II CAPITOLO
Il tema dell’Apocalisse nella storia dell’arte
II.1. L'Apocalisse figurata tra Medioevo e Rinascimento
Si le thème de l’apocalypse est un thème bien connu de la peinture religieuse dès le
Moyen-Age, on a toutefois tendance à oublier qu’il s’est manifesté bien au delà de cette
époque, jusqu’au XIX siècle, et qu’on peut le retrouver dans un art fort différent de celui
des moines ou des peintres flamandes.1
Nell’Inghilterra del XIX secolo, la paura e l’attesa degli avvenimenti predetti nell’ultimo
libro della Bibbia, erano, come abbiamo visto, maggiormente sentite rispetto agli altri paesi europei
nella stessa epoca, e la questione veniva principalmente trattata ponendo l’accento sul Giudizio
Universale. Il tema religioso ha da sempre avuto un ruolo fondamentale nelle arti figurative, e, in
particolar modo, l’Apocalisse ha stimolato svariati artisti proprio per le sue indiscusse
caratteristiche figurative.2 Non dobbiamo infatti dimenticare che l’ultimo libro della Bibbia è un
testo che va al di là della semplice lettura, e fin dal prologo si presenta come un libro da “guardare”:
Rivelazione di Gesù Cristo, a lui commessa da Dio per far sapere ai suoi servi ciò che
deve tosto avvenire, e da lui manifestata, mediante l’invio del suo angelo, al suo servo
Giovanni, il quale attesta, qual parola di Dio e dichiarazione di Gesù Cristo, quanto egli
ha veduto.3
Un libro la cui narrazione inizia effettivamente dopo l’esortazione «quello che vedi, scrivilo
in un libro» (Apo I:11) e dove la vista gioca un ruolo così importante, che non meno di 36 volte nei
suoi 22 capitoli, Giovanni scriverà «io vidi». Come conferma anche lo studioso Louis Réau, nella
sua opera sull’iconografia nell’arte cristiana, «Nigún otro libro de la Biblia, salvo los Salmos, fue
1
J.D. Rudney, Apocalypse et peinture de catastrophe en Angleterre au XIXe siècle: les peintres John Martin, Francis
Danby et Samuel Colman, in “Cahier Charles V”, vol. VII, 1985, p. 89: «Se il tema dell’apocalisse è certamente ben
conosciuto nella pittura religiosa del Medioevo, si ha tuttavia tendenza a dimenticare che si è manifestato ben al di là
di quest’epoca, fino al XIX secolo, e che lo si può ritrovare in un’arte ben differente da quella dei monaci e delle pitture
fiamminghe».
2
C. Burdon, The Apocalypse cit., pp. 16-30.
3
Apo I:1-2, in La Sacra Bibbia cit., p. 2263.
tan frequentemente illustrado ni inspiró tantas obras de arte esculpidas, pintaras o grabadas, sin
contar las tapicerías y vidrieras».4
Le immagini visionarie dell'Apocalisse costituiscono uno dei temi più diffusi dell'arte sacra
fin dall'epoca Carolingia (le apocalissi precarolinge sono purtroppo andate perdute), ed ebbero un
formidabile incremento, specialmente attorno all’anno Mille, quando, secondo la storiografia
romantica, la paura della fine del tempo dava particolare credito alle profezie di una Nuova Venuta
e della fine del mondo.5 In realtà, i maggiori storici del XX secolo hanno dimostrato che l’idea degli
orrori dell’anno Mille nasce più tardi, e che, al contrario, l’attesa fosse piena di speranze: «l’avvento
di un futuro raggiante».6 La crescente preoccupazione per l’educazione morale delle masse
illetterate fece sì che, a partire dal XIII secolo, si sviluppasse un particolare tipo di commento alle
Sacre Scritture: una forma condensata e riassuntiva, che prevedeva l’uso estensivo di immagini
creando, quindi, una vera e propria Bibbia illustrata. In particolare, questo avveniva con alcuni testi
concepiti ancora come volumi individuali, come è il caso dei Vangeli e dell’Apocalisse.7
Verso la metà del XIII un nuovo tipo di manoscritto miniato apparve in Inghilterra, [...]
divenendo subitamente molto popolare: l’Apocalisse, cioè un breve testo in latino o in
francese che spiegava le scene illustrate nelle miniature.8
Nella produzione di questi manoscritti miniati, la scuola anglosassone, sviluppatasi
soprattutto nei pressi di Canterbury e Winchester, ebbe un indiscusso posto d’onore, per la grazia e
la delicatezza delle sue opere. All’interno del ciclo anglo-normanno, sviluppatosi in seguito alla
conquista del 1066, si notano: il testo oggi conservato al Trinity College di Cambridge, miniato nel
1230 per la regina Eleonora, dall’Abbazia di Saint Alban; la famosa Apocalisse Douce della
Bodleian Library di Oxford, prodotta nel 1270 per Edoardo I, dall’Abbazia di Saint Augustine a
Canterbury; e la Lambeth Apocalypse, sempre miniata dall’Abbazia di Saint Augustine a
Canterbury tra il 1260 e il 1275, per Eleonora De Quincy, contessa di Winchester.9 È tale
l’eccezionalità di queste opere, che daranno vita a «la vogue d’une Apocalypse en images».10
4
L. Réau, Iconografíe cit., p. 692: «Nessun altro libro, eccetto i Salmi, fu tanto frequentemente illustrato né ispirò tante
opere della scultura, pittura o dell’incisione, senza contare la tappezzeria e le vetrate».
5
Per uno studio approfondito si vedano M. Rickert, La miniatura inglese: dalle origini alla fine del secolo XII, in
Collana della storia della miniatura, Electa, Milano, 1959; P. Skubiszewski, L’arte europea dal VI al IX secolo, UTET,
Torino 1995; X. Muratova, L’Alto Medioevo: i secoli X e XI, UTET, Torino, 2000 entrambe le opere in Storia
universale dell’arte, sez. III, Civiltà dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo.
6
X. Muratova, L’Alto Medioevo cit., p. 37.
7
G. Jaritz (a cura di), Il Manoscritto Medievale, Dipartimento di Studi Medievali, Central European University, Torino,
s.d. (disponibile in www.ceu.hu).
8
M. Rickert, La miniatura inglese: dal XIII al XV secolo, in Collana della storia della miniatura, Electa, Milano, 1961,
p. 9.
9
Per approfondimenti si vedano M. Rickert, La miniatura inglese: dal XIII al XV secolo cit.; F. van der Meer, L’Apocalypse dans
l’art, Fonds Mercator, Anvers, Chêne, 1978, p. 175; L. Réau, Iconografíe cit., p. 695; M. Michael, Lo stile e il richiamo della fede, in
M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese, nella collana La pittura in Europa, Electa, Milano, 1998, pp. 31-33, A.
Posséder une Apocalypse illustrée fut longtemps le privilège des grands et des maisons
religieuses bien dotées; seul les princes et les très grandes dames avaient les moyens de
se procurer un manuscrit luxueusement enluminé.11
Nelle opere medioevali era rappresentata una visione molto negativa dell’ira divina: esseri
infernali, mostri e strane creature del mondo onirico, facevano da corona alle vivide figure Sacre.
Questi simboli, evocatori di una terrificante vendetta, divennero così definitivamente parte «di un
grande repertorio medioevale raffigurante scene del Giudizio Universale, come pure nel fitto e
continuo svolgersi di motivi decorativi mostruosi e poi grotteschi». 12 Ciononostante, come ci
ricorda lo storico Jean Delumeau, che ha curato la prefazione al testo di Frederik van der Meer,
L’Apocalypse dans l’art, la più grande epoca di diffusione delle paure e delle speranze
escatologiche nell’arte, si situò tra il Tardo Medioevo e il Rinascimento, e più precisamente tra la
fine XIV secolo e la metà del XVI: «Les plus puissantes et les plus nombreuses réalisations
iconographiques consacrées à l’Apocalypse, à l’Antéchrist et au Jugement dernier datent toutes du
temps de la Pré réforme et de la Réforme».13
I motivi storici, culturali e spirituali che portarono a questa crisi sono da ricercare nel fatto
che, in quegli anni, le strutture fondamentali della società europea entrarono in crisi, e le due forme
essenziali e millenarie di organizzazione temporale e spirituale persero autorevolezza: la Chiesa,
dilaniata da una lotta intestina, fu minata dallo Scisma d’Occidente (1378-1417); per contro, gli
imperi furono devastati da vere e proprie guerre, spesso lunghe ed estenuanti, come la Guerra dei
Cent’anni tra Inghilterra e Francia (1337-1453). Questa dissoluzione fu accompagnata da
movimenti rivoluzionari, non solo a carattere sociale, ma anche religioso.14 «Si dissolve l’ordine
esistente, le tradizionali forme di organizzazione decadono, insorgono molteplici forme di
millenarismo e nascono aspettative apocalittiche».15
È su queste basi che il testo sacro trovò la sua massima rappresentazione nell’arte
fiamminga di quegli anni, e più in generale, nei cicli figurativi del nord Europa. Gli artisti in primo
Varisco, L'illustrazione dell'Apocalisse: dal libro miniato ai libri tabellari, in Teologia dell’arte, Artcurel Editoriali (disponibile in
www.artcurel.it).
10
F. van der Meer, L’Apocalypse cit., p. 172: «la moda di un’apocalisse in immagini».
Ivi, p. 273: «Possedere un’Apocalisse illustrata fu per lungo tempo privilegio dei grandi e delle case religiose ben
dotate; solamente i principi e le donne molto nobili avevano i mezzi per procurarsi un manoscritto lussuosamente
miniato».
12
A. Varisco, Il mille e l’Apocalisse. Storia dell’iconografia dell’apertura dei primi 4 sigilli. Il Beatus de Ljebana e
altri, in Teologia dell’arte, Artcurel Editoriali (disponibile in www.artcurel.it).
13
F. van der Meer, L’Apocalypse cit., p. 9: «Le più possenti e numerose realizzazioni iconografiche consacrate
all’Apocalisse, all’Anticristo e al Giudizio finale, sono tutte datate tra la Preriforma e la Riforma».
14
R.A. Giffiths, Il basso medioevo, in K.O. Morgan (a cura di), Storia cit., pp. 151-196; J. Białostocki, Il quattrocento
nell’Europa settentrionale, in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo,
UTET, Torino, 1989, pp. 1-5.
15
J. Białostocki, Il quattrocento cit., p. 4.
11
piano, per la loro produzione apocalittica, furono Dierick Bouts (c. 1415-1475), Hieronymus Bosch
(c. 1450-1516), Albrecht Dürer (1471-1528), Jean Duvet (1485-c. 1570), e Pieter Bruegel il
Vecchio (c. 1525-1569), i quali costituirono il punto di riferimento degli artisti apocalittici nei
secoli successivi.16 In particolar modo, il clima religioso, l’invenzione della stampa e la diffusione
dell’incisione, non solo trasmisero il testo di Giovanni ad un pubblico sempre più ampio, ma
consacrarono come massima espressione, per il loro grande impatto emotivo e la maestria tecnica,
le quindici xilografie dell’Apocalipsis cum figuris17 di Dürer (1498).
Fu in parte proprio la grande ammirazione del genio norimbergese, che creò un
appiattimento artistico attorno a questo tema: le successive Apocalissi figurate ripeterono, infatti,
pedestremente, la sua illustrazione. Tuttavia, i motivi di un simile silenzio artistico, sono da
ricercarsi prevalentemente nel mutamento dei gusti estetici:
Ciò che allontana gli artisti dal Libro dell’Apocalisse non è dunque la mancanza di una
concezione della storia in linea con la teologia di Giovanni, ma la lontananza dalla
forma estetica di tale teologia. Quando al simbolo si preferisce una lettura diretta e
morale della realtà, non ci si accosta all’Apocalisse ma a testi meno criptici, più
chiaramente esemplari ed etici.18
La storia dell’arte inglese del XVI e XVII secolo, vide un decisivo calo d’interesse nei
confronti del soggetto religioso, probabilmente anche a causa dell’allontanamento dalla Chiesa
Cattolica in seguito alla Riforma Protestante e allo Scisma Anglicano voluto da Enrico VIII. In
effetti, questi eventi fecero in modo che l’offensiva del Barocco fosse piuttosto temperata. Una
reazione che frenò sia gli aspetti figurativi più fastosi, tipici di questa corrente, sia ogni eventuale
influenza delle arti figurative legate alla Chiesa Anglicana. La Riforma promosse un senso di rigore
e sobrietà, che non fu di grande impulso per le arti figurative e decorative. La pittura religiosa
scomparve del tutto, a parte poche eccezioni, come, ad esempio, la commessa affidata nel 1682 al
16
Su questi artisti e la loro produzione si vedano H. Honour e J. Fleming, World History of Art, Fleming Honour Ltd.,
London, 1982, trad. it. a cura di E. Capriolo, Storia universale dell’arte, Laterza, Roma, 1982, pp. 271-387; J.
Białostocki, Il quattrocento cit., passim. E ancora R. Maillard (a cura di), Dictionnaire universel de l’Art et des Artistes,
Fernand Hazan, Paris, 1967-1968, trad. it. di M. Attardo Magrini, Dizionario universale dell'arte e degli artisti, Il
saggiatore, Milano 1970; C. Pirovano (a cura di), Il dizionario dei pittori, in La Pittura in Europa, Electa, Milano,
2002; AA. VV., Enciclopedia universale dell'arte, Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia; Roma, 1958-1967;
E. Benezit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs de tous les temps et
de tous le pays par un groupe d'ecrivains specialistes francais et etrangers, Gründ, Paris, 1976, alle voci dei rispettivi
nomi degli artisti .
17
«Nel 1498 compare un’opera d’arte che con ragione potrebbe essere definita un sintomo della svolta tra i grandi
periodi della storia culturale europea. […] Nell’opera di Dürer siamo testimoni di una realtà terrificante, dinamica e
visionaria, descritta con un potere di suggestione che lascia un’impronta durevole nella mente»: in J. Białostocki, Il
quattrocento cit., p. 281.
18
A. Varisco, L’illustrazione del libro dell’Apocalisse Post-Rinascimentale, in Teologia dell’arte, Artcurel Editoriali,
s.d. (disponibile in www.artcurel.it).
bolognese Benedetto Gennai dalla allora duchessa di York, e poi regina, Maria di Modena, la quale
richiese una pala d’altare, rappresentante la Sacra Famiglia.19
In campo strettamente artistico, la scuola inglese era ancora poco sviluppata e i committenti
britannici preferivano le opere e gli artisti stranieri, piuttosto che investire su quelli autoctoni. Il
gusto generale era principalmente dettato dall’arte fiamminga, certamente quella più apprezzata, la
quale era caratterizzata da ritratti e nature morte, con soggetti di frutta e ortaggi. Per di più, la
crescente tendenza a possedere una collezione d’arte privata da parte non solo della corte, ma anche
dei cittadini benestanti, poneva maggiormente l’accento su come il gusto artistico si avvicinasse più
che altro a soggetti laici di carattere personale.20
II.2. Arte in Inghilterra tra XVIII e XIX secolo
Dobbiamo attendere il Settecento per avere un risveglio generale dell’arte inglese21, e con
esso del tema religioso.22 La sensibilità letteraria che si sviluppò nel corso del XVIII secolo in tutta
Europa, permeò anche le belle arti, facendo un luogo comune del famoso motto “ut pictura poësis”,
derivante dall’oraziana Ars poetica.23 Sin dalla fine del Seicento, «the relationship between painting
and poetry had […] become fully acknowledged in England as an integral part of aesthetic theory
and practice».24 Di conseguenza, le teorie letterarie del neoclassicismo prima, e del romanticismo
dopo, diedero un indirizzo ben definito anche alle arti figurative. Già dagli anni ‘70 del Settecento,
decennio dello Sturm und Drang tedesco e di altre manifestazioni precoci del Romanticismo,
numerosi artisti dell’Europa settentrionale utilizzarono l’arte e le fonti letterarie classiche per
realizzare pitture e disegni, il cui carattere appassionato raggiunge il culmine delle tensioni
19
G. Arbore-Popescu, L’arte nell’età delle monarchie assolute, in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà
dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo, UTET, Torino 1997, pp. 178-185.
20
G. Arbore-Popescu, Immagine del potere, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., pp.
75-87.
21
O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione e delle rivoluzioni, in Storia universale dell’arte, sez. III, Civiltà
dell’Occidente, diretta da E. Castelnuovo, UTET, Torino, 2000, pp. 24-32.
22
Una nuova commessa per un soggetto sacro arrivò soltanto nel secondo decennio del Settecento, quando Sir James
Thornhill ricevette l’incarico di affrescare, con otto decorazioni monocrome, la cattedrale di Saint Paul: in G. ArborePopescu, L’arte cit., p. 178; Immagine del potere, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit.,
p. 75.
23
S. Perosa, La transitabilità letteraria e figurativa, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese
cit., p. 261.
24
M. Roston, Changing Perspectives in Literature and the Visual Arts, 1650-1820, Princeton University Press,
Princeton, 1990, p. 44: «in Inghilterra, la relazione tra la pittura e la poesia era diventata completamente riconosciuta
come parte integrante della teoria e della pratica estetica».
interiori. 25 Fu proprio in quegli anni che si ebbe uno sviluppo delle condizioni artistiche inglesi,
grazie soprattutto alla fondazione di numerose accademie di iniziativa privata, tra le quali divenne
un’istituzione la Royal Academy of Arts, creata nel 1768. Le composizioni pittoriche si
allontanarono finalmente dai ristretti confini della ritrattistica e delle nature morte, per dare vita ai
diversi generi, fra i quali la conversation piece, ossia il ritratto informale derivato, in particolar
modo, dal gusto per il romanzo; la pittura paesaggistica di derivazione francese e italiana; e, infine,
la history painting, dipinti narrativi che ricreavano episodi della storia, della mitologia e della
Bibbia.26 Londra viveva un vibrante momento nell’evoluzione della sua tradizione figurativa,
determinato dalla straordinaria libertà di cui godevano i suoi artisti, che non erano limitati da vincoli
di patronato, laico e religioso, o da uno stile ufficiale da seguire ed emulare. Il libero mercato
dell’arte e la stimolante competizione tra artisti che si affrontavano in mostre pubbliche, promossero
innovazione e originalità, e introdussero il movimento romantico.
Come mostra Murray Roston nella sua ampia analisi dei cambiamenti artistici e degli
sviluppi tra la fine del XVII e la metà del XIX secolo27, la pittura, come la letteratura di quegli
stessi anni, fondò le sue basi su alcune espressioni del passato, conformandosi prevalentemente a
«whate’er Lorrain light-touch’d with softening hue,/ Or savage Rosa dashed, or learnèd Poussin
drew».28 Seguendo i dettami della nuova corrente, gli artisti iniziarono ad esplorare le qualità
estetiche ed emozionali dell’immensità, dell’oscurità e del terrore. Le teorie sul Bello 29 e sul
Sublime 30, definite da Edmund Burke nel 1757, influenzarono ampiamente la pittura di fine secolo,
dando vita a diverse categorie visive, basilari per le grandi opere escatologiche. Con la qualità del
Pittoresco31, derivato da entrambi i concetti di Bello e Sublime, ma in opposizione tale da formare
una terza categoria estetica a se stante, si definiva ciò che in natura o nell’arte avesse elementi
25
Si veda l’attenta analisi sullo sviluppo del gusto romantico in I. Ciseri, Il Romanticismo: 1780-1860, Mondatori,
Milano, 2003, passim.
26
I. Bignamini, Hogart e il suo tempo, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., pp. 111133; O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., pp. 24-32.
27
M. Roston, Changing cit., pp. 193-253.
28
J. Thomson, The Castle of Indolence, I:38, in Complete Poetical Works, J.L. Robertson, Oxford, 1951, p. 265, citato
in M. Roston, Changing cit., p. 195: «Tutto ciò che Lorrain toccava leggermente con una tinta tenue, / o il selvaggio
Rosa gettava, o l’istruito Poussin disegnava».
29
Nel XVIII secolo, l’analisi del Bello era legata alla perfezione sensibile e al concetto di Sublime, con il quale aveva in
comune il “sentimento”, ma mentre il primo aveva per fondamento il piacere, il Sublime derivava dal dolore: L. Grassi,
voce Bello, in L. Grassi e M. Pepe, Dizionario della critica d’arte, UTET, Torino, 1978, vol. I.
30
Il Sublime era considerato un sentimento di piacere, a cui, però, si accompagnavano attrazione e timore insieme. Gli
aspetti più rilevanti di questo concetto erano l’interesse per il terrifico, il tragico, il mostruoso, l’immaginoso e
l’infinito, tutti elementi che andavano oltre le regole della tradizione. Nelle arti visive il Sublime aveva espressione
attraverso la grazia, la grandezza, l’invenzione, l’espressione e la composizione. Il sentimento del Sublime si
manifestava, dunque, attraverso un piacere negativo, la ricerca della grandezza assoluta e dell’infinito, dello stupore e
dell’entusiasmo: L. Grassi, voce Sublime, ivi, vol. II.
31
Il concetto di Pittoresco, elaborato in Inghilterra tra il XVIII e il XIX secolo, era una particolare categoria del gusto
legata a forme irregolari, intricate e selvagge che prendeva forma, in quegli anni, nell’arte dei giardini: L. Grassi, voce
Pittoresco, ivi, vol. II.
proporzionati, ma irregolari, armoniosi, ma selvaggi. Espressione del Pittoresco erano, dunque, i
giardini all’inglese, che cercavano di ricreare, con un piacevole disordine artificiale, il Paradiso
Terrestre.32
Seguendo questi principi estetici, nella pittura vennero considerate massima espressione del
Pittoresco due figure seicentesche che trattarono la natura in maniera quasi opposta: il francese
Claude Lorrain e l’italiano Salvator Rosa.33 Il primo, che idealizzò il sentimento della natura, venne
assunto dagli artisti inglesi come maestro delle opere paesaggistiche. Per contro, rappresentante di
una natura «talvolta incommensurabile nelle sue vastità, talvolta temibile e potente al punto da
annientare l’uomo stesso»34, divenne il secondo, che a differenza di Lorrain, evitò le campagne
idilliache e pastorali per creare elaborate e malinconiche fantasie, caratterizzate da rovine e da
briganti. Fattori dunque strettamente legati agli aspetti grotteschi e terribili derivati dal Sublime,
come lo stesso Burke aveva annunciato nel suo scritto:
Whatever is fitted in any sort to excite the ideas of pain and danger, that is to say,
whatever is in any sort terrible, or is conversant about terrible objects, or operates in a
manner analogous to terror, is a source of the sublime; that is, it is productive of the
strongest emotion which the mind is capable of feeling.35
Un altro paesaggista, probabilmente più accreditato come modello per gli artisti romantici,
fu il francese Nicolas Poussin. Egli, a differenza di Rosa che rappresentò il selvaggio, e a differenza
di Lorrain che incarnò il mondo edenico, non venne preso come esempio per un solo stile, in quanto
le sue opere spaziarono dal pastorale idilliaco a più cupe e contrastanti rappresentazioni. 36
In particolar modo, egli venne considerato il precursore del cosiddetto Sublime
apocalittico37, in quanto venne valutato unico e grande maestro delle rappresentazioni del Diluvio
Universale.38 Il tema tanto caro all’Inghilterra di fine Settecento, rappresentava «a bridge between
32
M. Roston, Changing cit., p. 203; O. Rossi Pinella, Il secolo della ragione cit., pp. 115-145.
Su Lorrain si vedano M. Kitson, voce Lorrain, Claude Gellée, in Enciclopedia cit., vol. VIII, 1958; M. Roston,
Changing cit., pp. 193-253; R. Temperini, voce Lorrain Claude, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. G-N.
Sulla figura di Salvator Rosa, si vedano M. Roston, Changing cit., pp. 193-253; D. Tarabra, voce Rosa Salvator, in C.
Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. O-Z.
34
I. Ciseri, Il Romanticismo cit., p. 264.
35
E. Burke, Philosophical Enquiry cit., pp. 58-59: «Tutto ciò che sia in grado in qualsiasi modo di destare idee di
dolore e di pericolo, ossia, qualsiasi cosa sia in un certo senso terribile, o versato ad uno scopo terribile, o agisca in
maniera analoga al terrore, è fonte del Sublime, cioè produce la più forte emozione che la mente sia capace di sentire».
36
Riguardo Nicolas Pussin, si vedano J. Thuillier, voce Poussin, Nicolas, in Enciclopedia cit., vol. X, 1963; M. Roston,
Changing cit., pp. 193-253; e particolarmente A. Mérot, Nicolas Poussin, Editions Hazan, Paris, 1990, trad. it. a cura di
M. Parizzi, Nicolas Poussin, Leonardo Editore, Milano 1990, passim.
37
Il «Sublime apocalittico», a cui M.D. Paley ha dedicato un’intera opera dal titolo, appunto, The Apocalyptic Sublime
cit.
38
R. Cariel (catalogo a cura di), Visions du deluge: De la Renaissance au XIXème siècle, Editions de la Réunion des
musées nationaux, Paris, 2006, passim, di cui si ha visione di alcuni estratti in www.musee-magnin.fr. L’opera di
Poussin, intitolata L’hiver, o Le Déluge, apparteneva ad un ciclo di quattro dipinti rappresentanti le quattro stagioni,
33
natural catastrophe and apocalypse by showing divine forces virtually breaking through nature».39
Nonostante il Sublime non fosse vincolato ad un unico genere artistico, la natura, come soggetto
principale o come sfondo, ne divenne espressione principale; una natura rappresentata in tutti i suoi
aspetti, dalle composizioni pacifiche di ampio respiro, alle forme più terrificanti, come mari
burrascosi, cime innevate o eruzioni vulcaniche. 40
II.2.1. Le immagini di crisi
Per comprendere completamente quali furono gli sviluppi che portarono alla composizione
delle opere apocalittiche, non si deve sottovalutare tutta quella produzione artistica che, pur non
rappresentando obbligatoriamente il testo sacro, ne riproduceva perfettamente il sentimento: una
sublimazione, dunque, dell’esperienza religiosa, in un’epoca prettamente secolare. La guerra
napoleonica, e gli eventi che ne seguirono, stimolarono l’interesse degli artisti per la cronaca e
l’allegoria, la celebrazione e la pubblica accusa, con soluzioni stilistiche di straordinaria varietà.
Visti, dunque, gli sviluppi storici e sociali, e le nuove tendenze estetiche, anche nelle arti visive,
come nella letteratura, si accrebbe l’interesse per il Terribile e il Sublime, di cui erano espressione
perfetta le catastrofi, fossero queste tratte da temi religiosi o laici. 41
A fascination with disaster gripped Britain in the first half of the nineteenth century,
notably in the uneasy years between 1815 and 1848, when conflicts over social reform
replaced warring with the French. Many people were obsessed by premonitions of doom,
and their preoccupation was reflected in the work of Romantic landscapists.42
metafora del ciclo naturale della vita e delle cose. Prodotte tra il 1660 e il 1664, costituiscono la maggiore impresa del
pittore, col tentativo di dare prestigio alla pittura di paesaggio, ancora adombrata dalla pittura di storia. L’opera
rappresenta un inverno mediterraneo, grigio e piovoso, e venne presto conosciuto, dagli artisti e dagli esperti d’arte
inglesi, soltanto come il Deluge. Divenne particolarmente famoso, non solo perché riproponeva la struttura
michelangiolesca del Diluvio Universale nella Sistina, che focalizza l’attenzione non su Noè e l’arca, bensì sui
sofferenti, ma perché introduceva, inoltre, il motivo della famiglia inondata, simbolo della distruzione di tre
generazioni. Un’altra caratteristica apprezzata dai romantici inglesi, furono le tinte spente, lugubri, che corrispondevano
all’idea di un Sublime dal colore «sad and fuscous» (E. Burke, A Philosophical cit., p. 149): in M.D. Paley, The
Apocalyptic cit., pp. 7-11; A. Mérot, Nicolas cit., pp. 237-249.
39
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 2: «un ponte tra la catastrofe naturale e l’apocalisse, mostrando le forze divine
virtualmente irrompere nella natura».
40
Per un quadro generale della pittura romantica, e delle sue espressioni paesaggistiche, il cosiddetto natural sublime, si
veda I. Ciseri, Il Romanticismo cit., passim.
41
Riguardo alle immagini di crisi si veda l’approfondito studio di G.P. Landow, Images of Crisis: Literary Iconology,
1750 to the Present, Routledge & Kegan Paul, Boston and London, 1982, passim.
42
M. Whidden, Samuel Colman: Belshazzar’s cit., p. 3: «Un fascino per il disastro catturò l’Inghilterra nella prima
metà del XIX secolo, particolarmente nei difficili anni tra il 1815 e il 1848, quando i conflitti sulle riforme sociali
sostituirono la guerra con la Francia. Molte persone erano ossessionate dalle premonizioni rovinose e le loro
preoccupazioni si riflettevano nel lavoro dei paesaggisti romantici».
Nonostante la tendenza alla secolarizzazione di scene religiose interessasse svariati generi
artistici43, essa ebbe massima espressione nelle opere paesaggistiche. Sin dalla fine del Settecento,
nacque un gusto strettamente legato alle immagini della natura nelle sue manifestazioni funeste, che
enfatizzavano la futilità degli sforzi umani: l’uomo appariva debole e senza speranze davanti alla
schiacciante forza della natura. A sostenere queste teorie vi furono, inoltre, alcuni eventi e
speculazioni scientifiche che impressionarono certamente gli artisti dell’epoca. In questi termini
vennero, infatti, interpretati i ritrovamenti compiuti durante gli scavi di Ercolano (1737) e di
Pompei (1748)44, o gli studi sul Diluvio Universale, che occupavano le discussioni degli intellettuali
fin dal Seicento.45 È proprio da queste basi che sorse la cosiddetta School of Catastrophe, che non
ebbe un gruppo di adepti preciso, ma coinvolse, più o meno temporaneamente, gran parte degli
artisti britannici. 46 Come scrive George P. Landow nel suo studio su questo genere artistico,
sviluppatosi a partire dal 1750, l’essenza di questa tendenza, riscontrabile sia in campo letterario
che artistico, stava nella profonda rottura con la situazione passata: «The situation of crisis creates
or generates an entirely new imaginative cosmos for those who experience it».47 Un nuovo mondo
che, però, portava con sé una natura dalle forze immensamente più grandi rispetto a quelle umane:
una natura che minacciava la totale distruzione. Pertanto, l’attenzione venne rivolta alle tempeste di
neve, alle eruzioni vulcaniche, alle valanghe e ai naufragi, ossia, a tutti quegli eventi naturali che
interrompessero bruscamente la vita dell’uomo.
L’introduzione di questi temi catastrofici evidenziava, in realtà, sentimenti di paura e
smarrimento, e una conseguente ricerca del Dio che sembrava ormai aver abbandonato gli uomini al
loro destino. D’altra parte, i cataclismi continuarono ad avere i tradizionali significati religiosi di
punizione, prova per l’essere umano e mezzo per la sua educazione spirituale, fondendo il principio
di salvezza con quello di distruzione, secondo la visione cristiana del Giudizio Universale. 48
43
Fin dalla metà del XVIII secolo, è evidente l’utilizzo di elementi precedentemente usati nelle opere sacre. Un esempio
di tale tendenza sono i dipinti di Joseph Wright of Derby (1734-1797), nelle cui scene industriali, fattori come la luce e
la struttura della composizione, ricalcano i modelli iconografici delle immagini religiose: M. Roston, Changing cit., pp.
246-250.
44
A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, O.H. Beck, München 1951, vol. III, trad. it. a cura di Anna
Bovero, Rococò Neoclassicismo Romanticismo, in Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino, 2001, p. 138.
45
Effettivamente, fin da allora, artisti e studiosi si erano rivolti a questo episodio biblico, ponendo l’attenzione sul
carattere religioso, sulla giustizia divina resa tangibile attraverso le forze degli elementi naturali. A tal proposito, alla
fine del Settecento, vennero presi come esempio L’hiver di Poussin e il primo libro di The Sacred Theory cit., di T.
Burnet, interamente dedicato alle teorie sul diluvio e la distruzione della Terra: in M. Roston, Changing cit., pp. 216221; Si vedano anche M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 7-11 e M.S. Seguin, Le déluge universel: Science et histoire,
in R. Cariel (catalogo a cura di), Visions cit., pp. 10-11.
46
M. Whidden, Samuel Colman: Belshazzar’s cit., p. 21.
47
G.P. Landow, Images cit., p. 5: «La situazione di crisi crea o genera in coloro che la vivono, un cosmo immaginativo
completamente nuovo».
48
Ivi, pp. 3-33.
È in quest’ottica che si devono analizzare opere come: The Shipwreck (1805), Cottage
Destroyed by an Avalanche (1810), conosciuta anche come The Fall of an Avalanche in the
Grisons, e Snowstorm: Hannibal and His Army Crossing the Alps (1812) di Joseph M.W. Turner49;
o, ancora, The Destruction of Pompeii and Herculaneum (c. 1822) e Sadak in search of the Waters
of Oblivion (1812) di John Martin50, il quale conservò questo sentimento catastrofico durante gran
parte della sua produzione artistica.
Ma le immagini disastrose furono, soprattutto, alla base di molteplici rappresentazioni
bibliche (tra le quali emerge il tema del Diluvio) ispirate all’arte di Poussin e alle teorie di Burnet,
come le opere di Philippe Jacques de Loutherbourg (1790) , Francis Danby (1837-40), e i già citati
Turner (1813) e Martin (1834).51
II.3. Rinascita del tema religioso
Il tema religioso, soprattutto nelle sue sfumature escatologiche, si sviluppò sulle basi di
queste teorie estetiche e di questo fermento emotivo, attirando nuovamente l’attenzione dei pittori
durante il periodo della Rivoluzione francese52, quando la coscienza si concentrò sulla fugacità
degli ideali umani:
All’Illuminismo segue il Neoclassicismo; a questo il Romanticismo. Comune agli ultimi
due il desiderio di una realtà “altra” dalla presente, o comunque una visione dell’arte
come suscitatrice di verità eterne, al di là del corso quotidiano degli eventi.53
L’evoluzione delle tematiche e degli stili nel corso della prima metà del XIX secolo,
determinò la ripresa e la rielaborazione di soggetti tradizionali, ma anche la creazione di totalmente
nuovi. I principi basilari delle nuove correnti artistiche, combinate con gli eventi storici di quegli
anni, portarono dunque ad un recupero del testo dell’Apocalisse, come libro da tradurre in figura.
49
Per l’analisi delle opere si vedano: A. Staley, Joseph Mallord William Turner, in F. Cummings e A. Staley (catalogo
a cura di), Romantic Art in Britain, Paintings and Drawings, 1760-1860, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia,
1968, pp. 191-192; A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner, vie et oeuvre: Catalogues des peintures et
aquarelles, Office du livre, Fribourg, 1979, trad. in. J.M.W. Turner: His Art and Life, Poplar Books, Inc., Secaucus,
1979, pp. 94-95, 153-156; G.P. Landow, Images cit., pp. 3-130; I. Ciseri, Il Romanticismo cit., pp. 265, 278, e il sito
della Tate Gallery (www.tate.org.uk).
50
M.L. Pendered, John Martin, Painter: His Life and Times, Hurst & Blackett, London, 1923, pp. 58-60, 107-114; G.P.
Landow, Images cit., pp. 9-10; W. Feaver, The Art of John Martin, Clarendon Press, Oxford, 1975, pp. 9-24, 55-59.
51
G.P. Landow, Images cit., pp. 133-179; J.C. Lebensztejn, Note sur le déluge et le sublime, e R. Cariel, De Poussin à
Turner, fortune d’une icône, entrambi in R. Cariel (catalogo a cura di), Visions cit., pp. 12-16.
52
Per un’analisi degli sviluppi artistici nel periodo della Rivoluzione si veda E. Kennedy, A Cultural History of the
French Revolution, Yale University Press, New Haven, 1989, passim.
53
A. Varisco, L’illustrazione cit.
Ciò che, però, mutò radicalmente, rispetto alle lontane raffigurazioni medievali e rinascimentali, fu
l’approccio con cui il pittore si avvicinava al testo:
Egli non desidera più spiegarlo agli altri, ma misurarsi con esso in una ricerca solitaria
d’identità spirituale. Se l’arte è misura dell’invisibile, l’Apocalisse che ci parla di realtà
escatologiche è per l’artista una Parola che lo sprona a cercare nuove forme di
espressione e una ritrovata vena simbolista.54
Se si collega il tema religioso al gusto per l’orrido, per il violento e per il sovrannaturale, che
fin dal 1770 si sviluppò come espressione del Sublime e della corrente neogotica, si ottiene il gusto
estetico attraverso il quale venivano rappresentate le scene sacre, ossia, ciò che Morton D. Paley
definisce il Sublime apocalittico. La sua analisi delle opere d’arte rappresentanti il libro
dell’Apocalisse o, più in generale, le visioni leggendarie e profetiche della Bibbia, identifica come
primo esponente di questa corrente,il pittore John Hamilton Mortimer (1740-1779).55
Death on a Pale Horse, esibita alla Royal Accademy nel 1775, raffigura un vero soggetto
apocalittico, non una semplice catastrofe, e, più esattamente, il momento in cui San Giovanni,
all’apertura del quarto sigillo, vede apparire l’ultimo cavaliere, la Morte:
Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva:
«Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava
Morte e gli veniva dietro l'Inferno. Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra
per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.56
Nonostante il brano sia già di per sé spaventoso, Mortimer riuscì a dare del testo
un’immagine ancor più terrificante, combinando abilmente le fantasie neogotiche, alla violenza e
alla passione del Barocco. È palese l’indebitamento con l’incisione di Dürer, I quattro cavalieri
dell’Apocalisse, la cui Morte (raffigurata in primo piano in basso) rappresentava, quasi certamente,
uno dei rari soggetti apocalittici, di un certo valore, conosciuti da Mortimer. 57 Benché fosse una
fonte inusuale per quei tempi, era ancora forte nell’immaginario collettivo, a quasi tre secoli di
54
Ibidem.
Su J.H. Mortimer si vedano: F. Cummings, John Hamilton Mortimer, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura
di), Romantic cit., pp. 106-110; E. Benezit, voce Mortimer (John Hamilton), in Dictionnaire critique cit., vol. VII.
56
Apo VI:7-8, in La Sacra Bibbia cit., p. 2269.
57
È probabile che Mortimer si sia ispirato anche ad opere minori, come, per esempio, l’incisione dell’italiano Stefano
della Bella, La Morte sul campo di battaglia, del 1646 circa: in Norman D. Ziff, Mortimer’s Death on a Pale Horse, in
“The Burlington Magazine”, vol. CXII, n° 809, August 1970, pp. 531-532. Per una breve descrizione dell’opera di West
si faccia inoltre riferimento a M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 16-18 e il sito della Tate Gallery, www.tate.org.uk.
55
distanza, il ricordo dell’Apocalipsis cum figuris, in quanto, come si è detto, il tema apparve
raramente nella pittura postmedioevale.58
Malgrado la scelta di una resa più raccapricciante, la struttura del quadro, con la Morte che
arriva di lato, in basso a sinistra, la posa del soggetto, il cielo tempestoso e le figure impotenti in
primo piano sono derivate dall’incisore tedesco. Furono proprio il tema e lo stile della
rappresentazione a suscitare tanta ammirazione, da creare una nuova espressione artistica, che prese
forma esclusivamente in Inghilterra, «a mode that subsequently effloresced during the period of the
French Revolution, the Napoleonic Wars, and the agitation for Reform».59 Nonostante
dell’originale si siano perse le tracce, si può apprezzarne l’intensità in un’acquaforte di Joseph
Haynes, pubblicata nel 1784. L’opera di Mortimer fu certamente una fra le più bizzarre e influenti
della sua produzione artistica, in quanto ebbe un tale successo, che svariati pittori si dedicarono alla
raffigurazione dello stesso tema. Rappresenta, inoltre, per gli studiosi contemporanei, un valido
documento di quella vasta e cospicua corrente “del terrore”, che stava, appunto, emergendo nell’arte
inglese di quegli anni.60
Benjamin West (1738-1820)61 fu uno di quei pittori che rimasero particolarmente affascinati
dall’opera di Mortimer. Egli si dedicò al soggetto apocalittico, abbozzando l’opera tra il 1783 e il
1802 e presentando la versione definitiva nel 1817 col titolo Death on a Pale Horse; or the Opening
of the First Five Seals.62 La tela si presenta strutturalmente diversa dalla precedente, segnando il
distacco dalle rigidità del Neoclassicismo, e preannunciando la sensibilità del Romanticismo.
Il suo principale riferimento artistico fu Rubens, ma la quantità di personaggi e le
dimensioni, facevano dell’opera una vera e propria “sfida”.63 L’opera si distingue per il vasto
spazio, che abbandona del tutto la struttura stratificata. A favorire questo allontanamento fu,
innegabilmente, l’ampliamento del soggetto, non più ristretto a poche figure, ma esteso a numerosi
elementi sia terreni che celesti. Di particolare importanza fu, inoltre, l’uso del colore applicato
58
Ricordiamo d’altronde che Sir Joshua Reynold nel sesto discorso (1774) della sua raccolta, dichiarò che: «The works
of Albert Durer, Lucas Van Leyden, the numerous inventions of Tobias Stimmer, and Jost Ammon, afford a rich mass of
genuine materials, which wrought up and polished to elegance»: Discourses on Art, in The Works of Sir Joshua
Reynolds, Knight; Late President of the Royal Academy, vol. I, T. Cadell and W. Davies, London, 4° ed, 1809, p. 176,
(Le opere di Albrecht Dürer, Lucas Van Leyden, le numerose invenzioni di Tobias Stimmer, e Jost Ammon, fornivano
una ricca quantità di materiale originali, che trasformavano e rendevano elegante).
59
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 1: «una moda che successivamente fiorì durante il periodo della Rivoluzione
Francese, delle Guerre Napoleoniche e dell’agitazione per la Riforma».
60
Ivi, pp. 1-18.
61
Per uno studio su B. West si vedano F. Cummings, Benjamin West, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di),
Romantic cit., pp. 97-104; E. Benezit, voce West (Sir Benjamin), le vieux, in Dictionnaire critique cit., vol. X; M.D.
Paley, The Apocalyptic cit., pp. 19-50; S. Barini, I. Citterio, M. Pirovano e S. Pirovano, voce West Benjamin, in C.
Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. O-Z.
62
Vi furono altre due versioni precedenti: The Triumph of Death (1784) e The Opening of the Four Seals (1796): M.D.
Paley, The Apocalyptic cit., pp. 19-26. Per l’analisi dell’opera si veda anche il sito della Tate Gallery, www.tate.org.uk.
63
O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., p. 271.
liberamente, alla maniera di Rubens, e non più definito da linee nette.64 La figura centrale della
Morte perdeva le sue sembianze scheletriche, per dar vita a una figura grande, forte e possente, che
in «its moral impression would approximate to that of the visionary Death of Milton».65
Tutt’intorno venivano ripresi ed ampliati i temi classici che accompagnavano queste
rappresentazioni. Alle spalle della Morte, un’orda di mostri, incarnazione del verso «gli veniva
dietro l'Inferno», e davanti il gruppo familiare distrutto. Nella parte sinistra altre vittime della
carneficina, mentre nella parte destra spiccano altre tre figure a cavallo: il Messia, rappresentato sul
cavallo bianco con la corona e l’arco66; il cavaliere col cavallo rosso che aveva il potere «di toglier
la pace dalla terra e far che si sgozzino gli uni gli altri, e gli fu consegnata una grande spada»67; e
il cavaliere dal cavallo nero con la bilancia in mano.
Il periodo tra il 1790 e il 1810 vide l’emergere di numerose rappresentazioni profetiche e
apocalittiche nelle arti figurative, con svariati artisti che traevano i propri soggetti dai libri della
Bibbia. Immagini che emergevano da un vasto insieme di preoccupazioni: il millenarismo, la
rinascita dell’Evangelicalismo e un senso di crisi politica durante l’era rivoluzionaria. In questo
contesto, l’opera di West, molto vicino ai circoli millenaristi inglesi, venne concepita come
elemento di un ciclo di pitture. I dipinti che illustravano l’Apocalisse, infatti, sarebbero dovuti
essere esposti nella cappella del Castello di Windsor. Ma il progetto fallì, e vennero prodotte
solamente due composizioni68: Death on a Pale Horse e The Destruction of the Old Beast and false
Prophet (1804), raffigurante il passo del XIX capitolo dell’Apocalisse. 69 E questo non fu l’unico
progetto apocalittico di West: egli tornò spesso su questo tema, soprattutto tra il 1797-98, quando,
sotto il patronato di William Beckford, eseguì ben sei rappresentazioni del Libro di Giovanni, che
64
A tal riguardo, si veda la descrizione dell’opera in John Galt, A Descrition of Mr. West’s Picture of Death on the Pale
Horse: Or the Opening of the First Five Seals, C. H. Reynell, London, 1818, pubblicata come opuscolo di sette pagine
in occasione dell’esibizione al n° 125 di Pall Mall, e inclusa successivamente nella biografia del 1820 (Nonostante
appaia solo la sigla “J.G.”, appare ovvio che si tratti di Galt in quanto amico e biografo dell’artista). John Galt (17791839) meglio conosciuto come romanziere, si occupò ampiamente di West, pubblicando una biografia in due parti: The
Life and Studies of Benjamin West (1816) e The Life, Studies and Works of Benjamin West (1820).
65
J. Galt, A Description cit., p. 3: «la sua impressione morale approssimerebbe la visione della Morte di Milton».
66
In realtà, nelle precedenti versioni questo soggetto rappresentava semplicemente il cavaliere dal cavallo bianco, di cui
si parla nell’Apocalisse VI:2, ma John Galt, nella descrizione del dipinto, introduce questa nuova interpretazione: «it
was not THE SAVIOUR healing and comforting the afflicted, […] it was the King of Kings going forth "conquering and
to conquer," to bruise the head of the serpent, and finally to put all things under his feet»: ivi, p. 4 (non era il Salvatore
che guarisce e conforta gli afflitti, […] ma il Re dei Re che va avanti “vincitore per nuove vittorie”, per schiacciare la
testa del serpente e finalmente mettere ogni cosa ai suoi piedi).
67
Apo VI:4, in La Sacra Bibbia cit., p. 2269.
68
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 31-36.
69
«Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco. Colui, che gli sta in sella, è detto fedele e verace, e giudica e
guerreggia con giustizia. I suoi occhi sono fiamma di fuoco; sul suo capo stanno molti diademi; porta scritto un nome
che nessuno conosce fuorché egli stesso; indossa un mantello intriso di sangue, e ha nome: “Verbo di Dio”. Lo
seguono sopra cavalli bianchi le schiere celesti, vestite di bisso bianco, nitido. Dalla sua bocca esce una spada
tagliente, per percuotere con questa le genti; ed egli avrà da governarle con verga di ferro, egli da pigiare nel tino il
vino dell'accesa ira di Dio Onnipotente. E porta scritto sul mantello e sul suo fianco un nome : “Re dei Re e Signore
dei signori”», Apo XIX:11-16, in La Sacra Bibbia cit., p. 2282.
avrebbero dovuto adornare la Revelation Chamber di Fonthill. Purtroppo, ancora una volta, il
progetto non andò in porto, e le opere rimasero incompiute o semplicemente abbozzate.70
Furono diverse le variazioni sul tema alla fine del XVIII secolo, e, sicuramente, due
importanti figure furono di grande stimolo: Thomas Macklin con la Poets’ Gallery (1788) e
l’illustrazione della più grande Bibbia mai stampata al mondo (c. 50x40 cm), conclusa nel 1791 e
pubblicata nel 1800 (successivamente rivista e ampliata nel 1816); e Robert Bowyer, con una
successiva illustrazione del testo sacro (c. 1824), che comprendeva più di 6000 incisioni, tratte dai
maggiori artisti della storia di tutti i tempi. 71 Entrambi i progetti biblici attirarono la partecipazione
di numerosi artisti, tra i quali si distinse il francese Philippe Jacques de Loutherbourg (17401812)72, il quale portò la sensibilità apocalittica verso sfumature di occultismo, derivate dai suoi
interessi alchemici e dai circoli swedenborghiani di cui faceva parte. Nonostante Macklin avesse
ingaggiato svariati artisti coevi per il suo progetto, fra i quali Reynolds, West, Füssli, e Hamilton,
de Loutherbourg apportò il maggiore contributo, producendo 22 delle 71 immagini73 e quasi 125
vignette di apertura e chiusura di ogni libro, che poi vennero riprese nel progetto di Bowyer. Come
osserva Thomas S.R. Boase, riguardo alla collaborazione di quest’artista, «no other group of
paintings exemplify so clearly the early stages of the Romantic Movement in England».74
Sebbene adottasse un senso apocalittico pressoché per qualsiasi scena della Bibbia, la
massima espressione si ha, ovviamente, nelle due opere create per l’ultimo libro: The Angel Binding
Satan (1792) e The Vision of the White Horse (1798), conosciuta anche come The Opening of the
Second Seal.
Quest’ultima, in particolar modo, mostra gli sviluppi che questo genere di pittura stava
percorrendo in quegli anni, successivamente alle esposizioni di Mortimer e di West. The Vision of
the White Horse venne inserito come illustrazione del XIX capitolo, nonostante rappresentasse i
primi versi del VI capitolo: «Ed ecco alla mia vista un cavallo bianco, in groppa ad esso uno che
aveva un arco; a lui fu data una corona, ed egli partì vincitore per nuove vittorie». 75 Traendo
spunto dalle prime due versioni del Death on a Pale Horse di West, de Loutherbourg riesce a creare
un’opera originale, modificando completamente l’impianto del quadro: il soggetto è concentrato
70
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 36-50.
T.S.R. Boase, Macklin and Bowyer, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, vol. XXVI, n° 1/2, 1963,
pp. 148-177; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 65.
72
Per alcuni cenni sull’artista e la sua produzione artistica si vedano: E. Benezit, voce Loutherbourgh ou Lutherbourg
ou Lautherbourg (Philipp Jakob I ou Jaques Philippe I), in Dictionnaire critique cit., vol. VI; M.D. Paley, The
Apocalyptic cit., pp. 51-70.
73
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 54. In realtà nel sito della Tate Gallery, che conserva l’opera (www.tate.org.uk),
viene fornito il dato di 21 opere su 72.
74
T.S.R. Boase, Macklin cit., p. 150: «nessun altro gruppo di pitture è esempio così chiaro della fase iniziale del
movimento romantico in Inghilterra».
75
Apo VI:2, in La Sacra Bibbia cit., p. 2269.
71
solo sui primi due cavalieri, che galoppano non più sul fermo terreno, ma in cielo. Tutti gli elementi
(lo sfondo nuvoloso, l’uso del colore, le posizioni delle figure) contribuiscono a fare di quest’opera,
una perfetta rappresentazione del Sublime apocalittico.76
De Loutherbourg si dedicò anche alla pittura di scene non bibliche, seguendo la tendenza di
una secolarizzazione del tema religioso, tanto che il forte tono catastrofico e apocalittico
caratterizzò la maggior parte delle sue opere, sia quelle a carattere paesaggistico, come Survivors of
a Shipwreck attacked by Robbers (1793) e An Avalanche, or Ice-Fall, in the Alps (1803), sia le
rappresentazioni dei disastri umani in The Great Fire of London in 1666 (1797) e Coalbrookdale by
Night (1801), o, ancora, le scene di battaglia, fra le quali ricordiamo The Battle of the Nile (1802).77
II.3.1. Figure chiave per lo sviluppo dell’arte apocalittica: Füssli, Blake e
Turner
Alla luce di tutto ciò, e vista l’evoluzione della cultura artistica in Inghilterra durante gli
ultimi anni del Settecento, si possono inquadrare e comprendere meglio figure come Johann
Heinrich Füssli (1741-1825) e William Blake (1757-1827), i quali, accanto alla realizzazione di
simboli ed emblemi fantastici, dalla grande potenza evocativa, affrontarono opere a carattere
religioso. Proprio per l’approccio che ebbero nei confronti delle rappresentazioni escatologiche, essi
possono essere considerati fra gli anticipatori delle tendenze artistiche che prenderanno forma nelle
opere degli artisti apocalittici del secolo successivo.
Johann Heinrich Füssli, meglio noto nei circoli artistici inglesi come John Henry Fuseli,
nacque a Zurigo, ma trascorse gran parte della sua vita in Gran Bretagna, diventando un artista
particolarmente influente nella produzione artistica inglese. Qui espose regolarmente alla Royal
Academy, affermandosi immediatamente come maestro del genere immaginario, data la forte
caratterizzazione fantastica e visionaria di The Nightmare, apparso per la prima volta a Londra nel
1781.78 Egli «si consacrò così definitivamente pittore del sublime, dell’oscuro, dello spettrale del
magico, tanto che venne soprannominato Principal Hobgoblin Painter to the Devil».79 La sua
formazione umanistica e l’amore per i classici lo avvicinarono al tema religioso: attorno al 1790 gli
76
Per l’analisi dell’opera si veda M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 58-59 e il sito della Tate Gallery,
www.tate.org.uk.
77
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 68-70.
78
L’opera ebbe altre cinque versioni. Per approfondimenti sulla figura e sulle opere di Füssli si vedano: R. Todd,
Tracks cit., pp. 61-93; F. Cummings, John Henry Fuseli, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit.,
pp. 121-127; O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., pp. 211-215; G. Bungarten, voce Füssli Johann Heinrich, in
C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. A-F.
79
G. Bungarten, voce Füssli Johann Heinrich cit.: «il più importante spirito e pittore al servizio del Diavolo» (trad. it. a
cura di G. Bugarten).
proposero, infatti, l’illustrazione delle opere di Milton, che vennero esposte nel 1799 alla Milton
Gallery: più di quaranta dipinti che lo impegnarono per quasi dieci anni, e anche se l’impresa si
rivelò un fallimento finanziario, resta comunque utile per comprendere come lo stesso approccio
fantasioso delle prime opere, venisse utilizzato per trattare il tema sacro, in un clima di «sublime
mefistofelico».80
Il tema religioso venne approfondito nel 1796, con la partecipazione alla Macklin’s Bible,
per la quale illustrò il brano dell’Apocalisse:
«Sette candelabri d'oro e, in mezzo dei candelabri, uno simile a uomo, vestito di un abito
talare, e ricinto alle mammelle di una fascia di oro. Aveva il capo e i capelli bianchi
come la lana candida, come neve, e gli occhi quali fiamme di fuoco […] e teneva nella
sua mano destra sette stelle. Dalla bocca gli usciva un’acuta spada a due tagli, e
splendeva nel viso come fa il sole nel suo forte».81
Il soggetto era indubbiamente sublime e onirico allo stesso tempo, tanto che, argomentando
la sua scelta, l’artista scrisse: «Of the several moments before me I have taken what appeared to me
the most Sublime, the Sudden apparition and trance of John».82 Il St John's Vision of The Seven
Candlesticks, possiede, ancora una volta, uno stile altamente espressivo e semplificato. L’opera
gioca sul contrasto tra la greve corporatura del profeta, curva su se stessa e appesantita dalla
lunghezza degli arti, contro la suprema grazia della divinità, «luminous and androgynouslooking».83
Il punto di vista ribassato e il lungo abito del Cristo, con la fascia alta e i drappeggi degli
abiti femminili, accentuavano l’effetto di impotenza del profeta. Per il suo espressionismo e per il
suo interesse attorno all’immaginario, che spesso sfociava nel terribile, Füssli anticipò l’età
romantica ed ebbe molti ammiratori, tra i quali i suoi studenti alla Royal Academy e un’altra figura
fondamentale per gli sviluppi artistici di quegli anni, William Blake.84
80
D. Blayney Brown, L’evasione romantica, in M. Kitson e G. Arbore-Popescu (a cura di), La pittura inglese cit., p.
182. Si vedano come esempio Satan Starting from the Touch of Ithuriel’s Spear (1779) o The Night-Hag Visiting
Lapland Witches (1796).
81
Apo I:12-16 in La Sacra Bibbia cit., p. 2264.
82
Lettera a William Roscoe del 15 giugno 1796, in D.H. Wienglass, The Collected English Letters of Henry Fuseli,
Kraus International Publications, Millwood, New York, 1982, citata in M.D. Paley. The Apocalyptic cit., p. 41: «Fra i
vari momenti davanti a me, ho scelto quello che mi sembrava il più Sublime, l’improvvisa apparizione e catalessi di
Giovanni».
83
M.D. Paley. The Apocalyptic cit., p. 41: «luminoso e dall’aspetto androgino».Per l’analisi dell’opera vedi anche
www.tate.org.uk.
84
Per una ricerca più approfondita sulla figura e sulle opere di Blake, si vedano: R. Todd, Tracks cit., pp. 29-60; F.
Cummings, William Blake, in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic cit., pp. 157-166; S. Barini, I.
Citterio, M. Pirovano e S. Pirovano, voce Blake William, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. A-F.
Quest’ultimo è certamente il maestro più riconosciuto per quanto riguarda le immagini a
soggetto fantastico–religioso:
So early in his artistic career did Blake come to apocalyptic subjects that his treatment of
some of them antedates or is contemporary with comparable works by the considerably
older artists West and de Loutherbourg.85
Nel 1784, mentre il Triumph of Death di West era esposto alla Royal Academy, Blake si
presentava con un acquerello intitolato War unchained by an Angel, Fire, pestilenc, and Famine
following e da quel momento i temi della guerra, della peste, della fame e del fuoco, con le loro
connotazioni apocalittiche, furono presenti lungo tutto il corso della sua produzione artistica, che si
sviluppò durante quegli anni così ricchi di fermenti millenaristi. 86 Nonostante, rappresentasse
soggetti terribili, egli sembrò deliberatamente evitare il Sublime di Burke, rinnegando il gusto per
l’oscurità, tanto cara agli artisti coevi. Per lui, infatti, «Obscurity is Neither the Source of the
Sublime not of any Thing Else».87 Tutte le sue opere, nonostante echeggino lo stile di Füssli, furono
formulate così singolarmente, da essere fuori da qualsiasi schema del periodo, mantenendo, anche
nell’illustrazione dei temi più terribili e drammatici, un forte rigore nelle forme e nel colore.
Accanto alle linee neoclassiche, egli utilizzò prevalentemente la tecnica della tempera, recuperata
dall’epoca medioevale, come «materia più adeguata alla lievità delle sue piatte figure fluttuanti in
situazioni ambientali indefinite».88 Malgrado, dunque, Blake si allontani dallo stile catastrofista che
prese forma alla fine del XVIII secolo in Inghilterra, gran parte della sua produzione ebbe come
tema centrale l’Apocalisse.
In seguito a un accordo con l’amico e mecenate Thomas Butts, produsse, infatti, numerose
rappresentazioni della Bibbia, di cui dieci illustrano passi dell’Apocalisse e due raffigurano proprio
il Giudizio Universale.89 Fra le varie opere, le più drammatiche furono quelle che avevano come
85
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 71: «Blake arrivò così presto ai soggetti apocalittici nel corso della sua carriera
artistica, che, il modo in cui li trattò, risulta in anticipo o contemporaneo se paragonato alle opere di artisti
considerevolmente più grandi, come West e de Loutherbourg».
86
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 71.
87
Annotazioni per Reynolds, in D.V. Erdman (a cura di), The Complete Poetry and Prose of William Blake, University
of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1983, p. 658, citato in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 100:
«L’oscurità non è né sorgente del Sublime, né di nessun altra cosa».
88
O. Rossi Pinelli, Il secolo della ragione cit., p. 215.
89
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 81. Blake produsse, in tutto, quattro opere trattanti il tema del Giudizio
Universale; opere bibliche nell’ispirazione ma non legate ad un preciso capitolo o verso, se non poche righe generali. Il
Giudizio Universale è descritto, infatti, in una parte piuttosto breve, ma intensa dell’Apocalisse: «Vidi poi un grand
trono bianco e Colui che vi sedeva, dalla cui presenza fuggirono la terra e il cielo e di essi non si trovò più traccia. Vidi
i morti, grandi e piccoli, stare innanzi al trono; e furono aperti dei libri. Fu pure aperto un altro libro, quello della
vita; e i morti furono giudicati da ciò che stava scritto nei libri, secondo le loro azioni. Il mare mise fuori i morti, che si
vi trovavano; la morte e l’Averno resero i morti di loro pertinenza. Ciascuno di quelli fu giudicato secondo le sue
azioni; e la morte e l’Averno furono gettati nello stagno del fuoco. La seconda morte è questa: lo stagno del fuoco; e in
quello stagno fu gettato chiunque non fu trovato scritto nel libro della vita»: Apo XX:11-15, in La Sacra Bibbia cit., p.
soggetto il Diavolo, i quattro acquerelli dedicati ai capitoli 12 e 13, sintesi di vero e proprio
«apocalyptic theatre».90
Come osserva Martin Butlin, uno dei maggiori biografi di Blake, «In no other case does
Blake devote so many illustrations to a mere two chapters of the Bible».91 The Great Red Dragon
and the Woman Clothed with the Sun e «The Devil is Come Down», prodotti tra il 1803 e il 1805,
descrivono due brani pressoché consecutivi del XII capitolo. Il primo descrive l’inizio del capitolo,
quando «una donna, a cui è manto il sole, la luna le sta sotto i piedi, e le cinge il capo una corona
di dodici stelle»92 sta per partorire il Messia. La composizione è dominata dal drago che si erge
possente di spalle, con le grandi ali da pipistrello dispiegate nella parte superiore della tela, e, nella
parte inferiore, la maestosa coda, che trascinava «la terza parte delle stelle del cielo»93, gettandole
sulla terra, rigirata su se stessa in spire serpentine. Blake scelse di mostrare solo tre delle sette teste,
con un ovvio richiamo al Satana descritto da Dante nell’Inferno, che l’artista si cimenterà ad
illustrare qualche anno dopo.94 Il “grande visionario” aggiunse alla tradizionale interpretazione,
anche elementi della filosofia teologica di Swedenborg (alla quale era profondamente legato), e
della propria personale mitologia, tanto che alcune parti dell’opera ricordano le figure mitologiche
create per i suoi Prophetic Books, pochi anni prima. Egli mise in scena i due opposti: l’istintiva
virilità maschile, demoniaca e distruttiva, ma anche potente e grandiosa, che fronteggia
un’apparentemente fragile donna, illuminata dal Sole e gravida, portatrice, in realtà, di un nuovo
sapere, di una rinnovata, illuminata e spirituale, cultura dell'umanità. La struttura dunque è
bilanciata tra la linea verticale del demone che sovrasta quella orizzontale della donna sottomessa.
Al contrario, in «The Devil is Come Down», la donna diventa anch’essa protagonista, in
netto contrasto con il drago: «Quando il dragone si vide precipitato sulla terra, inseguì la donna
che aveva partorito il maschio. Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila, perchè
volasse al deserto, al suo posto, dove fosse nutrita per un tempo, più tempi e metà di un tempo,
lungi dalla vista del serpente». 95 Tutta l’opera è giocata sul contrasto delle due figure, dettato non
solo dalla contrapposizione dei colori, ma anche dalle linee spigolose e demoniache per Satana,
2283. Le opere prodotte tra il 1805 e il 1810, ebbero come punto di partenza il Last Judgement eseguito tra il 1805 e il
1806 per la poesia The Grave (1743) di Robert Blair, e conosciuto attraverso un’incisione di Luigi Schiavonetti.
90
Questo termine venne usato da J. Mede in riferimento al testo di San Giovanni, e riadattato sulla figura di Blake da
M.D. Paley, in The Continuing City: William Blake’s “Jerusalem”, Clarendon Press, Oxford, 1983, citato in M.D.
Paley, The Apocalyptic cit., p. 87.
91
M. Butlin (catalogo a cura di), William Blake, Tate Gallery Publications, London, 1978, citato in M.D. Paley, The
Apocalyptic cit., p. 87: «In nessun altro caso Blake dedicò così tante illustrazioni a due semplici capitoli della Bibbia».
92
Apo XII:1, in La Sacra Bibbia cit., p. 2274.
93
Ibidem, Apo XII:4.
94
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 87.
95
Apo XII:13-14, in La Sacra Bibbia cit., p. 2274.
morbide e celestiali per la donna.96 Come si può notare in tutte le raffigurazione del Diavolo97, la
rappresentazione delle forme demoniache è scrupolosamente attenta alle descrizioni fatte nel testo
dell’Apocalisse, sfociando spesso in figure grottesche, uniche dominatrici delle composizioni
artistiche.
In questo processo di evoluzione artistica risulta fondamentale l’osservazione di colui che
ispirò gran parte del gusto del XIX secolo: Joseph M.W. Turner.98 La sua vasta e varia produzione
artistica consente di trattare questo maestro separatamente rispetto agli altri esponenti della School
of Catastrophe, in quanto la sua attenzione verso il tema apocalittico iniziò prima e fu soltanto una
delle sue numerose espressioni pittoriche. Turner, infatti, abbandonò presto le tendenze artistiche di
quell’epoca, frequentemente basate sulla definizione del Sublime di Burke, per creare uno stile del
tutto personale, costruito su giochi di luce e di colore, su forme convulse e circolari e su
rappresentazioni eteree: un vero e proprio «Turnerian sublime».99
Nonostante, a volte, prendesse spunto dalle opere di Martin e Danby, con i quali era in
“competizione”, egli sviluppò un’arte assolutamente originale così grandiosa da annebbiare
completamente il rapporto che ebbe con il tema apocalittico. Indubbiamente, con i suoi 76 anni di
vita, fu il pittore che segnò maggiormente il panorama inglese di quel tempo, influenzando, e più
spesso offuscando, un’intera generazione d’artisti, tanto che risulta obbligatorio, nell’analisi
dell’arte ottocentesca, fare riferimento alla sua figura, soprattutto per l’importanza che acquistò la
sua rappresentazione della natura. Ciononostante, troppo spesso si è sorvolato sull’analisi delle sue
opere secondo la chiave apocalittica e catastrofica che, invece, caratterizzò parte della sua
produzione. Proprio perché meno evidente che in pittori come Martin, Danby e Colman, ancora in
tempi recenti quest’aspetto viene semplicemente accennato nelle biografie e negli studi su
quest’artista, rendendo difficile un concreto inserimento di quest’artista nella School of
Catastrophe.100
96
La fisicità del drago è portata all’estremo, e tutti gli elementi caratterizzanti oltre ad essere accentuati, sono in primo
piano: le enormi ali da pipistrello, le tre teste con le corna, e la coda arrotolata su se stessa. Sotto di lui, la donna che
brilla dei colori dell’oro, è morbidamente avvolta in una veste che lascia intravedere la rotondità della sua gravidanza,
ripresa anche dalla forma delle grandi ali d’aquila, molto più curve di quello che dovrebbero essere.
97
A tal proposito, si vedano anche The Great Dragon and the Beast from the Sea, detto anche «And Power was Given
Him over all Kindreds and Tongues and Nations», e The Number of the Beast is 666, rappresentazioni del XIII capitolo
dell’Apocalisse, perfettamente analizzate in F. Cummings, William cit., in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di),
Romantic cit., pp. 161-163.
98
Sulla figura di Turner si vedano: A. Staley, Joseph cit., in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic
cit., pp. 189-198; A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., passim; M. Chamot, voce Turner, Joseph Mallord
William, in Enciclopedia cit., vol. XIV, 1966; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 101-121; S. Barini, I. Citterio, M.
Pirovano e S. Pirovano, voce Turner Joseph Mallord William, in C. Pirovano (a cura di), Il dizionario cit., vol. O-Z.
99
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 117: «Sublime di Turner».
100
Gli unici approfondimenti sull’argomento sono stati trovati in M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp. 101-121.
Negli anni in cui West, de Loutherbourg e Blake realizzavano i loro terribili soggetti, anche
Turner si volse al tema apocalittico, legandolo al suo primo interesse: la pittura di paesaggio. Di
fatto, egli enfatizzò l’aspetto monumentale e il potere della natura, messa in relazione alla debolezza
e alla pochezza del genere umano. Attraverso la rappresentazione dell’ambiente, evocò sentimenti
di profonda spiritualità, concentrandosi sulla visione di un paesaggio che fosse sintesi di catastrofe
naturale o divina “ricompensa”, dando vita alla rappresentazione del paesaggio apocalittico.101 La
sua produzione, in questo senso, iniziò nei primi anni dell’Ottocento, con la creazione di alcune tele
rappresentanti le piaghe bibliche e altri temi semi-apocalittici102, che segnarono l’inizio di una lunga
serie di raffigurazioni di cataclismi, disastri cosmici e furie elementali. 103 Fin da queste prime opere
si nota l’importanza della natura, per la quale Turner s’ispirava al paesaggio di Poussin, che, come
abbiamo visto, era considerato uno dei massimi rappresentanti dell’arte paesaggistica. 104 A
differenza di West o de Loutherbourg, i quali disegnarono figure dominanti, Turner presentò i
protagonisti come piccoli dettagli, concentrandosi sulle qualità apocalittiche del paesaggio.
Decisamene più importante, per la formazione di questo pittore, fu la composizione del
Deluge (c. 1805), nella quale egli combinò equilibratamente la natura e l’uomo, diventando un
modello per i giovani artisti come Martin e Danby. Sebbene l’opera rimandi ancora una volta allo
stile severo dell’artista francese, in realtà, se ne allontana per prendere una forma nuova, ravvivata
dall’uso del colore nello stile di artisti italiani, quali Tiziano e Veronese. Ciò che però si scosta
maggiormente dalla tradizione è la rappresentazione dell’episodio biblico in maniera catastrofica,
elemento completamente assente nel Diluvio di Poussin e di derivazione più recente. Il disastro si
svolge in uno sfondo totalmente naturale, al centro del quale, un gruppo di persone tenta
disperatamente di arrampicarsi su una barca allagata: a sinistra, tra altra gente travolta dalle acque,
un airone annega, intanto che, in primo piano, un serpente nuota avvolto su sé stesso; sulla destra,
invece, dietro una donna dalle sembianze di una Maddalena, un possente uomo di colore aiuta una
donna svenuta con in braccio un bambino, mentre accanto a lui viene riproposto il gruppo morente
delle generazioni, già visto in opere precedenti. Ogni cosa nel dipinto, tranne l’arca ormai lontana,
sta per essere spazzata via da un’enorme onda. Di conseguenza, tutto concorre ad accentuare quella
tendenza pessimista che dubitava della validità del Diluvio come giusto mezzo di divina punizione,
portando lo spettatore a fraternizzare con le vittime, che eroicamente e drammaticamente cercano la
101
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 101.
Le prime opere a carattere apocalittico furono per l’appunto: The Fifth Plague of Egypt (1800); The Army of the
Medes Destroyed in the Desart [sic] by a Whirlwind (1801); The Tenth Plague of Egypt (1802); The Destruction of
Sodom (1805): in A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., pp. 65-86; M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp.
102-106.
103
A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., p. 65.
104
Per una breve analisi del rapporto tra Turner e l’arte di Poussin si veda J. Ziff, Turner and Poussin, in “The
Burlington Magazine”, vol. CV, n° 724, July 1963, pp. 315-321.
102
salvezza, aiutandosi fra di loro. L’immaginazione del Settecento sovvertì, dunque, il tradizionale
significato cristiano del Diluvio, per creare un evento dove non dominano le regole del Signore, ma
quelle di una natura infuriata contro degli innocenti. 105
A palesare l’attitudine pessimista di Turner, vi erano non solo le immagini, ma anche alcuni
testi da lui scritti come commento alle sue tele. Nonostante il concetto fosse già stato introdotto nel
1810 con The Fall of an Avalanche in the Grisons, egli compose un poema intitolato Fallacies of
Hope, di cui, occasionalmente, utilizzò estratti a corredo dei titoli delle opere esposte. A tal
riguardo, la prima opera in mostra con un brano di commento tratto dalle Fallacies fu Snowstorm:
Hannibal and His Army Crossing the Alps106, esibita nel 1812, che, introducendo il tipico vortice
presente in gran parte della sua arte successiva, mostra l’abilità del pittore nella combinazione tra la
grande pittura storica e l’uso moderno degli effetti naturali, «whose sublime violence borders on the
apocalyptic».107
Già in quest’opera si intravede come Turner muterà il suo stile nel rappresentare il Sublime
apocalittico; fatto evidente già nella seconda decade del secolo e chiaro nelle successive opere a
tema biblico, apparse negli anni ’40 dell’Ottocento, quando l’ormai affermato Martin sembrava
volersi misurare con lui. In questo senso furono concepite opere come Shade and Darkness – the
Evening of the Deluge e Light and Color – the Morning after the Deluge – Moses writing the Book
of Genesis, entrambe esibite nel 1843, in seguito all’esposizione, qualche anno prima, di Eve of the
Deluge e Assuaging of the Waters di Martin; e ancora The Angel standing in the Sun108 del 1846,
che seguiva le numerose rappresentazioni di angeli che Martin aveva inciso per l’illustrazione della
Westall’s Bible (1836). Nonostante non possano essere considerate imitazioni delle opere di Martin,
i dipinti di Turner devono essere intesi «as tacit ‘answers’ or responses to a challenge».109
È dunque chiaro come, all’inizio del nuovo secolo, immagini di orrore apocalittico, di
devastazioni, di piaghe e pestilenze fossero alla base delle arti figurative visionarie. Il tema
apocalittico poteva essere trattato in termini illusionistici o simbolici, e questo era ciò che
differenziava pittori come West, che mantenne la straordinarietà delle visioni di San Giovanni
usando colori naturali e la costruzione prospettica, rispetto ad artisti innovativi come Blake che,
105
G.P. Landow, Images cit., pp. 133-144.
Per l’analisi dell’opera si vedano A. Staley, Joseph cit., in F. Cummings e A. Staley (catalogo a cura di), Romantic
cit., pp. 191-192; A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., pp. 94-95, 153-156; M.D. Paley, The Apocalyptic
cit., pp. 108-111; I. Ciseri, Il Romanticismo cit., p. 278.
107
M.D. Paley, The Apocalyptic cit., p. 109: «la cui sublime violenza sfocia nell’apocalittico». Sull’influenza che
quest’opera ebbe su Martin e Danby si veda A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., p. 155.
108
Per una breve descrizione delle opere sopraccitate di Turner e un’analisi dei rapporti con gli altri pittori apocalittici,
si vedano: A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., pp. 198-199, 216, M.D. Paley, The Apocalyptic cit., pp.
113-118, e il sito della Tate Gallery (www.tate.org.uk).
109
A. Wilton (catalogo a cura di), J.M.W. Turner cit., p. 216: «come tacite “risposte” o repliche a una sfida».
106
interpretando i contenuti, accentuò la stilizzazione e il simbolismo delle immagini a discapito della
resa naturalistica. Lo stesso contrasto si potrà ritrovare nella generazione successiva tra le opere di
Turner, che aveva una visione della religione meno esplicita e dottrinale, e quelle di Martin, Danby
e Colman. Ciò che lo studioso Christopher Burdon afferma riguardo West e Martin, è, pertanto, una
teoria estendibile anche agli altri due grandi componenti della School of Catastrophe:
[They] saw their art as a kind of Christian evangelism, read the text of Revelation, it
seems, in a lurid and literal way and tried to reproduce its visions in the midst of the
known world, asking the viewers of their pictures to imagine the power of God invading
it.110
Di conseguenza, nonostante questa corrente interessasse numerosi artisti fin dal XVIII
secolo, la produzione di Martin, Danby e Colman fu una rappresentazione «beaucoup plus
populaire, spectaculaire et même littérale»111, nella quale si tralasciò il messaggio di speranza e di
gloria, tipico delle teorie millenariste, per mettere in evidenza l’aspetto più violento e catastrofico
delle visioni di San Giovanni, grazie anche all’utilizzo degli elementi sublimi elaborati da Burke. I
pittori disponevano di mezzi stilistici adatti ad evocare il Sublime, fra i quali figurano più
caratteristici la ripetizione di certe linee, le dimensioni imponenti delle tele, l’uso di profondità e
prospettive che si perdono nell’oscurità, e la sensazione di schiacciamento delle figure dei
protagonisti112, tutti elementi, come si vedrà nel prossimo capitolo, facilmente ritrovabili nella gran
parte delle loro opere.
110
C. Burdon, The Apocalypse cit., p. 21: «[Loro] videro la propria arte come una sorta di evangelismo cristiano,
lessero il testo dell’Apocalisse, sembra, in maniera impressionante e letterale, e provarono a riprodurre le visioni nel
mezzo del mondo conosciuto, chiedendo agli spettatori dei loro quadri di immaginare il potere di Dio che lo invadeva».
111
J. Durbin Rudney, Apocalypse et peinture cit., p. 89: «molto più popolare, spettacolare e anche letterale».
112
Ivi, p. 97.
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Il tema dell`Apocalisse nella storia dell`arte