UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE Corso di laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali Curriculum: Relazioni Internazionali e Diritti Umani GLI IDEOLOGI DI AL-QAEDA E LE TEORIE DELLA VIOLENZA RELIGIOSA RELATORE: PROF. VINCENZO PACE LAUREANDO: DEPLANO ANDREA MATRICOLA N. 514731 A.A. 2007/2008 1 SOMMARIO INTRODUZIONE .......................................................................................... 4 Capitolo 1 ....................................................................................... 7 LA STORIA DI AL-QAEDA............................................................ 7 1.1 Il “Maktab al-Khadamat” ............................................................................ 7 1.2 “La base dei dati” ........................................................................................ 9 1.3 Il ritorno del “mujahidin” .......................................................................... 10 1.4 Il Sudan ..................................................................................................... 11 1.5 Il ritorno in Afganistan .............................................................................. 14 1.6 La dichiarazione di guerra all‟America .................................................... 16 1.7 Il Fronte islamico mondiale per il jihad .................................................... 17 1.8 L'11 Settembre 2001 ................................................................................. 21 1.9 Al-Qaeda oggi ........................................................................................... 24 Capitolo 2 ..................................................................................... 25 L’ANALISI DELLA LEADERSCIP POLITICA ........................... 25 2.1 „ABDALLAH „AZZAM ........................................................................... 25 2.1.1 I TESTI: ................................................................................................. 31 2.1.2 La difesa dei territori musulmani costituisce il principale dovere individuale. ................................................................................................................. 31 2.1.3 Raggiungi la carovana! .......................................................................... 32 2.2 AYMAN AL-ZAWAHIRI ........................................................................ 34 2.2.1 I TESTI .................................................................................................. 42 2.2.2 La mietitura amara. Sessant‟anni dei Fratelli Musulmani. .................... 42 2 2.2.3 Cavalieri sotto la bandiera del profeta ................................................... 43 2.3 OSAMA BIN LADEN .............................................................................. 45 2.3.1 I TESTI .................................................................................................. 48 2.3.2 Dichiarazione di “jihad” contro gli americani che occupano il paese dei due luoghi santi ........................................................................................................... 48 2.3.3 Raccomandazioni tattiche ...................................................................... 49 Capitolo 3. .................................................................................... 51 LE TEORIE DELLA VIOLENZA RELIGIOSA SECONDO MARK JUERGENSMEYER. .................................................................... 51 3.1 Le giustificazioni morali dei terroristi. ..................................................... 51 3.2 Gli aspetti simbolici. ................................................................................. 53 3.3 Guerra universale. ..................................................................................... 54 3.4 I martiri e l‟invenzione dei nemici. ........................................................... 55 CONCLUSIONI ........................................................................................... 57 BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 61 3 INTRODUZIONE Il fenomeno degli attentati terroristici a matrice integralista islamica ha assunto una rilevanza progressivamente maggiore nello scenario internazionale, diventando fonte d‟inquietudine e di paura nella vita quotidiana di milioni di persone e allo stesso tempo influenzando significativamente le politiche degli Stati che, direttamente o indirettamente, sono stati esposti alla sua minaccia. Questo fenomeno ha origini lontane, anche se, solo nel novecento si afferma come fattore di mobilitazione collettiva. In questo senso l‟islamismo, anche se invoca il ritorno alla fede degli antichi, è un movimento moderno, i militanti sono raramente dei “chierici” o dei religiosi in senso tradizionale, ma sono piuttosto dei giovani formati in sistemi scolastici moderni, che spesso hanno una formazione universitaria scientifica più che umanistica. In particolare i leader dei movimenti più radicali sono ingegneri più che teologi e provengono da famiglie di recente urbanizzazione o da classi medie che hanno percorso all‟indietro i gradini della mobilità sociale. Ma è l‟11 settembre 2001 che segna una svolta nelle strategie e nell‟intensità dello scontro tra due modi completamente contrapposti di visione del mondo. L‟islamismo si presenta oggi sulla scena come ultima grande ideologia universalizzante. La sua azione mira a ristrutturare il campo mondiale in un nuovo bipolarismo georeligioso, fondato sull‟appartenenza al “partito di Dio”, quello degli “autentici credenti”, o al “partito di Satana”, costituito da tutti coloro che militano tra le file dell‟incredenza. 1 Più specificatamente il primo capitolo è dedicato alla storia di al-Qaeda. La nascita risale alla resistenza antisovietica in Afganistan negli anni ottanta, e il primo elemento rilevante è quello organizzativo: non una piramide, bensì una serie di moduli e sub-organizzazioni, interconnesse ma relativamente indipendenti. È “l‟ufficio dei servizi” o Mak la prima rete organizzata ad addestrare i primi mujahidin in Afganistan per contrastare l‟invasione russa. Essa fu fondata da „Azzam e vide in seguito la partecipazione di Osama bin Laden. Questa organizzazione vide la sua evoluzione grazie all‟egiziano al-Zawahiri nella “base dei dati” dove si centralizzò i dati sui 1 Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, introduzione. 4 volontari arabi che transitarono nei campi di accoglienza di bin Laden per essere raccolti sotto un comando unificato. È dal 1996 al 2001 che al-Qaeda matura, ma si trova ancora lontana da quel gruppo terrorista strutturato, ipotizzato da molti commentatori. Al-Qaeda a quel tempo consisteva in tre elementi, un nocciolo duro, una rete di gruppi cooperanti e un‟ideologia. Questa tripartizione è essenziale per comprendere la natura sia del fenomeno “al-Qaeda” sia della moderna militanza islamica. Durante questo periodo bin Laden è riuscito ad attirare, oltre alla decina circa di associati che stavano con lui fin dai tardi anni ottanta, molti fra i più eminenti militanti attivi in tutto il mondo. Insieme, quegli uomini hanno formato il nucleo del progetto “al-Qaeda” e il cuore della capacità operativa di questa organizzazione.2 Ma accanto a quel “nocciolo duro di al-Qaeda” e alla “rete di reti” c‟era un terzo elemento: l‟idea, la visione del mondo, l‟ideologia di al Qaeda e di coloro che quella idea sottoscrivevano. Nel periodo post-2001, è stato quest‟ultimo elemento a diventare il più importante. Bin Laden non ha sequestrato giovani né li ha sottoposti al lavaggio del cervello. I giovani che sono affluiti in Afganistan per cercare addestramento militare e terroristico lo facevano per libera scelta, nessuno veniva trattenuto contro la propria volontà, la disciplina era rigida ma chiunque volesse andarsene poteva farlo.3 Il secondo capitolo si propone di dare un contributo alla comprensione delle cause e delle logiche del terrorismo a matrice integralista islamica, attraverso l‟analisi della vita e degli scritti dei principali protagonisti, cominciando da „Abdallah „Azzam, Fratello Musulmano palestinese, promotore del jihad nell‟Afganistan e teorico del jihad contemporaneo in tutto il mondo. Il secondo è Ayman al-Zawahiri, che oltre ad essere una figura mediatica, funge da collegamento tra l‟opera di „Azzam, assassinato nel 1989, e le guerriglie islamiste degli anni novanta e teorizza poi il passaggio alle “operazioni martirio” di cui l‟11 settembre costituisce l‟apogeo. Per ultimo Osama bin Laden, rappresenta la porta di accesso per eccellenza a tale universo e la sua incarnazione più mediatica, nonostante le sue prese di posizione non abbiano una grande profondità teorica. 2 3 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 28. Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 177. 5 Questi autori che si sono imposti in questi ultimi anni, ossia bin Laden e alZawahiri, collocano la loro visione del mondo e la loro azione all‟interno della logica stabilita da „Azzam. Essi mobilitano a loro volta gli anziani per qualificare e giustificare la lotta, stigmatizzare il nemico e infine trarre le lezioni dell‟insuccesso delle guerriglie degli anni novanta per fondare la legittimità delle “operazioni martirio” che diventeranno poi la firma di al-Qaeda.4 Si cercherà di fare lo sforzo di capire non solo chi sono e che cosa vogliono gli uomini della jihad, ma anche perché trovino così tanto ascolto presso le platee popolari di un terzo del pianeta. Nel terzo capitolo vado ad affrontare lo studio delle motivazioni alla base degli atti di terrorismo religioso, le logiche morali e strategiche che guidano degli uomini a commettere degli atti di inaudita violenza, grazie principalmente al testo di un studioso americano, il sociologo Mark Juergensmeyer il quale analizza le peculiarità del terrorismo religioso ponendo l‟attenzione sul suo significato simbolico, messo in atto con metodi altamente drammatici. Inoltre, si potrà verificare che queste inquietanti esibizioni di violenza sono accompagnate da forti rivendicazioni di giustificazione morale e da un tenace assolutismo, caratterizzato dall‟intensità dell‟impegno degli attivisti religiosi e dalla portata ultrastorica dei loro obbiettivi. L‟assolutismo della religione si rivela in particolar modo nella nozione di guerra universale. In questo capitolo si osserverà la potenza della religione in determinati settori della vita pubblica. Si vedrà come le idee religiose e il senso di comunità religiosa siano fattori endemici per le culture della violenza da cui nasce il terrorismo: si analizzerà come il dramma della religione sia particolarmente adatto per il teatro del terrore; come le immagini di martirio, satanizzazione e guerra universale occupino un posto di primo piano nelle ideologie religiose; e come queste immagini e idee abbiano costituito fattori di potenziamento sociale, orgoglio personale e legittimazione politica. 5 Il terrorismo è una reazione all‟umiliazione6. 4 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. introduzione. Mark Juergensmeyer, Terroristi in nome di Dio, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, pag. 237238. 6 Mark Juergensmeyer, Terroristi in nome di Dio, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, pag. 230. 5 6 Capitolo 1 LA STORIA DI AL-QAEDA 1.1 Il “Maktab al-Khadamat” L‟organizzazione attuale di Al-Qaeda è molto probabilmente il risultato di tre fasi verificatesi nel corso degli anni. La prima fase era rappresentata dal Maktab alKhadamat (ufficio dei servizi o Mak), il centro di reclutamento organizzato da „Abdallah „Azzam e Osama bin Laden per sconfiggere l‟esercito russo dopo l‟invasione dell‟Afganistan. Lo scopo del Mak fu quello di ricevere, controllare e organizzare i volontari che giungevano sempre più numerosi, raccogliere i fondi in arrivo dal Medioriente e fare opera di propaganda. Nei primi anni ottanta, i due uomini collaborarono strettamente, ma con una chiara divisione dei ruoli: Osama rappresentava il finanziatore del movimento e addetto alla comunicazione, „Azzam era l‟ideologo e l‟uomo d‟apparato7. Tra i maggiori finanziatori del jihad afgano vi furono i sauditi i cui aiuti, equiparabili a quelli degli Stati Uniti, passarono dai trenta milioni di dollari del 1980 ai duecentocinquanta milioni del 1985. Pari, se non superiore, fu il livello degli aiuti sauditi non ufficiali8. Per gestire un flusso di denaro così consistente era necessaria la presenza sul posto di uomini di fiducia. Tra questi vi era Osama bin Laden, che finanziò la causa afgana attingendo anche alle sue risorse personali, un gesto che contribuì a dare alla sua figura un rilievo particolare aumentando la sua credibilità e consentendogli di raccogliere più fondi e di reclutare molti più volontari. Lo stesso Osama, per far fronte alla quantità di denaro che affluiva dall'estero, creò la “Fondazione per la salvezza islamica”. È dunque nel 1982 a Peshawar che nasce un nuovo internazionalismo islamista9. Il 15 febbraio 1989, l'URSS, stremata da un decennio di guerra, si ritirò sconfitta dall'Afghanistan. La collaborazione tra Osama ed „Azzam era destinata a deteriorarsi con il raggiungimento dell'obiettivo comune ed è per questo che Osama prese le distanze dal suo vecchio mentore, considerato troppo 7 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 11. Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 72. 9 Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 199. 8 7 moderato, per avvicinarsi progressivamente agli esponenti dell'estremismo egiziano vicini ad al-Zawahiri. Il primo momento di tensione tra i due uomini si ebbe in occasione della costruzione di una forza militare costituita solo da arabi, autonoma rispetto ai mujahidin afgani. „Azzam sosteneva la pratica abituale fino a quel momento, ovvero quella di inviare i volontari arabi a seguito dei mujahidin e alle ONG islamiche per completare il loro addestramento. Bin Laden, invece, era favorevole alla formazione di una forza straniera indipendente, composta maggiormente di arabi. Questa differenza di vedute non causò una rottura tra loro, ma sicuramente segnò il primo passo di bin Laden per uscire dall'ombra di „Azzam e diventare un attore indipendente del jihad. Osama, intanto, si trasferì prima a Khost, in Afghanistan, poi a Hayatabad, un sobborgo di Peshawar. Qui stabilì delle case sicure e campi di addestramento allo scopo di creare un'infrastruttura per al-Qaeda separata da quella del Mak. La prima base militare costituita al fine di addestrare forze esclusivamente arabe è nota con il nome di al-Ma'sada al-ansar ("la tana del leone”). Lo stesso Osama bin Laden parla di questo campo, delle difficoltà incontrate per costruirlo, ma anche delle soddisfazioni della vita in comune. Questi campi costituiti dai mujahidin e dagli arabi durante gli anni dell'occupazione sovietica rimarranno attivi almeno fino all'indomani dell'attacco USA e costituiranno il nocciolo duro di al-Qaeda, la condizione essenziale che permetterà all'organizzazione di strutturarsi ed organizzarsi in un complesso sempre più sofisticato. Il Mak, che in origine fu istituito per organizzare i volontari che giungevano da ogni parte del mondo per combattere i sovietici, continuò col produrre dei mercenari, ovvero dei guerrieri con un fumoso bagaglio ideologico contraddistinto da una scarsa raffinatezza politica e in alcuni casi anche da mancanza di istruzione, condizione che portò i volontari ad una maggiore esposizione a quello che era il messaggio di „Azzam. Anche se questa sua dottrina filosofica si fondava chiaramente sull'eredità di al-Banna, Mawdudi, Qutb e Khomeini, il suo pensiero era molto meno rifinito e ideologico di quello dei pensatori precedenti. Le debolezze teoriche venivano coperte dal suo focoso appello al jihad e al martirio e dalle raffigurazioni a tinte forti della guerra cosmica tra la umma e i suoi nemici, fra il bene e il male10. Quando all'indomani della ritirata sovietica i combattenti arabi fecero ritorno nei loro paesi d'origine, portarono con sé un grosso 10 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 90. 8 bagaglio di conoscenze militari che intendevano utilizzare per rovesciare i governi che ritenevano poco aderenti alle regole dell'Islam. 1.2 “La base dei dati” Al-Qaeda si evolse nel corso degli anni divenendo un gruppo il cui nucleo centrale era formato da appartenenti all‟estremismo religioso egiziano capeggiati da alZawahiri, per formare nel 1988 Qa‟idat al-ma‟lumat (“la base dei dati”) il cui compito era quello di centralizzare i dati sui volontari arabi che transitarono nei campi di accoglienza di bin Laden per essere raccolti sotto un comando unificato. Nell'archivio elettronico furono raccolti migliaia di nomi, segnalate le caratteristiche somatiche, la provenienza, l'appartenenza etnica, le conoscenze linguistiche, le capacità professionali, l'attitudine al combattimento, l'orientamento ideologico di ogni combattente per la causa di Allah. Nel frattempo, la disputa tra Osama e „Azzam era destinata a terminare con la morte di quest‟ultimo, ucciso il 24 novembre 1989 in un attentato dai risvolti poco chiari. A questo punto, Osama, ormai senza più rivali, iniziò a pianificare la conversione del Mak e della nascente al-Qaeda in una forza terroristica globale. L'obiettivo era di distruggere prima gli Stati Uniti e Israele e ristabilire poi il califfato attraverso il jihad globale. Mentre bin Laden aveva il carisma e il sostegno economico che gli permise di fondare al-Qaeda, al-Zawahiri ricoprì il ruolo di ideologo dell'organizzazione. Sotto l'influenza di al-Zawahiri, la leadership dell'organizzazione di bin Laden andò progressivamente costituendosi da veterani egiziani provenienti dai vari gruppi islamici, che individueranno nel presidente Mubarak il loro primo nemico. I Fratelli Musulmani e altre organizzazioni islamiste svolsero un ruolo chiave nel reclutamento e nella raccolta fondi, motivo per cui ci fu una crescita del numero dei volontari che in precedenza non avevano avuto alcun coinvolgimento nella politica islamista. Molti erano giovanissimi e pochi avevano una reale conoscenza dell'islamismo e dei suoi precedenti; alcuni furono attirati dai generosi sussidi forniti dai donatori sauditi, altri arrivavano per qualche settimana estiva prima di tornare alle loro ricche case nel Golfo. 9 1.3 Il ritorno del “mujahidin” Dopo la ritirata sovietica dall'Afghanistan, nel 1989, Osama fece ritorno in Arabia Saudita dove fu trattato con onore e rispetto. Come gli altri combattenti tornati dall'Afghanistan non si riabituerà facilmente alla vita civile e già dal 1989 si metterà alla ricerca di una nuova causa capace di ripetere l'esperienza afgana. In questo periodo l'attenzione di Osama si concentrò su due situazioni: il regime ateo di Saddam Hussein in Iraq e lo Yemen. Osama, qui come in Iraq, pensava di intervenire con il suo esercito di combattenti per liberare il paese, ma venne bloccato dalla famiglia reale saudita che cominciava a diffidare di un personaggio diventato ormai incontrollabile. La definitiva rottura con la monarchia saudita avvenne con l'invasione irachena del Kuwait, il 2 agosto 1990. Mentre la monarchia saudita, rendendosi conto del grave rischio che stava correndo decise di chiedere aiuto agli Stati Uniti, Osama propose ai sauditi un piano alternativo, ovvero mettere insieme tutti i veterani del jihad antisovietico (all'incirca 5.000 mujahidin) per dare vita ad una coalizione anti Saddam. Ovviamente la sua proposta venne respinta e le truppe americane fecero il loro ingresso in Arabia Saudita lanciando l'operazione “Scudo nel deserto”, il 7 agosto 1991. Osama non poteva accettare l'idea che un esercito di non musulmani occupasse il suolo sacro della Penisola arabica ed espresse il suo disappunto al principe Turki. La monarchia saudita, da parte sua, cercò di rassicurare Osama sul fatto che la presenza militare statunitense sarebbe stata limitata al tempo previsto per fare rientrare la minaccia irachena. Ciò non avvenne poiché, quando le truppe di Saddam Hussein si ritirarono dal Kuwait, gli americani rimasero di stanza in Arabia Saudita. Per bin Laden il quadro era ormai chiaro: l'America aveva profanato "la terra dei due Luoghi Santi", portandovi i suoi soldati, ed essa rappresentava il nemico per eccellenza da abbattere. Tuttavia, prima dello scontro diretto con gli Stati Uniti, fu necessario lanciare l'offensiva contro i suoi alleati locali, primi fra tutti l'Arabia Saudita e l'Egitto. A questo punto, Osama era considerato una minaccia che i sauditi non potevano più sottovalutare ed incominciarono a pianificarne l'arresto. Grazie all'aiuto di un oppositore della famiglia reale saudita, Osama poté uscire clandestinamente dal paese 10 con il pretesto di partecipare ad un incontro islamico in Pakistan, nell'aprile del 1991, per poi trasferirsi in Sudan. 1.4 Il Sudan Osama soggiornerà in Sudan dal 1991 al 1996. All'inizio di questo periodo il nome di al-Qaeda non era ancora di uso corrente né conosciuto. Bin Laden era percepito come un oppositore del regime saudita e non ancora come l' "internazionalista" di un jihad focalizzato contro gli americani. Al-Zawahiri, nel frattempo, si occupava dell'Egitto privilegiando azioni mirate e spettacolari contro le autorità del regime. Gli stessi Stati Uniti, sebbene fossero al corrente della minaccia che rappresentavano i mujahidin stanziati in Afghanistan e in Pakistan e che Osama fosse dietro molti attacchi terroristici, ignorarono la natura multinazionale della sua organizzazione. La permanenza nel Sudan rappresentò un momento importante per lo sviluppo dell'organizzazione e fu proprio qui che al-Qaeda ebbe la possibilità di organizzare una solida ed efficiente struttura interna. La maggior parte degli sforzi di bin Laden furono dedicati alla fondazione e alla direzione di un vasto impero economico. Egli portava gli imprenditori a vedere i suoi esperimenti con vari tipi di piante, gestiva decine di compagnie mercantili e una immensa fattoria dove si svolgevano contemporaneamente l'addestramento dei veterani afgani arabi e la coltivazione delle arachidi, mentre altre aziende producevano miele e dolciumi11. Indispensabile per lo sviluppo di al-Qaeda fu la complicità del governo sudanese. Per proteggere se stesso e la sua organizzazione, Osama intrattenne interessi commerciali e legami con la classe politica sudanese, i servizi di sicurezza e l'esercito. Oltre a mantenere stretti legami con Hassan al-Turabi, l‟ideologo chiave dell‟Islam politico contemporaneo, Osama coltivò le sue relazioni con il presidente, i ministri e i capi dei dipartimenti di governo. Investì 50 milioni di dollari in una banca che aveva stretti legami con l'élite sudanese e di conseguenza al-Qaeda fu trattata con rispetto. Nel frattempo, la minaccia islamista si fece sempre più pericolosa, così, molti dei veterani arabi che avevano combattuto in Afghanistan furono arrestati nei loro paesi. 11 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 155. 11 L'alternativa che si prospettò ai mujahidin fu quella di ritornate a far parte dei gruppi islamisti che ancora combattevano in Afghanistan, Tagikistan, Algeria, Cecenia, Bosnia, Kashmir e Sudan. Al-Qaeda approfittò di questa congiuntura positiva per dare nuovo vigore all'organizzazione, attraverso nuovi istruttori e fondi. Inoltre, all'indomani del primo attentato al World Trade Center nel 1993, gli Stati Uniti imposero al Pakistan di espellere o registrare i mujahidin presenti nel suo territorio. In questa occasione Osama pagò per il trasferimento di centinaia di loro. Di pari passo con l'aumento dell'efficienza interna dell'organizzazione, andava la sua espansione all'estero. Dal Sudan, infatti, al-Qaeda iniziò a diffondersi in tutto il mondo, sviluppando una rete di comunicazione mai vista prima, che collegava tra loro i suoi uffici regionali di Londra, New York, Turchia e altri centri. Per le comunicazioni venivano utilizzati messaggi mail criptati e siti web, molti dei quali collocati nelle aree tribali del Pakistan. Uffici di bin Laden furono aperti a Cipro, Zagabria e Sarajevo per fornire supporto ai bosniaci musulmani che combattevano contro i serbi e i croati. Organizzazioni non governative, presenti a Baku, Azerbaigian, costituirono il punto di partenza dal quale si diffondevano gli aiuti finanziari che arrivavano ai ribelli ceceni. In più Osama si servì della Terza Agenzia Mondiale di Assistenza già presente a Vienna che contava uffici a Zagabria e a Budapest. L'attività di al-Qaeda in Sudan, fu finalizzata a creare legami con altri gruppi islamisti ed è per questa ragione che bin Laden istituì la “Confederazione internazionale del jihad”, l'Islamic Army Shura che ebbe il compito di coordinare l'insieme dei gruppi terroristici che si stavano unendo ad al-Qaeda. Il modello sul quale si strutturavano le alleanze si estese anche negli Stati Uniti. Un'organizzazione musulmana chiamata alKhifa aveva numerosi uffici che si estendevano per tutto il territorio americano. Il più grande di questi uffici, situato nella moschea Farooq di Brooklyn fu un avamposto del Mak, per tutti gli anni Ottanta. Altri uffici dell'organizzazione erano situati ad Atlanta, Boston, Chicago, Pittsburgh e Tucson. Al-Khifa reclutò musulmani americani per combattere in Afghanistan, molti di loro parteciparono ad azioni terroristiche negli Stati Uniti all'inizio degli anni Novanta e anche ad operazioni di al-Qaeda all'estero, inclusi gli attentati del 1998 alle ambasciate americane in Africa. 12 Nell'autunno del 1993, un'altra delegazione giunse in Libano, per essere formata all'uso degli esplosivi, ma anche su operazioni di intelligence e di sicurezza. Bin Laden era particolarmente interessato agli attentati portati a termine con l'utilizzo delle auto bomba, come quella che aveva ucciso 241 Marine americani in Libano nel 1983. Il soggiorno in Sudan di bin Laden è stato importante nell'evoluzione di alQaeda anche per un altro motivo: iniziano gli attentati terroristici contro obiettivi sauditi ed americani. Il primo fronte contro gli Stati Uniti fu aperto in Somalia il 3 e 4 ottobre 1993, quando jihadisti afgani organizzarono azioni armate che portarono alla morte di diciotto militari americani a Mogadiscio. Una cellula di al-Qaeda venne installata a Nairobi e usata come base dalla quale inviare armi ed istruttori ai signori della guerra somali che combattevano contro le truppe USA. Nel dicembre dello stesso anno, due alberghi della città di Aden, nello Yemen, che generalmente ospitavano le truppe americane che sostavano prima di ripartire per la Somalia, furono fatti esplodere con delle bombe. Nel novembre del 1995, un'autobomba esplose al di fuori di un'installazione militare di soldati sauditi ed americani a Riyadh, adibita all'addestramento della Guardia Nazionale Saudita. Con l'attentato al World Trade Center, il 23 febbraio del 1993, la CIA riconobbe in bin Laden un serio pericolo ma egli non rivendicò mai nessun attentato. La non assunzione di responsabilità corrisponde ad una precisa politica attuata in questo periodo da bin Laden. Innanzitutto perché non è giusto rivendicare il merito di un atto che ha avuto successo solo grazie alla volontà di Dio12, e poi il leader di al-Qaeda vietò di attribuire la responsabilità delle azioni all'organizzazione, poiché questo tipo di pubblicità poteva portare ad un'identificazione dell'organizzazione. In base a questa politica, al-Qaeda non rivendicò la responsabilità per la bomba al National Guard Building di Riyadh, il 13 novembre 1995, che uccise sei persone, o quella nell'istallazione militare di Khobar Towers di Dhahran che uccise diciannove americani e ne ferì un centinaio. Nel 1994, al-Qaeda pianificò un attentato, fortunatamente sventato dalle forze dell'ordine, noto come Piano Bojinka. Il piano prevedeva di portare a segno una serie di attentati nelle Filippine: l'assassinio di Papa Giovanni Paolo II e del presidente Clinton 12 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 38. 13 durante la loro visita a Manila; l'assassinio del presidente Fidel Ramos, di due anziani funzionari governativi, diversi ambasciatori stranieri nelle Filippine e altri diplomatici, ufficiali dell'esercito, della polizia e civili; di piazzare bombe nei centri commerciali, nei negozi, nell'ambasciata USA e in scuole internazionali, in chiese cattoliche e importanti centri governativi; il rapimento di personalità influenti per ottenere un riscatto, rapine in banche e in istituti finanziari; assassini di cittadini americani ed israeliani; di far esplodere undici aerei passeggeri durante il volo13. La crudeltà degli attentati terroristici degli anni Novanta, che culminò nella strage di Luxor del 1997, priverà, poco a poco, i gruppi estremisti del sostegno popolare. Il fallimento di tale strategia fu, inoltre, sancito dall'appello dei principali emiri egiziani che esortarono all'abbandono della lotta armata. Anche bin Laden ed alZawahiri si convinsero della necessità di cambiare strategia e quindi colpire non più in maniera indiscriminata i regimi musulmani nel tentativo di abbatterli, ma rivolgersi ad obiettivi americani ed israeliani. Al-Zawahiri preconizzò, quindi, un jihad non più limitato al "nemico vicino", ma uno in grado di colpire il vertice del potere, il "nemico lontano" per eccellenza, la superpotenza americana, che trascinerà nella sua caduta tutti i governi "miscredenti". 1.5 Il ritorno in Afganistan Dopo il tentativo di uccidere Mubarak, le pressioni sul Sudan per espellere Osama si fecero sempre più forti aggiungendosi a quelle degli USA e della Gran Bretagna e anche a quelle dell'Egitto. Mentre il Sudan sembrava sordo alle richieste internazionali, gli Stati Uniti cominciarono a far affluire aiuti militari in funzione di contenimento, agli stati confinanti tradizionalmente ostili come l'Uganda, l'Eritrea e l'Etiopia. Nel 1993, dopo che gli Stati Uniti inserirono il Sudan tra i paesi sponsor del terrorismo, le grandi società petrolifere occidentali si mostrarono restie a investire nel paese14. Già dal febbraio 1996, i sudanesi presero contatti con ufficiali americani per espellere il ricco saudita nel suo paese natale, eventualità immediatamente respinta dalla stessa monarchia saudita. 13 14 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 121. Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 165. 14 Osama bin Laden, che non si sentiva più sicuro in Sudan, lasciò il paese africano per fare ritorno in Afghanistan, il 18 maggio 1996. Probabilmente bin Laden giunse a Jalalabad in un area controllata da un consiglio provinciale di leader islamici. Qui trovò alloggio presso Younis Khalis, capo di una delle principali fazioni di mujahidin, il quale riconobbe il potere simbolico del suo esilio e il vantaggio che ne avrebbe potuto ottenere per ispirare i suoi seguaci e attirare nuovi proseliti15. Il periodo che va dal 1996, anno in cui Osama si trasferì con la sua organizzazione in Afghanistan, e il 2002 anno in cui, dopo il sanguinoso attentato alle Torri Gemelle, i raid aerei dell'esercito americano distrussero le basi di al-Qaeda, rappresenta il culmine dell'organizzazione. Osama finì sotto la tutela del Mullah Omar, leader dei talebani, che recentemente si era proclamato"governante di tutti i musulmani". Non appena Osama arrivò in Afghanistan, il Mullah inviò una delegazione per incontrarlo comunicandogli che era "Onorato di proteggerlo, a causa del suo ruolo nel jihad contro i sovietici” Al-Qaeda sviluppò una unità speciale di guerriglia per affiancare i talebani nella loro battaglia contro l'Alleanza del Nord e questa forza, conosciuta come Brigata 05516, era composta da 1.500-2.000 arabi e divenne parte integrante delle forze talebane. Il risultato fu che i combattenti di al-Qaeda e dei talebani vivevano, si addestravano e conducevano operazioni militari insieme. Sebbene funzionassero come due organizzazioni separate, le loro strutture furono integrate per raggiungere l'obiettivo comune di combattere l'Alleanza del Nord. Il regime talebano ripagava il supporto di al-Qaeda fornendole un rifugio sicuro, rifornendola di armi, di equipaggiamenti e di attrezzature necessarie per l'addestramento. Ad al-Qaeda fu inoltre consentito di utilizzare la compagnia aerea nazionale, l‟Ariana Airlines, per trasportare i suoi membri, reclutarli ed effettuare approvvigionamenti dall'estero. Grazie ai suoi rapporti con il Mullah Omar, bin Laden riacquistò la libertà di movimento che aveva perso in Sudan così che gli agenti di al-Qaeda potevano muoversi nel paese senza impedimenti, entrare ed uscire senza visto o altre pratiche per l'immigrazione, acquistare ed importare veicoli ed armi, usufruire delle targhe del 15 16 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 165. Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 191. 15 ministero della difesa afgano e della compagnia aerea dello stato per introdurre soldi nel paese. Al-Qaeda poté addestrare e indottrinare combattenti e terroristi che giungevano nei numerosi campi disseminati nel paese. Nel frattempo, l'organizzazione continuò a collaborare strettamente con la maggior parte dei gruppi terroristici mediorientali presenti in Egitto, in Algeria, nello Yemen, in Libano, in Marocco, in Tunisia e in Somalia, i cui legami erano stati stretti durante il periodo di permanenza in Sudan. Rapporti di collaborazione furono stabiliti con estremisti del sud e del sud est asiatico, inclusa la Jemaah Islamiyyah malese ed indonesiana e diversi gruppi pachistani impegnati nel conflitto per il Kashmir. Dal rifugio afgano, bin Laden rafforzò la base di Londra e gli uffici presenti in Europa, nei Balcani e nel Caucaso. Grazie al supporto finanziario saudita e quello degli associati del Golden Chain, ricostruì la rete di finanziamenti ritornando ad essere l'uomo più ricco e potente del movimento jihadista. Era ormai pronto a colpire "la testa del serpente". 1.6 La dichiarazione di guerra all‟America La riacquistata forza di al-Qaeda fu evidenziata dalle dichiarazioni pubbliche emesse, tra il 1996 e il 1998, da Osama, che riprese i temi tipici delle sue rivendicazioni, ampliandoli e rendendoli più aggressivi. Sono tre le fatwa diffuse in questo periodo da al-Qaeda: la prima il 23 agosto del 1996, la seconda nel febbraio 1997 e la terza, che annunciò la formazione del Fronte islamico mondiale per il jihad, il 23 febbraio 1998. Il 23 agosto 1996 fu pubblicata la Dichiarazione di jihad contro gli americani che occupano la terra dei due luoghi santi. Il documento, emesso all'indomani dell'arrivo di bin Laden in Afghanistan, riprendeva i temi principali delle sue rivendicazioni: i soprusi, le ingiustizie e i massacri che i musulmani subiscono dall'alleanza cristianogiudea e dai suoi sostenitori. Diversamente dagli appelli precedenti, si indirizzava non solo ai musulmani che si trovavano nella Penisola arabica, ma anche a quelli del Medioriente, dell'Asia centrale, del Corno d'Africa, del Caucaso, dei Balcani e del Sud Est asiatico, che subivano l'arroganza americana sotto la copertura delle Nazioni Unite. Nel marzo 1997, Osama, nonostante avesse rassicurato al Mullah Omar di muoversi con maggior circospezione, rilasciò un'intervista in cui spiegò la propria posizione nei confronti degli Stati Uniti e del regime saudita, nonché gli obiettivi che intendeva raggiungere. Innanzitutto, egli ribadì il suo punto di vista nei confronti dei sauditi, 16 vassalli degli Stati Uniti, che mantenevano il prezzo del petrolio volutamente basso per far fronte alle richieste degli americani. In pratica, Osama dichiarò il takfir contro la famiglia reale, affermando che essa non poteva essere considerata musulmana e, di conseguenza, la sua uccisione era giudicata lecita. Gli americani, invece, dovevano essere cacciati dalla Penisola arabica e dall'intero mondo musulmano. Ad essere colpito non sarebbe stato solamente l'esercito, ma soprattutto i civili americani, perché votando sono responsabili delle azioni del loro governo e, in secondo luogo, perché gli stessi Stati Uniti non hanno risparmiato nessun civile in Palestina, Libano e Iraq17. Tuttavia, gli attacchi di bin Laden alla monarchia saudita erano una violazione del giuramento che il Mullah Omar aveva fatto al principe Turki, ovvero quello di tenere il loro ospite sotto controllo. Altri erano invece riconoscenti a bin Laden che li stava aiutando a ricostruire il paese fornendo lavoro per far riprendere l'economia. Il Mullah Omar decise di far trasferire Osama ufficialmente da Jalalabad a Kandahar, per garantirgli maggiore protezione dal momento in cui egli lo informò che dei mercenari stavano organizzando di rapirlo, ma in realtà era soprattutto per tenerlo sotto controllo ed evitare altre interviste18. Questo trasferimento, però, fu un tentativo vago e certo non servì a bloccare Osama dal fare sentire ancora una volta la sua voce. Nel febbraio 1997 emise un'altra fatwa nella quale nominò e sfidò il segretario della difesa americano William Cohen, celebrando le virtù degli attentatori suicidi. 1.7 Il Fronte islamico mondiale per il jihad Il 23 febbraio 1998, Osama annunciò ai suoi seguaci la formazione del “Fronte islamico mondiale per il jihad contro gli ebrei e i crociati”. La fatwa arrivò nel momento di massimo rinnovamento e forza di al-Qaeda, dopo un anno e mezzo di lavoro. I firmatari dell'accordo furono, oltre Osama, al-Zawahiri, capo del Jihad islamico egiziano; Munir Hamza, segretario degli ulema in Pakistan; Fazlur Rahman Khalil, emiro del Harakat al-ansar (Pakistan); Sceicco „Abd al Salam Muhammad Khan, emiro del Harakat al-jihad (Bangladesh); Abu Yassir Rifa‟i Ahmad Taha, membro eminente 17 18 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 37 e ss. Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 188. 17 del gruppo islamista egiziano al-Jama‟a al-Islamiyya. Osama firmò come individuo19 e l'esistenza di al-Qaeda fu mantenuta segreta. Ciò che bin Laden si aspettava dalla creazione del Fronte era, innanzitutto, diminuire la capacità americana di concentrarsi esclusivamente su al-Qaeda, rendendole più facile lavorare a livello internazionale riducendo di conseguenza le pressioni su un gruppo specifico. La dichiarazione riprendeva i temi tipici delle rivendicazioni precedenti, elencando brevemente i crimini commessi dagli americani e dai loro alleati nei confronti dei musulmani, affinché il popolo non dimentichi. Gli americani, occupando la Penisola arabica sono accusati di aver razziato le sue ricchezze e terrorizzato gli abitanti. Nel testo si condannava l'alleanza tra crociati e giudei contro l'Iraq, che aveva provocato migliaia di vittime con la guerra e l'embargo petrolifero. Esprime disapprovazione per la politica internazionale americana in Medioriente a servizio dello stato di Israele, il cui interesse è indebolire gli stati della regione, in primo luogo l'Iraq essendo il più forte, per assicurarsi la sopravvivenza e per consentire agli americani di continuare la loro occupazione. Gli Stati Uniti con le loro azioni avevano dichiarato guerra a Dio, al suo Messaggero e ai musulmani ed è sulla base di tali crimini che il Fronte emise una fatwa nella quale riteneva un dovere: "uccidere gli americani ed i loro alleati, siano essi civili o militari, è un dovere che si impone ad ogni musulmano che sia in grado, in qualsiasi paese in cui si troverà, e questo fino al momento in cui saranno liberate dal loro influsso la moschea di al-Aqsa e la grande moschea della Mecca e fino a che i loro eserciti non saranno fuori da ogni territorio musulmano, sconfitti ed incapaci di minacciare i musulmani"20. La fatwa fu seguita da una serie di conferenze stampa e interviste e proprio nello stesso periodo, Osama concesse un'intervista a John Miller, un giornalista dell'emittente americana ABC dove ribadì alcuni concetti: "ogni americano che paga le tasse al suo governo è nostro bersaglio perché aiuta la macchina da guerra americana contro la nazione musulmana”. Dopo la fatwa emessa dal Fronte, anche le fortune di alQaeda andarono aumentando. Fino ad allora, il nome di bin Laden e la sua causa non erano conosciute al di fuori dell'Arabia Saudita e del Sudan, ma la notizia della nuova fatwa gli diede ulteriore pubblicità a tal punto che molti giovani giunsero da tutto il mondo per unirsi a lui. 19 20 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 52-53. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 51. 18 Fino a quel momento, al-Qaeda era concentrata a raccogliere fondi, armi e ad addestrare individui per operazioni che venivano portate a termine da gruppi ad essa alleati, ma la situazione era destinata a cambiare. Il 7 agosto 1998, due esplosioni, avvenute a pochi minuti di distanza l'una dall'altra, colpirono le ambasciate americane di Nairobi, Kenia, e Dar es Salaam, Tanzania. Gli attacchi furono pianificati, diretti ed eseguiti direttamente da al-Qaeda sotto la supervisione di bin Laden21. Osama e il resto della leadership di al-Qaeda lasciarono Kandahar per rifugiarsi nella campagna, aspettandosi una risposta americana. Nel frattempo le rivendicazioni furono faxate agli uffici di al-Qaeda e a quelli del Jihad islamico egiziano di Baku con l'ordine di trasmetterle al giornale Al-Quds al-Arabi. Una proclamava la formazione dell'Esercito islamico per la liberazione dei due luoghi sacri, mentre le altre due, una per ciascuna ambasciata, annunciavano che gli attacchi erano stati compiuti da un battaglione dell'Esercito islamico. Gli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es-Salaam, sancirono il definitivo passaggio della lotta dal "nemico vicino" al "nemico lontano". Non solo, esse rivelarono al mondo la natura di al-Qaeda, i cui elementi caratterizzanti erano l'azione spettacolare e il reclutamento esteso e decentralizzato a carattere messianico22. Un altro elemento introdotto dagli attentati alle ambasciate americane, riguarda il modus operandi di al-Qaeda: d'ora in avanti si moltiplicheranno gli attentati simultanei. Gli attentati di New York, di Casablanca, di Istanbul, di Madrid e di Londra sono un esempio del nuovo approccio caratterizzato dalla riproducibilità tecnica. Sebbene nell'attentato morirono più africani che americani (furono più di duecento le vittime), non ci fu nessuna azione violenta di sdegno da parte dei musulmani. Nella visione di Osama e nel modo di pensare dei suoi sostenitori, il leader di al-Qaeda agì secondo i dettami dell'Islam. In base alla legge islamica, infatti, l'attacco al nemico deve essere preceduto da una fatwa, in questo caso quella emessa sei mesi prima l'attentato, il 23 febbraio. In più, Osama ricevette il sostegno di quaranta religiosi afgani che, il 12 marzo, emisero una fatwa per chiamare al jihad contro gli americani e un'altra simile, sottoscritta dallo sceicco Ahmed Azzam che fu divulgata da un gruppo di religiosi pachistani alla fine dell‟aprile 1998. Le due fatwa resero possibile controbattere alle 21 22 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 183-184. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 15. 19 critiche di coloro che affermavano che Osama non aveva alcuna autorità per emettere un editto religioso. Bin Laden era convinto che l'attentato avrebbe dato agli americani un'idea delle atrocità che i musulmani avevano da sempre subito. Per la maggior parte del mondo e anche per alcuni dei membri di al-Qaeda l'attacco fu inutile, perché un'azione di quelle dimensioni con un numero così alto di morti non avrebbe avuto effetti decisivi sulla politica americana, ma avrebbe solo provocato una massiccia risposta contro di loro. E infatti, gli Stati Uniti non fecero attendere la loro rappresaglia tanto che il 20 agosto 1998 bombardarono con missili Cruise un complesso residenziale e di addestramento di al-Qaeda in Afghanistan, con l'intento di uccidere Osama. Al contrario delle aspettative, la ritorsione americana portò a bin Laden un inaspettata pubblicità a livello internazionale. La rappresaglia statunitense risvegliò il sentimento antiamericano in Afghanistan. I talebani, che inizialmente non consideravano gli Stati Uniti come un nemico, ritennero lo fossero diventati dopo l'attacco missilistico. Il Mullah Omar, nonostante fosse furioso per la sfida di bin Laden alla sua autorità, si trovò in difficoltà a causa della risposta americana. Se avesse consegnato bin Laden, cedendo alle pressioni statunitensi, i talebani non avrebbero mantenuto a lungo il loro potere. Bin Laden, da parte sua, per mitigare le tensioni, prestò un personale giuramento di fedeltà al Mullah Omar riconoscendolo come guida dei fedeli23. Bin Laden non rappresentava più una minaccia e da questo momento in poi, il Mullah divenne il più influente difensore di Osama. Quando i pachistani informarono il principe Turki che dietro gli attentati alle ambasciate c'era bin Laden, Arabia Saudita e Pakistan iniziarono una campagna di convincimento per persuadere i talebani a consegnare Osama, ma durante un colloquio tra il Mullah Omar e il principe Turki, conclusosi male, apparve chiaro che i talebani non lo avrebbero mai consegnato. Nonostante la grave minaccia che Osama rappresentava, egli venne inserito nella lista dei maggiori ricercati dell'FBI solo nel giugno 1999. La Casa Bianca ripeteva in continuazione che al-Qaeda non costituiva un pericolo imminente per il paese, ma gli avvenimenti successivi smentirono queste certezze. Nel dicembre 1999, la polizia giordana arrestò sedici terroristi sospettati di voler colpire il Radisson Hotel di Amman e una serie di luoghi turistici frequentati da occidentali (obiettivi religiosi cristiani e l'aeroporto). Uno dei pianificatori dell'attentato, Abu Mussab al-Zarqawi, riuscì a 23 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 192. 20 fuggire. La polizia giordana scoprì anche un CD-ROM contenente un manuale di addestramento di al-Qaeda in sei volumi. La cellula giordana era affiliata ad al-Qaeda, addestrata in Afghanistan e uno dei suoi elementi chiave aveva giurato fedeltà ad Osama bin Laden, ma il piano e la preparazione dell'attentato furono autonomi. Un piano direttamente preparato da al-Qaeda prevedeva di attaccare una nave vicino allo Yemen. Il 3 gennaio, fu fatto un tentativo con la nave americana The Sullivans, ormeggiata nel porto di Aden, che fallì quando la piccola barca, sovraccarica di esplosivo, saltò in aria prima di raggiungere il suo obiettivo. Il 12 ottobre del 2000, sempre nel porto di Aden, un secondo attentato venne questa volta portato a termine con successo dai militanti di al-Qaeda, contro la nave da guerra americana USS Cole. Osama festeggiò la riuscita dell'attentato, dove persero la vita diciassette marinai, diffondendo un video registrato in occasione del matrimonio di suo figlio, nel gennaio 200124. Per quanto spettacolari e micidiali, questi attentati colpirono militari e diplomatici o cittadini africani, non attirarono l'attenzione occidentale. Non riuscirono, in pratica, a scatenare il vero shock traumatico che sarà provocato dall'11 settembre. In realtà, gli attentati del 1998 e del 2000 rientrano in una strategia graduale, che non si proponeva di fare presa sulle masse in generale, quanto sugli aspiranti martiri. 1.8 L'11 Settembre 2001 L'11 settembre 2001, 19 terroristi dirottarono quattro aerei di linea appena dopo il loro decollo dagli aeroporti di Boston, Newark, New Jersey e Washington D.C. Due aeroplani vennero fatti schiantare sulle Twin Towers del World Trade Center di New York, che crollarono pochi minuti dopo. Il terzo aereo colpì il Pentagono, sede del ministero della difesa americano, distruggendo la facciata sud occidentale dell'edificio. Il quarto si schiantò in un campo in Pennsylvania, ma il suo vero obiettivo era forse la Casa Bianca o il quartiere generale della CIA. Tremila persone persero la vita nell'attentato. Ciò che accadde fu diffuso immediatamente in tutto il mondo attraverso le reti satellitari delle agenzie internazionali come al-Jazira e la CNN. Quando bin Laden affidò la missione a Mohammed Atta, Ziad Jarrah e Marwan al-Shehhi e Hani Hanjour, i futuri piloti, nessuno di loro sapeva pilotare un aereo e nessuno parlava inglese; 24 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 215. 21 nessuno di loro era stato convinto a partecipare all'attentato e ad uccidersi, poiché essi erano già fermamente convinti di far parte di un'operazione suicida. Alla fine di agosto, quando ormai le operazioni di preparazione dell'attentato si stavano concludendo, bin Laden notificò formalmente la shura majlis che l'attacco agli Stati Uniti si sarebbe svolto nelle settimane successive. L'attentato dell'11 settembre fu anticipato da due eventi importanti: la formazione nel giugno del 2001 di al-Qaedat al-Jihad e l'assassinio di Massoud, capo dell'Alleanza del Nord. Osama bin Laden consolidò la sua influenza sul jihad globale incorporando l'organizzazione di al-Zawahiri, il Jihad islamico egiziano, in una nuova entità chiamata al-Qaedat al-Jihad, nel giugno 2001. Il 9 settembre, due membri di alQaeda, con passaporti belgi e con una lettera di presentazione del Centro di Osservazione islamico, fingendosi giornalisti incontrarono Ahmed Shah Massoud, simbolo della resistenza ai talebani. Durante l'intervista i due finti giornalisti si fecero saltare in aria uccidendolo. L'assassinio di Massoud è un dono che bin Laden fece ai talebani, eliminando la minaccia più significativa in Afghanistan25. L'attentato dell‟11 settembre è stato relativamente poco costoso. Al-Qaeda avrebbe speso circa 500.000 dollari per finanziare l'operazione26. Gli effetti per l'economia statunitense e per quella globale e le ingenti spese che, ovunque nel mondo sono state affrontate per aumentare la sicurezza, sono stati, in confronto, immensi. Lo stesso bin Laden lodò quelli che sono stati i costi effettivi per l'economia statunitense, in un video messaggio diffuso il 29 ottobre 2004, alla vigilia delle elezioni presidenziali disse: "ad al-Qaeda sono bastati 500.000 dollari per l‟operazione dell‟11 settembre, e l‟America ha perso nell‟evento e nelle sue ripercussioni circa 500 miliardi di dollari, questo per dire che qualche dollaro di al-Qaeda vale un milione di dollari americani, grazie a Dio onnipotente". Bin Laden continuò affermando che l'attentato contribuì ad aumentare il deficit economico degli Stati Uniti che raggiunse la cifra record di un trilione di dollari. Ma non ci furono solo conseguenze economiche. L'11 settembre, per la sua dimensione e forza distruttiva, ebbe un forte impatto psicologico. Frantumò il senso di invulnerabilità degli americani che derivava dal loro status di superpotenza senza rivali e dal relativo isolamento geografico, in quanto separata dal resto del mondo 25 26 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 201. Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 249. 22 da due oceani. Dimostrò, inoltre, che sebbene l'esercito americano fosse in grado di difendersi, non poteva proteggere la popolazione americana da azioni terroristiche impreviste. L'11 settembre confermò ciò che bin Laden aveva sempre sostenuto e cioè che gli Stati Uniti erano una "tigre di carta", pericolosamente vulnerabile. All'indomani dell'attentato, una serie di dichiarazioni di importanti esponenti di al-Qaeda non fecero altro che risvegliare le paure degli americani sul loro futuro. Meno di un mese dopo l‟11 settembre, il portavoce di al-Qaeda, Suleimain Abu Ghaith, richiamò la possibilità di inesorabili attacchi futuri negli Stati Uniti. Un anno dopo al-Zawahiri rinnovò questo timore dichiarando che l'ondata di attacchi suicidi non era ancora terminata. Gli altri elementi che caratterizzarono l'11 settembre furono la letalità e la distruzione. Inoltre, gli attentati dell'11 settembre misero in luce che le principali basi delle operazioni, dal punto finanziario e logistico, non si trovano in Afghanistan o in Sudan, bensì in Europa occidentale ed in America del Nord. Alla fine di settembre era ormai evidente che l'attacco americano al regime talebano in Afghanistan, responsabile di non aver consegnato bin Laden, era imminente. Il 7 ottobre, gli Stati Uniti, con il supporto della Francia e della Gran Bretagna, lanciarono un massiccio bombardamento. Pochi giorni prima, fu consegnato al corrispondente di al-Jazira, Taysir Alluni, agli uffici di Kabul, un video contenente un messaggio di Osama bin Laden. Fu disposto che venisse trasmesso immediatamente dopo l'inizio delle ostilità e fu trasmesso la prima notte di guerra, poche ore dopo il discorso di Bush e Blair alle rispettive nazioni. Ancora una volta Osama, pur non ammettendo nessuna responsabilità per l'attentato, lo celebrò come il "castigo divino per le atrocità commesse dall‟America". Le atrocità cui faceva riferimento erano la morte degli iracheni a causa delle sanzioni imposte dall'ONU, le sofferenze dei palestinesi inferte dagli israeliani, indicando precisamente quali città della West Bank e della Striscia di Gaza erano state oggetto della repressione israeliana sin dall'inizio della seconda Intifada, nel settembre 2000. Egli evidenziò la disparità tra il silenzio del mondo nei confronti di questi crimini, inclusa la distruzione delle città non musulmane nel 1945 a causa dell'arma atomica e l'attenzione internazionale ogni qualvolta un americano era ucciso. Terminò il suo discorso affermando che l'11 settembre aveva 23 diviso il mondo in due campi: quello della fede e quello dei non credenti. Ogni musulmano deve fare ciò che può per aiutare la sua religione.27 1.9 Al-Qaeda oggi La guerra non riuscirà a distruggere interamente la rete di al-Qaeda, non solo perché al momento non vi è notizia certa sulla sorte di Bin Laden e di al-Zawahiri, i due leader del gruppo, ma anche perché il carattere di movimento diffuso e transnazionale di al-Qaeda fa si che possa ancora riorganizzarsi e riprendere lo jihad globale28. Sono sorti nuovi gruppi, alleati molto alla lontana con bin Laden, alcuni dei quali chiedono leadership o direzione a bin Laden e a quelli che ancora lo circondano, altri operano del tutto autonomamente dal saudita. Il grosso dell‟attivismo è oggi praticato da individui che vedono in bin Laden un leader simbolico: agiscono secondo lo stile al-Qaeda, secondo i suoi programmi, ma non sono controllati in alcun modo significativo da essa. Gli sforzi dei governi occidentali, dei regimi locali e delle agenzie di sicurezza di tutto il mondo non sono riusciti a spezzare il terzo elemento di al-Qaeda. L‟idea di al-Qaeda che è più forte che mai29. 27 Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 206. Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 209. 29 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 33. 28 24 Capitolo 2 L‟ANALISI DELLA LEADERSCIP POLITICA 2.1 „ABDALLAH „AZZAM „Abdallah „Azzam è considerato il padre intellettuale del terrorismo mondiale di al-Qaeda. Nato nel 1941 nel villaggio di Silat al-Harithiyya a nord-ovest di Jenin in Cisgiordania da una famiglia non eccessivamente devota tanto che, durante la sua carriera, non mancarono di criticare l‟attivismo politico del loro figlio. Eccellente negli studi e particolarmente brillante tanto da seguire corsi assieme a studenti più grandi di lui divenne presto membro dei Fratelli Musulmani a metà degli anni Cinquanta grazie a Shafiq Assad „abd al-Hadi un suo insegnante che lo presentò alle principali figure del movimento in Palestina. Alla fine degli anni Cinquanta forse spinto dai suoi genitori, entrò all‟istituto agrario al-Khaduriyya e una volta conclusi gli studi fu mandato a insegnare in una scuola al villaggio di Adir nel centro della Giordania, vicino alla città di Kerak dove i suoi colleghi lo descriveranno come il più religioso tra loro, tanto da preferire nella pausa pranzo leggere versetti del Corano che non mangiarsi un tramezzino.30 Nel 1963 non soddisfatto del suo lavoro da insegnante, „Azzam decise di riprendere gli studi religiosi. Si trasferì in Siria per iscriversi alla facoltà di diritto musulmano dell‟università di Damasco, dove si laureò in sharî„a nel 1966 con una tesi su “Lo scioglimento del matrimonio nella giurisprudenza islamica ed il diritto civile”. Qui incontrò i più importanti luminari religiosi siriani che diventeranno poi delle autorità o capi islamisti partecipando ai numerosi dibattiti politici che animavano gli ambienti islamisti, in particolare quelli sull‟atteggiamento da tenere nei confronti degli “stati oppressori” 31. Nel 1965 durante le ferie estive, sposò una giovane palestinese di Tulkarem che gli avrebbe dato cinque figli maschi e tre femmine. L‟anno seguente dopo essersi laureato „Azzam tornò in Cisgiordania per insegnare nelle scuole, predicare nelle moschee e tenere conferenze fino a che, poco dopo la guerra del giugno 1967 e 30 31 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 90. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 90. 25 l‟occupazione della Cisgiordania da parte di Israele, emigrò con la famiglia in Giordania nel campo profughi di al-Russayfa ad al-Zarqa, per poi trasferirsi con la famiglia ad Amman per insegnare alla “Scuola femminile di al-Taj”. Non passò molto tempo e „Azzam sentì la necessità di partecipare attivamente al jihad palestinese contro Israele, si trasferì con la moglie e la figlia nella più malfamata periferia di al-Zarqa dove costituì un gruppo di fedeli, installò una base nella regione di Irbid e con un accordo con il “movimento islamico di Giordania” cominciò a lanciare operazioni attraverso la frontiera. È in questo momento che gli arrivò la seconda critica per la sua scelta da parte del padre, che gli ordinò di tornare al suo posto di insegnante. Questo fece arrabbiare il nuovo mujahid che si convinse che il permesso dei genitori non è richiesto per partecipare al jihad come scrisse più tardi ne “La difesa dei territori musulmani”32. Qui „Azzam diventò il capo di una base paramilitare “Bayt al-Maqdis” nel villaggio di al-Marw, la quale faceva parte di una rete che rappresentava la corrente più religiosa del movimento dei fedayin chiamata “la base degli sceicchi”. Nel 1968 si iscrisse alla prestigiosa università di al-Azhar al Cairo, dove „Azzam fu immerso in un ambiente islamista in ebollizione dovuto alla repressione che Jamal Abdel Nasser aveva duramente effettuato contro i Fratelli Musulmani, eseguendo la condanna a morte di Sayyid Qutb e incarcerando e torturando migliaia d‟altri. Nel 1970 con l‟arrivo al potere del nuovo presidente egiziano, Anwar al-Sadat, si allontanò dall‟eredità nasseriana corteggiando gli islamisti, liberando la gran parte di quelli che erano in prigione e rendendo meno rigide le costrizioni imposte alle loro attività politiche. Qui „Azzam si avvicinò alla famiglia Qutb e incontrò Omar „Abd al-Rahman, il religioso cieco che sarebbe divenuto il capo spirituale della maggior parte delle organizzazioni islamiste egiziane33. Alla fine del 1969 ottenne una laurea in diritto musulmano con un ottimo voto tanto che gli proposero un posto di professore all‟università della Giordania che accettò, forse anche perché deluso dal carattere ormai laico e nazionalista della resistenza palestinese dominata dall‟Olp. Qui tenne un corso per sei anni in sharî„a che fu sempre più seguito dagli studenti portando un influsso conservatore in questa università, combattendo la mescolanza tra i sessi ed incitando gli studenti a lasciarsi crescere la 32 33 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 93. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 94. 26 barba, lasciando la sua impronta ad una intera generazione di studenti e tra gli islamisti. Oltre all‟università „Azzam teneva corsi serali nelle moschee, riceveva gli studenti a casa, viaggiò in tutto il paese predicando ed insegnando. Percorse velocemente i gradi dell‟organizzazione giordana dei Fratelli Musulmani, diventando uno dei cinque membri del consiglio della shura a partire dal 1975. In quegli anni andò anche in America, tenendo conferenze in parecchi Stati grazie all‟iniziativa dell‟associazione degli studenti musulmani34. Verso la fine degli anni settanta, i sui corsi cominciarono ad essere sempre più politicizzati, tanto che le autorità fecero pressione su „Azzam perché attenuasse le sue prediche, minacciandolo di mandarlo in prigione, ma „Azzam cosciente della sua popolarità continuò senza esitazioni, fino a che ci fu un conflitto con il giornale al-Ra‟y al-„Am all‟inizio del 1980. Quest‟ultimo aveva pubblicato una vignetta che ridicolizzava i religiosi, mostrando un gruppo di sceicchi armati di mitragliatrici M-16, la cui didascalia diceva: “spie americane”. „Azzam indignato chiamò il direttore per esigerne le scuse, ma egli rifiutò, „Azzam dunque lo insultò e minacciò. Il direttore riferì tutto alle autorità che così ebbero un pretesto per sospenderlo dal suo incarico. „Azzam resosi conto che i servizi segreti gli avrebbero impedito di predicare e insegnare liberamente, decise di lasciare il paese per dirigersi verso la meta più comune per gli intellettuali islamisti d‟allora, l‟Arabia Saudita. Fece quindi tappa a Gedda dove a metà degli anni ottanta diventò professore all‟università del re Sa‟ud, grazie alle relazioni con i Fratelli Musulmani, dove una delle figure di primo piano era Muhammad Qutb, il fratello di Sayyid Qutb, di cui „Azzam aveva frequentato la famiglia durante gli studi al Cairo. È interessante sapere che in quegli stessi anni studiava in quella stessa università il giovane Osama bin Laden, e che „Azzam alloggiava proprio in un appartamento affittato dalla famiglia Bin Laden35. Nell‟ottobre del 1980 „Azzam percorse gli ottanta chilometri che separano Gedda dalla Mecca per compiere il pellegrinaggio, e lì doveva incontrare lo sceicco Kamal al-Sananiri, un membro dei fratelli musulmani egiziani giunto in Afganistan nel 1979 e che servì da mediatore fra i mujahidin per rendere più efficace la resistenza contro i sovietici. Questo incontro fu una svolta della sua vita perché al-Sananiri fu 34 35 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 95. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 96. 27 colui che gli aprì gli occhi su quello che sarebbe divenuto il grande disegno della sua vita: il jihad in Afganistan. Chiese allora al rettore della sua università di andare ad insegnare nella nuova università internazionale islamica di Islamabad, finanziata dell‟università del re „Abd al-„Aziz, e così alla fine dell‟anno universitario „Azzam partì per Islamabad. Poco dopo l‟arrivo in Pakistan, „Azzam entrò subito in contatto con i capi militari afgani e fu dal primo momento il punto di contatto tra i mujahidin afgani ed i movimenti islamisti del Medio Oriente. Il suo jihad consisteva soprattutto nella divulgazione della fede, nello scrivere, nel predicare e utilizzava la sua influenza per convincere il resto del mondo musulmano a mandare uomini e denaro in Afganistan. Ma alla fine del 1983 „Azzam era frustato dall‟assenza di risultati e di non essere riuscito a convincere il mondo islamico che il jihad in Afganistan era un obbligo individuale che incombeva su ogni musulmano. „Azzam prese quindi tre decisioni: in primo luogo scrisse un libro intitolato “La difesa dei territori musulmani” nel quale argomenta, come dotto religioso, che il jihad afgano è un obbligo individuale per tutti i musulmani del mondo; questo libro è lo sviluppo di una fatwa che aveva firmato un anno prima e che era stata pubblicata nel periodico islamista kuwaitiano al-Mujtama. In secondo luogo lasciò l‟università islamica e si recò a Peshawar, vicino alla frontiera afgana, dove poteva coordinare l‟afflusso crescente di volontari. In terzo luogo, diede un carattere formale ala sua cooperazione con l‟ultimo arrivato, Osama bin Laden, fondando un‟organizzazione chiamata l‟”Ufficio dei servizi”36. Lo scopo di questa istituzione era quello di facilitare l‟arrivo dei volontari arabi e di coordinare la ripartizione delle reclute sui diversi campi di battaglia, campi d‟addestramento o attività di sostegno al jihad in Afganistan. „Azzam ne era il direttore ufficiale e degli assistenti si occupavano degli affari in corso nei diversi sottocomitati e apparati locali. C‟erano quattro sottocomitati incaricati dell‟addestramento, degli affari militari, della salute e della logistica. L‟Ufficio dei servizi organizzò un certo numero di pensioni a Peshawar, dove i volontari stranieri potevano soggiornare in attesa di partire per l‟Afganistan. Nel 1984 „Azzam e bin Laden ottennero dal capo mujahidin afgano „Abd al-Rasul Sayyaf, il permesso di fondare il primo campo d‟addestramento destinato ai soli arabi dell‟Afganistan e durante gli anni sempre più campi furono fondati per 36 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 99. 28 accogliere le migliaia di reclute che dal 1986 cominciarono ad arrivare incessantemente a Peshawar37. Una ulteriore tappa fu quella di creare una forza militare autonoma, ma questa decisione fu fonte di tensioni tra „Azzam e bin Laden cosicché bin Laden trovò un pretesto per uscire dall‟ombra di „Azzam e fondare nell‟ottobre del 1986 un nuovo campo, “la tana dei compagni”, vicino alla città di Jaji, per addestrare esclusivamente forze arabe. Comunque i due furono sempre in buoni rapporti lavorando alla direzione dell‟Ufficio fino alla fine della guerra. Da qui in avanti „Azzam si fece sempre più ambasciatore della causa afgana, lavorando senza sosta per far conoscere al mondo la situazione dei mujahidin afgani, per assicurare il maggior aiuto finanziario ed umano, visitando le istituzioni islamiche come la Lega islamica mondiale, godendo del sostegno degli ulema sauditi e dello stesso governo saudita che diventò uno dei principali finanziatori. Egli creò anche dei rami internazionali dell‟Ufficio dei servizi soprattutto negli Stati Uniti, girando oltre che nei paesi del golfo anche in Europa e negli Stati Uniti. Una grande importanza è da dare ai suoi scritti in quanto „Azzam era uno scrittore fecondo e i suoi numerosi libri, articoli e conferenze registrate circolarono nel mondo intero, dall‟India all‟America, dai palazzi sauditi ai campi profughi palestinesi. In questo modo „Azzam riuscì a raccogliere enormi somme di denaro stimate in parecchie centinaia di migliaia di dollari che sarebbero affluiti a Peshawar tra il 1985 e il 1989 grazie a una istituzione chiamata “Consiglio islamico di coordinamento” diretto dalla Mezzaluna Rossa saudita e kuwaitiana38. Finalmente „Azzam vide nel febbraio 1989 il ritiro delle truppe sovietiche, ma verso le 7 della mattina del 24 novembre 1989, „Abdallah „Azzam fu ucciso da una bomba mentre era alla guida in una delle principali vie di Peshawar di un‟auto che doveva portarlo a una moschea dove doveva pronunciare il sermone del venerdì. Morirono insieme a lui i suoi due figli maggiori, Muhammad ed Ibrahim. Fu seppellito nel cimitero dei martiri di Babi, vicino a Peshawar. „Abdallah „Azzam ha lasciato una forte eredità ed influenza, in primo luogo politica ed il ruolo nella promozione del conflitto afgano da livello regionale a livello mondiale, in secondo luogo, la dimensione relativa all‟organizzazione che rende „Azzam “il padre degli arabi 37 38 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 100. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 101-102. 29 afgani”, in terzo luogo la dimensione ideologica, in quanto fu il primo teorico del jihad mondiale. Nessuno prima di lui riuscì a giocare un ruolo così importante per ottenere il sostegno alla causa nel mondo musulmano, grazie al suo lavoro sistematico nella scrittura, nella raccolta di fondi e nella creazione di reti. Tutto questo fu un fattore essenziale per creare un‟ “internazionalizzazione” islamica costituita da uomini il cui potente sentimento di fraternità trascendeva le differenze nazionali e culturali e le cui prospettive ideologiche trascendevano quelle dello Stato-nazione e della lotta contro un governo arabo particolare. Un‟altra innovazione fu quella di spostare l‟obiettivo dal combattimento contro il nemico interno a quello contro il nemico esterno, ridefinendo il principale casus belli del jihad: l‟occupazione dei territori musulmani da parte di aggressori stranieri. „Azzam sviluppò un islamismo più territoriale ridefinendo il principale oggetto di litigio del jihad, cioè i territori musulmani, non il loro sistema politico, quindi nell‟islamismo di „Azzam, la terra prevale sullo Stato39. Preferì un approccio militare rispetto ad un approccio rivoluzionario del jihad, affermava che bisognava creare una base territoriale sulla quale i giovani musulmani potevano ricevere una “educazione al jihad” e costruire una forza militare necessaria per riconquistare i territori musulmani. Egli inoltre minimizzò l‟importanza dello Stato aderendo al panislamismo come piattaforma politica del movimento islamista; contribuì allo sviluppo del culto del martirio negli ambienti islamisti sunniti, elogiando nei suoi testi il martirio come forma estrema di devozione per Dio e apice del jihad mettendo in evidenza anche “i favori divini accordati ai martiri”. C‟è però da osservare che „Azzam non raccomandò mai attacchi contro i civili né attacchi suicidi. L‟ulema palestinese „Abdallah „Azzam occupa così un posto centrale nella storia dell‟islamismo radicale, in quanto fu il principale teorico, la figura ispiratrice, l‟organizzatore e il coordinatore della partecipazione araba alla guerra in Afganistan negli anni ottanta40. 39 40 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 105. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 87. 30 2.1.1 I TESTI: 2.1.2 La difesa dei territori musulmani costituisce il principale dovere individuale Questo testo fa parte di una fatwa nella quale „Azzam introduce l‟elemento che a lui sta più in cuore: il jihad come obbligo individuale. Secondo „Azzam il jihad poggia su due pilastri, la pazienza, che rivela il coraggio del cuore e la generosità, che consiste nello spendere denaro e dare l‟anima. Citando degli hadith, egli afferma che il peggior difetto di un uomo è l‟avarizia sordita e la vigliaccheria manifesta e che uno dei più importanti obblighi e dei principali doveri dimenticati è il jihad. Egli afferma che il jihad contro gli infedeli è di due tipi: - il jihad offensivo, cioè attaccare gli infedeli nel loro paese. Quando gli infedeli non sono mobilitati per combattere i musulmani, allora il jihad è un obbligo collettivo e il meno che si possa fare è di proteggere i confini del mondo musulmano per spaventare i nemici di Dio, inviando almeno una volta all‟anno un esercito41. - il jihad difensivo, cioè espellere gli infedeli dai paesi musulmani è un obbligo individuale ed anche il più importante dovere individuale soprattutto nei seguenti casi: a. quando gli infedeli penetrano in territorio musulmano; b. quando i due eserciti si incontrano e combattono; c. quando l‟imam mobilita degli individui o un gruppo, essi devono riunirsi per combattere; d. quando gli infedeli fanno prigionieri dei musulmani. […]42 „Azzam dice di dover concentrare gli sforzi sull‟Afganistan e la Palestina perché l‟America e i suoi alleati hanno intenzioni espansionistiche e risolvendo questo problema si risolverebbero parecchie questioni nelle regioni musulmane. Ma è proprio dall‟Afganistan che bisogna cominciare perché lì la causa è condotta dai mujahidin che rifiutano l‟aiuto di Stati empi, i confini sono aperti ai mujahidin con più di 300 chilometri senza contare che intorno si trovano regioni tribali, non sottomesse al potere politico, che costituiscono uno scudo per i mujahidin e in quel momento la battaglia era ancora in corso. In Palestina invece, le cose sono differenti, ci sono alcuni musulmani 41 42 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 116. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 117. 31 sinceri, altri comunisti, altri semplici musulmani che hanno alzato la bandiera dello Stato laico, i confini sono chiusi e ben controllati ed è diventata un giocattolo nelle mani delle superpotenze43. 2.1.3 Raggiungi la carovana! L‟importanza di questo testo scritto il 15 aprile 1987, è dato dalle stesse parole di „Azzam nella prefazione nella seconda edizione: “Quando scrissi questo testo, non mi immaginavo che potesse provocare una tale rivoluzione, al punto che il nostro numero si decuplicò”. Questo trattato è stato suddiviso in due parti: La giustificazioni del jihad, Islam, aiuto! E qualche osservazione in conclusione. Nella prima parte, „Azzam chiama i musulmani e li incoraggia ad andare a combattere per molte ragioni tra cui ne elabora otto principali. 1. Affinché l’empietà non domini. Qui „Azzam cita un versetto […] “Combatteteli dunque finché non vi sia più scandalo e il culto tutto sia reso solo a Dio. Se desistono, ebbene Dio scorge acuto ciò che essi fanno” (Il Bottino, 39). Se il combattimento cessasse, l‟empietà dominerebbe e lo scandalo, che consiste nell‟associare degli idoli a Dio, vincerebbe. […] . Qui troviamo il tema centrale di tutti gli scritti di „Azzam, il jihad è un‟attività eterna che non deve mai cessare, e accusa il lettore che non partecipi con tre delle parole peggiori del vocabolario musulmano: empietà (kufr), sedizione (fitna) e politeismo (shirk).44 2. Perché i veri uomini sono rari. Qui „Azzam si lamenta che le persone venute per combattere in Afganistan non avevano ricevuto che un‟istruzione generale e un‟educazione religiosa rudimentale, riprende continuamente citazioni del Corano dove si esprime il desiderio che le persone pronte per il jihad continuino ad aumentare. 3. Per timore dell’inferno. Anche qui „Azzam inizia con delle citazioni del Corano: “Se non vi lancerete in battaglia, Iddio vi castigherà di castigo crudele, vi sostituirà con un altro popolo, e voi che non gli farete alcun danno, ché Dio è su tutte le cose potente”45, […] “Quanto a coloro che gli angeli richiameranno mentre facevan 43 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 119-120. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, Nota n. 14 pag. 124. 45 Corano IX, 39. 44 32 torto a se stessi, chiederanno loro: „Qual fu la condizione vostra?‟ ed essi risponderanno: „Fummo deboli sulla terra, ma verrà loro risposto „Non era la terra di Dio vasta abbastanza perché voi emigraste?‟ E il loro asilo sarà l‟Inferno. Qual tristo andare! – Eccettuati saranno i deboli, donne, fanciulli che non avran potuto usare espedienti e non saran stati guidati sulla retta via – quelli può darsi che Dio li perdoni, perché egli è il clemente, il pietoso” (Le donne, 97-99)46 . Secondo „Azzam i versetti del Corano sono espliciti nell‟obbligare tutti i musulmani al Jihad, per Dio la debolezza non è una scusa, ma è un crimine per il quale si rischia l‟inferno, il jihad e l‟esilio a scopo di jihad costituiscono un aspetto fondamentale di questa religione, inoltre rigetta qualsiasi argomentazione dei pensatori musulmani moderati secondo cui i testi coranici e della Sunna che parlano di jihad devono essere interpretati nel contesto storico, come confronto tra i primi musulmani di Medina ed i politeisti della Mecca47. 4. Per adempiere all’obbligo e rispondere alla chiamata di Dio. […] “Lanciatevi dunque in battaglia, leggeri o pesanti! Combattete con i vostri beni e con le vostre persone sulla via di Dio! Questo è il meglio per voi, se voi lo sapeste!” (La conversione, 41)48. „Azzam qui spiega che se il nemico penetra in territorio musulmano, o su una terra che fu musulmana, gli abitanti di questo paese devono affrontarlo, e se non lo fanno, se sono incapaci o riottosi, l‟obbligo si estende a quelli che sono loro vicini, e così via finché ciò non comprende la terra intera. Nessuno può derogare perché sarebbe come dispensarsi dal compiere la preghiera o il digiuno, il figlio può partire in guerra senza l‟autorizzazione del padre, il debitore senza l‟autorizzazione del suo creditore, la moglie senza l‟autorizzazione del marito, lo schiavo senza l‟autorizzazione del suo padrone. Questo obbligo è individuale e rimane in vigore finché il paese è purificato dagli infedeli. 5. Per seguire l’esempio dei pii antenati. Perché il jihad era la vita stessa dei pii antenati. 6. Per stabilire una base solida per l’espansione dell’islam. In questo punto si afferma che fondare una società islamica su un territorio è una necessità e per far questo c‟è bisogno di un movimento islamico organizzato, che si impegni nel jihad. 7. Per difendere gli oppressi. 46 Corano IV, 97-99. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, Nota n. 43 pag. 130. 48 Corano IX, 41. 47 33 8. Per il gusto del martirio e per raggiungere i più alti livelli del paradiso. E‟qui che „Azzam cita un hadith: “Ecco i sette favori accordati al martire: viene assolto dai suoi peccati fin dalla prima goccia di sangue versato, vede il suo posto in Paradiso, è rivestito dell‟abito della fede, sposa sessantadue Huri, non subisce i tormenti della tomba, non è sottomesso al grande terrore, è incoronato con uno scettro di dignità di pietre preziose che valgono più del mondo e dei suoi tesori, può intercedere per sessanta persone della sua famiglia” (La raccolta completa)49. Nella seconda parte del testo „Azzam fa un vero e proprio appello a tutti i musulmani per partecipare al jihad in Afganistan utilizzando a volte un vocabolario molto crudo per evocare la sofferenza dei musulmani per mano dei nemici, in modo da scuotere il lettore. Egli conclude riprendendo l‟obbligatorietà del jihad individuale e riassumendo tutti i punti già toccati. 2.2 AYMAN AL-ZAWAHIRI Ayman al-Zawahiri nasce al Cairo il 19 giugno 1951 da due importanti famiglie, il prozio da parte del padre era stato un grande imam dell‟università religiosa di alAzhar, e suo padre Rabi‟ al-Zawahiri era un rinomato professore di farmacologia all‟università „Ayn Shams al Cairo. Sua madre, Umayma „Azzam apparteneva ad una famiglia ancora più rinomata, il padre era lo shaykh „Abd al-Wahhab „Azzam, che era stato direttore della facoltà di lettere dell‟università del Cairo, prima di partire per l‟Arabia Saudita per fondare l‟università del re Sa‟ud a Riyad, mentre suo zio „Abd alRahman „Azzam era stato segretario generale della Lega Araba alla sua fondazione nel 1948.50 Zawahiri vive i suoi primi anni nella periferia benestante di Maadi dove la nuova classe media egiziana si trovava a fianco del mondo cosmopolita degli emigrati occidentali, basti pensare che la maggior parte dei negozi appartenevano ai greci, lo Sporting Club era tenuto dagli inglesi e la popolazione del quartiere era costituita da italiani, francesi, tedeschi, inglesi, siriani, libanesi ed egiziani agiati. Questa presenza di una popolazione a maggioranza cristiana e in un quartiere dove si contano più chiese che moschee, ha probabilmente contribuito alla presa di coscienza politica di Zawahiri. 49 50 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 137-138. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 174. 34 Da ragazzo, era di temperamento dolce, sensibile e, fin dalla tenera età, estremamente devoto. A scuola si distingueva per la grande intelligenza ed una certa precocità. Infatti già nel 1966 a soli 15 anni, si unisce nelle file del movimento jihadista egiziano che si prefiggeva di rovesciare il governo egiziano ed instaurare il regno dell‟islam, proprio mentre veniva impiccato il pensatore islamico Sayyid Qutb. Dopo la disfatta degli eserciti musulmani inflitta dagli israeliani nel 1967, i movimenti islamisti diventano sempre più popolari, tanto che a partire dal 1970 Sadat condusse una politica di denasserizzazione, liberando la maggior parte dei militanti incarcerati ed incoraggiò le loro attività. Così si moltiplicarono le cellule più estremiste, tanto che alla fine degli anni settanta quattro di queste si unirono per formare il “Jihad” diretto da „Abd al-Salam Faraj, autore di un influente opuscolo intitolato “il dovere trascurato”, in cui si fa della lotta armata contro il governante empio, il sesto pilastro dell‟islam. Nel 1980 il “Jihad” si unirà al “Gruppo islamico”, grazie all‟egida dello shaykh Omar „Abd al-Rahman, docente di al-Azhar e influente personalità religiosa. Fu in questa coalizione che maturò l‟idea di assassinare il 6 ottobre 1981 il presidente Anwar al-Sadat, che molti dicevano avesse firmato la sua condanna a morte trattando la pace con Israele nel 1978. Questo portò all‟arresto della maggior parte dei militanti, compresa quella di al-Zawahiri, segnando una svolta ancor più radicale della sua vita. Egli fu picchiato, torturato ed umiliato; fu inoltre costretto sotto tortura a consegnare il suo amico e mentore Issam al-Qamari, che fu poi ucciso dalla polizia. È sempre in prigione che si impone come leader del movimento islamico radicale egiziano, prendendo dal 1982 la parola durante il processo in lingua inglese a nome del gruppo, davanti ai giornalisti stranieri e dichiara: “Ora, voglio parlare al mondo intero! Chi siamo? Chi siamo? Perché ci hanno portati qui, e che vogliamo dire? Quanto alla prima domanda siamo dei musulmani! Siamo dei musulmani che credono alla propria religione! Siamo dei musulmani che credono nella loro religione, tanto in pratica che in teoria, ed è per questo che abbiamo fatto del nostro meglio per stabilire uno Stato islamico ed una società islamica! Non ci dispiace, non rimpiangiamo quel che abbiamo fatto per la nostra religione, quel che abbiamo sacrificato e siamo pronti a maggiori sacrifici! Noi siamo qui, siamo il vero fronte islamico e la vera opposizione islamica contro il sionismo, il comunismo e l‟imperialismo!. E adesso alla seconda domanda: perché ci hanno portati qui? Ci hanno 35 portati qui per due ragioni! In primo luogo, perché provano a distruggere il favoloso movimento islamico […] e poi, per condurre a buon fine il complotto di sgombero della zona, aspettando l‟infiltrazione sionista. Non sacrificheremo il sangue dei musulmani per americani ed ebrei. Abbiamo ricevuto trattamenti disumani. Ci hanno picchiati, colpiti, ci hanno frustati con cavi elettrici, ci hanno dato le scariche elettriche! Ci hanno aizzato contro i cani! Ci hanno aizzato contro i cani! Ci hanno appesi alle porte, le mani attaccate al dorso! Hanno arrestato le nostre mogli, le madri, i padri, le sorelle e i figli!”. E terminò poi con quello che suona come un ammonimento all‟Occidente: “Allora, dove è la democrazia? Dove è la libertà? Dove sono i diritti dell‟uomo? Dove è la giustizia? Dove è la giustizia? Non dimenticheremo mai! Non dimenticheremo mai!”51. Nel 1992 dedicherà anche un libro intero alla questione intitolato “Il libro nero: storia della tortura dei musulmani sotto la presidenza di Hosni Mubarak”. Al-Zawahiri fu rilasciato dal carcere nel 1984, e si allontanò dall‟Egitto per andare a lavorare per alcuni mesi in un ambulatorio della mezzaluna rossa a Gedda in Arabia Saudita, per poi recarsi di seguito a Peshawar e poi in Afganistan. Quest‟ultimo posto era “per questi attivisti, il migliore luogo dove installarsi, poiché il paese offriva ciò che essi cercavano: combattimento e jihad”52. Ma questi posti non erano sconosciuti per al-Zawahiri, infatti c‟era già stato due volte per motivi umanitari nel 1980 e 1981. E‟ quindi in una zona conosciuta che sbarca nel 1985 con già l‟idea sicura di trovare una base solida per riorganizzare il jihad islamico egiziano ed è proprio in quest‟epoca che l‟organizzazione “al-Jihad” divenne nota sotto il nome di “jihad islamico” e che Zawahiri ne assunse la direzione. Appena arrivato a Peshawar, Zawahiri si mette subito in contatto con un giovane ma promettente saudita, Osama bin Laden, riuscendo a portare alcuni membri della sua organizzazione all‟interno dell‟entourage di Bin Laden, con l‟obiettivo di assicurare la maggior parte dei finanziamenti al gruppo del Jihad islamico egiziano e soprattutto di sottrarre il giovane miliardario dalle mani di „Azzam: il padre ed il teorico del jihad contro i sovietici. Ma è proprio Bin Laden che si stacca dal suo mentore „Azzam quando quest‟ultimo si opporrà fermamente affinché il jihad includesse tra i suoi obiettivi i regimi arabi di Arabia Saudita o dell‟Egitto. Da allora in poi, Zawahiri e Bin Laden 51 52 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 180. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 180. 36 furono inseparabili. Alla fine del 1989, mentre i sovietici iniziavano a ritirarsi e i mujahidin assaporavano quello che consideravano la loro vittoria, il dibattito infuriava sul seguito del jihad. Un‟organizzazione dai contorni ancora molto sfocati nasce intorno ad un manipolo di membri del “Jihad islamico” egiziano, in particolare a Zawahiri, mentre Bin Laden ne diventa l‟emiro, con lo scopo di continuare il combattimento contro i regimi apostati del mondo musulmano: già si chiama probabilmente “alQaeda”53. Ma ben presto gli interessi dei due cominciarono a divergere sul nemico primario da combattere, per Bin Laden è l‟America, che dopo la prima guerra del golfo manterrà le sue basi nell‟Arabia Saudita, cosa che venne percepita come un‟”occupazione della terra e dei luoghi santi”, mentre Zawahiri considerava prioritaria su tutto l‟istituzione di un regime islamico in Egitto, l‟unico modo per riconquistare un giorno la Palestina54. Intanto le guerre fratricide all‟interno dell‟Afganistan, spingono Zawahiri e Bin Laden ad andare in un altro luogo sicuro, il Sudan, dove nel 1989 un golpe aveva portato al potere un regime militare diretto da Omar al-Bashir, la cui mente era però l‟islamista Hassan al-Turabi, e contemporaneamente le autorità sudanesi erano alla disperata ricerca di fondi per sviluppare il paese. È così che Zawahiri e Bin Laden lasciano Kabul per Khartoum. È da qui che Zawahiri riorganizza il “Jihad islamico” egiziano, cercando fondi e nuove cellule non solo grazie al suo alleato ma anche viaggiando in molti paesi, Balcani, Austria, Daghestan, Yemen, Iraq, Iran, Filippine ed anche Argentina. Nel 1993 compie anche un viaggio negli Stati Uniti con la copertura della Mezzaluna Rossa kuwaitiana. Nel 1993, comincia ad organizzare i primi attacchi contro il potere del Cairo, andati però falliti, a cominciare dal tentato assassinio del ministro dell‟interno Hassan al-Alfi, del primo ministro „Atef Sidqi, che causò la morte di una ragazzina e del tentato assassinio del presidente Hosni Mubarak in occasione della visita ad Addis-Abeba. Tutto questo portò a una repressione con violenza inaudita negli ambienti egiziani. In risposta Zawahiri ed i suoi organizzarono un attentato contro l‟ambasciata egiziana ad Islamabad provocando 16 morti e decine di feriti, creando delle polemiche al suo interno perché fu la prima operazione violenta priva di un 53 54 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 181. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 182. 37 bersaglio. Zawahiri spiegò le sue scelte in un articolo intitolato “Le operazioni suicide… ragioni dell‟attentato contro l‟ambasciata egiziana ad Islamabad nel 1995”, pubblicato sulla rivista del gruppo, al-Mujahidun. Questo provocò anche un ritorno delle pressioni americane ed egiziane sul regime sudanese, la quale cominciò a considerare dannosa la presenza di questo gruppo, facendo allontanare Zawahiri e Bin Laden dal paese. Bin Laden tornò in Afganistan, dove ormai i taliban controllavano il territorio dopo anni di guerra civile, mentre Zawahiri ricominciò a viaggiare alla ricerca di nuovi fondi in vari paesi europei, Olanda, Svizzera, Bosnia-Erzegovina, e in altri paesi asiatici e mediorientali. Il suo ultimo viaggio fu in Daghestan dove venne arrestato per soggiorno illegale, e dovette la sua rapida scarcerazione all‟incompetenza delle autorità russe che non furono in grado di risalire alla sua identità. Decise quindi di tornare in Afganistan, dove raggiunse Bin Laden a Jalalabad, dove quest‟ultimo aveva già cominciato a ricostruire i campi di addestramento. La coppia si ricostituì e questa volta si costruirà un gruppo dai contorni ben definiti e il loro connubio assumerà anche una dimensione ideologica55. È nel 1998 che Ayman al-Zawahiri rompe il suo percorso intellettuale e politico firmando, il 26 febbraio a nome dell‟organizzazione dello jihad islamico egiziano insieme a Bin Laden, una dichiarazione dei rappresentanti di differenti movimenti islamisti radicali, in cui si annunciava la creazione del “Fronte islamico mondiale per la Guerra Santa contro gli ebrei e crociati”, dove all‟interno è contenuta una fatwa che rende l‟omicidio degli americani e dei loro alleati un dovere individuale per ogni musulmano. Così egli fece di più che rinnovare l‟alleanza con Bin Laden: egli rinuncia alla precedenza che aveva sempre accordato al “nemico vicino” per sostenere l‟esaltata visione del mondo di Bin Laden, secondo cui la lotta contro il “nemico lontano” domina in ogni circostanza56. Questo fu dovuto forse a tre principali motivi: il primo era per ottenere maggiori finanziamenti, per secondo, rimediare alla rovina in cui versava il movimento dopo gli arresti delle autorità egiziane e infine per rispondere ai leader storici del “Gruppo islamico” incarcerati in Egitto che chiedevano una “iniziativa per cessare la violenza”, mentre ora Zawahiri opta per un jihad globale. Ma incontrò anche 55 56 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 184. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 185. 38 una forte resistenza all‟interno del gruppo, tanto da dover minacciare di lasciare il suo posto. Questo incontro si chiuse con il ritiro di diverse personalità, tra cui suo fratello. Il movimento si dissolse formalmente nel giugno 2001, quando venne resa ufficiale la fusione con l‟organizzazione al-Qaeda di Osama bin Laden per fondare la joint-venture Qa‟idat al-Jihad (La base del Jihad). L‟annuncio della creazione del “Fronte islamico mondiale per la Guerra Santa contro gli ebrei e crociati” allarmò i servizi segreti americani, tanto da arrestare molti quadri in esilio. Come risposta il gruppo, nell‟estate del 1998, effettuerà gli attentati contro le ambasciate a Nairobi e a Dar es-Salaam. Da allora comincia l‟ascesa: l‟amministrazione americana risponde bombardando i campi di addestramento in Afganistan. Nell‟autunno del 2000, la nave da guerra americana USS Cole viene attaccata nel porto di Aden. Infine, l‟11 settembre 2001, durante la più spettacolare operazione mai realizzata da Qa‟idat al-Jihad, quattro aerei di linea americani vengono dirottati e tre si schiantano sulle torri del Word Trade Center e sul Pentagono, causando più di 3000 vittime. Ed è proprio da allora che la figura di Zawahiri diventa nota in tutto il mondo dopo che la televisione satellitare al-Jazira nell‟ottobre del 2001 diffonde un video in cui lo si vede sfidare gli Stati Uniti, seduto a fianco di Bin Laden e del kuwaitiano Sulayman Abu Ghaith. Seguiranno altri video e messaggi: nell‟ottobre 2002, riappare mettendo in guardia gli americani e i suoi alleati contro una allora probabile guerra contro l‟Iraq. nel maggio 2003, denuncia l‟invasione dell‟Iraq e incoraggia i suoi sostenitori a prendersela con gli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati. nell‟agosto 2003, denuncia il trattamento riservato ai prigionieri nella base militare americana di Guantanamo. ai primi di settembre del 2003 un video mostra al-Zawahiri e Bin Laden che camminano insieme ed incitano i pachistani a rovesciare il loro presidente Pervez Musharraf. nel dicembre 2003, in occasione del secondo anniversario della battaglia di Tora Bora in Afganistan, interviene per mostrare come le invasioni 39 dell‟Afganistan ed Iraq, siano state un insuccesso per gli americani e come il movimento jihadista sia più forte che mai. nel febbraio 2004 se la prende da una parte con il presidente Bush, e dall‟altra parte con la legge francese che vieta l‟ostentazione di simboli religiosi nella scuola pubblica e di conseguenza il velo islamico, un divieto che per lui “costituisce un nuovo esempio della malevolenza dei crociati”. nel marzo 2004 attacca Pervez Musharraf e in giugno mette in guardia i paesi arabi contro le riforme imposte dagli Stati Uniti un altro video è consegnato il 9 settembre 2004 in cui si preannunciano nuovi attacchi e fa il punto sulla situazione in Afganistan ed in Iraq tre anni dopo gli attentati del Word Trade Center, concludendo che l‟America si è impantanata in entrambi i paesi. nell‟ottobre 2004 insiste sulla centralità della causa palestinese nel combattimento di al-Qaeda e incita a colpire il nemico americano ed i suoi alleati. nel novembre 200, attacca l‟Egitto, l‟Arabia Saudita e gli Stati Uniti, riaffermando con più forza la determinazione del movimento jihadista internazionale a proseguire nel combattimento. il 4 agosto 2005 compare in un video attaccando Tony Blair e la politica estera del suo Governo sull'attentato alla underground di Londra del luglio 2005. il primo settembre 2005 il network televisivo al-Jazira manda in onda un videomessaggio di Mohammed Sidique Khan, uno degli attentatori della metropolitana londinese. Il suo messaggio è seguito da un altro video di al-Zawahiri, che attacca ancora Blair per l'attentato alla metropolitana di Londra. il 7 dicembre 2005 un'intervista di 40 minuti, che risale a settembre, è messa su Internet preceduta da un video di lunghezza non verificabile. il 6 gennaio 2006 al-Zawahiri dice che il piano del Presidente statunitense Bush di far rientrare truppe dall'Iraq significa che Washington è stata sconfitta in quel Paese. al-Zawahiri si dice abbia 40 detto: «Bush, devi confessare che sei stato sconfitto in Iraq e in Afghanistan e che lo sarai presto in Palestina». al-Zawahiri inviò anche le sue condoglianze al popolo del Pakistan colpito dal catastrofico terremoto del 2005 in kashmir. 30 gennaio 2006 - In un video mandato in onda da Al-Jazeera, si burla di Bush e lo chiama il "Macellaio di Washington". Il video prova anche che egli non è stato ucciso in un recente attacco aereo in Pakistan. alZawahiri promette che il prossimo attacco terroristico colpirà il suolo statunitense. 27 aprile 2006 - Il numero due di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, dice che la branca irachena della rete del terrore ha avuto successo nel 'colpire le spalle' del corpo militare USA con centinaia di attacchi dinamitardi suicidi, in un video che è stato l'ultimo di una serie di nuovi messaggi dei leader di al-Qaeda. 9 giugno 2006 - In un video messo in onda dalla rete televisiva AlJazeera elogia il lavoro del capo di al-Qaeda in Iraq, al-Zawahiri, nel momento in cui questi è stato ucciso in un bombardamento con due ordigni da 500 libbre ciascuno in una villetta isolata a Ba„quba (Iraq). Nel successivo comunicato annuncia l'attuazione di un imminente attacco terroristico sia a New York sia a Londra. 7 luglio 2006 - Un anno dopo gli attentati ai treni di Londra, al-Zawahiri rivela che due degli attentatori suicidi erano stati addestrati da al-Qaeda. 27 luglio 2006 - al-Zawahiri esprime tutto il suo sostegno ai rivoltosi di Gaza e del Sud del Libano. Ma Zawahiri, nel frattempo non si ferma nel produrre nuove opere ideologiche in cui teorizza il combattimento. Il testo dal quale deriva in grande parte dalla descrizione del percorso intellettuale che ha condotto agli attentati dell‟11 settembre, si intitola “Cavalieri sotto la bandiera del Profeta”, lunghi brani che venivano giornalmente pubblicati sul quotidiano panarabo a capitale saudita al-Sharq al-Awsat, che è considerato il probabile testamento di Zawahiri, dove riflette sul suo percorso personale e sulla storia del movimento jihadista, giustificando il cambiamento strategico che ha portato agli attentati dell‟11 settembre. Un anno dopo, Zawahiri esce con un altro 41 libro, “La fedeltà e la rottura”. La differenza tra i due testi è significativa, mentre il primo sembra un pamphlet di stile giornalistico, inframmezzato da testi sacri, il secondo ha l‟ambizione di essere un vero lavoro di letteratura religiosa57. I riferimenti al Corano, alla Sunna e alle opere dei loro commentatori sono tutti rivolti a una sola idea: la centralità nella fede del dogma di al-walâ‟ wa-l-barâ‟ (la fedeltà e la rottura) che impone di sostenere i musulmani in ogni circostanza e di rompere interamente con gli infedeli a tutti i livelli: politico, innanzitutto, astenendosi da ogni alleanza con uno Stato governato da un regime che non applica la legge di Dio, individuale, vietando di frequentare gli infedeli, di stringere amicizia con loro, ecc. Insomma, come ideologo nessuno prima di lui aveva saputo articolare con tale chiarezza la strategie e l‟ideologia del movimento jihadista contemporaneo. Come figura mediatica poi Zawahiri è diventato un personaggio mitico, braccato e tuttavia inafferrabile che, quando vuole, fa irruzione nel dibattito per farsi portavoce di coloro che vantano di essere “l‟avanguardia della umma”. 2.2.1 I TESTI 2.2.2 La mietitura amara. Sessant‟anni dei Fratelli Musulmani Nel 1990 Zawahiri dedicò un libro intero ai Fratelli Musulmani intitolato “La mietitura amara” nel quale faceva il bilancio dei sessant‟anni passati dalla creazione del movimento. Accusava i dirigenti di avere trasgredito i principi fondamentali dell‟islam rinunciando al jihad contro il tiranno, accettando di partecipare al gioco politico democratico, riconoscendo implicitamente la legittimità del potere in carica da una parte e la sovranità del popolo dall‟altra, hanno accettato di rigettare la violenza e si è dissociata da coloro che l‟adottano. Secondo Zawahiri, è chiaro che all‟interno della confraternita il verme era nel frutto dall‟inizio degli anni quaranta per svariate ragioni: l‟assenza di metodo, “che consiste in una politica di giustificazione delle deviazioni. Il mancato rispetto del 57 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 189. 42 precetto di comandare il Bene e interdire il Male, con il pretesto della cieca ubbidienza ai dirigenti e l‟assoluta fiducia verso di loro.”58 Un punto fondamentale che Zawahiri tocca in quegli anni e che, come vedremo, dopo un decennio cambierà idea, è la precedenza al “nemico vicino”, infatti egli scrive che “combattere i governi apostati dei paesi musulmani debba precedere il resto, perché sono degli apostati e il combattimento contro gli apostati è più urgente di quello contro gli infedeli, perché sono più vicini ai musulmani […] rendendoli più pericolosi.”59 Dopo questi punti di critica Zawahiri scrive che cosa si aspetta dai Fratelli Musulmani e da tutti quelli che hanno commesso tali violazioni. Egli vuole che si pentano pubblicamente di tutte le loro deviazioni, annunciando l‟apostasia dei tiranni che governano a dispetto della legge rilevata, che rifiutino le costituzioni, le leggi positive, la democrazia e le elezioni parlamentari, e che abbandonino tutte le pratiche collegate, che credano nel dovere del jihad contro questi tiranni o che chiamino i loro membri a condurlo e che il jihad sia considerato un obbligo individuale. 2.2.3 Cavalieri sotto la bandiera del profeta In questo testo Zawahiri teorizza la lotta contro il “nemico lontano”, e si sforza di produrre degli elementi di legittimazione religiosa necessaria alla lotta. Questo testo avrà una larga diffusione nelle cerchie jihadiste. Si tratta di lunghi brani pubblicati giornalmente dal due dicembre 2001 sul quotidiano panarabo a capitale saudita al-Sharq al-Awsat. Zawahiri riflette lungamente sul suo percorso personale e sulla storia del movimento jihadista, giustificando il cambiamento strategico che ha condotto agli attentati dell‟11 settembre. Prende atto degli scacchi successivi subiti da lui stesso e, più in generale, dal movimento. Le conclusioni portano, da una parte, alla necessità di un cambiamento della retorica, e più largamente della strategia, dal nemico vicino al nemico lontano, e dall‟altra parte, alla necessità di un‟azione spettacolare destinata a rimobilitare la umma. L‟importanza di questo testo deriva in grande parte dalla descrizione del percorso intellettuale che ha condotto agli attentati dell‟11 settembre60. 58 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 203. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 206. 60 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 189. 59 43 Elenca i doveri tassativi del movimento islamico in generale e jihadista in particolare: deve prepararsi ad educare i suoi membri alla pazienza e alla fermezza, mobilitando la umma per renderla partecipe al combattimento, deve avvicinarsi alle masse difendendo il loro onore, proteggendole, guidandole per condurle alla vittoria, precederle nel sacrificio, tentare di fare capire la causa in uno stile che renda la verità accessibile a tutti quelli che vogliono conoscerla, riferire i fondamenti della religione e le sue verità semplici, senza espressioni difficili né costruzioni vuote. Il movimento jihadista deve far partecipare la umma alla sua guerra santa e lo farà solamente se gli slogan dei mujahidin saranno comprensibili alle masse. Un altro capitolo fondamentale del testo riguarda la strategia del jihad di Zawahiri. Egli scrive a chiare lettere che: “[…] Si può sempre seguire un americano o un ebreo per la strada, ucciderlo con una revolverata o una pugnalata, con un esplosivo di fabbricazione artigianale o un colpo di spranga; applicare il fuoco alla sua proprietà con una bottiglia molotov non è difficile. Con i mezzi a disposizione, alcuni piccoli gruppi possono seminare il terrore tra ebrei ed americani. Perché arrivi la vittoria, il movimento jihadista deve avere il possesso di una base islamica nel cuore del mondo musulmano finché non sarà creato un califfato.” 61 Per quanto riguarda la teoria del “nemico lontano”, per Zawahiri bisogna spostare il combattimento sul campo del nemico perché il governo americano e quello ebreo difendono i loro interessi combattendo i musulmani sul loro suolo, ma “Se gli scoppi del combattimento giungono fino ai loro domicili e li raggiungono, allora litigheranno con i loro agenti. Avranno allora una sola alternativa, comunque amara: o condurre loro stessi la battaglia contro i musulmani, trasformandola in guerra santa dichiarata contro gli infedeli, o riconsiderare i loro piani dopo avere riconosciuto l‟insuccesso del confronto violento ed ingiusto con i musulmani”62. Egli fa un appello affinché tutti i movimenti jihadisti si uniscano e superino le questioni minori per contrastare gli infedeli. Infine Zawahiri spiega l‟importanza delle operazioni suicide e della scelta dei bersagli, moltiplicando gli attacchi ed i mezzi di resistenza verso i nemici per far fronte al loro aumento straordinario, alla qualità delle loro armi, al loro 61 62 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 235. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 241. 44 potere di distruzione, al loro disprezzo di tutti i divieti e delle leggi della guerra. Per questo occorre che ogni musulmano debba: - impegnarsi a provocare più danni al nemico, uccidere più gente possibile, perché questo è l‟unico linguaggio che l‟Occidente comprende. - concentrarsi sulle operazioni suicide, che sono più adatte ad infliggere perdite al nemico e sono meno costose per i mujahidin. - scegliere i bersagli e i tipi di arma da utilizzare in modo da raggiungere i punti sensibili del nemico per dissuaderlo[…]. - riaffermare che, a questo stadio della lotta, limitarsi al nemico interno sarebbe vano63. Come si è potuto leggere tutto questo è diventato una prassi degli attentati dopo l‟11 settembre. 2.3 OSAMA BIN LADEN Nato il 10 marzo 1957 a Riyad, Osama bin Laden è considerato il terrorista numero uno. Diciassettesimo figlio di Muhammad bin Awad bin Laden, un uomo che veniva da Husn Bahishn, un borgo fortificato della valle di Wadi Duan in Yemen, trovò la sua fortuna andando in cerca di un lavoro alla Mecca, entrando nelle grazie di re Sa‟ud, che gli diede l‟incarico di costruire numerosi edifici in tutto il regno. Osama passa i suoi primi anni nel nuovo quartiere di al-Malazz, abitato per la gran parte da immigrati arabi, non sempre ben visti dagli sdegnosi sceicchi sauditi che, ironia della sorte, alcuni di loro non esitarono ad emettere una fatwa di condanna per la popolazione del quartiere sospettata di empietà64. È ancora piccolo quando Osama si trasferisce a Gedda, nel quartiere di al-Musharrifa, tra principi e l‟elite della società locale seguendo come la maggior parte dei bambini di quell‟ambiente un‟educazione rigorosa, accompagnando il padre prima, e poi il patrigno, dopo il divorzio di sua madre, nei cantieri di lavoro della famiglia. A scuola tra i suoi coetanei non si distingue molto se non per la sua timidezza, che nasconde però un‟ostinazione tenace, entra in contrasto con i compagni per alcune cose che considera contrarie all‟islam, mostrando già un interesse inusuale per la religione. Gli unici vizi che si concede sono le automobili, la 63 64 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 244. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 7. 45 velocità e il calcio, che pratica con i suoi compagni. Intanto, nel 1973, arriva lo scoppio della guerra del Kippur, e il successivo embargo petrolifero che porta nel Regno una immensa quantità di dollari. Questo porterà dei cambiamenti nella nuova società saudita giovanile, che avrà i soldi per scoprire il mondo e per provare nuovi stili di vita completamente opposti alla cultura e all‟ideologia del regno. Osama comincia a preoccuparsi degli effetti nocivi che ciò può avere nella fede e sulla pratica religiosa dei suoi compagni prima e della società poi. Intanto nel 1974 sposa una sua cugina e la coppia va ad abitare nella casa della madre. Contemporaneamente cominciò a seguire un corso di management ed economia all‟università del re „Abd al-„Aziz, in mezzo all‟atmosfera di intenso pensiero islamico sotto l‟influenza della scuola di Sayyid Qutb. Da quest‟ultimo, Bin-Laden apprende le più importanti categorie del suo bagaglio ideologico, in particolare la concezione bipolare religiosa tra “partito di Dio” e “partito di Satana”, tra islam e jahiliyya, tra regno della fede e regno dell‟incredenza e dell‟errore; il concetto di jihad come esperienza di rivolta contro il nemico interno ed esterno65. Un altro importante incontro che fece a Gedda fu con un insegnante, lo sceicco „Abdallah „Azzam66, che incontrerà dopo qualche anno in Afganistan. Finanziò l‟opposizione siriana nel 1979, ed è proprio in quest‟anno che i sovietici invasero l‟Afganistan e che Osama divenne il rappresentante della famiglia Bin Laden per il jihad. Il suo ruolo sarà quello di raccogliere fondi viaggiando per tutto un decennio fra la penisola arabica, il Pakistan e l‟Afganistan, costruendo scuole e rifugi per i profughi afgani costruendosi così la reputazione di persona onesta e rispettosa. Intanto nel 1981 Bin Laden cominciò una collaborazione con „Abdallah „Azzam che accoglieva a Peshawar i volontari e creando il Maktab al-Khadamat (Ufficio dei servizi). Nei primi anni ottanta, i due uomini collaborano strettamente con una chiara visione dei ruoli: Osama è il finanziatore e l‟addetto alla comunicazione, „Azzam è l‟ideologo e l‟uomo d‟apparato. Ma gli avvenimenti di metà decennio sconvolgeranno la ripartizione, causando prima divergenze poi la costituzione in ciò che diventerà al-Qaeda67. 65 Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 198. Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, Roma 2004 pag. 100. 67 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 11. 66 46 Staccandosi dalla struttura di „Azzam si avvicina agli egiziani di al-Zawahiri, creando nel 1989 la Qa‟idat al-ma‟lumat (la base dei dati). Una struttura che raccoglieva i dati dei volontari arabi in vista di riunirli sotto un unico comando. Osama può ora dare libero corso al proprio istinto, reclutando persone provenienti da posti diversi, con passati oscuri e poco raccomandabili. Tra i primi elementi si possono trovare egiziani mai passati per le file dei Fratelli Musulmani. Una volta che i russi si ritirarono, Osama e molti altri reduci lasciarono l‟Afganistan per ritornare in Arabia Saudita. Ne ritorna da militante convinto e alla ricerca di una causa che possa rimobilitare la rete costruita in Afganistan, cominciando con il regime ateo di Bagdad dopo l‟invasione del Kuwait. Bin Laden offre alla monarchia saudita il sostegno delle sue milizie arabo-afgane a difesa del regno, cercando di convincerli inutilmente della necessità politica e religiosa di contare sulle proprie forze per contrastare Saddam Hussein68. La famiglia saudita decide però di non fidarsi di Bin Laden e chiede aiuto alle forze occidentali, creando nel paese un processo di radicalizzazione di molti movimenti di opposizione. Fu allora che Osama considerò questo come una profanazione della terra su cui sorgono i due luoghi sacri dell‟Islam, dichiarando l‟Arabia Saudita come suo nemico personale69. Un altro paese che Osama prende in considerazione è lo Yemen, ma anche qui la famiglia reale saudita blocca le aspettative di Bin Laden ed è qui che Osama diventa seriamente minaccioso condannando le autorità saudite, che gli congelano i beni e lo privano della nazionalità saudita, una misura eccezionale che indica che il personaggio comincia a essere preso sul serio. Nel 1994 Bin Laden si trasferisce in Sudan, dove viene accolto da Hassan alTurabi, leader del Fronte nazionale islamico e ideologo islamista sudanese, che gli permetterà di aprire dei campi in cui accoglie reduci dell‟Afganistan e finanzia alcuni cantieri. Ma sotto la pressione americana il regime sudanese si vede obbligato a far allontanare Bin Laden dopo il fallito tentativo di assassinare il presidente egiziano Mubarak nel 199670. 68 Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 200. Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, Roma 2004 pag. 102. 70 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 14. 69 47 Bin Laden riparte per l‟Afganistan nel suo ultimo viaggio allo scoperto. Il 23 febbraio 1998, il movimento di Osama crea il Fronte islamico mondiale per il jihad contro gli ebrei e i crociati, provando a coalizzare membri sparsi e sparpagliati secondo le tattiche locali colpendo le ambasciate americane di Nairobi e Dar es-Salaam che provocarono più di 200 morti. Da allora al-Qaeda opererà moltiplicando gli attacchi simultanei amplificando così l‟attenzione grazie ai media. 2.3.1 I TESTI 2.3.2 Dichiarazione di “jihad” contro gli americani che occupano il paese dei due luoghi santi Questa dichiarazione è stata mandata il 23 agosto 1996 dalle montagne dell‟Hindukush, in Afganistan tramite un fax a parecchi giornali arabi, ed era firmato “Messaggio di Osama bin Laden ai suoi fratelli musulmani del mondo intero e in particolare della penisola arabica, data del venerdì 9 aprile 1417/23 agosto 1996. Dalle montagne dell‟ Hindukush, Khorasan e Afganistan”. Portava anche il titolo: “Cacciate gli ebrei e i cristiani dalla penisola arabica”71. Il testo inizia ricordando le ingiustizie, le oppressioni e le aggressioni che i musulmani subiscono da parte dell‟alleanza “giudeocrociata” e facendo un elenco di paesi dove i musulmani sono stati vittime di “abominevoli” stragi sotto gli occhi del mondo causato dal “complotto degli americani e dei loro alleati, dietro la cortina di fumo delle Nazioni Ingiuste Unite.” Ma Bin Laden ora nota che i musulmani si sono resi conto di essere il bersaglio principale della coalizione “giudeo-crociata e della campagna mentoniera sui diritti dell‟uomo”. In particolare l‟ultima sciagura ad essersi abbattuta sui musulmani è l‟occupazione del paese dei due santuari da parte degli “eserciti cristiani americani” e dei loro alleati. Inoltre Bin Laden ricorda di come questa coalizione “giudeo cristiana” ha assassinato o incarcerato gli ulema e i predicatori più attivi e in particolare egli ricorda l‟assassinio dello sceicco „Abdallah „Azzam, dell‟incarcerazione dello sceicco Ahmad Yassin, fondatore nel 1987 del movimento di resistenza islamica Hamas e di un altro gran numero di ulema. Ricorda di essere stato cacciato dal Pakistan, dal Sudan e 71 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 37. 48 dall‟Afganistan, ma ringrazia anche Dio di aver trovato una base sicura nel Khorasan, sulle cime dell‟Hindukush. Dopo questa lunga introduzione Osama bin Laden fa un appello ai musulmani ricordando che “quando i doveri si accumulano, bisogna cominciare dal più importante: respingere questo nemico americano che occupa il nostro territorio è, dopo la fede, il primo dei doveri, niente può superarlo, come affermano gli ulema.”72 E secondo Bin Laden si può respingere l‟invasore solo con l‟unione di tutti i musulmani che devono provvisoriamente ignorare ciò che li divide. 2.3.3 Raccomandazioni tattiche Questo testo databile al dicembre 2002, Osama bin Laden incita i musulmani nel jihad, scrivendo a chiare lettere di non lasciarsi impressionare dall‟America e dal suo esercito, perché “sono i più vili tra gli uomini”. Per confermare questa tesi, Bin Laden elenca alcune disfatte inflitte alle grandi potenze a cominciare da quella dell‟ex Unione Sovietica in Afganistan, in Cecenia e alle stragi compiute a scapito degli americani a Beirut, in Somalia, nello Yemen, a Riyad e al cacciatorpediniere Cole ad Aden. Infine Osama ringrazia Dio di aver spostato la battaglia nel cuore dell‟America, attaccandola a causa della loro ingiustizia nei confronti del mondo islamico e soprattutto della Palestina, dell‟Iraq e per l‟occupazione della terra dei due santuari. Grazie agli “aerei del nemico” si condusse un‟operazione senza precedenti nella storia dell‟umanità abbattendo i “totem” dell‟America, colpendo il ministero della difesa e colpendo l‟economia americana. Tutto questo perché, secondo Bin Laden, “la situazione era giunta ad un tale grado di frustrazione, di disperazione e di paralisi tra i musulmani, di ingiustizia, di arroganza e di aggressività in seno all‟alleanza americano-sionista, al punto che il paese dello zio Sam affondava nel peccato, si nutriva di dispotismo, faceva sberleffi verso il mondo, procedendo per la sua strada, spensierato e gioioso, persuaso dall‟essere intoccabile.”73 Per Osama bin Laden, la cosa più positiva degli attacchi, è stata quella di dimostrare la realtà del combattimento tra i crociati e i musulmani, così molti 72 73 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 41. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 65. 49 musulmani hanno preso coscienza dell‟importanza della dottrina dell‟alleanza con Dio e della rottura, la fraternità tra i musulmani si è rinforzata facendo un passo da gigante verso l‟unificazione dei musulmani per stabilire un califfato ben guidato e infine tutti hanno potuto constatare che l‟America può essere “colpita, umiliata, avvilita e calpestata”.74 Osama termina il testo con un appello nell‟uccidere gli americani e gli ebrei su tutta la terra come dovere di ogni musulmano, raccomandandoli di unirsi intorno ad ulema sinceri, devoti ed attivi per continuare le azioni del jihad. 74 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 66. 50 Capitolo 3. LE TEORIE DELLA VIOLENZA RELIGIOSA SECONDO MARK JUERGENSMEYER. 3.1 Le giustificazioni morali dei terroristi Nel testo “Terroristi in nome di Dio” scritto dallo studioso americano e sociologo Mark Juergensmeyer, si può capire perché alcuni gruppi terroristici pretendono di avere le proprie motivazioni nella religione, usando la violenza come un dovere sacro e immagini di guerra universale messe a disposizione dalla religione come giustificazione morale all‟atto dell‟uccisione. Egli comprende i contesti culturali che producono questi atti di violenza, dedicando maggiore attenzione alle idee e alla comunità di supporto che stanno alla base di questi atti, più che ai terroristi che li commettono. Infatti il terrorismo è raramente un atto isolato, affinché abbia successo è necessaria una comunità di supporto e, in molti casi, una grande rete organizzativa. Serve anche una enorme quantità di presunzione morale da parte di chi commette questi atti, per giustificare la distruzione di proprietà o per uccidere persone che si conosce appena e contro cui non ci sono motivi di inimicizia personale; e ci vuole anche una buona dose di convinzione interna, il riconoscimento sociale e il marchio d‟approvazione da parte di un‟ideologia legittimante o di un‟autorità rispettata. Inoltre c‟è una caratteristica significativa di queste culture: la percezione che la propria comunità sia già sotto attacco, sia violata, e che le proprie azioni non siano perciò nient‟altro che una risposta alle violenze che stanno subendo. Juergensmeyer prende spunto dalle interviste da lui stesso fatte agli attivisti religiosi come il dr. Abdul Aziz Rantisi e lo sceicco Yassin, e dalla visione delle videocassette dei giovani martiri, raccolte in parte per onorare la memoria, e in parte per mostrarle ad altri potenziali volontari come una sorta di mezzo di reclutamento, che sono state fatte circolare clandestinamente all‟interno della comunità palestinese a Gaza e nelle città della Cisgiordania, per farci capire come nell‟Islam e in particolare nel movimento di Hamas si riesca a giustificare atti di terrorismo. Di particolare importanza 51 è l‟intervista fatta al dr. Rantisi, il quale spiega il perché degli attentati suicidi, che egli li definisce come “martirio autonomamente scelto”, perché egli afferma che tutti i musulmani cercano di essere martiri, e “il loro gruppo non ordinano di farlo, ma si limitano a dare loro il permesso di farlo in determinati momenti”. Rantisi sottolineò che erano in guerra, e non si trattava solo di una guerra contro il governo di Israele, ma contro la società israeliana nel suo complesso. Dal punto di vista di Rantisi, Hamas si trova attualmente in stato di guerra con Israele semplicemente a causa dell‟atteggiamento dello stato ebraico verso la Palestina, in particolare verso l‟idea, sostenuta da Hamas, di una Palestina islamica. Per questa ragione la guerra tra Israele e Hamas era una guerra dove non esistevano vittime innocenti. In particolare dopo l‟attacco della polizia israeliana ai palestinesi che dimostravano davanti alla moschea di al-Aqsa, vicino alla Cupola della Roccia, nel 1990, e il massacro effettuato da Baruch Goldstein a Hebron durante il mese del Ramadan, per il movimento di Hamas significò un attacco diretto contro l‟islam come religione oltre che contro i palestinesi come popolo. Proprio per questo Rantisi spiegò che gli atti di auto martirio dei giovani militanti di Hamas, erano consentiti solo in risposta a questi e altri specifici atti di violenza da parte israeliana, che colpivano spesso civili innocenti. Si trattava quindi di atti difensivi, ma erano anche una lezione morale, un modo per far provare a israeliani innocenti lo stesso dolore che palestinesi innocenti avevano provato, secondo Rantisi era necessario che il popolo israeliano sperimentasse la violenza sulla propria pelle prima di poter comprendere quello che avevano passato i palestinesi. E nell‟intervista aggiunse che “è importante che voi capiate che noi non siamo la causa di questa lotta, ma vittime”. Egli portò un esempio: “un terzo della striscia di Gaza è assegnato a 1500 coloni ebrei, e i rimanenti due terzi a circa un milione di palestinesi affollati là, molti di essi profughi. Questi sviluppi hanno portato alla frustrazione”. In un contesto del genere, secondo Rantisi, le azioni di auto martirio sono comprensibili, sono reazioni. Inoltre Rantisi sottolineò che la legittimità religiosa per gli atti di auto martirio veniva da una fatwa emessa da un muftì degli emirati del Golfo. Ma gli attivisti religiosi cercano giustificazioni islamiche più tradizionali per l‟uso della violenza, in particolare con l‟autorizzazione islamica all‟autodifesa, tanto da estendere il concetto fino ad 52 includere la difesa della dignità e dell‟orgoglio oltre che del benessere fisico di un individuo, una lotta morale oltre che politica. Lo scrittore che ha avuto forse la maggiore influenza nell‟estensione di questo concetto e nella reinterpretazione della tradizionale idea di jihad, è lo scrittore contemporaneo egiziano Abd al-Salam Faraj, che ha sostenuto nel suo pamphlet “Il dovere trascurato” l‟opportunità di combattere i nemici politici dell‟islam affermando che il Corano e gli Hadid parlano di guerra e sottolineando che il concetto di jihad, lotta, andava inteso letteralmente, non allegoricamente. Faraj diceva che il “dovere” che è stato profondamente “trascurato” è proprio quello della jihad, e incitava al “combattimento, che significa battaglia e sangue”. Egli considerava che obiettivo della jihad dovessero essere tutti coloro i quali deviavano dagli obblighi morali e sociali della legge islamica: questi obiettivi comprendevano sia apostati interni alla comunità musulmana sia presunti nemici esterni. 3.2 Gli aspetti simbolici Un aspetto molto importante degli atti di terrorismo religioso perpetrati in questi ultimi anni, è il loro carattere simbolico. Gli spettacolari attacchi aerei al World Trade Center e al Pentagono dell‟11 settembre 2001 rappresentano dei drammatici esempi. Lo scopo di tale azione era di terrorizzare usando i mezzi più spettacolari. Molto spesso negli attacchi terroristici gli obiettivi sono stati scelti per l‟immagine di familiarità e sicurezza che evocavano: centri commerciali, mercati, punti di grande transito di persone e il momento per l‟attentato è stato spesso scelto in modo da assicurarsi che nei luoghi presi di mira fosse presente il maggior numero di persone. Secondo Mark Juergensmeyer, questi atti di violenza spropositata sono costruiti per un “sconvolgente e annichilente teatro”, vedendo la violenza teatrale come elemento di un piano strategico. Questo autore definendo “simbolici” gli atti di terrorismo religioso, intende che “essi hanno lo scopo di illustrare o alludere a qualcosa che va oltre il loro bersaglio immediato: una conquista più grande, per esempio, o una battaglia più terribile di quella immediatamente visibile”. Il punto scelto per l‟attacco deve, quindi, assolvere alla funzione di produrre una dimostrazione pratica che rimanga impressa e sia facilmente comprensibile. Questi atti non sono delle tattiche messe in atto 53 per conseguire un obbiettivo immediato, ma degli eventi concepiti per rimanere impressi in qualità della loro importanza simbolica. Le vittime del terrorismo non sono prese di mira perché costituiscono una minaccia per gli autori, ma perché sono simboli legati a “un‟immagine particolare del mondo, una coscienza specifica”. Praticamente in ogni atto terroristico religioso, l‟edificio, il veicolo, la struttura o il luogo dove si è svolto l‟attentato hanno avuto un valore simbolico e hanno dimostrato la vulnerabilità del potere governativo, dando l‟impressione che i gruppi autori di questi atti dispongono di un potere enorme e che le ideologie che vi stanno dietro abbiano un‟importanza universale. Nella guerra tra l‟autorità religiosa e quella laica, la perdita, da parte di un governo laico, della capacità di controllare e rendere sicuri gli spazi pubblici, anche per un solo istante, è una vittoria per l‟autorità religiosa. Lo stesso si può dire per quel che riguarda la data, la stagione o l‟ora del giorno in cui un atto terroristico ha luogo, infatti catturare l‟attenzione del pubblico tramite un atto di “violenza-spettacolo” in una data giudicata importante dal gruppo che realizza l‟atto significa costringere tutti gli altri a percepire l‟importanza di quella data. Per chi organizza tali atti, la questione principale è proprio riuscire a catturare l‟attenzione del pubblico attraverso i mezzi d‟informazione, come è stato a partire dagli attentati al World Trade Center e alle ambasciate americane in Africa. 3.3 Guerra universale Le immagini di una guerra divina sono una caratteristica costante dell‟attivismo religioso, e sono definite “universali” perché evocano qualcosa di più grande della vita, evocando grandi battaglie di un passato leggendario legate a conflitti metafisici tra il bene e il male. Quello che rende la violenza religiosa particolarmente feroce è che i suoi protagonisti hanno messo queste immagini di battaglia divina al servizio di battaglie politiche terrene, e l‟assolutismo della guerra universale rende improbabile il compromesso, mentre quelli che suggeriscono un accordo negoziato sono criticati con gli stessi toni aspri riservati al nemico, inoltre lo stato di guerra è preferibile allo stato di pace perché esso fornisce una giustificazione morale agli atti di violenza, offrendo la speranza della vittoria e i mezzi per ottenerla. Juergensmeyer trova tre proprietà affinché un conflitto assuma le caratteristiche di una guerra universale: 54 1. La lotta è percepita come difesa di un‟identità e una dignità fondamentali. Se si attribuisce alla lotta un valore estremo, non solo la difesa della vita delle persone, ma della vita di culture intere. 2. Perdere la battaglia sarebbe impensabile. Se un esito negativo della lotta è considerato al di là dell‟umana concezione, è possibile che i protagonisti vedano la lotta non come se si svolgesse su un piano storico, ma al di sopra di esso. 3. La lotta è bloccata e non può esser vinta nel tempo reale o in termini reali. Questo è forse l‟aspetto più importante, se la lotta appare senza speranza in termini umani, è probabile che essa venga riconcepita in termini sacri, mettendo la possibilità di vittoria nelle mani di Dio. La presenza di una qualunque di queste tre caratteristiche fa crescere la probabilità che un conflitto del mondo reale venga concepito in termini universali come guerra sacra. Se tutte e tre queste caratteristiche sono presenti simultaneamente, la probabilità è elevatissima. Quando la lotta viene sacralizzata, eventi che prima avrebbero potuto essere considerati scaramucce di poca importanza o leggere differenze di punti di vista vengono elevati a proporzioni monumentali, e così l‟uso della violenza diventa legittimato e il minimo insulto o provocazione può portare ad attacchi terroristici. 3.4 I martiri e l‟invenzione dei nemici Il martirio è strettamente legato allo jihad, in particolare si manifesta nel campo islamista a partire dagli anni ottanta. Il martirio è la pratica in cui dei militanti si sacrificano consapevolmente per la causa di Dio nella lotta contro il nemico. Nella maggior parte dei casi il martirio è considerato, oltre che una testimonianza del grado della propria dedizione, anche l‟esecuzione di un atto religioso, in particolare un atto di auto sacrificio. Juergensmeyer verifica che i giovani scelti dalle organizzazioni terroristiche per essere sacrificati come martiri in attentati rispondevano a criteri di purezza e anomalia richiesti per gli esseri da sacrificare. Non erano più bambini ma non erano ancora sposati, erano membri della comunità ma liberi da responsabilità familiari, ed erano devoti ma non membri del clero. Dalle videocassette delle loro ultime 55 testimonianze si capisce che erano considerati dei bravi ragazzi anche se un po‟ timidi, erano seri nei modi, forse leggermente in disparte rispetto al loro gruppo, e alla fine accettati nel migliore dei modi dalla società quando i loro atti suicidi venivano rievocati gioiosamente come eventi di martirio. Questi giovani, non cercavano di sfuggire alla vita, ma di realizzarla in quello che consideravano un atto di redenzione tanto personale quanto sociale. Juergensmeyer nel suo testo pone l‟attenzione sul concetto di nemico, infatti per diventare oggetto di terrorismo religioso, questi nemici devono diventare degli antagonisti universali. Juergensmeyer chiama questo processo “satanizzazione”. Il processo di creazione di nemici satanici fa parte della costruzione di un‟immagine di guerra universale, e i criteri che rendono possibile la creazione di un avversario satanico sono più o meno gli stessi di quelli già trattati nella guerra universale, ovvero “quando l‟avversario respinge la propria posizione morale o spirituale, quando il nemico sembra voler usare il potere per cancellare completamente la comunità, la cultura e la stessa esistenza di una persona, quando la vittoria dell‟avversario sarebbe impensabile e quando non sembra che ci sia modo, in termini umani, per battere il nemico”. Il processo di satanizzazione ha lo scopo di ridurre il potere degli avversari e screditarli, così sminuendoli e umiliandoli, rendendoli subumani, si afferma la propria superiore potenza morale. Il nemico deve essere spersonalizzato soprattutto se si tratta di un grande nemico come può essere uno stato preso nella sua collettività. Questo fenomeno del nemico collettivo senza volto spiega perché un così alto numero di atti terroristici abbia preso di mira gente ordinaria, individui che la maggior parte degli osservatori considererebbero vittime innocenti, ma che per chi organizza questi attentati queste vittime sono rappresentanti di una collettività che costituiscono il nemico. L‟idea della guerra universale esercita un fascino irresistibile per gli attivisti religiosi perché nobilita ed esalta coloro che se ne ritengono parte, specialmente quelli che si trovano in una situazione disperata e resistono con fierezza. In questo senso, il concetto della guerra universale non costituisce semplicemente uno sforzo di delegittimazione, ma anche di dis-umiliazione: offre una via di fuga da situazioni umilianti e impossibili per persone che, in caso contrario, si sentirebbero immobilizzate da esse. Diventano terroristi non solo per sminuire i propri nemici, ma anche per fornire a se stessi un senso di potere. 56 CONCLUSIONI L‟intento che ci eravamo proposti era di mostrare perché i membri dei maggiori gruppi terroristici di matrice integralista islamica, pretendono di avere le proprie motivazioni nella religione. Proprio cominciando dalla storia della principale organizzazione terroristica islamica chiamata “al-Qaeda” abbiamo potuto vedere l‟evoluzione di questa rete. Il jihad afgano ha ricoperto un'importanza fondamentale per al-Qaeda, poiché vi presero parte personaggi che ne influenzarono in maniera decisiva il suo sviluppo. Uno di questi fu „Abdallah „Azzam, uno dei personaggi determinanti nell'attuazione del passaggio degli arabi da semplici funzionari a combattenti, e che esercitò una profonda influenza su Osama. Egli diventò il principale ideologo degli "afgani arabi", scrivendo un'opera intitolata “La difesa dei territori musulmani costituisce il principale dovere individuale”, dove sostenne che il jihad in Afghanistan era un obbligo individuale per i musulmani di tutto il mondo. Anche gli sforzi compiuti da „Azzam, bin Laden e altri per costruire una rete di uffici di reclutamento in tutto il Medioriente cominciarono a produrre dei risultati. Filiali del Mak si aprirono perfino a Brooklyn. Già intorno al 1987, Osama prese le distanze dal suo vecchio mentore, considerato troppo moderato, per avvicinarsi progressivamente agli esponenti dell'estremismo egiziano vicini ad al- Zawahiri. Dopo la sconfitta sovietica Osama bin Laden non si limiterà a teorizzare la prosecuzione dello jihad in ogni paese in cui i musulmani “soffrono per mano dell‟Occidente”, ma cercherà di praticarlo. La sconfitta della superpotenza sovietica fa pensare a bin Laden che sia possibile infliggere all‟altra superpotenza, l‟America, lo stesso trattamento, ed è proprio la guerra del Golfo, nel 1991, ad imprimere un‟accelerazione a questo progetto. Bin Laden è contrario, per motivi religiosi e politici, alla presenza delle truppe occidentali in Arabia Saudita e infatti egli non ritiene religiosamente legittimo che i “corruttori del mondo” calchino la terra del Profeta.75 In assenza di „Azzam, il pensiero di Osama già improntato sulla necessità di creare un supporto attraverso una retorica radicale piuttosto che l'uccisione indiscriminata subì uno sviluppo drastico sotto l'influenza di esponenti del radicalismo 75 Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, 199 e ss. 57 islamico egiziano, che esercitarono una profonda influenza su di lui. Tra questi alZawahiri, il quale colmò progressivamente il vuoto lasciato dall'assassino del vecchio mentore di Osama. L‟analisi della vita e degli scritti dei principali protagonisti ci hanno aiutato a capire il contesto sociale nel quale si sono formati i tre maggiori leader. Infine grazie a Mark Juergensmeyer abbiamo cercato di fare lo sforzo di capire non solo chi sono e che cosa vogliono gli uomini della jihad, ma anche perché trovino così tanto ascolto presso le platee popolari di un terzo del pianeta.76 Abbiamo osservato che una società garantisce un ruolo sociale riconosciuto, addirittura eroico, a quei suoi cittadini che partecipano a grandi lotte e hanno ricevuto la licenza morale di uccidere. I militanti di questi gruppi terroristici sono dei soldati che hanno trovato nuove battaglie, grandi lotte spirituali e politiche, e come i soldati degli eserciti veri, i soldati immaginari delle guerre universali sono di solito giovani e maschi. Appartengono, tendenzialmente, anche a gruppi marginali da un punto di vista finanziario e sociale, con un grande bisogno di acquisire potere. Come in tutte le generalizzazioni, però, ci sono eccezioni significative: i leader del gruppo, ad esempio, sono spesso individui benestanti e di mezza età. Nelle culture che hanno portato al terrorismo religioso, le angosce comuni a tutti i giovani come le preoccupazioni per la carriera, la collocazione sociale e le relazioni sessuali, sono esacerbate. Le esperienze di umiliazioni in questi ambiti li hanno resi vulnerabili al richiamo di leader carismatici e alle immagini di gloria di una guerra universale.77 Questi movimenti non sono semplicemente delle aberrazioni, ma delle risposte religiose a situazioni ed espressioni sociali di convinzioni profondamente radicate. Hanno rigettato i compromessi con i valori progressisti e le istituzioni laiche raggiunti dalla maggior parte dei leader e delle organizzazioni religiose principali, hanno rifiutato i confini che la società laica ha tracciato intorno alla religione, relegandola in un ruolo privato e non permettendole di invadere spazi pubblici, e hanno sostituito quelli che considerano dei deboli surrogati moderni con forme di religione più stimolanti e impegnative, che immaginano facciano parte dei primordi della propria tradizione.78 76 Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, 2004 pag. 8. Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 209. 78 Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006, pag. 244. 77 58 Dobbiamo anche osservare che una delle ragioni dell‟evoluzione di forme di protesta più radicali e violente è la tendenza dei governi in Medio Oriente e altrove a reprimere i movimenti moderati. Terrorizzati dall‟idea che l‟Islam radicale prenda il potere, i regimi bloccano ogni riforma democratica e poiché non arrivano le riforme, l‟Islam radicale aumenta la sua base di consenso. Via via che i movimenti islamici nazionali, moderati o violenti, vengono schiacciati o falliscono, la rabbia finisce incatenata nel regno simbolico e nel linguaggio di al-Qaeda, e questo è il passo cruciale che trasforma un giovane arrabbiato e frustato in un terrorista.79 79 Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004, pag. 238. 59 BIBLIOGRAFIA - Jason Burke, Al-Qaeda la vera storia, Feltrinelli, Milano 2004. - Gilles Kepel, Al-Qaeda i testi, Editori Laterza, Roma-Bari 2006. - Alberto Castelvecchi, Al-Qa’ida dall’Afganistan a Madrid, Castelvecchi, Roma 2004. - Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Editori Laterza, Roma-Bari 2002. - Mark Juergensmeyer, Terroristi in nome di Dio, Editori Laterza, Roma-Bari 2003. - Loretta Napoleoni, Al-Zarqawi, Tropea, Milano 2006. - Emile H. Malet, Al-Qaeda contre le capitalisme, PUF 2004. - http://abulbarakat.blogspot.com/2008/03/raggiungi-lacarovana.html - http://www.juragentium.unifi.it/it/surveys/wlgo/montanar. htm 61