BEL PAESE BUON TURISMO Turismo responsabile e sviluppo locale Volontari per lo Sviluppo corso Chieri 121/6 10132 Torino Tel 0118993823 Fax 0118994700 e-mail [email protected] 1 INDICE Prefazione I SEZIONE IL TURISMO “CLASSICO” 1 - Breve storia del viaggio dalle origini ai nostri giorni 1.1 Il pellegrino come archetipo del turista 1.2 Dal viaggio “per dovere” a quello “per piacere” 2 - Un’industria in forte espansione 2.1 Il business dei viaggi 2.2 Psicologia del turista 3 - L’impatto su natura, società ed economia 3.1 L’impatto ambientale 3.2 L’impatto economico 3.3 L’impatto socio-culturale 3.4 La mercificazione dei prodotti artistici e culturali 3.5 Rito o teatro? 3.6 Occasioni perdute II SEZIONE IL TURISMO “RESPONSABILE”; DEFINIZIONI E PRINCIPI 4 - Alla ricerca di nuovi modelli 4.1 Avanguardie “responsabili” 4.2 L’impegno dell’Italia 5 - Il “decalogo” del buon viaggiatore 5.1 Le regole da seguire 5.2 No alla fretta 6 - I protagonisti del turismo responsabile 6.1 Identikit del viaggiatore responsabile 6.2 Le comunità ospiti 6.3 L’accompagnatore III SEZIONE TIPOLOGIE E MAPPATURA DEL TURISMO RESPONSABILE 7 - I diversi “tipi” di responsabilità 7.1 Il turismo integrato 7.2 L’ecoturismo 7.3 Il turismo solidale 2 7.4 Il turismo equo 7.5 Il turismo comunitario 8 - Il rapporto tra turismo responsabile e commercio equo 8.1 Nasce la rete “Sportelli responsabili” 9 - Grandi tour operator e “responsabilità” 9.1 Ventaclub “responsabili” 9.2 Viaggi a impatto zero 9.3 Crociere super certificate 9.4 I Grandi Viaggi 9.5 Cts (Centro Turistico Studentesco) 9.6 Beneficenza targata Club Med IV SEZIONE CASI DI STUDIO 10 - Esperienze di turismo responsabile in Italia 10.1 Pescaturismo e Ittiturismo, una nuova prospettiva di recupero dei borghi marinari 10.2 Calabria: valorizzazione del territorio e lotta alla mafia 10.3 Il turismo responsabile in città: da Napoli a Genova 10.4 Ecovillaggi: ecologia, accoglienza e solidarietà 11 - Esperienze di turismo responsabile nel mondo 11.1 Europa: Romania inconsueta, grazie alla società civile 11.2 Africa: Senegal, dall’all inclusive alle vacanze in famiglia 11.3 Sud America: Perù sostenibile, dall’Amazzonia alle Ande 11.4 Asia: India, ciò che resta del viaggio responsabile alle comunità locali V SEZIONE DATI STATISTICI E TABELLE ALLEGATI Allegato 1 La carta d’identità per viaggi sostenibili Allegato 2 Elenco degli “Sportelli responsabili” Elenco delle realtà che organizzano viaggi responsabili in Italia Allegato 3 Bibliografia ragionata 3 PREFAZIONE Negli ultimi anni, in seguito al forte aumento dei flussi turistici e degli innegabili problemi di impatto ambientale e di rapporto con le comunità ospitanti, si sono sempre più sviluppate riflessioni ed esperienze riguardo forme di turismo rispettose della popolazione locale e dell’ambiente, e capaci di innescare dinamiche equilibrate di sviluppo locale delle regioni interessate. Quel che va sotto il nome di “turismo responsabile”. Un fenomeno ancora in fase iniziale ma che tuttavia ha dimostrato grandi potenzialità incontrando un forte interesse di pubblico e incominciando a mobilitare anche i grandi tour operator. Obiettivo della presente ricerca è fare il punto sulla situazione del “turismo responsabile” e le sue connessioni con lo sviluppo locale nel nostro paese e all’estero. Va ricordato che la riflessione e poi la proposta del turismo responsabile è nata e si è sviluppata in un primo momento in stretta relazione alla constatazione degli impatti negativi del turismo di massa nei paesi in via di sviluppo. Solo in seguito si è avuto un ampliamento degli orizzonti alle possibilità e i significati di forme di turismo responsabile anche nei paesi occidentali e in particolare in Italia. Si procederà dunque attraverso alcune tappe: una breve sintesi delle principali analisi sugli impatti negativi del turismo di massa (che hanno indotto la nascita della riflessione su forme alternative di turismo), quindi una analisi teorica su significati, regole e sviluppi recenti del pensiero sul “turismo responsabile”, una mappatura delle realtà italiane che si occupano di questa forma di turismo innovativo e le recenti connessioni con il mondo del commercio equo e del consumo critico, infine l’indagine di una serie di casi di studio esemplari che coniugano pratiche di viaggio responsabili e sviluppo locale in Italia e all’estero. Infine procederemo a considerare le possibili connessioni, che a nostro avviso rivestono un particolare interesse, fra il turismo responsabile e l’utilizzo del treno come mezzo di trasporto a minor impatto ambientale. Da questo punto di vista riteniamo altresì auspicabile l’instaurarsi di possibili rapporti futuri, più strutturati, tra le agenzie di turismo responsabile e le Ferrovie dello Stato italiane. 4 I SEZIONE IL TURISMO “CLASSICO” 1. Breve storia del viaggio dalle origini ai nostri giorni 1.1 Il pellegrino come archetipo del turista Da sempre l’uomo si sposta e viaggia, e da sempre il viaggio è motivato in prima istanza dalla necessità. E’ dimostrato da studi scientifici che le popolazioni nomadi (tradizionalmente dedite alla caccia e alla raccolta prima, alla pastorizia poi), siano apparse sulla Terra ben prima di quelle stanziali (a vocazione agricola), quasi a dimostrare che il bisogno di muoversi è parte del bagaglio ancestrale dell’uomo. Nel caso dei nomadi, la mobilità territoriale è anche un aspetto essenziale della loro identità. Ma il dinamismo non è appannaggio esclusivo di allevatori e pastori, come dimostrano le esperienze di marinai e mercanti: dai fenici ai greci, ai commercianti arabi, le cui carovane attraversavano il deserto del Sahara, fino all’italiano Marco Polo che, com’è noto, era mercante di gioielli. Tutti costoro viaggiavano, e i loro “colleghi” viaggiano ancora oggi, per lavoro. Una diversa modalità (e motivazione) del viaggiare è stata invece incarnata dalla figura del pellegrino. Per il suo carattere di fenomeno di massa, periodico e organizzato (basti pensare ai musulmani in viaggio verso la Mecca, i monaci buddisti cinesi diretti verso l’India, i cristiani sul Cammino di Santiago, verso Roma o Gerusalemme), il pellegrinaggio è stato considerato da molti un archetipo del viaggio turistico moderno. Il pellegrino si muove lungo itinerari prefissati, alloggia in “ospizi” costruiti appositamente per l’accoglienza, visita luoghi santi per rafforzare la propria fede; in maniera analoga il turista si ferma in alberghi, viaggia in gruppo e visita musei anche per rafforzare la propria identità culturale. Infine, in una rassegna seppur necessariamente breve sul viaggio, non va dimenticata un'altra categoria di viaggiatori ante litteram, rappresentata da quanti si muovevano allo scopo di conquistare nuove terre (pensiamo ad Alessandro Magno con il suo esercito) o di esplorare e conoscere, come i navigatori italiani Cristoforo Colombo, Vasco de Gama e Amerigo Vespucci, l’ammiraglio cinese Zheng He, o le grandi spedizioni di etnologi e antropologi che nei secoli passati raggiungevano il continente nero via terra. 1.2 Dal viaggio “per dovere” a quello “per piacere” Solo in tempi più recenti si comincia a viaggiare per diporto. E’ consuetudine far coincidere la nascita del turismo con l’esperienza del Grand Tour: a partire dal Settecento, ma soprattutto dall’Ottocento, i giovani rampolli della nobiltà inglese, tra i venti e i venticinque anni, per completare la loro formazione si mettono in viaggio per mesi, a volte anche per un intero anno, girovagando tra le capitali europee. Nello stesso periodo nascono le stazioni termali, diventano di moda le località di villeggiatura in montagna (le prime sono in Svizzera) e gli stabilimenti balneari: in Italia, per esempio, Rimini e Viareggio si contendono il primato. Nel 1841 Thomas Cook si mette a vendere biglietti per un viaggio in treno da Leicester, nelle Midlands inglesi, alla vicina Loughborough, e per questo viene considerato il primo organizzatore di escursioni turistiche; nel 1855 organizza già viaggi “tutto compreso” all’Esposizione di Parigi. Il turismo, fino a questo momento, resta però ancora un’esperienza elitaria. Prima del 1939 solo un milione di persone l’anno si reca all’estero, eppure la nascita del turismo di massa, nazionale e internazionale, risalirebbe secondo il sociologo Asterio Savelli proprio agli anni compresi tra i due conflitti mondiali: “E’ il periodo in cui le nazioni si confrontano sempre più tra loro e chiamano il turismo a far compiere a ciascun soggetto quella presa di coscienza della propria appartenenza a quella dimensione collettiva fortemente integrata, lo Stato-nazione, che già la ‘Grande Guerra’ aveva potentemente affermato (…) La vacanza, quella 5 balneare in particolare, viene privilegiata per le sue valenze omogeneizzanti. L’appartenenza e la comunanza sono esaltate dal bagno nella stessa acqua, dalla somiglianza dei corpi denudati ed abbronzati, dalla promiscuità tra i sessi, dalla convivenza nelle stesse istituzioni del soggiorno balneare (la colonia, le case per ferie, gli alberghi), dalla trasparenza delle relazioni familiari altrui”. E’ però solo nel secondo dopoguerra, con il boom economico, che il turismo raggiunge una vera dimensione di massa: i primi a potersi permettere questo tipo di vacanze sono gli statunitensi, poi negli anni ’60 gli europei, e ancora canadesi, giapponesi, australiani. All’incirca negli anni ’80 cominciano a muoversi anche le minoranze benestanti di India, Brasile, Messico, Sudafrica, ecc. Per dirla con Bruce Chatwin: “Forse dovremmo concedere alla natura umana un’istintiva voglia di spostarsi, un impulso al movimento nel senso più ampio. L’atto stesso di viaggiare contribuisce a creare una sensazione di benessere fisico e mentale, mentre la monotonia della stasi prolungata o del lavoro fisso tesse nel cervello delle trame che generano prostrazione e un senso d’inadeguatezza personale”. Allo stesso tempo, sempre più, l’industria turistica viene incontro al viaggiatore prevenendo il senso di depaysement, di spaesamento e distacco insito nello spostamento, ricreando un modello di vita del tutto simile a quello appena lasciato: stesso cibo, stesso ambiente, stessi ritmi di vita, stessa lingua e stessi compagni di sempre. Con un rischio: svuotare il viaggio della dimensione esperienziale (“viaggiare per conoscere e per conoscersi meglio”) che ha sempre avuto. 2. Un’industria in forte espansione 2.1 Il business dei viaggi Sono stati tre gli acceleratori fondamentali che negli ultimi 50 anni hanno trasformato il turismo in una vera e propria industria, sia pure in assenza di macchinari e catene di montaggio: la curiosità verso l'altrove e l'altrui; la diffusione su ampia scala della carta stampata (diari, resoconti, giornali), in particolare dalla seconda metà dell'Ottocento; l'evoluzione dei mezzi di trasporto che gradualmente hanno ridotto, fino a ridicolizzarle, le distanze. A questi bisogna ovviamente aggiungere la conquista sociale delle ferie retribuite. La miscela di questi elementi ha fatto sì che il turismo divenisse un fenomeno di massa, con tutte le conseguenze del caso. Con trasporti e comunicazioni sempre più agevoli e veloci, oggi ci si può spostare in poche ore da Ginevra a Tokyo, da Roma a Los Angeles piuttosto che a Pechino o a Il Cairo. La deregulation delle compagnie aeree, che hanno abbassato i prezzi (ma anche i livelli di sicurezza dei voli), e il boom dei voli charter, hanno permesso a milioni di persone di recarsi in paesi distanti migliaia di chilometri a prezzi stracciati. Il vero detonatore della rivoluzione turistica è stata la classe lavoratrice dei paesi industrializzati, che negli anni '80 ha cominciato a varcare i confini dei rispettivi paesi per recarsi in "paradisi" lontani migliaia di chilometri, spesso più a buon mercato della località balneare vicina a casa. Nelle immense periferie del Sud del mondo il fenomeno turismo è invece ancora trascurabile: Africa e Asia Meridionale, ad esempio, per quanto in crescita non ricevono né generano flussi turistici apprezzabili. Il turismo può essere considerato oggi un’industria (o meglio, una serie di industrie collegate: compagnie aeree, catene alberghiere, ristorazione, tour operator, agenzie di viaggio, trasporti, artigianato…), che sfrutta la naturale propensione umana al viaggio e all’evasione dalla routine del lavoro e della vita di tutti i giorni. Attualmente il turismo, con il suo indotto, rappresenta la principale attività economica a livello mondiale, più importante dei settori automobilistico, dell'acciaio, dell'elettronica e dell'agricoltura. Quasi sei miliardi di spostamenti all'anno generano 3.500 miliardi di dollari di fatturato, il 6-7% del prodotto interno lordo del pianeta, impiegando 127 milioni di persone, 1 ogni 15 occupati nel mondo (Fonti: WTTC e WTO). 6 Come tutte le grandi attività economiche, riproduce il disequilibrio tra Nord e Sud del pianeta: basti pensare che circa l'85% della spesa per spostamenti internazionali è sostenuta dai residenti di soli 20 paesi (Europa, Usa, Canada e Giappone in testa) che rappresentano circa il 15% della popolazione mondiale. Per quel che riguarda gli spostamenti internazionali questi sono passati da 69 milioni nel 1960 a 700 milioni nel 2000, con un incremento del 1000%. Si stima che passeranno a 1,6 miliardi nel 2020, con un incremento di oltre il 200% rispetto a oggi, e del 2700% rispetto al 1960. Ma, specialmente per quanto riguarda i grandi viaggi internazionali, l’industria turistica è in mano a poche multinazionali che traggono la maggior parte dei profitti, mentre chi ne paga il prezzo in termini di degrado ambientale e talvolta sociale sono gli abitanti delle zone “invase” dai turisti, spesso estromessi da ogni decisione in merito. Per farsi un’idea del ruolo del turismo nello sviluppo dei paesi del Sud del mondo, è utile conoscere alcune percentuali riguardanti la distribuzione del prezzo dei pacchetti turistici tra l'operatore turistico e il paese di destinazione: in Kenya e Sri Lanka, ad esempio, rimane solo il 30% di quanto pagato all'acquisto del viaggio, in Gambia il 20% e alle Mauritius addirittura il 10% (contro il 60%, per fare un esempio europeo, della Spagna). In questi paesi, inoltre, la maggior parte degli alberghi è di proprietà estera: il 67% (percentuale relativa alle stanze) per Seychelles e Mauritius, il 49% in Senegal, il 66% degli hotel a Nairobi, il 78% sulla costa in Kenya. In Gambia, malgrado gli incentivi pubblici all’acquisizione di hotel da parte di società locali, oltre il 50% degli alberghi è nelle mani di società estere, mentre a Tahiti gli hotel stranieri hanno estromesso dal mercato quasi tutti gli alberghi di proprietà dei locali. 2.2 Psicologia del turista Secondo la definizione più accreditata, il turismo è “un’attività consistente nel fare gite, escursioni, viaggi, per svago o a scopo istruttivo”. Deriva dal francese tour, cioè giro, percorso, viaggio, ed è un termine adottato in quasi tutte le lingue del mondo. A sua volta, tour può essere fatto risalire a una parola ebraica, Tora, che significa studio, conoscenza, ricerca. Secondo l’OMT (Organizzazione Mondiale del Turismo, agenzia dell’Onu con sede a Madrid, World Tourism Organization), “il turismo comprende tutte le attività realizzate dalle persone durante i loro viaggi e soggiorni in luoghi diversi da quello di residenza, per un periodo di tempo consecutivo inferiore a un anno, con fini di vacanza, lavoro o altri motivi”. “Il turista è qualsiasi persona che passa almeno una notte fuori dal suo abituale luogo di residenza, indipendentemente dal motivo. Quello del visitatore è invece un concetto più ampio, e comprende anche chi si muove per un solo giorno”. Ma quali sono i meccanismi che fanno scegliere una destinazione o un itinerario piuttosto che un altro? E qual è la psicologia del turista? Ci aiuta a rispondere un agile volume, “Viaggiare ad occhi aperti” dell’ICEI: “Le motivazioni per decidere un viaggio sono molto varie e personali, ma non si possono trascurare i messaggi lanciati con le campagne pubblicitarie e il richiamo delle mode, vere o artificiali, che nidificano nel subconscio del potenziale vacanziere alimentando il desiderio di recarsi in un determinato luogo. Sono stati diversi negli ultimi anni, ma ben identificabili, i paesi o i luoghi "da sogno" maggiormente premiati dai turisti occidentali: Tailandia, Seychelles, Maurizio, Cuba, Santo Domingo, per i turisti "in economia"; Patagonia, Namibia, Vietnam, San Marteen, Australia per il turismo di élite. Concorrono a creare l'interesse per tali destinazioni un mix di soggetti come gli Enti del turismo dei paesi interessati, le riviste specializzate, le compagnie aeree, e non ultimo gli operatori turistici. Antica storia, quella della struttura nata con il fine di organizzare mezzi di trasporto, cercare alberghi, condurre in gita gruppi più o meno folti di turisti. (...) Oggi l'agenzia è divenuta totem e tabù, creatura adorata/odiata in egual misura da chi ad essa si affida e da chi di essa diffida per non dire che ne aborrisce le pratiche omologanti. Negli ultimi anni sono nate agenzie specializzate nella vendita di viaggi personalizzati, al di fuori degli itinerari più battuti. Questo per soddisfare i bisogni di turisti sempre più esigenti. Una recente ricerca realizzata in Inghilterra ha individuato 4 tipi di turista: i turisti di massa organizzati (coloro che comprano solo viaggi "tutto organizzato"); il turista di massa individuale (è più libero e autonomo dal gruppo, ma stabilisce rigorosamente prima della partenza l'intero svolgimento del viaggio), l'esploratore (cerca accuratamente itinerari poco frequentati o insoliti da fare da solo o in piccoli gruppi, per questo spende molto di più dei precedenti); infine il cosiddetto vagabondo (evita 7 qualsiasi organizzazione turistica e cerca contatti diretti con la realtà locale, decide alla giornata dove recarsi durante il viaggio). Ma la molla che porta a decidere la destinazione e il tipo di viaggio rimane sempre quello che i sociologi chiamano la "giustificazione" sociale, cioè l'accettazione nel proprio contesto sociale dell'azione che sta per compiere. Un operaio, che fino a qualche anno fa, se fosse andato a fare le vacanze alle Seychelles sarebbe stato guardato con sospetto o diffidenza, oggi non può fare a meno, "socialmente" parlando, di recarsi appunto nell'Oceano Indiano per trascorrere la luna di miele. I gusti e le mode di questo settore riflettono in modo fedele vizi e virtù delle società che generano i flussi turistici. Così come la grande maggioranza dei turisti cerca lo svago durante le vacanze, altri cercano la trasgressione sognata, ma mai realizzata dove risiedono abitualmente. Da qui il fenomeno del turismo sessuale e di una delle sue derivazioni più degenere, la pedofilia. Ma la trasgressione non ha solo risvolti sessuali. Bisogna stravolgere anche la propria routine, la gestione del tempo, delle abitudini nell'assunzione di droghe e alcol, dell'investimento affettivo nei rapporti di amicizia temporanea che si stabiliscono, ecc. Il turismo internazionale è sempre di più la valvola di sfogo per milioni di persone che si sentono "strette" nelle società di cui fanno parte, dove tutto è organizzato e tenuto sotto controllo, dove l'emozione è programmata e arginata. Per contro, l'immagine che le popolazioni dei paesi scelti dai turisti si fanno, è che tutti gli occidentali sono ricchi sfondati, non lavorano molto, amano dissipare i soldi, si vestono in modo indescrivibile e non conoscono alcun tipo di codice morale di comportamento”. 3. L’impatto su natura, società ed economia Senza abbandonarsi ad atteggiamenti “catastrofisti”, bisogna comunque ammettere che il fenomeno turistico è una realtà complessa, le cui conseguenze in termini di impatto ambientale, culturale, economico ecc. possono essere pesanti per la realtà ospitante: dalla sottrazione di risorse al disagio sociale delle invasioni “di massa”, dall’iniqua distribuzione degli introiti all’incontro frettoloso tra turisti e popolazione... 3.1 L’impatto ambientale L’industria turistica punta ad attrarre i suoi “clienti” facendo leva sulle bellezze naturali e le varietà di flora e fauna caratteristiche di una determinata località. Ma, via via che quest’industria cresce e si espande, diventa come il gatto che si morde la coda: il turismo determina infatti spostamenti di massa, promuove l’uso di mezzi di trasporto come aerei e navi, responsabili dell’inquinamento di aria e acque (gli scienziati prevedono che dal 2015 metà della distruzione annuale dello strato d’ozono sarà causata dai viaggi aerei - da Tourism Concern), e finisce così per danneggiare proprio quell’ambiente e quelle risorse naturali su cui è fondato il suo business. Il trasporto è la fonte di emissione di anidride carbonica in maggior aumento nel mondo. E i viaggi di piacere ne costituiscono il 50%. Si calcola che un turista statunitense, per fare un esempio, sia responsabile dell’emissione di cinque tonnellate di carbonio ogni anno: circa 107,4 volte il carbonio prodotto dai più “statici” abitanti del Bangladesh. Tutto questo attivismo contribuisce in larga misura a fenomeni quali il riscaldamento globale, il cambiamento di clima e l’aumento di livello dei mari. Nelle diverse parti del mondo, assistiamo alla distruzione vuoi sistematica vuoi inconsapevole, ma sempre deleteria, di foreste (si pensi ai boschi di mangrovie sulle coste tropicali), corsi d’acqua, banchi corallini, e all’estinzione di intere specie viventi, a detrimento della biodiversità. Insomma, a risultare compromessi sono interi ecosistemi: “L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel 1981 ha prodotto uno studio sugli stress ambientali indotti dal turismo. Il quadro che emerge è disastroso: desertificazione, deforestazione, distruzione di habitat naturali per la costruzione di strutture e infrastrutture ricettive; acque di scolo non o mal depurate, perdite di petrolio, sottoprodotti della benzina scaricati dalle barche hanno causato 8 un inquinamento delle acque che ha fatto pericolosamente aumentare le alghe e ridotto il livello di ossigeno nel mare; trasporti (soprattutto quello aereo), riscaldamenti, condizionatori, piscine sono responsabili di più di un quinto delle emissioni totali di ossido di carbonio e del conseguente inquinamento atmosferico. A questi disastri si aggiungono quelli provocati dalle attività dei turisti sul suolo e sulla vegetazione, sull’ecosistema marino e costiero, su foreste, parchi e dune. Gli sport nautici, ad esempio, provocano danni irreversibili nei laghi. Alle Isole Mauritius, paradiso turistico, le barriere di corallo, indispensabili per l’equilibrio ecologico marino, sono già state erose all’80%” (Lanzanova e Sardella, “Viaggiare ad occhi aperti”, ICEI) Il rischio è allora che l’industria turistica, al pari di quella mineraria o manifatturiera, finisca col promuovere un approccio aggressivo verso l’ambiente e il territorio. Soprattutto a scapito dei paesi più poveri. “Essa è come il ‘taglia e brucia’ dei cacciatori-raccoglitori preistorici, ma su scala planetaria, che si lascia alle spalle coste un tempo bellissime e ora bordate di cemento, di giganteschi alberghi e appartamenti privati - dalla Florida a Goa, dalle coste mediterranee di Spagna, Francia, Italia e Turchia alle spiagge di Bali. La popolazione costiera del Mediterraneo, 130 milioni di persone, raddoppia nei mesi estivi; secondo uno studio delle Nazioni Unite, nel giro di trent’anni il 95 per cento delle coste sarà edificato. I suoi “consumatori” spesso portano con sé le proprie abitudini di vita e le proprie aspettative - che si tratti di docce calde o sciacquoni o di campi di golf ben innaffiati. Sull’Himalaya, permettere ai turisti di fare la doccia spesso significa utilizzare la legna e quindi accelerare la deforestazione. Alle Hawaii e alle Barbados è stato scoperto che ogni turista usa dalle sei alle dieci volte la quantità d’acqua e di elettricità utilizzata dagli abitanti locali. A Goa gli abitanti dei villaggi costretti a recarsi a piedi ai pozzi sono dovuti restare a guardare mentre venivano costruite attraverso la loro terra le tubature che avrebbero portato l’acqua a un nuovo hotel di lusso. Negli ultimi dieci anni, il golf, a causa della sua fame di terreni, acqua e diserbanti, si è rivelato una delle attività più distruttive, tanto che in alcune zone del Sudest asiatico sono scoppiate delle vere e proprie “guerre del golf”; mentre in Giappone, una delle principali mete del turismo golfistico, un gruppo di oppositori ha lanciato l’idea di una Giornata annuale senza golf” (da “Viaggiatori d’Occidente” di David Nicholson-Lord, The Nation, Usa, da Internazionale 17/10/97). L’impatto ambientale non dipende dunque soltanto dagli spostamenti (inquinamento) o dal “vandalismo” legato ai grandi numeri, ma anche dalle diverse strutture di accoglienza (eccesso di costruzioni) e dalle infrastrutture realizzate ad hoc: in alcuni casi-limite sono sorte intere cittadine o villaggi a puro uso e consumo turistico, si pensi ad esempio a Sharm El Sheik. Qui, fino a 20 anni fa, c'era solo il deserto. Poi è arrivato il turismo, con la sua invasione di alberghi all inclusive: 247 camere nell'82, 15.000 nell'88, oltre 35.000 oggi. Nell'88 è stato inaugurato il primo charter, dell'operatore turistico Pianeta Terra. Oggi, sono decine al giorno. Gli alberghi, i villaggi hanno occupato il litorale, mangiato le propaggini di deserto e regalato a Sharm l'aspetto di una Las Vegas mediorientale. Oggi Sharm El Sheik è il fiore all'occhiello dell'economia egiziana, la località turistica più battuta del Mar Rosso (soprattutto dagli italiani), e ci mostra due facce: una sono i turisti - circa tre milioni l'anno; e gli hotel, i resort, i villaggi tutto compreso. L'altra faccia sono i beduini che spaccano pietre, che costruiscono strade e alberghi. Due facce, due aspetti del boom di Sharm. Non si sa con esattezza quanti posti di lavoro abbia creato questo luogo semidorato negli ultimi anni. Ma si sa che adesso, tra stranieri e locali, ci abitano 500.000 mila persone. Ci sono scuole elementari e medie, quattro ospedali, dieci banche, centinaia di alberghi e locali, ristoranti, bar, Internet point, centri commerciali, negozi di souvenir, centri estetici, palestre. Gli egiziani arrivati dal resto del paese lavorano qui nelle mille attività create da un indotto strabiliante. Guadagnano cifre esigue: in Egitto non ci sono norme sul salario minimo, men che meno nel settore turistico; un cameriere può arrivare a guadagnare 23 euro al mese (ma nei periodi di vacche magre la cifra si dimezza). Malgrado la precarietà, gli orari massacranti e la mancanza di tutele sindacali, i lavoratori di Sharm preferiscono questa vita alle condizioni delle città da cui provengono - Il Cairo o Alessandria - dove i tassi di disoccupazione sono molto alti e gli stipendi sono in media ridotti di un terzo. 9 Sharm El Sheik, un luogo turistico “come tanti”. Cemento - e business - che avanza, spazi naturali e paesistici che si contraggono: km e km di costa edificati, ma anche danni alla barriera corallina, degrado della qualità del mare, e l’annoso problema dell’acqua. Quello dell’acqua è in effetti uno dei flagelli più gravi che il turismo, in qualunque parte del mondo, reca con sé: l’enorme consumo di questa risorsa negli alberghi per docce, piscine, giardini e campi da golf, provoca un’allarmante riduzione delle scorte a disposizione e il razionamento dell’acqua potabile per le popolazioni locali. Basti pensare che per tenere in funzione un campo da golf occorre la stessa quantità d’acqua necessaria ai bisogni di un intero villaggio di alcune migliaia di persone. Mentre il consumo medio pro capite d’acqua di un indigeno in Africa è ad esempio di 10-15 litri al giorno, il turista ne consuma 300. E, conseguenza ancor più devastante, a causa della scarsità d’acqua in molti paesi le colture irrigue, fonti tradizionali di sopravvivenza, non sono più possibili e la popolazione rurale è costretta all’abbandono della campagna. Ma allora dal punto di vista ambientale il turismo può solo far danni? Le cose, naturalmente, sono sempre più complesse di quanto possa sembrare: il turismo, ad esempio, serve effettivamente, in alcuni casi, a una migliore tutela dell’ambiente, pensiamo ai giardini o ai parchi naturali, che costituiscono l’habitat di numerose specie protette, dagli elefanti alle balene. In Rwanda, per fare un esempio oggi noto anche grazie alla cinematografia (molti avranno visto il film Gorilla nella nebbia), a salvare i primati di montagna è stato proprio il loro carattere di “attrattiva” per i visitatori stranieri. In Kenya il valore di un leone è stimato a circa settemila dollari l’anno di reddito da turismo, mentre per una mandria di pachidermi si arriva a 610 mila dollari. 3.2 L’impatto economico A prima vista il turismo sembra presentare indubbi vantaggi economici: la creazione di posti di lavoro (oggi sono poco meno di 200 milioni gli occupati nel settore), la formazione professionale, l’incremento del gettito fiscale, la costruzione di infrastrutture utili anche in altri settori (strade, acquedotti, aeroporti) o, nel caso dei paesi poveri, l’ingresso di valuta pregiata. Un positivo effetto moltiplicatore, per cui la spesa turistica funziona da volano per creare nuove opportunità all’interno del paese, si verifica però in genere solo nelle economie occidentali: dove il denaro giunto con il turismo viene reinvestito e i risultati si fanno sentire in altri settori. Qui l’industria turistica è controllata soprattutto dalle piccole e medie imprese: in Europa, ad esempio, sono ben 2 milioni e 700 mila (incluse le ditte di catering) le aziende attive in ambito turistico. Il personale è pagato in proporzione meno che negli hotel delle multinazionali, spesso la gestione è familiare, o si ricorre a manodopera a basso costo (allievi delle scuole alberghiere, immigrati ecc.), talvolta a svantaggio della formazione professionale. Un problema diffuso delle aziende turistiche è la precarietà delle condizioni di lavoro: orari irregolari, salari senza base fissa, straordinari non retribuiti (in teoria “compensati” dalle mance), e persino lavoro sommerso. Nel caso dei paesi in via di sviluppo, prevale la concentrazione dell’industria turistica nelle mani di poche multinazionali del Nord del mondo, il che determina per i paesi ospitanti (e per le popolazioni locali) un ritorno economico decisamente inferiore alle aspettative. Anche quando il turismo crea nuovi posti di lavoro: i ruoli di direzione, ad esempio, sono in genere ricoperti da stranieri; la manodopera locale, priva di formazione, è mal pagata e sfruttata, relegata ai ruoli meno qualificati: barman, camerieri, portieri, portabagagli, ecc... In un hotel a 4 o 5 stelle, il salario mensile di un cameriere è di solito inferiore al costo di una camera per una notte. E’ vero che una corretta valutazione deve tenere conto del livello di sviluppo raggiunto dal settore turistico in 10 un dato paese: il numero di posti di lavoro, la loro natura, le persone che li occupano cambiano durante le diverse fasi di sviluppo o involuzione delle località turistiche. Nella misura in cui il livello di sviluppo cresce, sono le stesse imprese multinazionali ad avere interesse a formare in loco quadri intermedi, per ruoli di direzione delle strutture alberghiere o per l’impiego di tecnologie avanzate di cui il turismo può aver bisogno. E’ difficile però che le competenze acquisite si trasformino in una risorsa spendibile sul territorio per altre attività. Inoltre questo processo può avere l’effetto di deformare la struttura lavorativa esistente, ad esempio quando l’industria turistica diventa un’attrattiva per i più giovani, a lungo andare, provoca l’abbandono delle campagne e il trasferimento in quartieri poveri e degradati che circondano i lussuosi alberghi. Spesso poi lo sviluppo turistico va a incrementare le occupazioni informali, ma ha scarso rilievo sul piano formale; e buona parte dell’offerta di lavoro è stagionale, per periodi limitati di tempo. In alcuni casi il turismo favorisce la creazione di nuove infrastrutture, ma capita spesso che i governi attingano ai fondi pubblici, con conseguenti tagli a sanità, scuola, agricoltura. E’ stato del resto dimostrato che, a parità di spesa, un investimento nell’industria o nell’agricoltura è in grado di generare più posti di lavoro rispetto al turismo. Ma non solo: spesso, per finanziare gli investimenti nel settore, i governi devono ricorrere a nuovi prestiti, aumentando così la spirale del debito e provocando la svendita delle risorse (incluse quelle ambientali). Un altro problema legato alle attività turistiche nei paesi in via di sviluppo è quello dell’importazione di beni di consumo: il comportamento delle strutture alberghiere nell’approvvigionamento delle materie prime, infatti, penalizza spesso i produttori locali (anche perchè i loro prodotti vengono percepiti come scadenti, a volte per una distorta informazione e sensibilità del turista. Così, ad esempio, in Gambia il 35% delle importazioni di cibo, pagate in valuta pregiata, vanno direttamente a hotel e ristoranti per turisti). Nelle aree turistiche tendono ad aumentare tutti i prezzi, dai generi di prima necessità a quelli della proprietà immobiliare e terriera, e spesso si innescano meccanismi speculativi: i residenti (coltivatori, pescatori, allevatori) vengono sfrattati perché la loro zona serve per un nuovo albergo, o un nuovo centro commerciale. Il valore acquistato in tal modo dalle terre spinge i proprietari a venderle, abbandonando le attività agricole e i sistemi di sussistenza connessi. In sostanza: il ritorno economico per i paesi ospitanti è spesso minimo. E la percentuale della quota dei costi dei viaggi organizzati che rimane nel paese di destinazione rispetto al costo totale del pacchetto è per lo più irrisoria. Tra i rischi, infine, c’è anche quello che Renzo Garrone, in “Turismo Responsabile”, qualifica come «pericolo monocoltura», quando in un dato paese il turismo rappresenta la principale fonte di entrate. In questi casi basta niente per mandare a picco il fatturato dell’industria turistica per una o più stagioni (dai problemi sanitari locali a periodi di crisi politica). 3.3 L’impatto socio-culturale Oltre al desiderio di ammirare paesaggi e bellezze naturali, spesso chi viaggia è animato dalla volontà di conoscere i modi di vita, le usanze e le credenze degli altri popoli, o di altre realtà culturali all’interno del proprio paese. Ma il carattere transitorio e quasi mai paritetico della relazione tra il turista e la popolazione locale, unito alle barriere linguistiche nel caso dei viaggi all’estero, non favorisce un’autentica conoscenza degli altri. Anzi, nei paesi del Sud del mondo, il turismo rischia di riproporre un modello di relazioni tipico del colonialismo: da una parte gli occidentali, ben serviti e adagiati nel lusso, dall’altra gli indigeni che molte volte subiscono un peggioramento delle loro condizioni di vita per la presenza dei turisti. Un esempio tipico, come abbiamo visto, è quello dell’acqua. 11 Ma la presenza dei turisti nei paesi poveri può diventare anche una fonte di frustrazione: la stridente diversità nel tenore di vita e nei comportamenti provoca infatti, soprattutto nei giovani, fascinazioni e desideri di imitazione, facendo avvertire più duramente la miseria cui si è costretti, come pure le limitazioni e le esclusioni (ad esempio dalle spiagge divenute proprietà privata degli alberghi). Il turismo può inoltre modificare la struttura sociale della popolazione, trasformandola da rurale a urbana, o portare all’interno della comunità alterazioni dei ruoli, dei rapporti familiari e tra i due sessi. A Malindi, città portuale del Kenya, i giovani impiegati nell’attività turistica hanno messo in crisi l’autorità degli anziani, rifiutando la loro identità swahili e formando famiglie nucleari. In Thailandia, lo sviluppo della prostituzione legata al turismo ha disgregato intere famiglie e provocato disturbi mentali nelle più giovani. D’altra parte, è vero che il turismo favorisce il trasferimento di valori, modelli di consumo e comportamenti che, se da un lato possono essere fonte di innovazione, dall’altro possono causare la crisi e l’abbandono dei valori tradizionali, spingendo i più emarginati a operare ai limiti della legalità. In alcuni casi il turismo ha addirittura alimentato o fatto nascere attività criminali prima inesistenti. Lo stesso Dalai Lama ha voluto prendere posizione rispetto a queste difficoltà: secondo il suo pensiero, tutto dipende dalla forza e dal radicamento della cultura d’origine, per cui “se la popolazione locale ha un legame forte con la propria religione e identità culturale non si creeranno problemi (...) Viceversa (...)il contatto col mondo esterno può causare una perdita d’identità”. (Intervista di Piero Verni in “Tibet News Italia”, Ass. Italia-Tibet n. 11, Milano 1993). 3.4 La mercificazione dei prodotti artistici e culturali Il turismo modifica inevitabilmente la produzione e la natura dell’arte e dell’artigianato locali. Spesso chi viaggia ha curiosità superficiali, desidera le emozioni dell’esotismo ma quasi mai è disposto ad assumersi l’impegno che richiede l’incontro e la conoscenza di una cultura diversa; si limita a registrare il colore locale, a fotografare luoghi e personaggi “esotici”, a comprare oggetti ricordo e a cercare il folklore. “In Thailandia i discendenti di antiche tribù di cacciatori-raccoglitori, ormai per lo più confinati in squallidi insediamenti ai margini di luoghi di villeggiatura internazionale come Phuket, mettono in mostra, a pagamento, aspetti della loro cultura tradizionale che sono stati da tempo costretti ad abbandonare: l’uccisione dei maiali, la raccolta di conchiglie, il tiro con la cerbottana. Oggi quelle persone vestono all’occidentale, ma per le rappresentazioni i vecchi perizomi della giungla sono spesso di rigore. Alcuni osservatori ora sostengono che il turismo può rafforzare le culture locali favorendo la consapevolezza delle tradizioni, delle cerimonie e delle feste che le accompagnano. Ma che valore ha la tradizione se viene mantenuta viva coscientemente, a scopo di profitto, e ha ben poco a che vedere con la vita reale, che oggi, in tutto il mondo, sta diventando sempre più uniforme? Da qui nascono espressioni come ‘zoo umano’ o ‘artigianato da aeroporto’ e la riduzione delle culture a souvenir. Questi sono problemi che riguardano la caccia alla volpe in Inghilterra come il carnevale di Rio o i cosiddetti tour dei cannibali in Thailandia. La cosa innegabile è che il turismo, in un modo o nell’altro, cambia le tradizioni, e a molte persone, soprattutto nel Terzo Mondo, questo mutamento dà la sensazione del degrado” (da “Viaggiatori d’Occidente” di David Nicholson-Lord, The Nation, USA, da Internazionale 17/10/97). Fortunatamente esistono anche casi in cui il turismo diventa un’occasione di valorizzazione delle culture locali: è il caso, ad esempio, dei Kuna di Panama, una piccola popolazione indigena specializzata nella produzione delle molas, i carrè in stoffe colorate sovrapposte lavorati dalle donne della comunità. Le molas sono una creazione artistico-artigianale conosciuta in tutto il mondo, di cui i Kuna sono riusciti a conservare il controllo della produzione e della commercializzazione, e a mantenere i significati spirituali più profondi. Questi e simili casi “successo” si spiegano con il forte radicamento dei valori tradizionali nella comunità locale, e con la capacità della comunità di controllare i tempi, i modi e i limiti del rapporto con i turisti, riuscendo a distinguere - e separare - il mondo della tradizione più profondo e più 12 fondante della comunità stessa e gli elementi di questo mondo che possono essere condivisi con i turisti senza “compromettersi”. 3.5 Rito o teatro? A chiarire ulteriormente l’impatto che il turismo può esercitare sulle culture “altre” può essere d’aiuto una citazione dell’antropologo torinese Marco Aime, viaggiatore appassionato, abile fotografo ed esperto conoscitore dell’Africa. Aime, in particolare, ha compiuto numerosi viaggi di lavoro in Mali, per studiare da vicino le usanze del leggendario popolo Dogon. “Chiedo a Cissé (Youssouf Tata Cissé, etnologo maliano, n.d.r.) che cosa pensi di queste danze turistiche. «E’ vero che non hanno lo stesso significato di quelle rituali - dice - ma questo i danzatori lo sanno benissimo. Però le danze sono uguali e questi giovani tra qualche anno saranno dei bravi danzatori. Guarda come si muovono! Se non ci fossero queste occasioni non potrebbero neppure esercitarsi e forse le danze si perderebbero.» A conferma delle sue parole è interessante la descrizione, fatta da Anounouloum Niangaly nel 1978, di una danza tenutasi a Banani nel corso di una cerimonia di fine raccolto. La sorpresa del giovane studioso dipendeva dal fatto che nessuno tra i giovani presenti partecipava alle danze e, ad animare la cerimonia, erano solo adulti e anziani. Inoltre Niangaly registra con un certo disappunto che quasi nessuno dei giovani presenti indossava abiti tradizionali. Ancora oggi le famiglie hanno difficoltà ad accumulare il cibo e le bevande necessarie a celebrare i funerali con le danze delle maschere e da circa quattro anni non si assiste a un’uscita delle maschere in occasione di funerali in tutta la falaise dogon. Invece i turisti pagano 30.000 CFA (90.000 Lire, n.d.r.) per mezz’ora di danze. Una cifra considerevole se si pensa che in Mali un salario mensile urbano medio si aggira attorno ai 15000 CFA […] Anche i turisti seduti lì davanti in fondo sanno benissimo che le danze che stanno osservando non sono rituali e forse non riuscirebbero neppure a comprenderne i significati e gli aspetti più profondi se queste fossero eseguite nel loro contesto naturale. Le danze tradizionali sono “etniche”, queste sono teatrali. […] Le performance culturali legate alla tradizione sono un ottimo supporto per il turismo, anche se sono artificiali. Il rischio è che vengano declassate da eventi culturali a semplice “colore”; d’altro canto bisogna riconoscere che talvolta è proprio la performance turistica a mantenere in vita, sebbene a livello più di forma che di contenuto, tradizioni in via di sparizione.” (Marco Aime in Diario Dogon, Bollati Boringhieri, Torino, 2000). 3.6 Occasioni perdute I rapporti innescati dal turismo di massa, ad esempio nei viaggi organizzati, sono spesso superficiali e inadeguati, vere occasioni perdute. Simbolo del mancato incontro tra culture è il villaggio turistico (resort); una sorta di prigione per turisti (da cui non possono uscire se non accompagnati, e dove i locali non possono entrare, se non per lavorarci), pressoché uguale in ogni parte del mondo, riproduce (in meglio, e in posti più belli) stili e ritmi di vita dei paesi da cui le persone provengono. A qualcuno non sembra quindi fuori luogo parlare del turismo come nuova forma di colonialismo. “Il grande successo del turismo organizzato in “pacchetti” sta proprio nel soddisfare i bisogni dei clienti, tenendoli lontani dai rischi che altrimenti comporterebbe un’esplorazione individuale. Il villaggio turistico ha un’origine militare, perfezionata in molte guerre coloniali. L’idea è quella di riprodurre in ambienti diversi e ostili le condizioni di sicurezza e di comfort cui siamo abituati a casa nostra. Dalle decorazioni dentro la stanza d’albergo, al cibo, alle guide, ai trasporti, alle strade, ai servizi igienici, alle reti di comunicazione e così via. Ma c’è un prezzo da pagare, naturalmente, ed è la standardizzazione: chiunque ne capisca un po’ di tattica militare sa che l’efficienza nella gestione dei grandi numeri comporta l’azzeramento delle esigenze particolari e la strutturazione dei rapporti secondo una rigida gerarchia. La logistica del turista-colono necessita di uno stuolo di lavoratori subordinati. Inviato in un’isola delle Antille, il giornalista della “Repubblica” Vittorio Zucconi ha ammesso di aver compiuto ‘un viaggio nel colonialismo turistico dei nostri tempi, con gli schiavi di origine africana che portano i bagagli’ (V.Zucconi, “I Viaggi di Repubblica” 21 novembre 1997). Un’immagine sconcertante, quanto realistica”. (Duccio Canestrini, Andare a quel paese, Feltrinelli Traveller, Milano 2001). 13 Un altro evidente simbolo di un’occasione mancata di incontro e scambio tra culture è la macchina fotografica, arma inseparabile per ogni turista che si rispetti Ad Haiti, fino a poco tempo fa, i turisti erano accolti con lanci di cipolle. Gli abitanti inferociti colpivano gli occidentali perché erano convinti che li fotografassero per mostrare agli amici quanto gli haitiani fossero poveri, e ridere di loro. Certo tipo di turismo inoltre non fa altro che rafforzare stereotipi e pregiudizi, per quanto questo possa sembrare strano. “L’occhio del turista vede solo ciò che già conosce”. Questo proverbio africano conferma ciò che spiega lo psicologo Gulotta: “Ciascuno di noi possiede una “mappa mentale”: ogni posto della Terra (indipendentemente dal fatto che ci sia stato o meno) è catalogato in questa mappa come più o meno selvaggio, più o meno incontaminato o esotico, più o meno ricco di occasioni di divertimento. Dipende dall’idea che ce ne siamo fatti negli anni attraverso film, documentari, racconti degli amici, lezioni di geografia a scuola. E quando viaggiamo, la portiamo con noi, cercando una conferma alle nostre idee. E’ la cosiddetta ‘attenzione selettiva’: si tendono a notare i particolari che avvalorano i preconcetti, e a trascurare quelli che li metterebbero in discussione. Così, se qualcuno pensa che i paesi mediorientali siano sporchi, vedrà soprattutto vicoli poco puliti, senza magari notare l’interno lindo dei bagni turchi pubblici E i cataloghi, su cui costruiamo le nostre rappresentazione mentali prima della partenza di un viaggio, ci danno un’immagine edulcorata e fuorviante dei paesi che visiteremo: solo spiagge incontaminate, donne sensuali, popolazioni festose e accoglienti, con la completa rimozione di qualsiasi problema questi paesi possano avere. Inoltre spesso i turisti in vacanza hanno comportamenti irrispettosi che provocano conflitti con le popolazioni locali, perchè vogliono vivere senza pensieri e senza regole. La sensazione di libertà che provano i vacanzieri li porta ad assumere comportamenti impensabili in patria. Scatta il meccanismo inconscio del “tanto qui chi mi conosce?” che sta forse alla base della peggiore aberrazione del turismo: quello sessuale. Uomini insospettabili, padri di famiglia, stimati professionisti che conducono un’esistenza normale nei loro paesi, finiscono per dimenticare qualsiasi senso etico una volta in vacanza. 14 II SEZIONE IL TURISMO “RESPONSABILE” 4. Alla ricerca di nuovi modelli 4.1 Avanguardie “responsabili” Alla luce di quanto si è detto fin qui, non stupisce che, parallelamente al boom turistico e alla rapida crescita dei viaggi internazionali, siano nate le prime esperienze di critica e di denuncia. Inizialmente sono state soprattutto le Chiese a occuparsi della questione, fin dal 1967, dichiarato “Anno internazionale del turismo” dall’OMT. Nel 1970, presso l’Accademia Evangelica di Tutzing, in Germania, si svolge la prima Consultazione internazionale sul turismo, promossa dal Consiglio Mondiale delle Chiese (WCC World Council of Churches ). Le conferenze sull’argomento si susseguono negli anni, sempre in ambito ecclesiale, soprattutto nel Sud del mondo: nel 1972 ai Caraibi; nel 1975 a Penang, in Malesia, promossa dalla Conferenza Cristiana dell’Asia, durante la quale viene presentato il primo codice etico per turisti; nel 1980 a Manila il meeting alternativo alla conferenza ufficiale della OMT, indetto ancora una volta dalla Conferenza Cristiana Asiatica. In quell’occasione, gli attivisti discutono il ruolo delle multinazionali nel settore, sollevano la questione del turismo sessuale, dichiarano che il turismo ha provocato nei paesi di destinazione più danni che benefici. Da queste esperienze, nel 1982 nasce a Bangkok la Ecumenical Coalition for Third World Tourism, promossa dal Consiglio Mondiale delle Chiese, approvata poi anche dal Vaticano, con lo scopo di stimolare una consapevolezza globale dell’impatto del turismo. La ECTWT offre a chi è stato danneggiato la possibilità di esprimere le proprie opinioni, supporta azioni popolari, incoraggia i cambiamenti, stimolando ricerche e riflessioni in merito, favorisce le “buone pratiche” nel turismo, per garantire giustizia e dignità umana, nella logica dell’autosviluppo. “Il modo in cui il turismo è organizzato è neocolonialismo. Voi avete diritto allo svago e il denaro per concedervelo, noi no. E la nostra dipendenza economica da questa risorsa fa sì che i turisti debbano essere trattati come dei”: questo il lapidario commento di Padre Desmond De Souza, indiano di Goa e segretario per anni di ECTWT. Il turismo inizia dunque ad assumere il carattere di una grande questione globale di giustizia sociale e diritti umani. Si fa appello a tutti gli individui affinché agiscano per arginare le devastanti conseguenze di un turismo divenuto sistema deteriore. Ancora meglio, si incoraggia a proporre alternative a questa risorsa. (www.pacific.net.hk/~contours) Nel 1975 nasce, in India, Equations (Equitable Tourism Options), un’organizzazione che lavora per la trasformazione del turismo di massa in un turismo attento e documentato. In questi anni anche nel Nord del mondo prende forma un movimento di attenzione e critica al turismo. Nel 1982, lo stesso anno in cui a Bangkok nasce la ECTWT, a Stoccarda viene creata Ten (Tourism European Network), rete europea cui aderiscono associazioni e ong attive nel campo del turismo responsabile, ma anche centri di ricerca, singoli intellettuali, attivisti, scrittori e giornalisti. Ten è il partner europeo della ECTWT, ma non è espressione di alcuna gerarchia ecclesiastica o di alcuna confessione. Di Ten fa parte, dal 1993, per l’Italia, l’associazione Ram di Camogli. Le istanze delle varie associazioni nel Nord e nel Sud del mondo che si battono per un turismo meno dannoso, insieme alla crescente richiesta di uno sviluppo sostenibile del settore raggiungono finalmente le istituzioni. Nel 1995 a Lanzarote, nelle Canarie, si tiene la Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile, promossa tra gli altri dall’Unesco e dall’Unep (United Nations Environment Programme). Alla fine dei lavori viene approvata la Carta di Lanzarote, considerata pietra miliare nella storia del turismo sostenibile. 15 Anche l’OMT, che negli anni ’90 aveva iniziato a occuparsi di turismo sostenibile, istituendo una apposita sezione, pubblica, nell’ottobre 1999 a Santiago del Cile, il Global Code of Ethics for Tourism. Questa carta etica, alla cui stesura hanno partecipato anche delegati di governi e dell’industria turistica, vuole essere una sintesi delle carte precedenti sul viaggiare sostenibile, e punto di riferimento per gli anni a venire (anche se alcuni critici lo definiscono un documento molto moderato). Il Vaticano si dimostra attento alle critiche che dalle Chiese del Sud del mondo arrivano al turismo. Tale attenzione si concretizza nel messaggio di Papa Giovanni Paolo II, il 9 giugno 2001, in occasione della XXII Giornata Mondiale del turismo, che critica la mercificazione e il poco rispetto delle altre culture, tipico di certe forme di turismo: “In alcuni luoghi il turismo di massa ha generato una forma di sottocultura che avvilisce sia il turista, sia la comunità che l'accoglie: si tende a strumentalizzare a fini commerciali le vestigia di ‘civiltà primitive’ e i ‘riti di iniziazione ancora viventi’ in alcune società tradizionali. Per le comunità di accoglienza, molte volte il turismo diventa un'opportunità per vendere prodotti cosiddetti ‘esotici’. Sorgono così centri di vacanze sofisticati, lontani da un contatto reale con la cultura del paese ospitante o caratterizzati da un ‘esotismo superficiale’ ad uso dei curiosi, assetati di nuove sensazioni. Purtroppo questo desiderio sfrenato giunge qualche volta ad aberrazioni umilianti come lo sfruttamento di donne e di bambini per un commercio sessuale senza scrupoli, che costituisce uno scandalo intollerabile. Occorre fare tutto il possibile perché il turismo non diventi in nessun caso una moderna forma di sfruttamento, ma sia occasione per un utile scambio di esperienze e per un proficuo dialogo tra civiltà diverse. In una umanità globalizzata, il turismo è talora fattore importante di mondializzazione, in grado di provocare cambiamenti radicali e irreversibili nelle culture delle comunità di accoglienza. (...) Non c'è dubbio che, rettamente orientato, il turismo diventa un'opportunità per il dialogo fra le civiltà e le culture e, in definitiva, un prezioso servizio alla pace”. Intanto, nel 1996, in Italia prende vita un Forum nazionale di attenzione al turismo, un incontro annuale di tutti gli operatori turistici e non (associazioni ambientaliste, ong, giornalisti, tour operators attenti alla tematica), da cui l’anno successivo nascerà AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile). 4.2 L’impegno dell’Italia Come si è detto, tra le prime associazioni in Italia a occuparsi di turismo responsabile c’è stata Ram, fondata a S.Rocco di Camogli nel 1987. Ram, protagonista insieme ad altre realtà della nascita nel nostro paese del commercio equo e solidale, si occupa anche di turismo a 360 gradi: da una sua costola nasce infatti il Centro di attenzione al turismo, prima struttura non accademica in Italia a occuparsi di critica al turismo; dai viaggi e dai contatti con i produttori locali in Asia per il commercio equo nasce invece l’idea dei viaggi-incontro, che mettono in diretta comunicazione consumatori “equi e solidali” (e non solo) con le cooperative di produttori nei paesi del Sud. Tali viaggi sono ispirati ai Criteri per un viaggiare non dannoso, redatti da Ram stessa. L’associazione si occupa anche di editoria, con la “bibbia” del turismo responsabile in Italia (“Turismo responsabile - nuovi paradigmi per viaggiare in Terzo Mondo” di Renzo Garrone), le microguide, che presentano i paesi dell’Asia in cui RAM opera, fornendo il più possibile informazioni corrette e non stereotipate, il video “Check Out”, che sintetizza i principali aspetti del turismo internazionale. Dall’iniziativa di Ram nasce il Forum Italiano Turismo Responsabile, momento di confronto tra ong e associazioni, tra operatori profit e no profit, giornalisti e osservatori, sensibili ai temi della critica al turismo e alla ricerca di alternative. L’incontro tra queste associazioni, tra cui ong come Icei, Mlal e Aspac, organizzazioni ambientaliste come Legambiente, Wwf e Cts, l’associazione delle imprese turistiche aderenti alla Lega delle Cooperative (Ancst), l’Associazione Consumatori Utenti, Ecpat, il giornale di strada Terre di Mezzo, è stato fecondo, e ha portato nel novembre 1997 alla sottoscrizione della "Carta d'Identità per Viaggi Sostenibili". [vedere allegato 1] 16 L’obiettivo del documento, sottoscritto a Verona da 11 associazioni, ha l'obiettivo dichiarato di promuovere un modo di fare turismo che sia equo nella distribuzione dei proventi, rispettoso delle comunità locali e a basso impatto ambientale. Scopo della Carta è evidenziare i punti imprescindibili attraverso cui è possibile realizzare un viaggio che abbia davvero queste caratteristiche. Attraverso tre fasi temporali - prima, durante e dopo - vengono presi in esame tutti gli aspetti principali del viaggio, fornendo indicazioni concrete sulle modalità da applicare, sensibilizzando sia l'utente sia il tour operator. Le undici associazioni che hanno sottoscritto la "Carta d'identità per viaggi sostenibili" hanno dato vita a Milano, nel maggio 1998, all' Associazione Italiana Turismo Responsabile per la diffusione e la realizzazione dei principi contenuti nella Carta. Un grosso ruolo all’interno di AITR è ricoperto dalle ong, che nel turismo responsabile hanno visto una grossa occasione di conoscenza e sensibilizzazione: i viaggi da queste organizzati permettono infatti a soci, amici, finanziatori o semplici curiosi, oltre a una conoscenza “reale” e problematica, al di là degli stereotipi, dei paesi in cui le ong operano, anche di visitare i progetti di cooperazione internazionale delle ong stesse e di conoscere i volontari e le popolazioni locali che beneficiano del progetto. In un secondo momento, le ong hanno cominciato a considerare il turismo responsabile non solo come occasione di sensibilizzazione in Italia, ma anche come possibile sostegno allo sviluppo nelle zone interessate. Ecco dunque i primi progetti di cooperazione internazionale rivolti al turismo responsabile, in particolare quelli di Acra/Icei in Senegal e Repubblica Dominicana, di CpS e il Cisv in Senegal, di Mlal e Pluriverso in Brasile e Perù. Visto il successo delle proposte di viaggio, alcune ong (Cisv di Torino, Mlal di Verona, Cmsr di Livorno e Celim di Milano) hanno deciso di unire le forze, aprendo il primo circolo di base del Centro Turistico Acli (il Cta Volontari per lo Sviluppo) che si occupa esclusivamente di turismo responsabile, organizzando viaggi e campi di lavoro nei paesi ove le ong operano. Attualmente AITR comprende 35 associazioni che si occupano a diverso titolo di turismo e alcuni soci individuali, ed è diventata di fatto l’associazione del turismo no profit in Italia, dando anche l’avvio a numerosi tavoli di lavoro che si occupano di diverse tematiche: turismo in uscita dall'Italia, turismo in Italia, scuola e turismo, informazione e turismo, ecc. Di recente è stata avviata una riflessione per ridefinire il concetto di turismo responsabile, che ha condotto a una seconda Carta, detta Carta Italia, contenente le linee guida per un turismo incoming nel nostro paese. Tra gli obiettivi, quello ambizioso di approdare a un marchio per la certificazione del turismo responsabile (il cui primo passo è il monitoraggio dei viaggi da parte di chi vi partecipa), e quello di attivare percorsi di formazione: per i circoli di base delle associazioni nazionali che fanno parte di AITR e per le botteghe del mondo sensibili al tema. La Carta Italia richiama l'attenzione sulla relazione fra turisti, industria turistica e comunità d'accoglienza. Perché la qualità non è fatta soltanto di stelle o di rapporto prezzi/servizi, ma anche di rapporti ecologicamente e umanamente corretti. Si caldeggia un turismo d'incontro, rispettoso delle diversità naturali e culturali, che richiede un certo spirito di adattamento ad abitudini nuove e inconsuete. Incoraggia residenti e visitatori a condividere gli aspetti più caratteristici del territorio, con positiva curiosità, oltre gli stereotipi e le forzature folkloristiche. E rispettando il diritto delle comunità locali di decidere sui pro e contro dell'offerta turistica nel loro territorio. In tutto questo, la posta in gioco per AITR è alta: far sì che il turismo “attento” e consapevole diventi non l'ennesimo "prodotto di nicchia", ma una diffusa e contagiosa filosofia di viaggio. 5. Il “decalogo” del buon viaggiatore 5.1 Le regole da seguire 17 Ma cosa si intende per “turismo responsabile”? Ci aiutano a rispondere alcuni “comandamenti”, in cui si condensano i principi della Carta d’identità per viaggi sostenibili: “Chiediti perché viaggi: è importante saperlo. Informati sulla storia e sulla cultura del paese di destinazione. Fatti spiegare dal tuo agente di viaggio qual è la sua etica. Chiedi quale percentuale del prezzo del viaggio va alle comunità ospitanti. Metti in valigia lo spirito di adattamento. Lascia a casa le certezze. Rispetta le persone, l'ambiente e il patrimonio storico culturale. Non chiedere privilegi o pratiche che causino impatto negativo. Se possibile, arrangiati con la lingua locale senza imporre la tua. Non ostentare ricchezza stridente rispetto al tenore di vita locale. Prima di effettuare scatti o riprese video chiedi il permesso. Non assumere comportamenti offensivi per usi e costumi locali. Non cercare l'esotico, cerca l'autentico. Non accontentarti delle diapositive: pensa ai rapporti umani. Coltiva le relazioni una volta rientrato. Mantieni le promesse fatte in viaggio”. In concreto, dunque, viaggiare in modo responsabile implica che la maggior parte dei soldi spesi ricadano in loco, utilizzando, dove possibile, i mezzi di trasporto pubblici (treni e corriere), alloggiando presso famiglie, strutture gestite dalle comunità dei villaggi o piccole pensioni. Una parte della quota che si versa è destinata direttamente a un progetto di sviluppo delle ong, visitato durante il viaggio. Il cuore dell'esperienza è rappresentato dall'incontro e dalla conoscenza: incontro con i volontari che operano nei progetti delle associazioni ma, soprattutto, con la popolazione locale; conoscenza reale del paese, nella sua complessità, con i suoi problemi e le speranze della gente. Si viaggia in piccoli gruppi, per permettere una maggiore autonomia dei partecipanti che possono decidere, nei limiti del possibile, il programma del viaggio, uscendo dalla logica del "tutto organizzato". Pilastro del viaggio è poi la riunione preparatoria, che permette di cominciare a conoscere gli altri partecipanti, l'associazione che organizza il tour, i progetti e il paese che si visiterà. Ma il tutto rimane comunque e sempre all’inssegna della vacanza: non si trascurano le spiagge, i parchi naturali, la storia e l'architettura, le feste e il buon cibo, insomma tutto ciò che il paese visitato può offrire. Coniugando impegno e divertimento. 5.2 No alla fretta Una caratteristica distintiva del viaggiatore responsabile dovrebbe essere la calma, l’immersione in una dimensione temporale “dilatata” rispetto ai ritmi frenetici della vita e del lavoro nel paese di provenienza. Al contrario di quanto avviene nei pacchetti di viaggi organizzati, propri del turismo tradizionale, in cui prevale lo stile del “mordi e fuggi”, del consumo frenetico, che non si lascia alle spalle se non un po’ di caos e di rifiuti da smaltire. Nel tour de force rutilante tra parchi, musei, visite guidate, ad andare perduta è proprio la dimensione dell’incontro, della conoscenza autentica di quanto si va a visitare, mentre prevale l’ansia di vedere più luoghi possibili nel minor lasso di tempo (quello della vacanza), carpendo testimonianze-lampo e foto ricordo da ostentare agli amici una volta tornati a casa. Si va in un villaggio, in un’abitazione, a una cerimonia nascosti dietro le macchine fotografiche, e ciò che si vede spesso lo si pensa già in funzione dell’immagine che se ne vorrebbe trarre. L’individuo inquadrato perde la sua personalità per acquistare quella che il fotografo intende assegnargli: mistico, esotico, pittoresco, selvaggio. Questo approccio finisce per spersonalizzare inevitabilmente il rapporto tra fotografo e fotografato, innescando spesso dinamiche di tipo commerciale (i nativi che chiedono soldi per farsi fotografare). 18 Scegliendo un individuo come soggetto della nostra fotografia lo allontaniamo inevitabilmente da noi e lo trasformiamo in simbolo. Più è diverso, più ci sembra interessante. Creiamo un “altro da noi”. La lentezza, abolita dalla maggior parte dei programmi di viaggio, potrebbe invece divenire un valore se vissuta come mezzo per approfondire l’incontro, per diluire almeno un po’ la distanza esistente tra turista e nativo. C’è da chiedersi se gli operatori turistici, stipando quante più mete possibili nell’arco di pochi giorni, rispondano a una reale domanda del pubblico oppure a un bisogno creato da loro stessi. Una proposta provocatoria ci viene dall’antropologo e fotografo provetto, e “pentito”, Marco Aime, che suggerisce: “visto che le sensazioni prodotte dalla visione di una diapositiva non possono essere paragonate a quelle vissute nella realtà visitata, la mia modesta proposta a chi davvero vuole diventare “turista responsabile” (e anche a chi propone viaggi di questo tipo) è di provare a lasciare a casa la macchina fotografica e a rallentare il proprio viaggio. Non credo che questo basti a risolvere il dilemma etico del turista, ma forse qualcosa può cambiare. La realtà va osservata per ore, giorni, settimane, non a 1/125 di secondo e allora le persone possono vivere come tali e non come soggetti da inquadrare”. In questo modo, con i ritmi del nostro orologio biologico, può accadere che un paese straniero ci scavi nell’animo. Per questo i viaggi responsabili hanno spesso dei tempi apparentemente ‘morti’, non per carenza di organizzazione, ma per permettere che lo “spirito” del luogo possa imporsi, far breccia, penetrare pian piano nel turista. E per questo privilegiano i mezzi di trasporto che, come pulmann e treni, consentono di contemplare in “dettaglio” i paesaggi naturali e umani attraversati. Chiudiamo queste riflessioni con una citazione di Herman Hesse: “Nonostante il mio ardente amore per Venezia, la laguna veneziana sarebbe tuttora per me una curiosità straniera e strana, qualcosa di incompreso, se una volta, stancatomi di contemplare stupidamente il paesaggio, non avessi condiviso per otto giorni e altrettante notti barca, pane e alloggio con un pescatore di Torcello: remavo lungo le isole, attraversavo a guado con la rete a mano le torbide barre di foce; imparavo a conoscere acqua, flora e fauna della laguna, respiravo e osservavo la sua atmosfera singolare, e da allora la laguna mi è familiare e amica. Avrei forse potuto spendere quegli otto giorni per Tiziano e Veronese, ma nella braca di un pescatore con la vela triangolare color bruno dorato ho appreso a intendere Tiziano e Veronese meglio che all’Accademia e nel Palazzo Ducale. E non soltanto qualche quadro, ma Venezia tutta intera non è più per me un bell’enigma inquietante, ma una realtà molto più attraente, un mondo che mi appartiene e sul quale posso esercitare il diritto di chi lo comprende”. (H. Hesse, Il viandante, Mondadori, Milano, 1993). 6. I protagonisti del turismo responsabile 6.1 Identikit del viaggiatore responsabile La grossa novità degli ultimi anni è che i turisti responsabili non appartengono più a particolari gruppi socio-economici e professionali, ovvero non sono più necessariamente “militanti” del sociale, alternativi interessati alle forme equo-solidali di consumo o membri delle associazioni di volontariato. Impiegati, professori, architetti, operai, il turismo responsabile è oggi un gran calderone in cui confluiscono le esigenze più svariate. Almeno per quanto riguarda l’Italia, l’utenza è costituita da un pubblico soprattutto femminile, al 70% dei casi. Nel 73% dei casi sono persone che si iscrivono individualmente. La fascia di età più rappresentata è quella tra i 25 e i 40 anni (46%), seguita dalla fascia dai 40 ai 60 anni con il 33%. Spesso si tratta di viaggiatori che si 19 avvicinano per la prima volta a questo tipo di viaggi: nel 75% dei casi non hanno mai partecipato prima a pratiche di turismo responsabile. Gli iscritti ai viaggi provengono da tutta Italia. Per lo più si tratta di viaggiatori accomunati dal desiderio di provare esperienze irripetibili, esperienze capaci di “cambiarti dal di dentro, in cui effettivamente si costruisce un rapporto con il paese e con la gente”, come ci hanno raccontato alcuni di loro. La prevalenza femminile nei viaggi responsabili può avere diverse spiegazioni. Ad esempio, secondo Massimo Busani di Pindorama, «le donne hanno maggiori difficoltà ad effettuare un viaggio in un paese del Sud del mondo da sole, mentre la partenza in gruppo organizzato può rassicurarle». Questo però non spiega ancora la preferenza per un turismo solidale. Per D. Piazza di Ctm-Mag di Padova «non si deve scordare che gran parte dei viaggi sono destinati ai volontari che operano nelle botteghe del commercio equo e solidale che sono prevalentemente donne», mentre A. Gazzi, responsabile dell’Ufficio campi del WwF-Italia, sottolinea il diverso grado di sensibilità verso le tematiche Nord-Sud, e sostiene che «lo scambio, la conoscenza e il confronto delle tradizioni, sono affrontati dalle donne con meno condizionamenti». 6.2 Le comunità ospiti Le associazioni che promuovono viaggi responsabili tendono a rivolgersi a comunità o strutture del luogo di destinazione con cui già esiste un rapporto di collaborazione o conoscenza reciproca consolidata nel tempo, che garantisca una convergenza di valori nonché un certo standard di qualità ritenuto minimo. Per comunità ospitante si possono in realtà intendere diversi attori sociali: amministrazioni ed enti locali (regioni, province, comuni, enti di promozione turistica, enti di gestione di aree protette, ecc.), imprenditoria turistica, rappresentanti delle comunità locali, singoli cittadini, associazioni a vario titolo impegnate nello sviluppo sostenibile del territorio. In conformità ai principi enunciati dalla Carta di Identità per viaggi sostenibili, nei viaggi responsabili si cerca di restituire alle comunità locali coinvolte dal fenomeno turistico la facoltà di controllarne lo sviluppo. A tal fine è indispensabile che i diversi soggetti della comunità abbiano la possibilità di esprimere i propri problemi e di sentirsi legittimati all’interno del percorso collettivo. Le persone sentono così di esistere dentro la comunità. Occorre dunque sviluppare relazioni che mettano i soggetti in grado di “contare”, definire i problemi e trovare soluzioni comuni che promuovano il senso di proprietà collettiva del territorio. Le comunità locali, in particolare, possono svolgere un ruolo importante prima, durante e dopo il viaggio. Ad esempio pianificando in vari modi lo sviluppo locale, esprimendosi in merito ai flussi turistici e al loro impatto sulla cultura e l’ambiente, e progettando strutture ricettive adeguate. Dalla comunità dipende poi la qualità dell’accoglienza e la piacevolezza del soggiorno, nonchè la ricchezza degli incontri e degli scambi culturali. Le potenzialità del turismo responsabile permettono anche, spesso, di creare una cerniera tra le vecchie generazioni (depositarie dei saperi tradizionali) e i giovani, più aperti a iniziative d’imprenditoria locale. La comunità ha anche la responsabilità di verificare che le somme di denaro ottenute dai flussi turistici abbiano una reale ricaduta positiva sull’economia nella sua globalità, e che vadano ad alimentare gli altri settori produttivi. 6.3 L’accompagnatore Nei viaggi di turismo responsabile l’accompagnatore ha un ruolo particolare. Non si tratta di una “guida turistica” nel senso classico del termine, anche perché in genere i viaggiatori partono già con una certa preparazione e con una certa idea di quello che vorranno vedere. Molto spesso, i tour operator o le agenzie che organizzano tour responsabili provvedono prima della partenza a realizzare incontri preliminari, in occasione dei quali, oltre alle informazioni tecnico-logistiche sui 20 viaggi, i turisti familiarizzano con le associazioni coinvolte, si confrontano sulle reciproche aspettative e iniziano a ricevere informazioni (di tipo geografico, politico, sociale, ambientale) sulla località di destinazione. In questi incontri, dove l’aspetto “conviviale” risulta fondamentale, dal momento che occorre un certo affiatamento nel gruppo, si fa anche conoscenza con l’accompagnatore. Il suo ruolo è duplice: come coordinatore, all’interno del gruppo, e come mediatore tra culture, verso l’esterno. L’accompagnatore conosce sicuramente il paese o la località visitati, ne parla la lingua, magari ci ha già vissuto per qualche periodo o vi risiede stabilmente. Naturalmente la figura dell’accompagnatore varia da un’organizzazione all’altra, a volte anche da un viaggio all’altro: in alcuni casi si tratta di volontari in partenza dall’Italia, in altri si tratta di volontari impegnati nei progetti che si vanno a visitare; altre volte ancora sono accompagnatori “professionisti”, oppure personaggi di riferimento locali come guide o referenti di associazioni partner con una formazione adeguata. Secondo un’indagine realizzata qualche anno fa dalla ricercatrice veneziana Alessandra Tosi, emergono alcune aspettative dei viaggiatori nei confronti dell’accompagnatore, che dovrebbe: - occuparsi dei problemi logistici - essere disponibile e reperibile - aiutare a superare le difficoltà pratiche - aiutare il viaggiatore ad entrare in contatto con la nuova realtà - essere un mediatore culturale - essere il più “invisibile” possibile In sostanza, all’accompagnatore “non viene richiesto esclusivamente di essere un esperto del luogo e di occuparsi dei problemi logistici, bensì di essere l’elemento che facilita il contatto con il nuovo, siano questi i compagni di viaggio o le comunità ospitanti. Gli viene riconosciuta la ‘leadership del portiere’, ovvero che faccia da passe-partout verso l’altra cultura, i viaggiatori vogliono entrare in contatto con le comunità ospitanti e lui deve garantire tale accesso. Un’esigenza fondamentale del gruppo di viaggiatori è un affiatamento/conoscenza che permetta la relazione nel più breve tempo possibile. Pertanto diventa centrale il ruolo dell’accompagnatore per facilitare questo processo nella fase di riscaldamento. Fase in cui si apre l’area privata attraverso l’espressività con l’obiettivo di ‘rompere il ghiaccio’, e di allargare l’area sociale” (A.Tosi, Modelli culturali, processi educativi e sfide del turismo responsabile di oggi – quali i nodi critici e le competenze richieste all’accompagnatore?, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Scienze della Formazione, A.A. 1998-1999). Un animatore socio-culturale, è questo dunque il ruolo svolto dall’accompagnatore “responsabile”. 21 III SEZIONE TIPOLOGIE E MAPPATURA DEL TURISMO RESPONSABILE 7. I diversi “tipi” di responsabilità Si può definire la responsabilità come la coscienza delle conseguenze dei propri atti. Offrire e richiedere un turismo responsabile implica quindi una riflessione approfondita sugli atti del viaggiatore e di chi lo riceve. Tale riflessione porta a esplorare diversi aspetti della responsabilità, che sono alla base di altrettante forme di turismo “alternativo”. Tra queste si possono classificare: • Il turismo integrato • L’ecoturismo • Il turismo solidale • Il turismo equo • Il turismo comunitario 7.1 Il turismo integrato Il turismo integrato raggruppa tutte le esperienze che hanno come principale obiettivo quello di integrare i servizi offerti ai turisti nel contesto di accoglienza. Si tratta di uno sforzo da parte delle popolazioni “riceventi” in termini di appropriazione e di produzione qualitativa (e non standardizzata) delle attività generatrici di reddito. Lo scopo è organizzare dei servizi e offrire dei prodotti che siano generati localmente, preoccupandosi di preservare gli equilibri naturali, sociali, economici, ecc. Le esperienze più significative del turismo integrato si sono sviluppate in zona rurale dove l’offerta turistica è un complemento (o uno strumento di marketing) delle attività di produzione agricola. L’esempio più conosciuto è l’agriturismo. 7.2 L’ecoturismo Il fine ultimo sia dell’offerta che della domanda di ecoturismo è la protezione dell’ambiente naturale. L’ecoturismo è una formula per viaggiare negli spazi naturali contribuendo allo stesso tempo a preservarli. Più sono forti nella proposta le componenti di educazione e conoscenza dell’ambiente da parte dei suoi abitanti e dei turisti, più il viaggio è anche responsabile. Come riconoscono anche l’Organizzazione Mondiale del Turismo e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, “molto è stato scritto sull’ecoturismo, ma c’è scarso consenso riguardo al suo significato, a causa delle diverse forme attraverso cui le attività dell’ecoturismo sono offerte da un’ampia varietà di operatori, e praticate da un ancor più grande assortimento di turisti”. La dicitura è stata in effetti applicata a esperienze molto diverse, dal progetto di piccole dimensioni che tenta di valorizzare la biodiversità e prevede un alto coinvolgimento delle comunità indigene locali - nella sua accezione più restrittiva - alla grande agenzia che propone tour organizzati di safari nelle riserve naturali del Sud - nel suo senso più ampio, e meno innovativo. Nonostante l’uso inflazionato (e talvolta a sproposito) del termine ecoturismo, questo resta comunque uno degli strumenti fondamentali indicati dagli organismi internazionali per lo sviluppo sostenibile di un territorio e dal ’90 si è formalmente costituita la Società internazionale d’ecoturismo che supporta forme di viaggio di questo tipo. Una storia singolare è quella delle riserve naturali nell’Africa dell’ovest, dove negli anni ’70 la creazione di parchi naturali (fortemente voluta dalle istituzioni di cooperazione internazionale) ha comportato lo spostamento dei villaggi all’esterno dei limiti delle zone protette, richiedendo alla popolazione di ricostruire ex novo un equilibrio economico-sociale, la cui principale difficoltà era legata proprio all’incomprensione da parte degli abitanti del luogo del perché fosse impossibile usare le risorse naturali del proprio territorio. A partire dalla metà degli anni’90 le strategie politiche per la gestione delle aree protette in Africa sono fortunatamente 22 cambiate, mirando a una collaborazione tra gli abitanti e le amministrazioni responsabili delle zone naturali. La gestione delle attività turistiche attorno al parco diventa uno strumento per coinvolgere le popolazioni nella co-gestione delle zone protette. 7.3 Il turismo solidale Si raggruppano sotto i cappello di turismo solidale tutte quelle offerte turistiche che si preoccupano di tenere in considerazione le popolazioni più deboli nel sistema socio-economico attuale. Gli esempi sono molti e vanno dai viaggi nei paesi del Sud del mondo, che finanziano con una quota del viaggio alcuni progetti di sviluppo, fino ai viaggi per i diversamente abili. I tutti i casi resta fondamentale, comunque, la sensibilizzazione del viaggiatore sul fatto che la solidarietà non è “acquistabile” sotto forma di “servizio ulteriore del pacchetto di viaggio”. E’ necessaria invece una forte responsabilità di tutte le azioni del turista in viaggio per avere un buon impatto a livello dei soggetti deboli coinvolti e anche un buon servizio per il viaggiatore stesso. 7.4 Il turismo equo Un sottoinsieme del turismo solidale è il turismo equo che si rifà direttamente ai principi ispiratori del commercio equo e solidale. Esso, pur condividendo con quello solidale l’attenzione ai soggetti deboli, prevede che ciò avvenga, più che con la solidarietà, con la remunerazione equa dei servizi erogati dalle comunità locali, nonché con un controllo dell’intera filiera produttiva (dal produttore al consumatore) in questo caso turistica. In sostanza di tratta di prevedere l’assoluta trasparenza del prezzo, il controllo del rispetto dei diritti dei lavoratori, il sostenere le prestazioni e i servizi con un acconto che permetta anche lo sviluppo di altre attività locali e poi il versamento di un saldo finale. 7.5 Il turismo comunitario L’etichetta di “turismo comunitario” viene utilizzata generalmente per i servizi di turismo gestiti da una comunità e a beneficio della stessa collettività di abitanti di un territorio. Normalmente l’offerta è anch’essa indirizzata a un gruppo di persone piuttosto che a singoli individui. Per esempio rientrano in questa categoria i progetti di lotta alla povertà che hanno appoggiato le popolazioni organizzate (in un quadro che abbia come mandato quello di migliorare la vita della comunità intera) attraverso il finanziamento di attrezzature di accoglienza turistica. Sempre legata alla lotta alla povertà rientra la strategia del Pro Poor Tourism, il Turismo pro poveri, teorizzato nel mondo anglosassone come metodo per coinvolgere i più poveri nella maggioranza delle attività economiche del turismo al fine di aumentare le possibilità di generare reddito. Ashley Caroline, nel suo studio sul Turismo sostenibile e l’eliminazione della povertà (Department for International development, London, 1999) fa alcune puntualizzazioni sulle differenze tra turismo Comunitario e Pro poveri: “Le iniziative di turismo comunitario normalmente cercano di espandere le imprese turistiche gestite dalle comunità locali, accrescendo anche il loro coinvolgimento nella pianificazione. Questa è una importante, ma non la sola componente del turismo pro poveri, che include anche la massimizzazione dell’utilizzo della mano d’opera, l’espansione dei collegamenti con il settore informale locale, l’assicurare lo sviluppo infrastrutturale e la pianificazione di strategie ambientali a vantaggio dei poveri”. 8. Il rapporto tra turismo responsabile e commercio equo L’offerta legata al turismo responsabile è sempre più ricca e variegata. Non solo ong o associazioni del terzo settore preparano ormai pacchetti viaggio responsabili, ma anche piccoli operatori turistici e vere e proprie agenzie specializzate. Dove trovare dunque informazioni su questi viaggi? Oltre al contatto diretto con gli operatori turistici che offrono pacchetti “etici” e a una serie di agenzie di viaggi specializzate e sensibilizzate al problema dell’impatto del turismo sulle società, da alcuni 23 anni è possibile reperire informazioni in materia attraverso gli sportelli delle Botteghe del commercio equo aderenti al progetto “Sportello turismo responsabile”. 8.1 Nasce la rete “sportelli responsabili” Da marzo del 2003 una serie di Botteghe del commercio equo e solidale (www.assobdm.it), coscienti del fatto che si è ormai aperto un mercato interessante, hanno accettato di diventare sportelli informativi per il turismo responsabile all’interno del “Progetto sportello responsabile”. Si tratta di una serie di negozi che commerciano in prodotti, provenienti dai paesi del Sud del mondo, realizzati con il rispetto di una serie di parametri sociali, economici e ambientali. Oggi alcune di queste realtà, presenti in maniera capillare su tutto il territorio nazionale, hanno deciso di fare da anello di congiunzione tra aspiranti turisti e organizzatori di vacanze responsabili aderendo al “Progetto sportello responsabile”. Al fine di dare solidità all’iniziativa, nel corso di una serie di incontri generali organizzati dal Progetto, è stato stilato un documento comune con una serie di linee guida alle quali tutte le realtà aderenti dovranno attenersi. Renzo Garrone, presidente dell’associazione Ram, è colui che ha pazientemente tessuto per anni le fila del “Progetto sportello solidale”: «Attualmente - spiega Garrone - all’iniziativa aderiscono oltre dieci botteghe, dal Piemonte al Lazio, e altre si sono già dette interessate». Oggi le potenzialità del turismo responsabile cominciano ad assumere dimensioni notevoli, con cinquanta soci diretti che compongono l’Associazione italiana turismo responsabile (Aitr) e oltre quattrocento botteghe su tutto il territorio italiano. D’altra parte queste due realtà lavorano con clienti per molti versi simili: il consumatore solidale infatti coincide tendenzialmente con il viaggiatore responsabile. Alla base delle sue scelte c’è sempre la voglia di cambiare in modo etico i propri consumi, incluse le parentesi di relax. Lo confermano ad esempio gli operatori di Unicomondo, bottega vicentina che ha scelto di “completare” le proprie offerte alternative promuovendo il turismo responsabile. Stesso discorso per la bottega Ex Aequo di Bologna, dove da tempo si promuovono serate di sensibilizzazione sul turismo e presentazioni di viaggi. «Tra la gente c’è molta curiosità per il turismo responsabile conferma sulla base della sua esperienza Germana, operatrice di Ex Aequo - e comunque si inserisce bene tra le scelte di consumo critico». L’iniziativa degli sportelli avrà risvolti economici da non sottovalutare. Chi organizza viaggi responsabili sotto il “cappello” di Aitr otterrà un’eco ulteriore per le proprie offerte, e a chi fa da tramite mettendo in contatto turisti e operatori convenzionati spetterà una percentuale di commissione. Un logo comune distingue gli sportelli informativi autorizzati, e una quota simbolica serve a sancire l’adesione di ciascuno. Le botteghe che si impegnano a fare sportello riceveranno una formazione gratuita sui temi del turismo responsabile e potranno stabilire tempi e modi del servizio: viene messo a disposizione uno spazio apposito per esporre il materiale informativo, giorni e orari nei quali chi si occupa del settore rimane a disposizione del pubblico. L’iniziativa evolve in un momento in cui il mercato equo solidale sembra in espansione: il consumo etico ha messo radici in tutta Italia, i ricavi sono in crescita costante da oltre cinque anni e la nicchia dei viaggiatori responsabili non è da meno. Ecco perché questo progetto informativo potrebbe diventare molto più di una buona intuizione. [per l’elenco degli sportelli e la mappatura delle realtà che organizzano viaggi responsabili vedi allegato 2] 9. Grandi tour operator e responsabilità Sebbene il concetto di turismo responsabile sia divenuto per certi versi di moda e sempre più enti, soprattutto di piccole dimensioni, si vogliano fregiare di questa definizione ai fini di una maggiore presa sul pubblico, i grandi tour operator italiani non sembrano affascinati dalla possibilità di proporre ai loro clienti viaggi sostenibili o all’insegna del turismo responsabile, preferendo puntare per le loro campagne pubblicitarie su temi per così dire classici del turismo di massa, ovvero la 24 qualità del servizio, l’eleganza delle strutture, la soddisfazione del viaggiatore. Solo l’ecoturismo compare con una certa frequenza tra le mete proposte dai grandi tour operator, ma questo generalmente accade in occasione di viaggi che si svolgono in mezzo alla natura, il che non significa necessariamente che si svolgano nel rispetto della natura. Tra i cosiddetti “grandi”, l’unico a parlare di turismo sostenibile anche nel rispetto delle popolazioni, a proporre convegni sull’argomento, a cercare le certificazioni ambientali, è il gruppo dei Viaggi del Ventaglio. Qui di seguito presentiamo una panoramica delle possibilità che un viaggiatore ha a disposizione tra i tour operator “classici” per affrontare un viaggio all’insegna della responsabilità. Sono solo alcuni esempi, ma che dimostrano come sia possibile fare delle scelte di tipo etico anche approfittando di tradizionali offerte “profit”. È importante, infatti, capire che le realtà di turismo responsabile vanno affrontate con uno spirito di adattamento e una volontà di partecipare alla vita delle realtà locali che non si conformano facilmente a tutte le categorie di viaggiatori (ad esempio bambini, anziani, persone con difficoltà di spostamento o chi voglia trascorrere semplicemente una settimana di relax), hanno generalmente una durata di qualche settimana (cosa che non sempre si concilia con il lavoro e le ferie) e per questo anche un costo talvolta troppo elevato per un target giovane. Ma è sempre più diffusa la tendenza dei consumatori, e dunque anche dei fruitori di viaggi, a prestare attenzione a certi parametri di qualità, di rispetto delle popolazioni, di minor impatto ambientale. 9. 1 Ventaclub “responsabili” Il gruppo Viaggi del Ventaglio, con 930 miliardi di fatturato e 547.000 clienti, è al secondo posto tra i gruppi turistici italiani e con circa 40 VentaClub detiene la leadership nel settore villaggi. Un ruolo che impone riflessioni a tutto tondo rispetto all’impatto che il business turistico ha avuto, ha e avrà sulle destinazioni e i popoli di tutto il mondo. All’interno del gruppo, perciò, è nata nel 2000 la divisione Turismo & Ambiente, che nel 2001 si è fatta promotrice del Forum per un Turismo Sostenibile, con l’intenzione - a detta del gruppo - di sensibilizzare l’operato di tutti gli attori del settore turistico e ha aderito alla Tour Operators Initiative for Sustainable Tourism Development, un’associazione volontaria supportata da organizzazioni internazionali quali l’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente), l’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) e la Wto (Organizzazione Mondiale per il Turismo), di cui fanno parte in Italia anche Orizzonti e Settemari. La divisione Turismo & Ambiente si confronta con tutti gli impatti che il turismo può avere sul milieu fisico-naturale, socio-economico e culturale e presta attenzione alle destinazioni, proponendosi una maggiore conoscenza delle stesse, grazie ad audit socio-ambientali, sviluppo delle relazioni con le autorità locali, realizzazione di joint-venture su progetti comuni con partner locali, collaborazione con associazioni e ong, e progetti di sensibilizzazione ambientale, arrivando a costituire un green team con il compito di migliorare le performance ambientali di tutti i villaggi. Tanto da meritare anche alcuni prestigiosi riconoscimenti. Il VentaClub Gran Dominicus, nella Repubblica Dominicana, ha ricevuto il Green Globe ed è stato il primo tra i villaggi del Ventaglio a ricevere un riconoscimento ambientale. Il Green Globe è una certificazione ambientale specifica per il settore turistico basata sul sistema delle norme ISO 14000, che guarda, fra le altre cose, il consumo delle energie non rinnovabili e dell’acqua, l’inquinamento, il rispetto della biodiversità e della cultura locale, promuovendo uno sviluppo equo delle comunità toccate dai villaggi. Il VentaClub Playa Maroma, invece, villaggio situato sulla Riviera Maya messicana e inaugurato nel 2000, si è dimostrato un piccolo laboratorio per uno sviluppo turistico sostenibile. Ancora prima della costruzione, questo villaggio è stato impostato in modo da controllare e minimizzare al massimo gli effetti ambientali, a partire dall’organizzazione del cantiere, con la raccolta di eventuali sostanze contaminanti e l’attenzione ai lavoratori. In fase di preparazione del cantiere, tra le piante esistenti nell’area delle costruzioni sono state selezionate e salvate quelle significative e protette, trapiantandole con attenzione in uno dei due vivai della proprietà per ripiantarle a opera completata nell’area verde dell’hotel. Finora sono state nominate sempre e solo destinazioni esotiche, ciò nonostante l’attenzione è rivolta anche all’Italia e si è iniziato con la Calabria, introducendo al 25 VentaClub Bagamoyo un sistema di gestione ambientale per arrivare presto anche alla certificazione ISO 14000. Ma già prima che il gruppo intraprendesse ufficialmente la strada del turismo responsabile, Viaggi del Ventaglio aveva avviato un’iniziativa spontanea in seguito ai danni causati dall’uragano George, che aveva colpito la Repubblica Dominicana nel 1998. L’operazione consisteva nella donazione al Ministero del Turismo dominicano di un dollaro per ogni cliente italiano al Club Gran Dominicus nel 1999. Tali fondi sono stati utilizzati per ricostruire e ristrutturare le abitazioni delle popolazioni residenti a Manojuan nell’Isola Saona e a Bayahibe. Inoltre, per accrescere il taglio culturale dei suoi prodotti, il gruppo Ventaglio ha sottoscritto un accordo di partnership con “La Macchina del Tempo”, trasmissione televisiva e omonima rivista mensile di Alessandro Cecchi Paone, che ha fatto da guida a gruppi di turisti interessati a scoprire le più belle località che circondano alcuni VentaClub nel mondo. Grande attenzione viene riservata anche alla conoscenza da parte del cliente delle buone pratiche attuate dal tour operator Viaggi del Ventaglio, ma anche di ciò che gli stessi viaggiatori possono fare. Si tratta di indicazioni di buon senso, che però non sempre sono conosciute da tutti, come risparmiare acqua, preferendo la doccia al bagno, e mantenerla pulita senza eccedere con i detergenti, risparmiare energia spegnendo il condizionatore quando non si è in camera, ma anche ridurre i rifiuti, proteggere flora e fauna e rispettare i paesi e le loro genti. Grande attenzione è riservata al rispetto dell’ambiente marino, con un memorandum per i sub e per i pescatori, nel rispetto delle barriere coralline e in generale della vita acquatica. Ma si forniscono anche accorgimenti per il safari responsabile, come minimizzare il disturbo agli animali, non avvicinandosi troppo e non dando loro nulla da mangiare, e restare sui tracciati prestabiliti e in carovane non troppo numerose. 9.2 Viaggi a impatto zero? Un’iniziativa che vuole apparire in qualche modo di turismo sostenibile, pur non essendolo veramente, è quella proposta da Hotelplan. Questo grande tour operator ha affiancato Lifegate, un network dedicato all’eco-cultura, nel suo progetto “Impatto Zero”. Tale progetto, elaborato con il Politecnico di Losanna e con alcune università italiane, può essere applicato anche al viaggiare e consente di quantificare le emissioni inquinanti di un viaggio, dal momento della partenza fino al rientro, e di compensarle con un programma di protezione delle grandi foreste tropicali. Con la nuova edizione del catalogo Mondi Lontani 2004, Hotelplan contribuirà a riforestare e proteggere un bosco nel Parco del Ticino e una foresta tropicale in Costa Rica e darà, al contempo, la facoltà al cliente di scegliere un viaggio a “Impatto Zero”. Questa opzione, frutto di una scelta consapevole da parte del cliente, comporta una maggiorazione di prezzo, variabile a seconda dell’itinerario, necessaria per riqualificare e proteggere l’area boschiva in grado di compensare l’impatto ambientale generato. In questo caso, insieme ai documenti, i clienti riceveranno un certificato di “Viaggio a Impatto Zero”, con possibilità di partecipare a incontri ed eventi dedicati. Dunque non si tratta di un modo per ridurre le emissioni di anidride carbonica nocive per l’ambiente, ma di compensarle: un comportamento, questo, che non rientra nel concetto di turismo responsabile, ma rappresenta comunque un tentativo di attenzione ambientale. 9.3 Crociere certificate Costa Crociere S.p.A. è una società italiana appartenente al gruppo Carnival Corporation & plc ed è il primo gruppo crocieristico in Italia, Europa e Sudamerica, con un fatturato nel 2003 di 786 milioni di euro. Vanta una flotta di 10 navi, per una capienza totale di circa 15.700 ospiti. Le navi di Costa Crociere navigano nel Mediterraneo, nel Nord Europa, nei Caraibi e in Sudamerica. Nel maggio 2004, ha ricevuto dal Rina (la società operativa del Registro italiano navale, una delle più antiche società di classificazione navale al mondo) la certificazione Best 4 (Business Excellence Sustainable Task). 26 Best 4 è un sistema articolato di certificazioni volontarie che attesta l’adeguamento ai migliori standard internazionali: Responsabilità Sociale (SA 8000, del 2001); Ambiente (UNI EN ISO 14001, del 1996); Sicurezza (OHSAS 18001, del 1999); Qualità (UNI EN ISO 9001, del 2000). Questo significa che Costa Crociere simultaneamente viene certificata dal Rina sia per la qualità dei propri prodotti e servizi sia per il rispetto dell’ambiente, ma anche per gli standard di salute e sicurezza sul luogo di lavoro che osserva e infine per il rispetto e la tutela dei diritti dei dipendenti. Un caso unico di certificazione in Italia e nel mondo: Costa Crociere infatti è la prima società italiana a conseguire nello stesso tempo queste quattro diverse certificazioni e la prima compagnia di navigazione nel mondo a ottenere la certificazione sulla responsabilità sociale. E se è vero che gli elementi su cui si basano le certificazioni non necessariamente vanno di pari passo con il concetto di turismo sostenibile, è anche vero che da questi elementi le agenzie che propongono un modo di viaggiare etico non dovrebbero mai prescindere. 9.4 I Grandi Viaggi Questo grande tour operator non dedica nessuna formula particolare al turismo responsabile, ma si vanta di aver coinvolto i migliori architetti nella progettazione e nella costruzione di villaggi all’insegna del rispetto e della protezione dell’ambiente. Ne è la prova il club Santagiusta in Sardegna, che è stata la prima struttura turistica in Italia a ricevere il certificato ISO 14001 per aver raggiunto lo “zero impatto ambientale”. Ma i Grandi Viaggi ha dimostrato anche un’attenzione alle realtà antropologiche che i turisti possono incontrare nelle loro vacanze. Dalla collaborazione tra i Grandi Viaggi e l’Arcivescovo di Malindi è nata infatti una fondazione, i GV Club for Child, con lo scopo di aiutare le popolazioni del Kenya. Questa fondazione ha lanciato un’iniziativa per creare una scuola nel distretto di Watamu, dove oltre 20 mila bambini erano senza istruzione per mancanza di strutture. 9.5 Cts (Centro turistico studentesco) Associazione turistica, ma anche associazione di protezione ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente, il Cts è nato per favorire gli scambi culturali e la mobilità giovanile, ma con il tempo ha ampliato il suo raggio d’azione dedicando sempre maggiore attenzione ai problemi relativi alla conoscenza, allo studio e alla salvaguardia dell’ambiente. Alla fine degli anni ‘80 è stata istituita la Sezione Ambiente, cuore e motore delle attività di conservazione della natura , turismo sostenibile ed educazione ambientale in cui l’associazione è attualmente impegnata. Senza perdere di vista il campo specifico di azione del Cts, la Sezione Ambiente opera con proposte turistiche concepite in modo da ridurre al minimo gli impatti nei luoghi di destinazione e favorire le economie e lo sviluppo locali, oltre ad attività di studio e di ricerca in ambito turistico, al fine di promuovere lo sviluppo dei principi di sostenibilità e responsabilità. Il luogo migliore per lo svolgimento di queste attività sono le aree protette, laboratori ideali per sperimentare nuove alleanze tra l’uomo e l’ambiente. Ed è proprio qui che si concentrano i progetti e le proposte turistiche del Cts. Sempre nei parchi, l’associazione, direttamente impegnata in attività di protezione e studio di specie a rischio, ha dato vita a due importanti progetti, il progetto Delfino Costiero e il Progetto Caretta Caretta, che vanno avanti anche grazie al lavoro e alle quote dei tanti eco-volontari che ogni anno scelgono di sostenerli. 9.6 Beneficenza targata Club Med Uno dei più famosi tour operator, sinonimo di vacanze da sogno, già nel 1978 aveva creato la Fondazione Club Méditerranée, con lo scopo di sostenere l’infanzia, lo sviluppo sociale in favore dei più bisognosi e la lotta contro le malattie intorno ai villaggi che si andavano diffondendo nel mondo. Dal 1988 la Fondazione ha lo scopo di favorire il coinvolgimento dei dipendenti del Club Méditerranée nelle missioni di volontariato sparse nel mondo, dal momento che è auspicata la partecipazione degli operatori turistici e delle altre figure professionali del Club Méditerranée, 27 secondo i tempi e i modi stabiliti dai singoli, nei progetti di sviluppo locali. Ma più che altro, come mostrano gli esempi che il Club stesso fornisce, si tratta di eventi di beneficenza, che non hanno niente a che vedere con dinamiche di sviluppo legate al turismo, né con il rispetto dei lavoratori o dell’ambiente. Alcuni esempi: sul posto i dipendenti-volontari possono prodigarsi nelle visite ai bambini malati degli ospedali o fare prevenzione contro l’Aids nei villaggi, in un hotel di Lionesi accolgono le famiglie delle persone ricoverate in ospedale, si organizzano partite di calcio per inserire i bambini svantaggiati, senza contare che la Fondazione sponsorizza un convoglio di due 4x4 alla ParigiDakar-Mopti e distribuisce kit scolastici nei villaggi attraversati, e ancora stabilisce sporadiche giornate in cui i bambini sfortunati che vivono in prossimità dei villaggi turistici del Club Méditerranée in giro per il mondo possono godere di una giornata di svago “firmata Club Med”, come recitava il comunicato. 28 IV SEZIONE CASI DI STUDIO 10. Esperienze di turismo responsabile in Italia Il concetto di turismo responsabile prende l’avvio negli anni ’90 in seno a una serie di enti operanti nel no profit e impegnati in progetti di cooperazione con paesi del Sud del mondo. In particolare nasce e si sviluppa inizialmente come una reazione agli effetti negativi accertati che il turismo di massa può avere su ambienti, culture e società molto diverse dal modello standardizzato di benessere occidentale, ovvero culture indigene, ambienti naturali a grande ricchezza di biodiversità, equilibri sociali fragili. Nel corso degli anni sono nati così autorevoli documenti etici che suggeriscono limiti e condizioni di attuazione per un turismo che possa entrare in rapporto con culture e società locali limitando il suo potere distruttivo e, anzi, valorizzando e sostenendo le potenzialità locali di un territorio (vedi sezione II della presente ricerca). Solo successivamente il mondo dell’associazionismo, e quello del turismo, si sono accorti che gli stessi rischi, anche se in forma e con dimensioni diverse, riguardano anche il turismo in Italia: distruzione di ecosistemi, costruzione selvaggia sui litorali costieri, scomparsa dei borghi marinari, ecc... Nel 1998 l'Associazione italiana turismo responsabile (Aitr) stila il documento “Bel paese buon turismo”, primo codice turistico mirato esplicitamente al nostro paese, ispirato ai principi, raccomandazioni, dichiarazioni e criteri che l'hanno preceduto a livello internazionale. La finalità di questa Carta è richiamare l'attenzione sulla relazione - spesso data per scontata - fra viaggiatori, industria turistica e comunità d'accoglienza. Perché la qualità non è fatta soltanto di stelle o di rapporto prezzi/servizi, ma anche di rapporti ecologicamente e umanamente corretti. Ridurre al minimo gli aspetti negativi degli impatti sociali, culturali e ambientali prodotti dai flussi turistici è oggi il principio fondamentale del buon turismo, cioè di quel turismo che salva le destinazioni da un modello consumistico, del tipo usa e getta, dannoso per il suo stesso futuro. La carta “Bel paese buon turismo” (vedi allegato 2) caldeggia un turismo d'incontro, rispettoso delle diversità naturali e culturali, che richiede un certo spirito di adattamento ad abitudini nuove e inconsuete. Incoraggia residenti e visitanti a condividere gli aspetti più caratteristici del territorio, con positiva curiosità, oltre gli stereotipi e le forzature folkloristiche. Tutto ciò, naturalmente, nel rispetto del diritto delle comunità locali di decidere - in maniera informata e lungimirante - sui pro e contro dell'offerta turistica del loro territorio. Ad oggi le esperienze strutturate di turismo responsabile in Italia sono ancora poche, sia per mancanza di informazione e pubblicità (è un settore che si sviluppa più per un interesse spontaneo sostenuto dalla comunicazione “porta a porta” che per una vera strategia di promozione e marketing), sia per una certa confusione e difficoltà nella miriade di proposte che faticano a definire in modo chiaro che cosa sia un viaggio veramente responsabile, che cosa sia ecoturismo, vacanze “alternative” o altro. Tuttavia alcuni settori sono emersi in modo netto, seppur in tempi recentissimi, e si stanno diffondendo rapidamente, raggiungendo anche un numero di turisti coinvolti che comincia a essere significativo. Riportiamo di seguito le principali esperienze al riguardo. 10.1 Pescaturismo e ittiturismo: una nuova prospettiva di recupero dei borghi marinari Il pescaturismo, nato come progetto di riconversione ambientale delle attività di pesca all’interno delle Aree marine protette, è oggi praticato in tutte le regioni costiere italiane, dal Veneto alla Sicilia. Nel lago Trasimeno, addirittura, è nata la prima attività di pescaturismo in acqua dolce: alle escursioni per seguire le fasi avvincenti delle battute di pesca, si associa l’emozione del pranzo a 29 bordo, in cui le ricette locali dei pescatori consentono di gustare i sapori della cucina tradizionale, e naturale, in uno scenario assolutamente attraente. Il pescaturismo è sicuramente frutto di un’attività spontanea, nata “dal basso” in risposta a una richiesta di una nicchia di turisti interessati a scoprire il territorio entrando in contatto con la storia, la cultura e le tradizioni locali legate al mare e al lago; ma è anche il risultato di una volontà della programmazione di sviluppo economico gestita e orientata “dall’alto” secondo una recente normativa. Il pescaturismo, secondo il D.M. 13.4.1999 n. 293, è infatti un'attività integrativa della pesca artigianale, che offre la possibilità agli operatori del settore di ospitare a bordo delle proprie imbarcazioni un certo numero di fruitori per lo svolgimento di attività turistico-ricreative, nell'ottica della divulgazione della cultura del mare e della pesca (ad esempio: brevi escursioni lungo le coste, l'osservazione delle attività di pesca professionale, la ristorazione a bordo o a terra, la pesca sportiva) e finalizzate alla conoscenza e alla valorizzazione dell'ambiente costiero. Il pescaturismo può essere svolto durante tutto l’arco dell’anno in ore diurne e notturne, anche nei giorni festivi, nell’ambito del Compartimento Marittimo di iscrizione e di quelli confinanti, purché le condizioni meteomarine siano favorevoli. Per essere autorizzati allo svolgimento di questa attività nel periodo che va dal 1° novembre al 30 aprile, i pescherecci devono essere dotati di sistemazioni (anche amovibili) per il ricovero al coperto degli escursionisti. La proposta è aperta a tutti, è possibile imbarcare anche minori di 14 anni se accompagnati da una persona di maggiore età. Il numero massimo di persone imbarcabili è dodici (il numero è stato fissato dal Capo del Compartimento d’iscrizione dell’unità che, nel determinarlo, si attiene alle indicazioni dell’organismo tecnico - ad esempio in Italia il Registro Navale – incaricato di effettuare la prova di stabilità). Dal punto di vista delle istituzioni, la ricerca di nuove opportunità lavorative e la valorizzazione delle caratteristiche ambientali e culturali di molte località italiane possono senz’altro essere considerati i motivi fondamentali che hanno portato a un crescente interesse verso il turismo responsabile, naturalistico e culturale, quindi anche verso il pescaturismo e l’ittiturismo. Attività in forte espansione. Nel 2004 si sono contati circa 250.000 turisti italiani e stranieri che si sono cimentati con fiocine, nasse, reti e tremaglie sulle barche dei pescatori di coloro che si sono nel tempo convertiti a questo tipo di attività, e che hanno deciso di affiancarla alla pesca tradizionale. Grazie all’evoluzione della normativa, sono in aumento anche i pescatori che decidono di diversificare la propria attività, ospitando turisti a bordo e condividendo con loro le fatiche del lavoro in mare. Lo dimostra la crescita esponenziale delle autorizzazioni a esercitare questa attività: dalle 147 registrate nel 1997 si passa, infatti, alle 330 nel 2000, fino alle circa 800 del 2004. Oggi l’attività si avvale di 58 imprese di pescaturismo, per un totale di oltre 250 imbarcazioni che con circa 1.350 posti costituiscono ormai il 42% dell’offerta nazionale di possibilità di occupazione nel comparto lavorativo ittico. La diversificazione dei servizi forniti e un’offerta che ricalca le diverse tradizioni regionali di pesca sono sicuramente i vettori di tanto successo e interesse. Il fatturato calcolato a fine estate 2004 si aggira intorno ai 12,5 milioni di euro; rispetto al 2003, registra un incremento del 20% e questa nuova attività ha, dunque, tutte le premesse per doppiare il boom dell’agriturismo. L’ittiturismo. Strettamente connesso alle attività di pescaturismo c’è il cosiddetto ittiturismo, che integra l’offerta turistica dei pescatori con una serie di servizi a terra: dall’ospitalità nelle caratteristiche abitazioni degli antichi borghi pescherecci, fino ai servizi di ristorazione a base di specialità tipiche regionali o locali (il costo si aggira sui 30-40 euro per persona a notte). 30 Pescaturismo e ittiturismo (www.ittiturismo.it) rappresentano dunque una formula promettente, perché permettono di coniugare turismo responsabile, aiuto alla piccola imprenditoria locale, salvaguardia della cultura del mare, educazione ambientale e valorizzazione del territorio. Al riguardo esistono provvidenze comunitarie che agevolano i pescatori, soprattutto nel Mezzogiorno, che hanno dimostrato spirito imprenditoriale diversificando la loro attività: in particolare gli orientamenti espressi dal Regolamento Ue n. 1626/94, relativo all’istituzione di misure tecniche per la conservazione della pesca nel Mediterraneo, ispirandosi al principio della sostenibilità e responsabilità verso l’ambiente e i consumatori, promuovono con fondi appositi quelle opportunità occupazionali multifunzionali, come il pescaturismo, finalizzate alla valorizzazione delle risorse produttive e all’uso sostenibile degli ecosistemi acquatici. Inoltre il pescatore che abbia già recepito la normativa nazionale può avvalersi anche di incentivi per migliorare la qualità dell’offerta: un esempio significativo è rappresentato dai contributi per la ristrutturazione delle proprie case per dare sistemazioni adeguate ai turisti. L’addetto al pescaturismo e l’imprenditore ittico sono figure professionali coerenti con le politiche in materia di pesca e di acquacoltura dello Stato e delle Regioni, nel rispetto degli orientamenti e degli indirizzi di competenza dell’Unione europea. Per esercitare l’attività è richiesta l’autorizzazione della Capitaneria di Porto, la quale è rilasciata dal Capo del Dipartimento Marittimo dopo le opportune verifiche: idoneità dell’imbarcazione e dei mezzi di sicurezza e salvataggio. Le competenze di base tecnico-professionali necessarie per esercitare entrambe le iniziative riguardano l’organizzazione e la gestione della nuova attività, di promozione, relazionali e di divulgazione dell’ambiente marino e delle tecniche di pesca. Il richiamo alle competenze relative al pescaturismo/ittiturismo, se in un primo momento è stato molto frequente tra gli attori locali presenti nelle aree protette, adesso interessa tutti gli operatori del mare, poiché sono riconosciuti pienamente a queste attività i requisiti positivi che le configurano come esperienze di “riqualificazione/riconversione”, dunque esperienze estensibili a tutte le aree, intendendole come attività a carattere integrativo del normale bilancio d’impresa. E’ necessario, da questo punto di vista, oltre che attivare vere campagne di sensibilizzazione e informazione relative a tale opportunità integrativa di reddito per i pescatori, sviluppare saperi e competenze riguardanti la valorizzazione e la promozione del territorio, delle tradizioni locali e della cultura del mare. L’agriturismo del mare. Per distinguere meglio tra pescaturismo e ittiturismo, va precisato che l’addetto al pescaturismo è un pescatore che imbarca persone non facenti parte dell’equipaggio a scopo turistico-ricreativo; l’imprenditore ittico, invece, è equiparato all’imprenditore agricolo e gestisce l’ospitalità, la ristorazione, i servizi, oltre che la cura delle attività ricreative e culturali finalizzate alla corretta fruizione degli organismi acquatici e delle risorse della pesca, valorizzando gli aspetti socio-culturali del mondo dei pescatori. L'ittiturismo consiste, dunque, in un'attività di ricezione esercitata dai pescatori professionisti, attraverso l'utilizzo delle proprie abitazioni e l'offerta di servizi di ristorazione e degustazione dei prodotti tipici delle marinerie italiane. Ne consegue che entrambe le attività presentano un duplice vantaggio: da un lato quella d’integrare la fonte di reddito, dall’altro quella di promuovere la cultura del mare e della pesca. Il servizio risulta comunque variegato: è possibile, per esempio, organizzare battute per gli appassionati di pesca sportiva e immersioni per gli amanti dei fondali. Inoltre, corsi di educazione ambientale avvicinano i più piccoli alle meraviglie del mare e al rispetto della natura, mentre l’approdo sulla costa può diventare occasione per escursioni naturalistiche nella macchia mediterranea. 31 Ricadute a catena. Studi di settore ed esperienze consolidate da oltre un decennio di esercizio del pescaturismo/ittiturismo hanno ampiamente dimostrato i vantaggi economici e occupazionali diretti per la categoria dei pescatori professionisti, a condizione di rispettare le regole di base di una qualsiasi attività imprenditoriale. Il pescaturismo/ittiturismo offre altresì la possibilità di coinvolgere - per azioni di supporto relative soprattutto all'organizzazione e alla ristorazione - personale non imbarcato, tra cui donne e giovani provenienti, preferibilmente, da nuclei familiari coinvolti a vario titolo nella filiera ittica. Contemporaneamente, attraverso l'ittiturismo, viene concretamente proposto di favorire misure integrative: come restaurare aree e borghi storici marinari, valorizzare la ricettività delle abitazioni tipiche dei pescatori e allestire piccole trattorie la cui cucina è legata al prodotto e alle tradizioni culinarie locali. Per queste ragioni i pescatori beneficiano per primi, in termini di sicurezza e conforto, degli adeguamenti delle imbarcazioni; ma di tali ammodernamenti si avvantaggia, ovviamente, anche l'industria cantieristica e quella degli equipaggiamenti per la pesca e la navigazione. Dal fenomeno trae utilità anche l’intero comparto del turismo marittimo, che diversifica la propria offerta arricchendosi di contenuti innovativi, grazie a un'attività ricca di valenze educative e di sensibilizzazione ambientale, con lo scopo di avvicinare il grande pubblico al mondo della pesca artigianale. Riduzione dell’impatto ambientale della pesca. Il pescaturismo permette una significativa riduzione dello sforzo dell’attività e minore impatto sui fondali; il che è coerente con un'ottica di salvaguardia ambientale. A quest’ultimo obiettivo concorre anche l’opportunità di promuovere prodotti ittici (pesci, molluschi, alghe) meno conosciuti dal mercato: la pratica, oltre al vantaggio intrinseco di valorizzare specie meno apprezzate - favorendo probabilmente anche l'industria della trasformazione dei prodotti - potrà in seguito generare un allentamento della pressione sulle specie più sfruttate. Del resto la pratica del pescaturismo comporta già oggi un minore utilizzo sia dei sistemi a traino - a favore di sistemi con minor impatto ambientale - sia degli altri tipi di pesca, conseguentemente al fatto che le prove di stabilità per determinare il numero di persone che possono essere imbarcate tengono conto anche del peso delle attrezzature, e che queste occupano spazio altrimenti disponibile per i turisti. Inoltre per soddisfare l'esigenza “ricreativa” del turista, già oggi spesso si effettuano azioni dimostrative con reti più corte, e per un tempo di cala sostanzialmente inferiore: ciò comporta un minor consumo di carburante e una minore usura degli attrezzi. Anche la presenza di utenti che in linea di massima sono già sensibilizzati verso i problemi ecologici impone al pescatore una maggiore attenzione verso la salvaguardia ambientale. Italia leader d’Europa nel settore. L’esperienza italiana nel settore, unica in ambito europeo, conferma la necessità che queste attività integrative siano promosse e sostenute da una “rete territoriale” alla quale facciano riferimento i diversi attori sociali coinvolti, al fine di organizzare sinergicamente un vero e proprio sviluppo locale concertato secondo le necessità e le possibilità degli operatori di settore, dei fruitori e delle amministrazioni. La formazione dei soggetti all’interno della rete territoriale e la divulgazione e circolazione dell’informazione tra i soggetti e l’utenza, ovvero i destinatari del servizio, costituiscono il “sistema reticolare” di base grazie al quale il pescaturismo e l’ittiturismo possono consolidarsi garantendo la continuità del lavoro, in particolare per gli operatori della pesca artigianale, e assimilando, in questa nuova veste, anche le nuove generazioni solitamente restie all’avvio di attività percepita come “faticosa e sorpassata”, ovvero poco attraente per lo scarso reddito e la mancanza di innovazione. La vocazione marinara di molte località italiane, le caratteristiche della flotta peschereccia, costituita per lo più da imbarcazioni dedite alla piccola pesca costiera, le caratteristiche ambientali e culturali dei borghi pescherecci ben si armonizzano con i principi di “Pesca Responsabile”, sanciti dal Codice di Condotta della FAO, e di “Turismo Responsabile”. 32 Il territorio nazionale, dunque, ben si presta a sviluppare e supportare questa attività che collega due importanti settori dell’economia: la pesca e il turismo. Molti sono i settori della pesca che in qualche modo potrebbero essere collegati al settore turistico; ecco qualche esempio: - il comparto tonniero: è interessante perché offre molti spunti di tipo gastronomico e culturale (sono infatti numerosi i prodotti trasformati tipici provenienti dal tonno), ma si caratterizza anche per le diverse tecniche di pesca che possono interessare una clientela differenziata; - il comparto della mitilicoltura, intesa anch’essa come attività legata alla tradizione e quindi appetibile per un turista sensibile, in forte ascesa soprattutto grazie al miglioramento delle caratteristiche delle acque e alla ritrovata fiducia del consumatore verso il prodotto. Anche in questo caso l’attività degli allevatori tradizionali, con il bagaglio di tradizioni e cultura, offre spunti interessanti per il pescaturismo; - il comparto della piccola pesca quale attività disseminata lungo tutta la costa e praticata in alcuni casi ancora con tecniche e attrezzi tradizionali. Ancora molti sono i problemi burocratici da risolvere, legati soprattutto all’iter per ottenere l’autorizzazione legale e all’inquadramento fiscale e normativo di questa attività. Tuttavia è opportuno e doveroso tener conto dell’interesse mostrato nei confronti di quest’attività sia da parte degli addetti sia da parte dei fruitori, interesse che fa ben sperare per il suo sviluppo futuro. 10.2 Calabria: valorizzazione del territorio e lotta alla mafia Con i suoi 741 km di coste, i monti che si ergono fin oltre i 2.000 metri di altezza, il ricco patrimonio architettonico e la società animata da differenti culture rimaste integre negli anni, la Calabria è una regione ideale per sviluppare forme di turismo sostenibile. Il mancato sfruttamento di queste potenzialità da parte dei grossi circuiti di turismo tradizionale fa sì che in questa regione si possano ancora trovare realtà sociali che, se debitamente approcciate, sono in grado di offrire al “turista responsabile” delle esperienze uniche e arricchenti. Il grosso freno a questo tipo di attività tuttavia, come a qualsiasi altra forma di investimento economico nell’area, è caratterizzato dalla tipica forma di criminalità organizzata storicamente attiva e radicata sul territorio. Si tratta della ‘ndrangheta, di cui il procuratore Salvatore Boemi nel 2002 ha pubblicamente denunciato l’impunità con le seguenti parole: “siamo diventati (noi giudici, nda) fantasmi che cantano al vento” (IMG press 9/10/2002). Ma anche se sulla stampa locale si legge quotidianamente di atti di intimidazione e fatti di sangue di matrice mafiosa, la battaglia per “un altro Sud possibile” è tutt’altro che persa. Lo dimostra l’esistenza di numerose associazioni attive sul territorio e il fiorire di micro attività, legate all’indotto del turismo responsabile, nate negli ultimi anni. 33 Area Grecanica d’Aspromonte. Ne è un esempio la piccola cooperativa Naturaliter il cui animatore, Pasquale Valle, ha creato insieme ai soci una rete di realtà locali nell’Area Grecanica dell’Aspromonte, che offre forme responsabili di trekking eco-compatibili. L'Area Grecanica si trova in provincia di Reggio Calabria, lungo la fiumara Amendolea, sul versante ionico meridionale. In essa ancor oggi vive una popolazione di lingua greca, i Greci di Calabria, che giunsero qui a partire dal VII sec. a.C., quando fondarono Locri. La grecità della zona si mantenne poi per tutta la durata della dominazione romana, e fu di nuovo vivificata, dopo l'età delle invasioni barbariche, dalla riconquista imperiale dei bizantini a opera di Giustiniano nel VI sec. d.C. La lingua parlata ancora oggi nella zona può vantare, unica in tutta Italia, una derivazione diretta dal greco antico, sebbene il carattere sia essenzialmente bizantino e assomigli molto, per certi aspetti, al greco parlato in Grecia. Il fatto che queste zone fossero lontane dalle principali vie di comunicazione rese comunque possibile la conservazione della lingua e della cultura grecaniche. Fu a partire dall'800, con l'emigrazione forzata di un gran numero di calabresi, e poi dal '900, con il miglioramento delle vie di comunicazione anche nell'area ionica, che la lingua grecanica cominciò a perdere terreno in modo significativo, tanto che oggi è parlata da poco meno di 5.000 persone. In questa realtà sociale unica al mondo, collocata tra le splendide montagne dell’Aspromonte, la cooperativa Naturaliter nel 1994 ha accompagnato il primo gruppo di turisti costituito da 30 tedeschi. Oggi le prenotazioni coprono la stagione da marzo a novembre, con presenze annuali di circa 3000 ecoescursionisti. I soggiorni vanno da un minimo di 3 a un massimo di 14 notti, per gruppi composti da 7 a 40 partecipanti, di cui l'80% italiani (centro e nord Italia), 15% svizzeri e francesi e un 5% di tedeschi. Da qualche anno la piccola realtà calabrese promuove assieme al Wwf Italia decine di progetti mirati allo sviluppo eco-compatibile. Le competenze dei soci sono molteplici: dalla creazione di reti di servizi turistici in aree protette, capaci di coinvolgere la comunità locale attraverso percorsi di partecipazione e cooperazione, all'educazione ambientale, dall'organizzazione e gestione di trekking, alla formazione professionale e alla salvaguardia dell'architettura rurale. Un esempio dei tour offerti dalla cooperativa è quello de “I paesi fantasma”, definiti così perché abbandonati o semi abbandonati dai loro abitanti in seguito alle alluvioni del 1951 e del 1971-72. Si trovano all'interno del Parco, nella provincia di Reggio Calabria, in zone impervie e incontaminate. Alcuni di essi conservano intatto l'impianto urbanistico architettonico, e rappresentano veri e propri eco-musei dai quali è possibile leggere e interpretare la dura vita rurale che al tempo conducevano i loro abitanti. Per raggiungerli occorre arrivare a piedi camminando senza grandi fatiche, in mezzo a paesaggi naturali fortemente suggestivi. Amendolea, Gallicianò, San Pantaleo, Bova, Roghudi vecchio, Africo vecchio, Pentadattilo costituiscono ottimi esempi di questi suggestivi villaggi montani. Redistribuzione delle ricchezze. I gruppi sono condotti su sentieri, a volte con asini che trasportano i bagagli, lungo le pendici dell’Aspromonte, tra antiche costruzioni in pietra, boschi e la spontanea accoglienza della gente. Grazie a una recente legge regionale che autorizza i servizi bed & breakfast nella zona, Naturaliter si occupa di far alloggiare gli escursionisti presso le famiglie locali, condividendone usi e costumi. Vengono inoltre coinvolti anche pastori e agricoltori, in modo da far acquistare i prodotti tipici direttamente dai produttori, per distribuire a più “indigeni” possibili le risorse economiche create dall’indotto del turismo responsabile. E come merce di scambio, grazie a una delle ultime iniziative del Parco nazionale, che ogni anno vede alcune migliaia di visitatori, viene fornita agli ospiti una moneta locale: l’Eco-Aspromonte. «Bisogna abbattere la sacralità della moneta - dice Tonino Perna, presidente dell’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte (www.parcoaspromonte.it) - Una mattina mi sono presentato al direttore del poligrafico della Zecca - racconta - e gli ho chiesto di stampare l’Eco-Aspromonte. Mi ha risposto ‘aspetti che vado a chiedere’. Pensavo mi facesse arrestare». E invece l’Eco-Aspromonte oggi è una realtà, la prima moneta locale italiana per garantire la “biodiversità”. Serve a rafforzare l’identità della popolazione locale, a ridurre l’influenza di realtà esterne e ogni anno scade, per evitare che qualcuno se ne 34 impossessi per usi illegittimi quali l’accumulo. Un esperimento interessante quello della moneta “complementare”, che in altri paesi quali Stati Uniti, Canada e Brasile è già una realtà da parecchio tempo. Buon ultimo, il mondo accademico italiano si è accorto del fenomeno e ha avviato un progetto nazionale sulle monete locali denominato Libra, coordinato dal professor Massimo Amato dell’Università Bocconi di Milano. Ma tornando agli abitanti delle montagne calabresi, a Bova, paesino di 500 abitanti nel Parco dell’Aspromonte, nel quale fino a pochi anni fa i giovani erano costretti a emigrare per trovar lavoro, è nata la Cooperativa San Leo: 15 soci, una serie di guide ambientali ed escursionistiche, un ristorante, alloggi nel centro storico per ospitare i turisti con la formula bed & breakfast e tre furgoni per organizzare trekking intorno al Montalto. Salvatore Trapani, socio della cooperativa e guida del Parco, racconta che nel ‘96, dopo la “naja”, pensava di «salire al nord per cercare lavoro». Si è presentata invece l’occasione di lavorare per la cooperativa, e oggi è orgoglioso di mostrare ai turisti le bellezze della sua terra. Anche se, non lo nasconde, in Aspromonte i problemi non mancano. Spesso si incontrano latitanti, oppure le gelosie incrociate degli abitanti creano problemi agli organizzatori. In tal caso si effettua quella che qui chiamano “ferma biologica”; cioè i turisti non sono più condotti in quella zona specifica per un certo periodo finché le acque non si sono calmate. Ad Amendolea di Condofuri, nel letto dell’omonima fiumara, a pochi chilometri da Bova, i turisti possono soggiornare nell’agriturismo Il Bergamotto: qui il responsabile, Ugo Sergi, giovane avvocato che ha preferito l’azienda di famiglia alla carriera forense, ospita i viandanti in case di pietra ristrutturate, tra gli alberi da frutto. Insaccati, vino, olio, essenze di bergamotto (agrume coltivato unicamente in questa zona della Calabria) e pasta fatta in casa. Tutto rigorosamente “made in Amendolea” con il coinvolgimento dell’intero paese. Ma in Calabria per chi gestisce ristoranti o agriturismi non sono tutte rose e fiori: può anche capitare di ricevere la visita di noti mafiosi locali che mangiano, bevono e vanno via senza pagare. E un giorno, se l’attività dovesse raggiungere un buon giro d’affari, potrebbe venir imposto un ragioniere “di fiducia” a gestire i conti dell’esercizio. Ma uno dei modi per combattere questa piaga, troppo spesso scambiata per una “tradizione locale”, è sicuramente mettere in piedi attività imprenditoriali sul modello dell’agriturismo di Ugo Sergi, sviluppando nuove realtà economiche che si rifiutano di sottostare a regole malavitose, quali il pagamento di un “pizzo”, imposte da chi si sente più forte della legge. Dai monti al mare. Lasciato il Parco dell’Aspromonte, lungo la costa ionica in direzione Catanzaro, per un centinaio di chilometri si susseguono mega villaggi “ripa mare”, iniziati dallo speculatore di turno e mai finiti, o costruiti da poco e già cadenti e abbandonati. Giunti al bivio per Riace si sale verso il vecchio borgo, spopolato da una pesante emigrazione, dov’è nata l’associazione Città Futura, votata a una forma originale di turismo misto all’accoglienza profughi. La nascita di questa realtà risale al 1999, quando un certo numero di profughi sbarca sulle coste calabresi: un gruppo di giovani si mobilita per accogliere la gente venuta dal mare. Chiede ai suoi emigranti, partiti verso altre regioni e paesi in cerca di fortuna, di prestare alle famiglie kurde ed eritree le povere case ormai vuote; fa il possibile per far integrare i profughi nel territorio; crea opportunità di lavoro; trasforma il vecchio centro storico in un paese-albergo; recupera la cultura e le tradizioni popolari. «L'arrivo dei 250 profughi kurdi, il 1° luglio del 1998 - racconta Domenico Lucano, animatore del gruppo - è stata un'iniezione di vita per il nostro paese ormai spopolato. Anche se la loro meta era la Germania, hanno trascorso con noi l'estate e tutto l'inverno, poi, un po' alla volta, sono andati via, quasi tutti. Sono rimasti in trenta, alloggiati nelle case degli emigranti. Alla fine soltanto due famiglie si sono fermate a Riace; le uniche nascite, registrate negli ultimi anni, riguardano infatti bambine kurde». L’associazione, dopo la partenza dei profughi, pensa che - nonostante tutto - il centro storico del piccolo paese può continuare a essere ripopolato attraverso una forma di turismo responsabile e, nel 1999, presenta una lista per le elezioni comunali. Il programma prevede, tra l'altro, il restauro del patrimonio architettonico, la rivalutazione della cultura locale, il recupero delle risorse tipiche del territorio. «Una famiglia nobile, da tempo trasferita a Napoli, avrebbe 35 voluto affidare al Comune un palazzo del Settecento che sorge al centro del paese - racconta Domenico - Ma l'amministrazione non era interessata e il nostro gruppo lo ha preso in affitto e lo ha fatto ritornare alla vita, dopo quarant'anni d'abbandono». L'associazione oggi ha così sede a Palazzo Pinnarò, centro d'accoglienza per rifugiati politici e vittime del disagio sociale, luogo di scambi culturali, sede di un piccolo Museo permanente della Storia e delle Tradizioni popolari di Riace. Dopodiché, grazie a un finanziamento della Banca popolare Etica di Padova e al sostegno di istituzioni come l'Ente parco nazionale dell'Aspromonte, rilanciato da Tonino Perna, protagonista di numerose battaglie sociali e civili, dell'organizzazione non governativa Cric di Reggio Calabria e del Vescovo di Locri Monsignor Giancarlo Bregantini, l’associazione è riuscita a realizzare il progetto più ambizioso: trasformare il centro storico in un paese-albergo per turisti responsabili. Il ruolo della chiesa locale nella realizzazione del progetto è stato fondamentale: infatti, proprio a metà strada tra la zona più depressa dell’Aspromonte e Riace c’è Locri, cittadina ricca di testimonianze greche, e sede di una delle più importanti diocesi italiane; quella di monsignor Brigantini, vescovo da anni in prima linea nella lotta alla mafia e molto attento alla realtà locale. Tra le tante attività, la diocesi gestisce un fondo a rotazione che, spesso con l’intervento di Banca Etica, permette la nascita di varie cooperative o associazioni in una delle zone a economia più depressa d’Italia. A Riace il turismo promosso dall’associazione Città Futura, a fianco dell’accoglienza ai richiedenti asilo, cerca di porre un’attenzione particolare agli aspetti culturali e ambientali dell’area geografica. Continuano infatti a essere ristrutturate case in disuso, tutte con vista sul mare, da affittare ai turisti o affidare agli asilanti. Si organizzano eventi culturali e si cerca, con l’aiuto degli ospiti, di recuperare le tradizioni locali come la produzione d’olio, le confetture di arancio o la tessitura di ginestra. A pochi chilometri dal borgo, oltre a spiagge infinite, tesori architettonici e naturali di rara bellezza completano un “pacchetto vacanze” vincente, su cui all’inizio nessuno avrebbe puntato. Oggi gli alloggi ristrutturati sono più di 20, e accanto a questi è stato possibile realizzare il recupero di un antico frantoio, aprire un laboratorio tessile e una taverna per la ristorazione. Il villaggio albergo. Il vecchio centro storico di Riace Borgo, che conta 600 abitanti e dista sette chilometri da Riace Marina, è formato da un grappolo di case circondato da uliveti, sentieri di ginestra e grovigli di fichi d'india, adagiato su un'antica area archeologica. Il laboratorio per la tessitura artigianale, che utilizza oltre al cotone anche il filato ottenuto dalla cardatura della ginestra, pianta tipica del luogo, è stato realizzato con antichi telai manuali all'interno di un vecchio mulino ristrutturato. Pina Lucano, moglie di Domenico, ha pazientemente imparato tutte le tecniche di filatura e tessitura tradizionali del territorio e oggi, con l’aiuto dei profughi, produce filati e organizza corsi di formazione: stage dimostrativi sulla tessitura e l'utilizzo delle fibre naturali come il lino, il cotone, la seta, la ginestra, la lana, vengono proposti agli ospiti del villaggio, alle scuole e alle associazioni interessate al recupero di un'antica arte, espressione della vita sociale e culturale della comunità. Il laboratorio produce coloratissimi tappeti, zainetti e borse in fibra di ginestra, ma anche centrini e coperte in lino grezzo. Per commercializzare questi tessuti i giovani di Riace cercano acquirenti. L'associazione Città Futura non ha ricevuto alcun finanziamento pubblico. I soci non accettano regali e vogliono farcela con il proprio lavoro. Dargli una mano e sostenerli nella realizzazione di tutti i loro progetti è possibile. Basta andare in vacanza al "Riace Village”. Gli ospiti possono inoltre visitare il frantoio con macine di pietra per la spremitura a freddo dell'olio d'oliva, il laboratorio che produce confetture di agrumi e dei famosi cedri calabresi, il laboratorio di ceramica. Possono assistere alla lavorazione di ricotta e formaggi e del pane a lievitazione acida. Per quanto riguarda la ristorazione, ultimo progetto realizzato in ordine di tempo, l’associazione offre la possibilità ai suoi ospiti di gustare la gastronomia tradizionale alla "Locanda di Donna Rosa", una vecchia abitazione ristrutturata e adattata a locale tipico, con pavimenti e arredi in legno naturale, che si ispira alla semplicità della cucina contadina. Prossimamente verrà avviato anche un laboratorio di lavorazione del vetro in collaborazione con una cooperativa del paese di Bova, sull’Aspromonte. 36 Gli obiettivi dell’associazione Città Futura crescono con il crescere delle attività organizzate. Ed è così che alla fine di ottobre 2004 i soci si sono presentati nuovamente alle elezioni (dopo l’esperienza del 1999) con una lista civica denominata “Un’altra Riace è possibile”. Questa volta i tempi sono maturi, gli abitanti hanno ormai capito che i progetti dei riacesi coinvolti nell’associazione possono andare a vantaggio di tutto il paese, e Domenico Lucano viene eletto sindaco. Una nuova sfida dell’associazione, che prontamente decide di affiliarsi a “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie” per dare un segnale inequivocabile alla criminalità organizzata locale. Inoltre alcune vie sono state intestate a illustri martiri della mafia come Peppino Impastato. I periodi consigliati per le vacanze sono primavera, estate e autunno. In primavera è possibile seguire i lavori nei campi, in estate si concentrano tutte le feste e sagre paesane, mentre in autunno si può assistere o partecipare alla vendemmia. Sono previste inoltre visite guidate a Gerace e Bivongi (un antico monastero bizantino, dove risiedono monaci greco-ortodossi provenienti dal monte Athos), agli scavi archeologici, a Caulonia e Roccella, al museo di Locri. A Riace amano molto la natura e gli animali sono "graditissimi", quindi via libera alle vacanze in compagnia dei nostri inseparabili amici domestici. Indirizzi utili: - Per soggiorni e trekking in Aspromonte: Cooperativa Naturaliter, alla scoperta dell’Area Grecanica, tel. 0965/626840, www.naturaliterweb.it, [email protected]. Cooperativa San Leo, ospitalità diffusa ed escursioni guidate, Bova (Rc), cell. Salvatore Trapani 347/9350278. - Per scoprire la tradizione calabrese, le ricchezze naturali e la cucina a base di carne di capra, frutta secca, pasta di mandorle e liquori di bergamotto: Azienda agrituristica Il Bergamotto di Ugo Sergi, Amendolea di Condofuri (Rc), tel. 0965/727213. - Per un tuffo nella Locride, tra palazzi medievali, ulivi, tessitori di ginestra e soggiorni in case in affitto nel borgo: Riace Village, associazione Città Futura “G. Puglisi”, via Pinnarò 20, 89040 Riace (Rc), tel. e fax 0964/778008, www.cittafuturariace.it, [email protected] 10.3 Il turismo responsabile in città: da Napoli a Genova Ci sono turisti a cui non basta visitare la Lanterna di Genova e il Maschio Angioino di Napoli. Turisti che dietro il paravento delle cartoline cercano la città vera, quella che pulsa vita, che affronta in modo sempre diverso i problemi della modernità ed esprime le risposte sorprendenti della società civile italiana. Per questi "viaggiatori sociali" è nata in Italia, da alcuni anni, una forma particolare di turismo locale: il turismo responsabile “in città”. La proposta è quella di un viaggio di breve durata (dai due ai sette giorni), dai prezzi contenuti e ispirato ai principi del più classico turismo responsabile, quello che è nato con un occhio di riguardo al Sud del mondo: trasparenza nei costi del viaggio; attenzione alle realtà sociali ed economiche espresse dal territorio; distribuzione dei ricavi sull’economia di base locale (cfr. Allegato 1, i principi della "Carta d'identità per viaggi sostenibili"). I numeri del turismo responsabile in città sono ancora bassi: nel 2004 i viaggiatori che hanno partecipato a viaggi di questo tipo in città italiane non sono stati più di 300, la maggior parte concentrati, e non a caso, nella città di Napoli. Proprio nel capoluogo partenopeo, infatti, nel 1997 nascono le prime esperienze di turismo responsabile “urbano”, grazie a due associazioni caratterizzate da una spiccata sensibilità sociale: Il Vagabondo e Koiba. Il capoluogo partenopeo ancora oggi è la città che numericamente conta il maggior numero di “viaggiatori responsabili”. Negli ultimi anni però anche in nord Italia associazioni di base (in particolare Viaggi e Miraggi di Treviso e Ram di Camogli) hanno mosso i primi passi, proponendo viaggi di turismo responsabile "urbano" a Venezia, Bologna, Genova, Lecco, Treviso, Biella e Trieste. 37 Nonostante i numeri ancora modesti in fatto di viaggiatori coinvolti, il turismo responsabile in città poggia però la sua ragion d'essere su importanti presupposti teorici, che potrebbero sancirne il successo futuro, specie in una prospettiva di collaborazione tra organizzatori di viaggi e amministrazioni locali. Infatti "Agenda 21", il documento d'intenti firmato nel '92 da oltre 170 paesi di tutto il mondo tra cui l'Italia, durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (Unced) di Rio de Janeiro, indica un ruolo fondamentale per le amministrazioni locali nel disegnare un futuro sostenibile per i propri cittadini. Tra le possibili linee indicate da "Agenda 21" anche quella del turismo sostenibile. E le amministrazioni italiane iniziano a muoversi: il 13 dicembre 2004, proprio la Provincia di Rimini, a importante vocazione turistica, ha organizzato un workshop dal titolo "Agenda 21 e Turismo Sostenibile" per mettere a confronto attività, obiettivi e strategie per uno sviluppo sostenibile del settore turistico. Primi segnali, forse, di future collaborazioni tra chi propone viaggi di turismo responsabile in città ed enti locali. Napoli: i precursori del turismo responsabile in città. L’esperienza de Il Vagabondo e di Koiba. Il turismo responsabile in città nasce alla fine degli anni '90, a Napoli in seno ad alcune associazioni di forte vocazione sociale. Nel '97 alcuni studenti dell’Università Orientale di Napoli, che fanno riferimento al settore interculturale della locale associazione Pangea, decidono di fondare l'associazione Il Vagabondo. Scopo dichiarato degli studenti, tutti con interessi e professionalità nel mondo del turismo, è quello di far conoscere la propria città in un modo positivo e scevro da pregiudizi: «Fino a quel momento il concetto di turismo responsabile era associato solo a viaggi nel Sud del mondo - racconta Sergio Fadini, responsabile de Il Vagabondo - Noi, anche per un motivo meramente pratico, ovvero il fatto che essendo studenti non avevamo fondi per affrontare lunghi viaggi, abbiamo iniziato ad associare i principi del turismo responsabile alla nostra realtà locale, alla nostra città». Sempre a Napoli, nel '98, nasce l'associazione Koiba. I fondatori sono alcuni giovani che hanno provato una forte esperienza missionaria con i padri del Pime, Pontificio istituto missioni estere, della città partenopea. «Avevamo fatto esperienze presso missionari in Brasile e nelle Filippine racconta Carmela Bacco, responsabile di Koiba - e tornati, ci siamo detti che era possibile un modo diverso di conoscere il mondo, viaggiando anche vicino a noi. Ci siamo detti che sarebbe stato possibile far conoscere Napoli attraverso l’ospitalità in famiglia». Le persone coinvolte inizialmente in Koiba sono 15, soci attivi disposti a offrire la propria casa per accogliere i turisti, secondo il più classico stile del turismo responsabile che privilegia “servizi di accoglienza (trasporti, alloggi, ristorazione) a carattere familiare o su piccola scala”. La valorizzazione della "familiarità" è la chiave di volta intorno a cui ruota l'attività di Koiba e il segreto stesso del successo del turismo responsabile in una città come Napoli, dove la famiglia si pone al centro dei valori tradizionali e socialmente condivisi. «Per noi l’aspetto della familiarità, ovvero il fatto di poter arrivare in un posto e avere il calore di questo posto tramite la vita in casa, è fondamentale - conferma Carmela Bacco - Un errore da non commettere mai organizzando viaggi di turismo responsabile è essere leggeri sulla scelta delle famiglie che ospitano: sondare bene il terreno, conoscerle e sapere chi sono. È fondamentale la possibilità di visitare una città con gli occhi di una persona locale, mangiare in un ristorante assieme a qualcuno del posto, visitare il suo quartiere, ascoltare direttamente da lui aneddoti e storie locali». Il Vagabondo invece ha scelto, in fatto di ospitalità, la strada dei bed & breakfast. Dal 2000 ha messo in piedi un progetto di turismo responsabile integrato in città, che si rifà a una rete di bed & breakfast scelti con un criterio etico. Una ventina di alloggi che rispondono a criteri di sensibilità e di attenzione all’economia solidale. Tutti bed & breakfast “ufficiali”, rispettosi delle direttive della legge campana al riguardo. «I nostri b&b sono di tre categorie - spiega Fadini - la prima, più economica (meno di 60 euro per due persone) è pensata per gli studenti e si riferisce a case e famiglie che offrono un servizio più semplice. La seconda, di medio impegno (dai 60 agli 80 euro); e la terza, di categoria superiore, in case di una certa valenza (oltre gli 80 euro). L’attenzione alla casa però è comunque secondaria, nella scelta dei b&b è più importante la famiglia e il servizio 38 etico: per il prossimo anno vorremmo garantire che tutte le colazioni offerte nei nostri b&b fossero bio ed equo-solidali». Le associazioni napoletane che propongono turismo responsabile in città, in questi anni, sono cresciute e si sono rafforzate. Il Vagabondo oggi conta circa 400 soci, corrispondenti al numero di viaggiatori che negli anni hanno aderito al programma-visite in città e che, per una questione di copertura assicurativa, sono stati tesserati. Ma in realtà i soci attivi, quelli con ruolo organizzativo, sono una decina, divisi tra il gruppo storico di Napoli (4 persone) e i nascenti gruppi di Roma, Salento e Calabria. Nella sede di Napoli, a Il Vagabondo, assieme ai 4 soci, lavorano anche 4 stagisti. L’associazione Koiba invece oggi conta 410 soci, corrispondenti al numero di visitatori che si sono susseguiti negli anni. Mentre i soci attivi, con responsabilità reali, sono 15. Uno dei motivi per cui il turismo responsabile si è affermato principalmente nella città di Napoli è indubbiamente il fatto che costituisca, in quel particolare contesto socio-economico, un'occasione reale di guadagno sia per chi ospita i turisti sia per chi li guida in città. L'associazione Koiba nel 2003 è stata scelta da 150 turisti, tutti ospitati in famiglia. Alcuni dei nuclei familiari scelti da Koiba offrono una disponibilità fino a 5-6 posti letto; in stagioni particolari, come a Natale, periodo di massima ricezione per il capoluogo partenopeo, una famiglia con queste caratteristiche riesce a soddisfare anche 30 richieste di ospitalità, pagate 25 euro l’una dai turisti, per un totale di oltre 700 euro di introito. Guadagno che, in alcuni casi, costituisce uno stipendio aggiuntivo molto importante. I soci con incarichi di responsabilità, per il loro lavoro non ricevono un vero e proprio stipendio né a Il Vagabondo né a Koiba. Però, da alcuni anni, entrambe le associazioni riescono a garantire un rimborso spese significativo: «Tutti i soci attivi della sede di Napoli hanno un lavoro diverso, che garantisce loro da vivere - spiega con molto realismo Fadini de Il Vagabondo L’associazione sta però iniziando a dare dei rimborsi spese ai soci intorno ai 100-150 euro al mese. L’obiettivo che ci siamo prefissati è di assicurare, il prossimo anno, un piccolo “fisso” a chi lavora». Tra i suoi punti fermi, il codice etico del turismo responsabile pone il giusto pagamento dei lavoratori locali. Principio rispettato, per quanto riguarda le guide, anche nel caso del turismo in città: «Il nostro principio è organizzare visite dove la guida guadagni 8-10 euro all’ora; che è quello che le istituzioni pubbliche napoletane pagano a un operatore sociale in città - spiega Fadini Napoli invece è piena di associazioni che organizzano visite guidate: in questo caso le guide sono in genere studenti con il problema di racimolare qualche soldo. Vengono pagati 6-8 euro all’ora per portare gruppi di turisti anche molto numerosi. In questo modo l'associazione ha un guadagno molto elevato, costringendo la guida a un grande stress. Noi invece la visita la facciamo pagare 10 euro a persona e organizziamo gruppi al massimo di 10 persone. Il principio del gruppo piccolo è mutuato dall’avvertenza del turismo responsabile di organizzare piccole comitive che diano un impatto sostenibile sul territorio. Ma è anche una necessità a Napoli, perché se si porta una comitiva nei quartieri Spagnoli, deve essere per forza poco numerosa, sono i vicoli stessi che lo impongono». I viaggiatori che scelgono di visitare Napoli e di trascorrervi alcuni giorni in base ai criteri del turismo responsabile, secondo gli addetti ai lavori provengono quasi esclusivamente dal nord Italia. In gran parte da Piemonte e Lombardia. Poche le presenze di viaggiatori toscani ed emiliani. Rari i turisti di Roma. «Questo ci fa ovviamente piacere - spiega Fadini - ma vorremmo davvero arrivare al punto per cui le nostre proposte vengono accolte dal visitatore del sud. Purtroppo ci rendiamo conto che anche solo il prezzo di 10 euro all’ora di visita in citta è per molti concittadini un ostacolo, anche psicologico. Notiamo una difficoltà a spendere una cifra del genere. Oggi la nostra idea è di far sviluppare il turismo responsabile soprattutto in sud Italia, e far conoscere le realtà del sud Italia in maniera non stereotipata». Visite urbane guidate: tra turimo sociale e riscossa civile. Nel caso del turismo responsabile in città è interessante soffermarsi sul ruolo rivestito dalle visite proposte dalle organizzazioni. Si tratta di occasioni che hanno spesso, almeno in parte, le caratteristiche classiche delle visite d'arte: i monumenti importanti della città, le vie e le piazze da non perdere. Tuttavia il valore aggiunto delle 39 visite di questo tipo di turismo è di certo la loro valenza sociale: pensando al caso di Napoli, nessun altro tour operator conduce i propri turisti a visitare centri sociali, associazioni di volontariato, enti benefici. I luoghi che costituiscono la vera anima sociale della città. «Noi proponiamo due tipi di visite. La prima è la visita “classica”, fatta ai quartieri popolari della città: in particolare al quartiere Spagnolo - racconta Fadini de Il Vagabondo - Il principio è quello di entrare nel quartiere accompagnati da un suo abitante; Il Vagabondo sceglie in particolare un anziano, figura autorevole e rispettata da tutti. Questo permette al gruppo di muoversi senza pericolo e di ottenere una conoscenza diretta, emotiva e storica della città. Se manca questa guida le cose si complicano, come dimostrano alcune visite di altri enti ai quartieri Spagnoli, dove la comitiva è scortata dai vigili urbani o dalla polizia. Questo per noi è totalmente sbagliato, perché il quartiere si deve difendere da solo. Il prossimo anno vogliamo inserire nella visita tradizionale anche un altro elemento: un gemellaggio con il “progetto Chance” , che coinvolge le istituzioni del territorio napoletano ed è finalizzato a combattere l’evasione scolastica e il fenomeno dei bambini che vivono in strada, vero problema della città». Oltre a offrire ai turisti responsabili una visione del tutto inedita dell'anima sociale della città, le visite guidate costituiscono anche un'occasione unica che consente alla società civile di esprimersi. «Il Vagabondo propone anche le cosiddette “visite tematiche” - continua Fadini - Ovvero visite che nascono da interessi specifici di soci napoletani dell’associazione che guardano la città da un punto di vista particolare, il loro, che può essere di interesse anche per gli altri. In questo senso abbiamo promosso due visite diverse, la prima “all’arte moderna di Napoli” nata dagli interessi di un nostro socio che è critico d’arte; la seconda “alla Napoli esoterica”, ideata da una nostra socia studentessa all’Orientale. Queste proposte ci sembrano coerenti con l’idea di turismo responsabile, perché trasformano i soci napoletani in protagonisti. Napoli è una città molto diversa dalle città del nord. Qui è tutto più difficile, la gente ha pochi soldi e poche occasioni di vivere i propri interessi artistici. Noi cerchiamo di valorizzare il filo delle passioni dei nostri soci». Gennaro Auxilia, 63 anni, pensionato dei quartieri Spagnoli, è una delle guide selezionate da Il Vagabondo. Per lui condurre turisti responsabili per il suo quartiere è molto più di un'occasione economica importante: «Abito nei quartieri Spagnoli da oltre 60 anni - racconta Gennaro - Non ho studiato da guida, si può dire che io sia autodidatta. Come imposto una mia visita? Cerco di far vedere alle persone gli angoli interessanti del quartiere: i vicoli con la loro vita quotidiana, il mercato, il Teatro Nuovo dove si sono esibiti tutti i grandi attori napoletani, quel crocefisso che sullo sfondo ha una bella vista del Vesuvio... comunico le tante emozioni del quartiere, che sono anche le mie. La gente del posto accoglie bene i nostri turisti e devo dire che i visitatori sono sempre entusiasti. La maggior parte di loro vengono dal Piemonte». Anche Giovannella Forma, 28 anni, studentessa all'Università Orientale nel corso di laurea di sanscrito, è una guida, selezionata da Il Vagabondo per il tour esoterico in città: «Io sono una fuori sede sarda che vive a Napoli da diversi anni - racconta Forma - Napoli è una città che può farti chiudere in te stesso, per via del primo impatto a base di problemi, criminalità, degrado; oppure proprio per questi problemi, cerchi di conoscerla di più e scopri una città nascosta che non immaginavi. Leggendo diversi libri mi sono appassionata ai temi esoterici - spiega - E ho scoperto come a Napoli ci sia un filo esoterico che la attraversa. Ad esempio i motivi architettonici: la chiesa del Gesù Nuovo, in tutte le pietre della facciata è inserito un simbolo alchemico... Per me l’esperienza di guidare i gruppi di visitatori è molto importante. La mia visita è in programma praticamente ogni sabato. E’ bello comunicare ad altri, che vogliono sapere, quello che interessa a te». Genova: i week-end responsabili. Negli ultimi anni, anche alcune città del nord Italia sono state teatro di viaggi di turismo responsabile urbano. Ma se, nel caso del capoluogo partenopeo, il turismo responsabile sembra poter raggiungere in un futuro vicino la sostenibilità anche economica, nel caso delle città del nord l’esperienza pare molto meno promettente. 40 Due le organizzazioni che si occupano di turismo responsabile in città dell’Italia settentrionale; si tratta di Viaggi e Miraggi di Treviso e Ram di Camogli (Ge). In entrambi i casi, strutture che hanno iniziato la loro attività proponendo viaggi internazionali di turismo responsabile, per allargare la propria offerta a visite sullo Stivale. L’organizzazione che ha dato maggiore impulso ai viaggi in nord Italia è senza dubbio Viaggi e Miraggi di Treviso. La sua filosofia è quella di intrecciare e valorizzare la rete dei contatti tra cooperative e associazioni della società civile nelle diverse città italiane. Per fare in modo che la visita nasca dalle esigenze e dalle conoscenze locali. Il week-end nella città di Genova che Viaggi e Miraggi ha progettato e proposto, ad esempio, nasce dalla collaborazione con Bottega Solidale, la bottega del commercio equo del capoluogo ligure che ha fornito contatti e progetto del viaggio; il tour nella città di Biella nasce invece da una collaborazione con la locale associazione Viaggiaredomandandosi. Il week-end a Trieste prende spunto invece da un’idea nata leggendo un articolo della rivista “Terre di mezzo” in cui si raccontava di una cooperativa sociale, “Il posto delle fragole”, che gestisce un albergo dando lavoro a persone con disagio psichico. Albergo che ha dato ospitalità ai primi turisti responsabili in città. «Dall’inizio della nostra attività abbiamo pensato che il turismo nelle città italiane potesse affiancarsi all’idea di viaggio nel Sud del mondo - racconta Michela, di Viaggi e Miraggi Abbiamo sempre pensato che i concetti di turismo responsabile si potessero applicare anche a realtà subito fuori la porta di casa». I tour in città organizzati da Viaggi e Miraggi possono andare dai due giorni alla settimana. I numeri delle adesioni sono per ora modesti: «Per le proposte di viaggi in Italia, in un anno, abbiamo avuto una cinquantina di viaggiatori - racconta Paola Peretti - Concentrati comunque nell’alta stagione e nel periodo estivo. Un numero di viaggiatori che consideriamo basso e che dipende sia dalla scarsa ricettività delle strutture su cui ci appoggiamo, sia dal fatto che comunque le mete urbane in Italia non hanno un sufficiente livello esotico per una vacanza. Il week-end responsabile che proponiamo a Bologna, ad esempio, è bellissimo e costa solo 70 euro. Ma nelle date previste a ottobre e novembre di quest’anno non abbiamo avuto neanche un iscritto! Secondo me il motivo è che Bologna al giorno d’oggi è molto visitata, è vista e rivista. Le persone invece cercano destinazioni diverse da quelle conosciute. I week-end che funzionano, dove cioè abbiamo un ritorno di adesioni e una soddisfazione anche economica, sono invece quelli a Genova (un fine settimana) e Napoli (una settimana)». Genova, insomma, sembra essere l’unica città del nord Italia in cui un viaggio di turismo responsabile funziona. «L’idea di un week-end di turismo responsabile a Genova ci è venuta partendo dal nostro interesse per questo genere di turismo e dal fatto che le nostre forze di tempo e di soldi erano troppo risicate per organizzare subito un viaggio nel Sud del mondo - racconta Stefania Benzi, della Bottega Solidale di Genova, responsabile del week-end di turismo responsabile nella città - Abbiamo pensato che fosse possibile applicare i principi generali del turismo responsabile anche qui. Abbiamo iniziato a progettare la visita stilando una lista di associazioni “vicine”, che si occupano di temi sociali, come immigrati e bambini in difficoltà. Contattandole e selezionandole. Ad esempio, per dormire abbiamo scelto alcuni nostri soci che gestiscono un bed & breakfast equo e solidale; oppure un convento di francescani che portano avanti dei bellissimi progetti con ragazzi albanesi immigrati e fanno anche accoglienza di turisti. È stato importante, per partire, che alcuni nostri volontari fossero guide artistiche, in modo da far gustare la visita anche dal punto di vista culturale, più tradizionale». Di certo la molla per organizzare i week-end è stata ed è questa, più che quella economica. «Lo scorso anno sono stati una ventina i viaggiatori che hanno visitato Genova grazie ai nostri week-end - spiega Stefania - A realizzare il progetto, attualmente, collaborano una decina di volontari, tra cui alcuni soci della bottega, che dedicano parte del loro lavoro alla cosa. Ma, anche se l’iniziativa cresce (quest’anno organizzeremo il nostro primo viaggio di turismo nel Sud del mondo, in Bolivia); siamo ancora lontani dalla possibilità di avere uno stipendio pagato dai proventi delle visite». 41 10.4 Ecovillaggi: ecologia, accoglienza e solidarietà È difficile dare una definizione esatta di ecovillaggio: si tratta di piccoli insediamenti, a misura d’uomo, rurali o urbani, che cercano di creare modelli di vita sostenibile, in armonia con la natura. Sono migliaia nel mondo, spesso esperienze tra loro molto diverse. In genere sono comunità di dimensioni ridotte (una decina di persone), con qualche eccezione, come a Findhorn, in Scozia, dove i residenti sono 450 e hanno persino una loro moneta interna. Si tratta comunque, in generale, di modelli insediativi che cercano di proteggere i sistemi viventi del pianeta, di incoraggiare la crescita personale e di sperimentare stili di vita che facilitino l'armonia tra gli esseri umani e la natura. Tutti prevedono l’esistenza di una comunità residente (a differenza degli agriturismi) che integra una struttura sociale basata sulla solidarietà con attività pratiche legate alla progettazione ecologica. All'interno della terminologia “ecovillaggio” trovano spazio talvolta anche altre esperienze comunitarie che pongono al centro della loro identità non solo l'aspetto ecologico, ma anche istanze spirituali, educative, religiose e politiche. Sono sei i settori in cui si impegnano e che caratterizzano gli ecovillaggi: - la produzione locale di cibo biologico - bioedilizia - sistemi di energia rinnovabile - struttura economica cooperativa - processi decisionali inclusivi - accoglienza di turisti, ospiti o volontari Numerosi sono i network che uniscono gli ecovillaggi di tutto il mondo. In Italia esiste la Rete italiana villaggi ecologici (Rive) cui hanno aderito finora dieci realtà: dai Cavalieri del Sole di Assisi, che basano la loro economia sul restauro di mobili antichi, al Popolo degli elfi di Avalon sull’Appennino Pistoiese. L’elenco completo è sul sito: www.sostenibile.org/riveinf.html. La segreteria nazionale ha sede a Siena, a La Comune di Bagnaia (info: 0577/311014). La Rive aderisce a sua volta al Global ecovillage network (Gen), l’organizzazione non governativa riconosciuta dall’Onu che coordina 15 mila ecovillaggi nel mondo, dall’Europa all’Africa al Sudamerica, appoggiando anche progetti di sviluppo in loco. Ogni due anni il Gen sposta l’ufficio di coordinamento, fino a giugno scorso è stato in Italia a Torri Superiore, dal 2005 è a Findhorn, in Scozia; www.gen-europe.org oppure www.eurotopia.de Un caso italiano. Un esempio italiano particolarmente significativo per capire la connessione tra ecovillaggi e turismo responsabile è quello di Torri Superiore, nell’entroterra ligure, a 7 chilometri da Ventimiglia. Arroccato su una collina, seguendo una stradina stretta e tortuosa dove è impensabile un doppio senso di marcia, si apre un villaggio di case in pietra. Dopo aver salito le scale ripide si aprono davanti agli occhi le stanze con i nomi dei pianeti e le scritte in tre lingue, italiano, tedesco e inglese. A guardare le imposte dipinte di verde acqua e le piante grasse sulle finestre è difficile riconoscere questo borgo medioevale del 1300 che sembra uscito da una fiaba, dalle foto che mostra Massimo, uno dei residenti, con stanze piene di macerie, tetti sfondati e muri pericolanti. Eppure è così che nel lontano 1983 l’hanno trovato una coppia di torinesi, Piero e Gianna, convinti che questo patrimonio culturale non dovesse andare perso. Per due persone era un impegno troppo grande. Nell’89 nasce allora a Torino l’associazione culturale Torri Superiore con uno scopo ambizioso: completare la ristrutturazione della borgata e spingere i soci ad abitarci. Solo per togliere le macerie e ripulire i sentieri ci sono voluti 13 campi internazionali organizzati in collaborazione con Legambiente e il Servizio civile internazionale. Giorno dopo giorno, i volontari di tutti i paesi con il loro lavoro hanno portato alla luce un intricato labirinto di scale, salite e discese, porte nascoste dai sottoscala, archi a sesto ribassato, terrazze, su un paesaggio da togliere il fiato. Finalmente nel ‘95 i primi residenti: Massimo, Lucilla e Antonella. 42 «C’erano solo tre stanze agibili, e per riscaldarci d’inverno dovevamo spostare continuamente le bombole e le stufette elettriche che facevano saltare continuamente la luce - racconta Lucilla Borio, presidente dell’associazione - abbiamo vissuto veramente una vita di “frontiera” facendo marmellate e leggendo libri al freddo la sera». Oggi risiedono 10 adulti e 5 bambini. Natura protagonista. Un ecovillaggio si può pensare come una fucina dove sperimentare modi di vita in armonia con la natura. Fin dall’inizio la ristrutturazione di Torri è stata eseguita rispettando i criteri della bioarchitettura cui gli ecovillaggi devono ispirarsi: sabbia e calce al posto del cemento, legno, isolanti di sughero, ottime malte, tinte naturali che annullano il problema dell’umidità, ma anche i pannelli solari usati per scaldare l’acqua. In progetto c’è la costruzione di un grande impianto a legna da alimentare con i rami prodotti dalla potatura degli uliveti che faccia da forno per cucinare, riscaldare le abitazioni e l’acqua. Non ci si è dimenticati del “piacere”: le stanze sono semplici, ma calde e accoglienti. Torri è il primo centro a far parte dell’Accademia italiana della permacoltura, un sistema di coltivazione biologica che non fa alcun uso di concimi, neppure naturali. Da qui si snoda il sentiero tra le colline e il fiume dalle acque cristalline. Lucilla mostra erbe e fiori che usa per fare le tisane, le creme e i saponi. E le terre: un appezzamento con gli ulivi, gli ortaggi, l’allevamento di api ma anche la terrazza coltivata a frutteto con gli aranci e i limoni che crescono selvaggi e qualche avocado. Da giugno qui è stata inaugurata una “Casa per ferie” e un ristorante per chi vuole godersi le vacanze, con una parte riservata ai volontari o a chi vuole proporre attività artistiche di ogni genere ed esperienze più spirituali. Tra le attività che si possono svolgere durante le vacanze ci sono i corsi: di ceramica, di permacoltura, corretta alimentazione e anche un corso specifico di progettazione per imparare a realizzare nuovi ecovillaggi, con gli australiani Morag Gamble ed Evan Raymong. Vitto e alloggio in pensione completa costano 35 euro al giorno, prezzo più che contenuto. Per arrivare qui c’è un pulmino, con 5 corse al giorno, che parte dalla stazione di Ventimiglia. Una comunità, mille storie. Come tutti gli ecovillaggi, anche Torri è una comunità. Questo la distingue dagli agriturismi. La preparazione dei pasti, le pulizie, la spesa sono a turno, ma ogni residente ha la sua abitazione e ogni settimana ci sono le riunioni per discutere gli acquisti, la politica, i fornitori. Chi viene qui si trova immerso nella vita di gruppo. Ci si alza con il sole che inonda la stanza e il profumo del pane appena sfornato, durante il giorno si può condividere la vita di comunità oppure inoltrarsi nell’entroterra per i sentieri più diversi o ancora scendere fino al mare attraverso strade dai paesaggi mozzafiato. La sera ci si ritrova nel giardino, intorno a un fuoco, con gli ospiti che arrivano da tutta Europa; si beve whisky irlandese e vino biologico cantando ognuno le canzoni tradizionali del suo paese. E poi ci sono i residenti, anche loro provenienti da varie parti del mondo. L’eclettica Nina, sudcoreana, con Daniel e i loro tre bambini vengono da Berlino. Da Monaco viene Claudia, che tutte le mattine incontri al tornio con le mani sull’argilla intenta a modellare e cuocere le sue opere: piatti, tazze, teiere, dai colori pastello e i disegni delicati: stelle, pesci, linee curve. I bambini parlano tutti almeno due lingue e non sembrano accorgersene, perché la multiculturalità è di casa. Massimo e Daniel sono gli esperti di agricoltura biologica e con Antonella si occupano dei campi. In ufficio invece Lucilla, Kasimir e Cristina sono impegnati a rispondere alle richieste dei numerosi ospiti. «L’attività di accoglienza è diventata sempre più importante nella nostra esperienza» spiega Lucilla. «Le persone interessate a fare questa esperienza di vita, anche se per breve tempo, sono sempre di più, anche solo per riposarsi in un bel contesto naturale». Pur non entrando a pieno titolo nella categoria del turismo responsabile, la rete degli ecovillaggi (che infatti non aderisce ufficialmente ad Aitr, l’associazione italiana turismo responsabile) è tuttavia una realtà in crescita molto affine ai principi del turismo responsabile. All’estero, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, parte dell’introito dell’accoglienza turistica viene utilizzato per il finanziamento di progetti di sviluppo, sempre più percorsi ecoturistici utilizzano gli 43 ecovillaggi come base di partenza, mentre i residenti degli stessi ecovillaggi si aprono al territorio tramite i corsi di formazione, i seminari e le attività produttive volte a valorizzare i prodotti locali. 44 11. Esperienze di turismo responsabile nel mondo 11.1 EUROPA: Romania inconsueta, grazie alla società civile Finalmente la Romania ha capito che il turismo non è affatto una cosa da sottovalutare. E presa coscienza delle proprie immense risorse naturali, i rumeni hanno realizzato che il paese ha molto da offrire in questo ambito. Tanto per cominciare, il 31% dei 237.500 chilometri quadrati di superficie del paese è coperto da montagne. Sono i Carpazi, sui quali è possibile praticare ogni tipo di sport e qualsiasi forma d’alpinismo, e dove gli appassionati di speleologia hanno a disposizione più di 14.000 grotte distribuite in un’immensa zona carsica. Ma non basta, perché in Romania c’è il litorale del Mar Nero, il magnifico Delta del Danubio, e le numerose chiese e monasteri che hanno resistito nei secoli alle intemperie e alle numerose invasioni straniere. Un immenso patrimonio a disposizione che presenta un unico problema: le autorità rumene. Queste ultime infatti, fino a poco tempo fa, non hanno saputo promuovere adeguatamente il paese dal punto di vista turistico, trascurando l’organizzazione dei servizi e delle infrastrutture. E i turisti hanno disertato il paese. Ma oggi sembra esserci una lieve inversione di tendenza, e il 2004 si è mostrato inaspettatamente di buon auspicio per il turismo: secondo i più recenti dati dell’Organizzazione mondiale del turismo, infatti, la Romania è seconda solo alla Croazia per crescita assoluta del numero annuale di turisti. E nel primo semestre dell’anno il numero di stranieri in visita è cresciuto del 30,75% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo ha fatto sì che, a partire dall’inizio del 2004, anche l’amministrazione di Bucarest si sia accorta dell’enorme risorsa su cui governa e si sia dichiarata apertamente decisa a cambiare la strategia in materia, puntando su un turismo rurale, ecologico e responsabile nei confronti delle popolazioni che abitano le aree interessate. Ospitalità auto-organizzata. Il cambio di direzione è stato evidente. A partire dal 2004 le autorità rumene hanno dato vita a una campagna pubblicitaria non più centrata sul personaggio del Conte Dracula (campagna fallita nel 2003 con appena cinque milioni di turisti attirati nel paese), ma sulle numerose risorse naturali. Nicu Radulescu, presidente dell’Autorità nazionale per il turismo, ha sostenuto che: «La Romania può diventare la prima destinazione ecoturistica dell’Europa». E per la campagna di promozione e i lavori di sviluppo delle infrastrutture turistiche sono già stati stanziati quasi 80 milioni di euro. I fondi vengono investiti soprattutto nelle aree di interesse turistico quali il Porto di Tomis, sul Mar Nero, le zone rurali della Bucovina (nel nord-est del paese) ricche di monasteri, le foreste carpatiche e il Delta del Danubio. E in effetti, sulla base dei dati esistenti, proprio le zone rurali sembrano essere la chiave di volta per lo sviluppo futuro del turismo rumeno. I responsabili di Bucarest puntano oggi sul turismo ecologico nelle campagne promuovendo l’iniziativa privata nata ormai da anni, in particolare le microimprese dei contadini locali. Stanchi di aspettare l’avvento di aiuti governativi che tardavano ad arrivare, a partire dagli anni ’90 gli abitanti delle fitte foreste sulle montagne dei Carpazi, come i cittadini dei villaggi sul Delta del Danubio, hanno dato vita a una serie di iniziative di agriturismo autorganizzato. Oggi sono gli stessi contadini a salire in cattedra e a suggerire le strategie in materia al governo. E per raccogliere l’importante bagaglio di conoscenze sviluppato negli anni dalle microimprese turistiche è nata nel paese l’Associazione nazionale del turismo rurale, ecologico e culturale (Antrec). Carpazi, culla dell’eco-turismo. Costituita 10 anni fa, l’Antrec è un’associazione non governativa e non a fini di lucro i cui membri sono gli stessi proprietari di pensioni agrituristiche. I padri fondatori nel lontano 1994 hanno individuato come punto di partenza delle loro azioni una zona di montagna denominata Bran-Moeciu, in Transilvania. Oggi questa località è considerata la “capitale” del turismo rurale rumeno, e intorno al famoso Castello di Dracula la gente di Bran-Moeciu ha messo in piedi un vero e proprio modello per tutto il paese. Nella zona le case in costruzione sono parecchie, ma nonostante il “boom” turistico nessuno è disposto a edificare senza rispettare l’ambiente e la 45 tipologia costruttiva locale: le case sono infatti tutte rigorosamente in legno, arredate in stile rustico e dotate di moderni bagni. Sono persone semplici, gente di montagna che dieci anni fa ha scommesso su un tipo di turismo particolare. E oggi si può ben dire che abbiano vinto, tanto che anche il governo di Bucarest gli sta dando ragione. Quasi tutti questi proprietari di pensioni nei villaggi sono soci dell’Associazione, che li promuove in Romania e all’estero, e sostiene la salvaguardia ambientale sia nei confronti dei proprietari delle pensioni che dei turisti. E l’Antrec, ormai riconosciuta in tutto il paese, conta oggi più di 3.500 iscritti. I suoi principi vincenti si basano su cose semplici: la natura, la tranquillità, l’ospitalità della gente, l’aria buona e il cibo sano. I proprietari, dal canto loro, propongono prodotti rigorosamente fatti in casa: crescono gli animali e coltivano direttamente frutta e verdura. La mattina gli ospiti vengono svegliati dal canto del gallo e ogni sera ammirano lo spettacolo delle mucche che rientrano nel villaggio e si fermano sicure davanti alla porta della stalla, aspettando che i padroni le facciano entrare. Nei villaggi montani si può godere di un particolare silenzio, in un luogo dove il tempo scorre tranquillo, dove i cellulari e le televisioni ancora non esistono. Sono cose semplici ma profonde che fanno parte dall’eternità perché, come dice il poeta rumeno Lucian Blaga, “L’eternità è nata nel villaggio”. Strategie nazionali. Il turismo rurale promosso dall’Antrec è quindi focalizzato sul patrimonio naturale dei villaggi rumeni, sull’identità del popolo, sui costumi e sulle tradizioni. L’associazione propone agli albergatori interessati una serie di scambi di esperienze con altri paesi e corsi di perfezionamento in Romania e all’estero, nel tentativo di creare una visione più ampia di come deve essere trattato il turista. In questi corsi non viene insegnata solo la creazione di servizi di qualità, ma anche l’attenzione alla discrezione, al rispetto dell’intimità del turista che rifugge il caos cittadino per cercare un rapporto vero con la natura. I contadini hanno ormai capito di avere qualcosa di valore da offrire, qualcosa che in molti paesi occidentali non esiste più. Capita spesso di incontrare un turista tedesco, olandese o francese - tra i maggiori clienti delle pensioni rumene - mungere una mucca con gioia, altri ospiti raccogliere uova fresche appena fatte dalle galline o partecipare ai lavori agricoli con entusiasmo. E la famiglia carpatica che vive nel villaggio da generazioni non crede ai suoi occhi: spesso i turisti stranieri sono disposti a pagare per poter aiutare i contadini nel loro lavoro quotidiano. C’è chi paga 6 euro al chilometro per essere trasportato in carrozza sulle colline per mietere grano dall’alba al tramonto. E non mancano certo le occasioni di svago. «Si respira un senso di allegria generale» spiega Ion Apostoliche, intraprendente boscaiolo e proprietario di una pensione nella valle della Doftana. Ion ingaggia spesso musicisti locali con i loro violini per allietare le giornate di lavoro nei campi dei suoi ospiti stranieri. Numerosi gli appuntamenti primaverili ed estivi nel paese, capaci di attirare numerosi turisti rumeni e stranieri: ogni anno si svolgono il festival della trota e quello delle Sarmale (cibo tradizionale rumeno a base di involtini di carne macinata). Ci sono poi la Pasqua ortodossa, con le uova rosse che vengono dipinte nelle case dei contadini, o il Natale con il tradizionale “sacrificio” del maiale. Inoltre in inverno i turisti possono effettuare escursioni su slitte da neve trainate da cavalli. Delta del Danubio: l’Eldorado rumeno. Tra le risorse naturali su cui poggia il sistema turistico rurale della Romania il Delta del Danubio è sicuramente la più importante. Questo luogo ha infatti registrato da un anno all’altro la maggiore crescita di turisti di tutto il paese, con un +47,43% nel primo semestre del 2004 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Con una superficie di 5640 km quadrati, 300 specie di uccelli e più di 1150 tipi di piante, il Delta è stato dichiarato dall’Unesco “Riserva della biosfera”. Il governatore della Riserva del Delta, Virgil Munteanu, stima che l’area potrebbe accogliere due milioni di turisti l’anno. E sul Delta del Danubio vivono attualmente circa 15.000 persone, tutte interessate a uno sviluppo sostenibile dell’area. I villaggi di pescatori sono realtà tipiche, dove l’ospitalità della gente è una caratteristica culturale dell’area. Qui, anche se il fenomeno è ancora all’inizio, le pensioni agrituristiche nascono da un giorno all’altro. La filiale Antrec della zona si trova a Tulcea, all’interno della sede dell’Amministrazione della riserva del Delta del Danubio, e il rappresentante si chiama Silviu 46 Gheorghe: «Nel 1997, quando ero ancora studente - spiega - ho deciso insieme a un collega di investire nel turismo rurale. All’inizio con la costruzione di due case. Poi altre quattro e così via. Si era creato un modello di successo e la gente veniva con fiducia da noi per ottenere consigli in merito». Oggi la pensione di Silviu Gheorghe, una “tre margherite” di nome Nufarul, situata sul braccio Crisan del Danubio, dispone di camere con servizi singoli, mobili in legno tradizionale e balcone con vista sul fiume. La pensione completa costa 25 euro al giorno a persona e il cibo viene preparato in casa. «E capita spesso che i turisti tedeschi o francesi - continua il gestore - si “lamentino” del troppo cibo». Il piatto tradizionale è sicuramente la zuppa di pesce e in modo particolare quella di siluro, preparata in casa con acqua filtrata dal Danubio, e servita con polenta calda. Gli albergatori o i pescatori del Delta mettono a disposizione degli ospiti, per pochi euro, le loro barche per visitare i canali e vedere flora e fauna unica nel mondo. Oggi l’offerta turistica sul Danubio è talmente variegata da poter soddisfare anche i turisti più esigenti: chi non vuole fare a meno dei confort può rivolgersi al Sunrise, albergo a tre margherite con camere ultra moderne, aria condizionata, piscina e palestra. E i prezzi sono proporzionati ai servizi: 60 euro una stanza con prima colazione inclusa e 10 euro per un’ora con la barca a motore lungo i canali (il prezzo che un pescatore con la sua barca a remi chiede per una giornata intera). Per la navigazione di lungo corso, è possibile spostarsi sui canali del Delta con le navi della compagnia nazionale pubblica Navrom. I battelli fermano anche nei piccoli villaggi con frequenza giornaliera. Accanto al servizio pubblico sono nate anche alcune iniziative private, come il collegamento veloce che da Tulcea, la principale città di partenza per i villaggi del Danubio, in metà tempo, e per il doppio del prezzo, porta in tutti i villaggi dei pescatori (10 euro, ad esempio, da Tulcea a Crisan, nel centro del Delta). Luci e ombre. La Romania negli ultimi anni ha scoperto nel turismo potenzialità che fino a pochi anni nessuno si sarebbe nemmeno immaginato. E non si tratta solo del turismo rurale e delle bellezze naturali, ma anche dei numerosi siti archeologici con testimonianze dei Traci o dei periodi ellenico e romano presenti sul territorio, che le autorità locali, con l’appoggio dell’Antrec, stanno cercando di pubblicizzare in tutto il mondo. Oggi il business nel turismo rurale rumeno ha raggiunto livelli tali da attrarre non solo gli investitori locali ma anche quelli che vengono da fuori. Ci sono ad esempio stranieri che si sono trasferiti in Romania e hanno cominciato a costruire pensioni agrituristiche da 4 o 5 “margherite”. Le pensioni vengono infatti contraddistinte da una serie di margherite, da 1 a 5, che ne misurano la qualità alla stregua delle stelle europee. E una pensione completa due margherite costa intorno ai 20 euro al giorno a persona. Uno dei casi più noti è quello di un inglese, Julian Ross, che nel 1999 si è stabilito in un villaggio dove oggi accoglie turisti e alleva cavalli. Ogni stagione, almeno 2000 ospiti dagli Stati Uniti, Inghiltera, Germania, Olanda, Italia, Francia e Spagna arrivano da Ross per passare “una vacanza in sella”. Per non parlare del principe Carlo d’Inghilterra che, innamorato dei paesaggi della Transilvania, ha investito diversi soldi nel turismo rurale della zona di Sibiu e ogni anno torna nel villaggio per parlare con i suoi abitanti. L’anno scorso la voce turismo ha contribuito all’incremento dell’1,4% del Pil della Romania. Dati, per altro, assolutamente irrilevanti in confronto al vero potenziale o rispetto ai risultati raggiunti da altri paesi limitrofi come Grecia, Bulgaria o Turchia. Siamo solo all’inizio, ma i segnali sono positivi: il numero di turisti nel 2004 è stato in considerevole crescita e continuano i finanziamenti per chi vuole mettere in piede un business nel ramo del turismo. Sono in arrivo oltre 68 milioni di euro di finanziamenti destinati a persone fisiche, associazioni familiare, società agricole o commerciali sul territorio. E i progetti di turismo responsabile valutati positivamente vengono finanziati del 50% con contributo pubblico. Meno responsabile, e sempre sostenuta dalle autorità rumene, si è mostrata l’iniziativa che mirava alla costruzione del Dracula Park, intorno alla città medievale di Sighisoara, in Transilvania. Solo grazie alle proteste degli ambientalisti di tutto il mondo e dell’Unesco la popolazione civile è riuscita a bloccare il folle progetto. Che comunque non è ancora stato accantonato definitivamente. 47 E mentre si tira un sospiro di sollievo per il mancato scempio del Dracula Park sui Carpazi, arriva un’altra minaccia, questa volta nel Delta del Danubio. Nonostante quest’area sia una risorsa per la popolazione locale e una realtà unica al mondo, e malgrado ormai gli abitanti abbiano capito l’importanza di preservare le aree naturali, oggi la minaccia arriva dai paesi confinanti. Verrà infatti costruito dall’Ucraina un nuovo canale, denominato Bastroe, che collegherà la loro parte del Danubio al Mar Nero, con effetti sicuramente disastrosi per l’ecosistema. Le ong rumene e internazionali, l’Unesco, le autorità di Bucarest, l’Ue e gli Stati Uniti hanno protestato per la decisione del paese ex-sovietico. Ma gli inizi dei lavori di realizzazione del canale sono già stati inaugurati e alla Romania non rimane che cercare soluzioni per prevenire un eventuale disastro ecologico nel Delta, che potrebbe cominciare con la morte di migliaia di uccelli protetti. ■ Informazioni utili Cos’è e cosa fa l’Antrec? L’Associazione nazionale del turismo rurale, ecologico e culturale (Antrec, www.antrec.ro), è un’associazione non governativa affiliata alla Federazione europea del turismo rurale. Attualmente Antrec ha 32 filiali, con oltre 3500 membri proprietari di pensioni turistiche e agrituristiche in 800 località della Romania, per un totale d’offerta di 20.000 alloggi. Nel corso del 2003 i turisti che si sono rivolti all’associazione erano per il 75% turisti rumeni e per il restante 25% turisti stranieri. Da quest’anno l’associazione ha creato una rivista intitolata “Vacanze in campagna” e una guida delle pensioni agrituristiche per il 2005, rintracciabile sul sito Internet. Inoltre Antrec promuove costantemente iniziative in materia di turismo in Romania, come la proposta di una legge per porre freno al “turismo in nero” nel paese, o la richiesta al governo di sgravi fiscali per aiutare lo sviluppo del turismo responsabile. 11.2 AFRICA: Senegal, dall’all inclusive alle vacanze in famiglia “Mare tiepido sotto l’influenza della corrente marina che scende dalle Canarie, aria fresca, spazzata dagli alisei, sole cocente, in un cielo senza nuvole, che riscalda, tonifica e dà alle pelli bianche il velluto delle pelli nere”. Così scriveva Léopold Sédar Senghor, poeta della négritude e primo presidente del Senegal indipendente. Quasi un elogio dell’abbronzatura e del turismo, nello stesso periodo in cui a prevalere era piuttosto il risentimento anti-coloniale e la critica a un turismo di massa troppo spesso percepito come una “nuova forma di imperialismo” economico e culturale. Coerente con il proprio orientamento filo-occidentale, una volta ottenuta l’indipendenza il presidente Senghor non rimise in discussione il rapporto preferenziale con la Francia, e aprì il paese agli investimenti esteri anche nel campo del turismo. Gradualmente, tale settore ha guadagnato un posto importante nell’economia senegalese, fino a diventare la seconda fonte di reddito dopo la pesca. Tuttavia, nella vita quotidiana delle località turistiche è difficile trovare traccia dell’umanesimo di Senghor, che auspicava l’incontro delle culture europea e africana nel reciproco rispetto e su un piano di parità. In Senegal è prevalso un modello di turismo balneare ad alto impatto, estremamente polarizzato dal punto di vista geografico e largamente gestito dalle imprese multinazionali del settore alberghiero. Il classico villaggio all inclusive, insomma, in cui peraltro le occasioni di incontro tra il turista e l’abitante locale sono piuttosto ridotte. Ad esempio, a Saly-Portudal, la più importante stazione balneare della Petite Côte - a sud di Dakar - l’accesso alle spiagge è vietato ai senegalesi: i venditori ambulanti percorrono in continuazione la passerella alle spalle della spiaggia e possono avvicinarsi ai bagnanti soltanto su espressa richiesta di questi ultimi. Non sono mancate, naturalmente, numerose critiche a questo modello di sviluppo turistico: nel 1982 l’Enda, organizzazione non governativa con base a Dakar, pubblicò uno studio dal quale emerse 48 un’ampia diffusione del turismo sessuale presso la costa. I giornali hanno spesso denunciato l’impatto ambientale negativo della presenza troppo numerosa e troppo concentrata dei turisti. Da critiche simili trasse ispirazione il progetto di “turismo rurale integrato”, elaborato all’inizio degli anni Settanta dall’Acct, una agenzia di cooperazione inter-africana: in tempi non sospetti, quando l’idea di “sviluppo sostenibile” e le iniziative a favore del turismo responsabile dovevano ancora vedere la luce, tale progetto incoraggiò la formazione di campements in grado di accogliere turisti in alcuni villaggi rurali della bassa Casamance, una regione meridionale al confine con la Guinea Bissau. Gruppi poco numerosi, accoglienza spartana in edifici costruiti secondo l’architettura tradizionale, utilizzo dei servizi locali e gestione dei profitti da parte delle cooperative di villaggio: questi furono i principi alla base di un’esperienza piccola ma molto innovativa, un modello ante litteram di sviluppo turistico realmente alternativo. Purtroppo, a partire dagli anni Ottanta, la regione della bassa Casamance precipitò nel disordine politico e militare a causa delle rivendicazioni indipendentiste, e il progetto venne progressivamente abbandonato. Turismo responsabile e integrato a Mbour e Sokone. Oggi, il Senegal è, nel gergo turistico, una destinazione “matura”. Il suo principale mercato, la Francia e i turisti francesi, è in declino, anche se altri - Italia, Spagna, Germania - hanno guadagnato importanza. La presenza dei turisti rimane numericamente importante, ma la concorrenza delle nuove destinazioni è sempre più forte. Eppure, gli effetti dello sviluppo turistico degli ultimi decenni restano ben visibili, in termini di degrado ambientale e di urbanizzazione incontrollata nelle aree più coinvolte dal fenomeno. Per questo, ora che la sensibilità verso queste problematiche è aumentata, si moltiplicano le iniziative di turismo responsabile nel territorio senegalese, promosse essenzialmente da associazioni culturali e da realtà operanti nel mondo della cooperazione allo sviluppo. Il progetto di “turismo responsabile e integrato” ideato dalla Comunità promozione e sviluppo (Cps), una piccola organizzazione non governativa con sede a Castellammare di Stabia (Napoli), si pone sin dal nome in ideale continuità con l’esperienza della Casamance degli anni Settanta. Non si tratta più solo di turismo rurale: la Cps ha infatti sede a Mbour, una caotica e vivace città costiera a 85 km a sud di Dakar. Celebre porto di pesca, Mbour è anche il capoluogo della provincia della Petite Côte, l’area a maggiore concentrazione di stazioni balneari di tutto il paese, e ha visto in circa trent’anni quintuplicare la propria popolazione, oggi stimata attorno alle 250 mila unità. La nascita di enormi quartieri periferici e l’aumento esponenziale della popolazione, che ha di molto superato l’effettiva domanda di lavoro da parte dell’industria turistica, pongono seri problemi alla gestione e all’organizzazione dei servizi. Per questo la Cps, unica organizzazione non governativa straniera presente in città, attiva dal 1977 in diversi progetti di assistenza sanitaria, di formazione, di sostegno all’infanzia e di recupero ambientale, ha aderito all’Associazione italiana turismo responsabile e, tra ottobre 2000 e maggio 2001, ha intrapreso uno studio di fattibilità per la creazione di un circuito di turismo responsabile nella regione di Mbour. Gli scopi dichiarati sono essenzialmente due. Da una parte, creare opportunità di sviluppo locale, inteso come un percorso partecipativo che coinvolga le diverse fasce della popolazione, che sia autopromosso, preveda interventi paralleli in più settori e sia svolto in partenariato con le istituzioni locali. Dall’altra, combattere gli impatti nocivi del turismo dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Lo studio di fattibilità ha comportato l’organizzazione di riunioni e seminari sul turismo, con il coinvolgimento delle realtà associative già esistenti nei diversi quartieri della città: associazioni giovanili e femminili, tontines, gruppi sportivi. Alla fine, sono stati scelti tre quartieri in cui avviare il progetto, tenendo in considerazione l’interesse manifestato da parte della popolazione e le particolari condizioni di disagio vissute in quelle aree: i due quartieri periferici di Grand Mbour, a nord-ovest del centro, e di Medine-Liberté, a nord-est, e il quartiere di Mbour Maure, zona costiera più vicina al centro della città. Nei primi due casi, si tratta di quartieri sviluppatisi in epoca recente e in maniera disordinata, in conseguenza dell’enorme afflusso di immigrati dalle zone rurali: piuttosto isolati rispetto al resto della città, essi mancano di servizi e infrastrutture - vi sono, ad esempio, 49 pochissime strade asfaltate - e, nonostante l’associazionismo sia piuttosto dinamico, scarseggiano i centri di aggregazione e persino le attività commerciali. Mbour Maure è invece abitato in prevalenza da mauri, gruppo etnico originario della Mauritania, molto attivo nel commercio ma scarsamente integrato con il resto della popolazione senegalese. Nella prospettiva di costruire un percorso turistico diversificato, che comprenda zone urbane e zone rurali, lo studio di fattibilità ha preso in considerazione altre aree del paese, anche distanti da Mbour. La scelta si è infine orientata verso la comunità rurale di Sokone, situata presso il delta del fiume Saloum: si tratta di un piccolo centro, circondato da un ambiente naturale decisamente più rigoglioso dei paesaggi saheliani, e somigliante, per vegetazione, piuttosto alla Casamance. Sviluppo locale a base cooperativa. Tra gli ultimi mesi del 2001 e i primi del 2002, i quattro gruppi individuati come interlocutori dalla Cps - uno per ogni località prescelta - si sono costituiti in altrettanti Groupements d’intérêt économique (Gie): si tratta di strutture associative paragonabili alle nostre cooperative. I Gie hanno inserito nei rispettivi statuti l’obbligo di reinvestire tutti gli utili nelle esperienze di promozione e di sviluppo locale, di fatto costituendosi come organismi no profit; essi hanno inoltre avviato piccole attività generatrici di reddito, per garantire sostenibilità ai progetti e reperire nuove risorse oltre al turismo. Se la Cps mantiene un ruolo di coordinamento del progetto nel suo insieme, sono i Gie a gestire di fatto le attività legate ai viaggi di turismo responsabile e soprattutto, attraverso le cariche elettive e le commissioni tematiche elette dalle assemblee dei soci, a controllare le risorse finanziarie a disposizione. Ma cosa fanno i Gie e le famiglie coinvolte in questo progetto? Vediamo un esempio. Il Gie “Quartier Grand Mbour”, con sede nella periferia nord della città, è uno dei più attivi nell’accoglienza dei turisti. Attraverso incontri e seminari, alcune famiglie del quartiere, di volta in volta diverse, si offrono per accogliere i turisti in visita nelle loro stesse case e ricevono a tale scopo una formazione adeguata: la scelta di alloggiare i turisti in famiglia è stata fatta non soltanto per ridurre l’entità degli investimenti iniziali, ma anche e soprattutto per permettere ai turisti un incontro più “ravvicinato” con la popolazione del quartiere, condividendone in parte la vita domestica. Alle famiglie che ospitano è richiesto l’uso delle zanzariere e dei filtri di depurazione per l’acqua: oltre a garantire un minimo livello di confort ai turisti, il Gie intende così promuovere l’uso di questi strumenti di prevenzione sanitaria presso le famiglie, anche quelle che non ospitano i turisti. A questo scopo, tre donne del Gie hanno ricevuto una formazione specifica e si occupano di costruire e promuovere semplici filtri per l’acqua, ottenuti montando insieme due secchi di plastica e alcuni tubi di ceramica in grado di trattenere le impurità: i filtri sono commercializzati dal Gie stesso a prezzi bassi e pagabili a rate. Le famiglie che ospitano i turisti condividono con loro la colazione e il pasto serale; esse ricevono un rimborso per le spese sostenute e un compenso, mentre il resto rimane al Gie, che può così reinvestire il guadagno in altri progetti di sviluppo locale. In media, il compenso per le famiglie costituisce il 29% circa della somma pagata dai turisti; della stessa somma, al netto delle spese, il Gie ne trattiene il 54%. Le spese comprendono l’organizzazione delle attività di visita e delle serate culturali organizzate per i turisti stessi, che hanno così la possibilità di conoscere la città e i suoi dintorni e di partecipare ad alcune cerimonie di tipo tradizionale. Per evitare il rischio di “monocoltura” turistica e diversificare le attività, ogni Gie mette poi in piedi alcune “attività generatrici di reddito” in grado di garantire maggiore sostenibilità economica all’intero progetto. Il Gie di Grand Mbour, ad esempio, affitta sedie di plastica per le cerimonie: può sembrare strano, in realtà si tratta di un’attività molto diffusa, dato che in Senegal le cerimonie religiose e le feste prevedono spesso un alto numero di partecipanti e le famiglie devono prendere in affitto le sedie per i propri invitati. Nel quartiere di Medine-Liberté, la vendita di batik prodotti artigianalmente integra le entrate del gruppo: per ora i principali clienti sono gli stessi turisti “responsabili”, ma la cooperativa cerca sbocchi anche sul mercato locale. Inoltre, il Gie gestisce un mulino di quartiere per macinare il miglio - alimento essenziale per la cucina locale. A Sokone, 50 comune rurale con meno servizi e meno esercizi commerciali, è in programma la creazione di un centro polivalente che comprenda un télécentre, una copisteria e un piccolo ristorante, rivolto alla clientela locale. In generale, tali attività beneficiano di un investimento iniziale della Cps; ma esse creano centri di aggregazione e mobilitano energie positive, “contaminando” il settore commerciale con esercizi a base cooperativa i cui utili possono essere reinvestiti in iniziative di utilità pubblica scelte dai Gie stessi. I contributi attivi dei Gie allo sviluppo locale si concretizzano, a seconda dei casi, in attività differenti. A Grand Mbour il Gie, oltre a sostenere la costruzione e la promozione di filtri per l’acqua, contribuisce alle spese delle cases communautaires, gli asili autogestiti presenti nel quartiere. A Sokone collabora con l’amministrazione municipale nell’organizzazione della raccolta dei rifiuti, nel tentativo di migliorare un servizio molto carente. Soprattutto, a Mbour Maure è stato avviato un fondo di credito per le donne del quartiere: nel 2003, in soli tre mesi, tra settembre e dicembre, 24 donne hanno potuto beneficiare del credito, e i prestiti sono tutti restituiti puntualmente, come capita per altre esperienze riuscite di microcredito. Tutti i Gie, inoltre, collaborano con la Cps e con un’altra organizzazione non governativa, la Lvia di Cuneo, al progetto “latrines et puisards”, che prevede la costruzione di latrine e pozzi per le acque sporche nelle case, al fine di ridurre l’inquinamento e sopperire alla mancanza di infrastrutture. Nel corso del 2003 i Gie hanno accolto e accompagnato a Mbour e Sokone 5 gruppi di turisti in periodi diversi dell’anno, per un totale di 71 persone. Si tratta di numeri piccoli, in linea con il principio di privilegiare gruppi poco numerosi e di mantenere entro certi limiti l’impatto del turismo sull’economia locale; tuttavia, sono cifre che testimoniano il consolidamento del progetto nel tempo e il suo relativo successo nell’ambito dei circuiti di turismo responsabile. Il fatturato complessivo dell’attività dei Gie per il 2003 ammonta a circa 12 mila euro, di cui il 58% legato direttamente all’attività del turismo. Una cifra considerevole, dal momento che il Pil dell’intero Senegal del 2003 è stato di poco superiore ai 5 milioni e mezzo di euro (5.621.951 euro, Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, Country Report marzo 2004), a fronte di un reddito pro capite di soli 471 euro all’anno. Di questi 12 mila euro, un 10% ha costituito il compenso per le famiglie impegnate nell’ospitalità dei turisti, mentre un altro 10% è speso per i salari dei 21 lavoratori impiegati - di cui 6 fissi e 15 saltuari. Complessivamente, i finanziamenti erogati dalla Cps superano di poco i 6 mila euro, il che significa che l’organizzazione rimane un finanziatore importante, specialmente per quanto riguarda gli investimenti iniziali di un certo rilievo, ma anche che i Gie hanno generato quasi il doppio dei finanziamenti “iniettati” dall’esterno. Il traguardo della totale indipendenza e sostenibilità del progetto non è forse immediato, ma rimane l’obiettivo finale: nel frattempo, la struttura dei Gie si rafforza con il tempo e cresce la capacità di investire in nuovi interventi e attività di sviluppo. “Amici”, non turisti. Chi desidera partecipare all’esperienza del turismo responsabile e integrato a Mbour e Sokone si rivolge a Viaggi Solidali, un’agenzia di Torino specializzata nel turismo responsabile, creata nel 2000 da cinque organizzazioni non governative già attive nel settore. Il viaggio proposto copre in realtà un percorso più vasto e completo, che include anche attrazioni turistiche “classiche” - il Lago Rosa, il parco ornitologico di Djoudj, le città di Dakar e Saint-Louis - oltre che l’accoglienza in famiglia e la visita di progetti di sviluppo nella regione settentrionale di Louga, progetto “gemello” organizzato dal Cisv (Comunità impegno servizio volontariato) di Torino. I turisti che si avvicinano a questo tipo di esperienza, come in genere tutti i turisti responsabili, vogliono evitare le situazioni troppo “mediate”: non a caso, molto apprezzata è la soluzione dell’alloggiamento presso le famiglie, grazie a cui si verificano le principali opportunità di interazione spontanea e di scambio di idee. In famiglia si parla soprattutto di cultura, di cibo, di matrimonio, talvolta di religione. La cucina italiana e quella senegalese sono entrambe molto rinomate nei rispettivi continenti, e parlare di cibo significa parlare di economia, di quotidianità, della vita. Senza contare la condivisione del cibo, che crea insospettate solidarietà: «vedere i nostri 51 amici italiani sedersi per terra, mangiare con le mani attingendo dal nostro piatto… abbiamo capito di essere uguali» racconta divertita una donna di Mbour. Anche le appartenenze religiose creano occasioni di confronto, dato che l’Islam è molto importante nella definizione dell’identità senegalese. La pratica della poligamia, prevedibilmente, suscita perplessità e fa discutere i turisti, offrendo un esempio di diversità non facile da “digerire”, mettendo i partecipanti a confronto con un modello di organizzazione familiare molto differente dal loro. I turisti in questione sono in maggioranza convinti che i viaggi responsabili costituiscano l’unica opportunità per conoscere veramente il Senegal. Analogamente, i Gie, in accordo con la Cps, hanno ufficialmente stabilito di chiamare i partecipanti ai viaggi responsabili con l’appellativo di amis, amici, anziché qualificarli come semplici turisti. Tale scelta è spesso evocata come simbolo di una volontà di accoglienza lontana da eventuali interessi di arricchimento finanziario, e soprattutto a testimonianza di un rapporto alla pari. Una tale concentrazione di aspettative, da entrambe le parti, è certamente una risorsa e contribuisce a creare nei partecipanti un sentimento di soddisfazione; ovviamente, rappresenta anche un rischio, perché quando ci si aspetta molto non ci si accontenta facilmente. Partecipare al turismo responsabile, da viaggiatori o da organizzatori, comporta un investimento emotivo notevole: è in gioco la propria realizzazione e la percezione di sé in relazione all’alterità. Come spiega l’antropologo A. Simonicca, nelle sue forme più recenti il turismo «diviene sempre di più ricerca di un viaggio reale e autentico, incentrato sugli interessi e non più solo sul richiamo evocato dalle attrattive dei siti». Molto più che un semplice svago. Rafforzare la rete. Nell’ottobre del 2004, le due ong italiane Cps e Cisv, insieme al tour operator solidale torinese Viaggi Solidali/Cta, hanno promosso un seminario in Senegal per stimolare la messa in rete delle associazioni impegnate nell’attività di turismo responsabile. E per la prima volta, tutte le realtà che lavorano in partenariato con le ong italiane nel turismo responsabile in Senegal, hanno potuto incontrarsi e confrontarsi. Nel corso dell’incontro è stato fatto un bilancio più che positivo dell’operato negli anni passati: a partire dal 2000 infatti, Cps e Cisv, che insieme alle organizzazioni senegalesi sono impegnate nell’ambito del turismo responsabile come fattore di sviluppo nel paese, hanno visto crescere la rete di collaboratori locali. Nel 2002 è stato addirittura firmato un accordo di collaborazione comune, e oggi il tentativo, attraverso appuntamenti come quello dell’ottobre 2004, è di rendere il turismo in Senegal uno strumento di incontro e di confronto tra i popoli, e di integrare il turismo tra i fattori di sviluppo del territorio attraverso la gestione da parte della comunità locale. Sono stati evidenziati i buoni risultati ottenuti dall’attività di turismo responsabile e, soprattutto, la crescita continua e regolare del fenomeno nel paese. Dal suo debutto nel 2001, la rete ha organizzato 14 gruppi, per un totale di 155 turisti, e con una ricaduta economica per le organizzazioni locali di oltre 45.000 euro. E questi primi risultati, sostengono gli organizzatori del seminario, devono essere considerati solo come un primo passo in un percorso di crescita e di appropriazione del turismo responsabile da parte delle organizzazioni locali, che si attuerà nel corso di qualche anno, in partenariato con le ong italiane. Il riuscito seminario ha dato vita alla creazione di linee guida tra le organizzazioni locali, per avere una base di lavoro condivisa da tutti i partecipanti al fine di lanciare un programma comune per il futuro. 11.3 SUD AMERICA: Perù sostenibile, dall’Amazzonia alle Ande Lo stereotipo con il quale si rappresenta nell’immaginario dei turisti “occidentali” il Perù rinvia alle sue mitiche costruzioni e rovine di origine incaica, alla saga dei conquistadores spagnoli a caccia di oro e argento che ne rasero al suolo la fiorente civiltà nel 1500, ai tessuti sgargianti delle popolazioni andine, a vette scoscese alte fino a 7000 metri e valli impervie. 52 Ma il Perù è anche un paese dalle tensioni sociali estreme quanto il suo paesaggio, contraddizioni che travalicano la linea divisoria e spesso discriminante tra creoli, meticci e indios, e mostrano la loro crudezza nelle periferie urbane che vanno gonfiandosi alle porte della capitale Lima, per effetto delle correnti migratorie di origine rurale. E’ però soprattutto il Perù di Machu Picchu e dei sentieri pietrosi quello che attira ogni anno oltre 800 mila turisti, con un tasso medio di crescita dei visitatori che tra il 1995 e il 2000 è stato del 12%, secondo solo a mete dal tradizionale fascino esotico quali Brasile e Cuba. Tuttavia il Perù è a sua volta leader per quanto riguarda la crescita dei ricavi turistici: sono saliti infatti da 170 milioni di euro nel 1990 a 327 milioni nel 1995 sino a raggiungere quota 889 nel 2002 (dati WTO). Queste cifre assolute ragguardevoli incoronano il Perù come quarto mercato turistico dell’area centro-meridionale delle Americhe (copre infatti lo 0,7% del mercato complessivo); ma sono indici di una performance ancora migliore se si leggono in qualità di tassi annui di crescita, che nell’ultimo lustro (+25% tra ’95 e 2000) non hanno avuto eguali in Sud America, avvicinandosi ai migliori exploit dei paesi caraibici. Il turismo cresce dunque sulle Ande e accanto a quelli tradizionali cresce anche l’offerta di viaggi responsabili, sotto il profilo ambientale in primis: tanto che un apposito forum tecnico dedicato al turismo sostenibile, insediatosi per volontà del presidente Alejandro Toledo nel 2001, subito dopo la “Conferenza regionale Andina sull’Ecoturismo” tenutasi a Lima (in preparazione dell’anno internazionale dell’Ecoturismo proclamato dalle Nazioni Unite), ha il compito di stilare entro il 2010 un Programma Nazionale di Ecoturismo, mostrando in tal modo una sensibilità non comune del governo verso questo tema, riscontrabile in misura analoga solo in Ecuador (dove si rivolge un’attenzione speciale alla riserva delle isole Galapagos, “invase” ogni anno da 50 mila turisti). In Perù, come in altri paesi latinoamericani, specie dopo la svolta democratica del 2000 che ha visto tramontare la dittatura di Alberto Fujimori, il turismo si conferma un settore economico importante, anche perché sinonimo di un afflusso di valuta straniera, utile a dar sollievo a economie spesso ancora fragili rispetto ai mercati globali. Il quadro socio-economico. L’agricoltura riveste un ruolo di importanza fondamentale nell’economia peruviana. Nonostante la conformazione geografica non consenta un pieno sfruttamento del territorio (coltivato soprattutto lungo le coste pianeggianti), oltre il 37% della popolazione lavora nel settore primario, dedicandosi alla coltivazione di prodotti d’esportazione quali caffè, zucchero e riso. Voci importanti della bilancia commerciale del paese sono anche le esportazioni minerarie e gli stock di pescato, che vedono il Perù in questo campo tra i principali esportatori mondiali dopo Cina e Giappone. Se l’attività ittica, agricola e, in minor misura, industriale prevalgono nella parte occidentale del Perù, economicamente più vivace, all’interno, nella zona montuosa delle Ande, sulla sierra, e più ancora in quella orientale coperta dalla foresta amazzonica (pari al 60% della superficie nazionale), più integra rispetto a quella brasiliana, dominano invece forme di agricoltura e allevamento di sussistenza e l’estrazione di risorse fossili quali gas naturale e petrolio, specie in direzione dell’Ecuador. Nel complesso il Perù rimane uno degli Stati sudamericani più poveri sul piano economico, sebbene non del tutto deprivato socialmente secondo gli indicatori di sviluppo umano della UNDP (è al 73° posto nella classifica mondiale, con un HDI di livello medio, pari a 0,73, alle spalle di Venezuela, Colombia, Argentina, Cile e Brasile). La popolazione peruviana, circa 26 milioni di persone secondo le ultime stime ufficiali (1999), si concentra per la metà sull’altopiano racchiuso tra le cordigliere andine occidentale e orientale (blanca y negra), organizzata in ayllus (comunità di antica origine) e per un buon quarto lungo la costa oceanica, dove spiccano oltre alla capitale Lima (8 milioni di abitanti) i porti commerciali di Callao, Arequipa e Trujillo. 53 La parte orientale del paese, dove regnano una vegetazione e un clima tropicale, è invece la meno popolata e vi prevalgono etnie indigene che conservano gli idiomi ancestrali, aymara o quechua, che nel complesso rappresentano ancora circa la metà dell’intera popolazione peruviana. Proprio la regione che ha per centro la città di Iquitos, nel nord-est del paese, confinante con la Colombia e il Brasile, e dove i fiumi Maranon, Samiria e Nupo confluiscono nel nascente Rio delle Amazzoni, è teatro di alcune singolari esperienze di turismo ecologico e responsabile. Amazzonia da vivere: il consorzio Rumbo al Dorado. Nella regione di Loreto, nella parte nordorientale del paese, dal 2001 è stata istituita la riserva nazionale Pacaya Samiria, la seconda area naturale protetta del Perù, estesa per oltre due milioni di ettari nella conca disegnata dai fiumi Maranon a Ucayalli, dall’incrocio dei quali nasce il Rio delle Amazzoni, il fiume più lungo del mondo. Lì, la ong Green Life, nata nel 1999 da un gruppo di professionisti italiani, ha dato vita insieme a due ong peruviane e a tre comunità locali al consorzio Rumbo al Dorado, cominciando a organizzare dalla fine del 2002 mini tour di turismo ecologico a partire dal villaggio Vente de Enero, a cinque ore di barca da Iquitos, dotato di una ricchezza biologica e faunistica di notevole pregio, tra cui si segnalano specie in via di estinzione come la lontra gigante e il caimano nero. A quell’habitat delicato hanno fatto visita sinora un’ottantina di turisti, suddivisi in gruppi di otto persone, potendo ammirare la natura rivierasca ed entrando in contatto con le popolazioni indigene dei villaggi di Viente de Enero, Yarina e Cocha el Dorado, in prossimità dei quali si sono costruiti piccoli e spartani rifugi. Questa microimpresa sostenibile, citata come esempio di “buona pratica” da una specifica rassegna del World Tourism Organization, ha favorito il rimboschimento delle palme e uno sfruttamento razionale della flora presente nella riserva. Parte dei ricavati, sottratti i costi operativi e organizzativi dei tour (70%), è destinata alle comunità locali (20%) oltre alla quota fissa prevista per ciascun aderente ai viaggi proposti dall’agenzia Viaggi Solidali-Cta in Perù (52 euro) versata ai progetti di sviluppo e cooperazione internazionale, tra cui quello della ong veronese Mlal intitolato “Indocumentados”, che in 280 municipi nelle regioni di Apurimac, Ayacucho e Huancavelica intende porre rimedio al fenomeno della mancata iscrizione anagrafica dei bambini, nel 40% dei casi privi dalla nascita dei diritti di assistenza sociosanitaria derivanti dalla cittadinanza. Ma lo scopo ultimo di questo, come degli altri percorsi turistici proposti da Green Life, che forma e appoggia gruppi e comitati di accoglienza completamente locali (trovano impiego nel progetto di ecoturismo 30 peruviani), è quello di far raggiungere alle comunità coinvolte la piena autonomia nella gestione e promozione delle attività ricettive. Dal 2002 l’offerta di turismo responsabile di Green Life si è andata diversificando e ampliando, includendo proposte di itinerari riguardanti anche il resto del Perù e in particolari le zone di Lima e Cusco. Il pacchetto di visita responsabile “classica” proposto da Green Life prevede, nell’arco di 18 giorni, una visita alla parte coloniale e moderna di Lima, alla valle sacra degli Incas e a Cusco, l’ascesa a Puno e al lago Titicaca, un soggiorno ad Arequipa e Nazca, prima del ritorno a Lima, dove si sosta, prima del rientro in Italia, nel quartiere periferico Tablada de Lurìn. Ad ogni tappa ci si appoggia per l’accoglienza a partner locali, dediti ciascuno alla conservazione delle radici culturali ancestrali indigene o a progetti socio-economici rivolti a soggetti emarginati. Da Cusco a Lima, per sostenere progetti di sviluppo. A Lima, metropoli tra le più popolose del continente, si incontrano i resti dell’architettura barocca imposta dagli spagnoli a partire dalla fondazione nel 1535, per farne la capitale del loro Vicereame. Il viaggio responsabile prevede, oltre a una visita canonica al centro della città, di sostare tra i periferici asentamientos (baraccopoli) di Tablada de Lurìn, nel distretto Villa Maria del Triunfo, presso il Centro de Promocion Familiar (Ceprof). Si tratta di una ong locale nata quindici anni fa per offrire dapprima formazione alle famiglie e alle donne sole con prole, e in seguito aprire una casa di accoglienza per bambine a rischio sociale, dai 6 54 ai 13 anni (“Hogar Humberto Pasina”) e infine un doposcuola, che sfama e ospita ogni giorno 80 adolescenti del quartiere. Dal 2003, grazie al sostegno della Provincia di Trento, il Ceprof ha dato anche vita al progetto “Casa della cultura”, accettando di ospitare turisti responsabili. A Cusco, leggendaria città di epoca incaica, nota come la capitale archeologica d’America, con reperti antichi che le valgono la definizione di patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, i turisti vengono accolti dalla comunità di Raqchi (un gruppo di artigiani tradizionali che conserva costumi e riti della cosmogonia andina) e soggiornano presso il Centro di appoggio integrale alle donne lavoratrici domestiche (Caith). Questo centro, nato come associazione di volontariato, da dieci anni sostiene il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro delle lavoratrici domestiche e tra le forme di autofinanziamento cui ricorre figura anche il turismo. Il tour responsabile prevede poi una risalita verso la fredda Puno, città sorta sulle sponde del lago Titicaca, il più alto del mondo con i suoi 3.884 metri sul livello del mare, dove i viaggiatori entrano in contatto con diverse comunità indigene. Sono infatti ospitati, nella penisola di Capachica, della comunità quechua di Llachon, sull’isola Taquile della comunità di Kollino (dove mancano luce elettrica e acqua corrente) e del centro Ayaviri, dove la ong Mlal ha aperto un progetto di promozione dei diritti femminili, per ridurre le discriminazioni di cui le donne sono fatte oggetto. Il progetto prevede sia un rafforzamento delle organizzazioni femminili locali, sia un sistema di prevenzione della violenza familiare, ancora assai diffusa, e infine, in una terza fase, l’avvio di un sistema di microcredito, che dovrebbe consentire in chiave prospettica una maggiore autonomia economica delle donne. Il futuro del turismo peruviano. Il tour responsabile proposto da Green Life è una delle tante proposte di turismo alternativo offerte oggi in Perù, all’avanguardia in questo segmento del mercato turistico, sia nelle zone archeologiche sia in quelle montane, votate al trekking d’alta quota (significativo, ad esempio, il progetto di formazione delle guide alpine indigene sostenuto a Huaraz dall’Operazione Mato Grosso). Accanto a Ecuador, Brasile e Costa Rica, il Perù appare come una delle mete privilegiate dal turismo di matrice ambientalista; e la rete tematica “Alianza solidaria per il turismo sostenibile”, utile a un confronto permanente di esperienze via Internet, fondata nel 2003 da Green Life e Mlal, è un ulteriore tassello che si aggiunge al mosaico di siti web e centri di promozione del turismo alternativo che va fiorendo in America Latina. Non a caso il turismo in Perù, passata la fase di assestamento verificatasi tra il 1999 e il 2000, quando gli ingressi stranieri frenarono a causa delle turbolenze politiche che attraversavano il paese, viene stimato in ulteriore crescita e nella sola “Valle sagrada” che conduce a Cusco l’amministrazione provinciale di Urubamba si attende per la fine del 2005 due milioni di visitatori. Un flusso turistico imponente, che andrà gestito secondo attenti criteri, armonizzandolo grazie a leggi statali, ecolabel garanti della qualità dei servizi e dei reali processi di empowerment delle popolazioni locali, per non mettere a repentaglio i delicati habitat naturali e i contesti culturali che caratterizzano il Perù, rappresentandone una primaria risorsa. 11.4ASIA: India, ciò che resta del viaggio responsabile alle comunità locali Regione indiana ma culturalmente e paesaggisticamente tibetana, il Ladakh è rocce lunari e cieli blu, un deserto pietroso di alta quota (tra i 3500 e i 6000 m.), visitabile solo nei mesi estivi e chiuso dalla neve per il resto dell’anno. La stagione turistica è un affare di luglio e agosto, quando il monsone delle pianure non giunge fin quassù - la regione è protetta da altissimi contrafforti. La situazione è quella tipica dell’alta montagna, con notti fredde e giornate calde, secche e soleggiate. 55 Abita il Ladakh una popolazione di montanari (solo 120.000 persone) che ha saputo evolvere in un sistema di vita, produzione e consumi perfettamente e delicatamente adattato a un ambiente duro ed estremo. La maggior parte vive di agricoltura di sussistenza, i nomadi allevano capre e yak. Presente e radicata è la tradizione lamaista del buddismo tibetano, il vero spirito del luogo: attrazione chiave per il turismo i numerosissimi monasteri arroccati sulle alture. Nel 1974 la regione venne aperta al turismo internazionale e la cultura locale si trovò ad affrontare la rapida invasione del mondo moderno. Il numero dei turisti è cresciuto da alcune centinaia nei primi anni a circa 15.000 a metà degli anni 80. Ha poi continuato a crescere lentamente (nella zona non ci sono grandi alberghi), e i numeri oggi si aggirano attorno ai 25.000 visitatori l’anno (Cabras, 2004). Nei quasi 40 anni di questa apertura le aree urbane hanno subito un certo sviluppo, con cambiamenti nell’istruzione, nella sanità, nell’agricoltura, nelle fonti di energia e nei trasporti. Il turismo si è concentrato principalmente negli stanziamenti buddisti della valle dell’Indo, il cui fulcro è Leh, antica capitale e centro commerciale. Altre zone del Ladakh restano inaccessibili agli stranieri, a causa della vicinanza ai confini, a dir poco delicati, con Cina e Pakistan, mentre gran parte del Ladakh meridionale è accessibile solo a piedi. Fascino esotico. Conosciuto anche come Piccolo Tibet, il Ladakh divenne all’inizio meta ambita perché, secondo Goering (1990), “(…) custodisce uno dei più puri esempi esistenti di cultura buddista tibetana. Molti vengono tuttora per provare a immergersi in un mondo preindustriale, per visitare i monasteri buddisti e godere di emozionanti panorami montani”. Ma oggi per Becky, canadese, cooperatrice dell’Isec (International Society for Ecology and Culture) “il turismo va progressivamente peggiorando. Il Ladakh sta diventando una nuova meta a basso costo per un certo genere di persone che andava in Nepal, prima del diffondersi della guerriglia maoista. Al solito, soprattutto si tratta di ragazzi alla ricerca del divertimento di casa (fumo, feste, flirts) ammantato di un sapore esotico”. “In realtà - sostiene Becky - non è sempre vero che i turisti cerchino ciò che gli operatori turistici locali credono, ma ci vuole coraggio a tentare altre strade. Se queste funzionassero, però, si dimostrerebbe che è possibile guadagnare anche lavorando secondo altri modelli, e potrebbero esserci effetti di ricaduta”. C’è interesse, in effetti, per le alternative: l’Isec ha stimato che sui circa 25.000 turisti che arrivano ogni estate a Leh circa 4.000 vengono a vedere il video che questa organizzazione ha realizzato sul malsviluppo della regione. Fra questi, una ventina alla settimana chiedono di partecipare a un progetto Isec, che prevede la permanenza presso famiglie di contadini ladakhi in cambio di lavoro, per un periodo di due mesi. Il turismo in Ladakh secondo i ladakhi. Per Namgyal, direttore del Ladakh Ecological Development Group (Ledeg), con l’avvento del turismo è diminuita l’autostima della gente del posto. E invece l’apprezzamento della propria cultura, antica e ricca, è uno degli obiettivi. «Osservammo come la popolazione sviluppasse veri e propri complessi di inferiorità nella relazione con il moderno. Oppure tentasse di adottarne acriticamente il modello, facendo il verso agli stili di vita dei turisti. Oggi questa tendenza si avverte in misura minore grazie anche al lavoro di sensibilizzazione svolto da alcune ong» dice Namgyal «ma dal punto di vista economico il turismo avvantaggia coloro che hanno potuto mettere su guest house e agenzie, non la gente dei villaggi per i quali passano gli escursionisti». Del resto, i trekking sono organizzati da agenzie di Leh che forniscono tutto il necessario; di solito l’alloggio è in tende, anch’esse dell’agenzia, e spesso anche l’affitto dei cavalli che portano il bagaglio non va alla gente del posto in quanto gli animali sono fatti arrivare dal vicino Stato indiano dell’Himachal Pradesh per la stagione. Giungono tramite agenzie dall’Himachal anche lavoratori per i trekking, pagati molto poco, sia perché le tariffe di laggiù sono più basse, sia perché si assumono per la stagione intera, pagandoli a forfait, che ci sia lavoro o meno. Spesso, inoltre, succede che i trekkers si accampino a dormire in tenda a fianco dei villaggi 56 anche dove sarebbero disponibili stanze per turisti presso alcune famiglie. Così agli abitanti dei villaggi il passaggio dei trekkers di fatto non lascia nulla: succede persino che gli animali delle spedizioni pascolino nei campi del villaggio… Forme di turismo responsabile in Ladakh. Operatori turistici occidentali hanno recentemente cercato di intervenire su alcuni problemi causati dal turismo, in modi diversi. Journey, operatore statunitense, ha finanziato latrine lungo i percorsi di trekking più frequentati, e sollecitato i partecipanti ai viaggi a donare abiti invernali da distribuire in Ladakh. Altri operatori (anche l’italiana Ram) hanno distribuito le linee guida per i turisti, portando i gruppi a visitare il centro di ecologia del Ledeg. Vari operatori organizzano itinerari incentrati su aspetti chiave della vita in Ladakh, alcuni con alloggio nei monasteri e studio del buddismo. L’associazione Ram è specializzata in viaggi-incontro nella regione indiana e in sudest asiatico. Fra i 105 soci che hanno partecipato alle sue attività nel 2003, e il centinaio del 2004, il Ladakh è stata una delle mete più gettonate. Un volo per Delhi e quindi, subito, un altro per Leh, il piccolo capoluogo ladakhi situato a 3500 m: qui, un paio di giorni di riposo sono necessari, all’inizio, per l'adattamento all'altitudine. I gruppi Ram si appoggiano a una piccola pensione a carattere familiare in mezzo alla campagna, poco fuori Leh, che usano quale base per escursioni ai grandi monasteri della valle dell’Indo (Hemis, Alchi, Tikse, Stakna, Stok), al centro storico del capoluogo, e per gli incontri mirati con varie organizzazioni locali, impegnate nella sperimentazione e diffusione di tecnologie compatibili con l’economia dei villaggi di montagna, nel mantenimento della lingua e della cultura ladakhi, nella testimonianza rispetto a un modello di sviluppo (quello attuale) che sta sconvolgendo un modo di vivere che vantava un profondo equilibrio. Di rilievo sono l’incontro con l’attivista svedese Helena Norberg-Hodge dell’Isec, con il suo Ladakh Project; e con Sonam Wangchuk e i suoi al Secmol, organizzazione locale che riunisce studenti da tutto il Ladakh e lavora per rivalutare e rilanciare l’idioma e la cultura del posto, minacciate dalla scolarizzazione governativa attuata con medium sbagliati. In Ladakh furono imposte, all’indipendenza dell’India, le lingue aliene urdu e hindi, e materie lontane dalle conoscenze funzionali necessarie alla vita su queste montagne (inutile studiare palme e mucche quando qui crescono solo salici e orzo, e si allevano capre e yak). Con la sua azione il Secmol ha ormai da qualche anno portato all’adozione di curricula di istruzione in lingua locale e fondati su temi più realistici. Ram visita anche i rifugiati tibetani di Choglamsar, con le loro istituzioni (scuola, asili, ambulatori di medicina tradizionale), visite da cui emerge lo spessore della causa di un popolo costretto all’esilio (dall’invasione cinese del Tibet del 1959). Una tappa significativa è la giornata di discussione sul buddismo tibetano, che include la visita/confronto, in materia, al locale Centro Studi. Il ritorno in pianura avviene con due giorni di jeep attraverso gli altipiani a 4500 metri e i passi himalayani fino a Manali (2000 metri) e poi a Delhi. Lo spettacolo è difficile da dimenticare. Le ricadute sulla comunità locale. L’esperienza di Ram in Ladakh è un caso esemplare di turismo responsabile nel continente asiatico. L’associazione sta raggiungendo risultati sempre più interessanti dal punto di vista delle economie locali. Una media del 25-30% della quota pagata dai partecipanti rimane infatti attualmente nel paese di destinazione. Nel caso del viaggio nell’agosto 2004, della quota di partecipazione versata da ciascun socio (euro 2066) in loco sono rimasti ben 531 euro a persona; il gruppo era costituito da 11 soci paganti più un capogruppo, quindi in totale si è trattato di 6311 euro (perché il capogruppo nel modello Ram è esonerato dalla quota-progetto). Questi soldi beneficiano le comunità locali in due modi: direttamente pagando i loro servizi, tramite vitto alloggio trasporti locali, e utilizzando servizi e mediazioni di persone del posto. E’ denaro, questo, che resta in circolo per lo più nelle comunità di Leh e delle zone visitate. In secondo luogo, 57 ogni viaggio Ram comporta l’appoggio a un progetto locale che viene finanziato con 50-60 euro fissi a persona, per viaggio. Nel caso del Ladakh agosto 2004, la quota è stata di 61 euro a socio pagante, quindi nel complesso si sono lasciati 671 euro destinati a un paio di microprogetti. Uno di questi è il sostegno alla scuola del villaggio di Hemis Supkachan, dove il maestro T.T. Namgail è amico di lunga data di Ram, e si presta al ruolo di guida e anfitrione. Vitto e alloggio rigorosamente “made in loco”. Per quanto riguarda il vitto, l’alimentazione sul posto - costata 85 euro a testa per una durata di 17 giorni - è costituita principalmente da cibo vegetariano (riso, verdure e lenticchie) preparato dalla gente delle locande ospitanti, secondo ricette tradizionali locali, molto semplici. La cucina è spesso fatta con fuoco a legna, l’acqua corrente è attinta a una fonte vicina o in cortile, difficilmente è disponibile in casa. A Leh e nei villaggi del trekking i pasti sono preparati pressoché integralmente dalle famiglie ospitanti, adoperando in parte prodotti dei propri campi (ma lenticchie e riso arrivano dalle pianure dell’India). Nei centri maggiori, segnatamente a Delhi e Manali, si va invece nelle trattorie di proprietà indiana ma non necessariamente locale. Quanto all’alloggio, il pernottamento per l’intera durata del viaggio si svolge in guest houses, ossia pensioni a gestione familiare (Ram fa una selezione in base al livello di pulizia, al calore umano dell’accoglienza, e in base al modo in cui viene trattato il personale). La pensione di Leh cui Ram da anni si appoggia, la Silver Cloud Guest House, è un’impresa familiare situata sulle alture di Leh, due edifici ben messi in campagna, tra i campi d’orzo e altre fattorie, a 10 minuti di cammino dal centro della cittadina e a due passi da un antico piccolo monastero. I pavimenti sono di legno, le stanze luminose, i letti hanno bei piumoni puliti. Gli altri alloggi in trekking sono locande più spartane ma sempre abitate da famiglie del luogo. In media la Silver Cloud costa, per Ram, 6-7 euro a notte a testa - esclusi pasti, colazioni e altri dettagli. Il ricorso ai servizi locali. Ram ha utilizzato diverse guide locali in questi anni, raggiunte via mail con qualche mese d’anticipo, e reperite tramite le associazioni locali con cui coopera (Secmol) o tramite conoscenti del luogo. Tutti ladakhi, per lo più studenti universitari (che studiano fuori Leh) e che d’estate tornano e tirano su un po’ di soldi con il turismo. Al di là della conoscenza del luogo, Ram chiede loro aiuto sia in termini di arrangiamenti su vitto alloggio e trasporti, sia quali mediatori culturali: cioè nel tradurre in inglese le conversazioni durante le numerose ore passate presso le famiglie che ospitano i turisti. Ram ha pagato una di queste guide, nel 2004, 12 euro al giorno. Per gli spostamenti interni si usano abitualmente i mezzi di trasporto locale: qualche bus, e jeep per la maggior parte delle escursioni. Le jeep a Leh sono gestite da una cooperativa del posto che, per quanto non sempre gestita meravigliosamente, garantisce comunque un buon servizio. Per quanto riguarda invece lo spostamento aereo da Delhi a Leh, esso viene acquistato con le compagnie Indian Airlines (statale), o Jet Airways (indiana, privata), e si tratta pertanto di denaro che va allo Stato o a imprenditori indiani. 58 V SEZIONE DATI STATISTICI E TABELLE 12. Introduzione ai dati Il turismo è ormai riconosciuto come uno dei settori più importanti e dinamici dell’economia globalizzata, vantando un volume d’affari di oltre 500 miliardi di dollari l’anno, superiore addirittura a quello dei prodotti informatici. La crescita dell’economia connessa più o meno direttamente al turismo è stata esponenziale, con una impennata in termini sia assoluti che percentuali nel corso degli anni Novanta, terminati i quali si è creato un assestamento del comparto intorno ai livelli raggiunti nel 2000; il tasso di crescita annuale dell’economia turistica rallenta, sebbene le stime prospettiche per i prossimi dieci anni restino comunque ottimistiche. Si attende infatti una crescita di un ulteriore 30-40% del volume degli affari turistici, con un incremento dei viaggi transnazionali e una esplosione di successo per mete quali Montenegro, India e Cina. Il peso rivestito dal turismo nelle economie mondiali è notevole soprattutto nei paesi più poveri e deboli rispetto ai mercati globali, sia nel caso in cui questi siano bisognosi di valuta estera forte per poter alleviare il proprio debito estero sia nel caso in cui siano presenti operatori turistici stranieri pronti a esportare i propri profitti; esemplificativi a tal proposito possono essere i casi dell’area caraibica e della fascia nordafricana, dove il turismo pesa rispettivamente per il 15% e il 13% delle ricchezze complessive. Ciò nonostante gli investimenti privati e pubblici in favore dello sviluppo turistico sono molto più sostanziosi altrove: in Nord America, Europa e Asia, dove si superano da tempo i 150 miliardi di dollari l’anno. Sempre in Asia, peraltro, si concentra il numero più elevato di lavoratori del comparto (ben 120 milioni) che tuttavia, per ragioni demografiche, non hanno un peso evidente sul totale della forza lavoro, come accade invece nei Caraibi (15% del totale dei lavoratori, il doppio della media latinoamericana), in Europa (13%) o in Nord Africa (12%). Ma le ricadute economiche del turismo rispecchiano in modo deforme gli squilibri geoeconomici globali e continentali. L’Africa per esempio è visitata solo da 4 turisti su 100, e questa percentuale scende ancora se si oltrepassa verso sud il Sahara, addentrandosi nell’area per la quale gli indicatori di sviluppo delle Nazioni Unite decretano una sorta di perenne emergenza umanitaria. Il continente africano ricava soltanto 11 miliardi di dollari da attività turistiche. E al suo interno - se si escludono i paesi della fascia mediterranea, più dinamici rispetto agli altri e favoriti dalla prossimità con l’Europa, il Sud Africa, favorito dal legame storico commerciale con i paesi anglofoni, e le coste esotiche affacciate sul Mar Rosso - restano appannaggio dell’Africa centrale (la tradizionale “Africa nera”) solo un magro 1% dei ricavi. Squilibri simili si possono incontrare in Asia, un continente in espansione anche in questo settore, nonostante gli investimenti esigui rispetto ad altri comparti industriali, dove un ruolo preminente lo giocano oltre ai subcontinenti cinese e indiano i paesi della penisola sud-orientale (Thailandia, Vietnam e Corea del Sud in special modo), e in America Latina, dove pochi paradisi esotici del golfo centro americano sbilanciano in proprio favore i flussi di arrivi e i ricavi rispetto al Sud America. Per quanto concerne più specificamente il turismo italiano, in entrata e in uscita, i dati disponibili indicano una contrazione dei viaggi all’estero degli italiani, più orientati a soluzioni di soggiorno sostenute da legami familiari o amicali, e più propensi a visitare altri paesi dell’Unione europea; se ci si allontana dall’Europa lo si fa però sempre viaggiando verso occidente, dirigendosi nelle Americhe, sebbene anche le mete orientali risultino a loro volta in crescita. Gusti e orientamenti comportamentali indicano poi una crescente segmentazione e ristrutturazione del mercato turistico italiano, che si frantuma e si fa più esigente e attento anche ai risvolti sociali ed ecologici collegati alle vacanze. 59 Il turismo responsabile. Seppure non esistano tuttora statistiche condivise e ci si debba necessariamente affidare per una valutazione del fenomeno a stime e dati parziali, appare in forte crescita il turismo responsabile. A seconda della fonte cui ci si affida, la percentuale di turisti che nel complesso sono coinvolti in viaggi responsabili va da un minimo del 2% (Organizzazione mondiale del turismo) a un massimo del 15% (Ecoestrategia), passando per il 7% della Società internazionale di Ecoturismo. A queste stime positive si sommano inoltre previsioni ancora più rosee, con percentuali di crescita annua previste intorno al 20%; e accanto ai numeri c’è chi, come la OMT, ha tracciato anche un primo identikit del turista “ecosensibile”, il quale, senza troppe sorprese, mostra di essere relativamente giovane, possedere una buona capacità di spesa, una cultura medio-alta e amare l’autonomia di movimento. L’analisi poi dell’evoluzione di un caso di studio quale l’agenzia Viaggi Solidali-Cta, tra le maggiori in Italia nel suo genere, conferma ulteriormente l’idea del boom registrato negli ultimi anni da questa tipologia di turismo. Tra l’anno 2000 e il 2004 il consorzio Viaggi Solidali ha quadruplicato i suoi viaggiatori (ormai oltre 400) e sestuplicato i ricavi. Questi dati, per quanto frammentari, confortano le intuizioni che vogliono il turismo responsabile come la nuova frontiera del turismo in grado di collegare il piacere del viaggio e della scoperta alle aspirazioni a uno sviluppo socio-economico più equilibrato nei Sud del mondo. 60 Tabella 1.1 Arrivi turistici nel mondo (1950-2000) 700 milioni di 600 500 400 300 200 100 0 1950 1960 1970 1980 1990 2000 (fonte: World Tourism Organization) Tabella 1.2 Crescita percentuale dei flussi turistici (1950-2000). 19 80 -1 99 0 19 90 -2 00 0 19 70 -8 0 % annua di crescita 19 60 -7 0 19 50 -6 0 12 10 8 6 4 2 0 (fonte: World Tourism Organization) Tabella 1.3 Regione Africa Americhe Asia Europa Medio Oriente Flussi turistici mondiali per regioni (milioni) 1950 0,5 7,5 0,2 16,8 0,2 2002 29 115 131 399 27 (fonte: World Tourism Organization) 61 Tabella 2.1 Crescita dei flussi turistici mondiali (1990-2002) 400 350 300 Medio Oriente 250 Africa 200 Americhe 150 Asia 100 Europa 50 0 1990 2000 2002 (Dati in milioni; fonte: WTO 2003) Tabella 2.2 Distribuzione flussi turistici in Africa (2002) Africa del Sud 30% Est Africa 22% Nord Africa 35% Africa Centrale 3% Ovest Africa 10% (fonte: World Tourism Organization) Tabella 2.3 Distribuzione flussi turistici in Asia (2002) 62 Asia del Sud 6% Oceania 15% Nord-Est Asia 50% Sud-Est Asia 29% (fonte: World Tourism Organization) Tabella 2.4 Distribuzione flussi turistici nelle Americhe (2002) Sud America 12% Centro America 17% Nord America 71% (fonte: World Tourism Organization) Tabella 2.5 Distribuzione flussi turistici in Europa (2002) Nord Europa 11% Europa Mediterranea 38% Ovest Europa 35% Centro Est Europa 16% (fonte: World Tourism Organization) 63 Tabella 3.1 Crescita del volume d’affari del turismo mondiale (1950-2002) miliardi di dollari 500 400 300 200 100 0 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2002 (fonte: World Tourism Organization) Tabella 3.2 Distribuzione regionale dei ricavi turistici in val.% (2002) Medio Africa Oriente 2% 3% Europa 51% Americhe 24% Asia 20% (fonte: World Tourism Organization) Tabella 3.3 Distribuzione regionale dei ricavi turistici mondiali (2002) Regione Africa Americhe Asia Europa Medio Oriente Ricavi dal turismo internazionale 11,8 114 94 240 13 (dati: miliardi di dollari; fonte: WTO 2003) 64 Tabella 4.1 Distribuzione dei ricavi turistici (val.%, 2002) AFRICA Nord Africa 32% Africa del Sud 30% Ovest Africa 11% Est Africa 26% Africa Centrale 1% ASIA Asia del Sud 5% Oceania 15% Nord Est 50% Sud Est 30% AMERICHE Sud America 8% Centro America 18% Nord America 74% EUROPA 65 Europa Mediterranea 39% Centro Est Europa 10% Nord Europa 15% Ovest Europa 36% (fonte: World Tourism Organization) 66 Tabella 5.1 Le principali esportazioni mondiali di beni e servizi (miliardi di dollari) Rank 1 2 3 4 5 Settori Chimica Automazioni Carburanti Turismo Informatica 1999 537 556 430 559 460 2002 660 621 615 578 491 (fonte: World Trade Organization) Tabella 5.2 Tassi di crescita dell’economia del turismo nel mondo (val.%) tasso di crescita 2004 tasso di crescita degli ultimi dieci anni Su Su d A s dEs ia tA N or si d a E Am st A er si ic a a La N or tin d Am a M ed eri ca io U O ni rie on n e Eu te ro pe a 10 8 6 4 2 0 (fonte: WTTC 2004) Tabella 5.3 Pil derivante dall’industria turistica (val. % su tot. Pil) 2004 media ultimi 10 anni U N C ar or aib d i ni on Af r e i E u ca N or ro pe d N Am a or er d i E s ca tA S u si a M ed d A s i A o O ia m r ie er nt ic e a La tin M a on do 16 14 12 10 8 6 4 2 0 (fonte : WTTC) 67 Tabella 6.1 Investimenti mondiali in viaggi e turismo (in termini assoluti 2004) miliardi di dollari N or d A U m ni er on ic e a Eu ro pe a A m A er si ic a a La M ed tin io a O rie nt e A fr ic a 300 250 200 150 100 50 0 (fonte: WTTC) Tabella 6.2 Investimenti in viaggi e turismo sul totale dei capitali (2004) % sul totale degli investimenti Area 21,7 14,2 11,8 10,4 10,4 9,5 9,4 7,4 7,2 Caraibi Nord Africa Medio Oriente Sud-Est Asia Nord America Unione Europea America Latina Sud Asia Nord-Est Asia (fonte: WTTC) Tabella 6.3 Impieghi nel settore turistico (2004) milioni di posti di lavoro 140 120 100 80 60 40 20 0 Asia (fonte: WTTC) 68 Nord Africa Nord Unione America America Europea Latina Medio Oriente Tabella 6.4 Impieghi del settore turistico rispetto al totale (2004) % sul totale U C ni ar on ai e bi Eu ro pe N or a d A N f or ric d a A m N er or ic da Es M t A ed si io a O r ie Su nt dEs e A tA m er si ic a a La tin a Su d A si a 16 14 12 10 8 6 4 2 0 (fonte: WTTC) 69 Tabella 7.1 Sviluppo prospettico dell’economia turistica mondiale (val. miliardi di dollari) 7000 6000 5000 4000 3000 2004 2000 2014 1000 0 Spese governative Investimenti Spese dei turisti GDP Economia del turismo (fonte: WTTC) Tabella 7.2 Crescita degli impieghi nel settore turistico (tot. mondiale) 300.000 250.000 200.000 migliaia di impieghi 150.000 100.000 50.000 0 2004 2014 (fonte: WTTC) Tabella 7.3 Rank Paesi Paesi con la maggiore crescita di domanda turistica attesa (2005-2014) % crescita annua Montenegro 1 India 2 Cina 3 Vietnam 4 Angola 5 Laos 6 Ciad 7 Guadalupa 8 Fiji 9 Uganda 10 (fonte: WTTC-TSA Research 2004) 70 10,3 8,8 8,7 8,3 8,2 8,0 7,7 7,4 7,3 7,3 8.1 Viaggiatori stranieri in Italia. Spesa turistica per regione d’origine (milioni di euro) 1998 18.000 16.000 14.000 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 0 2001 UE Est Europa Nord America America Latina Africa Asia Oceania (dati: Rapporto turismo Touring Club Italia 2003) 8.2 Turisti stranieri in Italia. Viaggiatori pernottanti e spesa per i primi dieci paesi (2001) Viaggiatori (migliaia) 14000 Spesa (milioni di euro) 12000 10000 8000 6000 4000 2000 0 Germania Francia Austria Svizzera Regno Unito Usa (dati: TCI 2003) 8.3 Viaggiatori italiani all’estero, per regione di destinazione (migliaia) 1998 25000 2001 20000 15000 10000 5000 0 UE Svizzera Est Europa Nord America America Latina Africa Asia Oceania (dati: TCI 2003) 8.4 Viaggiatori italiani all’estero. Spesa turistica per regione di destinazione (milioni di euro) 71 1998 7000 2001 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0 UE Est Europa Nord America America Latina Africa Asia Oceania (dati: TCI 2003) 8.5 I paesi dove i turisti italiani spendono di più (milioni di euro) 1998 2500 2001 2000 1500 1000 500 (dati: TCI 2003) 72 Fr an ci a G er m an ia Sp ag na Sv iz ze R ra eg no U ni to A us tr ia G re ci a B ra si le C ro az ia U sa 0 Tabella 9.1 Vacanze dei turisti italiani, orientamenti comportamentali (2004) Risposta % Per le vacanze mi affido a un tour operator In viaggio accetto disagi Preferisco vacanze non stanziali Mi piace essere “servito e riverito” Preferisco vacanze culturali Amo le vacanze tranquille Per me la vacanza è conoscere nuova gente Per le vacanze non bado a spese Preferisco le vacanze con amici Mi piace l’idea di un villaggio turistico Mi piace vedere posti nuovi 27,0 Classe economica-culturale ISTR ISTR ISTR ISTR ISTR BASS MBAS MBAS ALTA ALTA REDD REDD REDD REDD REDD BASS MBAS ALTO MBAS ALTO 17,9 23,0 24,6 33,5 36,0 31,2 41,2 17,8 22,1 28,0 36,4 29,4 38,4 39,5 55,3 39,3 52,7 57,9 62,9 59,7 60,2 52,9 52,6 43,0 79,2 61,4 38,5 83,9 45,6 37,8 80,8 58,7 37,2 80,4 62,1 55,8 76,6 69,9 53,4 74,6 66,4 23,5 9,6 20,0 25,5 23,5 31,1 59,4 42,1 56,1 61,0 67,7 64,8 46,8 26,5 47,3 47,9 54,0 49,6 73,0 52,3 67,6 72,9 82,3 84,1 (fonte: Eurisko 2004) 9.2 Le vacanze degli italiani nell’ultimo anno Risposte Ha fatto vacanza: % 1 periodo 2 periodi 3 o più periodi 52,6 33,8 12,7 6,1 Tipo di vacanza: soggiorno al mare soggiorno in montagna soggiorno in campagna visita a città viaggio itinerante crociera su nave Altro 35,0 10,4 3,9 6,9 4,7 0,7 3,4 Tipo di alloggio: presso parenti o amici in casa di proprietà in casa d’affitto in albergo villaggio turistico nave da crociera campeggio Camper altro 12,7 9,0 12,0 18,0 4,7 0,8 3,2 1,0 1,6 In Italia o all’estero: 73 in Italia in Europa fuori Europa Non ha fatto vacanze (fonte: Eurisko 2004) 74 43,1 11,0 4,4 47,4 10.1 Le attitudini verso il turismo responsabile in Inghilterra (2001) E’ importante che a proposito delle vacanze ci siano… informazioni sullo sviluppo sociale nelle brochure dei T.O. che le vacanze portino benefici alle popolazioni locali che non sia danneggiato lo sviluppo che si possa scoprire la cultura locale 78% 68% 85% 77% (fonte: Tourism Concern, in A. Laurent, 2003) 10.2 Le attitudini verso il turismo responsabile in Francia (2002) Quali sono i criteri di scelta di un tour operator? che diffonda informazioni sulle culture e lo sviluppo locali che diffonda codici di condotta per i visitatori che annunci un’etica del viaggio che proponga soggiorni partecipativi non sa/non risponde Totale 36% 30% 21,5% 12% 0,5% 100% (fonte: sondaggio OMT, cit. in A. Laurent, 2003) 10.3 Turisti orientati verso vacanze responsabili rispetto al totale (valori stimati 2004) % sul totale TI ES ia Ec oe st ra t eg T O M M la l 12 10 8 6 4 2 0 (fonti: Trasatti S., 2004; OMT, in Ercole E., 2004; Ecoestrategia 2004; The International Ecotourism Society 2004) 10.4 Il profilo dell’eco-turista secondo le Nazioni Unite (2003) Età: dai 35 ai 45 anni Genere: 50% maschi e 50% femmine 75 Livello di istruzione: 82% è laureato o diplomato Modalità di viaggio: 60% in coppia, 15% con la famiglia, 13% solo Durata media del viaggio: 8-14 giorni Cosa apprezza: ammirare la natura e conoscere sempre località nuove (fonte: ONU – UNEP 2003) 10.5 Il profilo dell’eco-turista italiano secondo il WTO Età: dai 25 ai 34 anni Genere: 50% maschi, 50% femmine Livello di istruzione: 48% diplomato e 45% laureato Modalità di acquisto del viaggio: 29% pacchetti di Tour Operators, 66% organizza da sé Spesa media: nel 54% dei casi da 500 a 1500 euro (fonte: WTO 2001) 10.6 Crescita del turismo responsabile ed ecologico. Potenziali di crescita annua stimati 20 15 10 val. % 5 0 WTO TIES Ecoestrategia (stime: World Tourism Organization 2001, The International Ecotourism Society 2003, Ecoestrategia 2004) 10.7 Crescita del turismo responsabile. Caso di studio: Viaggi Solidali-Cta (2000-2004) 10.7.1 Viaggi numero viaggi 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 2000 2001 2002 2003 2004* (dati: Viaggi Solidali-Cta; *manca l’ultimo quadrimestre dell’anno 2004) 76 10.7.2 Viaggiatori solidali numero viaggiatori 450 400 350 300 250 200 150 100 50 0 2000 2001 2002 2003 2004* (dati: Viaggi Solidali-Cta; *manca l’ultimo quadrimestre dell’anno 2004) 10.7.3 Fatturato annuo e quota ai progetti di sviluppo nel Sud del mondo (migliaia di euro) Fatturato 700 Quota progetti 600 500 400 300 200 100 0 2000 2001 2002 2003 2004 (dati: Viaggi Solidali-Cta; manca l’ultimo quadrimestre dell’anno 2004) 77 78 ALLEGATO 1 Carta d’identità per viaggi sostenibili Riportiamo di seguito il testo integrale del documento: “Dato che il turismo, alle soglie del 2000: • • • • è la principale attività economica del globo; sposta oltre 5 miliardi di persone ogni anno (tra cui quasi 600 milioni verso l'estero); occupa milioni di lavoratori (1 ogni 15 occupati in tutto il mondo); è destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi decenni, favorito dallo sviluppo dei trasporti e comunicazioni; ma considerato anche che il turismo, nelle sue applicazioni di massa e di lusso, ha spesso avuto effetti molto negativi su ambienti, culture, società, economie nei paesi di destinazione, specie nel sud del mondo; é fondamentale che per il suo sviluppo siano stabiliti limiti precisi e condizioni di attuazione appropriate. In proposito, si fa riferimento anche ad autorevoli documenti prodotti negli ultimi anni da soggetti diversi, i cui contenuti illustrano bene, nelle linee guida, i valori generali che si vogliono trasmettere. Tra questi: • • • • • • Carta di Lanzarote, 27/28 aprile 1995 Agenda 21 dell'ONU, 14/6/1992 Manifesto del movimento tedesco 'Tourism with Insight' Tourism Bill of Rights and Tourist Code (OMT, 1985) Manila Declaration on the Social Impact of Tourism (OMT, maggio 1997) Montreal Declaration, 1997 E' necessario quindi: 1. Sviluppare una maggior attenzione all'interazione tra turisti, industria turistica e comunità ospitanti, per favorire un vero rispetto delle diversità culturali, ed una disponibilità di adattamento ad abitudini e modi diversi dai propri. 2. Che gli utenti diventino coscienti del proprio ruolo di consumatori del prodotto-viaggio, da cui dipendono la qualità dell'offerta e il destino di milioni di altri individui nei luoghi di destinazione. 3. Ridurre al minimo i danni dell'impatto socioculturale ed ambientale prodotto dai flussi turistici. 4. Rispettare ed incoraggiare il diritto delle comunità locali a decidere sul turismo nel proprio territorio, e con queste stabilire rapporti continuativi di cooperazione solidale. Prima della partenza L'utente (viaggiatore individuale o di gruppo) 1. Si interroga sulle reali aspettative e motivazioni del suo viaggio: ad es. riposo e svago, nel rispetto dell'ambiente e dell'altro; e conoscenza, intesa come cultura e incontro, per soddisfare le sue esigenze di approfondimento e di autenticità. 2. Chiede di essere informato in modo corretto, da organizzatori e media, oltreché sugli aspetti tecnico logistici del viaggo, anche sul contesto socioculturale da visitare, e di sua iniziativa si procura informazioni (attraverso testi, guide, Internet, materiale audiovisivo). 3. è interessato a creare in prima persona o tramite gli organizzatori contatti precedenti il viaggio con le realtà locali che potrebbero ospitarlo, e con esponenti che potrebbe incontrare della società civile del luogo di destinazione. 4. è interessato e disponibile a incontri preparatori con i suoi prossimi compagni di viaggio e/o l'accompagnatore. 5. Chiede agli organizzatori garanzie sulla qualità del viaggio dal punto di vista etico, cioé sulle sue caratteristiche ambientali economiche e sociali. 79 6. Chiede la trasparenza del prezzo, per sapere quale percentuale del prezzo finale rimane alle comunità ospitanti. 7. Privilegia viaggi in cui la massima possibilità di scelta su tempi e contenuti sia garantita. L'organizzatore (tour operator, agenzia, associazione culturale del paese di partenza) 1. Fornisce informazioni sul viaggio tramite: o cataloghi realistici, in cui il paese da visitare non sia presentato in modo fuorviante, falso, tendenzioso o ambiguo (riferimento ad es. al turismo sessuale) o strumentale (ad es. svendita di tradizioni culturali locali); o schede che comprendano una descrizione geografico-am-bientale; informazioni socioeconomiche, politiche e d'attualità; segnalazioni di progetti esistenti di cooperazione sociale e ambientale; le norme di comportamento consigliate; o una bibliografia scelta sulla destinazione in oggetto. 2. E' disponibile ad organizzare incontri preparatori per i partecipanti ai viaggi durante i quali, oltre a conoscersi: o si concordino ove possibile itinerari e tempi; o o si chiariscano i dubbi degli utenti, siano essi singoli o in gruppo; o o si rendano possibili contatti diretti con le comunità dei luoghi di destinazione. 3. Si impegna dal punto di vista etico sul piano: Ambientale o privilegiando alloggi, ristoranti, strutture, trasporti compatibili con l'ambiente (per presenza di depuratori, corretto smaltimento dei rifiuti, risparmio energetico). Sociale o o o o o o o o o chiedendo alle autorità statali di luoghi di destinazione di garantire uno sviluppo turistico compatibile; privilegiando servizi di accoglienza (trasporti, alloggi, ristorazione) in linea con la cultura del luogo (ad es. non pretendere cibi estranei alla cultura locale); scegliendo partners locali che rispettino le norme sindacali minime stabilite dall'ILO paese per paese (che tengano conto di orari ragionevoli, del no al lavoro minorile, di paghe eque secondo il salario minimo locale); formando piccoli gruppi di partecipanti che entrino più facilmente in contatto con le realtà locali (è importante specie se queste sono fragili) ed evitando l'esposizione reiterata e continuativa di singole comunità ad un impatto turistico di massa unilateralmente deciso; organizzando itinerari con tempi che non obblighino alla fretta, e in cui le mete selezionate siano in numero limitato; attivando un accompagnatore opportunamente formato che funga anche da facilitatore interculturale; evitando l'eccesso di organizzazione, che impedisce al visitatore di rendersi conto della realtà locale; non favorendo nel turismo la mercificazione sessuale, e scoraggiando con tutti i mezzi prostituzione e pornografia infantili; organizzando la partecipazione dei turisti a manifestazioni, feste e spettacoli tradizionali nel rispetto dell'autenticità e del consenso. Economico o o o privilegiando servizi di accoglienza (trasporti, alloggi, ristorazione) a carattere familiare o su piccola scala; scegliendo servizi locali (trasporti, alloggi, ristorazione) dove minore sia il divario di possibile fruibilità tra il viaggiatore e la gente del posto; verificando che parte (certificabile) dei soldi spesi dai turisti si redistribuisca in loco in modo equo (dall'alloggio all'acquisto di artigianato autenticamente del posto), e fornendo in allegato una scheda col prezzo trasparente; e, nel caso di multinazionali, verificando che ci sia una effettiva, consistente ricaduta positiva sull'economia locale. Le comunità locali ospitanti* *per comunità locali ospitanti si intende: 80 a. Settori dell'industria turistica b. Autorità/ istituzioni turistiche e governi locali c. Gruppi di cittadini che vivono in aree interessate dal turismo (ma non direttamente coinvolti nel business turistico) Vogliono controllare lo sviluppo del turismo nella loro zona e quindi: 1. 2. 3. 4. Si esprimono in merito al flusso di turismo, offrendo o meno disponibilità all'incontro. Se disponibili, alla domanda turistica rispondono con adeguate proposte di accoglienza. Tengono conto dei diversi aspetti dell'impatto del turismo: ambientale e paesaggistico o affinché strade, edilizia, riassetto del territorio siano attuate con valutazioni di impatto ambientale; sociale o affinché la cultura locale - architettura, arte, lingua, costumi, gastronomia - resti indipendente e viva; economico affinché la proprietà locale non venga ceduta a stranieri, o confiscata dai governi locali per scopi analoghi; o affinché lo sviluppo non sia unilaterale ed eccessivamente dipendente dal turismo stesso; o affinché il denaro che entra con questo si redistribuisca anche in altri settori dinamizzando le interazioni nel tessuto sociale di destinazione; o affinché il prezzo pagato risulti equo per tutti (turisti, operatori, e comunità ospitanti) 5. Attivano e formano guide locali e facilitatori, che indichino quali comportamenti siano locamente accettabili o meno, e mettano in contatto i visitatori con la genie, le opportunità, le autentiche attrattive del luogo. o 8. Durante il viaggio L'utente (viaggiatore individuale o in gruppo) 1. Considera positivo condividere i vari aspetti della vita quotidiana locale e non chiede privilegi o pratiche che possano causare impatto negativo. 2. Non ostenta ricchezza e lusso stridenti rispetto al tenore di vita locale. 3. Per foto e video si assicura il consenso della persona ripresa. 4. Non assume comportamenti offensivi per usi e costumi locali. 5. Cerca prodotti e manifestazioni che sono espressione della cultura locale (ad es. artigianato, gastronomia, arte, ecc.) salvaguardandone le identità. 6. Rispetta l'ambiente e il patrimonio storico-monumentale. L'organizzatore (tour operator, agenzia, associazione culturale del paese di partenza) 1. Distribuisce un questionario di valutazione dell' esperienza. 2. Prevede, per una migliore mediazione culturale, la presenza di una guida locale. Dopo il viaggio L'utente (viaggiatore individuale o in gruppo) 1. Verifica se è riuscito a stabilire una relazione soddisfacente con la gente e il paese visitato. 2. Valuta come far seguito ai rapporti stabiliti. 3. Se ha viaggiato in gruppo, risponde al questionario di valutazione dell' esperienza proposto dall'organizzatore e, se lo desidera, partecipa agli incontri con il gruppo con cui ha viaggiato. L'organizzatore (tour operator, agenzia, associazione culturale del paese di partenza) 81 1. Verifica i risultati organizzando se possibile un incontro apposito tra i partecipanti. 2. Produce materiale informativo che raccolga le esperienze e le comunichi: relazioni scritte, fotografie, film, ecc. Le comunità locali ospitanti e responsabili nelle regioni turistiche 1 82 Verificano i risultati del viaggio che hanno ricevuto: il suo impatto, gli incontri avuti, il suo ritorno economico. ALLEGATO 2 Botteghe che aderiscono al “Progetto Sportelli turismo responsabile”: I magazzini del mondo C.so Cavour 306 19122 La Spezia tel. 0187/707987 Unicomondo Contrà Pedemuro/San Biagio 42 36100 Vicenza tel. 0444/545586 www.unicomondo.org Limone lunare Via Po 35 10124 Torino tel. 011/8174986 Il Ponte Via Picchiotti 35 Giaveno (To) tel. 011/9364611 – 011/9376466 Ex Aequo Via Al tabella 7/a 40100 Bologna tel. 051/2750248 Il Villaggio Globale Via Venezia 26 48100 Ravenna tel. 0544/219377 Atlantide via Bollana 10 48015 Cervia (Ra) tel. 0544/965806 Il Villaggio dei Popoli Via dei Pilastri 45 50121 Firenze tel. 0544/965806 Il Girasole Via Senofane 121 00125 Casalpalocco (Roma) tel. 06/50917705 83 Niente Troppo Via Cimigiano 71/73 00100 Roma tel. 06/88641750 Comes Moliendo Cafè Via Chiabrera 27 00145 Roma tel. 06/5402474 Mappatura delle realtà che organizzano viaggi responsabili in Italia Cooperativa Oltremare Sede: Modena: Destinazioni: Italia, Africa, America Latina Info: 059/217335 www.coopoltremare.it Centro turistico studentesco Sede: Roma Destinazione: tutto il mondo Info: 06/44111474 www.cts.it Ram Sede: S. Rocco di Camogli (Ge) Destinazione: Italia, Asia, Caraibi Info: 0185/773061 www.associazioneram.it Arci Metromondo Sede: Milano Destinazione: Cuba Info: 02/89159168 [email protected] Cta - Volontari per lo Sviluppo Sede: Torino Destinazione: Africa, America Latina, Europa dell'Est Info: 011/4379468 www.viaggisolidali.it Viaggi e Miraggi Sede: Brescia, Treviso Destinazione: Italia, Africa, America Latina Info: 030/292212 (Bs), 0422/304242 (Tv) www.viaggiemiraggi.org Pindorama Sede: Milano 84 Destinazione: Africa, America Latina, Asia, Italia Info: 02/39218714 www.pindorama.org Consorzio Pluriverso Sede: Modena Destinazione: America Latina, Balcani, Africa Info: 059/332126 www.consorziopluriverso.org Sguardi oltre il confine Sede: Bergamo, Milano Destinazione: Italia, Francia, America Latina, Filippine, Africa Info: 035/4124095 www.sguardioltreilconfine.it Tremembè Sede: Trento Destinazione: Italia, America Latina, Balcani Info: 0461/824737 www.unimondo.org/tremembe Circolo Lanterna Magica Sede: Padova Destinazione: Mongolia, Vietnam Info: 049/8724477 www.lanternamagica.org Aspac Sede: Milano Destinazione: Brasile Info: 02/4045121 [email protected] Domus Amigas Sede: Iglesias (Ca) Destinazione: Sardegna Info: 0781/24006 www.domusamigas.it Legambiente Sede: Roma Destinazione: Italia Info: 06/86268362 www.legambienteturismo.it Progetto economia ittica Sede: Roma Destinazione: Italia Info: 06/4620471 www.ittiturismo.it 85 Koibà Sede: Napoli Destinazione: Napoli Info: 081/5854984 www.koiba.org Turisti per casa Sede: Ferrara Destinazione: Emilia Romagna Info: 0532/705052 www.cortearcangeli.it Centro turistico Acli Sede: Roma Destinazione: Italia, Europa Info: 06/5840565 www.ctaonline.it Wwf Sede: Milano Destinazione: Italia, Europa, America Latina, Africa Info: 02/20569257 www.wwf.it La Boscaglia Sede: Lucca Destinazione: Italia, Europa, Area Mediterranea Info: 0583/356195 www.boscaglia.it Cooperativa Naturaliter Sede: Reggio Calabria Destinazione: Calabria Info: 0965/626840 www.naturaliterweb.it Torri Superiore Sede: Ventimiglia (Im) Destinazione: Ventimiglia Info: 0184/215504 www.torri-superiore.org Forafrica Sede: Firenze Destinazioni: Africa Info: 055/858152 www.forafrica.org 86 BIBLIOGRAFIA RAGIONATA SUL TURISMO IL FENOMENO Abacus, “Dal sogno alla realtà: come scelgono le vacanze gli italiani”, Publitalia '80, Milano, 1997 Adler J., "The Origins of Sightseeing", in Annals of Tourism Research, 16, 1989, pp. 7-29 Adler J., "Travel as Performed Art", in America J. 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