Prima di varcare la soglia di quest’ quest’Opera, per verificare la straordinaria capacità capacità di operare a favore delle “ultime tra gli ultimi” ultimi”, cerchiamo di capire le ragioni per cui quest’ quest’uomo fa sua la risposta di Gesù Gesù al giovane ricco: « Se vuoi essere perfetto, va’ va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo: poi vieni e seguimi ». Due lettere al fratello Alessandro ci illuminano sulla sua travolgente travolgente operatività con cui Faà di Bruno sviluppò tutto il suo apostolato laico, e poi di sacerdote. sacerdote. “…L’istruzione personale è uno scopo ben meschino, se non è reso grande dall’idea di essere utile alla società.” Parigi, 8 maggio 1850 “…L’istruirmi e l’essere utile altrui sono i cardini della porta della mia felicità. Non sono infatti la sapienza e la bontà le due più belle prerogative di quell’Ente di cui noi siamo l’immagine?” Ventimiglia, Ventimiglia, 23 agosto 1852 C’è una costante nella vita del Faà che traspare da questi due stralci stralci di lettere, e che ritorna nelle fasi del suo procedere, dalla gioventù alla maturità. Dall’istruzione, Dall’istruzione, al fare esperienze di vita, nello studio, nella ricerca, nelle invenzioni nelle opere, nella preghiera, in tutti i suoi interessi: sono azioni mai fine a se stesse o per il proprio tornaconto, ma sempre per gli altri. È un agire per donare. donare. Una riflessione sulla mentalità religiosa di Francesco Faà di Bruno Bruno deve certamente tener conto di un dato di fatto che, a parte tutti gli influssi ambientali e culturali, esprime un modo di essere e di operare del personaggio: la religione per lui non è mai stata stata né una semplice proposta filosofica né un semplice supporto delle istituzioni. Per lui la religione è l’esperienza della felicità, ossia del bene, ed è l’unico rimedio veramente efficace efficace ai mali. La sua condotta di cristiano fa emergere non delle opinioni o dei dei giudizi, ma l’incisività e la novità della sua vita spesa per comunicare anche al prossimo la felicità della salvezza. Varchiamo ora la soglia di questa casa in Borgo S. Donato che gli permetteva finalmente di realizzare ciò che spesso era praticato nelle grandi città europee: una casa, sempre aperta ed ospitale, per donne che si fossero trovate nell’immediata necessità di rifugio o nel bisogno d’essere aiutate a trovare lavoro. Il cav. Faà di Bruno si getta subito nell’organizzazione dell’Istituto, lo fa con un opuscolo che è praticamente il programma per il miglioramento morale e sociale delle sue prime assistite: le serve! serve! 1° maggior senso di responsabilità dei padroni nei doveri verso le dipendenti, sia per quel che riguarda l’aspetto economico e materiale come anche per la cura morale; 2° « offrire asilo alle figlie che sarebbero altrimenti in pericolo » cioè cioè « una casa …per un rifugio sicuro, …un valido aiuto a procurarsi un pane onorato »; 3° offrire alle lavoratrici della casa la possibilità possibilità concreta di trascorrere un’ ’ onorata e pacifica vecchiaia. un … Da qui la proposta d’ d’un associazione mutualistica tra le persone di servizio, aiutate magari dai padroni, per creare un pensionato dove dove la donna di servizio abbia diritto di ritirarsi e vivere con dignità dignità. Per offrire gratuitamente ospitalità alle ricoverate bisognava pensare pensare a una qualche attività che potesse essere esercitata da esse stesse. stesse. Anche in questo caso apparve evidente l’oculatezza del Faà nella scelta del luogo: la proprietà, infatti confinava con il canale del Valentino, Valentino, che avrebbe permesso lo sviluppo di qualche attività industriale. Egli pensava al lavoro della lavanderia e di fatto con il suo spirito spirito di osservazione e la sua genialità, impiantò all’interno dell’opera una « Lavanderia modello ». Oltre a tener occupate le ospiti, Francesco provvedeva al loro sostentamento: sostentamento: gli furono affidati lavori di bucato e stireria dal Municipio, dall’Accademia dall’Accademia Militare e dalle FF.SS. « Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia », n. 62, 13 marzo 1865 « Questo egregio cittadino [Faà di Bruno], quanto dotto altrettanto religioso e filantropo, si rende benemerito per aver fondato in questo borgo l’encomiata opera pia e la grande lavanderia normale destinata a rendere segnalati servigi ai cittadini di Torino. Abbiamo visitato questo vasto edifizio… Esso è illuminato a gaz ed è provveduto dei mezzi riconosciuti meglio atti a lavare, asciugare e soppressare prontamente i panni d’ogni maniera. […] In una camera appositamente riscaldata con caloriferi si possono asciugare prontamente i panni e le tele che mercé un ingegnoso meccanismo, ideato dallo stesso proprietario fondatore, vengono prontamente e facilmente soppressate. […] Sessanta donne sono ivi giornalmente impiegate a preparare il bucato senza essere esposte alle intemperie ed ai gravi inconvenienti delle nostre lavandaie ». Miscellanea pag. 456 Meccanismo per facilmente soppressare Museo Francesco Faà di Bruno Un’altra fonte di reddito subito introdotta all’apertura dell’Opera fu il Pensionato San Giuseppe per signore di “civil condizione”. Due gli scopi: supplire all’insufficienza di pensionati femminili in Torino e, soprattutto, avere un’entrata fissa per L’Opera, ad imitazione di quanto si praticava a Parigi nell’Oeuvre des Servantes. Le Ospiti, a differenza di tutte le altre classi dell’istituto, dovevano pagare un’effettiva pensione. Locandina pubblicitaria Archivio Francesco Faà di Bruno Da subito si rese conto della necessità d’avere in casa stabilmente stabilmente un buon numero di persone che garantissero l’esecuzione delle commesse di di lavoro, soprattutto il bucato, ma anche la cura dell’orto, della stalla, della raccolta del fieno ecc., cosa che non potevano assicurare le serve ospitate solo solo temporaneamente. Organizza così l’Opera in classi a seconda delle necessità, ad imitazione imitazione di quanto aveva fatto G.B. Cottolengo nella Piccola Casa della Divina Provvidenza. Faà di Bruno oltre alla vita spirituale dava notevole importanza pure alla preparazione professionale. Afferma il primo biografo che il dinamicissimo cavaliere « cercava di svegliare l’operosità delle sue ricoverate ed insegnar loro i lavori più essenziali della vita domestica ». « Moralizzate » e professionalizzate, l’Opera di S. Zita pensava a collocarle presso un nuovo datore di lavoro, che doveva impegnarsi con contratto a rispettare i diritti delle dipendenti. 1860 Il nome significa « figlie di S. Chiara », alla cui protezione era affidata questa classe. Faà Faà di Bruno la istituì istituì chiedendo ai parroci di indirizzare a S. Zita giovani dai 15 ai 25 anni, di buona salute, anche con difetti fisici rilevanti, purché purché atte ai lavori manuali, in particolar modo a lavare; e tutte quelle « figlie talvolta disperate, povere, in urto alla famiglia », desiderose di venir accolte in qualche istituto. Regolamento Le giovani che fanno parte di questa classe sono dedicate ai lavori manuali della Casa, soprattutto lavare e stendere. Esse sono provviste, dopo qualche tempo di prova, di vestiario e calzatura a spese della casa secondo i bisogni. Per il vasto giardino, l’aria salubre, il vitto sano ed abbondante, le pratiche di pietà quotidiane e festive nella Chiesa interna del Suffragio, è d’assai favorito il progresso igienico e religioso delle giovani. 1864 Questa classe è da far risalire alle pressanti richieste di molte madri che, impossibilitate a badare alla prole, aveva pregato Faà di Bruno di accettare in affidamento le loro figlie per educarle ed insegnar loro un lavoro. Opuscoli di contenuto religioso e morale, pubblicati dal Faà per le donne di servizio Accettando giovinette dai 10 ai 15 anni (in un secondo tempo ne accolse anche a 7 anni) e tenendole fino ai 18, faceva insegnar loro ogni specie di cucito, di maglia, di ricamo, ed in genere tutti i lavori di casa, così da formare qualificate operaie, cameriere o perfette donne di casa. 1865 Essa era destinata alle lavoratrici in genere, donne di servizio od operaie, che avessero un’età compresa tra i 15 ed i 35 anni. L’infermeriaL’infermeria-convalescenziario rispondeva ad obbiettive necessità materiali, insoddisfatte per la mancanza di strutture sanitariosanitario-assistenziali. Dopo un non precisato numero d’anni, Faà di Bruno cedette il suo convalescenziario convalescenziario alla Casa degli Angeli Custodi, divenuta poi Opera Pia Lotteri. Lotteri. 1868 Il 23 febbraio 1868 Faà di Bruno rilevava dal fondatore, sac. sac. G. Bonini, Bonini, il morente istituto magistrale femminile della SS. Annunziata. Al termine di quell’anno scolastico il cavaliere trasferì la sede sede della scuola presso l’Opera di S. Zita, dove costituì la classe allieve maestre ed istitutrici. istitutrici. Approvata dall’autorità civile ed ecclesiastica la scuola magistrale del Faà Faà di Bruno, preso il nome di Pio Istituto di S. Teresa, con convitto e allieve esterne, cominciò dal 1870 uno sviluppo graduale e costante. Faà di Bruno ebbe una cura particolarissima particolarissima per questa classe: seguiva personalmente le allieve, riservandosi parecchie parecchie materie d’insegnamento. Mentre con l’Opera di S. Zita mirava a preservare dal male i ceti femminili più poveri, prevedendone la caduta mediante l’eliminazione delle cause abituali di cedimento, con la Casa di Preservazione per ragazze-madri Faà di Bruno si propose la riabilitazione religiosa, morale ed umana delle giovani cadute. Per una donna sola, in attesa d’un figlio, nella società dell’epoca, la situazione era drammatica: l’immediata perdita di lavoro, la cacciata di casa ed il generale disprezzo trascinavano la malcapitata a concludere spesso la triste vicenda in modo tragico con l’infanticidio, il suicidio, la prostituzione, il carcere. A conoscenza diretta della disperata situazione delle ragazzemadri, Faà di Bruno maturò, lentamente, la decisione di aprire per loro un istituto, complemento necessario delle altre sue opere, volte alla promozione religiosa e sociale dei ceti femminili poveri. 1877 All’inizio del 1875, quando il Faà non era ancora sacerdote, comunicava ai vescovi subalpini « la proposta di aprire un ospizio per ritirare le cadute ad evitare scandali, e procurare l’emendazione efficacemente », chiedeva loro che s’impegnassero a sostenerlo economicamente nell’iniziativa, … La realizzazione dell’Opera iniziò nel mese di luglio 1877, quando egli prese in affitto un appartamento in Via della Consolata, al quarto piano d’uno stabile, là accogliendo le prime ospiti, capitate a S. Zita alla ricerca d’aiuto o inviate dai parroci cui era stato notificato dai vescovi l’apertura della nuova opera. Le giovani vennero affidate alle cure d’una signorina che aveva dato buona prova di sé quale maestra nel Conservatorio del Suffragio, Giustina Carozzo, descritta dal Faà come « piccola di statura, ma di cuore immenso ». Dopo aver superato, non senza profonda sofferenza, l’impatto con il tipo di vita segregata voluto dal fondatore per la Casa, la Carozzo seppe divenire una buona madre per le giovani a lei affidate, rimanendo nell’Opera fino alla morte, avvenuta nel 1892. La Casa venne affidata alle Suore del Suffragio dal Berteu, che poi verso il 1900, chiuse. L’Osservatore Romano» citava: « noi crediamo, dopo la Francia che ci ha preceduto, sia la prima Casa che siansi eretta in Italia a vantaggio di una classe particolare di anime » I teorici e gli operatori cattolico-sociali del tempo, attribuivano l’origine dei mali sociali all’abbandono della religione o della morale cattolica. L’azione di Francesco Faà di Bruno, nella sua multiforme Opera di S. Zita, fu fondamentalmente ispirata da questa idea, vissuta in maniera autentica: le sue iniziative socio-assistenziali ed educative miravano sempre a salvaguardare la vita religiosa e morale o ristabilire i principi cattolici là ove erano venuti meno, cosa attuata nei confronti delle migliaia di persone accolte nell’Opera, attraverso le quali fu a lui possibile esercitare altresì una sicura influenza cristiana su un gran numero di famiglie torinesi. Faà di Bruno ci appare precorritore, per il Piemonte e per l’Italia, dell’associazionismo cattolico e dell’organizzazione dell’assistenza sociale. Sulla «Rivista Universale» un articolo del piacentino G. Tononi diceva: “Come Faà di Bruno, dando vita alla sua Opera, s’era ispirato nel 1859 ai modelli di Londra, Parigi e Digione, così vi fu in Italia chi prese a modello l’Opera del Faà, in specie dopo che il congresso cattolico di Melines del 1863, trattando dell’economia cristiana, aveva espresso il voto che si fondassero ovunque rifugi temporanei per le persone di servizio inurbate e disoccupate”. Ancor oggi nel Borgo San Donato quel Campanile è un segno singolarissimo che coniuga in maniera armonica il legame tra Scienza e Fede di un Uomo che per gli altri donò tutto se stesso. Ma Francesco Faà di Bruno, dicevamo all’inizio era pure Scienziato, Architetto, Musicista e Matematico, e proprio questa sua versatilità gli fu di grande aiuto per la realizzazione delle sue molteplici opere, tra cui la Chiesa del Suffragio e l’ardito Campanile.