INDICE 1. Introduzione Pag. 7 2. Metodologia Pag. 9 2.1 La raccolta dei dati Pag. 9 2.2 L’analisi dei dati Pag. 19 3. Risultati qualitativi e quantitativi per aree tematiche Pag. 21 3.1 Il lavoro e i servizi per il lavoro Pag. 21 3.2 La formazione e le agenzie formative Pag. 35 3.3 La famiglia e i servizi per la famiglia Pag. 49 3.4 La casa e i servizi per la casa Pag. 62 3.5 La salute e i servizi socio-sanitari Pag. 70 3.6 Il progetto migratorio, la regolarizzazione e i servizi per la regolarizzazione Pag. 75 3.7 Utilità e funzionamento dei servizi: considerazioni generali emerse dalle interviste Pag. 79 4. Conclusioni Pag. 85 5. Appendice Pag. 87 5.1 Traccia focus group Pag. 87 5.2 Griglia interviste Pag. 89 INDICE 5 6 1. INTRODUZIONE Il fenomeno immigrazione in Italia, negli ultimi anni, si caratterizza sempre di più per la sua vastità e complessità e richiede con crescente urgenza operatori e strumenti in grado di far fronte alle molteplici richieste che il cittadino straniero porta inevitabilmente con sé. Aiutare l’immigrato a costruire e conquistare una cittadinanza sociale soddisfacente significa infatti garantirgli un sostegno non solamente nella fase dell’emergenza e della prima accoglienza, ma in tutto il faticoso percorso di inserimento nella società italiana, a partire dalla regolarizzazione e dalla ricerca della casa e del lavoro, per arrivare all’accompagnamento e all’assistenza nelle aree della formazione, della famiglia e della salute. Questi impegnativi compiti di aiuto e supporto competono ai servizi pubblici e privati che si occupano di immigrazione, i quali spesso, tuttavia, a causa della carenza di risorse e mezzi, faticano a evadere il gran numero di domande, a dedicare a tutti gli utenti un tempo adeguato, a lavorare in rete. L’invio ad altri servizi, infatti, avviene per lo più informalmente, basandosi sulle conoscenze dei singoli operatori: l’immigrato, così, rischia di “perdersi” nei passaggi da un servizio ad un altro o di non riuscire a trovare risposta ai propri effettivi bisogni. Il progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati” prende forma proprio a partire da queste considerazioni, proponendosi di creare una rete di servizi preventivamente selezionati per la loro professionalità nel seguire gli immigrati. La solidità della rete sarà data dall’accessibilità, per gli operatori, ad un comune data base on-line, contenente sia informazioni relative ai servizi stessi, sia informazioni relative agli immigrati, così da poter costruire progressivamente una storia aggiornata dei bisogni dell’utente, con informazioni precise già a disposizione degli operatori di un altro servizio, qualora l’utente vi venisse inviato. A tale data-base si affiancheranno manuali operativi, da utilizzare in rete, su tematiche fondamentali relative alle aree del lavoro, della casa, della formazione, della salute, della famiglia e della regolarizzazione: essi costituiranno un vademecum contenente informazioni precise e aggiornate e saranno disponibili sia in una versione semplificata in lingua straniera, da distribuire agli immigrati, sia in una versione più tecnica e approfondita, ad uso degli operatori. La costruzione del data base e dei manuali, oltre a rafforzare e avviare sinergie tra servizi, mira a velocizzarne i tempi di consultazione e a snellirne le pratiche, così da rendere più efficaci le risposte ai bisogni degli utenti, portando un numero sempre maggiore di essi a dichiararsi soddisfatti delle prestazioni erogate e ad acquisire una cittadinanza sociale solida, nella consapevolezza che proprio quest’ultima è il presupposto fondamentale per l’integrazione. 1 INTRODUZIONE 7 La realizzazione del progetto si snoda in 4 fasi: • una prima fase di ricerca, finalizzata alla raccolta di informazioni e indicazioni per la successiva fase di modellizzazione; • una seconda fase di modellizzazione, dedicata a definire e costruire il modello del data base e dei manuali cui potranno avere accesso gli operatori della rete di servizi per l’immigrazione; • una terza fase di sperimentazione del modello, atta ad implementarlo e a verificarne la validità: vi sarà un costante monitoraggio delle attività svolte dagli operatori degli enti della rete, che inseriranno realmente nel data base i dati del proprio servizio e dei propri utenti; • una quarta ed ultima fase di diffusione dei risultati, mirata ad analizzare a valutare la sperimentazione, condividendo gli strumenti messi a punto durante il progetto con altri enti che si occupano di immigrazione sul territorio lombardo. La presente relazione si pone a conclusione della prima fase, dedicata alle attività di ricerca: la costruzione di un data base e di manuali davvero efficaci, infatti, non può prescindere da una precedente e attenta analisi dell’attuale funzionamento dei servizi e della percezione che di esso hanno gli stranieri. Per raccogliere dunque informazioni relative ai bisogni degli immigrati e all’attuale capacità dei servizi di farvi fronte, sono stati interpellati sia gli immigrati stessi, sia gli operatori, così da avere una panoramica della situazione più completa, perché comprensiva di più punti di vista. 8 1. INTRODUZIONE 2. METODOLOGIA 2.1 LA RACCOLTA DEI DATI I dati sono stati raccolti attraverso l’uso di due strumenti: il focus group con gli operatori di alcuni servizi e l’intervista agli immigrati. 2.1.1 I focus group con gli operatori dei servizi 2.1.1.1 Definizione e obiettivi di un focus group Il focus group è una metodologia di ricerca nata in America durante la seconda guerra mondiale per lo studio della comunicazione di massa, che in parte utilizza le tecniche del colloquio psicoanalitico ed in parte è affine all’intervista. Da alcuni anni si è sviluppata nell’ambito delle ricerche di mercato e in tutta la ricerca psicosociale, trovando ampio consenso anche in Italia. Con Millward (1995) , si potrebbe definire il focus group come un’intervista basata sulla discussione di un gruppo di persone, che produce un particolare tipo di dati qualitativi. Tuttavia, diversamente dalla semplice intervista e più similmente al colloquio psicoanalitico, il focus group permette di innescare una caduta delle resistenze dei partecipanti, attraverso la sua peculiare caratteristica del setting gruppale: interazioni e dinamiche di gruppo consentono infatti una maggior spontaneità, un maggior confronto e di conseguenza una migliore comprensione di problematiche, aspettative e reali opinioni relativamente all’oggetto di discussione. Proprio per questo il conduttore, che guida e modera gli scambi comunicativi, deve possedere specifiche competenze sulla gestione di un gruppo. L'obiettivo perseguibile non è quello di portare il gruppo verso l'assunzione di decisioni, né di ricercarne il consenso su un argomento, bensì di tirare fuori al massimo grado, da ciascun partecipante, le expertise e le opinioni su un argomento specifico attraverso un confronto costruttivo. La discussione ha infatti lo scopo di individuare le opinioni, gli atteggiamenti, i comportamenti delle persone nei confronti di un determinato stimolo (oggetto, evento, situazione, prodotto o servizio), che può essere presentato concretamente o in astratto. Si ha anche l’opportunità di approfondire e spiegare le motivazioni che sottendono alle opinioni enunciate, motivazioni che difficilmente emergerebbero in un sondaggio. Ogni partecipante deve perciò avere la sicurezza non solo di confrontarsi con altri che condividono lo stesso tipo di esperienza, ma di sentirsi libero di esporre il proprio punto di vista, e di sostenerlo, senza alcun tipo di condizionamento. 2. METODOLOGIA 9 Precisando e specificando maggiormente questo macro-obiettivo (la raccolta di informazioni di fondo su un argomento) in sotto-obiettivi ad esso connessi, si può affermare che l’utilizzo dei focus group in un progetto di ricerca è adeguato ogniqualvolta si ambisca a: • ottenere informazioni di fondo su un argomento; • sollevare interrogativi e generare ipotesi di ricerca; • conoscere gli effetti di prodotti, progetti, programmi, servizi, istituzioni, o altri argomenti di interesse; • diagnosticare il potenziale problematico di un nuovo programma, servizio, prodotto; • imparare il linguaggio del target circa il fenomeno di interesse, capirne il codice linguistico, e identificare le distinzioni sottili delle espressioni; • testare in via preliminare il disegno di questionari, e di altri strumenti di ricerca di tipo quantitativo; • facilitare ed aggiungere profondità di analisi all'interpretazione di risultati quantitativi, ottenuti in survey strutturate condotte su vasta scala; • confermare o testare un'ipotesi di lavoro, se piccoli e uniformi gruppi di dati e/o soggetti non confermano in modo sistematico l'ipotesi; • colmare di informazioni un gap (culturale, decisionale, linguistico etc.) tra i decisori e coloro che subiscono le decisioni; • intervistare bambini, adolescenti e persone con un basso livello scolare; • assumere informazioni complesse riguardo motivazioni, attitudini, abitudini, esperienze, conoscenze e aspettative del target; • testare e analizzare gli effetti di campagne di comunicazione; • esplorare il grado di consenso su un argomento; • ricevere quelle informazioni ottenibili soltanto attraverso la tensione prodotta dal confronto diretto tra pareri contrapposti e l'osservazione della comunicazione verbale e non verbale; • scandagliare in profondità un argomento in tempi brevi e a costi relativamente bassi; • ottenere risultati facilmente comprensibili dai ricercatori, e dai decisori cui è rivolto il programma di indagine. • consentire verifiche dirette e sviluppare progettualità conseguenti i risultati. 2.1.1.2 Ruolo dei focus group nella ricerca del progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati” Come ogni tipo di tecnica, i focus group non sono sempre utili: per essere efficaci devono essere inseriti nella strategia giusta per lo specifico obiettivo che si vuole raggiungere, nella situazione adatta e al momento opportuno. Nel caso del progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati”, l’utilizzo di questo strumento si giustifica in virtù della necessità di raccogliere dati complessi e variegati sui servizi per gli immigrati. Consultare direttamente, in un setting di gruppo, i gestori e operatori di tali servizi, permette di ottenere informazioni di prima mano e di sollecitarne il commento, il completamento o la critica da parte degli altri partecipanti. Il focus group è inoltre pertinente perché qui si tratta di indagare non oggetti semplici, ma dimensioni complesse (tutti gli aspetti connessi a casa, lavoro, salute, formazione,…): la metodologia più idonea risulta quindi essere di tipo qualitativo, così da non disperdere la ricchezza e le sfumature delle informazioni raccolte. E’ inoltre 10 2. METODOLOGIA interesse dei ricercatori raccogliere non solo dati concreti, ma anche opinioni, atteggiamenti, motivazioni (riguardo, per esempio, i punti di forza e di debolezza dei loro servizi o l’approccio di rete): variabili soggettive che sarebbe più difficile, appunto, far emergere in così poco tempo utilizzando altri strumenti. L’ascolto diretto degli operatori in gruppo è sembrato infine fondamentale proprio perché essi sono i destinatari finali delle azioni del progetto, il cui fine ultimo è proprio costruire una rete e creare un gruppo di lavoro allargato che comprenda più servizi, così da migliorarne le offerte e l’efficacia. I risultati dei focus group, quindi, costituiranno una parte fondamentale dei risultati della ricerca sia in funzione della costruzione del data base, sia in funzione della raccolta di informazioni da inserire nelle mini-guide. 2.1.1.3 Modalità di gestione Operativamente, è stata utilizzata la metodologia dei focus group tradizionali, condotti su un gruppo di operatori dei servizi per gli immigrati riuniti nella stessa stanza. I servizi di provenienza, che saranno anche i primi sperimentatori del data-base, delle mini-guide e dell’approccio di rete, sono stati interpellati (in funzione dei loro contatti con IAL, ente capofila del progetto) in modo da assicurare, all’interno di ogni focus, la loro rappresentatività rispetto alla “popolazione” lombarda di servizi di riferimento in quel settore. Ogni sessione ha avuto una durata variabile tra le 2 e le 3 ore e si è aperta con un momento introduttivo dedicato alla creazione del patto psicologico tra il conduttore e i partecipanti: presentazione di sé, del progetto (evitando riferimenti diretti al contenuto per non influenzare in alcun modo gli interventi), degli obiettivi del focus e delle aspettative degli organizzatori, ma anche un giro di presentazione dei partecipanti, così da creare un clima relazionale positivo, atto a facilitare il confronto e la discussione. Il conduttore, inoltre, prima di iniziare a introdurre la prima macroarea tematica comunica ai partecipanti l’utilizzo dello strumento di uno registrazione audio (garantendo anonimato e riservatezza rispetto alle informazioni fornite) ed enuncia le regole comunicative da rispettare durante la sessione: essere disponibili a intervenire, non monopolizzare la discussione, rispettare le opinioni altrui anche in caso di disaccordo, mantenere la concentrazione sugli argomenti proposti,…). Successivamente, il conduttore adotta uno stile prevalentemente non direttivo, limitandosi a introdurre le aree di interesse (scandendone anche la durata temporale in funzione del tempo a disposizione), a sollecitare la partecipazione di tutti, a moderare la discussione e, in caso di divagazioni, a ricondurre i partecipanti all’obiettivo, senza tuttavia pilotarne in alcun modo gli interventi. Per ogni sessione, come anticipato sopra, è stata effettuata una registrazione audio, utile ad integrare gli appunti presi da un’apposita figura che affiancava il conduttore, così da avere interamente a disposizione gli interventi più salienti ai fini della ricerca. 2.1.1.4 Caratteristiche dello strumento I focus group sono discussioni semistrutturate nelle quali il conduttore ha il compito di guidare il gruppo a trattare alcune macroaree di interesse. Nel progettare le modalità di attuazione del 2. METODOLOGIA 11 focus, dunque, il ricercatore ha il compito di definire una traccia più o meno strutturata dello svolgimento della sessione e predisporre il tipo di stimoli che saranno eventualmente utilizzati: poiché si tratta di uno strumento di rilevazione di dati di ricerca, la standardizzazione della traccia da seguire nelle varie sessioni presenta notevole importanza. L’impostazione delle aree tematiche da indagare e delle domande da porre nella conduzione dei focus group della ricerca del progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati” è nata a partire dalle esigenze dei ricercatori in merito ai dati stimati come più utili per la costruzione del data base e dei manuali. Tali aree sono state approfondite in tutti i focus group, poiché costituivano le principali linee guida su cui lavorare riguardo a tutti gli argomenti trattati (casa, lavoro, formazione, salute, famiglia). Esse sono le seguenti: 1) tassonomia degli immigrati: si chiede agli operatori se esistono delle categorie “tipo” (definite per bisogni o per caratteristiche) di stranieri che si rivolgono al loro servizio, anche per verificare se vi siano categorie comuni a più servizi; 2) fronteggiamento: si indaga sulle metodologie e sui contenuti degli interventi dedicati a fronteggiare le richieste e i bisogni degli utenti, così da inventariarli e ricavare spunti utili per un miglioramento globale delle prestazioni a livello di rete; 3) anagrafica utenti: si chiede se esista o meno un sistema di registrazione (cartaceo o informatizzato) dei dati anagrafici e/o di altre informazioni relative agli utenti, che finalità abbia e quali siano i dati più importanti tra quelli che raccoglie; 4) aree di sviluppo: vengono scandagliate le opinioni degli operatori circa i punti di debolezza dei loro servizi, le aree da implementare e potenziare, le carenze da colmare; 5) punti di forza: gli operatori sono anche invitati a elencare, al contrario, i meriti e le punte di diamante dei loro servizi, ovvero gli elementi considerati come particolarmente funzionali nell’andare incontro alle esigenze degli utenti e nel risolvere i problemi da loro portati; 6) rete: infine, si indaga sulla situazione attuale del collegamento dei servizi e sulle opinioni degli operatori circa gli obiettivi del progetto, vale a dire circa l’opportunità o meno di costruire una rete di legami più solidi tra i servizi per l’immigrazione. Lo strumento concretamente utilizzato è composto da una decina di domande e si trova allegato nell’ Appendice n. 1. 2.1.1.5 Campione Il campione è costituito da operatori di servizi dedicati all’immigrazione nelle aree del lavoro, della casa, della salute e servizi socio-assistenziali, della famiglia, della formazione. Sono stati coinvolti in tutto 50 operatori. In generale, per quanto attiene all’ampiezza del gruppo di ogni focus group, si suggerisce di contenere il numero di partecipanti tra 6 e 12 circa, per evitare gli inconvenienti che potrebbero derivare sia da un numero troppo limitato (difficoltà a stimolare la discussione, a trattare una gamma ampia di contenuti, ad evitare fenomeni di conformismo e acquiescenza), sia da un numero eccessivo (tendenza dei partecipanti a suddividersi in sottogruppi, a non rispettare i turni di conversazione, a focalizzarsi sui contenuti, a disperdere le informazioni). 12 2. METODOLOGIA In linea con queste considerazioni, sono state condotte 6 sessioni nelle quali il campione era così distribuito e le tematiche così suddivise: • nel focus group sulla famiglia, tenutosi a Milano presso l’Associazione per la Famiglia, vi erano 9 operatori partecipanti; • il focus group sulla formazione, tenutosi a Milano presso l’Associazione per la famiglia, ha avuto luogo con 10 partecipanti; • il focus group sulla casa, tenutosi a Milano presso il CESIL (Centro Solidarietà Integrazione Lavoro della CISL), si è svolto con 5 partecipanti; • il focus group sulla salute e sulla regolarizzazione, tenutosi a Bergamo presso ASSICISL, ha compreso 9 partecipanti; • il focus group sul lavoro tenutosi a Bergamo presso ASSICISL si è svolto con 8 partecipanti; • nel focus group sul lavoro tenutosi a Milano presso il CESIL vi erano 9 partecipanti. Si è deciso di dedicare 2 sessioni alla tematica del lavoro perché ritenuta particolarmente pregnante, in quanto prerequisito per poter ottenere il permesso di soggiorno. Inoltre, l’avvio del progetto ha preso spunto proprio dal già esistente sistema on-line elaborato da Borsalavoro Lombardia, che appunto è incentrato sull’ occupabilità di italiani ed immigrati. A partire da un sentiero già tracciato per i servizi per il lavoro, dunque, il progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati” intende estendere l’esperienza a tutti i servizi per l’immigrazione. 2.1.2 Le interviste agli immigrati 2.1.2.1 Cos’è un’intervista L’intervista è uno strumento self-report molto utilizzato nella ricerca psicosociale, in quanto molto duttile e flessibile e può servire come introduzione per altri strumenti: si tratta di una modalità di raccolta delle informazioni che prevede generalmente un rapporto faccia a faccia tra intervistatore e intervistato e può essere effettuata in tre varianti: l’intervista non strutturata, l’intervista semi-strutturata e l’intervista strutturata o standardizzata. L’intervista non strutturata, detta anche tematica o in profondità, è caratterizzata dal fatto che il ricercatore ha una serie di argomenti da trattare con il soggetto attraverso delle domande aperte, ma la sequenza e la tipologia delle domande non è fissata a priori, bensì dipende dall’andamento dell’incontro: c’è una direttività minima, che consente al soggetto di esprimersi più liberamente, seguendo il ritmo di una conversazione quasi naturale. I limiti di questo approccio sono che la mancata standardizzazione delle domande rende più difficile il confronto tra soggetti intervistati e l’analisi dei dati, che può essere solo qualitativa; inoltre, c’è il rischio che aree tematiche importanti vengano sottostimate o che le domande vengano formulate in modo da indurre una risposta socialmente accettabile. L’intervista semistrutturata, invece, pur essendo anch’essa caratterizzata da domande aperte che prevedono risposte libere e sono soggette ad analisi qualitativa, è maggiormente soggetta a controllo perché tali domande sono sempre uguali e formulate nello stesso modo. L’intervista strutturata o standardizzata, infine, è organizzata secondo uno schema rigido di 2. METODOLOGIA 13 domande, poste dal ricercatore secondo un ordine predefinito. Il modulo o scheda di intervista è molto simile a un questionario poichè prevede quasi esclusivamente domande chiuse, le cui risposte spaziano entro una gamma di risposte predefinite. I vantaggi sono che le risposte di più soggetti sono altamente confrontabili e forniscono informazioni facilmente quantificabili (dati quantitativi), ma i limiti sono che essa non facilita la comunicazione e può risultare costrittiva per la persona, che ha la sensazione di non poter esprimere liberamente il proprio pensiero. Fonte di dibattito teorico è la distinzione tra i primi due tipi di intervista (intervista non strutturata e semistrutturata) e il colloquio, una modalità di raccolta delle informazioni che, come l’intervista, prevede la comunicazione verbale tra ricercatore e rispondente in un rapporto faccia a faccia. In particolare, ci riferiamo al colloquio libero e al colloquio semistrutturato (colloquio per aree), contraddistinti o dall’assenza o da un minimo di direttività. Il confronto tra i due tipi di strumento è ben descritto da Trentini quando classifica i tipi di colloquio in base all’approccio epistemologico. In questa sede, vengono colte le differenziazioni tra intervista estensiva quantitativa (o di sondaggio, o di massa) e colloquio intensivo qualitativo (o di approfondimento). La prima ha ampia applicabilità e bassa profondità di esplorazione, fa uso di domande chiuse e standardizzate, si focalizza sui contenuti, cerca la rappresentatività quantitativa dei soggetti, si presta all’elaborazione statistica dei dati, si fonda su una concezione positivistica della scienza e ha una pretesa di conoscenza oggettiva. Il secondo è contraddistinto da bassa applicabilità e alta profondità di esplorazione (atteggiamenti e dinamiche inconsce), è libero, si focalizza sui processi (interazione tra osservatore e osservato) più che sui contenuti, può essere usato con campioni rappresentativi ma è più utilizzato negli interventi interindividuali e di piccolo gruppo, si presta ad un trattamento interpretativo (non statistico) dei dati, cerca la rappresentatività qualitativa dei soggetti, si fonda su una concezione relativistica e probabilistica della scienza e ammette l’entrata in gioco delle variabili soggettive dell’osservatore. L’oggettività, in questo senso, non è intesa come quantificazione, ma solo come formulazione di ipotesi, e la validità non è di tipo metrico, ma solo di tipo clinico. In realtà, comunque, secondo molti teorici vi sarebbe un continuum che va dal colloquio all’intervista, non potrebbe essere stilata una distinzione così netta. 2.1.2.2 Ruolo delle interviste nella ricerca del progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati” La modalità dell’intervista è stata scelta in quanto ritenuta la più efficace per consultare gli stranieri in merito al funzionamento dei servizi, per ottimizzare il quale risulta fondamentale consultare non solo gli operatori, ma anche appunto raccogliere le opinioni e i bisogni degli utenti stessi. A questo scopo, è stato approntato uno strumento che fosse una via di mezzo tra intervista semistrutturata e intervista standardizzata: infatti, la maggior parte delle domande è chiusa e richiede solamente di scegliere tra alternative di risposta già definite, ma vi sono anche alcune domande aperte. Ciò ha consentito di sfruttare al meglio i vantaggi offerti da entrambe le tipologie di domanda. Infatti, l’utilizzo di domande chiuse e presentate in successione rigida ha consentito di non tralasciare in nessuna intervista la rilevazione di dati essenziali ai fini della ricerca. La standardizzazione, in secondo luogo, ha permesso il confronto tra i soggetti attraverso delle elaborazioni quantitative delle risposte. La presenza di alternative già codificate, tra le quali scegliere, era inoltre mirata a facilitare le risposte di quegli immigrati aventi una conoscenza 14 2. METODOLOGIA imperfetta della lingua italiana: presentando tutte le varie possibilità di risposta si aumentava infatti la probabilità che il soggetto trovasse quella attinente la sua situazione, riducendo il rischio che la omettesse solo perché non in grado di comunicarla in italiano. D’altro canto, l’eccessiva rigidità di un susseguirsi di domande chiuse è stata stemperata dall’inserimento di alcune domande aperte, che hanno consentito al soggetto di esprimere liberamente considerazioni e opinioni sui servizi, sottolineare propri bisogni, esprimere sensazioni, far emergere particolari della propria storia di vita che le domande chiuse avrebbero impedito di raccontare in modo soggettivo. In questo caso, i risultati sono poi stati trattati attraverso elaborazioni qualitative. 2.1.2.3 Modalità di gestione Sei intervistatori adeguatamente preparati si sono occupati di condurre le interviste presso tre sedi: l’Associazione per la Famiglia di Milano, il CESIL di Milano e l’ASSICISL di Bergamo. Gli intervistati erano normali utenti di questi servizi ai quali, dopo la consultazione, veniva richiesto se fossero disponibili ad essere intervistati ai fini di una ricerca, con la garanzia di anonimato. Le interviste venivano realizzate all’interno di una stanza riservata, che garantisse la tranquillità e il rispetto della privacy. Il conduttore seguiva una griglia precostituita e uguale per tutti, segnando direttamente sul protocollo cartaceo le risposte. Tutti i protocolli venivano poi inseriti in un apposito file Excel, che raccogliesse i dati grezzi predisponendoli a successive analisi. 2.1.2.4 Caratteristiche dello strumento La griglia dell’intervista è stata ideata a partire dalle esigenze dei ricercatori di raccogliere dati relativi alle medesime aree tematiche indagate dal focus group, così da poter poi confrontare le percezioni dei servizi provenienti dagli operatori da una parte, dagli utenti dall’altra. Il protocollo inizia registrando il codice dell’intervistatore, l’ente presso il quale l’intervista ha luogo, la data, l’ora di inizio prevista, la durata effettiva in minuti e il numero progressivo dell’intervista. Successivamente vengono toccate 8 macroaree, che comprendono al loro interno talvolta solo domande chiuse, talvolta domande sia chiuse sia aperte. Esse vengono affrontate nella successione seguente: • anagrafica: le informazioni raccolte in questa sede riguardano il sesso, l’anno di nascita, la nazionalità, la conoscenza della lingua italiana, il possesso del permesso di soggiorno; • progetto migratorio: all’immigrato viene chiesto da quanto tempo si trova in Italia, qual era il progetto che aveva quando ha deciso di emigrare e qual è invece il progetto migratorio attuale; • famiglia: i punti toccati sono la situazione familiare, la situazione matrimoniale, il numero dei figli in Italia e al Paese d’origine, l’età dei figli in Italia, l’utilità delle rete parentale e i motivi per i quali essa è giudicata di sostegno, di ostacolo o indifferente. Viene poi chiesto al soggetto se ha fatto ricongiungere dei propri familiari o se desidera farlo; 2. METODOLOGIA 15 • formazione: le domande vertono sugli anni e il titolo di studio al Paese d’origine, sul titolo di studio valido in Italia, sul riconoscimento italiano del titolo di studio estero. Viene poi chiesto al soggetto se abbia mai frequentato un corso di formazione o una scuola in Italia, se sì quali e se abbia incontrato problemi nell’accedere ad essi o nel frequentarli; • casa: si indaga sulla situazione abitativa, le modalità di ricerca della casa, l’influenza della situazione abitativa sul lavoro e i motivi di quest’ultima. Si domanda poi all’immigrato se abbia mai fatto richiesta di una casa popolare; • lavoro: i punti di interesse sono differenti a seconda che della situazione lavorativa dell’immigrato (attualmente occupato o disoccupato). Nel primo caso si indaga il lavoro svolto, le modalità di ricerca del lavoro e le difficoltà incontrate in questo, nel secondo caso le domande riguardano il tempo di disoccupazione, il motivo dell’abbandono del lavoro precedente, il desiderio di un altro lavoro desiderato e le difficoltà per trovarlo, l’iscrizione ad un Centro per l’Impiego; • salute: si chiede all’immigrato se abbia o abbia avuto problemi di salute seri, se ciò abbia delle ripercussioni sul lavoro e perché; • servizi: in quest’area il soggetto è interrogato in primo luogo in merito ai suoi bisogni relativi a lavoro, casa, famiglia, salute e regolarizzazione. Gli si chiede poi a quali di questi bisogni abbia trovato o non abbia trovato una risposta. In caso di problemi riguardanti lavoro, casa, famiglia, salute e regolarizzazione, gli si domanda prima a chi si sia rivolto in generale, e poi a quali servizi. Vengono poi sondate la sua opinione sull’utilità dei servizi, le motivazioni che lo portano a dare la risposta precedente e le sensazioni che ha provato nell’utilizzare i servizi. Gli si chiede inoltre se vi siano servizi che non ha utilizzato, quali siano e perché. Infine, è invitato a comunicare se i servizi che conosce abbiano o meno un mediatore culturale e quali siano le modalità attraverso cui è venuto a conoscenza dell’esistenza dei servizi per immigrati che ha citato durante l’intervista. Si riporta per esteso, nell’Appendice n. 2, la griglia effettivamente utilizzata durante l’intervista. 2.1.1.5 Campione Come appurato attraverso le analisi quantitative dei dati (che verranno descritte nel paragrafo successivo) effettuate sulla parte introduttiva e anagrafica dell’intervista, il campione, costituito da 100 soggetti immigrati, risulta avere le caratteristiche che ci apprestiamo ad elencare. In primo luogo, occorre precisare che 25 interviste sono state realizzate presso l’ASSICISL di Bergamo, 35 interviste presso l’Associazione per la Famiglia di Milano e 40 interviste presso il CESIL di Milano, come appare nel seguente grafico (Grafico 1). 16 2. METODOLOGIA Grafico 1 Enti presso i quali sono state realizzate le interviste Enti interviste AssiCisl 25% Cesil 40% Cesil AssoFam AssiCisl AssoFam 35% Si tratta di un campione a maggioranza femminile (Grafico 2), poiché sono state intervistate 72 donne (72%) e 28 uomini (28%). Grafico 2 Sesso degli intervistati Sesso Maschio 28% Maschio Femmina Femmina 72% Il campione, inoltre, è abbastanza giovane, poiché solamente il 10 % dei soggetti ha più di 50 anni e il 31% ha tra i 40 e i 50 anni. Invece, il 37% dei soggetti ha tra i 30 e i 40 anni e il 22% ha meno di 30 anni, come riportato nel Grafico 3. Grafico 3 Età degli intervistati Età degli intervistati >50 10% 40-50 31% 2. METODOLOGIA <30 22% <30 30-40 40-50 30-40 37% >50 17 Per quanto riguarda la nazionalità (Grafico 4), quasi la metà degli intervistati (43%) proviene dal Sud America. Ben rappresentata è anche l’Africa, con il 23% dei soggetti. In percentuali minori seguono l’Est Europa, con il 17%, e l’Asia, con il 14%. Solo il 3% proviene da altri Paesi (1 persona dal Perù, 2 persone dal Salvador). Grafico 4 Nazionalità degli intervistati Nazionalità degli intervistati Est Europa altro 3% 17% Africa 23% Sud America 43% Africa Asia Asia 14% Sud America Est Europa altro Tutti gli immigrati intervistati conoscono, a vari livelli, l’italiano: nessuno ne ha una conoscenza nulla (0%). Il 30% ne ha una conoscenza basilare, il 50 % buona ed il 20% addirittura ottima, come si può desumere dal grafico 5. Grafico 5 Conoscenza della lingua italiana Conoscenza dell'italiano ottima 20% basilare 30% basilare buona buona 50% ottima Un’ultima variabile considerata per la descrizione del campione, infine, è il permesso di soggiorno (Grafico 6): solo il 13% degli immigrati è irregolare, mentre il 77% è regolare. La situazione di regolarità contempla tuttavia differenti tipi di situazione: se per la stragrande maggioranza (51%) il permesso di soggiorno deriva dall’avere un lavoro, invece per il 9% esso è frutto di un ricongiungimento familiare e per il 2% si ricollega ad uno stato di maternità (durante la gravidanza e i mesi successivi al parto la donna ha diritto a rimanere in Italia). Il 9% dei soggetti è regolare, ma in attesa di occupazione; l’1% ha ricevuto asilo politico; l’1% ha ricevuto il permesso di soggiorno per motivi di salute. L’11% dei soggetti, infine, possiede la carta di soggiorno (un tipo particolare di permesso di soggiorno). Non rientra in nessuna di 18 2. METODOLOGIA queste situazioni, invece, il 9% dei soggetti, poiché ha cittadinanza italiana, permesso di soggiorno per studio, doppia cittadinanza. Grafico 6 Permesso di soggiorno 9% Permesso di soggiorno regolare per lavoro 1% 1% irregolare 11% 13% 2% regolare ricong fam maternità 9% 3% regolare attesa occupazione 51% asilo politico/rifugiato salute altro 2.2 L’ANALISI DEI DATI Raccogliere i dati attraverso gli strumenti sopra descritti non è sufficiente: essi, infatti, per poter trasmettere informazioni significative ai fini della ricerca, devono essere sistematizzati, codificati ed elaborati. A seconda che i dati raccolti siano di tipo qualitativo o di tipo quantitativo, tuttavia, devono essere analizzati secondo metodologie differenti. 2.2.1 L’analisi qualitativa Le registrazioni provenienti dai focus group con gli operatori e le risposte alle domande aperte dell’intervista agli immigrati costituiscono dati verbali che non possono essere quantificati o misurati: per questo, essi sono denominati dati qualitativi o “aperti” e non vengono sottoposti né a una tabulazione, né ad un’elaborazione statistica. Per poter utilizzare il materiale raccolto è dunque necessario organizzarlo secondo una procedura differente. Il primo passo nel suo trattamento è la predisposizione di uno schema di classificazione, conosciuto con il nome di analisi del contenuto. E’ un’analisi che si propone soprattutto di costruire categorie per interpretare il materiale qualitativo e attribuirgli un significato, ma anche di trovare, sulla base di regole esplicitate, relazioni tra gli elementi presenti in esso. Può anche essere finalizzata a preparare successive elaborazioni di tipo quantitativo. Vi sono comunque vari tipi di approccio all’analisi del contenuto. Nel nostro caso, si utilizza un approccio puramente qualitativo (Sirigatti, Stefanile, 2001) perché, pur essendo il tipo di analisi maggiormente soggettivo e meno esplicito nell’indicare i processi che hanno condotto all’interpretazione del materiale disponibile, ha il vantaggio di consentire una grande immediatezza nel portare alla luce il significato del materiale raccolto. 2. METODOLOGIA 19 2.2.2 L’analisi quantitativa I dati raccolti tramite le domande chiuse dell’intervista agli immigrati sono invece dati quantitativi, passibili di un’elaborazione numerica e statistica. Essi vengono infatti sottoposti ad analisi quantitativa, utilizzando programmi informatici quali Excel (per l’inserimento dei dati grezzi) e successivamente SPSS (per la loro elaborazione statistica). In primo luogo, viene effettuata una tabulazione dei dati grezzi in Excel: le risposte, debitamente codificate utilizzando un codice numerico, vengono inserite in una tabella che riporta, per ogni pagina, un’area tematica dell’intervista. In colonna sono riportate le varie domande, in riga le risposte dei diversi soggetti. Questa operazione è utile per predisporre i dati alle analisi successive, effettuate con SPSS (Statistic Package for Social Sciences). SPSS è un programma statistico studiato appositamente per soddisfare le esigenze di elaborazione dei dati nei settori applicativi della psicologia, della medicina e biologia, della sociologia e delle scienze politiche. Nel nostro caso, è stato prima di tutto utilizzato per effettuare il calcolo delle distribuzioni di frequenza di risposta alle varie domande. Dopo aver inserito i dati provenienti da Excel ed aver dato un apposito comando, si ottiene per ogni area tematica (lavoro, famiglia, regolarizzazione, ecc.) una finestra di output che riporta le frequenze e le percentuali di risposta a ciascuna delle domande chiuse dell’intervista. 20 2. METODOLOGIA 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE In questa sezione i risultati provenienti dalle analisi sia qualitative, sia quantitative verranno organizzati per aree tematiche, così da enucleare per ogni area i dati e le opinioni degli operatori e degli utenti. All’interno di ogni paragrafo e dunque di ogni area tematica (lavoro, salute, famiglia,…) le considerazioni ricavate dai focus group (dati qualitativi) e dalle interviste (dati quantitativi corredati da grafici e dati qualitativi) verranno riportate in due sotto-paragrafi distinti. Per quanto riguarda i focus group, occorre precisare che i dati relativi a Salute e Regolarizzazione originano da un unico focus group sui servizi socio-assistenziali, effettuato a Bergamo. Per quanto riguarda le interviste, è da sottolineare il fatto che le risposte ad alcune domande aperte dell’ultima parte dell’intervista (area dei Servizi) sono state incorporate all’interno di aree tematiche precedentemente trattate (Lavoro, Salute, Casa, ecc.) proprio perché riguardavano nello specifico i servizi per il lavoro, la casa, la famiglia, la salute e la regolarizzazione. Solamente in relazione alla formazione non vi era una parte specifica e dedicata nell’area Servizi. L’elaborazione delle risposte alle domande riferite ai Servizi in generale occupa invece un paragrafo a se stante (cfr. paragrafo 3.7), così come l’analisi delle risposte alle domande dell’area Anagrafica, i cui dati sono stati utilizzati per descrivere il campione delle interviste (cfr. paragrafo 2.1.1.5). Da tutti questi risultati si partirà per avviare la seconda fase della ricerca (modellizzazione), così da progettare format e contenuti del data-base (sia nella parte dedicata ai dati relativi agli utenti, sia nella parte dedicata ai dati relativi agli operatori) e delle mini-guide. 3.1 Il lavoro e i servizi per il lavoro 3.1.1 Risultati dei focus group Come già ricordato, per quanto concerne la tematica del lavoro, ritenuta particolarmente significativa, in quanto esso è prerequisito per poter ottenere il permesso di soggiorno, sono stati realizzati due focus group: uno a Bergamo presso ASSICISL ed uno a Milano presso il CESIL . Rielaborando il materiale raccolto da entrambe le sessioni, possiamo riportare i seguenti dati, sistematizzati in base alle linee guida della traccia dei focus stessi. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 21 3.1.1.1 Enti coinvolti I principali enti che si occupano di lavoro (in particolare sul territorio di Bergamo e di Milano) e che hanno acconsentito alla partecipazione di loro operatori ai due focus group sono: • Informalavoro della Provincia di Bergamo: la Provincia ha diversi servizi dedicati agli stranieri: un’Agenzia per l’integrazione si occupa di studi e ricerche e di promozione dell’integrazione; l’elaborazione annuale di un report sull’immigrazione; sportelli per immigrati diffusi su tutto il territorio provinciale; Centri di Formazione Professionale (ABF- Azienda Bergamasca di Formazione) che si occupano anche di stranieri. In particolare, nel 2003 nasce il servizio di Informalavoro a supporto dell’utenza più debole, compresi i cittadini immigrati. Non si tratta di un servizio di incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma di un centro accreditato per l’orientamento al lavoro. All’interno di Informalavoro sono presenti anche uno sportello per colf e badanti (incontro domanda-offerta di lavoro), un servizio di prima accoglienza e informazione appositamente dedicato a stranieri e gestito da mediatori culturali. Inoltre, è attivo il progetto REI (reinserimento immigrati); si tratta di un servizio finalizzato a facilitare il reingresso nel mercato del lavoro dei cittadini stranieri e ad assistere le imprese, anche attraverso l’erogazione di incentivi, nella ricerca di personale e nella gestione dei rapporti di lavoro con cittadini stranieri; • Centri per L’impiego: si occupano di accoglienza, orientamento e accompagnamento al lavoro; • Cislorienta: nasce in Cisl nel 2003 e offre servizi di accoglienza, orientamento e accompagnamento al lavoro. Si tratta, inoltre, di un servizio accreditato per realizzare progetti di formazione continua per le persone occupate o in cerca di nuova occupazione; • Adecco, Generale Industrielle, Manpower: offrono un'ampia gamma di servizi che include: il temporary staffing, lo staff leasing, l'outsourcing, il permanent placement, l'outplacement, la formazione e la consulenza, incontro tra domanda e offerta di lavoro, formazione; • Filca-Cisl: costola del sindacato che si occupa della categoria delle costruzioni e affini, offrendo una serie di assistenze ai lavoratori occupati nel campo dell’edilizia e nelle aziende che applicano il contratto del legno e del cemento; • Consorzio Gerundo: dal 2000 si occupa di immigrazione, realizzando progetti di orientamento e accompagnamento al lavoro. Attualmente, in collaborazione con il comune di Bergamo, è in fase di realizzazione il progetto “Integrarsi”, dedicato ai rifugiati politici. Vi è, inoltre, una collaborazione con la circoscrizione carceraria del carcere di Bergamo: in particolare i progetti vengono rivolti ai numerosi utenti stranieri presenti nel carcere, che vengono sostenuti nell’inserimento nel mercato del lavoro. In collaborazione con Video Bergamo, viene realizzato uno speciale telegiornale, in quattro lingue, per l’informazione alla popolazione straniera. Per quanto riguarda la formazione alla sicurezza, in collaborazione con l’agenzia per l’integrazione, vengono realizzati corsi alla sicurezza direttamente sui luoghi di lavoro (mostrare e commentare i pericoli della propria postazione lavorativa). • 22 FISASCAT CISL di Milano, categoria che rappresenta i lavoratori del commercio, 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE turismo, colf, terziario, con una presenza sempre più significativa di stranieri; • sportello BORSA LAVORO, aperto presso il CESIL a seguito della convenzione tra Regione Lombardia e CISL di Milano; • Articolo 1, agenzia di somministrazione di manodopera e da poco anche agenzia per il lavoro. E’ presente a Dalmine e a Brescia; • Centro per l’Impiego di Milano; • Cooperativa Sociale “Spazio Giovani”, che gestisce uno sportello “Informagiovani” presso Monza, su incarico diretto del comune. Lo sportello opera in rete e contatto costante con gli altri sportelli informagiovani presenti sul territorio milanese, sia gestiti direttamente dagli enti locali che affidati a imprese sociali /cooperative. Sono presenti anche a Como, Bergamo e Solaro (VA). 3.1.1.2 Tassonomia degli utenti Un elemento prioritario da considerare è il fatto che la ricerca del lavoro accomuna tutte le persone e che quindi, generalmente, non esiste un servizio mirato unicamente a una categoria di persone. Dato che, come dimostrano le varie ricerche, è soprattutto la rete informale l’elemento più efficace per trovare lavoro, le categorie che si rivolgono ai diversi servizi sono di solito quelle più deboli: accanto alle donne, ai giovani e alle fasce anche normalmente definite deboli o in condizioni di disagio sociale, quali ad esempio i disabili, sono sempre più presenti gli over 45 espulsi dai cicli produttivi e, appunto, gli stranieri. Nella zona di Bergamo l’utenza straniera, un tempo quasi prevalentemente maschile, si sta caratterizzando oggi per una crescente connotazione femminile. Sono in aumento le donne – dai 20 ai 45 anni – con mansioni di aiuto cuoca, cameriera, addetto alle pulizie, ecc. che si rivolgono alle agenzie interinali. Mentre nei primi anni 2000 vi era una forte presenza di kossovari, con un buon livello scolastico e una discreta conoscenza della lingua italiana, negli ultimi due/tre anni, invece, gli stranieri provengono soprattutto dal Corno d’Africa e sono sostanzialmente analfabeti o presentano una scolarità molto bassa. A seconda della zona, negli anni si sono costruiti gruppi culturali e nazionalistici diversi a seconda dell’area geografica (es. area Trescore-Val Cavallina: area di concentrazione di pakistani e indiani). Si registra una certa resistenza da parte delle aziende nei confronti dei lavoratori stranieri, anche se, negli anni, si sta tentando di svolgere anche una funzione “educativa” nei confronti degli imprenditori. Le aziende bergamasche fanno ancora fatica ad accettare lavoratori stranieri, quelle bresciane, invece, hanno ormai superato questa diffidenza. E’ opportuno sottolineare che, per alcune mansioni, i cittadini immigrati sono gli unici collocabili. Per quanto riguarda invece Milano e il suo hinterland, sono significative le categorie seguenti: • giovani uomini (dai 25 ai 40 anni), la maggioranza dei quali ha già avuto esperienze lavorative, soprattutto in nero, e quindi è alla ricerca di un’occupazione regolare, oppure cerca lavoro in seguito ad abbandono scolastico; • donne arabe e musulmane alla ricerca del primo impiego, indice forse di una difficoltà o di un più tardivo percorso di inserimento lavorativo. • donne provenienti dall’Europa dell’Est (tra i 30 e i 50 anni) alla ricerca di un secondo o terzo impiego, soprattutto nell’ambito di attività di collaborazione familiare. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 23 Vale la pena anche di ricordare che gli stranieri hanno un proprio caratteristico approccio nel rivolgersi ai servizi: in primo luogo essi si basano molto sul passaparola, quindi un ente che riesce a dare risposte alle domande di un lavoratore marocchino si può aspettare un’alta affluenza, per un certo periodo, di persone nord-africane. Inoltre, il servizio pubblico è preferito per ricercare informazioni: il primo contatto, infatti, è spesso di questa natura, anche per un’errata percezione di relativa facilità nella ricerca del lavoro. Questo comporta due atteggiamenti diversi: o il ritorno al servizio dopo aver ricevuto le prime informazioni, oppure un senso di sfiducia legato alle difficoltà e a attese disilluse, con la scelta di percorsi più informali e/o di lavoro nero. La conseguenza di questo secondo atteggiamento è una diminuzione di lavoratori stranieri che si rivolgono al servizio. Interessante, infine, esplicitare quali sono i bisogni lavorativi più pressanti che secondo gli operatori gli stranieri portano con sé: • bisogno di un lavoro stabile, per poter ottenere il permesso di soggiorno: la ricerca spesso urgente di un lavoro regolare, con la conseguente emersione dal lavoro nero, rappresenta la necessità di un lavoro per poter rimanere in Italia. Questo può spiegare la scelta di diventare socio di cooperativa piuttosto che scegliere il lavoro interinale: il secondo non viene visto come utile, proprio per la sua caratteristica di provvisorietà. L’approccio cambia se la stabilità di permanenza è più garantita: in questo caso è il lavorare in cooperativa che viene visto con perplessità, come fonte di precarietà, orientandosi su attività che sembrano garantire maggiore stabilità lavorativa. • bisogno di conoscenza della lingua italiana, che non è utile solo per poter lavorare concretamente, ma anche per trovare lavoro. La non conoscenza della lingua non aiuta ad accedere e comprendere la finalità di un servizio; a spiegare la documentazione necessaria per trovare un lavoro o a sostenere un colloquio di lavoro; • bisogno di riconoscimento di titoli di studio conseguiti nei Paesi di origine, che spesso è una procedura lunga e difficile ed esita nel conseguente bisogno di nuova formazione in Italia, per poter entrare nel mercato del lavoro in modo riqualificato. 3.1.1.3 Fronteggiamento Solamente gli operatori del focus group tenutosi presso il CESIL di Milano si soffermano con maggiore precisione nell’indicare le strategie utilizzate dai servizi per fronteggiare i bisogni degli utenti. Le differenze nel modo di operare dei vari servizi riflettono gli interessi di ogni Ente. Possiamo schematicamente indicarne tre, anche se non sono nettamente separate: • Informagiovani è caratterizzato da un accesso libero e informale, volutamente senza appuntamento. L’attenzione è posta soprattutto sul processo di accoglienza e orientamento, puntando su una rete più ampia per acquisire competenze specifiche. Il servizio è offerto a tutti, cercando di realizzare una “alfabetizzazione del lavoro”. Simile a questa è l’impostazione del CESIL, anche se caratterizzata da una maggiore formalità, dovuta alla natura di servizio promosso dal sindacato, e quindi con una 24 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE serie di relazioni istituzionali più marcate; • i Centri per l’Impiego e gli sportelli degli enti locali pongono attenzione prima di tutto sull’accoglienza, anche attraverso colloqui preliminari per cercare di capire più precisamente di cosa ha bisogno una persona: realizzano una sorta di screening approfondito, ritenendo fondamentale la qualità del comunicare per dare e avere le informazioni necessarie. Cercano di realizzare un servizio, una lettura del bisogno a partire dalle domande dell’utente: la dimensione istituzionale ha chiaramente dei riflessi su queste scelte; • l’Agenzia per il lavoro parte da una diversa impostazione: l’operatore che riceve (generalmente su appuntamento) il lavoratore straniero non ha come obiettivo principale quello di soddisfare i suoi bisogni, ma di rispondere alle necessità poste dal cliente, dall’azienda che domanda una specifica professionalità lavorativa. Il colloquio punta quindi a cogliere le capacità del lavoratore straniero, a conoscere le precedenti esperienze, a verificare la corrispondenza tra l’offerta e la domanda: non sempre i due bisogni di incrociano. Queste diversità di approccio sono evidenti se prendiamo come riferimento alcuni elementi: • la comunicazione: i Centri per l’Impiego utilizzano materiale informativo in varie lingue per spiegare le diverse situazioni e far comprendere le possibili risposte (per esempio i moduli per il curriculum in più lingue). Anche Informagiovani e CESIL si servono di materiale in più lingue, sia di natura promozionale – informativa (spesso prodotto in proprio), sia di contenuto, diffondendo anche quello prodotto da altri, soprattutto dal livello istituzionale. L’Agenzia, invece, non utilizza opuscoli tradotti nelle diverse lingue; • la lingua: poiché la non conoscenza della lingua provoca una grande difficoltà nel comunicare, le strutture pubbliche o del privato sociale, oltre a realizzare e a indirizzare a corsi specifici, hanno operato la scelta di gestire i colloqui in italiano con l’obiettivo di spronare e accompagnare le persone a una maggiore conoscenza e inserimento nel contesto territoriale (alcuni lavoratori si portano il traduttore). Per l’Agenzia, al contrario, non ci sono differenze di attenzione e/o accorgimenti particolari per i lavoratori stranieri: i colloqui di lavoro sono quindi in italiano • la formazione degli operatori: considerando importante la qualità del comunicare, gli sportelli pubblici hanno realizzato alcuni corsi specifici per gli operatori che ricevono lavoratori stranieri. Fino ad alcuni anni fa erano presenti, presso gli sportelli, dei mediatori culturali, la cui opera è stata utile a preziosa: ora non ci sono più, e non sono presenti neppure presso le Agenzie; • la progettazione: la modalità con cui è gestito il servizio non è casuale, ma spesso frutto di un’attenta valutazione. L’Agenzia si considera l’ultimo anello di un percorso, e punta soprattutto a realizzare la collocazione lavorativa dello straniero, nella consapevolezza della difficoltà di codificare le competenze. La stessa difficoltà è avvertita dagli sportelli pubblici (una professione può essere percepita in modo diverso da un paese all’altro): si punta soprattutto sulla qualità del colloquio per rispondere a queste differenze. La progettualità è presente anche nel modo di operare degli sportelli Informagiovani e del CESIL: è più avvertita la consapevolezza 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 25 che il lavoro rappresenta uno dei bisogni, e che quindi è importante una indagine complessiva sulla domanda. 3.1.1.4 Anagrafica utenti Tutti gli enti raccolgono, in forma cartacea poi inserita in un database informatico, un’anagrafica degli utenti che comprende, anche sulla base del modello Sintesi utilizzato in tutta la Regione Lombardia: dati anagrafici, titolo di studio, posizione lavorativa, bisogni evidenziati (lavoro, formazione). Viene inoltre raccolto il curriculum vitae della persona (spesso sotto forma di compilazione di un format fornito dall’ente stesso). In particolare, Informagiovani utilizza una banca dati di annunci di lavoro raccolti in rete; una raccolta dei profili professionali richiesti dalle aziende partner; una scheda anagrafica degli utenti, che verifica anche il gradimento del servizio; la banca dati degli utenti, che si realizza con la partecipazione ai progetti FSE Multimisura, come risulta anche dal CESIL. Per le Agenzie per il lavoro, l’anagrafica degli utenti è utile alla ricerca delle persone adatte alle richieste delle aziende: hanno quindi anche una banca dati delle aziende che richiedono una selezione del personale. Hanno anche contatti con agenzie presenti all’estero per raccogliere ulteriori curricula. Più strutturate, infine, sono le banche dati degli sportelli pubblici, in particolare quella Provinciale, collegata anche alla rete di Borsa Lavoro Lombardia: vengono registrate anche le offerte di lavoro. Un elemento sembra comunque rilevante: le diverse banche dati, più o meno organizzate, sono abbastanza autonome e separate tra di loro, non inserite in una rete comune e condivisa. L’elemento di collegamento sono le banche dati istituzionali, soprattutto quella provinciale e di Borsalavoro: tuttavia l’efficacia, soprattutto di quest’ultima, per favorire l’incontro domandaofferta, è decisamente molto bassa. 3.1.1.5 Aree di sviluppo Anche questo nucleo tematico, insieme al successivo, è stato approfondito solamente all’interno del focus group realizzato presso il CESIL di Milano. Gli aspetti sui quali gli operatori ritengono necessario intervenire per migliorare i servizi sono i seguenti: • un lavoro di accoglienza e di informazione talvolta superficiale, che occorrerebbe approfondire, anche investendo sulla formazione degli operatori, per comprendere meglio la domanda; • la rigidità e la segregazione delle banche dati, che ne diminuiscono l’utilità concreta; • l’assenza di figure ad hoc, quali il mediatore culturale, per semplificare la ricerca e la comprensione della documentazione spesso complicata; l’orientatore, per quanto riguarda il riconoscimento delle competenze e la stesura del curriculum vitae; il facilitatore culturale, che dovrebbe svolgere un lavoro di affiancamento nella ricerca concreta del lavoro; • la carenza di una rete di servizi: sviluppare una rete di relazioni, oltre che di informazioni, servirebbe ad evitare un andirivieni continuo tra un servizio e l’altro, 26 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE con continui rinvii che possono creare sia illusione che disillusioni; • la labilità del rapporto dei servizi con le aziende, che è minimo o inesistente, salvo per le agenzie; • la parziale disinformazione degli operatori su problematiche legate all’utilizzo e trasmissione di dati sensibili. 3.1.1.6 Punti di forza Gli aspetti positivi indicati sono diversificati e, anche in questo caso, evidenziano l’obiettivo principale che ogni servizio persegue: • per gli sportelli pubblici sono da considerarsi positivi il tempo e l’approfondimento dei bisogni che si riesce a realizzare con i colloqui e, di riflesso, la professionalità degli operatori che lavorano a stretto contatto con l’utenza, anche se a volte la precarietà del rapporto di lavoro degli operatori stessi complica la costanza del contatto; • per l’Agenzia per il lavoro è rilevante la possibilità di proporre delle possibilità concrete di attività lavorativa; • per Informagiovani e, sia pur con una diversa prospettiva, per il CESIL, è positiva la possibilità di poter seguire e ascoltare concretamente le persone, anche grazie all’informalità dell’accesso al servizio. 3.1.1.7 Rete Per quanto riguarda le realtà sia di Bergamo, sia di Milano, tutti gli enti evidenziano l’importanza di lavorare in rete. Gli operatori delle agenzie interinali della zona di Bergamo, per esempio, sottolineano la necessità di censire, a livello territoriale, i servizi che si occupano di stranieri (quali sono e cosa fanno) e di creare una rete di collegamento fra le varie realtà che si occupano di stranieri. Altri enti mantengono rapporti continui con la Provincia e il Comune di Bergamo, ma anche con altri enti privati, presenti sul territorio, che si occupano di immigrazione. Il progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati”, inoltre, in questo territorio si pone in un’ottica di continuità rispetto ad un altro progetto che già si prefiggeva di mettere in rete i servizi preposti all’inserimento lavorativo degli immigrati, ampliandone le finalità e coinvolgendo un numero più elevato di soggetti: si tratta del progetto Spinn (Servizi per l’impiego Network Nazionali), realizzato nella Provincia di Bergamo tra il 2004 e il 2005 con l’obiettivo, appunto, di creare una rete di servizi per l’implementazione dei processi relativi all’inserimento sociolavorativo degli immigrati e costruire dei vademecum utili sia ai servizi stessi, sia agli utenti immigrati, sia ai datori di lavoro. Passando ad esaminare la situazione di Milano, gli operatori sostengono che, anche se in misura minima, una rete già esiste. Essa è riconducibile soprattutto alla partecipazione di diversi soggetti ai progetti FSE di orientamento al lavoro: si tratta soprattutto di una rete informativa e unidirezionale che ha come sbocco la banca dati della Provincia. Rispetto a questa situazione sono stati individuati i seguenti punti critici: • l’utente considera utili tutte le opportunità di servizi che gli sono offerti, ma non coglie concretamente la presenza di una rete che lo aiuta a risolvere il suo bisogno, con la 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 27 conseguenza di un certo disorientamento e confusione, perché fa comunque fatica a trovare un lavoro; • si nota la conflittualità latente presente nella rete, dovuta anche alle diverse competenze, che così non vengono valorizzate ma frammentate; • una difficoltà nel fare rete è legata alla qualità del servizio che viene offerto: non avendo garanzie sugli altri servizi, non c’è sempre interesse a fare rete comune, quanto a proporre e migliorare la propria modalità di lavoro. Le suddette criticità, tuttavia, se lette in positivo possono diventare uno stimolo al miglioramento, tenendo presenti che una rete di servizi per l’immigrazione: • rappresenta una possibilità per migliorare la presentazione, ma anche l’operatività dei diversi servizi; • implica la creazione di un rapporto fiduciario, spesso più presente nelle reti informali che in quelle formali, sia tra gli operatori che tra operatori e utenti; • è prima di tutto un fatto culturale: non si deve quindi creare, o dare l’idea, di una concorrenza tra diverse tipologie di rete, ma lavorare alla scoperta e alla creazione di valore aggiunto. 3.1.2 Risultati delle interviste Per quanto riguarda l’area dell’intervista strettamente pertinente alla tematica del lavoro, è possibile delineare alcuni dati interessanti della situazione occupazionale degli immigrati intervistati, come appare dai risultati riportati qui di seguito. In primo luogo, è stata considerata la situazione lavorativa degli immigrati. Il Grafico 7 mostra come non vi sia una categoria che spicca sulle altre, ma al contrario la maggior parte degli immigrati si distribuisca in modo pressoché uniforme tra la situazione di lavoro a tempo determinato (26%), lavoro non regolare (21%) e lavoro a tempo indeterminato (20%) e disoccupazione (20%). Le situazioni di lavoro irregolare e di disoccupazione, tuttavia, se sommate prevalgono sensibilmente sulle altre e costituiscono quindi un dato sul quale è necessario portare l’attenzione, confermando la presenza degli stranieri tra le cosiddette fasce lavorative deboli. In percentuale minore risultano essere invece i soci di cooperative (4%), gli atipici (4%), i lavoratori autonomi (3%) e le due persone che rientrano nella categoria “altro” (2%), ovvero due lavoratori senza permesso di soggiorno, che aspettano di poter regolarizzare la loro posizione. Per quanto riguarda il lavoro svolto, un’analisi del contenuto delle risposte a questa domanda ha messo in luce che le categorie maggiormente rappresentate, forse anche a causa dell’elevata percentuale di donne intervistate, è quella delle colf e delle badanti (operatrici A.S.A.). Abbastanza presente è anche la schiera dei lavori manuali effettuati dagli uomini (magazziniere, imbianchino, carpentiere, muratore, elettricista). Decisamente minoritari sono invece i comparti della ristorazione (cuoco, barman), del commercio (salumiere, artigiano), dell’insegnamento e dell’assistenza agli anziani (O.S.S.). 28 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 7 Situazione lavorativa degli intervistati Situazione lavorativa disoccupato tempo determinato 21% 2% lavoro autonomo socio cooperativa 4% 4% tempo indeterminato 20% 20% 26% atipici non regolare 3% altro Per quanto riguarda invece la modalità di ricerca del lavoro, il passaparola risulta essere preponderante, come già sottolineato anche dagli operatori dei focus group anche per l’accesso ai servizi. Nella cultura straniera, questa modalità è sentita come più utile ed efficace rispetto alla consultazione di un Centro di Orientamento (7%), agli annunci (5%), all’autocandidatura (2%), all’iscrizione ad un’agenzia interinale (4%) o ad un Centro per l’Impiego (2%). Un buon 16% rientra invece nella categoria “altro”, che in questo caso si riferisce a persone che hanno trovato lavoro tramite uno stage o una comunità, oppure che non stanno cercando lavoro a causa dell’inconciliabilità con gli impegni familiari (es. gravidanza, maternità,…) o del mancato permesso di soggiorno. Nessuno degli intervistati, infine, per cercare un’occupazione si è servito della banca dati di Borsalavoro, che quindi appare come poco conosciuta e poco accessibile agli stranieri. Grafico 8 Modalità di ricerca del lavoro Modalità ricerca lavoro 16% annunci 7% autocandidatura 2% 4% 4% 5% passaparola agenzia interinale 62% centro per l'impiego centro di orientamento altro Esaminando le difficoltà incontrate nella ricerca del lavoro, le più lampanti sono, in ordine di importanza, quelle che derivano da: 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 29 • mancata conoscenza della lingua italiana, almeno all’inizio; • mancanza del permesso di soggiorno (“le persone non volevano prendermi senza il permesso di soggiorno”); • ricerca di un lavoro part-time, per motivi di salute o poter conciliare gli impegni lavorativi con le esigenze della famiglia e dei figli: spesso, tuttavia, il part-time viene negato; • impossibilità a trovare un lavoro adeguato rispetto alle proprie competenze e alla propria formazione al Paese d’origine: spesso l’immigrato è assunto per un lavoro dequalificato nonostante un curriculum elevato, o al contrario può capitare, per lo stesso motivo, che non venga assunti perché il datore di lavoro teme abbia aspettative eccessive rispetto a ciò che può essergli offerto. Di frequente, inoltre, lo straniero si trova a svolgere mansioni per le quali non ha una qualifica e che quindi gli risultano particolarmente difficili e stressanti; • età troppo bassa o troppo alta: hanno difficoltà a trovare lavoro sia il minorenne, sia il soggetto over 40; • contratti troppo brevi e precariato, che non garantiscono stabilità; • convinzione che in Italia tutto funzioni per conoscenze e che dunque, in assenza dei contatti adeguati, trovare lavoro sia un’impresa ardua; • atteggiamento dei datori di lavoro italiani, sia in termini di diffidenza (gli Italiani sono diffidenti, fanno il contratto solo dopo che ti conoscono” ), sia in termini di disinformazione (“il problema più grande sono i datori di lavoro che non sanno quali sono le procedure per assumere uno straniero, non sono aggiornati sulle leggi e non vogliono assumerti; preferiscono prendere in nero, quindi è meno rischioso prendere in nero un italiano”); • mancato possesso della patente di guida; • sfruttamento e richiesta di svolgere anche lavori extra-contratto. Per quanto riguarda il tempo di disoccupazione, dal Grafico 9 si desume come sia più frequente una disoccupazione di breve durata: gli immigrati intervistati, durante la loro vita lavorativa, per il 75% sono rimasti senza lavoro solo per un periodo di1-5 mesi, per il 15% per un periodo di 612 mesi. Solamente un 5% di essi è stato disoccupato per un periodo che va dall’uno ai due anni, mentre un altro 5% è classificabile tra i disoccupati di lunga durata (oltre i 2 anni). Invitati a pensare al perché avessero abbandonato il lavoro precedente, trovandosi così disoccupati, i soggetti hanno addotto le motivazioni seguenti: • licenziamento a causa dell’assenza o della perdita del permesso di soggiorno; • estinzione del contratto precedente; • morte o trasferimento del datore di lavoro precedente (nel caso delle badanti); • abbandono volontario o licenziamento a causa di problemi di salute gravi oppure di gravidanza (“Tre anni fa ho perso il lavoro per la gravidanza a rischio. Dopo il parto mi sono ammalata”); • insoddisfazione per il lavoro precedente: salario troppo basso, aggiunta di mansioni extra-contratto, ambiente sgradevole, sfruttamento; • instabilità del posto di lavoro precedente: ricerca di un lavoro fisso, per poter avere il permesso di soggiorno; • 30 ricerca di un lavoro meno impegnativo, che occupi meno ore della giornata e 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE consenta una conciliazione con gli impegni familiari (“Perché i figli piccoli non mi permettevano di conciliare vita lavorativa e vita familiare”); • partenza improvvisa per il Paese d’origine, senza avvisare il datore di lavoro per mancata conoscenza delle regole italiane (“Sono andato in Egitto per 5 mesi e quando sono rientrato non avevo più il lavoro”) • licenziamento a causa della minore età; • mancanza di considerazione e di rispetto da parte del datore di lavoro precedente. Grafico 9 Tempo di disoccupazione (in mesi) Tempo di disoccupazione (in mesi) 13-24 mesi 5% 25 mesi e > 5% 6-12 mesi 15% 1-5 mesi 6-12 mesi 1-5 mesi 75% 13-24 mesi 25 mesi e > Alla richiesta se vi fosse un altro lavoro che volessero svolgere, gli immigrati intervistati hanno espresso un forte desiderio di cambiamento: il 77% ha risposto sì, mentre solo il 23% è soddisfatto del lavoro che ha (Grafico 10). Grafico 10 Desiderio di svolgere un altro lavoro Altro lavoro desiderato no 23% sì no sì 77% Invitati ad esprimere quale fosse il lavoro desiderato, alcuni intervistati hanno espresso alcune considerazioni generali circa la loro aspirazione da una parte ad un lavoro sicuro e regolare, che garantisca un guadagno fisso, dall’altra ad un lavoro autonomo, creativo (es. “Vorrei lavorare sempre come elettricista, ma in proprio”). 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 31 In particolare, poi, i soggetti hanno indicato le seguenti professioni: • estetista, parrucchiera; • commessa, cassiera, addetto alle vendite in un supermercato; • infermiera, ASA e OSS; • custode (professione che ha il vantaggio di garantire anche una casa); • un impiego nel campo del turismo (es. receptionist negli alberghi, hostess, cameriera) o della ristorazione (catering, bar, ristoranti); • un impiego nel campo dell’insegnamento o dell’educazione: insegnante di lingue, educatrice, baby-sitter, maestra d’asilo, accompagnatrice negli scuolabus; • muratore, carpentiere, magazziniere (“vorrei lavorare in una ditta più grande, full-time, in cantiere o in fabbrica. Vorrei un lavoro magari più duro, ma cha faccia guadagnare bene, per un po' di anni, per poi tornare al Paese d'origine”); • domestica o dipendente di un’impresa di pulizie; • artigiano (es. orefice); • un impiego nel campo dell’informatica (es. tecnico informatico); • un impiego in linea con quello svolto nel Paese d’origine o con il proprio titolo di studio (es. biologa, tecnico di laboratorio per analisi chimiche); • un lavoro d’ufficio (segretaria, operatore fiscale, ragioniere, impiegata). Alcune intervistate hanno espresso la loro preferenza in negativo, indicando quale lavoro non vorrebbero più svolgere (es. “vorrei un lavoro senza detersivo”, "non voglio più fare la cameriera”). Altri immigrati non hanno espresso preferenze, affermando che andrebbe bene qualsiasi altro lavoro rispetto a quello ora svolto. Interrogati ulteriormente sui possibili motivi della difficoltà a trovare il lavoro desiderato, gli immigrati hanno indicato i seguenti: • mancato possesso del permesso di soggiorno; • difficoltà a ottenere il riconoscimento del titolo di studio e impossibilità a frequentare corsi di formazione per ottenere la qualifica o l’abilitazione alla professione desiderata (es. elettricista, insegnante,…) oppure per riqualificarsi ("Forse le tecniche che ho utilizzato in laboratorio in Sudan sono un po' vecchie"): i corsi richiedono tempo e denaro ("Bisogna fare il corso con lo stage che occupa tutta la giornata: incompatibilità con il lavoro attuale “); • inesperienza; • mancanza di tempo da dedicare alla ricerca di un nuovo lavoro; • mancanza di capitale e di spazio per avviare un lavoro autonomo; la disinformazione in tema di autoimprenditorialità; • mancata conoscenza della lingua italiana; • difficoltà a trovare un lavoro part-time e conciliare il lavoro con gli impegni della vita familiare, come la cura dei figli; 32 • incertezza, sfiducia, depressione; • carenza di posti di lavoro ed eccessiva concorrenza; • mancanza delle giuste conoscenze; 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE • inefficienza delle agenzie di lavoro interinale, che non rispondono alle richieste; • esperienze negative nella ricerca del lavoro (“Nella ricerca attraverso le inserzioni nei giornali per il lavoro spesso ho vissuto delle esperienze difficili e rischiose per una donna, sia al telefono, sia nei colloqui, perché spesso cercano delle «ragazze disponibili» e io non mi fido più”); • disinformazione sul mondo del lavoro in Italia (“Il problema più grosso è la mancanza di informazioni. Nessuno sa dove andare per cercare lavoro”); • problemi di salute; • diffidenza degli italiani verso gli stranieri (“Penso che c'entri anche il colore della mia pelle. La gente non si fida di un nero"; “Io so che a parità di condizioni e di titoli, l'italiano viene trattato meglio”) • mancato possesso della patente di guida. Infine, come appare dal Grafico 11, in relazione all’iscrizione ad un Centro per l’Impiego risulta dalle interviste che il 36% degli immigrati non si è iscritto perché non sa cos’è, il 20% non si è iscritto per scelta, l’11% non si è iscritto perché non ne ha bisogno, mentre il 3% non sa se è iscritto. Il 70% degli intervistati, dunque, per scelta o per disinformazione non usufruisce di questo canale di ricerca del lavoro. Solamente il 30% afferma di essere invece iscritto. Grafico 11 Iscrizione ad un Centro per l’Impiego Iscrizione ad un Centro per l'Impiego 11% 36% 3% 30% 20% sì no per scelta no perchè non sa cos'è no perchè non ne ha bisogno non sa se è iscritto Riteniamo opportuno riportare in questa parte della relazione anche i risultati attinenti nello specifico ai servizi per il lavoro. Vi sono infatti alcune domande strettamente pertinenti a quest’area (“di cosa hai avuto bisogno per il lavoro?”; “ a chi ti sei rivolto quando hai avuto problemi con il lavoro?”; “a quali servizi ti sei rivolto per problemi con il lavoro?”). In primo luogo, i bisogni ricorrenti degli immigrati in relazione al lavoro, che rimandano anche alle rappresentazioni che essi hanno della realtà lavorativa italiana, sembrano essere: • bisogno del permesso di soggiorno, che è legato al lavoro in senso biunivoco, poiché molti datori di lavoro non assumono l’immigrato se non è regolare, e d’altra parte la regolarizzazione dipende proprio dallo stato di occupazione; • bisogno di avere la giusta rete di conoscenze e di referenze, anche nel senso di essere raccomandati da parte di qualcuno ad un datore di lavoro; gli immigrati 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 33 sembrano avere quindi molta fiducia nel passaparola e nelle conoscenze, meno nelle agenzie interinali e cooperative (“non chiamano mai!”); • bisogno di servizi che offrano informazioni sul mondo del lavoro in Italia (assunzioni, contrattualistica, licenziamento, disoccupazione, conoscenza dei propri diritti e delle modalità di funzionamento dei sindacati,…); • bisogno di servizi che offrano orientamento, supporto, accompagnamento alla ricerca del lavoro; • bisogno di apprendere la lingua italiana; • bisogno di un lavoro regolare e continuativo; • bisogno di uno stipendio sicuro e adeguato, di non essere sottopagati; • bisogno di emersione dal lavoro nero e pagamento dei contributi; • soprattutto da parte delle donne, bisogno di un lavoro che sia conciliabile con la famiglia; • bisogno di informazioni e sostegno all’auto-imprenditorialità; • bisogni di riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’estero e di informazioni sulle procedure per farlo; • bisogni formativi: frequentare corsi, acquisire competenze specifiche per lo svolgimento di determinati lavori (es. ASA, OSS); • bisogno di servizi di sostegno alla famiglia e ai minori: per esempio, bisogno di avere informazioni sul babysitting e sugli accessi agli asili nido e alle scuole per i figli, che altrimenti non possono essere lasciati soli, a discapito del lavoro dei genitori; • bisogno di abbattere il pregiudizio e la discriminazione da parte degli italiani; • bisogno di fare la patente o avere un mezzo di trasporto proprio, per svolgere un lavoro o recarsi al lavoro. Dalle interviste, quindi, emerge chiaramente, tra i bisogni espressi dagli immigrati, la necessità di ottenere delle informazioni chiare e comprensibili sulle seguenti tematiche: • il funzionamento del mondo del lavoro in Italia (assunzioni, contrattualistica, licenziamento, disoccupazione, conoscenza dei propri diritti e delle modalità di funzionamento dei sindacati,…); • il funzionamento del mondo imprenditoriale (auto-imprenditorialità). I punti di riferimento principali in caso di problemi lavorativi o ricerca del lavoro e di informazioni (“a chi ti sei rivolto?”) risultano essere, in ordine di preferenza: • familiari, amici, conoscenti (sia stranieri che italiani); • enti quali CISL, Associazione per la Famiglia, CESIL,…; • agenzie interinali, cooperative e Centri per l’Impiego; • direttamente a possibili datori di lavoro e a vecchi datori di lavoro; • chiesa; • in minor numero di casi, internet, pagine gialle e annunci sui giornali; • tutor di corsi di formazione frequentati. Interrogati invece nello specifico rispetto ai servizi di riferimento in ambito lavorativo, gli 34 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE immigrati intervistati indicano: • la CISL, il CESIL, l’Associazione per la Famiglia e il sindacato in generale; • la Caritas; • i Centri per l’Impiego; • le agenzie interinali e le cooperative; • il NAGA; • la Camera del Lavoro, l’Agenzia del lavoro della Regione Lombardia; • i comuni ed in particolare l’Ufficio Stranieri del Comune; • la Provincia e in particolare gli sportelli Informalavoro; • la chiesa (sportelli d’ascolto delle parrocchie); • i Consolati; • l’INPS. 3.2 La formazione e le agenzie formative 3.2.1 Risultati dei focus group Il focus group con gli operatori di enti che si occupano di formazione agli immigrati è stato realizzato presso l’Associazione per la Famiglia di Milano. Potrebbero essere una premessa utile, per avvicinarsi all’argomento formazione, alcuni elementi emersi durante il focus group sotto forma di spiegazioni fornite dagli operatori, che richiamano l’attenzione su alcuni nodi cruciali della questione: • la Legge Bossi-Fini impone l’espulsione dopo 6 mesi ai maggiorenni che non hanno un’occupazione, anche se figli di immigrati che già lavorano in Italia. E’ possibile ottenere una proroga amministrativa del permesso di soggiorno, ma solo per motivi di studio e in quanto tale difficilmente modificabile; • vi sono anche corsi formativi brevi (dalle 200 alle 600 ore) per adulti, che permettono di imparare un lavoro e di fare un periodo di prova in azienda attraverso uno stage. Si tratta di corsi che danno un “gettone orario”, ovvero prevedono un piccolo rimborso per la loro frequenza; • alcuni corsi molto specifici, quali i corsi per gli addetti alla ristorazione, sono patrocinati dal datore di lavoro fintanto che l’immigrato svolge quel tipo di occupazione e sono vincolanti per poterla svolgere; • la Provincia di Milano finanzia ben 382 corsi triennali nei CFP, rivolti ai ragazzi in diritto/dovere di istruzione e molto frequentati da immigrati; • all’interno dei corsi nei CFP, presenza di moduli formativi volti all’accoglienza e all’aumento della coesione del gruppo. Inoltre, vengono garantite 159 ore di personalizzazione degli apprendimenti, sotto forma di rinforzo linguistico e sono presenti i LARSA (Laboratori di recupero e di Sostegno degli Apprendimenti), con moduli di arricchimento linguistico oltre l’orario curriculare; • attualmente, soprattutto per quanto riguarda i corsi per adulti, vengono finanziati solamente corsi da un minimo di 12 a un massimo di 15 frequentanti; • il mediatore culturale non è solo un interprete: è un operatore di solito appartenente alla stessa etnia degli immigrati cui si rivolge (anche se è macchinoso avere un 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 35 mediatore per ogni etnia) e che non funge solo da traduttore linguistico, ma è in grado di mettere in comunicazione elementi della sua cultura con elementi della cultura italiana. E’ una figura simile, ma non identica, al facilitatore culturale, che si limita ad intervenire solo ogni tanto e il cui intervento è meno massiccio. In alcuni corsi e con particolari etnie (per esempio, l’etnia cinese) il mediatore è utilizzato durante tutto il corso, mentre in altri è presente solo nella fase iniziale. In generale, è opinione diffusa che un ricorso eccessivo alla mediazione culturale rallenti il bisogno di integrazione dell’immigrato e che quindi, nel caso dei corsi di formazione, sia meglio richiederne l’intervento “solo in fase di reclutamento” (perché egli facilita il contatto e riesce a conquistare la fiducia degli utenti della sua stessa cultura), ma non nelle successive fasi di mantenimento, in cui sono invece necessarie “competenze interculturali” diverse dalle sue, mirate a sostenere nei corsisti stranieri la motivazione e l’integrazione; • la validazione dei titoli di studio conseguiti all’estero richiede un processo lungo e complesso di cui l’immigrato dovrebbe essere informato già in sede di prima accoglienza. E’fondamentale perché, per esempio, uno dei requisiti minimi di accesso a qualunque corso di formazione professionale è il possesso dell’obbligo scolastico, che deve essere certificato. Per validare un titolo, tuttavia, occorre dichiarare nel dettaglio tutte le materie e i programmi seguiti anno per anno: serve quindi una documentazione che può essere recuperata solamente presso la scuola del proprio Paese d’origine. Solo pochi Consolati (es. del Perù, dell’Ecuador,..) fanno questa operazione anche in Italia, rilasciando una “dichiarazione di valore del titolo”, ma nella maggior parte dei casi è necessario tornare nel proprio Paese o farsi spedire i documenti dai conoscenti che vi sono rimasti. Questi ostacoli inducono alcuni immigrati o a rinunciare alla validazione del titolo, oppure, se ne sono informati, a frequentare, presso centri territoriali, le 150 ore che consentono di ottenere ex novo in Italia la licenza media. Dopo queste considerazioni preliminari, possiamo ora passare ad esaminare i dati raccolti durante il focus, che verranno riportati seguendo lo schema che fungeva da traccia per lo svolgimento del focus stesso. 3.2.1.1 Principali enti I principali enti che si occupano di formazione, in particolare sul territorio di Milano, sono: • EBT (Ente Bilaterale Territoriale per il settore dei pubblici esercizi di Milano e Provincia), un organismo paritetico previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del Turismo, costituito nel 1997 tra la EPAM (Associazione Provinciale Milanese Pubblici Esercizi) e le Organizzazioni sindacali dei lavoratori. L'Ente interessa le aziende e i lavoratori dipendenti della ristorazione, dei caffè bar, dei locali di intrattenimento, pasticcerie, gelaterie e in genere tutte le attività in cui si effettua la somministrazione di alimenti e bevande e si propone di operare come struttura di servizio per le imprese e per i loro dipendenti, occupandosi soprattutto di formazione e riqualificazione professionale, in particolare nel campo dell’igiene e della salute e 36 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE sicurezza nei luoghi di lavoro, con corsi della durata media di 5 ore, per un massimo di 4 o 5 giornate. Molti corsisti sono immigrati, perché nei pubblici esercizi lavorano molti stranieri, o come gestori, o come dipendenti che vengono inviati dai loro superiori a seguire i corsi obbligatori per la sicurezza e l’igiene alimentare. Per questi ultimi, infatti, l’iscrizione al corso avviene tramite l’imprenditore; • Associazione per la Famiglia, associazione di volontariato che si occupa a tutto tondo delle famiglie italiane e immigrate, offrendo, tra gli altri servizi, anche uno sportello di orientamento al lavoro e dei corsi di formazione professionale frequentati soprattutto dalle donne immigrate; • settore della Provincia di Milano che si occupa, su incarico della Regione, prevalentemente di formazione professionale per studenti dai 14 ai 18 anni in diritto/dovere, sia italiani, sia immigrati; saltuariamente risponde a bandi regionali specifici, come quello del 2006 riguardante la formazione a utenti in svantaggio. In entrambi i casi, vi sono tra i corsisti delle percentuali significative di immigrati, che vanno da una media del 20% a picchi del 40-50%; • IAL (Istituto Addestramento Lavoratori) di Milano. IAL è l'Ente di Formazione costituito dalla CISL nel 1955 per favorire l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro e rispondere alle esigenze di crescita professionale dei lavoratori. E’ Ente Accreditato dalla Regione Lombardia per la formazione al lavoro (formazione a supporto del diritto/dovere, formazione e servizi per la prevenzione del disagio e dello svantaggio sociale, formazione e servizi post-diploma e servizi formativi di Alta Formazione, formazione e servizi per adulti in difficoltà occupazionale) e per la formazione sul lavoro (servizi e formazione per apprendisti, servizi e formazione per lavoratori occupati, formazione per l'innovazione delle imprese in relazione a specifiche esigenze aziendali, formazione connessa ad obblighi di legge e/o per il rilascio di patentini o abilitazioni di mestiere). Anche in IAL si riscontra la presenza di immigrati nei percorsi formativi a qualsiasi livello, in particolare per quanto riguarda i corsi mirati all’assolvimento dell’obbligo formativo (fascia d’età 14-18 anni), in cui gli utenti sono per i ¾ stranieri. Anche nelle altre attività corsuali, comunque, la presenza di immigrati è crescente, soprattutto all’interno di corsi riguardanti i servizi alla persona; • Formaper, un'azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, nata nel 1987 con lo scopo di contribuire allo sviluppo dell'imprenditorialità attraverso l'orientamento, l'informazione, la formazione, la ricerca, l'assistenza. Anche nei corsi organizzati da questo Ente, l’afflusso di immigrati è aumentato nel corso degli ultimi anni. Attualmente, nell’ambito di un progetto regionale di “Empowerment dei lavoratori stranieri e diversity management”, è nato uno Sportello per supportare gli immigrati che vogliono avviare un’impresa, oppure che hanno imprese già avviate. Questo servizio si ricollega ad altri servizi di formazione: infatti, per esempio a molti immigrati che si rivolgono allo sportello, viene suggerito di qualificarsi o riqualificarsi attraverso corsi di vario genere (ad es. per coloro che vogliono aprire un pubblico esercizio nell’ambito della ristorazione vengono suggeriti i corsi promossi dall’EBT); in parallelo allo sportello, Formaper ha creato N.O.I. - Nuove Opportunità Per Immigrati che vogliono mettersi in proprio, una guida multimediale alla creazione di impresa e 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 37 al lavoro autonomo per immigrati extracomunitari, pensata per una consultazione sia dei diretti interessati, sia soprattutto degli operatori di sportelli informativi e di orientamento di emanazione pubblica o associativa che debbano fornire informazioni e consigli ad un ampio e variegato pubblico. È uno strumento di dettagliata informazione sui diversi aspetti che un immigrato deve conoscere prima di avviare un'attività in Italia: raccoglie informazioni che attualmente sono dislocate in luoghi diversi, che vanno dagli aspetti legislativo/burocratico a quelli di tipo tecnico relativi ai percorsi di avvio di nuove iniziative imprenditoriali e sono personalizzate in relazione allo specifico target di riferimento; • CISL di Milano (associazione sindacale che si occupa anche di lavoro e formazione professionale, soprattutto attraverso il proprio ente formativo IAL) dei corsi di formazione per delegati sindacali, che talvolta, anche se in numero ancora esiguo, sono immigrati. Sta organizzando un corso sulla cittadinanza attiva, dedicato direttamente agli stranieri, che però è ancora in cantiere; • CESIL, la cui utenza è al 100% straniera, Si tratta di un ente della CISL che dal 1980 si occupa di integrazione dei cittadini immigrati anche attraverso attività formative intese in senso lato, perché attinenti soprattutto l’orientamento al lavoro (accoglienza ed informazione orientativa, colloqui di orientamento scolastico e professionale, consulenza orientativa, bilancio di competenze, sostegno nella ricerca attiva del lavoro, tutoraggio all’inserimento lavorativo, formazione continua destinata a soggetti occupati, in cassa integrazione ed in mobilità, disoccupati). Da un altro focus group, effettuato a Bergamo sui servizi socio-assistenziali, sono poi emerse alcune considerazioni riguardanti la formazione, soprattutto delle badanti, nell’area del bergamasco: in particolare, i Servizi Sociali della Provincia di Bergamo hanno organizzato corsi di formazione per assistenti familiari in collaborazione con il servizio di Informalavoro. Per ovviare alle difficoltà, dovute a vincoli lavorativi, nel partecipare con continuità a questi percorsi (spesso le badanti assistono più persone anziane), sono state anche indette delle giornate monotematiche aperte (“Conversazioni sul lavoro di cura”), senza necessità di iscrizione, a cui le badanti possono partecipare nei momenti liberi. 3.2.1.2 Tassonomia degli utenti La categorie di utenti immigrati che accedono ai servizi formativi possono essere catalogate come segue: a) Categorie relative alla fascia d’età La differenziazione principale, che si riflette anche sulla durata e la strutturazione dei corsi frequentati, intercorre tra: • adolescenti che frequentano i corsi triennali nei CFP (Centri di Formazione Professionale) dei vari Enti, al fine di assolvere l’obbligo formativo. Essi hanno un’utenza di 7800 ragazzi, dei quali il 15% è straniero. Vengono toccate punte più elevate all’interno di altri Enti formativi che erogano corsi professionali per il diritto/dovere di istruzione: è straniero il 63% dei ragazzi adolescenti allo IAL, il 35% all’ AFGP, il 31% all’Unione Artigiani. I ragazzi stranieri, infatti, difficilmente 38 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE frequentano, dopo la scuola media, licei, istituti tecnici o istituti professionali che prevedano una durata quinquennale, per svariati motivi. In primo luogo, molto spesso essi vivono in famiglie economicamente svantaggiate e la possibilità di avvicinarsi fin da subito al mondo del lavoro attraverso un corso professionalizzante è ambita al fine di poter contribuire presto a sostenere il reddito familiare. Sono le famiglie stesse che scoraggiano altri tipi di percorsi, pensando che non riusciranno a mantenere per 5 anni il ragazzo negli studi. In secondo luogo, l’agevolazione, attraverso il corso triennale, ad un inserimento lavorativo relativamente rapido è ben vista anche in relazione al problema del permesso di soggiorno che li investirà appena compiranno i 18 anni. In terzo luogo, le “scuole secondarie normali” (quinquennali) sono assai meno preparate dei CFP ad accogliere i ragazzi stranieri, a differenza delle scuole elementari e medie. Infatti, mentre queste ultime si sono in qualche modo attrezzate nel corso degli anni, sia come competenze sia come stili di accoglienza, invece “le scuole superiori non sono ancora pronte” perché i ragazzi appartenenti a famiglie immigrate, ma che sono nati qui, sono ancora troppo piccoli e quindi le scuole superiori non hanno ancora dovuto fare i conti con la vera e propria ondata di stranieri con cui si sono confrontate elementari e medie. Non hanno neanche ancora avuto finanziamenti appositamente stanziati per approntare l’accoglienza dei ragazzi stranieri (per esempio, attraverso laboratori mirati di lingua italiana). Per questo i ragazzi adolescenti che arrivano in Italia per ricongiungimento non trovano una scuola secondaria pronta a sostenerli e si rivolgono in massa ai CFP, che sebbene costituiscono anch’essi un “fenomeno molto giovane”, sono comunque più attrezzati nel gestirli. Spesso arrivano qui anche ragazzi che hanno provato percorsi normali, ma dopo il primo anno sono stati scoraggiati dai professori a continuare o comunque non sono stati adeguatamente sostenuti: così, questi ragazzi o si disperdono, diventando drop-out, oppure approdano appunto ai corsi di formazione professionale, dove le richieste formative sono più basse; • adulti svantaggiati aventi l’esigenza di trovare lavoro subito: in questo caso, gli immigrati sono il 46% del totale. Essi prediligono la frequenza di corsi formativi brevi (dalle 200 alle 600 ore), da una parte perchè permettono di imparare un lavoro e di fare un periodo di prova in azienda attraverso uno stage, dall’altra perché si tratta di corsi che danno un “gettone orario”, ovvero prevedono un piccolo rimborso per la loro frequenza (“Per loro è un miraggio e talvolta frequentano il corso anche solo per portare a casa questi quattro soldi che coprono i loro fabbisogni primari”). • Non in tutti gli enti formativi, tuttavia, vengono riscontrate differenze di età: per esempio “nei corsi per addetti alla ristorazione non c’è una caratterizzazione anagrafica, si va dai giovani agli anziani”. b) categorie relative al genere Anche il genere determina la tipologia di corso frequentato: • le donne sembrano essere più sensibili alla tematica della formazione, forse perché “per loro è una conquista”, un motivo di riscatto sociale. Per questo, pur di frequentare un corso sono disposte a sobbarcarsi un grande impegno ed enormi sacrifici. Esse scelgono maggiormente i corsi per i servizi alla persona (ASA, 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 39 Ausiliario Socio Assistenziale e OSS, Operatore Socio Sanitario), che preparano a svolgere il lavoro di badanti all’interno di case private o di strutture come ospedali e case di cura. Spesso, si tratta di donne con un titolo di studio elevato (medicina, ingegneria,…), che sono disposte a dequalificarsi per buttarsi in questo campo, perché convinte dia maggiori possibilità di lavoro e di introito economico; • gli uomini, invece, hanno un approccio alla formazione molto diverso: si formano di meno e sono più incostanti. Coloro che frequentano i corsi “spesso già lavorano, ma vogliono migliorare la loro posizione”. Le tipologie prescelte riguardano l’informatica e i corsi più tecnici (es. CAD,…), ma anche la ristorazione: chi fa il corso spesso, continua comunque una formazione precedente, iniziata nel Paese d’origine. • c) Categorie relative all’etnia o nazionalità di appartenenza • Le categorie che emergono con maggiore chiarezza sono le seguenti: • adolescenti cinesi, che frequentano soprattutto i corsi per addetti alle vendite, in relazione ai quali, probabilmente, il grande interesse per la materia e la presenza di mediatori culturali durante tutto il percorso sono riusciti a scalfire la consueta chiusura della comunità cinese; • adolescenti sudamericani, che in generale sono molto presenti in tutti i corsi professionali triennali, mentre nel complesso i cinesi e gli arabi sono in numero assai inferiore. • donne sudamericane, che sentono in modo forte il bisogno di orientamento. Sono invece in numero inferiore le donne dell’Est (polacche, russe,..) e asiatiche (es. filippine,..), così come le donne cinesi, nordafricane e dell’Africa Sudsahariana; • all’interno dei corsi dell’EBT appare bene come gli uomini si spartiscano gli affari nell’ambito della ristorazione: egiziani ed arabi controllano le pizzerie, mentre cinesi e cingalesi (Sri Lanka) si dedicano maggiormente ai ristoranti. Nel campo dei pubblici esercizi, invece, è rara la presenza di sudamericani e di africani sudsahariani. d) Categorie relative alla conoscenza della lingua italiana Poiché una delle barriere più significative è proprio la lingua, categorie molto generiche, e tuttavia utili, potrebbero essere quelle di coloro che conoscono e coloro che non conoscono la lingua italiana. L’appartenenza ad una o all’altra condiziona fortemente il successo formativo e la stessa strutturazione del corso. e) Categorie relative alla condizione familiare Molte delle donne che frequentano i vari corsi sono donne sole, spesso con figli minori a carico, per le quali dunque la problematica della formazione si ricollega a molte altre e che portano con sé il bisogno di essere seguite e accompagnate passo dopo passo, con maggiore flessibilità che di consueto rispetto ad orari e scadenze formative. Solo un paio di operatrici partono dai bisogni degli utenti, per arrivare solo in un secondo momento a definirne le caratteristiche e la categoria. Tali bisogni, che vengono evidenziati come fortemente connessi all’esigenza dell’immigrato di formarsi, risultano essere: • la necessità di ottemperare a degli obblighi: per esempio, per lavorare nel campo della ristorazione, aver frequentato dei corsi di igiene alimentare e di sicurezza sul lavoro è una conditio sine qua non; 40 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE • l’urgenza di trovare un lavoro, che spinge ad impararne uno attraverso un corso professionale; • il bisogno di stabilizzare un lavoro che già si ha (e con esso la propria posizione in Italia), migliorando la propria formazione proprio in quel campo e così imparando a svolgerlo con maggiore perizia; • il desiderio di mettersi in proprio, che spinge a frequentare corsi sull’autoimprenditorialità (“per esempio, molti non hanno soldi per avviare l’attività e fanno il corso per imparare a fare un business plan”). Per quanto riguarda le entità e le ragioni degli abbandoni formativi, gli operatori sono unanimemente concordi nel sostenere che chi abbandona un corso “è perché proprio non ce la fa”: non si tratta di svogliatezza o poca perseveranza, ma di seri problemi personali e di gestione familiare (“soprattutto le donne corrono tutto il giorno e poi dalle 17 alle 21 fanno il corso: chi di noi riuscirebbe a fare gli stessi sacrifici?”). In generale, comunque, vengono puntualizzate come motivazioni più frequenti di un abbandono formativo: • soprattutto per le donne, la mancanza di tempo e la difficile conciliabilità dei ruoli familiare e lavorativo/formativo, che può spingere a rinunciare a quest’ultimo Per le immigrate è così difficile trovare anche solo 600 ore per fare un corso, che spesso “per fare il corso usano il periodo della gravidanza”, che comunque è già di per sé un periodo di pausa dagli oneri consueti; • sempre per le donne, l’assenza di coinvolgimento e motivazione da parte del marito: se l’uomo non è convinto dell’utilità del corso per la moglie, non la aiuta in casa per permetterle di frequentarlo e non la sostiene, la donna è portata ad abbandonare perché “salta il patto familiare”; • l’aver trovato un lavoro: se la motivazione al corso era quella di avere maggiori probabilità di inserimento, essa si estingue se nel frattempo l’immigrato trova lavoro da un’altra parte; • l’aver cambiato lavoro: per corsi molto specifici quali i corsi per gli addetti alla ristorazione, che sono patrocinati dal datore di lavoro, sono vincolanti per poter svolgere quel tipo di occupazione e hanno una durata media di 4-5 giornate dilazionate nel tempo, uno dei motivi dell’abbandono può essere l’aver cambiato tipo di lavoro, che ne vanifica la possibilità di frequenza; • l’urgenza di trovare un lavoro, per esempio perché la scadenza del permesso di soggiorno è imminente: questa ragione può essere plausibile per interrompere un corso e dedicarsi a tempo pieno nella ricerca di un’occupazione, che viene sentita come prioritaria e pressante, perché garante della successiva permanenza in Italia; • problemi familiari nei Paesi d’origine, che implicano la partenza immediata del corsista. Infatti, soprattutto gli immigrati che ancora non sono pervenuti al ricongiungimento familiare si trovano a vivere “una vita spaccata, un po’ qua e un po’ là”; • la povertà: talvolta, gli immigrati non hanno nemmeno i soldi per l’abbonamento dell’autobus o del treno necessari per raggiungere la sede del corso, ma talvolta per dignità preferiscono abbandonare piuttosto che parlare di queste difficoltà economiche. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 41 L’abbandono viene comunque vissuto con sofferenza, con dolore, “quasi con vergogna”: soprattutto le donne, infatti, frequentare il corso è un espediente per uscire dalla solitudine, stare con altre donne e confrontarsi. Inoltre i corsi, se sono misti (ovvero vi è la presenza sia di italiani, sia di immigrati), costituiscono anche uno “strumento per costruire l’integrazione”. 3.2.1.3 Fronteggiamento dei bisogni degli utenti Per quanto riguarda le modalità di affrontare le richieste formative e i bisogni provenienti dalle categorie individuate, gli operatori affermano che per agganciare l’utenza è necessario rispondere con svariati mezzi: • azioni concrete di sostegno, quali il “babysitting gratuito” per i figli, mentre le madri seguono il corso, oppure l’impegno a garantire, oltre al già citato gettone orario, un rimborso spese per i mezzi pubblici, o ancora l’accompagnamento concreto alla compilazione dei moduli per l’iscrizione ai corsi o per l’inserimento lavorativo; • supporto e affiancamento psicologico, realizzato attraverso l’attenzione alla fase di orientamento/selezione iniziale e attraverso un assiduo tutoraggio in itinere. Infatti, i colloqui individuali iniziali per l’ammissione consentono di farsi un’idea sulla posizione occupata dal corso nella gerarchia di priorità dell’immigrato e di capire “in cosa lo puoi aiutare e in cosa invece ti devi arrendere”. Inoltre, la presenza quotidiana di un tutor durante tutto il corso (sia nei corsi per adulti, sia nei corsi per ragazzi in diritto/dovere) permette di monitorare l’apprendimento e il clima di classe e di dedicare adeguato spazio ai singoli utenti e i loro problemi, “recuperandoli” quando si scoraggiano o hanno particolari problemi e, così, diminuendone fortemente gli abbandoni. Per esempio, “se il tutor vede una donna che in aula dorme perché magari ha avuto una giornata pesante”, interviene consigliando al docente di fare pausa più spesso per alleggerire il carico di fatica: inoltre “durante le pause le donne si scambiano chiacchiere e dolci, con ricadute positive sull’integrazione”; • organizzazione di corsi meno numerosi per le fasce svantaggiate (proposta non ancora realizzata): attualmente vengono finanziati solamente corsi da un minimo di 12 a un massimo di 15 frequentanti, la cui rigidità penalizza proprio gli utenti in condizioni disagiate. Invece, poter lavorare con piccoli gruppi di 4 o 5 persone darebbe la possibilità di essere più attenti alle esigenze dei singoli, di personalizzare la strutturazione del corso e gli apprendimenti e di costruire flessibilità, garantendo di conseguenza la frequenza di un maggiore monte ore e un più probabile successo formativo; • oltre alla trasmissione di contenuti specifici di un corso, anche formazione ai diritti e alle regole del lavoro, nonché alle “abilità sociali”, cioè a quelle abilità che permettono di muoversi in modo adattato e adeguato all’interno della società e della cultura italiana in generale, e del mondo del lavoro in particolare. Per gli immigrati, l’esigenza di essere formati in questo senso è particolarmente forte perché possedere le suddette abilità diventa necessario per mantenere il posto di lavoro conquistato. Per esempio, occorre insegnare agli stranieri che se si assentano per un periodo dal lavoro o non portano i figli a scuola, devono preavvisare se non vogliono essere licenziati o vogliono evitare che il figlio sia cancellato (“dopo 2 mesi consecutivi di 42 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE assenza ingiustificata, il bambino viene cancellato dal nido”): per molte etnie, questo non è affatto scontato e “capita di incontrare immigrati straniti per essere stati licenziati dopo una vacanza di un mese non annunciata”; • abbattimento della barriera linguistica attraverso corsi di italiano. In realtà, questa tematica risulta essere piuttosto controversa tra gli operatori. Infatti, secondo alcuni “le basi linguistiche sono le basi minime per poter lavorare”, la conoscenza della lingua italiana è un requisito di base per poter poi frequentare dei corsi professionali e viene inserita come criterio di selezione ai corsi stessi. Tuttavia, non si sa se sia “più un bisogno loro o nostro”: infatti, come testimoniato da più Enti, i corsi di italiano sono poco frequentati a qualsiasi ora, anche quando durante i corsi professionali le lezioni non vengono capite proprio a causa della barriera linguistica. Il fallimento di questa integrazione linguistica, che si concretizza per esempio nell’”itagnol” (un miscuglio di italiano e spagnolo) ancora parlato da donne sudamericane in Italia da 15 anni, può essere imputato a diverse cause. Una di esse potrebbe essere la mancanza di incoraggiamento da parte dei datori di lavoro, interessati ad ostacolare l’integrazione linguistica e culturale dell’immigrato, allo scopo di relegarlo in posizioni lavorative molto basse, che altrimenti nessun altro vorrebbe occupare. Una motivazione affine potrebbe ricollegarsi proprio alla mancata offerta agli immigrati di posti di lavoro qualificati, che fungano da sprone per l’apprendimento dell’italiano: l’impressione generale è che “per quello che il mondo del lavoro offre agli immigrati, forse l’italiano non serve, perché si tratta di lavori che non stimolano”, che non offrono possibilità di carriera. Per questo, l’immigrato preferisce lavorare guadagnare, piuttosto che spendere del tempo per imparare una lingua che non gli è così tanto utile nel lavoro che fa. Infine, un buon elemento discriminante nel desiderio di imparare l’italiano è la presenza di figli in età scolare: il senso di inadeguatezza che i genitori provano nel non essere in grado di aiutare i figli nello studio può essere un buon incentivo all’apprendimento della lingua. A volte, però, può anche accadere il contrario: i figli che sanno l’italiano possono essere utilizzati come interpreti e la loro presenza diventa un alibi per adagiarsi nell’ignoranza linguistica; • presentazione di un progetto formativo diverso dalla scuola tradizionale: soprattutto per i corsi rivolti ad adolescenti in diritto/dovere di istruzione, che sono stati respinti dalle “scuole normali”, una modalità vincente di aggancio è la presenza di moduli formativi volti all’accoglienza e all’aumento della coesione del gruppo. Inoltre, vengono garantiti moduli di arricchimento linguistico oltre l’orario curriculare (personalizzazione dell’apprendimento e LARSA); • presenza di un mediatore culturale, figura molto usate nei servizi socio-sanitari, ma ancora poco negli enti e nei corsi di formazione; • riconoscimento tangibile del loro impegno: per gli immigrati è importante avere un feedback concreto degli sforzi fatti. Per questo, alcuni Enti rilasciano una sorta di diploma (anche privo di valore formale, se il corso non è accreditato dalla Regione) che testimoni la frequenza al corso: “gli immigrati vengono a ritirarlo anche dopo mesi”; • accompagnamento nella validazione del titolo di studio: spesso gli stranieri hanno 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 43 studiato nel loro Paese d’origine, talvolta conseguendo anche titoli elevati, ma il riconoscimento in Italia di tali titoli richiede un percorso lungo e complesso, di cui sarebbe importante informare l’immigrato già in sede di prima accoglienza. Conoscere il titolo di studio del corsista che si ha davanti, a prescindere dal fatto che sia validato o meno, è comunque importante perché esso “è un facilitatore per l’apprendimento e la tenuta nel frequentare il corso”, da cui si deduce che “lo svantaggio dell’immigrato sta alla base: meno ha studiato nel suo Paese, più sarà svantaggiato in Italia”. Spesso occorre verificare l’attendibilità dei titoli che gli immigrati affermano di possedere (“Sembra di smentirli, ma è giusto chiederlo”), perché talvolta essi fanno confusione tra diploma e laurea: per questo, è meglio verificare l’informazione domandando la quantità di anni di studio che hanno sostenuto. 3.2.1.4 Anagrafica utenti È emersa una differenziazione significativa, sulla base del tipo di servizio, rispetto ad altre informazioni richieste all’inizio dei corsi. Infatti: • all’interno di alcuni servizi che si occupano solamente di formazione, viene effettuata una specifica rilevazione dei fabbisogni formativi, attraverso una scheda che richiede i dati anagrafici, il titolo di studio posseduto, le aree formative di interesse, gli orari prescelti, la capacità di utilizzare strumenti informatici, le lingue conosciute, le preferenze circa la durata del corso; • all’interno di servizi che si occupano anche di altre tematiche relative all’immigrazione, oltre che di formazione, si insiste meno sui fabbisogni formativi e si dà maggiore spazio a informazioni sulla famiglia, che rappresenta un vincolo e può condizionare il successo formativo del corsista, e sulla rete, ovvero gli si chiede come sia approdato al corso e chi l’abbia inviato. La convinzione profonda è che indagare sin da subito il retroterra familiare consenta di farsi un’idea dei fattori di rischio e di protezione cui è sottoposto il corsista, e di portare così avanti il corso con maggiore efficacia. • per quanto riguarda invece l’EBT, che eroga corsi obbligatori, l’anagrafica riguarda solamente le aziende partner, perché sono queste ultime che inviano i corsisti, ai quali al momento dell’iscrizione sono richiesti solo i dati essenziali, ma non i fabbisogni formativi o le condizioni familiari. L’Ente offre tuttavia la possibilità di compilare on-line un bilancio delle competenze che comprende anche una parte anagrafica. In generale, quasi tutti gli Enti ricorrono a modalità di archiviazione telematica delle informazioni; solo pochi si limitano alla forma cartacea di raccolta dei dati. 44 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 3.2.1.5 Aree di sviluppo Gli operatori si sono dichiarati scontenti dei seguenti punti: • le condizioni restrittive imposte dalla Regione rispetto ai criteri di ammissione dei corsisti, che induce a includere anche ragazzi poco adatti a questo tipo di formazione; • le modalità troppo assistenzialistiche e maternalistiche che a volte ci si trova a mettere in atto e che, se estremizzate, pongono gli immigrati in una posizione di eccessiva dipendenza: “si impedisce loro di continuare sulle proprie gambe”. Per questo, occorre stabilire delle regole e, nel tempo, saper essere rigidi all’occorrenza; • la disorganizzazione causata dall’eccessivo numero di utenti; • la mancanza di risorse, che rende i corsi uguali a se stessi e rischia di irrigidire l’offerta formativa; • il mancato rispetto della tempistica dei bandi regionali; • il lavorare per bandi stesso: la scadenza del bando formativo, soprattutto se è annuale e non viene rinnovato, porta a vanificare il lavoro iniziato. Occorrerebbe insistere sulla promulgazione di bandi pluriennali e si spera che nel sessennio 20072013 questo appello venga accolto; • la “visione burocratizzata della formazione obbligatoria”, che pone il docente in posizione distanziante e disinteressata del successo dell’allievo, e rimanda a quest’ultimo l’idea che la formazione sia qualcosa di imposto che non serve a nulla; • il problema del rapporto con gli imprenditori, che si manifesta sempre nel campo della formazione obbligatoria: è l’imprenditore che impone ai dipendenti la formazione, “mentre la formazione dovrebbe essere una scelta”; • lo scarso contatto del mondo della formazione con il mondo del lavoro: mancano legami diretti tra gli enti formativi e le imprese che assumono, non sempre viene favorita una transizione fluida verso l’inserimento lavorativo. 3.2.1.6 Punti di forza degli enti I servizi formativi si fregiano però anche di punti di forza da non sottovalutare, quali: • la competenza e grande “capacità di sperimentazione” degli operatori; • in alcuni degli Enti, la presenza di facilitatori e mediatori culturali; • la flessibilità dell’offerta formativa: oltre alla varietà di corsi di formazione professionale, vengono previste altre soluzioni. Per esempio, viene proposta l’alternanza scuola-lavoro a quei ragazzi che devono assolvere l’obbligo scolastico, ma hanno difficoltà anche a frequentare un CFP; • l’atteggiamento di accoglienza e assistenza, che attira gli immigrati, i quali spesso portano con sé molti altri bisogni, oltre a quello formativo, e che quindi apprezzano un’atmosfera amichevole (“Non vogliono l’asetticità!”). Bisogna però evitare che l’assistenza si trasformi in assistenzialismo, per non incorrere nel rischio sopra descritto fra i punti di debolezza; • l’apertura ad un’utenza diversificata, e la capacità di far fronte a bisogni formativi diversi (“C’è un po’ di tutto”); • la qualità della progettazione formativa, che è specifica per esigenze specifiche; 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 45 • la capacità dei docenti di relazionarsi con l’immigrato, di mettersi in sintonia con lui, al di là dei problemi linguistici; • la preparazione di materiale didattico in lingua straniera (distribuzione della traduzione in arabo e cinese delle slide italiane utilizzate in classe): questa modalità è caratteristica di un solo Ente ed si è affermata dopo il fallimento dei corsi di italiano; • l’approccio di rete. 3.2.1.7 Rete Ricollegandoci al punto precedente, possiamo notare come la presenza di una rete di servizi che erogano percorsi formativi sia considerata dagli operatori come innegabile punto di forza, che “crea enormi potenzialità”. Questa rete sembra attualmente presente soprattutto tra alcuni Enti, come ad esempio tra IAL, CESIL e Associazione per la Famiglia (“Siamo una rete, ma non ce lo siamo mai detti!”) e si auspica venga ampliata, a condizione però di includere solo servizi che eroghino formazione gratuitamente (“Sono gli unici a cui poter inviare gli immigrati!”). Quanto al rapporto con le scuole, gli operatori concordano sulla necessità di implementare, come proposto dal progetto “Resfor- Una rete per il successo formativo”, finanziato dalla Provincia nel 2006, una rete tra CFP e scuole, tra CFP e società e tra CFP e agenzie interinali, sindacati, imprese, così da favorire un passaggio meno difficoltoso dal mondo della formazione al mondo del lavoro ed “evitare che l’immigrato pensi che la formazione sia solo una perdita di tempo”. 3.2.2 Risultati delle interviste Rispetto alla tematica della Formazione sono state screenate solo le domande appartenenti all’area Formazione dell’intervista, non essendovi domande specifiche e dedicate, nell’area Servizi, in relazione agli enti formativi. La prima domanda rivolta agli intervistati indagava gli anni di studio al Paese d’origine, così da ricavare o confermare con maggior precisione il titolo di studio più plausibilmente posseduto, anche in caso di confusione o mancata comprensione alla domanda successiva (titolo di studio conseguito al Paese d’origine). Il 50% dei soggetti ha dichiarato di aver studiato per 11-15 anni (che corrisponde a licenza media e/o diploma professionale), il 29% da 6 a 10 anni ( che corrisponde a licenza elementare e/o media), il 14% dai 16 ai 20 anni (diploma superiore e/o laurea). Solo il 7% non ha studiato o ha studiato per 1-5 anni (licenza elementare). Si tratta quindi di una popolazione immigrata alfabetizzata e con un livello di istruzione medio-alto. I dati corrispondono, anche se con qualche approssimazione, a quelli raccolti nella domanda relativa al titolo di studio al Paese d’origine: il 39% degli intervistati sostiene di possedere il diploma, il 29% ha finito la scuola dell’obbligo (licenza media), il 14% è laureato, il 10% ha la qualifica professionale, mentre solo l’8% dichiara di non avere nessun titolo. 46 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 12 Anni di studio al Paese d’origine Anni di studio al Paese d'origine 14% 7% 29% 0-5 anni 6-10 anni 11-15 anni 16-20 anni 50% Grafico 13 Titolo di studio al Paese d’origine Titolo di studio al Paese d'origine 14% nessuno 8% 29% obbligo qualifica diploma 39% 10% laurea e oltre La domanda successiva, tuttavia, sottolinea la macchinosità e la difficoltà della procedura di riconoscimento del titolo di studio in Italia: la maggioranza (88%) afferma che nessun titolo di studio le è stato riconosciuto. Solo al 6% degli immigrati intervistati è stata riconosciuta la qualifica professionale, al 4% la licenza media, al 2% il diploma superiore (Grafico 14). Grafico 14 Titolo di studio riconosciuto in Italia Titolo di studio riconosciuto in Italia 4% 6% 2% nessuno obbligo qualifica 88% diploma 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 47 Non del tutto bloccato, invece, appare l’accesso a corsi di studio in Italia: sebbene il 59% dichiari di non averne frequentati, la percentuale del 41% di chi ha frequentati uno o più corsi sembra incoraggiante (Grafico 15). Grafico 15 Corsi di studio frequentati in Italia Corsi di studio in Italia 41% 59% sì no Il passo successivo è stato di chiedere proprio quali fossero i corsi frequentati in Italia, con la possibilità di indicarne anche più di uno. I corsi maggiormente frequentati dagli intervistati in Italia sono i seguenti: • lingua italiana; • ASA (Ausiliario Socio Assistenziale); • OSS (Operatore Socio Sanitario); • orientamento al lavoro; • corsi professionali specifici (igiene, orafo, fotografia e litografia, parrucchiere, assistente fiscale, segretaria, mediatore linguistico-culturale, meccanico, naturopata,…); • internet e computer; • autoimprenditorialità; Solamente un soggetto afferma di aver conseguito la licenza media in Italia, un altro ha ottenuto la patente di guida, un altro ancora si è iscritto all’università. Emergono tuttavia come ricorrenti alcuni problemi relativi alla frequenza di corsi di formazione in Italia, che hanno reso difficoltoso portare a termine, o hanno impedito l’iscrizione, ai corsi stessi. I Più significativi risultano essere: • la mancanza di tempo a causa degli impegni lavorativi; • la mancanza di tempo a causa delle esigenze familiari (es. accudire i figli piccoli, che non si sa a chi lasciare durante il corso,…): dunque, la difficile conciliabilità tra famiglia e corsi di formazione; • la mancanza del permesso di soggiorno: i corsi si rivolgono solo agli immigrati regolari; • la complessità e il costo troppo alto dell’iter burocratico per il riconoscimento dei titoli di studio esteri, in particolare dell’obbligo scolastico, il possesso del quale è uno standard minimo per l’accesso a molti corsi di formazione italiani; 48 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE • i costi troppo alti di alcuni corsi (sono invece apprezzati i corsi FSE); • le difficoltà linguistiche, poiché le lezioni sono in italiano; • il pregiudizio e la discriminazione che, secondo alcuni intervistati, gli insegnanti italiani avrebbero verso le capacità di studio degli immigrati; • mancanza di interesse o paura di non riuscire bene, di non essere all’altezza delle richieste formative (es. per la patente di guida). Dalle risposte degli immigrati si desume inoltre una forte necessità di informazioni sulla formazione, in particolare su: • tipologie di corsi offerte e modalità di funzionamento dell’istruzione in Italia; • costi dei corsi; • procedure e costi del riconoscimento di titolo di studio esteri; • tipologie di corsi per i quali è richiesto l’obbligo scolastico. 3.3 La famiglia e i servizi per la famiglia 3.3.1 Risultati del focus group Il focus group con gli operatori che si occupano di servizi per la famiglia si è svolto presso l’Associazione per la famiglia. Tra i contenuti emersi durante il focus riportiamo subito alcune informazioni di base, che possono fungere da premessa e da contorno alle considerazioni più strettamente riferite alle linee guida del focus group. Si tratta di aspetti che gli immigrati non sempre conoscono e che possono essere invece degli elementi critici per la vita familiare: • le donne immigrate spesso non sono al corrente dell’esistenza e della gratuità dell’ISE, un documento che i CAF rilasciano alla madre per certificare che non ha reddito o ha un reddito parziale: tale certificazione dà a suo figlio il diritto di accedere gratuitamente ai servizi educativi; • la Legge Bossi-Fini non riconosce il nucleo familiare, bensì riconosce, come condizione imprescindibile per ottenere il permesso di soggiorno, solo il possesso di un lavoro. Così, quando un figlio di immigrati diventa maggiorenne deve cercare lavoro entro 6 mesi per avere il permesso di soggiorno, anche se già i genitori ne sono in possesso; • a sostegno della famiglia immigrata è spesso utilizzato l’art. 31 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", che consente di rimanere in Italia per l’assistenza a familiari bisognosi di cure (malati, anziani, disabili,…) o per proprie esigenze sanitarie e di cura. Dopo aver sottolineato questi aspetti, possiamo occuparci più da vicino delle considerazioni degli operatori in merito alle consuete aree tematiche dei focus, come appare qui di seguito. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 49 3.3.1.1 Principali enti I principali enti che su territorio milanese si occupano di servizi per la famiglia sono: • il CESIL (Centro Solidarietà Integrazione Lavoro), ente della CISL che dal 1980 si occupa di inserimento lavorativo, prevenzione al disagio e alla marginalità sociale e appunto anche di integrazione dei cittadini immigrati; • l’Associazione Centro di Solidarietà San Martino, della quale fa parte dal 1989. Inizialmente l’Associazione si occupava di reinserire anche ex-carcerati e tossicodipendenti, mentre oggi il target è più mirato e si è ristretto solamente agli stranieri con permesso di soggiorno, che vengono seguiti ad ampio raggio all’interno dei vari settori che compongono lo “Sportello Lavoro Integrato”: lo Sportello Documenti, lo Sportello Lavoro Domestico, lo Sportello Lavoro-Impresa, lo Sportello Linguistico-Culturale, lo Sportello Famiglia, lo Studio Medico privato. Quest’ultimo è l’unico servizio che viene offerto anche a chi è privo di permesso di soggiorno. Fra le attività curate dall’Associazione vi è infine la gestione di una casa di accoglienza per ragazze madri immigrate, che si trova a Zelo Surrigone (MI); • l’Ufficio Stranieri del Comune di Milano e in particolare il Segretariato e Servizio sociale, che attiva interventi di assistenza sociale per aiutare gli immigrati adulti a superare le difficoltà e ad inserirsi autonomamente nella società; • l’Associazione per la Famiglia, nata nel 1997 per l'iniziativa congiunta di CISL, ACLI e Confcooperative di Milano. E' un'associazione di volontariato che comprende tra i suoi obiettivi principali quello di promuovere e riconoscere il ruolo della famiglia, le sue prestazioni, i suoi diritti e le sue esigenze, offrendo servizi di consulenza legale, mediazione familiare, consulenza psicologica e di sostegno all’inserimento professionale, formazione, assistenza in casi di mobbing e di discriminazioni sul lavoro. I servizi sono rivolti sia alle famiglie italiane, sia a quelle immigrate e quest’ultima utenza risulta sempre più consistente. Tra i progetti più significativi attivati di recente dall’Associazione, Sabina ricorda il “Progetto Nodi”, che si rivolge alle donne immigrate sole con figli minori a carico, sostenendole e accompagnandole nella ricerca di un lavoro e di servizi sociali, sanitari, scolastici, giudiziari sia per sé sia per i loro bambini. L’Associazione opera a stretto contatto con il CESIL, essendo entrambi gli enti sotto il patrocinio della CISL; • le cooperative sociali che offrono servizi di mediazione linguistica, quale la Cooperativa sociale Kantara, che opera per il superamento di tutte le barriere linguistiche o culturali e di tutti i fattori di disagio sociale che rendono difficile l'accesso e l'uso dei servizi socio sanitari da parte dei cittadini stranieri, a partire dal riconoscimento dei diritti sostanziali e delle pari opportunità nella fruibilità dei servizi. In particolare, la cooperativa si è anche occupata del Progetto "Anahi - Accompagnare e educare le donne straniere e i loro nati all'uso dei servizi" presso la Clinica Mangiagalli, finalizzato a seguire e integrare nel territorio le donne straniere neomamme e favorire un uso adeguato dei servizi attraverso la pianificazione e la realizzazione di un collegamento tra servizi ostetricoginecologico, di neonatologia e di pediatria; • il SAI (Servizio Accoglienza Immigrati) della Caritas Ambrosiana, che dal 2002 anni accoglie, ascolta e orienta gli immigrati (ascolto, orientamento all’accoglienza 50 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE notturna temporanea e su progetto, orientamento alla ricerca lavorativa, consulenza legale per rilascio e rinnovo di permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari ecc., orientamento ai servizi territoriali, accompagnamento). Si tratta di un servizio molto richiesto, come dimostrano le cifre relative all’utenza: infatti, passano dal SAI circa 6.000/7.000 utenti all’anno (40/50 ogni giorno). 3.3.1.2 Tassonomia degli utenti Le categorie “tipo” di stranieri che usufruiscono dei servizi possono essere classificate sulla base delle caratteristiche familiari, della cultura e della religione, del tempo di permanenza in Italia, del possesso di permesso di soggiorno. a) Categorie relative a caratteristiche familiari I target principali dei vari enti sono: • donne sole con minori a carico: hanno rilevanza numerica notevole e i loro bisogni sono quelli di alloggio, lavoro, sostegno, accompagnamento ai servizi e mediazione culturale-linguistica, poiché spesso “c’è difficoltà di accesso ai servizi per mancanza di comprensione di cosa il servizio offre e di come entrarvi in relazione, soprattutto quando nascono i figli”. Il servizio, così, si trova davanti a richieste incongruenti rispetto alla propria offerta; • nucleo familiare con minori a carico: in questo caso, il problema principale è quello di trovare un alloggio; • famiglie coinvolte da ricongiungimenti familiari: poter portare in Italia i propri figli è il desiderio fondamentale di tutti i genitori che li hanno preceduti per cercare lavoro e una nuova vita. Il ricongiungimento, così, “è vissuto come una seconda nascita dei bambini”. Anche in questo caso, le questioni fondamentali da risolvere sono quelle sanitarie e dell’istruzione per i minori. • nucleo familiare con malati e handicappati: per chi si rivolge ai servizi solo per cercare lavoro “è difficile che emerga il discorso famiglia, a meno che vi siano figli, malati o handicappati”. Al contrario, se non vi sono particolari problemi di questo genere, lo straniero preferisce chiedere aiuto alla sua etnia o alla sua comunità religiosa, piuttosto che a terzi. In questi casi, il retroterra familiare dello straniero emerge solo in particolari occasioni, come può essere ad esempio, per quanto riguarda l’Associazione “Centro di Solidarietà San Martino”, la distribuzione del pacco alimentare; • giovanissime che rimangono incinte: in questo caso, i bisogni sono quelli di assistenza completa, nonché di prevenzione che sarebbe bene avviare nelle scuole attraverso dei progetti ad hoc di educazione affettiva e sessuale, rivolti soprattutto alle ragazze straniere. b) Categorie relative a cultura e religione • donne musulmane: nel caso della religione musulmana, sono soprattutto le donne a chiedere aiuto (per esempio, a chiedere il pacco alimentare), mentre gli uomini tendono maggiormente ad essere orgogliosi e a voler risolvere da soli i problemi; • donne sudamericane: la cultura sudamericana favorisce una mentalità aperta alla richiesta di aiuto e per questo si ha un accesso al servizio “più fluido che in altre culture”. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 51 c) Categorie relative al tempo di permanenza in Italia • neoarrivati: hanno bisogni di alloggio, lavoro, istruzione, sanità, assistenza a 360 gradi; • immigrati che sono in Italia da molti anni: è possibile trovare immigrati che tornano a rivolgersi ai servizi dopo 15-20 anni a causa della perdita del lavoro o della casa. In questo caso, la loro posizione è talvolta di maggiore svantaggio rispetto ai neoarrivati: “se non si erano inseriti bene, la permanenza in Italia li ha fatti cadere sempre più in basso e ora hanno difficoltà a riproporsi sul mercato del lavoro rispetto a 20 anni fa”. la loro esigenza, quindi, è anche di riqualificazione professionale. • d) Categorie relative al possesso del permesso di soggiorno • immigrati aventi permesso di soggiorno: hanno maggiori vantaggi, perché hanno maggiori possibilità di accesso ai servizi; • immigrati clandestini: sono svantaggiati perché il mancato possesso di permesso di soggiorno crea un circolo vizioso che allontana sempre più l’immigrato dalla possibilità di ottenerlo. Infatti, per la Legge Bossi-Fini il criterio fondamentale per averlo è il possedere un lavoro: tuttavia, per esempio, per una donna sola il non avere il permesso di soggiorno impedisce l’accesso ai servizi sanitari ed educativi per i figli, che non possono essere mandati a scuola e così costituiscono un “ostacolo” a quella ricerca di lavoro che garantirebbe il permesso di soggiorno stesso. Altri operatori, invece, si focalizzano sulle esigenze primarie di alcuni gruppi di immigrati, che così vengono categorizzati “per bisogni”. Essi riguardano prevalentemente le donne: • disagio psicologico forte: le donne straniere sono spesso portatrici di bisogni di ascolto e di assistenza rispetto a malesseri psichici e malattie mentali, che spesso si ripercuotono su disagi fisici, forse nella forma di malattie psicosomatiche. “Queste donne hanno molto bisogno di parlare”; • problemi relazionali tra generi: in Italia le donne, prendendo contatto con la cultura occidentale e notando la posizione della donna nella nostra società, tendono ad “alzare la testa” e a richiedere un supporto psicologico e legale per eventuali violenze e abusi; • aiuto nella gestione dei figli: in un Paese straniero, le donne “non sanno come fare e si sentono perse”; • conflitti familiari che spesso provengono dal mancato riconoscimento del nucleo familiare da parte della Legge Bossi-Fini, la quale invece, appunto, riconosce solo il possesso di un lavoro. Così, come già ricordato, quando un figlio di immigrati diventa maggiorenne deve cercare lavoro entro 6 mesi per avere il permesso di soggiorno: questa urgenza crea ansie e dissidi in famiglia, perchè il rischio che il ragazzo venga espulso dal nostro Paese è forte. 3.3.1.2 Fronteggiamento dei bisogni degli utenti Per quanto riguarda le modalità di affrontare le richieste provenienti dalle categorie individuate, gli operatori distinguono tra metodo, che sembra essere trasversale, e contenuti degli interventi, che invece sono specifici a seconda dei bisogni e delle caratteristiche dell’utenza. 52 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE a) Metodo Ognuno degli operatori aggiunge un proprio contributo nel tratteggiare un metodo efficace per interfacciarsi con l’immigrato, le cui linee guida possono essere sintetizzate nei punti seguenti: • ascolto: l’ “ascolto significativo della persona”, che non è ovvio visto che spesso si ha poco tempo, risulta essere un elemento fondamentale, perché l’immigrato si sente degno di attenzione e così più disposto alla collaborazione; • analisi della domanda: anch’essa è basilare, dal momento che la domanda espressa dall’immigrato spesso cela bisogni latenti che l’operatore, grazie alla sua esperienza e a una griglia strutturata, deve tentare di decifrare e portare alla luce (per esempio, dietro la ricerca di un lavoro può esserci l’ancora più pressante bisogno di trovare un alloggio); • contratto psicologico: consiste nel creare la relazione e la fiducia tra operatore e utente, che è essenziale anche per una questione di passaparola (“Poi la voce gira e si fida di te più gente!”); • chiarezza: non bisogna coprire e giustificare gli stranieri nella loro carenze (es. il non avere il permesso di soggiorno), ma essere espliciti e chiari. L’operatore deve “porsi non come allo straniero, ma come a un altro se stesso, con verità, in modo chiaro, corretto e attento”. Questa verità aiuta l’immigrato anche a discernere tra servizi validi e promesse illusorie; • flessibilità: anche se più recenti rispetto ad altre già in lista, occorre intervenire prima sulle situazioni più a rischio, come quelle in cui il permesso di soggiorno è in scadenza; si fanno molti passi per salvaguardare il permesso di soggiorno, perché esso è il requisito per ottenere altri diritti; • invio alle persone concrete e non ad enti generici: “prendersi cura” dell’immigrato significa che se lo si rimanda ad un altro servizio, lo si deve accompagnare ed indirizzare ad un preciso operatore che possa continuare ad occuparsi di lui. Non ci si deve limitare ad indicargli l’ente presso cui deve recarsi, “bisogna dargli in mano il foglietto con il nome della persona e guidarlo”: solo così si corrono meno rischi di dispersione e vanificazione degli interventi; • lavoro di rete: occorre che i vari servizi si mettano in rete, collaborino per garantire il raggiungimento di obiettivi comuni di assistenza, sostegno e integrazione. Inoltre, sulla base del punto precedente “c’è bisogno di una rete fatta di nomi e cognomi”, in cui gli operatori di questi servizi si conoscano personalmente il più possibile, così da fornire i giusti rimandi agli utenti da inviare; • informazione/formazione degli operatori: occorre che gli operatori siano adeguatamente formati e sempre aggiornati rispetto alle informazioni da fornire agli immigrati. per questo, è necessaria una formazione continua, in itinere. b) Contenuti Per quanto riguarda i contenuti degli interventi, gli operatori hanno focalizzato alcuni aspetti essenziali che attengono a particolari categorie di utenti, ma possono anche essere allargati ad altre. Per esempio, le donne sole con bambini richiedono un orientamento ai servizi sociali che spesso non è facile (“la donna ha paura che l’assistente sociale le porti via il bambino!”). Un’altra tematica saliente da trattare con queste donne è la conoscenza dell’ISE. Ancora, 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 53 l’immigrato necessita fortemente di un orientamento a non cadere nelle promesse illusorie degli sciacalli: non sapendo come muoversi ed essendo disinformato, spesso cade nella rete di persone che gli offrono a pagamento dei servizi che invece sarebbero gratuiti (“per esempio, gli sciacalli rivendono a pagamento il kit di moduli per il permesso di soggiorno che si trova gratis in Posta”) , o che lo manipolano dandogli informazioni scorrette o incomplete (“un esempio su tutti, il caso di una coppia cui era stata consigliata la separazione per aumentare le probabilità di avere una casa popolare”). Spesso gli sciacalli sono connazionali in Italia già da tempo, che speculano sull’ignoranza delle leggi da parte dei neoarrivati e sfruttano la loro diffidenza verso i servizi gratuiti (“l’immigrato si fida poco di ciò che è gratis!”). 3.3.1.4 Anagrafica utenti È emersa chiaramente, rispetto al tipo di informazioni richieste, una differenziazione a seconda del momento e del tipo di servizio: • all’interno di alcuni servizi e comunque sempre durante il primo colloquio, i dati anagrafici (nome e cognome, domicilio e residenza) vengono richiesti solamente se servono, mentre non viene mai richiesto il permesso di soggiorno. Per esempio, nome e cognome non vengono richiesti né nel servizio di segretariato sociale del Comune, che quindi raccoglie solo dati statistici non nominativi (nazionalità, tipologia di bisogno), né nel servizio di mediazione culturale-linguistica. Al contrario, nome e cognome vengono richiesti nel caso in cui servano per smistare le richieste ad altri sportelli più specifici; • all’interno di servizi più specifici, quali lo sportello per la ricerca del lavoro, oltre ai dati anagrafici, che sono stati già richiesti in precedenza, viene richiesto anche il permesso di soggiorno, che è necessario per avere accesso a determinate offerte di sostegno, aiuto e accompagnamento. • Richiedere il permesso di soggiorno solo in un secondo momento è comunque strategico perché consente all’operatore di guadagnarsi la fiducia dell’immigrato e creare un clima di accoglienza (“chiederlo subito è poliziesco!”). In questa sede, viene compilata l’anagrafica completa dell’utente, che può essere solo in forma cartacea, oppure anche informatizzata. I servizi che privilegiano solo la forma cartacea motivano questa scelta con il fatto che è “più amichevole” (“mentre si compila la scheda si può guardare la persona e non lo schermo del computer”). Il verbale degli incontri, infine, viene fatto solamente dall’assistente sociale dell’Associazione “Centro di Solidarietà San Martino”, qualora serva per raccogliere storia ed esigenze della famiglia, in funzione della preparazione del pacco alimentare. 3.3.1.5 Aree di sviluppo Gli operatori, in particolare, hanno lamentato le seguenti carenze: • l’assenza pressoché totale di servizi dedicati alla seconda generazione di immigrati, ovvero ai minori adolescenti figli di immigrati (“la situazione è problematica soprattutto nei casi di ricongiungimento familiare con ragazzi che arrivano in Italia a 13/14 anni”). Spesso le famiglie sono lacerate da conflitti e violenze che derivano dai conflitti 54 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE intergenerazionali e dalle situazioni di marginalità che spesso i ragazzi stranieri vivono (isolamento a scuola e nei servizi, impossibilità a sviluppare le dimensioni della socialità che sono fondamentali per la costruzione di Sé). I loro vissuti costituiscono un problema vivo, ma poco trattato perché “è un problema che non bussa alla porta”: infatti, i minori non arrivano a chiedere aiuto ai servizi esistenti; • la carenza di servizi dedicati al disagio psicologico e alla malattia mentale; • la carenza di organico (per esempio, per gli immigrati “ci sono solo 8 assistenti sociali per tutta Milano, con liste di attesa lunghe 6 mesi!”) e di spazi fisici; • il rischio che il servizio sia subissato da più richieste di quante riesca ad evadere, soprattutto se si tratta di un ente che poggia principalmente sul volontariato (“il volontariato, se non è supportato da Comune e Provincia, rischia di non tenere”; “i volontari vanno e vengono”); • la modalità di lavoro per progetti, che il più delle volte, per mancanza di finanziamenti successivi, porta a dover interrompere un percorso appena dopo essere riusciti a costruire una rete di servizi e delle buone pratiche (“tutto si ferma e il lavoro va perso”); questa modalità, inoltre, è negativa anche per gli operatori, che vengono pagati tardi e sono sempre precari, non sanno se l’anno successivo potranno continuare il loro servizio, con effetti negativi sulla motivazione (“la precarietà è mortificante”); • per i servizi pubblici come il Comune, l’essere soggetti ai mutamenti politici, che portano alla riorganizzazione e allo smembramento del servizio ad ogni cambio di giunta, con lo svantaggio di perdere la continuità del servizio; • per quanto riguarda gli sportelli per il lavoro, molto spesso manca l’incontro domanda-offerta che invece dovrebbe esserci. 3.3.1.6 Punti di forza Gli operatori sono però anche orgogliosi di indicare alcuni aspetti positivi dei servizi da loro offerti, quali: • per molti di loro, il fatto di essere una costola di associazioni o enti fortemente visibili, quali la CISL, il Comune o la Caritas, che garantisce a loro volta credito e visibilità, è un buon biglietto da visita e garantisce la qualità del servizio; • l’esperienza pluriennale e la continuità del servizio, che permette di tramandare il sapere da una generazione all’altra di operatori; • il metodo di lavoro improntato all’ascolto e all’accoglienza, senza che venga subito richiesto il permesso di soggiorno: “questa modalità è apprezzata e il servizio è sempre pieno!”; • l’essere riusciti a conquistare la fiducia dell’utenza (“c’è continuità dell’utenza, che torna anche dopo 10 anni!”; “la gente che arriva da noi si innamora del nostro servizio!”); • la presenza di molte risorse (dipendenti e volontari), affermazione che non va considerata in contraddizione con la carenza di organico lamentata prima: infatti, molti servizi apprezzano il proprio team di lavoro e lo considerano un punto di forza, tuttavia si rendono anche conto che esso andrebbe ampliato al fine di garantire 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 55 un’attenzione ancora maggiore agli utenti; • l’accreditamento e la certificazione della qualità del servizio, che richiede procedure onerose per mettersi a norma, ma poi ha ricadute positive perché induce a darsi delle regole, a rafforzare le competenze e a far funzionare meglio l’ente; • l’aver implementato modelli di intervento efficaci; • l’offerta di consulenza anche telefonica; • per alcuni servizi, l’essere molto presenti sul territorio (es.”il servizio di mediazione • la formazione anche giuridica degli operatori, che consente di seguire l’utenza in una culturale-linguistica è molto presente nei servizi socio-sanitari”); prospettiva di più ampio respiro, che tenga sempre conto dei riferimenti legislativi. 3.3.1.7 Rete Si rileva la presenza di “nicchie di sinergie di rete” con molti partner: i servizi collaborano con Pretura, Questura, Comune, Province e Regioni, scuole, enti di formazione, ospedali, agenzie di lavoro interinale. C’è una rete anche con il privato sociale (che però è sottoutilizzata), nonché con gli altri servizi (con traiettorie privilegiate di invio reciproco tra le associazioni che si conoscono meglio tra loro, come CESIL, Associazione per la Famiglia e IAL, che fanno tutte capo alla CISL). Tuttavia, gli operatori sono consapevoli della debolezza di questo approccio di rete, che si fonda più sulle conoscenza dei singoli, che non su canali solidi di rapporto tra i servizi: per questo, sostengono che “la rete dà e la rete toglie” e “si lavora finché dura”. Infatti, se un operatore che intratteneva i contatti con un altro servizio se ne va, anche il contatto sfuma e bisogna ripartire da zero. E’ quindi presente il desiderio e l’esigenza di costruire una rete più resistente e durevole, che vada al di là dei rapporti contingenti tra singoli. 3.3.2 Risultati delle interviste L’area dell’intervista dedicata alla famiglia si occupava di indagare i cardini della vita familiare dello straniero in Italia, a partire dalla situazione familiare. Il Grafico 16 mostra come le più alte percentuali si riferiscano a situazioni in cui l’immigrato è in Italia da solo (38%) o con la propria famiglia nucleare (39%). Meno rappresentate sono le categorie di coloro che sono in Italia con la famiglia d’origine (17%), o sia con la famiglia d’origine che con la propria famiglia (solo il 6%). Sembra quindi che il fenomeno immigrazione si ponga come elemento critico rispetto al mantenimento concreto dei rapporti e dei legami tra le generazioni, presumibilmente con una serie di ricadute anche a livello delle relazioni e dei vissuti dei membri della famiglia (rapporti genitori-figli, nonni-nipoti, ecc.). Molto spesso, infatti, la famiglia d’origine non viene coinvolta nella prima ondata migratoria, che ha spesso il carattere dell’esplorazione e della preparazione di condizioni favorevoli ad un ricongiungimento che avviene, se possibile, in un secondo momento. 56 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 16 Situazione familiare Situazione familiare in Italia da solo 6% 38% con famiglia d'origine con famiglia propria 39% 17% con entrambe Per quanto riguarda, poi, la condizione matrimoniale (Grafico 17), vi è una leggera prevalenza dei single (27%), seguita da una distribuzione percentuale equa tra i soggetti sposati al Paese d’origine che hanno registrato il matrimonio anche in Italia (21%) ed i soggetti sposati al Paese d’origine, ma il cui matrimonio non è registrato in Italia (21%). Il 14% degli intervistati è separato o divorziato, mentre l’11% convive. Decisamente infrequenti, invece, sono i casi di matrimonio in Italia con un connazionale (4%) o di un matrimonio con un italiano (2%): l’integrazione fra culture, in questo senso, appare ancora lontana. Grafico 17 Situazione matrimoniale single Situazione matrimoniale 14% 11% 27% 2% 21% 21% 4% matrimonio con italiano matrimonio in Italia con connazionale matrimonio al Paese d'origine registrato matrimonio al Paese d'origine non registrato convivente separato/divorziato Un’ulteriore variabile di interesse riguarda il numero dei figli, sia in Italia, sia al paese d’origine. Come si desume dal Grafico 18, sembra che gli intervistati siano stati cauti nel coinvolgere i figli nell’esperienza dell’immigrazione in Italia: il 47% di essi, infatti, non ha figli presenti in Italia, mentre il 32% ne ha solo 1. Sensibilmente inferiori sono le percentuali di coloro che hanno avuto o condotto con sé in Italia 2 figli (15%), 3 figli (5%) o addirittura 5 figli (1%). 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 57 Grafico 18 Numero figli in Italia 1% Numero figli in Italia 5% 0 figli 15% 47% 1 figlio 2 figli 3 figli 32% 5 figli Tuttavia, il Grafico 19 mostra che probabilmente la maggior parte degli immigrati non ha figli in Italia non perché abbia scelto di lasciarli in patria, ma proprio perché non è ancora genitore: il 68% degli intervistati, infatti, dichiara di non avere figli neanche al Paese d’origine. Il 12%, invece, è partito lasciando alla cura dei parenti 1 figlio, l’11% 2 figli, il 7% 3 figli e solo il 2% 4 figli. Grafico 19 Numero figli al Paese d’origine Numero figli al Paese d'origine 11% 7% 2% 0 figli 1figlio 2 figli 12% 68% 3 figli 4 figli Si è passati poi ad esaminare l’età dei figli presenti in Italia, informazione utile per farsi un’idea di quali servizi all’infanzia e all’adolescenza sia necessario potenziare: i Grafici 20, 21 e 22 mostrano che, per la fascia da 0 a 2 anni, l’82% non ha figli di questa età degli immigrati e il 18% ha solo un figlio; anche per la fascia da 3 a 6 anni si possono riscontrare le medesime percentuali. Per quanto riguarda invece la fascia dei bambini e dei ragazzi da 7 anni in su, il 50% degli immigrati non ha figli di questa età, il 26% ha un figlio, il 13% ha 2 figli, il 19% ha 3 figli, l’1% ha 5 figli. Quest’ultima fascia, dunque, appare come la più rappresentata, mentre dai numeri che riguardano le fasce più basse appare chiaro che sono pochi gli immigrati che negli ultimi anni hanno progettato di avere un figlio in Italia, forse anche a causa della situazione di precarietà e incertezza che la condizione di immigrato porta con sé e che la genitorialità senza dubbio amplifica. 58 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 20 Numero figli In Italia di età da 0 a 2 anni Numero figli 0-2 anni 18% 0 figli 1 figlio 82% Grafico 21 Numero figli In Italia di età da 3 a 6 anni Numero figli 3-6 anni 18% 0 figli 1 figlio 82% Grafico 22 Numero figli In Italia di età da 7 anni in su Numero figli 7 anni in su 13% 10% 1% 0 figli 1 figlio 50% 26% 2 figli 3 figli 5 figli Un altro dato interessante, che può essere interpretato anche alla luce dei risultati relativi alla situazione familiare, riguarda la percezione di utilità della rete parentale (Grafico 23). Il 50% la ritiene di sostegno, per il 38% è indifferente, per il 7% è talvolta di sostegno, talvolta di ostacolo, mentre solo per il 5% è di ostacolo. L’indifferenza del 38% dei soggetti si può forse ricollegare al fatto che molti immigrati (proprio il 38%) sono in Italia da soli, mentre tutta la rete 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 59 dei parenti è rimasta al Paese d’origine e non può quindi fornire un supporto concreto, né essere effettivamente di ostacolo allo svolgersi della vita in Italia. Grafico 23 Utilità della rete parentale Utilità rete parentale di sostegno 38% di ostacolo 50% 7% 5% entrambi indifferente L’analisi qualitativa dei motivi di questa percezione di utilità rivela che coloro che ritengono la rete familiare un sostegno comprendono in questa dicitura sia il supporto psicologico ("Mi hanno tolta della solitudine"), sia il supporto concreto di tipo economico (“Mia sorella mi aiuta anche economicamente”) e logistico (ricongiungimento familiare; aiuto nell’ottenere una casa, un lavoro, il permesso di soggiorno): i familiari presenti in Italia sono quindi un punto di riferimento importante a 360 gradi. La valutazione di indifferenza deriva invece per molti, appunto, dal fatto di essere in Italia da soli (“Non avendo alcun parente non ne ho beneficiato”), mentre coloro che stimano la rete parentale come di ostacolo imputano tale percezione in parte a cattivi rapporti con i familiari, in parte al fatto che anche i familiari sono in difficoltà e sono quindi impossibilitati a fornire aiuto, in parte alle difficoltà economiche e organizzative che l’avere dei figli comporta, quando non si usufruisce di adeguati servizi per l’infanzia (“Sono in Italia da sola con una figlia di 4 anni che mi rende difficile trovare un lavoro. Non so a chi lasciarla"). Molto ricorrente è anche la situazione in cui è l’immigrato a dover aiutare i parenti e non viceversa (“Invio dei soldi in Ucraina per sostenere gli studi di mia figlia e aiutare mio marito alcolizzato”). Infine, le percezioni ambivalenti vengono per la maggior parte spiegate attribuendo ai familiari un ruolo di sostegno psicologico, ma di ostacolo economico e concreto (“Mio fratello e' stato un sostegno morale, ascoltava i miei problemi, ma adesso è più che altro di ostacolo perchè non lavora, non si dà da fare e io lo devo mantenere”). Le ultime due domande della parte dell’intervista specificamente dedicata alla famiglia riguardavano i ricongiungimenti familiari. Il Grafico 24 mostra che solamente il 20% degli immigrati ha già avuto la possibilità di ricongiungere un proprio familiare, mentre l’80% non l’ha fatto. 60 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 24 Ricongiungimenti familiari già avvenuti Ricongiungimenti familiari 20% sì no 80% Corrisponde invece al 56% la percentuale degli immigrati che vorrebbero far ricongiungere qualche familiare o qualche altro familiare (Grafico 25): non tutti coloro che ancora non hanno vissuto un ricongiungimento (80%), dunque, desiderano progettarlo in tempi brevi. Grafico 25 Ricongiungimenti familiari desiderati Altri ricongiungimenti desiderati 44% sì 56% no Considerazioni interessanti relative alla famiglia vi sono anche nell’area dell’intervista dedicata ai servizi, che comprende domande attinenti nello specifico proprio ai servizi per la famiglia (“Di cosa hai avuto bisogno per la famiglia?”; “A chi ti sei rivolto quando hai avuto problemi di famiglia?”; “A quali servizi ti sei rivolto per problemi di famiglia?”). Da un’analisi qualitativa delle risposte alle domande suddette, in primo luogo emerge che i bisogni più pressanti degli immigrati in relazione alla famiglia sono: • degli aiuti economici ed assegni familiari, per mantenere la famiglia in Italia o da spedire al Paese d’origine; • un lavoro, per garantire un reddito familiare; • informazioni per effettuare il ricongiungimento familiare; • permesso di soggiorno e casa, in quanto condizioni per effettuare un ricongiungimento familiare; 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 61 • un alloggio più grande o comunque privato, per garantire un’intimità minima al nucleo familiare (che invece spesso condivide alloggi con altri immigrati); • consultazioni psicologiche; • consulenze legali per la separazione; • accesso ad asilo e scuole per i figli, informazioni sulle opportunità formative; • informazioni sulle modalità di registrazione in Italia di un matrimonio celebrato all’estero; • informazioni su come far riconoscere un figlio ad un compagno che si trova ancora all’estero; • babysitting per i figli durante l’orario di lavoro. • Le interviste evidenziano quindi una disinformazione degli immigrati riguardo a numerose tematiche, in particolare: • ricongiungimento familiare; • accesso ad asili e scuole per i figli; • riconoscimento dei figli all’estero o dall’estero; • procedure e legislazione in materia di separazioni e divorzi; • legislazione riguardo al permesso di soggiorno per i figli minorenni. I punti di riferimento principali in caso di problemi familiari (“A chi ti sei rivolto?”) appaiono essere in maniera preponderante la rete familiare, gli amici e conoscenti, i connazionali e talvolta i datori di lavoro, più che i servizi. Vengono però citati anche: • in molti casi, l’Associazione per la Famiglia; • la Caritas, il Centro di Aiuto per i Poveri, l’Opera San Francesco; • gli assistenti sociali del Comune; • la chiesa; • la scuola dei figli; • i medici di base. Prendendo invece in esame solo i servizi di riferimento in caso di problemi familiari (a quali servizi ti sei rivolto?), gli immigrati intervistati indicano: • Associazione per la Famiglia; • CESIL e Cisl; • assistenti sociali del Comune; • Centro di Aiuto alla Vita (CAV); • Caritas; • ospedali e consultori familiari; • chiese. 3.4 La casa e i servizi per la casa 3.4.1 Risultati dei focus group Il focus group incentrato sui servizi per la casa si è svolto a Milano presso il CESIL. Anche in questo caso, alcuni spunti contenutistici del focus possono essere utili per introdurci 62 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE all’argomento e fungere da premessa per comprendere alcuni particolari. Per esempio, è interessante sottolineare che la casa, come il lavoro, è un bene a domanda universale, e quindi non esistono servizi o politiche mirate e legate alla nazionalità di chi ha il bisogno. Le differenze sono invece legate alle condizioni sociali e/o di reddito delle persone, per cui ci sono politiche a favore delle fasce deboli, nelle quali rientrano in misura significativa gli stranieri extracomunitari. Il bene casa, schematizzando e semplificando molto la questione, può essere acquisito in tre modi diversi: • attraverso l’affitto; • acquistando la casa dal proprietario singolo o da un’immobiliare; • acquisendo la casa come socio di una cooperativa edilizia. Per quanto riguarda l’affitto, le scelte operate negli ultimi anni dalla Regione (competente in materia), hanno portato ad una maggiore articolazione dell’offerta, tenendo presente la crescente diversificazione sociale. Sono attualmente identificabili cinque possibili offerte: • la marginalità sociale, che richiede il supporto di altri servizi di assistenza; sulla domanda per gli affitti a canone sociale influiscono anche le recenti regole varate dalla Regione Lombardia (ora al vaglio della Corte Costituzionale) che limitano la possibilità di presentazione soprattutto per gli stranieri, legandola agli anni di residenza o attività lavorativa, e che influiscono sull’attribuzione del punteggio; • la tradizionale edilizia residenziale pubblica, con l’applicazione del canone sociale (indicativamente 103 € al mese per 67 mq); • il canone convenzionato, sviluppatosi recentemente su suggerimento del movimento cooperativo (sempre in termini indicativi, sulla base di esperienze esistenti gestite dalle cooperative si tratta di un affitto di 70-75 € al mq.: quindi alla portata di un reddito medio familiare mensile di 1.600 €, per circa 50 mq.); • l’affitto per periodi brevi, dovuti a bisogni temporanei quali la mobilità lavorativa o quelli degli studenti universitari; • il canone libero. Accanto a queste diverse tipologie di affitto è stato introdotto negli ultimi anni il Fondo Sostegno Affitti (FSA), che eroga un contributo economico sulla base di determinate condizioni sociali e di reddito. A livello comunale vengono invece gestite altri due tipi di offerte che non rientrano nelle tipologie iniziali (affitto, acquisto, cooperativa) e che riguardano le situazioni di emergenza più o meno grave: la più significativa concerne gli sfrattati e le situazioni di alloggio non adeguato. Si tratta di condizioni che riguardano persone con redditi medio-bassi, tra gli 8.000 e i 10.000 €, per arrivare nei casi più gravi a redditi di 5-6.000 €. La situazione viene gestita in collaborazione con l’ALER. La valutazione delle condizioni di reddito, sia per le case popolari che per l’FSA è gestita negli ultimi anni attraverso l’ISEE. All’interno di questo quadro teorico possiamo ora collocare più agevolmente anche gli altri dati qualitativi che scaturiscono dalle varie aree del focus group. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 63 3.4.1.1 Principali enti La casa si colloca a metà tra bene pubblico e bene privato, e questo influisce inevitabilmente sulla tipologia ma anche sulla concezione di servizi per la casa. I principali servizi attivi sul territorio milanese sono: • Il SICET, sindacato inquilini fondato da ACLI e CISL, attivo su tutto il territorio nazionale. A Milano rappresenta oltre 18.000 inquilini. Si occupa della tutela degli stessi, favorendo tutta una serie di servizi di assistenza, legale e per l’adempimento delle diverse procedure; ha anche una precisa funzione di rappresentanza politica rispetto alle politiche per la casa che si attuano sul territorio, con una attenzione specifica alle fasce più deboli, immigrati compresi; • Federabitazione Lombardia, il Settore di Confcooperative che rappresenta la cooperazione edilizia; • l’Assessorato alla Casa della Regione Lombardia; • l’Assessorato alla Casa del Comune di Milano; 3.4.1.2 Tassonomia degli utenti La categorizzazione individuata dagli operatori si basa essenzialmente sulle categorie di offerte abitative descritte in precedenza (affitto, acquisto, comparativa), individuando poi eventualmente, all’interno di ognuna di esse, delle etichette più precise. Secondo gli operatori, le soluzioni privilegiate dagli immigrati sono l’affitto o l’acquisizione come socio di una cooperativa edilizia. Invece, l’acquisto di una casa dal libero mercato o dalle agenzie immobiliari presuppone una disponibilità economica e una solidità di reddito che di solito non sono proprie degli stranieri. Si deve comunque tenere presente il numero sempre crescente di immigrati che acquistano un immobile, spesso in società con altre persone, per consentire dei ricongiungimenti familiari. Più nello specifico, dal focus group è emerso che: • per quanto riguarda l’affitto, sul territorio lombardo sono state presentate, lo scorso giugno, circa 57.000 domande per l’accesso alle case con affitto per la marginalità sociale. Di queste, il 27% riguardano la provincia di Milano. Al Comune di Milano ne sono state presentate 15.340, e di queste, un terzo sono transitate attraverso il SICET, con una percentuale dell’82% di stranieri. Sul totale delle domande milanesi, gli stranieri rappresentano il 54%: significativa l’analisi di queste domande sulla base della composizione del nucleo familiare, per cui se sulle domande presentate da singoli la percentuale degli stranieri è del 44% circa, questa sale al 60% per nuclei di tre persone, al 70% per nuclei di quattro, ed è quasi la totalità (oltre 98%) per nuclei di cinque o più. Tra le domande presentate aumentano quelle dei nuclei familiari monogenitoriali: significativa quella delle donne sudamericane, in ampliamento quella delle donne dell’Est. Molte domande preludono poi a percorsi di ricongiungimento familiare, con la presenza di minori. Per quanto riguarda l’FSA (Fondo Sociale Affitti), la domanda è in crescita costante: la percentuale delle domande presentate da persone nate all’estero è saluta dal 50% del 2005, al 54% del 2006. Nel dettaglio, questa percentuale è passata dal 40 al 45% a Milano, e dal 49 al 51% a Bergamo. La 64 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE percentuale più alta è stata registrata a Brescia (dal 52% al 56%), quella più bassa a Pavia (dal 32 al 36%); • un altro dato significativo è rappresentato dalle richieste di mutui per l’acquisto della casa presentate alla Regione per il 2006: su una media regionale del 10-15% delle domande presentate da stranieri, Sondrio rappresenta la percentuale più bassa con il 5,5, Bergamo, Brescia e Mantova la più alta con percentuali tra il 25 e il 27%. Milano ha una percentuale del 12%, con oltre il 30% delle domande presentate; • per quanto riguarda l’accesso alle case popolari, la presenza degli stranieri in questa tipologia è decisamente consistente, e in fase di continua crescita. A livello di bisogni degli immigrati in relazione alla casa, secondo gli operatori la progressiva frantumazione dei nuclei familiari è un problema non indifferente, perché induce alla ricerca di un maggior numero di singole case per singoli nuclei familiari: spesso le domande non si incontrano con le offerte, poiché vengono messi a disposizione alloggi che non corrispondono al bisogno specifico. 3.4.1.3 Fronteggiamento dei bisogni degli utenti La diversa tipologia dei partecipanti al focus comporta modalità molto diverse nella gestione del servizio per la casa: • la Regione svolge soprattutto un ruolo di osservatorio e di definizione delle regole, per cui non esiste di solito un rapporto diretto con gli utenti; • il Comune invece, applicando le normative, offre un servizio diretto attraverso uno specifico, e unico, sportello: vengono fornite informazioni rispetto alle diverse possibilità di accesso all’abitazione a canone sociale e/o convenzionato; e sulle modalità per accedere alle risorse del FSA. Oltre alle informazioni c’è la gestione diretta dei servizi di propria competenza, anche in collaborazione con ALER; • il movimento cooperativo, attraverso specifiche competenze professionali ha un rapporto diretto con l’utenza, che vuole acquisire una casa in cooperativa, informando sulle varie iniziative in corso e seguendo i soci in tutte le fasi di realizzazione. In aumento la richiesta di case in affitto, alla quale non corrisponde una offerta adeguata, anche per gli elevati costi per l’acquisto delle aree edificabili che incidono pesantemente sull’importo del canone; • il SICET offre servizi informativi e di assistenza per la partecipazione ai diversi bandi sia per le case popolari che per il FSA. I servizi vengono offerti ai propri iscritti, data la sua natura sindacale, garantendo anche la rappresentanza generale e l’assistenza in tutte le politiche che riguardano l’affitto di un immobile. 3.4.1.4 Anagrafica utenti Ogni ente che ha un contatto diretto con l’utenza possiede una banca dati, che è però strutturata sulla base delle proprie esigenze specifiche: anche gli elementi raccolti hanno quindi diversa natura. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 65 3.4.1.5 Aree di sviluppo I partecipanti al focus, riflettendo sulle difficoltà che i loro servizi si trovano a vivere, sottolineano come punti di debolezza: • la mancanza di una larga condivisione delle politiche per la casa, che si riflette sulla tipologia dei servizi: essi hanno più che altro carattere informativo, di rappresentanza e tutela, o di fornitura diretta del bene casa; • la carenza nell’analisi della domanda: invece che partire dalla domanda, si parte dall’elemento dell’offerta, con risultati spesso negativi. I dati che si ottengono, così, non fotografano in modo chiaro la situazione, sia per la difficoltà oggettiva di rilevare alcuni bisogni presenti nella domanda, sia perché i meccanismi di analisi non sono corretti; • la mancanza di strumenti di verifica sociale, e non solo burocratica, della congruenza tra le caratteristiche del bisogno e il tipo di risposta che deve essere fornita; • la mancanza di collaborazione all’interno dei singoli Enti: la casa è un bisogno preciso, ma legato a una situazione sociale complessa. La individuazione di documenti comuni per leggere il bisogno e l’utilizzo universale dell’ISEE, se incoraggiati, potrebbero rappresentare una risorsa; • la mancanza del cosiddetto mix sociale nelle politiche per la casa: si tratta di programmare interventi diversi a fronte di bisogni diversi. 3.4.1.6 Punti di forza A fronte di una collaborazione spesso virtuale, ogni ente ha a disposizione delle buone competenze professionali che, partendo dai bisogni invece che dall’organizzazione, possono rappresentare valore aggiunto nell’individuare le forme concrete di collaborazione. 3.4.1.7 Rete Secondo gli operatori, in questo ambito la rete di fatto non esiste, in parte per la mancanza di una visione strategica, in parte per gli interessi diversi che si rappresentano e per una oggettiva difficoltà, soprattutto da parte del privato a fare rete. La rete potrebbe però essere utile, a partire dalle esperienze già in corso: • per favorire la collaborazione tra chi intercetta il bisogno come tale (privato sociale, Caritas, parrocchia) e chi ha potenzialmente possibilità di risposte; • per migliorare la qualità e la diffusione delle informazioni. 3.4.2 Risultati delle interviste La parte dell’intervista dedicata alla casa esordisce con una domanda sulla situazione abitativa degli immigrati. Come si può desumere dal grafico 26, il 53% degli intervistati vive con i familiari, il 26% condivide l’alloggio con altri immigrati. Interessante è anche la percentuale del 12% di coloro che abitano presso i datori di lavoro: si tratta probabilmente delle operatrici A.S.A. (badanti), che abbiamo visto essere presenti in 66 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE numero consistente tra i 100 soggetti del campione (cfr. paragrafo 3.1.2). Minoritarie sono le percentuali di chi vive da solo (6%), di chi è ospite di italiani (2%) e di chi vive presso Centri di accoglienza 81%). Grafico 26 Situazione abitativa da solo Situazione abitativa 2% con altri immigrati 1% 12% 6% con familiari 26% con datori di lavoro 53% centri ospite di italiani Un’analisi qualitativa sulle modalità di ricerca della casa mette in luce che la stragrande maggioranza degli intervistati ha trovato casa tramite conoscenti, amici e connazionali: il passaparola sembra quindi essere lo strumento più utilizzato. Un buon numero di soggetti, inoltre, non avendo la possibilità di cercare casa da solo vive presso la casa di altri familiari (fratelli, sorelle, genitori propri o del coniuge) che già la possiedono (“Vivo con mia figlia a casa di mia madre, che ha una casa popolare, perché non posso permettermi di pagare l'affitto”). Vi sono anche i casi di coloro che hanno trovato alloggio presso i datori di lavoro o gli ex-datori di lavoro (“Il mio datore di lavoro ha affittato alla mia famiglia l'appartamento in cui ora viviamo”). Più rare sono invece le situazioni in cui gli intervistati hanno trovato casa tramite agenzie immobiliari, annunci (su giornali o letti per strada), Comune o Caritas: ciò conferma come il canale informale sia decisamente quello privilegiato. Un’ulteriore domanda indagava poi l’influenza della situazione abitativa sul lavoro: nel 67% dei casi essa sembra non aver influito sulla possibilità dei soggetti di trovare un’occupazione, mentre nel 33% dei casi ha avuto delle ricadute (Grafico 27). A questo punto, risulta interessante prendere in esame i motivi per cui la situazione abitativa abbia avuto, nel 33% dei casi, conseguenze sulla possibilità di avere un lavoro. Interrogati a questo proposito, gli immigrati coinvolti hanno indicato, tra le ragioni più importanti: • il pagamento dell’affitto: il compenso che un lavoro permette di ottenere deve essere sufficiente per pagare l’affitto, il quale dunque vincola la ricerca dell’occupazione (“Non ho abbastanza soldi per pagare l'affitto. Per questo sono disposta a trovare qualunque lavoro”; "L'affitto ci sta uccidendo. Non riusciamo a metter via niente"); • la lontananza: i soggetti affermano di non poter accettare un lavoro troppo lontano dalla propria abitazione; 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 67 • la richiesta di residenza e di idoneità di alloggio: molti datori di lavoro pongono l’avere una casa come conditio sine qua non per essere assunti. • In altri casi emerge una relazione opposta tra casa e lavoro, nel senso che è il lavoro ad influire sulla situazione abitativa e non viceversa. Questo si verifica quando: • l’immigrato vive presso il proprio datore di lavoro: questo consente di non pagare l’affitto di una casa, ma porta con sé vincoli di altro tipo, che spesso peggiorano la qualità della vita sociale dello straniero (“Abito con un anziano. Pago un affitto molto basso e in cambio gli faccio compagnia. In realtà vivo una situazione di chiusura: non sono libera di invitare amici, di tornare a casa tardi, ecc.”); • la casa è anche il luogo in cui il lavoro si svolge (es. nelle lezioni private,…): “Necessito di avere una casa abbastanza grande per poter lavorare, perchè è sia il mio laboratorio, sia il luogo in cui insegno”; • la possibilità di avere una casa dipende dalla situazione lavorativa: per esempio, se non si ha un lavoro fisso è impensabile ottenere un mutuo per acquistare una casa. Grafico 27 Influenza della situazione abitativa sul lavoro Influenza situazione abitativa sul lavoro 33% 67% sì no Il Grafico 28, infine, fornisce un’idea dell’atteggiamento piuttosto negativo che gli immigrati mostrano verso la possibilità di ottenere una casa popolare. Infatti, solo il 32% ne ha fatto richiesta, mentre ben il 45 % ha scelto di non farla e il 22% non l’ha fatta perché è disinformato in merito (“La casa popolare so cos'è ma non so come chiederla”). Da alcune note a margine delle interviste, appare comunque che molti immigrati sono convinti di non avere i requisiti necessari per entrare nelle graduatorie, per esempio perché sono privi di permesso di soggiorno o non rientrano negli scaglioni di reddito prefissati: “Non ho chiesto la casa popolare perchè so che non avrei speranze di ottenerla, c’è chi sta peggio di noi”. 68 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 28 Richiesta di una casa popolare Richiesta casa popolare 22% sì 32% no per scelta 46% no perchè non sa cos'è Passando invece a considerare i servizi per la casa, prima di tutto possiamo annoverare, tra i bisogni degli utenti: • documenti e permesso di soggiorno, che sono requisiti minimi per poter avere una casa; • conoscenze che fungano da garanti per avere una casa in affitto, a causa della diffidenza che c’è verso gli immigrati; • conoscenze che fungano da garanti per ottenere un prestito in banca o presso una finanziaria, per pagare l’affitto o il mutuo; • lavoro fisso che possa garantire un reddito continuativo, così da poter fare progetti in merito al pagamento dell’affitto o delle rate di un mutuo; • case popolari, o comunque case che costino poco e affitti più bassi; • informazioni su come cercare una casa e a chi rivolgersi; • informazioni su come fare domanda al comune per ottenere una casa popolare; • trovare un lavoro che comprenda anche un alloggio (es. badante,…). Dalle interviste si desume che le maggiori carenze di informazioni da colmare sono relative alle modalità di ricerca della casa (come fare e a chi rivolgersi) e alle modalità di richiesta di una casa popolare (procedure, documenti necessari, requisiti). I punti di riferimento principali per la ricerca della casa (a chi ti sei rivolto?) sono: • per la maggior parte i familiari, gli amici, i conoscenti, i datori di lavoro passati ed attuali; • le agenzie immobiliari (es. Tecnocasa,…); • gli annunci su giornali specifici (es. Secondamano); • per le case popolari, il Comune; • in minoranza, altri enti quali il SICET, il sindacato, la Caritas, la parrocchia. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 69 Interrogati invece nello specifico rispetto ai servizi di riferimento in caso di problemi nell’ambito della casa (a quali servizi ti sei rivolto?), gli immigrati intervistati indicano: • in buona percentuale il SICET; • CAAF, CISL e sindacati in generale; • Comune e ALER, per le case popolari; • CARITAS; • Associazione per la Famiglia; • le parrocchie. 3.5 La salute e i servizi socio-sanitari 3.5.1 Risultati dei focus group Il focus group sulla salute e sui servizi socio-assistenziali si è tenuto a Bergamo presso ASSICISL. Un’informazione raccolta durante il focus group, che può essere utile come premessa per entrare nell’argomento, è quella che gli stranieri non regolari non possono iscriversi al servizio sanitario, ma possono comunque accedere ai servizi di urgenza; la distinzione tra regolari e non regolari pone alcuni problemi, a cui le province lombarde stanno rispondendo in modi differenti: a Bergamo è l’associazione Oikos ad offrire assistenza sanitaria ai non regolari, a Milano è l’associazione Naga (associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di stranieri e nomadi), a Brescia la scelta è stata quella di utilizzare comunque risorse pubbliche per finanziare l’assistenza sanitaria degli stranieri non regolari. Esaminiamo una per una le linee guida lungo le quali si è svolto il focus. 3.4.1.1 Principali enti I principali servizi attivi sul territorio di Bergamo, città presso la quale è stato realizzato il focus group, sono i seguenti: • Unità operativa servizi di mediazione dell’ASL: nasce nel ’98 ed ha compiti sia esterni (formazione e promozione culturale legata ai temi dell’integrazione nelle scuole) sia interni (abbattimento delle barriere linguistiche e culturali, promozione di temi interculturali nelle aree amministrative e sanitarie dell’azienda); • Caritas: ha attivato un centro di primo ascolto per il disagio, anche sanitario, per immigrati sia regolari sia irregolari; c’è un’alta percentuale di stranieri non regolari (sono comunque presenti anche gli stranieri regolari). La Caritas bergamasca è inoltre capofila nell’Osservatorio Regionale per le Povertà; • Servizi sociali della Provincia: essi promuovono interventi di secondo livello, vale a dire a supporto degli operatori pubblici e privati che lavorano direttamente con gli utenti. Si tratta soprattutto di ricerche, studi, monitoraggi. • Oikos: servizio su base volontaria, nato 13 anni fa per offrire assistenza sanitaria di base agli stranieri non regolari; • Sportello Unico Servizio Migrazioni del Comune di Bergamo: Sportello che offre servizi di accoglienza, informazione e accompagnamento per stranieri regolari. E’ 70 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE presente un servizio sociale interno allo sportello che si occupa di stranieri regolari senza domicilio. Da febbraio di questo anno è possibile usufruire anche del servizio di compilazione manuale dei kit postali per la regolarizzazione. 3.4.1.2 Tassonomia degli utenti • La principale distinzione tassonomica è quella tra immigrati regolari e immigrati irregolari. Da sottolineare un fenomeno relativamente recente: i cosiddetti irregolari di ritorno, vale a dire tutti quei cittadini stranieri che per anni sono stati regolari e, per motivazioni contingenti (solitamente la perdita del lavoro), ritornano ad essere irregolari. La distinzione è significativa perché è discriminante nell’accesso ai servizi, alcuni dei quali sono destinati solo agli immigrati regolari (ASL), altri anche agli immigrati irregolari (Caritas, Oikos, Naga a Milano, Sportello Unico Servizio Migrazioni della Provincia); • ulteriore distinzione si esplica tra l’immigrazione di lunga permanenza e le nuove ondate migratorie, perché spesso si tratta di fenomeni che hanno caratteristiche e bisogni differenti. Le nuove ondate migratorie hanno bisogni legati alla prima accoglienza, all’abitazione, all’assistenza sanitaria, mentre i bisogni dell’immigrazione di lunga permanenza sono più legati alla formazione, alla scuola per i figli, all’integrazione; • particolarmente rilevante, in Provincia di Bergamo, è poi la categoria delle badanti: vi è una prevalenza di donne sud-americane, le quali solitamente hanno progetti di immigrazione a più lunga durata. 3.4.1.3 Fronteggiamento dei bisogni degli utenti Alcuni dei servizi offerti agli stranieri sono: • l’iscrizione al servizio sanitario, per immigrati regolari, che si effettua presso gli sportelli amministrativi della ASL; • i servizi di emergenza, anche per immigrati irregolari, che vengono offerti all’interno di centri come Caritas, Oikos e Naga. 3.4.1.4 Anagrafica utenti La Caritas raccoglie i dati di chi si presenta al suo centro di ascolto attraverso una scheda anagrafica informatizzata, nella quale vengono specificati i servizi di cui la persona ha bisogno. Degli altri enti non viene fatto cenno. 3.4.1.5 Aree di sviluppo I principali punti di debolezza individuati all’interno degli enti che si occupano di salute ed immigrazione sono: • le procedure complesse e burocratiche che il rilascio del tesserino sanitario purtroppo implica e che non aiutano né chi lavora all’interno del servizio, né l’utente che ne usufruisce; 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 71 • il fatto che ai Centri per i servizi di emergenza, come la Caritas, approdano persone con le problematiche, anche sanitarie, più disparate: questo provoca talvolta dei problemi di organizzazione e di gestione. 3.4.1.6 Punti di forza Rispetto a questo punto, gli operatori non hanno espresso particolari opinioni. 3.4.1.7 Rete Da parte di più enti viene sottolineata la necessità di trovare un unico tavolo di regia che coordini tutti i soggetti che, in misura differente, si occupano di stranieri (soggetti istituzionali e volontari, utenti regolari e irregolari). Vi sono collaborazioni diverse a seconda che ci si occupi di immigrati regolari o irregolari: l’ASL collabora con la questura, la prefettura, i sindacati, la Provincia; il centro di ascolto della Caritas collabora, per quanto riguarda gli stranieri regolari, con i servizi sociali, con lo Sportello Unico Servizio Migrazioni del comune di Bergamo, con lo sportello sociale della Cisl; per gli stranieri irregolari, invece, è stata costruita una rete di relazioni con l’associazione Oikos e con le varie associazioni di volontariato del territorio. Oikos collabora con l’ASL, con il consultorio familiare di Bergamo, con il Sportello Unico Servizio Migrazioni del comune di Bergamo. Sono inoltre importanti i rapporti costruiti con la Caritas, lo sportello sociale Cisl e con le altre associazioni appartenenti al privato-sociale e presenti sul territorio. 3.5.2 Risultati delle interviste La parte dell’intervista dedicata alla salute iniziava chiedendo agli immigrati se avessero mai avuto dei problemi di salute seri. Come si può desumere dal Grafico 29 , la maggior parte di essi (66%) non si è mai dovuto confrontare con malattie gravi, mentre il 34% ha invece avuto problemi. Grafico 29 Problemi di salute seri Problemi di salute seri sì 34% no 66% 72 sì no 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Le condizioni di salute hanno influito sul lavoro solamente nel 23% dei casi, mentre per il 77% degli immigrati i problemi sanitari non hanno avuto ricadute negative in questo senso (Grafico 30). Grafico 30 Influenza della salute sul lavoro Influenza della salute sul lavoro sì 23% sì no no 77% In caso di risposta affermativa alla domanda precedente, l’intervistatore approfondiva i motivi per cui le condizioni di salute influissero sul lavoro o sulla possibilità di trovare un impiego. Le ragioni addotte fanno riferimento ai seguenti elementi: • dolori fisici incompatibili con il lavoro svolto (es. lavoro pesante; “sono scultore plastico, ma talvolta non riesco a lavorare per dolori reumatici alle mani”); • diffidenza verso le cure offerte dalla sanità italiana e ritorno al Paese d’origine per farsi curare, con la conseguente assenza dal lavoro per periodi prolungati e successivo licenziamento; • discriminazione da parte dei datori di lavoro, che mettono a disposizione pochi giorni di malattia oppure licenziano il dipendente in caso di malattia, gravidanza o infortunio sul lavoro (“Pensano che visto che siamo stranieri non abbiamo diritti”); • mancata comunicazione al proprio datore di lavoro della malattia, con conseguente accumulo di assenza ingiustificate che provoca il licenziamento; la fonte di questo comportamento è talvolta l’impossibilità (“La cooperativa mi ha licenziato perché non ho avvisato della mia malattia, avevo il cellulare scarico e non potevo uscire di casa per avvisarli”), talvolta la disinformazione (“Non sapevo di dover avvisare”); • problemi di alcoolismo; • depressione e problemi psicologici causati dal proprio status di immigrati; in questo caso, tra malattia e assenza o perdita del lavoro sembra esservi un legame biunivoco, nel senso che la depressione è talvolta la causa, talvolta la conseguenza di un licenziamento. Appare evidente, comunque, che in molti casi lo stato di salute è influenzato proprio dalle difficoltà di regolarizzazione e di ricerca di occupazione: l’incertezza, la confusione, la mancanza di punti di riferimento influiscono spesso sull’insorgenza di disturbi a base psicogena (mal di testa, crisi d’ansia, gastriti,…). 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 73 Riporteremo ora anche le considerazioni relative alle domande riguardanti nello specifico i servizi sanitari dedicati agli immigrati (“Di cosa hai avuto bisogno per la salute?”; “A chi ti sei rivolto quando hai avuto problemi di salute?”; “A quali servizi ti sei rivolto per problemi di salute?”). I bisogni ricorrenti degli immigrati nel campo della salute sembrano essere: • bisogni primari di cura: il medico di base, gli esami e le visite specialistiche, le cure in ospedale; • un sostegno psicologico per sé o per i figli (crisi d’ansia per la difficoltà della vita da immigrato,…); • il tesserino sanitario (la cui pre-condizione è il permesso di soggiorno), per sé o per i figli; • cure gratuite o diminuzione dei costi sanitari (ticket,…); • tempi più brevi per le visite specialistiche; • la conciliabilità tra lavoro e visite mediche (spesso vi è incompatibilità di tempo); • informazioni sugli esami da fare durante la gravidanza e sui diritti della donna incinta; • informazioni chiare sul funzionamento della sanità in Italia. Le risposte fornite dagli immigrati rivelano infatti una consistente disinformazione per quanto riguarda il funzionamento dei servizi sanitari e rispetto a quali di essi è possibile l’accesso anche per gli irregolari. Inoltre, sembrano essere poco chiare le pratiche da sbrigare per ottenere il tesserino sanitario per sé e per i figli, nonché la procedura e le eventuali agevolazioni economiche per poter effettuare esami medici e visite specialistiche. I punti di riferimento principali in caso di problemi di salute (a chi ti sei rivolto?) sono: • in molti casi, familiari, amici e conoscenti (vi è addirittura il caso di un immigrato che si fa spedire le medicine per posta dai familiari, perché non ha tempo di andare dal medico); • il medico di base (per gli immigrati regolari); • il Naga (per gli immigrati irregolari); • l’ospedale, il pronto soccorso; • l’Associazione per la Famiglia (per un sostegno psicologico) e la Caritas; • il CPS (Centro Psico-Sociale). Interrogati nello specifico rispetto ai servizi di riferimento nell’ambito della salute (a quali servizi ti sei rivolto?), gli immigrati intervistati indicano: • il medico di base; • il pronto soccorso e gli ospedali, l’ASL; • il Naga; • l’Associazione per la Famiglia (sostegno psicologico), Terre Nuove, Opera San Francesco; 74 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE • la Chiesa; • i medici privati (in percentuale esigua); • i centri di medicina naturale. 3.6 Il progetto migratorio, la regolarizzazione e i servizi per la regolarizzazione Sintetizziamo in quest’area i dati relativi alla regolarizzazione e al progetto migratorio, proprio perché tra le due variabili esiste un legame: si presume infatti che siano gli immigrati che progettano di rimanere in Italia più a lungo ad avere maggiore interesse nel regolarizzare la propria posizione e quindi ad essere portatori, anche in questo senso, di bisogni differenti rispetto ad altre categorie di immigrati. E’ perciò importante approntare delle miniguide che chiariscano i dubbi anche su questo argomento e costruire, all’interno del data base che fungerà da supporto per la rete dei servizi, anche una parte dedicata ai servizi per la regolarizzazione. 3.6.1 Risultati dei focus group Per quanto riguarda la regolarizzazione, non è stato effettuato un focus che esplorasse solamente quest’area tematica, che invece è stata in parte affrontata nel focus group sui servizi socio-assistenziali, tenutosi a Bergamo presso ASSICISL e già trattato nel paragrafo precedente (cfr. 3.5). Rispetto ai servizi dedicati al rilascio del permesso di soggiorno e affini, gli operatori hanno fatto notare due elementi interessanti: • lo sportello unico della Prefettura ha competenze per l’evasione delle pratiche legate ai permessi di soggiorno e ai ricongiungimenti, ma la competenza dirigenziale è in capo alla direzione provinciale del lavoro. Questo crea non poche difficoltà, perché i soggetti che operano sul campo e quelli che dirigono sono diversi e sovente scollegati tra loro; • il nuovo permesso di soggiorno elettronico risulta abbastanza disfunzionale, in quanto non riporta le motivazioni del permesso di soggiorno (lavoro, studio, salute, ecc.), divenendo, in questo modo, uno strumento poco utilizzabile. Per quanto riguarda gli altri dati emersi dal focus group, le considerazioni relative ai servizi per la regolarizzazione non sono molte e non si distinguono chiaramente da quelle raccolte per i servizi sanitari. L’unico ente menzionato a tal proposito durante il focus group è lo Sportello Unico della Prefettura, le cui competenze sono legate proprio alla regolarizzazione, ai ricongiungimenti familiari, ecc. Non viene rilevata una particolare tassonomia degli utenti, forse anche perché ottenere il permesso di soggiorno è un obbligo trasversale, che riguarda tutta la popolazione immigrata. Sono assenti anche particolari considerazioni rispetto al fronteggiamento dei bisogni degli utenti, all’anagrafica utenti, alle aree di sviluppo e ai punti di forza in questo ambito. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 75 Riguardo alle opinioni in merito all’esistenza e al potenziamento di una rete di servizi per la regolarizzazione, viene evidenziata la collaborazione che già esiste tra Sportello Unico della Prefettura e Caritas; inoltre, è stato firmato un protocollo di intesa con la Cisl per una importante collaborazione per le pratiche di ricongiungimenti familiari. 3.6.2 Risultati delle interviste All’interno delle interviste vi sono sia un’area specifica dedicata alla raccolta di informazioni sul progetto migratorio, sia alcune domande sui servizi per la regolarizzazione all’interno dell’area Servizi. In primo luogo, all’immigrato veniva chiesto da quanti anni fosse in Italia: come si può evincere dal Grafico 31, c’è una distribuzione piuttosto equa tra chi è in Italia da 0-3 anni (19%), da 4-6 anni (29%), da 7-9 anni (28%) e da più di 10 anni (24%), con una maggiore concentrazione nella due fasce intermedie (media permanenza, da 4 a 9 anni). Grafico 31 Anni di permanenza in Italia Da quanti anni in Italia? >10 anni 24% 0-3 anni 19% 0-3 anni 4-6 anni 7-9 anni 28% 4-6 anni 29% 7-9 anni >10 anni Si passava poi ad indagare il progetto migratorio iniziale dei soggetti: quando è arrivata in Italia, la maggioranza di essi (53%) si proponeva di tornare al Paese d’origine dopo pochi anni. Il 30%, invece, già progettava di stabilirsi in Italia definitivamente. Il 15% era in dubbio, mentre solo il 2% pensava di tornare alla fine della carriera lavorativa (Grafico 32). È molto interessante notare come si siano modificati i progetti migratori al trascorrere degli anni di permanenza in Italia (Grafico 33). Rispetto al momento del loro arrivo nel nostro Paese, infatti, molti immigrati sembrano aver cambiato idea circa la convenienza di fare rientro al Paese d’origine dopo pochi anni (19%, rispetto al precedente 53%) e desiderano invece o stabilirsi definitivamente in Italia (48%, rispetto al precedente 30%) o tornare al proprio Paese alla fine della carriera lavorativa (18%). 76 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Grafico 32 Progetto migratorio iniziale Progetto migratorio iniziale 15% 30% 2% stabilirsi in italia definitivamente tornare al paese d'origine dopo pochi anni tornare a fine carriera lavorativa 53% dubbio Questo può significare che dopo aver trascorso del tempo in Italia ed avere toccato con mano la difficoltà di trovare un lavoro ed il costo della vita, alcuni immigrati da una parte abbiano compreso che pochi anni di permanenza non bastino per guadagnare soldi a sufficienza per un rientro in patria veloce ed economicamente solido, dall’altra, dopo gli sforzi fatti per trovare un’occupazione, una casa, dei servizi, si siano integrati e desiderino quindi rimanere. La percentuale dei dubbiosi è rimasta invece invariata (15%). Grafico 33 Progetto migratorio attuale Progetto migratorio attuale 15% 18% 48% 19% stabilirsi in italia definitivamente tornare al paese d'origine dopo pochi anni tornare a fine carriera lavorativa dubbio Passando invece ad esaminare i servizi per la regolarizzazione, le domande specifiche cui fare riferimento sono: “Di cosa hai avuto bisogno per la regolarizzazione?”; A chi ti sei rivolto quando hai avuto problemi con la regolarizzazione?”; “A quali servizi ti sei rivolto per problemi con la regolarizzazione?”). Per quanto concerne i bisogni degli utenti, gli immigrati in relazione alla regolarizzazione dichiarano di avere bisogno di: • in primo luogo, informazioni chiare e corrette sui tipi di permesso di soggiorno, sulle differenze tra permesso e carta di soggiorno, sui requisiti e sulle procedure per ottenerli, sulle procedure per inserirvi i figli; 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 77 • informazioni su come ottenere l’annullamento dell’espulsione, del foglio di via; • aiuto concreto nella compilazione dei moduli, sentiti come lunghi e complessi; • di un contratto di lavoro “lungo” (pre-requisito per ottenere il permesso di soggiorno); • di una casa; • di un datore di lavoro disposto a regolarizzare il dipendente immigrato; • di un’ulteriore sanatoria o di altre leggi che permettano la regolarizzazione; • delle giuste conoscenze, di una “raccomandazione” per accorciare i tempi di ottenimento del permesso di soggiorno; • di tempi più brevi e minore burocrazia; • di consulenza legale o consulenza degli assistenti sociali, per risolvere problemi connessi al permesso di soggiorno (es. furto dei documenti già ottenuti, problemi con il cognome,…). La maggior parte degli immigrati sa che per avere il permesso di soggiorno deve avere un lavoro e che deve rivolgersi alla posta per ottenere il kit per la regolarizzazione, ma è disinformato sulle modalità di compilazione dei moduli, su altri requisiti necessari, sulle norme per il permesso di soggiorno dei figli, sulle implicazioni per il permesso di soggiorno dell’articolo 31 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", e sulle procedure per annullare un’eventuale espulsione. I punti di riferimento principali in caso di problemi di regolarizzazione (a chi ti sei rivolto?) appaiono essere: • prima di tutto, i datori di lavoro e gli avvocati dei datori di lavoro; • CESIL, Associazione per la Famiglia, sindacato; • Questura (per sbrigare concretamente le pratiche); • consolati; • Caritas; • Ufficio Immigrati del Comune; • parenti e amici; • Chiesa. Interrogati nello specifico rispetto ai servizi di riferimento nell’ambito della regolarizzazione, gli immigrati intervistati indicano: • Questura, Prefettura; • Comune; • CESIL (nella stragrande maggioranza), Associazione per la Famiglia, Caritas, altre associazioni specifiche (come l’Associazione “Ritornare”, che aiuta gli italo-argentini); 78 • avvocati privati; • consolati; • Chiesa. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 3.7 Utilità e funzionamento dei servizi: considerazioni generali emerse dalle interviste Oltre a tutti i dati riportati nei paragrafi precedenti rispetto ai servizi specifici, una trattazione a parte meritano quelle domande, appartenenti alla sezione finale dell’intervista, che si occupavano di sondare in generale le opinioni degli immigrati a proposito dei servizi. Le ulteriori considerazioni ricavate possono fungere da ulteriore indice di gradimento dei servizi ed indicare sia possibili nodi critici da sciogliere, sia percorsi di miglioramento da imboccare o da rafforzare. 3.7.1 Percezione, da parte degli immigrati, della risposta dei servizi ai loro bisogni I primi dati raccolti in quest’area riguardano le due domande “A quali di questi bisogni hai trovato una risposta?”; “A quali di questi bisogni non hai trovato una risposta?”: si tratta di bisogni che alcune domande precedenti chiedevano di indicare, nello specifico, in riferimento al lavoro, alla casa, alla famiglia, alla salute e alla regolarizzazione, e di cui abbiamo già fatto menzione nei paragrafi dedicati. La maggior parte delle risposte a questa domanda generica si concentrano nell’area dei servizi per la regolarizzazione: moltissimi intervistati indicano proprio i bisogni in questo ambito come quelli cui i servizi hanno saputo dare una risposta efficace. In accordo con questi dati, le risposte alla domanda sui bisogni irrisolti fanno invece minore riferimento alla regolarizzazione. Anche la percezione degli immigrati circa il buon funzionamento dei servizi per la ricerca della casa sembra alta: molti di essi dichiarano di aver trovato un alloggio e di aver risolto i problemi abitativi. Alcuni specificano poi però di aver trovato casa grazie a parenti, amici e datori di lavoro, dunque sorge il dubbio che la domanda sia stata effettivamente collegata all’efficacia dei servizi e non solo al risultato (avere una casa), anche perché poi nella domanda sull’utilità dei servizi non emerge molta soddisfazione. Inoltre, alla domanda relativa alla mancata risposta da parte dei servizi, sono molti gli immigrati a indicare proprio l’area tematica della casa come particolarmente insoddisfacente: soprattutto, è definito come molto difficile l’ottenimento della casa popolare. Per quanto riguarda invece l’area dell’occupazione, molti immigrati dichiarano di aver trovato lavoro grazie ai servizi cui si sono rivolti, ma molti altri lamentano di avere ancora dei problemi lavorativi cui i servizi non hanno saputo dare risposta, spesso perché concatenati ad altri problemi (casa, asilo e scuola dei figli, formazione) che causano la «debolezza» dell’utente. Solo due immigrati, però, si dichiarano apertamente insoddisfatti dell’inesperienza degli operatori, che “non sanno neanche loro dove indirizzare” e tendono a “rimandare alla consultazione di siti Internet” piuttosto che dare direttamente le informazioni. Un discreto numero di immigrati ricorda anche i servizi per la famiglia tra quelli che sono stati in grado di rispondere ai bisogni; non viene però specificato da tutti a quali di questi bisogni sia stato dato maggior ascolto. Viene citata nello specifico solo la consulenza legale. Sono tuttavia altrettanto frequenti i casi in cui gli immigrati indicano la famiglia come area in cui ritengono di non aver ricevuto adeguate risposte da parte dei servizi, in particolare riguardo al sostegno nell’accudimento dei figli e alla loro istruzione (asili e scuole) e alla ricerca di informazioni sul ricongiungimento familiare, la registrazione di un matrimonio estero, il 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 79 riconoscimento a distanza. Infine, gli immigrati sembrano suddividersi in proporzioni pressoché uguali tra coloro che sostengono di aver ricevuto risposta dai servizi in merito alla propria salute, e coloro che invece non sono per nulla soddisfatti delle cure ricevute dagli ospedali o dichiarano di essersi dovuti arrangiare da soli a causa della mancata risposta dei servizi. 3.7.2 Utilità dei servizi Dopo una serie di domande dedicate ai punti di riferimento e ai servizi di riferimento in caso di problemi con il lavoro, la casa, la famiglia, la salute e la regolarizzazione, già trattate nei rispettivi paragrafi, all’immigrato veniva poi chiesto quanto questi servizi gli fossero stati utili. Grazie al Grafico 34 si può visualizzare che la percezione di utilità è mediamente discreta: il 45% dei soggetti, infatti, dichiara che i servizi gli sono stati abbastanza utili. Più critiche sono invece la percentuale del 32% di coloro che affermano che i servizi sono stati poco utili e la percentuale del 7% di coloro che non si dichiarano per nulla soddisfatti. Solo il 16% degli immigrati sostiene invece che i servizi gli sono stati molto utili. Grafico 34 Utilità dei servizi Utilità dei servizi 16% 7% per nulla 32% poco abbastanza 45% molto La domanda successiva indagava i motivi di tale giudizio sull’utilità dei servizi in generale. In questo senso, molte considerazioni degli immigrati riguardano gli enti che si occupano di lavoro: in particolare, il gradimento è minimo rispetto all’INPS e ai Centri per l’Impiego, sentiti come inutili e inefficienti, e rispetto alle agenzie interinali, perchè “non chiamano mai” e se lo fanno offrono solo contratti brevi. Altrettante risposte degli immigrati riguardano anche gli enti che si occupano di famiglia. In particolare, emergono buoni riscontri circa i servizi offerti dall’Associazione per la Famiglia, dal CESIL e dal Centro di Aiuto alla Vita. Non sono invece molte le affermazioni relative agli enti che si occupano di salute: esse, tra l’altro, riflettono nuovamente la doppia anima delle opinioni degli stranieri su questa tematica, perché alcune risposte esprimono piena soddisfazione, mentre altre lamentano inefficienze (sbagli medici durante un’operazione in ospedale, orari dei servizi medici giudicati assurdi da chi lavora, che non può mai andarci,…). 80 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE Non sono molte, ma esprimono tutto sommato un giudizio positivo, anche le considerazioni degli immigrati che riguardano gli enti che si occupano di regolarizzazione. Solo pochi intervistati si dicono insoddisfatti. Al contrario, infine, sono negative le poche considerazioni degli immigrati riguardo agli enti che si occupano di ricerca della casa: in particolare, essi dichiarano di essere stati disattesi nella loro speranza di avere una casa popolare. 3.7.3 Sensazioni provate nell’utilizzo dei servizi Ad ogni intervistato veniva poi chiesto come si era sentito quando aveva usufruito dei servizi, allo scopo di sondare quali fossero i vissuti degli stranieri di fronte agli operatori, al clima e al tipo di consulenza dei vari enti. All’interno dei dati qualitativi raccolti, risaltano numerose considerazioni specifiche riguardanti i servizi per il lavoro: in particolare, gli immigrati esplicitano di essersi sentiti protetti e accolti in enti quali il CESIL e l’Associazione per la Famiglia, ma di essersi trovati male ed essere stati trattati “come barboni” da enti quali il Centro per l’Impiego. Emergono delle considerazioni specifiche anche riguardo ai servizi per la regolarizzazione e per la famiglia. Nel primo caso, i giudizi più negativi riguardano la Questura (“Quando ci devo andare mi viene la disperazione”), rispetto alla quale gli immigrati asseriscono di essersi trovati “male” o “malissimo”, di essere stati trattati come “barboni” o addirittura “animali”, di non aver ricevuto le informazioni richieste e quindi di essersi sentiti “presi in giro”. Qualcuno ammette comunque che il migliore o peggiore trattamento dipende dagli operatori (alcuni più disponibili, altri meno) e dal gran numero di utenti, che impedisce di dedicare ad ogni immigrato il tempo adeguato. Al contrario, i commenti rispetto alla CISL e al CESIL sono più positivi: gli immigrati sostengono per la maggior parte di essersi sentiti accolti ed essersi trovati a proprio agio. Verso gli avvocati privati, invece, traspaiono rabbia, sfiducia e sensazione di essere stati imbrogliati. Nel secondo caso (servizi per la famiglia), gli enti maggiormente citati sono l’Associazione per la Famiglia e il CESIL, presso i quali le sensazioni provate sono state positive: accoglienza, sicurezza, conforto e protezione, rispetto. Riguardo all’assistenza legale, è però emersa da parte di un intervistato la sensazione negativa di essere giudicato a livello morale, invece che seguito con professionalità. Vengono invece ricordate poche sensazioni specifiche in relazione ai servizi per la casa, che causano vissuti negativi, e in relazione ai servizi sanitari, che anche in questo caso provocano sensazioni eterogenee, talvolta positive, talvolta negative. La presenza, nei servizi sociosanitari, di un mediatore culturale, viene in particolare citata come elemento che fa sentire accolti e a proprio agio. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 81 3.7.4 Servizi non utilizzati È stato interessante anche chiedere agli intervistati se vi fossero dei servizi ai quali essi avessero deciso di non rivolgersi: nel 45% dei casi la risposta è stata affermativa, ovvero vi sono effettivamente degli enti cui gli stranieri non si sono affidati per scelta (Grafico 36). Grafico 36 Servizi non utilizzati Servizi non utilizzati 45% 55% sì no Si è poi deciso di indagare quali fossero questi servizi non utilizzati e perché venissero scartati. La grande maggioranza di tali servizi riguarda ancora il lavoro e si tratta proprio dei servizi già etichettati come poco utili e forieri di sensazioni negative: Centri per l’Impiego e Agenzie interinali, che non chiamano mai o trattano gli utenti in modo sentito come irrispettoso. Tra i servizi meno utilizzati in questo ambito vi sono però, a detta degli intervistati, anche i sindacati, la Camera del lavoro, lo Sportello Informalavoro. Infine, poco consultati sono gli annunci sui giornali. Tra i servizi che gli immigrati dichiarano di non utilizzare vi sono però anche medici, ospedali e in generale il servizio sanitario nazionale, soprattutto a causa della disinformazione: alcuni soggetti credono di non aver diritto a nessun servizio perché privi di permesso di soggiorno, oppure dichiarano di non conoscere i servizi a cui rivolgersi. Inoltre, tra i servizi poco graditi ed evitati vi sono, per quanto riguarda la regolarizzazione, la Questura e l’ufficio Stranieri del Comune. Le motivazioni addotte riguardano le sensazioni negative provate quando ne hanno usufruito in precedenza e, da parte degli immigrati irregolari, la paura di essere arrestati o la convinzione di non aver diritto a usufruirne proprio perché senza permesso di soggiorno. Per quanto riguarda i servizi per la casa, abbastanza citato tra i servizi non utilizzati è, in particolare, il Comune per la richiesta di case popolari: gli stranieri, infatti, preferiscono di gran lunga affidarsi alla loro rete di conoscenze, oppure sono disinformati rispetto alle opportunità loro offerte, come già sottolineato nel paragrafo 3.4.2. Sono invece poco ricorrenti, tra le risposte, i servizi per la famiglia, che quindi godono maggiormente del favore degli immigrati: poco sfruttati risultano solamente i Servizi Sociali del Comune, che non vengono consultati per timore, diffidenza, disinformazione. Vi è anche una lamentela relativa all’assistenza legale, di cui l’immigrato in questione dichiara di non voler usufruire perché secondo lui la legislazione in materia di immigrazione è incompleta, nonché per mancanza di fiducia nella figura degli avvocati. 82 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 3.7.5 Mediatore culturale Parlando dei servizi formativi (cfr. 3.2.1) abbiamo già descritto ampiamente la figura del mediatore culturale, che era stato citato dagli operatori, all’interno di un focus group, come figura importante per creare un tramite tra il servizio e l’immigrato, ma di cui secondo alcuni non si dovrebbe “abusare”, per non rallentare l’integrazione. Con questa domanda dell’intervista si richiedeva direttamente agli immigrati di pronunciarsi sulla sua utilità, esprimendo un’opinione circa la funzione di aiuto o meno che potrebbe avere nell’affiancare l’utente straniero, di cui conosce lingua e cultura, durante la consultazione del servizio. Come appare dal grafico 37, il 71% degli immigrati guarda con favore la presenza di questa figura, mentre solo il 29% non lo giudica particolarmente utile. Grafico 37 Utilità di un mediatore culturale all’interno dei servizi Mediatore culturale 29% sì no 71% 3.7.6 Modalità di conoscenza dell’esistenza dei servizi L’ultima domanda dell’intervista si concentrava sulle modalità attraverso le quali l’immigrato fosse venuto a conoscenza dell’esistenza di servizi più o meno specifici per gli stranieri, indipendentemente dall’averli consultati o meno. Anche in questo caso è predominante la modalità del passaparola: gli immigrati hanno appreso dell’esistenza dei servizi attraverso parenti, amici, conoscenti, datori di lavoro, che hanno parlato loro di un determinato ente e li hanno eventualmente accompagnati ad esso. Altre risposte confermano che una rete informale tra servizi è in realtà già presente: infatti, alcuni immigrati affermano che una volta approdati ad un servizio, sono poi stati indirizzati ad altri servizi a seconda dei loro bisogni (“Un servizio ti invia ad un altro e cosi via”; “L'Associazione per la Famiglia la conosco tramite il Cesil”). Minoritarie, invece, sono le risposte che fanno riferimento a volantini (raccolti in Comune e presso l’Associazione per la Famiglia), annunci sui giornali o letti per strada, Pagine gialle, Internet, consigli da parte di assistenti sociali o mediatori culturali. 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 83 84 3. RISULTATI QUALITATIVI E QUANTITATIVI PER AREE TEMATICHE 4. CONCLUSIONI La presentazione dei dati effettuata offre una panoramica piuttosto esauriente della percezione del funzionamento dei servizi da parte sia degli operatori, sia degli stranieri, comprendendo informazioni oggettive e opinioni soggettive, che si intersecano nel tratteggiare la situazione in cui versano gli enti che si occupano di immigrazione sul territorio milanese e bergamasco. I risultati ottenuti attraverso i focus group e le interviste, in particolare, giustificano e confermano la pertinenza del progetto “Cittadinanza sociale degli immigrati” rispetto alle carenze e ai bisogni emersi, fornendo al contempo degli spunti interessanti per tentare di rispondervi. In primo luogo, infatti, gli immigrati evidenziano una disinformazione allargata sulla possibilità di usufruire di alcuni servizi in tutti gli ambiti trattati (lavoro, casa, famiglia, formazione, regolarizzazione, salute). Tale disinformazione si fa più marcata soprattutto in alcuni campi, quali ad esempio il lavoro e la casa (su tutti, ricordiamo i Grafici 11 e che mostrano in modo lampante come il 36% degli immigrati non sappia cos’è un Centro per l’Impiego o come il 22% non sia al corrente della possibilità di richiesta di una casa popolare). La necessità di avere a disposizione informazioni chiare e precise sulle procedure, sulle leggi, sulle modalità più efficaci per ottenere una casa, un lavoro, un documento, non è tuttavia propria solamente degli immigrati, ma si estende anche agli operatori, i quali all’interno dei focus group citano questa confusione di informazioni come punto di debolezza dei propri servizi e desiderano aggiornarsi per poter costituire per l’immigrato un punto di riferimento più sicuro. Queste affermazioni sembrano quindi rappresentare il viatico per la preparazione di mini-guide agili e facilmente accessibili, che possano essere (in versione semplificata per l’immigrato, in versione dettagliata per l’operatore) dei vademecum da consultare in caso di dubbi o difficoltà. In secondo luogo, questa fase di ricerca mette in luce come la realizzazione di una rete di servizi abbia già mosso da sola i suoi primi passi, ma resti ancora in potenza, piuttosto che essere già in atto. Infatti, gli operatori menzionano delle “nicchie di sinergia” (evidenti soprattutto per quanto riguarda alcuni servizi per la famiglia) e gli immigrati stessi affermano, riguardo alle modalità di conoscenza dei servizi, che “ogni servizio rimanda poi ad un altro”, tuttavia si tratta ancora di una condizione limitata a pochi servizi e non estesa a tutti gli ambiti. Di pari passo, in tutti i focus group, gli operatori esternano la forte esigenza di conoscersi reciprocamente e avviare una collaborazione che si basi non più su contatti informali e aleatori, ma su canali ufficiali che possano durare nel tempo. 4. CONCLUSIONI 85 In questo senso, ideare un data-base che consenta di condividere e co-costruire informazioni sia sugli utenti, sia sui servizi stessi, sembra essere una risposta adeguata a questi bisogni emergenti. A questo punto, il passo successivo, da effettuare durante la fase di modellizzazione, sarà proprio quello di partire dai dati raccolti e rielaborati in questa fase di ricerca, per ipotizzare delle mini-guide e un data-base che possano essere il più utili e funzionali possibile. 86 4. CONCLUSIONI 5. APPENDICE 5.1. Traccia per la conduzione dei focus group INTRODUZIONE 10’ Saluti e ringraziamenti per la disponibilità. Giro di presentazione a partire dal conduttore e dall’assistente. Presentazione del progetto (evitando riferimenti molto diretti al suo contenuto, ad es. non nominare il concetto di rete e di database informatico). Presentazione degli obiettivi del focus e delle aspettative degli organizzatori. Regole (essere disponibili ad intervenire, non monopolizzare la discussione, rispettare le opinioni altrui, mantenere la concentrazione sugli argomenti proposti, ecc.). 1) TASSONOMIA 20-25’ “Esistono delle categorie “tipo” di stranieri che si rivolgono al vostro servizio? Vi chiedo di provare ad elencarle anche per verificare quali sono quelle comuni ai diversi servizi e quelle specifiche.” Se le categorie vengono definite per “bisogni”, chiedere poi se per ogni categoria sono definibile caratteristiche più frequenti tra gli immigrati (ad esempio il bisogno potrebbe essere quello del “lavoro stabile” e le caratteristiche più frequenti possono essere “uomo, giovane, sposato con moglie disoccupata e figli piccoli, ecc.”) Se le categorie vengono definite per “caratteristiche”, chiedere poi se per ogni categoria sono identificabili bisogni specifici (ad esempio, se una categoria è quella delle “donne single con figli piccoli”, i bisogni potrebbero essere questi “asilo per i figli, abitazione più stabile, lavoro più rispettoso dei bisogni dei figli, ecc.). 2) FRONTEGGIAMENTO 20-25’ “Esiste un modo specifico, o anche solo dei punti di attenzione, nell’affrontare le richieste di queste categorie? Proviamo a ripercorrerle assieme.” 3) ANAGRAFICA UTENTI 10-15’ “Avete un sistema di registrazione delle informazioni che raccogliete dai vostri utenti? Se si, che finalità ha? Quali sono le informazioni più importanti che raccogliete?” Questo tipo di contenuto potrebbe già emergere nel rispondere al punto precedente: in tal caso verificare se non approfondirlo in quel momento e riprenderlo dopo, o se approfondirlo quando emerge e poi riprendere il discorso precedente raccogliendo altre indicazioni sulle modalità di fronteggiamento. 5. APPENDICE 87 4) AREE DI SVILUPPO 10-15’ “Quali sono gli elementi/caratteristiche del vostro servizio che andrebbero implementati per fronteggiare meglio i bisogni dei vostri utenti?” 5) PUNTI DI FORZA 10-15’ “Quali sono gli elementi/caratteristiche del vostro servizio che considerate particolarmente funzionali nel fronteggiare meglio i bisogni dei vostri utenti?” 6) RETE 20-25’ “Collaborate, in qualsiasi modo, con altri servizi per aiutare gli utenti laddove voi non siate nelle condizioni di poterlo fare? Con quali servizi e, soprattutto, in che modo?” 88 5. APPENDICE 5.2. Griglia per la conduzione delle interviste Intervistatore ________________________________________________ Ente ____________________________________________________ Data ___/___/___ Ora inizio ___/___ Ora fine ___/___ Numero ___ Anagrafica Sesso ____ Anno di nascita ____ Nazionalità c Africa e Sud America g Altro (specificare) d Asia f Est Europa _______________________ Conoscenza italiano c Nulla e Buona d Basilare f Ottima Permesso di soggiorno c Irregolare e Regolare attesa occupaz. g Maternità i Salute d Regolare per lavoro f Regolare ricong. fam. h Asilo politico/Rifugiato j Altro Progetto migratorio Da quanti anni in Italia? ______ Progetto iniziale c Stabilirsi in Italia definitivamente e Tornare a fine carriera lavorativa d Tornare al paese d’origine dopo pochi anni f Dubbio Progetto attuale c Stabilirsi in Italia definitivamente e Tornare a fine carriera lavorativa d Tornare al paese d’origine dopo pochi anni f Dubbio Da quanto tempo sei in Italia? Quando hai deciso di emigrare, che progetto avevi? Oggi, a distanza di ??? anni, hai ancora quel progetto? Se no, quale? 5. APPENDICE 89 Famiglia Situazione familiare c È in Italia da solo e Con famiglia propria d Con famiglia d’origine f Entrambe Situazione matrimoniale c Single d Matrimonio con italiano e Matrimonio in Italia con un connazionale g Matrimonio al paese d’origine non registrato f Matrimonio al paese d’origine registrato Numero figli In Italia Al paese d’origine Età figli in Italia 0-2 anni ___ Utilità rete parentale c Di sostegno e Entrambe Perché? _______________________________________________ 3-6 anni ___ 7 in su ___ d D’ostacolo f Indifferente _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Ha fatto ricongiungere dei propri familiari c Sì d No Vorrebbe far ricongiungere dei (o altri) propri familiari c Sì d No Con chi vivi in Italia? Sei sposato? Con un italiano o un connazionale? Ti sei sposato in Italia? Se è no Hai registrato il tuo matrimonio in Italia? Quanti figli hai? Quanti sono in Italia? Quanti al paese di origine? Che età hanno i tuoi figli che sono con te in Italia? In generale, i famigliari che hai in Italia, sono per te più un aiuto o più un ostacolo? Hai avuto la possibilità di ricongiungere qualche tuo familiare? Vorresti ricongiungere qualche tuo familiare o qualche altro tuo familiare? 90 5. APPENDICE Formazione Anni di studio al paese d’origine _____ Titolo di studio al paese d’origine (specificare qualif. dipl. e laurea) Titolo di studio riconosciuto in Italia (specificare qualif. dipl. e laurea) c Nessuno e Qualifica ______________________ d Obbligo f Diploma g Laurea e oltre c Nessuno e Qualifica ______________________ d Obbligo f Diploma g Laurea e oltre Riconoscimento titolo di studio c Sì d No Corsi di studio in Italia c Sì d No Se si quali 1) ____________________________________________________________ 2) ____________________________________________________________ 3) ____________________________________________________________ Problemi _______________________________________________________________ _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________ Per quanti anni hai studiato al tuo paese d’origine? Che titolo di studio hai al tuo paese d’origine? Hai provato a farteli riconoscere? Che titolo di studio hai in Italia? Hai mai fatto un corso di formazione o una scuola in Italia? Se si quali? Hai incontrato problemi nel frequentarli? Oppure: Per quali problemi non hai potuto frequentare un corso al quale avresti voluto partecipare? 5. APPENDICE 91 Lavoro Situazione lavorativa c Disoccupato e Tempo indeterminato g Interinale i Atipici k Altro (specificare) d Tempo determinato f Autonomo h Socio cooperativa j Non regolare ______________________ Lavoro svolto _______________________________________________ Modalità ricerca del lavoro c Passaparola d Annunci e Autocandidatura g Centro per l’impiego i Borsalavoro f Agenzia interinale h Centro d’orientamento j Altro (specificare) _______________________________________________ Difficoltà incontrate nella ricerca del lavoro _______________________________________________ Tempo disoccupazione _________ Motivo abbandono lavoro precedente _______________________________________________ Altro lavoro desiderato c Sì Lavoro desiderato _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ d No _______________________________________________ Motivi difficoltà a trovare il lavoro desiderato _______________________________________________ Iscrizione Centro Impiego c Sì _______________________________________________ d No per scelta e No perché non sa cos’è Sei occupato? Se sei disoccupato: Se si: Com’è che stai cercando un nuovo lavoro? che tipo di contratto hai? Che difficoltà stai incontrando nella ricerca? Che lavoro svolgi? Da quando sei disoccupato/a? Come hai trovato il lavoro? Perchè hai lasciato l’ultimo lavoro? Che difficoltà hai incontrato nella ricerca? C’è un lavoro che vorresti fare? Qual è? Vorresti fare un altro lavoro? Cosa ti impedisce di trovarlo? Quale? Perché non l’hai trovato o cercato? Sei iscritto al Centro per l’impiego? 92 5. APPENDICE Casa Situazione abitativa c Da solo e Con famigliari g Centri d Con altri immigrati f Con i datori di lavoro h Ospite d’italiani Modalità ricerca casa _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Influenza situazione abitativa sul lavoro c Sì d No Se si, perchè? _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Richiesta casa popolare c Sì d No per scelta e No perché non sa cos’è Con chi, e dove, abiti in Italia? Come hai fatto a trovare casa? La tua situazione abitativa influisce o ha influito sulla tua possibilità di avere lavoro ? Perchè? Hai fatto richiesta per una casa popolare? 5. APPENDICE 93 Salute Problemi di salute seri c Sì d No Influenza salute sul lavoro c Sì d No Se si, perchè? _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Hai mai avuto problemi di salute gravi/seri? La tua condizione di salute influisce o ha influito sul tuo lavoro o sulla tua possibilità di trovare un lavoro? Perché? 94 5. APPENDICE Servizi per il LAVORO 1) _____________________________________________ Di cosa hai avuto bisogno? 2) _____________________________________________ A chi ti sei rivolto? 1) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ A quali servizi? 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ per la CASA 1) _____________________________________________ Di cosa hai avuto bisogno? 2) _____________________________________________ A chi ti sei rivolto? 1) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ A quali servizi? 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ per la FAMIGLIA 1) _____________________________________________ Di cosa hai avuto bisogno? 2) _____________________________________________ A chi ti sei ? 1) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ A quali servizi ? 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 5. APPENDICE 95 per la SALUTE 1) _____________________________________________ Di cosa hai avuto bisogno? 2) _____________________________________________ A chi ti sei ? 1) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ A quali servizi ? 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ per la REGOLARIZZAZIONE Di cosa hai avuto bisogno? A chi ti sei rivolto? 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ A quali servizi? 1) _____________________________________________ 2) _____________________________________________ 3) _____________________________________________ 96 5. APPENDICE Utilità servizi c Nulla d Poco e Abbastanza f Molto Perchè? _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Servizi NON utilizzati c Sì d No Quali? _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Perchè? _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Mediatore culturale c Sì d No Modalità conoscenza dell’esistenza dei servizi _______________________________________________ _______________________________________________ _______________________________________________ Quali bisogni hai o hai avuto per: A chi ti sei rivolto quando hai avuto problemi con: A quali servizi ti sei rivolto quando hai avuto problemi con: Il LAVORO? La FAMIGLIA? La CASA ? La SALUTE ? La REGOLARIZZAZIONE? Mediamente, quanto i servizi ti sono stati utili? Perché? Ci sono servizi ai quali hai deciso di non rivolgerti? Quali? Perché? Pensi che una persona che conosca la tua lingua e la tua cultura ti avrebbe aiutato a consultare il servizio? Indipendentemente dall’averli consultati o meno, come sei venuto a conoscenza dell’esistenza di servizi più o meno specifici per immigrati? 5. APPENDICE 97