femminicidio_Layout 1 18/09/13 15:49 Pagina 47
SOCIETÀ
[ ATTUALITÀ DI
GIOVANNA DALL’ONGARO ]
IO mi SALVERÒ
«All’inizio sembra il Principe Azzurro, poi la trasformazione. Ma cosa c’è
nella mente di un uomo violento? Cosa lo spinge a trasformare una relazione amorosa in un incubo? Imparare a leggere i primi segnali comportamentali, può significare salvarsi la vita»
«
A
vevo un ottimo lavoro, amici e una
famiglia fantastica...o così pensavo.
Recentemente, all’improvviso, mia
moglie Adriana mi ha detto che se non smetto di trattarla male, lei se ne andrà. Mi rendo contro che non sono stato onesto con me
stesso. Ho provato a convincermi che era tutto nella mente di Adriana e che tutta la questione si sarebbe calmata. Ma poi ho visto
quanto Adriana si tenesse da parte e ho visto quanto anche mio figlio Luca fosse turbato. La cosa migliore che potevo fare è diventare più consapevole di come stavo trattando Adriana. Forse non la stavo picchiando, ma so che stavo cercando di controllarla
e volevo smettere». La testimonianza di Paolo, 40 anni, è tratta dall’“opuscolo di auto aiuto” che il Centro di Ascolto Uomini Maltrat-
tanti pubblica sul suo sito (www.centrouomimaltrattanti.org). L’associazione, con sede a
Firenze e Ferrara, è la prima struttura nata in
Italia dedicata agli “autori di comportamenti violenti” che cercano un sostegno e che rivendicano il diritto a una seconda possibilità.
Il primo passo per chi vuole cambiare è quello di riconoscere
i propri limiti e gli
esperti dell’associazione suggeriscono di farlo rispondendo a una
serie di domande:
“Se sei preoccupato, fatti queste
domande fondamentali:
»
OTTOBRE 2013
47
48 I 50epiu.it I OTTOBRE 2013
prendere provvedimenti finora di esclusiva competenza della Magistratura, e l’assenza di
un investimento di risorse da
destinare a un efficace piano
d’azione per la formazione di
personale specializzato, per
campagne di informazione e
prevenzione, per la realizzazione di nuove strutture di accoglienza per le vittime o per
centri di ascolto dedicati agli
uomini maltrattanti».
Ricapitoliamo, in sintesi, le novità introdotte dal decreto. Per
i reati di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori (stalking) sono state introdotte alcune aggravanti:
aumenta la pena se i maltrattamenti avvengono in presenza di un minore di 18 anni
(mentre prima l’aggravante
scattava se i maltrattamenti
avvenivano in danno di minori di 14 anni), se la vittima di
ILANGES I EREGGEL REPAS :OBUCNI’LLAD ISRAILGEVS EMOC
1. La offendi spesso e la critichi molto? 2. Le hai impedito
di fare qualcosa che lei voleva
fare? Come, per esempio, andare fuori con gli amici, avere
un lavoro o studiare? 3. Sei responsabile delle finanze e non
permetti alla tua compagna di
usare soldi per suo uso personale? 4. Hai mai minacciato di
picchiarla o di tirarle qualcosa
addosso? 5. L’hai mai accusata ingiustamente di prestare
troppa attenzione a qualcun
altro? 6. L’hai mai schiaffeggiata, picchiata, spintonata o
strattonata? 7. L’hai mai spinta ad avere rapporti sessuali
anche se non li desiderava?”.
È un invito a guardarsi allo
specchio e mettere a nudo il
proprio lato oscuro, quello di
cui ci si vuole liberare. È l’inizio di un percorso di recupero
che può essere utile, forse più
del carcere, a evitare che un
rapporto affettivo si concluda
in un dramma irreparabile. Ma
di centri come questo nel nostro Paese ve ne sono pochi (un
elenco lo si può trovare sul sito
www.casadelledonne.blogspot.it)
e non pare che le cose cambieranno con il nuovo decreto antifemminicidio, approvato lo
scorso Ferragosto tirandosi dietro non poche polemiche.
Sembra, infatti, che le migliori intenzioni non siano riuscite a garantire una legge efficace: l’elefante, sotto la pressione mediatica dei drammatici casi di cronaca, ha partorito un topolino imperfetto e,
a detta di molti giuristi, persino controproducente rispetto al nobile obiettivo che si
proponeva: prevenire e contrastare la violenza di genere.
«Ci sono tre aspetti critici nel
decreto», spiega Alessandra
Cacchiarelli, penalista esperta
in materia di diritto di famiglia e minori. «La considerazione della donna solo come soggetto debole, degno di tutele
speciali al pari dei minori, il
grande potere attribuito alla
Polizia Giudiziaria legittimata a
COME SVEGLIARSI DALL’INCUBO: SAPER LEGGERE I SEGNALI
SOCIETÀ
femminicidio_Layout 1 18/09/13 15:49 Pagina 48
DEDICATO
A TUTTE LE
DONNE
DI GIOVANNA VECCHIOT TI
N
on è vero che sono
sempre degli sconosciuti. Anzi, molto
spesso gli aguzzini vestono i
panni di un famigliare: un
padre, un fratello, il proprio
compagno, persino un figlio.
La violenza all’interno delle
mura domestiche è sempre
più diffusa, come se la vita
delle donne non avesse il diritto ad essere rispettata. Un
retaggio culturale o un potere acquisito (ma in virtù di
cosa?) da parte degli uomini a imporre la propria volontà? Eppure, nonostante i
numeri denuncino un’escalation della violenza domestica, troppo spesso gli abusi
vengono giustificati persino
dalle stesse vittime, come se
la colpa di tali comportamenti risiedesse esclusivamente
in chi la violenza la subisce.
Ma quali sono i meccanismi
psicologici che inducono certe coppie a perpetrare il ruolo di vittima-carnefice, e come può una donna capire se
dietro quell’uomo gentile che
ha incontrato non si nasconda un futuro aguzzino?
Lo abbiamo chiesto a Lundy
Bancroft, consulente giudiziario e co-direttore di “Emerge”
- la prima organizzazione che
negli Stati Uniti offre programmi riabilitativi per uomini violenti - autore del libro Uomini
che maltrattano le donne Come riconoscerli per tempo
e cosa fare per difendersi (Vallardi editore), nel quale vengono evidenziati i meccanismi
messi in atto dall’abuser e i segnali per riconoscerli.
Dottor Bancroft, quando
ha iniziato ad occuparsi di
violenza domestica e perché ha scelto di dedicare
la Sua professionalità agli
uomini abusanti?
Ho iniziato nel 1987. Volevo
sfruttare i miei studi e lottare
per una giusta causa, per
l’uguaglianza. Lavorare in un
programma di recupero degli
abuser mi ha dato la possibilità di sfidare gli stessi uomini,
di fare in modo che si staccassero dalla cultura dell’oppressione, di farli smettere di inti-
femminicidio_Layout 1 18/09/13 15:49 Pagina 49
violenza sessuale è in gravidanza e
se il colpevole è il coniuge, anche
separato o divorziato, o una persona legata da “relazione affettiva, anche senza convivenza” (una
condizione vaga che si presta a svariate interpretazioni), se lo stalking
avviene tramite strumenti informatici o telematici. La querela per stalking diventa irrevocabile.
«Quest’ultimo provvedimento sembra frutto di un giudizio riduttivo
della capacità di decisione della donna, alla quale viene negato il diritto
di ripensamento anche nei casi in
cui la conflittualità sia cessata e la
donna decida di non proseguire nella richiesta di una condanna penale
nei confronti di una persona alla
quale è comunque legata. A parte
questa sostanziale novità, il decreto,
dal punto di vista delle sanzioni, non
opera grandi stravolgimenti ma introduce piccoli correttivi che non
hanno un considerevole impatto sulla pena. Le novità maggiori le troviamo, invece, sul piano dell’ordine pubblico dove viene concessa alla Polizia, anche su segnalazione anonima
e in assenza di richiesta della persona offesa, la facoltà di ammonire
l’accusato o di imporgli l’allontanamento dai luoghi famigliari, e sul
piano processuale dove vengono introdotti speciali strumenti di tutela
della parte offesa che rischiano di
sbilanciare troppo le garanzie processuali e acuire i conflitti tra le parti.
Temo che questi provvedimenti speciali, dettati dall’urgenza dell’allarme sociale, servano a poco. Molto
invece andrebbe fatto con interventi a lungo termine sul piano della
prevenzione, con corsi di formazione per il personale di Polizia, con
progetti educativi nelle scuole e interventi strutturali nella cultura del
nostro Paese che rendano le donne
più sicure del loro ruolo e gli uomini capaci di accettare frustrazioni e
fallimenti, misure previste dal decreto ma senza alcun investimento di risorse», conclude Alessandra Cacchiarelli. Viene voglia, a questo »
«Credere alle
parole della vittima,
è il primo ed
importante passo
per aiutarla»
midire e dominare le donne.
Da cosa nasce la violenza domestica, da un sentimento nei
confronti del partner o da un
atteggiamento culturale?
Una cattiva relazione può trasformare un uomo non violento in un
abuser, ma per certo un abuser
è capace di trasformare una bella relazione in un incubo. Il problema sta nel comportamento e
nel modo di pensare dell’uomo
violento, perché lo porterà a ripetere lo schema di relazione in
relazione, dicendosi ogni volta
che la colpa è della donna.
All’inizio di ogni relazione ci sarà un periodo in cui si comporterà bene. In questa prima fase
l’uomo si dirà: «Vedi, il mio comportamento è buono se sto con
una brava donna», ma dopo
qualche mese riprenderà a comportarsi come sempre.
La violenza domestica è causata dalla convinzione maschile
che la donna debba adeguarsi
alle sue necessità, e si fermerà
soltanto quando si raggiungerà
una vera parità fra i sessi.
«Il giardino dell’Eden» è così
che Lei definisce i primi mesi
di una relazione con un uomo
abusante. Ma all’inizio di una
relazione esistono dei segnali
comportamentali che diano alla donna la possibilità di capire che si sta intraprendendo un
rapporto “a rischio”?
All’inizio di una relazione l’abuser spesso si comporta in maniera cavalleresca. Purtroppo la
donna, in genere, è stata educata a ricercare questa caratteristica in un compagno.
In secondo luogo, tende a voler
mantenere il controllo, e inizia dai
pensieri della partner: la critica,
reagisce in maniera esagerata a
questioni di poco conto, pretende che lei faccia tutto quello che
le viene chiesto. Ancora una volta, alle donne viene insegnato di
trovare attraente un uomo che
“prende il controllo”, anche se
in realtà questo è un indizio negativo. La mancanza di rispetto è
solitamente il gradino successivo.
Una donna dovrebbe chiedersi
spesso, all’inizio di una relazione:
«Quanto rispetto dimostra nei
miei confronti? Rispetta le mie
opinioni, la mia intelligenza, la
mia forza, le mie decisioni?».
Esistono anche altri indizi, ma mi
limiterò a segnalarne uno: state
lontane dagli uomini gelosi o possessivi. Spesso si interpreta la gelosia come una dimostrazione
d’amore, ma in realtà è soltanto
la volontà di un uomo di controllare la donna, e questo biso-
gno di controllo col tempo spesso sfocia in violenza. L’amore non
può sostituire il rispetto, e infatti l’amore senza rispetto non è
amore, ma mero possesso.
Inoltre le donne devono stare attente a questi segnali: a) fa grandi promesse; b) parla sempre di sé
e non ascolta; c) vuole “migliorare” la donna con cui sta; d) parla
in modo da suggerire che la donna capisce meno di lui; e) non è
sincero; f) continua una relazione
che «è praticamente finita».
Se potessimo definire la personalità di un abuser, potremmo
paragonarla al Dottor Jekyll e
Mr Hyde. Perché, in lui, spesso esiste un così repentino
cambiamento d’umore?
Esso è profondamente convinto
(anche se spesso non in maniera
cosciente) che sia responsabilità
della sua compagna soddisfare i
suoi bisogni prima dei propri. Il suo
umore può quindi cambiare repentinamente quando non si sente messo in primo piano. Un uomo violento non vuole riconoscere sentimenti, bi- » SEGUE A PAG. 23
OTTOBRE 2013
49
SOCIETÀ
femminicidio_Layout 1 18/09/13 15:49 Pagina 50
punto, di andare a vedere come
il problema è stato affrontato all’estero, cercando qualche modello giuridico alternativo a cui ispirarsi, meno punitivo, ma non per
questo meno efficace.
«Negli Stati Uniti esiste uno strumento molto efficace, forse non
perfetto, ma sicuramente di buon
livello», spiega Marina Catucci,
giornalista, videomaker e autrice
di un documentario sugli uomini abusanti dal titolo Besame Mucho. «Si tratta del cosiddetto Order of Protection emesso dal giudice del Family Court. L’iter è questo: prima si sporge denuncia in
un commissariato di polizia. Facciamo presente che tutti i commissariati sono dotati di una sezione speciale di domestic violence, gestita da personale specializzato. Con la denuncia si va
in tribunale e si incontra un giudice che, se lo ritiene necessario, emette immediatamente un
Order of Protection temporaneo
che garantisce alla donna protezione e controllo da parte delle
forze dell’ordine. Dopodiché viene fissata un’udienza con entrambe le parti coinvolte, dove il
provvedimento può diventare definitivo. Tutto in tempi rapidi.
L’Order of Protection impone all’abuser l’allontanamento dalla
vittima senza però macchiare la
fedina penale. Se la persona denunciata rispetta l’ordine del giudice, non avrà alcuna conseguenza sul piano penale. Tutto da guadagnare e nulla da perdere. In
caso contrario, verrà punito duramente. A me sembra un modello valido che negli Stati Uniti
ha ottenuto buoni risultati».
Nel documentario che sta per girare in America, Marina Catucci
affronterà il tema della violenza
sulle donne da una prospettiva
inedita. Quella del carnefice e
non della vittima. I riflettori, questa volta, saranno puntati sull’altra metà della coppia, generalmente trascurata dalle cronache,
con lo scopo di capire come e
perché il principe azzurro dei sogni può trasformarsi in un orribile orco. Le interviste ad avvocati, psichiatri, politici, poliziotti
ruoteranno tutte intorno a un
unico quesito: cosa scatta nella
mente di un abuser?
«Non voglio mostrare donne in
lacrime che espongono alle telecamere i loro lividi». La scelta
è coraggiosa, ma le critiche sono prevedibili: “spiegare” vuol
dire “giustificare” e chiunque
cerchi le ragioni di un comportamento violento finisce, in sostanza, per difenderlo. «Non è
così, non c’è alcun intento giustificatorio in Besame Mucho.
Non possiamo continuare a ignorare l’altra metà del problema:
fino a quando non comprenderemo le ragioni del malessere
maschile, non potrà esserci un
vero benessere femminile. Per
questo trovo indispensabile analizzare il labirinto mentale di chi
arriva a ferire o uccidere la donna che crede di amare», ci spiega Marina mostrando un pragmatismo che è forse di casa negli Stati Uniti, sua patria adottiva, ma che fatichiamo a trovare nel nostro Paese più abile a
lanciare allarmi che a trovare soluzioni veramente efficaci.
«Affrontare il tema come se si
trattasse di un’“emergenza” è
fuorviante. La violenza domestica è piuttosto di un dramma costante nella storia del nostro Paese», precisa Luana De Vita, psicoterapeuta e criminologa, anche lei pronta a difendere una tesi “scomoda” pur di individuare il problema da risolvere. «Alla base di molti di questi drammi c’è un problema culturale. Se
vogliamo veramente cambiare
le cose dobbiamo accettare che
tra offender e vittima c’è sempre una relazione, che non possiamo osservare la scena del cri-
mine senza valutare l’agito di
tutti gli attori, nello specifico dell’uomo e della donna. L’uomo responsabile delle violenze non è
l’unico elemento problematico
della coppia. La degenerazione
del rapporto non avviene mai a
senso unico. In questi casi troviamo sempre donne disposte
ad annullare la propria identità,
a smettere di truccarsi, a cambiare look e abitudini di vita pur
di compiacere il partner. Alla
prevaricazione dell’uomo si accompagna sempre un atteggiamento remissivo della donna,
che non pone freni alla sfera di
invadenza del compagno accettando incondizionatamente tutte le imposizioni. Arrivando a
subire una catena di umiliazioni, pur di mantenere in vita quella che si ostina a considerare una
storia d’amore. Rafforzare la personalità e l’autostima delle donne aiuterebbe ad evitare il peggio. Bisognerebbe far capire loro che uomini così vanno lasciati e non assecondati». Il tabù è
infranto: le dinamiche all’interno della coppia sono più complesse di quelle riportate nelle
cronache dei giornali e non vanno taciute se si vuole porre fine
a questi drammi. Ancora una
volta: nessuno cerca in alcun
femminicidio_Layout 1 18/09/13 15:49 Pagina 51
modo di giustificare il comportamento
del carnefice, né tanto meno di colpevolizzare la vittima. Si tenta, piuttosto,
di capire perché una donna arriva a confondere il desiderio di possesso del partner con il grande amore.
«Solitamente questi rapporti, caratterizzati dalla violenza maschile, attraversano
tutti le stesse fasi», spiega Marina Catucci che grazie al suo blog, a Twitter e
a Facebook, ha potuto raccogliere moltissime testimonianze di donne vittime
di violenze. «L’offender si comporta per
lo più nello stesso modo: c’è una prima
fase in cui il nuovo partner si presenta come l’uomo ideale, un meraviglioso principe azzurro sul cavallo bianco. Tutto il resto avviene molto, troppo in fretta, too
fast too soon. Ci si ritrova all’improvviso
in un nido d’amore, spesso isolato, lontano dalla città, in campagna o al mare
senza poter avere altre relazioni al di fuori della coppia. Segue a questo punto la
fase della depersonalizzazione. La principessa è talmente bella che non ha bisogno di truccarsi né di vestirsi in modo
originale. Tanto più che deve piacere solo al suo principe. In questo modo viene
minata l’autostima della partner. Il rapporto può degenerare infine in violenza
fisica, ma anche economica e verbale».
Nel peggiore dei casi si conclude con un
omicidio. Secondo una recente indagine
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 38% dei femminicidi nel mondo
è commesso dal partner. Una cifra con-
fermata anche da un dossier dell’autorevole rivista scientifica Lancet, che ha monitorato il fenomeno in 66 Paesi e messo a confronto i dati degli omicidi con vittime femminili e maschili. Ebbene, per
quanto riguarda le donne uccise, nel 38%
dei casi l’assassino è il partner, mentre
quando le vittime sono uomini solo nel
6,3% dei casi l’omicida è la compagna.
«Dobbiamo ripetere che la coltellata non
arriva mai all’improvviso, ma è il culmine
di una serie di episodi indicativi della degenerazione del rapporto. Una donna
con una solida autostima può accorgersi presto dell’anomalia e cogliere i segnali di allarme prima che sia troppo tardi.
Purtroppo siamo ancora vittime di una cultura, alimentata anche dalle campagne
pubblicitarie, che considera la donna al
servizio dell’uomo, responsabile di tutto
ciò che accade intorno a lei, persino dei
problemi sessuali del partner. È un modello che si tramanda di madre in figlia
a cui si può porre rimedio, e so di essere impopolare dicendolo, non solo proteggendo le donne dagli uomini, ma anche da loro stesse», dice Luana De Vita.
In attesa di una rete di aiuti più solida,
concludiamo con l’invito che Luana De Vita rivolge a tutte le donne coinvolte in un
rapporto a rischio: «Rifiutativi di fare l’ultima uscita insieme, l’ultimo giro in macchina, l’ultimo addio. E, nel caso in cui accettaste la proposta, scegliete per l’appuntamento luoghi ben frequentati». Piccole, ma fondamentali accortezze.
» SEGUE DA PAG. 21 sogni, opinioni alla donna con cui ha una relazione, se questi
non concordano con i suoi; vuole avere
il controllo della relazione, quindi anche
i cambi di umore sono uno strumento
per mantenere una posizione di potere.
Un abusante, quanta consapevolezza ha delle proprie azioni?
La consapevolezza delle proprie azioni varia da abuser ad abuser, e spesso anche
da incidente ad incidente. In ogni caso, anche se non è consapevole, non vuol dire
che il suo comportamento è accidentale;
è importante che questi concetti non vengano confusi. Egli può non sapere esattamente perché fa le scelte che fa, ma
prende comunque delle decisioni intenzionali (l’ho verificato in oltre 2.000 casi).
Spesso un abuser continua a comportarsi nello stesso modo anche quando gli
viene mostrato di cosa si tratta, quindi
l’aspetto consapevolezza/non consapevolezza non è poi così fondamentale.
C’è la possibilità che un uomo violento cambi il proprio atteggiamento nei confronti della compagna?
L’unico modo in cui può modificare il suo
comportamento è accettando di essere
responsabile al 100% delle proprie azioni, e smettendo di incolpare la propria
compagna. Il cambiamento, purtroppo,
non è comune, perché l’uomo continua
a darsi le stesse giustificazioni, le stesse scuse, si dice che è la donna a spingerlo a comportarsi così.
Come possono, amici o altri parenti, aiutare una donna che subisce
violenza domestica?
La parte fondamentale è credere a quello che la donna ci dice. Non ditele che
il suo uomo è “troppo gentile” (implicando che i suoi racconti sono esagerati). Non ditele che “deve aver fatto
qualcosa per farlo arrabbiare”; lui è l’unico responsabile per le proprie azioni, la
rabbia non è un deterrente.
Datele il tempo di decidere cosa vuole fare, non fatele pressioni né in un senso né
nell’altro. Siatele vicini, supportate le sue
decisioni. Trattatela con rispetto, è proprio quello che le è mancato dal compagno. Datele un posto dove stare e, se ne
ha bisogno, anche soldi. Mettetela in
condizione di capire qual è la scelta migliore per i suoi figli. Accettate che, per
quanto le cose possano sembrare facili
per voi, per una donna vittima di violenze domestiche nessuna scelta è facile
(ancora di più se ha dei figli).
OTTOBRE 2013
51
Scarica

Leggi “Io mi salverò”