alle diverse interdipendenze che l’impresa sviluppa con le
istituzioni dell’ambiente esterno: attraverso le maggiori informazioni sulle offerte contrattuali
o grazie alla conoscenza delle giuste figure con le quali relazionarsi, è possibile ottenere un
vantaggio di costo sui competitor (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). Il legame che gli
amministratori sviluppano con gli interlocutori esterni all’impresa si traduce in disponibilità
di risorse vitali al buon funzionamento dell’organizzazione e la reputazione che i membri del
board hanno all’interno della società conferisce legittimità alle azioni intraprese
dall’organizzazione (Michelon e Parbonetti, 2012). La presenza del board come garanzia di
legittimità, dovrebbe dunque limitare il ricorso da parte del management a tecniche di
manipolazione delle informazioni al fine di ripristinare l’eventuale gap di conformità tra i
principi della società e le azioni dell’impresa. Secondo la prospettiva della dipendenza dalle
risorse, l’Impression Management può dunque emergere qualora il management si trovi ad
affrontare situazioni nelle quali la legittimità dell’impresa è messa in forte discussione e il
board capital non è sufficiente a ripristinare la situazione di equilibrio. In particolare ci si
aspetta che il prestigio e la valenza sociale del board influisca sul maggiore o minore ricorso
alla manipolazione del tono della comunicazione ambientale dell’impresa per il ripristino
della legittimità. S’intende dunque verificare le seguenti ipotesi:
(Ipotesi 2a) esiste una relazione tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore
di ottimismo risultante nella comunicazione ambientale delle imprese
(Ipotesi 2b) esiste una relazione tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore
di certezza risultante nella comunicazione ambientale delle imprese
2.3 Selezione del campione
Il seguente studio esamina la comunicazione ambientale, dall’anno 2008 all’anno 2010, di
107 società quotate americane appartenenti al settore Oil & Gas. Le compagnie petrolifere
appartengono ad un settore controverso al quale è rivolta una maggiore attenzione circa le
tematiche socio-ambientali. A causa delle conseguenze del tipo di attività svolta la legittimità
di queste imprese è spesso messa in discussione dall’opinione pubblica. L’impatto
ambientale, la violazione delle norme di sicurezza sul lavoro e gli incidenti legati alle
fuoriuscite di petrolio in mare (tra questi si ricorda in particolare l’incidente di Exxon Valdez
56
del 1989 e il più recente di BP nel Golfo del Messico del 2010) hanno innescato nel tempo
proteste pubbliche e l’apertura di numerosi contenziosi. In risposta a tale pubblicità negativa
e all’accrescimento della sensibilità degli stakeholder riguardo i temi etici, sociali e
ambientali, le imprese del settore Oil & Gas ricorrono sempre più spesso alla rendicontazione
socio-ambientale e alle pratiche di Impression Management come mezzo per contrastare le
opinioni negative, per costruire capitale reputazionale e conseguire così la legittimità
necessaria alla prosperità di lungo termine (Du e Vieira, 2012; Summerhays e De Villiers,
2012; Rupley, Brown e Marshall, 2012). Analizzare la comunicazione ambientale delle
imprese operanti in questo settore risulta, quindi, particolarmente interessante allo scopo di
verificare le ipotesi oggetto di questo lavoro.
A partire dalla popolazione delle società quotate mondiali dal 2008 al 2010 sono state
selezionate, su base geografica, solo quelle quotate negli Stati Uniti, per un totale di 35.433
imprese. Si è scelto di concentrarsi sulle imprese americane per la maggiore disponibilità
della documentazione aziendale, nonché per la maggiore uniformità della reportistica a livello
nazionale rispetto ai Paesi dell’Unione Europa. Sono state poi individuate le sole società
quotate appartenenti al settore Oil & Gas, restringendole a quelle con codice di riferimento 2DIGIT SIC code: 13 (Oil & Gas Extraction), 29 (Petroleum and Coal products) e 49
(Electric, Gas and Sanitary Services). Delle 1904 società risultanti sono state infine
selezionate solo quelle con la diponibilità dei documenti 10-k e Def-14A per gli anni 2008,
2009 e 2010, necessari all’indagine empirica, per un totale di 321 imprese (Tab. 1).
Standard Industry
Classification Code
(SIC)
Totale
Anno Fiscale
Totale
2008
2009
2010
1311
58
58
58
174
1381
8
8
8
24
1382
3
3
3
9
1389
8
8
8
24
2911
11
11
11
33
4922
2
2
2
6
4923
7
7
7
21
4924
10
10
10
30
107
107
107
321
Tab. 1: Composizione del campione per codice SIC nei tre
anni di riferimento (2008-2010)
57
2.4 Metodologia e misurazione delle variabili
Una volta definito il campione si è proceduto alla raccolta dei dati per ciascuna società, sia per
quanto concerne la reportistica socio-ambientale, sia per le caratteristiche di corporate
governance nei tre anni di indagine (2008-2010).
La comunicazione ambientale analizzata in questo lavoro comprende la sezione 1 del form 10k e tutti i comunicati stampa (press releases) a carattere ambientale. Il documento form 10-k è
un report annuale, suddiviso in sezioni, richiesto dalla US Securities and Exchange
Commission (SEC) nel quale vengono riassunte le informazioni sulla performance aziendale.
Gli aspetti ambientali riguardanti le attività della società vengono approfonditi rispettivamente
nelle sezioni 1 (Business), 3 (Legal Proceedings) e 7 (Management's Discussion and
Analysis). Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) si è scelto di concentrare
l’attenzione solo sulla sezione 1. La sezione 3 è esclusa in quanto contiene informazioni circa
le questioni legali ambientali in corso o previste e le relative indagini: Nelson e Pritchard
(Cho, Roberts e Patten, 2010, p. 435) nel 2008 hanno dimostrato come le imprese con un più
alto rischio di contenzioso tendano a utilizzare un linguaggio precauzionale per ridurre il
costo associato alle controversie legali, perciò si vuole evitare che il linguaggio specifico di
questo contesto porti a risultati fuorvianti nello studio del tono della comunicazione
ambientale. La sezione 7 è invece esclusa in quanto riassume informazioni già presenti nelle
sezioni 1 e 3. I report annuali, come il form 10-k, rappresentano una fonte primaria di
informazioni per gli stakeholder e permettono di raggiungere diversi pubblici rilevanti. Per
questo motivo i manager possono approfittare della credibilità associata a questi mezzi di
comunicazione per cercare di alterare la percezione dei pubblici riguardo l’attività
dell’impresa (Summerhays e De Villiers, 2012). I form 10-k per ciascuna società e per i tre
anni di indagine sono stati reperiti nel database EDGAR, una risorsa a disposizione nel sito
web SEC (www.sec.gov/edgar/searchedgar/companysearch.htlm). Accanto ai report annuali
sono stati raccolti tutti i comunicati stampa a contenuto ambientale delle diverse società,
diffusi nell’apposita sezione dei siti aziendali. I criteri di selezione dei comunicati sono
riportati in tabella 2. Questo mezzo di comunicazione conferisce al management una
maggiore flessibilità di breve termine rispetto ai più rigidi e strutturati report annuali: la
possibilità di utilizzare un linguaggio più espressivo rappresenta per i manager una maggiore
58
opportunità di ricorrere all’Impression Management (Garcia Osma e Guillamon-Saorin,
2011).
Criteri di raccolta comunicati stampa (press releases - PR)
Argomenti PR inclusi
Programmi di efficienza energetica e di riduzione dell’impatto ambientale; incidenti ambientali collegati
all'operatività aziendale; sistemi di contenimento per la fuoriuscita di petrolio in mare; hydraulic fracturing
(tecnica con impatti ambientali); certificazione LEED; permessi ambientali; installazione di piattaforme di
penetrazione in mare; dichiarazioni di impatto ambientale (EIS) per una certa area; accordi con il dipartimento
ambientale (EPA); permesso di qualità dell'aria; contaminazioni dell'acqua; cambiamenti climatici; riduzione dei
gas serra (composte di CO2 e metano) nell'ambiente; riduzione dei rifiuti; regolazioni ambientali; misure per
garantire l'integrità delle condutture; ricerche con impatto ambientale; programmi per la protezione della
biodiversità; altri progetti ambientali (es. Enhanced Oil Recovery); politiche di tutela dell’ambiente; attività di
perforazione (solo se rilevanti e non puramente di carattere tecnico-produttivo); espansione dell'acreaggio e/o
acquisizioni di posizioni in specifiche aree petrolifere (Bakken play, EagleFord play, Marcellus Shale).
Argomenti PR non inclusi
Acquisizioni di raffinerie; risultati trimestrali; annuncio utili e conference call; aggiornamenti operativi; proved e
unproved reserves; completamento di transazioni tra aziende; partecipazione a conferenze energetiche (solo
annuncio luogo/data); offerta di stock comune.
Tab. 2: Criteri di raccolta dei comunicati stampa a contenuto ambientale
I dati relativi alle caratteristiche di corporate governance delle 107 società appartenenti al
campione sono stati invece estratti manualmente dal form Def-14A (anche detto proxy
statement), un documento richiesto dalla US Securities and Exchange Commission (SEC)
contenente tutte le informazioni necessarie agli azionisti per poter votare con consapevolezza
all’incontro annuale. La dichiarazione include notizie sulle procedure di voto, le biografie
degli amministratori nominati alle successive elezioni, i meccanismi di compensazione del
board e della dirigenza e le informazioni sui comitati, con particolare attenzione al comitato di
audit. I form Def-14A per ciascuna società, per i tre anni di indagine, sono stati reperiti
anch’essi nel database EDGAR.
In tabella 3 è riportata una descrizione riassuntiva delle variabili selezionate per l’indagine
empirica. La misurazione di tali variabili è approfondita nei paragrafi successivi.
VARIABILE
DEFINIZIONE
FONTE
VARIABILI DIPENDENTI
Form 10-k
Opt_10k
Cer_10k
Valore di ottimismo calcolato da
DICTION sulla sezione 1 del form 10-k
Valore di certezza calcolato da DICTION
sulla sezione 1 del form 10-k
Form 10-k (database EDGAR)
Form 10-k (database EDGAR)
59
Press releases (comunicati stampa)
Valore medio di ottimismo calcolato da
Opt_pr
Sito web della società di riferimento
DICTION sulle press releases
Valore medio di certezza calcolato da
Cer_pr
Sito web della società di riferimento
DICTION sulle press releases
VARIABILI INDIPENDENTI
Ruolo di Monitoraggio del Board
Numero di amministratori indipendenti
ind_dir
Form def-14A (database EDGAR)
nel board
Variabile dummy che assume valore 1 se
ceo_dua
il Chief Executive Officer (CEO) è anche
Form def-14A (database EDGAR)
il Chairman del Board, valore 0 altrimenti
Numero di membri del board
Form def-14A (database EDGAR)
b_size
Numero di amministratori membri
ac_fe
dell’Audit Committee con competenze
Form def-14A (database EDGAR)
finanziarie
Ruolo di acquisizione delle risorse del Board
Numero di amministratori di sesso
b_fem
Form def-14A (database EDGAR)
femminile nel board
Percentuale di incarichi esterni alla
p_ext
Form def-14A (database EDGAR)
società dei membri del board
Percentuale di amministratori del board
p_ci
con influenza nella comunità di
riferimento (accademici, politici, ufficiali
Form def-14A (database EDGAR)
dell’esercito, esponenti di organizzazioni
non-profit)
Variabile dummy che assume valore 1 se
She
è presente un Safety, Health and
Form def-14A (database EDGAR)
Environment Committee, valore 0
altrimenti
VARIABILI DI CONTROLLO (Economico-finanziarie)
Return on asset
Database DATASTREAM
ROA
Logaritmo degli asset totali
Database DATASTREAM
size
Rapporto tra immobili, impianti e
tang
Database DATASTREAM
macchinari e gli asset totali
Tab. 3: Descrizione delle variabili
2.4.1 Variabili dipendenti
Il tono della comunicazione ambientale rappresenta la variabile dipendente oggetto di questo
studio ed è determinata a partire dai form 10-k e dai comunicati stampa raccolti ed elaborati
attraverso la metodologia dell’analisi di contenuto. L’analisi di contenuto è una tecnica che
viene utilizzata per la codifica di un testo in sottogruppi o categorie sulla base di specifici
criteri preselezionati (Michelon e Parbonetti, 2012) ed è stata ampiamente adottata negli studi
precedenti sulla rendicontazione socio-ambientale delle imprese. Numerosi sono i benefici
potenzialmente associati all’utilizzo di questo metodo: innanzitutto permette di cogliere le
eventuali differenze individuali tra i comunicatori, inoltre viene considerato meno invadente
60
rispetto ad altre tecniche, come le interviste, e pertanto consente di ottenere informazioni
altrimenti non disponibili. L’analisi di contenuto dei testi permette dunque di acquisire
conoscenze fondamentali sul pensiero del management e, di conseguenza, sulle decisioni da
esso sostenute (Short e Palmer, 2008). Tre sono i metodi generalmente utilizzati dagli studiosi
per effettuare un’analisi di contenuto. Il primo consiste nell’allenare alcune persone, chiamate
“codificatori”, a classificare i testi secondo specifiche categorie (human-scored system); con il
secondo metodo (individual word count system) i testi vengono classificati in categorie
semanticamente equivalenti e, attraverso il conteggio di frequenza, viene determinata
l’importanza relativa di ciascuna categoria all’interno del testo; infine è possibile ricorrere a
sistemi di intelligenza artificiale (artificial intelligence systems) che considerano sia la sintassi
che il lessico. I testi dei documenti form 10-k e dei comunicati stampa raccolti sono stati
processati tramite il software per l’analisi di contenuto DICTION 5.0, sviluppato dal
ricercatore Hart.
Questo programma permette di conciliare il conteggio della frequenza delle parole con la
validità dei sistemi computerizzati che sono più veloci, più affidabili e meno costosi dei
sistemi basati sulla codificazione umana. DICTION si focalizza sulla scelta delle parole e sul
tono verbale e permette di personalizzare i dizionari di riferimento garantendo un’elevata
flessibilità nello svolgimento delle analisi. Il software comprende 36 dizionari predefiniti,
basati sulla teoria linguistica, che vengono utilizzati per l’analisi lessicale attraverso cinque
variabili (master variables): certezza, ottimismo, realismo e comunanza. Il profilo normativo
selezionato in questo lavoro è quello delle relazioni pubbliche aziendali (corporate public
relations) che raccoglie le dichiarazioni pubbliche, gli interventi del C.E.O. e le mission delle
maggiori società americane, appartenenti a diversi settori, dai primi degli anni ’60 a metà
degli anni ’90. Tra le categorie della sezione Business, tali valori normativi risultano i più
idonei a cogliere le caratteristiche del tono dei dati raccolti e forniscono il giusto contesto per
la misurazione delle variabili dipendenti che si intende approfondire in questa sede, cioè
l’ottimismo e la certezza (Cho, Roberts e Patten, 2010). L’ottimismo è definito da DICTION
come l’utilizzo di un linguaggio che approvi una persona, un gruppo, un concetto o un evento
o che ne evidenzi il valore positivo. La formula che viene utilizzata dal programma per il
calcolo del valore di ottimismo è la seguente:
Ottimismo = [Approvazione + Compiacenza + Ispirazione] – [Biasimo + Disagio +
Diniego],
61
dove
 Approvazione: l’affermazione di un individuo, gruppo o entità estratta. Sono inclusi gli
aggettivi che esprimono importanti qualità sociali, fisiche, intellettuali, imprenditoriali
e morali.
 Compiacenza: sono inclusi i termini associati a stati affettivi positivi, momenti di gioia
o di successo e piacevoli diversivi.
 Ispirazione: virtù astratte rispettate universalmente. Sono inclusi i termini che indicano
qualità morali, personali e socio-politiche particolarmente rilevanti.
 Biasimo: sono inclusi i termini che esprimono inadeguatezza sociale, gli aggettivi
particolarmente negativi o denigratori e gli aggettivi
che descrivono circostanze
sfortunate o eventi improvvisi di natura avversa.
 Disagio: sono inclusi i termini che richiamano disastri e calamità naturali, azioni ostili,
comportamenti umani inadeguati, nonché parole che rappresentano le più comuni
paure e inattitudini degli individui.
 Diniego: sono inclusi le contrazioni verbali negative, le parole funzionali negative e
quelle che identificano insiemi nulli.
Il punteggio di certezza viene, invece, assegnato stimando il grado di risolutezza,
inflessibilità, completezza e della tendenza a parlare ex cathedra (con un tono autorevole,
dogmatico, categorico, che non ammette obiezioni) del linguaggio di un testo. La formula che
viene utilizzata dal programma per il calcolo del valore di certezza è la seguente:
Certezza = [Tenacia + Livellamento + Collettività + Perseveranza] - [Termini numerici +
Ambivalenza + Autoriferimento + Varietà],
dove
 Tenacia: sono inclusi tutti gli utilizzi del verbo essere, tre forme di verbi definitivi e le
loro varianti e contrazioni. Questi verbi connotano confidenza e senso di totalità.
 Livellamento: sono inclusi tutti quei termini che appiattiscono le differenze tra gli
individui e accrescono il senso di completezza e di certezza, come le parole
totalizzanti, gli avverbi di permanenza e gli aggettivi a carattere risoluto.
62
 Collettività: sono inclusi i nomi che connotano pluralità e riducono il senso di
specificità come i termini che richiamano i gruppi sociali, i gruppi di lavoro e le entità
geografiche.
 Perseveranza: questa misura identifica le parole che ricorrono tre o più volte nel testo
e dà un’indicazione della preferenza alla ripetizione di parole ordinarie e limitate.
 Termini numerici: sono inclusi tutti i numeri interi ricorrenti nel testo e i più comuni
termini indicanti i numeri in lettere, i segni delle operazioni numeriche e altri
argomenti quantitativi. I termini numerici accrescono la specificità di un’affermazione.
 Ambivalenza: sono incluse quelle parole che esprimono esitazione o incertezza e che
implicano l’inabilità o la riluttanza ad assumere la responsabilità di ciò che viene
dichiarato nel testo.
 Autoriferimento: sono inclusi tutti i riferimenti in prima persona. L’autoriferimento è
interpretato come un atto di indicizzazione.
 Varietà: è il rapporto tra il numero di parole diverse in un brano e il totale delle parole
del brano stesso. Un alto valore di questa misura indica la preferenza per affermazioni
precise.
I testi dei form 10-k e dei comunicati stampa raccolti sono stati dunque convertiti in file .txt
per essere processati con DICTION; l’output fornito dal programma è stato poi inserito
all’interno di un foglio di lavoro Excel riepilogativo. I valori di ottimismo e di certezza sono
stati poi confrontati con quelli del normal range definiti dal software, restituendo una
variabile dummy dal valore +1 se il valore di ottimismo o certezza calcolato da DICTION è
maggiore del normal range; -1 nel caso in cui il valore è minore del normal range; 0 se il
valore calcolato è all’interno del normal range. Le variabili dipendenti di ottimismo (opt_10k
e opt_pr) e di certezza (cer_10k e cer_pr) sono considerate in valore assoluto (come da output
di DICTION).
2.4.2 Variabili indipendenti
Le variabili indipendenti che sono state selezionate come proxy per la misurazione dei due
ruoli di monitoraggio e di acquisizione delle risorse del Consiglio di Amministrazione sono
individuate sulla base della letteratura precedente in tema di corporate governance e
63
comunicazione socio-ambientale. Le informazioni necessarie sono contenute nel form def 14A
(o proxy statement), un documento che include notizie sulle procedure di voto, le biografie
degli amministratori nominati alle successive elezioni, i meccanismi di compensazione del
board e della dirigenza e alcune note sui comitati aziendali.
Il ruolo di monitoraggio del board è ampiamente discusso in letteratura e molte sono le
variabili che ben si apprestano a coglierne la rilevanza. In questo lavoro si è scelto di
concentrarsi in particolare su: il numero di amministratori indipendenti (ind_dir) e la
dimensione del Consiglio di Amministrazione (b_size), per cogliere l’impatto della
composizione del board sul tono della comunicazione ambientale; la CEO duality (ceo_dua),
per cogliere l’influenza della board leadership sul tono della comunicazione ambientale; il
numero di amministratori esperti di finanza che fanno parte dell’audit committee (ac_fe), per
cogliere la relazione tra il tono della comunicazione ambientale e uno dei comitati più
rilevanti per il controllo all’interno dell’impresa.
L’indipendenza del Consiglio di Amministrazione è considerata un meccanismo fondamentale
per il controllo dell’attività dei manager e per assicurare il rispetto degli interessi degli
azionisti dell’impresa (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012). Essa si
traduce molto spesso nella presenza di amministratori non operativi o esterni, ai quali è
riconosciuta una maggiore obiettività nella valutazione dell’operato del management (Prado
Lorenzo e Garcia-Sanchez, 2010). Un amministratore, infatti, è considerato indipendente
quando non detiene una quota significativa della proprietà della società e non ricopre alcun
tipo di posizione dirigenziale o operativa al suo interno (Buniamin et al., 2008). Gli studi
precedenti hanno dimostrato che maggiore è la concentrazione di amministratori indipendenti
all’interno del board, maggiore è il livello di monitoraggio espresso nei confronti dei
manager. Ciò può essere dovuto al fatto che il Chief Executive Officer (CEO) non detiene un
forte potere nei confronti di questo tipo di amministratori e, grazie anche alla mancanza di
interessi materiali diretti, il ruolo di controllo è favorito. In relazione all’ambito della
comunicazione socio-ambientale vi sono prove che suggeriscono una maggiore sensibilità alla
responsabilità sociale da parte degli amministratori indipendenti e un conseguente impatto
sulla qualità e la quantità delle informazioni socio-ambientali divulgate. Alcuni studi sulla
rendicontazione volontaria hanno evidenziato un’associazione positiva tra il numero di
amministratori indipendenti e la disclosure volontaria (De Villiers, Naiker e Van Staden,
2011; Htay, 2012; Akhtaruddin et al., 2009; Rao, Tilt e Lester, 2012): il minore allineamento
con il management permette infatti di forzare la divulgazione delle informazioni di
64
responsabilità sociale che altrimenti non avrebbero risalto, miglioramento così la trasparenza
all’interno del Consiglio (Rao, Tilt e Lester, 2012). Tuttavia altri risultati non hanno fornito
una risposta chiara sulla natura della relazione tra il numero degli amministratori indipendenti
e la disclosure. Alcune indagini non hanno infatti riportato risultati significativi (Ho e Wong,
2001; Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012; Prado Lorenzo e GarciaSanchez, 2010; Buniamin et al., 2008; Michelon e Parbonetti, 2012; Allegrini e Greco, 2013),
mentre altre hanno rinvenuto una relazione di tipo negativo (Haniffa e Cooke, 2005; Cerbioni
e Parbonetti, 2007). Seguendo il lavoro di Garcia-Osma e Guillamon-Saorin (2011) s’intende
studiare se la presenza di amministratori indipendenti all’interno del Consiglio di
amministrazione, come proxy del ruolo di monitoraggio del board stesso, ha un impatto sul
ricorso alla manipolazione del tono della comunicazione ambientale come strumento di
Impression Management. La variabile ind_dir misura dunque il numero di amministratori
indipendenti all’interno del board ed è ricavata dalle informazioni contenute nel documento
form def-14A disponibile nel database EDGAR.
La seconda variabile selezionata come proxy per il ruolo di monitoraggio è la dimensione del
Consiglio di Amministrazione (b_size), misurata come il numero di membri appartenenti al
Consiglio stesso. Due sono i principali effetti della dimensione del board analizzati nella
letteratura precedente: (1) i problemi di comunicazione e di coordinamento che si possono
sviluppare all’interno del Consiglio; (2) l’abilità di controllo sul management e i conseguenti
problemi di agenzia derivanti dalla separazione tra la gestione dell’impresa e l’effettivo
monitoraggio (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Nei board formati da un più grande numero di
amministratori, il beneficio della maggiore capacità di controllo e delle maggiori esperienze
apportate è controbilanciato dai problemi decisionali e di coordinamento che si possono
manifestare all’interno del gruppo e che rendono l’attività di monitoraggio meno efficace.
Inoltre, la mancata coesione tra i membri del Consiglio di Amministrazione riduce la
possibilità di adottare misure coordinate nei confronti del CEO, il quale, forte della sua
posizione predominante e del controllo ridotto, sarà incentivato ad adottare eventuali strategie
di Impression Management. Molti studi si sono occupati della relazione tra la disclosure
volontaria e la dimensione del board, con risultati talvolta contrastanti: una relazione positiva
è stata individuata nei lavori di Buniamin et al. (2008), Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e
Garcia-Sanchez (2012), Rao, Tilt e Lester (2012), Akhtaruddin et al. (2009), Allegrini e
Greco (2013); mentre una relazione negativa è emersa dagli studi di Htay et al. (2012),
Cerbioni e Parbonetti (2007). In questo studio si ritiene che la dimensione del Consiglio di
65
Amministrazione, come espressione del ruolo di monitoraggio del Consiglio stesso, posso
avere un impatto sulla manipolazione del tono della comunicazione ambientale.
La terza variabile presa in considerazione per il ruolo di monitoraggio del board è la CEO
duality (ceo_dua), che rappresenta quella particolare situazione in cui il CEO ricopre anche il
ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione. La combinazione dei due ruoli nella
stessa figura rappresenta un conflitto di interessi in quanto il potere decisionale sulla gestione
e quello sul controllo sono esercitati dalla stessa persona e, dunque, il giusto monitoraggio e
l’indipendenza del Consiglio non sono garantiti. Inoltre, secondo la prospettiva della teoria
dell’agenzia, grazie al potere di cui dispone, il CEO potrebbe implementare strategie che
favoriscono il suo interesse, a discapito di quello della proprietà e degli stakeholder in
generale. Dati i seguenti presupposti si ritiene che la CEO duality abbia un impatto sul ricorso
alle strategie di Impression Management e, in particolare, sul tono della comunicazione
ambientale. Anche in questo caso gli studi precedenti non sono concordi sulla definizione
della relazione che lega questo aspetto alla disclosure volontaria: un legame positivo è
individuato nei lavori di Prado Lorenzo e Garcia-Sanchez (2010) ; mentre un legame negativo
è riscontrato negli studi di Cerbioni e Parbonetti (2007) e Allegrini e Greco (2013); non è
evidenziata alcuna relazione significativa negli studi di Michelon e Parbonetti (2012), Ho e
Wong (2001), De Villiers, Naiker e Van Staden (2011), Buniamin et al. (2008). La variabile
CEO duality è misurata come variabile dummy e assume valore 1 se il CEO è anche il
Presidente del Consiglio di Amministrazione, valore 0 se i due ruoli sono invece separati.
La quarta ed ultima variabile individuata per misurare il ruolo di monitoraggio del Consiglio
di Amministrazione è rappresentata dal numero di amministratori esperti di finanza che fanno
parte nell’audit committee (ac_fe). Le competenze dei diversi amministratori sono state
valutate sulla base della biografia contenuta nel documento form def-14A (vedi tabella 5).
Secondo la teoria dell’agenzia la presenza del comitato di audit aiuta a diminuire i costi di
agenzia e favorisce il controllo all’interno dell’impresa (Ho e Wong, 2001). La presenza di
amministratori esperti di finanza all’interno del comitato può dunque migliorare la qualità
delle informazioni finanziarie divulgate dalla società, nonché permettere una valutazione più
accurata dell’operato del management (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Si ritiene pertanto che la
presenza di amministratori con competenze finanziarie all’interno dell’audit committee possa
avere un impatto sulla comunicazione ambientale e che il maggiore controllo conseguente
possa incidere sul ricorso a tecniche di Impression Management, quale la manipolazione del
tono verbale. Gli studi precedenti hanno prodotto risultati diversi nello studiare la relazione
66
tra le caratteristiche dell’audit committee e la disclosure: Ho e Wong (2001) hanno riscontrato
una relazione positiva tra il livello della disclosure e la presenza dell’audit committee, mentre
Akhtaruddin et al. (2009), invece, non hanno riscontrato alcuna relazione significativa.
Oltre ad esercitare la funzione di controllo, il Consiglio di Amministrazione riveste anche il
ruolo fondamentale di acquisire dall’esterno le risorse e le informazioni essenziali alla
sopravvivenza dell’impresa. Le variabili individuate per misurare questo ruolo sono le
seguenti: il numero di amministratori di sesso femminile all’interno del board (b_fem); la
percentuale di incarichi esterni all’impresa degli amministratori, anche detta directors’
interlocking (p_ext); la percentuale di amministratori che hanno una particolare influenza
nella comunità (p_ci); la presenza di un comitato di Safety, Health and Environment (she).
La prima variabile individuata per misurare il ruolo di acquisizione delle risorse rappresenta il
numero di membri di sesso femminile del Consiglio di Amministrazione (b_fem). La presenza
delle donne all’interno del board sembra influenzare positivamente il comportamento
dell’organizzazione e contribuisce ad accrescere la reputazione e la legittimità aziendale. Gli
studi di Konrad (Fernandez-Feijoo, Romero e Ruiz, 2012, p. 33) hanno dimostrato che per
avere un impatto all’interno del board, la presenza femminile deve essere di almeno tre donne:
una sola donna nel gruppo sembra non essere messa nelle condizioni adeguate per esprimere
con libertà la sua opinione. Fernandez-Feijoo, Romero e Ruiz (2012) hanno studiato
l’influenza della presenza di almeno tre membri femminili nel board sul livello della
disclosure volontaria, dimostrando un miglioramento della qualità della reportistica socioambientale prodotta dalla società. Inoltre le donne sembrano possedere una maggiore
sensibilità verso le tematiche ambientali. Grazie a tale caratteristica le stesse, probabilmente,
porteranno all’attenzione del board anche le questioni riguardanti l’ambiente, promuovendo il
rispetto delle norme della società e accrescendo la legittimità dell’impresa. Per questo motivo
si ritiene che la presenza delle donne nel Consiglio di Amministrazione possa avere un
impatto sulle strategie di Impression Management, limitandone il ricorso.
La seconda variabile selezionata per il ruolo di acquisizione delle risorse del board è il
directors’ interlocking, misurato come la percentuale di incarichi esterni posseduta dai
membri del Consiglio di Amministrazione (p_ext). La teoria della dipendenza dalle risorse
suggerisce che gli amministratori che rivestono ruoli significativi in altre imprese o che hanno
sviluppato un’esperienza di lungo termine in altri board, possiedono un capitale umano e
sociale maggiore e dunque sono in grado di fornire all’organizzazione migliori consigli,
67
informazioni e risorse (Hillman e Dalziel, 2003). Si ritiene dunque che la presenza di
amministratori con incarichi in diversi Consigli di Amministrazione, influenzi la disclosure
ambientale: l’esperienza raccolta all’esterno dell’impresa si traduce in una maggiore
attenzione alle politiche di rendicontazione, con un conseguente impatto sul tono della
comunicazione ambientale, e in una segnalazione di reputazione che porta all’accrescimento
della legittimità senza dover ricorrere ad eventuali manipolazioni per alterare la percezione
degli stakeholder. Studi precedenti hanno dimostrato che esiste una relazione positiva tra la
percentuale di amministratori con più di un incarico e il livello della disclosure volontaria
(Rupley, Brown e Marshall, 2012).
Molti degli studi precedenti sulla composizione del Consiglio di Amministrazione sono basati
sulla distinzione classica, derivante dalla teoria dell’agenzia, tra amministratori insider e
outsider. Questa distinzione è appropriata nello studio del ruolo di monitoraggio (che rimanda
appunto alla teoria dell’agenzia), mentre non risulta adeguata per la comprensione del ruolo di
acquisizione delle risorse (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). Poiché ciascun
amministratore apporta diversi tipi di risorse e collegamenti con l’ambiente esterno all’interno
del board, è bene approfondire la composizione del Consiglio con un maggior dettaglio.
Dall’osservazione delle diverse caratteristiche dei membri del board in termini di capacità,
competenze, informazioni e connessioni con l’esterno, è infatti possibile stimare il tipo di
risorse che possono confluire all’interno dell’organizzazione. Seguendo la tassonomia
identificata da Hillman, Cannella e Paetzold (2000) si è proceduto ad identificare, a partire
dalla biografia contenuta nel documento def-14A, ciascun membro dell’organo amministrativo
sulla base della tipologia di risorsa apportata distinguendo le seguenti categorie:
 Amministratori esperti nella guida delle imprese (Business Expert). Gli amministratori
appartenenti a questa categoria hanno il compito di fornire all’organizzazione conoscenze e
competenze sul processo decisionale e sulla formulazione delle strategie. La loro
esperienza all’esterno della società in altri Consigli di Amministrazione permette di
acquisire un punto di vista alternativo sulle questioni interne aziendali e, nello stesso
tempo, di conferire legittimità all’impresa grazie al prestigio associato alla loro esperienza
lavorativa (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000; Parbonetti, 2006). In tabella 4 è proposto
un esempio delle informazioni biografiche riportate da un’impresa appartenente al
campione e la corrispondente classificazione assegnata.
68
Amministratori esperti nella guida delle imprese (Business Expert) – Esempi
Biografia dell’amministratore
Codifica secondo la tassonomia di Hillman (2000)
ABRAXAS PETROLEUM
Ralph F. Cox […] has over 50 years of oil and gas
industry experience, over 30 of which was with
Atlantic Richfield Company (ARCO). He currently
serves on the board of CH2M Hill Companies, as a
trustee for Fidelity Mutual Funds, as a director of
Validus International, World GTL Inc, E-T Energy
Ltd., Impact Petroleum […]
Esperto di business
Tab. 4: Amministratori esperti nella guida delle imprese (Business Expert) - Esempi (Form def14A)
 Amministratori con competenze specifiche (Support Specialist). Gli amministratori di
questa categoria non supportano direttamente il processo di formulazione della strategia in
quanto non possiedono capacità manageriali, tuttavia forniscono conoscenze specialistiche
in specifici ambiti (diritto, finanza, ingegneria) e sono determinanti nell’acquisire
informazioni dall’ambiente esterno (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000; Parbonetti, 2006).
In tabella 5. è proposto un esempio delle informazioni biografiche riportate da un’impresa
appartenente al campione e la corrispondente classificazione assegnata.
Amministratori con competenze specifiche (Support Specialist) – Esempi
Biografia dell’amministratore
Codifica secondo la tassonomia di Hillman (2000)
CIMAREX ENERGY CORPORATION
Paul D. Holleman was senior partner of Holme Roberts
& Owen LLP, a Denver law firm, until 2000, when he
retired. At Holme Roberts, he served as legal counsel
to Key Production Company, Inc […]
Avvocato o esperto di relazioni pubbliche
EVOLUTION PETROLEUM CORPORATION
William E. Dozier […] Since 2005, Mr. Dozier has
been an independent oil and gas consultant […] He is a
licensed petroleum engineer with a B.S. Degree in
Petroleum Engineering from the University of Texas
Ingegnere o tecnico di altro tipo
OCCIDENTAL PETROLEUM CORPORATION
John S. Chalsty […] has extensive experience and a
distinguished career in the financial services and oil
and gas industries. He has been a successful investment
executive, having run one of America’s most highly
regarded investment banking firms […]
Esperto di finanza
Tab. 5: Amministratori con competenze specifiche (Support Specialist) - Esempi (Form def-14A)
69
 Amministratori influenti nella comunità (Community Influential). Gli amministratori di
questa categoria forniscono conoscenze, esperienze e soprattutto legami fondamentali
con i diversi gruppi rilevanti della comunità e con le altre organizzazioni presenti.
Sono inclusi individui appartenenti al mondo della politica, dell’istruzione
accademica, delle forze armate e delle associazioni non-profit. Gli amministratori
influenti nella comunità forniscono una preziosa prospettiva non manageriale sulle
scelte e sulle azioni messe in atto dall’impresa: grazie alla loro esperienza e alla loro
influenza sulla comunità possono infatti aiutare ad evitare pericolosi conflitti con i
gruppi di riferimento, garantendo la legittimità (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000).
In tabella 6 è proposto un esempio delle informazioni biografiche riportate da
un’impresa appartenente al campione e la corrispondente classificazione assegnata.
Amministratori influenti nella comunità (Community Influential) – Esempi
Biografia dell’amministratore
Codifica secondo la tassonomia di Hillman (2000)
BILL BARRET CORPORATION
Edmund P. Segner, III […] Mr. Segner currently is a
professor in the practice of engineering management in
the Department of Civil and Environmental
Engineering at Rice University in Houston, Texas […]
Accademico
SOUTH JERSEY INDUSTRIES
Ambassador William J. Hughes has been […] United
States Ambassador to the Republic of Panama (1995 1998); Member, United States House of
Representatives (1975 - 1995) […]
Politico
MARATHON OIL CORPORATION
Charles F. Bolden, Jr. […] He was assigned Deputy
Commanding General, I MEF, Marine Forces, Pacific
in 1997. Mr. Bolden served as Commanding General, I
MEF (FWD) for Operation Desert Thunder in Kuwait
from February to June 1998. In July 1998, he was
promoted to Major General serving as the
Commanding General of the Third Marine Aircraft
Wing […]
Ufficiale dell’esercito
VALERO ENERGY CORPORATION
Dr. Susan Purcell […] served as Vice President of the
Council of the Americas, a non-profit business
organization of Fortune 500 companies with
investments in Latin America, and of the Americas
Society, a non-profit educational institution, both in
New York City […]
Esponente di organizzazioni non-profit
Tab. 6: Amministratori influenti nella comunità (Community Influencial) - Esempi (Form def-14A)
70
In particolare, per cogliere l’effetto della diversità di competenze, capacità e background degli
amministratori è stata selezionata come terza variabile per il ruolo di acquisizione delle
risorse, la percentuale di amministratori con una particolare influenza nella comunità di
riferimento (p_ci). Tali amministratori non forniscono tanto competenze di controllo sul
management, quanto, piuttosto, apportano la propria esperienza e un punto di vista alternativo
all’interno del board. È proprio questo punto di vista alternativo che permette all’impresa di
sviluppare una maggiore conoscenza delle aspettative e delle esigenze degli stakeholder.
L’influenza che questi amministratori sono in grado di esercitare sulla comunità è
fondamentale nelle situazioni in cui una particolare azione dell’impresa contrasti con gli
interessi di un particolare gruppo della società esterna. L’intervento o, talvolta, la sola
presenza, di un membro di questo tipo all’interno del board, consente all’impresa di
ripristinare l’eventuale perdita di legittimità o reputazione. Si ritiene dunque che la
percentuale di amministratori influenti nella società abbia un impatto sulla disclosure, sia per
la promozione delle politiche di rendicontazione socio-ambientale che per la segnalazione
intrinseca di legittimità che conferiscono all’impresa. Di conseguenza ci si aspetta un impatto
sul ricorso, da parte del management, a strategie di Impression Management, come la
manipolazione del tono. Michelon e Parbonetti (2012) hanno individuato nel loro lavoro la
presenza di una relazione positiva tra i community influentials e la rendicontazione socioambientale.
La quarta ed ultima variabile indipendente selezionata come proxy per il ruolo di acquisizione
delle risorse del board è la presenza di un comitato di Safety, Health and Environment
all’interno del Consiglio di Amministrazione (she). In questo lavoro sono stati considerati
come Safety, Health and Environment committee tutti quelli riconducibili alla sfera della
Corporate Social Responsibility (CSR) in generale. Le definizioni più ricorrenti all’interno
del campione sono le seguenti: Safety, Health and Environment committee, Safety and
Environmental Affairs committee, Public Policy committee. L’istituzione di un comitato di
questo tipo porta a pensare che il tema della CSR sia rilevante per l’impresa. La struttura del
board e la sua organizzazione interna in comitati di diversa natura, influenza, infatti, il
coinvolgimento degli amministratori e definisce la missione e la strategia aziendale.
Un’organizzazione può dunque implementare diversi programmi o attività a livello del board
per accrescere l’impegno nei confronti degli interessi sulle tematiche socio-ambientali degli
stakeholder o come mezzo per ottenere legittimità (Michelon e Parbonetti, 2012). La funzione
tipica del comitato di Safety, Health and Environment è quella di rivisitare le politiche e le
71
condotte dell’impresa in tema di aderenza alle norme etiche, sociali ed ambientali della
società di riferimento e ha un ruolo attivo nella divulgazione delle informazioni socioambientali (Barnard, 2011). Si ritiene dunque che la sua presenza possa avere un impatto sulla
disclosure volontaria e, in particolare, sulla manipolazione del tono. La variabile she è
misurata come variabile dummy e assume valore 1 se è presente uno she committeee, valore 0
se non è presente.
2.4.3 Variabili di controllo
Numerosi studi precedenti hanno evidenziato come alcuni fattori legati all’impresa (firmspecific) possano influenzare la misura e/o il contenuto tematico della rendicontazione
ambientale fornita dalle imprese. Per verificare più attentamente se le differenze nel tono
verbale dei documenti in esame sono associate a tali fattori, si è scelto di includere le seguenti
variabili di controllo, sulla base della letteratura precedente: size, ROA e tang. I dati relativi a
queste variabili sono stati raccolti nel database Datastream. La maggior parte degli studi sulla
rendicontazione ambientale indica che questa è positivamente associata alla dimensione
dell’impresa (size): le imprese più grandi, infatti, tendono a divulgare più informazioni. Ciò
avviene in risposta alla richiesta di notizie da parte degli investitori e grazie all’inferiore costo
medio di raccolta e diffusione dei dati stessi (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Seguendo il lavoro
di Cho, Roberts e Patten (2010) la variabile di controllo size è misurata come logaritmo degli
asset totali.
Pur non costantemente documentata, anche la redditività sembra essere
significativamente associata alla disclosure ambientale: le imprese con profitti più alti sono
incentivate a divulgare più informazioni per mettere in evidenza i propri risultati positivi agli
occhi degli investitori. Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) la variabile di
controllo per misurare la redditività è l’indice ROA (Return On Asset), che indica la redditività
del capitale investito, cioè il rendimento di tutte le risorse impiegate nell’attività dell’impresa.
La terza variabile di controllo selezionata (tang) è il rapporto tra l’attivo fisso (property, plant
and equipment) e l’attivo totale (total asset). Secondo la letteratura precedente anche questa
variabile può avere un impatto sulla disclosure ambientale, pertanto non includerla
nell’analisi potrebbe generare un problema di variabili omesse.
72
2.5 Analisi empirica
Nei due paragrafi successivi sono presentati i risultati dell’analisi empirica condotta sul
campione selezionato. Nel paragrafo 2.5.1 sono riportate le principali statistiche descrittive e i
coefficienti di correlazione di Pearson, mentre nel paragrafo 2.5.2 sono illustrati i risultati
dell’analisi multivariata.
2.5.1 Analisi descrittive
Le statistiche descrittive per le diverse variabili sono riportate in tabella 7. I valori medi di
ottimismo e certezza calcolati sui form 10-k dal software
Normal Range DICTION
DICTION sono coerenti a quelli ottenuti da Cho, Roberts e
ottimismo
basso
48,21
alto
55,58
certezza
48,44
52,71
analizzato il tono dei form 10-k di un campione di 190
Profilo normativo: corporate public
relations
imprese americane ricavando un valore medio di ottimismo
Patten (2010). Nel loro lavoro, infatti, gli studiosi hanno
pari a 48,21 (Mediana: 48,58) e un valore medio di certezza
pari a 42,78 (Mediana: 39.75). I punteggi sono dunque allineati a quelli riprodotti in tabella 7,
dove l’ottimismo medio dei form 10-k risulta pari a 46,87 (Mediana: 47,27) e la certezza
media risulta pari a 47,22 (Mediana: 48,77). Tali valori sono leggermente più bassi di quelli
che individuano il normal range di DICTION: sia il valore medio (46,87) che il valore
minimo (34.69) della variabile opt_10k si trovano al di sotto del valore più basso del normal
range (48,21), mentre il valore massimo di opt_10k (51,60) è invece compreso entro il valore
più alto dell’intervallo (55,58). Anche i valori della variabile cer_10k si discostano dai valori
“normali” previsti da DICTION: mentre il punteggio medio di cer_10k (47,22) è appena
inferiore al valore più basso del normal range (48,44), il suo valore minimo (10,57) risulta
essere molto al di sotto di tale livello. Diversi dai valori di riferimento di Cho, Roberts e
Patten e da quelli previsti da DICTION, sono invece i risultati medi di ottimismo (29,37) e di
certezza (28,53) dei comunicati stampa (o press releases), con un minimo molto basso
(opt_pr: 0.06; cer_pr: 0.43) ed un massimo abbastanza elevato (opt_pr: 52,65; cer_pr: 62,06).
Ciò può essere dovuto al fatto che la media risente della presenza di dati estremi, quali, in
questi caso, i valori minimi. L’elevata deviazione standard e le informazioni sui percentili
(elevata differenza interquantile pari a 49,14 per opt_pr e 47,47 per cer_pr) indicano che la
variabilità per le press releases è elevata. Tuttavia tali risultati vanno considerati con
attenzione, in quanto riferiti al campione nella sua interezza e non al più contenuto
73
sottogruppo delle sole società che, di fatto, emettono le press releases. Il numero massimo di
amministratori che compongono il Consiglio di Amministrazione delle imprese del campione
è di 17 membri, mentre quello minimo è di 5, con un numero medio di membri di circa 9
(8,81). Di questi, in media, 7 sono indipendenti (7.15), ma è tuttavia possibile trovare Consigli
con solo 3 amministratori indipendenti ed altri che ne contano 16. Considerando i valori medi
ottenuti dal campione, il 78% dei membri del board risulta essere indipendente: ciò è
compatibile con le linee guida suggerite dalla US Securities and Exchange Commission, che
prevedono nel board delle società quotate una maggioranza di amministratori indipendenti. La
ceo-duality si manifesta mediamente nel 60% delle osservazioni, ciò significa che in più della
metà dei Consigli di Amministrazione analizzati, il ruolo del CEO e quello del presidente
(Chairman of the Board) sono in capo alla stessa persona, limitando l’indipendenza del
Consiglio stesso. La presenza di amministratori esperti in materia finanziaria nell’audit
committee è abbastanza ridotta: in media nemmeno due (1,63) dei membri posseggono tali
competenze specifiche (minimo 0, massimo 5 membri). Tuttavia l’avere almeno un
amministratore esperto di finanza risulta in linea con le raccomandazioni generali della US
Securities and Exchange Commission che prevedono l’esigenza di tale figura all’interno del
comitato di audit. Molto limitata è anche la presenza di donne nel board: una sola società del
campione (Williams Cos Inc) ha, all’interno del suo Consiglio, quattro donne, mentre nelle
altre società la media raggiunge difficilmente l’unità (0,67). In media ogni membro del board
ha più di un incarico all’esterno dell’impresa. Per quanto concerne la composizione del board,
l’8% degli amministratori appartiene al mondo della politica, dell’istruzione accademica,
delle forze armate e delle associazioni non-profit ed ha dunque un’influenza particolare sulla
comunità di riferimento. Il 50% delle osservazioni è compreso tra una percentuale di
community influential tra lo 0% e il 14%, mentre la percentuale massima registrata è pari al
67%. Solo nel 15% delle osservazioni è stata riscontrata la presenza di un Safety,Health and
Environment committee.
74
Variabile
opt_10k
cer_10k
opt_pr
cer_pr
b_size
ind_dir
ceo_dua
ac_fe
b_fem
p_ext
p_ci
she
ROA
size
tang
N
321
321
124
126
321
321
321
321
321
321
321
321
321
321
321
Media
46,87
47,22
29,37
28,53
8,81
7,15
0,60
1,63
0,67
1,72
0,08
0,15
0,01
7,82
1,19
Dev. Std
2,25
5,89
24,04
23,31
2,45
2,62
0,49
0,97
0,86
1,09
0,10
0,35
0,08
1,46
0,40
min
34,69
10,57
0,06
0,43
5,00
3,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
-0,16
5,47
0,70
p25
45,53
45,56
0,72
0,57
7,00
5,00
0,00
1,00
0,00
1,00
0,00
0,00
-0,04
6,76
0,89
p50
47,27
48,77
47,53
45,29
8,00
7,00
1,00
2,00
0,00
1,56
0,07
0,00
0,27
7,86
1,09
p75
48,45
50,72
49,86
48,04
10,00
9,00
1,00
2,00
1,00
2,20
0,14
0,00
0,06
8,81
1,38
max
51,60
57,06
52,65
62,06
17,00
16,00
1,00
5,00
4,00
9,00
0,67
1,00
0,11
10,17
2,03
opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICT ION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da
DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr:
valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di
amministratori indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board,
valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie; b_fem : numero di
amministratori di sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci:
percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali dell'esercito,
esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and
Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset; size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili,
impianti e macchinari e gli asset totali.
Tab. 7: Statistiche descrittive
La tabella 8 presenta la matrice di correlazione di Pearson, nella quale sono indicati i
coefficienti di correlazione tra le variabili oggetto di questo studio. La correlazione non dà
informazioni circa la relazione di causa-effetto tra le variabili, ma tuttavia consente di
esprimere l’intensità della relazione lineare che può legare due variabili. Osservando
l’associazione delle variabili riferite al ruolo di monitoraggio del board (b_size, ind_dir,
ceo_dua e ac_fe) con il tono della comunicazione ambientale (opt_10k, cer_10k, opt_pr,
cer_pr) è possibile affermare che non esistono relazioni particolarmente significative tra di
esse. Al di là della significatività statistica, al modificarsi delle variabili b_size e ceo_dua
l’ottimismo e la certezza dei form 10-k si modificano secondo quanto ci si attende, l’uno
aumentando (correlazione positiva) e l’altra diminuendo (correlazione negativa). Ciò è
coerente con il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010). Lo stesso non vale però tra le stesse
variabili misurate sulle press releases. Inaspettato, invece, è il tipo di correlazione che sussiste
tra le variabili ind_dir e ac_fe e opt_10k e cer_10k che, nonostante la non significatività,
assumono un segno opposto alla attese (al maggiore monitoraggio dovrebbe corrispondere
una minore manipolazione del tono, e cioè meno ottimismo e più certezza). Significative sono
invece alcune delle associazioni tra le variabili che misurano il ruolo di acquisizione delle
risorse del board (b_fem, p_ext, p_ci
e she) e il tono della comunicazione ambientale
75
(opt_10k, cer_10k, opt_pr, cer_pr). In particolare esiste una correlazione significativa al 10%
e negativa (-0.1220) tra la percentuale degli incarichi esterni dei membri del Consiglio (p_ext)
e l’ottimismo dei form 10-k (opt_10k): ad una variazione positiva del director’s interlock
corrisponde una variazione negativa dell’ottimismo. Tale aspetto è in linea con quanto sancito
dalla teoria della dipendenza dalle risorse. Un’ulteriore conferma alla teoria è data dalla
correlazione significativa al 10% positiva (0,155) tra la percentuale degli amministratori
influenti nella comunità (p_ci) e il livello di certezza nelle press releases (cer_pr). Insolita
invece l’associazione significativa al 10% tra la presenza del Safety, Health and Environment
committee e l’ottimismo e la certezza dei form 10-k: coerentemente agli studi precedenti la
relazione tra she e opt_10k è negativa, mentre, contrariamente alle attese, anche quella tra she
e cer_10k risulta negativa. Ulteriori relazioni significative si riscontrano tra le variabili di
controllo e il tono della comunicazione ambientale. Una relazione positiva significativa
sussiste tra ROA e opt_pr (0,3687), ROA e cer_pr (0,3697) e tra tang e opt_10k; una relazione
significativa negativa sussiste invece tra size e cer_10k (-0,1111) e tra tang e cer_10k (0,1151). È possibile dunque affermare che la redditività, la dimensione dell’impresa e il peso
degli asset fissi sul totale sono associati al tono della comunicazione ambientale.
Considerando le variabili indipendenti suddivise per il ruolo ad esse associato, si evidenzia
una correlazione significativa e unidirezionale tra di loro. Ad esempio, per il ruolo di
monitoraggio, la variabile ac_fe è significativamente correlata con segno positivo sia a b_size
(0,1515) che a ind-dir (0,093), mentre per il ruolo di acquisizione delle risorse si osserva
l’esistenza di una relazione significativa tra la variabile p_ci e le variabili b_fem (0,3843),
p_ext (0,1327) e she (0,2556).
76
Tab.8: Correlazione di Pearson
77
b_size
1,0000
0,8984*
0,0521
0,6047*
0,162*
0,1515*
0,3459*
0,4533*
0,1217*
0,5965*
-0,2200*
cer_pr
1,0000
0,0569
0,0704
0,0740
0,1009
-0,0120
-0,0920
0,155*
-0,0264
0,3697*
0,0651
-0,0169
1,0000
0,1501*
0,5982*
0,2211*
0,093*
0,3878*
0,4748*
0,1288*
0,6251*
-0,1383*
ind_dir
1,0000
0,1633*
-0,0199
-0,0844
0,2612*
0,0879
0,0332
0,1481*
0,0727
ceo_dua
1,0000
0,2077*
0,0993*
0,3843*
0,3671*
0,1228*
0,4469*
-0,2462*
b_fem
1,0000
-0,0601
0,1327*
0,2177*
0,0756
0,1765*
-0,1925*
p_ext
1,0000
-0,1622*
-0,0053
-0,0463
0,0969*
-0,0042
ac_fe
1,0000
0,2556*
0,0370
0,3639*
0,0242
p_ci
ROA
size
1,0000
0,2078* 1,0000
0,4046* 0,2343*
1,0000
-0,1456* -0,2870* -0,1309*
she
1,0000
tang
,
opt_10k: valore d i ottimis mo calco lato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k:
valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore med io di
ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio d i certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di memb ri del board; ind_dir: numero di
ammin istratori indipendenti nel board; ceo_dua: variab ile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: nu mero di ammin istratori memb ri
dell'audit co mmittee con competenze finan ziarie; b_ fem: nu mero d i ammin istratori d i sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci:
percentuale di amministratori del board con influen za nella co munità d i riferimento (accademici, polit ici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy
che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 alt rimenti; ROA: return on asset; size: logarit mo degli asset totali; tang: rapporto tra immob ili,
impianti e macchinari e gli asset totali.
opt_10k cer_10k opt_pr
opt_10k 1,0000
cer_10k -0,1231* 1,0000
opt_pr 0,1617* 0,0833 1,0000
cer_pr
0,1492* 0,0643 0,9938*
b_size
0,0187 -0,0588 0,0572
ind_dir
0,0532 -0,0665 0,0683
ceo_dua 0,0581 -0,0219 0,0567
b_fem
-0,0099 -0,0284 0,1088
p_ext
-0,1220* 0,0843 -0,0319
ac_fe
0,0584 -0,0917 -0,0739
p_ci
-0,0822 -0,0334 0,1335
she
-0,1290* -0,1270* -0,0241
ROA
-0,0820 -0,0909 0,3687*
size
-0,0468 -0,1111* 0,0427
tang
0,0948* -0,1151* -0,0269
*Correlazione significativa al 10%
2.5.2 Analisi multivariata
Allo scopo di verificare le ipotesi di questo lavoro (Ip. 1a: esiste una relazione tra il ruolo di
monitoraggio del board e il valore di ottimismo risultante nella comunicazione ambientale
delle imprese; Ip. 1b: esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di
certezza risultante nella comunicazione ambientale delle imprese; Ip. 2a: esiste una relazione
tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore di ottimismo risultante nella
comunicazione ambientale delle imprese; Ip. 2b: esiste una relazione tra il ruolo di
acquisizione delle risorse del board e il valore di certezza risultante nella comunicazione
ambientale delle imprese) sono stati stimati i seguenti modelli di regressione multivariata
OLS:
(1)opt_10k = (3) opt_pr = β0 + β1 b_size + β 2 ind_dir + β 3 ceo_dua + β 4 ac_fe + β 5 b_fem
+ β 6 p_ext + β 7 p_ci + β 8 she + β 9 ROA + β 10 size + β 11 tang + ε
(2) cer_10k = (4) cer_pr = β0 + β1 b_size + β 2 ind_dir + β 3 ceo_dua + β 4 ac_fe + β 5 b_fem
+ β 6 p_ext + β 7 p_ci + β 8 she + β 9 ROA + β 10 size + β 11 tang + ε
Dove:
opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k;
cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k;
opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases;
cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases;
b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel
board;
ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board,
valore 0 altrimenti;
ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie;
b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel board;
p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei membri del board;
p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento
(accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit);
she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment
committee, valore 0 altrimenti;
ROA: return on asset;
78
size: logaritmo degli asset totali;
tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali.
In tabella 10 sono presentati i risultati dei modelli di regressione sopra esposti. Il modello (1)
indaga la relazione tra l’ottimismo dei form 10-k (opt_10k) e tutte le variabili di corporate
governance selezionate per misurare i due ruoli tipici del Consiglio di Amministrazione, cioè
quello del monitoraggio e quello di acquisizione delle risorse. Nonostante l’indice R2 per
questo modello non sia molto elevato (0,0725), alcune variabili analizzate hanno riportato
coefficienti significativi. In relazione al ruolo di monitoraggio, solo il numero di
amministratori indipendenti (ind_dir) ha una relazione positiva significativa (β=0,2691;
p<0,05) con opt_10k. Ad una variazione unitaria del numero di amministratori indipendenti
corrisponde dunque una variazione positiva di 0.2691 del livello di ottimismo nei form 10-k.
Questo risultato non è in linea con la letteratura precedente che afferma che ad un board più
indipendente è associato un più alto livello di monitoraggio e dunque un minore ricorso a
strategie di Impression Management, come la manipolazione del tono. Questo dato inatteso
può essere interpretato alla luce dell’effetto sostitutivo che, talvolta, può verificarsi tra i
meccanismi di corporate governance e la quantità delle informazioni socio-ambientali
divulgate dalle imprese. La relazione che sussiste tra la disclosure la corporate governance
può essere infatti o di tipo complementare o di tipo sostitutivo (Frias-Aceituno, RodriguezAriza e Garcia-Sanchez, 2012; Allegrini e Greco, 2013). Un rapporto complementare si ha
quando la corporate governance rafforza i meccanismi di controllo interno dell’impresa
portando ad una maggiore diffusione delle informazioni, al fine di ridurre l’asimmetria
informativa e limitare il comportamento opportunistico del management. Quest’ultimo,
infatti, non avrà alcun incentivo a trattenere informazioni rilevanti in un ambiente dove il
controllo e il monitoraggio sono praticati così intensamente, pertanto la qualità delle
informazioni diffuse risulta potenziata (Cerbioni e Parbonetti, 2007). In una relazione di tipo
sostitutivo, invece, la forza della corporate governance riduce la diffusione delle informazioni
come conseguenza della sicurezza e dell’affidabilità dei meccanismi di controllo interno: i
due meccanismi sono di fatto sostituibili l’uno all’altro (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e
Garcia-Sanchez, 2012). Gli studi precedenti non hanno chiaramente individuato quale delle
due relazioni leghi effettivamente la rendicontazione volontaria ai meccanismi di corporate
governance (Cerbioni e Parbonetti, 2007); in questo caso specifico in una situazione dove il
controllo è potenziato (maggior numero di amministratori indipendenti), l’ottimismo della
79
comunicazione ambientale cresce. Purtroppo le evidenze rispetto ad una eventuale effetto di
sostituzione tra la disclosure e la corporate governance riguardano per lo più la quantità della
disclosure, mentre l’effetto sulla qualità (di cui il tono può rappresentare un attributo) non è
ancora stato verificato. Inoltre, la significatività della relazione tra ind_dir e opt_10k, potrebbe
non essere dovuta ad una effettiva associazione tra le variabili, ma alla probabile
multicollinearità tra le variabili ind_dir e b_size (coefficiente di correlazione: 0,8984). Anche
i modelli di regressione (2), (3) e (4) non restituiscono risultati significativi sull’impatto delle
variabili di governance che misurano il ruolo di monitoraggio, sul tono della comunicazione.
Tali risultati controversi e poco significativi fanno dunque pensare che il monitoraggio non
giochi un ruolo attivo nell’influenzare il tono della disclosure ambientale.
Molto più soddisfacenti sono invece i risultati sulla relazione tra le variabili che misurano il
ruolo di acquisizione delle risorse e il tono dei form 10-k: i modelli (1) e (2) restituiscono,
infatti, risultati significativi. La variabile p_ext ha una relazione negativa significativa (β=0,2119; p<0,1) con opt_10k e una relazione positiva significativa con cer_10k (β=0,5300;
p<0,1). Alla variazione unitaria della percentuale degli incarichi esterni alla società degli
amministratori, corrisponde una diminuzione dell’ottimismo e un aumento della certezza. Ciò
è coerente con Cho, Roberts e Patten (2010) che vedono in tali variazioni una miglioramento
del tono della comunicazione e, di conseguenza, una minore manipolazione dovuta al
tentativo di Impression Management. In accordo con la teoria della dipendenza dalle risorse,
l’esperienza sviluppata dagli amministratori all’esterno dell’organizzazione presso il board di
altre società, risulta avere un impatto positivo sul miglioramento della qualità della
comunicazione ambientale. Il maggiore capitale umano, sociale e informativo apportato si
unisce al beneficio connesso all’accrescimento della reputazione aziendale e al rinnovamento
della legittimità. Anche la percentuale di amministratori influenti nella comunità (p_ci) ha un
impatto significativo (β=-2,4117; p<0,1) nella riduzione dell’ottimismo (opt_10k). La
presenza di community influential all’interno del Consiglio di Amministrazione potenzia il
legame con gli stakeholder e migliora la qualità del tono della comunicazione ambientale.
Inoltre, la reputazione di cui godono tali amministratori all’interno della comunità di
riferimento, funziona come sufficiente meccanismo di legittimazione per cui non vi è
incentivo da parte del management a ricorrere a strategie di Impression Management per
favorire la percezione di aderenza alle norme sociali. La terza variabile che misura il ruolo di
acquisizione delle risorse, ad avere un impatto significativo sul tono dei form 10-k è la
presenza di un Safety, Health and Environment committee. La variabile she ha una relazione
80
negativa significativa sia con opt_10k (β=-0,9565; p<0,05) che con cer_10k (β=-2,0832;
p<0,1). Ciò non significa per forza che il minore ottimismo venga controbilanciato dalla
minore certezza, in quanto i due aspetti fanno parte sì della stessa strategia di Impression
Management, e cioè la manipolazione del tono, ma possono anche essere considerati
separatamente. Un’impresa infatti può scegliere di agire sul tono manipolandone solo
l’ottimismo, solo la certezza, o entrambe congiuntamente. In questo caso la presenza di un
comitato di CSR migliora la qualità del tono con un effetto sul solo livello di ottimismo.
Per quanto concerne le variabili di controllo, significative e negative risultano le relazioni tra
ROA e cer_10k (β=-8,7393; p<0,1) e tra tang
e cer_10k (β=-2,2026; p<0,05). Ad un
miglioramento della redditività è connessa dunque una diminuzione delle certezza. Ciò può
essere dovuto al fatto che le imprese con i profitti più alti sono sottoposte maggiormente
all’attenzione degli attivisti, i quali tendono ad interpretare i risultati positivi come tentativi di
greenwashing. Per evitare questa attenzione indesiderata, le imprese top-performer potrebbero
dunque volutamente diminuire la certezza con la quale comunicano le informazioni positive.
La mancanza di significatività dei coefficienti stimati nei modelli (3) e (4) non permette di
confermare o smentire l’eventuale relazione lineare tra le variabili di governance e il tono
delle press releases. Tuttavia, gli elevati valori di R2 (modello 3: 0,9976; modello 4: 0,9895)
dimostrano come la variabilità associata alle variabili di governance sia spiegata solamente
dalla costante. La mancanza di relazioni significative tra la variabile dipendente (il tono delle
press releases) e le variabili indipendenti (le caratteristiche di governance) può prestarsi a
diverse interpretazioni. Innanzitutto è possibile che il tono dei comunicati stampa non sia stato
misurato in modo opportuno rispetto a quello dei form 10-k attraverso il software DICTION:
al di là dell’aver avuto a disposizione un campione notevolmente inferiore rispetto a quello
dei report annuali, la quantità di testo (misurata dal numero di parole) per ciascuna press
release è molto ridotta (vedi tabella 9) e ciò potrebbe aver compromesso la corretta
misurazione delle variabili.
10-k
n° osservazioni
n° parole
pr
2008
2009
2010
totale
2008
2009
2010
totale
107
107
107
321
15
51
60
126
228912
229026
229140
687078
25987
72286
85127
183400
Tab. 9: confronto press releases e form-10k
81
Se si indaga, invece, la variabilità connessa alle variabili di governance occorre fare
riferimento al sottogruppo delle sole società che emettono le press releases. La variabilità
dell’ottimismo e della certezza non è spiegata dalle caratteristiche del board perché,
probabilmente, le poche imprese che emettono i comunicati ambientali presentano attributi
molto simili per quanto riguarda la composizione e la struttura del proprio Consiglio di
Amministrazione. Poiché il modello di regressione definisce la variabilità della y (tono delle
press releases) in funzione della variabilità delle x (caratteristiche di corporate governance),
se una delle due variabili non varia, il modello restituirà una retta che coincide con la
costante. Un’altra motivazione potrebbe invece derivare dal tipo di relazione che lega il tono
delle press releases alle variabili di governance: i modelli impiegati in questo lavoro sono
adatti a cogliere solamente una relazione di tipo lineare. Nulla può far escludere che tra i due
gruppi di variabili sussista in realtà un altro tipo di relazione. Al di là delle interpretazioni
statistico-matematiche è possibile avanzare altre ipotesi, legate per lo più alla natura dei dati
raccolti e allo specifico contesto di riferimento, cioè quello americano. La diffusione dei
comunicati stampa può coinvolgere diversi dipartimenti all’interno di un’organizzazione, ma
il contenuto dovrebbe essere comunque responsabilità prima del management e
successivamente anche dei meccanismi di corporate governance, come il Consiglio di
Amministrazione e i relativi comitati al suo interno. Poiché questi meccanismi sono coinvolti
nel garantire l’affidabilità e la trasparenza delle informazioni, ci si aspetta dunque un
intervento attivo da parte del board nel monitorare la qualità della comunicazione aziendale
divulgata all’esterno dell’impresa. Tuttavia, nel contesto americano, all’informativa
ambientale (di cui è oggetto questo lavoro) non è conferita la stessa importanza
dell’informativa economico-finanziaria. Molto spesso l’attenzione è rivolta più al
soddisfacimento degli interessi degli investitori che al coinvolgimento di altri stakeholder. Di
conseguenza i comunicati stampa a contenuto ambientale vengono scarsamente considerati sia
dal management che dal Consiglio. Data questa premessa è possibile che non esista una
relazione tra il tono delle press releases ambientali e le variabili di governance proprio per il
mancato ed effettivo coinvolgimento del board nella redazione e nel controllo di tali
documenti. Diverse potrebbero essere dunque le variabili che realmente impattano su questo
aspetto della comunicazione. È inoltre possibile che il board torni ad occuparsi attivamente di
questo aspetto in concomitanza di incidenti o eventi catastrofici rilevanti che minacciano la
legittimità dell’impresa. Dai modelli di regressione stimati non è possibile cogliere un
eventuale mutamento della significatività nei diversi anni, tuttavia è possibile ipotizzare, dal
numero di comunicati stampa emessi (vedi tabella 9), che la produzione di tali documenti
82
subisca effettivamente dei cambiamenti: nel 2010, infatti, anno in cui si è verificato
l’incidente di BP nel Golfo del Messico, il numero di press releases emesse (60) è
notevolmente aumentato rispetto all’anno 2008 (15).
Variabili dipendenti
b_size
ind_dir
ceo_dua
ac_fe
b_fem
p_ext
p_ci
she
ROA
size
tang
Costante
Osservazioni
Effetti fissi per anno
R²
(1)
(2)
(3)
(4)
opt_10k
cer_10k
opt_pr
cer_pr
-0,0925
0,0531
-0,0593
-0,1113
(0,1256)
(0.3287)
(0,1328)
(0,2632)
0,2691**
-0,0120
0,1253
-0,1403
(0,1198)
(0,3135)
(0,1324)
(0,2651)
0,2924
0,0945
-0,1348
0,1885
(0,2708)
(0,7085)
(0,2504)
(0,4986)
0,0668
-0,5466
0,1545
-0,3046
(0,1360)
(0,3558)
(0,1508)
(0,3012)
0,0479
0,0432
0,1877
0,5184
(0,1950)
(0,5101)
(0,1616)
(0,3130)
-0,2119*
0,5300*
0,0311
-0,0472
(0,1222)
(0,3197)
(0,1195)
(0,2346)
-2.4117*
-0,2195
1,0750
2,8114
(1,4124)
(3,6951)
(1,3234)
(2,6510)
-0.9565**
-2,0832*
-0,0153
-0,4627
(0,4138)
(1,0825)
(0,3568)
(0,7140)
-1,0702
-8,7393*
-0,8529
-0,1671
(1,7378)
(4,5461)
(1,8838)
(3,7642)
-0,1040
-0,3013
-0,1495
0,1618
(0,1154)
(0,3020)
(0,1050)
(0,2093)
0,3144
-2,2026**
-0,2700
0,1238
(0,3478)
(0,9100)
(0,3500)
(0,7001)
46,6109*** 52,3751*** 49,8907*** 47,4820***
(1,0188)
(2,6653)
(1,0656)
(2,1112)
321
321
124
126
sì
sì
sì
sì
0,0725
0,0693
0,9976
0,9895
Standard Error tra parentesi
*** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore
di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo
calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION
sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori
indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il
Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit
committee con competenze finanziarie; b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel
board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci: percentuale di
amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali
dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se
è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset;
size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali.
83
Tab. 10: Risultati dei modelli di regressione
I risultati ottenuti nei modelli di regressione (1-4) non sono tuttavia sufficienti a determinare
quale dei due ruoli del Consiglio di amministrazione abbia il maggiore impatto sul tono della
comunicazione ambientale. Si è visto che le variabili che risultano più significative sono
quelle legate al ruolo di acquisizione delle risorse, mentre il monitoraggio non sembra
influenzare in modo rilevante le variabili di ottimismo e di certezza. Ciò però non basta ad
affermare con sicurezza l’influenza relativa a ciascun ruolo, poiché inserendo tutte le variabili
nello stesso modello è possibile che l’eventuale correlazione tra di loro alteri il p-value e
faccia risultare significative relazioni che invece non lo sono. Inoltre alcune variabili
potrebbero essere misura di entrambi i ruoli congiuntamente o non essere del tutto adatte a
misurare il determinato ruolo. Per questo motivo sono stati sviluppati degli ulteriori modelli di
regressione multivariata OLS per stimare la relazione tra il tono dei form 10-k e le variabili di
governance, suddivise sulla base del diverso ruolo.
Ruolo di monitoraggio:
(5) opt_10k = β0 + β1 b_size + β2 ind_dir + β3 ceo_dua + β4 ac_fe + β5 ROA + β6 size + β7
tang + ε
(7) cer_10k = β0 + β1 b_size + β2 ind_dir + β3 ceo_dua + β4 ac_fe + β5 ROA + β6 size + β7
tang + ε
Ruolo di acquisizione delle risorse:
(6) opt_10k = β0 + β1 b_fem + β2 p_ext + β3 p_ci + β4 she + β5 ROA + β6 size + β7 tang + ε
(8) cer_10k = β0 + β1 b_fem + β2 p_ext + β3 p_ci + β4 she + β5 ROA + β6 size + β7 tang + ε
Dove:
opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k;
cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k;
opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases;
cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases;
b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel
board;
ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board,
valore 0 altrimenti;
ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie;
84
b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel board;
p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei membri del board;
p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento
(accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit);
she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment
committee, valore 0 altrimenti;
ROA: return on asset;
size: logaritmo degli asset totali;
tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali.
I risultati delle regressioni sono riportati in tabella 12. La prima osservazione che si può trarre
dall’esito di queste analisi è una generale perdita di significatività dei coefficienti stimati.
Occorre precisare che i nuovi modelli sono basati su un numero ristretto di variabili (i modelli
1-4 contano un totale di 11 variabili, di cui 3 di controllo, mentre i modelli 5-8 contano un
totale di 7 variabili, di cui 3 di controllo) e che l’eliminazione di un numero consistente di
esse può altere la significatività stimata. Inoltre il tono, di per sé, rappresenta un aspetto
molto soft della comunicazione e, oltre ad essere difficile da misurare correttamente, è
improbabile riscontrare relazioni molto forti con variabili particolari come lo possono essere
quelle di governance. Osservando i risultati si può comunque supporre con più certezza che il
ruolo di monitoraggio non ha un impatto rilevante sul tono della disclosure ambientale.
Nessuna delle variabili che lo misurano presenta infatti una relazione significativa con
l’ottimismo o la certezza dei form 10-k. Il risultato non sorprende poiché il ruolo classico di
monitoraggio del Consiglio di Amministrazione influenza per lo più gli aspetti hard della
disclosure. Secondo la teoria dell’agenzia, infatti, la funzione del board è proprio quella di
tutelare gli interessi degli azionisti e non quelli degli stakeholder in generale, che più
potrebbero essere interessati alle informazioni ambientali. La comunicazione ambientale non
è dunque così rilevante quanto l’informativa economico-finanziaria agli occhi del board in
una prospettiva di monitoraggio (le ipotesi 1a e 1b
non sono supportate). Il ruolo di
acquisizione delle risorse può invece essere interpretato come l’abilità del Consiglio di
Amministrazione di proteggere gli interessi degli stakeholder. La disclosure ambientale
assume un’importanza maggiore, in quanto mezzo di comunicazione con un preciso gruppo di
stakeholder dell’impresa. Tra i risultati dei modelli (6) e (8) emergono quelle variabili, che
misurano il ruolo di acquisizione delle risorse, che effettivamente trainavano i risultati del
85
primo gruppo di regressioni: she e p_ext. La percentuale di incarichi esterni ha, infatti, una
relazione positiva significativa con la certezza (β=0,558; p<0,1). In accordo con la teoria della
dipendenza
dalle
risorse,
l’esperienza
sviluppata
dagli
amministratori
all’esterno
dell’organizzazione presso il board di altre società, risulta avere un impatto positivo sul
miglioramento della qualità del tono della comunicazione ambientale e sulla conseguente
riduzione delle pratiche di Impression Management associate. Il maggiore impatto del ruolo di
acquisizione delle risorse sul tono della disclosure ambientale è verificato anche dalla
relazione significativa negativa che lega la variabile she con l’ottimismo (β=-0,703; p<0,1) e
la certezza (β=-1,993 p<0,1) dei form 10-k (ipotesi 2a e 2b supportate). In coerenza ai risultati
ottenuti nel primo gruppo di regressioni, la presenza di un Safety, Health and Environment
committee riduce l’ottimismo ma anche la certezza. Come già anticipato, ciò non significa che
il minore ottimismo venga controbilanciato dalla minore certezza, in quanto i due aspetti
fanno parte sì della stessa strategia di Impression Management, e cioè la manipolazione del
tono, ma possono anche essere considerati separatamente. La variabile b_fem non sembra
avere alcun impatto significativo sul tono della comunicazione ambientale, nonostante gli
studi precedenti abbiano indicato che la presenza di donne all’interno del Consiglio di
Amministrazione influenzi positivamente sia la quantità che la qualità della disclosure, grazie
ad una maggiore sensibilità verso le tematiche socio-ambientali. La spiegazione di tale
risultato si può trovare nel fatto che le donne all’interno dei board del campione analizzato
non raggiungono quasi mai la massa critica necessaria, individuata dalla letteratura precedente
nel numero di tre membri femminili, per avere un effettivo impatto sull’attività del Consiglio.
Come si evince dalla tabella 11 solamente sei delle società analizzate contano almeno tre
donne all’interno del proprio board e solamente una di queste (Williams cos Inc), nel 2010, ha
incluso un ulteriore membro femminile raggiungendo quota quattro.
N° donne nel board
Società
2008
2009
2010
CONOCOPHILLIPS
3
3
3
ONEOK INC
3
0
0
PIEDMONT NATURAL GAS CO
3
3
3
SOUTH JERSEY INDUSTRIES INC
3
3
3
SUNOCO INC
3
3
3
WILLIAMS COS INC
3
3
4
Tab. 11: Numero di donne nel board
Le variabili di controllo presentano una relazione significativa in entrambi i modelli, ma solo
in riferimento alla certezza. Sia nel caso del ruolo di monitoraggio, che in quello
dell’acquisizione delle risorse, la redditività ha una relazione significativa negativa con la
86
certezza (rispettivamente: β=-9,908; p<0,05 e β=-8,283; p<0,1). Lo stesso si può affermare
per la variabile tang (β=-2,410; p<0,01 e β=-2,262; p<0,05).
Variabili dipendenti
b_size
ind_dir
ceo_dua
ac_fe
ROA
size
tang
(5)
(6)
(7)
(8)
opt_10k
opt_10k
cer_10k
cer_10k
-0.0874
-0.0455
(0.124)
(0.322)
0.184
0.00600
(0.118)
(0.305)
0.232
-0.0188
(0.267)
(0.689)
0.155
-0.544
(0.134)
(0.345)
-1.462
-1.295
-9.908**
-8.283*
(1.745)
(1.743)
(4.513)
(4.504)
-0.181
0.0359
-0.339
-0.336
(0.115)
(0.104)
(0.296)
(0.269)
0.390
0.444
-2.410***
-2.262**
(0.340)
(0.341)
(0.880)
(0.882)
b_fem
p_ext
p_ci
she
Costante
Osservazioni
Effetti fissi per anno
R²
0.258
-0.0153
(0.178)
(0.460)
-0.193
0.558*
(0.121)
(0.313)
-1.886
1.256
(1.356)
(3.503)
-0.703*
-1.993*
(0.405)
(1.047)
46.92***
46.46***
54.31***
52.13***
(0.956)
(0.914)
(2.471)
(2.361)
321
321
321
321
sì
sì
sì
sì
0.033
0.042
0.052
0.062
Standard Error tra parentesi
*** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore
di certezza calcolato da DICT ION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo
calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION
sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori
indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il
Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit
committee con competenze finanziarie; b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel
board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci: percentuale di
amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali
dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è
presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset;
size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali.
Tab. 12: Risultati dei modelli di regressione
87
2.6 Conclusioni
Gli studi precedenti sulla comunicazione ambientale hanno verificato l’esistenza di una
relazione tra il livello della disclosure ambientale e le caratteristiche di corporate governance
delle organizzazioni. Poco invece si conosce sulla relazione tra la qualità della disclosure e la
governance. Questo lavoro di tesi si è proposto di colmare, seppur parzialmente, tale
mancanza, andando a verificare l’esistenza di una relazione significativa tra il tono della
comunicazione ambientale (declinato nelle misure di ottimismo e certezza) e le variabili di
corporate governance selezionate come proxy del ruolo di monitoraggio e del ruolo di
acquisizione delle risorse del Consiglio di Amministrazione.
I risultati di questa analisi sostengono quanto sancito dalla teoria delle dipendenza dalle
risorse ed evidenziano la predominanza del ruolo di acquisizione delle risorse su quello di
monitoraggio nell’influenzare i valori di ottimismo e di certezza che definiscono il tono
verbale della comunicazione ambientale delle società quotate americane del settore Oil &
Gas. In particolare, il numero di incarichi esterni degli amministratori e la presenza di un
Safety, Health and Environment committee influenzano significativamente la qualità della
disclosure analizzata, migliorando il tono e, di conseguenza, riducendone la manipolazione
(minor Impression Management). I risultati non significativi ottenuti rispetto alle variabili
che misurano invece il ruolo di monitoraggio non sorprendono particolarmente: la
comunicazione ambientale rappresenta, infatti, un aspetto non molto rilevante sulla base della
teoria su cui si fonda il ruolo di monitoraggio, cioè quella dell’agenzia. Secondo tale teoria, i
membri del Consiglio di amministrazione sono responsabili della tutela degli interessi degli
azionisti: l’attenzione del board è probabilmente più concentrata nel miglioramento e nel
controllo delle politiche di rendicontazione economico-finanziaria, rispetto a quelle socioambientali. Si può dunque affermare che il ruolo di monitoraggio, avendo un impatto più sugli
aspetti hard della disclosure, non ha un’influenza rilevante su uno degli aspetti soft della
comunicazione, e cioè il tono verbale. Quindi, sulla base dei risultati ottenuti dai modelli di
regressione stimati, è possibile sostenere che non esiste una relazione significativa tra il ruolo
di monitoraggio del board e i valori di ottimismo e di certezza della comunicazione
ambientale analizzata. Le ipotesi 1a e 1b non sono dunque verificate. Una relazione
significativa sussiste invece tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e i valori di
ottimismo e di certezza: le ipotesi 2a e 2b sono pertanto verificate.
88
Il contributo di questo studio è quello di apportare nuovi elementi all’interno della discussione
sull’influenza della corporate governance sulla qualità della disclosure ambientale, che
rappresenta un recente campo di indagine parallelo a quello più dibattuto del rapporto tra la
governance e la quantità delle informazioni ambientali divulgate dalle imprese. L’utilizzo di
una prospettiva combinata tra la teoria dell’agenzia e quella della dipendenza dalle risorse,
consente, inoltre, di prendere in considerazione, in maniera congiunta, entrambi i ruoli tipici
del Consiglio di Amministrazione, cioè il ruolo di monitoraggio e quello di acquisizione delle
risorse. Il lavoro fornisce anche evidenze empiriche sulle variabili che hanno un reale impatto
sul tono della comunicazione ambientale e permette così di conoscere gli aspetti di corporate
governance che sono più efficaci nel limitare il ricorso da parte del management a strategie e
tecniche di Impression Management, come la manipolazione del tono verbale.
Questo studio può essere considerato di natura esplorativa, pertanto è soggetto a diversi limiti
e criticità che indagini future potrebbero superare o migliorare. In primo luogo la dimensione
del campione potrebbe essere incrementata per poter analizzare un numero maggiore di
società, o per estendere l’orizzonte temporale di riferimento. Diversi risultati empirici si
potrebbero ottenere selezionando imprese appartenenti ad un settore alternativo a quello Oil &
Gas oppure scegliendo imprese legate al contesto europeo, che sembrano dimostrare una
maggiore sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali rispetto alle società americane
dello stesso settore. Alcuni errori potrebbero essere stati commessi nel misurare le variabili
oggetto di questo lavoro. La misurazione della qualità della disclosure è molto spesso
soggettiva e difficoltosa e non esistono parametri standard con i quali confrontare i valori
stimati. In particolare, la misura quantitativa fornita da DICTION del tono verbale potrebbe
non cogliere le sfumature e i dettagli che magari un’analisi di tipo qualitativo (casi, interviste,
ecc.) evidenzierebbe. Anche le caratteristiche di governance potrebbero non essere state
misurate correttamente. Le variabili che sono state selezionate come proxy per i due ruoli del
Consiglio di amministrazione, potrebbero non essere adatte ad esprimere il ruolo stesso,
oppure potrebbero rappresentare entrambe le funzioni, alterando così l’efficacia dei modelli di
regressione. La notevole differenza di significatività tra i risultati ottenuti dallo studio del
tono dei form 10-k e quelli ottenuti dalle press releases può essere dimostrazione degli
inevitabili errori nei quali si può incorrere conducendo analisi di questo tipo. Tuttavia,
essendo il campo di indagine molto recente, numerosi sono gli aspetti che è possibile
approfondire in eventuali future ricerche, a partire da una definizione alternativa del tono
89
(diversa dalla declinazione in ottimismo e certezza) o dall’identificazione di nuove variabili
relative ai meccanismi di corporate governance che si intende approfondire.
90
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