Notizie in breve - 2002 n.6
Notizie in breve
IL 41-BIS DIVENTA REGIME DEFINITIVO
Il regime di 41-bis, più noto come carcere duro applicato ai detenuti mafiosi, non sarà più
temporaneo. 0 meglio, l’istituto sarà introdotto nel regolamento penitenziario in modo
permanente, ma continuerà a essere applicato ai detenuti in modo provvisorio per la durata
di non oltre due anni, rinnovabile poi, molto presumibilmente, ogni sei mesi.
Il parlamento ha deciso di chiudere la difficile partita del 41-bis, iniziata qualche mese fa
con l’approvazione da parte del consiglio dei ministri di un provvedimento che ampliava la
durata del regime, attualmente di un’anno, all’intera legislatura, così da evitare l’emanazione
di continue proroghe che in questi anni si sono succedute senza sosta.
Un provvedimento che la commissione antimafia ha giudicato insufficiente a garantire quel
principio di sicurezza e di severità del trattamento penitenziario riservato ai boss, che molti
dei magistrati addetti ai lavori considerano ineli-minabile.
Di qui è arrivata la decisione della commissione presieduta da Roberto Centaro (Fi), condivisa
da ampia parte dell’opposizione, di approvare un documento nel quale si indicava alle
commissioni competenti di camera e senato la strada giusta da seguire per migliorare il
sistema e dare un chiaro segnale di forza a quei boss che dalle carceri di massima sicurezza,
nelle quali stanno scontando l’ergastolo, hanno avanzato richieste precise al parlamento
perché desista dall’intento.
La commissione giustizia del senato così ha fatto, e nell’ultima settimana di settembre il
provvedimento è stato licenziato ed è passato all’esame dell’aula nella versione auspicata
dalla antimafia. Le modifiche introdotte al testo di palazzo Chigi sono numerose.
Oltre, appunto, alla norma che prevede la stabiliz-zazione del 41-bis, che avrà la durata
massima di due anni poi rinnovabili, il regime di carcere viene esteso anche ad altri reati
come il terrorismo e la tratta di esseri umani.
Sulla titolarità del provvedimento, invece, si torna allo statu quo. Il ddl governativo
proponeva di trasferire la competenza al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma
il parlamento l'ha mantenuta in capo al ministro della giustizia. Allo stesso modo l’esame dei
ricorsi sarà sempre affidato al tribunale di sorveglianza senza trasferire al riesame quelli
relativi agli imputati sotto custodia cautelare. "Le modifiche sono state concordate con
l’opposizione", dice il relatore al provvedimento Luigi Bobbio (An).
Ma non tutti gli esponenti della Casa delle libertà sembrano dello stesso parere, mentre gli
avvocati penalisti sono disposti a dare aspra battaglia sul 41bis, come emerge anche da un
convegno che l’Uepi ha organizzato lo scorso 28 settembre a Roma per esporre le ragioni del
no al 41-bis.
Poco favorevoli a una stabilizzazione del regime di carcere duro è stato, poi, anche Enzo
Fragalà (An) componente della commissione giustizia della camera, e il responsabile giustizia
di Forza Italia, Giuseppe Gargani, che in più di un occasione hanno manifestato perplessità
nei confronti di una misura che, come sembrerebbe emergere da alcune pronunce della Corte
costituzionale, per essere legittima e non violare il principio di riedu-cazione che è
indissolubilmente legato alla pena, deve essere provvisoria. Argomento sul quale fanno leva
anche i penalisti.
"La stabilizzazione del 41-bis legittima una forma di tortura", avverte il segretario dell’Uepi.
Per gli avvocati, infatti, è sbagliato confondere un’esigenza di sicurezza con l’applicazione di
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un trattamento inumano.
"Bisogna piuttosto affrontare in modo serio il problema facendo sì che le carceri
garantiscano criteri di sicurezza adeguati", cosa che in questi anni l’applicazione del 41-bis
non è riuscita a garantire. Secca la risposta di Bobbio: "Se il 41-bis non avesse funzionato in
questi anni allora non si capirebbero le ragioni che hanno spinto i boss rinchiusi nelle carceri
a chiederne la soppressione".
CARCERE 0 CARNAIO?
"Drento Regina Coeli c’è no scalino/chi non salisce quello/nun è romano/nun è romano e manco
tresteverino". La galera nel vissuto del popolo romano è un punto fermo, maledetta e tuttavia
rispettata. In una città senza (grandi) industrie qual è Roma, il semiproletariato costretto ai
margini della capitale, segregato nei "borghetti" dagli sventramenti mussoliniani, dalla
speculazione edilizia (che risale al 1870 dei "buzzurri"), ha fatto da "grande serbatoio di
carne da galera" per il carcere più raccontato e più odiato d’Italia.
Molti, scriveva il grande Ceccarius, sono dentro "perché, paradossalmente, hanno un
esasperato senso di giustizia". Come da copione, la società civile ignora i carcerati, per altro
"figli" delle sue stesse contraddizioni, persone che non sono mai nate criminali, ma lo sono
diventate. La società li scopre quando si ribellano, ovvero quando scioperano come adesso
(l’ennesima volta ahimé) per civilmente e pittoresca-mente (con battitura di casseruole)
richiamare l’attenzione dei paese (figurarsi) sulle condizioni barbare in cui vivono i detenuti.
Le condizioni barbare nascono da una malattia cronica: l’affollamento. Quel giornale pulito e
bello ch’è Avvenire ci dà qualche cifra: i detenuti superano dei 34% i posti disponibili. Oltre
il 62% deve scontare pene inferiori ai tre anni. Gli istituti penitenziari italiani assommano a
202: vanno aggiunti sei ospedali psichiatrici giudiziari e 24 case mandamentali. Al 31 di luglio
scorso, si contavano 56.062 detenuti contro una capienza complessiva dei nostri penitenziari
di 41.730. Al tempo di Mani Pulite il direttore di San Vittore, il dottor Pagano, uno che
"soffre" il suo lavoro, disse: "Questo non è e non deve essere una pensione di lusso, ma si
vorrebbe che fosse una casa di rieducazione non un carnaio di disperati". Come mai si parla
da un secolo di riforma delle carceri,e ben poco s’è fatto per renderle più umane? E’ dal 1948
che il vecchio cronista scrive del terribile universo carcerario: repetita juvant? No. Se lo
scopo della pena, come dice l’articollo 27 della nostra Costituzione, è il recupero dei
colpevole, dobbiamo ammettere che la prigione-istituzione educativa è fallita.
Poi tutti si affannano a spiegare che il 41bis stronca la mafia e il terrorismo. Ma che non sia
una tortura e possano avere almeno un libro, in nome di Dio.
RIFLESSIONI IN PRIMA PERSONA
Vanda Moretti, danzatrice, insegnante, coreografa e conduttrice dei laboratorio tenuto
presso la Casa di reclusione femminile della Giudecca, da qualche anno ha spostato il proprio
interesse artistico e professionale attorno allo studio dei movimento nello spazio urbano: in
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quale modo lo spazio strutturato intorno a noi influisce sulla qualità del movimento; come
cambia la percezione di chi danza e di chi osserva come spettatore casuale; come si
modificano le dinamiche gestuali per poter eseguire una coreografia in uno spazio non
teatrale; quali sono le creazioni possibili in ambienti architettonici fortemente connotati;
come il movimento modifica la relazione tra spazio architettonico dato e spazio percepito.
Forte di una lunga esperienza in campo didattico e formativo e ‘fresca’ del primo Corso di
Perfezionamento per Danzaeducatori organizzato dal Mousikè e dal Dams di Bologna con Il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, quindi con un’ampia visione di gruppi e laboratori
sul movimento, Vanda Moretti si è posta alcune domande rispetto alla realizzazione di un
laboratorio di danza in carcere: "Ci sono dei cambiamenti a livello di movimento e gesto nelle
persone che vivono lunghe pene di carcerazione? La costrizione dello spazio e l’architettura
influenzano i movimenti? In quale maniera e quale parte dei corpo è maggiormente coinvolta?
Sono tutte domande con molte risposte. L’interesse nei confronti di questo lavoro e di
queste persone si è mescolato alla emozione. Non era mai stata in un carcere ed il termine
"entrare in punta di piedi" non è proprio possibile lì dentro.
Ogni cosa, ogni donna, operatori di Polizia Peniten-ziaria comprese, hanno una collocazione
spaziale molto rigida e definita. le porte sono chiuse. Fin dal primo incontro, la presentazione
del corso, ha avvertito il tipo di energia e il forte impatto fisico tra le persone e io spazio. Lì
l’energia, il flusso è sempre forte e diretto.
Il loro desiderio di fare del movimento era manifesto, per vari motivi: qualcuna voleva
dimagrire, altre rassodare i muscoli, sciogliersi un po’, semplicemente muoversi e basta. E
Vanda arrivava con il suo corso di danza educativa/creativa intitolato "Un movimento: il suo
luogo nel corpo e nello spazio", con la convinzione che, forse un po’ alla volta, sarebbe riuscita
a realizzare il pretenzioso e provocatorio obbiettivo. La partecipazione al corso è stata
numerosa e tutte hanno lavorato intensamente per quattro mesi, non solo insegnato passi di
danza, ma piuttosto cercando di dare degli strumenti per la percezione e l’analisi del proprio
movimento.
Si è sudato, fatta molta ginnastica, scherzato, discusso e riflettuto in termini di esecuzione
del movimento, sequenza del movimento, dinamica ed espressione de movimento. E' stato
"cancellato" e rimesso in gioco lo spazio almeno durante le ore di laboratorio. Le partecipanti
al corso sono state un gruppo di lavoro molto stimolante, difficile ma produttivo in termini
creativi, anche per le loro stesse relazioni.
LIBERA LA TUA LIBERTA'
Il "C.I.A.O...un ponte tra carcere, famiglia e territorio", è un'associazione di volontariato
che da dieci anni si occupa del sostegno al detenuto e alla sua famiglia e del suo
reinserimento nel tessuto sociale. Organizza per il 23 e 24 novembre prossimi la "Giornata
del C.i.a.o." tradizionale appuntamento di sensibiliz-zazione che coinvolge la comunità tutta
nell'accoglienza e nella condivi-sione. Durante le messe della vigilia e festive saranno
presentate alcune esperienze. I giovani della parrocchia condivideranno il pranzo e vivranno
un momento di "amicizia" con i detenuti presenti. In aula don Paolo, presso la casa
parrocchiale, ci sarà la mostra-mercato degli articoli ricamati, delle composizioni di fiori
secchi, degli oggetti realizzati dalle detenute e detenuti della casa di reclusione di Milano http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (3 of 19)28-02-2008 9:30:02
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Opera.
Informazioni: Associazione C.I.A.O. un ponte tra carcere, famiglia e territorio - Via
Magliocco, 2 - 20141 Milano - tel/fax 02.8465768 [email protected]
CLUB ALDA MERINI
I detenuti della sezione Alta Sicurezza della casa circondariale di Tolmezzo intendono
costituire un club dedicato alla poetessa Alda Merini, che ritengono particolarmente vicina
alle problematiche delle persone che si ritrovano private della libertà ed in uno stato di
isolamento esistenziale. La Merini, per vari anni, si è trovata rinchiusa in un ospedale
psichiatrico e ha fatto della poesia con la P maiuscola, l'accadimento più bello della sua vita.
Oggi, uscita dal manicomio, dopo quasi mezzo secolo di attività è considerata una delle voci
più forti della poesia italiana. Di indole irrequieta e non conformista, fu scoperta
giovanissima e frequentò Salvatore Quasimodo, padre Davide Maria Turoldo; Pier Paolo
Pasolini, Maria Corti.
La sua poesia è rivelatrice di molteplici affanni dell'esistenza. I detenuti dell'A.S. di
Tolmezzo ritengono che un club dedicato alla Merini possa essere particolarmente utile per
farsi sentire vivi e per far sentire la loro voce di persone. "E' importante - scrivono - far
sapere come e cosa pensa un essere umano che per motivi diversi si ritrova in situazioni che
gli esterni possono solo immaginare ma che di fatto non vivono mai".
Il Club si propone di eliminare nelle persone perbene la presunzione di essere superiori e la
mentalità di fare, nei confronti dei detenuti, una sorta di beneficenza che diventa perversa,
a volte, perchè non rispetta la dignità umana. Nonchè di suscitare, nel detenuto, la
consapevolezza del suo talento, dandogli, di conseguenza, la possibilità di comunicarlo e di
valorizzarlo. "Noi carcerati - continuano - riteniamo una ricchezza la nostra diversità e un
arricchimento ulteriore di confronto con gli altri. Molto spesso infatti scopriamo che
esistono argomenti diversi dai nostri e gli esterni scoprono una realtà che non conoscono ma
sono unicamente piccoli espisodi molto limitati. Perchè non allargare queste conoscenze dato
che moltissimi detenuti hanno folgoranti intuizioni e sensazioni meravigliose e illediate che
potrebbero, se divulgate e valorizzate, aiutarli nella rieducazione e nel reinserimento e, di
rimando, potrebbero aiutare la società a non considerarli vuoti a perdere o riciclabili".
DALLA CERTEZZA AL DUBBIO
Lo "Sportello Giustizia" del Veneto organizza con il contributo della Regione Veneto un corso
base per gli insegnanti delle scuole medie superiori della regione di informazione e
costruzione di percorsi scolastici sul mondo del carcere e della devianza. L'iniziativa, che
vede coinvolti i sette centri di servizio per il volontariato presenti regionalmente, è
sviluppata in quattro incontri: tre di apprendimento ed uno conclusivo di rielaborazione,
condivisione e proposta di percorsi didattici dai realizzare nei singoli istituti e/o indirizzi
specifici.
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (4 of 19)28-02-2008 9:30:02
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"Dietro le sbarre e dietro la lavagna...quando i percorsi scolastici incontrano la devianza"
sarà anche il titolo del convegno regionale che concluderà la manifestazione. Il convegno in
questione si terrà a Venezia venerdì 6 dicembre con inizio alle ore 15,30. All'iniziativa in
questione hanno dato il loro contributo: Giuseppe Mosconi, Sergio Cusani, Luciano Eusebi,
Luigi Ciotti, Massimo Pavarini e Francesco Morelli. L'iniziativa è stata coordinata
dall'associazione di volontariato "Centro Francescano di Ascolto" di Rovigo con la
collaborazione della redazione di "Ristretti Orizzonti" di Padova che ha elaborato un
opuscolo informativo che è stato distribuito agli insegnanti che hanno aderito.
Informazioni: "Sportello Giustizia dei CSV del Veneto" - tel. 0425.200009 - sportello.
[email protected]
VOLONTARIATO E GIUSTIZIA
La Confraternita San Leonardo Abate di Cerignola (Fg), impegnata da diversi anni, tra
l'altro, nell'attività di volontariato rivolto alle persone detenute, ha organizzato il 4
novembre scorso presso il teatro parrocchiale un convegno regionale dal titolo "Volontariato
e giustizia" che ha visto la relazione di Livio Ferrari, presidente della Conferenza Nazionale
Volontariato Giustizia, del vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, Felice di Molfetta,
coordinati dal priore della Confraternita Francesco Rosati.
Il folto pubblico presente ha partecipato con trasporto al dibattito che è seguito alle
esposizioni, infatti oggi i temi e le problematiche del mondo della giustizia sono
particolarmente sentiti e contradditori.
PROGETTO FORMAZIONE SINERGIA
Il C.S.S.A. (Centro di servizio sociale per adulti) di Reggio Calabria ha organizzato nel mese
di ottobre quattro giornate seminariali sui temi dell'esecuzione penale esterna, il ruolo del
servizio sociale, della cooperazione e del volontariato, che sono stati destinati ad operatori
degli enti locali, della cooperazione e del volontariato. Il progetto "Formazione sinergia",
voluto e coordinato dal direttore del CSSA Mario Nasone, ha avuto come scopo quello di
dare maggiore visibilità sociale all'esecuzione penale esterna e sugli spazi di intervento, per
individuare strategie di collaborazione tra le diverse componenti del territorio ed il CSSA.
Gli incontri hanno visto le relazioni di Sebastiano Zinna, Elisabetta Neve, Stefano Longhi,
Santina Spanò e Livio Ferrari.
INTERROGATORI SENZA CODICE DI CONDOTTA
Nessun codice di condotta per interrogatori, maltrattamenti nelle caserme e nelle carceri.
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (5 of 19)28-02-2008 9:30:02
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Le torture e le violenze sono troppe volte di casa anche in Italia e la mancanza di norme
adeguate a tutela delle vittime rende il percorso della giustizia pieno di ostacoli.
A oltre due anni e mezzo dalla visita ispettiva effettuata nella penisola dal Comitato europeo
per la prevenzione della tortura (Cpt) il governo italiano, proprio in questi giorni, ha dato il
proprio consenso alla pubblicazione del rapporto e della relativa risposta. In questi 30 mesi è
successo di tutto: i pestaggi e gli arresti di 85 poliziotti penitenziari a Sassari, i fatti e le
inchieste di Napoli e Genova. Vicende che hanno reso di grande attualità il lavoro del
Comitato. Si tratta della quarta volta che gli ispettori di Strasburgo vengono nel nostro
paese ad accertarsi delle condizioni di detenzione in commissariati, caserme, carceri e
ospedali psichiatrici. Un folto gruppo di esperti di vari paesi europei, dal 13 al 25 febbraio
del 2000, ha girato in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di fatti, situazioni, episodi che
configurino ipotesi di trattamenti inumani, crudeli o degradanti.
Come sempre, ogniqual-volta è in opera un organismo internazionale che si occupa di diritti
umani, il primo aspetto che salta agli occhi è la collaborazione offerta dalle autorità
nazionali, spesso restie a cooperare lealmente con chi si ritiene effettui indebite ingerenze
nei propri affari interni. E il trattamento di fermati, arrestati e detenuti è usualmente
ritenuto dai governi questione di esclusiva pertinenza nazionale.
Agli ispettori del Cpt però gli stati devono obbligatoriamente rispondere e non possono
negargli l’accesso in nessun luogo di detenzione né impedire loro di parlare con qualsivoglia
detenuto. E’ un trattato internazionale, ratificato anche dall’Italia nel 1989, a imporlo.
Fra gli episodi di scarsa collaborazione il Cpt ha formalmente lamentato il ritardo con cui è
stato loro consentito di accedere nei locali della questura di Bologna e della polizia
ferroviaria di Firenze, dove nessuno sapeva chi fossero questi strani signori che girano
l’Europa per ispezionare caserme e carceri.
Fra i primi suggerimenti dati alle autorità italiane vi è proprio quello riguardante la
formazione e l’informazione dei lavoratori delle forze dell’ordine sui poteri e le prerogative
di organismi internazionali impegnati nella promozione e nella tutela dei diritti dell’uomo.
L’ispezione del Cpt ha riguardato stabilimenti delle forze dell’ordine, centri di assistenza
temporanea per extracomunitari in attesa di espulsione, carceri, istituti penali per minori.
Strutture delle forze dell’ordine. Il caso più grave di maltrattamenti riscontrato riguarda un
cittadino italiano di cui la delegazione ha avuto notizia esaminando attentamente il registro
delle visite mediche della Casa circondariale di Bari. Arrestato il 16 settembre del 1999 alle
23,30 per detenzione di sostanze stupefacenti da alcuni carabinieri ad Acquaviva delle Fonti,
a pochi chilometri dal capoluogo pugliese, dopo poche ore il malcapitato è stato condotto in
carcere con una doppia frattura della mandibola che ha reso necessario un ricovero
ospedaliero e un immediato intervento chirurgico.
Pochi giorni dopo allo stesso malcapitato vengono concessi gli arresti domiciliari ma viene
nuovamente picchiato, a suo dire, da carabinieri appartenenti al medesimo comando. Dai
verbali non emerge che l’arrestato abbia opposto resistenza.
La questione è arrivata davanti ai giudici e sebbene il Gup abbia scagionato i militari, il
procuratore presso la Corte d’appello di Bari ha riaperto il caso presentando ricorso. Un’altra
questione sollevata riguarda le condizioni di detenzione nelle camere di sicurezza delle
questure di Bologna e Firenze dove è stata riscontrata la mancanza di materassi e coperte e
un’igiene carente. In particolare a Bologna le camere avevano una dimensione ben inferiore ai
6 metri quadrati che costituisce la misura minima tollerabile. Rispetto a tutte queste
segnalazioni le autorità italiane hanno assicurato di aver preso provvedimenti idonei sino a
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (6 of 19)28-02-2008 9:30:02
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impegnarsi ad allargare le celle a Bologna.
Inoltre il Cpt ha raccomandato espressamente alle autorità italiane di garantire a tutti i
fermati e arrestati il diritto ad avere immediatamente accesso a un legale, a un avvocato e a
essere ìnformati dei propri diritti per iscritto e nella propria lingua.
Infine si fa notare che il nostro sistema non avrebbe al proprio interno un codice di condotta
per gli interrogatori, ritenuto viceversa indispensabìle dal Cpt a prevenzione dei
maltrattamenti e della tortura. La risposta delle nostre autorità è solo esplicativa delle
lacune di legge, manca nel codice di procedura penale una disposizione ad hoc sul diritto a
essere visitati da un medico di fiducia, o a difesa delle norme esistenti.
Centri di assistenza temporanea per extracomunitari in attesa di espulsione.
Molte le osservazioni sui centri visitati: carenze igieniche, assenza di personale specializzato
in mediazione culturale, negata assistenza legale gratuita, mezzi di costrizione eccessivi
utilizzati durante le procedure di espulsione, mancanza di personale femminile, insufficienza
delle attività ricreative organizzate. Nella risposta del governo ci si limita a ricordare cosa
prevede la legge sull’immigrazione, fra l’altro ormai superata. dalla ben più severa Bossi-Fini.
Istituti penitenziari. Gli ispettori di Strasburgo, come ogni volta che vengono in Italia,
denunciano le condizioni di sovraffol-lamento insopportabili, pongono dubbi sul regime del 41bis e chiedono il riesame della presenza e dei compiti del Gom, i Gruppi operativi mobili della
polizia penitenziaria, vero e proprio corpo speciale. Nello specifico, oltre alla gravissima
vicenda delle violenze al San Sebastiano di Sassari, il Cpt ha rilevato che presso il carcere di
Poggioreale a Napoli vi era un’atmosfera opprimente. Persisteva l’uso in base al quale i
detenuti abbassavano la testa e tenevano le mani dietro la schiena al passare degli agenti di
polizia penitenziaria. La riposta del governo italiano lascia pensare. Secondo l’esecutivo
infatti questo atteggiamento non risponde a stili militari imposti dai poliziotti ma ad
abitudini dei detenuti difficili da estirpare.
Istituti penali per minori. Le carceri visitate sono state quelle di Bologna, Nisida e Bari.
Proprio a Bari sembrerebbe che permanga la triste pratica dello schiaffo pedagogico e che
alcune celle di isolamento, nonostante espliciti divieti per ovvie ragioni di prevenzione da
tentazioni di violenze, siano poste nel seminterrato. Le autorità italiane sostengono che tali
celle sarebbero state invece messe fuori uso. A livello generale il Cpt ha rilevato la mancanza
di regole penitenziarie ad hoc per i minori più ispirate a principi trattamentali e meno a
logiche punitive.
CSM, LA MAFIA E' DIVENTATA UNA SRL
Non c’è settore produttivo che non sia stato contaminato dalla mafia spa. Che dopo gli
appalti, estende i suoi tentacoli nel commercio, nell’intrattenimento, nella ristorazione, come
una vera azienda, anche nella forma giuridica. Proliferano, infatti, soprattutto al Nord, le spa
e ancor di più le srl a partecipazione mafiosa. Mentre invece lo stato ha le armi spuntate.
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (7 of 19)28-02-2008 9:30:02
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Non sono abbastanza efficaci, infatti, sia la confisca e il sequestro dei beni dei boss, sia il
sistema di controllo antiriciclaggio, basato sulla denuncia da parte degli operatori bancari
delle operazioni sospette. Per uscire dal ricatto delle organizzazioni criminali, dunque, è
necessario rivedere le norme e potenziare gli organici negli uffici giudiziari più esposti.
E' più di un allarme quello suonato dal plenum del Consiglio superiore della magistratura, che
nelle ultime sedute prima del cambio di consegna con i nuovi componenti, ha approvato
all’unanimità una risoluzione messa a punto dalla X commissione (relatore Gioacchino Natoli),
che si occupa delle questioni di criminalità organizzata. Commissione, peraltro, che dalla
prossima consiliatura non esisterà più, venendo assorbite le sue competenze dalle altre
commissioni.
La decisione di riorganizzare il loro numero, prerogativa del presidente della repubblica in
qualità di presidente del Csm, presa per una maggiore razionalizzazione del funzionamento
del consiglio, ha sollecitato critiche da parte del presidente Giovanni Di Cagno (laico Ds).
"Comprendo l’esigenza di assicurare la funzionalità del consiglio. stante il numero ridotto dei
consiglieri (a seguito della recente riforma elettorale, ndr)", ha spiegato Di Cagno. "Tuttavia
la sua soppressione rischia di rappresentare un segnale di caduta di attenzione rispetto a un
problema così rilevante". Quanto alla risoluzione, rappresenta la sintesi di un lavoro di analisi
di tutte le segnalazioni raccolte dalle procu re, dalle direzioni distrettuali antimafia e da
esperti del settore, come sottolinea lo stesso Natoli, i dati più preoccupanti sono due: il
malfunzionamento delle misure di prevenzione patrimoniale e della normativa antiriciclaggio.
"Lo stato si illude di aver previsto scudi allo strapotere mafioso, ma purtroppo non è così",
ammette Natoli. Le procedure burocratiche, infatti, impediscono un sequestro immediato
dopo la confisca dei beni mafiosi, a tutto vantaggio dei boss. Serve "un largo intervento
legislativo" che renda meno farraginoso il procedimento per arrivare alla effettiva
appropriazione da parte dello stato dei beni mafiosi (di solito passa un tempo lungo almeno
quattro-cinque anni, sette dalla data di sequestro). Più complesso il discorso sul riciclaggio, il
cui impatto sull’economia ha un effetto devastante solo se si considera che, secondo le
ultime stime del Fondo monetario internazionale, l’economia criminale muove circa 500 mld di
dollari. "Il riciclaggio rimane nel suo complesso una realtà polivalente, che tuttora è spesso
trattata in maniera non adeguata", spiega il Csm. "Esso non è infatti fenomeno in cui possa
pensarsi di esaurire l’azione di contrasto nel campo della sola normazione e
dell’investigazione ".
La risoluzione da conto di una situazione nella quale da una parte ci sono le carenze di uno
stato che arranca con la riforme e dall’altra c’è una mafia sempre più capace di diversificare
i rami di attività e scegliere canali di pressione nuovi.
TUTTO ESAURITO NELLE CARCERI ITALIANE
Le carceri italiane sono ormai al tutto esaurito e si pensa a una limitazione controllata degli
ingressi. Gli ultimi dati ufficiali risalenti al 30 giugno 2002 parlano di 56.277 detenuti contro
una capienza regolamentare di 42.212. 14 mila persone vivono in condizioni di disagio. La
questione del sovraffollamento, però, non è ancora al centro dell’agenda politicoparlamentare. Dell’intero arco di proposte di legge pendenti alle camere solo una affronta
specificatamente la questione del sovraffollamento. Il proponente è Publio Fiori (An) che in
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (8 of 19)28-02-2008 9:30:02
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un disegno di legge composto di un solo articolo prevede che si debba determinare con
decreto interministeriale della giustizia e della salute il numero massimo di detenuti per ogni
singola cella, tenuto conto della capienza regolamentare di ciascun istituto penitenziario e
delle diverse esigenze dei detenuti. E’ inoltre prevista una sanzione penale a carico dei
direttori di carcere se tale limite dovesse essere superato. Ovviamente si intuisce il
carattere provocatorio di una simile proposta che di fatto autorizza i responsabili degli
istituti penitenziari a mettere alla porta carraia il cartello "tutto esaurito". La proposta
però, seppur ancora non discussa, pone seriamente un problema che altri paesi europei hanno
già affrontato. In Norvegia, per esempio, ogni anno viene programmato il flusso di detenuti
che il sistema carcerario può contenere, e per i soprannumero vi è l’iscrizione in una vera e
propria lista di attesa.
Fra le proposte pendenti in parlamento che hanno oggetto il sistema penitenziario è da
segnalare quella del senatore Furio Gubetti (FI) che vuole separare rigidamente nelle carceri
gli autori di reati violenti da quelli che hanno commesso crimini, non contro la persona, a
tutela di questi ultimi, così da consentire un diverso trattamento rieducativo.
In realtà si tratta di separazioni che la situazione penitenziaria odierna non consente proprio
per l’elevato affollamento carcera-rio. Inoltre sul tema in questione i pareri sono molto
discordi. Per alcuni mettere i truffatori insieme ai truffatori potrebbe solo favorire scambi
di informazioni e crescita professionale reciproca.
Fra le proposte di provenienza governativa due meritano menzione. Esse sono di segno
opposto. La prima, di natura repressiva, se approvata, inciderebbe negativamente sul sovraffollamento in quanto prevede che gli ultradiciottenni-infraventunenni oggi reclusi negli
istituti per minori verrebbero trasferiti automaticamente nelle carceri per adulti.
La seconda, invece, presentata dal guardasigilli il 19 aprile 2002, cerca di rimediare alle
frequenti condanne della Corte europea sui diritti umani in tema di diritto alla riservatezza
della corrispondenza epistolare dei detenuti. Introduce rigorosi obblighi di motivazione alle
norme che prevedono la censura, tempi massimi di applicazione del provvedimento e divieto
assoluto di censurare posta diretta agli organismi internazionali che si occupano di diritti
dell’uomo.
Fra le proposte a oggi pendenti alle camere quella più vicina all’approvazione è la MaritatiFassone (DS) che, per sburocratizzare il lavoro degli uffici di sorveglianza, trasferisce la
competenza sulla liberazione anticipata dal tribunale al singolo magistrato. La proposta, già
approvata dal senato e dalla Commissione giustizia della camera prevede inoltre la possibilità
di accedere alla liberazione anticipata (45 giorni ogni semestre di pena scontata) anche agli
affidati in prova al servizio sociale. Considerato che in questa condizione oggi si trovano
migliaia di persone, l’estensione è particolarmente significativa, anche perché avrà efficacia
retroattiva.
L’ultimo, pacchetto di proposte può essere diviso fra quelle che tendono a restringere le
maglie del carcere e quelle invece di impronta più liberale. Piero Fassino (DS) e Gavino Angius
(DS) sono i primi firmatari di un ddl che introduce il regime di massima sicurezza. Non è
altro che la riformulazione di una vecchia proposta dello stesso Fassino, allora guardasigilli.
Vengono istituzionalizzati e resi permanenti circuiti di massima e speciale sicurezza che si
andrebbero a sostituire all’attuale temporaneo 41 bis.
Anche la proposta del senatore Renato Cambursano (Margherita) ha un’impronta repressiva
e, così come lui sostiene nella relazione introduttiva, vorrebbe rendere più effettiva la pena
attraverso restrizioni alla tanto criticata legge Gozzini.
Infine due ddl chiaramente ispirati da finalità garantiste. Paolo Cento (Verdi) prevede
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estensioni all’affidamento in prova al servizio sociale e alla liberazione anticipata (che
passerebbe da 45 a 60 giorni a semestre), Giuliano Pisapia (Prc) che ripropone l’istituzione
del difensore civico delle persone private della libertà personale e la possibilità per i
detenuti e le detenute di avere incontri intimi con i propri cari, la cosiddetta affettività in
carcere.
IL MAGISTRATO CHE TRATTAVA I DETENUTI COME UOMINI
Non poteva mancare un saluto di gratitudine al magistrato Alessandro Margara che a fine
giugno è andato in pensione. Crediamo con ciò di interpretare il pensiero di tutti i detenuti e
di quelle persone che, ognuno nel proprio ruolo e rapporto, hanno apprezzato e condiviso il
suo impegno per una giustizia "giusta", per l’apertura delle sue idee e delle carceri, per il
rispetto e l’attenzione che ha sempre rivolto alla condizione dei detenuti. Sappiamo che non
verrà meno il suo impegno e che potremo ancora contare sulla sua esperienza preziosa, sui
suoi consigli e la sua ricchezza umana. Sappiamo che ha accettato la Presidenza della
fondazione Michelucci, per la quale gli facciamo tanti auguri di buon lavoro. Tra i vari scritti
che hanno voluto salutare Margara riportiamo quello del suo amico e collega Beniamino
Deidda (procuratore della Repubblica di Prato).
Il 24 giugno scorso Sandro Margara è andato in pensione. La storia del maggior esperto di
diritto penitenziario che ci sia in Italia comincia quando la magistratura di sorveglianza
ancora non esisteva, fu allora che Margara inventò di sana pianta un nuovo mestiere: quello di
Magistrato di Sorveglianza, senza dilettantismi come è suo costume, creando prassi solide
che aprivano la strada alle leggi future. Quando la legge istituì i Tribunali di sorveglianza
Margara era già un veterano; affidargli la presidenza fu del tutto naturale, quasi un diritto
acquisito. Da allora egli è per tutti "Il Presidente". Il segno della sua presenza nell’universo
del carcere fu subito deciso e nuovissimo.L’apertura delle sue decisioni contribuì a creare
un’aria di novità e di speranza che il carcere non viveva da tempo. Girava in quegli anni la
storiella che molti detenuti si facevano trasferire in Toscana, perché a, Firenze c’era un
giudice diverso dagli altri; poi scoprimmo che era vero. La sua popolarità fra i detenuti è
altissima, il segreto sta nel fatto che non ha concesso loro altro che quello che era
necessario a salvaguardarne la dignità di uomini. In tanti anni Sandro ha attraversato la
dolente schiera dei carcerati senza blandirli, senza temerli, con una fermezza mite che ha
indotto i detenuti a pensare che quello, finalmente, era un Uomo. Perché li trattava da uomini
come impongono la Costituzione e le leggi. Nel carcere, dove facilmente gli uomini diventano
numeri, Margara si è rifiutato di "incasellare" gli uomini. Appena pochi giorni fa, parlando con
amici, diceva che incasellare significa tagliar via fette di umanità e gli pareva che la cosa più
grave fosse l’indifferenza del carcere. "Il carcere inutile", come lo definiva lui stesso, che
contiene persone senza stabilire relazioni con esse, con le loro esistenze e i loro destini.
Voleva, al contrario, un carcere che credesse nella emancipazione possibile dell’uomo. Perché
questa è la scommessa e l’impegno di una società civile: "farsi carico del detenuto,
interessarsi di lui, cambiare le oggettive condizioni del suo agire". Proprio per questo licenze,
permessi, misure alternative erano concessi con la bussola della Costituzione e il coraggio
profetico di chi anticipa i tempi. Una volta lo sottoposero a procedimento disciplinare, lui uno
dei padri della legge Gozzini, accusandolo di averla male applicata. Il procedimento è stata
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l'occasione per insegnarci non solo come si trattano i detenuti ma anche come un giudice
debba applicare le leggi dello Stato.
Un uomo cosi è difficile che piaccia ai politici, ma il Mnístro Flick capì che, se voleva
riformare le istituzioni penitenziarie, non avrebbe potuto farlo senza Margara. Il Presidente
arrivò a Roma e in pochi giorni fece la rivoluzione: niente burocrazia, semplicità di modi,
intuizioni geniali sostenute con fermezza. Per i burocrat iera davvero troppo stava buttando
all’aria tutto ciò che di vecchio c’era nel Dipartimento. Dopo poco più di un anno il nuovo
ministro Diliberto lo licenziò in tronco; si era convinto che un Direttore così non poteva
tenerselo, a dimostrazione che non basta essere di sinistra per vedere lontano. Margara
tornò a Firenze e scelse di fare il semplice Giudice di Sorveglianza. Non voleva lasciare la sua
trincea del carcere, non voleva smettere di chiedere al carcere di essere utile e di restituire
dignità agli uomini. Non so se nei prossimi settant’anni Margara si occuperà a tempo pieno di
carcere. Sarebbe una buona cosa, perché abbiamo bisogno della semplicità profonda e della
genialità delle sue intuizioni. Ma soprattutto è il carcere ad averne bisogno. Chissà se la
notizia della pensione di Margara provocherà la rivolta nelle carceri italiane. Se succederà,
l'uomo giusto per domarla è proprio lui. Come è già accaduto, affronterà i detenuti senza
minacce, senza ultimatum e senza megafono. E per ore e ore dirà loro quasi nulla, salvo poche
parole alla buona che sanno di casa e di famiglia.
Nessuno più dei detenutì sente il bisogno di casa e di famiglia. Alla fine cederanno per
stanchezza e torneranno in cella. Convinti, per sovrappiù, di aver fatto una buona azione.
GIUSTIZIA SENZA VENDETTA
Il Centro di Servizio per il Volontariato di Modena, Nell’ambito del progetto "Il Girotondo.
Quando darsi una mano è importante" presenta il seminario pubblico "Giustizia senza
vendetta" a Modena il 28 Novembre 2002 alle ore 17.30 presso la Sala Riunioni dell’Istituto
Barozzi. Interverranno Luciano Eusebi (docente di diritto penale all'università cattolica di
Piacenza ) "Il diritto ed il concetto di pena" - Che cos’è oggi la pena? Che senso e che
funzione ha? Quali sono gli strumenti per applicarla? Quale rapporto tra la comunità
territoriale/ locale e la pena? e Livio Ferrari Presidente della Conferenza Nazionale
Volontariato Giustizia) "Il ruolo del volontariato giustizia. - Qual è oggi il ruolo del
volontariato- giustizia? Che senso ha fare volontariato? Che senso ha la formazione dei
volontari? Qual’è il senso del lavorare in rete tra volontari?
Scopo del convegno è proporre alla cittadinanza una riflessione sul tema della giustizia, sul
senso della pena e delle diverse esperienze di volontariato del settore penitenziario. Nonchè
promuovere il corso di formazione "Corso per volontari del settore giustizia" previsto
nell’ambito del progetto "Il Girotondo", rivolto ai volontari o aspiranti volontari del settore
penitenziario.
VERSO UNA CARTA ETICA PER IL CARCERE
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Notizie in breve
La Fondazione Lanza di Padova, in collaborazione con l'università di Padova e il gruppo
operatori carcerari volontari, ha organizzato il 18 ottobre scorso all'aula Nievo del Palazzo
del Bo a Padova una tavola rotonda dal titolo "Verso una carta etica per il carcere, temi e
domande". All'incontro hanno partecipato, tra l'altro, Pier Cesare Bori (università di
Bologna), Ettore Ziccone (provveditore carceri del triveneto), Gabriella Caramore (gionalista
Rai), Giuseppe Mosconi (università di Padova), Mauro Palma (CPT), Luciano Eusebi (Università
di Piacenza), Livio Ferrari (Volontariato Giustizia), Ornella Favero (Ristretti Orizzonti),
Vittorio Trani (cappellano Regina Coeli) e Elisabetta Palermo (università di Padova). La
proposta della carta etica si inserisce nelle giornate di studio che hanno avuto per
argomento "l'altra città". La persona ristretta tra etica e diritto. Il ciclo di incontri è nato
come esigenza di confronto e di più ampia riflessione per approfondire il concetto di persona
quale soggetto di ogni intervento, anche nell'istituzione penitenziaria, e per capire come
nella stessa sia possibile garantire la dignità e i diritti di ogni essere umano. In questi
incontri più allargati, che hanno coinvolto le persone recluse insieme a operatori e volontari,
sono emersi stimoli e importanti indicazioni per interrogarsi su temi e problemi fondamentali
dell'agire umano, base per la comprensione e l'applicazione della norma che impone un dovere
o riconosce un diritto. Affrontare questo spazio pre-giuridico costituito dalle motivazioni
morali è lo scopo della riflessione che è stata sviluppata. Essa riguarda sia la persona del
detenuto, chiamato a confrontarsi sui valori comuni, in un processo di autofor-mazione che lo
aiuti a riscoprire la propria identità e peculiarità, come individuo e nella relazione con gli
altri, sia la società civile, chiamata a stabilire un dialogo con l'altra città attraverso quanti
già operano a vario titolo nel settore, ma a cnhe a recepire nella dimensione più intimamente
umana i problemi del mondo carcerario.
Informazioni: Fondazione Lanza - Pd - tel 0498756788 [email protected]
LA PROTESTA DI 50 PENITENZIARI
Le carceri scoppiano e i detenuti protestano. Gli ultimi dati sulla popolazione detenuta
riferiscono che nelle carceri italiane vi sono 15 mila persone in più rispetto ai posti letto
regolamentari. Una condizione di sovraffollamento mai vissuta negli ultimi anni. Per questo
nel mese di settembre in quasi 50 carceri è partita una protesta dei detenuti che,
attraverso manifestazioni pacifiche, hanno presentato la loro piattaforma sulla giustizia. Al
primo punto vi è nuovamente la richiesta di un provvedimento di clemenza. La battaglia per
l’amnistia e l’indulto, iniziata durante il Giubileo del 2000, ora riparte. I detenuti chiedono
anche un ampliamento della liberazione anticipata, il passaggio di competenze della sanità dal
ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale, l’abrogazione degli articoli 4 bis e 41
bis dell’ordinamento penitenziario. La protesta si è estesa a macchia di leopardo, da Bari a
Milano passando per Roma. In qualche caso, (Trieste) sono stati esposti striscioni proamnistia fuori dal carcere. Anche le associazioni di volontaliato si sono associate alla
protesta ed hanno organizzato iniziative di sensibilizzazio-ne pubblica.
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MENO SOLDI PER LA SALUTE DEI DETENUTI
Una riforma rimasta tutta, o quasi, sulla carta e che ha finito con l’innescare una progressiva
riduzione dei fondi per l’assistenza sanitaria ai carcerati. A oltre tre anni dall’entrata in
vigore, il Dlgs 230/99 - che stabiliva il passaggio delle competenze sulla salute dei detenuti
dall’amministrazione penitenziafia alle Asl, con l’obiettivo di garantire ai reclusi gli stessi
standard di cure assicurati a tutti gli altri cittadini - non è stato applicato e ha creato una
"confusione normativa" in materia di competenze e responsabilità che si è tradotta in una
diminuzione dei fondi per la medicina penitenziaria dell’11,4% medio procapite tra il 1999 e il
2002. In valori assoluti il finanziamento per la sanità carceraria si è ridotto dello 0,45%
rispetto al 1999 (ma ben del 9,85% rispetto al 2001): la situazione è, però, allarmante
perché oggi i fondi devono essere suddivisi tra 56mila detenuti, ben 6mila in più rispetto a
tre anni fa.
E il trend non sembra destinato a invertirsi, visto che l’amministrazione peniten-ziaria parla
di una "razionalizzazione" che richiede tagli agli stanziamenti in bilancio di circa il 14 per
cento. Dopo la riforma del 1999 - spiegano all’Ufficio Servizio sanitario del Dipartimento
amministrazione penitenziaria (Dap) - si è pensato sempre meno a finanziare la Sanità
penitenziaria, nella convinzione che a farsene carico sarebbe stato il Ssn. Ma la scarsità dei
fondi a disposizione (circa 79,72 milioni di euro nel 2002, per una quota capitaria di 1.587,35
euro, 260 in più circa di quella assegnata dal Ssn) ha spaventato le Asl che si aspettavano
trasferimenti ben più sostanziosi. Per questo molte aziende hanno scelto una politica
"attendista", con il risultato di lasciare la popolazione delle sovraffollate carceri italiane in
una sorta di limbo. E la mannaia del risparmio è calata soprattutto su alcune voci. Il personale
sanitario, ad esempio, che per l’amministrazìone peniten-ziaria lavora tutto in base a
convezioni biennali. La spesa per gli specialisti è calata in media del 35,5% dal 1999 al 2002,
mentre riduzioni minori hanno subito la guardia medica (-8,5%) e l’assistenza infermieristica
(-0,2%). Non tutte le riduzioni, però, sono frutto di tagli. Qualcuna è dovuta anche a vere
razionaliz-zazioni. Sui farmaci a esempio - spiega il Dap - c’è stata una spesa minore grazie
all’introduzione dei generici. E in alcune Regioni si è deciso di garantire ai detenuti, esenti
dal ticket per legge, anche le medicine di fascia C (che fuori dal carcere sono a totale carico
dei cittadini) e i costosissimi antiretrovirali per la terapia anti Hiv e ai disabili: reparti ad
hoc sono stati aperti a Milano Opera, Secondigliano, Genova e Rebib-bia, mentre in altri
istituti sono state create strutture riabilitative su misura.
Una riforma in stand by, quindi, che porta serie conseguenze per l’assistenza sanitaria in
carcere. Dove tossicodipendenze, malattie infettive e patologie mentali - tra le più "costose"
e lunghe da curare - sono all’ordine del giorno.
Colpa della "mancata o tardiva attuazione" delle norme per il trasferimento al Ssn di
personale e strutture sanitarie dell’amministrazione penitenziaria e delle "diffidenze e
naturali resistenze di alcuni operatori di entrambe le amministrazioni", spiega la relazione
finale del Comitato per il monitoraggio e la valutazione della sperimentazione regionale del
Dlgs 230/999, trasmessa a luglio ai ministri di Giustizia e Salute. E per questo il Comitato
chiede un prolungamento della sperimentazione che giudica "prioritaria e urgente, sia per le
aspettative dei detenuti e delle famiglie" sia per quelle "del personale coinvolto, che vede nel
trasferimento un obiettivo di qualificazione professionale".
Intanto, però, al ministero della Giustizia già si pensa a una revisione del Dlgs 230/1999 e si
stanno svolgendo incontri congiunti con la Salute ‘Per raggiungere un diverso obiettivo: non il
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trasferimento, ma 1’"integrazione" dell’assistenza sanitaria in carcere. In sostanza, dove
l’amministrazione penitenziaria riesce ad arrivare con le sue competenze non c’è bisogno
dell’Asl, che, invece, interviene nei casi in cui si rende necessario un intervento a più alta
specialità. Insomma - sottolineano all’ufficio servizio sanitario del Dap - la parola d’ordine
della nuova riforma sarà "collaborazione".
LE CURE DIETRO LE SBARRE EVITANO I CONTAGI DA LIBERI
Utilizzare la detenzione come momento di screening e di educazione sanitaria per patologie
importanti come tossicodipendenza, Hiv, epatite e tubercolosi. E' la proposta lanciata da
Sergio Babudieri, infettivologo dell’Università di Sassari e medico penitenziario e da Giulio
Stamini, dell’Unità operativa di malattie infettive dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, anche lui
medico penitenziario. L’idea nasce dai primi risultati di una maxi-indagine epidemiolo-gica in
corso presso 14 penitenziari italiani che i due medici hanno presentato al congresso nazionale
della Società italiana di malattie infettive e tropicali di Cernobbio.
Obiettivo dello studio: verificare se i dati ufficiali sulla prevalenza delle principali malattie
infettive tra i detenuti sono realistici e, soprattutto, disegnare strategie di intervento che
possano utilizzare gli obblighi legati alla detenzione come momenti di tutela per la salute dei
detenuti.
Quattro i dati di partenza. I detenuti tossicodipendenti sono il 30% della popolazione
carceraria. I detenuti stranieri sono aumentati in dieci anni dal 15 al 35 per cento. I test di
screening per l’Hiv eseguiti tra i detenuti sono diminuiti dal 50% del 1991 al 35-37% del
2001. I sieropositivi rilevati nel 1990 erano il 10% dei carcerati, mentre nel 2001 sono il
2,5% circa: un calo dovuto proprio alla riduzione degli accertamenti.
L’indagine non è ancora stata completata, ma i primi dati indicano già precise tendenze.
"Finora è "rientrato" il 60% delle schede - spiega Babudieri - ma i risultati sulla tendenza già
ci sono. Il test per l'Hiv è stato esteso nell’indagine al 72,5% della popolazáone contro il 35%
di routine. E sul 27% dei campioni gia analizzati la positività all’Hiv è stata rilevata in circa il
12% dei casi, leggermente inferiore a quanto accertato nelle singole carceri: un risultato che
fa pensare se confrontato con quello deitest svolti dall’amministrazione peniteriziaria".
Insomma, se il dato sarà confermato, bisognerà mettere subito a punto nuove strategie e
incrementare gli screening ufficiali sulle condizioni di salute della popolazione carceraria,
visto che la non conoscenza della condizione patologica aumenta il rischio di contagio.
In sostanza - secondo Babudieti -bisogna "investire" sull’educazione sanitaria dei detenuti e
l’amministrazione penitenziaria centrale deve fare in modo che ogni carcere offra la
possibilità di sottoporsi ai test. I risultati di una tale operazione,per l’infettivologo,
sarebbero positivi non solo in ambito carcerario: moltissimi tossicodipendenti oggi liberi, per
esempio, sono passati dal carcere. Se fossero stati sensibilizzati ed educati si avrebbe una
riduzione significativa del rischio. "Le strutture sanitane sono impotenti di fronte alla
libertà delle persone di scegliere se proseguire correttamente una terapia" sottolinea
Babudieri."La sommistrazione dei farmaci anti Hiv in carcere è controllata, mentre
all’esterno è spesso interrotta o proseguita saltuariamente. E il risultato è un nulla di fatto
dal punto di vista degli effetti e un aumento della resistenza dei virus alle terapie". Per non
parlare della spesa "inulile" sostenuta dal servizio pubblico per terapie che vengono
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interrotte e non hanno dunque alcuna efficacia. Anche per le altre infezioni monitorate il
risultato è analogo. Per il virus Hhv8 (un virus erpetico sessualmente trasmesso e correlato
al sarcoma di Kaposi), a esempio, la positività è circa del 20% e di questi soggetti il 7% è
positivo anche all’Hiv per via del contagio sessuale.
Per la tubercolosi, la positività (cioè, l’essere venuti a contatto con il virus, non
necessariamente l’averlo contratto) passa dal 20,4% del 1999 al 27,8% del 2002. "In
sostanza - spiega Babudieri - saremmo in presenza di una positività che nelle carceri è in
media del 25% contro il 4% registrato a livello nazionale. Ma anche in questo caso è una
questione di rilevazione".
RIFORMA AL PALO
Dovevano essere il "laboratorio" dove testare concretamente un nuovo modello di assistenza
sanitaria ai detenuti e fare da apripista al resto del Paese, e invece anche le sei Regioni che
hanno applicato in via sperimentale il Dlgs 230/99 navigano ancora in alto mare. Lazio, Puglia
e Toscana (individuate già nel decreto del 1999), cui si sono aggiunte in corsa Emilia
Romagna, Campania e Molise avrebbero dovuto inventare e proporre modelli concreti per
realizzare quel passaggio di competenze dall’amministrazione carceraria alle Asl voluto
dall’allora Governo di Centro-sinistra per eliminare le differenze tra i servizi sanitari a
disposizione dei detenuti e quelli assicurati al resto dei cittadini.
Ma dal 1999 a oggi sono cambiati i Governi e con essi la volontà di dare attuazione alla
riforma, tanto che all’avvicinarsi della scadenza prevista per le sperimentazioni (fissata al 30
giugno scorso) quasi tutte le Regioni coinvolte (che da sole "ospitano" quasi la metà della
popolazione carceraria italiana) hanno scritto ai ministri della Salute, della Giustizia e del
Tesoro chiedendo con urgenza indicazioni operative sui destini della riforma e chiarimenti
sulle responsabilità, in primo luogo quelle finanziarie. La confusione normativa e la mancanza
di decreti attuativi - lamentano le amministrazioni locali - rischia di rendere impossibile la
prosecuziorie della sperimentazione e anche di vanificare gli sforzi fin qui fatti.
Ecco, ad ogni modo, una sintesi degli interventi messi in campo dalle Regioni campione in
questi quasi due anni di sperimentazione, e l'evidenza "del caso" risulta palese..
Toscana. La Regione e il Provveditorato regionale del1'amministrazione penitenziaria(Prap)
hanno firmato un protocollo di intesa per l’interazione tra Asl e istituzioni carcerarie. Per
l’assisten za ai detenuti tossicodipendenti, ad esempio, è prevista l’istituzione di Sert
"integrati" composti da operatori delle aziende sanitarie e operatori carcerari; sono state
inoltre diffuse linee-guida per i trattamenti farmacologici e avviati progetti di formazione
per chi lavora a contatto con i carcerati. E' poi previsto che i dipartimenti di salute mentale
delle Asl assicurino una presenza all’interno delle carceri.
Emilia Romagna. Anche qui lo strumento adottato per la sperimentazione è un protocollo di
intesa tra Prap e assessorati alla Salute e ai Servizi sociali. Progetti specifici - con
finanziamenti regionali ad hoc - sono stati avviati nel campo dell’informatizzazione delle
cartelle cliniche e delle gestione dei farmaci e per la formazione di "mediatori culturali"
incaricati di facilitare i rapporti con i detenuti extracomunitari.
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Campania. La Regione ha scelto di varare un vero e proprio "progetto obiettivo", in base al
quale i direttori degli istituti di pena e i manager delle Asl competenti per territono
dovranno fissare con specifici accordi le modalità di assistenza ai carcerati, secondo tre
modelli proposti. Per i penitenziari più grandi (con oltre 700 detenuti) dovrà essere creato
un "dipartimento strutturale", dotato di autonomia, di personale specifico e di un budget per
le cure ai detenuti.
Lazio. La Regione non ha adottato provvedimenti di portata generale, ma nella relazione
finale della sperimentazione si è limitata a riassumere il quadro epiderniologico delle carceri
e a ricordare alcune interessanti iniziative in corso di realizzazione, dedicate soprattutto ai
tossicodipendenti: presso il carcere di Rebibbia, per esempio, è stato attivato un day
hospital penitenziario con oltre 40 posti letto e una sorta di comunità di recupero "a
custodia attenuata".
Puglia. E' ancora in fase di redazione un progetto-obiettivo regionale per la tutela della
salute in carcere. Sono in fase più avanzata, invece, i lavori per l’integrazione tra i Sert delle
Asl e gli istituti di pena.
Molise. Prap e Regione hanno adottato un protocollo d’intesa che fissa i principi per
l’assistenza ai detenuti, mentre si sta lavorando a un Progetto obiettivo che traduca i
principi in indicazioni concrete.
BUCO NERO PER I DIRITTI UMANI
Anche quest’anno giunge puntuale il pre-rapporto semestrale di Amnesty International sulle
violazioni dei diritti umani in Italia. L’attenzione è stata principalmente focalizzata sugli
eventi di Napoli e di Genova, sullo stato delle inchieste e la loro dimensione internazionale. Il
rapporto, come sempre curato dalla sezione londinese di Amnesty, ricostruisce quanto
accaduto negli ultirni mesi sul versante dei diritti fondamentali della persona, solleva dubbi e
preoccupazioni, propone suggerimenti e sollecita risposte da parte del governo italiano.
Violazioni dei diritti umani a opera delle forze dell’ordine.
Durante e dopo il 3° Global forum sull’e- government, Napoli marzo 2001
In primo luogo si dedica attenzione alle violenze di Napoli e alla conseguente inchiesta della
procura della repubblica partenopea che ha visto coinvolti numerosi agenti di polizia per i
presunti maltrattamenti occorsi durante una manifestazione anti-globaliz-zazione svoltasi
nel marzo 2001. Il rapporto di Amnesty descrive un "allarmante quadro di diffusi abusi e
violazioni degli standard internazionali sui diritti umani perpetrati da agenti delle forze
dell’ordine". Anmesty si è rivolta direttamente al ministro degli interni, che, rispetto agli
asseriti non appropriati ricorsi all’uso della forza ... o rispetto all’impiego non corretto dei
reparti di polizia ha risposto che vi è un’indagine penale in corso (l’indagine di cui si parla è
quella che ha portato all’arresto di otto agenti di polizia). Risposta ritenuta del tutto
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (16 of 19)28-02-2008 9:30:02
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insoddisfacente da A.i. in quanto "inadeguata rispetto alla richiesta di un’indagine
amministrativa esauriente condotta da una commissione d’inchiesta indipendente". Per meglio
capire la gravità dei fatti occorsi va ricordato che tra le imputazioni più gravi vi sono quelle
di aver trasferito illegalmente e indiscriminatamente in un centro di detenzione decine di
persone prelevate dagli ospedali; di aver impedito agli arrestati di comunicare con le
farniglie e di godere dell’assistenza legale; di averli sottoposti a umilianti perquisizioni
corporali, con schiaffi, calci, pugni, intimidazioni, minacce e altri maltrattamenti; di averli
costretti a restare per lunghi periodi inginocchiati faccia al muro e con le mani dietro la
testa; di aver danneggiato oggetti appartenenti agli arrestati e di aver illegalmente
confiscato rullini, macchine fotografiche, videocamere, telefoni cellulari e altri oggetti allo
scopo di occultare i presunti reati commessi dagli agenti durante gli scontri di piazza, dei
quali i materiali fotografici avrebbero potuto costituire prova.
Durante e dopo il summit G8, Genova, luglio 2001
Rispetto ai fatti occorsi a Genova nel luglio 2001 Amnesty lamenta di non avere ancora
ricevuto risposta a due lettere inviate un anno prima al governo nelle quali si esprimevano
preoccupazioni sul trattamento violento subito dai dimostranti. In particolare per le violenze
intervenute a Genova A.i. ha richiesto l’attivazione di una commissione di inchiesta
indipendente.
Razzismo e intolleranza
Amnesty cita il secondo rapporto sull’Italia della Commissione europea contro il razzismo e
l’intolleranza nel quale vengono descritti "controlli discriminatori, impiego di lessico
ingiurioso e offensivo, maltrattamenti e violenze tra cui, in alcuni casi, uso illegale di armi da
fuoco". Viene ribadito che gli stranieri e i rom sono a forte rischio di maltrattamenti, in
particolare in occasione delle operazioni di fermo o di arresto. Viene lamentata la scarsa
trasparenza, se non addirittura l’assenza, di inchieste amministrative che colpiscano i
responsabili di tali atti violenti e discriminatori.
Missione urgente del relatore speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dì giudici e
avvocati
Viene ricordata la missione del relatore speciale dellOnu sull’indipendenza di giudici e
avvocati, il quale, al termine della sua visita ispettiva, ha espresso preoccupazioni rispetto
allo stato di diritto nel nostro paese: "E' necessario trovare unequilibrio fra una giustizia
lenta e macchinosa da un lato e un potere politico troppo conflittuale nei confronti della
magistratura dall’altro".
Tribunale internazionale penale per il Ruanda
Un prete cattolico residente in Italia si è di recente consegnato ad Arusha ai giudici
internazionali dichiarandosi colpevole rispetto alle accuse di, genocidio. Pochi mesi prima
l’italiano si era rifiutato di eseguire un mandato internazionale di arresto nei confronti del
sacerdote.
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A SAN VITTORE ARRIVA L'ORA D'INGLESE
"Il problema principale dei detenuti delle carceri è come trascorrere il tempo in una
condizione di apatia e d’inquietudine che aumenta ogni giorno". Parola di Federico Stella,
docente di Diritto penale in Cattolica. Il giurista, da sempre attento alle condizioni di vita
nelle case circondariali, è tra i promotori di un’ iniziativa di forte valore sociale, promossa
dall’ateneo milanese. Da oggi nelle carceri di San Vittore e Bollate i detenuti prossimi alla
fine del periodo di detenzione e, quindi, al reinserimento in società, possono seguire un corso
di formazione professionale. Il progetto della Cattolica, realizzato in collaborazione con
Metis, società di fornitura di lavoro interinale, si è tradotto in un cielo di lezioni di inglese
finalizzate all’inserimento nel mondo del lavoro a cui hanno partecipato 260 reclusi.
Il corso, partito il 20 maggio e programmato fino al 20 luglio, è stato tenuto dai docenti del
Selda, il Servizio linguistico della Cattolica. Oltre a finanziare il corso, Metis gestisce
l’inserimento di tutti i nomi dei partecipanti nella propria banca dati, per permettere il
successivo contatto con le iimprese.
"L’università - ha sottolineato il rettore Sergio Zaninelli - ha anche il compito di mettere a
disposizione della società le proprie risorse. Abbiamo cominciato noi e speriamo che gli altri
atenei ci seguano". Portare avanti il progetto però non è stato facile: "La maggior parte dei
detenuti resta solo pochi mesi - spiega il direttore di San Vìttore, Mario Pagano - e non è
possibile impostare programmi di recupero. Inoltre contiamo 1.800 persone in una struttura
che dovrebbe ospitarne 1.200. In queste condizioni la prigione diventa una scuola di
specializzazione del crimine in cui si entra per uscire più violenti".
Ma la buona volontà non manca. "Abbiarno chiesto, ai detenuti di scegliere le materie dei
corsi per sfruttare nel modo migliore il periodo di pena", continua Pagano -. E la risposta non
si è fatta attendere: un corso di italiano per soddisfare la richiesta dei numerosissimi
extracomunitari reclusi di San Vittore e un corso di informatica. Saranno proprio queste le
discipline trattate nei prossimi cicli.
I detenuti temono però di non poter mettere in pratica quanto appreso a lezione, visto che al
momento manca il coordinamento tra carcere e aziende. A questo riguardo i responsabili di
Metis hanno assicurato che il 70 per cento dei partecipariti ai corsi di formazione riesce a
ottenere un contratto di lavoro temporaneo. "Quella delle carceri è una realtà di fronte a cui
si preferisce chiudere gli occhi - lamenta il professor Stella - dire che la detenzione ha una
funzione rieducativa non corrisponde alle reali condizioni di vita dei detenuti". In questo va
letto il suo impegno a favore dell’introduzione anche in Italia del sistema di recupero ideato
da Kiran Bedi, ex direttrice del carcere indiano di Tihar, a Nuova Delphi che oggi ha il più
basso tasso di recidiva nel mondo. Si tratta di un metodo basato sulla meditazione Vipassana
e sull’impiego del tempo nel lavoro, nello studio, nelle attività creative e nella ricerca del
proprio equilibrio interiore. Il Vipassana è una tecnica laica e non confessionale che
trasforma la mente umana attraverso la consapevolezza delle sensazioni corporee e delle
emozioni per controllarle e avviare un processo di purificazione totale dall’ansia e dalla
sofferenza.
VOLONTARIATO E FORMAZIONE
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (18 of 19)28-02-2008 9:30:02
Notizie in breve
Il Coordinamento dei volontari della casa circondariale di Rovigo ha organizzato un corso di
formazione "Volontariato e giustizia" per alimentare la presenza del territorio in questo
particolare settore e nel carcere cittadino. Gli incontri si sono succeduti dal 19 settembre al
23 novembre e si sono conclusi con una tavola rotonda "Il volontariato sui percorsi della
giustizia".
La solidarietà, la coscienza sociale della giustizia e una identità territoriale dell'attenzione e
del coinvolgimento sono componenti che ogni società moderna dovrebbe possedere o per
quanto poco perseguire. I ritmi della quotidianità sono talmente accelerati che ci portano
sempre più a selezionare e ad escludere. Un luogo come il carcere già auto-escluso per
connotazione ci spinge sempre più ai margini dell'attenzione collettiva.
Oggi come non mai tutti siamo chiamati ad essere protagonisti nel difficile percorso
controcorrente dell'attenzione, della valorizzazione alle persone che vivono nel dolore,
nell'abbandono e nell'emarginazione, al fine di coltivare la cultura della speranza e della
giustizia sociale. In questa linea si colloca il corso di formazione, perchè è necessario non
fare leva solamente sulla buona volontà ma soprattutto munirsi di solide basi concettuali al
fine di comprendere sempre più i difficili e tortuosi percorsi della legalità.
IL DIFENSORE CIVICO NELLE CARCERI
L'introduzione del difensore civico nelle carceri mette d'accordo maggioranza ed
opposizione. Tanto che in parlamento potrebbero essere maturi i tempi per l'approvazione di
una legge ad hoc. E' quanto emerso nel corso del convegno organizzato dalle associazioni
Antigone e A Buon Diritto a Roma. Il presidente della commissione giustizia della camera ha
assunto l'impegno formale di calendizzare al più presto le proposte di legge al momento
pendenti, che attualmente sono tre. Il difensore civico delle persone private della libertà
personale, a giudizio di Giovanni Conso, è essenziale perchè il carcere è il luogo dove è più
forte il bisogno di tutela dei diritti umani fondamentali.
Tutte le proposte di legge depositate alla camera prevedono che il difensore civico sia un
organo indipendente e autonomo, di nomina parlamentare, con poteri di ispezione, anche
senza preavviso, di ogni luogo di detenzione: carceri, istituti penali per minori, centri di
prima accoglienza, ospedali psichiatrici giudiziari, centri di assistenza temporanea, caserme
dei carabinieri e della guardia di finanza, commissariati di pubblica sicurezza.
Il difensore civico, in sostanza, potrebbe esercitare un'azione di persuasione e di
mediazione rispetto alle autorità interessate. I luoghi di detenzione sono spesso la frontiera
dei diritti e i magistrati di sorveglianza assumono sempre più frequentemente il ruolo di
giudici della pena in concreto, svolgendo con minore intensità le funzioni di controllo. Esiste
quindi uno spazio normativo ed operativo per il difensore civico che, solo in casi eccezionali e
residuali, potrebbe attivare meccanismi di ottemperanza o provvedimenti disciplinari, qualora
le sue raccomandazioni siano colposamente disattese dalle autorità competenti.
Informazioni: Associazione Antigone Onlus - tel. 06.5810299
http://www.volontariatoseac.it/documenti/notizieinbreve6.htm (19 of 19)28-02-2008 9:30:02
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Notizie in breve - Centro Francescano di Ascolto