UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO” CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA E DIREZIONE AZIENDALE TESI DI LAUREA Corporate Governance e Impression Management nella comunicazione ambientale delle società quotate americane del settore Oil & Gas: un’analisi empirica RELATORE: CH.MO PROF. SAVERIO BOZZOLAN LAUREANDA: PAOLA BORDIGNON MATRICOLA N.: 1012900 ANNO ACCADEMICO 2012-2013 1 2 Sommario Introduzione .............................................................................................................................. 5 CAPITOLO 1 ............................................................................................................................ 9 1.1 Responsabilità sociale, teoria della legittimità e reputazione ........................................... 9 1.2 Evoluzione del concetto di Corporate Social Responsibility (CSR) .............................. 18 1.3 La rendicontazione socio-ambientale ............................................................................. 25 1.4 Fattori che influenzano la rendicontazione socio-ambientale ......................................... 33 1.5 L’utilizzo della CSR come strumento di Impression Management ................................ 38 1.5.1 Prospettive sull’Impression Management ................................................................ 39 1.5.2 Strategie di Impression Management ....................................................................... 47 CAPITOLO 2 .......................................................................................................................... 50 2.1 Introduzione all’analisi empirica .................................................................................... 51 2.2 Sviluppo delle ipotesi...................................................................................................... 53 2.3 Selezione del campione .................................................................................................. 56 2.4 Metodologia e misurazione delle variabili...................................................................... 58 2.4.1 Variabili dipendenti .................................................................................................. 60 2.4.2 Variabili indipendenti............................................................................................... 63 2.4.3 Variabili di controllo ................................................................................................ 72 2.5 Analisi empirica .............................................................................................................. 73 2.5.1 Analisi descrittive..................................................................................................... 73 2.5.2 Analisi multivariata .................................................................................................. 78 2.6 Conclusioni ..................................................................................................................... 88 Bibliografia .............................................................................................................................. 91 Siti web .................................................................................................................................... 97 3 4 Introduzione Negli ultimi anni le preoccupazioni riguardo la sostenibilità e la responsabilità sociale delle imprese sono diventate un tema rilevante in molti settori e Paesi: la globalizzazione, infatti, ha imposto nuovi confini di competizione alimentando il dibattito sulle tematiche sociali e ambientali. L’opinione pubblica pone sempre più attenzione alla condotta delle imprese e alle azioni di sviluppo sostenibile implementate, dimostrando una preferenza verso i comportamenti più etici e socialmente responsabili. La Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate Social Responsibility - CSR) fa riferimento alle particolari attività di business che mirano a raggiungere la sostenibilità economica, sociale e ambientale (Jenkins e Yakovleva, 2006). Mentre un tempo queste pratiche venivano percepite dalle imprese come il soddisfacimento di un mero obbligo morale, le stesse sono oggi diventate un potenziale mezzo per l’accrescimento del valore del business, da integrare nella strategia per promuovere l’innovazione e l’apprendimento (KPMG, 2011). Le imprese si affidano sempre di più alla comunicazione volontaria e, in particolare, a quella socio-ambientale per soddisfare la richiesta di maggiore trasparenza e responsabilità da parte degli stakeholder (Rupley, Brown e Marshall, 2012). Le azioni dell’organizzazione devono essere percepite come coerenti e appropriate ai sistemi normativi della società, affinché la legittimità sia pienamente riconosciuta; tuttavia tale legittimità è compromessa ogni qual volta si verifichi una discrepanza tra i valori della società e la condotta dell’impresa (Haniffa e Cooke, 2005). La manipolazione della comunicazione socio-ambientale è efficace sia come strumento difensivo per riparare a una percepita perdita di legittimità, sia come strumento proattivo per alterare volontariamente la percezione degli stakeholder riguardo a uno specifico avvenimento (Haniffa e Cooke, 2005). La maggior parte della comunicazione socio-ambientale è di natura volontaria, pertanto le decisioni finali sul se, quanto e cosa divulgare spettano al top management. I meccanismi di corporate governance e in particolare il Consiglio di Amministrazione, svolgono l’importante funzione di controllo sull’operato dei manager e permettono di salvaguardare gli interessi non solo degli azionisti, ma anche degli stakeholder. I board agiscono infatti come spartiacque tra l’impresa e l’ambiente esterno e sono in grado di promuovere la legittimità sviluppando proficue relazioni con gli stakeholder stessi (Michelon e Parbonetti, 2012). Le politiche di rendicontazione socio-ambientale vengono dunque influenzate dalle caratteristiche, dalla 5 composizione, dalla struttura e dalla leadership del Consiglio di Amministrazione e la qualità e la forza del board possono essere buoni indicatori della qualità della comunicazione dell’impresa. Il consiglio di amministrazione, in quanto organo di governo dell’impresa, può far uso, tra gli altri strumenti, della diffusione di informazioni per ridurre l’asimmetria informativa nel tentativo di prevenire eventuali comportamenti opportunistici del management atti all’alterazione della percezione dell’immagine pubblica dell’impresa (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012). L’influenza delle caratteristiche di corporate governance sulla quantità della disclosure socio-ambientale è ampiamente documentata nella letteratura precedente, tuttavia non è ancora stata adeguatamente approfondita l’influenza sulla qualità della comunicazione. Di particolare rilievo è l’effetto sul tono verbale, fondamentale al trasferimento di un sentimento al destinatario che va oltre al significato letterario delle parole e al loro contenuto semantico (Cho, Roberts e Patten, 2010). L’obiettivo di questa tesi è quello di verificare l’esistenza di una relazione tra l’utilizzo del tono verbale come strategia di Impression Management e il ruolo del Consiglio di Amministrazione come meccanismo di governo dell’impresa. Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) si indagherà la relazione tra l’ottimismo e la certezza (che misurano il tono verbale) e i due ruoli del Consiglio di Amministrazione, individuati da Hillman e Dalziel (2003): il ruolo di monitoraggio e il ruolo di acquisizione delle risorse, basati rispettivamente l’uno sulla teoria dell’agenzia e l’altro sulla teoria della dipendenza dalle risorse. Per verificare tale relazione è stata analizzata la comunicazione ambientale (form 10-k e comunicati stampa) di un campione di 107 società quotate americane appartenenti al settore Oil & Gas dall’anno 2008 all’anno 2010. Attraverso il software per l’analisi di contenuto DICTION 5.0 è stato stimato il valore delle variabili ottimismo e certezza e con un’analisi multivariata è stata studiata la significatività delle relazioni di tali variabili con quelle selezionate come proxy per i due ruoli del Consiglio di Amministrazione. I risultati ottenuti suggeriscono che il ruolo che ha un effettivo impatto sul tono della comunicazione ambientale è quello legato all’acquisizione delle risorse. Tale ruolo rappresenta, infatti, l’abilità del Consiglio di soddisfare gli interessi del più ampio gruppo degli stakeholder. Al contrario, il ruolo di monitoraggio non sembra avere un’influenza rilevante sul tono della comunicazione ambientale. Questo studio contribuisce alla letteratura precedente, apportando ulteriori elementi all’ancora acerbo dibattito sull’impatto della corporate governance sulla qualità della disclosure socio6 ambientale. L’utilizzo di una prospettiva combinata tra la teoria dell’agenzia e quella della dipendenza dalle risorse, consente, inoltre, di riconoscere pienamente il doppio ruolo del Consiglio di Amministrazione, sia di controllo del management che dell’acquisizione delle risorse fondamentali al buon funzionamento dell’organizzazione. Inoltre il seguente lavoro fornisce evidenze empiriche sulle variabili che hanno un reale impatto sul tono della comunicazione ambientale e permette dunque di conoscere quali aspetti di corporate governance sono più efficaci per limitare il ricorso da parte del management a strategie e tecniche di Impression Management, quale la manipolazione del tono verbale. La tesi è organizzata in due capitoli: nel primo capitolo è introdotto il tema della responsabilità sociale d’impresa (par. 1.1 e par. 1.2) e della rendicontazione socio-ambientale (par. 1.3 e 1.4) e viene approfondito l’utilizzo della corporate social responsibility come strumento di Impression Management (par. 1.5); il secondo capitolo presenta l’analisi empirica condotta (par. 2.5), preceduta da una breve introduzione (par. 2.1), dalla specificazione delle ipotesi (par. 2.2), dalla selezione del campione (par. 2.3) e dalla metodologia e misurazione delle variabili oggetto di studio (par. 2.4). 7 8 CAPITOLO 1 1.1 Responsabilità sociale, teoria della legittimità e reputazione La Responsabilità Sociale d’Impresa (o Corporate Social Responsibility - CSR) fa riferimento alle particolari attività di business che mirano a raggiungere la sostenibilità economica, sociale e ambientale (Jenkins e Yakovleva, 2006). Mentre un tempo queste pratiche venivano percepite dalle imprese come il soddisfacimento di un mero obbligo morale, le stesse sono oggi diventate un potenziale mezzo per l’accrescimento del valore del business, da integrare nella strategia per promuovere l’innovazione e l’apprendimento. In particolare, il reporting delle attività sociali, permette non solo di mantenere la propria posizione competitiva nel contesto di riferimento, ma anche di ottenere un miglioramento nella comprensione dell’impatto di queste nelle diverse aree di business, sia in termini di riduzione dei costi, che nell’identificazione di nuove opportunità per l’impresa (KPMG, 2011). Negli ultimi anni le preoccupazioni riguardo la sostenibilità e la responsabilità sociale delle imprese sono diventate un tema rilevante in molti settori e Paesi: la globalizzazione, infatti, ha imposto nuovi confini di competizione alimentando di fatto il dibattito sulle tematiche sociali ed ambientali. L’opinione pubblica ha posto notevole attenzione verso la condotta delle imprese e le loro azioni di sviluppo sostenibile, mostrandosi sempre più informata verso i comportamenti etici e socialmente responsabili. Pertanto, le organizzazioni operanti in mercati industrializzati ed esposti alla globalizzazione, stanno acquisendo sempre più coscienza dell’importanza di perseguire, accanto agli obiettivi di economicità, attività e politiche di protezione dell’ambiente sociale e naturale nel quale agiscono quotidianamente. Assumere un comportamento di tipo proattivo, attraverso il progresso tecnologico e il lancio di prodotti compatibili con l’ambiente, permette quindi all’impresa di ottenere un vantaggio competitivo nei confronti dei competitor. Cogliere i cambiamenti dell’ambiente di riferimento, anticiparli e, con scelte di governo e di gestione ad hoc, orientarli a proprio favore è essenziale per la sopravvivenza dell’organizzazione che opera in un contesto ad elevata competitività. La CSR trae origine dalla consapevolezza che l’impresa deve realizzare uno sviluppo sostenibile, inteso come sviluppo economico in senso ampio, dove, oltre a generare valore per gli azionisti si riesca a conservare in modo duraturo il capitale ambientale, sociale e umano. 9 La sostenibilità aziendale implica dunque che i servizi e i prodotti offerti non debbano competere sul mercato solo in termini di immagine aziendale e velocità di disponibilità, ma anche sulla base del minor impatto ambientale possibile in termini di risparmio energetico, diminuzione dei costi di distribuzione, dell’inquinamento atmosferico e di altri tipi di danni ambientali. In tal senso risulta indispensabile considerare e implementare il triple bottom up approach, uno schema adatto a misurare e registrare le prestazioni aziendali sotto il profilo economico, sociale ed ambientale. Secondo tale approccio le imprese devono sviluppare investimenti sostenibili e decisioni societarie partendo dalla base (bottom), perseguendo contemporaneamente tre diversi obiettivi (triple line): l’equità sociale, la qualità ambientale e la prosperità economica diffusa. La globalizzazione e la crescente esposizione mediatica portano alla costante messa in discussione della legittimità delle organizzazioni e, dunque, alla continua rinegoziazione del contratto sociale con i propri stakeholder e con la società in generale. L’acquisizione e il mantenimento della legittimità è strettamente connesso allo sviluppo di pratiche di Corporate Social Responsibility. Attraverso tali pratiche le imprese comunicano alla società il proprio impegno nel perseguire obiettivi non solo economici, ma anche sociali ed ambientali: tra gli altri, la rendicontazione socio-ambientale è uno degli strumenti di CSR più efficaci a disposizione delle organizzazioni per il rinnovamento e l’accrescimento della legittimità. La letteratura in tema di rendicontazione socio-ambientale può ricondursi a tre principali gruppi di teorie: decision-usefulness studies, economic theory studies e social political theory studies. Secondo l’approccio decision-usefulness i contenuti dei report e la loro comunicazione dipendono dalla percezione che i manager hanno dei bisogni dei destinatari: le informazioni possono essere classificate in base all’importanza percepita (ranking studies) oppure essere indagate alla luce della reazione dei partecipanti al mercato azionario (the investigation of information effect on share price behaviour). Nonostante questa teoria abbia posto in evidenza, nella comunicazione aziendale, fattori non economico-finanziari, essa è stata criticata per la rilevanza attribuita ai soli aspetti che impattano sul comportamento finanziario. Anche le teorie appartenenti al filone economic theory studies (economic agency theory e positive accounting theory) sembrano non chiarire adeguatamente le ragioni alla base della rendicontazione socio-ambientale: in particolare appare empiricamente inverosimile l’idea che tutte le azioni siano motivate da una forma di degradante egoismo. Più approfondite e condivise, invece, le teorie appartenenti ai social and political theory studies comprendenti: stakeholder theory, legitimacy theory perspectives, contingency theory e 10 political economy. La political economy, introdotta da Jackson nel 1982, sancisce l’impossibilità di studiare il dominio economico isolatamente dal contesto politico, sociale e istituzionale nell’ambito del quale si svolge l’attività economica. In linea con questa prospettiva è il pensiero sottostante la stakeholder theory (Freeman, 1984), che si allontana dalle teorie tradizionali (che vedono la massimizzazione del profitto come fine ultimo dell’impresa) e afferma la necessità di soddisfare le esigenze di tutti gli stakeholder al fine di cogliere le complesse interazioni impresa-ambiente. La legitimacy theory, definita da Dowling e Pfeffer nel 1975, è fondata sull’idea che tra le organizzazioni e la comunità sussistano dei “contratti sociali” impliciti, secondo i quali le imprese devono impegnarsi costantemente nel garantire alla comunità che le loro attività rientrino nei limiti delle norme socialmente riconosciute e, in tal modo, conquistare il così detto “stato di legittimità”. Infine, la contingency theory (Chandler, 1962) sostiene che le organizzazioni debbano affrontare le contingenze esterne adeguando le proprie strutture e i propri sistemi. Le teorie socio-politiche sono spesso complementari, benché intendano la comunicazione sociale in modo diverso: come mezzo di dialogo tra l’impresa e gli stakeholder (stakeholder theory), come strumento per perseguire e gestire la legittimità sociale (legitimacy theory), come mezzo di influenza della performance economica, se capace di adattarsi alle condizioni imposte dall’ambiente esterno (contingency theory). La legitimacy theory è il quadro teorico di riferimento più utilizzato nell’indagare il comportamento socio-ambientale delle organizzazioni in materia di rendicontazione. Le norme della società sono in evoluzione, pertanto le organizzazioni devono continuamente dimostrare di comportarsi come “buoni cittadini” e che le proprie azioni siano legittime: un modo per farlo è proprio quello di comunicare le informazioni socio ambientali attraverso report chiari e affidabili (Hooghiemstra, 2000). Secondo questa teoria, le imprese sono integrate in un più ampio sistema sociale, dal quale dipendono in quanto non dotate di risorse intrinseche e dunque incapaci di vivere autonomamente. Secondo un approccio strategico la legittimità diviene così una risorsa da cui dipende la sopravvivenza dell’organizzazione e i manager possono intervenire al fine di garantirne l’approvvigionamento continuo (resource dependance theory). L’approccio istituzionalista, invece, vede la legittimità come un insieme di vincoli esterni ai quali l’impresa deve sottostare all’interno del proprio ambiente istituzionale. Per un’organizzazione, dunque, essere considerata legittima significa attrarre con più facilità risorse economiche e ottenere il supporto sociale e politico necessario a perseguire con successo la propria attività. Tuttavia, acquisire e mantenere la legittimità 11 risulta difficoltoso per la maggioranza delle imprese, indipendentemente dal supporto sociale già accordato in precedenza (Ogden e Clarke, 2005). Occorre pertanto intraprendere delle azioni specifiche al fine di accrescere la legittimità e, nello stesso tempo, occorre renderle note alla società. Le azioni che un’impresa può compiere sono molte e diversi autori hanno cercato di raggrupparle in categorie. Quelle individuate da Dowling e Pfeffer nel 1975 (Cormier et al. 2004, pg. 144) sono: (1) l’impresa può adattare i propri output, obiettivi e operazioni alle definizioni di legittimità prevalenti nella società in cui opera; (2) l’impresa può tentare di alterare, attraverso la comunicazione, la definizione di legittimità sociale al fine di farla aderire ai propri output, obiettivi e operazioni attuali; (3) l’impresa può tentare, sempre attraverso la comunicazione, di identificarsi con simboli, valori o istituzioni considerati dalla società fortemente legittimi. Due di queste tre categorie enfatizzano il ruolo della comunicazione come mezzo per raggiungere la legittimità ed è per questo che la rendicontazione socio-ambientale assume un’importanza rilevante per l’impresa (Cormier et al., 2004). I manager hanno il compito fondamentale di comunicare con i diversi gruppi di stakeholder per raggiungere o proteggere la legittimità acquisita, cercando di soddisfare contemporaneamente le diverse esigenze di ciascuno(Ogden e Clarke, 2005). Identificare gli stakeholder chiave e determinare il tipo di influenza esercitata è importante per mantenere le promesse del contratto sociale che lega l’impresa con la società di riferimento. Nel loro studio Cormier, Gordon e Magnan (2004) hanno individuato i sei gruppi di stakeholder più probabilmente coinvolti nei risultati della performance socio-ambientale dell’impresa: gli investitori, i creditori, i fornitori, i clienti, le istituzioni governative e il pubblico. Qualora l’impresa agisse irresponsabilmente rispetto all’ambiente, gli azionisti rischierebbero di perdere il proprio investimento, i creditori potrebbero decidere di revocare il prestito concesso, i fornitori e i clienti scegliere di non fare più riferimento all’organizzazione, interrompendo così la catena del valore. Le istituzioni governative stabiliscono norme e leggi per regolamentare questioni socio-ambientali ed, infine, nel pubblico, sono compresi tutti quegli stakeholder interessati alla gestione e all’utilizzo delle risorse scarse compiuto dall’organizzazione. La rilevanza attribuita a ciascuno di questi stakeholder (che dipende dalla percezione dei manager) influenza sia il livello che la qualità della rendicontazione socioambientale e, di conseguenza, la legittimità dell’impresa all’interno della società: se la disclosure annuncia il mancato rispetto del contratto sociale, allora la società potrà reagire negativamente e gli stakeholder potranno rivalutare la propria relazione con l’organizzazione (Comier et al., 2004). Alla base del concetto di legittimità si trova dunque quello di percezione (Aerts e Cormier, 2009). Il modo nel quale le organizzazioni si presentano alla 12 società (corporate identity) può influenzare la percezione che la società stessa ha dell’organizzazione (corporate image), ma vale anche il viceversa: tra le due realtà sussiste infatti una relazione a doppio senso (Hooghiemstra, 2000). La percezione della legittimità socio-ambientale può essere determinata anche dalla credibilità che l’impresa ha sviluppato nel tempo o di cui il settore di appartenenza beneficia. La legittimità del settore può avere, infatti, un impatto significativo sulla credibilità ex ante di qualsiasi atto di comunicazione socio-ambientale prodotto dall’impresa. Nel contesto della comunicazione, la credibilità è riferita alla congruenza tra ciò che viene asserito dalla fonte informativa e gli effettivi atti ed eventi corrispondenti: la credibilità del messaggio dipende dalla percezione di competenza della fonte, dal comportamento attuale o atteso dell’impresa e dalle caratteristiche intrinseche del messaggio stesso (Aerts e Cormier, 2009). Difendere l’organizzazione da minacce di legittimità diviene fondamentale per la sopravvivenza aziendale e un modo per farlo è guadagnare e mantenere una solida reputazione nell’ambiente di riferimento. Una reputazione positiva rappresenta per l’impresa uno degli asset più di valore di cui poter disporre, in quanto strettamente connessa a un incremento del ritorno finanziario: sviluppare una buona reputazione richiede tempo e adeguati investimenti, perciò essa è difficilmente imitabile dai competitor e dunque fonte di vantaggio competitivo (Peloza, 2005). Accanto a questa prospettiva strategica, che vede appunto la reputazione come un asset intangibile che crea valore, si affianca un’interpretazione di tipo sociologico: Brown definisce la reputazione come “l’insieme delle associazioni aziendali che gli individui al di fuori dell’organizzazione credono essere centrali, durature e distintive all’organizzazione stessa”(Nikolaeva e Bicho 2011, pg. 143). Legittimità e reputazione sono spesso considerati due concetti sovrapposti, soprattutto a causa delle variabili a cui fanno riferimento (dimensione, performance finanziaria e posizione strategica) e del loro parallelo utilizzo nella valutazione aziendale da parte degli stakeholder. Tuttavia, in tema di rendicontazione socio-ambientale, la reputazione sembra essere, nello stesso tempo, sia effetto che driver della disclosure. Secondo Bebbington la reputazione è costruita sulla base di cinque elementi: (1) performance finanziaria; (2) qualità del management; (3) performance socio-ambientale; (4) qualità dei dipendenti; (5) qualità dei beni e servizi (Michelon 2007, pg. 9); tali elementi si riconducono alle tre dimensioni della sostenibilità: performance finanziaria, sociale ed ambientale. Ci si attende dunque che le imprese con una forte reputazione presentino una maggiore rendicontazione socio-ambientale. Nella sua ricerca, Michelon (2007) ha dimostrato l’esistenza di una relazione tra reputazione e 13 disclosure: in particolare, secondo l’autrice, le imprese con una forte reputazione forniscono agli stakeholder un ammontare maggiore di rendicontazione socio-ambientale rispetto alle altre imprese, probabilmente al fine di mantenere la reputazione acquisita e la propria legittimità ad operare. La recente adozione degli standard GRI nella rendicontazione socio-ambientale delle imprese, fornisce un esempio del legame tra corporate identity, legittimità e reputazione. Ogni organizzazione raggruppa dentro di sé diverse identità sociali, ciascuna delle quali associata ad un particolare set normativo. Un’impresa può dunque provare la propria appartenenza ad una specifica categoria sociale, aderendo agli standard di responsabilità sociale previsti dalla categoria stessa. Poiché i GRI rappresentano lo standard di riferimento attuale, aderirvi significa rivendicare la propria appartenenza alla categoria “responsabilità in materia CSR”, incrementando così il quoziente di legittimità e, mettendo in luce le proprie attività di CSR all’interno del report, aumentare la reputazione dell’organizzazione (Nikolaeva e Bicho, 2011). Godere di una buona reputazione può talvolta rivelarsi controproducente. Le organizzazioni impegnate in attività di CSR attraggono, infatti, l’attenzione degli attivisti, i quali cercano obiettivi ad elevato impatto mediatico per catalizzare la maggiore attenzione possibile sui temi socio-ambientali di cui si fanno portavoce. Un’eventuale violazione del comportamento pro-sociale di un’impresa ad elevato status suscita un’indignazione tra l’opinione pubblica maggiore rispetto a quella di un’impresa con una reputazione meno affermata. In più, la comunicazione di risultati positivi in tema socio-ambientale può essere travisata come tentativo di greenwashing da parte dell’organizzazione. Secondo alcuni manager, costruire una reputazione complessivamente positiva è un metodo per evitare di diventare futuro bersaglio dell’azione degli attivisti, proteggendo così l’organizzazione dalle conseguenti critiche da parte dei propri stakeholder. Secondo questa prospettiva, che viene detta “reputational halo effect”, le imprese che adottano pratiche di CSR segnalano alla società il proprio impegno nel sociale, producendo una sorta di protezione assicurativa dai possibili attacchi degli attivisti. Quest’ultimi, infatti, saranno più propensi a concedere il beneficio del dubbio o a ricercare un dialogo privato con l’organizzazione qualora un fatto negativo dovesse minare la buona reputazione acquisita. In più, consci della buona condotta dell’impresa, è probabile che abbassino il livello di monitoraggio della sua performance socio-ambientale. Questo “effetto alone” aiuta l’impresa ad evitare critiche e 14 attenzioni negative indesiderate. L’effetto si intensifica se l’organizzazione occupa le posizioni più alte di una classifica del grado di reputazione (ad esempio il Fortune’s reputation index), in quanto gli stakeholder associano la qualità e il valore riconosciuto all’impresa al suo comportamento, distogliendo l’attenzione dalla performance effettiva. La costruzione della reputazione attraverso le pratiche di CSR, vista secondo la prospettiva degli attivisti, potrebbe tuttavia portare a un effetto opposto (“reputational liability effect”). Se l’obiettivo degli attivisti è quello di individuare le tattiche più efficaci per attirare l’attenzione del pubblico, allora le organizzazioni a maggiore visibilità saranno le prescelte per veicolare i messaggi di protesta. Le imprese, dichiarando pubblicamente il proprio impegno in campo socio-ambientale, si mettono in luce tra i consumatori e gli investitori, esponendosi all’attenzione degli attivisti. Lo sviluppo di una buona reputazione è dunque associato ad un maggiore rispetto delle norme sociali e di conseguenza un’eventuale violazione delle stesse può provocare una maggiore indignazione e penalizzazione attraverso proteste e boicottaggi. La visibilità ottenuta si traduce in una minaccia reputazionale: la vulnerabilità all’attento scrutinio degli attivisti accresce il potenziale sviluppo di contraddizioni interne all’organizzazione che potrebbero generare malcontento tra gli stakeholder (King e McDonnell, 2012). Nel loro studio, King e McDonnel, suggeriscono che le pratiche di CSR, piuttosto di fornire un’assicurazione contro le future accuse degli attivisti, rendono le organizzazioni dei bersagli più allettanti. L’impatto sociale derivante dall’azione degli attivisti è complessivamente positivo. Una volta che l’impresa ha acquisito una buona reputazione è, infatti, obbligata a mantenerla; dopo essere stata boicottata sarà incentivata ad aumentare le risorse dedicate alle pratiche di CSR per rinnovare la propria immagine dando avvio ad un circolo vizioso: la reputazione riacquisita (ottenuta a seguito dell’incremento delle attività di CSR post-boicottaggio) riporterà l’impresa sotto la mira degli attivisti, promuovendo il rinnovamento dell’impegno sociale. Il rischio che si incorre nel considerare solo le organizzazioni con elevata reputazione è, però, quello di non soffermarsi sulle altre, le quali non saranno stimolate ad adottare pratiche di CSR e potranno deviare dalla norme sociali e morali assumendo un comportamento irresponsabile. Un altro motivo per il quale i manager esitano a promuovere il loro comportamento responsabile e alimentare quindi una buona reputazione, è la potenziale accusa di greenwashing da parte degli attivisti. Con l’avvento della globalizzazione la sensibilità degli individui alle questioni ambientali è cresciuta notevolmente e, di conseguenza, le imprese sono costantemente monitorate per assicurare che l’impegno nei confronti dell’ambiente sia 15 rispettato. Un contributo alla diffusione dell’informazione sui progressi delle organizzazioni riguardanti la sostenibilità è quello di Terrachoice, un’agenzia di marketing americana che dal 2007 pubblica un report sui “7 peccati capitali del greenwashing”. La ricerca ha l’obiettivo di individuare e stimare l’ammontare e il tipo delle dichiarazioni false e ingannevoli che caratterizzano certi prodotti dichiarati green nel mercato. I prodotti analizzati sono oltre 5000 e provengono dai punti di vendita di Canada e Stati Uniti. L’ultimo report (2010) ha constatato l’aumento dei prodotti green (ora al 73%) e la leggera diminuzione del fenomeno del greenwashing. Nonostante il 95% dei prodotti abbia commesso almeno uno dei sette peccati capitali, la percentuale dei prodotti “senza peccato” è passata dal 1% del 2007 al 4,5% del 2010. Inoltre, le imprese accrescendo la propria esperienza nella salvaguardia dell’ambiente producono prodotti con certificazioni di idoneità più affidabili e riducono il greenwashing (Terrachoice, 2010). I sette peccati capitali individuati sono i seguenti: peccato di omessa informazione (hidden trade-off). Si commette sostenendo che un prodotto sia green basandosi su un ristretto insieme di caratteristiche senza prestare attenzione ad altre importanti questioni ambientali; peccato di mancanza di prove (no proof). Si commette ogni volta che si afferma la natura green di un prodotto senza avere dati o informazioni facilmente verificabili oppure senza una certificazione esterna; peccato di vaghezza (vagueness). Si commette quando le affermazioni sono così generiche e imprecise da renderne incomprensibile il significato al consumatore; peccato di adorazione di false etichette (worshiping false labels). Si commette creando una falsa impressione del prodotto attraverso l’utilizzo di parole, immagini o simboli che lascino intendere un appoggio di terzi (ad esempio una certificazione) che in realtà non esiste; peccato di irrilevanza (irrilevance). Si commette comunicando informazioni sì veritiere, ma irrilevanti per l’effettiva selezione di prodotti green; peccato del minore dei due mali (lesser of two devils). Si commette quando le informazioni comunicate sono veritiere all’interno di una specifica categoria di prodotti, ma distolgono di fatto l’attenzione del consumatore dal più grande impatto ambientale che la categoria ha nel suo insieme; 16 peccato del raccontare frottole (fibbing). Si commette trasferendo informazioni false al consumatore. Il report mette in luce come il greenwashing stia evolvendo nel corso del tempo. Per esempio, il peccato di omessa informazione è diminuito drasticamente dal 2009 (71,3% di tutti i prodotti) al 2010 (27,4%); quello della mancanza di prove è invece aumentato dal 56,4% al 70,1%; il peccato dell’adorazione di false etichette è anch’esso aumentato passando dal 23,3% al 30,9%. In figura 1 sono rappresentati i sette capitali e la loro percentuale di ricorrenza nei tre anni di redazione del report, 2007, 2009 e 2010. Fig. 1: I sette peccati capitali del greenwashing, Terrachoice (2010). Lyon e Maxwell (2011, pg.5) definiscono il greenwashing come “la disclosure selettiva di informazioni positive, e la non completa rivelazione di quelle negative, sulla performance socio-ambientale dell’impresa allo scopo di creare una corporate image eccessivamente positiva”. Se un’organizzazione sceglie strategicamente di comunicare solo le informazioni ambientali legate a performance positive, gli attivisti potrebbero notarlo e, di conseguenza, penalizzare l’impresa criticandone l’ipocrisia sottesa. Lyon e Maxwell hanno ripreso questo concetto e hanno sviluppato un modello che ha fornito il seguente risultato: sotto la pressione degli attivisti, le imprese che più probabilmente ricorrono alla disclosure selettiva sono quelle con una probabilità intermedia di produrre risultati socio-ambientali positivi. Per tali organizzazioni, infatti, comunicare un successo può migliorare la percezione dell’impresa tra il pubblico e trattenere informazioni negative può prevenire la formazione di giudizi 17 sfavorevoli nei suoi confronti, pertanto esse saranno incentivate ad operare una disclosure parziale nonostante il rischio di ripercussioni a livello pubblico. Gli autori hanno dimostrato che esiste una relazione non monotona tra la performance ambientale attesa dell’impresa e la sua rendicontazione ambientale: sono le imprese top performer quelle che, in caso di risultati non propriamente positivi, più probabilmente adotteranno una strategia di omissione di informazioni. La valutazione della comunicazione ambientale da parte degli attivisti indurrà ad una maggiore apertura e trasparenza quelle imprese più consce del proprio impatto sociale, mentre potrebbe produrre un effetto opposto tra le imprese con risultati più positivi. Pertanto, se l’obiettivo degli attivisti è quello di incrementare il livello e la qualità della disclosure, è bene prestare molta attenzione nella selezione delle organizzazioni da scrutinare, per evitare che la minaccia di una ripercussione pubblica porti le imprese a “tenere la bocca chiusa” piuttosto che ad incrementare la trasparenza (Lyon e Maxwell, 2011). 1.2 Evoluzione del concetto di Corporate Social Responsibility (CSR) Le pratiche di Corporate Social Responsibility (CSR) sono fondamentali per la definizione del sentiero di comportamento che porta al raggiungimento della legittimità dell’impresa all’interno della società di riferimento. Le prime riflessioni sulla CSR nascono dalla pressione sociale verso il costituirsi di un’etica nella vita economica. Inizialmente l’attenzione degli studiosi si è soffermata per lo più sulla responsabilità degli uomini d’affari piuttosto che dell’impresa in quanto tale e si dovranno attendere gli anni ’60 per l’affermazione definitiva del termine. Attraverso il contributo di Zarri (2009) s’intende fornire una breve rassegna dei passaggi salienti dell’evoluzione del concetto di CSR nel tempo. L’apertura del dibattito sul miglioramento delle condizioni abitative, di salute e sicurezza previdenziale dei lavoratori inizia già in America a partire dagli anni ‘20 , quando organizzazioni sindacali e altre autorità morali esercitarono forme di pressione democratica nei confronti degli uomini d’affari. I tentativi di reinterpretazione della natura degli obblighi aziendali da parte di alcuni industriali attraverso azioni di tipo filantropico, si arrestarono con l’avvento della Grande Depressione, ma i primi studi teorici (Berle e Means, 1932) cominciarono a svilupparsi nuovamente a partire dagli anni ’30. In seguito alla Grande Depressione, gli uomini d’affari si trovarono ad affrontare le tensioni sociali ed economiche in atto, spinti dall’esigenza pressante di trovare nuove forme di legittimazione alla propria professione dopo la caduta del mito americano dell’uomo d’affari come eroe sociale. Essi tentarono dunque di dimostrare che l’impresa rappresentava l’istituzione economica più 18 idonea a servire la società (“in quanto proprio nel servizio alla società risiederebbe la sua ragion d’essere”) e che appartenevano ad un movimento unitario di professionisti (in risposta alla costituzione di un movimento unitario dei lavoratori). Da qui il tentativo di affermare la moralità dell’impresa in quanto cellula di un sistema più complesso, alla cui conservazione occorre contribuire. È Bowen, nel 1953, a fornire la prima definizione di responsabilità sociale degli uomini d’affari, riconducendo ai businessman l’obbligo di perseguire politiche in linea ai valori dell’intera società (e non solo rispetto all’utilità propria o a quella degli azionisti). Nel 1960 con la celebre “iron law of responsibility”, Davis afferma l’indissolubilità del legame tra potere e responsabilità sostenendo che, poiché una mancata assunzione di responsabilità da parte dell’impresa darebbe campo libero a sindacati e governi per porre limiti e vincoli al potere, l’unico modo per mantenere un certo grado di libertà è divenire attori attivi e propositivi anche in ambito sociale. Qualche anno più tardi (1966) l’autore teorizza l’esistenza di un legame univoco tra ambiente sociale e business, dove quest’ultimo è chiamato a rispondere in modo creativo alle domande poste dall’ambiente per poterlo influenzare attivamente. Il pensiero sulla CSR inizia a diversificarsi durante gli anni ’70 quando, contestualmente alla teoria neoclassica di Friedman (secondo la quale “l’interesse sociale dell’impresa è rappresentato dal profitto e qualsiasi cosa comprometta l’efficienza dell’impresa rappresenta un costo superfluo”, Zarri p.7, dunque il comportamento socialmente responsabile è giustificato solo in risposta a incentivi provenienti dai mercati in cui l’impresa opera), si sviluppano le premesse alla teoria degli stakeholder. Secondo questa prospettiva l’impresa deve rendere conto a una pluralità di soggetti, sintetizzando più funzioni obiettivo. La CSR viene vista come un costo necessario in quanto manifestazione sia del dovere dell’impresa, sia dei vincoli posti dalla società, ma nello stesso tempo rimane uno strumento accessorio di risposta a stimoli esterni finalizzato al perseguimento di politiche di differenziazione. La necessità di trovare una definizione esaustiva di questo fenomeno di sensibilizzazione in crescita, porta gli studiosi a riflettere sulle caratteristiche che rendono un’azienda socialmente responsabile. È possibile individuare quattro principali filoni di pensiero. Un primo filone di pensiero ritiene che sia proprio la volontarietà del comportamento socialmente responsabile una delle caratteristiche chiave (Davis, 1973). Nel 1979 Carroll propone una definizione di responsabilità sociale comprendente quattro categorie della 19 business performance: economic (produrre i beni e servizi richiesti dalla società e ottenere un profitto dalla loro vendita), legal (raggiungere gli obiettivi economici nel rispetto dei requisiti legali), ethical (promozione di attività e comportamenti ritenuti etici oltre a quelli richiesti dalla legge) e discretionary (attività volontarie di filantropia) responsibilities. La responsabilità sociale include dunque le aspettative economiche, legali, etiche e filantropiche che la società ha sull’organizzazione in un determinato momento. Nel 1991 lo stesso Carroll introduce una scala di priorità per ordinare questi quattro tipi di responsabilità, inserendole in uno schema a piramide (Fig.2). Fig. 2: La piramide della CSR, Carroll (1991). La performance economica sorregge l’intera piramide e fornisce la solida base su cui tutte le altre componenti poggiano. Nello stesso tempo all’impresa è richiesto di obbedire alle leggi, che rappresentano la decodifica dei comportamenti ritenuti accettabili o meno dalla società di riferimento. Il gradino successivo è occupato dalle responsabilità etiche che si traducono nel perseguire ciò che è ritenuto giusto ed equo evitando, o quantomeno minimizzando, i danni agli stakeholder. Infine viene richiesto al business di contribuire finanziariamente e umanamente alla comunità, migliorando la qualità di vita (Carroll, 1991). Alcuni studiosi 20 hanno fortemente criticato la gerarchia piramidale proposta da Carroll, accusando in particolare la prevalenza della responsabilità economica sulle altre. Un secondo filone di pensiero concentra la sua attenzione più sul contesto socio-culturale nel quale l’organizzazione si trova ad operare. Johnson (1971), infatti, afferma che l’impresa è collocata all’interno di un più ampio sistema socio-culturale che “definisce i compiti del business e nel quale essa è chiamata a elaborare risposte a specifiche problematiche sociali” (Zarri 2009, p. 11). Nello stesso anno il Committee for Economic Development (CED) pubblica il rapporto “Social Responsibilities of Business Corporation” che illustra l’evoluzione del contratto sociale fra imprese e società e introduce l’approccio dei tre cerchi concentrici. Nel cerchio più interno sono incluse le responsabilità necessarie allo svolgimento efficiente delle funzioni economiche dell’organizzazione (produzione, sviluppo della forza lavoro, crescita economica); quello intermedio comprende la responsabilità di perseguire il primo obiettivo di efficienza economica nel rispetto dei valori e delle priorità sociali (conservazione delle risorse naturali, relazione con i dipendenti, trattamento equo e protezione da danni); il cerchio più esterno, infine, rappresenta la propensione dell’impresa a farsi carico di responsabilità che non sarebbero proprie, ma destinate al potenziamento dell’ambiente sociale (lotta alla povertà e al degrado urbano). Un terzo filone cerca invece di individuare quali sono le motivazioni alla base dell’adozione dell’approccio socialmente responsabile da parte delle imprese. Wood (1991) individua tre principali interpretazioni: secondo la prima le imprese vedono nell’assunzione di responsabilità la propria legittimazione e il loro successo economico; secondo una diversa interpretazione le imprese sono solamente responsabili dei problemi sociali direttamente o indirettamente connessi alla propria attività; infine, un’ultima visione considera la forte influenza dei principi etici nell’esercizio del potere discrezionale del quale dispongono i manager. Il quarto, e ultimo, filone di pensiero è quello degli studiosi della Harvard Business School (HBS), i quali propongono un approccio incentrato sulla gestione strategica dell’impresa, finalizzato ad anticipare e quindi gestire le istanze sociali provenienti dall’ambiente esterno. Secondo Steiner (1971) la responsabilità sociale deve guidare il decision making manageriale, nonostante l’impresa rimanga pur sempre un’istituzione essenzialmente economica. Al concetto di responsabilità sociale di impresa (CSR1) si affianca quello di “corporate social responsiveness” (CSR2), secondo il quale è fondamentale capire quali azioni concrete può 21 intraprendere l’impresa per fronteggiare le pressioni sociali, quali strumenti implementare (social forecasting e social auditing) e quali variabili sociali inserire nelle strategie aziendali. Con il contributo del 1978, Frederick evidenzia questa transizione ridefinendo il concetto di CSR da etico-filosofico a manageriale, orientato all’azione. L’organizzazione aziendale e le competenze dei manager assumono un ruolo fondamentale nella capacità di rispondere ai bisogni della società; è dunque opportuno focalizzarsi su quegli aspetti pratici che rendono un’organizzazione maggiormente reattiva all’ambiente sociale di riferimento (Frederick, 1994). Un contributo significativo all’evoluzione della disciplina della CSR è fornito dalla teoria degli stakeholder; quest’ultimi sono stati definiti da Freeman nel 1984 (in “Strategic Management. A stakeholder approach”) come “qualsiasi gruppo o individuo che può avere un influsso o è influenzato dal raggiungimento dello scopo di un’organizzazione”. Secondo questa teoria poiché tra impresa e ambiente si stabiliscono delle complesse interazioni, diviene fondamentale curare le relazioni con tutti i portatori di interesse, interni ed esterni. Per ottenere e conservare il proprio successo, dunque, l’impresa dovrà soddisfare le attese dei soggetti influenti, sfruttando le risorse relazionali per ottenere un vantaggio competitivo. L’obiettivo dell’impresa non è solo quello di massimizzare il profitto, ma di realizzare gli interessi di tutti gli stakeholder, distribuendo omogeneamente la ricchezza prodotta. L’impegno nei confronti degli stakeholder deve essere esplicito, duraturo e deve inoltre continuare oltre gli obblighi imposti dalla legge. Grazie alla semplicità di questo modello è possibile trasformare gli aspetti etici in pratiche e strategie manageriali. Durante gli anni ’80 si sviluppano gli studi sull’etica degli affari (o business ethics) e nasce il concetto di “corporate social rectitude” (CSR3), introdotto da Frederick nel 1986. Operare nel rispetto della CSR3 significa, per un’impresa, posizionare le questioni etiche in primo piano nelle politiche manageriali, possedere sofisticati strumenti di analisi per l’individuazione e l’anticipazione delle problematiche etiche afferenti all’impresa, cercare di allineare le politiche aziendali correnti e future ai valori tipici di una cultura basata sull’etica. Oltre all’etica degli affari negli stessi anni si fa strada anche la teoria della Corporate Social Performance. Tale approccio non si basa tanto sull’identificazione del comportamento socialmente responsabile, bensì sul processo e i metodi con i quali l’impresa identifica gli obiettivi e risolve le questioni etiche per accordare gli interessi degli stakeholder a quelli dell’impresa stessa. La responsabilità sociale è dunque un processo integrato nei processi decisionali aziendali. 22 Risale al 2001 la prima definizione ufficiale di CSR riconosciuta a livello europeo. È infatti la Commissione Europea a esporre nel Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” le linee guida in materia di CSR, proponendola come uno degli elementi basilari della cultura imprenditoriale. La responsabilità sociale d’impresa è definita come la “decisione volontaria di contribuire al progresso della società e alla tutela dell’ambiente, integrando preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle operazioni aziendali e nelle interazioni con gli stakeholder”. Gli elementi caratterizzanti sono dunque: la volontarietà di adottare comportamenti responsabili, la sostenibilità declinata sotto l’approccio triple bottom line, il riferimento agli stakeholder ed infine la stretta connessione alla gestione strategica e alla competitività. Negli anni più recenti il dibattito teorico sulla CSR si sposta sul più ampio contesto competitivo e territoriale e si indaga sulla natura delle interazioni tra l’impresa e l’ambiente di riferimento. I principali riferimenti teorici sono rappresentati dall’evoluzione del pensiero di Porter (2006), Zadek (2001, 2007) e Freeman (2005). Secondo Porter e Kramer (2006) gli approcci prevalenti in tema di CSR sono così frammentati e sconnessi dalla strategia di business da oscurare le opportunità per l’impresa di beneficiare della società in cui è inserita. Se le organizzazioni analizzassero le prospettive di responsabilità sociale secondo la stessa ottica con la quale guidano il proprio core business, scoprirebbero che la CSR è molto più di un costo o di un atto caritatevole: essa può rivelarsi una fonte di opportunità, di innovazione e vantaggio competitivo. I due autori introducono, quindi, un modello che le imprese possono utilizzare per identificare gli effetti, positivi o negativi, che hanno sulla società, al fine di determinare quali di essi necessitino di un intervento e il modo più efficace per intervenire. Tra business e società esiste una stretta relazione di interdipendenza ed è per questo che le decisioni e le politiche sociali di entrambi dovrebbero seguire il principio del valore condiviso. Concentrarsi sui punti di intersezione, piuttosto che sugli attriti tra le due realtà permette di conoscere quali attività dell’impresa influenzano la società e, nello stesso tempo, quali condizioni sociali hanno un impatto sull’organizzazione. È bene accettare che nessun business può risolvere tutti i problemi della società e tantomeno riuscire a sostenerne il costo, perciò occorre dare priorità a quelle questioni sociali che hanno un’influenza diretta sui driver di competitività dell’impresa nel contesto in cui opera e, solo in secondo luogo, considerare anche quelle che influenzano l’impresa nella sua catena del valore o la collettività in generale. Il successo delle imprese e il bene sociale non va più visto come un gioco a somma zero, ma secondo una logica di win23 win. Le imprese prelevano dal sistema competitivo delle risorse economiche, sociali e ambientali per svolgere la propria attività; al termine del processo produttivo restituiscono valore (economico, sociale e ambientale) al sistema competitivo e il processo ricomincia con un nuovo prelievo: se l’impresa ha reso al contesto un valore aggiunto superiore a ciò che ha già prelevato, sarà essa stessa a godere di tali nuove risorse da reintrodurre nel proprio processo produttivo (Porter e Kramer, 2006). L’idea dell’impresa che non solo preleva ma può anche apportare valore sociale, è stata ripresa anche da Freeman nel 2005 con l’innovativo concetto di Company Stakeholder Responsibility. Secondo questa prospettiva le imprese devono gestire il business attraverso un approccio incentrato sugli stakeholder: il principale obiettivo della CSR, infatti, è quello di creare valore per i portatori di interesse chiave e adempire la responsabilità verso di loro; nel fare questo occorre considerare tutte le tipologie aziendali e tutte le forme di creazione di valore e di scambio. Freeman individua dieci principi cardine della Company Stakeholder Responsibility: (1) raggruppare gli interessi degli stakeholder nel corso del tempo; (2) riconoscere che gli stakeholder sono persone vere con un nome, un volto e dei valori; (3) ricercare soluzioni ai problemi che soddisfino più stakeholder contemporaneamente; (4) dialogare con tutti gli stakeholder accettando le critiche; (5) preferire una relazione di tipo volontario con gli stakeholder, piuttosto che la stessa sia gestita dal governo; (6) utilizzare tecniche i marketing per sviluppare una migliore comprensione delle esigenze dei diversi stakeholder; (7) mai dare precedenza all’interesse di uno stakeholder rispetto ad un altro in modo continuativo; (8) essere disponibili alla negoziazione con gli stakeholder primari e secondari; (9) monitorare costantemente i processi al fine di apportare miglioramenti non appena necessari; (10) agire con uno scopo che miri al pieno soddisfacimento degli interessi sia dell’azienda che degli stakeholder (Freeman et al., 2006). Il riconoscimento della capacità dell’impresa di incidere sulla creazioni di valore economico e sociale oltre ai confini della propria organizzazione, implica la problematica di come coordinare tale azione con quella degli altri attori appartenenti al medesimo ambito di riferimento. Simon Zadek propone una revisione del concetto di governance come “governance partecipata”, alla cui realizzazione “prendono parte tutti gli attori sociali che contribuiscono alla creazione del valore: il soggetto pubblico, il mondo imprenditoriale e la società civile organizzata” (Zarri 2009, p. 29). Questo nuovo concetto di “new civil governance” permette di combinare tra loro culture organizzative e competenze differenti, 24 potenziando la capacità di raggiungere più efficacemente sia gli obiettivi di business che quelli sociali. 1.3 La rendicontazione socio-ambientale Fino alla fine degli anni ’80, l’attenzione degli studiosi si è prevalentemente concentrata sul tentativo di dare un’appropriata definizione di CSR e sull’identificazione delle caratteristiche del comportamento socialmente responsabile. L’affermazione della teoria degli stakeholder, in concomitanza con la maggiore esperienza in tema di responsabilità sociale da parte delle imprese, fa nascere l’esigenza di rendere conto delle azioni intraprese, attraverso strumenti adatti a condividere l’operato con i propri interlocutori. È così che negli anni ’90 il dibattito sulla responsabilità sociale d’impresa tende ad identificarsi con il tema dell’accountability e della rendicontazione socio-ambientale (Zarri, 2009). Nel 1986 Parker cerca di indagare quali sono gli scopi della rendicontazione socio-ambientale e quali ragioni storiche sono alla base dell’affermazione di tali pratiche. L’evoluzione del rapporto fra l’impresa e i suoi interlocutori rende necessaria l’adozione di strumenti adatti a tutelare e migliorare l’immagine aziendale e, nello stesso tempo, ad informare gli interlocutori esterni rispetto all’attività aziendale e alla sue risorse. Secondo l’autore, dunque, la rendicontazione socio-ambientale è una pratica necessaria alla quale l’azienda non può sottrarsi, ma della quale è possibile farne un utilizzo a proprio vantaggio nel soddisfacimento di precise necessità. Nel 1995 Gray, Kouhy e Lavers propongono una prima definizione di rendicontazione come il “reporting effettuato da terzi e l’attività di self-reporting da parte delle aziende, attraverso la quale le informazioni di natura qualitativa e quantitativa relative agli effetti ambientali e sociali dell’attività aziendale vengono veicolate, utilizzando diversi media, verso un gruppo più ampio di interlocutori sociali”, ma solamente un anno più tardi la prospettiva muta verso il concetto di rendicontazione come processo grazie al contributo di Gray, Adams e Owen (1996). Secondo gli autori il comportamento economico s’inserisce all’interno di un più ampio contesto, comprendente la sfera sociale, culturale, etica e ambientale. La società si compone dunque di un insieme di gruppi di potere capaci di esercitare una pressione gli uni sugli altri, e per questo motivo ciascun individuo necessita di un’adeguata informazione che gli permetta di prendere parte al processo politico e decisionale con consapevolezza. La nuova definizione di rendicontazione socio-ambientale proposta è la seguente: “il processo di comunicare gli effetti sociali e ambientali che derivano dalle attività economiche delle aziende a specifici gruppi di interlocutori sociali appartenenti alla società e 25 alla società nel suo essere più ampio”; l’accountability (intesa come il “dovere di rendere conto”) delle aziende va quindi estesa oltre il tradizionale compito di fornire un rendiconto economico-finanziario agli azionisti. Il diritto a ricevere e il dovere a produrre una rendicontazione socio-ambientale si crea solo nel momento in cui l’impresa adotta un comportamento socialmente responsabile. L’approccio di Bebbington e Thomson (2002) si distingue da quello informativo precedente, evidenziando la funzione educativa della rendicontazione socio-ambientale. Essa, infatti, ha la funzione di avviare un dialogo tra l’impresa e i propri stakeholder, i quali saranno propensi a modificare il proprio punto di vista grazie alla migliore comprensione del contesto (Zarri, 2009). Al dibattito teorico è corrisposto da un lato lo sviluppo di varie forme di rendicontazione, dall’altro il tentativo di sviluppare standard a livello internazionale (Linee Guida GRI). Per quanto concerne il primo punto, la rendicontazione socio-ambientale può assumere forme molto diverse ed è veicolata attraverso svariati mezzi di comunicazione. I media più comunemente utilizzati sono i seguenti: inserzioni pubblicitarie o dettagliati articoli che promuovano le attività dell’impresa; relazioni annuali; opuscoli o volantini; report su formato elettronico (CD); community report; report ambientali; etichette di sensibilizzazione alle tematiche ambientali poste sui prodotti; comunicati stampa; supplementi alla relazione annuale o a quella provvisoria; video/DVD; siti web. Le relazioni annuali sono il documento più pubblicizzato e visibile e sono considerate una tra le più importanti fonti di informazione socio-ambientale, in quanto richieste dalla legislazione e perciò prodotte regolarmente dalla maggior parte delle imprese. Nonostante il livello di rendicontazione socio-ambientale stia crescendo nel corso degli anni, le informazioni che le imprese scelgono di condividere all’interno della relazione annuale sono spesso poco dettagliate e principalmente di tipo qualitativo. Molte organizzazioni, invece, producono una relazione ambientale, nella quale illustrano le politiche e le principali questioni legali, nonché l’impatto delle attività aziendali sull’ambiente circostante. Questa forma di rendicontazione si è evoluta nel tempo da semplice dimostrazione di impegno, a mezzo per la comunicazione dei dati sulla performance ambientale, evidenziando così l’apertura nei confronti degli stakeholder e l’importanza dello strategic environmental management. Le prime imprese a rilasciare una relazione ambientale di questo tipo sono state quelle appartenenti al settore petrolchimico tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90: è stato infatti dimostrato in seguito che le imprese operanti nei settori environmentally-sensitive (estrazione di minerali, gas e petrolio; industria chimica e silvicoltura) hanno una maggiore probabilità di fornire una rendicontazione di tipo socio26 ambientale. Alcune organizzazioni includono all’interno della relazione ambientale anche altre informazioni sulla salute e la sicurezza, dando origine a delle relazioni che integrano diverse questioni legate alla sostenibilità (Health, Safety and Environmental Reports). La diffusione delle informazioni socio-ambientali è affidata sempre di più al Web: le imprese non solo inseriscono nel proprio sito Internet le relazioni ambientali, ma spesso le accompagnano a notizie costantemente aggiornate sui dipendenti, sulla comunità di appartenenza, sulla società in generale e sulle più recenti questioni legate all’ambiente. L’utilizzo di Internet come mezzo per la circolazione di questo tipo di informazioni rappresenta un valido aiuto per l’impresa, in quanto permette di raggiungere un vasto e variegato gruppo di stakeholder. Questo è reso possibile soprattutto dalla facilità di accesso ai dati e dall’interattività tipica dei siti Internet. A questi si uniscono ulteriori vantaggi, come la possibilità di aggiornare costantemente le informazioni, quella di ridurre i costi e l’impatto ambientale legato all’utilizzo di altri mezzi di comunicazione ed, infine, quella di poter disporre di un feedback dagli stakeholder veloce e diretto. L’attrattività di questo strumento, non deve però nascondere i possibili problemi che possono derivare dal suo utilizzo. La visibilità delle informazioni è strettamente connessa alla promozione del sito Internet tra i diversi portatori di interessi e problemi di natura tecnica nell’upload o download dei report potrebbero interrompere il flusso informativo. Altre criticità sono legate agli utenti, i quali potrebbero imbattersi in problemi di overload informativo: la facilità con la quale è possibile condividere informazioni in rete, può portare un’impresa a pubblicare più notizie di quelle necessarie creando così disagio e confusione tra il pubblico (Jenkins e Yakovleva, 2006). Nella maggior parte dei Paesi la rendicontazione socio-ambientale è volontaria e pertanto non esistono regole definite sulla sua forma e contenuto. L’assenza di regolazione pone la questione della credibilità delle informazioni comunicate, perciò si fa sempre più forte l’esigenza di sviluppare degli standard generalmente riconosciuti nella rendicontazione socioambientale (Jenkins e Yakovleva, 2006). In risposta a questa mancanza la US-based Coalition for Environmentally Responsible Economies, nel 1999, fonda la Global Reporting Initiative (GRI) allo scopo di riunire le numerose iniziative di rendicontazione socio-ambientale che si sono sviluppate in modo indipendente nel mondo, in un insieme coerente e coeso di standard internazionali. L’intuizione di definire uno schema condiviso per incrementare il rigore, la comparabilità e la verificabilità dei rendiconti ambientali, è concepita nel 1997 da Allen White e Robert Massie. Una delle due organizzazioni non governative alla quale appartengono, la Coalition for Environmentally Responsible Economics (CERES) ha 27 l’obiettivo di portare la rendicontazione socio-ambientale allo stesso livello di quella finanziaria in modo da potenziare l’accesso alle informazioni da parte di tutti gli stakeholder e di conseguenza responsabilizzarli maggiormente. Dopo diverse partnership (in particolare con il United Nations Environment Program) nel 1999 viene rilasciata la prima relazione redatta secondo i principi GRI. Nel corso del tempo tali principi (inizialmente applicati alla sola rendicontazione ambientale) hanno abbracciato l’approccio triple bottom line, focalizzandosi dunque, oltre che sulla performance ambientale (indicatori sull’utilizzo delle risorse, gestione degli sprechi e rischi per la salute delle generazioni presenti e future), anche su quella sociale (indicatori sulle condizioni di lavoro e diritti umani) ed economica (indicatori dell’impatto economico sui clienti, fornitori, dipendenti, prestatori di capitali e settore pubblico). Il pensiero sottostante GRI è che la disponibilità di informazioni incentiva gli attori della società a richiedere accountability da parte delle imprese, soprattutto nel fornire dati standardizzati che permettano sia il benchmarking che il ranking tra le imprese stesse. L’adozione dei principi GRI può creare un vantaggio competitivo per quelle organizzazioni che pubblicamente sanciscono la propria vocazione alla trasparenza e alla responsabilità sociale: la riduzione dell’incertezza e l’incremento di legittimità che ne derivano sono due degli aspetti principali per cui GRI è divenuto lo schema di riferimento per la rendicontazione socio-ambientale più conosciuto e utilizzato dalle organizzazioni. Nonostante l’indubbio vantaggio di aumentare la propria credibilità, le imprese stanno ancora riflettendo sugli effettivi benefici derivanti dall’adozione di tali principi e non tutte sembrano essere interessate a seguire le linee guida proposte. Assumere gli standard GRI richiede, infatti, un notevole impiego di risorse e un impegno costante da parte del management, senza garantire risultati positivi certi. Tuttavia, in un contesto competitivo dinamico qual è quello attuale, l’adozione dei principi GRI da parte di un concorrente diretto, può innescare un processo di imitazione. La pressione competitiva e, dunque, il timore di un possibile svantaggio nei confronti delle imprese rivali, può incentivare fortemente l’adesione a questi standard di rendicontazione, soprattutto qualora le imprese aderenti siano particolarmente note e visibili all’interno del settore. Più organizzazioni adotteranno gli standard GRI più questi saranno indiscutibilmente accettati, fino al caso limite in cui la non adozione sarà considerata anormale. È vero anche che, ad un certo punto, le imprese, grazie alle nuove informazioni disponibili, riusciranno a giudicare in modo migliore se le pratiche GRI sono adatte o meno al loro specifico contesto (Nikolaeva e Bicho, 2011). 28 L’attenzione nei confronti della responsabilità sociale e delle pratiche di corporate social reporting è sempre più elevata. Tenere in considerazione gli aspetti socio-ambientali è divenuto oramai un fatto imprescindibile nella gestione dell’attività economica, tanto che un’adeguata rendicontazione può apportare un accrescimento del valore finanziario dell’impresa. Innumerevoli organizzazioni hanno infatti potuto scoprire nuove opportunità di crescita e miglioramento del business dall’analisi dei dati socio-ambientali, grazie a una riduzione dei costi e/o all’incremento della propria reputazione nel mercato (il 47% delle imprese appartenenti al G250 e il 33% delle N100 hanno riportato un incremento del valore finanziario). Alcune pratiche permettono di raggiungere entrambi gli obiettivi: è il caso dei prodotti green i quali non solo portano all’abbattimento dei costi e degli sprechi, ma anche forniscono i dividendi di un’accresciuta reputazione sia da parte degli azionisti che dei consumatori. La disponibilità di prodotti green risponde dunque alle esigenze e alle considerazione etiche di un determinato segmento di consumatori, incrementando la brand reputation: il 62% delle imprese G250 e il 45% delle N100 sostiene di offrire prodotti sostenibili (KPMG, 2011). Un significativo riconoscimento dell’importanza di riportare di più e più approfonditamente le questioni socio-ambientali, è dato dalla recente volontà di Nasdaq OMX di incoraggiare le aziende quotate presso il proprio gruppo a rendicontare maggiormente la performance legata a tali attività. Nell’ambito del UN Rio +20 Sustainable Development Summit (Giugno 2012), il gruppo ha infatti manifestato (assieme a Brazil’s BM&FBovespa e alle borse valori di Johannesburg, Istanbul ed Egitto) il desiderio di promuovere investimenti sostenibili di lungo termine e di migliorare la rendicontazione socioambientale delle oltre 4.600 imprese quotate nelle borse di riferimento. Il vice-presidente di Nasdaq, Sandy Frucher, ha comunque affermato che ciò non si tradurrà in un requisito per l’ammissione alla quotazione, ma piuttosto nella ricerca di sviluppare degli standard globali, adatti a promuovere l’investimento sostenibile in tutte le borse valori (Clark, 2012). La “KPMG International Survey of Corporate Responsibility Reporting 2011” rappresenta una delle indagini più complete sulla reportistica aziendale in materia di Corporate Responsibility e permette di analizzare le principali tendenze in atto. Sono state incluse nella ricerca 3400 società appartenenti a 34 Paesi, tra cui le 250 società più grandi al mondo secondo il Fortune Global 500 List – G250. Il 95% di quest’ultime sceglie oggi di riportare notizie sulle proprie attività di CR e, poiché i due terzi del 5% restante appartengono agli Stati Uniti, è lecito pensare che la percentuale salirà in un futuro prossimo. La rendicontazione socio-ambientale sta inoltre guadagnando terreno anche tra le migliori 100 società dei Paesi 29 appartenenti al campione: la crescita in questo segmento è, infatti, pari all’11% rispetto alla precedente relazione KPMG del 2008 (raggiungendo quota 64%). L’esempio dell’Europa per quanto riguarda la diffusione del reporting socio-ambientale e i conseguenti miglioramenti derivanti dalla sua applicazione, incoraggia anche gli altri Paesi a seguire lo stesso percorso. Negli Stati nordici, per esempio, si è verificato un notevole incremento del numero di imprese che producono un report: in Danimarca si è passati dal 24% al 91%, in Finlandia dal 41% all’85% e in Svezia dal 60% al 72%. Questi risultati non derivano solamente dall’accresciuto interesse nei confronti della responsabilità d’impresa, ma anche dalle politiche governative implementate nell’area scandinava (in Svezia le imprese statali devono dare conto delle attività di CR, in Danimarca il reporting è un requisito per tutte le quotate). I tassi di crescita dell’America, derivano soprattutto dal notevole aumento del numero delle imprese in Messico (per quanto riguarda il Nord), che è passato in un paio d’anni dal 17% al 66% e in Brasile (per quanto riguarda il Sud), giunto ad un 88%. Secondo gli studiosi del KPMG l’apertura dei mercati e la maggiore integrazione nell’economia globale incrementerà la consapevolezza della rilevanza del CR reporting. I Paesi emergenti stanno velocemente raggiungendo il passo di Svezia, Spagna e Olanda, con la Cina che raggiunge quota 60% e la Russia subito dietro con un 58%. India (20%), Taiwan (37%), Israele (18%), invece, non hanno ancora raggiunto livelli di rendicontazione socio-ambientale significativi. I Paesi che dominano la classifica sono gli stessi del 2008: il Giappone (99%) e l’Inghilterra (100%). Con una percentuale del 97%, il Sud Africa si posiziona al terzo posto, grazie al notevole incremento di imprese avvenuto in seguito all’emanazione delle norme del codice di Corporate Governance promosso dalla King Corporate Governance Commission. Per quanto concerne invece il legame tra disclosure e dimensioni dell’impresa i risultati confermano la credenza condivisa per la quale le società più grandi si occupano di rendicontazione socio-ambientale in modo migliore rispetto a quelle più piccole. Le imprese con ricavi superiori a 50 milioni di dollari hanno, infatti, il doppio della probabilità di riportare le attività di CR rispetto a quelle con ricavi inferiori. Grazie a 18 anni di esperienza (il primo rapporto risale al 1993) KMPG ha brevettato un modello per la stima dei seguenti elementi: sistemi informativi e processi; livello e portata delle certificazioni esterne; rivisitazioni/correzioni; canali multipli di comunicazione; utilizzo degli standard GRI; reporting integrato. Questi elementi sono tracciati all’interno di una matrice a quattro quadranti, dove gli assi rappresentano la qualità della comunicazione da una parte e il livello di maturità del processo dall’altra. All’interno dei quadranti è dunque indicata 30 la posizione di ciascun Paese (Fig. 3) e settore (Fig. 4) in base alla documentazione pubblicata. Fig. 3: Corporate Reporting Quadrants (Countries) , KMPG (2011). Fig. 4: Corporate Reporting Quadrants (Sectors) , KMPG (2011). 31 Nel quadrante “Leading the Pack” (letteralmente “in testa al gruppo”) è concentrata la maggioranza dei Paesi appartenenti all’Unione Europea, i quali, sensibili alle tematiche socioambientali da oltre un decennio, dimostrano professionalità e una forte comunicazione. La posizione occupata dall’India constata la serietà e il rigore con i quali le (poche) imprese che producono una rendicontazione di tipo socio-ambientale, affrontano la governance e il controllo. Gli Stati Uniti d’America sembrano concentrarsi perlopiù sulla comunicazione, ma lo squilibrio tra il reporting e l’effettiva implementazione attraverso i processi potrebbe dare origine a rischi di tipo reputazionale. Uno scenario opposto si palesa per Paesi come Il Sud Corea e la Cina, che potrebbero rafforzare la propria reputazione e credibilità con una comunicazione più incisiva ed efficace. Alcuni Paesi appartenenti ad economie emergenti, o comunque più poveri, sembrano, invece, non dare troppa importanza alla reportistica sulla responsabilità sociale: nonostante questa non venga percepita come priorità, l’integrazione della CSR all’interno del business potrebbe conferire un vantaggio competitivo utile alla crescita delle economie stesse. A un maggiore livello di dettaglio si nota come le società appartenenti al quadrante “Leading the Pack” hanno totalizzato un alto punteggio sia sulla sofisticatezza dei propri sistemi informativi interni e del grado di accountability esterna, che sulla qualità della comunicazione. I processi di produzione delle informazioni forniscono, infatti, dati affidabili, che non necessitano di correzioni o rivisitazioni successive. Queste società, in più, si rivolgono a enti esterni per la certificazione delle informazioni prodotte e hanno scelto di aderire ai principi GRI per ottenere credibilità e soddisfare maggiormente le aspettative degli stakeholder. Le imprese “Starting behind” (letteralmente “che partono indietro”) dimostrano di non avere ancora ottenuto risultati soddisfacenti in entrambe le dimensioni della matrice: dispongono di sistemi informativi non ancora adeguati rispetto ai leader e non fanno ricorso alle certificazioni esterne per il miglioramento dei processi. Il gruppo “Getting it Right” (letteralmente “ottenerlo nel modo giusto”) intraprende un sentiero di tipo conservativo per raggiungere il quadrante dei leader, focalizzandosi sull’implementazione dei sistemi informativi piuttosto che sull’eccessiva comunicazione (per evitare il rischio di una caduta reputazionale). Il basarsi quasi esclusivamente sulla comunicazione, e dunque su una pluralità di canali di comunicazione, è invece caratteristica tipica delle società appartenenti al gruppo “Scratching the Surface” (letteralmente “graffiare la superficie”); tali società, però, incorrono nell’elevato rischio di disattendere le promesse fatte nell’ambito della rendicontazione. Come si evince da Fig. 3, i settori che hanno il maggiore impatto sulla società e l’ambiente (quelli 32 legati all’energia e all’industria delle risorse naturali) mostrano un impegno nei confronti della rendicontazione socio-ambientale più netto rispetto agli altri settori. I settori trasporti e Trade & Retail si distinguono invece per la bassa pozione in classifica (sono collocati nel quadrante “starting behind”), nonostante l’integrazione recente nel business di politiche sulle basse emissioni e la consapevolezza crescente dei consumatori della responsabilità sociale dei diversi brand. La ricerca KPMG indaga, inoltre, altri aspetti rilevanti nel dibatto sulla rendicontazione socioambientale: tra questi l’impatto dell’assetto proprietario sulla propensione a comunicare informazioni sulla sostenibilità dell’impresa. Le società quotate pubblicamente sono sottoposte ad un esame più minuzioso da parte degli stakeholder e degli investitori e questa pressione incentiva una più attenta cura delle pratiche di rendicontazione socio-ambientale (il 69% delle società quotate produce un report sulla CSR). L’adozione degli standard internazionali GRI e l’utilizzo di diversi mezzi di comunicazione, sono altri due importanti fattori che la relazione KPMG mette in luce al fine di cogliere il livello dello sviluppo del CR. L’80% delle imprese G250 e il 69% delle N100 sono allineate alle pratiche GRI, evidenziando l’importanza dell’adesione a degli standard internazionali per il progresso del benchmarking, sia interno che esterno tra i competitor. Le organizzazioni stanno inoltre utilizzando sempre di più diversi canali per la comunicazione dei dati socio-ambientali: ricorrere a più mezzi permette di raggiungere con più efficacia un molteplicità di stakeholder. Nonostante un certo livello di incoerenza nel formato e nell’accessibilità dei report di CR, solo il 20% delle G250 si affida ad un unico media per la comunicazione dei risultati. La rendicontazione socio-ambientale si trova, ad oggi, ancora in uno stadio di sviluppo e le società si stanno adeguando alle nuove pratiche attraverso una lenta evoluzione dei propri sistemi informativi e dei processi. Errori, omissioni e correzioni successive, tipici in questa fase, possono tuttavia minare la fiducia degli investitori: informazioni socio-ambientali di qualità e certificazioni di enti esterni sull’accuratezza dei dati riportati diventano dunque necessarie per mantenere standard elevati di credibilità nei confronti degli stakeholder. 1.4 Fattori che influenzano la rendicontazione socio-ambientale Studi precedenti hanno dimostrato che l’atteggiamento nei confronti della rendicontazione socio-ambientale varia considerevolmente a seconda del contesto in cui l’impresa si trova ad operare. Infatti il tipo di impresa, il settore di appartenenza, la nazione in cui è collocata e il 33 tempo sono degli elementi fondamentali da considerare nell’analisi dell’ammontare e della qualità delle informazioni comunicate. La sofisticazione della reportistica socio-ambientale coincide, dunque, con l’affermazione e lo sviluppo della CSR che pone in evidenza gli interessi e i bisogni di un ampio gruppo di stakeholder tra cui i consumatori, i dipendenti, i fornitori e i legislatori/regolatori (Brammer e Pavelin, 2008). Le difficoltà nel campionamento e nella metodologia di analisi dei dati hanno tuttavia portato a risultati spesso inconcludenti in molti degli studi sulla qualità della rendicontazione socio-ambientale. Nella loro ricerca del 2008, Brammer e Pavelin ipotizzano sei principali caratteristiche che determinano la variazione nella qualità della disclosure: la natura dell’attività di business; la performance ambientale dell’impresa; le dimensioni e la visibilità dell’organizzazione; l’assetto proprietario; le risorse a disposizione dell’impresa; la composizione del consiglio di amministrazione. Per quanto concerne il primo aspetto si prevede che la qualità della rendicontazione socioambientale sia maggiore per le imprese appartenenti a settori coinvolti in questioni ambientali. Tali imprese, ad esempio appartenenti al settore petrol-chimico o energetico, hanno un forte impatto sull’ambiente circostante (prodotti o processi di produzione inquinanti, spreco di risorse non rinnovabili) e pertanto sono soggette ad uno scrutinio più approfondito da parte degli stakeholder. L’elevata pressione esterna porta dunque l’impresa a porre una maggiore attenzione nell’accuratezza della rendicontazione socio-ambientale, in risposta all’esigenza di chiarezza e trasparenza degli interlocutori socio-economici (Brammer e Pavelin, 2008). La qualità della disclosure ambientale dipende, inoltre, dalle dimensioni dell’impresa: maggiore è l’impresa, maggiore è la qualità attesa. Più un’organizzazione è grande, infatti, più è rilevante la sua importanza economica e, di conseguenza, maggiore sarà la sua visibilità nei confronti dei pubblici rilevanti (Brammer e Pavelin, 2008). È possibile distinguere due tipi di visibilità: un’impresa con un’alta visibilità generica possiede delle caratteristiche organizzative, come ad esempio uno status elevato, una buona reputazione o un’importanza tali da renderla ampiamente conosciuta all’interno della società; invece, la visibilità nel dominio specifico, si ha quando alcune caratteristiche dell’organizzazione, come ad esempio i rapporti di lavoro o la performance ambientale, espongono la stessa ad un maggiore grado di pressione istituzionale in determinati domini, come quelli esercitati dalle Organizzazioni Non Governative (NGOs) o da particolari gruppi di attivisti (Marquis e Toffel, 2012). Lo studio di Marquis e Toffel (2012) ha dimostrato che una più elevata visibilità nel dominio specifico 34 agisce da maggiore deterrente per la comunicazione selettiva delle informazioni socioambientali rispetto alla visibilità generica. La visibilità dell’impresa accresce anche attraverso l’esposizione mediatica, la quale può, nello stesso tempo, favorire o minare la popolarità dell’impresa tra gli interlocutori chiave (Brammer e Pavelin, 2008). Negli ultimi decenni la consapevolezza del ruolo delle imprese all’interno della società è cresciuta notevolmente: mentre ad alcune di queste è stato riconosciuto il contributo dato nello sviluppo economico e tecnologico dell’ambiente di riferimento, altre sono state invece criticate per i problemi sociali legati alla loro attività. Le questioni legate alla tutela dell’ambiente e delle condizioni di lavoro sono, infatti, sempre più al centro dell’attenzione dei media. Poiché i media stessi sono uno tra i canali di comunicazione dell’identità dell’impresa ritenuti più affidabili tra i consumatori, le imprese stanno incrementando il loro ruolo all’interno della corporate governance. L’esposizione mediatica è dunque utilizzata come proxy per la visibilità sociale, rendendo le imprese oggetto di attenzione e di valutazione pubblica. Le organizzazioni più attive nel gestire la propria immagine mediatica e quelle con più alto impatto sulla società, saranno, probabilmente, più visibili agli stakeholder esterni, indipendentemente dalla positività o negatività dell’esposizione stessa. Ciò comporta che queste imprese producano una rendicontazione socio-ambientale più chiara e dettagliata, al fine di promuovere la propria immagine o difenderla dall’eventuale pubblicità negativa avanzata dei media (Nikolaeva e Bicho, 2011). Le politiche di rendicontazione sono influenzate anche dall’assetto proprietario dell’impresa. Un azionariato frammentato/diffuso nasconde potenziali asimmetrie informative che potrebbero portare a reazioni avverse da parte degli investitori. Il management è dunque incentivato a soddisfare la richiesta degli azionisti a fornire informazioni socio-ambientali dettagliate e affidabili (Brammer e Pavelin, 2008). Nonostante la minor visibilità, anche le imprese non quotate o quelle detenute da fondi di private equity stanno attribuendo sempre più importanza alla cura della rendicontazione socio-ambientale (KPMG, 2011). Un altro aspetto da considerare è la salute finanziaria dell’impresa: la dotazione di risorse a disposizione e il basso grado di leva finanziaria favoriscono la qualità della rendicontazione socio ambientale. Infine la qualità della disclosure potrebbe essere maggiore nelle imprese con direttori di tipo non esecutivo: queste figure, infatti, possono avere uno sguardo più ampio sul mondo circostante poiché tendono ad essere maggiormente allineate agli interessi degli stakeholder esterni rispetto al management. 35 Dall’analisi di un campione di 447 imprese inglesi i due studiosi hanno constatato che la qualità della rendicontazione socio-ambientale è associata soprattutto alle imprese più grandi e a quelle appartenenti a settori ad elevata sensibilità ambientale, mentre gli altri fattori non hanno un’incidenza significativa. Più ampio è invece il dibattito sul legame tra la disclosure e la performance ambientale. I risultati contrastanti ottenuti dagli studi precedenti possono trovare giustificazione nella scelta del background teorico di riferimento. Due sono i framework principali: la teoria della disclosure volontaria da un lato e le teorie socio-politiche dall’altro. La teoria della disclosure volontaria afferma che le imprese performanti sono incentivate a rilasciare informazioni per evitare il problema della selezione avversa. Le organizzazioni con una performance economica superiore sono propense a comunicare il proprio “tipo” producendo una rendicontazione socio-ambientale credibile, che le altre imprese meno performanti troverebbero difficile imitare. Pertanto, secondo la teoria della disclosure volontaria la performance ambientale e la rendicontazione socio-ambientale sono positivamente associate. Contrariamente, secondo le teorie socio-politiche, la relazione esistente è di tipo negativo: poiché la disclosure è uno dei metodi a disposizione per accrescere la legittimità, le imprese sono incentivate ad incrementare la produzione di informazioni per incontrare le esigenze degli stakeholder e gestire, in questo modo, la propria immagine piuttosto di operare un cambiamento effettivo della performance (Clarkson et al., 2008; Clarkson et al., 2011). Con l’avvento della globalizzazione il contesto di riferimento per l’impresa si è notevolmente allargato, sottoponendo le organizzazioni alle pressioni delle legislazioni globali e della concorrenza internazionale. L’integrazione globale spinge i governi domestici ad allineare le proprie regolamentazioni agli altri Paesi, esercitando un’ulteriore pressione istituzionale sulle organizzazioni che sono chiamate ad adottare nuove pratiche di governance. La rendicontazione socio-ambientale è dunque influenzata anche da fattori “globali” che incidono sia sul livello che sulla qualità della disclosure. In questa prospettiva si colloca il contributo di Marquis e Toffel (2011), i quali hanno svolto un’indagine su un campione di 4.646 imprese pubbliche di diversi settori con sede in 46 Paesi durante il triennio 2005/2008, ipotizzando che i fattori caratteristici dell’organizzazione, come dimensione o impatto ambientale, diano forma al tipo di disclosure, ma che le pressioni globali istituzionali siano determinanti nelle relazioni tra l’impresa e l’ambiente. Secondo i due autori le imprese presentano più rendicontazione socio-ambientale quando la sede dell’impresa è in un Paese: 36 - con un’ampia partecipazione in organizzazioni governative internazionali (IGOs) orientate alla tutela dell’ambiente; - che adotta stringenti regolamentazioni ambientali; - i cui cittadini sono maggiormente connessi alla società globale; - che garantisce più diritti politici e libertà civili. La partecipazione in una IGO riflette il sistema di valori e credenze del governo di un Paese e le organizzazioni possono fare da tramite alla propagazione delle idee a livello internazionale. Gli effetti dell’appartenenza ad una IGO a livello nazionale possono influenzare anche la rendicontazione socio-ambientale delle imprese. Se un Paese aderisce, per esempio, alle Nazioni Unite, adotterà, tra le altre, misure per la riduzione dell’inquinamento e la promozione della conservazione ambientale: queste azioni segnalano alle organizzazioni di porre particolare attenzione all’impatto delle proprie attività e le incentivano ad adottare pratiche ambientali globali condivise, tra cui la rendicontazione. Lo stesso effetto si ottiene quando un Paese adotta leggi e regolamentazioni ambientali stringenti: le imprese sono chiamate a conformarsi al comportamento ritenuto appropriato dalle istituzioni sia per rispondere alle richieste di trasparenza da parte degli stakeholder, sia per prevenire nuove regolamentazioni ancora più rigide. L’integrazione dei cittadini nella società globale è un altro fattore da tenere in considerazione poiché l’esposizione alle norme e alle idee globali influenza le attività degli individui e, di conseguenza, anche quelle delle organizzazioni all’interno della nazione. Infine, le libertà civili e politiche che caratterizzano un Paese possono inibire o promuovere l’influenza dei movimenti sociali di protesta sui processi decisionali dell’impresa (le imprese saranno incentivate a produrre una maggiore rendicontazione socio-ambientale nei Paesi il cui governo protegge attivamente la libertà di espressione) (Marquis e Toffel, 2011). I risultati dello studio hanno confermato che anche gli attori economici (e di conseguenza la rendicontazione socio-ambientale) sono condizionati dalle pressioni globali, attraverso diversi processi istituzionali e l’azione dei movimenti socioambientali. I possibili fattori che influenzano la rendicontazione socio-ambientale sono stati finora ricercati tra le caratteristiche tipiche dell’impresa, come la dimensione, il settore di appartenenza o la performance, oppure tra fattori di contesto politico o socio-culturale generali; tuttavia, altri fattori interni all’impresa dovrebbero essere presi in considerazione, in 37 particolare le caratteristiche del modello di corporate governance adottato dall’impresa stessa (Haniffa e Cooke, 2005; Michelon e Parbonetti, 2012). La maggior parte della rendicontazione socio-ambientale è di natura volontaria, pertanto le decisioni finali su che cosa e quanto comunicare agli interlocutori esterni sono prese dal management il quale è sottoposto al continuo monitoraggio del Consiglio di Amministrazione e all’influenza degli stakeholder rilevanti (clienti, fornitori, investitori istituzionali, istituti di credito, altre organizzazioni) (Rupley, Brown e Marshall, 2012). La domanda di maggiore trasparenza nella comunicazione delle informazioni aziendali ha di fatto segnato il passaggio dal dialogo per lo più finanziario con gli azionisti all’approfondimento di aspetti anche sociali, ambientali ed etici con il più ampio gruppo dei portatori d’interesse nell’impresa (Prado-Lorenzo e GarciaSanchez, 2010). La responsabilità crescente nei confronti delle tematiche socio-ambientali, porta dunque gli amministratori del consiglio a irrobustire il proprio ruolo di monitoraggio del comportamento sostenibile dell’impresa, influenzando così le politiche di rendicontazione e il processo decisionale, al fine di sviluppare o mantenere la legittimità (Post, Rahman e Rubow, 2011). È’ più probabile, dunque, che consigli di amministrazione risoluti, competenti e partecipativi perseguano una politica di rendicontazione che miri alla trasparenza e all’accrescimento della quantità delle informazioni comunicate e, di conseguenza, la qualità degli amministratori può diventare un buon indicatore della qualità delle informazioni socioambientali divulgate dall’impresa (Osma e Guillamon-Saorin, 2011). 1.5 L’utilizzo della CSR come strumento di Impression Management Come indicato in precedenza, il modo in cui un’organizzazione è percepita dai suoi stakeholder e dall’ambiente di riferimento è fondamentale alla sua sopravvivenza. Pertanto le imprese possono tentare di influenzare tale percezione e di accrescere la legittimità utilizzando dispositivi di auto-presentazione: l’Impression Management è, di fatto, lo studio di come gli individui si presentano allo scopo di essere percepiti favorevolmente dagli altri (Hooghiemstra, 2000). I manager fanno uso di comunicati stampa, relazioni annuali e altri documenti aziendali per condizionare la percezione che gli attori, interni ed esterni, sviluppano rispetto all’impresa (Bansal e Clelland, 2004). Spesso le imprese preferiscono la contabilità narrativa, come, ad esempio, la rendicontazione socio-ambientale, a quella finanziaria o, comunque quantitativa, poiché essa permette di essere “confezionata su misura” allo scopo di gestire l’impressione pubblica e dunque utilizzata per incrementare la legittimità e per creare una nuova e favorevole immagine aziendale. Più la performance dell’impresa si 38 discosta dal benchmark desiderato, più il management è incentivato a modificare l’impressione creata: per farlo può agire sulla quantità delle informazioni comunicate, sulla scelta dei contenuti e sul tono e sul linguaggio verbale (Cho et al., 2010). 1.5.1 Prospettive sull’Impression Management Nel contesto della rendicontazione aziendale, la prospettiva predominante sull’Impression Management è quella delle economic-based theories, in particolare la Teoria dell’Agenzia. Questa teoria si basa sulla relazione tra manager e azionista, caratterizzata dalla razionalità e dalla ricerca di massimizzazione della propria utilità. La rendicontazione e le decisioni di investimento sono infatti motivate dall’opportunismo e si basano su un calcolo preciso di costi e benefici. Poiché i manager operano in un contesto nel quale la loro remunerazione è legata alla performance finanziaria dell’impresa, essi avranno un incentivo economico a comunicare i propri successi piuttosto che gli insuccessi. Il fatto che la relazione tra management e investitori sia incentrata sulla sola performance finanziaria non permette di cogliere il ruolo del reporting nella mediazione della relazione stessa e perciò nasce l’esigenza di trovare nuove prospettive per indagare il fenomeno. Il concetto di razionalità economica sotteso alle economic-based theories non è adeguato nel descrivere la realtà nella quale il management e gli azionisti si relazionano, in quanto caratterizzata da conoscenza imperfetta e incertezza. Il processo decisionale è di fatto influenzato da una serie di fattori sia interni che esterni, tra questi: vincoli di tempo, credenze, regole e norme sociali. La razionalità limitata tiene in considerazione questi elementi ed afferma che gli attori economici prendono le decisioni basandosi su informazioni incomplete, esplorando un numero limitato di alternative e assegnando un valore solo approssimativo ai risultati di ciascuna scelta. La soluzione finale non sarà più quella ottima, ma la prima considerata soddisfacente. Le limitazioni sociali e cognitive che subentrano all’interno del processo decisionale rendono gli individui suscettibili all’Impression Management. Tuttavia, sia la razionalità economica che quella limitata escludono la componente affettiva, che invece gioca un ruolo significativo secondo la psicologia e la finanza comportamentale: nella vita reale il processo decisionale è infatti una sorta di processo olistico che coniuga i fattori emotivi a quelli cognitivi (ad esempio ansia e stress potrebbero influenzare negativamente il risultato di una decisione). Inoltre, le relazioni tra l’impresa e i suoi stakeholder avvengono in un contesto sociale pertanto sono condizionate dalle norme e regole sociali vigenti. Ci si sposta quindi da una razionalità strumentale (scegliere la miglior alternativa per raggiungere lo scopo ultimo) ad una razionalità 39 sostanziale caratterizzata da ideali, obiettivi e fini di eguaglianza, giustizia, libertà e rispetto per l’ambiente. Nella reportistica narrativa ciò si traduce in un’attenzione particolare alle questioni sociali ed ambientali, come il commercio equo-solidale, il benessere dei lavoratori e la riduzione dell’inquinamento conseguente all’attività produttiva: le imprese faranno potenziale uso dell’Impression Management in caso di violazione delle norme e regole sociali per non danneggiare la propria immagine nei confronti degli stakeholder sensibili a queste tematiche (Merkl-Davies e Brennan, 2011). Le motivazioni alla base del comportamento dei manager e dei pubblici dipendono soprattutto da come viene concettualizzata la relazione tra l’organizzazione e l’ambiente, ovvero dalla dipendenza o meno dal contesto istituzionale e sociale esterno. L’Impression management e le risposte ad esso associate possono essere determinati da fattori economici o psicologici, da vincoli esterni (norme sociali) oppure da sistemi di credenze. Secondo la teoria della razionalità limitata i manager cercano di massimizzare la propria utilità per accrescere il proprio salario o per ottenere bonus extra e gli azionisti perseguono l’incremento del proprio cash flow. Secondo la psicologia sociale, invece, l’Impression Management non è altro che il tentativo da parte dell’impresa di anticipare il comportamento di determinati individui, la cui reazione potrebbe provocare problemi indesiderati all’organizzazione. L’Impression Management diviene dunque un mezzo per contrastare potenziali conseguenze negative: il controllo della percezione è ottenuto attraverso la presentazione di una rendicontazione già pregiudicata prima del suo rilascio (reporting bias) oppure dalla modifica della descrizione della causalità degli eventi e delle azioni aziendali (self-serving bias). Nel caso specifico della rendicontazione socio-ambientale, i manager possono ricorrere all’Impression Management in risposta alle preoccupazioni di diversi gruppi di stakeholder (stakeholder theory) o per conformarsi a specifiche regole e norme della società di riferimento (legitimacy theory) (Merkl-Davies e Brennan, 2011). Merkl-Davies e Brennan (2011) hanno sviluppato una tassonomia basata sulle prospettive che spiegano il managerial impression management: economica, psicologica/comportamentale, sociologica e critica. Queste prospettive sono fondate sui diversi tipi di razionalità sottesa al comportamento dei manager e dei pubblici e sulle diverse motivazioni alla base della contabilità narrativa discrezionale. Quattro sono le possibili spiegazioni di un reporting pregiudicato (biased): 40 1. Impression Management opportunistico. I manager manipolano la presentazione delle informazioni per indurre in errore gli azionisti circa i risultati aziendali; gli investitori non sono in grado di valutare l’improprietà del reporting nel breve termine. 2. informazione incrementale. I manager non hanno un incentivo economico a fare uso dell’Impression Management poiché, in base alla razionalità degli investitori e all’ipotesi di efficienza del mercato, gli attori economici sono in grado di valutare un reporting pregiudicato e, di conseguenza, ciò impatterà sulla performance del prezzo delle azioni (aumenta il costo del capitale e si riduce la performance), sul cui andamento è calcolato il loro compenso. 3. tracotanza (hubris). Bias cognitivo subconscio originato da eccessivo orgoglio negli individui. Coloro i quali occupano posizioni di potere possono, infatti, prendere decisioni irrazionali forti della loro capacità di gestione, senza prestare attenzione alla provata rischiosità della decisione stessa. La distorsione prodotta nell’individuo è quella di pensarsi sotto una luce positiva e proteggere così la propria autostima a discapito dell’effettiva performance. 4. retrospective sense-making. È l’interpretazione retrospettiva di eventi che si sono già verificati (Merkl-Davies et al., 2011). I risultati della ricerca di Merkl-Davies et al. (2011) su un campione di 93 imprese quotate inglesi, hanno dimostrato come le organizzazioni non utilizzino le dichiarazioni del presidente per creare un’immagine diversa da quella che emerge dalla relazione annuale, bensì, i risultati negativi spingono i manager a darne una interpretazione il più possibile favorevole attraverso il retrospective sense-making. Mentre la prospettiva economica spazia tra l’Impression Management e l’informazione incrementale, la prospettiva psicologica è fondata sulla teoria dell’attribuzione che riguarda come gli individui spiegano gli eventi che accadono: vi è una distorsione se i risultati positivi vengono attribuiti a circostanza interne all’organizzazione, mentre quelli negativi vengono attribuiti a circostanze esterne. Un’errata attribuzione può essere dovuta sia a fattori sociopsicologici (Impression Management derivante dall’anticipazione di potenziali conseguenze negative e dunque self-serving bias) che a fattori cognitivo-psicologici (hubris derivante dalla dissonanza cognitiva tra immagine di sé e performance effettiva). L’attribuzione nel corporate reporting può dunque essere utilizzata per formare a proprio vantaggio la percezione dei risultati e degli eventi aziendali (Impression Management) e proteggere il sé dell’organizzazione (hubris), ma anche per fornire un resoconto degli eventi retroattivo e 41 favorevole (retrospective sense-making) (Merkl-Davies e Brennan, 2011). Un’attenzione particolare al modello dell’attribuzione è rivolta da Aerts nel suo studio del 2005. L’autore ha svolto un’indagine empirica sulle pratiche della disclosure narrativa attraverso l’analisi di un campione di imprese del Belgio. I dati hanno confermato l’ipotesi secondo la quale le imprese quotate, nelle proprie dichiarazioni, fanno ricorso all’attribuzione in misura maggiore rispetto alle imprese non quotate, esibendo un elevato grado di difensiva nello spiegare eventuali risultati negativi. I risultati della ricerca di Aerts, inoltre, sostengono l’interpretazione motivazionale del self-serving bias: le tendenze all’attribuzione sono influenzate dall’impatto di fattori sociali e ambientali, pertanto l’errore di attribuzione è in larga misura dipendente dal contesto. Una comprensione approfondita del contesto di riferimento permette dunque di cogliere le caratteristiche del comportamento delle organizzazioni (Aerts, 2005). La prospettiva sociologica si base, invece, sulla teoria della legittimità, su quella degli stakeholder e su quella istituzionale: la disclosure diventa mezzo per rispondere alle attese degli stakeholder e per accrescere la propria legittimità. L’Impression Management prende spazio qualora i valori dell’impresa siano in contrasto con quelli della società di appartenenza. Nella prospettiva critica, infine, la razionalità è intesa come un costrutto sociale che fornisce la regole per il comportamento ritenuto socialmente accettato, pertanto pratiche di Impression Management saranno adottate per dimostrare di agire secondo tale razionalità. In sintesi la prospettiva economica concettualizza l’Impression Management come un reporting bias e rileva una discordanza tra i risultati aziendali riportati e quelli effettivi; quella psicologica rimarca un’inconsistenza tra l’attribuzione riportata ed effettiva e vede l’Impression Management come un self-serving bias; secondo la prospettiva sociologica l’organizzazione risponde alle preoccupazioni degli stakeholder e aderisce alle norme sociali attraverso strategie di symbolic management (sposare obiettivi socialmente accettati, ridefinire i mezzi come fini, conformità cerimoniale) in modo da sopperire al divario tra valori riportati ed effettivi; infine la prospettiva critica individua una difformità tra processo decisionale riportato ed effettivo e l’Impression Management viene concettualizzato come retrospective rationality e accounting rhetoric. Merkl-Davies e Brennan (2011) analizzano le quattro prospettive secondo i due punti di vista tipici nella disclosure aziendale: coloro i quali preparano il report (preparer) e coloro i quali ne fruiscono (user). 42 La figura 5 sintetizza le prospettive che caratterizzano il managerial impression management (preparer perspective) declinate, in particolare, nelle diverse dimensioni di razionalità e motivazioni. Secondo la prospettiva economica il management si avvantaggia dell’asimmetria informativa con gli azionisti attraverso la manipolazione della presentazione e della comunicazione delle informazioni aziendali al fine di massimizzare il proprio benessere personale e dare una rappresentazione interessata della performance dell’impresa. Il concetto socio-psicologico di Impression Management, invece, è incorporato (e nello stesso tempo dipende) nella relazione tra il management e il pubblico di riferimento. I manager sono responsabili (accountable) nei confronti sia degli stakeholder che degli azionisti per le loro azioni e decisioni. La necessità di “dare conto” (accountability) coinvolge tre componenti in grado di influenzare il giudizio e il processo decisionale. Il primo componente è l’indagine, ovvero l’anticipare o il sottoporsi ad un’inchiesta da parte di un pubblico che valuta le azioni e le decisioni in riferimento ad uno specifico oggetto; il secondo componente è la contabilità, ovvero lo strumento che permette di comunicare la propria versione degli eventi, descrivendo e interpretando favorevolmente le informazioni aziendali; il terzo componente è il verdetto, ovvero la possibilità da parte del pubblico di giudicare ed emettere un verdetto, con le conseguenti sanzioni o riconoscimenti. Nella disclosure aziendale, l’Impression Management si alimenta a causa della componente di indagine e viene utilizzato per contrastare potenziali conseguenze negative derivanti dalla valutazione degli stakeholder. Inoltre, si manifesta anche nella componente contabile, sotto forma di strategie adottate dal management al fine di dare una rappresentazione degli eventi favorevole che eviti le sanzioni e promuova ricompense sociali e materiali (self-serving bias o retrospective sense-making). Diversamente da quella pura, il processo informativo del management può essere caratterizzato da razionalità limitata: l’impresa potrebbe fornire una spiegazione distorta delle propria performance al fine di accrescere la propria autostima attribuendo i risultati positivi a sforzi interni all’organizzazione e i risultati negativi a fattori esterni. Questo errore di egocentrismo (hubris) si manifesta in uno spiccato ottimismo del management sui risultati futuri attesi e un’eccessiva confidenza nelle proprie abilità di previsione. Secondo la prospettiva sociologica il reporting è determinato dai vincoli strutturali esercitati sia dai diversi gruppi di stakeholder, che dalla società più in generale. Il processo decisionale, dunque, si fonda su una razionalità di tipo sostanziale (teorie degli stakeholder e della legittimità) e il management fa uso di strategie di symbolic management per dare l’impressione che le attività dell’impresa siano congruenti alle norme e ai valori sociali. La prospettiva critica introduce, invece, il concetto di razionalità retrospettiva: la razionalità non è altro che un costrutto normativo che definisce il 43 comportamento socialmente accettato al quale l’impresa deve aderire per dimostrare di essere un decisore razionale e proteggere quindi la sua legittimità. L’Impression Management comporta l’utilizzo di tale razionalità al fine di oscurare il reale processo decisionale (politico) che avviene all’interno dell’organizzazione. Fig. 5: Prospettive sul Managerial Impression Management, Merkl-Davies e Brennan (2011). 44 Speculare alla prospettiva del preparer è quella dello user, ovvero come gli investitori rispondono all’Impression Management. Anche per questo punto di vista i due autori, MerklDavies e Brennan (2011), hanno sviluppato una tassonomia riconducibile a quattro prospettive (Fig. 6), di cui due predominanti (economica e della finanza comportamentale) e due alternative (sociologica e critica). Secondo la prospettiva economica gli investitori agiscono razionalmente e il prezzo delle azioni riflette le informazioni riguardanti l’organizzazione in modo obiettivo e tempestivo. In base alla teoria dell’agenzia, gli azionisti riconoscono l’interesse opportunistico che si cela dietro al comportamento dei manager e rispondono razionalmente ignorando la disclosure delle informazioni distorte (cheap talk). Gli investitori sono però soggetti all’Impression Management se il loro processo decisionale è caratterizzato da razionalità limitata: sono, infatti, incapaci di valutare la distorsione nella comunicazione a causa di diversi errori cognitivi, sociali ed emozionali. La prospettiva sociologica si focalizza sull’analisi di come gli user percepiscono la legittimità dell’organizzazione, indagando di fatto la percezione degli azionisti attraverso l’andamento del prezzo delle azioni e la percezione degli stakeholder attraverso i resoconti mediatici. Per quanto concerne la prospettiva critica, ancora oggi non è chiaro se i lettori dei report aziendali siano veramente persuasi dall’utilizzo di strategie di razionalità retrospettiva e contabilità retorica nel credere alla razionalità del processo decisionale oppure alla legittimità delle attività dell’organizzazione. Tuttavia, nel caso lo fossero, ciò rinforzerebbe ulteriormente lo status quo dell’impresa, mantenendo una posizione informativa privilegiata rispetto ad un’inconsapevole società (Merkl-Davies e Brennan, 2011). 45 Fig. 6: Prospettive sulle risposte all’impression management, Merkl-Davies e Brennan (2011). 46 1.5.2 Strategie di Impression Management I comportamenti che i manager possono assumere sono di due tipi: occultamento o attribuzione. Mentre l’occultamento consiste nell’oscurare notizie negative o enfatizzare quelle positive, l’attribuzione è una tattica di framing che mira a trasferire la colpa di eventi sfavorevoli al di fuori dell’impresa. A ciascuno di questi due comportamenti corrispondono delle strategie di impression management che l’organizzazione può adottare al fine di presentarsi nel modo più favorevole possibile al pubblico (Fig. 7). All’occultamento sono associate sei strategie: la manipolazione della facilità di lettura e la manipolazione retorica alterano le informazioni verbali offuscando le notizie negative; la manipolazione tematica, quelle visuale e strutturale, il confronto tra performance e la scelta degli earning numbers sono invece strategie che enfatizzano le notizie positive alterando informazioni verbali e/o numeriche; la settima e ultima strategia, l’attribuzione della performance, è tipica invece del comportamento di attribuzione. La differenza tra una strategia e l’altra risiede nelle diverse scelte delle informazioni da comunicare e dal modo di presentarle attraverso i bias (trasmissione delle informazioni in una luce molto positiva o molto negativa) e/o la selettività (includere od omettere alcuni elementi dell’informazione) (Merkl-Davies e Brennan, 2007). Leggibilità/ manipolazione della facilità di lettura. L’offuscamento viene definito da Courtis (Merkl-Davies e Brennan 2007, pg. 18) come “una tecnica di scrittura narrativa che oscura il messaggio o confonde, distrae o perplime il lettore, lasciandolo sconcertato o disorientato”. I manager possono di proposito rendere i documenti narrativi aziendali difficili da leggere e consultare, al fine di manipolare la percezione del lettore riguardo all’effettiva performance dell’impresa. La complessità sintattica non deve però superare il limite oltre il quale la leggibilità venga meno e l’intenzione del management si palesi apertamente. La difficoltà di lettura può anche non derivare da un premeditato tentativo dei manager di indurre in errore gli user, ma essere dovuta ad una mancanza di competenze stilistiche dello scrittore. Anche se non è facile distinguere i due casi, la mancanza di abilità nello scrivere è ritenuta l’interpretazione meno probabile: i documenti aziendali sono infatti spesso redatti da personale competente o da agenzie professionali; in più, a causa delle conseguenze sulla propria reputazione e sul risultato economico- 47 finanziario, le imprese investono tempo e pongono notevole attenzione all’esattezza di ciò che comunicano all’ambiente esterno. Manipolazione retorica. I manager possono celare i risultati negativi dietro a meccanismi retorici come l’utilizzo di pronomi o di voce passiva. Questa strategia attiene non tanto a cosa, ma a come viene comunicata l’informazione attraverso un linguaggio persuasivo. Nel suo studio Henry (2008) ha svolto un’analisi retorica sul genere dei comunicati stampa degli earnings, allo scopo di valutare l’impatto del tono e di altri attributi linguistici sugli azionisti. La sua indagine esplora le relazioni tra le reazioni della borsa e alcune misure quantitative dello stile linguistico sviluppate attraverso un’analisi di contenuto di un corpo di comunicati. I risultati dimostrano come l’impatto del tono sulle reazioni del mercato sia coerente con la prospect theory che sostiene che il presentare positivamente la performance finanziaria dell’impresa, porta gli azionisti a pensare ai risultati in termini di incremento dei punti di riferimento. Manipolazione tematica. L’impresa tenta di nascondere le notizie negative o non riportandole o non attribuendo loro la stessa attenzione di quelle positive. Questo effetto viene chiamato “Principio di Pollyanna” (un personaggio ricordato per il suo eterno ottimismo) e si manifesta nella prevalenza di parole/argomenti positivi, piuttosto che di quelli negativi, allo scopo di far percepire l’organizzazione nel modo più favorevole possibile. Manipolazione visuale e strutturale. Alcune informazioni all’interno dei documenti aziendali possono essere enfatizzate rispetto alle altre. Quattro sono i modi per farlo: ripetere un elemento più di una volta (ripetizione), enfatizzare un’informazione attraverso un aggettivo qualificativo (rinforzo), evidenziare un elemento attraverso alcuni espedienti (tipo di scrittura e dimensione diverse, grassetto, ecc.), ordinare o localizzare l’informazione in un punto specifico al fine di concentrare o distrarre l’attenzione del lettore. Confronti tra performance. 48 L’organizzazione può introdurre distorsioni anche attraverso le informazioni numeriche, scegliendo di comparare la propria performance a quella di altre imprese che ne favoriscano un’immagine favorevole. Due sono i tipi di comparazioni più comuni: scegliere l’earning number precedente più basso al fine di riportare il maggiore incremento possibile da un anno all’altro degli earnings oppure raffrontare indicatori di performance non compatibili l’uno con l’altro. Scelta degli earning numbers. Il management può agire sulla disclosure numerica, selezionando specifici earning numbers ed omettendone altri. L’utilizzo dei proforma numbers (cioè quelli alternativi ai principi contabili) rappresenta un modo per alterare la percezione della redditività dell’impresa. Performance attribution. L’organizzazione attribuisce i risultati positivi a fattori interni (“diritti”) mentre attribuisce quelli negativi a fattori esterni (“scuse”). 49 Fig. 7: Strategie di Managerial Impression Management nei documenti narrativi aziendali, MerklDavies e Brennan (2007). 50 CAPITOLO 2 2.1 Introduzione all’analisi empirica Le imprese si affidano sempre di più alla comunicazione volontaria e, in particolare, a quella socio-ambientale per soddisfare la richiesta di maggiore trasparenza e responsabilità da parte degli stakeholder (Rupley, Brown e Marshall, 2012). Le azioni dell’organizzazione devono essere percepite coerenti e appropriate ai sistemi normativi della società, affinché la legittimità sia pienamente riconosciuta; tuttavia tale legittimità organizzativa è compromessa ogni qual volta si verifichi una discrepanza tra i valori della società e la condotta dell’impresa (Haniffa e Cooke, 2005). Poiché l’ambiente esterno è in continua evoluzione, le imprese devono costantemente adattare il proprio comportamento alle mutevoli norme sociali e, di conseguenza, la legittimità organizzativa diviene risorsa fondamentale alla sopravvivenza dell’impresa stessa (Michelon e Parbonetti, 2012). Il management può agire concretamente per favorire il processo di legittimazione, attraverso alcune strategie tra le quali: informare gli stakeholder sui miglioramenti della performance, tentare di modificare la percezione degli eventi, distogliere l’attenzione su una particolare questione oppure modificare l’aspettativa riguardo i risultati di una specifica performance. La manipolazione della comunicazione è uno strumento efficace sia come strumento difensivo per riparare ad una percepita perdita di legittimità, sia come strumento proattivo per alterare volontariamente la percezione degli stakeholder riguardo a una specifico avvenimento (Haniffa e Cooke, 2005). Le politiche di rendicontazione socio-ambientale si inseriscono nel contesto più ampio della comunicazione dell’impresa con i suoi stakeholder e aiutano a rispondere alle diverse aspettative della società riguardo questioni sensibili come l’influenza sulla vita sociale e l’impatto ambientale delle attività aziendali. La maggior parte della comunicazione socio-ambientale è di natura volontaria, pertanto le decisioni finali sul se, quanto e cosa divulgare spettano al top management. I meccanismi di corporate governance e in particolare il Consiglio di Amministrazione, svolgono l’importante funzione di controllo sull’operato dei manager e permettono di salvaguardare gli interessi degli stakeholder, accrescendo la trasparenza (Rupley, Brown e Marshall, 2012). Considerare le esigenze degli stakeholder nelle decisioni 51 aziendali è fondamentale per l’organizzazione e il Consiglio di Amministrazione è chiamato a interpretare e rappresentare le aspettative etiche, sociali, ambientali ed economiche degli interlocutori esterni all’impresa. I board agiscono infatti come spartiacque tra l’impresa e l’ambiente e sono in grado di promuovere la legittimità sviluppando proficue relazioni con gli stakeholder stessi (Michelon e Parbonetti, 2012). Le politiche di rendicontazione socioambientale vengono dunque influenzate dalle caratteristiche, dalla composizione, dalla struttura e dalla leadership del Consiglio di Amministrazione e la qualità e la forza del board possono essere buoni indicatori della qualità della comunicazione dell’impresa. Il consiglio di amministrazione, in quanto organo di governo dell’impresa, è responsabile della salvaguardia degli interessi dei diversi stakeholder e a tal fine può far uso, tra gli altri strumenti, della diffusione di informazioni per ridurre l’asimmetria informativa nel tentativo di prevenire eventuali comportamenti opportunistici del management atti all’alterazione della percezione dell’immagine pubblica dell’impresa (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012). La rendicontazione socio-ambientale può essere utilizzata dai manager come strumento di Impression Management pregiudicandone volontariamente o l’ammontare delle informazioni (quantità), o la gamma degli argomenti (contenuto tematico), o il linguaggio e il tono verbale (dispositivi retorici). Gli studi precedenti si sono focalizzati per lo più sui primi due aspetti, tuttavia l’utilizzo del linguaggio e la scelta del tono verbale sono altrettanto importanti nello studio delle pratiche di Impression Management nella comunicazione socioambientale delle imprese, in quanto contribuiscono a trasferire un sentimento al destinatario che va oltre al significato letterario delle parole e al loro contenuto semantico (Cho, Roberts e Patten, 2010). Il tono verbale rappresenta dunque una strategia di Impression Management quando si fa uso di un linguaggio positivo per trasmettere un’immagine favorevole della performance dell’impresa. (Garcia Osma e Guillamon-Saorin, 2011). Gli studi precedenti sul tono verbale si sono concentrati maggiormente sulla relazione con la performance aziendale (Clathworthy e Jones, 2003) e pochi ne hanno indagato il rapporto con altre variabili di rilievo come lo può essere la corporate governance. Nel loro studio Garcia Osma e Guillamon-Saorin (2011) hanno analizzato l’associazione tra i meccanismi di corporate governance e la potenziale manipolazione della comunicazione aziendale, verificando che una governance forte riduce l’incidenza delle pratiche di Impression Management sia da un punto di vista quantitativo che da un punto di vista qualitativo. I manager forniscono informazioni più ottimistiche quando le notizie sono favorevoli o quando si aspettano buoni risultati nel periodo subito successivo e, le imprese con una forte corporate governance, tendono a includere più informazioni negative nei propri comunicati stampa fornendo una 52 comunicazione meno pregiudicata agli interlocutori esterni (Garcia Osma e GuillamonSaorin, 2011). Nello specifico ambito della rendicontazione socio-ambientale anche Michelon e Parbonetti (2012) hanno indagato l’impatto della corporate governance sulla comunicazione sostenibile, in particolare soffermandosi su determinate variabili di governance riguardanti la composizione, la struttura e la leadership del Consiglio di Amministrazione e dimostrando che la corporate governance può orientare l’eterogeneità della comunicazione socioambientale fornita dalle organizzazioni. Le caratteristiche di ciascun amministratore sono dunque rilevanti nel processo che porta alla divulgazione delle informazioni aziendali, tanto che il board nel suo insieme e grazie al suo ruolo, può contrastare le eventuali pratiche di Impression Management opportunisticamente messe in atto dal management. Diventa dunque interessante approfondire la natura della relazione tra il Consiglio di Amministrazione e le potenziali pratiche di Impression Management sulla rendicontazione socio-ambientale, poiché quest’ultima assume oggi un’importanza strategica per la sopravvivenza e la legittimazione dell’impresa stessa. In particolare si cercherà di capire se esiste una relazione tra l’utilizzo del tono verbale come strategia di Impression Management e il ruolo del Consiglio di Amministrazione come meccanismo di governo dell’impresa. 2.2 Sviluppo delle ipotesi La maggior parte degli studi sul Consiglio di Amministrazione si incentra su i due ruoli specifici di monitoraggio e di acquisizione delle risorse del Consiglio stesso. La teoria predominante è quella dell’agenzia che sostiene che una della principali attività degli amministratori sia quella di monitorare la condotta dei manager per conto degli azionisti; la teoria della dipendenza dalle risorse, invece, indaga il ruolo del board come fornitore di risorse e come collegamento indispensabile con l’ambiente esterno. I sostenitori del ruolo del monitoraggio si sono concentrati più sui sistemi di incentivazione piuttosto che sull’effettiva abilità di controllo degli amministratori (board capital), mentre quelli del ruolo di acquisizione delle risorse non hanno incluso una riflessione adeguata sugli incentivi, approfondendo solamente il tema del board capital. Tuttavia, nella pratica, il Consiglio di Amministrazione ricopre entrambi questi ruoli contemporaneamente perciò risulta importante integrare le due prospettive (Hillman e Dalziel, 2003). I ruoli di monitoraggio e acquisizione delle risorse del Consiglio di Amministrazione, possono influenzare concretamente il ricorso alle pratiche di Impression Management che 53 l’impresa può mettere in atto per produrre un’immagine favorevole dei risultati aziendali o per ristabilire la legittimità temporaneamente perduta. Tra le diverse strategie di Impression Management alle quali possono ricorrere i manager, in questa analisi si vuole approfondire la manipolazione del linguaggio e in particolare il tono della comunicazione socio-ambientale, la quale negli ultimi anni, data la sua rilevanza accanto ai dati quantitativi economico-finanziari, risulta essere spesso veicolo di Impression Management. Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) si indagheranno due specifici aspetti del tono del linguaggio: l’ottimismo e la certezza. La rendicontazione socio-ambientale può essere manipolata esagerando il ricorso a parole con accezione positiva, facendo risultare così la comunicazione eccessivamente ottimista. L’ottimismo viene definito dal software per l’analisi di contenuto DICTION come l’utilizzo di un linguaggio che approvi una persona, un gruppo, un concetto o un evento o che ne evidenzi il valore positivo. Alternativamente il linguaggio della rendicontazione socioambientale può risultare contorto, incerto e debole per mascherare o offuscare le eventuali cattive notizie e l’attribuzione interna di responsabilità. La certezza si traduce nell’utilizzo di un linguaggio che indichi risolutezza, inflessibilità, completezza e una tendenza a parlare ex cathedra (con un tono autorevole, dogmatico, categorico, che non ammette obiezioni): bassi valori di questa variabile possono nascondere tentativi di Impression Management (Short e Palmer, 2007; Cho, Roberts e Patten, 2010). Con la seguente analisi empirica, s’intende verificare se, sia nell’ambito della prospettiva del ruolo di monitoraggio del board che in quella dell’acquisizione delle risorse, le variabili di corporate governance influenzano attivamente il tono della comunicazione ambientale delle imprese. La teoria alla base della funzione di monitoraggio è quella dell’agenzia: secondo tale teoria il management (agente), grazie al potere e alla libertà di cui dispone, è incentivato a massimizzare la propria utilità, perseguendo obiettivi in contrasto a quelli della proprietà (principale). La separazione tra proprietà e controllo porta dunque allo sviluppo di asimmetrie informative e a potenziali conflitti di interesse tra il management e gli azionisti. All’interno di questo contesto il Consiglio di Amministrazione riveste il critico ruolo del monitoraggio e dell’incentivazione dei manager affinché gli interessi degli azionisti siano egualmente rispettati (Eisenhardt, 1989; Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). Le asimmetrie informative che si sviluppano nel rapporto tra agente e principale possono essere in parte mitigate dalla diffusione delle informazioni da parte dell’impresa: in condizioni di razionalità limitata, dove le informazioni non sono interamente condivise tra i soggetti, la rendicontazione e la corporate governance agiscono come meccanismi di responsabilità che incrementano la 54 trasparenza tra le parti (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Una delle possibili manifestazioni dei problemi di agenzia è l’Impression Management: i manager, infatti, ricorrono alla flessibilità tipica della comunicazione volontaria per manipolarne la percezione (Gracia-Osma e Guillamon-Saorin, 2011). L’Impression Management secondo la prospettiva della teoria dell’agenzia, rappresenta dunque il comportamento opportunistico dei manager derivante dall’asimmetria informativa con gli azionisti: attraverso l’alterazione della reportistica aziendale si cerca di dare una rappresentazione favorevole della performance economicofinanziaria dell’impresa enfatizzando i risultati positivi e offuscando quelli negativi. (Brennan e Merkl-Davies, 2013). A seconda dell’attività di monitoraggio esercitata dal Consiglio di Amministrazione sul management ci si aspetta un diverso ricorso alla manipolazione del tono della comunicazione ambientale dell’impresa, pertanto s’intende verificare le seguenti ipotesi: (Ipotesi 1a) esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di ottimismo risultante nella comunicazione ambientale delle imprese (Ipotesi 1b) esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di certezza risultante nella comunicazione ambientale delle imprese La seconda funzione del Consiglio di Amministrazione si riferisce all’abilità degli amministratori di convogliare risorse all’interno dell’impresa e si riconduce alla prospettiva della dipendenza dalle risorse teorizzata nel 1978 da Pfeffer e Salancik. Secondo i due autori alla nomina di membro del board di un individuo deve corrispondere un supporto totale all’impresa e un completo coinvolgimento nell’affrontare e risolvere eventuali problematiche e criticità. Il Consiglio di Amministrazione dovrebbe dunque essere in grado di fornire quattro tipi di benefici all’impresa: (1) offrire consulenze e pareri sull’attività aziendale, (2) conferire legittimità, (3) creare un canale di comunicazione con l’ambiente esterno, (4) garantire un accesso preferenziale a specifiche risorse. Il board rappresenta il confine chiave tra l’impresa e l’ambiente esterno: gli amministratori forniscono informazioni tempestive ai dirigenti e grazie al loro riconosciuto prestigio nella società sono in grado di estrarre risorse utili per la sopravvivenza dell’organizzazione (Zahra e Pearce, 1989). Attraverso gli amministratori che fungono da collegamento tra l’organizzazione e l’ambiente, l’impresa può quindi ridurre l’incertezza e la dipendenza dalle risorse esterne e includendo nel consiglio personalità specifiche è in grado di accedere a informazioni rilevanti, accrescere la credibilità e la reputazione dell’organizzazione e, di conseguenza, creare o conservare la legittimità. Accanto 55 ai benefici della riduzione dell’incertezza e alla maggiore facilità di acquisizione delle risorse, avere all’interno del board amministratori indipendenti, può portare anche a una riduzione dei costi di transazione connessi alle diverse interdipendenze che l’impresa sviluppa con le istituzioni dell’ambiente esterno: attraverso le maggiori informazioni sulle offerte contrattuali o grazie alla conoscenza delle giuste figure con le quali relazionarsi, è possibile ottenere un vantaggio di costo sui competitor (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). Il legame che gli amministratori sviluppano con gli interlocutori esterni all’impresa si traduce in disponibilità di risorse vitali al buon funzionamento dell’organizzazione e la reputazione che i membri del board hanno all’interno della società conferisce legittimità alle azioni intraprese dall’organizzazione (Michelon e Parbonetti, 2012). La presenza del board come garanzia di legittimità, dovrebbe dunque limitare il ricorso da parte del management a tecniche di manipolazione delle informazioni al fine di ripristinare l’eventuale gap di conformità tra i principi della società e le azioni dell’impresa. Secondo la prospettiva della dipendenza dalle risorse, l’Impression Management può dunque emergere qualora il management si trovi ad affrontare situazioni nelle quali la legittimità dell’impresa è messa in forte discussione e il board capital non è sufficiente a ripristinare la situazione di equilibrio. In particolare ci si aspetta che il prestigio e la valenza sociale del board influisca sul maggiore o minore ricorso alla manipolazione del tono della comunicazione ambientale dell’impresa per il ripristino della legittimità. S’intende dunque verificare le seguenti ipotesi: (Ipotesi 2a) esiste una relazione tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore di ottimismo risultante nella comunicazione ambientale delle imprese (Ipotesi 2b) esiste una relazione tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore di certezza risultante nella comunicazione ambientale delle imprese 2.3 Selezione del campione Il seguente studio esamina la comunicazione ambientale, dall’anno 2008 all’anno 2010, di 107 società quotate americane appartenenti al settore Oil & Gas. Le compagnie petrolifere appartengono ad un settore controverso al quale è rivolta una maggiore attenzione circa le tematiche socio-ambientali. A causa delle conseguenze del tipo di attività svolta la legittimità di queste imprese è spesso messa in discussione dall’opinione pubblica. L’impatto ambientale, la violazione delle norme di sicurezza sul lavoro e gli incidenti legati alle fuoriuscite di petrolio in mare (tra questi si ricorda in particolare l’incidente di Exxon Valdez 56 del 1989 e il più recente di BP nel Golfo del Messico del 2010) hanno innescato nel tempo proteste pubbliche e l’apertura di numerosi contenziosi. In risposta a tale pubblicità negativa e all’accrescimento della sensibilità degli stakeholder riguardo i temi etici, sociali e ambientali, le imprese del settore Oil & Gas ricorrono sempre più spesso alla rendicontazione socio-ambientale e alle pratiche di Impression Management come mezzo per contrastare le opinioni negative, per costruire capitale reputazionale e conseguire così la legittimità necessaria alla prosperità di lungo termine (Du e Vieira, 2012; Summerhays e De Villiers, 2012; Rupley, Brown e Marshall, 2012). Analizzare la comunicazione ambientale delle imprese operanti in questo settore risulta, quindi, particolarmente interessante allo scopo di verificare le ipotesi oggetto di questo lavoro. A partire dalla popolazione delle società quotate mondiali dal 2008 al 2010 sono state selezionate, su base geografica, solo quelle quotate negli Stati Uniti, per un totale di 35.433 imprese. Si è scelto di concentrarsi sulle imprese americane per la maggiore disponibilità della documentazione aziendale, nonché per la maggiore uniformità della reportistica a livello nazionale rispetto ai Paesi dell’Unione Europa. Sono state poi individuate le sole società quotate appartenenti al settore Oil & Gas, restringendole a quelle con codice di riferimento 2DIGIT SIC code: 13 (Oil & Gas Extraction), 29 (Petroleum and Coal products) e 49 (Electric, Gas and Sanitary Services). Delle 1904 società risultanti sono state infine selezionate solo quelle con la diponibilità dei documenti 10-k e Def-14A per gli anni 2008, 2009 e 2010, necessari all’indagine empirica, per un totale di 321 imprese (Tab. 1). Standard Industry Classification Code (SIC) Totale Anno Fiscale Totale 2008 2009 2010 1311 58 58 58 174 1381 8 8 8 24 1382 3 3 3 9 1389 8 8 8 24 2911 11 11 11 33 4922 2 2 2 6 4923 7 7 7 21 4924 10 10 10 30 107 107 107 321 Tab. 1: Composizione del campione per codice SIC nei tre anni di riferimento (2008-2010) 57 2.4 Metodologia e misurazione delle variabili Una volta definito il campione si è proceduto alla raccolta dei dati per ciascuna società, sia per quanto concerne la reportistica socio-ambientale, sia per le caratteristiche di corporate governance nei tre anni di indagine (2008-2010). La comunicazione ambientale analizzata in questo lavoro comprende la sezione 1 del form 10k e tutti i comunicati stampa (press releases) a carattere ambientale. Il documento form 10-k è un report annuale, suddiviso in sezioni, richiesto dalla US Securities and Exchange Commission (SEC) nel quale vengono riassunte le informazioni sulla performance aziendale. Gli aspetti ambientali riguardanti le attività della società vengono approfonditi rispettivamente nelle sezioni 1 (Business), 3 (Legal Proceedings) e 7 (Management's Discussion and Analysis). Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) si è scelto di concentrare l’attenzione solo sulla sezione 1. La sezione 3 è esclusa in quanto contiene informazioni circa le questioni legali ambientali in corso o previste e le relative indagini: Nelson e Pritchard (Cho, Roberts e Patten, 2010, p. 435) nel 2008 hanno dimostrato come le imprese con un più alto rischio di contenzioso tendano a utilizzare un linguaggio precauzionale per ridurre il costo associato alle controversie legali, perciò si vuole evitare che il linguaggio specifico di questo contesto porti a risultati fuorvianti nello studio del tono della comunicazione ambientale. La sezione 7 è invece esclusa in quanto riassume informazioni già presenti nelle sezioni 1 e 3. I report annuali, come il form 10-k, rappresentano una fonte primaria di informazioni per gli stakeholder e permettono di raggiungere diversi pubblici rilevanti. Per questo motivo i manager possono approfittare della credibilità associata a questi mezzi di comunicazione per cercare di alterare la percezione dei pubblici riguardo l’attività dell’impresa (Summerhays e De Villiers, 2012). I form 10-k per ciascuna società e per i tre anni di indagine sono stati reperiti nel database EDGAR, una risorsa a disposizione nel sito web SEC (www.sec.gov/edgar/searchedgar/companysearch.htlm). Accanto ai report annuali sono stati raccolti tutti i comunicati stampa a contenuto ambientale delle diverse società, diffusi nell’apposita sezione dei siti aziendali. I criteri di selezione dei comunicati sono riportati in tabella 2. Questo mezzo di comunicazione conferisce al management una maggiore flessibilità di breve termine rispetto ai più rigidi e strutturati report annuali: la possibilità di utilizzare un linguaggio più espressivo rappresenta per i manager una maggiore 58 opportunità di ricorrere all’Impression Management (Garcia Osma e Guillamon-Saorin, 2011). Criteri di raccolta comunicati stampa (press releases - PR) Argomenti PR inclusi Programmi di efficienza energetica e di riduzione dell’impatto ambientale; incidenti ambientali collegati all'operatività aziendale; sistemi di contenimento per la fuoriuscita di petrolio in mare; hydraulic fracturing (tecnica con impatti ambientali); certificazione LEED; permessi ambientali; installazione di piattaforme di penetrazione in mare; dichiarazioni di impatto ambientale (EIS) per una certa area; accordi con il dipartimento ambientale (EPA); permesso di qualità dell'aria; contaminazioni dell'acqua; cambiamenti climatici; riduzione dei gas serra (composte di CO2 e metano) nell'ambiente; riduzione dei rifiuti; regolazioni ambientali; misure per garantire l'integrità delle condutture; ricerche con impatto ambientale; programmi per la protezione della biodiversità; altri progetti ambientali (es. Enhanced Oil Recovery); politiche di tutela dell’ambiente; attività di perforazione (solo se rilevanti e non puramente di carattere tecnico-produttivo); espansione dell'acreaggio e/o acquisizioni di posizioni in specifiche aree petrolifere (Bakken play, EagleFord play, Marcellus Shale). Argomenti PR non inclusi Acquisizioni di raffinerie; risultati trimestrali; annuncio utili e conference call; aggiornamenti operativi; proved e unproved reserves; completamento di transazioni tra aziende; partecipazione a conferenze energetiche (solo annuncio luogo/data); offerta di stock comune. Tab. 2: Criteri di raccolta dei comunicati stampa a contenuto ambientale I dati relativi alle caratteristiche di corporate governance delle 107 società appartenenti al campione sono stati invece estratti manualmente dal form Def-14A (anche detto proxy statement), un documento richiesto dalla US Securities and Exchange Commission (SEC) contenente tutte le informazioni necessarie agli azionisti per poter votare con consapevolezza all’incontro annuale. La dichiarazione include notizie sulle procedure di voto, le biografie degli amministratori nominati alle successive elezioni, i meccanismi di compensazione del board e della dirigenza e le informazioni sui comitati, con particolare attenzione al comitato di audit. I form Def-14A per ciascuna società, per i tre anni di indagine, sono stati reperiti anch’essi nel database EDGAR. In tabella 3 è riportata una descrizione riassuntiva delle variabili selezionate per l’indagine empirica. La misurazione di tali variabili è approfondita nei paragrafi successivi. VARIABILE DEFINIZIONE FONTE VARIABILI DIPENDENTI Form 10-k Opt_10k Cer_10k Valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k Valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k Form 10-k (database EDGAR) Form 10-k (database EDGAR) 59 Press releases (comunicati stampa) Valore medio di ottimismo calcolato da Opt_pr Sito web della società di riferimento DICTION sulle press releases Valore medio di certezza calcolato da Cer_pr Sito web della società di riferimento DICTION sulle press releases VARIABILI INDIPENDENTI Ruolo di Monitoraggio del Board Numero di amministratori indipendenti ind_dir Form def-14A (database EDGAR) nel board Variabile dummy che assume valore 1 se ceo_dua il Chief Executive Officer (CEO) è anche Form def-14A (database EDGAR) il Chairman del Board, valore 0 altrimenti Numero di membri del board Form def-14A (database EDGAR) b_size Numero di amministratori membri ac_fe dell’Audit Committee con competenze Form def-14A (database EDGAR) finanziarie Ruolo di acquisizione delle risorse del Board Numero di amministratori di sesso b_fem Form def-14A (database EDGAR) femminile nel board Percentuale di incarichi esterni alla p_ext Form def-14A (database EDGAR) società dei membri del board Percentuale di amministratori del board p_ci con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali Form def-14A (database EDGAR) dell’esercito, esponenti di organizzazioni non-profit) Variabile dummy che assume valore 1 se She è presente un Safety, Health and Form def-14A (database EDGAR) Environment Committee, valore 0 altrimenti VARIABILI DI CONTROLLO (Economico-finanziarie) Return on asset Database DATASTREAM ROA Logaritmo degli asset totali Database DATASTREAM size Rapporto tra immobili, impianti e tang Database DATASTREAM macchinari e gli asset totali Tab. 3: Descrizione delle variabili 2.4.1 Variabili dipendenti Il tono della comunicazione ambientale rappresenta la variabile dipendente oggetto di questo studio ed è determinata a partire dai form 10-k e dai comunicati stampa raccolti ed elaborati attraverso la metodologia dell’analisi di contenuto. L’analisi di contenuto è una tecnica che viene utilizzata per la codifica di un testo in sottogruppi o categorie sulla base di specifici criteri preselezionati (Michelon e Parbonetti, 2012) ed è stata ampiamente adottata negli studi precedenti sulla rendicontazione socio-ambientale delle imprese. Numerosi sono i benefici potenzialmente associati all’utilizzo di questo metodo: innanzitutto permette di cogliere le eventuali differenze individuali tra i comunicatori, inoltre viene considerato meno invadente 60 rispetto ad altre tecniche, come le interviste, e pertanto consente di ottenere informazioni altrimenti non disponibili. L’analisi di contenuto dei testi permette dunque di acquisire conoscenze fondamentali sul pensiero del management e, di conseguenza, sulle decisioni da esso sostenute (Short e Palmer, 2008). Tre sono i metodi generalmente utilizzati dagli studiosi per effettuare un’analisi di contenuto. Il primo consiste nell’allenare alcune persone, chiamate “codificatori”, a classificare i testi secondo specifiche categorie (human-scored system); con il secondo metodo (individual word count system) i testi vengono classificati in categorie semanticamente equivalenti e, attraverso il conteggio di frequenza, viene determinata l’importanza relativa di ciascuna categoria all’interno del testo; infine è possibile ricorrere a sistemi di intelligenza artificiale (artificial intelligence systems) che considerano sia la sintassi che il lessico. I testi dei documenti form 10-k e dei comunicati stampa raccolti sono stati processati tramite il software per l’analisi di contenuto DICTION 5.0, sviluppato dal ricercatore Hart. Questo programma permette di conciliare il conteggio della frequenza delle parole con la validità dei sistemi computerizzati che sono più veloci, più affidabili e meno costosi dei sistemi basati sulla codificazione umana. DICTION si focalizza sulla scelta delle parole e sul tono verbale e permette di personalizzare i dizionari di riferimento garantendo un’elevata flessibilità nello svolgimento delle analisi. Il software comprende 36 dizionari predefiniti, basati sulla teoria linguistica, che vengono utilizzati per l’analisi lessicale attraverso cinque variabili (master variables): certezza, ottimismo, realismo e comunanza. Il profilo normativo selezionato in questo lavoro è quello delle relazioni pubbliche aziendali (corporate public relations) che raccoglie le dichiarazioni pubbliche, gli interventi del C.E.O. e le mission delle maggiori società americane, appartenenti a diversi settori, dai primi degli anni ’60 a metà degli anni ’90. Tra le categorie della sezione Business, tali valori normativi risultano i più idonei a cogliere le caratteristiche del tono dei dati raccolti e forniscono il giusto contesto per la misurazione delle variabili dipendenti che si intende approfondire in questa sede, cioè l’ottimismo e la certezza (Cho, Roberts e Patten, 2010). L’ottimismo è definito da DICTION come l’utilizzo di un linguaggio che approvi una persona, un gruppo, un concetto o un evento o che ne evidenzi il valore positivo. La formula che viene utilizzata dal programma per il calcolo del valore di ottimismo è la seguente: Ottimismo = [Approvazione + Compiacenza + Ispirazione] – [Biasimo + Disagio + Diniego], 61 dove Approvazione: l’affermazione di un individuo, gruppo o entità estratta. Sono inclusi gli aggettivi che esprimono importanti qualità sociali, fisiche, intellettuali, imprenditoriali e morali. Compiacenza: sono inclusi i termini associati a stati affettivi positivi, momenti di gioia o di successo e piacevoli diversivi. Ispirazione: virtù astratte rispettate universalmente. Sono inclusi i termini che indicano qualità morali, personali e socio-politiche particolarmente rilevanti. Biasimo: sono inclusi i termini che esprimono inadeguatezza sociale, gli aggettivi particolarmente negativi o denigratori e gli aggettivi che descrivono circostanze sfortunate o eventi improvvisi di natura avversa. Disagio: sono inclusi i termini che richiamano disastri e calamità naturali, azioni ostili, comportamenti umani inadeguati, nonché parole che rappresentano le più comuni paure e inattitudini degli individui. Diniego: sono inclusi le contrazioni verbali negative, le parole funzionali negative e quelle che identificano insiemi nulli. Il punteggio di certezza viene, invece, assegnato stimando il grado di risolutezza, inflessibilità, completezza e della tendenza a parlare ex cathedra (con un tono autorevole, dogmatico, categorico, che non ammette obiezioni) del linguaggio di un testo. La formula che viene utilizzata dal programma per il calcolo del valore di certezza è la seguente: Certezza = [Tenacia + Livellamento + Collettività + Perseveranza] - [Termini numerici + Ambivalenza + Autoriferimento + Varietà], dove Tenacia: sono inclusi tutti gli utilizzi del verbo essere, tre forme di verbi definitivi e le loro varianti e contrazioni. Questi verbi connotano confidenza e senso di totalità. Livellamento: sono inclusi tutti quei termini che appiattiscono le differenze tra gli individui e accrescono il senso di completezza e di certezza, come le parole totalizzanti, gli avverbi di permanenza e gli aggettivi a carattere risoluto. 62 Collettività: sono inclusi i nomi che connotano pluralità e riducono il senso di specificità come i termini che richiamano i gruppi sociali, i gruppi di lavoro e le entità geografiche. Perseveranza: questa misura identifica le parole che ricorrono tre o più volte nel testo e dà un’indicazione della preferenza alla ripetizione di parole ordinarie e limitate. Termini numerici: sono inclusi tutti i numeri interi ricorrenti nel testo e i più comuni termini indicanti i numeri in lettere, i segni delle operazioni numeriche e altri argomenti quantitativi. I termini numerici accrescono la specificità di un’affermazione. Ambivalenza: sono incluse quelle parole che esprimono esitazione o incertezza e che implicano l’inabilità o la riluttanza ad assumere la responsabilità di ciò che viene dichiarato nel testo. Autoriferimento: sono inclusi tutti i riferimenti in prima persona. L’autoriferimento è interpretato come un atto di indicizzazione. Varietà: è il rapporto tra il numero di parole diverse in un brano e il totale delle parole del brano stesso. Un alto valore di questa misura indica la preferenza per affermazioni precise. I testi dei form 10-k e dei comunicati stampa raccolti sono stati dunque convertiti in file .txt per essere processati con DICTION; l’output fornito dal programma è stato poi inserito all’interno di un foglio di lavoro Excel riepilogativo. I valori di ottimismo e di certezza sono stati poi confrontati con quelli del normal range definiti dal software, restituendo una variabile dummy dal valore +1 se il valore di ottimismo o certezza calcolato da DICTION è maggiore del normal range; -1 nel caso in cui il valore è minore del normal range; 0 se il valore calcolato è all’interno del normal range. Le variabili dipendenti di ottimismo (opt_10k e opt_pr) e di certezza (cer_10k e cer_pr) sono considerate in valore assoluto (come da output di DICTION). 2.4.2 Variabili indipendenti Le variabili indipendenti che sono state selezionate come proxy per la misurazione dei due ruoli di monitoraggio e di acquisizione delle risorse del Consiglio di Amministrazione sono individuate sulla base della letteratura precedente in tema di corporate governance e 63 comunicazione socio-ambientale. Le informazioni necessarie sono contenute nel form def 14A (o proxy statement), un documento che include notizie sulle procedure di voto, le biografie degli amministratori nominati alle successive elezioni, i meccanismi di compensazione del board e della dirigenza e alcune note sui comitati aziendali. Il ruolo di monitoraggio del board è ampiamente discusso in letteratura e molte sono le variabili che ben si apprestano a coglierne la rilevanza. In questo lavoro si è scelto di concentrarsi in particolare su: il numero di amministratori indipendenti (ind_dir) e la dimensione del Consiglio di Amministrazione (b_size), per cogliere l’impatto della composizione del board sul tono della comunicazione ambientale; la CEO duality (ceo_dua), per cogliere l’influenza della board leadership sul tono della comunicazione ambientale; il numero di amministratori esperti di finanza che fanno parte dell’audit committee (ac_fe), per cogliere la relazione tra il tono della comunicazione ambientale e uno dei comitati più rilevanti per il controllo all’interno dell’impresa. L’indipendenza del Consiglio di Amministrazione è considerata un meccanismo fondamentale per il controllo dell’attività dei manager e per assicurare il rispetto degli interessi degli azionisti dell’impresa (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012). Essa si traduce molto spesso nella presenza di amministratori non operativi o esterni, ai quali è riconosciuta una maggiore obiettività nella valutazione dell’operato del management (Prado Lorenzo e Garcia-Sanchez, 2010). Un amministratore, infatti, è considerato indipendente quando non detiene una quota significativa della proprietà della società e non ricopre alcun tipo di posizione dirigenziale o operativa al suo interno (Buniamin et al., 2008). Gli studi precedenti hanno dimostrato che maggiore è la concentrazione di amministratori indipendenti all’interno del board, maggiore è il livello di monitoraggio espresso nei confronti dei manager. Ciò può essere dovuto al fatto che il Chief Executive Officer (CEO) non detiene un forte potere nei confronti di questo tipo di amministratori e, grazie anche alla mancanza di interessi materiali diretti, il ruolo di controllo è favorito. In relazione all’ambito della comunicazione socio-ambientale vi sono prove che suggeriscono una maggiore sensibilità alla responsabilità sociale da parte degli amministratori indipendenti e un conseguente impatto sulla qualità e la quantità delle informazioni socio-ambientali divulgate. Alcuni studi sulla rendicontazione volontaria hanno evidenziato un’associazione positiva tra il numero di amministratori indipendenti e la disclosure volontaria (De Villiers, Naiker e Van Staden, 2011; Htay, 2012; Akhtaruddin et al., 2009; Rao, Tilt e Lester, 2012): il minore allineamento con il management permette infatti di forzare la divulgazione delle informazioni di 64 responsabilità sociale che altrimenti non avrebbero risalto, miglioramento così la trasparenza all’interno del Consiglio (Rao, Tilt e Lester, 2012). Tuttavia altri risultati non hanno fornito una risposta chiara sulla natura della relazione tra il numero degli amministratori indipendenti e la disclosure. Alcune indagini non hanno infatti riportato risultati significativi (Ho e Wong, 2001; Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012; Prado Lorenzo e GarciaSanchez, 2010; Buniamin et al., 2008; Michelon e Parbonetti, 2012; Allegrini e Greco, 2013), mentre altre hanno rinvenuto una relazione di tipo negativo (Haniffa e Cooke, 2005; Cerbioni e Parbonetti, 2007). Seguendo il lavoro di Garcia-Osma e Guillamon-Saorin (2011) s’intende studiare se la presenza di amministratori indipendenti all’interno del Consiglio di amministrazione, come proxy del ruolo di monitoraggio del board stesso, ha un impatto sul ricorso alla manipolazione del tono della comunicazione ambientale come strumento di Impression Management. La variabile ind_dir misura dunque il numero di amministratori indipendenti all’interno del board ed è ricavata dalle informazioni contenute nel documento form def-14A disponibile nel database EDGAR. La seconda variabile selezionata come proxy per il ruolo di monitoraggio è la dimensione del Consiglio di Amministrazione (b_size), misurata come il numero di membri appartenenti al Consiglio stesso. Due sono i principali effetti della dimensione del board analizzati nella letteratura precedente: (1) i problemi di comunicazione e di coordinamento che si possono sviluppare all’interno del Consiglio; (2) l’abilità di controllo sul management e i conseguenti problemi di agenzia derivanti dalla separazione tra la gestione dell’impresa e l’effettivo monitoraggio (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Nei board formati da un più grande numero di amministratori, il beneficio della maggiore capacità di controllo e delle maggiori esperienze apportate è controbilanciato dai problemi decisionali e di coordinamento che si possono manifestare all’interno del gruppo e che rendono l’attività di monitoraggio meno efficace. Inoltre, la mancata coesione tra i membri del Consiglio di Amministrazione riduce la possibilità di adottare misure coordinate nei confronti del CEO, il quale, forte della sua posizione predominante e del controllo ridotto, sarà incentivato ad adottare eventuali strategie di Impression Management. Molti studi si sono occupati della relazione tra la disclosure volontaria e la dimensione del board, con risultati talvolta contrastanti: una relazione positiva è stata individuata nei lavori di Buniamin et al. (2008), Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez (2012), Rao, Tilt e Lester (2012), Akhtaruddin et al. (2009), Allegrini e Greco (2013); mentre una relazione negativa è emersa dagli studi di Htay et al. (2012), Cerbioni e Parbonetti (2007). In questo studio si ritiene che la dimensione del Consiglio di 65 Amministrazione, come espressione del ruolo di monitoraggio del Consiglio stesso, posso avere un impatto sulla manipolazione del tono della comunicazione ambientale. La terza variabile presa in considerazione per il ruolo di monitoraggio del board è la CEO duality (ceo_dua), che rappresenta quella particolare situazione in cui il CEO ricopre anche il ruolo di Presidente del Consiglio di Amministrazione. La combinazione dei due ruoli nella stessa figura rappresenta un conflitto di interessi in quanto il potere decisionale sulla gestione e quello sul controllo sono esercitati dalla stessa persona e, dunque, il giusto monitoraggio e l’indipendenza del Consiglio non sono garantiti. Inoltre, secondo la prospettiva della teoria dell’agenzia, grazie al potere di cui dispone, il CEO potrebbe implementare strategie che favoriscono il suo interesse, a discapito di quello della proprietà e degli stakeholder in generale. Dati i seguenti presupposti si ritiene che la CEO duality abbia un impatto sul ricorso alle strategie di Impression Management e, in particolare, sul tono della comunicazione ambientale. Anche in questo caso gli studi precedenti non sono concordi sulla definizione della relazione che lega questo aspetto alla disclosure volontaria: un legame positivo è individuato nei lavori di Prado Lorenzo e Garcia-Sanchez (2010) ; mentre un legame negativo è riscontrato negli studi di Cerbioni e Parbonetti (2007) e Allegrini e Greco (2013); non è evidenziata alcuna relazione significativa negli studi di Michelon e Parbonetti (2012), Ho e Wong (2001), De Villiers, Naiker e Van Staden (2011), Buniamin et al. (2008). La variabile CEO duality è misurata come variabile dummy e assume valore 1 se il CEO è anche il Presidente del Consiglio di Amministrazione, valore 0 se i due ruoli sono invece separati. La quarta ed ultima variabile individuata per misurare il ruolo di monitoraggio del Consiglio di Amministrazione è rappresentata dal numero di amministratori esperti di finanza che fanno parte nell’audit committee (ac_fe). Le competenze dei diversi amministratori sono state valutate sulla base della biografia contenuta nel documento form def-14A (vedi tabella 5). Secondo la teoria dell’agenzia la presenza del comitato di audit aiuta a diminuire i costi di agenzia e favorisce il controllo all’interno dell’impresa (Ho e Wong, 2001). La presenza di amministratori esperti di finanza all’interno del comitato può dunque migliorare la qualità delle informazioni finanziarie divulgate dalla società, nonché permettere una valutazione più accurata dell’operato del management (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Si ritiene pertanto che la presenza di amministratori con competenze finanziarie all’interno dell’audit committee possa avere un impatto sulla comunicazione ambientale e che il maggiore controllo conseguente possa incidere sul ricorso a tecniche di Impression Management, quale la manipolazione del tono verbale. Gli studi precedenti hanno prodotto risultati diversi nello studiare la relazione 66 tra le caratteristiche dell’audit committee e la disclosure: Ho e Wong (2001) hanno riscontrato una relazione positiva tra il livello della disclosure e la presenza dell’audit committee, mentre Akhtaruddin et al. (2009), invece, non hanno riscontrato alcuna relazione significativa. Oltre ad esercitare la funzione di controllo, il Consiglio di Amministrazione riveste anche il ruolo fondamentale di acquisire dall’esterno le risorse e le informazioni essenziali alla sopravvivenza dell’impresa. Le variabili individuate per misurare questo ruolo sono le seguenti: il numero di amministratori di sesso femminile all’interno del board (b_fem); la percentuale di incarichi esterni all’impresa degli amministratori, anche detta directors’ interlocking (p_ext); la percentuale di amministratori che hanno una particolare influenza nella comunità (p_ci); la presenza di un comitato di Safety, Health and Environment (she). La prima variabile individuata per misurare il ruolo di acquisizione delle risorse rappresenta il numero di membri di sesso femminile del Consiglio di Amministrazione (b_fem). La presenza delle donne all’interno del board sembra influenzare positivamente il comportamento dell’organizzazione e contribuisce ad accrescere la reputazione e la legittimità aziendale. Gli studi di Konrad (Fernandez-Feijoo, Romero e Ruiz, 2012, p. 33) hanno dimostrato che per avere un impatto all’interno del board, la presenza femminile deve essere di almeno tre donne: una sola donna nel gruppo sembra non essere messa nelle condizioni adeguate per esprimere con libertà la sua opinione. Fernandez-Feijoo, Romero e Ruiz (2012) hanno studiato l’influenza della presenza di almeno tre membri femminili nel board sul livello della disclosure volontaria, dimostrando un miglioramento della qualità della reportistica socioambientale prodotta dalla società. Inoltre le donne sembrano possedere una maggiore sensibilità verso le tematiche ambientali. Grazie a tale caratteristica le stesse, probabilmente, porteranno all’attenzione del board anche le questioni riguardanti l’ambiente, promuovendo il rispetto delle norme della società e accrescendo la legittimità dell’impresa. Per questo motivo si ritiene che la presenza delle donne nel Consiglio di Amministrazione possa avere un impatto sulle strategie di Impression Management, limitandone il ricorso. La seconda variabile selezionata per il ruolo di acquisizione delle risorse del board è il directors’ interlocking, misurato come la percentuale di incarichi esterni posseduta dai membri del Consiglio di Amministrazione (p_ext). La teoria della dipendenza dalle risorse suggerisce che gli amministratori che rivestono ruoli significativi in altre imprese o che hanno sviluppato un’esperienza di lungo termine in altri board, possiedono un capitale umano e sociale maggiore e dunque sono in grado di fornire all’organizzazione migliori consigli, 67 informazioni e risorse (Hillman e Dalziel, 2003). Si ritiene dunque che la presenza di amministratori con incarichi in diversi Consigli di Amministrazione, influenzi la disclosure ambientale: l’esperienza raccolta all’esterno dell’impresa si traduce in una maggiore attenzione alle politiche di rendicontazione, con un conseguente impatto sul tono della comunicazione ambientale, e in una segnalazione di reputazione che porta all’accrescimento della legittimità senza dover ricorrere ad eventuali manipolazioni per alterare la percezione degli stakeholder. Studi precedenti hanno dimostrato che esiste una relazione positiva tra la percentuale di amministratori con più di un incarico e il livello della disclosure volontaria (Rupley, Brown e Marshall, 2012). Molti degli studi precedenti sulla composizione del Consiglio di Amministrazione sono basati sulla distinzione classica, derivante dalla teoria dell’agenzia, tra amministratori insider e outsider. Questa distinzione è appropriata nello studio del ruolo di monitoraggio (che rimanda appunto alla teoria dell’agenzia), mentre non risulta adeguata per la comprensione del ruolo di acquisizione delle risorse (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). Poiché ciascun amministratore apporta diversi tipi di risorse e collegamenti con l’ambiente esterno all’interno del board, è bene approfondire la composizione del Consiglio con un maggior dettaglio. Dall’osservazione delle diverse caratteristiche dei membri del board in termini di capacità, competenze, informazioni e connessioni con l’esterno, è infatti possibile stimare il tipo di risorse che possono confluire all’interno dell’organizzazione. Seguendo la tassonomia identificata da Hillman, Cannella e Paetzold (2000) si è proceduto ad identificare, a partire dalla biografia contenuta nel documento def-14A, ciascun membro dell’organo amministrativo sulla base della tipologia di risorsa apportata distinguendo le seguenti categorie: Amministratori esperti nella guida delle imprese (Business Expert). Gli amministratori appartenenti a questa categoria hanno il compito di fornire all’organizzazione conoscenze e competenze sul processo decisionale e sulla formulazione delle strategie. La loro esperienza all’esterno della società in altri Consigli di Amministrazione permette di acquisire un punto di vista alternativo sulle questioni interne aziendali e, nello stesso tempo, di conferire legittimità all’impresa grazie al prestigio associato alla loro esperienza lavorativa (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000; Parbonetti, 2006). In tabella 4 è proposto un esempio delle informazioni biografiche riportate da un’impresa appartenente al campione e la corrispondente classificazione assegnata. 68 Amministratori esperti nella guida delle imprese (Business Expert) – Esempi Biografia dell’amministratore Codifica secondo la tassonomia di Hillman (2000) ABRAXAS PETROLEUM Ralph F. Cox […] has over 50 years of oil and gas industry experience, over 30 of which was with Atlantic Richfield Company (ARCO). He currently serves on the board of CH2M Hill Companies, as a trustee for Fidelity Mutual Funds, as a director of Validus International, World GTL Inc, E-T Energy Ltd., Impact Petroleum […] Esperto di business Tab. 4: Amministratori esperti nella guida delle imprese (Business Expert) - Esempi (Form def14A) Amministratori con competenze specifiche (Support Specialist). Gli amministratori di questa categoria non supportano direttamente il processo di formulazione della strategia in quanto non possiedono capacità manageriali, tuttavia forniscono conoscenze specialistiche in specifici ambiti (diritto, finanza, ingegneria) e sono determinanti nell’acquisire informazioni dall’ambiente esterno (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000; Parbonetti, 2006). In tabella 5. è proposto un esempio delle informazioni biografiche riportate da un’impresa appartenente al campione e la corrispondente classificazione assegnata. Amministratori con competenze specifiche (Support Specialist) – Esempi Biografia dell’amministratore Codifica secondo la tassonomia di Hillman (2000) CIMAREX ENERGY CORPORATION Paul D. Holleman was senior partner of Holme Roberts & Owen LLP, a Denver law firm, until 2000, when he retired. At Holme Roberts, he served as legal counsel to Key Production Company, Inc […] Avvocato o esperto di relazioni pubbliche EVOLUTION PETROLEUM CORPORATION William E. Dozier […] Since 2005, Mr. Dozier has been an independent oil and gas consultant […] He is a licensed petroleum engineer with a B.S. Degree in Petroleum Engineering from the University of Texas Ingegnere o tecnico di altro tipo OCCIDENTAL PETROLEUM CORPORATION John S. Chalsty […] has extensive experience and a distinguished career in the financial services and oil and gas industries. He has been a successful investment executive, having run one of America’s most highly regarded investment banking firms […] Esperto di finanza Tab. 5: Amministratori con competenze specifiche (Support Specialist) - Esempi (Form def-14A) 69 Amministratori influenti nella comunità (Community Influential). Gli amministratori di questa categoria forniscono conoscenze, esperienze e soprattutto legami fondamentali con i diversi gruppi rilevanti della comunità e con le altre organizzazioni presenti. Sono inclusi individui appartenenti al mondo della politica, dell’istruzione accademica, delle forze armate e delle associazioni non-profit. Gli amministratori influenti nella comunità forniscono una preziosa prospettiva non manageriale sulle scelte e sulle azioni messe in atto dall’impresa: grazie alla loro esperienza e alla loro influenza sulla comunità possono infatti aiutare ad evitare pericolosi conflitti con i gruppi di riferimento, garantendo la legittimità (Hillman, Cannella e Paetzold, 2000). In tabella 6 è proposto un esempio delle informazioni biografiche riportate da un’impresa appartenente al campione e la corrispondente classificazione assegnata. Amministratori influenti nella comunità (Community Influential) – Esempi Biografia dell’amministratore Codifica secondo la tassonomia di Hillman (2000) BILL BARRET CORPORATION Edmund P. Segner, III […] Mr. Segner currently is a professor in the practice of engineering management in the Department of Civil and Environmental Engineering at Rice University in Houston, Texas […] Accademico SOUTH JERSEY INDUSTRIES Ambassador William J. Hughes has been […] United States Ambassador to the Republic of Panama (1995 1998); Member, United States House of Representatives (1975 - 1995) […] Politico MARATHON OIL CORPORATION Charles F. Bolden, Jr. […] He was assigned Deputy Commanding General, I MEF, Marine Forces, Pacific in 1997. Mr. Bolden served as Commanding General, I MEF (FWD) for Operation Desert Thunder in Kuwait from February to June 1998. In July 1998, he was promoted to Major General serving as the Commanding General of the Third Marine Aircraft Wing […] Ufficiale dell’esercito VALERO ENERGY CORPORATION Dr. Susan Purcell […] served as Vice President of the Council of the Americas, a non-profit business organization of Fortune 500 companies with investments in Latin America, and of the Americas Society, a non-profit educational institution, both in New York City […] Esponente di organizzazioni non-profit Tab. 6: Amministratori influenti nella comunità (Community Influencial) - Esempi (Form def-14A) 70 In particolare, per cogliere l’effetto della diversità di competenze, capacità e background degli amministratori è stata selezionata come terza variabile per il ruolo di acquisizione delle risorse, la percentuale di amministratori con una particolare influenza nella comunità di riferimento (p_ci). Tali amministratori non forniscono tanto competenze di controllo sul management, quanto, piuttosto, apportano la propria esperienza e un punto di vista alternativo all’interno del board. È proprio questo punto di vista alternativo che permette all’impresa di sviluppare una maggiore conoscenza delle aspettative e delle esigenze degli stakeholder. L’influenza che questi amministratori sono in grado di esercitare sulla comunità è fondamentale nelle situazioni in cui una particolare azione dell’impresa contrasti con gli interessi di un particolare gruppo della società esterna. L’intervento o, talvolta, la sola presenza, di un membro di questo tipo all’interno del board, consente all’impresa di ripristinare l’eventuale perdita di legittimità o reputazione. Si ritiene dunque che la percentuale di amministratori influenti nella società abbia un impatto sulla disclosure, sia per la promozione delle politiche di rendicontazione socio-ambientale che per la segnalazione intrinseca di legittimità che conferiscono all’impresa. Di conseguenza ci si aspetta un impatto sul ricorso, da parte del management, a strategie di Impression Management, come la manipolazione del tono. Michelon e Parbonetti (2012) hanno individuato nel loro lavoro la presenza di una relazione positiva tra i community influentials e la rendicontazione socioambientale. La quarta ed ultima variabile indipendente selezionata come proxy per il ruolo di acquisizione delle risorse del board è la presenza di un comitato di Safety, Health and Environment all’interno del Consiglio di Amministrazione (she). In questo lavoro sono stati considerati come Safety, Health and Environment committee tutti quelli riconducibili alla sfera della Corporate Social Responsibility (CSR) in generale. Le definizioni più ricorrenti all’interno del campione sono le seguenti: Safety, Health and Environment committee, Safety and Environmental Affairs committee, Public Policy committee. L’istituzione di un comitato di questo tipo porta a pensare che il tema della CSR sia rilevante per l’impresa. La struttura del board e la sua organizzazione interna in comitati di diversa natura, influenza, infatti, il coinvolgimento degli amministratori e definisce la missione e la strategia aziendale. Un’organizzazione può dunque implementare diversi programmi o attività a livello del board per accrescere l’impegno nei confronti degli interessi sulle tematiche socio-ambientali degli stakeholder o come mezzo per ottenere legittimità (Michelon e Parbonetti, 2012). La funzione tipica del comitato di Safety, Health and Environment è quella di rivisitare le politiche e le 71 condotte dell’impresa in tema di aderenza alle norme etiche, sociali ed ambientali della società di riferimento e ha un ruolo attivo nella divulgazione delle informazioni socioambientali (Barnard, 2011). Si ritiene dunque che la sua presenza possa avere un impatto sulla disclosure volontaria e, in particolare, sulla manipolazione del tono. La variabile she è misurata come variabile dummy e assume valore 1 se è presente uno she committeee, valore 0 se non è presente. 2.4.3 Variabili di controllo Numerosi studi precedenti hanno evidenziato come alcuni fattori legati all’impresa (firmspecific) possano influenzare la misura e/o il contenuto tematico della rendicontazione ambientale fornita dalle imprese. Per verificare più attentamente se le differenze nel tono verbale dei documenti in esame sono associate a tali fattori, si è scelto di includere le seguenti variabili di controllo, sulla base della letteratura precedente: size, ROA e tang. I dati relativi a queste variabili sono stati raccolti nel database Datastream. La maggior parte degli studi sulla rendicontazione ambientale indica che questa è positivamente associata alla dimensione dell’impresa (size): le imprese più grandi, infatti, tendono a divulgare più informazioni. Ciò avviene in risposta alla richiesta di notizie da parte degli investitori e grazie all’inferiore costo medio di raccolta e diffusione dei dati stessi (Cerbioni e Parbonetti, 2007). Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) la variabile di controllo size è misurata come logaritmo degli asset totali. Pur non costantemente documentata, anche la redditività sembra essere significativamente associata alla disclosure ambientale: le imprese con profitti più alti sono incentivate a divulgare più informazioni per mettere in evidenza i propri risultati positivi agli occhi degli investitori. Seguendo il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010) la variabile di controllo per misurare la redditività è l’indice ROA (Return On Asset), che indica la redditività del capitale investito, cioè il rendimento di tutte le risorse impiegate nell’attività dell’impresa. La terza variabile di controllo selezionata (tang) è il rapporto tra l’attivo fisso (property, plant and equipment) e l’attivo totale (total asset). Secondo la letteratura precedente anche questa variabile può avere un impatto sulla disclosure ambientale, pertanto non includerla nell’analisi potrebbe generare un problema di variabili omesse. 72 2.5 Analisi empirica Nei due paragrafi successivi sono presentati i risultati dell’analisi empirica condotta sul campione selezionato. Nel paragrafo 2.5.1 sono riportate le principali statistiche descrittive e i coefficienti di correlazione di Pearson, mentre nel paragrafo 2.5.2 sono illustrati i risultati dell’analisi multivariata. 2.5.1 Analisi descrittive Le statistiche descrittive per le diverse variabili sono riportate in tabella 7. I valori medi di ottimismo e certezza calcolati sui form 10-k dal software Normal Range DICTION DICTION sono coerenti a quelli ottenuti da Cho, Roberts e ottimismo basso 48,21 alto 55,58 certezza 48,44 52,71 analizzato il tono dei form 10-k di un campione di 190 Profilo normativo: corporate public relations imprese americane ricavando un valore medio di ottimismo Patten (2010). Nel loro lavoro, infatti, gli studiosi hanno pari a 48,21 (Mediana: 48,58) e un valore medio di certezza pari a 42,78 (Mediana: 39.75). I punteggi sono dunque allineati a quelli riprodotti in tabella 7, dove l’ottimismo medio dei form 10-k risulta pari a 46,87 (Mediana: 47,27) e la certezza media risulta pari a 47,22 (Mediana: 48,77). Tali valori sono leggermente più bassi di quelli che individuano il normal range di DICTION: sia il valore medio (46,87) che il valore minimo (34.69) della variabile opt_10k si trovano al di sotto del valore più basso del normal range (48,21), mentre il valore massimo di opt_10k (51,60) è invece compreso entro il valore più alto dell’intervallo (55,58). Anche i valori della variabile cer_10k si discostano dai valori “normali” previsti da DICTION: mentre il punteggio medio di cer_10k (47,22) è appena inferiore al valore più basso del normal range (48,44), il suo valore minimo (10,57) risulta essere molto al di sotto di tale livello. Diversi dai valori di riferimento di Cho, Roberts e Patten e da quelli previsti da DICTION, sono invece i risultati medi di ottimismo (29,37) e di certezza (28,53) dei comunicati stampa (o press releases), con un minimo molto basso (opt_pr: 0.06; cer_pr: 0.43) ed un massimo abbastanza elevato (opt_pr: 52,65; cer_pr: 62,06). Ciò può essere dovuto al fatto che la media risente della presenza di dati estremi, quali, in questi caso, i valori minimi. L’elevata deviazione standard e le informazioni sui percentili (elevata differenza interquantile pari a 49,14 per opt_pr e 47,47 per cer_pr) indicano che la variabilità per le press releases è elevata. Tuttavia tali risultati vanno considerati con attenzione, in quanto riferiti al campione nella sua interezza e non al più contenuto 73 sottogruppo delle sole società che, di fatto, emettono le press releases. Il numero massimo di amministratori che compongono il Consiglio di Amministrazione delle imprese del campione è di 17 membri, mentre quello minimo è di 5, con un numero medio di membri di circa 9 (8,81). Di questi, in media, 7 sono indipendenti (7.15), ma è tuttavia possibile trovare Consigli con solo 3 amministratori indipendenti ed altri che ne contano 16. Considerando i valori medi ottenuti dal campione, il 78% dei membri del board risulta essere indipendente: ciò è compatibile con le linee guida suggerite dalla US Securities and Exchange Commission, che prevedono nel board delle società quotate una maggioranza di amministratori indipendenti. La ceo-duality si manifesta mediamente nel 60% delle osservazioni, ciò significa che in più della metà dei Consigli di Amministrazione analizzati, il ruolo del CEO e quello del presidente (Chairman of the Board) sono in capo alla stessa persona, limitando l’indipendenza del Consiglio stesso. La presenza di amministratori esperti in materia finanziaria nell’audit committee è abbastanza ridotta: in media nemmeno due (1,63) dei membri posseggono tali competenze specifiche (minimo 0, massimo 5 membri). Tuttavia l’avere almeno un amministratore esperto di finanza risulta in linea con le raccomandazioni generali della US Securities and Exchange Commission che prevedono l’esigenza di tale figura all’interno del comitato di audit. Molto limitata è anche la presenza di donne nel board: una sola società del campione (Williams Cos Inc) ha, all’interno del suo Consiglio, quattro donne, mentre nelle altre società la media raggiunge difficilmente l’unità (0,67). In media ogni membro del board ha più di un incarico all’esterno dell’impresa. Per quanto concerne la composizione del board, l’8% degli amministratori appartiene al mondo della politica, dell’istruzione accademica, delle forze armate e delle associazioni non-profit ed ha dunque un’influenza particolare sulla comunità di riferimento. Il 50% delle osservazioni è compreso tra una percentuale di community influential tra lo 0% e il 14%, mentre la percentuale massima registrata è pari al 67%. Solo nel 15% delle osservazioni è stata riscontrata la presenza di un Safety,Health and Environment committee. 74 Variabile opt_10k cer_10k opt_pr cer_pr b_size ind_dir ceo_dua ac_fe b_fem p_ext p_ci she ROA size tang N 321 321 124 126 321 321 321 321 321 321 321 321 321 321 321 Media 46,87 47,22 29,37 28,53 8,81 7,15 0,60 1,63 0,67 1,72 0,08 0,15 0,01 7,82 1,19 Dev. Std 2,25 5,89 24,04 23,31 2,45 2,62 0,49 0,97 0,86 1,09 0,10 0,35 0,08 1,46 0,40 min 34,69 10,57 0,06 0,43 5,00 3,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 -0,16 5,47 0,70 p25 45,53 45,56 0,72 0,57 7,00 5,00 0,00 1,00 0,00 1,00 0,00 0,00 -0,04 6,76 0,89 p50 47,27 48,77 47,53 45,29 8,00 7,00 1,00 2,00 0,00 1,56 0,07 0,00 0,27 7,86 1,09 p75 48,45 50,72 49,86 48,04 10,00 9,00 1,00 2,00 1,00 2,20 0,14 0,00 0,06 8,81 1,38 max 51,60 57,06 52,65 62,06 17,00 16,00 1,00 5,00 4,00 9,00 0,67 1,00 0,11 10,17 2,03 opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICT ION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie; b_fem : numero di amministratori di sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset; size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali. Tab. 7: Statistiche descrittive La tabella 8 presenta la matrice di correlazione di Pearson, nella quale sono indicati i coefficienti di correlazione tra le variabili oggetto di questo studio. La correlazione non dà informazioni circa la relazione di causa-effetto tra le variabili, ma tuttavia consente di esprimere l’intensità della relazione lineare che può legare due variabili. Osservando l’associazione delle variabili riferite al ruolo di monitoraggio del board (b_size, ind_dir, ceo_dua e ac_fe) con il tono della comunicazione ambientale (opt_10k, cer_10k, opt_pr, cer_pr) è possibile affermare che non esistono relazioni particolarmente significative tra di esse. Al di là della significatività statistica, al modificarsi delle variabili b_size e ceo_dua l’ottimismo e la certezza dei form 10-k si modificano secondo quanto ci si attende, l’uno aumentando (correlazione positiva) e l’altra diminuendo (correlazione negativa). Ciò è coerente con il lavoro di Cho, Roberts e Patten (2010). Lo stesso non vale però tra le stesse variabili misurate sulle press releases. Inaspettato, invece, è il tipo di correlazione che sussiste tra le variabili ind_dir e ac_fe e opt_10k e cer_10k che, nonostante la non significatività, assumono un segno opposto alla attese (al maggiore monitoraggio dovrebbe corrispondere una minore manipolazione del tono, e cioè meno ottimismo e più certezza). Significative sono invece alcune delle associazioni tra le variabili che misurano il ruolo di acquisizione delle risorse del board (b_fem, p_ext, p_ci e she) e il tono della comunicazione ambientale 75 (opt_10k, cer_10k, opt_pr, cer_pr). In particolare esiste una correlazione significativa al 10% e negativa (-0.1220) tra la percentuale degli incarichi esterni dei membri del Consiglio (p_ext) e l’ottimismo dei form 10-k (opt_10k): ad una variazione positiva del director’s interlock corrisponde una variazione negativa dell’ottimismo. Tale aspetto è in linea con quanto sancito dalla teoria della dipendenza dalle risorse. Un’ulteriore conferma alla teoria è data dalla correlazione significativa al 10% positiva (0,155) tra la percentuale degli amministratori influenti nella comunità (p_ci) e il livello di certezza nelle press releases (cer_pr). Insolita invece l’associazione significativa al 10% tra la presenza del Safety, Health and Environment committee e l’ottimismo e la certezza dei form 10-k: coerentemente agli studi precedenti la relazione tra she e opt_10k è negativa, mentre, contrariamente alle attese, anche quella tra she e cer_10k risulta negativa. Ulteriori relazioni significative si riscontrano tra le variabili di controllo e il tono della comunicazione ambientale. Una relazione positiva significativa sussiste tra ROA e opt_pr (0,3687), ROA e cer_pr (0,3697) e tra tang e opt_10k; una relazione significativa negativa sussiste invece tra size e cer_10k (-0,1111) e tra tang e cer_10k (0,1151). È possibile dunque affermare che la redditività, la dimensione dell’impresa e il peso degli asset fissi sul totale sono associati al tono della comunicazione ambientale. Considerando le variabili indipendenti suddivise per il ruolo ad esse associato, si evidenzia una correlazione significativa e unidirezionale tra di loro. Ad esempio, per il ruolo di monitoraggio, la variabile ac_fe è significativamente correlata con segno positivo sia a b_size (0,1515) che a ind-dir (0,093), mentre per il ruolo di acquisizione delle risorse si osserva l’esistenza di una relazione significativa tra la variabile p_ci e le variabili b_fem (0,3843), p_ext (0,1327) e she (0,2556). 76 Tab.8: Correlazione di Pearson 77 b_size 1,0000 0,8984* 0,0521 0,6047* 0,162* 0,1515* 0,3459* 0,4533* 0,1217* 0,5965* -0,2200* cer_pr 1,0000 0,0569 0,0704 0,0740 0,1009 -0,0120 -0,0920 0,155* -0,0264 0,3697* 0,0651 -0,0169 1,0000 0,1501* 0,5982* 0,2211* 0,093* 0,3878* 0,4748* 0,1288* 0,6251* -0,1383* ind_dir 1,0000 0,1633* -0,0199 -0,0844 0,2612* 0,0879 0,0332 0,1481* 0,0727 ceo_dua 1,0000 0,2077* 0,0993* 0,3843* 0,3671* 0,1228* 0,4469* -0,2462* b_fem 1,0000 -0,0601 0,1327* 0,2177* 0,0756 0,1765* -0,1925* p_ext 1,0000 -0,1622* -0,0053 -0,0463 0,0969* -0,0042 ac_fe 1,0000 0,2556* 0,0370 0,3639* 0,0242 p_ci ROA size 1,0000 0,2078* 1,0000 0,4046* 0,2343* 1,0000 -0,1456* -0,2870* -0,1309* she 1,0000 tang , opt_10k: valore d i ottimis mo calco lato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore med io di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio d i certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di memb ri del board; ind_dir: numero di ammin istratori indipendenti nel board; ceo_dua: variab ile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: nu mero di ammin istratori memb ri dell'audit co mmittee con competenze finan ziarie; b_ fem: nu mero d i ammin istratori d i sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci: percentuale di amministratori del board con influen za nella co munità d i riferimento (accademici, polit ici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 alt rimenti; ROA: return on asset; size: logarit mo degli asset totali; tang: rapporto tra immob ili, impianti e macchinari e gli asset totali. opt_10k cer_10k opt_pr opt_10k 1,0000 cer_10k -0,1231* 1,0000 opt_pr 0,1617* 0,0833 1,0000 cer_pr 0,1492* 0,0643 0,9938* b_size 0,0187 -0,0588 0,0572 ind_dir 0,0532 -0,0665 0,0683 ceo_dua 0,0581 -0,0219 0,0567 b_fem -0,0099 -0,0284 0,1088 p_ext -0,1220* 0,0843 -0,0319 ac_fe 0,0584 -0,0917 -0,0739 p_ci -0,0822 -0,0334 0,1335 she -0,1290* -0,1270* -0,0241 ROA -0,0820 -0,0909 0,3687* size -0,0468 -0,1111* 0,0427 tang 0,0948* -0,1151* -0,0269 *Correlazione significativa al 10% 2.5.2 Analisi multivariata Allo scopo di verificare le ipotesi di questo lavoro (Ip. 1a: esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di ottimismo risultante nella comunicazione ambientale delle imprese; Ip. 1b: esiste una relazione tra il ruolo di monitoraggio del board e il valore di certezza risultante nella comunicazione ambientale delle imprese; Ip. 2a: esiste una relazione tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore di ottimismo risultante nella comunicazione ambientale delle imprese; Ip. 2b: esiste una relazione tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e il valore di certezza risultante nella comunicazione ambientale delle imprese) sono stati stimati i seguenti modelli di regressione multivariata OLS: (1)opt_10k = (3) opt_pr = β0 + β1 b_size + β 2 ind_dir + β 3 ceo_dua + β 4 ac_fe + β 5 b_fem + β 6 p_ext + β 7 p_ci + β 8 she + β 9 ROA + β 10 size + β 11 tang + ε (2) cer_10k = (4) cer_pr = β0 + β1 b_size + β 2 ind_dir + β 3 ceo_dua + β 4 ac_fe + β 5 b_fem + β 6 p_ext + β 7 p_ci + β 8 she + β 9 ROA + β 10 size + β 11 tang + ε Dove: opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie; b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei membri del board; p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset; 78 size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali. In tabella 10 sono presentati i risultati dei modelli di regressione sopra esposti. Il modello (1) indaga la relazione tra l’ottimismo dei form 10-k (opt_10k) e tutte le variabili di corporate governance selezionate per misurare i due ruoli tipici del Consiglio di Amministrazione, cioè quello del monitoraggio e quello di acquisizione delle risorse. Nonostante l’indice R2 per questo modello non sia molto elevato (0,0725), alcune variabili analizzate hanno riportato coefficienti significativi. In relazione al ruolo di monitoraggio, solo il numero di amministratori indipendenti (ind_dir) ha una relazione positiva significativa (β=0,2691; p<0,05) con opt_10k. Ad una variazione unitaria del numero di amministratori indipendenti corrisponde dunque una variazione positiva di 0.2691 del livello di ottimismo nei form 10-k. Questo risultato non è in linea con la letteratura precedente che afferma che ad un board più indipendente è associato un più alto livello di monitoraggio e dunque un minore ricorso a strategie di Impression Management, come la manipolazione del tono. Questo dato inatteso può essere interpretato alla luce dell’effetto sostitutivo che, talvolta, può verificarsi tra i meccanismi di corporate governance e la quantità delle informazioni socio-ambientali divulgate dalle imprese. La relazione che sussiste tra la disclosure la corporate governance può essere infatti o di tipo complementare o di tipo sostitutivo (Frias-Aceituno, RodriguezAriza e Garcia-Sanchez, 2012; Allegrini e Greco, 2013). Un rapporto complementare si ha quando la corporate governance rafforza i meccanismi di controllo interno dell’impresa portando ad una maggiore diffusione delle informazioni, al fine di ridurre l’asimmetria informativa e limitare il comportamento opportunistico del management. Quest’ultimo, infatti, non avrà alcun incentivo a trattenere informazioni rilevanti in un ambiente dove il controllo e il monitoraggio sono praticati così intensamente, pertanto la qualità delle informazioni diffuse risulta potenziata (Cerbioni e Parbonetti, 2007). In una relazione di tipo sostitutivo, invece, la forza della corporate governance riduce la diffusione delle informazioni come conseguenza della sicurezza e dell’affidabilità dei meccanismi di controllo interno: i due meccanismi sono di fatto sostituibili l’uno all’altro (Frias-Aceituno, Rodriguez-Ariza e Garcia-Sanchez, 2012). Gli studi precedenti non hanno chiaramente individuato quale delle due relazioni leghi effettivamente la rendicontazione volontaria ai meccanismi di corporate governance (Cerbioni e Parbonetti, 2007); in questo caso specifico in una situazione dove il controllo è potenziato (maggior numero di amministratori indipendenti), l’ottimismo della 79 comunicazione ambientale cresce. Purtroppo le evidenze rispetto ad una eventuale effetto di sostituzione tra la disclosure e la corporate governance riguardano per lo più la quantità della disclosure, mentre l’effetto sulla qualità (di cui il tono può rappresentare un attributo) non è ancora stato verificato. Inoltre, la significatività della relazione tra ind_dir e opt_10k, potrebbe non essere dovuta ad una effettiva associazione tra le variabili, ma alla probabile multicollinearità tra le variabili ind_dir e b_size (coefficiente di correlazione: 0,8984). Anche i modelli di regressione (2), (3) e (4) non restituiscono risultati significativi sull’impatto delle variabili di governance che misurano il ruolo di monitoraggio, sul tono della comunicazione. Tali risultati controversi e poco significativi fanno dunque pensare che il monitoraggio non giochi un ruolo attivo nell’influenzare il tono della disclosure ambientale. Molto più soddisfacenti sono invece i risultati sulla relazione tra le variabili che misurano il ruolo di acquisizione delle risorse e il tono dei form 10-k: i modelli (1) e (2) restituiscono, infatti, risultati significativi. La variabile p_ext ha una relazione negativa significativa (β=0,2119; p<0,1) con opt_10k e una relazione positiva significativa con cer_10k (β=0,5300; p<0,1). Alla variazione unitaria della percentuale degli incarichi esterni alla società degli amministratori, corrisponde una diminuzione dell’ottimismo e un aumento della certezza. Ciò è coerente con Cho, Roberts e Patten (2010) che vedono in tali variazioni una miglioramento del tono della comunicazione e, di conseguenza, una minore manipolazione dovuta al tentativo di Impression Management. In accordo con la teoria della dipendenza dalle risorse, l’esperienza sviluppata dagli amministratori all’esterno dell’organizzazione presso il board di altre società, risulta avere un impatto positivo sul miglioramento della qualità della comunicazione ambientale. Il maggiore capitale umano, sociale e informativo apportato si unisce al beneficio connesso all’accrescimento della reputazione aziendale e al rinnovamento della legittimità. Anche la percentuale di amministratori influenti nella comunità (p_ci) ha un impatto significativo (β=-2,4117; p<0,1) nella riduzione dell’ottimismo (opt_10k). La presenza di community influential all’interno del Consiglio di Amministrazione potenzia il legame con gli stakeholder e migliora la qualità del tono della comunicazione ambientale. Inoltre, la reputazione di cui godono tali amministratori all’interno della comunità di riferimento, funziona come sufficiente meccanismo di legittimazione per cui non vi è incentivo da parte del management a ricorrere a strategie di Impression Management per favorire la percezione di aderenza alle norme sociali. La terza variabile che misura il ruolo di acquisizione delle risorse, ad avere un impatto significativo sul tono dei form 10-k è la presenza di un Safety, Health and Environment committee. La variabile she ha una relazione 80 negativa significativa sia con opt_10k (β=-0,9565; p<0,05) che con cer_10k (β=-2,0832; p<0,1). Ciò non significa per forza che il minore ottimismo venga controbilanciato dalla minore certezza, in quanto i due aspetti fanno parte sì della stessa strategia di Impression Management, e cioè la manipolazione del tono, ma possono anche essere considerati separatamente. Un’impresa infatti può scegliere di agire sul tono manipolandone solo l’ottimismo, solo la certezza, o entrambe congiuntamente. In questo caso la presenza di un comitato di CSR migliora la qualità del tono con un effetto sul solo livello di ottimismo. Per quanto concerne le variabili di controllo, significative e negative risultano le relazioni tra ROA e cer_10k (β=-8,7393; p<0,1) e tra tang e cer_10k (β=-2,2026; p<0,05). Ad un miglioramento della redditività è connessa dunque una diminuzione delle certezza. Ciò può essere dovuto al fatto che le imprese con i profitti più alti sono sottoposte maggiormente all’attenzione degli attivisti, i quali tendono ad interpretare i risultati positivi come tentativi di greenwashing. Per evitare questa attenzione indesiderata, le imprese top-performer potrebbero dunque volutamente diminuire la certezza con la quale comunicano le informazioni positive. La mancanza di significatività dei coefficienti stimati nei modelli (3) e (4) non permette di confermare o smentire l’eventuale relazione lineare tra le variabili di governance e il tono delle press releases. Tuttavia, gli elevati valori di R2 (modello 3: 0,9976; modello 4: 0,9895) dimostrano come la variabilità associata alle variabili di governance sia spiegata solamente dalla costante. La mancanza di relazioni significative tra la variabile dipendente (il tono delle press releases) e le variabili indipendenti (le caratteristiche di governance) può prestarsi a diverse interpretazioni. Innanzitutto è possibile che il tono dei comunicati stampa non sia stato misurato in modo opportuno rispetto a quello dei form 10-k attraverso il software DICTION: al di là dell’aver avuto a disposizione un campione notevolmente inferiore rispetto a quello dei report annuali, la quantità di testo (misurata dal numero di parole) per ciascuna press release è molto ridotta (vedi tabella 9) e ciò potrebbe aver compromesso la corretta misurazione delle variabili. 10-k n° osservazioni n° parole pr 2008 2009 2010 totale 2008 2009 2010 totale 107 107 107 321 15 51 60 126 228912 229026 229140 687078 25987 72286 85127 183400 Tab. 9: confronto press releases e form-10k 81 Se si indaga, invece, la variabilità connessa alle variabili di governance occorre fare riferimento al sottogruppo delle sole società che emettono le press releases. La variabilità dell’ottimismo e della certezza non è spiegata dalle caratteristiche del board perché, probabilmente, le poche imprese che emettono i comunicati ambientali presentano attributi molto simili per quanto riguarda la composizione e la struttura del proprio Consiglio di Amministrazione. Poiché il modello di regressione definisce la variabilità della y (tono delle press releases) in funzione della variabilità delle x (caratteristiche di corporate governance), se una delle due variabili non varia, il modello restituirà una retta che coincide con la costante. Un’altra motivazione potrebbe invece derivare dal tipo di relazione che lega il tono delle press releases alle variabili di governance: i modelli impiegati in questo lavoro sono adatti a cogliere solamente una relazione di tipo lineare. Nulla può far escludere che tra i due gruppi di variabili sussista in realtà un altro tipo di relazione. Al di là delle interpretazioni statistico-matematiche è possibile avanzare altre ipotesi, legate per lo più alla natura dei dati raccolti e allo specifico contesto di riferimento, cioè quello americano. La diffusione dei comunicati stampa può coinvolgere diversi dipartimenti all’interno di un’organizzazione, ma il contenuto dovrebbe essere comunque responsabilità prima del management e successivamente anche dei meccanismi di corporate governance, come il Consiglio di Amministrazione e i relativi comitati al suo interno. Poiché questi meccanismi sono coinvolti nel garantire l’affidabilità e la trasparenza delle informazioni, ci si aspetta dunque un intervento attivo da parte del board nel monitorare la qualità della comunicazione aziendale divulgata all’esterno dell’impresa. Tuttavia, nel contesto americano, all’informativa ambientale (di cui è oggetto questo lavoro) non è conferita la stessa importanza dell’informativa economico-finanziaria. Molto spesso l’attenzione è rivolta più al soddisfacimento degli interessi degli investitori che al coinvolgimento di altri stakeholder. Di conseguenza i comunicati stampa a contenuto ambientale vengono scarsamente considerati sia dal management che dal Consiglio. Data questa premessa è possibile che non esista una relazione tra il tono delle press releases ambientali e le variabili di governance proprio per il mancato ed effettivo coinvolgimento del board nella redazione e nel controllo di tali documenti. Diverse potrebbero essere dunque le variabili che realmente impattano su questo aspetto della comunicazione. È inoltre possibile che il board torni ad occuparsi attivamente di questo aspetto in concomitanza di incidenti o eventi catastrofici rilevanti che minacciano la legittimità dell’impresa. Dai modelli di regressione stimati non è possibile cogliere un eventuale mutamento della significatività nei diversi anni, tuttavia è possibile ipotizzare, dal numero di comunicati stampa emessi (vedi tabella 9), che la produzione di tali documenti 82 subisca effettivamente dei cambiamenti: nel 2010, infatti, anno in cui si è verificato l’incidente di BP nel Golfo del Messico, il numero di press releases emesse (60) è notevolmente aumentato rispetto all’anno 2008 (15). Variabili dipendenti b_size ind_dir ceo_dua ac_fe b_fem p_ext p_ci she ROA size tang Costante Osservazioni Effetti fissi per anno R² (1) (2) (3) (4) opt_10k cer_10k opt_pr cer_pr -0,0925 0,0531 -0,0593 -0,1113 (0,1256) (0.3287) (0,1328) (0,2632) 0,2691** -0,0120 0,1253 -0,1403 (0,1198) (0,3135) (0,1324) (0,2651) 0,2924 0,0945 -0,1348 0,1885 (0,2708) (0,7085) (0,2504) (0,4986) 0,0668 -0,5466 0,1545 -0,3046 (0,1360) (0,3558) (0,1508) (0,3012) 0,0479 0,0432 0,1877 0,5184 (0,1950) (0,5101) (0,1616) (0,3130) -0,2119* 0,5300* 0,0311 -0,0472 (0,1222) (0,3197) (0,1195) (0,2346) -2.4117* -0,2195 1,0750 2,8114 (1,4124) (3,6951) (1,3234) (2,6510) -0.9565** -2,0832* -0,0153 -0,4627 (0,4138) (1,0825) (0,3568) (0,7140) -1,0702 -8,7393* -0,8529 -0,1671 (1,7378) (4,5461) (1,8838) (3,7642) -0,1040 -0,3013 -0,1495 0,1618 (0,1154) (0,3020) (0,1050) (0,2093) 0,3144 -2,2026** -0,2700 0,1238 (0,3478) (0,9100) (0,3500) (0,7001) 46,6109*** 52,3751*** 49,8907*** 47,4820*** (1,0188) (2,6653) (1,0656) (2,1112) 321 321 124 126 sì sì sì sì 0,0725 0,0693 0,9976 0,9895 Standard Error tra parentesi *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1 opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie; b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset; size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali. 83 Tab. 10: Risultati dei modelli di regressione I risultati ottenuti nei modelli di regressione (1-4) non sono tuttavia sufficienti a determinare quale dei due ruoli del Consiglio di amministrazione abbia il maggiore impatto sul tono della comunicazione ambientale. Si è visto che le variabili che risultano più significative sono quelle legate al ruolo di acquisizione delle risorse, mentre il monitoraggio non sembra influenzare in modo rilevante le variabili di ottimismo e di certezza. Ciò però non basta ad affermare con sicurezza l’influenza relativa a ciascun ruolo, poiché inserendo tutte le variabili nello stesso modello è possibile che l’eventuale correlazione tra di loro alteri il p-value e faccia risultare significative relazioni che invece non lo sono. Inoltre alcune variabili potrebbero essere misura di entrambi i ruoli congiuntamente o non essere del tutto adatte a misurare il determinato ruolo. Per questo motivo sono stati sviluppati degli ulteriori modelli di regressione multivariata OLS per stimare la relazione tra il tono dei form 10-k e le variabili di governance, suddivise sulla base del diverso ruolo. Ruolo di monitoraggio: (5) opt_10k = β0 + β1 b_size + β2 ind_dir + β3 ceo_dua + β4 ac_fe + β5 ROA + β6 size + β7 tang + ε (7) cer_10k = β0 + β1 b_size + β2 ind_dir + β3 ceo_dua + β4 ac_fe + β5 ROA + β6 size + β7 tang + ε Ruolo di acquisizione delle risorse: (6) opt_10k = β0 + β1 b_fem + β2 p_ext + β3 p_ci + β4 she + β5 ROA + β6 size + β7 tang + ε (8) cer_10k = β0 + β1 b_fem + β2 p_ext + β3 p_ci + β4 she + β5 ROA + β6 size + β7 tang + ε Dove: opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie; 84 b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei membri del board; p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset; size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali. I risultati delle regressioni sono riportati in tabella 12. La prima osservazione che si può trarre dall’esito di queste analisi è una generale perdita di significatività dei coefficienti stimati. Occorre precisare che i nuovi modelli sono basati su un numero ristretto di variabili (i modelli 1-4 contano un totale di 11 variabili, di cui 3 di controllo, mentre i modelli 5-8 contano un totale di 7 variabili, di cui 3 di controllo) e che l’eliminazione di un numero consistente di esse può altere la significatività stimata. Inoltre il tono, di per sé, rappresenta un aspetto molto soft della comunicazione e, oltre ad essere difficile da misurare correttamente, è improbabile riscontrare relazioni molto forti con variabili particolari come lo possono essere quelle di governance. Osservando i risultati si può comunque supporre con più certezza che il ruolo di monitoraggio non ha un impatto rilevante sul tono della disclosure ambientale. Nessuna delle variabili che lo misurano presenta infatti una relazione significativa con l’ottimismo o la certezza dei form 10-k. Il risultato non sorprende poiché il ruolo classico di monitoraggio del Consiglio di Amministrazione influenza per lo più gli aspetti hard della disclosure. Secondo la teoria dell’agenzia, infatti, la funzione del board è proprio quella di tutelare gli interessi degli azionisti e non quelli degli stakeholder in generale, che più potrebbero essere interessati alle informazioni ambientali. La comunicazione ambientale non è dunque così rilevante quanto l’informativa economico-finanziaria agli occhi del board in una prospettiva di monitoraggio (le ipotesi 1a e 1b non sono supportate). Il ruolo di acquisizione delle risorse può invece essere interpretato come l’abilità del Consiglio di Amministrazione di proteggere gli interessi degli stakeholder. La disclosure ambientale assume un’importanza maggiore, in quanto mezzo di comunicazione con un preciso gruppo di stakeholder dell’impresa. Tra i risultati dei modelli (6) e (8) emergono quelle variabili, che misurano il ruolo di acquisizione delle risorse, che effettivamente trainavano i risultati del 85 primo gruppo di regressioni: she e p_ext. La percentuale di incarichi esterni ha, infatti, una relazione positiva significativa con la certezza (β=0,558; p<0,1). In accordo con la teoria della dipendenza dalle risorse, l’esperienza sviluppata dagli amministratori all’esterno dell’organizzazione presso il board di altre società, risulta avere un impatto positivo sul miglioramento della qualità del tono della comunicazione ambientale e sulla conseguente riduzione delle pratiche di Impression Management associate. Il maggiore impatto del ruolo di acquisizione delle risorse sul tono della disclosure ambientale è verificato anche dalla relazione significativa negativa che lega la variabile she con l’ottimismo (β=-0,703; p<0,1) e la certezza (β=-1,993 p<0,1) dei form 10-k (ipotesi 2a e 2b supportate). In coerenza ai risultati ottenuti nel primo gruppo di regressioni, la presenza di un Safety, Health and Environment committee riduce l’ottimismo ma anche la certezza. Come già anticipato, ciò non significa che il minore ottimismo venga controbilanciato dalla minore certezza, in quanto i due aspetti fanno parte sì della stessa strategia di Impression Management, e cioè la manipolazione del tono, ma possono anche essere considerati separatamente. La variabile b_fem non sembra avere alcun impatto significativo sul tono della comunicazione ambientale, nonostante gli studi precedenti abbiano indicato che la presenza di donne all’interno del Consiglio di Amministrazione influenzi positivamente sia la quantità che la qualità della disclosure, grazie ad una maggiore sensibilità verso le tematiche socio-ambientali. La spiegazione di tale risultato si può trovare nel fatto che le donne all’interno dei board del campione analizzato non raggiungono quasi mai la massa critica necessaria, individuata dalla letteratura precedente nel numero di tre membri femminili, per avere un effettivo impatto sull’attività del Consiglio. Come si evince dalla tabella 11 solamente sei delle società analizzate contano almeno tre donne all’interno del proprio board e solamente una di queste (Williams cos Inc), nel 2010, ha incluso un ulteriore membro femminile raggiungendo quota quattro. N° donne nel board Società 2008 2009 2010 CONOCOPHILLIPS 3 3 3 ONEOK INC 3 0 0 PIEDMONT NATURAL GAS CO 3 3 3 SOUTH JERSEY INDUSTRIES INC 3 3 3 SUNOCO INC 3 3 3 WILLIAMS COS INC 3 3 4 Tab. 11: Numero di donne nel board Le variabili di controllo presentano una relazione significativa in entrambi i modelli, ma solo in riferimento alla certezza. Sia nel caso del ruolo di monitoraggio, che in quello dell’acquisizione delle risorse, la redditività ha una relazione significativa negativa con la 86 certezza (rispettivamente: β=-9,908; p<0,05 e β=-8,283; p<0,1). Lo stesso si può affermare per la variabile tang (β=-2,410; p<0,01 e β=-2,262; p<0,05). Variabili dipendenti b_size ind_dir ceo_dua ac_fe ROA size tang (5) (6) (7) (8) opt_10k opt_10k cer_10k cer_10k -0.0874 -0.0455 (0.124) (0.322) 0.184 0.00600 (0.118) (0.305) 0.232 -0.0188 (0.267) (0.689) 0.155 -0.544 (0.134) (0.345) -1.462 -1.295 -9.908** -8.283* (1.745) (1.743) (4.513) (4.504) -0.181 0.0359 -0.339 -0.336 (0.115) (0.104) (0.296) (0.269) 0.390 0.444 -2.410*** -2.262** (0.340) (0.341) (0.880) (0.882) b_fem p_ext p_ci she Costante Osservazioni Effetti fissi per anno R² 0.258 -0.0153 (0.178) (0.460) -0.193 0.558* (0.121) (0.313) -1.886 1.256 (1.356) (3.503) -0.703* -1.993* (0.405) (1.047) 46.92*** 46.46*** 54.31*** 52.13*** (0.956) (0.914) (2.471) (2.361) 321 321 321 321 sì sì sì sì 0.033 0.042 0.052 0.062 Standard Error tra parentesi *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1 opt_10k: valore di ottimismo calcolato da DICTION sulla sezione 1 del form 10-k; cer_10k: valore di certezza calcolato da DICT ION sulla sezione 1 del form 10-k; opt_pr: valore medio di ottimismo calcolato da DICTION sulle press releases; cer_pr: valore medio di certezza calcolato da DICTION sulle press releases; b_size: numero di membri del board; ind_dir: numero di amministratori indipendenti nel board; ceo_dua: variabile dummy che assume valore 1 se il CEO è anche il Chairman del board, valore 0 altrimenti; ac_fe: numero di amministratori membri dell'audit committee con competenze finanziarie; b_fem: numero di amministratori di sesso femminile nel board; p_ext: percentuale di incarichi esterni alla società dei mebri del board; p_ci: percentuale di amministratori del board con influenza nella comunità di riferimento (accademici, politici, ufficiali dell'esercito, esponenti di organizzazioni non-profit); she: variabile dummy che assume valore 1 se è presente un Safety, Health and Environment committee, valore 0 altrimenti; ROA: return on asset; size: logaritmo degli asset totali; tang: rapporto tra immobili, impianti e macchinari e gli asset totali. Tab. 12: Risultati dei modelli di regressione 87 2.6 Conclusioni Gli studi precedenti sulla comunicazione ambientale hanno verificato l’esistenza di una relazione tra il livello della disclosure ambientale e le caratteristiche di corporate governance delle organizzazioni. Poco invece si conosce sulla relazione tra la qualità della disclosure e la governance. Questo lavoro di tesi si è proposto di colmare, seppur parzialmente, tale mancanza, andando a verificare l’esistenza di una relazione significativa tra il tono della comunicazione ambientale (declinato nelle misure di ottimismo e certezza) e le variabili di corporate governance selezionate come proxy del ruolo di monitoraggio e del ruolo di acquisizione delle risorse del Consiglio di Amministrazione. I risultati di questa analisi sostengono quanto sancito dalla teoria delle dipendenza dalle risorse ed evidenziano la predominanza del ruolo di acquisizione delle risorse su quello di monitoraggio nell’influenzare i valori di ottimismo e di certezza che definiscono il tono verbale della comunicazione ambientale delle società quotate americane del settore Oil & Gas. In particolare, il numero di incarichi esterni degli amministratori e la presenza di un Safety, Health and Environment committee influenzano significativamente la qualità della disclosure analizzata, migliorando il tono e, di conseguenza, riducendone la manipolazione (minor Impression Management). I risultati non significativi ottenuti rispetto alle variabili che misurano invece il ruolo di monitoraggio non sorprendono particolarmente: la comunicazione ambientale rappresenta, infatti, un aspetto non molto rilevante sulla base della teoria su cui si fonda il ruolo di monitoraggio, cioè quella dell’agenzia. Secondo tale teoria, i membri del Consiglio di amministrazione sono responsabili della tutela degli interessi degli azionisti: l’attenzione del board è probabilmente più concentrata nel miglioramento e nel controllo delle politiche di rendicontazione economico-finanziaria, rispetto a quelle socioambientali. Si può dunque affermare che il ruolo di monitoraggio, avendo un impatto più sugli aspetti hard della disclosure, non ha un’influenza rilevante su uno degli aspetti soft della comunicazione, e cioè il tono verbale. Quindi, sulla base dei risultati ottenuti dai modelli di regressione stimati, è possibile sostenere che non esiste una relazione significativa tra il ruolo di monitoraggio del board e i valori di ottimismo e di certezza della comunicazione ambientale analizzata. Le ipotesi 1a e 1b non sono dunque verificate. Una relazione significativa sussiste invece tra il ruolo di acquisizione delle risorse del board e i valori di ottimismo e di certezza: le ipotesi 2a e 2b sono pertanto verificate. 88 Il contributo di questo studio è quello di apportare nuovi elementi all’interno della discussione sull’influenza della corporate governance sulla qualità della disclosure ambientale, che rappresenta un recente campo di indagine parallelo a quello più dibattuto del rapporto tra la governance e la quantità delle informazioni ambientali divulgate dalle imprese. L’utilizzo di una prospettiva combinata tra la teoria dell’agenzia e quella della dipendenza dalle risorse, consente, inoltre, di prendere in considerazione, in maniera congiunta, entrambi i ruoli tipici del Consiglio di Amministrazione, cioè il ruolo di monitoraggio e quello di acquisizione delle risorse. Il lavoro fornisce anche evidenze empiriche sulle variabili che hanno un reale impatto sul tono della comunicazione ambientale e permette così di conoscere gli aspetti di corporate governance che sono più efficaci nel limitare il ricorso da parte del management a strategie e tecniche di Impression Management, come la manipolazione del tono verbale. Questo studio può essere considerato di natura esplorativa, pertanto è soggetto a diversi limiti e criticità che indagini future potrebbero superare o migliorare. In primo luogo la dimensione del campione potrebbe essere incrementata per poter analizzare un numero maggiore di società, o per estendere l’orizzonte temporale di riferimento. Diversi risultati empirici si potrebbero ottenere selezionando imprese appartenenti ad un settore alternativo a quello Oil & Gas oppure scegliendo imprese legate al contesto europeo, che sembrano dimostrare una maggiore sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali rispetto alle società americane dello stesso settore. Alcuni errori potrebbero essere stati commessi nel misurare le variabili oggetto di questo lavoro. La misurazione della qualità della disclosure è molto spesso soggettiva e difficoltosa e non esistono parametri standard con i quali confrontare i valori stimati. In particolare, la misura quantitativa fornita da DICTION del tono verbale potrebbe non cogliere le sfumature e i dettagli che magari un’analisi di tipo qualitativo (casi, interviste, ecc.) evidenzierebbe. Anche le caratteristiche di governance potrebbero non essere state misurate correttamente. Le variabili che sono state selezionate come proxy per i due ruoli del Consiglio di amministrazione, potrebbero non essere adatte ad esprimere il ruolo stesso, oppure potrebbero rappresentare entrambe le funzioni, alterando così l’efficacia dei modelli di regressione. La notevole differenza di significatività tra i risultati ottenuti dallo studio del tono dei form 10-k e quelli ottenuti dalle press releases può essere dimostrazione degli inevitabili errori nei quali si può incorrere conducendo analisi di questo tipo. Tuttavia, essendo il campo di indagine molto recente, numerosi sono gli aspetti che è possibile approfondire in eventuali future ricerche, a partire da una definizione alternativa del tono 89 (diversa dalla declinazione in ottimismo e certezza) o dall’identificazione di nuove variabili relative ai meccanismi di corporate governance che si intende approfondire. 90 Bibliografia AERTS, W., 2005. 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