28 MARZO 2009 BERGAMO CITTA APERTA DIRITTI E… CITTADINANZA _________________________________________________________________________ MANIFESTAZIONE DELLA SOCIETA’ CIVILE _________________________________________________________________________ Aderiscono all’iniziativa: ACLI - ALTERNATIVA INSIEME (S. Paolo d’Argon) - ANOLF - ARCI BERGAMO - ARCI SOLIDARIETA’ - AS.SOCI.AZIONI - ASS. A.M.I. (Ass. Marocco Integrazione di Bolgare) - ASS. ARCOBALENO - ASS. ASCHOROUH (Donne Marocchine) - ASS. DACIA (Italo- Rumena) ASS. DONNE INTERNAZIONALI - ASS. DUeCI - ASS. GALAPAGOS (Ecuador) - ASS. IL PORTO (Dalmine) - ASS. MADRE TIERRA - ASS. MAMME DEL MONDO (Albino) - ASS. NAZIONALE BURKINA FASO - ASS. NAZIONALE CHIAMA L’AFRICA ONLUS - ASS. NAZIONALE ITALO ALBANESE - ASS. TAIBA (Ass. Senegalese) - ASS. TARKEENWATAN (Pakistan) - ASS. TOUKBAL (Ass. Marocco) - ASS. TUTTI DIVERSI TUTTI UGUALI (Seriate) - ASS. YORUBA NIGERIA - ASSISBOL - ASSOB (Ass. Senegalesi Bergamaschi) - ASSOBRASIL – CASA AMICA - CELIM BERGAMO - CENTRO CULTURALE ISLAMICO - CENTRO DELLE CULTURE DI BERGAMO - CGIL- CIRCOLO PD “L’ANNO CHE VERRA’” - CISL - COMITATATO ANTIRAZZISTA 4 OTTOBRE - COMUNITÀ IMMIGRATI RUAH ONLUS – COORDINAMENTO IMMIGRATI - CSA PACI PACIANA - C.U.B. IMMIGRAZIONE – EDO UNION NIGERIA - FA.DE.R.MI. (Federaz. delle Ass. della Regione Matam In Italia) – GIOVANI DEMOCRATICI - GRUPPO ITALIA DEI VALORI DI BG - IL MONDO NELL’ISOLA - ISCOS ONG - LIBERA BG MISSIONE “SANTA ROSA DA LIMA” – NUOVO ALBERGO POPOLARE - OIKOS – ON. SAVINO PEZZOTTA (Parlamentare dell’Unione di Centro) – PARTITO DEMOCRATICO - PARTITO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA – PARTITO SOCIALISTA - RETE BASSA (Treviglio) ROSA PER L’ITALIA DI BERGAMO - SEGRETARIATO MIGRANTI – SERVIZIO ESODO - SINISTRA DEMOCRATICA - TAVOLA DELLA PACE di BERGAMO - U.I.L. IMMIGRATI - UNITA POPOLARE VALLE BREMBANA - VERDI 1 DOCUMENTO DELLA SOCIETA’ CIVILE PARTE I – MIGRAZIONI, PRECARIETA’ E CRISI ECONOMICA Il pacchetto sicurezza è stato presentato dal Governo e dalla quasi totalità dei media come soluzione all’insicurezza percepita dalla popolazione italiana. Inoltre, al contesto dell’attuale crisi economica si aggiunge un tipo di insicurezza, quella sociale, ben diverso da quello propagandato da televisioni e giornali e le cui ricadute drammatiche sono destinate a coinvolgere una fetta davvero preoccupante della popolazione: soprattutto i precari e le precarie, i migranti e le persone anziane con un reddito da pensione. La crisi economica nei prossimi mesi avrà ancora forti ricadute sul tasso di disoccupazione. Nel 2008 il tasso di disoccupazione è salito al 6,7% (era al 6,1% nel 2007), interrompendo la diminuzione progressiva del numero dei disoccupati che proseguiva dal 1999 (seppure questo calo fosse imputabile all’accresciuta flessibilità del mercato occupazionale e non corrispondesse perciò, in molti casi, a una reale stabilità economica). Nella media del 2008 le persone in cerca di un impiego sono cresciute del 12,3% (186mila unità). Secondo i dati dell'Istat l'aumento del livello di disoccupazione maschile (aumentato di 98mila unità) risente in misura determinante dell'accrescimento del numero di quanti hanno perso il lavoro (aumentato di 73mila unità). L'allargamento dell'area della disoccupazione femminile (88mila nuove unità) è dovuto invece soprattutto alla crescita delle ex-inattive (55mila unità), in particolare nel Mezzogiorno. Il tasso di disoccupazione è salito anche tra i migranti, passando dall'8,3% del 2007 all'8,5%. Va sottolineato che i primi a subire questa flessione e le ricadute della frenata produttiva sono in larga maggioranza migranti e giovani, relegati a condizioni occupazionali precarie e intermittenti e, per questo, drammaticamente vincolati alle oscillazioni del mercato per quanto riguarda il reddito e il soddisfacimento dei bisogni primari. Anche i lavoratori autonomi di origine non italiana con la crisi economica vivono una situazione di estrema incertezza. La recessione frena la produttività e minaccia la continuità del progetto di sostentamento e del percorso di vita di questa tipologia di lavoro (anche per costoro la permanenza “autorizzata” in Italia è vincolata al rinnovo del permesso di soggiorno, a sua volta legato alla stabilità professionale). La titolarità di un’attività in proprio impone rapporti periodici con gli istituti bancari (attraverso cui passano le operazioni necessarie al perseguimento dell’attività stessa). In attesa di rinnovo del permesso di soggiorno, disponendo della sola ricevuta rilasciata dagli organi preposti, non è possibile adempiere a pratiche e operazioni bancarie necessarie all’esercizio della propria attività autonoma. Si tenga presente a questo proposito che il permesso di soggiorno regolare e una continuità occupazionale e di reddito minacciati dalla crisi economica presentano evidenti ricadute anche sul nucleo famigliare e sulla stabilità abitativa dello stesso, finendo così per minacciarne l’integrità. Vi è poi la categoria degli “invisibili”, altamente vulnerabili dal punto di vista sociale e occupazionale. La precarietà del soggiorno e l’impossibilità di entrare in Italia per cercare 2 lavoro ha creato un ampio serbatoio di lavoratori e lavoratrici migranti a bassissimo costo, spogliati dei diritti e delle tutele più elementari, al contempo vittime e motore dell'economia sommersa (secondo dati Istat il lavoro nero in Italia riguarda circa 4 milioni di persone, di cui oltre 700mila migranti, con un valore stimato intorno al 20 % del prodotto interno lordo). La condizione di precarietà assoluta degli “irregolari” è diventata, specie nel contesto della crisi economica, una risorsa inumana del mercato “povero” italiano e un ricatto incombente anche per coloro che dispongono di un permesso di soggiorno. La flessibilità occupazionale, infatti, nega ai migranti stabilità nel percorso di vita, minacciando quotidianamente il soddisfacimento stesso dei bisogni primari: senza lavoro non è possibile rinnovare il permesso di soggiorno e la perdita di quest'ultimo può precipitare migliaia di uomini e donne nel ruolo drammatico di “non persone”. Si tratta di uno stato costante di incertezza che i migranti condividono con le giovani generazioni che si affacciano oggi al mondo del lavoro. La precarietà occupazionale diventa precarietà esistenziale, producendo marginalità e finendo per condizionare anche il soddisfacimento di un diritto fondamentale come quello all'abitare (si tenga presenta che secondo alcuni dati sindacali circa 120mila famiglie hanno perso la propria abitazione negli ultimi 5 anni, di cui oltre l’80 % per morosità, mentre nei prossimi 2 anni sono a rischio sfratto ben 150mila altre famiglie). Nel contesto della crisi economica, si affaccia così un nuovo tipo di marginalità “di massa” (quella dei lavoratori interinali, intermittenti, atipici o flessibili), che riguarda una fetta consistente dei migranti giunti in Italia fino ad oggi e oltre ottocentomila italiani e italiane (la quasi totalità di età inferiore ai 35 anni), a cui le scarse risorse e gli insufficienti ammortizzatori del welfare italiano (solo lo 0,5 % del prodotto interno lordo è destinato a questo scopo) non potranno offrire le necessarie tutele. La precarietà esistenziale è un ostacolo al pieno esercizio dei diritti di cittadinanza, tanto per le persone di origine italiana quanto per i migranti. La precarietà è assenza di prospettive, incertezza del reddito, instabilità abitativa, difficoltà a costruire un percorso di vita indipendente e solido. La precarietà opera un livellamento verso il basso della piramide sociale, abbattendo i costi del lavoro, a fronte di una concorrenza disperata, e indebolendo di riflesso tutele e garanzie conquistate dai lavoratori e dalle lavoratrici nel secolo passato (in virtù di una maggiore ricattabilità e vulnerabilità). Gli “invisibili”, sprovvisti del permesso di soggiorno e dei diritti basilari, vivono oggi una sorta di nuova schiavitù (connessa a fenomeni come quello del “caporalato”, del lavoro a cottimo o di quello compensato con la mera sussistenza), minacciata dalla possibilità di precipitare, in assenza di un lavoro pur misero e non tutelato, nella marginalità estrema. La condizione di “irregolarità” diventa poi un implicito ma costante ricatto per coloro che dispongono del permesso di soggiorno, la cui stabilità è subordinata proprio alla titolarità di un lavoro. Questa mobilità migrante tra lavoro sommerso e precarietà si riflette poi anche sulle condizioni lavorative di centinaia di migliaia di italiani e italiane, come già spiegato precari e interinali in primis. Un enorme serbatoio di lavoro temporaneo (in base alle richieste produttive del momento) e a buonissimo mercato, dove migranti e autoctoni condividono le medesime condizioni e incertezze. Il pacchetto sicurezza, peggiorando e precarizzando ulteriormente le condizioni di lavoro e di vita di centinaia di migliaia di migranti, sembra destinato ad aggravare considerevolmente il quadro fin qui delineato, prefigurandosi come laboratorio 3 sperimentale e pericoloso di restrizione o negazione dei diritti di cittadinanza e delle garanzie sociali, in alcuni casi attraverso misure che potrebbero manifestare ricadute dirette anche sulla popolazione di origine italiane. PARTE II – ANALISI DEL DISEGNO DI LEGGE SULLA SICUREZZA (AC 2180) Il disegno di legge dilata i tempi di richiesta di cittadinanza e introduce ulteriori tasse per ogni istanza del suo ottenimento; inoltre ostacola il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno. Si intravede perciò un provvedimento fortemente limitativo all’integrazione del cittadino straniero. L’attuale legge sulla cittadinanza (legge 92/1991) e le modalità della sua attuazione già fanno si che l’Italia sia tra gli ultimi Stati europei in quanto al numero di cittadini stranieri che ottengono la cittadinanza italiana, sia in termini assoluti che percentuali. Nel 2006 l’Italia ha avuto un tasso di naturalizzazioni pari al 1.2% contro il 10% della Svezia ed il 4% di Finlandia, Francia, Lettonia, Paesi Bassi e Regno Unito (Dossier Statistico Caritas 2008). La media in tutti e 27 Stati membri dell’UE è pari al 2.4%. In Italia, quindi, siamo alla metà della media europea. Secondo la nota tecnica al ddl, la previsione dei tecnici del Ministero dell’Interno è che la prevista riforma ridurrà il numero di “nuovi cittadini” in Italia alla metà della cifra attuale. Gli interventi previsti sono: l’aumento del periodo di matrimonio dopo il quale uno straniero può richiedere la cittadinanza dagli attuali 6 mesi a 2 anni (1 anno quando ci sono figli). L’acquisizione della cittadinanza su base di matrimonio con cittadino(a) italiano(a) ha sempre rappresentato in Italia ben più della metà del totale delle naturalizzazioni (84.3% nel 2006). Verrà richiesta una tassa fino a 200 Euro per ogni istanza per l’ottenimento della cittadinanza, nonché l’auto-certificazione del richiedente di essere in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge, con valenza penale in caso di erronea certificazione. Risulta quindi un provvedimento ispirato dalla volontà di non favorire l’aumento della popolazione italiana attraverso l’acquisizione della cittadinanza e di ostacolare il processo di integrazione. Per quanto riguarda il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno, nel ddl sono previsti i seguenti interventi: obbligo di sottoscrivere un “accordo di integrazione” che prevede dei “crediti” che, analogamente alla patente di guida, si perdono non raggiungendo gli obiettivi di integrazione stabiliti nell’accordo, fino all’annullamento del permesso di soggiorno e conseguente espulsione. Il testo attuale fa capire che tale requisito viene stabilito per tutti i tipi di permesso di soggiorno (anche per studio, cure mediche, minore età ecc.). I dettagli saranno definiti in un regolamento di attuazione. Ogni richiesta di rilascio o rinnovo di permesso di soggiorno di qualsiasi tipo è sottoposta al pagamento di una tassa da 80 a 200 Euro a persona. Per il rilascio del permesso di soggiorno CE a lungo termine nel nostro paese si è sottoposti ad un esame di lingua italiana. Nessuno di questi elementi che ostacolano o limitano il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno sono riconducibili ad elementi di sicurezza o di contrasto alla criminalità diffusa o al sentimento di insicurezza collettivo. Rappresentano semplicemente un atto di chiusura verso cittadini stranieri regolarmente presenti e provocheranno presumibilmente un aumento di irregolarità di soggiorno, ovvero il contrario dello scopo dichiarato. 4 Il disegno di legge limita gravemente i diritti della famiglia, negando il diritto di contrarre matrimonio, con effetti civili, per le persone sprovviste del permesso di soggiorno, nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo disponga che “uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia” (art.16). Si tratta di un diritto fondamentale della persona, inalienabile anche per coloro che sono in posizione amministrativa irregolare. D’altra parte la possibilità di vivere legalmente in famiglia (talvolta usufruendo per sé e per i figli della posizione di regolarità amministrativa mutuata dal coniuge) assicura non solo serenità e stabilità a uomini, donne e minori, ma evita loro percorsi di marginalità, garantendo realmente la tanto declamata “sicurezza”. Inoltre il ddl restringe ulteriormente la possibilità di ricongiungersi con il proprio coniuge, con i figli minori e con genitori anziani. Già ora i tempi burocratici ostacolano fortemente la realizzazione del ricongiungimento familiare e quindi la fruizione di un diritto costituzionale. Con l’allungamento dei tempi a sei mesi, dagli attuali tre, soltanto per il primo passaggio della faticosa procedura è prevedibile che il numero di ricongiungimenti scenderà ulteriormente. La riforma interviene anche in modo restrittivo sul requisito dell’alloggio quale condizione per il ricongiungimento familiare (per immigrati e persone con protezione sussidiaria): la norma attuale prevede che l’alloggio “rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per l’edilizia pubblica” – requisito non considerato sufficiente dagli autori dell’emendamento e sostituito da “alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa accertati dalle competenti autorità comunali”. Il disegno di legge introduce il reato di ingresso e permanenza illegale sul territorio dello Stato. Si tratta del cosiddetto “reato di clandestinità” che, se confermato, costringerebbe lo Stato a celebrare, con inutile spesa, decine di migliaia di processi che, in caso di condanna, comporterebbero onerose pene pecuniarie di fatto inesigibili a carico di persone indigenti, o comunque non abbienti. Persone, vale la pena ricordarlo, portate nel nostro paese da necessità gravi, non di rado anche a rischio della loro stessa vita. Già l’esperienza di altri paesi europei ha dimostrato che l’adozione di legislazioni penalizzanti nei riguardi delle migrazioni non solo non aiuta a contrastare e governare il fenomeno della cosiddetta “irregolarità” ma rende addirittura più inefficace la risposta dello Stato, colpendo le vittime anziché i loro approfittatori aumentando condizioni di schiavitù, semischiavitù e aumentando i profitti del traffico di persone irregolari. La norma proposta, si ribadisce, non si riferisce solamente ai cittadini stranieri che entrano irregolarmente in Italia, ma anche a chi è già presente nel Paese ed è privo di un valido permesso di soggiorno, ovvero – secondo una recente stima – circa un milione di persone. Appare ovvio che la norma non potrà essere attuata se non in modo arbitrario e brutale. In sostanza si tratta di un provvedimento-slogan, atto a ribadire insicurezza, a criminalizzare la presenza degli stranieri e ad assorbire le attività di molti giudici e dell’amministrazione della Pubblica Sicurezza, che già attualmente non è in grado di rinnovare i permessi di soggiorno in tempi ragionevoli. Inoltre è previsto che la non esibizione di un documento di identità e di un titolo di soggiorno dietro richiesta di un agente di Pubblica Sicurezza venga punita con l’arresto fino a un anno e con un ammenda fino a 2 mila Euro. Non solo si tratta del raddoppio della pena, ma diversamente dalla situazione attuale viene fatto l’obbligo di esibire un documento di identificazione e (non o), inoltre il permesso di soggiorno. Ovviamente, chi non possiede il permesso di soggiorno non può esibirlo e quindi l’irregolarità di soggiorno viene di fatto punita con l’arresto. 5 Non è in questione il diritto e il dovere dello Stato di regolare le migrazioni (necessario anche per agevolare la reale integrazione e prevenire fenomeni drammatici di marginalità sociale), ma altresì va messa in discussione con forza l’equazione ingiusta e strumentale tra “migrazione” e “criminalità”. Il disegno di legge prevede che la detenzione nei centri di identificazione per l’espulsione potrà giungere sino a diciotto mesi, come già disposto nel Decreto Legge n. 11 /2009 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori). L’esperienza stessa di ormai un decennio di attuazione delle leggi sulle migrazioni mostra come le verifiche necessarie circa la posizione amministrativa di un migrante si esauriscano mediamente in un tempo molto inferiore. Inoltre, coloro che possono esservi ospitati sono solamente una fetta irrisoria di tutta la popolazione migrante sprovvista di un permesso di soggiorno. La detenzione amministrativa nei CIE e l’esistenza stessa di queste strutture appare perciò improntata esclusivamente ad una funzione vessatoria e crudele, nemmeno giustificabile da un punto di vista pratico. Tanto più che appare incivile e profondamente ingiusto il fatto stesso che un essere umano venga imprigionato in virtù della propria posizione amministrativa e anagrafica e, in sostanza, in relazione al paese di provenienza. I CIE violano i diritti individuali e i principi umanitari costringendo migliaia di uomini e donne a vivere in condizioni spesso disumane e soggetti all’arbitrio del personale delle strutture, con scarsissime possibilità di vigilanza dall’esterno. I CIE rappresentano una soluzione inutile e una minaccia costante per centinaia di migliaia di persone. Il disegno di legge prevede (sia per i residenti italiani che per quelli migranti regolarmente soggiornanti) il divieto di iscrizione anagrafica in mancanza della disponibilità di un alloggio dotato di idonea certificazione dei requisiti “igienico-sanitari”, relegando le persone senza fissa dimora in uno speciale registro presso il Ministero dell’Interno. A causa della scadente qualità media delle abitazioni italiane, in particolare per quanto riguarda le fasce sociali più vulnerabili alla povertà e alla precarietà (specie nei comuni o nei centri storici, nelle zone rurali e nei quartieri popolari antecedenti ai piani regolatori), questa norma condurrebbe al blocco “di massa” delle iscrizioni o variazioni anagrafiche, lasciando senza residenza un’ampia porzione della popolazione. Ciò andrebbe a minare il sostegno pubblico alle famiglie in difficoltà, il controllo sulla scolarizzazione dei minori, la programmazione dei servizi, la notifica degli atti legali e molte altre funzioni civili, rendendo improvvisamente non rintracciabili e meno tutelate vaste fasce della popolazione, incluse le persone senza fissa dimora (schedate in un archivio non comunale e privo di oggettive connessioni con le necessarie funzioni di servizio sociale). Va osservato che attraverso questa norma, la cui oggettiva impossibile applicazione costante ne alimenta l’evidente discrezionalità, in assenza dei necessari requisiti di idoneità, è possibile negare ai cittadini e alle cittadine italiani l’accesso ai diritti stessi di cittadinanza, incluso il diritto di voto. Una negazione discrezionale degli imprescindibili diritti civili, sociali e politici senza precedenti, che potrebbe relegare persone appartenenti alle cosiddette “fasce deboli” della popolazione in una posizione di “invisibilità” e non rappresentatività politica (si pensi alle ricadute sulle famiglie e le persone costrette ad occupare il proprio appartamento per indigenza economica o emergenza abitativa). Il disegno di legge prevede l’onere di esibizione del titolo di soggiorno per la presentazione di istanze o l’ottenimento di autorizzazioni o atti riguardanti lo stato civile delle persone; 6 nonché per l’accesso ai servizi pubblici e ai servizi sanitari. Questa norma renderebbe inaccessibili ai migranti senza permesso di soggiorno servizi pubblici anche essenziali, mettendone in alcuni casi a rischio la sicurezza della vita e della salute, senza alcun giovamento ed anzi con maggiore danno per la pubblica sicurezza. Verrebbe inoltre pregiudicato il compimento di atti di stato civile fondamentali, primi fra tutti la richiesta delle pubblicazioni per il matrimonio e la stessa formazione degli atti di nascita, con grave pregiudizio per la certezza dei rapporti familiari e di stato civile e per l’esercizio dei diritti e dei doveri nascenti dalla relazione di coppia e dal legame di procreazione. Una delle ricadute più gravi sulla vita dei migranti corrisponde perciò all’impossibilità di registrare all'anagrafe la nascita di un figlio o di una figlia. Ogni bambino o bambina potrebbe rimanere così privo d’identità, apolide e senza nome, cioè “non persona” dalla nascita; una condizione “kafkiana” pregiudiziale nell’accesso alla burocrazia, all'istruzione e soprattutto all'assistenza sanitaria. Una condizione di invisibilità che, oltre a ledere l’accesso a servizi elementari dei cittadini e delle cittadine, potrebbe precipitare la persona, a partire dall’inizio del proprio percorso di vita, nel ruolo di vulnerabilità sociale, marginalità ed estrema precarietà che già oggi vivono migliaia di “irregolari”. I nascituri, essendo ostacolato il riconoscimento da parte dei genitori, potrebbero risultare formalmente in stato di abbandono, con evidenti drammatiche e assurde ricadute: ai migranti senza permesso di soggiorno potrebbe essere negato persino il diritto alla maternità e alla paternità e ai loro figli o figlie la cura e l’affetto dei genitori. Alla madre non resterebbe allora che una scelta forzata e inumana: partorire in ospedale con il rischio di perdere il figlio o la figlia, o ricorrere a strutture sanitarie clandestine. Oltre ai gravissimi rischi per la salute, sarebbe così incentivato lo sviluppo di una società “parallela”, invisibile e senza status giuridico e tutele sociali, in uno scenario di nuova schiavitù contemporanea. Un emendamento al disegno di legge introduce l’obbligo di segnalazione alle forze dell’ordine delle persone sprovviste del permesso di soggiorno che si rechino presso strutture sanitarie per richiedere cure mediche o soccorso. Questa proposta limita il fondamentale diritto alle cure mediche essenziali per tutti e tutte, con lesioni inaccettabili alla dignità stessa della persona e contraddicendo tra l’altro l’articolo 32 della Costituzione Italiana secondo cui “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Questa proposta è stata sostenuta da diverse considerazioni demagogiche e strumentali che occorre analizzare al fine di dissipare eventuali ambiguità. Questa norma chiede a medici e operatori sanitari di collaborare con le forze dell’ordine nel perseguimento del reato di clandestinità, nonostante il compito del personale sanitario non sia quello di perseguire i reati, bensì la cura delle persone, a prescindere da chiunque esse siano e per la tutela incondizionata della loro salute. La minaccia riposta nella discrezionalità del personale sanitario sul tema della segnalazione rischierebbe di porre gravi pregiudiziali all’accesso dei migranti senza permesso di soggiorno alle cure mediche (essendo a rischio di denuncia), quando la possibilità di fare diagnosi e di curare ogni persona è prassi necessaria ai fini di garantire e preservare la salute pubblica e, in questo ambito, la sicurezza della cittadinanza (migrante e italiana). Inoltre la notifica della malattia infettiva alle autorità sanitarie è già prevista come obbligatoria dalla legge attuale e ai fini della stessa non è per tanto necessaria la segnalazione all’autorità giudiziaria. Il divieto di segnalazione oggi in vigore non pone medici e operatori sanitari in una posizione di favoreggiamento o occultamento di reati. Il personale è infatti obbligato a indirizzare una segnalazione scritta all’Autorità Giudiziaria, qualora si trovi in presenza di persona di origine italiana e non, con o senza permesso di soggiorno, che richieda particolari cure mediche o presenti specifica 7 diagnosi che nutrano il sospetto di coinvolgimento in reato di natura violenta perseguibile d’ufficio (ciò, si badi bene, a prescindere dal fatto che la persona ne sia vittima o autore e comunque ai fini della sicurezza della persona stessa). Il personale medico sanitario, infatti, ha l’obbligo di segnalare casi di sospettata aggressione. Il disegno di legge prevede l’obbligo per le agenzie di money transfer di richiedere il permesso di soggiorno del cliente straniero e di denunciarlo alla Questura, pena il ritiro della licenza. E’ comunemente risaputo che l’invio delle rimesse costituisce per molti, probabilmente per la maggioranza degli immigrati, una delle principali cause dell’emigrazione e che le rimesse per molti paesi di origine di immigrati costituiscono un importantissimo fattore economico e sociale. Le restrizioni al money transfer non indurranno certamente gli immigrati irregolari al ritorno in patria, bensì provocheranno una serie di meccanismi irregolari e non controllabili con il rischio di attività fraudolente e di sfruttamento della situazione di debolezza degli immigrati. La misura, quindi, aumenterà l’irregolarità e presumibilmente anche le attività criminose. L’abolizione del divieto di segnalazione e l’introduzione del reato di clandestinità perseguibile d’ufficio comporta l’obbligo per pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio ( dai medici agli insegnanti dai farmacisti agli infermieri, dai vigili all’impiegato comunale) l’obbligo della denuncia e se non lo fanno commettono loro stessi un reato. Si verrebbe a creare un clima di vera tensione e paura e i primi a farne le spese saranno i minori che difficilmente frequenteranno la scuola, verranno vaccinati, frequenteranno con i genitori luoghi pubblici. 8 PARTE 3 – LE NOSTRE RICHIESTE Al Prefetto di Bergamo, in considerazione delle specifiche facoltà istituzionali di cui ha titolarità (e quale rappresentante territoriale dell’Autorità governativa), si richiede la presa a carico delle seguenti richieste. - Disposizione immediata di prolungamento del permesso di soggiorno a 2 anni per lavoratori e lavoratrici atipici, e non, e per attesa di occupazione, in considerazione dell’attuale crisi economica. - Nell’esprimere la ferma contrarietà allo strumento delle ronde cittadine, quale pratica contraria alle regole della convivenza civile, si richiede un intervento a livello provinciale al fine di impedire che persone non qualificate allo scopo o animate da motivazioni strumentali di matrice intollerante (specie se di riconducibili alla destra radicale) operino sul territorio saltuariamente o in maniera continuativa, con evidenti rischi per l’ordine pubblico e la sicurezza stessa della cittadinanza tutta (in particolare quella di origine non italiana, verso la quale si osserva un accrescimento delle tensioni razziste anche di tipo violento). - Cessazione della collaborazione, per altro non funzionale, con la società Poste Italiane per la raccolta delle pratiche necessarie al rinnovo del permesso di soggiorno, inutile esborso economico da parte dei migranti per accedere ad un servizio che dovrebbe essere gratuito o ridotto ai costi di gestione. Si segnala come il sistema informatico operi automaticamente la prenotazione di appuntamenti in date errate, avanti nel tempo anche di 12 mesi o in giorni festivi. L’accordo con Poste Italiane prevede inoltre il pagamento di euro 30 relativamente ai costi di spedizione della documentazione necessaria e delle raccomandate per la conferma dell’appuntamento per il rinnovo del permesso che dovrebbe pervenire al richiedente e che, pur regolarmente pagate, vengono sostituite da un sms sul telefono cellulare (per chi ne è dotato). - Decentramento ai Comuni delle pratiche amministrative relative al permesso di soggiorno e attivazione di un tavolo di confronto con la Provincia di Bergamo per valutare le modalità applicative della misura stessa. - Diretta indicazione allo Sportello Unico per l’immigrazione affinché il certificato di idoneità alloggiativa cessi di avere inutile periodica scadenza e cessi di essere un servizio a pagamento, come già avviene in alcuni comuni della Provincia. Si richiede inoltre che il suddetto certificato venga associato all’abitazione e non ad ogni singola persona che vi risiede (costituendo questa procedura una prassi inutilmente costosa e ripetitiva). - In considerazione del fatto che l’obiettivo primo del ricongiungimento familiare sia quello di assicurare stabilità alla nucleo familiare stesso, si richiede la diminuzione dei tempi di rilascio del nulla osta (garantendo il termine massimo in 6 mesi). In caso di errore amministrativo, si richiede inoltre l’assegnazione di priorità (nei termini di una settimana) per la correzione delle pratiche manchevoli, al fine di garantire la puntuale riparazione del danno arrecato al cittadino nell’accesso ad un servizio pubblico che si esige efficiente e garantito. - Si richiede un intervento presso il Ministero degli Esteri affinché il personale diplomatico venga diversamente dislocato nelle diverse ambasciate italiane proporzionalmente alla 9 consistenza dei flussi migratori verso l’Italia, così da garantire una più agevole e rapida risoluzione di ogni pratica amministrativa relativa alla posizione della persona residente in Italia e proviene da altro paese. Chiediamo che il prefetto si faccia garante di questa richiesta coerentemente con la composizione dei flussi migratori presenti sul nostro territorio provinciale, sollecitando le specifiche esigenze delle diverse comunità migranti presenti in bergamasca (a cominciare ovviamente da quelle maggiormente rappresentate). Al Questore di Bergamo, in considerazione delle specifiche facoltà istituzionali di cui ha titolarità (e quale rappresentante territoriale dell’Autorità governativa) e a fronte della gestione lenta, ingolfata e discrezionale delle pratiche relative al rinnovo dei documenti di soggiorno, si sottopongono le seguenti osservazioni. - Nel manifestare contrarietà verso la raccolta delle impronte digitali ai migranti residenti in Italia (misura che si giustifica esclusivamente con l’impropria equazione tra migrante e potenziale criminale), si richiede spiegazione del motivo per cui le impronte stesse vengano rilevate più volte periodicamente, in occasione nel rinnovamento del permesso di soggiorno, e se questa reiterata procedura non costituisca motivo di ulteriori evitabili lungaggini burocratiche. Preso atto della situazione sopra citata si richiede che questa pratica periodica venga interrotta. - Per quanto concerne la richiesta della carta di soggiorno si sottolinea l’inutilità della delegata circa la richiesta dei documento sui carichi pendenti e il casellario giudiziario al richiedente della carta stessa e si sollecita il ripristino della verifica dei documenti sopra citati direttamente da parte della Questura (che ne ha facoltà), come già avveniva in passato. - Si richiede l’adozione della pratica di autocertificazione (in conformità con le disposizioni della Legge Bassanini) in sostituzione dei certificati di residenza e stato di famiglia. - Preso atto che, nel caso di carta di soggiorno per motivi di famiglia, viene abitualmente richiesto copia del modello 730 per verificare l’effettivo carico dei famigliari, si sottolinea come in molti casi la compilazione del suddetto modello non sia obbligatoria e come questa possa essere sostituita dal modello CUD (soprattutto nel caso il ricongiungimento familiare sia avvenuto da breve tempo e nell’anno corrente, facendo riferimento il modello 730 ai redditi e alla posizione fiscale del contribuente nell’anno precedente). Per tanto, si richiede la cessazione di questa richiesta ai sensi di legge non esigibile. - Si sollecita la piena conformità della modulistica richiesta per il rinnovo di permesso di soggiorno a quanto predisposto dal Ministero degli Interni (senza inutili aggiunte di documenti non obbligatori, motivo di inutili lungaggini burocratiche) e la rapida redazione di un opuscolo (reperibile presso la Questura) con l’elenco chiaro e non derogabile verbalmente dei documenti richiesti a seconda del tipo di documento di soggiorno. - Si esige inoltre il rispetto da parte della Questura delle disposizioni di legge relative alla carta di soggiorno per i familiari a carico, anche se residenti sul suolo italiano da un numero di anni inferiore a 5 (si allegano a questo proposito memoria difensiva e relative disposizioni di legge). 10 - La Questura, ultimamente, chiede per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, per motivi di lavoro, il certificato di idoneità alloggiativa. Riteniamo tale richiesta non sia conforme a quanto previsto dal Decreto Legislativo 8 gennaio 2007, n° 3 (attuazione della direttiva 2003/109/CE) relativa allo status di Cittadini dei Paesi Terzi soggiornanti di lungo periodo), pertanto chiediamo al Sig. Questore che il suddetto certificato non venga richiesto perché non previsto. Punti qualificanti del documento da inviare al Ministero dell’Interno affinché vengano ridiscussi in Parlamento e da portare come proposta ai coordinamenti provinciali dei migranti, alle Ass. di immigrati e che si occupano di immigrazione per un’ azione comune a livello nazionale contro il pacchetto sicurezza. Esprimiamo la nostra ferma contrarietà: - al reato di clandestinità. - ai centri di identificazione ed espulsione. - alla soppressione del divieto di segnalazione dei migranti senza permesso da parte del personale sanitario e amministrativo. - all’uso discriminatorio dell’idoneità “igienico – sanitaria” per l’iscrizione anagrafica. - alle ronde. - alle tasse sul permesso di soggiorno e sulla cittadinanza in quanto tassa ulteriore costruita al solo scopo di lucrare sull’accesso dei migranti ad un servizio pubblico necessario. - al permesso a punti. - alla revoca o negazione del permesso di soggiorno in caso di condanna non definitiva (che lede il principio fondamentale della presunzione di innocenza). 11 PARTE 4 - ALLEGATI Allegato 1 Oggetto: Conseguenze dell’art. 45, comma 1, lett. f) del ddl C. 2180 sul diritto del minore a essere registrato alla nascita L’art. 45, comma 1, lett. f) del disegno di legge “Disposizioni in materia di sicurezza”, approvato dal Senato e attualmente all’esame della Camera (C. 2180), introduce l’obbligo per il cittadino straniero di esibire il permesso di soggiorno in sede di richiesta di provvedimenti riguardanti gli atti di stato civile, tra i quali sono inclusi anche gli atti di nascita[1]. L’ufficiale dello stato civile non potrà dunque ricevere la dichiarazione di nascita né di riconoscimento del figlio naturale da parte di genitori stranieri privi di permesso di soggiorno. La norma che impedisce la registrazione della nascita si configura come una misura che oggettivamente scoraggia una protezione del minore e della maternità. Una simile norma appare dunque incostituzionale sotto diversi profili. In primo luogo comporta una palese violazione del dovere per la Repubblica di proteggere la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, comma 2 Cost.) e sfavorisce il dirittodovere costituzionale dei genitori di mantenere i figli (art. 30, comma 1 Cost.). In secondo luogo viola il divieto costituzionale di privare della capacità giuridica e del nome una persona per motivi politici (art. 22 Cost.) ed è noto che la dottrina si riferisce alle privazioni per qualsiasi motivo di interesse politico dello Stato. La norma è altresì incostituzionale per violazione del limite previsto dall'art. 117, comma 1 Cost. che impone alla legge di rispettare gli obblighi internazionali. Essa si pone infatti in palese contrasto con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 che agli articoli 7 e 8 riconosce a ogni minore, senza alcuna discriminazione (dunque indipendentemente dalla nazionalità e dalla regolarità del soggiorno del genitore), il diritto di essere “registrato immediatamente al momento della sua nascita”, il diritto “ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi”, nonché il diritto “a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari”. La disposizione in oggetto violerebbe inoltre l'art. 24, comma 2 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, firmato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, che espressamente prevede che ogni bambino deve essere registrato immediatamente dopo la nascita ed avere un nome. 12 Le conseguenze di tale modifica normativa sui bambini che nascono in Italia da genitori irregolari sarebbero gravissime. I minori che non saranno registrati alla nascita, infatti, resteranno privi di qualsiasi documento e totalmente sconosciuti alle istituzioni: bambini invisibili, senza identità, e dunque esposti a ogni violazione di quei diritti fondamentali che ai sensi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza devono essere riconosciuti a ogni minore. Ad esempio, in mancanza di un documento da cui risulti il rapporto di filiazione, molti di questi bambini non potranno acquisire la cittadinanza dei genitori e diventeranno dunque apolidi di fatto. Per tutta la vita incontreranno ostacoli nel rapportarsi con qualsiasi istituzione, inclusa la scuola. Proprio a causa della loro invisibilità, saranno assai più facilmente vittime di abusi, di sfruttamento e della tratta di esseri umani. In secondo luogo, vi è il forte rischio che i bambini nati in ospedale non vengano consegnati ai genitori privi di permesso di soggiorno, essendo a quest’ultimi impedito il riconoscimento del figlio, e che in tali casi venga aperto un procedimento per la dichiarazione dello stato d’abbandono. Questi bambini, dunque, potranno essere separati dai loro genitori, in violazione del diritto fondamentale di ogni minore a crescere nella propria famiglia (ad eccezione dei casi in cui ciò sia contrario all’interesse del minore), sancito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e dalla legislazione italiana. E’ probabile, infine, che molte donne prive di permesso di soggiorno, temendo che il figlio venga loro tolto, decidano di non partorire in ospedale. Anche in considerazione delle condizioni estremamente precarie in cui vivono molti immigrati irregolari, sono evidenti gli elevatissimi rischi che questo comporterebbe per la salute sia del bambino che della madre, con un conseguente aumento delle morti di parto e delle morti alla nascita. Per evitare queste gravissime violazioni dei diritti dei minori (oltre che dei loro genitori), rivolgiamo un appello ai Parlamentari affinché respingano la disposizione di cui all’art. 45, comma 1, lett. f) del disegno di legge “Disposizioni in materia di sicurezza” (C. 2180). ASGI Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione Sede legale: via Gerdill, 7 10100 Torino Tel. 011.4369158 13 Allegato 2 Da L’Eco di Bergamo di giovedì 26 febbraio 2009. «Istruzione, salute e sicurezza: garanzie per tutti» «Diritti, ora facciamoci sentire» - Appello di Bertha Bayon: con le ultime leggi uguaglianza a rischio Parliamo troppo delle differenze fino a convertirle in minacce da cui difendersi e avere paura, ci stiamo dimenticando di quello che ci unisce e quello che ci unisce è tanto, cominciando da tutti i problemi dell'era globale che sono comuni a lutti noi e non si risolvono isolatamente. Molti dei nostri valori sono comuni universali. C'è la necessità di mobilitare, creare pensiero, dobbiamo reagire innanzitutto come genitori di fronte al futuro dei nostri figli, questa è la sfida dì oggi. Lo Stato Sociale non può fare differenza rispetto le misure di sicurezza, questo da adito a creare cittadini di serie A e cittadini di serie B creando un manicheismo netto. L'istruzione, la tutela della salute, la sicurezza sociale vanno garantiti a tutti. Le leggi devono tutelare tutti i cittadini e garantire la sicurezza adottando delle misure previste dalla Costituzione e sanzionare il delinquente qualunque sia la sua origine. Uno Stato che delega alle ronde questo compito, vuoi dire che è uno Stato che ha fallito, che non è capace di tutelare i suoi cittadini; non bisogna cadere nella trappola che vogliono farci credere che lo straniero è il nemico da cui difendersi. E a proposito di questo il pacchetto della sicurezza crea più insicurezza. Problema etico: il nuovo pacchetto di sicurezza è una violazione ai diritti umani fondamentali di natura etica, il contesto in cui viviamo oggi produce mancanza del senso della socialità che a sua volta produce egoismo, individualismo e non c'è più ombra di relazione e di responsabilità. Mancano la condivisione dei valori, la coesione sociale, il senso di appartenenza, luoghi e spazi dove poterci conoscere, confrontarci e praticare la solidarietà; si è certi che queste misure creano più divisione deviando il problema alle persone più deboli confondendo la gente e creando le premesse per una guerra tra poveri. Le donne che sono più del 50,4% degli stranieri pagheranno di più il peso di queste nuove misure, avranno più difficoltà con i ricongiungimenti con i propri cari, in uno Stato che della sua costituzione prevede quello della tutela della la famiglia come nucleo della società. Vi è la stessa tutela verso la famiglia immigrata? L'invecchiamento della popolazione italiana crea dei bisogni a cui lo Stato non può rispondere, è lì che ci sono le donne immigrate che sostituiscono i figli per la cura dei propri cari; il lavoro cosiddetto delle badanti vuoi dire rinunciare alla vita familiare con tutte le conseguenze che può comportare. Per alcune si rimanda sempre la maternità per la paura di perdere il lavoro: il costo sociale che la famiglia immigrata dovrà pagare è la disgregazione familiare. La tutela alla salute è un diritto per salvaguardare la vita umana e non sarà certo denunciando negli ospedali i clandestini che si ovvierà al problema della irregolarità: le due cose vanno distinte. Per la seconda c'è bisogno di leggi chiare che possano regolarizzare questo fenomeno. La scuola è il luogo privilegiato della socializzazione dove si crea e si forma l'uomo del domani; c'è il rischio che questa nuova legge crei una ghettizzazione che 14 potrebbe ostacolare il processo di integrazione e fomentare maggiore intolleranza. Con questi provvedimenti si distruggono i rapporti che si sono costruiti in questi anni. In uno Stato di democrazia dobbiamo prendere la parola per dire no alla legge xenofoba. In questo momento difficile bisogna procedere con i piedi per terra con grande senso di responsabilità civile, perché anche noi viviamo in questo Paese. Se non si assicurano gli stessi diritti che la costituzione italiana prevede per la famiglia immigrata l'inserimento diventa difficile. Ci tocca prendere i sentieri delle nostre vite come individui, come cittadini, per orientare le nostre famiglie, le nostre comunità, il nostro paese, il nostro mondo verso il rispetto, la giustizia, l'equità e sperando che quando ci interpellano i nostri figli su ciò che abbiamo fatto e ciò che non abbiamo fatto, possiamo rispondere guardandogli negli occhi con sguardo pulito. Bertha Bayon Ponte San Pietro 25/02/09 15 Allegato 3 Ipotesi di ricorso inerente il rilascio della carta di soggiorno per motivi familiari Premesso che: La Questura di Bergamo, Ufficio immigrazione, ha preso l’orientamento di rilasciare la Carta di soggiorno per motivi familiare ponendo come requisito “sine qua non” la permanenza e il possesso di un permesso di soggiorno di almeno 5 anni motivando ciò con l’abrogazione o soppressione del comma 4 dell’art. 30 del D. Lvo 286/98 VISTO CHE : L’art. 9 del D.Lvo 8 gennaio 2007, n 3 (attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo (g.U.n. 24 del 30/01/2007) recita testualmente “lo straniero in possesso , da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità, che dimostra la disponibilità…e nel caso di richiesta relativa ai familiare di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati nell’art. 29, comma 3, lettera B)…può chiedere al Questore il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo per se, e per i familiari di cui all’art. 29, comma 1) La circolare del Ministero dell’Interno del 16 febbraio 2007, PROT n.400/A/2007/463/P/10.2.2 avente come oggetto Decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3”attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo all’art. 1 , paragrafo quarto recita testualmente “rimangono invariati i requisiti relativi: al reddito, all’alloggio, alle possibilità di richiedere il rilascio per se e per i propri familiari di cui all’art. 29, comma 1 del T.U. immigrazione, la durata indeterminata del titolo ed al periodo prescritto per il rilascio del di 90 giorni” Non esiste nessuna circolare che abbia modificato tale modalità di attuazione per il rilascio del permesso di soggiorno CE “ubi lex voluit, lex dixit” non esiste nessuna precisazione scritta per quanto riguarda il possesso dei 5 anni per poter avere il permesso di soggiorno CE CHIEDE CHE In attuazione dell’art. 9 del D.Lvo 286/98, e della circolare n.400/A/2007/463/P/10.2.2, VENGA RILASCIATO non un permesso di soggiorno ordinario, ma un permesso CE per soggiornanti di lungo periodo per motivi di famiglia e se invece avete intenzione di continuare a negare quanto sopra richiesto, chiediamo il rigetto scritto. 16