Firera & Liuzzo Publishing è un marchio di Firera & Liuzzo Group © 2010 - Firera & Liuzzo Group Via Boezio, 6 - 00193 Roma www.fireraliuzzo.com ISBN: 978-88-6538-006-2 Titolo dell’opera originale: ADHD n the schools. Assessment and Interventon Strategies © 2003 The Guilford Press A Division of Guilford Publications, Inc. 72 Spring Street, New York, NY 10012 Traduzione di Margherita Fassari Firera & Liuzzo Group is a member of George J. DuPaul - Gary Stoner DDAI a Scuola Valutazione e strategie di intervento Seconda Edizione Prefazione di Russell A. Barkley Gli Autori George J. DuPaul, PhD, è Professore e Coordinatore della Facoltà di Psicologia dell’Università di Leigh. I suoi primari interessi di ricerca riguardano il trattamento in contesti scolastici dei disturbi del comportamento e il trattamento in contesti scolastici dei bambini con malattie croniche. È autore di più di 100 articoli di riviste e capitoli di libri sulla valutazione e il trattamento del Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività. Il Dr. DuPaul è anche autore dei seguenti testi: La Promozione della salute dei bambini: l’integrazione fra la scuola, la famiglia e la comunità (in collaborazione con Thomas J. Power, Edward S. Shapiro e Anne Kazak) e La Scala di Valutazione del DDAI- IV: Checklist, Norme e Significato Clinico (in collaborazione con Thomas J. Power, Arthur D. Anastopoulos e Robert Reid), entrambi pubblicati dalla Guilford Press. È stato anche Direttore Associato della Rivista di Psicologia Scolastica e del Trimestrale di Psicologia Scolastica. È membro delle Divisioni 16 (Psicologia Scolastica) e 53 (Psicologia Clinica Infantile) dell’Associazione Americana di Psicologia (A.P.A). Gary Stoner, PhD, è Professore e Direttore del Corso di Psicologia Scolastica presso la Scuola di Pedagogia dell’Università di Amherst del Massachusetts. È noto per i suoi lavori professionali sul Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività, sui problemi motivazionali e comportamentali e sugli approcci scientifico-sperimentali alla psicologia scolastica professionale. Il Dr. Stoner è co-curatore del libro Interventi per Disturbi della Motivazione e del Comportamento, Seconda Edizione (2002, Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici). I suoi attuali interessi professionali si focalizzano sullo studio e sulla promozione del successo scolastico per bambini con difficoltà di apprendimento e con problemi comportamentali. 5 Ringraziamenti Come è stato per la prima edizione, questo libro non si sarebbe potuto realizzare senza l’incoraggiamento di una serie di persone. Continuiamo a essere debitori al nostro professore e primo mentore il Dr. Mark Rapport dell’Università della Florida Centrale. Il suo entusiasmo per lo studio scientifico del DDAI, unito all’enfasi posta sulla conduzione di studi che avessero rilevanza clinica e pratica, ci ha fornito un esempio del modello di ricerca-intervento in azione. Inoltre, gli standard accademici molto alti che egli aveva stabilito per noi e per gli altri laureandi hanno portato, almeno indirettamente, all’ultimazione di questo libro. Continuiamo inoltre a ricevere ispirazione dal lavoro del Dr. Russell Barkley della Facoltà di Medicina dell’Università del Sud California. Egli è uno dei veri “giganti” nel campo della ricerca sul DDAI, il suo supporto e la sua guida sono stati critici nella preparazione della prima edizione di questo libro. Siamo grati anche ai nostri colleghi, i Dottori Arthur Anastopoulos, John Hintze, Asha Jitendra, Lee Kern, William Matthews, Thomas Power, Edward Shapiro, Terri Shelton e Mark Shinn per il loro supporto e incoraggiamento. I nostri studenti delle Università di Leigh e del Massachusetts, troppo numerosi per essere citati per nome, sono stati anch’essi di sostegno e pazienti per tutto il tempo in cui noi abbiamo preparato questo libro. Il nostro costante successo è direttamente collegato alle idee innovative e alle sfide che ci presentano i nostri studenti. Le nostre mogli, Judy Brown-DuPaul e Joyce Flanagan rispettivamente e i figli di DuPaul, Jason e Glenn, hanno mostrato livelli di pazienza e di sostegno ancora maggiori. La loro disponibilità nel sopportare serate e week-end “mancati” non resterà senza ricompensa. In particolare siamo grati a Judy Brown-DuPaul per aver fornito dei consigli molto utili, inclusi nel Capitolo 4, per gli insegnanti di scuola materna che lavorano con bambini a rischio di DDAI. Siamo debitori verso tutto lo staff editoriale della Guilford Press soprattutto verso Chris Jennison per il suo supporto continuo al nostro lavoro fatto di una miscela ideale di pazienza e incitamento. Infine, saremmo negligenti se non riconoscessimo un contributo alle centinaia di studenti con DDAI, alle loro famiglie e ai loro insegnanti con cui abbiamo lavorato negli ultimi vent’anni. Gran parte di questo libro presenta ciò che abbiamo appreso da loro, e siamo loro molto grati per questa esperienza di apprendimento. Indice Prefazione 0 11 Introduzione 15 CAPITOLO 1 Rassegna sul DDAI 19 Diffusione del DDAI Problemi scolastici dei bambini con DDAI Sottotipi di DDAI Possibili cause del DDAI L’impatto di fattori situazionali sulla gravità dei sintomi del DDAI Esiti a lungo termine dei bambini con DDAI Rassegna dei seguenti capitoli CAPITOLO 2 Valutazione del DDAI in contesti scolastici Utilizzo dei criteri diagnostici nella valutazione scolastica del DDAI Rassegna delle metodologie di valutazione Fasi della valutazione del DDAI Considerazioni evolutive nella valutazione del DDAI Applicazione del modello valutativo Casi esemplificativi Coinvolgimento del personale scolastico nella procedura valutativa Riassunto Appendice 2.1 Sistema di Codifica Combinato per l’Osservazione dei bambini a scuola Appendice 2.2 Criteri di codifica per l’interazione insegnante-studente 7 23 24 27 33 37 40 43 47 48 53 56 85 87 89 95 97 98 101 Indice CAPITOLO 3 Il DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? 103 Associazione fra DDAI e deficit cognitivi 104 Associazione fra il DDAI e lo scarso rendimento scolastico 107 Possibili legami causali fra il DDAI e le difficoltà scolastiche 108 Suddivisione del DDAI in sottotipi in base ai deficit nelle abilità scolastiche 123 Linee guida per la procedura di valutazione: DDAI e deficit nella performance scolastica 125 Caso esemplificativo 131 Implicazioni per l’intervento 133 Il DDAI e l’educazione speciale 136 Riassunto 141 Appendice 3.1 Checklist di Zirkel per determinare la candidabilità legale all’inserimento in servizi di educazione speciale di studenti affetti da DDA / DDAI 143 CAPITOLO 4 Screening, identificazione e intervento precoci 145 Il DDAI nei bambini piccoli 146 Procedure diagnostiche e di screening 149 Intervento precoce e strategie di prevenzione 157 Prevenzione e intervento su scala territoriale 161 Conclusioni 179 CAPITOLO 5 181 Strategie di intervento per contesti scolastici Fondamenti concettuali degli interventi per i problemi di attenzione Componenti base degli interventi per contesti scolastici Tecniche di contingency management Strategie di self-management Metodologie didattiche efficaci 8 182 187 191 213 218 Indice Peer tutoring 228 Didattica tramite l’utilizzo del PC 230 Modificazioni nel compito e nelle istruzioni 231 Training di strategie specifiche 234 Considerazioni su studenti di scuola secondaria 236 Fornire supporto agli insegnanti 237 Conclusioni 240 CAPITOLO 6 Trattamento farmacologico 241 Tipi di farmaci utilizzati 242 Effetti comportamentali degli stimolanti 246 Possibili effetti collaterali degli stimolanti del SNC 259 Quando suggerire una prova farmacologica 262 Come valutare in classe gli effetti dei farmaci 264 La comunicazione dei risultati al medico che ha effettuato la prescrizione 273 Monitoraggio costante della risposta al farmaco 276 Limiti del trattamento farmacologico con stimolanti 277 Riassunto 278 Appendice 6.1 Trattamento farmacologico con stimolanti per il DDAI: un promemoria per l’insegnante 279 CAPITOLO 7 Interventi aggiuntivi per il DDAI 283 Interventi in classe 284 Interventi per l’ambito familiare 290 Interventi di scarsa o nessuna efficacia 295 Riassunto 298 CAPITOLO 8 La comunicazione con i genitori, gli insegnanti e gli studenti 299 301 304 La diagnosi secondo il DSM e i servizi educativi Training formativo e responsabilità 9 Indice Aspetti relativi al trattamento con farmaci stimolanti La Comunicazione fra i professionisti dell’educazione e i genitori La comunicazione con i medici e altri professionisti La comunicazione con gli studenti Riassunto Appendice 8.1 Bibliografia ragionata sul DDAI e le difficoltà a esso associate per i genitori e gli insegnanti Appendice 8.2 Lettera di segnalazione al medico Appendice 8.3 Segnalazione al medico per una possibile prova farmacologica Appendice 8.4 Descrizione al medico dell’andamento della prova farmacologica Appendice 8.5 Report al medico dei risultati della prova farmacologica CAPITOLO 9 Conclusioni e direzioni future 309 312 316 318 320 321 322 323 324 326 329 Direzioni di lavoro future per studenti con DDAI Conclusioni 333 343 Bibliografia 345 10 Prefazione È per me un privilegio speciale e un onore redigere, ancora una volta, la Prefazione di questo straordinario contributo alla letteratura sul Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (DDAI) nei bambini e negli adolescenti. Non esiste nessun altro lavoro paragonabile alla prima edizione di questo testo che sia in grado di rispondere alle necessità del personale scolastico di disporre di informazioni scientificamente comprovate sul DDAI, e questo è vero ancora oggi. Se la prima edizione era straordinaria, questa lo è ancora di più, dal momento che include i risultati di centinaia di studi scientifici, pubblicati nel frattempo, relativi alla valutazione e alla gestione dei bambini con DDAI in contesti scolastici. Ciò che rende questa edizione ancora più significativa è l’insieme sempre più consistente di prove che dimostrano come la sfera scolastica, più di ogni altro ambito della vita, sia colpita in maniera disastrosa da questo disturbo infantile abbastanza diffuso. Questa realtà viene qui confermata con una forza ancora maggiore rispetto alla prima edizione. Tutto il sistema scolastico si basa su un singolo principio: la ricompensa differita. Gli individui devono essere in grado di mettere da parte le attrattive e i rinforzi del momento per impegnarsi e riuscire ad acquisire conoscenze e abilità. La ricompensa per tali sforzi è dilazionata molto avanti nel tempo. Il DDAI altera proprio questo meccanismo: la capacità di valutare e di farsi guidare dalle ricompense, probabilmentemaggiori, del futuro piuttosto che cedere alle più piccole e più sicure ricompenseimmediate. Se vogliono diventare degli adulti pienamente efficienti che danno il loro contributo alla società, i bambini devono essere in grado di lavorare per obiettivi futuri; di sottoporsi a circostanze che non hanno una ricompensa diretta; di trattenere i loro impulsi e di ritornare nuovamente allo studio nonostante le ricorrenti occasioni di distrazione. I 11 Prefazione bambini con DDAI fanno uno sforzo quotidiano in contesti che richiedono controllo, azioni guidate da obiettivi, risolutezza, capacità di autoregolazione e, soprattutto, ricompensa differita. Il successo in tali ambiti implica un impegno decisamente maggiore per un bambino con DDAI rispetto a un bambino normale dal momento che questo disturbo limita enormemente la capacità di autoregolazione in relazione al tempo e al futuro. Gli effetti di questi problemi in ambito educativo vengono delineati molto chiaramente in questo libro e, aspetto ancora più importante, vengono anche delineate le molteplici strategie che si possono utilizzare per evitare o minimizzare questi rischi e difficoltà. La caratteristica davvero peculiare delle tecniche ampiamente descritte in questo testo è che si basano su studi scientifici piuttosto che su mode educative, sul folklore, o sulla semplice “esperienza clinica” di insegnanti più anziani, non derivante da prove empiriche che ne comprovino la validità. Questo volume mostra lo stato attuale della scienza, non solo dell’arte, nella gestione scolastica del DDAI. Devo fare le mie congratulazioni agli autori per la loro dedizione nel fare sì che questa seconda edizione venisse pubblicata. Altrettanto rilevanti sono le informazioni dettagliate sui trattamenti farmacologici per il DDAI e non solo su quelli psicosociali privilegiati dagli insegnanti, dagli psicologi scolastici e dagli operatori sociali. Certamente gli interventi educativi, comportamentali e psicosociali sono importanti per il trattamento dei bambini con DDAI e in questo libro sono illustrati in modo completo. Tuttavia, come le informazioni qui recensite dimostrano, il DDAI non può essere trattato al meglio senza prendere in considerazione una combinazione di trattamenti che spesso, anche se non sempre, include la necessità di assumere farmaci. Non è importante, come spesso pongono il problema i naïf, “credere” o meno nei farmaci. Il trattamento farmacologico non è un credo religioso che richiede un atto di fede per essere sostenuto. Contrariamente alla propaganda politica e ad alcune chiacchiere scientificamente infondate in cui è possibile imbattersi nei mezzi di comunicazione popolari, in alcune sedute del Congresso e in alcuni siti Web inquinati dal fanatismo contro i farmaci e anche contro una diagnosi di DDAI, il trattamento farmacologico da risultati clinici decisamente molto più consolidati di qualunque altra strategia di intervento qui presentata. Questo approccio merita di essere incluso in qualunque testo che abbia l’aspirazione di diventare un manuale di intervento educativo veramente completo. Sono lieto di vedere che gli autori non si sono tirati indietro nel fornire queste 12 Prefazione informazioni relative al trattamento farmacologico in modo che il personale scolastico possa essere a conoscenza dell’argomento. Dal momento che circa il 70-80% dei bambini con diagnosi di DDAI prima o poi, in un determinato momento dell’infanzia, viene sottoposto a un qualche tipo di trattamento farmacologico e che questo spesso avviene per far fronte ai loro problemi scolastici e alle relative difficoltà comportamentali, il personale scolastico deve essere pienamente a conoscenza di ciò che si sa sia sul DDAI che sui trattamenti utilizzati con maggiore frequenza dai medici per intervenire su di esso. Le nuove modalità di somministrazione “una volta al giorno - tutti i giorni” dei principali stimolanti, quali il Concerta, Metadato CD, Adderall XR e Ritalina LA, per non citare i non stimolanti di recente approvazione da parte della FDA quali lo Strattera, hanno certamente ridotto il coinvolgimento del personale scolastico. Malgrado ciò, si conta molto sul personale scolastico, sia direttamente che indirettamente, per riferire ai medici curanti informazioni cruciali sull’efficacia dei farmaci in contesti scolastici. Il personale scolastico non dovrebbe esitare a fornire informazioni ai colleghi medici su quali siano i punti di forza, le debolezze e gli ambiti problematici degli studenti con DDAI e a notificare loro se l’intervento farmacologico sia efficace o meno nell’affrontarli. Pertanto, elogio gli autori per aver qui fornito tali nozioni mediche in una forma facilmente comprensibile e per aver incoraggiato un approccio di équipe al trattamento globale del bambino. A dispetto delle numerose e disparate difficoltà educative a cui il DDAI sottopone il bambino in contesti scolastici, esiste una grande quantità di trattamenti scientificamente comprovati che possono essere utilizzati per affrontare queste problematiche. Certamente questo è il momento storico migliore per avere come studente un bambino con DDAI, dal momento che, rispetto ad alcuni anni fa, conosciamo molto di più questo disturbo e le modalità per affrontarlo. Pochi hanno le credenziali degli autori di questo testo per spiegare queste efficaci strategie di intervento comportamentali ed educative. Essi lo hanno fatto in maniera responsabile ed etica, cercando di essere chiaramente attenti ai vincoli morali e legali che inevitabilmente si accompagnano al controllo del comportamento di un qualunque bambino in contesti istituzionali, quali sono le scuole. Dichiarano apertamente che i genitori del bambino sono una componente essenziale dell’équipe interdisciplinare di trattamento; forse quella più importante, dal momento che il loro supporto diretto e indiretto può influenzare anche troppo spesso 13 Prefazione l’efficacia dei tentativi effettuati dalla scuola per affrontare i problemi di un bambino con DDAI. Mi congratulo con gli autori per un’altra eccellente edizione di questo volume così importante e sono fiducioso che, come è stato per me, il lettore, nell’avvicinarsi alla valutazione e al trattamento del bambino con DDAI in contesti scolastici, lo troverà informativo e istruttivo. Russell A. Barkley, Phd Professore, College delle Professioni Sanitarie Università di Medicina del Sud California 14 Introduzione Gli studenti con problemi di attenzione e comportamento rappresentano una sfida per i professionisti che lavorano in ambito educativo. Infatti, molti bambini e adolescenti che hanno difficoltà nel controllo del comportamento in contesti scolastici ricevono una diagnosi di Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (DDAI). Gli studenti con DDAI rischiano fortemente di avere difficoltà scolastiche croniche e di sviluppare comportamenti antisociali e problemi relazionali con il gruppo dei pari, i genitori e gli insegnanti. Questo disturbo è stato tradizionalmente diagnosticato e trattato da professionisti con competenze prevalentemente cliniche (per es. pediatri, psicologi, clinici) in contesti ambulatoriali. Dato che i bambini e gli adolescenti con DDAI presentano le loro maggiori difficoltà in contesti educativi, i professionisti che lavorano a scuola hanno posto un’attenzione crescente ai bisogni di questi studenti. Inoltre, le leggi federali che regolano la candidabilità all’inserimento in un programma di educazione speciale hanno reso ancora più necessario addestrare gli educatori a identificare e ad intervenire sugli studenti con DDAI all’interno delle scuole. Lo scopo di questo libro è fornire un supporto ai professionisti che lavorano a scuola per comprendere e trattare i bambini e gli adolescenti con DDAI. Dalla pubblicazione della prima edizione di questo volume nel 1994, abbiamo assistito a un’esplosione virtuale di articoli di riviste, capitoli di libri e interi libri di testo dedicati al DDAI. Per molti anni la maggior parte della letteratura precedente relativa a questo disturbo è stata scritta da professionisti con competenze prevalentemente cliniche. Abbiamo cercato di affrontare i problemi associati al DDAI in una prospettiva scolastica, pur riconoscendo la necessità di un lavoro multidisciplinare con un’équipe che includa i genitori, i professionisti che lavorano nell’ambito della salute mentale e gli educatori. Nello specifico, ci siamo focalizzati su (1) come identificare e diagnosticare 15 Introduzione gli studenti che potrebbero avere un DDAI, (2) sviluppare e mettere in atto all’interno della classe programmi di intervento per questi studenti e (3) comunicare con e assistere i medici curanti nei casi in cui vengano utilizzati farmaci per trattare questo disturbo. In questa seconda edizione, abbiamo aggiornato tutte le informazioni relative a questi tre punti per affrontare con completezza la comprensione e gestione del DDAI dal punto di vista dei professionisti che lavorano a scuola. Questo libro vuole rispondere ai bisogni di una vasta gamma di persone che lavorano a scuola, inclusi gli psicologi scolastici, i counselor, gli amministratori, gli insegnanti curricolari e di sostegno. Dato che studenti con DDAI sono presenti quasi in tutte le scuole e sperimentano un’ampia gamma di difficoltà, tutte le categorie professionali sopra menzionate dovrebbero essere interessate a questo testo. Inoltre, questo volume potrebbe risultare utile, per comprendere un disturbo così complesso, anche agli studenti laureati che stanno facendo il loro training in una professione scolastica. Il libro è stato scritto in modo da renderne l’utilizzo più semplice da parte dei professionisti. Abbiamo incluso una serie di figure e appendici con moduli, (per es., programmi, fogli di codifica per l’osservazione, ecc.) che dovrebbero rivelarsi utili per gli educatori. I lettori sono incoraggiati a riprodurre e utilizzare questi moduli se si rendono conto che possono andare bene per situazioni da loro seguite. 16 DDAI a Scuola CAPITOLO 1 Rassegna sul DDAI AMY, 4 ANNI Amy è una bambina di 4 anni che vive con la madre, il patrigno e un fratello più piccolo (2 anni). Frequenta la scuola materna, presso una chiesa locale, quattro mattine a settimana. La mamma riferisce che Amy da neonata era una “peste”. Era soggetta a coliche, piangeva quasi sempre e chiedeva “costantemente” di essere tenuta in braccio. A circa 11 mesi, momento in cui iniziò a camminare, il livello generale di attività di Amy era cresciuto a tal punto che “si dedicava sempre a tutto con entusiasmo e trasporto eccessivo”. Una volta infatti, all’età di 2 anni, Amy fu portata al pronto soccorso per aver ingerito dei detersivi che aveva trovato sotto il lavandino della cucina. Ad Amy era stato chiesto di interrompere la frequenza in diversi asili nido e baby-parking giornalieri a causa dei comportamenti iperattivi, della scarsa durata dell’attenzione e dell’aggressività fisica verso i coetanei. Sebbene stia iniziando ad apprendere le lettere e i numeri è molto difficile per la madre o per l’insegnante riuscire a farla stare seduta per eseguire delle attività legate alla lettura o all’apprendimento. Amy preferisce essere coinvolta in occupazioni confusionarie e può diventare piuttosto ribelle quando le viene chiesto di sedersi e di portare a termine compiti più strutturati o tranquilli (quali disegnare o colorare). GREG, 7 ANNI Greg è un bambino di 7 anni inserito in una classe normale di prima elementare di una scuola pubblica. Secondo i genitori, lo sviluppo fisico e 19 DDAI a Scuola psicologico sono stati “nella norma” fino all’età di 3 anni quando è iniziata la frequenza della scuola materna. Gli insegnanti dell’asilo riferivano che Greg riusciva a prestare attenzione per un brevissimo lasso di tempo, aveva difficoltà a stare seduto durante le attività di gruppo e interrompeva spesso le conversazioni. Questi comportamenti si manifestavano sempre più frequentemente anche a casa. Attualmente Greg consegue risultati scolastici allo stesso livello dei compagni di classe in tutte le materie. Sfortunatamente però, continua a manifestare problemi di attenzione, impulsività e irrequietezza motoria. Questi comportamenti sono più frequenti quando Greg dovrebbe ascoltare l’insegnante o portare a termine un compito in autonomia. L’insegnante teme che Greg possa iniziare ad avere difficoltà scolastiche se il livello di attenzione e il comportamento non dovessero migliorare. TOMMY, 9 ANNI Tommy è un bambino di quarta elementare la cui istruzione scolastica avviene in una classe differenziale indipendente per bambini con “disturbi emotivi”, all’interno di una scuola elementare pubblica. La mamma riferisce che Tommy è sempre stato un “diavoletto” da quando è nato. Durante la scuola materna era molto attivo (si arrampicava sui mobili, correva in giro incessantemente e non stava quasi mai seduto fermo) e non obbediva mai alle richieste della madre. Aveva difficoltà croniche nel relazionarsi con altri bambini: era verbalmente e fisicamente aggressivo con i coetanei. Come risultato, aveva pochi amici della stessa età e tendeva a giocare con bambini più piccoli. Tommy era stato inserito fin dalla seconda elementare in una classe per bambini che avevano bisogno di supporto sociale/emotivo a causa dei frequenti comportamenti di disturbo (interveniva ad alta voce senza permesso, insultava gli insegnanti, si rifiutava di portare a termine seduto il lavoro) e dei relativi problemi di rendimento scolastico. Nel corso dell’ultimo anno la gravità degli atteggiamenti antisociali di Tommy è aumentata: è stato sorpreso in più occasioni a rubare all’interno di negozi ed è stato sospeso da scuola per aver imbrattato il bagno dei maschi. Anche in una classe così altamente strutturata Tommy ha una notevole difficoltà a portare a termine lavori autonomi e a seguirne le regole. 20 Rassegna sul DDAI HEATHER, 13 ANNI Heather è una studentessa di terza media, di 13 anni, che frequenta per la maggior parte del tempo una classe normale. Una valutazione psicoeducativa condotta all’età di 8 anni aveva evidenziato un “disturbo specifico dell’apprendimento” della matematica a causa del quale frequenta una classe speciale1 di recupero tre volte a settimana. In aggiunta ai problemi con le abilità matematiche, Heather ha sempre mostrato difficoltà significative nell’area dell’attenzione fin dall’età di 5 anni. Nello specifico, sogna a occhi aperti con troppa frequenza e “rimanda” quando le viene chiesto di portare a termine compiti faticosi a casa o a scuola. I genitori e gli insegnanti riferiscono che “dimentica” molto frequentemente le indicazioni per i compiti, soprattutto se questi implicano una procedura con più passi sequenziali. All’inizio questi problemi di attenzione erano stati messi in relazione con il disturbo di apprendimento nella matematica. La situazione, tuttavia, non sembra essere tale, dal momento che è disattenta in quasi tutte le materie (ossia non solo durante gli esercizi di matematica) e che questi comportamenti sono antecedenti all’ingresso nella scuola elementare. Heather non è né impulsiva né iperattiva. Infatti, è “lenta nel rispondere” e a volte riservata nelle situazioni sociali. ROBERTO, 17 ANNI Roberto è uno studente di 17 anni che frequenta il secondo anno di una grande scuola superiore di città. È stato respinto due volte durante la scuola elementare e ha sempre avuto difficoltà di rendimento in tutto il corso della carriera scolastica. Viene inoltre descritto dagli insegnanti come impaziente, provocatorio, irrequieto e privo di motivazione. Come risultato di queste difficoltà scolastiche e comportamentali, Roberto è stato inviato a diversi servizi di educazione speciale: è stato inserito in una classe di sostegno e, per un po’ di tempo, in contesti scolastici alternativi e si è Negli Stati Uniti gli studenti con difficoltà specifiche (di apprendimento, comportamentali, cognitive) o con disabilità possono usufruire di programmi scolastici personalizzati attraverso l’inserimento in “classi speciali” o l’affidamento a educatori specializzati. In Italia, invece, i bambini cui è stata certificata una disabilità (cognitiva, relazionale, fisica o comportamentale) hanno diritto alla presenza di un insegnante di sostegno in classe (n.d.r). 1 21 DDAI a Scuola sottoposto a counseling individuale. Inoltre, i professionisti che lavorano a scuola hanno cercato di coinvolgere la famiglia in servizi di consulenza territoriali e hanno suggerito un consulto con il medico di base per un trattamento con farmaci psicotropi; questi suggerimenti sono stati seguiti senza costanza nel corso degli anni. Nonostante questi interventi, le difficoltà di Roberto sono peggiorate e negli ultimi anni si sono aggravate a causa dell’inserimento in una gang locale. È stato arrestato in due occasioni per aver rubato in alcuni negozi e per atti di vandalismo e, inoltre, marina la scuola con una certa frequenza. Ha chiesto ai genitori di permettergli di abbandonare la scuola superiore per cercarsi un lavoro full-time. Malgrado i cinque bambini e adolescenti appena descritti siano piuttosto diversi fra loro, condividono un problema comune di attenzione, soprattutto in relazione al lavoro scolastico e alle responsabilità familiari. Inoltre, molti bambini con problemi di attenzione, come Amy, Greg, Tommy e Roberto, presentano problemi aggiuntivi di impulsività e iperattività. La definizione psichiatrica corrente per bambini che mostrano difficoltà gravi di attenzione, impulsività e iperattività è Disturbo Da Deficit Dell’attenzione e Iperattività, o DDAI2 (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Come si può dedurre dai casi appena descritti, l’etichetta diagnostica DDAI è applicabile a un gruppo eterogeneo di bambini e adolescenti che si incontrano in quasi ogni contesto educativo. Lo scopo di questo capitolo è fornire una breve panoramica del DDAI. Nello specifico, passeremo in rassegna le informazioni relative alla diffusione del disturbo, alle problematiche scolastiche dei bambini con DDAI, alle relative difficoltà di adattamento, alle metodologie di sotto-classificazione per i bambini con questo disturbo, alle cause possibili del DDAI, all’impatto dei fattori situazionali sulla gravità dei sintomi e ai possibili esiti a lungo-termine per questa popolazione. Inoltre, daremo una panoramica della cornice teorica che possa spiegare i deficit alla base del DDAI. Questo background forni- 2 Dal momento che per il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività sono state utilizzate, nel corso degli anni e in diverse discipline, varie etichette diagnostiche, la terminologia DDAI verrà utilizzata in questo testo per semplicità. DDAI sarà considerato sinonimo di altre definizioni del disturbo, come iperattività o disturbo da deficit dell’attenzione. 22 Rassegna sul DDAI sce il contesto necessario per le trattazioni successive sulla valutazione e sulle strategie di intervento del DDAI in ambito scolastico. I lettori interessati a una trattazione più completa degli argomenti presentati in questo capitolo dovrebbero consultare i testi di Barkley (1998), Goldstein e Goldstein (1998) o Teeter (1998). DIFFUSIONE DEL DDAI A livello epidemiologico (ossia attraverso un censimento della popolazione) gli studi indicano che negli Stati Uniti circa il 3-7% dei bambini presenta DDAI (Barkley, 1998; Pastor & Reuben, 2002). Dal momento che, in generale, le classi sono costituite da 20 studenti circa, si stima che un bambino per ogni classe avrà il DDAI. Come risultato, i bambini che presentano problemi di attenzione e controllo del comportamento vengono spesso segnalati agli psicologi scolastici o ad altri servizi educativi o di salute mentale. La percentuale di maschi con questo disturbo è maggiore rispetto a quella delle femmine e questo dato è confermato sia da studi su campioni clinici (con un rapporto di circa 6:1) sia da studi su campioni comunitari (con un rapporto di circa 3:1) (Barkley, 1998; Pastor & Reuben, 2002). Il rapporto così alto a sfavore dei maschi in studi con campioni clinici potrebbe essere il risultato della maggiore prevalenza di altri comportamenti disfunzionali (per es., negligenza, disturbi della condotta) fra i maschi con DDAI (Gaub & Carlson, 1997). Più del 50% dei bambini con una diagnosi di DDAI riceve un trattamento con farmaci psicotropi3, mentre circa il 12% e il 34% riceve, rispettivamente, trattamenti educativi speciali e trattamenti da parte di servizi di salute mentale (Pastor & Reuben, 2002). Quindi, rispetto ad altre problematiche riscontrabili nell’infanzia (quali l’autismo e la depressione), il DDAI è un disturbo a “elevata diffusione”; particolarmente presente nella popolazione maschile. In maniera simile agli altri disturbi, per conseguire esiti evolutivi positivi, è solitamente necessario l’intervento di servizi professionali multipli a livello comunitario ed educativo. 3 Negli Stati Uniti il DDAI nei bambini può essere trattato con farmaci psicostimolanti (metilfenidato). In Italia, la Commissione Unica del Farmaco (CUF), ha riclassificato il metilfenidato e ne ha approvato l’uso per il trattamento del DDAI esclusivamente in Centri Clinici accreditati (n.d.r.). 23 DDAI a Scuola PROBLEMI SCOLASTICI DEI BAMBINI CON DDAI Principali difficoltà comportamentali Le caratteristiche principali del DDAI (disattenzione, impulsività e iperattività) possono causare ai bambini, in ambito scolastico, una moltitudine di ostacoli. Nel dettaglio, dal momento che questi bambini spesso non sono in grado di mantenere costante il livello di attenzione in compiti impegnativi, di solito l’eventualità di riuscire a portare a termine attività autonome da seduti è piuttosto bassa. Anche la performance nel lavoro in classe potrebbe essere compromessa dalla mancanza di attenzione alle indicazioni date per l’esecuzione del compito. Altre difficoltà scolastiche in relazione a quelle di attenzione includono uno scarso rendimento ai test; abilità di studio insufficienti; appunti, banchi e riassunti disorganizzati e una scarsa partecipazione alle lezioni frontali o alle discussioni di gruppo. I bambini con DDAI spesso disturbano le attività in classe e quindi disturbano l’apprendimento dei loro compagni. Sono bambini che, per esempio, intervengono ad alta voce senza permesso, che parlano con i loro compagni in momenti non opportuni e che si arrabbiano di fronte a rimproveri o a compiti frustranti. Anche l’accuratezza nei compiti in classe può essere negativamente influenzata da uno stile di risposta impulsivo e disattento. I comportamenti problematici in classe dovuti all’iperattività includono: alzarsi dalla sedia senza permesso, giocare con oggetti non appropriati (per es., con oggetti sul banco che non hanno relazione con ciò che si sta facendo in quel momento), battere ripetutamente le mani e i piedi e dimenarsi sulle sedie. Anche se questi ultimi comportamenti possono sembrare relativamente innocui, quando si verificano con una frequenza elevata possono disturbare significativamente i processi di istruzione e apprendimento in classe. Difficoltà associate al DDAI Gli studenti con DDAI rischiano di andare incontro a una serie di difficoltà in molti ambiti operativi. Sembra che i problemi di attenzione, impulsività e iperattività fungano da “magneti” per altre difficoltà che, in alcuni casi, sono ancora più gravi dei deficit principali dovuti al DDAI. Fra queste difficoltà, tre sono più frequentemente correlate al DDAI: l’insuccesso scolastico, elevati livelli di negligenza e aggressività e relazioni disturbate con i pari. 24 Rassegna sul DDAI Gli insegnanti e i genitori riferiscono frequentemente che i bambini con DDAI hanno risultati scolastici più scarsi rispetto ai loro compagni di classe (Barkley, 1998). Come precedentemente affermato questi bambini mostrano percentuali significativamente più basse di comportamenti diretti al compito, rispetto a quelle mostrate dai loro pari, durante le lezioni e nel lavoro autonomo (Abikoff, Gittelman-Klein, & Klein, 1977; Platzman et al., 1992). Di conseguenza, i bambini con DDAI hanno minori probabilità di riuscire a eseguire esercizi didattici e di portare a termine un lavoro individuale rispetto ai loro compagni (Pfiffner & Barkley, 1998). Percentuali di completamento del lavoro assegnato più basse di quelle attese, potrebbero, in parte, spiegare l’associazione del DDAI con l’insuccesso scolastico: fino all’80% dei bambini con questo disturbo manifesta scarsi risultati scolastici (Cantwell & Baker, 1991). Inoltre, a circa il 20-30% dei bambini con DDAI viene diagnosticato un “disturbo dell’apprendimento” a causa delle difficoltà nell’acquisire specifiche competenze scolastiche (vedere il Capitolo 3 per i dettagli). Infine, i risultati di studi sui probabili esiti futuri di bambini con DDAI che entrano nell’adolescenza o che diventano adulti, evidenziano rischi seri di fallimento scolastico stimato attraverso un maggior numero di bocciature e di casi di abbandono della scuola rispetto al gruppo dei pari (Barkley, Fischer, Edelbrock & Smallish, 1990; Hansen, Weiss & Last, 1999). Anche la correlazione significativa fra iperattività e aggressività è ben documentata nella letteratura di ricerca (Jensen, Martin & Cantwell, 1997; Loney & Milich, 1982). Fra i comportamenti aggressivi più frequentemente associati al DDAI è possibile ascrivere ribellione o inadempienza a ordini ricevuti da figure di autorità, scarso controllo della collera, aggressività verbale e litigiosità, che attualmente fanno parte della categoria psichiatrica del disturbo oppositivo provocatorio (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Non sorprende pertanto che il disturbo oppositivo provocatorio sia la diagnosi più frequentemente associata al DDAI (ossia in compresenza o comorbilità): più del 40% dei bambini con DDAI e più del 65% degli adolescenti con DDAI esibisce comportamenti tipici del disturbo oppositivo provocatorio (Jensen et al., 1997). Circa il 25% o più degli studenti con DDAI rivela comportamenti antisociali più gravi (furti, aggressioni fisiche e assenteismo), soprattutto nella scuola superiore (Barkley, Fischer et al., 1990; Gittelman, Mannuzza, Shenker & Bonagura, 1985). I bambini con aggressività associata a DDAI sono a rischio maggiore di conflittualità interpersonale a casa, a scuola e con i 25 DDAI a Scuola pari rispetto a coloro che presentano unicamente i sintomi del DDAI (Johnston & Mash, 2001). Non è strano quindi che gli insegnanti riportino elevati livelli di stress nell’interazione con studenti con DDAI, soprattutto con quelli che presentano anche aggressività (Greene, Beszterczey, Katzenstein, Park & Goring, 2002). Infine, la combinazione di problemi di condotta e DDAI è fortemente associata all’abuso di sostanze illecite (Biederman et al., 1997; Gittelman et al., 1985). Per molti bambini con DDAI, è piuttosto difficile dare inizio e riuscire a mantenere un’amicizia con i loro compagni di classe (Stormont, 2001). Studi che utilizzano misure sociometriche hanno rilevato elevati punteggi di rifiuto da parte dei pari verso bambini che esibiscono comportamenti associati al DDAI (Hinshaw, Zupan, Simmel, Nigg & Melnick, 1997; Hodgens, Cole & Boldizar, 2000). Il grado di rifiuto da parte del gruppo dei pari è particolarmente alto per i bambini che presentano DDAI e aggressività. Solitamente il rifiuto da parte dei coetanei è stabile nel tempo e riflette la natura cronica delle difficoltà interpersonali di questi bambini (Parker & Asher, 1987). Altro aspetto preoccupante è rappresentato dal fatto che circa il 22% dei maschi e il 15% delle femmine con DDAI si contraddistingue per la presenza di un “handicap sociale” espresso da punteggi, in misure standardizzate del funzionamento sociale, più bassi di 1.65 deviazioni standard dalla media per età e genere(Greene et al., 1996; 2002). Prove raccolte precedentemente indicano anche che i bambini con DDAI tendono a essere emarginati dalla rete sociale della classe e a frequentarsi fra loro, accrescendo così la probabilità di comportamenti disfunzionali (Kelly, 2001). Non sorprende, pertanto, che i bambini con questo disturbo non percepiscano i loro pari e compagni di classe come fonte di sostegno sociale, mentre i loro coetanei normali sì (Demaray & Elliott, 2001). Le relazioni problematiche che i bambini con DDAI hanno con i pari sono presumibilmente dovute ai comportamenti di disattenzione e impulsività che alterano la loro “performance sociale” (Stormont, 2001). I deficit di performance più comuni dovuti a questo disturbo comprendono tentativi inadeguati (per es., interruzioni frequenti, scarsa attenzione a ciò dicono gli altri) di entrare a far parte di attività di gruppo in fieri; l’utilizzo di “soluzioni” aggressive a problemi interpersonali e la facilità nel perdere il controllo di sé quando si verificano situazioni sociali conflittuali o frustranti (Guevremont, 1990). Un’ulteriore problematica sempre relativa all’ambito sociale è rappresentata 26 Rassegna sul DDAI dal lasso di tempo più basso che i maschi con DDAI trascorrono coinvolti in sport di gruppo o individuali rispetto ai loro coetanei: presentano verosimilmente, rispetto al gruppo di controllo, comportamenti aggressivi e reazioni emotive esagerate e annoverano un numero maggiore di squalifiche nel corso di attività atletiche di gruppo (Johnson e Rosén, 2000). Sorprendentemente i bambini con DDAI sono spesso in grado di descrivere i comportamenti sociali appropriati a determinate situazioni, nonostante abbiano la tendenza a proporre soluzioni aggressive ai problemi interpersonali (Stormont, 2001). La conclusione al momento più ragionevole è che i sintomi del DDAI causino difficoltà nella performance sociale piuttosto che deficit sostanziali nelle competenze sociali in quanto tali (vedere il Capitolo 7 per i dettagli). I bambini con DDAI ricorrono a interventi medici e psicologici più spesso rispetto ai loro pari senza DDAI. Uno studio recente ha rilevato che questi bambini ricorrono maggiormente a servizi di primo soccorso, farmacie e a servizi di salute mentale rispetto ai bambini normali (Guevara, Lozano, Wickizer, Mell & Gephart, 2001). Come risultato, le spese per la salute dei bambini con DDAI raddoppiano rispetto a quelle sostenute per bambini che non presentano questo disturbo. Le spese sanitarie sono addirittura maggiori di quelle dei bambini con malattie croniche, quali per esempio l’asma (Chan, Zhan & Homer, 2002). I costi “reali” del trattamento del DDAI potrebbero essere al momento sottostimati, dato che questi bambini ricevono servizi in contesti sia scolastici che sanitari (Chan et al., 2002). I professionisti4 che lavorano a scuola devono quindi essere consapevoli del bisogno elevato di cure mediche proprio di questa popolazione e devono cercare di aiutare le famiglie ad accedere ai servizi di cui hanno bisogno all’interno della comunità. SOTTOTIPI DI DDAI L’attuale definizione di DDAI contempla una lista di 18 sintomi comportamentali suddivisi in due insiemi (disattenzione e iperattività-impulsività) da nove sintomi ciascuno (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Esistono tre sottotipi di DDAI: il tipo combinato (DDAI-TC), il tipo con disattenzione 4 Occorre tenere presente che nelle scuole statunitensi operano diverse figure professionali oltre agli insegnanti (medico, psicologo scolastico, infermiera) che, invece, non sono previste nell’organico delle scuole italiane (n.d.r.). 27 DDAI a Scuola predominante (DDAI-DP) e il tipo con iperattività-impulsività predominanti (DDAI-IIP). I bambini con DDAI-TC dovrebbero esibire almeno sei dei nove sintomi di disattenzione e almeno sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività. La diagnosi di DDAI-DP si applica a bambini che presentano almeno sei sintomi di disattenzione ma meno di sei sintomi di iperattività-impulsività. Al contrario, i bambini con DDAI-IIP manifestano sei o più sintomi di iperattività-impulsività ma meno di sei sintomi di disattenzione. Dato che il profilo sintomatico varia notevolmente fra gli individui, i bambini con diagnosi di DDAI rappresentano un gruppo molto eterogeneo. Infatti esistono almeno 7,065 possibili combinazioni di 12 dei 18 sintomi che potrebbero dare luogo a una diagnosi di DDAI-TC. Ad ampliare questa intrinseca eterogeneità concorrono anche i correlati del DDAI (l’insuccesso scolastico, l’aggressività e le difficoltà nella relazione con i pari). Di conseguenza sono stati fatti dei tentativi per identificare sottotipi più omogenei di DDAI al fine di facilitare la ricerca dei fattori eziologici, per identificare potenziali differenze negli esiti a lungo termine e, cosa più importante, al fine di dare un contributo nella pianificazione del trattamento (per una rassegna vedere Jensen et al., 1997). Di seguito forniamo una breve descrizione di ciascuno dei sottotipi unitamente ad alcune considerazioni sull’eventuale valore aggiunto che potrebbe dare una classificazione del DDAI in sottotipi sulla base della presenza o meno di aggressività o di sintomi interiorizzati.5 DDAI/Tipo con disattenzione predominante Il precedente sistema di classificazione dell’Associazione Americana di Psichiatria (il DSM-III, Associazione Americana di Psichiatria, 1980) includeva due differenti sottotipi di DDAI: il disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività (DDA + I) e il disturbo da deficit dell’attenzione senza iperattività (DDAnoI). L’ultima categoria includeva bambini che manifestavano problemi significativi di disattenzione e di impulsività in assenza di manifestazioni frequenti di iperattività. Quando il DSM-III venne revisionato nel 1987, questo sottotipo venne rimosso dalla classificazione a causa delle esigue prove empiriche allora esistenti. 5 I vantaggi e gli svantaggi di classificare i bambini con DDAI in quelli affetti o meno da disturbi dell’apprendimento vengono discussi all’interno del Capitolo 3. 28 Rassegna sul DDAI Dalla data di pubblicazione nel 1987 del DSM-III-R (Associazione Americana di Psichiatria, 1987) sono state condotte una serie di ricerche che supportano l’esistenza di un sottotipo di DDAnoI (per una rassegna vedere la pubblicazione del DSM-IV [Associazione Americana di Psichiatria, 1994]). I bambini con DDAI con disattenzione predominante (DDAI-DP) esibiscono sintomi significativi di disattenzione in assenza di sintomi rilevanti di iperattività-impulsività. Si iniziano a raccogliere prove che dimostrano come i bambini con DDAI-DP presentino maggiori difficoltà in attività di recupero mnestico e nella velocità percettivo-motoria rispetto ai loro equivalenti impulsivi-iperattivi (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990). Inoltre, questi bambini vengono descritti dai genitori e dagli insegnanti come più “lenti” a livello cognitivo, assorti in sogni a occhi aperti e ritirati a livello sociale rispetto ai bambini con DDAI-TC (Hodgens et al., 2000; McBurnett, Pfiffner & Frick, 2001). Questi e altri risultati hanno portato alcuni ricercatori a ipotizzare una maggiore incidenza di disturbi dell’apprendimento in questo sottotipo rispetto ai bambini che presentano la forma combinata. Queste ipotesi non sono state avvalorate da studi empirici, anche se almeno una ricerca (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990) ha riscontrato un’elevata percentuale di studenti con DDAI-DP (53%) in classi per studenti con disturbi dell’apprendimento rispetto a quelli con DDAI-TC (34%). Contrariamente al sottotipo DDAI-DP, i bambini con la forma combinata di DDAI esibiscono tassi più elevati di impulsività, iperattività, aggressività, negligenza e rifiuto da parte dei pari (Carlson & Mann, 2000). Inoltre, i bambini con DDAI-TC hanno più probabilità di ricevere una diagnosi di disturbo comportamentale (disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta), di essere inseriti in classi per studenti con problemi emotivi, di annoverare un maggior numero di sospensioni a scuola e di ricevere un trattamento psicoterapeutico rispetto a quelli con DDAI-DP (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Faraone, Biederman, Weber & Russell, 1998; Willcut, Pennington, Chhabildas, Friedman & Alexander, 1999). Malgrado non siano stati condotti studi comparativi sugli esiti a lungo termine, si presume che i bambini con la forma combinata di DDAI siano a maggiore rischio di disturbo antisociale di personalità e difficoltà di adattamento comportamentale. Si sa poco della cronicità e degli esiti longitudinali del DDAI-DP nell’infanzia, anche se Willcutt e colleghi (in stampa; citato in Willcutt, Chabildas & Pennington, 2001) hanno verificato che più dell’80% dei bambini con una 29 DDAI a Scuola diagnosi in questo sottotipo continuano a manifestare sintomi significativi di disattenzione per un periodo di 18 mesi. Pochi studi hanno esaminato la risposta differenziale ai farmaci psicostimolanti (come la Ritalina o il metilfenidato) nei due sottotipi di DDAI. Questi studi indicano in generale una risposta positiva al trattamento farmacologico nella maggior parte dei membri di entrambi i sottotipi e, per una percentuale più elevata di bambini con DDAI-DP, si sono dimostrati sufficienti dosaggi più bassi (Barkley, DuPaul, & McMurray, 1991). A oggi nessuno studio ha comparato le risposte dei diversi sottotipi ai trattamenti non farmacologici. In campioni clinici meno bambini (approssimativamente 1.3%) presentano il DDAI-DP rispetto alla forma combinata (Szatmari, Offord & Boyle, 1989), mentre la percentuale potrebbe essere maggiore (5%) in campioni collettivi (Wolraich, Hannah, Pinnock, Baumgaertel & Brown, 1996). Inoltre, ci sono sempre maggiori indicazioni a favore di una diagnosi distinta rispetto al sottotipo con DDAI-TC. Questi sottotipi differiscono chiaramente quanto alle difficoltà associate e probabilmente anche quanto alle risposte al trattamento e agli esiti a lungo termine. Barkley (1998) ha sostenuto che i problemi di attenzione dei bambini con DDAI-DP possano inoltre differire qualitativamente da quelli dei bambini che sono anche iperattivi-impulsivi. In particolare i bambini con DDAI-TC evidenziano difficoltà nell’attenzione sostenuta in conseguenza della compromissione della capacità di risposta differita all’ambiente, mentre i bambini con DDAI-DP hanno maggiore probabilità di avere difficoltà con l’attenzione focalizzata. Potrebbero quindi essere coinvolti differenti meccanismi neuronali, implicando così stili di risposta comportamentale differenti (Barkley 1998). Inoltre, i bambini con DDAI-DP che hanno uno stile cognitivo lento (per es., sono confusi, sembrano persi nella nebbia) possono presentare in seguito comportamenti di ritiro sociale e sintomi interiorizzati non frequenti, invece, nei bambini con DDAI-TC (Carlson & Mann, 2002). Queste importanti differenze fra sottotipi hanno portato i ricercatori a suggerire che il DDAI-DP sia un disturbo distinto e separato dal tipo combinato (Barkley, 1998; Milich, Balentine & Lynam, 2001) e, come minimo, per permettere un’identificazione più accurata dei bambini con disattenzione predominante, i criteri diagnostici dovrebbero includere i sintomi di uno stile cognitivo lento (Carlson & Mann, 2002). 30 Rassegna sul DDAI DDAI/Tipo con iperattività-impulsività predominanti Il sottotipo di DDAI con impulsività-iperattività predominanti è stato introdotto dal DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatria, 1994). Le ricerche sul campo condotte prima della pubblicazione del DSM-IV indicavano che una piccola percentuale di bambini presentava comportamenti significativi di iperattività-impulsività in assenza di sintomi di disattenzione (Lahey et al., 1994). Dal momento che la grande maggioranza di questi bambini era in età prescolare o nei primi anni di scuola elementare si può ipotizzare che il DDAI-IIP sia un precursore della forma combinata. Questa ipotesi deve ancora essere verificata attraverso studi longitudinali su bambini con DDAI-IIP. Infatti sono state effettuate pochissime ricerche sull’epidemiologia, sulle caratteristiche cliniche, sulle performance scolastiche e sugli esiti del trattamento del DDAI-IIP. Ci sono alcune prime evidenze di comorbilità del DDAI-IIP e del DDAI-TC con altri disturbi (ossia con il disturbo oppositivo provocatorio e con quello della condotta) (Willcutt et al. 1999) Data la scarsità di ricerche su questo sottotipo la conclusione più ragionevole è che il DDAI-IIP rappresenti una forma meno grave o una manifestazione precoce del sottotipo combinato. DDAI con e senza aggressività Come precedentemente affermato, il termine “aggressività” è stato utilizzato per descrivere bambini che manifestano gradi di negligenza, litigiosità, ribellione e scarso controllo della collera superiori alla media. Molti bambini che mostrano simili comportamenti soddisfano i criteri per una diagnosi di disturbo oppositivo provocatorio. Malgrado la sovrapposizione o comorbilità fra il DDAI e il disturbo oppositivo provocatorio sia alta (Barkley, 1998: vedere la sezione precedente “Difficoltà associate al DDAI”), i bambini che presentano solo uno dei due disturbi differiscono dagli iperattivi-aggressivi soprattutto negli esiti a lungo-termine (per una rassegna, vedere Jensen et al., 1997). I bambini con DDAI e aggressività (ossia con disturbo oppositivo provocatorio o disturbo della condotta) esibiscono con frequenza decisamente più elevata comportamenti antisociali quali mentire, rubare e lottare rispetto ai bambini solo iperattivi (Barkley, 1998). Inoltre, i bambini iperattivi-aggres31 DDAI a Scuola sivi rischiano maggiormente di essere rifiutati dal gruppo dei pari rispetto ai bambini solo con DDAI o aggressività. Inoltre, sono stati rilevati livelli maggiori di cattivo funzionamento familiare e di psicopatologia genitoriale per il gruppo affetto da entrambi i disturbi (Jensen et al., 1997). Cosa ancora più importante, i bambini con DDAI e aggressività hanno maggiori probabilità di andare incontro a evoluzioni disfunzionali del disturbo nell’adolescenza e nell’età adulta (per es., maggiore incidenza di abuso di sostanze illecite) rispetto a qualunque altro sottotipo di DDAI (Jensen et al., 1997). Malgrado questi sottotipi non reagiscano in maniera differente al trattamento farmacologico con psicostimolanti (Barkley, McMurray, Edelbrock & Robbins, 1989), i professionisti concordano sul fatto che i bambini con DDAI e aggressività richiedono un intervento dei servizi professionali più intenso e continuo nel tempo per raggiungere risultati favorevoli. I precursori dell’associazione fra DDAI e aggressività forniscono indicazioni a sostegno della necessità di un trattamento multimodale globale. Sarebbe una combinazione di fattori interni al bambino (per es., un temperamento irritabile; uno span di attenzione più breve rispetto alla media e un elevato livello di attività complessiva) e fattori ambientali (per es., stile di risposta coercitivo dei membri della famiglia, conflittualità coniugale e scarsa competenza genitoriale) a generare la compresenza di questi disturbi (Barkley, 1998). Tali fattori contribuiscono al disadattamento del bambino nel corso dello sviluppo a tal punto che più tardivo è il momento dell’intervento, maggiore sarà la necessità di invio a servizi di trattamento intensivi e a lungo termine. La natura durevole e problematica di questi comportamenti porta a sua volta all’inserimento di questi bambini in contesti con caratteristiche decisamente più restrittive di quelle che hanno le scuole pubbliche e gli ambienti familiari. DDAI con o senza disturbo interiorizzato Fra il 13 e il 50% circa di bambini con DDAI mostra sintomi di disturbo d’ansia o depressivo (Jensen et al., 1997). La comorbidità con sintomi interiorizzati porta con sé implicazioni positive e negative per i bambini con DDAI. Da un lato, l’associazione di sintomi interiorizzati con il DDAI può fungere da fattore protettivo dal momento che (1) i comportamenti iperattivi-impulsivi sono meno gravi di quando non sono presenti sintomi interiorizzati e che (2) è meno probabile che siano presenti sintomi di disturbo della condotta 32 Rassegna sul DDAI (Pliszka, Carlson & Swanson, 1999). Da un altro lato, la combinazione del DDAI con sintomi interiorizzati si accompagna a un handicap sociale molto più grande (come riferito dai genitori e dagli insegnanti) rispetto ai bambini affetti solo da DDAI (Karustis, Power, Rescorla, Eiraldi & Gallagher, 2000). Inoltre, alcuni studi hanno riscontrato un effetto minore degli psicostimolanti su bambini con DDAI e con sintomi interiorizzati rispetto ai bambini che non presentano questa combinazione (vedere DuPaul, Barkley & McMurray, 1991). Potrebbero pertanto esserci delle distinzioni importanti nella manifestazione clinica, nel danno e nella risposta al trattamento fra bambini con DDAI con o senza sintomi di interiorizzazione. Questi dati supportano dunque l’idea che questa sia una buona via da seguire per l’identificazione di ulteriore sottotipo. Questa conclusione è resa meno consistente dal fatto che le poche ricerche condotte in questo ambito (1) si sono focalizzate quasi esclusivamente sui disturbi d’ansia rispetto a quelli depressivi e (2) hanno utilizzato le risposte di unico informatore (per esempio il genitore) per valutare la sintomatologia interiorizzata. Ciononostante i professionisti dovrebbero per lo meno considerare sia i sintomi interiorizzati sia quelli esteriorizzati nel corso di una valutazione per un potenziale DDAI, perché tali sintomi influenzano probabilmente sia la direzione che prenderanno le difficoltà del bambino, sia la risposta a determinati interventi. POSSIBILI CAUSE DEL DDAI Apparentemente non esiste una singola “causa” del DDAI. La sintomatologia propria del DDAI potrebbe piuttosto derivare da una varietà di meccanismi causali (Barkley, 1998). La maggior parte degli studi che indagano l’eziologia del DDAI è di tipo correlazionale. La prudenza è quindi d’obbligo nell’attribuire valore causale alle variabili identificate. Nondimeno sono stati raccolti dati empirici sul potenziale contributo causale di una serie di fattori all’insorgenza del DDAI (Barkley, 1998). Nella letteratura l’attenzione maggiore è riservata a variabili interne al bambino quali componenti neurobiologiche ed ereditarie (Barkley, 1998; Tannock, 1998). I contributi di queste variabili vengono brevemente sintetizzati di seguito. Le influenze ambientali (quali lo stress familiare, scarse competenze genitoriali a livello disciplinare) sembrano invece modulare la gravità del disturbo, ma non giocare un ruolo causale di per sé (Barkley, 1998). 33 DDAI a Scuola Variabili Neurobiologiche Storicamente i fattori neurobiologici hanno sempre ricevuto un’attenzione predominante sul piano eziologico. Le primissime ipotesi affermavano che i bambini con DDAI avessero un danno cerebrale strutturale che contribuiva alle difficoltà di attenzione e di controllo del comportamento (Barkley, 1998). Sembra che ci siano delle sottili differenze strutturali tra cervelli di individui con DDAI e quelli di soggetti di controllo normali. Nel dettaglio, studi che utilizzano metodologie di indagine strutturali (per es., l’immagine di risonanza magnetica [MRI]) e funzionali (per es., la tomografia a emissione di positroni [PET]) hanno individuato importanti differenze e possibili anomalie nelle connessioni fronto-striate del cervello (per una rassegna vedere Tannock, 1998). È interessante che una delle sezioni del cervello maggiormente studiata a tale proposito sia la corteccia prefrontale, che risulta coinvolta nell’inibizione del comportamento e nella mediazione delle risposte agli stimoli ambientali. Inoltre si ritiene che alcuni neurotrasmettitori, dopamina e norepinefrina nello specifico, siano “meno disponibili” in alcune regioni del cervello (per es., la corteccia frontale) contribuendo così alla sintomatologia del DDAI. Questa ipotesi si basa in parte sull’azione degli psicostimolanti (quali la Ritalina) sul cervello che accrescono la disponibilità di dopamina e norepinefrina. In base alle prove disponibili, si presume che queste differenze neurobiologiche siano riconducibili ad anomalie nello sviluppo normale del cervello dovute a fattori genetici, ormonali e/o ambientali (Tannock, 1998). Fattori ereditari Ci sono indizi consistenti che il DDAI sia un disturbo fortemente ereditario che si verifica ripetutamente all’interno delle famiglie (Faraone, 2000). Le prove a sostegno del ruolo primario dei fattori genetici sono state raccolte e ottenute in diversi modi. Prima di tutto i familiari stretti di bambini con DDAI mostrano un numero più elevato di sintomi presenti o passati di DDAI rispetto ai familiari di bambini sani (vedere Faraone et al., 1993). Inoltre, c’è una maggiore incidenza di DDAI fra i parenti biologici di primo grado e fra fratelli di sangue rispetto a parenti e fratelli acquisiti di bambini con DDAI adottati da piccoli (vedere Van der Oord, Boomsa & Verhulst, 1994). 34 Rassegna sul DDAI Una seconda strategia di ricerca per indagare l’ereditarietà dei sintomi DDAI è stata quella di analizzare pattern di sintomi in gemelli omo ed eterozigoti. Nello specifico la probabilità che un gemello manifesti un DDAI, nel caso in cui l’altro gemello sia già affetto dal disturbo (noto come grado di concordanza), è significativamente più elevata fra i gemelli omozigoti che fra quelli etero (vedere Levi, Hay, McStephen, Wood & Waldman, 1997). Dal momento che i gemelli omozigoti sono geneticamente identici, mentre gli eterozigoti condividono solo il 50% del loro patrimonio genetico, si presume che il grado di concordanza più elevato fra i gemelli omozigoti supporti l’ipotesi del ruolo predominante dei fattori ereditari (rispetto a quelli ambientali) nella manifestazione dei sintomi del DDAI. La maggior parte della varianza è spiegata dai fattori genetici come evidenziato da stime di ereditarietà che vanno dal .75 al .98 (per una rassegna vedere Tannock, 1998). Una piccola ma significativa percentuale di varianza nei sintomi viene spiegata da fattori ambientali idiosincratici, mentre nessuno di questi studi convalida il ruolo significativo di fattori ambientali comuni. Le stime di ereditarietà per il DDAI sono fra le più elevate di tutti i disturbi emotivi e del comportamento, superando anche le stime della schizofrenia e dell’autismo (Barkley, 1998). Studi di genetica molecolare hanno fornito alcune evidenze iniziali a sostegno dell’associazione fra geni di specifici neurotrasmettitori e l’espressione fenotipica dei sintomi del DDAI (vedere Comings et al., 2000). Malgrado sia ipotizzabile un coinvolgimento di geni multipli legati ai sistemi dopaminergico e noradrenergico (vedere Comings et al., 2000), fino a oggi solo due geni sono stati maggiormente al centro dell’attenzione ed espressamente, esistono importanti differenze, in campioni di individui con DDAI rispetto ai campioni di controllo (Comings et al., 2000), nel gene trasportatore della dopamina (DAT; Dougherty et al., 1999) e nel gene recettore della dopamina D4 (DRD; Swanson et al., 1998). Questi risultati sono interessanti dal momento che la dopamina è un neurotrasmettitore importante in quelle parti del cervello (la corteccia frontale) che risultano implicate nel DDAI e che i farmaci stimolanti fanno temporaneamente aumentare la disponibilità di dopamina nel terminale sinaptico. Sono chiaramente necessarie ulteriori replicazioni e ampliamenti di questi studi per identificare i geni che potrebbero giocare un ruolo nella sintomatologia del DDAI. 35 DDAI a Scuola Tossine ambientali Nel corso degli anni si è ipotizzato che numerose tossine ambientali potessero concorrere alla sintomatologia del DDAI. Alcune delle teorie più popolari hanno coinvolto fattori nutrizionali, avvelenamento da piombo ed esposizione prenatale a droghe o alcol (Barkley, 1998). Feingold (1975) ha, per esempio, sostenuto che determinati additivi nel cibo (quali i coloranti e i salicilati) portino a iperattività nel bambino. Studi scientificamente rigorosi che hanno indagato questa ipotesi, e altre ipotesi simili sullo zucchero, indicano che i fattori relativi alla dieta giocano un ruolo minimo nell’eziologia del DDAI (Barkley, 1998).Più recentemente, i ricercatori hanno riscontrato una relazione significativa fra il fumo materno (Milberger, Beiderman, Faraone, Chen & Jones, 1996) o la presenza di fumatori nell’ambiente durante la gravidanza (Mick, Biederman, Faraone, Sayer & Kleinman, 2002) e fra un basso peso alla nascita con l’insorgenza successiva di DDAI (Mick, Biederman, Prince, Fischer & Faraone, 2002). Anche se i risultati di studi correlazionali coinvolgono alcuni fattori ambientali nell’esordio del DDAI, il ruolo esatto che questi fattori giocano nel “causare” veramente questo disturbo sembra essere minimo, almeno per la maggior parte dei ragazzi che ricevono questa diagnosi. Conclusioni La conclusione più ragionevole, relativamente all’eziologia del DDAI, è che molteplici fattori neurobiologici possono predisporre i bambini a esibire gradi maggiori di impulsività e di attività motoria uniti a uno span di attenzione più breve della media se paragonati con altri bambini. Le prove più promettenti sono in direzione di un’influenza di fattori ereditari che potrebbero alterare il funzionamento del cervello (ossia la sua neurochimica), in particolare nel sistema fronto-striato. Inoltre, studi di genetica comportamentale hanno nel complesso corroborato la definizione del DDAI come disturbo dimensionale più che categorizzato (Levy et al., 1997). Per dirla diversamente, ognuno mostra sintomi di questo disturbo in alcune situazioni. Ciò che identifica i bambini con DDAI rispetto ai loro coetanei che non hanno ricevuto questa diagnosi è la possibilità di avere una predisposizione genetica (dovuta a differenze neurobiologiche) a manifestare questi comportamenti in grado significativamente maggiore rispetto agli altri individui della stessa età e genere. Bisognerebbe tenere sempre a mente i numerosi ammonimenti relativi alle conclusioni eziologiche. Prima di tutto, la ricerca in questo ambito è irta di 36 Rassegna sul DDAI difficoltà metodologiche che riducono la sicurezza nell’interpretazione dei risultati (Tannock, 1998). Secondo, anche se le variabili interne al bambino sembrano essere i fattori causali principali, questi risultati non dovrebbero portare a sottovalutare il ruolo dell’ambiente nel mantenimento dei sintomi del DDAI. Per esempio, come discusso nei Capitoli 4 e 5, gli interventi che implicano la manipolazione delle condizioni ambientali possono essere piuttosto efficaci nel migliorare il livello globale di funzionamento di questi bambini. Terzo, al momento attuale non ci sono collegamenti noti fra la “causa” del DDAI di un individuo e il piano di trattamento. Quindi, l’individuazione della causa ha una relazione minima con i miglioramenti nei risultati del trattamento. Forse con l’aumentare dell’utilizzo di tecnologie diagnostiche avanzate, in particolare nell’ambito della genetica molecolare, arriveranno anche informazioni utili a livello clinico sulle cause del DDAI. L’IMPATTO DI FATTORI SITUAZIONALI SULLA GRAVITà DEI SINTOMI DEL DDAI Malgrado le variabili biologiche siano considerate la cause principali del DDAI, il ruolo dei fattori ambientali nel creare le condizioni per o nel ridurre la probabilità di comportamenti associati al DDAI rimane importante per i professionisti che lavorano nei servizi. Gli stimoli antecedenti e conseguenti rivestono un ruolo determinante nella gravità dei problemi di attenzione, impulsività e controllo del comportamento. Infatti, la progettazione di interventi in classe per i bambini con DDAI viene migliorata dalla (1) individuazione dello scopo dei comportamenti associati al DDAI e (2) dall’applicazione di strategie che siano direttamente collegate allo scopo del comportamento stesso (DuPaul & Ervin, 1996; vedere anche i Capitoli 2 e 5 ). Per esempio, se si determina che la disattenzione di un bambino ha lo scopo quasi certo di catturare l’attenzione dell’insegnante, allora, nell’intervento in classe, bisognerebbe garantire al bambino l’attenzione dell’insegnante in seguito all’esibizione di comportamenti non disfunzionali. Si è convinti che, nonostante i fattori ambientali influenzino il comportamento di tutti i bambini, la performance dei bambini con problemi di attenzione e controllo del comportamento sia molto più sensibile a questi eventi. Importanti eventi situazionali attuali o pregressi che influenzano la probabilità del verificarsi di comportamenti associati al DDAI possono essere: il tipo di comando o indicazione data al bambino, il grado in cui il bambino 37 DDAI a Scuola riceve una supervisione mentre svolge un lavoro individuale, il numero di bambini presenti al momento delle indicazioni di lavoro (Barkley, 1998) e la presentazione di compiti scolastici percepiti come difficili o non graditi. Gli insegnanti affermano frequentemente che i bambini con problemi di controllo dell’attenzione e del comportamento sono in grado di portare a termine un lavoro con maggiore accuratezza se interagiscono con un “supervisore” (che sia l’insegnante, un assistente o un compagno) in modalità “unoa-uno”. Quando invece si chiede loro di completare un lavoro al tavolino o di seguire le indicazioni all’interno di un gruppo, gli studenti con DDAI incontrano numerose difficoltà (Barkley, 1998). Similmente, quando il lavoro autonomo viene supervisionato passo a passo, i bambini con DDAI sono in grado di produrre maggiori e migliori risultati rispetto a situazioni in cui la supervisione del lavoro è minima. I bambini con DDAI hanno anche maggiori probabilità di completare compiti che reputano stimolanti e interessanti come anche compiti che rientrano nel loro range di competenze (ossia che abbiano una difficoltà didattica proporzionata). Inoltre, esistono prove che bambini con questo disturbo si comportano in maniera più appropriata quando gli si permette di scegliere fra una varietà di compiti, rispetto alle situazioni in cui gli si ordina di portare a termine un’attività specifica (Dunlap et al., 1994). I bambini con DDAI rispettano più facilmente comandi impartiti in maniera chiara ed esplicita (per es., “Torna al lavoro”) rispetto a comandi che vengono presentati sotto forma di domanda o richiesta (“Torneresti al lavoro per favore?”) (Anastopoulos, Smith & Wein, 1998). Inoltre, è più probabile che le indicazioni date vengano seguite se comunicate in assenza di potenziali distrattori (quali giocattoli o televisione) e se lo studente ha un contatto oculare con chi le impartisce. Infine, l’aderenza alle istruzioni è maggiore in casi di supervisione costante del bambino fin dal primo momento dopo aver impartito il comando (Barkley, 1997b). Pertanto, le condizioni antecedenti che promuovono un migliore controllo del comportamento e della performance scolastica contemplano la trasmissione di comandi concreti uniti alla supervisione “uno-a-uno” del lavoro del bambino. Esiste una varietà di fattori che regola il grado in cui le possibili conseguenze possono determinare il comportamento del bambino con DDAI. Questi fattori possono essere il periodo di latenza fra l’esibizione del comportamento e le conseguenze, la frequenza del rinforzo, il grado di importanza o “significatività” che queste conseguenze hanno per il bambino e le caratteristiche di 38 Rassegna sul DDAI eventuali richiami verbali (Pfiffner & Barkley, 1998). I bambini con DDAI hanno performance simili a quelle dei loro compagni in condizioni di rinforzo immediato e frequente (Pfiffner & Barkley, 1998). Questo soprattutto nei casi in cui il rinforzo è particolarmente importante e significativo per il bambino. Sfortunatamente, nella maggior parte delle classi, il rinforzo è differito e poco frequente. Inoltre, i rinforzi tipici del contesto scolastico (voti ed elogi degli insegnanti) sono solitamente al grado più basso del continuum di importanza e significatività. I rimproveri verbali vengono comunemente utilizzati dagli insegnanti per ridurre i comportamenti disfunzionali degli studenti (White, 1975). Di solito, tali richiami vengono fatti a voce alta di fronte a tutta la classe con l’insegnante che esibisce anche segnali non-verbali (aggrottare la fronte, arrossire in volto) di rabbia nei confronti degli studenti oggetto del rimprovero. Un insieme consistente di ricerche dimostra invece come i rimproveri abbiano una maggiore probabilità di ridurre il comportamento disfunzionale se fatti in separata sede direttamente al bambino, subito dopo l’avvenuta trasgressione, senza discussioni e coinvolgimento emotivo (vedere Pfiffner & O’Leary, 1987). Questi ultimi due fattori sono particolarmente importanti quando si cerca di ridurre il comportamento disfunzionale di uno studente disattento. Il DDAI come disturbo della compromissione nella risposta differita Il ruolo cruciale che l’interazione dei fattori biologici interni al bambino e degli eventi ambientali gioca nel determinare la gravità dei sintomi del DDAI ha portato a recenti cambiamenti nella concettualizzazione dei deficit sottostanti a questo disturbo. In particolare, la caratteristica principale del DDAI potrebbe essere una compromissione nella risposta differita (ossia nell’inibizione comportamentale) piuttosto che un deficit attentivo di per sé (Barkley, 1997a; 1998). Molti contesti importanti (quali la classe) e molte abilità (per es., il linguaggio interiore) implicano la capacità di differire nel tempo la risposta all’ambiente. Quindi un deficit nella risposta differita porta alla manifestazione dei sintomi del DDAI in molteplici situazioni e influenza negativamente lo sviluppo di un comportamento guidato da regole. Barkley (1997a) ha descritto un modello teorico del DDAI come disturbo dell’inibizione comportamentale in cui la compromissione della risposta differita all’ambiente inficia lo sviluppo di quattro funzioni esecutive di importanza critica. Queste funzioni sono la memoria di lavoro; l’autoregolazione 39 DDAI a Scuola nel circuito emozione-motivazione-livello di arousal, il linguaggio interiore e l’analisi/sintesi del comportamento. Il mancato sviluppo di queste funzioni esecutive porta a una moltitudine di problemi nel funzionamento cognitivo, scolastico e sociale. Questo modello teorico quadra a livello intuitivo ed è coerente con la letteratura esistente su questo disturbo (per una rassegna vedere Barkley, 1997a). Tuttavia, solo adesso iniziano a essere presenti in letteratura ricerche scientifiche che utilizzano questo modello teorico a priori per la formulazione delle ipotesi. Pertanto, il vero valore di questa teoria nello spiegare il DDAI e nel formulare strategie di intervento attende ancora ulteriori verifiche empiriche. Nonostante siano necessarie ulteriori ricerche, le implicazioni di questo modello concettuale del DDAI sono molto chiare. Gli interventi per questo disturbo dovrebbero includere cambiamenti nelle variabili interne al bambino (ossia cambiamenti temporanei nel funzionamento cerebrale ottenuti attraverso farmaci stimolanti) e/o cambiamenti negli stimoli antecedenti e conseguenti, per accrescere la probabilità che si verifichi una risposta differita, che quindi generi un comportamento attento e produttivo (Barkley, 1997a). Sfortunatamente, la maggior parte della classi sono strutturate in modo da fornire rinforzi differiti e non frequenti sulla base della convinzione che così gli studenti sviluppano una “motivazione interiore” al rispetto delle regole e al completamento dei compiti scolastici. Queste condizioni sono proprio quelle che, nei bambini con DDAI, generano maggiormente comportamenti disfunzionali nell’area dell’attenzione (per es., la compromissione dell’inibizione della risposta). Quindi, la sfida per i professionisti dell’educazione è di introdurre stimoli ambientali che possano accrescere le probabilità di riuscita in tutte le classi in cui sono inseriti studenti disattenti e impulsivi (vedere Capitolo 5). ESITI A LUNGO TERMINE DEI BAMBINI CON DDAI Per molti anni si è creduto, soprattutto fra i membri della comunità più ampia, che i bambini con DDAI “perdessero” le loro difficoltà di controllo del comportamento non appena adolescenti o giovani adulti. Sfortunatamente questa convinzione non deriva da ricerche longitudinali sul disturbo (vedere Weiss & Hechtman, 1993). Con il procedere dei bambini con DDAI verso l’adolescenza, la frequenza assoluta e l’intensità dei loro sintomi diminuisce (Barkley, 1998). Ossia, si verificano dei miglioramenti nell’ambito dell’atten40 Rassegna sul DDAI zione, dell’impulsività e soprattutto dell’iperattività rispetto al comportamento presente nella scuola materna ed elementare. Certamente anche i coetanei mostrano miglioramenti nel controllo del comportamento contribuendo così all’aumento del gap fra gli adolescenti con DDAI e i compagni. Infatti una percentuale fra il 70 e l’85% di bambini con DDAI continua a manifestare deficit significativi nell’area dell’attenzione e dell’impulsività se paragonati ai loro coetanei (Barkley, Fischer et al., 1990; Biederman et al., 1996). In aggiunta alla sintomatologia del DDAI che persiste, gli adolescenti con DDAI esibiscono problemi di adattamento in numerosi ambiti di vita. Prima di tutto, è accertato che più del 60% degli adolescenti con questo disturbo manifesta frequenti comportamenti di ribellione e inottemperanza nei confronti di figure di autorità e nei confronti delle regole (Barkley, Fissare et al., 1990; Biederman et al., 1997). Inoltre, più del 40% degli adolescenti con DDAI mostra comportamenti antisociali significativi: essere protagonisti di risse, rubare e compiere atti di vandalismo (Barkley, Fisher et al., 1990; Gittelman et al., 1985). Se paragonati ai loro compagni di classe normali, gli adolescenti con questo disturbo hanno maggiori probabilità di ripetere più volte gli anni scolastici, di essere sospesi dalla frequenza, di abbandonare precocemente la scuola e di fare uso di sostanze illecite. Il rischio dell’abuso di droga sembra imputabile alla presenza di importanti disturbi della condotta che vanno ad aggiungersi ai sintomi del DDAI (Biederman et al., 1997; Gittelman et al., 1985). Pertanto, per una grande percentuale di bambini con DDAI, non è realistico affermare che prima o poi le difficoltà nella vita quotidiana “andranno perse” come conseguenza della crescita. Esistono numerose ricerche sugli esiti longitudinali a lungo termine di bambini con DDAI monitorati fino a quando sono diventati giovani adulti (ossia fino a 18-25 anni). In generale questi studi hanno riscontrato che più del 50% dei bambini con DDAI continuava a manifestare in età adulta sintomi del disturbo, particolarmente nell’area dell’attenzione e dell’impulsività, soprattutto dove venivano utilizzate misure quali interviste ai genitori rispetto a misure di self-report (Barkley, Fischer, Smallish & Fletcher, 2002). Il rischio maggiore per gli adolescenti di questa popolazione, entrati nell’età adulta, è rappresentato proprio dall’insuccesso scolastico e dai comportamenti antisociali. Quasi un terzo di questi adulti aveva abbandonato la scuola superiore e solo un 5% aveva portato a termine un corso di laurea rispetto al 40% del gruppo di controllo (Barkley, Fisher et al., 1990). Circa il 25% o più di questi bambini 41 DDAI a Scuola aveva sviluppato pattern cronici di comportamento antisociale che persistevano nell’età adulta e che si accompagnavano ad altri problemi di adattamento (per es., abuso di sostanze, difficoltà interpersonali, disoccupazione). I tardo adolescenti e i giovani adulti con DDAI hanno maggiori probabilità rispetto ai loro coetanei sani di ricevere multe per eccesso di velocità e di essere vittime di incidenti stradali come guidatori (Barkley, Guevremont, Anastopoulos, DuPaul & Shelton, 1993; Barkley, Murphy, DuPaul & Bush, 2002). Una nota positiva è rappresentata dal fatto che circa un terzo dei bambini seguiti fino all’età adulta non mostrava più sintomi e risultava relativamente ben adattata (Barkley, 1998). Questo disturbo dell’infanzia comporta tuttavia rischi di esiti negativi a lungo-termine piuttosto alti rispetto al gruppo di controllo senza DDAI. I ricercatori hanno condotto diverse analisi per individuare le variabili presenti nell’infanzia che possano prevedere con un certo grado di affidabilità gli esiti, in adolescenza e in età adulta, di individui con DDAI. Sono stati identificati pochissimi predittori specifici oltre a quelli validi per tutta la popolazione (per es., punteggi ai test di intelligenza, status socioeconomico). Esistono comunque due predittori che i professionisti dovrebbero considerare rilevanti nel loro lavoro. L’insorgenza precoce di comportamenti antisociali, in particolare mentire, rubare ed essere protagonisti di risse, è predittiva di una futura evoluzione antisociale e forse di una persistenza del DDAI (Barkley, 1998; Biederman et al., 1996). Per insorgenza precoce si intende prima degli 8-10 anni. Il rifiuto da parte dei propri coetanei nell’infanzia è predittivo di problemi persistenti di adattamento interpersonale negli anni successivi (Barkley, 1998; Parker & Asher, 1987). Attualmente, la combinazione fra il livello cognitivo, i problemi psicosociali e le condizioni di crescita del bambino rappresenta lo schema predittivo migliore (Barkley, 1998; Biederman et al., 1996). Data la natura cronica del disturbo e i relativi rischi a lungo termine per una grande percentuale di bambini, si va sempre più diffondendo un largo consenso sulla necessità di modalità di intervento multiple per tutta la durata degli anni di scuola (Barkley, 1998). Piuttosto che cercare di “curare” il disturbo, quindi, i professionisti che lavorano a scuola e i genitori dovrebbero aiutare i bambini a “compensare” i loro problemi di controllo del comportamento. Si ritiene inoltre che il DDAI sia un disturbo che si colloca nell’interfaccia fra il set biologico del bambino (per es., le differenze genetiche nel funzionamen42 Rassegna sul DDAI to dei neurotrasmettitori) e l’ambiente (per es., i fattori situazionali) nel quale l’individuo ha una predisposizione a essere coinvolto con maggiore frequenza in comportamenti disinibiti e iperattivi rispetto ai coetanei, soprattutto in determinate condizioni ambientali. Il trattamento dovrebbe quindi comprendere sia cambiamenti negli ambienti scolastici e familiari che tentativi di modificare le variabili interne al bambino attraverso l’uso di farmaci psicostimolanti. Con questa prospettiva in mente, per tutto il corso del libro daremo importanza alla promozione di metodologie che siano in grado di creare e mantenere “ambienti protesici” (Barkley, 1998) che permettano ai bambini con DDAI di conseguire il successo in ambito scolastico, emotivo e sociale. Per raggiungere questi risultati i professionisti che lavorano a scuola, i genitori e altri professionisti che operano nell’ambito della salute devono fare uno sforzo congiunto per tutto il corso della frequenza scolastica. RASSEGNA DEI SEGUENTI CAPITOLI Lo scopo di questo libro è fornire ai professionisti che lavorano a scuola una guida per la valutazione e il trattamento degli studenti con DDAI. Si è tentato di identificare tecniche di valutazione e di intervento con basi empiriche rigorose e adattabili all’applicazione nel mondo reale. In questa seconda edizione del nostro testo abbiamo aggiornato e ampliato la descrizione delle strategie di valutazione e trattamento che possono essere usate con efficacia in contesti scolastici per tutto il periodo dello sviluppo. Nel Capitolo 2 presentiamo un modello per la valutazione e lo screening del DDAI a scuola. Suggeriamo che il processo di valutazione di studenti che esibiscono comportamenti associati al DDAI implichi l’utilizzo di tecniche multiple trasversali ai contesti scolastico e familiare. Lo scopo di questo processo di valutazione non è semplicemente raggiungere la diagnosi, ma, cosa più importante, guidare lo sviluppo di un piano di intervento efficace. La valutazione funzionale del comportamento è particolarmente critica nel creare un collegamento diretto fra gli esiti diagnostici e il trattamento. Nel Capitolo 3 esaminiamo nel dettaglio la relazione fra il DDAI e le difficoltà nella performance scolastica. Anche se il DDAI non è un disturbo dell’apprendimento in quanto tale, una minoranza significativa di bambini con problemi di attenzione e controllo del comportamento manifesta deficit 43 DDAI a Scuola in alcune abilità scolastiche. Non è chiaro se sia il DDAI a “causare” i deficit nelle abilità scolastiche o il contrario. Tuttavia, è più probabile che questi disturbi siano semplicemente correlati, piuttosto che uno la causa dell’altro. Offriamo anche dei suggerimenti per prendere decisioni sulla candidabilità di studenti con DDAI all’inserimento in classi di educazione speciale. Il DDAI è un disturbo che insorge molto presto, con sintomi che si manifestano di solito prima dei 7 anni. Nel Capitolo 4 descriviamo le metodologie per identificare i bambini molto piccoli a rischio di sviluppare un DDAI e le strategie per minimizzare la gravità dei comportamenti disfunzionali a esso associati (quali l’aggressività e la ribellione) e per promuovere il successo scolastico nei primi anni di scuola. Dato che il DDAI può essere cronico e può associarsi a scarso rendimento scolastico, l’identificazione e l’intervento precoci potrebbero giocare un ruolo critico nel promuovere il successo a lungo termine di bambini affetti da questo disturbo. Uno degli interventi più efficaci per il DDAI è la manipolazione degli antecedenti e dei conseguenti nel contesto classe. Nel Capitolo 5 illustriamo le tecniche comportamentali che si sono rivelate efficaci nel migliorare il controllo del comportamento, la performance scolastica e il comportamento sociale. Proponiamo un modello empirico, basato sul problem-solving, per progettare interventi scolastici e comportamentali, che può essere applicato nella sua globalità soprattutto in contesti di scuola elementare. Nella discussione di queste tecniche enfatizzeremo soprattutto l’importanza di collegare i dati raccolti attraverso la valutazione funzionale sia con il curricolo scolastico e che con il modello di intervento. Il trattamento del DDAI maggiormente studiato e che da i migliori risultati, in un’ottica di analisi costi-benefici, è la prescrizione di farmaci psicostimolanti come la Ritalina (metilfenidato). Questi farmaci possono indurre, nel 70-80% dei bambini con DDAI, miglioramenti nei comportamenti diretti al compito, nell’impulsività, negli atteggiamenti sociali e nel rendimento scolastico. Nel capitolo 6 descriviamo i farmaci specifici (inclusi i non stimolanti), i loro effetti comportamentali, gli effetti collaterali e i fattori che modulano il rapporto dose-risposta. Evidenziamo, inoltre, come i professionisti che lavorano a scuola possano aiutare i medici nel valutare la risposta ai farmaci. Per diminuire la gravità della sintomatologia del DDAI sono spesso necessari interventi multipli trasversali ai diversi contesti. I farmaci e le tecniche comportamentali applicate in classe potrebbero quindi essere integrati con 44 Rassegna sul DDAI training nelle abilità sociali, parent training e/o terapia familiare comportamentale. Nel capitolo 7 presentiamo questi trattamenti. Forniamo inoltre alcune indicazioni utili per mettere in guardia i genitori sui “trattamenti” per il DDAI che non hanno alcun fondamento empirico (per es., il biofeedback). Il lavoro di équipe è cruciale per raggiungere esiti positivi nel trattamento del DDAI. Nel Capitolo 8 affrontiamo nel dettaglio la questione della comunicazione fra i professionisti e i genitori. Troppo spesso una cattiva comunicazione fra scuola e famiglia o fra i professionisti che lavorano a scuola e quelli dei servizi territoriali (per es., i medici) ha come risultato la fornitura di un servizio scadente. In questo capitolo delineiamo anche i metodi per promuovere una comunicazione efficace fra i membri dell’équipe di intervento. Nel Capitolo 9 discuteremo le future direzioni di ricerca e dei programmi di intervento a scuola per il DDAI. Si deve chiaramente porre un’attenzione sempre maggiore alle istruzioni dirette, alle abilità organizzative e al counseling di orientamento per i bambini con questo disturbo. I suggerimenti proposti in questo libro sono solo un punto di partenza ed è pertanto necessario continuare a sviluppare strategie scolastiche che portino a risultati sempre più favorevoli per i ragazzi con DDAI e con difficoltà a esso associate. 45 CAPITOLO 2 Valutazione del DDAI in contesti scolastici Di solito, si utilizzano tecniche di valutazione multiple, nei contesti familiari e scolastici, per effettuare una valutazione completa di bambini a rischio di DDAI (Accademia Americana di Pediatria, 2000; Barkley, 1998; Istituto Nazionale della Salute, 1998). Sebbene i criteri diagnostici fissati per il disturbo siano stati sviluppati e pubblicati prevalentemente da medici (Associazione Americana di Psichiatria, 2000), i professionisti che lavorano a scuola devono essere ben informati sulle procedure di valutazione appropriate per una serie di buone ragioni. Primo, perché i problemi di attenzione e controllo del comportamento sono una delle due cause più comuni che spingono la scuola a effettuare un invio agli psicologi clinici dell’età evolutiva. Gli psicologi scolastici devono pertanto essere in grado di condurre una valutazione del DDAI da soli o, almeno, di essere al corrente di quali specialisti dei servizi territoriali potrebbero fornire loro una valutazione adeguata. Secondo, gli psicologi scolastici hanno un accesso diretto a fonti di informazione e dati (rappresentati dagli insegnanti, dall’osservazione del comportamento del bambino in contesti non artificiali) cruciali per la diagnosi differenziale del DDAI. Terzo, il DDAI ha una prevalenza maggiore in determinate popolazioni (per es., nei bambini con disturbi dell’apprendimento). Infine, i bambini con DDAI potrebbero essere inviati a servizi di educazione speciale in quanto inseribili nella categoria “altre problematiche di salute” della Legge Federale sull’Educazione degli Individui con Disabilità del 1997 (Hakola, 1992). 47 DDAI a Scuola Gli psicologi scolastici saranno dunque chiamati a contribuire alla decisione di inviare o meno questi bambini a simili servizi in quanto rientranti nella suddetta categoria. Lo scopo di questo capitolo è descrivere un approccio di valutazione scolastico del DDAI che includa tutte le tecniche presenti nella letteratura sull’argomento che presentano il massimo rigore scientifico.1 UTILIZZO DEI CRITERI DIAGNOSTICI NELLA VALUTAZIONE SCOLASTICA DEL DDAI Definizione attuale di DDAI Il DDAI è stato definito e concettualizzato in molti modi negli ultimi decenni, situazione che ha portato a una grande confusione fra i professionisti sulla diagnosi e le procedure di valutazione corrette. (Barkley, 1998). Più recentemente sta emergendo un consenso sul fatto che il DDAI sia caratterizzato da disattenzione e/o iperattività/impulsività presenti con frequenze non adeguate all’età di sviluppo (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Queste due dimensioni del comportamento comportano una compromissione del funzionamento, per cui il bambino con DDAI manifesta difficoltà nella risposta differita all’ambiente, nello sviluppo dell’autocontrollo e nel mantenimento di una performance di lavoro costante per un determinato lasso di tempo (Associazione Americana di Psichiatria, 2000; Barkley, 1998). I comportamenti, o “sintomi” caratterizzanti il DDAI, secondo i criteri del DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatra, 2000), sono elencati nella Tabella 2.1. Per essere considerati sintomi di DDAI tali comportamenti devono manifestarsi precocemente nell’infanzia (prima dei 7 anni) e devono essere presenti nel tempo in almeno due contesti differenti (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Un bambino deve esibire almeno sei dei nove sintomi di disattenzione e/o almeno sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività. 1 Per una dimostrazione pratica dell’applicazione del nostro modello diagnostico i lettori possono visionare la videocassetta La valutazione del DDAI a scuola (DuPaul & Stoner, 1999a). 48 Valutazione del DDAI in contesti scolastici TABELLA 2.1. Sintomi del Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività secondo il DSM-IV Sintomi di Disattenzione (1)sei (o più) dei seguenti sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo: (a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro a casa o in altre attività (b)spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco (c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente (d)spesso non segue le istruzioni passo-passo e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul luogo di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni) (e) spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività (f ) spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono uno sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa) (g)spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o strumenti vari) (h)viene facilmente e frequentemente distratto da stimoli estranei (i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane Sintomi di Iperattività-Impulsività (2)sei (o più) dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno 6 mesi con una intensità che causa disadattamento e contrasta con il livello di sviluppo: (a) spesso muove con irrequietezza mani e piedi e si dimena sulla sedia (b)spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci aspetta che resti seduto (c)spesso corre, scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti ciò potrebbe limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza) (d)spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti tranquilli (e) è spesso “sotto pressione” o agisce come fosse “motorizzato” (f ) spesso parla troppo (g)spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate (h)spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno (i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi) 1 49 DDAI a Scuola La diagnosi di DDAI viene di solito fatta stabilendo la deviazione dal livello di sviluppo e la prevalenza dei sintomi. Allo stesso tempo è egualmente importante escludere altre possibili cause della disattenzione, dell’impulsività e dell’irrequietezza motoria del bambino. Queste cause potrebbero includere istruzioni scolastiche e strategie di gestione non adeguate; un grave danno neurologico, sensoriale, motorio o linguistico, ritardo mentale o gravi disturbi della sfera affettiva (Barkley, 1998). Esistono tre sottotipi di DDAI. Il tipo combinato si applica a bambini che manifestano almeno sei sintomi di disattenzione e almeno sei sintomi di iperattività-impulsività. Questa è la variante “classica” del DDAI che è stata ampiamente studiata nella letteratura e che rappresenta il sottotipo più problematico. Il tipo di DDAI con disattenzione predominante (le definizioni precedentemente utilizzate erano “disturbo da deficit dell’attenzione indifferenziato” e “disturbo da deficit dell’attenzione senza iperattività”) viene diagnosticato in quei bambini che mostrano almeno sei dei nove sintomi di disattenzione e non più di cinque sintomi iperattivi-impulsivi. Infine, il tipo di DDAI con iperattività-impulsività predominanti viene diagnosticato a quei bambini che mostrano almeno sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività ma meno di sei sintomi di disattenzione. Si sa molto poco di questo sottotipo, a parte il fatto che dovrebbe essere più comune nei bambini molto piccoli che sono a rischio di sviluppare in età più avanzata la forma combinata (Lahey et al., 1994). Inoltre, i bambini al di sotto dei 6 anni potrebbero non avere occasioni sufficienti per mostrare sintomi di disattenzione e potrebbero quindi essere inclusi nel gruppo iperattivo-impulsivo. I vantaggi dell’approccio del DSM-IV Anche se i criteri diagnostici del DDAI sono stati sviluppati all’interno di un modello medico dei problemi infantili, esistono diverse ragioni valide per considerarli utili anche in un contesto scolastico. Prima di tutto, i sintomi elencati descrivono un insieme di problemi comportamentali che covariano con un certo grado di affidabilità in alcuni bambini. Una diagnosi (ossia un insieme di comportamenti che covariano) può essere utilizzata per predire il successo di alcuni trattamenti; il rischio di comorbidità con disturbi del comportamento attuali e futuri e per suggerire delle possibili variabili di controllo (Barlow, 1981). 50 Valutazione del DDAI in contesti scolastici In secondo luogo, l’utilizzo dei criteri del DSM-IV da alla procedura valutativa una forma standardizzata, accrescendo di conseguenza l’accordo fra professionisti diversi sulla diagnosi stessa. Terzo, tali criteri guidano la scelta fra ipotesi alternative (altri disturbi o problemi) che potrebbero rendere conto di quelli che sembrano essere sintomi di DDAI. Conclusioni basate su una diagnosi differenziale possono far accrescere le possibilità di progettare un piano di intervento in classe con esiti positivi. Per esempio, se la disattenzione di un bambino fosse legata a un disturbo d’ansia piuttosto che al DDAI le strategie di intervento sarebbero piuttosto differenti. Quarto, un altro vantaggio dell’utilizzo dei criteri del DSM-IV nel protocollo di valutazione è rappresentato dalla lista di sintomi, la cui analisi dettagliata potrebbe portare all’identificazione delle problematiche comportamentali che diventeranno il target dell’intervento. Quei sintomi che, per esempio, vengono esibiti con maggiore frequenza o che vengono considerati dai genitori e dagli insegnanti come più importanti dovrebbero diventare il focus iniziale del trattamento. Quinto, introdurre nella procedura valutativa dei criteri diagnostici su cui esiste un accordo ampio (ossia utilizzare un linguaggio comune) certamente migliora la comunicazione con altri specialisti della salute mentale (psicologi clinici dell’età evolutiva) o con i medici che si occupano dello stato psicologico del bambino, promuovendo così un approccio di équipe al trattamento. Limiti dell’approccio del DSM Nonostante i criteri del DSM rappresentino una componente importante della procedura valutativa, bisogna tenere in considerazione i diversi limiti che presentano. Prima di tutto, i criteri per il DDAI sono stati sviluppati all’interno di un modello medico e pertanto sottintendono che il “problema” sia localizzato all’interno del bambino. L’etichettamento di un bambino come “disturbato” potrebbe ridurre i tentativi di valutare le variabili ambientali che potrebbero giocare un ruolo importante nel causare o mantenere i problemi comportamentali. Secondo, l’utilizzo di un sistema di classificazione psichiatrica potrebbe promuovere una ricerca del patologico che, in certe condizioni, risulterebbe in una prevalenza esagerata di disturbi comportamentali nei bambini (meglio nota come identificazione di “falsi positivi”). 51 DDAI a Scuola Queste eventualità suggeriscono la necessità di un approccio valutativo con metodologie differenti in cui misure oggettive (per es., osservazioni del comportamento) integrano l’utilizzo di tecniche più soggettive quali, per esempio, l’intervista diagnostica (Achenbach & McConaughy, 1996). Terzo, un sistema di classificazione psichiatrica che genera un’etichetta diagnostica può compromettere l’autostima del bambino se gli altri iniziano a considerarlo un “disturbato”. Gli effetti iatrogeni di una diagnosi di DDAI non sono stati ancora investigati a livello empirico, anche se questo è un argomento di discussione piuttosto frequente fra i professionisti. Il quarto limite, abbastanza importante, dell’approccio del DSM è il seguente: le proprietà psicometriche (affidabilità, validità) dei vari criteri diagnostici non sono stabilite con chiarezza e completezza (Gresham & Gansle, 1992). Sono necessarie una serie di competenze per assicurare un utilizzo appropriato del paradigma di classificazione del DSM (adattato da Barlow 1981). Prima di tutto, gli psicologi scolastici dovrebbero avere una certa familiarità con la psicopatologia dell’infanzia per conoscere quali comportamenti presentino di solito una covariazione (la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività). Secondo, è necessaria una conoscenza operativa degli attuali criteri del DSM per tutta la psicopatologia dell’infanzia e non solo per il DDAI. Questo richiede familiarità non solo con le liste dei sintomi ma anche con i criteri in funzione dell’età di insorgenza e della persistenza minima dei problemi comportamentali. Infine, gli psicologi devono essere stati addestrati all’utilizzo di un protocollo di valutazione completo per determinare quali sintomi siano presenti nel repertorio comportamentale di uno studente. Il DDAI può essere meglio identificato come il risultato di un “cattivo adattamento” fra il set biologico del bambino e l’ambiente, per esempio la struttura e le variabili contestuali della classe. In un simile ambito, i criteri diagnostici forniscono indicazioni sulla covariazione di alcuni problemi comportamentali, sulle variabili di controllo e sugli interventi efficaci basati sulla definizione generale di DDAI (Barlow, 1981). Pertanto la discussione dei criteri del DSM deve essere integrata con metodologie di valutazione multiple, condotte in contesti differenti per identificare gli specifici problemi comportamentali, le variabili di controllo e le possibili strategie di intervento applicabili al singolo studente. La diagnosi di DDAI è solo il primo passo nel processo di definizione e valutazione degli interventi per promuovere un successo maggiore all’interno delle classi. 52 Valutazione del DDAI in contesti scolastici RASSEGNA DELLE METODOLOGIE DI VALUTAZIONE Di solito, il processo di valutazione del DDAI in cui si utilizzano differenti metodologie di raccolta dei dati in contesti disparati e da fonti di informazione diverse avviene secondo un approccio comportamentale (Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). In particolare, si pone l’accento sulla possibilità di ottenere informazioni affidabili sul comportamento del bambino dai genitori, dagli insegnanti e dalle prime osservazioni della performance dello studente. Pertanto, le principali componenti della procedura di valutazione sono: le interviste con i genitori e gli insegnanti del bambino, i questionari compilati dai genitori e dagli insegnanti e le osservazioni dirette del comportamento in differenti contesti e attività. Anche se tutte queste misure possono essere utilizzate anche con gli adolescenti, sono necessarie alcune modifiche (per es., l’inclusione di misure di self-report) per mantenere un buon livello di affidabilità e validità dei dati (vedere la sezione seguente sulle “Considerazioni Evolutive”). Ciascuna metodologia verrà discussa nel dettaglio nella sezione seguente, anche in funzione della fase della procedura valutativa. Le interviste con i genitori, gli insegnanti e il bambino vengono fatte per determinare la presenza o meno dei diversi sintomi elencati dal DSM e per identificare i fattori attuali o antecedenti che contribuiscono al mantenimento dei comportamenti problematici. Le scale di valutazione del comportamento completate dai genitori e dagli insegnanti forniscono dati che aiutano a stabilire la gravità dei comportamenti associati al DDAI utilizzando il paragone con campioni normativi. Per integrare i report dei genitori e degli insegnanti, vengono utilizzate numerose misure dirette del comportamento del bambino. Si osserva il comportamento in differenti contesti (per es., in classe e in cortile) e in diverse occasioni per stabilire la frequenza e/o la durata dei comportamenti target. La frequenza di un comportamento viene di solito paragonata con quella degli altri compagni di classe per determinare la deviazione dalla media. Infine, vengono raccolti ed esaminati i risultati pratici delle azioni del bambino (per es., il numero di esercizi scolastici completati e l’accuratezza nell’esecuzione). Tutte le tecniche hanno dei limiti ma, se utilizzate all’interno di un modello multimodale, danno vita a un sistema in cui le mancanze proprie di una misura vengono compensate dai dati raccolti con un’altra (Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). 53 DDAI a Scuola Numerose metodologie valutative, solitamente utilizzate dagli psicologi scolastici, non sono invece utili nel caso del DDAI. I risultati in test cognitivi, neuropsicologici e di profitto, di solito, non si rivelano adeguati a discriminare bambini con DDAI da quelli che non lo sono. Ad oggi, non esiste nessun test o batteria di test a somministrazione individuale che presenti un grado accettabile di validità ecologica da poter essere considerato utile nella diagnosi del DDAI (Barkley, 1992). Per esempio, il test utilizzato con maggiore frequenza dagli psicologi scolastici (la Scala di Intelligenza Wechsler per i bambini – WISC-III) non discrimina con affidabilità i bambini con DDAI dai bambini normali o dagli studenti con disturbi dell’apprendimento (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990). Aspetto ancora più importante, i punteggi nel fattore Non-Distraibilità (composto dai subtest Ragionamento Aritmetico, Memoria di Cifre e Associazione fra simboli e numeri) della WISC-III non sono indicatori diagnostici affidabili per il DDAI (Anastopoulos, Spisto & Mahler, 1994). Una scarsa performance in questo fattore può derivare da una serie di cause, inclusa l’ansia da prestazione. Inoltre, i bambini con DDAI mostrano spesso livelli adeguati di attenzione e controllo del comportamento in compiti altamente strutturati e che implicano un’interazione “uno-a-uno” con un adulto sconosciuto, eventualità piuttosto frequente nei test a somministrazione individuale (Barkley, 1998). Quindi, nonostante i test a somministrazione individuale possano essere utili nel determinare il livello cognitivo e il profitto del bambino, non sono componenti necessarie del processo di valutazione per il DDAI. Nella prassi diagnostica quotidiana del DDAI sono state incluse misure standardizzate dell’attenzione sostenuta e del controllo degli impulsi (Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). Questi test forniscono dati oggettivi che non sono influenzati da fattori che potrebbero distorcere i report dei genitori e degli insegnanti (per es., la presenza di psicopatologia del genitore) (Gordon, 1986). Una delle misure standardizzate più diffuse è il Continuous Performance Test (CPT; Rosvold, Mirsky, Sarason, Bransome & Beck 1956) e le sue varianti il Gordon Vigilance Task (Gordon, 1983) e il Conners Continuous Performance Test (Conners, 1995). Sebbene i punteggi al CPT sembrino discriminare i bambini con DDAI dai loro coetanei normali a livello gruppale, l’utilità di queste misure nella valutazione individuale è limitata da numerosi fattori. Primo, diverse ricerche non sono riuscite a ottenere correlazioni significative fra misure criterio (per 54 Valutazione del DDAI in contesti scolastici es., i voti degli insegnanti) e i punteggi in diverse somministrazioni di CPT (Halperin, Sharma, Greenblatty & Schwartz, 1991; Lovejoy & Rasmussen, 1990). Secondo, quando si separano le percentuali di varianza spiegate dall’età, dal genere e dalle abilità di comprensione del vocabolario, i punteggi in queste misure non riescono più a distinguere i bambini con DDAI, i bambini con disturbo della condotta, i bambini con disturbi d’ansia e i loro coetanei normali (Weery, Elkind & Reeves, 1987). Anche quando si ottengono correlazioni significative fra i punteggi al CPT e le misure criterio, queste sono di solito di scarsa rilevanza (con valori che variano di solito fra .21 e .50), suggerendo che i risultati in compiti clinici spiegano una percentuale di varianza minima degli indici del criterio (Barkley, 1991). Inoltre, i punteggi al CPT, da soli o in combinazione, portano di solito a conclusioni diagnostiche opposte a una diagnosi di DDAI basata sulle interviste ai genitori e sui dati delle scale di valutazione del comportamento (DuPaul, Anastopoulos, Shelton, Guevremont & Metevia, 1992). Infine, anche quando si ottengono punteggi al CPT clinicamente significativi il grado in cui questi punteggi siano specifici del DDAI e siano di aiuto per una diagnosi differenziale è discutibile (McGee, Clark & Symons, 2000). Pertanto, la conclusione più ragionevole, al momento, è che l’utilità di strumenti di laboratorio nella valutazione del DDAI è limitata da una loro dubbia validità ecologica (Anastopoulos & Shelton, 2001; Rapport, Chung, Shore, Denney & Isaacs, 2000). Le misure che gli psicologi scolastici utilizzano di solito per valutare il funzionamento emotivo degli studenti non sono utili nella valutazione del DDAI. Le tecniche proiettive, come il Test di Appercezione Tematica (Murray, 1943) o il Disegno della Famiglia in Movimento (Hammer, 1975) si basano sull’assunto teorico che i problemi comportamentali siano causati da difficoltà emotive a essi soggiacenti. Questo assunto non ha validità empirica, almeno per i sintomi comportamentali del DDAI. Inoltre, i test proiettivi sono stati criticati per la loro dubbia validità e affidabilità (Gregory, 1996). Negli ultimi anni si sono sempre più diffuse misure di self-report completate dai bambini e dagli adolescenti (Conners et al., 1997). Sono disponibili una serie di checklist di misure di self-report statisticamente solide: il Youth Self-Report (Achenbach, 1991a), il Youth-Inventory-4 (Gadow et al., 2002) e il Conners-Wells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 1997). Malgrado la ben nota problematica che i bambini con disturbi del compor55 DDAI a Scuola tamento non riferiscono con obiettività i loro atteggiamenti (Landau, Milich & Widiger, 1991), ci sono sempre maggiori prove che gli adolescenti con disturbi del comportamento possono fornire informazioni utili per le decisioni diagnostiche (Conners et al., 1997) e terapeutiche (Smith, Pelham, Gnagy, Molina & Evans, 2000). Inoltre, i dati raccolti con i self-report sono cruciali nel caso di adolescenti con probabile DDAI per permettere una valutazione degli ambiti di funzionamento nascosti (per es., sintomi depressivi) e per promuovere la compartecipazione dello studente nel processo diagnostico e terapeutico (vedere la sezione seguente “Considerazioni Evolutive”). FASI DELLA VALUTAZIONE DEL DDAI In seguito alla segnalazione di un insegnante per difficoltà di attenzione o di controllo del comportamento, si conduce una valutazione a scuola del DDAI in cinque fasi (DuPaul, 1992; vedere Figura 2.1). Queste fasi derivano dal modello decisionale proposto da Salvia e Ysseldyke (1998). Prima, si raccolgono le indicazioni su eventuali sintomi di DDAI e si conduce una breve intervista per sondare la gravità e la frequenza dei sintomi del probabile DDAI. In un secondo momento, se i risultati di questo screening sono significativi, si utilizzano metodologie diagnostiche multiple, in contesti diversi e con fonti di informazione differenti, per documentare il funzionamento del bambino in diversi ambiti. In una terza fase, si interpretano i risultati ottenuti per prendere una decisione diagnostica. In un quarto momento, si sviluppa un piano di intervento sulla base dell’esito della valutazione. Infine, in una quinta fase, si monitorizzano in itinere la performance scolastica e i comportamenti a scuola per verificare l’efficacia del piano di intervento o l’eventuale necessità di apportare delle modifiche. Di seguito verranno illustrate nel dettaglio le cinque fasi del processo di valutazione. Per ogni fase abbiamo identificato una serie di domande iniziali a cui tale processo deve rispondere. Queste domande sono state in parte tratte dalle linee guida per una diagnosi comportamentale fornite da Barrios e Hartmann (1986). Dopo aver identificato tutte le fasi, abbiamo esaminato la maniera in cui si utilizzano tecniche specifiche per trovare le risposte alle domande che, in ciascuna fase, guidano il processo di valutazione. 56 Valutazione del DDAI in contesti scolastici FIGURA 2.1. Le cinque fasi della valutazione a scuola del disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. L’INSEGNANTE SEGNALA DIFFICOLTÀ DI ATTENZIONE, IMPULSIVITÀ E/O IPERATTIVITÀ FASE I SCREENING L’insegnante fa una stima dei sintomi del DDAI FASE II VALUTAZIONE MULTIMODALE DEL DDAI Interviste a genitori e insegnanti Analisi delle pagelle e dei registri scolastici Scale di valutazione del comportamento Osservazioni del comportamento a scuola Raccolta e analisi dei dati sulla performance scolastica FASE III INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI Numero di sintomi del DDAI Devianza dalle norme relative all’età e al sesso Età di insorgenza e cronicità Pervasività Grado di compromissione funzionale Diagnosi Differenziale FASE IV SVILUPPO DEL PIANO DI TRATTAMENTO Sulla base di: Gravità dei sintomi del DDAI Analisi funzionale del comportamento Presenza di altri disturbi Risposta a trattamenti precedenti Servizi presenti sul territorio FASE V VERIFICA DEL PIANO DI TRATTAMENTO Valutazione in itinere Revisione del piano di trattamento dei sintomi del DDAI 57 DDAI a Scuola Fase I: Screening Domande che guidano il processo di valutazione I dati raccolti servono a rispondere alle seguenti domande: 1. Questo studente mostra problemi che possono essere ricondotti a un possibile DDAI? 2. È necessaria un’indagine più approfondita del DDAI? Lo screening Uno screening per un potenziale DDAI dovrebbe essere condotto ogni qual volta un insegnante chiede aiuto per uno studente che manifesta difficoltà a restare attento quando gli vengono fornite delle istruzioni, non porta a termine i compiti che deve svolgere individualmente, non riesce a restare seduto quando gli viene chiesto o mostra comportamenti impulsivi disfunzionali. Si conduce una breve intervista con l’insegnante per specificare la natura dei comportamenti problematici e per identificare i fattori ambientali che potrebbero concorrere a provocare o a far persistere i suddetti problemi. L’insegnante fa anche una stima della frequenza dei sintomi del DDAI. Metodologie di screening L’intervista iniziale con l’insegnante dovrebbe includere domande relative alla frequenza, all’intensità e/o alla durata degli specifici problemi comportamentali. Dovrebbe, inoltre, valutare il ruolo dei molteplici fattori ambientali (caratteristiche del compito, modalità di trasmissione delle istruzioni, comportamenti dei compagni di classe) per stabilire quali siano gli antecedenti e i conseguenti. Per stabilire se i sintomi possano essere ricondotti al DDAI, si dovrebbe determinare la presenza/assenza dei 18 sintomi del DSM-IV e la loro persistenza. Se l’insegnante riferisce sei o più sintomi frequenti di disattenzione o sei o più sintomi frequenti di iperattività-impulsività, allora è necessario condurre un’analisi. Anche se l’insegnante riferisce meno di sei sintomi per ogni area, potrebbe essere necessaria una valutazione più approfondita, soprattutto nel caso di studenti di scuola superiore. La metodologia di screening più efficace per l’insegnante è completare la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998) che 58 Valutazione del DDAI in contesti scolastici verte sul comportamento usuale del bambino nel corso dell’anno scolastico. L’insegnante segna su una scala Likert a 4 valori la frequenza dei 18 sintomi comportamentali del DDAI derivati direttamente da quelli del DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatria, 1994). Nel caso in cui, in aggiunta ai dati raccolti dall’intervista, sei o più item in entrambi i domini ricevono una valutazione di “piuttosto di frequente” o “molto frequentemente”, allora è necessaria l’indagine più approfondita. Se invece gli item che rientrano in questi range di frequenza sono meno, non è comunque esclusa del tutto un’eventuale necessità di analisi ulteriori, ma bisogna prima considerare altre spiegazioni possibili per le difficoltà segnalate dall’insegnante (per es., i disturbi dell’apprendimento). Fase II: Valutazione Multimodale del DDAI Domande che guidano il processo diagnostico I dati raccolti servono a rispondere alle seguenti domande: 1. Quali sono la prevalenza e la natura dei problemi associati al DDAI? 2. Quali fattori ambientali contribuiscono alla persistenza di questi sintomi? 3. Quali sono la frequenza, la durata e/o l’intensità dei comportamenti problematici? 4. In quali contesti tali comportamenti associati al DDAI si verificano e da quanto tempo? Processo di valutazione Se i risultati dello screening iniziale indicano la presenza di un probabile DDAI, è necessario allora condurre un’indagine diagnostica più completa del funzionamento globale del bambino. In un primo momento, si intervistano i genitori e gli insegnanti per identificare gli specifici problemi comportamentali e per verificare il ruolo causale di alcune variabili storiche. Si esaminano anche le pagelle e i registri scolastici per completare la raccolta di dati storici. La fase iniziale del processo di valutazione ha pertanto come obiettivo delineare i problemi comportamentali propri di quel bambino e le variabili storiche che devono essere sottoposte a ulteriori considerazioni. I genitori e gli insegnanti dello studente compilano numerosi questionari allo scopo di raccogliere dati più specifici sulla frequenza e/o sulla gravità dei 59 DDAI a Scuola problemi comportamentali. Queste misure servono a stabilire la deviazione dalle norme evolutive e a identificare la persistenza dei sintomi in contesti diversi e con figure di riferimento diverse. I questionari utilizzati variano in funzione dei comportamenti target e dell’età del bambino. L’ultima fase del processo diagnostico formale consiste nell’osservazione diretta del comportamento del bambino in situazioni differenti e nella raccolta dei dati sulla performance scolastica. Queste tecniche possono fornire informazioni cruciali sulla frequenza e durata dei comportamenti target, su quali siano gli specifici antecedenti o conseguenti che contribuiscono a provocarli o a mantenerli e sul grado in cui questi compromettono il funzionamento sociale e scolastico del bambino. Nella prospettiva di delineare una proposta di intervento è particolarmente critica la raccolta di dati per una valutazione funzionale del comportamento (DuPaul & Ervin, 1996). Metodologie di valutazione Intervista agli insegnanti. Bisognerebbe chiedere all’insegnante di descrivere le difficoltà dello studente in termini strettamente comportamentali utilizzando il modello di intervista descritto da Bergan e Kratochwill (1990), che ha come scopo l’identificazione precisa dei problemi. Inoltre, con l’insegnante bisognerebbe esaminare tutti gli attuali criteri del DSM-IV propri di una serie di disturbi del comportamento. Andrebbe appurata la presenza o l’assenza di comportamenti associati non solo al DDAI, ma anche al disturbo oppositivo provocatorio, al disturbo della condotta, al disturbo d’ansia generalizzato, al disturbo d’ansia da separazione e alla depressione. È importante analizzare i criteri di tutti questi disturbi per due ragioni. Primo, perché sintomi apparenti di DDAI potrebbero essere in realtà manifestazioni di un altro disturbo. Un bambino depresso, per esempio, può manifestare problemi di concentrazione. Pertanto, si arriva alla diagnosi di DDAI eliminando altre ipotesi (ossia gli altri disturbi) di spiegazione per i sintomi comportamentali. Una seconda ragione per condurre questa rassegna è rappresentata dal fatto che molti bambini con DDAI soddisfano i criteri anche di altri disturbi. La diagnosi che maggiormente si accompagna a quella di DDAI è quella di disturbo oppositivo provocatorio, con una percentuale dal 40 al 65% di bambini con DDAI che manifestano i sintomi di questo disturbo (Barkley, 1998). La combinazione del DDAI con altri disturbi del comportamento o della sfera affettiva, inoltre, implica la necessità di interventi multipli. 60 Valutazione del DDAI in contesti scolastici Nell’atto di appurare la presenza o l’assenza di ciascuno dei sintomi comportamentali, si chiede all’insegnante di fornire anche esempi specifici di questi comportamenti e di dare una stima della frequenza con cui si verificano. Bisognerebbe identificare anche gli antecedenti (per es., la natura delle istruzioni) e i conseguenti (per es., la risposta dell’insegnante al comportamento disfunzionale del bambino) che solitamente si accompagnano a ciascun atteggiamento problematico perché potrebbero concorrere nel far persistere o nell’esasperare le difficoltà riscontrate. Andrebbero inoltre discusse le tecniche di gestione della classe utilizzate e il loro grado di efficacia. È obbligatorio raccogliere informazioni sulla qualità della performance scolastica del bambino e sullo status sociale. Alcuni bambini con DDAI potrebbero presentare deficit significativi nelle abilità scolastiche oltre a difficoltà nel completamento dei compiti. Ovviamente in queste situazioni è necessaria una valutazione delle abilità scolastiche (per es., con misure basate sul curricolo). Le osservazioni dell’insegnante sullo stile interattivo in situazioni sociali e sull’accettazione da parte dei pari sono utili per determinare se sia necessaria un’indagine più approfondita in questo ambito (per es., con un test sociometrico). Molti bambini con DDAI avranno probabilmente pattern interattivi autoritari e aggressivi, generando così una scarsa accettazione o un rifiuto esplicito da parte dei loro compagni di classe (Stormont, 2001). I dati raccolti attraverso l’intervista agli insegnanti vengono utilizzati per individuare possibili deficit nelle abilità sociali che potrebbero diventare oggetto di ulteriori esami e di trattamento e per identificare i contesti e/o i momenti della giornata scolastica in cui queste difficoltà di interazione si verificano con maggiore probabilità. Analisi delle pagelle e dei registri scolastici. Le pagelle e i registri scolastici dovrebbero essere analizzati per raccogliere informazioni utili sul momento preciso in cui si sono manifestate per la prima volta le difficoltà associate al DDAI e la loro evoluzione. Gli insegnanti, per esempio, tengono spesso traccia della qualità del metodo di lavoro di un bambino e della condotta registrandola sulle pagelle o nei registri. Non sorprende che la maggior parte degli studenti con DDAI ottenga voti al di sotto della media in tutti i diversi gradi di scuola. Questi voti al di sotto della media si accompagnano di solito a giudizi in cui risultano evidenti una scarsa capacità di completare i compiti 61 DDAI a Scuola assegnati, elevati livelli di irrequietezza o una tendenza a parlare troppo con i compagni senza aver avuto il permesso. È importante prendere nota della classe in cui si registrano per la prima volta questi voti e questi giudizi per confrontarli con l’età di insorgenza del DDAI riferita dai genitori. Il School Archival Record Search (SARS; Walker, Block-Pedego, Todis & Severson, 1998) ha suggerito un approccio più strutturato all’analisi delle pagelle e dei registri scolastici. Il SARS fornisce infatti un modulo standardizzato per la raccolta di informazioni relative a 11 variabili predittive per disturbi del comportamento e/o per l’abbandono scolastico. Queste variabili includono: il numero di scuole frequentate, i giorni di assenza, lo scarso rendimento, numero anni ripetuti più volte, note scolastiche o di condotta, piani educativi individualizzati, inserimento in classi differenziali, inserimento in servizi di educazione speciale, invio a servizi territoriali, giudizi sintetici negativi e problemi con la disciplina a scuola. Queste variabili individuali portano all’identificazione di tre fattori Disfunzionalità, Necessità di Assistenza e Scarso Rendimento. Walker e colleghi (1998) hanno fissato dei punteggi limite per ciascuna variabile individuale e dei punteggi fattoriali predittivi per le difficoltà scolastiche. Come previsto, i bambini con disturbi del comportamento (presumibilmente anche quelli con DDAI) hanno maggiori probabilità di ottenere punteggi positivi (al di sotto del limite) nei fattori Disfunzionalità e Scarso Rendimento. Il vantaggio principale del SARS è che individua in maniera standardizzata e strutturata le variabili chiave che fungono da predittori, fornendo così un resoconto affidabile della storia scolastica e comportamentale dello studente. Le interviste ai genitori. Si può condurre una breve intervista di circa 3540 minuti con i genitori dello studente sia di persona sia per telefono. È possibile porre alcune domande per raccogliere informazioni sul funzionamento generale attuale e passato del bambino in diversi ambiti (per es., dati anamnestici) anche se sono altri gli interrogativi più importanti. Prima di tutto, è necessario verificare la presenza e la frequenza di difficoltà del controllo del comportamento a casa. È meglio porre queste domande tenendo a mente i criteri del DSM per il DDAI e per i disturbi del comportamento a esso collegati (disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta). Inoltre, è 62 Valutazione del DDAI in contesti scolastici necessario accertarsi anche dell’eventuale presenza di sintomi di disturbi interiorizzati (per es., disturbo d’ansia) che potrebbero causare la disattenzione e l’iperattività del bambino. Anche in questo caso passare in rassegna i criteri del DSM sarà di grande aiuto nella diagnosi differenziale e nell’escludere altri disturbi che potrebbero essere responsabili della manifestazione di sintomi propri del DDAI. Un altro ambito di discussione nell’intervista con i genitori è rappresentato dalle informazioni sui primi anni di sviluppo del bambino. È importante individuare il momento preciso di insorgenza dei sintomi associati al DDAI e raccogliere informazioni sulla loro persistenza nel tempo. Il comportamento che i bambini con DDAI manifestano nei primissimi anni dell’infanzia è solitamente caratterizzato da un livello generale di attività molto alto e da difficoltà di autocontrollo (DuPaul, McGoey, Eckert & VanBrakle, 2001). In alcuni casi, tuttavia, tali atteggiamenti non vengono considerati problematici fino al momento dell’ingresso a scuola ossia quando la richiesta di portare a termine compiti e attività in autonomia aumenta. Questo succede soprattutto con genitori che non hanno esperienza di altri bambini (il bambino in valutazione è il loro primo bambino o il più grande) e/o che nutrono delle aspettative non realistiche sul comportamento del bambino. Una terza area di indagine riguarda la storia familiare del bambino con specifica attenzione alla presenza di difficoltà comportamentali, emotive e di apprendimento. Nonostante la discussione di queste problematiche possa rivelarsi imbarazzante sia per il genitore che per il professionista, è importante condurla per due ragioni. Prima di tutto, perché le ricerche indicano con chiarezza che il DDAI può avere delle componenti genetiche o di familiarità (Faraone, 2000) e quindi ripresentarsi all’interno di una stessa famiglia nel corso delle generazioni. La presenza di DDAI nella famiglia aumenta la probabilità che il bambino in valutazione sia anche egli affetto da DDAI. Una seconda ragione è rappresentata dal fatto che nel 27-32% dei casi, la mamma del bambino è depressa o presenta una storia di depressione (Biederman et al., 1987). Nelle famiglie dei bambini con DDAI è spesso riscontrabile anche una percentuale molto elevata di padri con comportamento antisociale (Lahey et al., 1988). La presenza o meno di simili condizioni all’interno della famiglia ha delle implicazioni dirette sul trattamento: è molto più probabile che gli 63 DDAI a Scuola interventi a casa per il DDAI abbiano maggiore successo quando vengono messi in atto dopo aver apportato dei miglioramenti nella psicopatologia genitoriale e nei problemi di funzionamento familiare. Madri depresse di bambini con disturbi del comportamento mostrano, per esempio, un grado maggiore di insuccesso in risposta all’addestramento per la modificazione di strategie comportamentali rispetto a madri non depresse (Patterson & Chamberlain, 1994). Scale di Valutazione completate dai genitori. Uno o entrambi i genitori dovrebbero compilare una serie di questionari per stabilire la deviazione evolutiva dei comportamenti del bambino associati al DDAI e per stabilire la pervasività dei problemi comportamentali. A questo scopo, si possono utilizzare numerose scale di valutazione generali o “ad ampio spettro” che abbiano norme adeguate e proprietà psicometriche consistenti (per una rassegna vedere Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). I principali questionari in questo ambito sono il Child Behavior Checklist (CBCL; Achenbach, 1991b), il Behavior Assessment System for Children (BASC, Reynolds & Kamphaus, 1992) e il Conners Parent Rating Scale (CPRS, Conners, 1997). Ciascuna di queste scale di valutazione ha dei pregi specifici che dovrebbero essere considerati al momento della scelta della misura da utilizzare. Propriamente la CBCL e il BASC hanno un set di item molto ampio e coprono pertanto ampiamente i disturbi interiorizzati ed esteriorizzati. Questa copertura ampia facilita la diagnosi differenziale perché si possono vagliare tutte le ipotesi alternative (per es., la presenza di altri disturbi) che potrebbero spiegare la presenza dei sintomi del DDAI. Dal momento che il set di item e la struttura fattoriale delle versioni della CBCL per genitori e per insegnanti sono piuttosto simili, si può effettuare una cross-valutazione e ricavarne una percentuale di accordo. Un grado elevato di accordo, tale da indicare la manifestazione degli stessi sintomi in ambiti differenti, fra il giudizio degli insegnanti e quello dei genitori è un’informazione importantissima per una diagnosi di DDAI. A sua volta, la CRS, per essere una scala breve, fornisce una copertura ampia dei sintomi esteriorizzati. Quest’ultima può essere molto utile soprattutto in situazioni in cui i genitori siano riluttanti a passare molto tempo a completare questionari. 64 Valutazione del DDAI in contesti scolastici In aggiunta a una di queste scale ad ampio spettro, i genitori dovrebbero compilare due questionari “mirati” che contengano item specifici sui comportamenti associati al DDAI: la ADHD Rating Scale-IV e Home Situation Questionnaire (HSQ; Barkley, 1990). La ADHD Rating Scale-IV fornisce informazioni sulla frequenza di manifestazione dei 18 sintomi a casa. Si conteggia il numero di item valutati con le espressioni “piuttosto spesso” o “molto spesso”. I punteggi ai fattori Disattenzione e Iperattività-Impulsività viene paragonato alle norme per stabilire la deviazione evolutiva della sintomatologia del DDAI (DuPaul et al., 1998). Le risposte dei genitori allo HSQ permettono di quantificare le situazioni a casa in cui il bambino esibisce i comportamenti problematici. Inoltre si valuta la gravità dei problemi comportamentali per ogni situazione su una scala Likert a 9 punti dove 1 sta per “lieve” e 9 per “grave”. La versione revisionata dello HSQ (HSQ-R; DuPaul & Barkley, 1991) fornisce informazioni più specifiche sulla pervasività dei problemi attentivi in diverse situazioni casalinghe. Pertanto, lo HSQ sarà di aiuto nel determinare la specificità situazionale e la gravità dei problemi comportamentali, mentre la versione revisionata fornirà dati relativi alle stesse variabili ma per la disattenzione, particolarmente utile se si sospetta che il bambino presenti il tipo con disattenzione predominante. Per esempio, è meno probabile che un bambino distratto in una o due situazioni rientri nel tipo con disattenzione predominante rispetto a un bambino che è invece disattento in numerose situazioni. Molti bambini con sintomi di DDAI presentano anche difficoltà significative nel completare i compiti a casa e nel metodo di studio. Quando gli insegnanti o i genitori riferiscono la presenza di queste difficoltà è necessario esaminare ulteriormente quali aspetti relativi al completamento dei compiti devono essere affrontati nella fase di intervento. Per prima cosa al genitore si chiederà di completare le Homework Problem Checklist (Anesko, Shoiock, Ramirez & Levine, 1987) o lo Homework Performance Questionnaire (Power, Karustis & Habboushe, 2001). Queste misure forniscono dati relativi alla frequenza e alla gravità dei problemi riscontrati nello svolgimento dei compiti a casa (per es., il bambino dice di non avere compiti da fare, non li porta a termine). Le risposte dei genitori a questi questionari possono portare a un’analisi successiva per individuare gli ostacoli specifici che si presentano in ogni fase del processo di svolgimento dei compiti a casa. 65 DDAI a Scuola La Impairment Rating Scale (IRS, Fabiano et al., 1999) può essere utilizzata per stabilire il grado in cui i genitori ritengono che i sintomi del DDAI siano la causa di compromissioni nel funzionamento. La IRS è composta da sette item relativi a differenti ambiti di funzionamento (per es., le relazioni del bambino con i pari) che potrebbero essere negativamente influenzati dai sintomi del DDAI. Le Scale di Valutazione completate dagli insegnanti. Come per i questionari completati dai genitori, sono disponibili numerose scale di valutazione ben standardizzate ad ampio spettro che gli insegnanti possono completare. Le principali sono: il Teacher Report Form (TRF; Achenbach, 1991c), il Behavior Assessment System for Children (BASC; Reynolds & Kamphaus, 1992), la Devereux Scale of Mental Disorders (Naglieri, LeBuffe & Pfeiffer, 1994) e la Conners Teachers Rating Scale (Conners, 1997). Come già precedentemente illustrato, queste misure ad ampio spettro presentano numerosi vantaggi, inclusa l’ampia copertura di possibili aree problematiche e la presenza campioni standardizzati molto ampi che facilitano il confronto con le norme per sesso e per età. Bisognerebbe prendere in considerazione l’aggiunta di due o più misure a queste scale ad ampio spettro. Se l’insegnante non dovesse ancora averlo fatto nella fase di screening, bisognerebbe utilizzare una misura specifica per i sintomi del DDAI: la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul et al., 1998) per determinare, nella prospettiva dell’insegnante, la frequenza dei comportamenti associati al DDAI. L’insegnante dovrebbe inoltre completare lo School Situations Questionnaire (SSQ; Barkley, 1990) e/o lo School Situations Questionnaire-Revised (SSQ_R; DuPaul & Barkley, 1992). Questi due questionari forniscono rispettivamente informazioni sulla pervasività e sulla gravità dei problemi comportamentali e attentivi. In molti casi, gli studenti segnalati per una valutazione presentano anche difficoltà scolastiche e problemi di relazioni sociali. Bisognerebbe pertanto analizzare anche la percezione che l’insegnante ha di queste aree di funzionamento. Sono disponibili una serie di questionari psicometricamente validi per la valutazione delle abilità sociali, inclusi la Social Skills Rating Scale (Gresham & Elliott, 1990) e la Walker-McConnell Scale of Social Competence and School Adjustment (Walker & McConnell, 1998). Quando lo si ritiene opportuno 66 Valutazione del DDAI in contesti scolastici bisognerebbe integrare le considerazioni che l’insegnante fa sulla competenza sociale con i dati raccolti da scale completate dai compagni di classe o dalla somministrazione di un test sociometrico. I giudizi dell’insegnante sulle difficoltà scolastiche possono essere ottenuti attraverso la somministrazione della Academic Performance Rating Scale (DuPaul, Rapport & Perriello, 1991) o della Academic Competency Evaluation Scale (DiPerna & Elliott, 2000). I punteggi alle scale appena menzionate daranno indicazioni utili per effettuare eventuali indagini ulteriori sui deficit nelle abilità scolastiche. Infine, è disponibile una versione per gli insegnanti della Impairment Rating Scale (IRS; Fabiano et al., 1999) per determinare la percezione che l’insegnante ha della compromissione nel funzionamento generale causata dai sintomi del DDAI. La IRS è composta da item relativi a possibili compromissioni in aree di funzionamento prettamente scolastiche. Osservazioni dirette del comportamento. I dati raccolti attraverso le interviste e le scale di valutazione presentano una serie di limiti, fra i quali la distorsione introdotta dal soggetto che risponde alle domande o che completa la scala di valutazione (Barkley, 1998). Questi dati dovrebbero essere pertanto integrati attraverso un’analisi del comportamento del bambino potenzialmente più libera da simili distorsioni. Una delle metodologie migliori per raggiungere questo obiettivo è rappresentata dall’osservazione diretta del comportamento in diversi momenti e situazioni. In molti casi l’osservazione diretta condotta durante lo svolgimento del lavoro autonomo sarà in grado di fornire le informazioni più rilevanti. Di solito le sessioni osservative durano da 10 a 30 minuti e si ripetono per diversi giorni per ottenere una frequenza comportamentale significativa ai fini diagnostici. Inoltre, le osservazioni vengono condotte in diversi momenti della giornata scolastica (per es., nelle ore di matematica, di linguistica, ecc.), all’interno della classe e in altri contesti come il cortile e la mensa. Le ultime due situazioni permettono di osservare l’interazione sociale fra il bambino esaminato e i propri coetanei. E’ stata sviluppata una serie di sistemi di codifica dell’osservazione utilizzati per determinare la frequenza dei vari sintomi associati al DDAI nei momenti di lavoro in classe (per una rassegna, vedere Barkley, 1998; Platzman et al., 1992). 67 DDAI a Scuola Questi sistemi sono: il ADHD Behavior Coding System (Sistema di Codifica dei Comportamenti del DDAI; Barkley, 1998; Barkley, Fischer, Newby & Breen, 1988), lo Hyperactive Behavior Code (Sistema di Codifica del Comportamento Iperattivo; Jacob, O’Leary & Rosenblad, 1978), il Classroom Observation Code (Sistema di Codifica dell’Osservazione del Comportamento in classe; Abikoff et al., 1977), il Behavior Observation of Students in Schools (BOSS; Osservazione del Comportamento degli Studenti a Scuola; Shapiro, 1996) e il ADHD School Observation Code (ADHD SOC; Sistema di Codifica dell’Osservazione a Scuola del DDAI; Gadow, Sparfkin & Nolan, 1996). Ciascuno di questi strumenti di codifica richiede che l’osservatore classifichi i comportamenti secondo una serie di categorie (per es., comportamenti non attinenti al compito, comportamenti di irrequietezza) utilizzando procedure di registrazione degli intervalli di osservazione. Nella nostra ricerca utilizziamo un sistema di osservazione (School Hybrid Observation Cose for Kids; Sistema di Codifica Combinato per l’Osservazione dei Bambini a Scuola [SHOCK]) che unisce aspetti del BOSS e del ADHD SOC. L’Appendice 2.1 include una descrizione delle categorie di codifica, un esempio di foglio per la registrazione delle osservazioni e un esempio del foglio riassuntivo delle osservazioni per lo SHOCK. Platzman e colleghi (1992) hanno analizzato tutte le varie metodologie osservative sviluppate per la valutazione del DDAI e alcuni risultati di questa indagine sono molto interessanti per i professionisti. Prima di tutto, hanno riscontrato che le osservazioni condotte in classe fornivano dati che discriminavano meglio i bambini con DDAI dai loro coetanei sani rispetto a osservazioni condotte in ambito clinico. Questo risultato conferma ulteriormente la necessità che i professionisti che lavorano a scuola siano coinvolti nella valutazione del DDAI. Secondo, hanno individuato tre categorie di comportamento in grado di discriminare con costanza campioni di bambini con DDAI da campioni di controllo: comportamenti non attinenti al compito, eccessivo livello di attività grosso-motoria e risposte verbali negative (per es., rifiuto di obbedire a un comando). I sistemi osservativi che includono queste categorie di comportamenti hanno maggiori probabilità di produrre dati rilevanti a livello diagnostico. Terzo, hanno riscontrato che pochissimi studi includevano soggetti di sesso femminile. Dal momento che le femmine con DDAI presentano comporta68 Valutazione del DDAI in contesti scolastici menti meno disfunzionali e aggressivi (Barkley, 1998), determinate categorie osservative (per es., rifiuto a obbedire a un comando) potrebbero risultare meno efficaci nel discriminare bambine con DDAI da quelle sane. I professionisti dovranno pertanto porre maggiore attenzione alle differenze nei comportamenti non attinenti al compito quando valutano soggetti femminili a rischio di DDAI. Dal momento che per la maggior parte di questi sistemi di codifica mancano norme calcolate su campioni numericamente rappresentativi, il comportamento del bambino esaminato deve essere confrontato con quello di un compagno di classe che gli insegnanti indicano come “tipico” o “nella media”. In questo modo, ogni bambino verrà valutato sulla base di uno standard di comportamento proprio della classe in cui è inserito. Quando è possibile, le osservazioni dovrebbero essere condotte con la stessa frequenza anche da un’altra persona (un assistente) per assicurare livelli adeguati di affidabilità interosservatore. Indipendentemente dal sistema di codifica utilizzato, i due obiettivi di questa procedura sono: (1) stabilire la frequenza dei comportamenti di disattenzione, impulsività e/o irrequietezza rispetto ai compagni e (2) ottenere una stima delle frequenze che sia stabile e il più possibile priva di distorsioni attraverso osservazioni ripetute in più situazioni nello stesso contesto classe. Oltre alla codifica del comportamento del bambino durante lo svolgimento di compiti, può risultare a volte utile raccogliere ulteriori dati osservativi. Si potrebbero per esempio registrare i comportamenti degli insegnanti (per es., feedback, rimproveri o suggerimenti) antecedenti o conseguenti al comportamento mostrato dal bambino (Whalen, Henker & Dotemoto, 1981). Questi dati cruciali per individuare eventuali atteggiamenti scatenanti sono quindi importantissimi per la pianificazione del trattamento. Nel corso dell’intervista con l’insegnante è possibile individuare i comportamenti dell’insegnante stesso o dei compagni da sottoporre a osservazione nella fase successiva. L’Appendice 2.2 include un esempio di sistema di codifica (adattato da Saudargras & Creed, 1980) che include l’osservazione del comportamento dell’insegnante. Normalmente, come illustrato nell’esempio di codifica della Figura 2.2., i comportamenti dell’insegnante come le attenzioni positive o i rimproveri vengono codificati negli intervalli di registrazione contemporanei alle osservazioni del comportamento del bambino. 69 DDAI a Scuola FIGURA 2.2. Foglio di codifica dell’osservazione per le interazioni insegnantestudente. Tratto da DDAI a Scuola (seconda edizione) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003. Guilford Press. La fotocopia di questo modulo è consentita agli acquirenti del libro a uso puramente personale (per i dettagli vedere la pagina sul copyright). Fase ___________ Giorno_________ FOGLIO DI OSSERVAZIONE DELLE INTERAZIONI IN CLASSE Osservatore_________ Rel? SI NO Data_______________ Classe______________ Modulo Riassuntivo dei dati raccolti Totale # degli intervalli osservati ___________ 70 Valutazione del DDAI in contesti scolastici Queste registrazioni rendono possibile determinare la percentuale di intervalli osservativi in cui specifici comportamenti dell’insegnante e del bambino si verificano in successione. Si potrebbe riscontrare, per esempio, che l’attenzione positiva dell’insegnante non segue quasi mai l’esibizione di comportamenti attinenti al compito, mentre i rimproveri sono quasi sempre successivi ai comportamenti non attinenti al compito. In simili casi si può ipotizzare che l’attenzione dell’insegnante rinforzi i comportamenti non attinenti al compito piuttosto che quelli attinenti. Osservazioni come questa possono immediatamente generare suggerimenti per la modifica degli atteggiamenti dell’insegnante (per es., aumentare l’attenzione positiva quando il bambino mostra comportamenti attinenti al compito). Se si individuano difficoltà nelle relazioni sociali, bisognerebbe condurre un’osservazione del comportamento del bambino in situazioni attinenti. Nell’Appendice 2.3 si fornisce un esempio di sistema osservativo idoneo per determinare la frequenza di specifici comportamenti interpersonali (per es., aggressività, negatività e positività) in situazioni di gioco nel cortile o a mensa. Anche il ADHD SOC si è rivelato utile nella raccolta di dati sulle interazioni sociali al momento del pranzo o del gioco in cortile (Gadow et al., 1996). Di solito, i bambini con DDAI hanno frequenze di comportamenti aggressivi e negativi verso gli altri più alte della media (Barkley, 1998). Nella maggior parte dei casi, invece, la frequenza dei comportamenti positivi non differisce significativamente da quella dei loro coetanei (Stormont, 2001). I risultati di queste osservazioni servono non solo per documentare la tipologia e la gravità delle difficoltà relazionali, ma anche per individuare i target dell’intervento. Valutazione della Performance Scolastica. Nonostante i bambini con DDAI ottengano una performance nella media nei test di profitto individuali tradizionali (vedere Barkley, DuPaul & McMurray, 1990), le loro prestazioni quotidiane nelle attività in classe e nei compiti a casa sono spesso contrastanti e inferiori a quelle dei loro compagni di classe (Barkley, 1998). È utile raccogliere delle misure dirette delle performance scolastiche prima dell’intervento dal momento che cambiamenti in questo ambito possono essere considerati uno degli esisti del trattamento socialmente più rilevanti. Il completamento di un lavoro individuale assegnato in classe o a casa, l’accuratezza nel completamento, l’acquisizione di abilità insegnate a lezione e la presenza di capacità organizzative sono tutti aspetti da includere nell’indagine. 71 DDAI a Scuola Si dovrebbero calcolare le frequenze di completamento dei compiti assegnati e le percentuali di accuratezza. Per prima cosa, nelle sessioni di osservazione bisognerebbe calcolare la differenza fra il lavoro scritto completato (per es., percentuale di item) e quello assegnato (ratio; DuPaul, Stoner & Jones, 1986) o la differenza nelle percentuali di completamento fra lo studente e i compagni di classe. In secondo luogo, si calcola la percentuale di item portati a termine correttamente (punteggio di efficienza scolastica; Rapport et al., 1996) per determinare il livello di accuratezza. In molti casi, gli studenti con DDAI portano a termine una minore quantità di lavoro e con minore accuratezza a causa dei loro problemi di disattenzione e/o superficialità. Questi dati sono piuttosto facili da raccogliere in situazioni di osservazione in classe. Anche gli insegnanti potrebbero raccogliere simili indicazioni sul completamento e sull’accuratezza nell’arco di 2-3 settimane, mentre è in corso la valutazione del DDAI. Si può chiedere anche ai genitori di fare la stessa cosa a casa. Infine, gli item risultati problematici nella Homework Problem Checklist possono essere utilizzati come target dell’intervento. Raccogliere informazioni sull’apprendimento di abilità curricolari insegnate a lezione nel corso degli ultimi due anni (attraverso misure basate sul curricolo [CBM]; Shinn, 1998) può essere molto utile. Prima di tutto, è possibile definire il livello di istruzione raggiunto dal bambino in ogni materia. È probabile che le difficoltà di attenzione e di comportamento derivino dalla frustrazione che il bambino prova ogni qual volta gli viene chiesto di eseguire compiti che sono superiori alle sue capacità. Per dirla in un altro modo, è possibile che la trasmissione dei contenuti e le richieste di lavoro individuale assumano una connotazione più frustrante che istruttiva. Potrebbe invece anche verificarsi il contrario: le richieste sono troppo semplici (per es., relative a materiale in cui il bambino ha un livello di padronanza altissimo) e pertanto inducono disattenzione. In secondo luogo, dal momento che queste prove sono brevi (2-3 minuti), si possono raccogliere questi dati ogni qual volta che cambiano le istruzioni date al bambino, fornendo così indicazioni utili sull’intervento applicato. Infine, si può osservare regolarmente, per un breve periodo di tempo (2-3 settimane), l’organizzazione del banco del bambino (pulizia e ordine) e paragonarla con quella dei compagni (Atkins, Pelham & Licht, 1985). Gli insegnanti di bambini con DDAI lamentano spesso che questi hanno banchi disorganizzati e caotici e che a causa di ciò perdono il materiale necessario 72 Valutazione del DDAI in contesti scolastici ai compiti se non i compiti stessi. In questo frangente si possono raccogliere moltissime notizie utili per determinare l’origine delle difficoltà e per identificare il focus per l’intervento. Fase III: Interpretazione dei risultati (Diagnosi/Classificazione) Domande che guidano il processo di interpretazione I risultati ottenuti vengono utilizzati per stabilire una diagnosi sulla base delle seguenti domande: 1. Il bambino mostra un numero significativo di sintomi comportamentali del DDAI secondo quanto riferito dai genitori e dagli insegnanti? 2. Il bambino manifesta questi comportamenti con una frequenza maggiore di quella dei bambini della stessa età cronologica e dello stesso sesso? 3. A quale età sono iniziati questi comportamenti associati al DDAI e qual’ è il loro grado di persistenza e pervasività? 4. Il funzionamento del bambino a scuola, a casa e/o con il gruppo dei pari è significativamente compromesso? 5.Sono presenti altre problematiche (per es., disturbi dell’apprendimento) o fattori (per es., insofferenza dell’insegnante a comportamenti vivaci) che potrebbero rendere conto della richiesta di diagnosi per un probabile DDAI? Procedimento e Metodologie Interpretative Le informazioni raccolte con le tecniche precedentemente descritte si possono utilizzare per rispondere alle domande appena elencate. Malgrado ogni tecnica diagnostica abbia i propri limiti, l’utilizzo di un approccio multimodale ha il grande vantaggio di permettere il bilanciamento delle debolezze di una metodologia con i punti di forza di un’altra. L’obiettivo prioritario è quello di ottenere elementi trasversali sulla frequenza e sulla gravità dei sintomi associati al DDAI rispetto ai contesti e alle figure di riferimento e di individuare le cause possibili di questi comportamenti. Se si raggiunge questo obiettivo, si possono trarre delle conclusioni con un buon grado di sicurezza. L’interpretazione dei dati valutativi viene discussa in relazione a ciascuna delle domande a cui bisogna rispondere. 73 DDAI a Scuola Numero di sintomi del DDAI. Il numero di sintomi del DDAI si determina sulla base delle interviste condotte con i genitori e gli insegnanti e dei punteggi ottenuti alle scale di valutazione. Se ogni figura di riferimento, nel corso delle interviste, riferisce sei o più sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività, la significatività diagnostica in base ai criteri del DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatria, 1994) per uno dei tre tipi di DDAI è piuttosto elevata. In particolare, per una diagnosi di DDAI/Tipo combinato il bambino dovrebbe presentare almeno sei dei nove sintomi di disattenzione e sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività (vedere Tabella 2.1). Per una diagnosi di DDAI/Tipo con disattenzione predominante il bambino dovrebbe manifestare sei dei nove sintomi di disattenzione con un massimo di cinque comportamenti iperattivi-impulsivi. Infine, per una diagnosi di DDAI/Tipo con iperattività-impulsività predominanti il bambino dovrebbe esibire sei dei nove sintomi iperattivi-impulsivi e al massimo cinque sintomi di disattenzione. Frequenza dei comportamenti associati al DDAI. Tutti i questionari che i genitori e gli insegnanti completano contengono almeno un fattore legato al DDAI (per es., “Problemi di attenzione”, “Iperattività” oppure “Irrequietezza”). Se il punteggio del bambino esaminato in uno di questi fattori è superiore a due deviazioni standard dalla media per sesso e per età cronologica è da considerarsi significativo a livello diagnostico (Barkley, 1998). I punteggi su questi stessi fattori che sono superiori alla media di 1.5.-2 deviazioni standard sono considerati all’interno del margine significativo per il DDAI. Pertanto, bambini che nei fattori del DDAI hanno punteggi superiori del 2-7% alla media per età e sesso possono ricevere una diagnosi di DDAI (a seconda degli altri risultati ottenuti). Nel valutare la significatività dei punteggi è sempre importante tenere conto dell’etnia del bambino. I giudizi degli insegnanti e dei genitori sui sintomi del DDAI potrebbero variare per gruppi etnici diversi: i bambini afro-americani di solito ottengono punteggi molto più elevati dei bambini bianchi americani e degli ispano-americani (DuPaul, et al., 1998; Reid, DuPaul, Power, Anastopoulos & Riccio, 1998). Le differenze fra gruppi etnici permangono anche quando si rimuovono statisticamente gli effetti dovuti allo status socioeconomico che dovrebbero includerle. Queste potrebbero portare a una percentuale maggiore di bambini afro-americani con DDAI. I professionisti 74 Valutazione del DDAI in contesti scolastici devono essere perciò molto cauti nella diagnosi di bambini di etnie diverse e affidarsi ancora di più a misurazioni multimodali. Inoltre, è obbligatorio utilizzare scale di valutazione che abbiano norme standardizzate sulla popolazione statunitense di diversa etnia. I dati osservativi vengono utilizzati per calcolare la frequenza dei comportamenti, confrontandoli con i compagni di classe. Se si raccoglie un campione di osservazioni piuttosto ampio, la differenza fra le frequenze del bambino esaminato e quelle dei compagni può essere calcolata statisticamente con un t-test. Il bambino con DDAI dovrebbe mostrare frequenze notevolmente maggiori di comportamenti di disattenzione, iperattività e/o impulsività. Se le frequenze dovessero invece risultare simili bisognerà allora muoversi su altre direzioni (analizzare, per esempio, le metodologie di gestione del comportamenti degli studenti in classe). Età di insorgenza e persistenza. L’età di insorgenza si conosce nel corso dell’intervista con i genitori. Di solito l’età indicata coincide con l’inizio della scuola (scuola materna o primo anno delle elementari) se non prima. La persistenza dei sintomi nel corso dei diversi anni scolastici e nel tempo può essere confermata dall’analisi delle pagelle e dei registri. L’età di insorgenza del DDAI deve essere antecedente ai 7 anni (Associazione Americana di Psichiatria, 2000) e la sintomatologia deve verificarsi su base quotidiana per un anno almeno (Barkley, 1998). Bisogna sottolineare che i 7 anni non sono stati scelti in seguito a indagini empiriche e sarebbe quindi meglio utilizzare un criterio di “insorgenza nell’infanzia” (prima dei 18 anni) come si fa per il disturbo della condotta (Barkley e Biederman, 1997). Indagini longitudinali hanno rilevato molto frequentemente che i sintomi iniziano di solito prestissimo e che, in molti casi, perdurano per tutta la vita (Barkley, Fischer et al., 1990; Biederman et al., 1996). In alcune circostanze i sintomi del DDAI non diventeranno problematici fino alla quarta o quinta elementare. Questo è spesso il caso di bambini particolarmente “intelligenti” che riescono a “compensare” nei primi anni di scuola le loro difficoltà nella regolazione del comportamento e che poi cominciano ad avere problemi mano a mano che aumenta la richiesta di lavoro autonomo. A loro volta, studenti con problemi scolastici potrebbero manifestare sintomi simili a quelli del DDAI a causa delle continue frustrazioni che ricevono nel setting educativo. In questo caso, non ci sarà ovviamente nessuna diagnosi di 75 DDAI a Scuola DDAI e l’intervento avrà quindi come focus primario i deficit nelle abilità scolastiche o il disturbo dell’apprendimento in oggetto (Barkley, 1998). I problemi comportamentali si verificano in situazioni e contesti differenti (pervasività). In generale i criteri per il DDAI vengono soddisfatti se i genitori e gli insegnanti riferiscono entrambi numerosi sintomi del DDAI sia a casa che a scuola. La pervasività dei comportamenti di disattenzione e/o di problemi nella condotta in ambienti scolastici e a casa si determina utilizzando le versioni revisionate dello HSQ e dello SSQ. Se i problemi di disattenzione e/o di condotta si verificano nel 50% o più delle situazioni indicate allora il risultato è significativo (Barkley, 1990). Inoltre, se i punteggi a queste scale presentano una deviazione standard di 1.5-2 superiore alla media della norma l’aderenza al criterio è ancora maggiore (vedere Barkley, 1990). Nel caso in cui si rilevano numerosi e significativi sintomi del DDAI a casa e a scuola, si può affermare con una certa sicurezza che variabili interne al bambino (ossia la presenza di un DDAI) spiegano le difficoltà di controllo del comportamento. Se invece le valutazioni dei genitori e degli insegnanti non sono coerenti fra loro, il grado di sicurezza diminuisce. Di solito si da una valenza maggiore alle valutazioni degli insegnanti dal momento che la scuola è il contesto in cui la maggior parte dei bambini con DDAI manifesta le difficoltà più grandi e dal momento che gli insegnanti hanno maggiore esperienza di bambini all’interno di una stessa fascia di età. Compromissione funzionale. La gravità della compromissione nel funzionamento scolastico, sociale ed emotivo del bambino si determina analizzando tutti i risultati ottenuti. Le compromissioni più frequenti per i bambini con DDAI includono il rendimento scolastico sotto la media e una scarsa accettazione da parte del gruppo dei pari (Associazione Americana di Psichiatria, 2000; Barkley, 1998). Pertanto, ci si aspetta di trovare nei dati osservativi e nelle scale di valutazione completate dagli insegnanti che un bambino affetto da DDAI completi un numero minore di compiti e con minore accuratezza rispetto ai compagni. Inoltre, i punteggi dei bambini a scale di competenza sociale e di relazione dovrebbero essere sotto la media per età e sesso. I dati osservativi potrebbero confermare questi punteggi rilevando la presenza di numerosi comportamenti aggressivi in cortile o l’esclusione volontaria da parte dei pari nei momenti di gioco libero. 76 Valutazione del DDAI in contesti scolastici Esistono altre cause possibili che spiegano i sintomi associati al DDAI. La diagnosi di DDAI si raggiunge di norma stabilendo la deviazione evolutiva dalla media e la pervasività dei sintomi. Allo stesso tempo è molto importante vagliare tutte le possibili cause alternative per la disattenzione, l’impulsività e l’irrequietezza motoria del bambino. Una possibilità è quella che i comportamenti siano dovuti a frustrazioni causate dalle difficoltà scolastiche del bambino. Questo è per esempio il caso di bambini che iniziano a esibire sintomi di DDAI dopo diversi anni di difficoltà nell’apprendimento o solo al momento di assegnazioni scolastiche nelle materie in cui riesce peggio. Se invece i sintomi di DDAI sono iniziati molto presto e sono pervasivi, si potrebbe essere in presenza di un DDAI associato a un disturbo dell’apprendimento (vedere il Capitolo 3 per ulteriori dettagli). Un’altra possibilità è che il bambino abbia difficoltà emotive o di adattamento che causano disattenzione, impulsività e/o irrequietezza. In questi casi, i dati delle interviste e delle scale di valutazione dovrebbero contenere indicazioni significative della presenza di un altro disturbo (per es., disturbo d’ansia, della condotta) o di situazioni ambientali difficili (per es., una separazione dei genitori) in aggiunta o al posto dei sintomi del DDAI. Inoltre, i sintomi di un eventuale disturbo emotivo dovrebbero precedere per età di insorgenza quelli del DDAI. I sintomi del DDAI saranno in questo caso recenti e non pervasivi o persistenti. Nel caso di difficoltà di adattamento saremo in presenza di una sintomatologia che può essere conseguente a uno specifico evento o serie di eventi rilevanti per il bambino o la famiglia. Il professionista deve tenere in considerazione le linee guida per la diagnosi differenziale in base al DSM-IV (vedere anche Anastopoulos & Shelton, 2001). Scarse o cattive istruzioni o metodologie inefficaci di gestione della classe sono altre cause possibili di apparenti sintomi di DDAI. Questa ipotesi andrebbe tenuta in considerazione ogni qual volta i dati raccolti presentano incongruenze fra le fonti e fra i contesti considerati – per esempio, esiste un disaccordo fra i genitori e gli insegnanti sulla gravità e la frequenza dei sintomi. Questo è particolarmente vero nei casi di disaccordo fra insegnanti della stessa classe. Se questi sintomi vengono riferiti da un solo insegnante in assenza di una storia di difficoltà tipiche associate al DDAI e di altri dati a favore di una diagnosi, allora è necessario indagare le metodologie di insegnamento e in particolare le istruzioni e la gestione della classe. In questo caso i problemi non derivano da variabili interne al bambino (ossia dalla 77 DDAI a Scuola presenza di un DDAI) ma da cattive pratiche di insegnamento che devono essere modificate. Non appena si è raggiunta una diagnosi, si devono comunicare i risultati e i suggerimenti per il trattamento agli insegnanti e ai genitori del bambino e anche a tutti i professionisti dei servizi territoriali che lavorano con il bambino (per es., il pediatra). Di solito è bene stilare una relazione scritta e commentare oralmente i risultati e i suggerimenti con i genitori e con il personale scolastico che seguirà il bambino. Nel Capitolo 8 verranno discusse con maggiore accuratezza le problematiche e le procedure di comunicazione dei risultati della diagnosi. Fase IV: pianificazione dell’intervento Domande che guidano la pianificazione dell’intervento Bisognerebbe rispondere alle seguenti domande quando si pianifica un intervento per i bambini con DDAI: 1. Che scopo hanno i comportamenti del bambino associati al DDAI? 2. Quali sono i punti di forza e di debolezza dello studente (per es., motivazione e competenze specifiche)? 3. Quali sono gli obiettivi comportamentali dell’intervento? 4. Quali sono le migliori strategie di intervento? 5. Quali altre risorse sono disponibili per affrontare le difficoltà del bambino associate al DDAI? Procedure di pianificazione dell’intervento Il processo di valutazione non si conclude con la diagnosi, dal momento che questa è solo uno dei passi per definire quali strategie di intervento abbiano la maggiore probabilità di dare esiti positivi. Pertanto, i dati raccolti servono a generare un trattamento appropriato. Le strategie di intervento per il DDAI che hanno un maggiore supporto scientifico e di ricerca sono: il trattamento con farmaci psicostimolanti (quali la Ritalina) e le tecniche di modificazione del comportamento (Barkley, 1998; MTA Cooperative Group, 1999; Pelham, Wheeler & Chronis, 1998). Gli interventi sul DDAI hanno lo scopo principale di modificare determinati comportamenti target relativi a competenze scolastiche e sociali. Dal 78 Valutazione del DDAI in contesti scolastici momento che, per definizione, i sintomi del DDAI si verificano in contesti diversi, le strategie di intervento devono essere stabilite per figure di riferimento multiple. Anche se uno dei principali obiettivi del trattamento è ridurre la frequenza dei comportamenti associati al DDAI (per es., la disattenzione al compito) il focus principale deve essere accrescere le competenze in una serie di aree e migliorare l’adattamento comportamentale, scolastico e sociale del bambino. Pertanto i comportamenti target saranno quelli che dovrebbero diventare più frequenti in seguito all’applicazione dell’intervento: completamento di lavoro autonomo, compliance alle direttive dell’insegnante, accuratezza nell’esecuzione di attività scolastiche e interazione positiva con i pari. Gli obiettivi dell’intervento devono essere stabiliti per il singolo studente in funzione delle informazioni raccolte nel corso delle osservazioni del comportamento in classe e dei giudizi dati dai genitori e dagli insegnanti. I risultati del processo di valutazione serviranno anche a individuare le competenze già presenti (per es., buone relazioni sociali con i pari) che saranno di aiuto nel ridurre le difficoltà del bambino. I primi target dell’intervento saranno i comportamenti positivi che si verificano raramente e quelli ritenuti cruciali per un migliore funzionamento scolastico. Nella scelta delle strategie di intervento più appropriate al singolo bambino bisogna tenere in considerazione numerosi fattori. Bisognerebbe prima di tutto classificare la gravità del DDAI su una scala a quattro valori (limite, lieve, moderato, grave) in funzione del numero di sintomi riscontrati con la ADHD Rating Scale-IV e la gravità della compromissione funzionale (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Più gravi sono i sintomi più sarà necessario l’invio a un medico per iniziare un trattamento con farmaci psicostimolanti. In generale, la strategia di intervento è una terapia comportamentale che prevede la modificazione degli antecedenti e dei conseguenti e/o l’applicazione di tecniche di rinforzo positivo per accrescere l’attenzione al compito e il completamento del lavoro assegnato (DuPaul & Stoner, 2002; DuPaul, Stoner & O’Reilly, 2002). I risultati delle osservazioni forniranno i dati di partenza e aiuteranno a identificare gli eventi antecedenti e conseguenti da manipolare nel corso dell’intervento. Esiste un altro fattore importante da tenere in considerazione nella progettazione di un intervento psicosociale, precisamente lo scopo dei comportamenti associati al DDAI (DuPaul & Ervin, 1996; vedere anche il Capitolo 5 per maggiori dettagli). Lo scopo più plausibile è quello di evitare o sfuggire 79 DDAI a Scuola compiti faticosi, per esempio attività autonome da eseguire seduti in classe o a casa. Un secondo possibile scopo è attirare l’attenzione degli adulti o dei pari. Alcuni eventi che più frequentemente seguono un comportamento tipico del DDAI sono il rimprovero verbale dell’insegnante e le reazioni verbali (risatine) e non verbali (sorrisetti) dei compagni di classe. Un ulteriore scopo ipotizzabile è quello di svolgere un’attività più gratificante rispetto a quella proposta. Un esempio è il bambino che, in seguito a una richiesta di risolvere seduto al banco una serie di esercizi di matematica, inizia a giocare con un oggetto che tiene sul banco. Infine i comportamenti associati al DDAI permettono di sperimentare sensazioni positive (per es., sognare a occhi aperti). La specifica funzione operativa del comportamento di un bambino nel contesto della classe può essere determinata con valutazioni descrittive, analisi sperimentali o entrambe (Gresham, Watson & Skinner, 2001; Nelson, Roberts & Smith, 1998). Di solito, per sviluppare ipotesi di lavoro sulla funzione di un particolare comportamento si utilizzano i contenuti delle interviste degli insegnanti e quelli delle osservazioni dirette. Molto raramente si conducono in classe analisi sperimentali complete (Ervin, Ehrhardt & Poling, 2001). L’intervento avrà quindi lo scopo di incoraggiare un comportamento equivalente nella funzione (in relazione allo scopo ipotizzato) attraverso la modificazione delle condizioni antecedenti e/o conseguenti (vedere Capitolo 5). Oltre allo scopo del comportamento vengono identificati i contesti specifici in cui devono essere messe in atto le strategie di intervento sulla base dei dati osservativi o di un diagramma di dispersione (Touchette, MacDonald & Langer, 1985) che mostra se, per esempio, lo studente con DDAI presenta una frequenza più bassa di comportamenti desiderabili nella situazione classe rispetto alla situazione cortile. Inoltre, i punteggi di attenzione e di completamento del compito potrebbero variare nelle diverse materie. L’intervento iniziale dovrebbe incentrarsi sulle istruzioni e sul completamento di quei compiti in cui si evidenziano le maggiori difficoltà e solo sulla situazione classe. Mano a mano che si riscontrano dei progressi, i comportamenti target possono essere estensi ad altre materie e ad altri contesti. Un terzo fattore da considerare nello sviluppo di strategie di intervento è la presenza di altri disturbi del comportamento o dell’apprendimento. Molti bambini con DDAI, per esempio, mostrano comportamenti oppositivi in risposta alle richieste di una figura autoritaria (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). In questo caso i comportamenti aggressivi e di ribellione 80 Valutazione del DDAI in contesti scolastici diventeranno un target ulteriore del programma di intervento in classe. Potrebbe essere utile inviare il bambino ai servizi territoriali competenti (per es., la neuropsichiatria infantile) affinché i genitori possano ricevere delle indicazioni utili sulle modalità di gestione dei comportamenti a casa. Un’ulteriore considerazione riguarda la risposta del bambino ad altri eventuali interventi precedenti. Se, per esempio, è stato già applicato un programma comportamentale all’interno di una classe normale, ma il bambino continua a manifestare un’elevata frequenza di comportamenti associati al DDAI, è bene suggerire altre strategie di intervento (per es., il trattamento farmacologico con psicostimolanti o l’inserimento in classi di educazione speciale). Come per la maggior parte dei bambini con bisogni particolari, la preferenza va a trattamenti e contesti di intervento che sono il meno restrittivi possibile. La maggior parte dei bambini con DDAI viene inserita in classi normali (Pastor & Reuben, 2002; Pfiffner & Barkley, 1998). Pertanto, la resistenza dei comportamenti a interventi precedenti dovrebbe essere il criterio principale per stabilire se i problemi del singolo bambino sono talmente gravi da richiedere l’invio a una classe speciale (Gresham, 1991; vedere anche il Capitolo 3 per una discussione più approfondita sull’argomento). Un ultimo fattore da considerare è la disponibilità di risorse sul territorio. Questa disponibilità permetterà, per esempio, di considerare un eventuale invio a un servizio di neuropsichiatria infantile o un intervento domiciliare. Quando i genitori e gli insegnanti sono entrambi attivamente coinvolti nel trattamento (mettendo in atto strategie di modificazione del comportamento) le probabilità di successo sono maggiori. Pertanto, se ci sono servizi territoriali i genitori saranno inviati lì per ricevere un training specifico su queste strategie. Fase V: Valutazione dell’intervento Domande che guidano la valutazione dell’intervento Una volta che l’intervento è stato progettato e applicato si conduce una verifica in itinere che deve rispondere alle seguenti domande: 1.Si stanno verificando dei cambiamenti nei comportamenti target e nei comportamenti a essi associati? 2. I cambiamenti ascrivibili all’intervento sono significativi a livello sociale e clinico? 3. I comportamenti target si sono normalizzati? 81 DDAI a Scuola Verifica del processo di intervento La valutazione del bambino con DDAI non si conclude con la diagnosi, ma continua con l’applicazione delle strategie di intervento e la verifica in itinere. In questo contesto i risultati delle indagini iniziali, dopo aver contribuito al raggiungimento di una diagnosi, diventano la baseline di riferimento pretrattamento per valutare l’efficacia degli interventi. Se questi dati valutativi non venissero raccolti all’inizio, non si potrebbe mai essere sicuri dell’efficacia dell’intervento o dell’eventuale necessità di apportarvi delle modifiche in corso d’opera. Per valutare l’entità dei cambiamenti nei comportamenti target dell’intervento si dovrebbe utilizzare un disegno su soggetti singoli (DuPaul & Stoner, 2002; Morgan & Morgan, 2001). Si possono avere maggiori dettagli nell’applicazione di questo modello consultando i numerosi testi sull’argomento (per esempio, Hersen & Barlow, 1982; Kazdin, 1992). Durante tutto l’intervento, lo studente è “controllo” di sè stesso e il cambiamento comportamentale si valuta in base al confronto con la baseline e le condizioni di non-intervento. Questa metodologia richiede la raccolta continuativa di dati valutativi, in momenti distinti dell’intervento, in situazioni diverse e con figure di riferimento differenti. Inoltre, si verifica l’integrità dell’intervento (la compliance alle indicazioni di trattamento da parte di chi lo implementa) per assicurarne la correttezza. Se l’intervento è applicato secondo le direttive stabilite e si verificano cambiamenti comportamentali, allora si può dedurre che l’intervento stia dando i risultati previsti. Altrimenti, vanno apportate delle modifiche al trattamento stesso o al modo in cui esso viene messo in atto dai genitori o dagli insegnanti. Pertanto, la verifica in itinere ha un’importanza cruciale ai fini dell’intervento stesso ed esiste un legame inesorabile fra di essi. Metodologie di Verifica dell’Intervento Nella maggior parte delle situazioni si utilizzano tecniche specifiche, come l’osservazione diretta della performance scolastica e della condotta, per stabilire l’entità del cambiamento comportamentale ascrivibile al trattamento. Tali dati concorrono a stabilire se si stiano verificando o meno dei cambiamenti come previsto in seguito all’applicazione dell’intervento. Si raccolgono, per esempio, osservazioni giornaliere o settimanali all’interno di un disegno con interruzione del trattamento o baseline multiple in contesti diversi (ABA). 82 Valutazione del DDAI in contesti scolastici Cambiamenti nella media, nell’intercetta, nell’andamento dei dati vengono utilizzati per stabilire se l’intervento ha portato a un aumento dell’attenzione al compito, della compliance con le regole della classe e del rendimento scolastico in termini di produttività e accuratezza (vedere il Capitolo 5 per un esempio specifico di verifica di un intervento in classe). Qualche volta si calcola la percentuale di accordo interosservatore con le osservazioni condotte da un assistente o da un insegnante o da un altro osservatore. La percentuale di accordo interosservatore andrebbe calcolata più volte nel corso del trattamento per garantire l’affidabilità dell’osservazione e dei dati raccolti. Si utilizzano numerose altre metodologie per accertare se si sia verificato un cambiamento affidabile in funzione dell’intervento. Prima di tutto, si raccolgono i punteggi ottenuti alle scale CBCL, BASC o Conners compilate dagli insegnanti in diversi momenti: all’inizio, durante il trattamento, ritorno alla baseline (se possibile) e dopo circa 1 mese dalla fine dell’intervento. In genere, questi dati andrebbero raccolti almeno una volta per ogni fase del trattamento. Anche se esistono dei dati raccolti durante la fase di valutazione, è importante raccoglierli un’altra volta prima di iniziare il trattamento dal momento che per queste misure sono stati rilevati “effetti dovuti all’allenamento” (Barkley, 1998). Una seconda rilevazione che funga da baseline ridurrà il rischio di attribuire al trattamento cambiamenti che sono invece dovuti solo ad artefatti di regressione. Scale di valutazione con pochi item, come la ADHD Rating Scale-IV o la APRS, possono essere somministrate tutte le settimane in tutte le fasi del trattamento. Di solito, si paragona la media delle valutazioni date dagli insegnanti fase per fase per stabilire se l’insegnante percepisce o meno dei miglioramenti nella performance scolastica e comportamentale in seguito all’intervento. Una seconda componente da verificare per documentare il cambiamento dovuto all’intervento è l’aderenza alle direttive stabilite per l’applicazione dell’intervento (Gresham, 1989; Hayes, Barlow & Nelson-Gray, 1999; Peterson, Homer & Wonderlich, 1982). Se si devono valutare gli effetti del trattamento farmacologico si contano le pillole assunte settimanalmente per verificare che il medicinale venga assunto con regolarità. Se, invece, l’intervento (per es., un sistema token reinforcement in classe) viene applicato dall’insegnante o dal genitore, è più complesso stabilirne l’integrità. Si dovrebbe osservare il comportamento dell’insegnante in varie occasioni nel corso del trattamento per definire se l’intervento viene messo in atto come da indicazioni. Ovviamente 83 DDAI a Scuola non è possibile verificare l’integrità del trattamento in momenti in cui non è presente alcun osservatore. In questo caso, si forniscono all’insegnante delle checklist con le varie componenti dell’intervento. L’insegnante dovrebbe completare la checklist mano a mano che applica determinate parti dell’intervento. Il completamento di queste checklist favorisce la compliance all’intervento da parte di chi lo mette in atto. Le checklist possono essere compilate anche da qualcuno che non sia l’agente principale dell’intervento (per es., da un assistente presente in classe). Un’altra possibilità è quella di registrare gli interventi per supervisionarli in seguito e valutarne l’integrità (Power, DuPaul, Shapiro & Kazak, 2003). Senza queste verifiche quantomeno occasionali non si può essere sicuri che esso venga applicato nel modo in cui è stato progettato. Anche se è importante dimostrare che l’intervento ha causato dei cambiamenti significativi nel comportamento dello studente, è anche cruciale stabilire se questi cambiamenti siano rilevanti a livello sociale e clinico. Per esempio, si potrebbe registrare un incremento significativo, dal 50 al 65%, nelle percentuali di comportamenti attinenti al compito durante il lavoro autonomo, ma la realtà è che il ragazzo continua a manifestare numerosi comportamenti non attinenti al compito e non è più produttivo a livello scolastico. Interventi che portano a cambiamenti che non hanno un impatto significativo sulla performance scolastica dello studente vengono solitamente abbandonati molto presto dagli insegnanti del bambino. La significatività a livello clinico e la validità sociale del cambiamento può essere valutata in diversi modi (per i dettagli vedere Kazdin, 2000; Schwartz & Baer, 1991). Prima di tutto, il bambino, i genitori e gli insegnanti dovrebbero compilare delle scale di consumer satisfaction nel corso e alla fine del trattamento. In questo modo, si possono raccogliere informazioni sul punto di vista che ciascun partecipante ha su specifiche componenti del piano di intervento. Un’altra tecnica è far compilare all’insegnante delle scale che valutano l’accettabilità di diverse metodologie (per una rassegna vedere Finn & Sladeczek, 2001). L’accettabilità di un trattamento può essere appurata prima dell’applicazione e può essere di aiuto nella fase di progettazione del piano di intervento (Bergan & Kratochwill, 1990). Una terza maniera per stabilire la significatività clinica di un risultato è esaminare se il trattamento ha provocato una “normalizzazione” del comportamento. Detta diversamente, l’intervento ha portato a un incremento nello span di attenzione dello studente, nella resa scolastica e a miglioramenti negli 84 Valutazione del DDAI in contesti scolastici atteggiamenti sociali al punto che la performance e i comportamenti in classe sono diventati in tutto e per tutto simili a quelli dei compagni? Questa indicazione si può ottenere raccogliendo dati concorrenti su uno o più compagni di classe in diversi momenti del trattamento. In questo modo, si può paragonare la performance del bambino direttamente con quella dei coetanei normali. Se considerazioni etiche o pratiche impediscono la valutazione dei compagni di classe, si possono utilizzare numerose procedure statistiche per stabilire se questo cambiamento significativo a livello clinico si sia verificato oppure no. Per esempio, se sono disponibili le norme per una specifica misura, si può calcolare un indice di cambiamento con caratteristiche di affidabilità (Jacobsen & Truax, 1991) per definire se il trattamento abbia causato miglioramenti statisticamente affidabili. Inoltre, Jacobsen e Truax (1991) hanno suggerito diverse formule per calcolare se si è verificata una normalizzazione della performance. Hanno, per esempio, riscontrato che il metilfenidato (Ritalina) “normalizza” i comportamenti di attenzione al compito e la resa scolastica di una grande percentuale di bambini con DDAI che avevano partecipato a una prova di trattamento farmacologico per 6 settimane (DuPaul & Rapport, 1993; vedere il Capitolo 6 per i dettagli). Nonostante la normalizzazione della performance rispetto alla classe non sia sempre possibile, è uno degli aspetti più importanti nel considerare di valore un esito del trattamento. CONSIDERAZIONI EVOLUTIVE NELLA VALUTAZIONE DEL DDAI Ci sono dei fattori evolutivi, a seconda che il soggetto sia un bambino di scuola materna o un adolescente, che possono in qualche modo alterare il contenuto e l’andamento del processo di valutazione del DDAI (Anastopoulos & Shelton, 2001). Affronteremo le problematiche relative alla valutazione di bambini in età prescolare nel Capitolo 4. Per quanto riguarda la valutazione del DDAI negli adolescenti esistono diverse ragioni per introdurre modifiche nelle procedure valutative utilizzate con i bambini. Prima di tutto, il funzionamento globale dell’adolescente con DDAI potrebbe essere maggiormente compromesso, dato il rischio maggiore di riscontrare un disturbo della condotta o di personalità antisociale (Barkley, Fischer et al., 1990; Biederman et al., 1996) e insuccesso scolastico (Barkley, Fischer et al., 1990; Mannuzza, Gittelman-Klein, Bessler, Malloy & LaPadula, 1993). Inoltre, diverse ricerche empiriche hanno indicato una frequenza maggiore di abuso di sostanze 85 DDAI a Scuola (Biederman et al., 1997) fra gli adolescenti con DDAI, soprattutto se sono presenti anche comportamenti antisociali (per es., furti, vandalismo). Pertanto, in aggiunta alle difficoltà principali del DDAI gli adolescenti con questo disturbo potrebbero presentare una varietà di disturbi comportamentali e/o emotivi e sono quindi necessarie procedure specifiche per queste difficoltà associate. Nella valutazione di un adolescente a rischio di DDAI è molto importante ottenere una storia affidabile dei problemi comportamentali dal momento che, per definizione, i sintomi del DDAI dovrebbero evidenziarsi prima dei 7 anni. Dal momento che l’affidabilità delle informazioni storiche fornite dai genitori è di solito piuttosto bassa, anche in caso di bambini molto piccoli, bisognerebbe fare attenzione a ottenere “controlli d’affidabilità” sui resoconti dei genitori (Cantwell, 1986). Una fonte possibile sono le pagelle e i registri scolastici; precedenti valutazioni psicologiche e la storia disciplinare del ragazzo. Un terzo fattore da considerare è l’informazione data dagli studenti stessi. Si può raccogliere la percezione che l’adolescente ha del proprio attuale livello di adattamento in aggiunta a quella dei genitori. I self-report compilati dagli adolescenti mostrano un elevato grado di correlazione con le valutazioni genitoriali (Gittelman et al., 1985), anche se questo risultato non è stabile in tutti gli studi condotti (Barkley, Fischer et al., 2002). Indipendentemente dalla relazione fra i self-report e altre misure, i primi possono fornire informazioni critiche (per es., la presenza di sintomi depressivi) non disponibili con altre metodologie valutative. Inoltre, gli adolescenti saranno più probabilmente d’accordo con i risultati di un processo valutativo in cui è stata data importanza alla loro opinione e potrebbero quindi partecipare con maggiore motivazione al piano di intervento (DuPaul, Guevremont & Barkley, 1991). Pertanto, il cambiamento principale nella valutazione multimodale di un adolescente con probabile DDAI è rappresentato dall’inserimento di self-report, quali un’intervista diagnostica con l’adolescente e la compilazione di scale di valutazione comportamentale. Lo studente potrebbe avere un ruolo determinante nella formulazione, implementazione e valutazione del piano di intervento. Come minimo, bisognerebbe ottenere dallo studente misure di self-report e di consumer satisfaction durante la valutazione del piano di intervento. Anche il contenuto della valutazione è in qualche modo differente nel caso di un adolescente. Infatti, bisognerebbe prima di tutto condurre con lo 86 Valutazione del DDAI in contesti scolastici studente un’intervista diagnostica che includa i criteri del DSM per tutti i disturbi passati in rassegna con gli insegnanti e i genitori. Secondo, lo studente dovrebbe compilare diverse misure di self-report incluse la versione Youth Self-Report (YSR) della Child Behavior Checklist (Achenbach, 1991c), lo Youth-Inventory-4 (Gadow et al. 2002) e/o il Conners-Wells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 2000). Sono disponibili norme statistiche per tutte le misure. Dato il maggiore rischio di disturbo emotivo e affettivo fra gli adolescenti con DDAI rispetto ai loro coetanei, è spesso necessario includere questionari che comprendano item su sintomi interiorizzati come la Reynolds Adolescent Depression Scale (Reynolds, 1987). Un ultimo cambiamento nel processo valutativo degli adolescenti è l’inclusione di scale valutative compilate però da più insegnanti. Questo aspetto comporta spesso problemi di interpretazione dei risultati dato il campione limitato di comportamenti dello studente che ogni insegnante osserva. È spesso utile ottenere valutazioni da diversi individui, incluso il personale non docente (per es., un counselor) con il quale lo studente ha maggiori contatti. Piuttosto che affidarsi all’analisi di ogni singolo insegnante (come si fa con i bambini), si può utilizzare la coerenza fra i diversi profili (nei punteggi fattoriali del DDAI) per documentare la pervasività o la mancanza di controllo del comportamento in contesti differenti. Ulteriori dettagli relativi al contenuto delle valutazioni di un possibile DDAI negli adolescenti possono essere trovati in numerosi testi recenti (Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). APPLICAZIONE DEL MODELLO VALUTATIVO Il modello valutativo proposto in questo capitolo rappresenta quello che noi consideriamo lo stato dell’arte per identificare studenti con DDAI e per progettare un piano d’intervento in classe per questa popolazione. In quanto modello teorico, deve essere adattato all’applicazione pratica contesto per contesto. Alcune componenti del modello (per es., l’intervista con i genitori) potrebbero non essere applicabili in determinate situazioni. Sarà quindi necessario introdurre cambiamenti nel modello proposto. Come esempio di implementazione locale di questo modello valutativo, le scuole pubbliche della Contea di Carroll (MD) hanno sviluppato delle linee guida applicative per gli insegnanti e gli psicologi scolastici (County Carroll Public Schools, 1997). Queste linee guida strutturano il processo di identificazione e di intervento 87 DDAI a Scuola in quattro fasi invece di cinque: lo screening, la valutazione multimodale del DDAI, l’interpretazione dei risultati e il piano di intervento. Malgrado la fase di screening sia virtualmente identica nel contenuto e nelle procedure a quella descritta in questo capitolo, sono stati introdotti degli adattamenti al protocollo di valutazione multimodale. Per esempio, si chiede ai genitori di rispondere a domande strutturate sulle difficoltà comportamentali, evolutive e mediche e sulla storia familiare piuttosto che sottoporli ad interviste. Questa seconda fase, anche nelle linee guida della Contea di Carroll, include le componenti principali del protocollo multimodale proposto in questo capitolo: il completamento di scale di valutazione da parte degli insegnanti e dei genitori, l’osservazione diretta e l’analisi delle pagelle e dei registri scolastici. Anche se il nostro modello include alcune componenti non praticabili in alcuni distretti scolastici, è possibile adattare il protocollo andando incontro ai bisogni e alle limitazioni pratiche di ogni singola scuola. L’obiettivo principale è mantenere i principi guida del modello. Prima di tutto, la valutazione deve basarsi su un modello di problem-solving basato su dati empirici in cui vengono utilizzate misure psicometricamente consistenti per identificare il disturbo e prendere decisioni relative all’intervento. In secondo luogo, il modello dovrebbe prevedere uno screening iniziale per identificare chi ha bisogno di una valutazione più approfondita e/o di un intervento. In terzo luogo, bisognerebbe utilizzare informazioni tratte da misure multiple e da fonti differenti per ottenere un ritratto completo del funzionamento del bambino a casa e a scuola. Come nel caso della valutazione di disturbi del comportamento, i professionisti non dovrebbero mai basarsi su un singolo strumento o questionario per fare una diagnosi di DDAI. In quarto luogo, dovrebbero essere raccolti costantemente dati utili per la progettazione del piano di intervento (per es., la valutazione funzionale del comportamento e/o la valutazione basata sul curricolo). Infine, si dovrebbero raccogliere periodicamente dati in alcuni sottoinsiemi di misure per determinare l’efficacia del piano di intervento e per guidare eventuali cambiamenti in itinere. 88 Valutazione del DDAI in contesti scolastici CASI ESEMPLIFICATIVI Caso 1 Arthur è un bambino di 7 anni che frequenta la seconda elementare segnalato allo psicologo scolastico dal proprio insegnante curricolare perché ha difficoltà nel completare attività autonome da seduto, parla spesso senza permesso e non rispetta le regole della scuola. L’insegnante afferma che la qualità del lavoro scolastico di Arthur è simile a quella dei compagni quando lei lavora insieme a lui da sola. Di contro, poiché non porta a termine i compiti assegnatigli ed è spesso distratto durante i test, Arthur ha conseguito risultati scolastici al di sotto di quelli attesi. Dopo una breve discussione sul caso, lo psicologo scolastico ha chiesto all’insegnante di compilare uno strumento di screening (la ADHD Rating Scale-IV). Il punteggio totale di Arthur e i punteggi nei fattori Attenzione e Iperattività-Impulsività superavano il 93° percentile. Inoltre, l’insegnante riferiva come “piuttosto frequenti” sei sintomi di disattenzione e sei sintomi di iperattività-impulsività (in base ai criteri del DSM). Sulla base delle informazioni tratte dallo screening e della natura della segnalazione, si è ritenuta necessaria una valutazione multimodale del DDAI. Come primo passo del processo valutativo, è stata condotta un’intervista con l’insegnante di Arthur. Nel corso dell’intervista, l’insegnante ha riferito che Arthur mostrava spesso problemi di disattenzione, impulsività, iperattività e negligenza in quasi tutte le situazioni e le attività di classe. Queste difficoltà diventavano più evidenti durante lo svolgimento di attività autonome al banco e mentre l’insegnante spiegava qualcosa alla classe o a un piccolo gruppo. Non sembrava ci fossero differenze nel comportamento a seconda delle materie. L’insegnante riferiva, inoltre, la presenza frequente di sei dei nove sintomi di disattenzione e di sette dei nove sintomi di iperattività-impulsività. Questi sintomi si presentavano quotidianamente negli ultimi 6 mesi (ossia dall’inizio dell’anno scolastico). Inoltre, l’insegnante riferiva anche la presenza frequente di un numero significativo (cinque su nove) di sintomi del disturbo oppositivo provocatorio. Questi includevano disobbedienza alle richieste dell’insegnante, scatti frequenti d’ira e infastidire volutamente gli altri. Non riferiva invece problematiche associate ad altri disturbi (per es., disturbo della condotta, depressione, ecc.). Come conseguenza dei problemi di attenzione e di comportamento, Arthur non conseguiva risultati scolastici paragonabili a quelli dei compagni di 89 DDAI a Scuola classe, né in matematica né in attività di lettura. Malgrado ciò l’insegnante non riteneva che avesse difficoltà di apprendimento in nessuna materia. Riferiva che in caso di lavoro “uno-a-uno”, Arthur era in grado di dimostrare conoscenze adeguate in entrambe le aree (era in grado di leggere correttamente materiale interessante per lui), mentre quando gli si chiedeva di portare a termine delle attività autonomamente, soprattutto se si trattava di materiale che non lo interessava, non era in grado di dimostrare le sue capacità perché non portava mai a termine il lavoro. Arthur aveva pochi amici in classe e veniva rifiutato dalla maggior parte dei coetanei. Non seguiva le regole dei giochi ed era spesso verbalmente e fisicamente aggressivo in contesti non strutturati (per es., nel gioco in cortile). L’insegnante riteneva che molti dei comportamenti disfunzionali (quali parlare ad alta voce in classe) fossero tentativi di catturare l’attenzione dei compagni. Sfortunatamente, questi tentativi per favorire l’interazione con i pari generavano solo un ulteriore rifiuto nei propri confronti. L’insegnante riferiva, inoltre, un elevato livello di frustrazione nel tentativo di gestire i comportamenti di Arthur. Gli interventi avevano incluso: ignorare i comportamenti disfunzionali, rimproverarlo pubblicamente per riportarlo al completamento delle attività, inviare note ai genitori in seguito a comportamenti non adeguati e ridurre il numero di item da completare nel lavoro autonomo al banco. Nessuna di queste strategie aveva prodotto miglioramenti nel comportamento. In seguito, sono stati analizzati i registri e le pagelle di Arthur degli anni precedenti. I giudizi scritti degli insegnanti della scuola materna e del primo anno di elementari indicavano che erano già presenti difficoltà simili, nel controllo del comportamento, a quelle riferite dall’attuale insegnante, anche se meno gravi. Da questi dati risultava evidente un pattern di difficoltà attentive e comportamentali presente già da un’età molto precoce e persistente nel corso degli anni successivi. A seguire, è stata condotta una breve intervista telefonica con la madre di Arthur. Le informazioni da lei riportate confermavano le indicazioni dell’insegnante e provavano la presenza di problemi seri di disattenzione, impulsività e iperattività. La madre riferiva, infatti, che quasi tutti i sintomi comportamentali del DDAI si verificavano a casa con una certa frequenza. Questi sintomi erano evidenti fin dall’età di 3 anni, quando frequentava l’asilo nido. La madre descriveva Arthur come ribelle e non cooperativo a casa, soprattutto in 90 Valutazione del DDAI in contesti scolastici risposta alle richieste materne. Non prestava attenzione nello svolgimento di alcuna attività a meno che non fosse interessato a farla e portarla a termine. La mamma indicava anche la presenza di una grande maggioranza di sintomi del disturbo oppositivo provocatorio. Non era invece presente una storia di difficoltà mediche particolari o di ritardi nello sviluppo. La mamma riferiva inoltre che il padre di Arthur aveva avuto simili problemi di disattenzione e di controllo del comportamento da bambino, ma che adesso era un uomo d’affari di successo. Nessun altro membro della famiglia presentava disturbi o problemi rilevanti. Infine, la mamma affermava di essere molto interessata a ricevere un aiuto per la gestione del comportamento di Arthur, dal momento che il livello di stress a casa dipendeva strettamente dal modo in cui egli si comportava. Tentativi precedenti di interventi, inclusa una terapia familiare, non erano riusciti a modificare il comportamento. Le risposte della madre alla Child Behavior Checklist avevano dato come risultato punteggi significativi in tre sottoscale: Problemi di Attenzione, Aggressività e Delinquenza. I punteggi “t” relativi a queste scale erano maggiori di 67, ossia oltre il 95° percentile. Tutte le altre sottoscale erano al di sotto del 93° percentile (nella norma). I punteggi alla ADHD Rating Scale-IV erano superiori alla media di 2 deviazioni standard sia nel punteggio totale che in entrambe le sottoscale. I problemi di attenzione di Arthur si verificavano in quasi tutte le situazioni possibili a casa identificate tramite lo HSQ-R e la loro gravità tipica era di 2 deviazioni standard sopra la media. I punteggi di valutazione dell’insegnante erano coerenti con quelli forniti dalla mamma di Arthur. Sulla versione per l’insegnanti della Child Behavior Checklist Arthur aveva ottenuto dei punteggi significativi nelle sottoscale Problemi di Attenzione e Aggressività. I punteggi “t” erano superiori a 70, ossia oltre il 98° percentile per entrambe le dimensioni. I punteggi nelle scale rimanenti erano nella norma. I risultati allo SSQ-R riferivano che Arthur mostrava problemi di attenzione in tutte le situazioni scolastiche con una gravità di 2 deviazioni standard sopra la media. I giudizi dati dall’insegnante alla SSRS erano indicavano un punteggio al di sotto della media (punteggio “t” di 85) per le abilità sociali. Infine, i punteggi alla Academic Performance Rating Scale rientravano nel range di significatività clinica (1.5 deviazioni standard sotto la media) solo per il fattore Rendimento Scolastico. È stato poi osservato il comportamento di Arthur in diverse situazioni sia in classe sia in cortile. Le osservazioni in classe (utilizzando il sistema di 91 DDAI a Scuola codifica illustrato nell’Appendice 2.2) sono state tre della durata di 20 minuti ciascuna (una volta durante esercizi di matematica al banco, due volte mentre lavorava su un foglio di attività di fonetica). Arthur esibiva numerosi comportamenti verbali e motori non attinenti al compito. Nello specifico, mostrava comportamenti verbali non attinenti al compito nel 20% degli intervalli osservativi e attività motorie non attinenti al compito nel 15% degli intervalli. Al contrario, i compagni selezionati casualmente mostravano comportamenti verbali non attinenti al compito solo nel 4% degli intervalli e attività motorie non attinenti al compito in meno dell’8% degli intervalli. È stato osservato anche il comportamento di Arthur in cortile in due occasioni utilizzando il SOC. Era verbalmente e fisicamente più aggressivo dei compagni di classe selezionati a caso. Pertanto, le osservazioni dirette erano coerenti con quanto riferito dai genitori e dall’insegnante. In concomitanza con le osservazioni, sono stati raccolti dati sulla performance scolastica nel corso dello svolgimento di attività autonome al banco. Arthur completava circa il 60% del lavoro assegnatogli nel corso delle tre sessioni osservative, mentre i compagni ne completavano il 95%. Un aspetto positivo era rappresentato dall’accuratezza del lavoro svolto (una percentuale di correttezza del 93%). Questo conferma la convinzione dell’insegnante secondo cui le abilità di Arthur erano allo stesso livello dei compagni di classe, solo che egli non terminava il lavoro. Successivamente si è passati all’interpretazione dei risultati. La madre e l’insegnante di Arthur riferivano rispettivamente almeno sei sintomi di disattenzione e sei sintomi di iperattività-impulsività come frequenti. Secondo la madre, queste difficoltà si erano manifestate dall’età di tre anni senza remissione dei sintomi. Pertanto, i sintomi erano presenti da un’età molto precoce ed erano persistenti. I punteggi materni e dell’insegnante indicavano che i problemi di attenzione, impulsività e iperattività erano molto più gravi e frequenti di quelli mostrati dalla stragrande maggioranza dei maschi di quell’età. Questo era confermato dall’osservazione del comportamento in classe. Inoltre, la disattenzione si presentava in situazioni diverse a scuola e a casa. Infine, i comportamenti associati al DDAI avevano compromesso significativamente le relazioni di Arthur con i pari e la performance scolastica. Malgrado fosse presente un numero significativo di sintomi del disturbo oppositivo provocatorio, questo disturbo non poteva spiegare le difficoltà di attenzione. Di rilevante importanza era il fatto che i sintomi del DDAI erano 92 Valutazione del DDAI in contesti scolastici precedenti ai comportamenti di negligenza e ribellione. Nello specifico, i primi erano presenti dall’età di tre anni, mentre gli altri non si erano manifestati fino ai 6 anni. Non c’erano indicazioni a favore di altri disturbi emotivi o di apprendimento che potessero spiegare i sintomi del DDAI. Pertanto, la diagnosi è stata di DDAI e di disturbo oppositivo provocatorio. Sono state chieste informazioni all’insegnante di Arthur sugli eventi in classe antecedenti e conseguenti ai comportamenti disfunzionali non attinenti al compito. Inoltre, lo psicologo scolastico ha registrato la frequenza di questi antecedenti (per es., la presentazione del compito) e conseguenti (le risate dei compagni) nel corso di diverse situazioni in classe. I dati delle interviste e delle osservazioni indicavano che i comportamenti disfunzionali di Arthur si verificavano con maggiore probabilità quando gli si chiedeva di svolgere un’attività autonoma al banco e che questi comportamenti erano seguiti da frequenti rimproveri da parte dell’insegnante per riportarlo a concentrarsi sul lavoro da svolgere. Sembrava che lo scopo di questi comportamenti non attinenti al compito fosse evitare e sfuggire il lavoro in classe. Sono stati messi in atto numerosi livelli di intervento sulla base di questi dati valutativi. Prima di tutto, l’insegnante e lo psicologo scolastico hanno progettato un trattamento in classe che includesse modifiche nelle assegnazioni del compito, token reinforcement, valutazione delle risposte e un programma di comunicazione casa-scuola (vedere il Capitolo 5 per i dettagli della programmazione in classe). Questi interventi avevano lo scopo di ridurre il desiderio di Arthur di evitare il lavoro, migliorando gli aspetti positivi della comunicazione casa-scuola e fornendogli una motivazione maggiore a portare a termine i compiti assegnati. In secondo luogo, i genitori sono stati inviati da uno psicologo clinico per un parent training ed è stata fatta una segnalazione al pediatra di Arthur per iniziare un trattamento farmacologico. Il parent training era necessario a causa dell’elevato livello di ribellione e disattenzione a casa. Il trattamento farmacologico è stato suggerito a causa della gravità del DDAI di Arthur e della probabilità molto elevata di un peggioramento nel funzionamento in una serie di aree. La persistenza e la gravità dei comportamenti potevano soddisfare i criteri per l’inserimento in un programma di educazione speciale che però la famiglia di Arthur desiderava evitare per quanto possibile. Se Arthur avesse risposto positivamente al trattamento farmacologico questa eventualità poteva essere evitata. Infine, è stato progettato un livello di intervento sulle abilità sociali per modificare il comportamento 93 DDAI a Scuola di Arthur nei momenti di gioco in cortile. Nello specifico è stata utilizzata una metodologia di peer mediation in cui alcuni compagni erano stati addestrati a mostrare e rinforzare i comportamenti sociali positivi. La combinazione di questi molteplici trattamenti a lungo termine era necessaria data la persistenza e la gravità del DDAI di Arthur. È stata inoltre condotta una verifica in itinere della performance in classe di Arthur da parte di uno psicologo scolastico per valutare i progressi e per determinare se fossero necessari cambiamenti nel trattamento. Sono state condotte osservazioni dell’insegnante e osservazioni in classe almeno settimanalmente durante le prime fasi. Come risultato sono stati introdotti dei cambiamenti nei tempi e nella frequenza delle ricompense. Per diverse settimane sono stati raccolti dati simili tutti i giorni per valutare l’effetto di tre differenti dosi di Ritalina (5 mg, 10 mg, 15 mg). Nel corso dell’anno scolastico queste misure sono state somministrate più volte per accertarsi se fossero necessarie ulteriori modifiche nel piano di intervento o nelle dosi dei farmaci. Caso 2 Keesha è una ragazza afro-americana di 10 anni che frequenta la quinta elementare in una scuola normale pubblica di città. Ha avuto alcune difficoltà nelle lettura e nella matematica per tutto il corso degli anni di scuola, nonostante non sia mai stata inviata a servizi di educazione speciale. Gli insegnanti attuali sono preoccupati di una possibile presenza di DDAI, dal momento che fa spesso fatica a concentrarsi sul compito da svolgere, che dimentica spesso i compiti assegnati e i materiali necessari allo svolgimento delle attività e che sembra spesso distratta. I punteggi dati dall’insegnante alla sottoscala della Disattenzione del DDAI Rating Scale-IV erano superiori al 85° percentile indicando la necessità di una valutazione ulteriore del DDAI. I giudizi dei genitori e dell’insegnante alla BASC indicavano punteggi significativi nei domini della Disattenzione e dell’Ansia e un punteggio borderline per i problemi di iperattività-impulsività e della condotta. Le risposte della madre e dell’insegnante all’intervista evidenziavano che nonostante fossero presenti sette dei nove sintomi di disattenzione non c’erano invece sintomi di iperattività-impulsività. Le sue difficoltà di attenzione risultavano inoltre essere piuttosto recenti (si erano verificate la prima volta all’inizio dell’anno scolastico). Sia la madre sia l’insegnante riferivano anche sintomi del 94 Valutazione del DDAI in contesti scolastici disturbo d’ansia generalizzato (preoccupazioni eccessive sulla qualità delle sue performance scolastiche e sociali) che sembravano peggiorare mano a mano che la scuola andava avanti. Non venivano invece riportati sintomi significativi di disturbo della condotta e di disturbo oppositivo provocatorio. Lo psicologo della scuola ha osservato il comportamento di Keesha in classe durante attività di lettura ed esercizi matematici (lezioni frontali, attività al banco, lavoro in piccoli gruppi). Keesha mostrava comportamenti non attinenti al compito (distogliere lo sguardo dall’attività, parlare con i compagni) in circa il 15% degli intervalli osservativi mentre i compagni di classe mostravano questi comportamenti in solo il 6% degli intervalli. Keesha portava inoltre a termine una percentuale molto più bassa di lavoro scritto al banco rispetto ai coetanei. Un’intervista condotta con Keesha aveva evidenziato che si “sentiva stupida” e che era spesso frustrata a causa della incapacità di leggere alcuni materiali con la stessa velocità dei compagni. Sapeva di non concludere spesso il proprio lavoro e affermava di essere preoccupata per un’eventuale bocciatura. Riferiva, inoltre, preoccupazioni per lo status socioeconomico della madre dal momento che ella era stata spesso malata nel corso dell’anno scolastico. Infine, riferiva di non avere molti amici e di sentirsi in imbarazzo se doveva parlare di fronte ad un gruppo di pari. Anche i punteggi alla self-report RCMAS erano molto alti. Dato che i problemi di Keesha erano piuttosto recenti, non associati a sintomi di iperattività-impulsività e associati invece a sintomi importanti di un disturbo d’ansia, l’équipe di valutazione della scuola è arrivata alla conclusione che non si era in presenza di un DDAI. Lo psicologo della scuola ha suggerito un counseling individuale per i sintomi d’ansia e una valutazione più approfondita da parte di uno psicologo clinico. Inoltre, a causa delle difficoltà scolastiche croniche si è pensato di condurre una valutazione per possibili disturbi specifici dell’apprendimento. COINVOLGIMENTO DEL PERSONALE SCOLASTICO NELLA PROCEDURA VALUTATIVA Negli ultimi anni, sono sorte numerose controversie sul ruolo del personale scolastico nel processo di valutazione del DDAI. Per esempio, la legislazione di molti stati ha limitato la diagnosi a scuola di studenti con DDAI, soprattutto a causa del problema dell’invio a ulteriori servizi per un trattamento 95 DDAI a Scuola farmacologico. Chi si oppone al coinvolgimento della scuola nel processo di valutazione del DDAI sostiene che si tratta di un processo di “diagnosi medica” dal momento che il disturbo è inserito nel DSM-IV e che quindi le valutazioni dovrebbero essere condotte da medici. Se però si osservano con attenzione le metodologie con supporto empirico utilizzate per l’identificazione del DDAI, risulta evidente che gli psicologi scolastici e altro personale educativo hanno l’addestramento e l’esperienza necessari per essere coinvolti in questo processo. Recenti dati di ricerca indicano che gli psicologi scolastici facevano un pari uso a quello degli psicologi clinici di misure con validità empirica (Handler & DuPaul, 2002). Gli psicologi scolastici hanno, inoltre, più opportunità di condurre osservazioni in classe e nel cortile rispetto ad altri professionisti. Inoltre, pochi medici possono vantare lo stesso background, esperienza e opportunità, quantomeno nella somministrazione di scale di valutazione e nell’osservazione del comportamento. La semplice inclusione del DDAI nel DSM-IV non delega di per sé la diagnosi esclusivamente ai medici, dal momento che esso include anche i criteri diagnostici per il ritardo mentale e i disturbi dell’apprendimento (che vengono quotidianamente valutati dagli psicologi scolastici). Infine, dal momento che gli studenti con DDAI probabilmente sperimentano le principali difficoltà in contesti scolastici, non includere il personale scolastico nella valutazione del disturbo sarebbe equivalente a una cattiva prassi diagnostica. Per essere chiari, non stiamo dicendo che gli psicologi scolastici o altro personale educativo siano gli unici professionisti a poter identificare bambini con DDAI. Piuttosto crediamo fortemente che la diagnosi e il trattamento di studenti con questo disturbo richieda una collaborazione di più figure fra le quali i genitori, il personale scolastico, i medici e altri professionisti eventualmente presenti sul territorio (per es., psicologi clinici o neuropsichiatri infantili). Una valutazione completa del DDAI richiede la raccolta di dati affidabili e validi sul funzionamento del bambino in diversi contesti. Troppo spesso, le valutazioni dei servizi territoriali su bambini con possibile DDAI non comprendono la raccolta di informazioni scolastiche dettagliate. Allo stesso modo, alcune valutazioni a scuola possono trascurare l’apporto della famiglia. Pertanto, i professionisti che lavorano a scuola dovrebbero cercare la collaborazione con gli altri colleghi in modo che i dati raccolti a scuola possano essere comunicati in modo sistematico al medico e agli psicologi clinici per prendere decisioni diagnostiche documentate (vedere Capitolo 8). 96 Valutazione del DDAI in contesti scolastici RIASSUNTO La valutazione a scuola del DDAI è costituita da molteplici tecniche diagnostiche utilizzate in una serie di setting e con diverse fonti di informazione. In seguito a una segnalazione di un insegnante per un probabile DDAI, prende il via un processo a cinque fasi: (1) screening dei sintomi del DDAI, (2) valutazione multimodale, (3) interpretazione dei risultati per raggiungere una diagnosi, (4) sviluppo di un piano di intervento e (5) verifica in itinere del piano di intervento. L’obiettivo della valutazione non è semplicemente quello di arrivare a una diagnosi di DDAI, ma di generare un piano di intervento che abbia probabilità di successo perché basato sulle informazioni raccolte. L’utilizzo di un approccio comportamentale alla valutazione, che include interviste a genitori e insegnanti, somministrazione di scale di valutazione a genitori e insegnanti, osservazione diretta del comportamento e analisi dei dati scolastici, è la metodologia migliore per raggiungere entrambi gli obiettivi del processo valutativo. Aspetto importante, i dati vengono raccolti anche nel corso del trattamento per determinarne l’efficacia e/o gli eventuali limiti. 97 APPENDICE 2.1 Sistema di codifica combinato per l’osservazione di bambini a scuola (Volpe & Lorah, 2000) Il sistema di codifica combinato per l’osservazione dei bambini a scuola (SHOCK) deriva dalla combinazione di due sistemi di codifica dell’osservazione: il sistema di codifica dell’osservazione a scuola del DDAI (ADHD SOC; Gadow, Sprafkin & Nolan, 1996) e l’Osservazione del Comportamento degli Studenti a Scuola (BOSS, Shapiro, 1996). Il BOSS include le seguenti categorie di codifica: tempo occupato in azioni attive (AET), tempo occupato in azioni passive (PET), Attività Motorie non attinenti al compito (OFT-M), Comportamenti Verbali non attinenti al compito (OFT-V), Comportamenti passivi non attinenti al compito (OFT-P) e Istruzioni dell’insegnante (TDI). È codificata anche la categoria della Negligenza (NonC) del ADHD SOC. Ad eccezione delle categorie AET e PET (che sono rilevate con una campionatura temporale momentanea), tutti i comportamenti vengono codificati utilizzando un intervallo di 15 minuti. I lettori interessati a questo sistema di codifica dovrebbero consultare Gadow e colleghi (1996) e Shapiro (1996) per ottenere specifiche definizioni di ogni categoria osservativa. Volpe & Lorah (2000). 98 Appendice 2.1 Foglio Riassuntivo di codifica dello SHOCK Bambino: __________________________ Data:_________________ Materia Scolastica: ___________________ Contesto: Osservatore: _______________________ ISW:TPsnt SmGp: TPsnt ISW: TSmpGp LgGp:TPsnt Tempo d’osservazione: _______________ Altro: ______________________________ Sintesi Studente sotto osservazione ∑AET %AET ∑PET %PET ∑OFT-M %OFT-M ∑OFT-V %OFT-V ∑OFT-P %OFT-P ∑NPAg %NPAg ∑NonC %NonC Totale degli intervalli osservati Coetanei “controllo” Insegnante ∑AET %AET ∑TDI ∑PET %PET ∑OFT-M %OFT-M ∑OFT-V %OFT-V ∑OFT-P %OFT-P ∑NPAg %NPAg ∑NonC %NonC %TDI Totale degli intervalli osservati 99 Appendice 2.1 Modulo di raccolta delle osservazioni dello SHOCK Moment 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 S P T 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 S P T 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 S P T 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 S P T AET PET Partial OFT-M OFT-V OFT-P NonC TDI Moment AET PET Partial OFT-M OFT-V OFT-P NonC TDI Moment AET PET Partial OFT-M OFT-V OFT-P NonC TDI Moment AET PET Partial OFT-M OFT-V OFT-P NonC TDI 100 APPENDICE 2.2 Criteri di codifica per l’interazione insegnante-studente Le prime categorie osservative identificano l’agente iniziale dell’interazione (insegnante o studente) e le modalità di avvio dell’interazione (dall’insegnante mentre lo studente mostrava un comportamento attinente/non-attinente al compito o dallo studente in maniera appropriata o non appropriata). TA/ON = L’insegnante interagisce con lo studente che mostra comportamenti attinenti al compito. L’insegnante da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con lo studente che al momento del contatto mostra comportamenti attinenti al compito (vedere sopra). Non si usa questa codifica se lo studente ha alzato la mano o ha chiamato l’insegnante per ottenere la sua attenzione. TA/OFF = L’insegnante interagisce con lo studente che mostra comportamenti non-attinenti al compito. L’insegnante da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con lo studente che al momento del contatto mostra comportamenti non-attinenti al compito (vedere sopra per una definizione di comportamenti non-attinenti al compito). La codifica TA/OFF è indipendente da ciò che succede dopo l’interazione (per es., un intervento che riporta lo studente a mostrare comportamenti attinenti al compito). SA/APP= Lo studente si rivolge all’insegnante in maniera appropriata. Lo studente da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con l’insegnante in maniera “appropriata” ossia: • Alza la mano • Pone domande senza alzare la mano quando le regole della classe sono meno restrittive (per es., se permesso dall’insegnante o in situazioni di lavoro in piccoli gruppi) • Si avvicina alla cattedra durante l’attività autonoma SA/INAPP = Lo studente si rivolge all’insegnante in maniera non appropriata. 101 Appendice 2.2 Lo studente da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con l’insegnante in maniera “non appropriata” ossia: • Parla ad alta voce senza permesso • Si alza dalla sedia (a meno che questo non si verifichi durante un’attività autonoma o un’attività similare, se le regole della classe lo prevedono) • La seconda categoria di codifica dell’osservazione del comportamento dell’insegnante identifica la qualità dell’interazione con lo studente: “positiva”, “negativa” o “altro” POSITIVA = Questa interazione include tutti i commenti verbali positivi in risposta a comportamenti sociali o scolastici appropriati. Può includere anche un contatto fisico (per es., una pacca sulla spalla) a meno che questi contatti non abbiano motivazioni disciplinari. I commenti positivi possono essere diretti allo studente sotto osservazione o al gruppo in cui è inserito. NEGATIVA = Questa interazione include commenti verbali di disapprovazione, rimproveri negativi o minacce verbali di punizioni. Può includere contatto fisico (per es., ricondurre lo studente per mano al proprio banco) se questo è conseguente a un comportamento non appropriato dello studente. L’insegnante può rimproverare direttamente lo studente o emettere giudizi negativi sul gruppo di cui egli è parte. ALTRO = Qualunque altra interazione insegnante-studente non codificabile come positiva o negativa: • Fare lezione o dare istruzioni alla classe • Rispondere a domande (a meno che l’insegnante non aggiunga commenti di approvazione quali “buon lavoro”) • Parlare con lo studente • Dare indicazioni specifiche alla classe (per es., cambiare l’attività) 102 CAPITOLO 3 DDAI e Difficoltà di Apprendimento: quale legame? I bambini con DDAI conseguono solitamente scarsi risultati scolastici (Barkley, 1998; Forness & Kavale, 2001). In classe, questi bambini manifestano una percentuale più bassa di comportamenti attinenti al compito durante le spiegazioni e lo svolgimento di attività in autonomia rispetto a quelle mostrate dai loro compagni di classe (Abikoff et al., 1977). Come risultato, i bambini con DDAI hanno minori opportunità di rispondere alle spiegazioni date e di portare a termine un lavoro autonomo rispetto ai loro coetanei (Pfiffner & Barkley, 1998). Quest’ultimo problema potrebbe, almeno in parte, spiegare lo scarso risultato scolastico dei bambini con DDAI: fino all’80% dei bambini con questo disturbo mostra difficoltà scolastiche e/o di apprendimento (vedere Cantwell & Baker, 1991; Frick et al., 1991; Pastor e Reuben, 2002). Inoltre, i risultati di studi su probabili esiti nell’adolescenza per bambini con DDAI (vedi Barkley, Fischer et al., 1990) indicano che i rischi maggiori per questa popolazione sono rappresentati da uno scarso rendimento scolastico persistente e da tassi più elevati di abbandono scolastico. Data l’associazione fra il DDAI e l’insuccesso formativo, è importante per gli psicologi scolastici e gli altri professionisti dell’educazione essere consapevoli della possibile presenza di difficoltà di apprendimento in bambini con DDAI. Inoltre, quando necessario, è dovere di questi professionisti progettare e mettere in atto strategie efficaci di prevenzione e di intervento per migliorare il rendimento scolastico del bambino (vedere i Capitoli 4 e 5). Lo scopo 103 DDAI a Scuola di questo capitolo è fornire una panoramica sui molteplici aspetti implicati nella relazione fra DDAI e difficoltà di apprendimento. Prima di tutto, passeremo in rassegna le difficoltà di apprendimento che più spesso si associano al DDAI. In secondo luogo, illustreremo una serie di ricerche che hanno esaminato le possibili relazioni causali fra le difficoltà di apprendimento e il DDAI, tratte dalla prima edizione di questo libro (DuPaul & Stoner, 1994) insieme alle prospettive più recenti sulla relazione fra le difficoltà di apprendimento e quelle attentive. Si discuterà inoltre la possibilità di trattare il DDAI aggravato da difficoltà di apprendimento come un sottotipo di DDAI. Saranno inoltre discusse le leggi federali sulla possibile candidabilità degli studenti con DDAI all’inserimento in programmi di educazione speciale e in altri servizi specialistici. Infine, verranno forniti dei suggerimenti per determinare se uno studente con DDAI sia legalmente candidabile all’inserimento in un programma di educazione speciale o in un altro servizio territoriale di supporto in relazione alle norme vigenti. ASSOCIAZIONE FRA DDAI E DEFICIT COGNITIVI Sono state rilevate numerose differenze nel funzionamento cognitivo tra i bambini con DDAI e i loro coetanei che non presentano problematiche evolutive. I bambini con DDAI mostrano spesso difficoltà a svolgere compiti che implicano strategie complesse di problem-solving e capacità organizzative (Barkley, 1998; Tant & Douglas, 1982). È interessante che questi problemi non siano necessariamente imputabili a una carenza nelle abilità di problemsolving di per sé, ma sembrino piuttosto riflettere un impegno insufficiente o un utilizzo non efficace delle strategie adeguate al compito stesso (Barkley, 1990, 1998; Voelker, Carter, Sprague, Gdowski & Lachar, 1989). Dal confronto con i coetanei emerge un’altra differenza nelle misure neuropsicologiche del competenze esecutive (Barkley, 1990; Barkley, Grodzinsky & DuPaul, 1992). I test che valutano esplicitamente le abilità di problem-solving, l’inibizione della risposta e lo sforzo cognitivo prolungato discriminano con un buon grado di affidabilità i bambini con e senza DDAI (Barkley et al., 1992; Chelune, Ferguson, Koon & Dickey, 1986; Rapport et al., 2000). Ancora una volta le strategie utilizzate dai bambini con DDAI in compiti simili sono inefficaci, non ragionate e scarsamente organizzate (Zentall, 1988). Pertanto, non sorprende che gli insegnanti di questi ragazzi riferiscano spesso difficoltà 104 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? nel prendere appunti, nel portare a termine attività a lungo-termine, nell’organizzazione del banco e nel metodo di studio. Un’altra area in cui i bambini con DDAI mostrano di solito maggiori difficoltà rispetto ai loro coetanei sani è lo sviluppo linguistico. Nonostante le ricerche condotte abbiano prodotto risultati equivoci su eventuali ritardi nella comparsa del linguaggio, esistono invece prove ripetute di difficoltà nell’espressione linguistica fra molti bambini con DDAI (Barkley, 1998). In particolare, una percentuale che va dal 10 al 54% di bambini con DDAI mostra problemi di espressione linguistica contro il 2-25% della popolazione normale (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Hartsough & Lambert, 1985). Anche il grado di fluenza e di organizzazione del discorso, in attività che richiedono spiegazioni verbali (per es., rispondere a domande di test di “lettura e comprensione”), è notevolmente più basso in bambini con DDAI (Hamlett, Pelligrini & Conners, 1987; Zentall & Leib, 1985). Al disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività possono associarsi anche difficoltà nella motricità fine e grossa. Una serie di studi hanno rilevato che circa il 52% dei bambini con DDAI mostra una scarsa coordinazione nella motricità fine rispetto alla percentuale massima del 35% di bambini senza questo disturbo (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Hartsough & Lambert, 1985; Szatmari et al., 1989). Questi risultati si presentano con una certa consistenza nel test di disegno di labirinti o pegboard test (vedere Ullman, Barkley & Brown, 1978). Anche in questo caso i risultati non sorprendono dal momento che gli insegnanti riferiscono spesso la presenza di problemi di scrittura e calligrafia (Barkley, 1998). Un’altra serie di ricerche ha documentato una frequenza più elevata di segni neurologici “lievi”, quali difficoltà di coordinazione grosso-motoria, difficoltà e scarso controllo nell’intensità dei movimenti, in bambini con DDAI rispetto ai coetanei normali o con disturbi dell’apprendimento (Denckla, Rudel, Chapman & Krieger, 1985). Per esempio, alla richiesta di muovere un gruppo di muscoli ben preciso (per es., battere l’alluce sul pavimento), i bambini con DDAI potrebbero associare una serie di movimenti non necessari, probabilmente indicativi di una scarsa inibizione motoria (Denckla & Rudel, 1978). Fino a che punto il DDAI sia associato a ritardi nell’abilità cognitiva generale non è ancora chiaro. A un livello di analisi gruppale, questi bambini presentano quasi sempre punteggi mediamente inferiori di 7-15 punti rispetto a quelli dei coetanei normali in test di intelligenza standardizzati (Barkley, 1998). Nonostante queste diffe105 DDAI a Scuola renze possano riflettere uno scarto reale nelle abilità cognitive dei due gruppi, esistono almeno due spiegazioni alternative a questi risultati. Prima di tutto, lo scarto nei risultati del QI potrebbe essere dovuto a differenze nei comportamenti tenuti durante lo svolgimento del test quali, per esempio, elevati livelli di disattenzione nel gruppo di bambini con DDAI rispetto al gruppo dei coetanei (Barkley, 1998). Un secondo possibile fattore esplicativo di queste differenze è l’elevata probabilità che, nel gruppo di bambini con DDAI, siano presenti anche bambini con disturbi dell’apprendimento. Pertanto, i punteggi più bassi al QI del gruppo di bambini con DDAI potrebbero essere dovuti a un sottogruppo che presenta anche disturbi dell’apprendimento. A supporto di questa conclusione vanno i risultati di due ricerche che non hanno rilevato differenze nel QI fra campioni con DDAI e normali quando vengono eliminati gli effetti dei disturbi dell’apprendimento (August & Garfinkel, 1989; Dykman & Ackerman, 1991). Indipendentemente dalle differenze nel QI fra campioni con DDAI e campioni normali, è chiaro che il livello di funzionamento intellettivo di bambini con DDAI è simile a quello della popolazione generale (una distribuzione normale che presenta un funzionamento cognitivo da significativamente sotto la media a significativamente sopra la media; Kaplan, Crawford, Dewey & Fisher, 2000). Conclusioni I bambini con DDAI presentano un rischio maggiore di debolezze nel funzionamento cognitivo rispetto ai loro coetanei. Nello specifico, una percentuale significativa di bambini con questo disturbo manifesta difficoltà nel problem-solving e nelle competenze organizzative, nell’espressione linguistica e/o nel controllo della motricità fine e grossa. Se una di queste difficoltà o la combinazione di esse si aggiunge al DDAI il rischio di insuccesso formativo è ancora più grande. La letteratura individua però almeno due aspetti positivi in contrasto con questi problemi. Innanzi tutto che i bambini con DDAI non differiscono mediamente dalla popolazione generale nel funzionamento intellettivo e che questo disturbo non sembra inficiare le abilità cognitive generali di questi bambini. Tali risultati supportano la convinzione che il DDAI non sia dovuto a una mancanza di capacità, ma che piuttosto rappresenti un deficit nella performance (Barkley, 1998). Inoltre, molti bambini con DDAI, valutati singolarmente, non mostrano nessuno dei problemi cognitivi appena elencati. Questo significa che se come gruppo i bambini con DDAI presenta106 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? no un rischio maggiore di problemi linguistici, di controllo motorio e di problem-solving, molti bambini nello specifico non manifestano alcuna di queste difficoltà. ASSOCIAZIONE FRA IL DDAI E LO SCARSO RENDIMENTO SCOLASTICO Una delle difficoltà più comuni e dagli effetti potenzialmente debilitanti per i bambini con DDAI è il loro costante scarso rendimento scolastico rispetto alle potenzialità intellettive (Barkley, 1998). La grande maggioranza degli studenti con questo disturbo ottiene voti più bassi di quelli attesi in una o più materie scolastiche. Inoltre, questi bambini conseguono punteggi significativamente più bassi rispetto a quelli del gruppo di controllo normale in test di profitto standardizzati (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Cantwell & Satterfield, 1978). Problemi nel rendimento scolastico sono specificamente associati al DDAI anche all’interno di gruppi con bambini con altri disturbi psicologici. Per esempio, i bambini con DDAI ricevono i punteggi più bassi di competenza scolastica alla Child Behavior Checklist anche all’interno di gruppi di bambini con altri problemi clinici (McConaughy, Achenbach & Gent, 1988). Questo scarso rendimento scolastico è presumibilmente imputabile ai principali sintomi del DDAI, disattenzione, iperattività, impulsività, che si verificano in classe, nonostante il dibattito su questo punto si ancora molto acceso. Il persistente scarso rendimento scolastico dei bambini con DDAI li espone a esiti scolastici negativi. Circa il 40% o più dei bambini con DDAI viene inserito in programmi di educazione speciale per studenti con disturbi di apprendimento o disturbi della sfera comportamentale (Barkley, 1998). Inoltre, in campioni di ricerca, circa un terzo dei bambini con DDAI aveva ripetuto almeno un anno scolastico prima di raggiungere la scuola superiore (Barkley, Fischer et al., 1990; Brown & Borden, 1986). Sono anche più spesso soggetti a sospensioni o espulsioni dalla frequenza scolastica anche se questo potrebbe essere in parte dovuto alla presenza maggiore di disturbi della condotta in associazione al DDAI (Barkley, Fischer et al., 1990). Anche il tasso di abbandono scolastico è maggiore nella popolazione affetta da DDAI (Barkley, Fischer et al., 1990). Le difficoltà di rendimento scolastico possono permanere anche nell’età adulta come indicano indagini di follow-up: solo il 20% degli adulti 107 DDAI a Scuola con una storia di DDAI, contro il 50% del campione normale, studia ancora all’età di 21 anni (Weiss & Hechtman, 1986, 1993). I problemi educativi e gli esiti negativi associati a questo disturbo accrescono quindi il rischio di andare incontro, in età adulta, a significative difficoltà sociali e professionali (Barkley, Fischer et al., 1990; Weiss & Hechtman, 1986, 1993). POSSIBILI LEGAMI CAUSALI FRA IL DDAI E LE DIFFICOLTÀ’ SCOLASTICHE Ipotesi di collegamenti fra il DDAI e le difficoltà scolastiche Data la probabilità di un rendimento scolastico costantemente scarso e delle relative difficoltà di apprendimento per bambini con DDAI, sono stati ipotizzati in letteratura diversi possibili collegamenti fra deficit significativi nelle abilità scolastiche (per es., disturbi dell’apprendimento) e il DDAI. Sono state individuate almeno tre ipotesi di legami causali: (1) i deficit nelle abilità scolastiche portano alla manifestazione di comportamenti associati al DDAI; (2) i sintomi comportamentali del DDAI (disattenzione, impulsività e iperattività) disturbano l’acquisizione di abilità scolastiche e la performance; (3) il DDAI e le difficoltà di apprendimento sono entrambi causati da una o più variabili esterne (per es., deficit neurologici). Ciascuna di queste ipotesi viene vagliata nel dettaglio nella sezione seguente insieme a un sunto delle ricerche condotte per verificarle. Ipotesi I: Le difficoltà nelle abilità scolastiche causano il DDAI Un’ipotesi possibile sul collegamento fra le difficoltà di apprendimento e il DDAI è quella secondo cui difficoltà nelle abilità scolastiche alla fine portano a problemi di attenzione, di impulsività e ad altri problemi comportamentali. Questa ipotesi è stata espressa nella forma più completa da McGee e Share (1988). Questi autori assumono che i disturbi dell’apprendimento portano a risultati scolastici fallimentari ripetuti, che con il passare del tempo inducono il bambino a sviluppare un’immagine scolastica negativa di sé (ossia una bassa autostima). Come conseguenza della mancanza di sicurezza nelle proprie capacità scolastiche, questi bambini sono meno motivati a seguire le spiegazioni e a rispettare le regole della classe. Questi evidenti sintomi comportamentali del DDAI portano in seguito a ulteriori scarsi rendimenti completando così il “circolo vizioso”. In base a questo scenario, McGee e Share sostengono che il focus primario del trattamento di bambini 108 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? con DDAI dovrebbero essere le difficoltà di apprendimento e non i sintomi comportamentali. McGee e Share (1988) portano numerose prove a supporto della loro ipotesi. Primo, lo scarso rendimento scolastico è una caratteristica rilevante dei bambini con DDAI. In secondo luogo, i bambini con DDAI, come gruppo, mostrano deficit di performance in test cognitivi correlati con difficoltà di lettura (test di denominazione e test di velocità percettiva). Terzo, i deficit attentivi dei bambini con DDAI potrebbero indicare una scarsa motivazione piuttosto che un deficit proprio delle capacità di concentrazione. Quarto, McGee e Share affermano, sebbene erroneamente, che non esistono prove che il trattamento elettivo per il DDAI (ossia quello farmacologico) porti a miglioramenti nella performance scolastica oltre che a riduzioni della sintomatologia comportamentale. Nonostante le argomentazioni presentate a sostegno di questa ipotesi siano abbastanza convincenti, ognuna di esse presenta limiti importanti come illustrato nella sezione successiva. Ipotesi 2: il DDAI causa le difficoltà scolastiche È possibile che i principali comportamenti del DDAI (disattenzione, impulsività e iperattività) inficino la capacità del bambino di acquisire le abilità scolastiche e/o di dimostrare le sue conoscenze con una certa costanza (Silver, 1990). Una delle versioni iniziali di questa ipotesi era stata proposta da Keogh (1971) secondo cui i comportamenti associati al DDAI potevano interferire con l’apprendimento in almeno due modi. L’elevato livello di attività del bambino poteva, infatti, distrarlo dalle spiegazioni minimizzando così l’acquisizione delle informazioni scolastiche e l’impulsività poteva, a sua volta, portarlo a prendere decisioni affrettate negli esercizi scolastici peggiorando la performance in compiti autonomi. A supporto di questa ipotesi sono i risultati sempre più numerosi, che confermano come il trattamento farmacologico (per es., con metilfenidato) non solo riduca la sintomatologia comportamentale del DDAI, ma porti anche a un miglioramento nella performance scolastica (DuPaul, Barkley & Connor, 1998; Rapport & Kelly, 1991). Pertanto, un trattamento che ha un impatto diretto sullo span di attenzione del bambino e sul controllo del comportamento porta spesso a un concomitante, anche se indiretto, miglioramento della produttività e dell’accuratezza nei compiti, implicando così che i sintomi comportamentali del DDAI siano la causa principale delle difficoltà scolastiche del bambino. Dal momento che sono state condotte poche ricerche 109 DDAI a Scuola che indagano direttamente la relazione causale fra il DDAI e le difficoltà di apprendimento, le conclusioni sulla direzione della causalità sembrano ancora premature. Nonostante una minoranza di bambini con DDAI sia affetta da disturbi dell’apprendimento (vedere di seguito), la maggior parte di loro presenta invece deficit specifici di apprendimento (Cantwell & Baker, 1991). Quest’ipotesi pertanto non spiega come mai alcuni bambini con DDAI presentino anche disturbi dell’apprendimento mentre altri no. Ipotesi 3: il DDAI e le difficoltà scolastiche sono entrambi causati da una terza variabile esterna Le due ipotesi appena illustrate hanno suggerito delle relazioni causali dirette fra il DDAI e le difficoltà di apprendimento. È anche possibile che entrambi i problemi abbiano una terza causa separata. L’ipotesi più comune sostiene che ci sia un danno neurologico aspecifico che causa il DDAI e le difficoltà di apprendimento, almeno in alcuni bambini (Keogh, 1971). Anche altre variabili individuali (temperamento, difficoltà linguistiche) e ambientali (conflittualità familiare) sono state prese in considerazione come possibili fattori causali del DDAI e delle difficoltà scolastiche (Hinshaw, 1992b). Gli studi che verificano queste ipotesi presentano tutti una distorsione che ne inficia la validità: il fatto che i gruppi di bambini con DDAI e/o difficoltà di apprendimento siano eterogenei. L’indagine simultanea su molte variabili più che su un unico fattore causale, complica la verifica dell’ipotesi (Cantwell & Satterfiled, 1978; Hinshaw, 1992b) In realtà è plausibile che siano implicati diversi meccanismi causali in differenti sottogruppi di bambini (Hinshaw, 1992b). Sarebbero necessarie indagini longitudinali per valutare le traiettorie evolutive per diversi sottogruppi di bambini con DDAI, difficoltà di apprendimento o entrambi. Associazione fra DDAI e difficoltà scolastiche: dati empirici Un fattore che ha reso confuse le conclusioni sull’associazione fra DDAI e difficoltà di apprendimento è la sovrapposizione dei concetti di deficit nelle abilità scolastiche (ossia disturbi dell’apprendimento) e deficit nelle performance scolastiche. I primi presumono una mancanza di abilità ad apprendere contenuti di specifiche materie, in situazioni in cui il materiale viene trasmesso correttamente. Quindi, lo studente potrebbe mostrare deficit in simili abilità anche in condizioni di spiegazioni individuali. Al contrario, un deficit nella performance scolastica è presente quando lo studente ha le abilità necessarie 110 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? ma non riesce a dimostrare con costanza, in particolari condizioni di lavoro in classe, le conoscenze acquisite (per es., producendo un lavoro accurato in autonomia al banco). In caso di bambini con DDAI una mancanza di attenzione ai contenuti scolastici potrebbe portare a una scarsa performance nei compiti, anche se il bambino possiede le abilità necessarie a portare a termine il compito correttamente. Inoltre, le difficoltà di attenzione e di controllo del comportamento possono compromettere la disponibilità ad apprendere dello studente (per es., se la disattenzione gli fa perdere passaggi importanti della lezione dell’insegnante) e portare quindi a livelli molto più alti di scarso rendimento scolastico (Silver, 1990). La performance scolastica di bambini con DDAI potrebbe essere scarsa a causa dell’inefficienza e dell’instabilità delle loro abilità di problem-solving (Douglas, 1980). Sfortunatamente, la maggior parte delle ricerche che ha indagato la relazione fra il DDAI e le difficoltà scolastiche non ha chiaramente distinto i deficit nelle abilità scolastiche da quelli di performance. Le indagini empiriche fra il DDAI e le difficoltà scolastiche hanno utilizzato per lo più modelli correlazionali. Pochissimi studi hanno impiegato invece disegni di ricerca che permettessero attribuzioni causali e verifiche specifiche delle ipotesi precedentemente illustrate. Al contrario, è sempre stata misurata la co-occorrenza di difficoltà scolastiche in popolazioni di bambini con DDAI. In quasi tutte queste indagini le difficoltà accademiche sono state definite come “disturbi dell’apprendimento”, malgrado le definizioni di questo costrutto nei diversi studi di ricerca presentino notevoli incongruenze. Ciò non di meno, nella discussione della letteratura utilizzeremo l’espressione disturbi dell’apprendimento dal momento che è quella più ricorrente. Nonostante molti bambini con DDAI presentino anche disturbi dell’apprendimento rispetto alla popolazione normale, le percentuali di co-occorrenza variano molto da studio a studio e l’associazione fra i due disturbi è tutto tranne che definita. Nelle prossime due sezioni forniamo una breve rassegna di questa letteratura. La maggior parte degli articoli citati possono essere consultati, per chi sia interessato a un’analisi più completa del panorama di ricerca (Cantwell & Baker, 1991; Hinshaw, 1992b; Semrud-Clikeman et al., 1992). Occorrenza di difficoltà di apprendimento in campioni affetti da DDAI Fra il 1978 e il 1993 sono state condotte almeno 17 distinte ricerche per determinare la percentuale di bambini con DDAI che presentasse anche disturbi dell’apprendimento in una o più aree (vedere la Tabella 3.1 per un elenco degli studi). 111 DDAI a Scuola TABELLA 3.1. Studi che hanno indagato l’occorrenza dei Disturbi dell’Apprendimento in bambini con DDAI Studio August & Garfinkel (1989) Holborow Berry (1986) Lambert & Sandoval (1980) McGee, Wiiliams & Silva (1984) Schachar, Rutter & Smith (1981) Descrizione del campione Epidemiologico scolastico Epidemiologico scolastico Epidemiologico scolastico Epidemiologico scolastico Epidemiologico scolastico August & Garfinkel (1990) Clinico August & Holmes (1984) Clinico Barkley (1990) Clinico Cantwell & Satterfield (1978) Clinico Gruppi diagnostici N % di DA DDAI Controllo DDAI Controllo 50 47 188 1,405 22 8 27 5 DDAI DC Controllo DDAI DCo 100 44 108 18 21 14.8-42.6 0.0-14.6 2.8-11.3 19 19 DDAI + DCo Controllo DDAI Controllo DDAI Controllo DDAI DDAI + DCo DDAI Controllo DDAI Controllo 24 426 31 1,285 115 50 14 24 42 36 93 54 37 7 23 2 39 8 7 8 19.0-26.2 0.0-2.9 27.6 5.5 182 52 111 97 15 45 0 18 17 20 Dykman & Ackerman (1991) Clinico DDAI Controllo DDAI DDA+I DDA-I Frick et al. (1991) Clinico DCo Controllo clinico 68 42 16 2 Halperin et al. (1984) Clinico DDAI 241 9 Levine, Busch & Aufseeser (1982) Clinico DDAI 220 66 Livingston (1990) Clinico Nussbaum et al. (1990) Clinico DDAI Controllo Giovani DDAI Vecchi DDAI 147 52 38 36 >50 N.R. 29 53 60 30 23-30 10-33 36 2-22 95 100 92 4 Semrud-Clikeman et al. (1992) Silver (1981) DDAI Difficoltà scolastiche Controllo Clinico DDAI Controllo clinico Clinico Nota: DA, disturbi dell’apprendimento; DDAI, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività; DC, disturbi del comportamento; DCo, disturbo della condotta; DDA+I, disturbo da deficit dell’attenzione + iperattività; DDA-I, disturbo da deficit dell’attenzione senza iperattività; N.R., non riportato. 112 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? Come previsto, l’occorrenza di disturbi dell’apprendimento nei gruppi di controllo normali è molto più bassa rispetto ai gruppi con DDAI e va da uno 0% (Barkley, 1990) a un 22% (Semrud-Clikeman et al., 1992). La percentuale media di disturbi dell’apprendimento nei gruppi di controllo è del 8.9% (Mediana = 3%) che corrisponde alle stime di occorrenza di questi disturbi nella popolazione normativa. Sulla base di queste ricerche, sembra che i bambini con DDAI abbiano un rischio tre o quattro volte superiore a quello dei coetanei di presentare anche disturbi dell’apprendimento. Le indagini sintetizzate precedentemente hanno portato a numerose importanti conclusioni sul legame fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento. Prima di tutto, i campioni epidemiologici scolastici rilevano con una certa consistenza una correlazione significativa fra la presenza di disattenzione e iperattività e lo scarso rendimento scolastico (per una rassegna vedere Hinshaw, 1992b; Semrud-Clikeman et al., 1992). Questa associazione è ancora più forte in bambini di scuola elementare (fra i 6 e gli 11 anni). In secondo luogo, nonostante i disturbi dell’apprendimento mostrino una correlazione elevata anche con altri disturbi del comportamento (per es., con il disturbo della condotta), la relazione con le difficoltà scolastiche è più forte nei bambini con DDAI (Frick et al., 1991; Hinshaw, 1992b). La co-occorrenza di DDAI e altri disturbi del comportamento potrebbe spiegare l’associazione di questi ultimi con i disturbi dell’apprendimento. In terzo luogo, la relazione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento dipende fortemente dai criteri utilizzati per definire i disturbi dell’apprendimento. Gli studi che utilizzano criteri rigorosi per la definizione dei disturbi dell’apprendimento (per es., Frick et al. 1991; Semrund-Clikeman et al., 1991) indicano tutti una sovrapposizione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento inferiore al 20%. Nonostante questo dato identifichi una percentuale significativa di bambini, l’occorrenza dei disturbi dell’apprendimento in bambini con DDAI non è più così elevata come si credeva. Infine, le difficoltà scolastiche dei bambini con DDAI non si limitano alla presenza di disturbi dell’apprendimento dal momento che questi bambini sono a rischio maggiore di ripetere gli anni scolastici, di non conseguire il diploma e di abbandonare prima la scuola (Hinshaw, 1992b). L’utilizzo del criterio della bocciatura per affrontare le difficoltà associate al DDAI sembra essere piuttosto fallimentare dal momento che le difficoltà comportamentali di solito persistono se non peggiorano in seguito alla ripetizione dell’anno scolastico (Pagani, Tremblay, Vitaro, Boulerice & McDuff, 2001). 113 DDAI a Scuola Occorrenza del DDAI in campioni di bambini affetti da disturbi dell’apprendimento Numerosi studi hanno, invece, esaminato l’occorrenza del DDAI fra studenti che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo dell’apprendimento. La tabella 3.2 include sette studi condotti in questo ambito fra il 1982 e il 1993. Le percentuali di occorrenza del DDAI variano dal 18 al 60% circa con una percentuale media del 37.2 (mediana = 38.2) (vedere Tabella 3.2). TABELLA 3.2. Studi che hanno indagato l’occorrenza del DDAI in bambini con disturbi dell’apprendimento Studio Descrizione del campione Cantwell & Baker (1991) Felton et al. (1987) Fuerst et al. (1989) Holborow & Berry (1986) Levine et al. (1982) McConaughy, Mattison & Peterson (1994) Vatz (1990) Gruppi diagnostici N % di DDAI Difficoltà linguistiche Tutto il campione ed espressive DA 600 42 19 40 Epidemiologico scolastico Segnalati per difficoltà di apprendimento Epidemiologico scolastico Segnalati per difficoltà di apprendimento Epidemiologico scolastico Epidemiologico scolastico 45 53 57.7 24.5 132 18 123 1,470 41.1 7.9 646 34 503 28.1-36.3 84 87 42 N.R. DL Non DL DA DA Non DA DA DA DA Controllo random Nota: DDAI, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività; DA, Disturbi dell’apprendimento; DL, disturbo di lettura; N.R., non riportato. È evidente che una quantità sostanziale di studenti con disturbi dell’apprendimento mostra anche sintomi significativi di DDAI. Gli studenti con disturbi dell’apprendimento hanno una probabilità sette volte maggiore dei loro coetanei normali di essere affetti anche da DDAI. Inoltre, l’occorrenza di DDAI nella popolazione con disturbi dell’apprendimento è significativamente maggiore dell’occorrenza di disturbi dell’apprendimento in campioni di popolazione con DDAI. Questa associazione così forte ha portato a interrogarsi sull’ipotesi che il DDAI e i disturbi dell’apprendimento non siano altro che un unico disturbo (Silver, 1990). I dati empirici suggeriscono tuttavia che 114 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? i disturbi dell’apprendimento e il DDAI siano due disturbi distinti sebbene sovrapposti, come mostrato nella Figura 3.1. FIGURA 3.1. Diagramma di Venn che illustra la sovrapposizione fra i disturbi dell’apprendimento e il DDAI DDAI 20 - 40% LD Nonostante questi disturbi condividano una parte di varianza, la loro associazione non è totale come dovrebbe essere in caso si trattasse di un unico disturbo. Pertanto, l’associazione fra DDAI e i disturbi dell’apprendimento è probabilmente una funzione delle caratteristiche specifiche di particolari individui con uno dei due disturbi piuttosto che un fenomeno comune a tutti i bambini appartenenti a queste due popolazioni. Studi sulle relazioni causali fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento A tutt’oggi non sono ancora stati condotti studi longitudinali rigorosi che permettano una valutazione diretta dei legami causali fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento. Tuttavia due studi che hanno utilizzato modelli con equazioni strutturali hanno in parte cercato di dare una risposta a questo problema. I risultati di questi due studi portano a concludere che la direzione di causalità prevalente è quella che siano i deficit attentivi a influenzare il rendimento scolastico piuttosto che il contrario. Ferguson e Horwood (1992) hanno indagato le possibili relazioni reciproche fra il DDAI e le abilità di lettura in un campione di 777 bambini della Nuova Zelanda. Sono stati raccolti dati sul rendimento nella lettura e sulla 115 DDAI a Scuola presenza di comportamenti associati al DDAI quando i soggetti avevano 10 e 12 anni. Utilizzando un modello a equazioni strutturali sono stati indagati i possibili legami causali fra il DDAI e il rendimento scolastico. Il modello delle equazioni strutturali misura l’aderenza dei dati empirici al modello teorico, ossia misura la forza e la natura delle relazioni causali ipotizzate fra insiemi di variabili all’interno di una teoria. In questo caso, è stato proposto e sottoposto ad analisi un modello di connessione causale reciproca fra il DDAI e il rendimento nella lettura. I risultati di questo studio hanno indicato che il grado di deficit attentivo di un bambino di 12 anni influenzava negativamente il rendimento nella lettura, mentre non c’erano prove che il rendimento nella lettura a questa età esercitasse un qualche effetto sui deficit attentivi. Pertanto, i sintomi del DDAI sembrano, almeno in parte, presentare un legame causale con il rendimento nella lettura almeno in questo campione. Gli autori di questo studio hanno evidenziato rapidamente tuttavia che è possibile che, in campioni di età inferiori o maggiori, esistano relazioni diverse fra i deficit attentivi e il rendimento nella lettura. Rowe e Rowe hanno ottenuto risultati simili (1992) utilizzando sempre un modello a equazioni strutturali per verificare due possibili modelli di relazione fra il rendimento nella lettura e la disattenzione in classe. Il primo modello ipotizza che nonostante diversi fattori possano avere un impatto sul rendimento nella lettura (per es., status socioeconomico della famiglia, attitudine alla lettura e attività di lettura a casa), la disattenzione influenzi negativamente il rendimento. Il secondo modello ipotizzava invece una relazione causale reciproca fra la disattenzione e il rendimento nella lettura, includendo gli effetti del background familiare su entrambe le variabili. I soggetti erano 5.902 studenti australiani divisi per fasce di età in quattro gruppi sperimentali: 5-6 anni, 7-8 anni, 9-11 anni e 12-14 anni. Sono state utilizzate scale di valutazione compilate dagli insegnanti, misure di self-report e test di profitto per valutare il livello di attenzione in classe, il background familiare (per es., lo status socioeconomico) e il rendimento nella lettura. I risultati di questo studio supportano entrambi i modelli causali ipotizzati per le relazioni fra disattenzione e rendimento nella lettura. Come ipotizzato nel primo modello, la disattenzione in classe influenzava direttamente e negativamente il rendimento nella lettura. Pertanto, gradi elevati di disattenzione erano associati a scarsi punteggi di profitto nella lettura. Fra tutte le variabili considerate, la disattenzione in classe spiegava da sola la percentuale maggiore 116 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? di varianza nel rendimento della lettura, come mostrato nella Figura 3.2. La quantità di varianza spiegata andava dal 13.4% (per il gruppo 7-8 anni) al 22.9% (per il gruppo 12-14 anni). FIGURA 3.2. Istogramma delle proporzioni di varianza spiegata nel rendimento alla lettura dai fattori status socioeconomico, attività di lettura a casa, attitudine alla lettura e disattenzione in classe per quattro gruppi di età di studenti. Tratto da Rowe e Rowe (1992). Copyright 1992 dell’Accademia Americana di Psichiatra Infantile e dell’Adolescenza. Ristampato dietro cortese concessione. I dati empirici supportano però anche il secondo modello causale ipotizzato, dal momento che un maggiore rendimento nella lettura aveva una significativa influenza positiva sull’attenzione in classe. Più recentemente, una serie di studi longitudinali (Fergusson & Horwood, 1995; Fergusson, Horwood & Lynskey, 1993; Fergusson, Lynskey & Horwood, 1997) condotti su un campione di più di 700 bambini neozelandesi ha dimostrato chiari legami fra i comportamenti associati al DDAI nelle scuole elementari e nelle scuole medie (valutati attraverso le scale di valutazione compilate dagli insegnanti e dai genitori) e successivi livelli di successo scolastico (dalle scuole medie fino ai 18 anni). In particolare, modelli 117 DDAI a Scuola a equazioni strutturali hanno dimostrato che elevati livelli precoci di comportamenti associati al DDAI si accompagnavano a scarso rendimento scolastico nel presente e nel futuro. Rapport, Scanlan e Denney (1999) hanno cercato di replicare i risultati degli studi di Fergusson e colleghi valutando i sintomi del DDAI e il rendimento scolastico in un campione di 325 bambini hawaiani di etnie differenti. La relazione fra i sintomi del DDAI (valutati attraverso scale di valutazione compilate dagli insegnanti) e il successivo rendimento scolastico (valutato attraverso la somministrazione collettiva di test di profitto) risulta confermata anche da questi ricercatori. Analisi ulteriori hanno indicato che l’influenza dei comportamenti associati al DDAI sul funzionamento scolastico era mediata da variabili cognitive (per es., la memoria) e comportamentali (per es., condotta in classe). Anche se i modelli a equazioni strutturali non permettono di indagare direttamente la relazione causale, forniscono misure dell’influenza relativa fra gruppi di variabili. Da questi studi risulta evidente che i comportamenti associati al DDAI (quali disattenzione e impulsività) influenzano direttamente il rendimento scolastico in modo negativo: un elevato numero di sintomi di DDAI si associa a un rendimento scolastico più scarso. I risultati dello studio di Rowe e Rowe (1992), in particolare, indicano che è la disattenzione a giocare un ruolo determinante nel rendimento nella lettura rispetto ad altri fattori (quali lo status socioeconomico familiare) di cui si presupponeva l’influenza sulla lettura. È importante notare, tuttavia, che la relazione fra il rendimento nella lettura e il DDAI è più probabilmente bidirezionale, nonostante questa ipotesi non sia supportata dai risultati nello studio di Fergusson e Horwood (1992). Limiti dei risultati degli studi empirici In aggiunta al fatto che nessuno studio ha direttamente indagato la relazione causale fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento, ci sono altri fattori che rendono limitate le conclusioni relative all’associazione fra i due disturbi. Uno dei difetti principali delle ricerche presentate è rappresentato dall’incoerenza nella definizione adottata della variabile disturbi dell’apprendimento (Barkley, 1990), 1998; Frick et al., 1991; Hinshaw, 1992b). A seconda dello studio, i disturbi dell’apprendimento sono stati definiti in una varietà di modi fra i quali: performance inferiore alla media in test di profitto; differenza superiore 118 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? a 1 deviazione standard fra il punteggio del QI e i punteggi a test di profitto e giudizi dell’insegnante sulla presenza di significativi problemi di apprendimento. Non sorprende che questa mancanza di accordo sulla definizione dei disturbi dell’apprendimento abbia portato a più elevati tassi di occorrenza di questi disturbi in campioni di bambini con DDAI (vedere Tabella 3.1) e abbia, in alcuni casi, gonfiato la percentuale stessa dei disturbi di apprendimento (vedere per una discussione del problema Semrud-Clikeman et al., 1992). Un altro fattore che limita le conclusioni dell’attuale letteratura è l’utilizzo frequente di un solo strumento di misura per definire i disturbi dell’apprendimento e/o il DDAI. Per esempio, Holborow e Berry (1986) hanno utilizzato punteggi di scarto a scale di valutazione compilate dagli insegnanti per determinare la presenza di DDAI e di disturbi dell’apprendimento. Anche quando gli strumenti utilizzati sono statisticamente validi e affidabili, l’uso di un solo strumento di misura per “diagnosticare” ciascuno dei due disturbi ha una maggiore probabilità di produrre errori diagnostici. Pertanto, si sconsiglia una simile prassi di lavoro sia a scopi di ricerca che a scopi di intervento professionale. Infine, la maggior parte delle ricerche ha utilizzato campioni clinici per indagare il grado di associazione fra i disturbi dell’apprendimento e il DDAI. In tali campioni l’occorrenza di disturbi dell’apprendimento in soggetti con DDAI e viceversa potrebbe essere sovrastimata dal momento che bambini che presentano più di un disturbo vengono di solito inviati a servizi clinici (Semrud-Clikeman et al., 1992). Pertanto, l’occorrenza media di disturbi dell’apprendimento in campioni di bambini con DDAI precedentemente riportata (31.1%) potrebbe rappresentare un valore limite massimo e lo stesso si può affermare per l’occorrenza di DDAI in campioni di bambini con disturbi dell’apprendimento. Recenti prospettive sulla relazione fra DDAI e Difficoltà di Apprendimento Dalla rassegna di studi effettuata per la prima edizione di questo libro, i ricercatori hanno continuato a indagare, formulare ipotesi e a scrivere articoli sulla relazione fra i deficit attentivi e le difficoltà di apprendimento. Presentiamo qui alcuni di questi lavori e possiamo notare da subito che le conclusioni principali a cui si è giunti oggi rimangono coerenti con quelle dei lavori precedenti. Di recente è stato invece pubblicato il più ampio studio mai condotto sui tassi di occorrenza e di co-occorrenza del DDAI e dei Disturbi 119 DDAI a Scuola dell’Apprendimento (Pastor e Reuben, 2002). In questo studio i ricercatori del Centro Nazionale di Statistica Sanitaria riportano risultati coerenti con quelli ottenuti dall’Indagine sulla Salute Nazionale condotta negli anni 19971998. Sono stati raccolti dati su più di 8.600 bambini con un’età fra i 6 e gli 11 anni in più di 78.000 nuclei familiari individuati come rappresentativi della popolazione degli Stati Uniti. Dai dati raccolti i ricercatori hanno elaborato delle stime nazionali sull’occorrenza del DDAI, dei disturbi dell’apprendimento e sulla co-occorrenza di questi due disturbi. Il risultato principale dello studio è il seguente: negli anni 1997-1998 più di 2.6 milioni di bambini fra i 6 e gli 11 anni avevano ricevuto una diagnosi di Disturbo da Deficit dell’Attenzione (DDA) o di disturbo dell’apprendimento (DA). Il 3% dei bambini aveva ricevuto una diagnosi di DDA soltanto, il 4% di DA soltanto e il 4% di entrambi (Pastor e Reuben, 2002). Queste stime sono coerenti con quelle rilevate in precedenti studi sull’occorrenza del DDAI nella popolazione degli Stati Uniti (Barkley, 1990, 1998). Coerente con i risultati precedenti era anche la percentuale tre volte superiore di maschi con DDAI rispetto a quella delle femmine (Pastor & Reuben, 2002). Aspetto ancora più interessante, i bambini con sola diagnosi di disturbi dell’apprendimento avevano una probabilità cinque volte maggiore di essere inseriti in programmi di educazione speciale rispetto a bambini con sola diagnosi di DDAI. Questo risultato è coerente con il fatto che alcuni, ma non tutti i bambini con DDAI presentino difficoltà di apprendimento così significative da richiedere l’inserimento in programmi di educazione speciale. Tuttavia, paragonando fra loro i bambini affetti solo da DDAI, i bambini affetti solo da disturbi dell’apprendimento e i bambini con entrambi i disturbi, questi ultimi presentavano un tasso maggiore di trattamento farmacologico e di invio a servizi di salute mentale. Questi due interventi erano poi maggiormente frequenti per i bambini affetti solo da DDAI e meno frequenti per bambini solo con disturbi dell’apprendimento. Sempre nell’ambito dell’occorrenza, ma con un focus maggiore sui servizi educativi, Forness e colleghi (Forness & Kavale, 2001; Forness, Kavale, Sweeney & Crenshaw, 1999) riferiscono che i bambini con DDAI rappresentano il 40% dei bambini con disturbo emotivo a essere inseriti in programmi di educazione speciale. Inoltre, i bambini affetti solo da DDAI rappresentano 120 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? il 25% della popolazione di bambini che ricevono un’educazione speciale a causa di disturbi dell’apprendimento. Questi ricercatori suggeriscono nuovamente come una valutazione di eventuale comorbidità fra DDAI e disturbi dell’apprendimento o disturbi della condotta sia un fattore cruciale per determinare i servizi di supporto necessari al bambino e il piano di intervento a scuola. In maniera simile, altri importanti ricercatori del settore concordano sull’importanza di un’attenzione particolare alla diagnosi (Barkley, 1997; Shaywitz, Fletcher & Shaywitz, 1995; Shaywitz & Shaywitz, 1991), rinforzando il concetto che il DDAI e i disturbi dell’apprendimento siano disturbi differenti con cause distinte. Considerando il DDAI un disturbo dell’inibizione e dell’autocontrollo, con cause neurobiologiche, Barkley (1997) suggerisce, in base agli studi valutati, che il DDAI implichi deficit dimostrabili nelle funzioni inibitorie ed esecutive, non riscontrabili in bambini con disturbi dell’apprendimento. In maniera simile, Shaywitz e colleghi affermano che i disturbi dell’apprendimento si fondano su deficit in fattori cognitivi, mentre il DDAI si fonda su deficit dell’area comportamentale. Anch’essi riconoscono e sottolineano l’importanza di determinare l’occorrenza di uno dei due o di entrambi i disturbi in un determinato bambino che presenta problemi di apprendimento e di attenzione a scuola. Conclusioni Nonostante i limiti evidenziati, i dati empirici disponibili indicano una relazione consistente fra il DDAI e deficit significativi nelle abilità scolastiche (disturbi dell’apprendimento). Circa un bambino su tre o quattro con DDAI può presentare anche un disturbo specifico dell’apprendimento. Inoltre la maggioranza dei bambini con DDAI mostra uno scarso rendimento scolastico, presumibilmente perché non completa i lavori assegnatigli e perché è poco accurato nello svolgimento di attività al banco e di test. Circa il 40% degli studenti con disturbi dell’apprendimento mostrano sintomi significativi anche di DDAI. Pertanto l’area di sovrapposizione fra i due disturbi è piuttosto ampia, come mostrato nella Figura 3.1. È importante notare, comunque, che l’associazione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento non è perfetta e che non siamo in presenza di un unico disturbo come sostenuto da alcuni ricercatori (McGee & Share, 1998). In realtà, la maggior parte dei bambini con DDAI non è affetta da un disturbo dell’apprendimento e la maggior par121 DDAI a Scuola te degli studenti con disturbi dell’apprendimento non soddisfa i criteri per una diagnosi di DDAI. Malgrado ciò, si deve tenere in considerazione, al momento di progettare una valutazione e un piano di intervento in contesti scolastici, il fatto che una minoranza significativa di bambini in ogni gruppo diagnostico presenta entrambi i disturbi. Non è chiaro se sia il DDAI a “causare” o a portare ai disturbi dell’apprendimento in alcuni bambini o viceversa. Non è stato condotto nessuno studio che affronti adeguatamente questo problema. Probabilmente si tratta di una questione non risolvibile. Le ricerche che hanno utilizzato modelli a equazioni strutturali hanno tuttavia fatto un po’ di luce sulla questione. Hanno infatti indicato che i comportamenti associati al DDAI, soprattutto la disattenzione e l’impulsività, esercitano un effetto negativo forte sul rendimento scolastico. Questa relazione può essere reciproca (il livello di rendimento nella lettura può influenzare l’attenzione in classe); tuttavia l’impatto del DDAI sul rendimento sembra più evidente. Infatti, i risultati di una ricerca (Rowe e Rowe, 1992) indicano che la disattenzione è uno dei fattori principali che determinano il rendimento nella lettura. Nonostante la direzione causale sia a tutt’oggi sconosciuta, è chiaro che molti bambini con DDAI presentano deficit nelle abilità scolastiche che devono essere tenuti in considerazione. Si ritiene che determinati sottotipi di DDAI possano essere associati a una maggiore probabilità di occorrenza di disturbi dell’apprendimento. Per esempio, alcuni studi hanno esaminato se i bambini con DDAI/Tipo con disattenzione predominante siano a maggiore rischio di deficit di apprendimento rispetto a quelli con DDAI/Tipo combinato. In generale, questi studi non hanno trovato differenze significative nell’occorrenza di disturbi dell’apprendimento fra diversi sottotipi di DDAI (Lahey & Carlson, 1992). Al contrario, alcuni sottotipi di bambini con disturbi dell’apprendimento presentano un rischio maggiore di problemi di controllo del comportamento, incluso il DDAI. Nello specifico, Rourke (1988) ha identificato che i bambini con deficit di apprendimento non-verbale sono a maggiore rischio di presentare simili disturbi. Le future ricerche sull’associazione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento dovrebbero dividere i campioni in sottotipo noti di ogni disturbo piuttosto che raggruppare i bambini in due campioni eterogenei. Tale procedura potrebbe fornire la migliore opportunità per identificare quali bambini con DDAI presentino un rischio maggiore di disturbi dell’apprendimento e viceversa. 122 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? SUDDIVISIONE DEL DDAI IN SOTTOTIPI IN BASE AI DEFICIT NELLE ABILITÀ SCOLASTICHE Data l’eterogeneità dei bambini con DDAI, sono stati fatti dei tentativi per identificare possibili sottotipi del disturbo che possano essere omogenei rispetto a una dimensione importante (iperattività, aggressività, sintomi interiorizzati). Dal momento che un terzo dei bambini con DDAI mostra anche deficit di apprendimento significativi, può avere un senso considerare la presenza o meno di disturbi dell’apprendimento come un criterio per identificare sottotipi del disturbo. Affinché questa suddivisone possa essere di un qualche utilità pratica, i bambini con DDAI associato a disturbi dell’apprendimento dovrebbero differire da quelli affetti solo da DDAI nei fattori eziologici, nel corso evolutivo, negli esiti a lungo-termine e/o nella risposta a trattamento (Barkley, 1990, 1998). In altre parole, devono presentare differenze significative a livello clinico che vadano oltre quelle di profitto (ossia le differenze nel rendimento scolastico) che hanno indotto a prendere in considerazione una suddivisione in sottotipi. In questa sezione, analizziamo brevemente le argomentazioni e le prove a favore e contrarie all’identificazione di un sottotipo del DDAI con disturbi dell’apprendimento. In aggiunta a un rischio maggiore di disturbi dell’apprendimento associati a DDAI, esistono almeno due ragioni serie per indagare se esista un sottotipo di DDAI con disturbi dell’apprendimento. Prima di tutto, il fatto che suddividere i bambini in funzione dei deficit di apprendimento potrebbe essere utile nel determinare i “meccanismi causali” soggiacenti alle loro difficoltà cognitive e comportamentali. Piuttosto che ricercare cause unitarie per tutti i bambini con uno dei disturbi, sarebbe di maggiore utilità esplorare l’eventuale presenza di differenti fattori eziologici per ogni sottotipo (Hinshaw, 1992a; Rourke, 1988). Per esempio, i deficit di attenzione di bambini con disturbo della lettura potrebbero essere causati o associati a un fattore o insieme di fattori differenti rispetto a quelli che portano a un deficit attentivo senza difficoltà di lettura (Felton, Wood, Brown, Campbell & Harter, 1987; Shaywitz et al., 1995; Shaywitz e Shaywitz, 1991). Un secondo fattore a favore dell’individuazione di un sottotipo di DDAI con disturbi dell’apprendimento è rappresentato dalle possibili differenze negli esiti a lungo-termine. È possibile che i bambini con DDAI e alcune forme di disturbi dell’apprendimento siano a maggiore rischio di problemi cronici nel rendimento scolastico rispetto ai bambini affetti solo da DDAI 123 DDAI a Scuola o solo da disturbi dell’apprendimento. Per esempio, Beitchman, Wekerle e Hood (1987) hanno riscontrato deficit significativi nell’espressione e nella comprensione linguistica e difficoltà visuo-motorie in un piccolo gruppo di bambini di scuola materna con DDAI e ritardo del linguaggio. Sulla base di questi risultati, hanno suggerito che questi bambini sono a maggiore rischio di sviluppare in età successive un DDAI associato a un disturbo di lettura. In modo simile, Felton e colleghi (1987) hanno scoperto pattern differenti di performance in vari test di abilità verbali fra bambini con DDAI suddivisi in gruppi sulla base della presenza o meno di un disturbo di lettura. Il fatto che bambini con DDAI e disturbo di lettura mostrino punti deboli in tutte le aree di funzionamento verbale ha portato questi ricercatori a ipotizzare che questi bambini abbiano maggiore probabilità di andare incontro a deficit persistenti. Si deve tuttavia sottolineare come la probabilità di un esito peggiore per i bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento resti solo un’ipotesi dal momento che non sono stati ancora condotti studi longitudinali rigorosi che abbiano come oggetto specifico d’indagine questo aspetto. I bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento differiscono dai bambini affetti solo da DDAI o solo da disturbi dell’apprendimento in numerose dimensioni. Il risultato più evidente è che i bambini che presentano l’associazione dei due disturbi sono “doppiamente svantaggiati” (August & Garfinkel, 1990). Oltre a mostrare i comportamenti associati al DDAI, i bambini con entrambi i disturbi mostrano deficit in test cognitivi associati a tutte e due le problematiche. August e Garfinkel (1990) hanno riscontrato che bambini con disturbo della lettura isolato esibiscono difficoltà in compiti che richiedono competenze di elaborazione automatizzata (per es., identificazione immediata di una lettera, denominazione di oggetti). A loro volta, i bambini affetti solo da DDAI manifestano competenze di elaborazione automatizzata nella norma, ma carenze in test che richiedono un’elaborazione prolungata e impegnativa (per es., memorizzazione meccanica di contenuti). I bambini affetti sia da DDAI che da disturbo della lettura avevano difficoltà in entrambe le aree dell’elaborazione. Inoltre, i bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento sono a maggiore rischio di sperimentare ansia da separazione (Dykman & Ackerman, 1991) e rifiuto sociale (Flicek, 1992) rispetto a quelli con uno solo dei due disturbi. Questi e altri risultati sono stati utilizzati a sostegno di una classificazione del DDAI in un sottotipo comportamentale (DDAI senza 124 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? disturbi dell’apprendimento) e in un sottotipo cognitivo (DDAI con disturbi dell’apprendimento) (August & Garfinkel, 1989). Malgrado questi risultati, è prematuro concludere che la classificazione del DDAI in sottotipi sulla base della presenza o meno di difficoltà di apprendimento abbia una qualche utilità pratica. La maggior parte degli studi che hanno verificato questa distinzione hanno ottenuto differenze fra i due sottotipi in test scolastici (QI, compiti di apprendimento, profitto). Queste differenze sono ovvie dal momento che hanno guidato l’ipotesi di classificazione. Al di là del caso isolato sopra citato (Flicek, 1992), la maggior parte degli studi non è riuscita a ottenere differenze qualitative o quantitative nel funzionamento comportamentale dei due sottotipi (August & Garfinkel, 1989, 1990; Dykman & Ackerman, 1991; Halperin et al., 1984). Inoltre, i bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento non differiscono da quelli affetti solo da DDAI nella risposta al trattamento con farmaci stimolanti (Dykman & Ackerman, 1991; Halperin, Gittelman, Klein & Rudel, 1984). Pertanto, non sono state raccolte prove affidabili che differenzino i due sottotipi in relazione ai fattori eziologici, al corso evolutivo, agli esiti a lungo-termine e alla risposta al trattamento. Fino a che non verranno condotte ulteriori ricerche, la classificazione del DDAI sulla base di altre dimensioni (con o senza aggressività) è certamente di maggiore utilità per i professionisti. LINEE GUIDA PER LA PROCEDURA DI VALUTAZIONE: DDAI E DEFICIT NELLA PERFORMANCE SCOLASTICA Come precedentemente evidenziato, le difficoltà nel rendimento scolastico di bambini con DDAI possono essere suddivise in due categorie: deficit nella performance scolastica e deficit nelle abilità scolastiche. Pertanto, la procedura di valutazione in contesti scolastici di bambini segnalati per problemi di attenzione deve includere misure del rendimento scolastico che possano coprire possibili deficit di abilità e di performance. La procedura di valutazione del DDAI è descritta nel dettaglio all’interno del Capitolo 2. La sezione seguente vuole individuare metodologie valutative adeguate per un’analisi del rendimento scolastico del bambino. Inizialmente, verranno discussi gli strumenti utilizzabili per uno screening dei deficit nelle abilità scolastiche e dei disturbi dell’apprendimento in bambini con DDAI. Di seguito, dal momento che i bambini con DDAI mostrano performance scolastiche incostanti (per es., nel 125 DDAI a Scuola completamento del lavoro), verranno presentate le tecniche per valutare i possibili deficit di performance. Infine, verranno illustrate le metodologie utilizzate per determinare se i problemi di attenzione del bambino siano imputabili a una mancanza di abilità scolastiche, al DDAI o a entrambi. Verrà, inoltre, presentato un caso esemplificativo per spiegare meglio questa distinzione così sottile. Procedure di screening Ogni qual volta un bambino viene segnalato per problemi di attenzione e comportamenti associati al DDAI, bisognerebbe includere nel processo di valutazione strumenti che permettano di effettuare uno screening dei deficit nelle abilità scolastiche. Bisognerebbe prima di tutto includere nelle interviste a genitori e insegnanti domande relative alle difficoltà scolastiche (vedere il Capitolo 2; vedere anche Barkley, 1990, 1998). In particolare, l’insegnante del bambino dovrebbe fornire informazioni sulle possibili difficoltà in ciascuna materia. In secondo luogo, bisognerebbe ottenere un giudizio dell’insegnante sulle difficoltà nel rendimento scolastico attraverso la somministrazione della Academic Performance Rating Scale (APRS; DuPaul, Rapport & Perriello, 1991) o della Academic Competence Evaluate Scale (ACES; DiPerna & Elliott, 2000). Punteggi inferiori di 1.5 o più deviazioni standard dalla media per età e per genere al punteggio totale della APRS e nella sottoscala del Successo Scolastico sono considerati significativi. Bisognerebbe approfondire con l’insegnante alcuni item delle scale di valutazione per chiarire la natura specifica delle possibili difficoltà scolastiche. Nella maggior parte dei casi, i bambini con DDAI ottengono punteggi pari a quelli dei coetanei in quasi tutte le materie e non presentano deficit nelle abilità scolastiche. Nella sottoscala Successo Scolastico della APRS ci si aspettano punteggi all’interno del range di 1.5 deviazioni standard dalla media. Questi stessi bambini presentano invece, di solito, difficoltà di performance scolastica (bassa percentuale di completamento in compiti individuali al banco e nell’accuratezza) con valori inferiori alla media nel punteggio totale dell’APRS e nella Sottoscala di Produttività Scolastica. Bisognerebbe condurre una valutazione più approfondita della performance come indicato di seguito. Se i dati delle interviste e delle scale di valutazione indicano la presenza di potenziali deficit nelle abilità scolastiche, bisognerà condurre indagini più ap126 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? profondite per vagliare la presenza di eventuali disturbi dell’apprendimento. Anche se di solito si conduce una valutazione psicoeducativa che include il QI e altri test di profitto, preferiamo suggerire una valutazione comportamentale dei deficit nelle abilità scolastiche per una serie di ragioni (maggiore rilevanza per le strategie di insegnamento, maggiore validità ecologica). Un approccio comportamentale, di solito, include misure basate sul curricolo (Shinn, 1989, 1998); l’osservazione diretta dei comportamenti finalizzati al compito; un’analisi delle produzioni scritte e interviste con l’insegnante sulle problematiche specifiche presentate dal bambino (per i dettagli vedere Shapiro, 1996; Shapiro & Kratochwill, 2000). L’esame del rendimento scolastico dovrebbe essere condotto contemporaneamente a quello del DDAI come indicato nel Capitolo 2. I bambini segnalati per possibili disturbi dell’apprendimento dovrebbero essere sottoposti anche a uno screening per il DDAI dato che sono a rischio maggiore di presentare questo disturbo rispetto ai loro coetanei. Questo screening dovrebbe essere condotto anche se chi ha fatto la segnalazione non ha menzionato problemi di attenzione e/o di comportamento. Le procedure di screening per il DDAI sono discusse nel dettaglio all’interno del Capitolo 2. Queste includono interviste con l’insegnante sulla presenza di possibili comportamenti associati al DDAI. Tale risultato si ottiene con maggiore facilità se l’insegnante completa la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power et al., 1998). Utilizzando i criteri del DSM, se sei o più item di Disattenzione o di Iperattività-Impulsività vengono valutati come “piuttosto frequenti” o “molto frequenti”, allora è necessaria un’indagine più approfondita sul DDAI. Se viene riferito un numero inferiore di sintomi si procederà a una valutazione più approfondita solo se altre informazioni raccolte lo renderanno necessario. Valutare i deficit nella performance scolastica Anche quando i bambini con DDAI non mostrano specifici punti deboli in determinate abilità scolastiche, hanno spesso difficoltà a completare lavori individuali nei tempi giusti, ottenendo così punteggi inadeguati ai test di valutazione; a studiare per gli esami; a prendere appunti durante le lezioni in classe e a portare a termine i compiti assegnati. I comportamenti associati al rendimento scolastico sono fra i target più importanti di qualunque piano di intervento per il DDAI. Pertanto, la valutazione di questi comportamenti 127 DDAI a Scuola dovrebbe essere una componente standard della procedura di valutazione del DDAI. Alcuni fra i comportamenti scolastici più rilevanti da valutare sono: la percentuale di completamento e di accuratezza del lavoro individuale al banco, la percentuale di completamento e di accuratezza dei compiti a casa e le competenze organizzative (per es., ordine del banco, precisione degli appunti presi a lezione). Gli strumenti per ottenere queste informazioni includono l’osservazione diretta del comportamento in classe, le valutazioni dell’insegnante e la raccolta dei prodotti scolastici finiti del bambino (per es., compiti svolti a casa o in classe). Questi strumenti sono discussi con maggiore dettaglio nel Capitolo 2. Ci si aspetta che i bambini con DDAI portino a termine una percentuale significativamente inferiore di compiti e/o che li completino con minore accuratezza rispetto ai loro compagni di classe. Distinguere il DDAI dai deficit nelle abilità scolastiche Come già detto, la sovrapposizione fra il DDAI e i deficit nella abilità scolastiche o disturbi dell’apprendimento è piuttosto rilevante. Pertanto, molti bambini segnalati per uno screening di DDAI presenteranno sintomi sia del DDAI che di deficit in abilità scolastiche. La grande maggioranza dei bambini con DDAI, tuttavia, non ha problemi nelle abilità scolastiche di per sé. Piuttosto, i problemi di disattenzione e impulsività li portano a incontrare difficoltà nel seguire le istruzioni, nel completare i compiti assegnati con costanza e accuratezza e nell’ottenere valutazioni a test di profitto che rispecchino il loro reale livello di conoscenze. Pertanto, uno degli obiettivi della valutazione del DDAI è quello di determinare se i problemi scolastici di uno studente siano imputabili al DDAI, ai disturbi dell’apprendimento o a entrambi. Ciò che rende questa distinzione particolarmente complessa è l’ambiguità delle numerose definizioni esistenti di disturbi dell’apprendimento in diversi distretti scolastici. Indipendentemente dalla definizione utilizzata, gli obiettivi della valutazione sono duplici. Il primo è quello di verificare se i sintomi che il bambino manifesta soddisfino i criteri per il DDAI. Il secondo è quello di raccogliere informazioni utili a determinare fino a che punto i problemi scolastici del bambino siano imputabili a difficoltà di attenzione, impulsività e iperattività. Bisognerebbe tenere in considerazione numerosi fattori nel determinare se i problemi di disattenzione, di controllo degli impulsi e di iperattività a scuola 128 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? siano dovuti al DDAI o siano secondari a deficit in abilità scolastiche. Queste considerazioni sono di seguito elencate all’interno di tre possibili scenari: 1. Se i dati raccolti nel corso della valutazione, come descritto nel Capitolo 2, indicano una sintomatologia significativa a livello clinico che perdura nel tempo in diversi ambiti, è probabile che i problemi scolastici del bambino siano secondari a un DDAI. In questo caso, i dati ricavati dalle interviste, dalle scale di valutazione e dalle osservazioni dirette sono coerenti fra loro nel posizionare i comportamenti del bambino agli estremi della normalità per il genere e per l’età. Una valutazione più approfondita per la presenza di eventuali disturbi dell’apprendimento è necessaria solo se sono presenti dubbi su abilità al di sotto della media in una o più materie scolastiche. 2. Un secondo scenario è quello in cui i dati della valutazione indicano che sono presenti pochi sintomi del DDAI e che questi si manifestano soprattutto in situazioni scolastiche (per es., durante le spiegazioni in classe o nel lavoro individuale al banco). In tali casi, i dati delle interviste, delle scale di valutazione e delle osservazioni dirette saranno all’interno di un range normale. Se sono presenti problemi scolastici, allora vanno vagliate ipotesi alternative al DDAI, inclusa la possibile presenza di disturbi dell’apprendimento. 3. Le conclusioni dei due scenari precedenti sono piuttosto evidenti. La situazione si complica nei casi in cui i dati della valutazione sono incoerenti fra loro in quanto alla gravità, alla frequenza e alla pervasività della sintomatologia del DDAI. Per esempio, gli insegnanti di un bambino riportano sintomi significativi di DDAI, mentre i genitori ne riferiscono pochi se non addirittura nessuno. Nonostante la problematica interpretativa di dati fra loro incoerenti sia già stata affrontata nel Capitolo 2, la discriminazione specifica fra il DDAI e i deficit nelle abilità scolastiche può essere migliorata seguendo queste linee guida: a. i bambini con DDAI, di solito, ottengono punteggi elevati alle scale di valutazione compilate dai genitori e dagli insegnanti di importante significato clinico in item che indagano la presenza di altri disturbi del comportamento disfunzionali in aggiunta ai sintomi del DDAI (per es., alla sottoscala dell’Aggressività della Child Behavior Checklist). I bambini con disturbi dell’apprendimento senza DDAI, di solito, no (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990). Inoltre, i bambini con disturbi dell’apprendimento raramente sono impulsivi, disinibiti e aggressivi mentre i bambini con 129 DDAI a Scuola DDAI manifestano questi problemi con una frequenza piuttosto elevata (Barkley, 1990, 1998). b. I bambini con disturbi dell’apprendimento di solito ottengono punteggi nella media in strumenti che misurano la pervasività dei problemi comportamentali (HSQ, SSQ) e di attenzione (HSQ-R, SSQ-R), mentre i bambini con DDAI, negli stessi strumenti, presentano di solito punteggi medi di gravità ed elevati in pervasività (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990). c. I bambini con disturbi dell’apprendimento che non hanno il DDAI, in sedute osservative di lavoro individuale al banco, di solito esibiscono percentuali di comportamenti attinenti al compito e di completamento delle attività non differenti da quelle dei loro coetanei normali (Barkley, DuPaul e McMurray, 1990). d.Gli studenti con disturbi dell’apprendimento differiscono dai quelli con DDAI anche per l’età di insorgenza e la pervasività dei sintomi associati al DDAI. Di solito, i bambini che mostrano problemi di attenzione e di controllo del comportamento a causa di deficit in abilità scolastiche non hanno una storia infantile di iperattività e di problemi di comportamento. Queste due caratteristiche sono invece proprie del DDAI, dal momento che quest’ultimo è un disturbo che si manifesta in età molto precoce. Al contrario, i problemi di attenzione degli studenti con disturbi dell’apprendimento sorgono di solito a metà dell’infanzia (in quarta o quinta elementare) e si manifestano solo in specifiche circostanze. I problemi di attenzione si verificano per lo più solo durante le spiegazioni e/o nell’esecuzione dei compiti delle materie per loro più problematiche. Al contrario, i bambini con DDAI mostrano i sintomi a esso associati in molte, se non tutte, le circostanze sia a casa che a scuola. e. I bambini con DDAI, di solito, ottengono punteggi a test di profitto individuali non differenti da quelli dei loro coetanei, contrariamente ai bambini con disturbi dell’apprendimento che ottengono punteggi inferiori alla media. In conclusione, i bambini con deficit di abilità scolastiche possono essere distinti da quelli con DDAI in base all’età di insorgenza, alla gravità e alla pervasività dei sintomi. In particolare, più i problemi di attenzione e di comportamento sono strettamente legati a circostanze e attività scolastiche, più 130 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? è probabile che dipendano da deficit in abilità scolastiche piuttosto che dal DDAI. CASO ESEMPLIFICATIVO David è un bambino di 8 anni segnalato dall’insegnante di seconda elementare perché presenta problemi di attenzione e difficoltà scolastiche. David manifesta problemi importanti nel portare a termine, in tempo utile, i compiti assegnatigli e sogna frequentemente a occhi aperti durante le spiegazioni in classe. Non mostra sempre queste difficoltà. L’insegnante è preoccupata degli scarsi progressi nelle abilità di lettura e nella comprensione del materiale letto. L’intervista con la madre di David ha evidenziato che la nascita, i primi anni di sviluppo e l’anamnesi sono nella norma. Il livello di attività negli anni del nido e della scuola materna era “normale”. Il padre aveva avuto problemi di apprendimento e un probabile DDAI da bambino, ma nessun altro membro della famiglia presentava problemi rilevanti. La madre non riferiva difficoltà nella gestione del comportamento di David a casa e giudicava “eccellenti” le relazioni del bambino con i coetanei. David non era stato mai inviato a servizi speciali né aveva seguito alcuna terapia fino al momento della valutazione, anche se la mamma diceva di aver adottato una dieta particolare, la Feingold, che aveva indotto lievi cambiamenti nel controllo del comportamento. Non erano mai state messe in pratica, né a scuola né a casa, strategie formali di modifica del comportamento. È stata condotta una valutazione psicoeducativa da parte dello psicologo della scuola anche attraverso la somministrazione di test di intelligenza e di profitto. I risultati suggerivano che David avesse un livello di intelligenza nella media con una certa debolezza nelle abilità verbali. I test di profitto evidenziavano una serie di difficoltà nel linguaggio e nella lettura. Sulla base di questi risultati, l’équipe della scuola ha proposto un sostegno per David nella lettura e nelle attività linguistiche più volte a settimana con un insegnante che si dedichi solo a lui. Per valutare se David avesse un DDAI sono stati utilizzati numerosi strumenti di misura. È stata condotta un’intervista con la mamma di David in cui sono stati riferiti solo sei dei 18 sintomi del DSM-IV con un certa frequenza. Questi includevano la distraibilità e il passare da un’attività all’altra senza portarla a termine. In particolare, David mostrava disattenzione solo in 131 DDAI a Scuola compiti scolastici (per es., leggere) ma portava a termine tutte le incombenze che gli venivano affidate a casa in maniera adeguata. Non presentava problemi di impulsività e iperattività. Altre valutazioni indicavano inoltre che David non mostrava comportamenti associati ad altri disturbi del comportamento, incluso quello della condotta, alla depressione o al disturbo d’ansia. La madre di David ha compilato diverse scale di valutazione per valutare la gravità dei problemi comportamentali in relazione ai bambini della stessa età. Le sue risposte alla Child Behavior Checklist portavano a delineare un profilo nella norma (punteggi “t” < 65) in tutte le scale cliniche incluse quelle relative al DDAI. Solo cinque dei 18 sintomi del DDAI sono stati indicati come frequenti nella ADHD Rating Scale-IV. I punteggi allo Home Situation Questionnaire-Revised indicavano lievi problemi di attenzione solo in alcuni momenti (per es., quando doveva fare i compiti a casa). I punteggi al Social Skill Rating System (Gresham & Elliott, 1990) erano nella norma. Pertanto, i genitori non evidenziavano problemi relazionati ai sintomi del DDAI e non era presente pervasività. L’insegnante di David ha compilato questionari simili. Le sue risposte alla versione per insegnanti della Child Behavior Checklist riportavano punteggi borderline (“t” = 66 ossia oltre il 93° percentile) solo nella sottoscala dei Problemi Attentivi. Le altre scale, incluse quelle relative ad altri disturbi del comportamento, erano nella media. I punteggi al Social Skill Rating System non indicavano livelli clinici significativi di difficoltà nelle relazioni con i pari. Anche in questo caso solo cinque dei 18 sintomi del DDAI sono stati indicati come frequenti nella ADHD Rating Scale-IV. Allo School Situations Questionnaire-Revised venivano riportati moderati problemi di attenzione nella maggior parte delle situazioni strutturate in classe. I problemi più importanti associati con il DDAI erano la concentrazione e il completamento dei compiti, non il controllo degli impulsi o l’iperattività. Pertanto, i sintomi riferiti dall’insegnante di David erano più coerenti con una diagnosi di DDAI/Tipo con disattenzione predominante. Sono state condotte numerose osservazioni in classe utilizzando il Restricted Academic Situation Coding System (Sistema di Codifica Ridotto delle Situazioni Scolastiche; Barkley, 1990, 1998). Ogni osservazione è avvenuta al momento dell’assegnazione di un lavoro individuale di lettura o linguistica da svolgere al banco. In media, su tre osservazioni da 20 minuti ciascuna, David era per l’80% del tempo coinvolto in comportamenti attinenti al compito, 132 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? nonostante le percentuali variassero da un minimo del 53% a un massimo del 90%. Pertanto, l‘attenzione al compito variava giorno per giorno. David mostrava comportamenti di irrequietezza con una media fra gli intervalli osservativi di solo il 28%. David portava a termine l’80% del lavoro assegnatogli con un livello di accuratezza relativamente basso (74%). Nonostante mostrasse alcuni comportamenti associati al DDAI, i problemi principali erano relativi alla comprensione dei compiti assegnatigli e all’accuratezza di quelli portati a termine. In conclusione, la maggior parte dei dati raccolti nel corso di questa valutazione non erano coerenti con la conclusione che David soddisfacesse i criteri per una diagnosi di DDAI. Infatti, solo una parte dei dati, i punteggi alla Child Behavior Checklist compilata dall’insegnante erano significativi a un livello clinico per questo disturbo. Le altre misure erano nella norma, inclusi i dati delle interviste dei genitori, i punteggi alla ADHD Rating Scale-IV compilata dall’insegnante e dalla mamma, i punteggi alla Child Behavior Checklist compilata dalla mamma e i dati osservativi. I comportamenti associati al DDAI erano ristretti all’area dell’attenzione e, più specificamente, dell’attenzione solo in attività scolastiche. Secondo i genitori, David era piuttosto attento nelle incombenze a casa e in altre attività non prettamente scolastiche. Pertanto, i problemi di disattenzione di David sembrano essere un riflesso della frustrazione nello svolgimento di compiti piuttosto complessi per lui più che riflettere la presenza di un probabile DDAI. Si suggerisce una valutazione più approfondita dei deficit nelle abilità scolastiche per individuare gli obiettivi e le strategie più appropriate ai fini di accrescere le sue competenze scolastiche. Anche se presupponeva che un miglioramento nelle abilità scolastiche incrementasse la qualità dei comportamenti nello svolgimento dei compiti, questo aspetto è stato direttamente affrontato attraverso un programma di contingency management in classe unito a un sistema di registrazioni giornaliere dei risultati (vedere Capitolo 5). IMPLICAZIONI PER L’INTERVENTO Determinare se le difficoltà scolastiche di uno studente siano dovute al DDAI, a un deficit nelle abilità scolastiche o a entrambi ha delle implicazioni dirette per il piano di intervento in classe (Cantwell & Baker, 1991). I comportamenti target dell’intervento, i setting del trattamento e le specifiche 133 DDAI a Scuola strategie di intervento utilizzate varieranno in funzione delle conclusioni diagnostiche. Come discusso nel Capitolo 5, i target usuali del trattamento per uno studente con DDAI sono i comportamenti che caratterizzano la condotta in classe, quali essere attenti alle spiegazioni, stare seduti e rispettare le regole della classe. Se sono presenti anche delle difficoltà nella performance scolastica, il piano di intervento dovrà includere anche comportamenti prettamente scolastici, quali il completamento del lavoro individuale al banco in tempi utili e/o l’accuratezza nei compiti scritti. Per quei bambini con deficit nelle abilità scolastiche i target primari del piano di intervento devono essere i comportamenti che influenzano il rendimento scolastico e lo sviluppo delle competenze scolastiche. Questo vuol dire includere non solo comportamenti relativi al completamento del lavoro individuale al banco, ma anche, per esempio, rispondere correttamente in gruppi di lettura, prendere appunti accurati durante le lezioni e fornire risposte corrette a test con item scritti. Quando un bambino ha un DDAI e anche deficit nelle abilità scolastiche, i comportamenti relativi ai compiti scolastici sono di solito i target primari del piano di intervento. Questo perché, come spesso riscontrato, un miglioramento nella performance scolastica, comporta spesso anche un miglioramento nella condotta (DuPaul & Eckert, 1997; Hinshaw, 1992a; McGee & Share, 1988). Non è insolito, tuttavia, imbattersi in situazioni in cui sia i comportamenti prettamente scolastici sia quelli relativi alla condotta debbano essere trattati entrambi affinché gli effetti del cambiamento siano durevoli e consistenti nel tempo. Inoltre, per quei bambini con DDAI e deficit nell’apprendimento, si devono combinare programmi che lavorino sugli interventi scolastici e sulla motivazione estrinseca, indipendentemente dagli specifici target del cambiamento (Hinshaw, 1992a). I programmi di intervento ideati per il trattamento di bambini con DDAI si applicano di solito in una varietà di situazioni, data la pervasività dei sintomi di questo disturbo (Barkley, 1998). Per esempio, sistemi di token reinforcement potrebbero essere applicati in una varietà di situazioni scolastiche (per es., il cortile, la classe, la mensa) e casalinghe per promuovere la compliance alle regole e l’attenzione ai compiti assegnati. In contrasto, il setting primario del piano di intervento per i bambini con deficit nelle abilità scolastiche è la classe. Nonostante si possano includere nell’intervento una varietà di situazioni che si verificano all’interno della classe, il trattamento dei deficit di abilità scolastiche non include di solito contesti esterni, anche se negli ultimi anni sono state fornite motivazioni importanti per inserire interventi casa-scuola 134 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? (Kelley, 1990). I bambini che presentano entrambi i disturbi richiederanno un trattamento in contesti multipli con professionisti differenti. In simili casi, è ovvio che siano necessarie una comunicazione efficace e una collaborazione fra gli individui coinvolti nel trattamento del bambino (vedere il Capitolo 5 e il Capitolo 8). Come illustrato nei seguenti capitoli, i due interventi più efficaci per il DDAI sono il trattamento farmacologico a base di stimolanti (quali il metilfenidato) e le strategie di contingency management. Nonostante queste ultime possano implicare cambiamenti negli antecedenti (per es., richiami più frequenti a porre attenzione) e nei conseguenti (per es., rinforzo positivo per il completamento dei compiti), l’enfasi maggiore della letteratura sul trattamento del DDAI è riservata alla programmazione motivazionale (DuPaul & Eckert, 1997; Pfiffner & Barkley, 1998). Pertanto, gli interventi comportamentali in classe per il DDAI includono di solito sistemi di token reinforcement combinati con sistemi response cost in cui gli eventi quotidiani da sottoporre a trattamento possono essere individuati a scuola, a casa o in entrambi i setting per motivare i bambini ad attenersi ai compiti assegnati e a rispettare le regole della classe (vedere il Capitolo 5 per i dettagli). Al contrario, i deficit nelle abilità scolastiche non traggono nessun giovamento dal trattamento farmacologico e vengono di solito trattati con metodologie psicoeducative progettate per migliorare i supposti deficit di elaborazione dell’informazione che soggiacciono ai problemi di apprendimento del bambino (Semrud-Clikeman et al., 1992; vedere anche Crenshaw et al., 1999, per i risultati di una metaanalisi sugli effetti degli psicostimolanti sul comportamento e sul rendimento scolastico). Questo approccio al trattamento è il prevalente negli Stati Uniti, nonostante manchino prove concrete della sua efficacia (vedere Kavale e Mattson, 1983). Gli interventi comportamentali e di istruzione programmata per i deficit nelle abilità scolastiche includono la modifica degli antecedenti e dei conseguenti (vedere Shinn, Walker & Stoner, 2002). Nonostante la programmazione motivazionale simile a quella utilizzata per il DDAI si sia mostrata utile nel trattare i deficit delle abilità scolastiche, esiste in letteratura un’enfasi equivalente sul cambiamento degli antecedenti dello stimolo (modalità di presentazione del materiale scolastico). Pertanto, anche se il DDAI e i deficit nella abilità scolastica possono essere trattati entrambi con metodologie comportamentali, i parametri specifici del piano di intervento varieranno in funzione della diagnosi. 135 DDAI a Scuola IL DDAI E L’EDUCAZIONE SPECIALE Prima del 1991, gli studenti con DDAI non erano candidabili all’inserimento in servizi di educazione speciale, se non sulla base della presenza anche di altri disturbi già classificati (per es., disturbo specifico dell’apprendimento, disturbo emotivo). Pertanto la maggior parte dei bambini con DDAI veniva inserita in classi normali e non aveva grandi alternative per il proprio percorso scolastico. A causa della forte pressione esercitata dai professionisti e da gruppi di genitori, nel 1991 il Dipartimento per l’Educazione degli Stati Uniti ha sottoscritto dei cambiamenti nell’applicazione delle linee guida federali (vedere Hakola, 1992). In questa sezione, descriviamo questi cambiamenti nelle singole leggi federali e offriamo dei suggerimenti per gli psicologi scolastici per stabilire se un determinato bambino con DDAI richieda l’inserimento in servizi di educazione speciale. In un promemoria indirizzato ai funzionari dirigenti delle scuole statali emanato il 16 Settembre del 1991, i funzionari governativi del Dipartimento per l’Educazione hanno fornito dei chiarimenti sulla politica dipartimentale per trovare una risposta ai bisogni educativi dei bambini con DDAI (Davila, Williams & MacDonald, 1991). La sostanza del loro promemoria era la seguente: gli studenti con DDAI potevano essere segnalati per l’inserimento in servizi di educazione speciale nel caso si trovassero in una di queste tre condizioni. Primo, un bambino che presentasse il DDAI associato a un altro “disturbo” (per es., disturbo dell’apprendimento) poteva essere candidabile per l’inserimento in servizi di educazione speciale, venendo inserito in una delle classificazioni di disturbi definite nella Parte B della Legge sull’Educazione degli Individui con Disabilità (IDEA) del 1990 (una revisione della Legge sull’Educazione degli Handicappati). Questa era l’unica maniera in cui un bambino con DDAI poteva essere inserito in un servizio di educazione speciale prima dell’emanazione di questo promemoria. Una seconda possibilità per la candidabilità all’educazione speciale è rappresentata dall’inclusione nella categoria “Altri Problemi di Salute” della Parte B della stessa legge. Il promemoria definisce la candidabilità come segue: L’espressione “Altri problemi di salute” include alterazioni croniche o acute che pregiudicano lo stato di vigilanza che a sua volta influenza la performance scolastica. Pertanto, i bambini con D.D.A. dovrebbero essere considerati candidabili per l’inserimento in servizi 136 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? di educazione speciale sotto la categoria “altri problemi di salute”, nei casi in cui il D.D.A. è un problema di salute cronico o acuto che pregiudica lo stato di vigilanza che a sua volta influenza la performance scolastica. In altre parole, i bambini con D.D.A. , dove D.D.A. è un problema di salute cronico o acuto che pregiudica lo stato di vigilanza, possono essere considerati affetti da una disabilità, in base alla Parte B della Legge, solo sulla base della presenza di questo disturbo, all’interno della categoria “altri problemi di salute”, e sono candidabili nelle situazioni in cui i servizi di educazione speciale siano resi necessari a causa del D.D.A. (Davila et al., 1991, p. 3., corsivo aggiunto). L’inclusione del DDAI nella categoria “altri problemi di salute” (OHI) è stata riconfermata nella riedizione dell’IDEA del 1997 (da qui in poi indicata come “IDEA-1997”). Inoltre, la categoria OHI è diventata il criterio maggiormente utilizzato per stabilire la candidabilità di uno studente con DDAI per l’inserimento in servizi di educazione speciale: in seguito a questo provvedimento c ‘è stato un incremento del 280% nel numero di studenti identificati sulla base della categoria OHI rispetto ai decenni passati (Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti, 1999). Questo provvedimento afferma chiaramente che se lo stato di vigilanza di un bambino è pregiudicato dalla presenza di un DDAI cronico a un punto tale da inficiare la performance scolastica, allora il bambino può avere necessità di essere inserito in servizi di educazione speciale. L’affermazione precedente include la maggior parte, se non tutti i bambini con DDAI, dal momento che, per definizione, si tratta di un disturbo cronico in cui i bambini presentano uno stato di vigilanza inferiore e in cui la loro performance scolastica subisce influenze negative. La decisione difficile da prendere, pertanto, è se il bambino abbia bisogno veramente di essere inserito in servizi di educazione speciale (sulla base del secondo criterio di candidabilità dal momento che il primo è la presenza di un altro disturbo o disabilità) per superare queste difficoltà e/o promuovere le proprie competenze scolastiche o se possano essere sufficienti piani di intervento applicabili all’interno della classe normale frequentata dal bambino. Un ultimo criterio che potrebbe essere utilizzato per stabilire la candidabilità di un bambino a servizi di istruzione differenti in base alla presenza di un DDAI è indicato all’interno della Sezione 504 della Legge Federale del 1973 sulla Riabilitazione. Questi servizi di istruzione differenti possono o meno includere l’invio a servizi di educazione speciale. Questa è una legge del Codice Civile che sancisce che le scuole devono affrontare i bisogni dei bambini “con handicap” con la stessa competenza con cui affrontano quelli 137 DDAI a Scuola dei bambini “senza handicap”. Un individuo con handicap è “una persona che ha un problema mentale o fisico che limita nella sostanza un’attività significativa della vita” (Davila et al., 1991, p. 6). Certamente, l’apprendimento in relazione al rendimento scolastico e il funzionamento a scuola possono essere considerate attività significative della vita. Pertanto, anche per i bambini con DDAI non candidabili per l’inserimento in servizi di educazione speciale in base alla Parte B della Legge, si può considerare necessario un intervento educativo individuale in quanto “persone con handicap” in accordo con quanto affermato nella Sezione 504. Se si interpretano le regole appena indicate con un certo grado di libertà, si potrebbe ritenere che la maggior parte dei bambini con DDAI possa ricevere in qualche modo qualche tipologia di educazione speciale. Data l’elevata percentuale di bambini che già ricevono questi servizi e gli scarsi dati che supportino l’efficacia complessiva dell’educazione speciale, potrebbe non essere sempre consigliabile intraprendere questa strada. Piuttosto, come nel caso di bambini con altri disturbi del comportamento, uno dei criteri principali per definire la necessità di inviare un bambino a servizi di educazione speciale dovrebbe essere la riposta che il bambino ha dato a interventi condotti nella classe normale (Gresham, 1991). Pertanto, la diagnosi di DDAI non implica la necessità dell’invio a servizi di educazione speciale, a meno che il comportamento del bambino non abbia subito delle modificazioni in conseguenza a un intervento prolungato e costante all’interno della classe normale (Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici, 1998; Silver, 1990). Da un punto di vista della prassi, un bambino con diagnosi di DDAI che presenta anche disturbi dell’apprendimento o problemi di rendimento scolastico ha maggiori probabilità di essere ritenuto candidabile per l’inserimento in servizi di educazione speciale in seguito al fallimento di interventi all’interno della classe normale (vedere Telzrow & Tankersley, 2000). Se quel bambino è ritenuto candidabile per l’inserimento in servizi di educazione speciale, un’équipe di professionisti progetterà, metterà in atto e valuterà un piano educativo individualizzato. Se il bambino non è ritenuto candidabile, il personale della scuola rimarrà responsabile della “rimozione delle barriere” all’apprendimento nella classe normale. Questa rimozione delle barriere è indicata comunemente come “piano di adattamento della 504” (vedere Zirkel & Aleman, 2000; per una trattazione completa della Sezione 504 e degli studenti con disabilità). 138 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? Nell’effettuare degli aggiustamenti, gli educatori dovrebbero considerare insieme l’adattamento da applicare in quanto tale e la barriera all’apprendimento che deve essere rimossa. Fornendo allo studente una modificazione nel compito (adattamento), permettendogli, per esempio, di scegliere le attività, si rimuove la barriera all’apprendimento costituita dall’avere una e una sola attività sulla quale poter lavorare. In maniera simile, permettere a uno studente con DDAI di completare un numero inferiore di item durante un compito individuale al banco (mantenendo però lo stesso livello di accuratezza dei compagni) vuol dire rimuovere quegli aspetti del compito che notoriamente esasperano i problemi associati al DDAI in classe e propriamente il lavoro su item ripetitivi. Infine, l’uso del peer tutoring e/o delle spiegazioni con l’ausilio del computer come strategie di adattamento rimuove le barriere all’apprendimento costituite dal feedback differito e dalle spiegazioni frontali al gruppo classe, entrambi noti come potenziali ostacoli all’apprendimento di studenti con DDAI (vedere il Capitolo 5 per una discussione degli interventi in contesti scolastici). Zirkel (1992) ha costruito una checklist per stabilire la candidabilità legale all’inserimento in servizi di educazione speciale, in accordo con le indicazioni sopra menzionate (vedere l’Appendice 3.1). La Figura 3.3 presenta un diagramma di flusso decisionale adattato dalla checklist di Zirkel. Utilizzando la checklist e il diagramma di flusso come guida, bisognerebbe seguire i passaggi indicati per stabilire se un bambino abbia veramente necessità di un servizio di educazione speciale a causa del DDAI: 1.Condurre una valutazione del DDAI e delle difficoltà a esso associate, come illustrato nel Capitolo 2. Se il bambino soddisfa i criteri per il DDAI, allora, per definizione, presenta una condizione cronica che limita significativamente lo stato di vigilanza, concordando così con i due criteri di candidabilità per l’inserimento nei servizi di educazione speciale sotto la categoria “altri problemi di salute” della Parte B della Legge. 2. Se il bambino mostra comportamenti associabili a una delle categorie già codificate nell’IDEA-1997 (per es., disturbo dell’apprendimento) allora l’educazione speciale potrebbe essere necessaria. 3.Se il bambino non è candidabile per l’inserimento in servizi di educazione speciale sulla base delle condizioni appena citate, allora si possono 139 DDAI a Scuola intraprendere due strade. Primo, i comportamenti associati al DDAI in classe limitano significativamente la performance scolastica? Questo si può stabilire raccogliendo le informazioni relative, come già illustrato nel Capitolo 2. Di solito, alcuni aspetti del rendimento scolastico del bambino sono negativamente influenzati dalla sintomatologia del DDAI. Pertanto, è certamente necessaria una qualche forma di intervento dal momento che la Sezione 504 prevede azioni di questo tipo, dato che un “handicap” compromette nella sostanza un’attività significativa della vita (per es., l’educazione). Il primo passo è progettare e mettere in atto un piano di intervento nella classe normale in cui il bambino è inserito (vedere il Capitolo 5). Tali trattamenti dovrebbero includere modifiche al programma di istruzione del bambino sulla base di principi comportamentali. Il bambino potrebbe anche essere inviato al medico di base per iniziare un trattamento con farmaci stimolanti, come discusso nel Capitolo 6. 4. L’ultimo, e più critico criterio di candidabilità per l’inserimento in servizi di educazione speciale è valutare se il bambino abbia davvero bisogno di un simile servizio a causa del DDAI. Questo criterio potrebbe essere interpretato in molti modi ambigui. Pertanto, la maniera più oggettiva per prendere una decisione è valutare l’efficacia degli interventi messi in atto nella classe normale (Gresham, 1991). Bisognerebbe raccogliere dati sui comportamenti target, che fungano da baseline, prima dell’intervento (inclusi i dati sul trattamento farmacologico). Dopo aver applicato il trattamento stabilito, si raccolgono nuovamente i dati sulle stesse variabili per valutare il grado di cambiamento. Se il bambino non mostra miglioramenti significativi dopo un tentativo di intervento nella classe normale, si segue una delle strade seguenti. Primo: possono essere introdotti dei cambiamenti nel piano di intervento. Secondo: il bambino potrebbe ricevere una qualche forma di sostegno individuale. Terzo: si possono inserire cambiamenti negli interventi educativi generali e si potrebbe fornire un piano educativo individualizzato. 5. Indipendentemente dal fatto che ci sia o meno un inserimento in servizi di educazione speciale, interventi per affrontare il DDAI sono comunque necessari. Bisognerebbe verificare l’efficacia sia degli interventi di educazione generale che di quella speciale in itinere per determinare quando sono necessari cambiamenti nel programma o nell’inserimento del bambino in questi servizi. 140 DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame? FIGURA 3.3. Diagramma di flusso per stabilire la candidabilità all’inserimento in servizi di educazione speciale per studenti con DDAI. Tratto da Zirkel (1992). Copyright 1992 della LRP Publications. Ristampato per gentile concessione. Soddisfa i criteri di qualche classificazione esistente? Se no, potrebbe essere incluso nella Se sì, si procede all’inserimento nei servizi Ha un DDAI? La performance scolastica è pregiudicata? La risposta a interventi precedenti è negativa o assente? Se no, valutare la candidabilità sulla base della Sezione 504 Se sì, a tutte e tre le precedenti, si procede all’inserimento nel servizio Il DDAI pregiudica un’attività significativa della vita? La pregiudica a un livello sostanziale? Se no, fermarsi qui Se sì, educazione speciale o nella classe normale? RIASSUNTO La maggior parte dei bambini con DDAI mostra problemi significativi di performance scolastica, come il completamento lento del lavoro, l’accuratezza incostante nelle attività al banco e nei compiti a casa, un metodo di studio non efficace. Inoltre, circa il 25% di questi bambini esibisce abilità scolastiche significativamente al di sotto della media e pertanto verrà considerato affetto anche da un disturbo dell’apprendimento. Il fatto che i problemi scolastici siano quasi sempre associati al DDAI ha delle implicazioni dirette per la va141 DDAI a Scuola lutazione e il trattamento di questi studenti. La valutazione dei sintomi del DDAI non deve essere mirata esclusivamente alle difficoltà nel controllo del comportamento, ma dovrebbe includere anche misure di profitto. Inoltre, tali bambini dovrebbero essere costantemente monitorati per valutare la presenza di deficit in abilità scolastiche attraverso strumenti di misura della performance. In maniera simile, i piani di intervento progettati per trattare il DDAI devono includere, come target, comportamenti strettamente connessi alla performance scolastica. Nel caso di bambini che presentano un DDAI e deficit di abilità scolastiche, il trattamento deve essere teso ad apportare miglioramenti in tutte e due le dimensioni contemporaneamente. Infine, i bambini con DDAI che soddisfano i criteri per un disturbo dell’apprendimento, un disturbo emotivo o per altre condizioni di salute che limitano la loro performance scolastica possono essere inseriti in servizi di educazione speciale sulla base delle linee guida federali. Le decisioni relative alla candidabilità per servizi di educazione speciale dovrebbero essere prese sulla base di una valutazione affidabile del DDAI, del grado in cui il DDAI influisce sul funzionamento sociale e scolastico e del successo di interventi già applicati nella classe normale per migliorare le difficoltà scolastiche e comportamentali associate al DDAI. 142 APPENDICE 3.1 Checklist di Zirkel per determinare la candidabilità legale all’inserimento in servizi di educazione speciale di studenti affetti da DDA/DDAI PARTE 1 1. Lo studente mostra, in modo evidente, tutte le caratteristiche della categoria IDEA “altri problemi di salute”: • • • un problema di salute acuto o cronico ? SÌ NO se SÌ, il problema pregiudica la forza, la vitalità o il livello di vigilanza? SÌ NO se SÌ, la forza, la vitalità o lo stato di vigilanza pregiudicati influenzano a loro volta la performance scolastica del bambino al punto da richiedere un’educazione speciale? SÌ NO 2. Lo studente mostra, in modo evidente, tutte le caratteristiche della categoria IDEA “disturbo specifico dell’apprendimento”: • un disturbo nell’elaborazione psicologica responsabile della comprensione o dell’espressione linguistica che si manifesta con una differenza significativa fra la performance e la capacità intellettiva in compiti di (a) comprensione verbale, (b) ascolto e comprensione (c) espressione scritta, (d) abilità di lettura basilari, (e) comprensione, (f ) calcolo aritmetico o (g) ragionamento matematico? SÌ NO • se SÌ, questa differenza rilevante può essere colmata senza l’ausilio dell’educazione speciale? SÌ NO • se SÌ il problema è solo secondario se non del tutto attribuibile (a) una situazione ambientale, culturale e economica svantaggiata; (b) alterazioni nella vista, nell’udito o motorie; (c) ritardo mentale, o (d) disturbi emotivi? SÌ NO 3. Lo studente mostra, in modo evidente, tutte le caratteristiche di altri disturbi inclusi nella classificazione dell’IDEA? 143 Appendice 3.1 • Grave disturbo emotivo? • Ritardo mentale? • Autismo o trauma cerebrale? SÌ SÌ SÌ NO NO NO PARTE II 4.Se lo studente non rientra nella Parte I, le condizioni del DDA/DDAI hanno tutte le caratteristiche indicate nella Sezione 504: • • • L’handicap è mentale o fisico? SÌ NO Se SÌ, pregiudica un’attività significativa della vita come l’apprendimento? SÌ NO Se SÌ, il grado in cui questa attività è pregiudicata è sostanziale? SÌ NO PARTE III 5.Se lo studente non rientra né nella Parte I né nella Parte II, può essere candidabile in funzione di qualche legge dello stato che integra l’IDEA o la Sezione 504? SÌ NO 144 CAPITOLO 4 Screening, identificazione e intervento precoci Per definizione, il DDAI è un disturbo dall’insorgenza precoce con sintomi comportamentali che si manifestano prima di o al momento dell’ingresso nella scuola elementare (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). I bambini, di solito, non ricevono una diagnosi di DDAI fino all’ingresso ufficiale a scuola (per es., l’asilo o la prima elementare). Tuttavia, negli ultimi anni, sempre più bambini piccoli frequentano l’asilo nido o servizi di baby-parking giornaliero. Nonostante i programmi educativi di questi servizi siano orientati prevalentemente al gioco e offrano una scelta più libera delle attività rispetto alle classi successive, anche i compiti, le attività sociali e artistiche che si svolgono a scuola in questi anni richiedono un’attenzione sostenuta e la compliance alle regole, seppure per brevi periodi di tempo. Pertanto, i bambini con comportamenti associati al DDAI potrebbero disturbare significativamente le attività strutturate, i passaggi da un’attività all’altra e le interazioni di gruppo (per es., i circle time). Inoltre, i bambini piccoli iperattivi a livello motorio e più impulsivi dei loro coetanei possono avere difficoltà nella compartecipazione, nel rispetto dei turni e nel controllo della frustrazione anche nel corso di attività meno strutturate come il gioco libero. Pertanto, data la potenziale insorgenza precoce dei sintomi del DDAI, è importante che il personale scolastico, soprattutto quello che lavora con bambini molto piccoli, sappia (1) come si manifesta questo disturbo nella prima infanzia, (2) come si possono identificare i bambini piccoli a rischio di sviluppare un futuro DDAI e (3) come progettare interventi per ridurre questi sintomi e migliorare il funzionamento scolastico, sociale e familiare. 145 DDAI a Scuola IL DDAI NEI BAMBINI PICCOLI Anche se le difficoltà associate ai sintomi del DDAI in bambini piccoli sono molteplici, la grande maggioranza degli studi di ricerca su questo disturbo è stata condotta su bambini della scuola elementare (vedere Barkley, 1998). I dati epidemiologici disponibili indicano che circa il 2% dei bambini in questa fascia di età è con DDAI (Lavigne et al., 1996). Keenan, Shaw, Walsh, Deliquadri e Giovanelli (1997) hanno riscontrato che il 5.7% dei bambini di 5 anni in un campione di reddito basso soddisfaceva i criteri per il DDAI. Inoltre, dato che il DDAI tende a essere persistente, almeno il 50% dei bambini che presenta questo disturbo in età pre-scolare continuerà a manifestare la sintomatologia propria del DDAI anche nella scuola elementare (Campbell, 2002). Quei bambini che presentano un livello elevato di comportamenti di iperattività-impulsività (sottotipo combinato o con iperattività-impulsività predominanti) rischiano maggiormente di sviluppare altri disturbi del comportamento (per es., disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta) in associazione a deficit scolastici e sociali (Campbell & Ewing, 1990). I bambini piccoli che presentano sintomi del DDAI esibiscono abilità sociali più scarse rispetto ai loro coetanei normali e livelli più alti di aggressività fisica e verbale in classe e nell’interazione con i genitori (DuPaul et al., 2001). Altro aspetto preoccupante: il 59-67% dei bambini con DDAI, le cui difficoltà persistono al momento dell’ingresso a scuola, continuerà a presentare sintomi rilevanti di disturbi del comportamento nella tarda infanzia e nell’adolescenza (Pierce, Ewing & Campbell, 1999). Pertanto, sintomi significativi del DDAI, per una larga percentuale di bambini piccoli, sono associati a una compromissione cronica dell’area comportamentale/scolastica. In età precoce, si associano al DDAI anche interazioni madre-bambino anomale e comportamenti sociali aggressivi e disfunzionali. Le madri di bambini piccoli con DDAI fanno maggiormente uso di ordini, critiche e punizioni rispetto alle madri di bambini normali (Barkley, 1988). Inoltre, le mamme di bambini di età pre-scolare con DDAI riferiscono livelli più alti di burnout genitoriale rispetto alle madri di bambini normali o di bambini più grandi con DDAI (DuPaul et al., 2001; Fischer, 1990). Come risultato, i genitori dei bambini piccoli con questo disturbo fanno fronte alle difficoltà comportamentali in maniera meno adattiva rispetto ai genitori di bambini senza DDAI (DuPaul et al., 2001). In contesti di asilo nido o baby-parking giornaliero, i 146 Screening, identificazione e intervento precoci bambini con DDAI mostrano percentuali elevate di comportamenti disfunzionali, negligenti e fisicamente aggressivi (Campbell, Endamn & Bernfield, 1977; DuPaul et al., 2001). Questi comportamenti non solo influenzano le interazioni con gli adulti di riferimento ma possono anche avere un impatto negativo sulle relazioni con i pari. Infatti, il rifiuto dei pari in età pre-scolare è strettamente associato all’aggressività, come indicano i coetanei e gli insegnanti (Milich, Landau, Kilby & Whitten, 1982). Questo risultato non sorprende dato che i bambini con DDAI che sono anche aggressivi disturbano le attività di gioco degli altri bambini, sono molto rumorosi e richiedono molta attenzione durante le interazioni con i coetanei (Campbell et al., 1977; Campbell, Schliefer & Weiss, 1978). In alcuni casi, i comportamenti associati al DDAI sono abbastanza seri da richiedere l’allontanamento dalle classi di asilo o di baby-parking giornaliero, riducendo così le opportunità del bambino di sviluppare interazioni sociali appropriate all’età e di acquisire competenze prescolastiche (Blackman, Westervelt, Stevenson & Welch, 1991). I bambini piccoli con DDAI hanno maggiori probabilità di usufruire di servizi sanitari territoriali rispetto ai loro coetanei per due ragioni. Primo, perché in questa popolazione si riscontrano percentuali più elevate della media di lesioni fisiche e avvelenamenti accidentali probabilmente dovute alla presenza di frequenti comportamenti impulsivi e iperattivi (vedere Lahey et al., 1998). Inoltre, i bambini con DDAI hanno maggiori probabilità di incorrere in lesioni fisiche accidentali molto più gravi (per es., con perdita di coscienza) dei loro coetanei normali vittime di incidenti (DiScala, Lescohier, Barthel & Li, 1998; Lahey, 2000). La relazione fra il DDAI e le lesioni fisiche accidentali sembra più consistente nei bambini del tipo con iperattività-impulsività predominanti (Lahey et al., 1998) ed è aggravata dalla presenza di aggressività (Bijur, Golding, Haslum & Kurzon, 1988; Davidson, Hughes & O’Conner, 1988). Secondo, come per i bambini più grandi con DDAI, alcuni bambini in età pre-scolare vengono sottoposti a trattamento farmacologico con psicostimolanti (per es., metilfenidato) per ridurre i sintomi del disturbo. Infatti, farmaci stimolanti vengono prescritti a una percentuale fra 1.2 e 2% di bambini dai 2 ai 4 anni, presumibilmente come trattamento per un DDAI (Zito et al., 2000). In seguito all’ingresso nella scuola, i bambini piccoli con DDAI hanno maggiori probabilità dei loro coetanei normali di restare indietro nell’apprendimento di concetti logico-matematici, di abilità di pre-lettura e di motricità 147 DDAI a Scuola fine (Lahey et al., 1998; Mariani & Barkley, 1997; Shelton et al., 1998). Per esempio, DuPaul e colleghi (2001) hanno riscontrato che un campione di 58 bambini di età pre-scolare con DDAI otteneva un punteggio inferiore di 1 deviazione standard a quello ottenuto dai loro compagni in test che valutavano lo sviluppo cognitivo e le competenze pre-scolastiche. Questo è particolarmente preoccupante data la relazione forte fra le competenze acquisite precocemente e il successivo rendimento (vedere Kameenui, 1993). La presenza di fattori di rischio relativi al rendimento scolastico (e ad altri ambiti) in bambini con DDAI è supportata dai dati che mostrano come i bambini con DDAI presentino un rischio superiore alla media di essere inseriti in programmi di educazione speciale nei primi anni delle scuole elementari (Lahey et al., 1998) e come abbiano minori probabilità di portare a termine la scuola superiore rispetto ai loro coetanei normali (vedere Barkley, Fischer et al., 1990). I risultati di un’indagine recente (O’Reilly, 2002) sottolineano fino a che punto i bambini con DDAI, al momento del loro ingresso nella scuola elementare, siano già indietro rispetto ai loro compagni in aree importanti relative al rendimento scolastico. O’Reilly ha esaminato la traiettoria delle abilità di pre-lettura e pre-scrittura in un campione di bambini dell’asilo e della prima elementare che mostravano sintomi del DDAI e in un campione di loro coetanei normali. Per valutare l’acquisizione delle abilità è stato utilizzato il Dynamic Indicators of Basic Early Literacy Skills (Indicatori Dinamici delle Abilità Alfabetiche Basilari Precoci; DIBELS; Kaminski & Good, 1996) in tre momenti distinti dell’anno (autunno, inverno e primavera). I risultati indicavano che i bambini dell’asilo con DDAI presentavano una differenza di 0.5 deviazioni standard nelle competenze alfabetiche precoci rispetto ai loro coetanei del campione di controllo, in tutti e tre i momenti dell’anno. Simili differenze fra gruppi sono state rilevate per i bambini di scuola elementare. Inoltre, i bambini di prima elementare con DDAI mostravano un tasso di progresso più lento nella fluenza della lettura orale rispetto al gruppo di controllo e al 50° percentile delle norme locali per il DIBELS (vedere Figura 4.1). Pertanto, i bambini piccoli con DDAI fanno il loro ingresso nella scuola elementare portandosi dietro delle lacune importanti rispetto ai loro coetanei in competenze scolastiche critiche e il loro deficit perdura nei primi anni delle scuole elementari. 148 Screening, identificazione e intervento precoci FIGURA 4.1. Punteggi di fluenza media nel riconoscimento di sillabe (OnRF) alle rilevazioni in autunno e in inverno per bambini dell’asilo a rischio e per i gruppi di controllo di coetanei e del 50° percentile delle norme locali. Tratta da O’Reilly (2002). Copyright dell’autore. Ristampato per gentile concessione. In sintesi, le difficoltà di salute, sociali e scolastiche associate al DDAI iniziano di solito in un’età molto precoce e non mostrano segni di remissione (Pierce et al., 1999). Pertanto, l’opportunità migliore per prevenire deficit significativi a livello comportamentale, scolastico e sociale, per ridurre il ricorso al trattamento farmacologico e per accrescere il funzionamento scolastico dei bambini con DDAI nei primi anni della scuola elementare (ultimo anno di asilo e prima elementare) è rappresentata da un’identificazione precoce del problema e dall’applicazione di un intervento intensivo. PROCEDURE DIAGNOSTICHE E DI SCREENING Per identificare bambini piccoli a rischio di sviluppare un futuro DDAI, bisogna utilizzare metodologie affidabili e valide per (1) effettuare uno screening al fine di individuare i bambini su quali condurre indagini più approfondite e (2) valutare i comportamenti associati al DDAI e ad altri disturbi del comportamento. Nonostante siano disponibili alcuni strumenti psicometricamente robusti, la valutazione del DDAI in bambini di età pre-scolare è piena di difficoltà. La principale è rappresentata dal fatto che di solito i bambini in questa 149 DDAI a Scuola fascia di età manifestano spesso comportamenti di disattenzione e impulsività e livelli di attività molto alti. In numerosi casi, questi comportamenti sono semplicemente espressione dell’essere piccoli. Un’altra difficoltà è la natura passeggera dei problemi comportamentali riscontrati nei bambini piccoli. Anche se circa il 50% dei bambini piccoli con sintomi di DDAI continuerà a esibire difficoltà persistenti nelle aree interessate, è anche vero che nel restante 50% dei casi questa sintomatologia scomparirà (Campbell, 1990). Inoltre, il comportamento nei bambini piccoli può essere molto diverso in situazioni e tempi differenti. Infine, differenziare fra loro comportamenti indicativi di un DDAI o di altri disturbi (per es., l’autismo) è particolarmente difficile, data la variabilità naturale nello sviluppo delle competenze e delle abilità intrinseca in questa fascia di età. Pertanto, lo screening e la diagnosi del DDAI in bambini piccoli deve essere condotta con prudenza non tralasciando mai le considerazioni evolutive. Screening Esistono due approcci allo screening di bambini a rischio: quello individuale e quello in classe. Lo screening in classe è una procedura attiva ideata per identificare i bambini a rischio di DDAI o di disturbi del comportamento disfunzionale prima di una segnalazione da parte dell’insegnante o del genitore. Per dirla diversamente, data l’occorrenza del DDAI nella popolazione generale, si presume che uno o due bambini in ogni classe possano essere affetti da questo disturbo. Piuttosto che aspettare eventuali segnalazioni, si possono utilizzare varie metodologie per identificarli il più precocemente possibile. Per esempio, il Progetto di Screening Precoce (Feil, Walker & Severson, 1995) utilizza per l’identificazione di bambini piccoli a rischio di disturbi del comportamento una procedura a ingressi sequenziali. All’inizio si chiede all’insegnante di scuola materna di valutare la frequenza e la gravità dei comportamenti manifesti di tutti i bambini. I primi tre bambini varcano “ l’ingresso” del livello successivo in cui l’insegnante da un giudizio comportamentale in termini di punteggi in un questionario psicometricamente robusto. Quei bambini che ricevono punteggi superiori ai criteri delle norme (ossia 1.5 deviazioni standard sopra la media) entrano in un altro livello ancora in cui vengono condotte osservazioni sistematiche del comportamento e vengono raccolte le valutazioni dei genitori. Se gli ultimi due strumenti danno come risultati punteggi che superano i criteri delle norme, allora si progetta un piano di intervento in classe e 150 Screening, identificazione e intervento precoci lo si mette in atto; oppure si segnala il bambino per una valutazione ancora più approfondita. Al contrario lo screening individuale è una procedura reattiva in cui la valutazione si verifica dopo la segnalazione da parte di un insegnante o un genitore. Questo procedimento è molto simile a quello descritto nella Fase I del nostro modello valutativo (vedere il Capitolo 2). Pertanto, ogni qual volta un insegnante di scuola materna o un genitore presenti dei dubbi sul livello di attenzione, di attività e di controllo degli impulsi di un bambino è necessario intraprendere uno screening per il DDAI. Inoltre, data la forte associazione fra i sintomi di questo disturbo e le difficoltà nelle abilità prescolari di lettura e aritmetica lo screening dovrebbe essere condotto anche se i genitori o l’insegnante riferiscono preoccupazioni relative all’apprendimento delle lettere e dei numeri da parte del bambino. Come nel caso dei bambini più grandi, i principali strumenti di valutazione utilizzati in questo caso sono i giudizi dell’insegnante sui comportamenti del DDAI e/o una breve intervista con l’insegnante o i genitori. Per rendere più semplice questo procedimento, McGoey e colleghi (2002) hanno ideato una versione della ADHD Rating ScaleIV per l’età pre-scolare che include i 18 sintomi del DDAI. Nello specifico, gli item comportamentali includono esempi di come si possono manifestare i sintomi in bambini piccoli (per es., difficoltà a seguire le spiegazioni che si manifesta con problemi nel passaggio da un’attività all’altra). Se si riscontrano frequenti sintomi del DDAI, allora potrebbe essere necessaria una valutazione più approfondita. Come parte del processo valutativo, bisognerebbe tenere in considerazione le seguenti domande: 1.Che percentuale del comportamento disfunzionale del bambino può essere imputata a “immaturità”? Il bambino è immaturo in diverse aree di sviluppo oltre a presentare distraibilità e uno span di attenzione ridotto? I comportamenti del bambino sono migliorati nel tempo in seguito a un impegno in questa direzione? Se no, potrebbe essere necessaria una valutazione più approfondita per un eventuale DDAI? 2. Le aspettative della classe sono appropriate per l’età cronologica? Per esempio, ci si aspetta che i bambini stiano seduti per un lasso di tempo troppo lungo? Il curricolo potrebbe essere esageratamente incentrato su attività scolastiche e/o potrebbe richiedere competenze non adeguate al livello di istruzione dei bambini. I comportamenti disfunzionali sono collegati alla sperimentazione di frustrazione? 151 DDAI a Scuola 3. Le regole della classe sono chiare? Queste regole sono state esplicitamente insegnate ai bambini? Lo stile disciplinare dell’insegnante è chiaro e coerente? Il bambino è oppositivo e provocatorio nei confronti delle regole della classe? 4. I genitori e il personale della scuola sono di solito riluttanti nell’assegnare un’etichetta a un bambino in un’età così precoce. Potrebbero sentirsi più a loro agio nell’aspettare la fine dell’asilo o la prima elementare per vedere se questi comportamenti passano da sé (per es., se il comportamento diventa meno difficoltoso da gestire). Di contro, se un bambino che mostra sintomi del DDAI non riceve alcun intervento in età pre-scolare, l’approccio “aspettiamo e vediamo” potrebbe portare solo a maggiori frustrazioni nelle attività scolastiche, a sviluppare relazioni interpersonali scarse e a sperimentare un abbassamento nell’autostima in contesti scolastici. Pertanto, bisogna chiedersi se i benefici dell’identificazione e dell’intervento così precoce superino i costi implicati. Quando l’esito dello screening indica la necessità di un esame più approfondito, allora bisognerebbe utilizzare un protocollo multimodale come quello descritto nella Fase II del nostro modello di valutazione (vedere il Capitolo 2). Malgrado le domande che guidano il processo stesso siano simili a quelle utilizzate per bambini di un’età più avanzata, esistono delle differenze importanti. Prima fra tutte, devono essere utilizzati strumenti di misura differenti. In particolare, bisognerebbe utilizzare scale di valutazione e altri strumenti sviluppati appositamente per l’uso in età pre-scolare. Come minimo, le metodologie valutative devono includere campioni normativi per un’età fra i 3 e i 5 anni. Di seguito verranno presentati alcuni strumenti che rispettano questo criterio. In secondo luogo, data la natura variabile del comportamento dei bambini di questa età, le osservazioni e le scale di valutazione devono coprire un lasso di tempo e una varietà di situazioni più ampi che non con i bambini più grandi. Per esempio, gli insegnanti dovrebbero valutare il comportamento per tutta la durata dell’anno scolastico e i genitori almeno per 6 mesi. Le osservazioni devono essere condotte nel corso di attività strutturate (per es., circle time) e non (gioco libero). Infine, bisognerebbe dare un’importanza primaria a quello che i genitori riferiscono sui sintomi del DDAI dal momento che sono proprio loro a passare più tempo con i bambini piccoli. Nel caso fossero altre figure di riferimento a passare la maggior parte del tempo con i bambini (educatori di baby-parking giornalieri), allora anche queste persone 152 Screening, identificazione e intervento precoci dovrebbero essere coinvolte nell’intervista e/o nel rispondere agli item delle scale di valutazione. Sono state sviluppate numerose interviste e scale di valutazione del comportamento per i bambini piccoli. Sono al momento disponibili versioni per l’età pre-scolare della Diagnostic Interview for Children and Adolescents (Reich, 2000) e della Diagnostic Interview Schedule for Children (DISC; Gruppo di Sviluppo del DISC della Columbia University, 2000). Anche se queste interviste sono piuttosto lunghe (30-60 minuti circa), rappresentano una maniera completa e affidabile per valutare i comportamenti sintomatici di diversi disturbi che potrebbero colpire i bambini in età pre-scolare. Sono anche disponibili scale di valutazione che contengono item specifici per la valutazione del comportamento di bambini piccoli sia per i genitori (o altre figure di riferimento) che per gli insegnanti di scuola materna. Alcune scale ad ampio spettro per i genitori sono la Preschool and Kindergarten Behavior Scale (PKBS; Merrell, 1994;), la Conners Parent Rating Scale (Conners, 1997), la Early Childhood Inventory-4 (ECI-4; Gadow & Sprafkin, 1997) e una versione per i piccoli della Child Behavior Checklist (Achenbach & Rescorla, 2000). Simili scale di valutazione sono disponibili anche per gli insegnanti: la PKBS, la Conners Teachers Rating Scale e l’ECI-4. Una scala mirata che può essere utilizzata per ottenere delle valutazioni sul DDAI dai genitori e dagli insegnanti è la Preschool ADHD Rating Scale-IV (McGoey et al., 2002). Come nel caso di bambini più grandi, le scale di valutazione vengono utilizzate per valutare il grado di devianza evolutiva nelle arre chiave solitamente pregiudicate dai sintomi del DDAI, incluse le competenze prescolastiche e sociali. Anche la SSRS (Gresham & Elliott, 1990), che valuta le competenze sociali, include versioni per i genitori e gli insegnanti di bambini in età pre-scolare. Gli insegnanti possono compilare la Preschooler Learning Behavior Scale (McDermott, Leigh & Perry, 2002) per valutare fino a che punto i bambini presentino problemi relazionati ai comportamenti di apprendimento e di motivazione. Un’altra componente critica della valutazione multimodale dei sintomi del DDAI nei bambini piccoli è l’osservazione diretta del comportamento del bambino in classe e/o a casa. Per esempio, DuPaul e colleghi (2001) hanno utilizzato un adattamento del sistema di codifica del comportamento sociale, presente nel Progetto per lo Screening Precoce (Feil et al., 1995), per raccogliere informazioni sul comportamento di bambini a rischio di DDAI in situazioni di classe strutturate (ascoltare l’insegnante che legge) e non (gioco libero).Questo sistema utilizza una combinazione fra la codifica parziale 153 DDAI a Scuola dell’intervallo temporale (15 secondi) per i comportamenti negativi, la codifica continua dell’intervallo temporale per i comportamenti positivi e una campionatura temporanea per registrare i cambiamenti nell’attività svolta. La categoria dei comportamenti sociali negativi include: interazioni sociali negative, inottemperanza alle regole, comportamenti non attinenti al compito e capricci. La categoria di comportamenti sociali positivi include: interazioni sociali positive, gioco parallelo e compliance con le regole. Il cambiamento nell’attività viene misurato indipendentemente dai comportamenti sociali positivi e negativi e viene definito come il coinvolgimento del bambino in un’attività diversa da quella in cui era coinvolto all’inizio dell’intervallo osservativo precedente. DuPaul e colleghi hanno riscontrato che i bambini piccoli con DDAI mostravano percentuali significativamente più elevate di comportamenti sociali negativi in situazioni strutturate rispetto ai loro coetanei. Le osservazioni dell’interazione genitore-bambino in una varietà di situazioni possono essere utili non solo nel determinare la devianza evolutiva del comportamento del bambino, ma anche nel fornire informazioni utili nella progettazione degli interventi a casa. DuPaul e colleghi (2001) hanno osservato le interazioni genitore-bambino in un setting clinico: una stanza da gioco in cui si susseguivano quattro differenti situazioni controllate della durata di 10 minuti ciascuna. Nella prima situazione il genitore permetteva al bambino di interagire liberamente con i giocattoli: situazione di gioco libero (FPS). Nella seconda situazione il genitore non prestava attenzione al bambino: situazione di bassa attenzione dell’adulto (LAAS). Nella terza situazione il genitore supervisionava l’attività del bambino (per es., mentre faceva un puzzle o un disegno): situazione di supervisione dell’adulto (PSS). Nell’ultima situazione ogni bambino doveva portare a termine un compito (per es., riordinare la stanza da gioco): situazione sotto la direzione del genitore (PDTS). I comportamenti genitoriali codificati erano i seguenti: comandi alfa (diretti), comandi beta (indiretti e vaghi), comportamenti positivi, comportamenti negativi, domande e rinforzi alla compliance del bambino. I comportamenti codificati del bambino erano invece: attività, compliance, negligenza, comportamenti non appropriati, comportamenti attinenti al compito. Tranne che per la categoria dell’attività, per tutte le altre categorie è stata calcolata la percentuale degli intervalli osservativi. Il punteggio nella categoria attività rappresentava il numero di intervalli in cui si era verificato un cambiamento nell’attività svolta. Questo sistema di codifica dell’interazione genitore-bambino si è rivelato 154 Screening, identificazione e intervento precoci in grado di discriminare bambini piccoli con DDAI dai loro coetanei normali (DuPaul et al., 2001). I bambini con DDAI mostravano livelli di negligenza due volte maggiori e comportamenti non appropriati a livelli circa cinque volte superiori a quelli del gruppo di controllo, quando i genitori chiedevano loro di portare a termine un’attività o un compito. Aspetto interessante, nella situazione LAAS non sono state rilevate differenze fra i due gruppi, suggerendo che per molti bambini piccoli con DDAI la motivazione principale dei loro comportamenti negligenti sia sfuggire alle richieste genitoriali di eseguire un compito (piuttosto che mostrare comportamenti negativi per attirare l’attenzione del genitore). Pertanto, questo sistema può essere utile per suggerire le direzioni da prendere nella valutazione funzionale. In base a queste indicazioni, è obbligatorio raccogliere dati attraverso una valutazione funzionale. Le componenti di una valutazione funzionale del comportamento nei bambini piccoli non sono diverse da quelle dei bambini più grandi (vedere il Capitolo 2) e includono le interviste ai genitori e agli insegnanti e le osservazioni dirette. Nella maggior parte dei casi, i dati della valutazione saranno sufficientemente descrittivi in modo da poter identificare gli antecedenti e conseguenti mano a mano che questi si verificano sia nel contesto classe sia a casa. Quando è possibile, si possono utilizzare delle procedure di analisi sperimentale come quelle descritte da Boyajian, DuPaul, Warte Handler, Eckert & McGoey (2001) per identificare con maggiore chiarezza le funzioni di uno specifico comportamento. Più avanti forniremo ulteriori dettagli della valutazione funzionale in bambini piccoli (vedere la sezione sul “Modello del Progetto “ACHIEVE ”). Il protocollo di valutazione multimodale deve includere strumenti di misura che vadano oltre la valutazione dei semplici comportamenti. Nello specifico, bisognerebbe includere una valutazione dei pre-requisiti dell’apprendimento della lettura e dell’aritmetica, dato che i bambini con DDAI hanno un rischio superiore alla media di conseguire scarsi rendimenti in questi ambiti. Idealmente, la valutazione dei pre-requisiti alfabetici non dovrebbe solo valutare i contenuti rilevanti ma anche rispettare i criteri di un’utilità pratica, tecnica e decisionale (vedere Good, Gruba & Kaminski, 2002). Sulla base di questi criteri la metodologia più completa per valutare le competenze di pre-lettura è rappresentato dai Dynamic Indicators of Basic Early Literacy Skills (DIBELS: Kaminski & Good, 1996). Il DIBELS è costituito da quattro misure: fluenza nel riconoscimento delle sillabe, fluenza nella segmentazione dei 155 DDAI a Scuola fonemi, fluenza nella lettura di non-parole e fluenza nello spelling di lettere. Esiste anche una quinta misura, la misura basata sul curricolo della fluenza nella lettura orale, che può essere utilizzata per i bambini che iniziano a leggere. Ciascuna di queste misure è breve e può essere ripetuta nel tempo per valutare eventuali progressi. Inoltre, l’affidabilità e la validità riferita al criterio del DIBELS sono molto consistenti (per una rassegna vedere Good et al., 2002). Sfortunatamente, un simile insieme di misure non è disponibile per la valutazione delle competenze aritmetiche anche se Sokol (2002) ha sviluppato un protocollo di valutazione che fa parte del protocollo di trattamento “Progetto ACHIEVE”, descritto di seguito. Chiaramente la valutazione dei concetti di numero e quantità è un’area importante che deve ancora essere sviluppata per i bambini piccoli. Una volta che sono stati raccolti i dati della valutazione, si devono interpretare i risultati in modo simile a quello descritto nella Fase III del nostro modello di valutazione (vedere il Capitolo 2). Le decisioni diagnostiche devono essere prese sulla base dell’aderenza dei dati raccolti ai criteri del DSM-IV per i tre sottotipi di DDAI (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). In questo caso, bisogna tenere conto di diversi ammonimenti. Prima di tutto, una diagnosi di DDAI può essere emessa con minore sicurezza in bambini piccoli a causa della variabilità intrinseca al loro comportamento e alla possibilità che i sintomi regrediscano con il passare del tempo. Infatti, nel nostro lavoro con bambini in età pre-scolare, utilizziamo l’espressione “a rischio di DDAI” per descrivere quelli che soddisfano i criteri del DSM-IV per questo disturbo. Questa espressione riconosce la gravità dei sintomi ma permette anche di considerarli come precursori del disturbo che potrebbero scomparire con la crescita. Inoltre, abbiamo riscontrato che una diagnosi che include l’espressione “a rischio di” è più accettabile per i genitori e gli insegnanti dei bambini piccoli, che si preoccupano della potenziale stigmatizzazione a lungo-termine derivante da un’etichetta diagnostica assegnata in un’età così precoce. Un’altra considerazione da fare nella fase interpretativa è il grado in cui i sintomi di un apparente DDAI possano essere spiegati da altre cause. Malgrado tutte le ipotesi alternative elencate nel Capitolo 2 per i bambini più grandi possano andare bene anche nella valutazione dei bambini più piccoli, è soprattutto necessario distinguere il DDAI dall’autismo e da altri disturbi pervasivi dello sviluppo. L’autismo e gli altri disturbi pervasivi dello sviluppo vengono spesso individuati negli anni di scuola materna (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Inoltre, la disattenzione, l’impulsività e gli elevati 156 Screening, identificazione e intervento precoci livelli di attività grosso-motoria possono presentarsi anche in bambini con disturbi dello sviluppo. In particolare, quando i genitori e gli insegnanti riferiscono preoccupazioni relative alle competenze linguistiche e sociali, i professionisti dovrebbero includere misure di screening per l’autismo. Per esempio, l’intervista diagnostica Autism Diagnostic Interview – Revised (Lord, Rutter & LeCouteur, 1994) può essere utilizzata per ottenere dai genitori o dagli insegnanti informazioni su sintomi autistici. Inoltre, possono essere utili scale di valutazione del comportamento quali la Childhood Autism Rating Scale (Schopler, Reichler & Renner, 1988). Come nel caso di bambini più grandi con DDAI, le strategie di intervento dovrebbero essere progettate, verificate e modificate sulla base dei dati delle valutazioni (vedere le Fasi IV e V del nostro modello valutativo descritto nel Capitolo 2). Come parte del piano di intervento sarebbe prudente effettuare una valutazione periodica dei sintomi del DDAI per accertarsi della persistenza del disturbo. Per esempio, un sottoinsieme di misure potrebbe essere nuovamente somministrato una volta l’anno nei primi anni delle elementari. Dato che, in alcuni bambini piccoli, i sintomi del disturbo possono subire una remissione con il tempo, si potrebbe tracciare una traiettoria dei comportamenti associati al DDAI utile per la pianificazione del trattamento a breve e lungo termine. INTERVENTO PRECOCE E STRATEGIE DI PREVENZIONE Gli interventi più efficaci per il DDAI sono il trattamento farmacologico con psicostimolanti (per es., il metilfenidato) e la terapia comportamentale applicata sia a scuola sia a casa (MTA Cooperative Group, 1999; Pelham et al., 1998). Nonostante la maggior parte degli studi sull’efficacia siano stati condotti con bambini di scuola elementare (6-11 anni), ci sono anche alcune ricerche che forniscono un supporto alla validità di queste metodologie nel trattamento di bambini piccoli con DDAI (vedere McGoey, Eckert & DuPaul, 2002). Più specificamente, il trattamento farmacologico con stimolanti e il parent training applicati separatamente hanno portato risultati positivi rispetto ad altre condizioni di controllo. I programmi comportamentali di parent training sembrano essere una strategia ottimale per i bambini piccoli con problemi della condotta perché questo tipo di trattamento può interrompere le interazioni coercitive genitore-bambino che sono spesso la fonte dei comportamenti problematici. Di particolare rilevanza è il programma di parent 157 DDAI a Scuola training sviluppato da Webster-Stratton (1996) che applica un modello che si basa sulla discussione di videoregistrazioni piuttosto che quello di didattica frontale proprio del parent training tradizionale. Questo programma gode di un supporto empirico davvero molto ampio per l’efficacia nel trattamento di bambini piccoli con problemi di condotta (Webster-Stratton, 1998; WebsterStratton, Hollinsworth & Kolpacoff, 1989) ed è stato identificato come uno dei due trattamenti, per il disturbo della condotta, che hanno una validità empirica (Brestan & Eyberg, 1998). McGoey e colleghi (2002) hanno compilato una rassegna completa della letteratura che valuta gli interventi per bambini piccoli con DDAI. Sono stati identificati 28 studi pubblicati fra il 1967 e il 2000 in cui venivano esaminati tre trattamenti: il trattamento farmacologico (N=14), la terapia comportamentale in contesto scolastico (N = 9) e i programmi di educazione per i genitori (N=4). Inoltre, è stato trovato uno studio che valutava un trattamento multimodale. Questi studi empirici comprovano l’efficacia di ognuna di queste tre strategie di intervento nel migliorare i sintomi del DDAI e i comportamenti a esso associati in bambini piccoli. Di seguito forniamo degli esempi di ciascuna strategia, con le relative prove di efficacia, per illustrare tutto quello che al momento si conosce sul trattamento del DDAI nella prima infanzia. Trattamento farmacologico Il trattamento maggiormente studiato per il DDAI nei bambini di età pre-scolare è quello che utilizza farmaci psicotropi e, nello specifico, psicostimolanti. La grande maggioranza delle ricerche ha esaminato gli effetti del metilfenidato, anche se sono stati studiati anche d-amfetamina e il carbonato di litio. La maggior parte degli studi ha cercato di stabilire fino a che punto i farmaci riducessero i sintomi del DDAI e i relativi problemi comportamentali. Per esempio, Barkley (1988) ha studiato gli effetti comportamentali di due differenti dosaggi (0.15 mg/kg, 0.5 mg/kg) di metilfenidato su 27 bambini con DDAI di età fra i 2.5 e i 4 anni. Sono state condotte osservazioni delle interazioni madre-bambino in una stanza da gioco in ambulatorio e queste hanno permesso di riscontrare riduzioni significative di comportamenti non attinenti al compito e di negligenza con entrambi i dosaggi. I bambini erano invece maggiormente disponibili alle richieste materne nello svolgimento delle attività. Simili riduzioni nel comportamento di disattenzione sono state ottenute con dosaggi differenti e in contesti differenti (casa, ambulatorio e a scuola) anche in altri studi. A un livello di analisi gruppale, elevati dosaggi 158 Screening, identificazione e intervento precoci (per es., 1.0 mg/kg) mostrano effetti più costanti in tutti gli studi e in tutti i contesti, anche se questi stessi dosaggi sono più spesso associati a presenza di effetti collaterali (per es., minore interazione sociale, perdita dell’appetito e umore disforico). La d-amfetamina (sempre uno psicostimolante) ottiene gli stessi effetti comportamentali, mentre il carbonato di litio non sembra efficace nel trattamento di questo disturbo nei bambini piccoli. McGoey e colleghi (2002) hanno individuato una serie di limiti negli studi sul trattamento farmacologico con questa popolazione: (1) l’assenza di misure per valutare l’aderenza al protocollo di somministrazione, (2) un’indagine minima degli effetti comportamentali nelle classi reali di scuola materna e (3) indicazioni solo su effetti a breve-termine (per es., alcune settimane). Inoltre, diversi studi precedenti sugli effetti dei farmaci non includevano gruppi di controllo con placebo o metodologie a doppio cieco, entrambi aspetti critici per eliminare minacce alla validità interna. Inoltre, diverse ricerche riferivano che i genitori sospendevano il trattamento alla conclusione della ricerca stessa. Pertanto, sembra che almeno alcuni genitori non valutassero gli effetti dei farmaci sul comportamento dei loro bambini così significativi oppure che fossero preoccupati di eventuali effetti collaterali. Pertanto, la conclusione più prudente è quella che il metilfenidato e altri stimolanti riducono effettivamente i sintomi del DDAI e i relativi problemi comportamentali nei bambini piccoli. Tuttavia, resta ancora da definire fino a che punto il trattamento farmacologico sia necessario a questa età in aggiunta ad altre strategie di intervento. È tuttora in corso un’analisi su vasta scala (Studio sul Trattamento dell’Attenzione in Età Pre-scolare [PATS]; Greenhill, 2000) che dovrebbe portare più luce sul ruolo degli psicostimolanti nella gestione dei sintomi del DDAI in bambini piccoli. Terapia comportamentale nella scuola materna Al contrario della terapia farmacologica, pochi studi hanno indagato gli effetti degli interventi comportamentali e/o educativi in classi di scuola materna. Questo è sorprendente e allo stesso tempo deprimente date le implicazioni a breve e lungo-termine di comportamenti disfunzionali nella scuola materna ed elementare. Inoltre, molti interventi “in classe” analizzati fino a oggi sono stati verificati in laboratorio più che sul campo, limitando così la generalizzabilità dei risultati ottenuti. Questo è, per esempio, il caso di un’analisi condotta in un contesto classe: McGoey e DuPaul (2000) hanno valutato gli effetti di una terapia comportamentale che combinava tecniche di 159 DDAI a Scuola rinforzo positivo con tecniche response cost per i comportamenti disfunzionali di quattro bambini di scuola materna con DDAI. Agli insegnanti dei bambini si chiedeva di rinforzare i comportamenti appropriati e scoraggiare quelli non appropriati concedendo o negando rispettivamente i conseguenti rinforzi “simbolo” (per es., un bottone). I bambini ottenevano dei premi giornalieri sulla base del numero di gettoni guadagnati durante l’intera giornata a scuola. Osservazioni dirette del comportamento indicavano riduzioni del comportamento disfunzionale durante l’applicazione del trattamento in confronto con i dati della baseline. Gli insegnanti e gli studenti riferivano che questa strategia era gradita ed efficace. In generale, sembra che, come nel caso dei bambini più grandi con DDAI, gli interventi in classe basati su principi comportamentali siano efficaci nel ridurre i comportamenti disfunzionali in contesti di scuola materna. Questa conclusione è indebolita da diversi limiti presenti in letteratura che sono: bassa numerosità dei campioni, mancanza di informazioni sull’integrità del trattamento applicato, di follow-up a lungo-termine e di dati generalizzabili (McGoey et al., 2002). Inoltre, gli interventi sono stati applicati secondo l’approccio “uno per tutti”, presupponendo che tutti i bambini piccoli con DDAI rispondano a un particolare intervento. Sono necessari più lavori sulla linea di quello di Boyajian e colleghi (2001) che hanno progettato interventi in età pre-scolare utilizzando i dati della valutazione funzionale. Questa valutazione permette di personalizzare gli interventi comportamentali per cercare di migliorarne gli esiti. Il parent training nel contesto della terapia comportamentale Una serie di studi ha provato che gli interventi di terapia comportamentale applicati attraverso i genitori possono accrescere la compliance e ridurre i comportamenti non appropriati in bambini piccoli con DDAI e con disturbi simili. Gli effetti positivi sul comportamento dei bambini sembrano derivare dai cambiamenti nel modo in cui i genitori pongono le richieste e rispondono loro quando si mostrano cooperativi. Uno degli studi più ambiziosi sul parent training in questa popolazione è stato condotto da Strayhorn e Weidman (1989) che sono stati in grado di ottenere un campione di 98 genitori di bambini in età pre-scolare con DDAI. I genitori sono stati assegnati casualmente al gruppo di controllo e a quello sperimentale; quelli nel gruppo sperimentale imparavano a dare rinforzi positivi 160 Screening, identificazione e intervento precoci a comportamenti adeguati nel corso di un training sulle interazioni genitorebambino. Il gruppo sperimentale manifestava miglioramenti statisticamente significativi nelle valutazioni genitoriali dei comportamenti dei bambini, come anche nelle osservazioni dirette delle interazioni genitore-bambino in ambulatorio. I genitori riferivano anche un più elevato grado di soddisfazione nei confronti degli esiti del trattamento. Gli stessi ricercatori hanno riscontrato che le differenze fra i due gruppi erano ancora presenti a un anno dalla fine del trattamento, dimostrando la resistenza dei cambiamenti comportamentali indotti dal trattamento (Strayhorn & Weidman, 1991). Come nel caso delle terapie comportamentali applicate in classi di scuola materna, il parent training sembra essere un trattamento efficace nella gestione del comportamento di bambini piccoli con DDAI. Tuttavia, questa conclusione è stemperata da limiti simili a quelli per gli interventi in classe: mancanza di informazioni sull’integrità del trattamento applicato e affidamento solo misure indirette degli esiti di trattamento (ossia le valutazioni genitoriali del comportamento) (McGoey et al., 2002). Inoltre, la maggior parte dei parent training considerati negli studi insegnava ai genitori a mettere in atto molteplici strategie comportamentali (rinforzo positivo, response cost e interruzione del rinforzo positivo). Pertanto, è difficile distinguere quali specifiche strategie di intervento siano efficaci e se sia necessario un “pacchetto” di trattamento completo per ottenere dei cambiamenti nel comportamento. Infine, la maggior parte degli studi hanno incluso per lo più campioni di individui bianchi di reddito medio, limitando così il grado in cui tali risultati possono essere generalizzati a popolazioni differenti. Dato che la letteratura sul parent training ha documentato da sempre gli effetti ridotti di questo trattamento su madri sole di status socioeconomico basso (Nixon, 2000), è decisamente importante che vengano eseguite indagini su campioni differenti. PREVENZIONE E INTERVENTO SU SCALA TERRITORIALE Anche se esistono prove empiriche che gli interventi psicosociali possono aiutare a ridurre le difficoltà delle famiglie e delle scuole che hanno a che fare con bambini piccoli con DDAI, sembra che questi interventi non vengano applicati con una certa frequenza nel territorio o in contesti che non siano di ricerca. In breve, esiste un gap fra ciò di cui questi bambini hanno bisogno, ciò che si sa che funziona nel rispondere ai loro bisogni e quello che in realtà 161 DDAI a Scuola si offre. Eckert, DuPaul, McGoey e Volpe (2002) hanno intervistato i genitori di bambini piccoli a rischio di DDAI (N= 101), gli operatori dei servizi territoriali (educatori professionali per la prima infanzia, pediatri e psicologi scolastici N= 137), gli esperti e i ricercatori nazionali nel campo del DDAI (N= 25) chiedendo loro di individuare i bisogni dei bambini in età pre-scolare con questo disturbo. Tutti e tre i campioni concordavano sull’affermare che i genitori e gli insegnanti di questi bambini avevano bisogno di informazioni e di un sostegno costante sugli interventi comportamentali ed educativi. Anche se i genitori percepivano di ottenere informazioni utili dall’insegnante e dal medico di base del bambino, riferivano minore soddisfazione sul fronte dei gruppi di supporto e di altri servizi disponibili sul territorio. Gli operatori dei servizi sottolineavano la necessità costante di un intervento precoce, di parent training e di una consulenza educativa. Gli esperti riportavano un gap fra la ricerca e la pratica insieme a una necessità generale di ulteriori indagini sugli interventi realmente efficaci per questa fascia di età. Il gap fra la ricerca e la pratica non sembra essere dovuto a una mancanza di accettazione o di accordo con gli interventi da parte dei genitori e degli insegnanti. Piuttosto il contrario: i genitori non solo sentono la necessità di ricevere addestramenti specifici su strategie genitoriali di gestione del comportamento, ma ritengono anche che le terapie comportamentali, quali il rinforzo positivo, siano maggiormente accettabili, per esempio, del trattamento farmacologico (Wilson & Jennings, 1996). In maniera simile, Stormont e Stebbins (2001) hanno riscontrato che gli insegnanti di scuola materna ritenevano importanti numerosi trattamenti comportamentali ed educativi nella gestione di bambini con DDAI e il grado di importanza correlava significativamente con la familiarità che avevano con queste tecniche. Le valutazioni degli insegnanti sull’importanza e sulla familiarità non correlavano con gli anni di esperienza, con il livello di istruzione o altri fattori demografici. Pertanto, i genitori e gli insegnanti hanno una necessità critica di informazioni e sostegno per comprendere e trattare i bambini piccoli con DDAI. Malgrado la letteratura di ricerca confermi la validità di una serie di trattamenti, esiste un gap evidente fra la ricerca e la pratica nei servizi territoriali. Nella sezione seguente, sottolineiamo l’importanza di un coinvolgimento sempre maggiore degli psicologi scolastici nell’intervento precoce su questa popolazione e presentiamo un modello di prevenzione/intervento che può essere messo in pratica dai professionisti della salute mentale, dagli educatori e da altri professionisti sanitari. 162 Screening, identificazione e intervento precoci Prevenzione delle difficoltà associate al DDAI Come precedentemente affermato in questo capitolo, i sintomi del DDAI a insorgenza precoce sono associati a una serie di difficoltà croniche che compromettono la riuscita del bambino in una serie di aree critiche (vedere la parte alta della Figura 4.2). I due esiti di gran lunga più problematici sono il successivo sviluppo di un disturbo oppositivo provocatorio o di un disturbo della condotta e lo scarso rendimento scolastico. Più del 50% dei bambini, soprattutto i maschi, con DDAI riceveranno, a un determinato momento della loro infanzia, una diagnosi anche di disturbo oppositivo provocatorio o di disturbo della condotta (Barkley, 1998). Lo sviluppo sociale dipende, almeno in parte, dall’interazione fra le inclinazioni comportamentali del bambino (per es., la presenza di DDAI) e le competenze genitoriali nella gestione di tali comportamenti (Tremblay et al., 1992). Il numero maggiore di rinforzi viene fornito dalle persone che hanno più contatti con il bambino (ossia i genitori); pertanto scambi positivi con le figure di riferimento primarie contribuiscono significativamente allo sviluppo sociale del bambino (Patterson, Reid & Dishion, 1992). Un principio chiave della teoria di Patterson (Patterson et al., 1992) sullo sviluppo di comportamenti antisociali è che questi si sviluppino in casa nel corso dei primissimi anni. Più specificamente, i bambini apprendono che i loro comportamenti avversivi (pianto, provocazione) allontanano i comportamenti avversivi dei genitori (i loro comandi). Nel tempo e attraverso situazioni ricorrenti, le interazioni coercitive addestrano i bambini a utilizzare i comportamenti avversivi come un modo per controllare le situazioni spiacevoli e caotiche (Dishion, Patterson & Kavanagh, 1992). Mano a mano che il bambino cresce, questi scambi coercitivi si intensificano in frequenza e gravità, portando a comportamenti avversivi che si generalizzano a più situazioni, diventano persistenti nel tempo e hanno come risultato il rifiuto da parte dei genitori e dei coetanei (Reid & Eddy, 1997). Le variabili principalmente responsabili dell’instaurarsi di questo cerchio coercitivo sono la capacità e l’efficacia dei genitori nel porre dei limiti e nel monitorare il comportamento del bambino (Dishion et al., 1992). I sintomi del DDAI sono significativamente associati a strategie di gestione disfunzionali che accrescono la probabilità di scambi coercitivi fra il genitore e il bambino (Dishion & Patterson, 1997). La chiave per il cambiamento è modificare le modalità disciplinari utilizzate dai genitori, riducendo la frequenza di scambi coercitivi (accrescendo allo stesso tempo gli scambi positivi) fra i genitori e il bambino. 163 164 Rischio maggiore di funzionamento disfunzionale: • Interazioni coercitive genitore-bambino • Sviluppo cognitivo ostacolato • Gravi problemi di comportamento Identificazione precoce dei sintomi significativi del DDAI Intervento precoce multimodale: • Parent training • Valutazione e terapia comportamentale individualizzata • Valutazione e intervento scolastico individualizzato • Valutazione e intervento scolastico • Miglioramento della comunicazione casa scuola Conseguenze ipotizzate in seguito a un intervento precoce Sintomi significativi del DDAI Conseguenze tipiche del DDAI a insorgenza precoce Assenza di DOP/DC in contesti diversi Rendimento scolastico nella media Accettazione da parte dei pari Pre-requsiti dell’apprendimento nella norma Normalizzazione dell’uso dei servizi sanitari Trattamento precoce con stimolanti Rendimento scolastico sotto la media Riduzione dei sintomi di Disturbo Oppositivo Provocatorio/Disturbo della Condotta Maggiore utilizzo di servizi sanitari Scarsi pre-requisiti dell’apprendimento Sintomi precoci di Disturbo Oppositivo Provocatorio/Disturbodella Condotta FIGURA 4.2.Conseguenze tipiche e ipotizzate del DDAI a insorgenza precoce Screening, identificazione e intervento precoci I genitori dovrebbero, inoltre, essere incoraggiati a monitorare con costanza i loro bambini per prevenire la manifestazione di comportamenti antisociali (aggressività fisica) e per prevenire lesioni accidentali associate al comportamento impulsivo. L’intervento ha maggiori probabilità di avere successo se condotto durante quella che Patterson chiama la fase di “training basilare”, ossia in età pre-scolare, piuttosto che se condotto in età più avanzate quando lo stile interattivo coercitivo è ormai ben radicato, i comportamenti antisociali sono saldamente consolidati e il comportamento dei genitori è meno relazionato a quello del bambino (Patterson et al., 1992; Reid & Eddy, 1997). Dato che i bambini in età pre-scolare con DDAI hanno maggiori probabilità dei loro coetanei normali di mostrare comportamenti aggressivi/provocatori in contesti scolastici, c’è una necessità impellente di modificare anche lo stile interattivo insegnante-studente. Il secondo esito comune associato al DDAI in età precoce è lo scarso rendimento scolastico. Come precedentemente affermato in questo capitolo, i deficit scolastici sono spesso evidenti fin dall’inizio della scuola e persistono negli anni successivi. Numerosi studi di ricerca hanno dimostrato che le prime esperienze di un bambino con le lettere e i numeri influenzano significativamente le future competenze scolastiche. La ricerca ha, per esempio, dimostrato che le prime competenze di alfabetizzazione del bambino (per es., la consapevolezza fonemica) fanno una differenza importante nelle successive competenze linguistiche e alfabetiche (vedere Hart & Risley, 1995). Alcune ricerche suggeriscono anche che attività precoci con i numeri possono ridurre significativamente futuri fallimenti in aritmetica (vedere Griffin, Case & Siegler, 1994). La consapevolezza fonemica, ossia l’intuizione che le parole sono composte da suoni, è essenziale per l’apprendimento della lettura. Le competenze dei bambini in questi ambiti, in un’età precoce, sono predittive del successivo rendimento nell’alfabetizzazione (Adams, 1990). Per esempio, da 1 a 3 anni, i bambini dovrebbero ricevere dai genitori e dalla lettura di fiabe stimoli relativi ai vocaboli (Ninio & Bruner, 1978). Fra i 2 e i 4 anni, con la stimolazione giusta, inizieranno ad acquisire una competenza linguistica sempre più complessa, utilizzando costrutti sintattici ed espressioni idiomatiche (Snow & Goldfiled, 1983). Quando i bambini arrivano alla scuola materna, dovrebbero essere pronti ad apprendere le convenzioni formali di scrittura delle lettere, i nomi delle lettere e i loro suoni (Clay, 1979). 165 DDAI a Scuola In aggiunta alle competenze alfabetiche, sono importanti anche le competenze aritmetiche precoci (fluidità ed elasticità nella manipolazione di numeri e senso di cosa siano i numeri) (Gersten & Chard, 1999). Le competenze precoci per l’aritmetica consistono nell’identificazione di simboli (le prime cifre) e nella comprensione della linearità (più grande, più piccolo). Nonostante sia ancora solo agli inizi, la letteratura esistente suggerisce che esperienze precoci con la quantità e i numeri possano aiutare i bambini nell’acquisizione delle competenze aritmetiche (addizione, sottrazione) una volta entrati nella scuola materna (Gersten & Chard, 1999). Dal momento che anche i genitori sono responsabili dello sviluppo cognitivo precoce e dello sviluppo dei pre-requisiti dell’apprendimento, gli interventi per prevenire l’insuccesso devono includere un miglioramento nella stimolazione cognitiva da parte dei genitori (Hart & Risley, 1995). Oltre alle ricerche sulle componenti del trattamento individuale (parent training e trattamento farmacologico con stimolanti), sono stati fatti pochissimi tentativi per indagare gli effetti di un intervento di prevenzione/trattamento precoce combinato. McGoey e colleghi (2002) hanno condotto uno studio pilota su un programma di intervento a livello territoriale per bambini piccoli con DDAI Gli operatori dei servizi territoriali (per es., i pediatri), gli insegnanti di scuola materna e i genitori hanno segnalato 57 bambini (fra i 3 e i 4 anni) con DDAI. Questi bambini sono stati assegnati casualmente a un gruppo sottoposto a un intervento combinato o a un gruppo di controllo sottoposto a un intervento a livello territoriale (in cui le famiglie accedevano ai servizi psicologici, pediatrici, educativi e/o psichiatrici disponibili sul territorio). I risultati definitivi sono disponibili per 23 partecipanti agli interventi precoci e 22 partecipanti all’intervento a livello territoriale. Il programma di intervento combinato includeva (1) sedute settimanali di parent training per 3 mesi (utilizzando il programma sviluppato da WebsterStratton [1996]), seguite da sedute di parent training mensili per 9 mesi; (2) interventi comportamentali alla scuola materna per 3 mesi seguiti da una consulenza all’insegnante per i primi 6 mesi dell’anno scolastico successivo e (3) prove di trattamento farmacologico (metilfenidato e d-amfetamina) per quei bambini che non rispondevano agli interventi psicosociali. Sono state raccolte misure, ambito per ambito, per un periodo di 15 mesi che includevano: scale di valutazione del comportamento compilate da genitori e insegnanti, osservazioni delle interazioni genitore-bambino e del 166 Screening, identificazione e intervento precoci comportamento a scuola, documentazioni sulle lesioni fisiche e sul ricorso a servizi sanitari, valutazioni dei genitori del livello di stress e funzionamento familiare e un breve test sullo sviluppo cognitivo del bambino. Inoltre, in due momenti distinti, ai genitori e agli insegnanti dei bambini inseriti nel gruppo dell’intervento combinato è stato chiesto di completare misure di consumer satisfaction. I risultati di questo studio pilota hanno indicato che, rispetto al gruppo di controllo sottoposto all’intervento su base territoriale, i bambini che avevano ricevuto l’intervento combinato mostravano miglioramenti statisticamente significativi nel controllo del comportamento (a casa e a scuola); i genitori indicavano livelli minori di stress e la famiglia aveva sperimentato strategie di coping più adattive. L’effetto principale dell’intervento combinato è stato quello di modificare la traiettoria del comportamento del bambino nel tempo rispetto a quella dei bambini inseriti nel gruppo di controllo. Per esempio, la tendenza lineare negativa nel comportamento antisociale/aggressivo valutato dall’insegnante (alla PKBS; Merrell, 1994) era stata significativamente abbattuta nel gruppo dell’intervento combinato (slope = -1.06) rispetto al gruppo di controllo (slope = -0.2). In particolare, la fornitura costante di consulenza all’insegnante sembrava aiutare i bambini del gruppo di intervento combinato a mantenere questa tendenza discendente nei comportamenti antisociali. I genitori e gli insegnanti riferivano uniformemente che le procedure di intervento combinato erano del tutto accettabili e moderatamente efficaci. Anche se pochissimi bambini che partecipavano all’intervento precoce erano stati sottoposti a trattamento farmacologico, in questo studio pilota non sono stati ottenuti cambiamenti statisticamente significativi nell’utilizzo dei servizi sanitari e nello sviluppo cognitivo. A un livello individuale di analisi, sono stati esaminati gli effetti specifici degli interventi in età pre-scolare basati sulla valutazione funzionale del comportamento attraverso disegni su soggetti singoli che utilizzavano molteplici raccolte di dati nel corso del tempo (Boyajian et al., 2001). I risultati hanno indicato che l’individuazione della funzione dello specifico comportamento (per es., motivato dal desiderio di fuggire vs. motivato dal desiderio di attirare l’attenzione) ha aiutato la progettazione di interventi nel contesto classe che hanno ridotto sensibilmente la frequenza del comportamento aggressivo per i bambini con DDAI rispetto ai bambini del gruppo di controllo (vedere Figura 4.3). 167 DDAI a Scuola FIGURA 4.3. Livelli di aggressività, di comandi e di coinvolgimento nelle fasi di Inversione di Tendenza (intervento) e baseline (attenzione). Tratto da Boyajian, DuPaul, Handler, Eckert e McGoey (2001). Copyright 2001 dell’Associazione Nazionale di Psicologia Scolastica. Ristampato su gentile concessione. Attenzione Aggressività per ora o per percentuale di tempo Inversione di Tendenza Inversione di Tendenza Coinvolgimento Comando Drew Aggressività Sedute consecutive Shelton, Woods, Williford, Dobbins e Neale (2002) hanno riportato risultati simili con un protocollo di intervento precoce globale su 184 bambini con DDAI. Questi bambini in età pre-scolare avevano frequentato i programmi Head Start ed erano di gruppi etnici differenti. Gli interventi comportamentali sono stati applicati sia a casa sia a scuola e sono stati personalizzati attraverso l’utilizzo di procedure di consulenza. Dopo 1 anno di intervento, i bambini sottoposti all’intervento mostravano meno sintomi del DDAI e minore aggressività rispetto a bambini di un gruppo di controllo che avevano ricevuto solo la diagnosi. Nonostante non siano state ottenute differenze significative relativamente alla competenza genitoriale, allo stress dei genitori o al supporto familiare, i genitori e gli insegnanti riferivano elevati livelli di soddisfazione per i servizi ricevuti. Barkley e colleghi (2000) hanno indagato gli effetti di un programma di prevenzione multimodale per bambini piccoli con disturbi da comportamenti disfunzionali. Anche se l’obiettivo specifico di questo programma non erano i bambini con DDAI, i risultati ottenuti sono istruttivi relativamente alle pro168 Screening, identificazione e intervento precoci messe e ai limiti di un programma di intervento precoce con questo tipo di popolazione. 158 bambini di scuola materna pubblica che mostravano comportamenti significativi associati a DDAI e disturbo oppositivo provocatorio sono stati assegnati casualmente a quattro gruppi sperimentali: solo parent training, solo trattamento nel contesto classe per tutto il giorno, combinazione fra parent training e trattamento in classe e un gruppo di controllo con nessun trattamento. Il programma di parent training sviluppato da Barkley (1997b) era composto da 10 sedute settimanali seguite da cinque sedute mensili di supervisione. Gli interventi comportamentali sono stati messi in atto nelle classi di scuola materna utilizzando il modello sviluppato all’Università della California-Irvine (vedere Pfiffner & Barkley, 1998). Le strategie in classe includevano sistemi di token reinforcement; response cost, training di gruppo per l’autocontrollo cognitivo-comportamentale, training di gruppo sulle competenze sociali e sul controllo della rabbia e una registrazione giornaliera dell’andamento comportamentale. Sono stati raccolti dati esaustivi sul bambino, sulla famiglia e sul funzionamento in classe all’inizio e alla fine dell’anno scolastico. I due gruppi che avevano ricevuto il programma di trattamento in classe mostrarono miglioramenti significativi nel comportamento adattivo, nelle competenze sociali e nei sintomi del DDAI e in quelli del disturbo oppositivo provocatorio secondo quanto riferito dai genitori e dagli insegnanti e secondo quanto emerso dalle osservazioni dirette in classe. Sfortunatamente, non sono stati rilevati effetti significativi per il parent training, forse perché molti genitori non avevano frequentato le sedute con regolarità. Nessun trattamento aveva portato dei miglioramenti nella performance o nel rendimento scolastico valutati attraverso misure cliniche dell’attenzione e delle abilità cognitive. I risultati di queste tre ricerche promettenti sono tutti coerenti nell’indicare che gli interventi psicologici costituiti principalmente da strategie comportamentali possono ridurre i sintomi a breve termine del DDAI e del disturbo oppositivo provocatorio, soprattutto in contesti scolastici. Anche le interazioni con i pari e le competenze sociali possono essere migliorate tramite l’applicazione di un intervento precoce. Sfortunatamente, si sono ottenuti risultati più ambigui sulla prevenzione a casa. Sembra che i soliti tentativi di parent training non siano sufficienti nel produrre miglioramenti, anche a breve termine, nel funzionamento familiare e genitoriale. Un protocollo di trattamento più intensivo a casa che includa sedute di parent training e consulenze individuali sembra più efficace. Nessuno di questi programmi multimodali era associa169 DDAI a Scuola to con miglioramenti nel rendimento scolastico, limite decisamente critico. Inoltre, non è chiaro se i miglioramenti a breve termine nel funzionamento comportamentale permangano nel tempo. Infatti, Shelton e colleghi (2000) hanno riscontrato che gli iniziali miglioramenti nel funzionamento in classe rilevati da Barkley e colleghi (2000) non erano più presenti 2 anni dopo. Il Modello del Progetto ACHIEVE Alla luce delle promesse e dei limiti derivanti dai precedenti tentativi di prevenzione e di intervento precoce con bambini piccoli a rischio di DDAI, i ricercatori dell’Università di Lehigh e dell’Ospedale della Lehigh Valley nella Pennsylvania dell’est hanno sviluppato un programma di intervento territoriale completo chiamato Progetto ACHIEVE. Questo modello di intervento è progettato per ridurre e/o prevenire gli esiti più problematici dei sintomi del DDAI nella prima infanzia (vedere la parte bassa della Figura 4.2). Nei prossimi anni, verranno sistematicamente raccolti dati per verificare gli esiti a breve e lungo termine associati con l’implementazione di un intervento intensivo a casa e a scuola rispetto a una condizione di controllo con trattamento su base territoriale. Nonostante questo programma sia solo in una fase iniziale di valutazione, descriviamo brevemente le componenti dell’intervento a scopo puramente informativo. Crediamo che gli psicologi scolastici e altro personale educativo dovrebbero essere dei protagonisti chiave della progettazione e dell’implementazione di programmi di intervento precoce nei contesti locali, come il Progetto ACHIEVE. Le componenti di questo intervento si focalizzano su tre aree (problemi comportamentali, pre-requisiti dell’apprendimento scolastico e sicurezza del bambino) e in due contesti (casa e scuola). Queste componenti includono: il parent training, l’intervento comportamentale basato sugli esiti della valutazione a scuola e a casa, interventi sui pre-requisiti dell’apprendimento a casa e a scuola e la comunicazione casa-scuola. Parent Training Il parent training si focalizza sui problemi comportamentali, sui pre-requisiti dell’apprendimento e sulla sicurezza del bambino. Il training si effettua di solito in gruppi da 10 persone che partecipano a 20 sedute per l’arco di un anno scolastico. Questi gruppi sono condotti da uno psicologo scolastico o da un educatore specializzato. Delle 20 sedute, 12 sono quelle originali descritte da Cunningham, Bremner e Secord (1998) e utilizzano il Community Parent 170 Screening, identificazione e intervento precoci Education Program (Programma Comunitario sull’Educazione dei Genitori; COPE). Questo programma si è rivelato efficace nel ridurre la negligenza e l’aggressività nei bambini a rischio (per una rassegna, vedere Cunningham, 1998). Le restanti 8 sedute ne includono: due introduttive (che forniscono informazioni base sul DDAI e sui disturbi a esso correlati), cinque di valutazione funzionale e di promozione dei pre-requisiti dell’apprendimento (descritte di seguito) e una dedicata alla prevenzione degli infortuni a casa. Ogni seduta di parent training dura fra i 90 e i 120 minuti circa. Le 12 sedute del COPE hanno l’obiettivo di educare i genitori alle modalità comportamentali efficaci, quali il rinforzo positivo in caso di compliance, l’utilizzo del problem-solving e modalità di punizione leggere per gestire i comportamenti problematici. I principali concetti comportamentali vengono descritti attraverso interazioni genitore-bambino videoregistrate seguite da una discussione di gruppo. In aggiunta al programma COPE, si forniscono informazioni e supporto ai genitori su diversi concetti e tecniche correlate. Le componenti filosofiche dell’approccio funzionale al comportamento sono il focus di tutto il parent training. I genitori vengono introdotti ai concetti fondamentali delle funzioni del comportamento. Per esempio, si discutono le situazioni in cui un intervento ha meno probabilità di essere efficace (per es., interruzione del rinforzo positivo in caso di comportamento problematico motivato dall’evitamento). Utilizzando un processo di consulenza basato sul problem-solving (Kratochwill & Bergan, 1990), si insegnano ai genitori le strategie per determinare la funzione dei comportamenti provocatori a casa e poi si spiegano loro le tecniche adatte alle funzioni del comportamento identificate. Si forniscono indicazioni per sviluppare azioni antecedenti (per es., introdurre cambiamenti nell’ambiente per ridurre la probabilità del verificarsi di un comportamento problematico), per costruire competenze (insegnare ai bambini mezzi alternativi per soddisfare i loro bisogni) e per rispondere in modi che hanno minori probabilità di rinforzare il comportamento. Dal momento che uno dei focus primari del Progetto ACHIEVE è promuovere lo sviluppo dei pre-requisiti dell’apprendimento scolastico, due sedute del parent training si focalizzano su quest’area di sviluppo. In queste sedute si affrontano quattro tematiche principali. La prima è lo sviluppo di competenze alfabetiche precoci attraverso l’utilizzo del programma Ladders to Literacy (Percorso graduale verso l’alfabetizzazione; Notari-Syverson, O’Connor & Vadasy, 1998). La seconda tematica è: “Comprendere il curricolo del vostro bambino”. Qui si aiutano ai genitori a comprendere il vocabolario che 171 DDAI a Scuola i loro bambini probabilmente incontreranno al loro ingresso nella scuola elementare (fonemica, prontezza). La terza tematica è: “Leggere qualcosa al vostro bambino”. Si utilizzano delle videoregistrazioni per mostrare le tipologie di letture adatte a vari momenti evolutivi e si illustrano ai genitori anche le domande appropriate da porre e le aspettative da avere. La quarta tematica è: “Comprendere gli interessi e lo span di attenzione del vostro bambino”. Questa tematica ha lo scopo di aiutare i genitori a selezionare i materiali e le opportunità di apprendimento che hanno maggiore probabilità di essere motivanti per i loro bambini. La promozione della sicurezza del bambino è invece oggetto specifico di una seduta soltanto ma viene affrontata anche nel corso di tutto il parent training. La tecnica principale fornita per raggiungere questo obiettivo è l’utilizzo del The Injury Prevention Program (Il Programma di Prevenzione degli Infortuni; TIPP; Accademia Americana di Pediatria, 1999). Nello specifico, i genitori ricevono tutti i materiali del TIPP; si conducono discussioni di gruppo sulla sicurezza e si deducono le strategie da utilizzare. Anche l’implementazione delle strategie di promozione della salute viene inserita negli interventi comportamentali progettati come parte del parent training. In particolare, i comportamenti associati alla sicurezza saranno i target dell’intervento. Intervento basato sugli esiti della valutazione: Casa La valutazione funzionale del comportamento e l’intervento vengono facilitati dall’uso di un modello di consulenza collaborativo (per es., Kratochwill & Bergan, 1990). I genitori partecipano a una procedura di consulenza comportamentale con uno psicologo scolastico o un educatore specializato una volta al mese, quando necessario, per facilitare lo sviluppo e l’implementazione di piani di intervento individualizzati per ogni bambino. Come parte di questo processo, la valutazione funzionale del comportamento si conduce in collaborazione: i genitori e lo psicologo insieme raccolgono dati descrittivi sui possibili antecedenti e conseguenti dei comportamenti provocatori. Si vagliano le ipotesi relative alle funzioni dei comportamenti messi in atto a casa utilizzando una breve procedura di analisi funzionale (Northup et al., 1991). Questa procedura di valutazione richiede circa 90 minuti. Una volta sviluppate le ipotesi sulle possibili funzioni del comportamento, si creano delle situazioni ad hoc per verificare le funzioni ipotizzate. Per esempio, se si ipotizza che la richiesta da parte del genitore di completare un compito sia associata a problemi comportamentali, si chiederà al genitore di presentare delle richieste 172 Screening, identificazione e intervento precoci multiple nel corso di un’osservazione di 5-10 minuti. Per stabilire un controllo sperimentale a questa seduta con le richieste si alterna una seduta osservativa senza richieste. Se si osservano percentuali elevate di comportamenti problematici nella seduta con le richieste e percentuali basse durante la seduta senza richieste, la funzione (per es., fuga) del comportamento problematico è confermata sperimentalmente. Se non si osservano differenze nella percentuale di comportamenti problematici, si sviluppano ipotesi alternative. Dopo la conclusione della fase di valutazione con l’identificazione della funzione del comportamento, si sviluppa un piano di intervento individualizzato per ciascun bambino/famiglia. I trattamenti di solito sono costituiti da tre componenti principali: strategie per intervenire sugli antecedenti, costruzione di competenze e metodologie di gestione delle conseguenze. I genitori vengono addestrati a mettere in atto interventi specifici attraverso istruzioni frontali, modeling, esercizi e feedback. Infine, si stabilisce un obiettivo per ogni comportamento target dell’intervento. Nei mesi seguenti, i genitori vengono periodicamente contattati per verificare il raggiungimento degli obiettivi dell’intervento. Si rivedono i trattamenti applicati, si valutano eventuali problemi a essi collegati e i rimedi. Le decisioni sugli interventi vengono prese in collaborazione con i genitori sulla base dei dati che essi raccolgono direttamente e del completamento di scale di valutazione. Una volta che l’obiettivo per un comportamento è stato raggiunto, si pianifica una strategia di mantenimento e, se necessario, si seleziona un nuovo comportamento, dando così nuovamente inizio al processo di consulenza. Intervento basato sugli esiti della valutazione: Scuola Come per l’intervento a casa, la valutazione funzionale del comportamento e l’intervento vengono facilitati dall’uso di un modello di consulenza collaborativa nei contesti di scuola materna (vedere Tabella 4.1). Gli insegnanti ricevono una consulenza comportamentale dallo stesso psicologo o educatore specializzato che lavora con i genitori del bambino. All’inizio, si conduce un’analisi funzionale del comportamento nelle classi di scuola materna di ogni bambino, coerentemente con le linee guida sviluppate dal Dipartimento per l’Educazione della Pennsylvania (Bambara & Knoster, 1995). Questo processo di valutazione funzionale del comportamento include i seguenti cinque passi: (1) condurre un’analisi funzionale, (2) sviluppare ipotesi, (3) progettare un piano di sostegno comportamentale efficace, (4) verificare l’efficacia e (5) modificare il piano di sostegno in funzione delle necessità. 173 DDAI a Scuola TABELLA 4.1. Punti dell’Analisi Funzionale e della Verifica dell’Intervento 1. Il consulente conduce con l’insegnante l’Intervista per l’Identificazione dei Problemi per determinare le difficoltà comportamentali e i possibili eventi ambientali (per es., ricevere attenzione da parte dell’insegnante) che fanno persistere il comportamento. 2. Il consulente conduce una Breve Analisi Funzionale con il bambino nella classe di scuola materna. Questa procedura implica i seguenti passi: a. Valutazione di situazioni analoghe per raccogliere dati iniziali su quali siano gli eventi ambientali che seguono il comportamento. b. Replicazione delle condizioni che hanno prodotto le percentuali più elevate e più basse di comportamenti problematici per verificare l’affidabilità della valutazione. c. Inversione di Tendenza: si fa seguire l’evento ambientale ricercato dal bambino (per es., l’attenzione dell’insegnante) alla manifestazione del comportamento appropriato (per es., una richiesta verbale) e si verifica se, in questa condizione, il comportamento problematico diminuisce mentre quello appropriato aumenta. 3. Il consulente mette in atto l’intervento sulla base dei risultati della fase di Inversione di Tendenza. L’insegnante di ogni singolo bambino mano a mano si sostituisce nell’applicazione dell’intervento dopo aver osservato il consulente. Gli effetti dell’intervento vengono valutati osservando i cambiamenti nei comportamenti problematici e la sostituzione del comportamento con uno appropriato rispetto alla baseline e alle condizioni di intervento. Nota: Tratto da Boyajian, DuPaul, Handler, Eckert e McGoey (2001). Copyright 2001 dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici. Ristampato su gentile concessione. Si chiede agli insegnanti di scuola materna di raccogliere dati per due settimane sugli eventi antecedenti e conseguenti di un singolo comportamento problematico e di compilare il Functional Analysis Screening Tool (FAST). Sulla base delle informazioni raccolte con queste due analisi, l’insegnante e lo psicologo formulano insieme delle ipotesi. Queste ipotesi vengono verificate dallo psicologo utilizzando brevi modifiche nella situazione (vedere Kern, Childs, Dunlap, Clarke & Falk, 1994). Per esempio, se la valutazione identifica come funzione del comportamento problematico la fuga da lavori impegnativi, la difficoltà del lavoro verrà manipolata sistematicamente per brevi lassi di tempo (5-15 minuti). Se il comportamento problematico varia sistematicamente al variare della difficoltà del lavoro, l’ipotesi sarà confermata. Di seguito, si progettano piani di intervento individualizzati sulla base dei risultati della valutazione. Questi interventi, di solito, consistono nella modifica degli antecedenti, nella costruzione di competenze e in strategie di gestione delle conse174 Screening, identificazione e intervento precoci guenze. Come nel caso dei genitori, si addestrano gli insegnanti a mettere in atto interventi specifici attraverso istruzioni dirette, modeling, esercizi e feedback. Gli insegnanti e lo psicologo selezionano insieme un obiettivo del trattamento e si chiede agli insegnanti di raccogliere dati relativi al comportamento target per monitorare il progresso verso il raggiungimento dell’obiettivo. Nei mesi seguenti, gli insegnanti vengono contattati per esaminare il progresso verso gli obiettivi dell’intervento. Gli interventi progettati vengono rivisti, si valutano gli eventuali problemi e si trovano soluzioni. Una volta che un obiettivo relativo a un determinato comportamento viene raggiunto, si programma il mantenimento e, se necessario, si seleziona un nuovo comportamento target. I bambini con DDAI, di solito, non traggono vantaggio dall’esperienza della scuola materna perché perdono tutte le informazioni trasmesse a causa della disattenzione e perché potrebbero essere esclusi dal gioco come punizione generata dai loro comportamenti disfunzionali. Inoltre, l’ecologia della classe viene modificata dalla presenza di un bambino con DDAI perché potrebbe aumentare il livello complessivo di comportamenti disfunzionali in classe. Pertanto, l’insegnante di scuola materna deve riconsiderare lo spazio fisico, la programmazione giornaliera delle attività e le sue tecniche di insegnamento per aiutare il bambino con DDAI a rendere come gli altri e per riuscire a gestire la classe nel complesso. Gli interventi in classi di scuola materna per il DDAI non sono ancora stati studiati nel dettaglio. Pertanto, come parte del processo di consulenza, si possono suggerire agli insegnanti di scuola materna alcuni possibili adattamenti quali: 1. Ridisegnare lo spazio fisico. I tavoli ai quali si svolgono le attività più formali, per esempio l’insegnamento delle prime abilità scolastiche, dovrebbero essere posizionati lontano da scalette e blocchi per arrampicarsi e da altre fonti di distrazione (per es., lavagne per gli avvisi tridimensionali e illuminate). Utilizzare scaffali o mobili come confine per le diverse aree gioco (per es., angolo dei libri, area del gioco simbolico) in modo che possano esserci in ogni area degli indizi visibili della tipologia di attività appropriata. Questi tipi di sistemazione ambientale possono aiutare il bambino a focalizzarsi su un’area di azione per volta minimizzando la probabilità di venire distratti da altri stimoli. 2. Adottare un approccio graduale nell’organizzazione delle attività. Per esempio, piuttosto che organizzare un’attività artistica posizionando sul banco la carta, i colori, le forbici e la colla contemporaneamente, l’insegnante 175 DDAI a Scuola dovrebbe fornire il materiale necessario solo per il primo stadio di lavoro (per es., la carta e i colori per disegnare). Mano a mano che i bambini terminano ogni stadio dell’attività, gli vengono forniti i materiali necessari per lo stadio successivo e si rimuovono dal banco i materiali non più necessari. Questo riduce le distrazioni e minimizza i potenziali comportamenti disfunzionali. Nella fornitura delle istruzioni per l’attività, il bambino con DDAI dovrebbe essere seduto il più vicino possibile all’insegnante e dovrebbe sempre riuscire a vedere la dimostrazione pratica che l’insegnante dà dell’attività. Infine, le sedie dovrebbero essere separate in maniera che i bambini non stiano seduti troppo vicini. 3.Considerare e modificare la programmazione giornaliera e i passaggi da un’attività all’altra. L’insegnante dovrebbe essere incoraggiato a valutare criticamente il contenuto e la durata delle attività programmate. Le modifiche specifiche da fare variano in funzione della singola classe. Bisognerebbe porsi diverse domande. È preferibile programmare due circle time brevi più che uno lungo? La prima soluzione potrebbe essere più adatta a bambini con uno span di attenzione limitato. In quale orario del giorno il bambino sta seduto più volentieri a svolgere attività al banco? Forse la programmazione dovrebbe essere rivista sulla base delle osservazioni del comportamento del bambino. Tutti i bambini devono proprio formare una fila dritta per uscire? I passaggi da un’attività all’altra possono essere abbreviati per ridurre l’attesa (per es., far vestire tutti per uscire, dare la merenda a tutti)? Infine, potrebbe essere utile “parlare ai bambini” durante i passaggi da un’attività all’altra. Per esempio, questi passaggi possono essere annunciati e si possono esplicitare ad alta voce i passi necessari per portare a termine l’attività attuale. 4. Modificare il programma scolastico. Per massimizzare il livello di interesse, l’insegnante dovrebbe essere incoraggiato a diventare creativo nel progettare per tutta la classe attività innovative e coinvolgenti (quali storielle su pannelli di flanella e teatrino dei burattini) e dovrebbe includere quelle attività che risultano particolarmente attraenti per il bambino con problemi di attenzione e comportamento. 5. Dare indicazioni individuali chiare. L’insegnante non dovrebbe presumere che il bambino seguirà con costanza le indicazioni date al gruppo. Mentre da le istruzioni, l’insegnante dovrebbe mantenere il contatto oculare con il bambino e toccarlo con gentilezza per incoraggiarlo a stare attento. I comandi dovrebbero essere espressi con chiarezza e in maniera diretta (per es., “Jhonny, per favore raccogli questi giocattoli”) e non sotto forma di 176 Screening, identificazione e intervento precoci domanda o di richiesta di favore (per es., “Jhonny, potresti farmi un favore e raccogliere questi giocattoli?”) Le istruzioni a compiti che implicano a loro volta una serie di passi successivi dovrebbero essere spezzettate. Infine, si dovrebbe chiedere al bambino di ripetere le indicazioni fornite per assicurarsi che abbia fatto attenzione e che abbia compreso tutto. 6. Aumentare il rapporto n° adulti/n° bambini. Cercare e utilizzare personale volontario (per es., nonni, studenti universitari) per fornire al bambino con DDAI un’attenzione individuale maggiore durante lo svolgimento di attività strutturate, i circle time e i passaggi fra un’attività e l’altra. Inoltre, avere un aiuto extra può assicurare una maggiore coerenza e aderenza agli interventi messi in atto. Verifica e Training dei pre-requisiti dell’apprendimento: A casa Ladders to Literacy: A Preschool Activity Book (Percorso graduale verso l’alfabetizzazione: un libro di esercizi per i bambini di scuola materna; NotariSyverson et al., 1998) si utilizza come guida per le prime esperienze di alfabetizzazione. Il programma permette una facile personalizzazione offrendo scelte, direzioni personali e opportunità multiple di esercizi, rendendo così il percorso appropriato a bambini di diversi livelli evolutivi. Le attività e le esperienze contenute in Ladders to Literacy rientrano in tre ampie categorie risultate importanti per influenzare lo sviluppo successivo dell’alfabetizzazione nei bambini. Queste categorie sono: la consapevolezza dei caratteri stampati, la consapevolezza metalinguistica e il linguaggio orale. Ladders to Literacy contiene semplici attività ideate per “genitori indaffarati” che possono essere completate anche mentre si stanno svolgendo altre attività (per es., mentre si lavano i piatti, mentre si guida la macchina). Un’attività può prevedere, per esempio, che mentre gli leggono una fiaba conosciuta, i genitori chiedano al bambino di prevedere cosa succederà in seguito. Le attività sono anche schematizzate in carte-indice per facilitarne l’utilizzo. Si consiglia di completare almeno un’attività al giorno per una durata di 15-20 minuti circa. Inoltre, si illustrano ai genitori anche numerose attività per aiutare il loro bambino con le prime competenze numeriche. Questi esercizi hanno lo scopo di rinforzare il riconoscimento dei numeri e dei rapporti lineari. Per esempio, si mostrano ai bambini numeri in successione lineare e termometri che forniscono una rappresentazione visiva dei primi concetti numerici di più piccolo/ più grande e di muoversi in su/in giù. 177 DDAI a Scuola Verifica e training dei pre-requisiti dell’apprendimento: a scuola La valutazione che si basa sul curricolo dei bambini di scuola materna si tiene una volta al mese. In aggiunta, vanno valutate la fluenza di segmentazione fonemica, la fluenza nell’indicare il nome di ogni lettera e la fluenza nell’indicare il nome di immagini attraverso il Dynamic Indicators of Basic Early Literacy Skills (DIBELS; Kaminski & Good, 1996). Per una verifica dinamica dei pre-requisiti dell’apprendimento di concetti aritmetici e matematici, si utilizza una versione modificata del DIBELS che si focalizza sulle competenze numeriche. Le competenze specifiche valutate includono: indicare il nome di caratteri numerici, contare, associare caratteri numerici a un insieme, associare insiemi fra loro e associare forme. Questi dati aiuteranno gli insegnanti a personalizzare costantemente le lezioni. Il programma Ladders to Literacy si utilizza come intervento didattico perché contiene un programma molto ampio che gli insegnanti di scuola materna possono seguire. Ogni attività viene utilizzata per insegnare o rinforzare una specifica competenza (per es., la consapevolezza dei suoni). Le attività sono categorizzate in tre livelli di complessità del compito che includono “complessità elevata/scarso supporto”, “complessità media/supporto medio” e “richiesta non complessa/elevato supporto”. Questi livelli corrispondono alla complessità del compito richiesto al bambino e alla quantità di supporto dell’adulto necessaria per il completamento dell’attività stessa. Questo sistema di categorizzazione facilita la selezione e la programmazione dei compiti sulla base delle caratteristiche del bambino e delle richieste che l’insegnante deve fare. In aggiunta, i compiti includono l’utilizzo di competenze multiple e il raggiungimento di obiettivi possibili anche per bambini con disabilità (per es., problemi di udito, motori o visivi). Pertanto sono adatti a bambini con bisogni differenti. Comunicazione casa-scuola Gli insegnanti di scuola materna mandano delle brevi note a casa ai genitori affinché possano rivedere tutte le questioni affrontate a livello scolastico e di comportamento. In queste notazioni, gli insegnanti forniscono ai genitori una breve descrizione della lezione del giorno (per es., “Oggi abbiamo imparato le lettere che iniziano con la C”). Se un bambino ha avuto difficoltà, si chiede agli insegnanti di mandare ai genitori un esercizio semplice per migliorare la competenza in oggetto. Agli insegnanti viene anche chiesto di riferire qualunque problema comportamentale mostrato dal bambino durante il gior178 Screening, identificazione e intervento precoci no, come anche esempi di comportamenti positivi avuti e di miglioramenti nelle competenze scolastiche. I genitori sono guidati dallo psicologo o da un educatore specializzato nel fornire al bambino le ricompense positive (per es., elogi e premi) per aver avuto a scuola comportamenti appropriati e un buon rendimento. In sintesi, lo scopo del progetto ACHIEVE è affrontare le aree di maggiore rischio per i bambini piccoli che mostrano sintomi del DDAI. Nello specifico, l’obiettivo è prevenire lo sviluppo di comportamenti sempre più antisociali e di promuovere allo stesso tempo lo sviluppo delle competenze alfabetiche e numeriche precoci. Nonostante la valutazione dei risultati associati a questo programma di prevenzione sia solamente all’inizio, presentiamo questo protocollo come un modello attuale di intervento precoce su questa popolazione nella speranza che ciò stimoli ulteriori ricerche e applicazioni in un’area così importante. CONCLUSIONI Il DDAI è un disturbo che, di solito, esordisce in un’età molto precoce con i principali sintomi che diventano sempre più evidenti prima della scuola elementare. Tuttavia, fino a poco fa, sono state condotte pochissime ricerche per aiutare i professionisti nell’identificazione e nel sostegno dei bambini piccoli a rischio di sviluppare questo disturbo. In questo capitolo, abbiamo descritto le metodologie per (1) effettuare uno screening dei bambini in età pre-scolare per individuare coloro che richiedono una valutazione più approfondita e un intervento precoce, (2) adattare ai bambini piccoli il nostro modello multimodale di valutazione del DDAI e (3) intervenire tempestivamente al fine di ridurre la frequenza e l’intensità dei comportamenti associati al DDAI come anche al fine di prevenire esiti piuttosto comuni per questo disturbo (per es., deficit scolastici e problemi di condotta). Data la cronicità del DDAI in molti bambini, è auspicabile che l’identificazione e l’intervento precoci migliorino il funzionamento scolastico, sociale e familiare di questi bambini in modo che nelle età successive non si renda necessario il ricorso a cure più intensive e costose. Nonostante questa ipotesi richieda una verifica empirica, attenendoci alle recenti richieste di maggiore prevenzione fatte agli psicologi scolastici (Power, 2002), crediamo fortemente che i professionisti che lavorano a scuola debbano essere coinvolti nel lavoro con questi bambini, con le loro famiglie e con i loro insegnanti, il prima possibile. 179 CAPITOLO 5 Strategie di intervento per contesti scolastici I bambini trascorrono in classe e in altri contesti scolastici, nel corso di ogni anno scolastico, dalle 6 alle 8 ore al giorno per 5 giorni la settimana. Questo implica l’essere in grado di seguire delle regole, di interagire in maniera appropriata con altri bambini e con gli adulti, di partecipare ad attività didattiche sotto la direzione degli adulti, di apprendere ciò che viene insegnato e di trattenersi dal disturbare o intralciare l’apprendimento o le attività altrui. Per gli insegnanti la trasmissione di conoscenze e competenze inserite nel programma e l’insegnamento di modalità comportamentali idonee alle aspettative organizzative, sociali e culturali, sono compiti molto impegnativi e lo diventano ancora di più nel caso di bambini con DDAI, dal momento che i loro comportamenti caratteristici interferiscono con l’apprendimento in classe e impediscono interazioni sociali positive. Lo scopo di questo capitolo è quello di presentare e discutere gli interventi e le strategie di supporto, in contesti prettamente scolastici, che promuovono l’apprendimento e lo sviluppo di competenze prosociali in bambini con DDAI e che facilitano la conduzione regolare dell’insegnamento nelle classi in cui questi bambini sono inseriti. Iniziamo da una discussione sui fondamenti concettuali di questi interventi e successivamente illustreremo strategie basate sul contingency management e su metodologie didattiche particolari1. Passeremo poi alla presentazione degli interventi che possono essere applicati da una vasta gamma di personale scolastico e faremo delle considerazioni specifiche per gli studenti con DDAI 1 È possibile vedere una dimostrazione pratica di molte delle strategie di intervento descritte in questo capitolo all’interno della videocassetta Interventi in classe per il DDAI (DuPaul & Stoner, 1999), disponibile nelle pubblicazioni della Guilford Press. 181 DDAI a Scuola che frequentano le scuole superiori. Concluderemo il capitolo valutando la possibilità di fornire un supporto agli insegnanti responsabili di studenti con DDAI. FONDAMENTI CONCETTUALI DEGLI INTERVENTI PER PROBLEMI DI ATTENZIONE Data la natura complessa e persistente del DDAI, suggeriamo ai professionisti coinvolti di utilizzare un approccio sistematico e sempre in evoluzione, per la progettazione, l’implementazione e la verifica degli interventi applicati in classe, che associ la prevenzione e il trattamento nella gestione dei problemi attuali e che implichi tecniche di intervento multiple. Per facilitare un approccio di questo tipo, le strategie presentate vengono riesaminate sulla base del supporto empirico di cui godono nella letteratura di ricerca educativa e psicologica, come anche nella Dichiarazione sull’orientamento da tenere in caso di studenti con Problemi di Attenzione dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici (NASP; 1998). Inoltre, esamineremo gli approcci più promettenti e di recente indagine per la gestione didattica e comportamentale dei bambini con DDAI. Per iniziare, consideriamo i nostri presupposti teorici. Il primo è che il DDAI dovrebbe essere considerato un disturbo grave che dura nel tempo e che nel tempo si accompagnerà a difficoltà nel gestire il comportamento in classe (Barkley, 2002). I bambini con una diagnosi di DDAI probabilmente andranno incontro a difficoltà di apprendimento scolastico e sociale in molte, ma non tutte, le situazioni che si verificano a scuola e nel corso di tutti gli anni di istruzione (Teeter, 1998). A oggi, il numero maggiore di ricerche relative agli interventi per i bambini con DDAI si è focalizzato sulle problematiche e sulle strategie di gestione del comportamento e della condotta in classe, soprattutto tramite il trattamento farmacologico e le strategie di contingency management. Tuttavia, questa focalizzazione sul miglioramento degli atteggiamenti sociali del bambino, sul disadattamento comportamentale e sulla prevenzione di comportamenti antisociali rappresenta solo “una faccia della medaglia” del DDAI. L’altra faccia si focalizza sull’ottimizzazione del rendimento e della performance scolastica. I problemi sociali e scolastici possono essere visti come due aspetti fra loro collegati. Un simile punto di vista conduce al secondo presupposto teorico: nello specifico, crediamo che i problemi di rendimento scolastico e le difficol182 Strategie di intervento per contesti scolastici tà sociali dell’infanzia possano entrambi essere visti come problemi educativi (Colvin & Sugai, 1988). Questo implica che gli educatori e gli psicologi hanno un ruolo fondamentale nel programmare e nell’applicare strategie didattiche che promuovano lo sviluppo scolastico e sociale al fine di prevenire e risolvere i problemi in questi ambiti. Ne consegue, quindi, il terzo presupposto: i professionisti coinvolti nel lavoro con bambini con DDAI dovrebbero adottare un approccio educativo ai problemi comportamentali (Evans & Meyer, 1985; Meyer & Evans, 1989). In questa prospettiva, gli interventi per problemi comportamentali hanno come obiettivi specifici la trasmissione, ai bambini coinvolti, di competenze e conoscenze necessarie per sostituire i comportamenti problematici con altri maggiormente appropriati. Un approccio educativo rappresenta un’alternativa agli interventi unicamente focalizzati sul bambino che si occupano soprattutto di eliminare o ridurre i comportamenti problematici. L’adozione di un approccio educativo alle difficoltà del comportamento porta al quarto presupposto: gestire efficacemente e in un’ottica educativa i problemi comportamentali richiede lo sviluppo e l’applicazione di strategie di intervento che prevedono la pianificazione dei comportamenti e la fornitura di supporto agli insegnanti (Horner, Albin & O’Neill, 1991). Gli approcci contemporanei alla prevenzione dei problemi in classe, spesso indicati come programmi di “sostegno del comportamento appropriato”, utilizzano interventi in classe e nel contesto globale della scuola che facilitano l’apprendimento e la condotta di tutti gli studenti (per una trattazione onnicomprensiva dell’argomento vedere Sugai, Horner & Gresham, 2002). Facendo ciò, questi programmi “danno il via” a strategie di intervento/supporto personalizzate. Infine, siamo convinti che le persone responsabili del sostegno comportamentale di bambini con DDAI debbano aver concluso un training professionale adeguato (vedere Barner et al., 2002; Jenson, Clark, Walker & Kehle, 1991; McConnell & Hecht, 1991; e vedere Power, 2002 per una discussione del training professionale necessario per quest’area di intervento). Un simile training dovrebbe includere una preparazione teorica e pratica con specifico riferimento alla progettazione del trattamento da applicare e alla verifica risultati. Dati questi presupposti, le metodologie di intervento in classe per il DDAI dovrebbero derivare dalle linee guida per la terapia presentate nella Tabella 5.1. 183 DDAI a Scuola TABELLA 5.1. Linee Guida per la progettazione, l’applicazione e la verifica di interventi per problemi comportamentali e di apprendimento. 1. Le attività di progettazione, verifica e revisione dell’intervento si fanno sulla base dei dati empirici raccolti. 2. La progettazione, la verifica e la revisione dell’intervento si sviluppano dal punto di vista del bambino e si focalizzano sul raggiungimento di risultati chiari e socialmente significativi. 3. Le procedure di intervento devono essere identificate e definite in ogni loro aspetto e devono anche essere applicate integralmente da individui con responsabilità ben definite. 4. Gli interventi efficaci producono o comportano percentuali maggiori di comportamenti appropriati e/o migliori tassi di apprendimento e non riducono semplicemente i comportamenti non desiderabili e disfunzionali. 5. Prima dell’applicazione di un intervento non è possibile stabilirne gli effetti sul comportamento del bambino specifico, sull’insegnante e sulla classe. Prima e più importante indicazione: la progettazione e la valutazione degli interventi per il DDAI si basano sulla raccolta di dati empirici. Le strategie di trattamento si scelgono in parte sulla base della loro dimostrata efficacia nella letteratura di ricerca. Inoltre, si valuta il successo relativo di un programma di intervento utilizzando strumenti di misura adeguati (vedere il Capitolo 2). Per esempio, i dati sul possibile valore del rinforzo, o sulle funzioni del comportamento problematico, possono essere utilizzati per sviluppare procedure che affrontino direttamente la funzione presunta del comportamento problematico (per una rassegna vedere DuPaul & Ervin, 1996). In maniera simile, i dati derivanti dalle misure basate sul curricolo, relativi allo sviluppo delle competenze scolastiche del bambino, possono essere utilizzati per fissare obiettivi specifici e valutare i benefici di un intervento a scuola (Shinn, 1998). I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero anche consultare la letteratura di ricerca relativa alle terapie più efficaci per studenti con DDAI. Esistono prove chiare, per esempio, che la manipolazione degli eventi ambientali all’interno della classe comporta cambiamenti considerevoli nel comportamento degli studenti, anche in quelli la cui gravità della sintomatologia è piuttosto elevata (vedere la meta-analisi di DuPaul & Eckert, 1997). Seconda linea guida: nella selezione delle strategie di trattamento, l’aspetto più importante da tenere in considerazione sono i bisogni del bambino. Gli obiettivi dell’intervento si fissano in relazione al conseguimento di esiti 184 Strategie di intervento per contesti scolastici socialmente validi per i bambini con DDAI. Terza linea guida: dal momento che di solito il trattamento di bambini con DDAI coinvolge numerosi professionisti, è necessario definire con chiarezza le responsabilità di ogni membro dell’équipe, per assicurarsi che l’intervento venga riproposto integralmente. Quarta indicazione: il focus primario della terapia è l’aumento della frequenza e/o della durata dei comportamenti appropriati (per es., la produttività e l’accuratezza) piuttosto che la sola diminuzione dei comportamenti disfunzionali in classe. Infine, si suppone che le risposte all’intervento di ogni singolo bambino siano uniche e che, pertanto, gli effetti diretti e quelli collaterali di un particolare trattamento sono sconosciuti prima che esso venga messo in atto. Questa prospettiva implica la necessità di effettuare una verifica completa di tutte le strategie in itinere. Oltre a fare riferimento ai nostri presupposti sugli studenti con DDAI e alle linee guida appena descritte, ci basiamo su molti altri fondamenti pratici e teorici per progettare interventi per studenti con problemi di attenzione e difficoltà associate al DDAI. Il personale scolastico utilizza spesso procedure reattive e punitive per cercare di cambiare i comportamenti degli studenti distratti. Infatti, l’intervento in classe più comune nei confronti di un comportamento disfunzionale è il rimprovero verbale dell’insegnante e/o l’allontanamento dalla classe (White, 1975). Simili procedure hanno buone probabilità di dare esiti positivi solo se utilizzate con parsimonia, senza coinvolgimento emotivo e in un ambiente che da anche rinforzi positivi. L’approccio che invece da risultati migliori è quello bilanciato, in cui vengono utilizzate strategie proattive e reattive. Nello specifico, dovrebbero essere manipolati gli eventi antecedenti, che di solito precedono i comportamenti disfunzionali e di disattenzione, per prevenire il verificarsi di interazioni problematiche. Inoltre, le strategie reattive non dovrebbero essere confinate agli approcci puntivi, ma dovrebbero dare un peso rilevante all’utilizzo del rinforzo positivo nel caso di comportamenti appropriati e di attenzione al compito. Un altro fondamento concettuale utile nella progettazione di interventi efficaci per studenti con problemi di attenzione è quello di intervenire al momento esatto della performance (Goldstein & Goldstein, 1998). Per dirla diversamente, per essere il più efficace possibile, una strategia dovrebbe essere applicata con una prossimità massima (di tempo e luogo) al comportamento target. Per esempio, se il comportamento in oggetto è restare attenti e completare gli esercizi di matematica, allora le strategie di intervento più efficaci saranno quelle utilizzate durante le ore di matematica al momento in cui gli 185 DDAI a Scuola studenti devono eseguire gli esercizi. Gli interventi rimandati nel tempo e in luoghi lontani dal comportamento in oggetto hanno minore probabilità di risultare efficaci. Questo principio guida è basato sulle prove sempre più evidenti che sia proprio l’impulsività il deficit primario soggiacente alle difficoltà di attenzione e agli altri sintomi del DDAI (Barkley, 1997). Modificare o prevenire il comportamento impulsivo richiede di solito che l’intervento venga messo in atto nel luogo e nel momento in cui si verifica il comportamento problematico. Oltre a seguire immediatamente la manifestazione di un determinato comportamento, l’intervento per studenti con problemi di attenzione deve essere personalizzato. Ossia, deve essere assolutamente evitato l’approccio “uno per tutti” basato sulla convinzione che tutti i bambini che condividono una diagnosi di DDAI o un profilo comportamentale abbiano le stesse esigenze di supporto (DuPaul, Eckert & McGoey, 1997). Questo processo di personalizzazione del piano di intervento dovrebbe tenere in considerazione (1) il livello attuale delle competenze scolastiche del bambino; (2) la “topografia” e la possibile funzione ambientale del comportamento di disattenzione; (3) i comportamenti target e/o i risultati che possono essere più significativi per l’insegnante, i genitori e/o lo studente e (4) nell’ottica dell’insegnante, elementi di gestione della classe e indicazioni sugli elementi che potrebbero ridurre l’efficacia di alcune procedure. I trattamenti individualizzati dovrebbero essere sviluppati adottando un modello di consulenza, che utilizzi il problemsolving, partendo dai dati delle valutazioni e di collaborazione fra insegnanti, genitori e altri professionisti che lavorano a scuola (Bergan & Kratochwill, 1990; Sheridan, Kratochwill & Bergan, 1996). Infine, un altro aspetto importante dei trattamenti attualmente noti è rappresentato dal riconoscere che simili interventi, per studenti con DDAI, devono essere applicati da una vasta gamma di individui. Nello specifico, gli insegnanti, i genitori, i coetanei e gli studenti stessi possono tutti mettere in atto delle procedure efficaci (Teeter, 1998). Quando sono disponibili, si possono utilizzare anche i computer, per accrescere il livello di coinvolgimento nel compito e/o del completamento del lavoro, soprattutto nel caso di attività “apprendi ed esercitati”. L’idea di fondo è quella che l’insegnante di classe non dovrebbe essere considerato l’unico responsabile della gestione di tutte le difficoltà presentate da uno studente con DDAI. Esistono altre risorse importanti all’interno della classe stessa (per es., i compagni) e a casa (per es., i genitori) che possono essere utilizzate come supporto e come agenti terapeutici gene186 Strategie di intervento per contesti scolastici rando così trattamenti più completi e, forse, più efficaci in relazione ai costi. La Tabella 5.2 contiene una matrice delle strategie di intervento più efficaci in contesti scolastici (scuole elementari vs. scuole secondarie) e degli agenti che possono applicare il trattamento. Queste metodologie specifiche vengono descritte più avanti nel corso del capitolo, dopo le sezioni seguenti che trattano considerazioni più generali nella progettazione di un piano di intervento per studenti con DDAI. TABELLA 5.2. Possibili agenti in trattamenti per contesti scolastici Tipo di intervento Scuola Elementare Scuola Secondaria Agente: insegnante Strategie didattiche Token Reinforcement Insegnamento di abilità di studio Contingency contracting Agente: genitore Definizione degli obiettivi Contingency contracting Sistemi di rinforzo da applicare a casa Parent tutoring Negoziazione Contingency contracting Sistemi di rinforzo da applicare a casa Agente: compagni Peer tutoring Peer coaching Peer mediation Computer Didattica con PC “Apprendi ed esercitati” Didattica con PC Elaborazione di testi Auto applicazione Self-monitoring Self-monitoring Self-evaluation Nota. Tratta da DuPaul e Power (2000). Copyright 2000 dell’Associazione Americana di Psichiatria. Ristampata su gentile concessione. COMPONENTI BASE DEI TRATTAMENTI IN CONTESTI SCOLASTICI Come già evidenziato, nella progettazione di interventi in classe per bambini con una diagnosi di DDAI, esiste una tendenza a porre maggiore enfasi sulla manipolazione delle conseguenze (per una rassegna, vedere DuPaul, & Eckert, 1997; Pfiffner & O’Leary, 1993; Rapport, 1987a). Le ricerche-intervento qui presentate hanno evidenziato l’importanza dell’utilizzo di strategie di rinforzo positivo e di rinforzo negativo associato a forme di punizione lievi 187 DDAI a Scuola (response cost e interruzione del rinforzo positivo). In generale, nell’ambito dell’analisi comportamentale applicata, la ricerca degli ultimi decenni ha posto l’accento sulla prevenzione e sulla possibilità di gestire il comportamento e i problemi di rendimento scolastico attraverso la manipolazione degli antecedenti e la modifica dell’ambiente (Sugai, Horner & Gresham, 2002; SulzerAzaroff & Mayer, 1991). L’attenzione a questi aspetti è necessaria anche in caso di bambini con DDAI. Le procedure di intervento che si basano su principi comportamentali hanno una lunga e ben documentata storia di efficacia nel migliorare l’apprendimento e i problemi comportamentali in contesti scolastici, anche di bambini con DDAI (Sulzer-Azaroff & Mayer, 1991). Per esempio, queste strategie di modificazione hanno successo nel ridurre i comportamenti disfunzionali e non attinenti al compito dei bambini con diagnosi di DDAI e accrescono la loro produttività scolastica (vedere Rapport, Murphy & Bailey, 1980; 1982). Date le difficoltà che si suppone siano all’origine dei problemi mostrati dai bambini con DDAI (ossia l’impulsività, lo scarso autocontrollo e il mancato differimento della risposta), questi risultati non sorprendono. Gli interventi comportamentali potrebbero accrescere la quantità complessiva dei comportamenti appropriati in classe fornendo input e indicazioni esterne (per es., regole, direttive, situazioni) che sostituiscono quelle “proprie” dello studente. Nel progettare trattamenti comportamentali per problemi in classe associati al DDAI, bisogna tenere in considerazione i seguenti aspetti: 1.Effettuare una valutazione completa dei problemi presenti, includendo anche una valutazione funzionale che guidi la progettazione e la selezione delle componenti dell’intervento (per es., i comportamenti target e le relative funzioni, le strategie didattiche, i programmi motivazionali). 2. I bambini con DDAI, di solito, hanno bisogno di un feedback molto più frequente e specifico rispetto ai loro compagni di classe per ottimizzare la performance. Pertanto, le fasi iniziali di trattamento, che hanno come oggetto i problemi associati al DDAI, dovrebbero includere situazioni in cui questo feedback viene fornito con una certa costanza. Si possono introdurre gradualmente programmi con livelli progressivi di rinforzo dal momento che, come evidenziato da alcune ricerche di laboratorio, i bambini con DDAI hanno, rispetto ai loro coetanei, maggiori difficoltà a mantenere costante il loro comportamento in presenza di rinforzi intermittenti (Douglas, 1984). In uno studio sempre relativo all’aspetto temporale del rinforzo, i bambini con DDAI tendevano a scegliere ricompense più piccole 188 Strategie di intervento per contesti scolastici ma immediate, rispetto a ricompense più ampie ma differite in seguito al completamento di un esercizio scolastico (Rapport, Stoner, DuPaul, Birmingham & Tucker, 1985). Questi risultati hanno lo scopo di sottolineare ancora di più la necessità di attenersi alla regola generale secondo cui determinate azioni, per essere efficaci, devono essere collocate “al momento della performance”. 3. Le procedure di rinforzo positivo dovrebbero essere la componente principale di un piano di intervento comportamentale per problemi associati al DDAI. Esistono tuttavia alcune ricerche che provano come l’affidamento esclusivo a tecniche di rinforzo positivo possa distrarre il bambino dal compito che deve svolgere in quel determinato momento. Il problema potrebbe essere invece superato utilizzando il rinforzo positivo associato a lievi conseguenze negative in caso di esibizione di comportamenti non appropriati (per es., rimproveri leggeri; Abramowitz, O’Leary & Rosen, 1987; Rosen, O’Leary, Joyce, Conway & Pfiffner, 1984) e al ridirezionamento del comportamento verso atteggiamenti attinenti al compito. I rimproveri verbali e il ridirezionamento sono maggiormente efficaci quanto più specifici sono i problemi evidenziati dall’insegnante e quanto più è vicina la conseguenza negativa all’esibizione del comportamento problematico (Pfiffner & O’Leary, 1993). Inoltre, trattare i bambini con dignità e rispetto, implica che i rimproveri e i ridirezionamenti siano brevi e che vengano effettuati con calma e tranquillità. I rimproveri dovrebbero avvenire, per quanto possibile, in privato e mantenendo il contatto visivo con il bambino. 4. Quando il comportamento del bambino nel corso di momenti di lavoro autonomo è il target dell’intervento, le indicazioni iniziali per lo svolgimento del compito non dovrebbero contenere più di qualche passaggio. Il bambino dovrebbe poi ripetere all’insegnante le istruzioni per dimostrare di averle comprese. In maniera simile, i compiti a casa e i progetti assegnati non dovrebbero essere più di uno alla volta e i compiti più complessi dovrebbero essere suddivisi in compiti più brevi e più piccoli. In alcuni casi, la quantità complessiva di lavoro per i bambini con DDAI dovrebbe essere ridotta. La lunghezza e la complessità del carico di lavoro possono essere aumentate progressivamente mano a mano che il bambino dimostra di riuscire a portare a termine accuratamente unità di lavoro sempre più ampie. Bisognerebbe evitare l’utilizzo di materiale ripetitivo (per es., riassegnare per errore esercizi già fatti). Un esercizio focalizzato sulla stessa competen189 DDAI a Scuola za o area concettuale dovrebbe piuttosto essere sostituito per evitare la noia e il possibile peggioramento dei problemi di attenzione. 5. Per diverse ragioni, bisogna privilegiare, come target dell’intervento, il rendimento e la performance scolastica (percentuale di completamento del lavoro e di accuratezza) rispetto a comportamenti più strettamente relativi al compito (per es., fare attenzione al compito o rimanere seduti). Questa attenzione facilita prima di tutto il monitoraggio da parte dell’insegnante della presenza di risultati significativi per lo studente. In secondo luogo, così si promuove un focus su competenze organizzative e scolastiche (per es., utilizzare il materiale appropriato per completare un compito, sollecitare un feedback formativo sulla performance iniziale a un compito) necessarie per l’apprendimento autonomo e per il completamento degli esercizi scolastici. Terzo, l’enfasi sulla risposta scolastica attiva non viola la regola di Lindsley (1991) del “test dell’uomo morto per il comportamento” (per es., l’esibizione di un comportamento desiderato). Questa “regola” afferma che “se un bambino morto può farlo, non si tratta di comportamento” (Lindsley, 1991, p. 457). L’utilizzo di comportamenti quali “stare fermi” e “non gridare” come target viola la regola dell’uomo morto. Infine, la concentrazione sulla risposta scolastica promuove un focus di comportamenti che non sono compatibili con quelli disfunzionali e di disattenzione e potrebbe, pertanto, portare a molteplici esiti desiderabili, compresa una riduzione del comportamento disfunzionale (Pfiffner & O’Leary, 1993). 6. Ogni qual volta è possibile, si dovrebbero utilizzare come rinforzo attività particolarmente gradite al bambino (per es., tempo per attività a scelta, accesso al computer) piuttosto che ricompense concrete (per es., adesivi o altri oggetti di consumo). Un rinforzo potrebbe, per esempio, essere l’accesso a un’attività preferita da svolgere in classe dopo aver portato a termine un’incombenza in un’attività meno gradita (il completamento di esercizi di matematica porta a poter accedere a un’attività di lettura). Allo stesso modo, le ricompense o i rinforzi specifici dovrebbero essere variati o essere sottoposti a rotazione per evitare che il bambino si disinteressi a essi e, di conseguenza, al programma (saturazione del rinforzo). Infine, piuttosto che presumere la natura motivante di alcune attività, bisognerebbe stilare un “menu” delle ricompense chiedendo direttamente al bambino cosa gli piacerebbe ottenere o osservando quali sono le attività da lui preferite. 7.Per accrescere il valore di incentivo positivo di alcuni privilegi, bisognerebbe utilizzare con il bambino, prima dell’assegnazione del compito, una 190 Strategie di intervento per contesti scolastici procedura di priming. Il priming prevede che il bambino e l’insegnante passino in rassegna una serie di privilegi godibili in classe e che lo studente scelga a quale attività gli piacerebbe partecipare successivamente, prima di iniziare una fase di lavoro scolastico. 8. Bisogna sempre valutare l’integrità e la fedeltà con cui viene messo in pratica un intervento (Gresham, 1991). Un simile monitoraggio può fungere da base per introdurre cambiamenti nelle componenti del trattamento, per giustificare l’eventuale necessità di risorse aggiuntive e/o per sviluppare e fornire ulteriori materiali di addestramento e di esercizio per coloro che mettono effettivamente in atto le procedure. Nella Figura 5.1 forniamo, come esempio di monitoraggio, una checklist per la valutazione dell’integrità dell’intervento (Gresham, 1989). Gresham (1989) ha utilizzato questa checklist per verificare l’accuratezza nell’applicazione in classe di un sistema di lotteria con response cost. Un osservatore esterno valutava se l’insegnante di classe metteva in atto gli 11 passaggi dell’intervento ogni giorno. Pertanto, l’integrità dell’intervento poteva essere valutata componente per componente nel corso della giornata o viceversa. Una simile informazione ha un valore inestimabile per stabilire la necessità di un eventuale training aggiuntivo per l’insegnante o di un sostegno nell’applicazione delle strategie in classe. Questo tipo di checklist, ovviamente, dovrà essere modificata in funzione delle componenti specifiche di una particolare procedura di intervento. TECNICHE DI CONTINGENCY MANAGEMENT Il rinforzo positivo di comportamenti sociali e scolastici appropriati dovrebbe essere considerato la pietra angolare delle strategie di gestione in classe. Per definizione, un rinforzo positivo è un evento, una condizione o uno stimolo che accresce la probabilità futura del verificarsi dell’azione o del comportamento che immediatamente lo precede (Sulzer-Azaroff & Mayer, 1991). Per i bambini con DDAI, la letteratura di ricerca indica che numerose strategie di gestione del comportamento basate sul rinforzo positivo possono migliorare il comportamento in classe. Infatti, la meta-analisi condotta da DuPaul e Eckert (1997) ha indicato che la manipolazione degli eventi antecedenti e conseguenti nella classe si accompagnava, in media, a un cambiamento comportamentale da medio a considerevole. Le tecniche di contingency management in questa popolazione hanno invece avuto effetti meno rilevanti sul rendimento scolastico. 191 DDAI a Scuola FIGURA 5.1. Modulo di osservazione diretta per la registrazione dell’integrità del trattamento di una lotteria con response-cost. Tratto da Gresham (1989). Copyright 1989 dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici. Ristampata per gentile concessione. Componenti Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì % di integrità Venerdì della singola componente 1. Descrive il sistema XI XI XI XI XI 100% 2. Descrive/Mostra i rinforzi XI IO IO XI XI 60% 3. Posiziona le carte 3x5 sulla cattedra XI XI XI XI XI 100% 4. Le carte vengono segnate su 3 lati XI XI XI XI XI 100% 5. Vengono posizionati 4 bordi di carta colorata sulle carte XI XI XI XI XI 100% 6. Lotteria di 1/2 ora XI IO IO IO XI 40% 7. I bordi colorati vengono tolti in funzione della violazione di alcune regole XI IO XI IO IO 40% 8. L’insegnante riafferma immediatamente la regola IO IO IO XI XI 20% 9. Si mettono i biglietti nella scatola XI XI XI XI XI 100% 10. Si estrae di venerdì NA I NA I NA I NA I XI 100% 11. Il vincitore seleziona il rinforzo NA I NA I NA I NA I XI 100% Integrità giornaliera= 91% 64% 73% 82% 82% X= Occorrenza O= Non occorrenza Integrità media = 78% Un insieme rappresentativo di queste tecniche include: il contingency contracting, il rinforzo positivo associato a lievi punizioni o al ridirezionamento in seguito a comportamenti problematici e l’inserimento di situazioni nel 192 Strategie di intervento per contesti scolastici contesto “casa” per influenzare il comportamento a scuola. Anche se la maggioranza di queste procedure implica che l’insegnate elogi pubblicamente il bambino in seguito a determinate situazioni (vedere O’Leary, Pelham, Rosenbaum & Price, 1976), la ricerca indica che i bambini con DDAI potrebbero non mostrare cambiamenti comportamentali durevoli in assenza di situazioni rinforzanti più potenti (Barkley, 1998). È pertanto possibile che interventi formali di modificazione del comportamento in classe richiedano l’introduzione di una o più fra le seguenti componenti: token reinforcement, contingency contracting, response cost e interruzione del rinforzo positivo. Ciascuna di queste tecniche è descritta di seguito nel dettaglio, insieme ai fattori da tenere in considerazione quando se ne pianifica l’utilizzo all’interno della classe. Token reinforcement L’elogio e l’attenzione positiva in pubblico possono essere efficaci nell’indurre cambiamenti comportamentali positivi in molti bambini. Tuttavia, di solito, non sono sufficienti per apportare miglioramenti durevoli nel comportamento in classe e nella performance scolastica di bambini con DDAI (Pfiffner & Barkley, 1990). Le strategie comportamentali che utilizzano rinforzi secondari generalizzati (per es., i gettoni[token]) possono fornire una ricompensa immediata, specifica e sono spesso efficaci con bambini con una diagnosi di DDAI. Le metodologie di gestione comportamentale che utilizzano questo sistema si sono rivelate molto efficaci nell’accrescere la produttività a scuola e il comportamento non appropriato di bambini disattenti (vedere, per es., Ayllon, Layman & Kandel, 1975; Robinson, Newby & Ganzell, 1981). La progettazione di un sistema di token reinforcement a scuola prevede i seguenti passaggi: 1. Si identificano una o più situazioni problematiche in classe. Queste situazioni possono essere individuate attraverso un’intervista con l’insegnante e/o la somministrazione di scale di valutazione oggettive quali il School Situation Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley, 1992). Si può utilizzare anche l’osservazione diretta in classe per validare la selezione di queste situazioni e dei comportamenti problematici (vedere il Capitolo 2). Di solito, sono i momenti in cui lo studente affetto da DDAI deve completare i compiti in autonomia a presentare le difficoltà maggiori a livello di controllo del comportamento. 193 DDAI a Scuola 2. Si selezionano i comportamenti target. Di solito, questi includono output scolastici (per es., numero di esercizi di matematica completati in un certo lasso di tempo) o azioni specifiche (per es., interazioni appropriate con i coetanei nei momenti di ricreazione). In generale, si preferiscono gli output scolastici perché è più semplice raccogliere dati oggettivi su di essi e monitorarli. Inoltre, la produttività scolastica di solito implica l’assunzione di atteggiamenti incompatibili con quelli disfunzionali e di disattenzione (vedere Robinson et al., 1981). 3. Si identifica la tipologia dei rinforzi secondari (ossia i gettoni) da utilizzare. Questi possono essere fiche colorate da poker, l’annotazione di segni o di adesivi su una carta o di punti su un cartellone. I bambini più piccoli (fino a 9 anni), di solito, preferiscono ricompense tangibili (per es., le fiche) mentre i bambini più grandi e gli adolescenti rispondono meglio e più positivamente all’annotazione di segni-punto o punteggi veri e propri. I sistemi di token reinforcement sono di solito considerati troppo complicati per i bambini al di sotto dei 5 anni. Con i bambini in età pre-scolare si consiglia, in seguito all’esibizione di un comportamento appropriato, l’utilizzo di rinforzi primari (elogi dei genitori o dell’insegnante, abbracci o altre forme di attenzione sociale). 4.Si fissa il valore dei comportamenti target o degli obiettivi. Ossia, il numero di gettoni che il bambino guadagna completando il lavoro su ogni comportamento target o sulle sue componenti dovrebbe essere determinato sulla base della difficoltà del compito; con compiti più difficili o più lunghi che prevedono l’assegnazione di più gettoni rispetto a compiti più leggeri. I comportamenti più complessi vengono scomposti in piccole componenti (per es., “il completamento riuscito di un compito” può essere ridefinito come: completare un certo numero di item in un lasso di tempo definito, con un certo grado di accuratezza e riesaminare il lavoro svolto prima di chiedere un feedback all’insegnante) per permettere ai bambini di ottenere dei gettoni anche per il completamento solo di una parte del compito o per aver raggiunto un certo livello di performance. In questi casi, potrebbe essere necessario condurre un’analisi del compito stesso per definire esplicitamente le componenti del comportamento atteso. 5. L’insegnante e lo studente dovrebbero stilare insieme un elenco di privilegi o di attività da scambiare con i gettoni guadagnati. La lista dovrebbe includere item a basso, medio e alto costo. Potrebbe essere utile chiedere ai genitori di collaborare all’elenco e, in aggiunta, rendere disponibili alcuni 194 Strategie di intervento per contesti scolastici privilegi a casa da scambiare sempre con i gettoni. La quantità di gettoni o di punti necessaria per “comprare” ogni privilegio può essere stabilita in collaborazione con tutte le persone coinvolte nel programma di intervento. Come linea guida approssimativa, si può calcolare il numero massimo di gettoni guadagnabili nell’arco di una giornata e dividerlo equamente per il numero dei rinforzi disponibili e poi aggiungere o sottrarre i gettoni per il costo di ogni item in base al “valore” che il privilegio o l’attività hanno per il bambino. 6. Bisognerebbe insegnare o mostrare il valore dei gettoni ai bambini coinvolti nel programma (per es., con scambi esemplificativi di gettoni seguiti da momenti di discussione) e bisognerebbe stabilire criteri iniziali per il guadagno dei gettoni per assicurare al bambino un successo immediato. Prendiamo come esempio un bambino che ha come target l’aumento della percentuale di esercizi di matematica portati a termine. Una percentuale di completamento del 50% potrebbe essere un buon livello iniziale per i primi giorni di intervento. 7. I gettoni devono essere scambiati almeno giornalmente con un privilegio in classe. Tuttavia, come regola, minore è il lasso di tempo che passa fra il guadagno del gettone e il successivo scambio con un’attività di rinforzo positivo, maggiore sarà l’efficacia del programma. Nonostante i gettoni siano una ricompensa immediata di natura temporanea, possono perdere il loro valore di ricompensa se non vengono “incassati” entro un certo tempo. 8.Bisognerebbe verificare in itinere l’efficacia del programma di intervento utilizzando misure multimodali degli esiti ottenuti. Sulla base di questa valutazione, si possono aggiungere nuovi target comportamentali, eliminarne alcuni vecchi o modificarli e variare o far ruotare i privilegi. Inoltre, si possono cambiare le modalità e i tempi di consegna dei gettoni. Si possono incorporare nel sistema delle procedure di response cost (come di seguito discusso) quando si ottengono dei miglioramenti nei comportamenti appropriati, ma permangono ancora dei comportamenti disfunzionali o di disattenzione. 9. In seguito a un’applicazione iniziale e ai primi miglioramenti nel comportamento, potrebbero essere necessarie numerose procedure aggiuntive per assicurare la generalizzazione degli effetti ottenuti a differenti contesti e situazioni temporali. Per prima cosa, vanno identificate tutte le altre situazioni problematiche che diventano target per l’applicazione delle strategie appena descritte (passaggi da 2 a 8). É sbagliato credere che sia sufficiente conseguire una performance in una determinata situazione affinché quel 195 DDAI a Scuola comportamento si generalizzi spontaneamente ad altri contesti (Stokes & Naer, 1977). In seguito, bisognerebbe diminuire gradualmente l’utilizzo dei gettoni e delle ricompense secondarie. Per esempio, più che continuare a fornire gettoni in seguito al completamento di ogni passaggio di un lavoro scolastico, il rinforzo verrà dato inizialmente dopo il completamento di più passi insieme e poi, in seguito, alla conclusione dell’intero lavoro assegnato. Alla fine, il sistema si evolverà nel contingency contracting illustrato di seguito. Nella letteratura professionale sono disponibili numerose altre strategie per accrescere il grado di generalizzazione e mantenimento degli obiettivi raggiunti con il trattamento (vedere Horner, Dunlap & Koegel, 1988; Stokes & Osnes, 1989). Contingency Contracting Il contingency contracting è una tecnica di gestione del comportamento costituita da una negoziazione di un accordo contrattuale fra lo studente e l’insegnante (DeRisi & Butz, 1975). Di solito, il contratto stabilisce i comportamenti da tenere in classe e i conseguenti benefici secondari disponibili in caso di esibizione di questi comportamenti. Come nel caso del programma con i gettoni, si identificano gli obiettivi scolastici e comportamentali specifici che il bambino deve conseguire per accedere alle attività preferite o ad altre ricompense. La contrattazione di solito implica un collegamento fra i comportamenti target e i benefici, piuttosto che utilizzare rinforzi secondari come nel sistema a gettoni. Per cui potrebbe passare un lasso di tempo maggiore fra l’esibizione del comportamento e il rinforzo rispetto al programma che utilizza i gettoni. Un esempio di contratto è illustrato nella Figura 5.2. Nonostante la procedura di contingency contracting sia piuttosto diretta, un certo numero di fattori possono influenzarne l’efficacia con i bambini con DDAI. Prima di tutto, l’età del bambino è un aspetto importante da tenere in considerazione. Di solito, le procedure di contrattazione non hanno successo con bambini di età inferiore ai 6 anni, forse perché ancora non si è sufficientemente sviluppata la capacità di seguire le regole e di riuscire a differire la ricompensa per periodi di tempo troppo lunghi. Una seconda considerazione da fare riguarda la quantità di tempo che passa dall’esibizione del comportamento richiesto e il rinforzo. Per esempio, un intervento che richiede a un bambino di 8 anni affetto da DDAI di completare gli esercizi di matematica assegnatigli con un grado di accuratezza dell’80% 196 Strategie di intervento per contesti scolastici ogni giorno per una settimana prima di ottenere una ricompensa è destinato a fallire. L’aspetto temporale del rinforzo è cruciale nell’applicazione di programmi di gestione del comportamento con i bambini, soprattutto nel caso di quelli con DDAI. Per aumentare la probabilità di esiti positivi, si dovrebbe consentire l’accesso alle attività preferite alla fine del periodo di lavoro concluso con successo o alla fine della giornata scolastica. FIGURA 5.2. Un esempio di contratto sul comportamento da tenere in classe per uno studente affetto da DDAI. Tratto da DDAI a scuola (seconda edizione) di George DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. È permesso fotocopiare questa figura solo a chi acquista il libro e per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. Io, , concordo con i seguenti punti: (scrivere il nome dello studente) 1. Completare tutti i miei compiti di matematica e linguistica, con un livello di accuratezza dell’80% prima dell’ora del pranzo. 2.Dare a [scrivere il nome dell’insegnante] la mia attenzione più completa quando parla alla classe o al mio gruppo di lettura. 3.Rimanere calmo e seguire le indicazioni quando è il momento di mettersi in fila per la ricreazione, il pranzo e la lezione di musica. 4.Rispettare tutte le regole durante la ricreazione in cortile (per es., non picchiarsi). Ogni giorno che avrò rispettato questi punti, potrò scegliere una fra le seguenti alternative: 1.15 minuti alla fine della giornata scolastica in cui giocare con un compagno. 2.Utilizzare il computer di classe per lavorare o giocare per 15 minuti. 3.Aiutare il mio insegnante a sbrigare alcune incombenze (portare i fogli presenza in segreteria) o nei lavori in classe (raccogliere i compiti di matematica degli studenti). Se tutta la settimana andrà bene, avrò guadagnato una delle attività speciali da svolgere nel week-end con i miei genitori: (per es., una gita al parco, una passeggiata in bicicletta, invitare un amico a pranzo o a cena). Se non rispetterò questi punti in classe, avrò perso l’opportunità di partecipare alle attività quotidiane libere. Cercherò di adempiere a questo contratto al massimo delle mie possibilità. Letto e sottoscritto, Firma dello studente Firma dell’insegnante Data 197 DDAI a Scuola La scelta dei comportamenti target e il modo in cui inserirli in un piano di intervento sono fattori determinanti per il successo di una contrattazione comportamentale. Per esempio, nelle fasi iniziali di una procedura contrattuale bisognerebbe fare attenzione a evitare un numero eccessivo di obiettivi da raggiungere; livelli di qualità molto elevati e percentuali di completamento elevate per compiti complessi (ossia che richiedono più passaggi). Per il bambino affetto da DDAI simili richieste iniziali sono fallimentari. Un approccio migliore potrebbe essere quello di individuare pochi semplici comportamenti o output scolastici in modo che il bambino possa riuscire fin dall’inizio. Gradualmente si possono inserire obiettivi più complessi in versioni successive del contratto in modo che gli obiettivi finali possano essere raggiunti con una percentuale minima di fallimento lungo il percorso. Un’ultima considerazione importante nella progettazione del contratto è l’individuazione dei rinforzi giusti. Troppo spesso i rinforzi sono attività o item che l’insegnante reputa motivanti per il bambino. Valutare le ricompense più gradite per il bambino con cui stiamo lavorando è un buon punto di partenza per l’applicazione di strategie di contingency contracting. Tuttavia, le ricompense gradite possono essere molto idiosincratiche e come tali sarebbe bene stilarne una lista. Per fare questo suggeriamo due alternative. La prima, consigliabile soprattutto in caso di bambini più grandi, è quella di negoziare direttamente con lo studente possibili privilegi. La negoziazione diretta non solo assicura l’identificazione corretta dei rinforzi più potenti, ma anche la collaborazione e l’impegno dello studente nella procedura contrattuale. La seconda alternativa è osservare il bambino in attività per identificare quelle preferite che possano fungere da rinforzo. Queste osservazioni si possono concentrare sui comportamenti non attinenti al compito (per es., disegnare, giocare da seduto con altri oggetti) in cui il bambino è coinvolto quando invece dovrebbe completare del lavoro autonomo. Questa strategia può essere molto utile soprattutto quando il bambino non sa dare indicazioni sulla ricompensa che vorrebbe ricevere. Response cost Le strategie di contingency management costituite unicamente da procedure di rinforzo positivo di rado sono efficaci nel mantenere stabile il livello di comportamenti sociali e scolastici appropriati in bambini con DDAI (Pfiffner & O’Leary, 1993). Infatti, diversi studi hanno documentato, al fine di promuovere un cambiamento durevole nel comportamento, l’efficacia di 198 Strategie di intervento per contesti scolastici lievi punizioni in caso di esibizione di atteggiamenti non appropriati (per es., comportamenti non attinenti al compito) (Pfiffner & O’Leary, 1987; Pfiffner, O’Leary, Rosen & Sanderson, 1985; Rosen et al., 1984). In aggiunta a lievi rimproveri e ridirezionamenti verbali, è risultata, per esempio, utile, in combinazione con procedure di rinforzo positivo, l’applicazione di punizioni quali la perdita o la cancellazione dei privilegi e dei punti o gettoni guadagnati (ossia tecniche di response cost) in seguito alla manifestazione di comportamenti disfunzionali o di disattenzione. È stato dimostrato che l’utilizzo concomitante della procedura a gettoni e di response cost accresce la percentuale di comportamenti attinenti al compito, della produttività nel lavoro al banco e dell’accuratezza in bambini con DDAI (DuPaul, Guevremont & Barkley, 1992; Rapport et al., 1980, 1982). In molti casi, il miglioramento ottenuto in classe era equivalente a quello ottenuto con il trattamento farmacologico (Rapport et al., 1982). Per esempio, Rapport (1987a, 1987b) descrive un sistema a gettoni che incorpora tecniche di response cost. Lo studente e l’insegnante hanno entrambi un cartoncino o un supporto elettronico che segna i punti totali guadagnati dal bambino2. Il bambino guadagna i punti quando mostra comportamenti da seduto attinenti al compito in un programma a intervalli fissi e li perde in seguito al verificarsi di comportamenti non attinenti al compito. I punti vengono assegnati o sottratti (response cost) dall’insegnante che cambia la carta con il punteggio (o spinge un bottone sul sistema elettronico). In questo sistema, gli studenti modificano a loro volta la carta in loro possesso per essere in accordo con l’insegnante e/o vedono l’aggiunta o la sottrazione dei punti sul display elettronico controllato dall’insegnante. Pertanto, l’assegnazione o la sottrazione dei “gettoni” avviene in remoto, cosa che permette al docente di impegnarsi in altre attività con altri studenti. Come per gli altri sistemi a gettoni, alla fine del periodo di lavoro scolastico i punti accumulati dal bambino vengono utilizzati per “comprare” vari rinforzi secondari (per es., la scelta di un’attività preferita). L’efficacia dei programmi di response cost si può vedere analizzando le Figure 5.3 e 5.4 tratte da Rapport (1987a). Questi dati rappresentano graficamente la risposta di un bambino di 8 anni con DDAI a diverse dosi di metilfenidato (Ritalina) e a un sistema di response cost applicato nella classe normale. 2 Un sistema response-cost elettronico basato sul prototipo utilizzato in questa ricerca è lo Attention Training System, o ATS. L’ATS è disponibile nel Gordon Diagnostic System, Inc., di de Witt, New York (www.gsi-add.com) 199 DDAI a Scuola La Figura 5.3 mostra i cambiamenti dovuti al trattamento nei comportamenti attinenti al compito e i punteggi dati dall’insegnante sulla condotta in classe nel corso dell’anno scolastico. Le procedure di response cost sono state scaglionate nel tempo (ossia utilizzando un disegno con baseline multipla) nelle ore di matematica e di fonetica. FIGURA 5.3. Percentuale media degli intervalli di comportamenti giornalieri attinenti al compito in diverse materie scolastiche (puntini neri = matematica, puntini bianchi = fonetica) e nelle diverse condizioni sperimentali. L’asse delle ordinate sulla destra indica i punteggi dati dall’insegnante ai comportamenti sociali (triangolini = Abbreviated Conners Teachers Rating Scale) dove i valori diminuiscono mano a mano che il bambino migliora. Tratta da Rapport (1987a). Copyright 1987 della John Wiley & Sons. Ristampato su gentile concessione. punteggi medi alla ATRS % di comportamenti attinenti al compito S-2 MG/KG Nelle condizioni di baseline, il ragazzo mostrava comportamenti attinenti al compito, in media, nel 40-50% degli intervalli. L’applicazione delle procedure di response cost ha portato a un incremento nella frequenza dei comportamenti attinenti al compito nel 90% degli intervalli. Questo incremento di attenzione era del tutto simile se non superiore, nel caso di alcuni dosaggi, a quello ottenuto con il metilfenidato. Le tecniche di response cost avevano anche migliorato la percentuale di completamento dei 200 Strategie di intervento per contesti scolastici compiti rispetto alla baseline (vedere Figura 5.4). I miglioramenti nella produttività scolastica erano maggiori di quelli ottenuti con il metilfenidato. Pertanto, le strategie di response cost possono essere utilizzate per accrescere sia i comportamenti attinenti al compito, sia la produttività a scuola. FIGURA 5.4. Percentuale media di completamento di assegnazioni giornaliere in diverse materie scolastiche (puntini neri = matematica, puntini bianchi = fonetica) e nelle diverse condizioni sperimentali. L’asse delle ordinate sulla destra indica i punteggi dati dall’insegnante ai comportamenti sociali (triangolini = Abbreviated Conners Teachers Rating Scale) dove i valori diminuiscono mano a mano che il bambino migliora. Tratta da Rapport (1987a). Copyright 1987 della John Wiley & Sons. Ristampato su gentile concessione. % di comportamento punteggi medi alla ATRS S-2 MG/KG Bisognerebbe considerare diversi aspetti nell’utilizzo di procedure di response cost. Per esempio, queste sono forme di punizione e il loro utilizzo potrebbe portare il bambino ad assumere un atteggiamento negativo verso l’intero sistema di token reinforcement. Pertanto, quando si presenta il programma allo studente e agli insegnanti, bisognerebbe enfatizzarne gli aspetti positivi (per es., sottolineare che lo studente avrà la possibilità di guadagnare punti e ricompense per aver completato con accuratezza il proprio lavoro). Inol201 DDAI a Scuola tre, si dovrebbero fare degli sforzi, all’inizio e in corso d’opera, per apportare modifiche alle situazioni in modo da permettere al bambino di guadagnare più punti di quelli che perde. Per esempio, gli studenti potrebbero all’inizio manifestare comportamenti non attinenti al compito per verificare se effettivamente verranno loro sottratti dei punti. Per evitare che l’insegnante si faccia coinvolgere in un gioco “al ribasso”, si raccomanda di non sottrarre più di un punto al minuto indipendentemente dalla frequenza dei comportamenti non appropriati. Bisognerebbe inoltre dire all’insegnante di non guardare più il bambino subito dopo avergli sottratto dei punti (Rapport, 1987b). Infine, il punteggio totale del bambino non dovrebbe mai essere minore di 0. Se il punteggio totale è pari a 0 tutti i comportamenti non attinenti al compito e quelli disfunzionali vanno ignorati. Se si verificano spesso punteggi totali pari a 0, potrebbe essere necessario rivedere il sistema in modo da non sottrarre punti per infrazioni poco rilevanti. Una volta che il bambino inizia a sperimentare il successo e che si fa coinvolgere nel sistema, si possono applicare criteri più severi nella sottrazione dei punti per migliorare sempre più il comportamento e la performance in classe. Interruzione del rinforzo positivo Un’altra strategia punitiva leggera adatta per l’applicazione è l’interruzione del rinforzo positivo. Questa procedura, come il nome stesso dice, interrompe l’accesso del bambino ai rinforzi positivi (per es., all’attenzione dell’insegnante o dei compagni). La forma più accettabile sembra essere l’adattamento progettato da Barkley (1987) per l’utilizzo in casa. Per dare risultati, le tecniche di interruzione del rinforzo dovrebbero: (1) essere applicate solo se esiste un rinforzo da cui si può essere allontanati, (2) essere messe in pratica solo quando lo scopo del comportamento disfunzionale del bambino è attirare l’attenzione dell’insegnante o dei compagni, (3) essere utilizzate immediatamente dopo l’infrazione di una regola, (4) essere applicate con costanza e (5) essere utilizzate per un tempo brevissimo che ne rafforzi l’efficacia (1-5 minuti). È la privazione del rinforzo la componente veramente efficace di questa procedura e non la quantità di tempo nel quale avviene questa interruzione. Se il bambino deve spostarsi in un altro luogo durante l’interruzione, questo dovrebbe essere un’area della classe piuttosto noiosa (non un’altra stanza, un armadietto, un guardaroba o il corridoio) per permettere all’insegnante di monitorare i comportamenti e le attività del bambino. I criteri in base ai quali terminare 202 Strategie di intervento per contesti scolastici l’interruzione sono: (1) un periodo di tempo sufficientemente lungo per essere efficace (di solito si considera 1 minuto per ogni 2 anni di età del bambino); (2) l’imposizione di un momento con l’esibizione di comportamenti tranquilli e non disfunzionali prima della conclusione dell’interruzione e (3) la manifestazione, da parte del bambino, del desiderio di correggersi, porre rimedio o compensare i cattivi comportamenti che hanno condotto all’interruzione del rinforzo. Infine, bisognerebbe prolungare la permanenza di quei bambini che lasciano l’area di punizione senza permesso per un numero predeterminato di minuti in funzione della violazione commessa. Oppure questi bambini potrebbero perdere dei punti o dei gettoni se si sta utilizzando in combinazione un sistema di token reinforcement. Come nel caso delle procedure di response cost, è obbligatorio utilizzare queste strategie restrittive solo in associazione con sistemi di rinforzo positivo. Le tecniche di interruzione del rinforzo dovrebbero costituire inoltre un’estrema ratio dopo aver applicato quelle di rinforzo positivo e altre strategie restrittive meno pesanti. Per esempio, i comportamenti non appropriati dovrebbero essere seguiti prima da rimproveri lievi e brevi, poi da strategie di response cost, poi da interruzione del rinforzo chiedendo al bambino di mettersi con la testa sul banco e infine allontanandolo in un’area specifica della classe. Comportamenti disfunzionali più gravi (quali l’aggressività fisica) dovrebbero portare all’applicazione immediata di procedure di interruzione massimamente restrittive o ad altre decisioni punitive coerenti con le regole della classe o della scuola. Le strategie di interruzione del rinforzo positivo vanno accuratamente monitorate nel corso della loro applicazione dato che non sono considerate praticabili per molto tempo. Sono piuttosto considerate delle buone tecniche a breve termine. Strategie da applicare a casa Le tecniche di contingency management da applicare a casa, in funzione della performance scolastica e comportamentale del bambino a scuola, possono essere utilizzate per integrare efficacemente i sistemi di modificazione del comportamento in contesti scolastici. Queste procedure hanno numerosi aspetti positivi. Primo, il bambino riceve un feedback diretto dagli insegnanti in seguito alle sue performance in diversi ambiti di funzionamento a scuola. Secondo, i genitori a loro volta ricevono informazioni quotidiane sulla performance del bambino a scuola e questo permette una comunicazione costante 203 DDAI a Scuola fra la scuola e la famiglia. Per bambini che manifestano difficoltà in classe, è preferibile utilizzare un simile programma di comunicazione piuttosto che aspettare incontri prefissati o la conclusione di una scheda di report. Infine, questo sistema permette di superare alcuni limiti pratici delle strategie di contingency management applicate in classe (per es., un range limitato di attività rinforzanti), dal momento che i genitori forniranno, a loro volta, rinforzi a casa per comportamenti tenuti a scuola. Abbiamo proposto un esempio di programma di rinforzo da applicare a casa (DuPaul, Guevremont & Barkley, 1991) che utilizza una scheda di report giornaliera simile a quella mostrata nella Figura 5.5. FIGURA 5.5. Scheda di report giornaliera da utilizzare all’interno di un programma di rinforzo per il DDAI da applicare a casa. Tratto da Barkley (1990). Copyright 1990 della Guilford Press. Ristampato su gentile concessione. SCHEDA GIORNALIERA DEI PUNTEGGI DELLO STUDENTE NOME______________________________________ DATA__________ Assegnare una valutazione al bambino in ciascuna delle aree sotto elencate, sulla base della performance avuta oggi a scuola utilizzando punteggi da 1 a 5. 1 = “eccellente”; 2 = “buono”, 3 = “discreto”, 4 = “scarso”, 5 = “terribile o non ha lavorato” ORE IN CLASSE/MATERIE AREA 1 2 Partecipazione Lavoro in classe Consegna dei compiti a casa Interazione con altri bambini Sigla dell’insegnante Si prega di scrivere eventuali commenti sul retro 204 3 4 5 6 Strategie di intervento per contesti scolastici Per ciascun bambino si identificano una serie di obiettivi comportamentali, come essere attenti nel corso di attività in classe, completare i lavori assegnati, essere accurati nel lavoro e rispettare le regole. Gli obiettivi specifici dovrebbero variare in funzione dei problemi specifici che lo studente manifesta (per es., l’interazione con i pari può essere un target se il bambino tende a litigare e lottare fisicamente con i compagni). Le colonne della scheda di report possono essere utilizzare per comunicare informazioni relative a diverse materie in diverse ore scolastiche. Pertanto, se il bambino ha più di un insegnante, tutti possono partecipare. L’insegnante segna i punteggi relativi alla performance del bambino (su una scala a 5 punti che va da “eccellente” a “terribile”) negli spazi appropriati della scheda, appone la propria sigla ed eventualmente inserisce dei commenti. I punteggi e i commenti devono essere scritti a penna per evitare che il bambino possa modificarli. Lo studente ha la responsabilità di consegnare la scheda a ogni insegnante e di portarla a casa tutti i giorni. Dal momento che si utilizzano punteggi quantitativi, queste schede scuolacasa possono essere utilizzate in un sistema di token reinforcement. Per esempio, l’insegnante assegna punteggi quantitativi in ogni area, come appena indicato. Quando la scheda viene consegnata a casa, i genitori discutono brevemente i punteggi positivi e negativi ottenuti dal bambino. Poi si assegna un valore numerico specifico a ogni punteggio riportato sulla scheda e lo si somma per ottenere il punteggio netto della giornata. Per esempio, ogni punteggio pari a “1” potrebbe essere convertito in 25 punti, ogni “2” in 15 punti, ogni “3” in 5 punti. I punteggi “4” e “5” costeranno al bambino la sottrazione di 15 e 25 punti rispettivamente. Per produrre un cambiamento positivo nel comportamento, bisogna progettare un sistema di token reinforcement da applicare a casa in cui questi punteggi possano essere utilizzati per “comprare” alcuni rinforzi secondari (per es., privilegi a casa, tempo da trascorrere davanti alla televisione, andare a dormire a casa di un amico). Come per gli altri sistemi a gettoni, l’efficacia dipende dalla natura motivante e dalla disponibilità di numerosi rinforzi secondari. Kelley (1990) ha scritto un libro che tratta ampiamente questa materia, focalizzato sull’ideazione e sull’utilizzo delle “note scuola-casa” come mezzo di comunicazione fra i genitori, gli insegnanti e i bambini. Nel libro presenta una serie di note scuola-casa che possono essere utilizzate con studenti che hanno comportamenti associati al DDAI. Un esempio di nota scuola-casa utilizzabile nel trattamento di un bambino con DDAI è illustrato nella Figura 5.6. 205 DDAI a Scuola FIGURA 5.6. Forma abbreviata di una nota scuola-casa utilizzabile con studenti di scuola media e scuola superiore.(Questa nota è stata compilata da Richard, dagli insegnanti e dai genitori) Tratta da Kelley (1990), Copyright 1990 della Guilford Press. Ristampata su gentile concessione. NOTA SCUOLA-CASA Nome Richard Data 10/20 MATERIA Matematica Era pronto per la lezione SÌ NO NA Ha utilizzato bene il tempo SÌ NO NA Ha consegnato i compiti a casa SÌ NO NA Punteggio al test/compiti a casa F D C B A NA Compiti a casa: Venerdì test sul Capitolo 3 Sigla dell’insegnante___ Commenti: Sembra essere più attento e utilizzare meglio il tempo a di sposizione MATERIA Studi sociali Era pronto per la lezione SÌ NO NA Ha utilizzato bene il tempo SÌ NO NA Ha consegnato i compiti a casa SÌ NO NA Punteggio al test/compiti a casa F D C B A NA Compiti a casa: Rispondere alle domande 1-10 p. 113 Sigla dell’insegnante___ Commenti: Non ha portato il quaderno degli appunti e ha chiacchierato abbastanza nel corso della lezione MATERIA Inglese Era pronto per la lezione SÌ NO NA Ha utilizzato bene il tempo SÌ NO NA Ha consegnato i compiti a casa SÌ NO NA Punteggio del test/compiti a casa F D C B A NA Compiti a casa: Nessuno Sigla dell’insegnante___ Commenti: Buona partecipazione alla lezione Commenti dei genitori: Mrs. Sessions, Richard dice di aver terminato i compiti a casa, potrebbe controllarli insieme a lui? 206 Strategie di intervento per contesti scolastici A un primo livello come questo, si pone molta attenzione sul completamento dei compiti a casa e sui risultati ottenuti ai test. L’insegnante è in grado anche di anticipare con regolarità quali compiti verranno assegnati. In un secondo livello l’insegnante compilerà invece le note scuola-casa settimanalmente. Esistono numerosi fattori che possono limitare l’efficacia dei programmi di rinforzo da applicare a casa (Rapport 1987a). Uno dei principali inconvenienti è che, per definizione, implica un rinforzo differito. Dato che i bambini con DDAI incontrano difficoltà nel differire la ricompensa (Barkley, 1998) i sistemi di rinforzo applicati a casa potrebbero essere meno potenti di quelli utilizzati in classe, più direttamente collegati ai comportamenti target. Questo aspetto è particolarmente importante se si lavora con bambini di età inferiore ai 6 anni. In secondo luogo, il personale scolastico ha pochi mezzi per verificare se i genitori applichino effettivamente le tecniche a casa. Infine, quando si utilizzano rinforzi a casa, i genitori dovrebbero essere scoraggiati dall’utilizzare solo ricompense materiali, che possono perdere di efficacia nel tempo. Bisognerebbe piuttosto fornire loro assistenza per sviluppare un set di rinforzi che includano attività, oggetti e situazioni sociali. Queste ricompense dovrebbero essere rilevanti per il bambino, facilmente disponibili in casa o sul territorio, non costose se prevedono una spesa economica e dovrebbero subire una rotazione per evitare la noia perché si offrono al bambino “sempre le stesse cose”. È particolarmente importante utilizzare rinforzi che il bambino percepisce come “necessità” (per es., guardare la televisione, giocare ai videogames, andare in bicicletta) piuttosto che sceglierne altri che sono visti come “lussi” e senza i quali il bambino può tranquillamente vivere (per es., mangiare in un determinato ristorante, andare al luna park). Sempre nella stessa ottica, è utile presentare i fattori che possono accrescere l’efficacia delle metodologie di rinforzo applicate a casa. Questi fattori sono elencati nella Tabella 5.3. Primo, si stabiliscono obiettivi positivi giornalieri e settimanali. Come già sottolineato, per superare il “test dell’uomo morto”, i comportamenti target devono prevedere un coinvolgimento attivo in incombenze da svolgere in classe (per es., completare un lavoro) piuttosto che la semplice scomparsa di comportamenti disfunzionali. Secondo, si inseriscono obiettivi comportamentali e scolastici. Nel tentativo di accrescere le possibilità di sperimentare subito un successo, uno o due obiettivi dovrebbero essere realmente consegui207 DDAI a Scuola bili dal bambino. Questo ha lo scopo di “agganciare” il bambino e di portarlo a collaborare con il sistema prima di fissare standard o aspettative di performance più elevati. TABELLA 5.3. Componenti Efficaci dei programmi di comunicazione casa-scuola 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Vengono fissati obiettivi positivi giornalieri e settimanali. Si stabiliscono obiettivi comportamentali e scolastici. Si lavora su pochi obiettivi alla volta. L’insegnante fornisce un feedback quantitativo alla performance dello studente. Si fornisce un feedback su ogni materia e su ogni ora di lezione. La comunicazione è regolare (giornaliera o settimanale). I rinforzi da applicare a casa si basano sulla performance avuta a scuola e sono a breve e lungo termine. 8. Prima di iniziare il trattamento bisogna motivare i genitori alla cooperazione e al coinvolgimento. 9. Si sollecita un contributo del ragazzo nel definire gli obiettivi e i rinforzi, soprattutto nel caso di bambini più grandi e adolescenti. 10.Si modificano, se necessario, gli obiettivi e le procedure. Terzo, è importante lavorare solo su pochi obiettivi alla volta in modo che lo studente e l’insegnante non abbiano un carico di lavoro eccessivo. Quarto, il feedback dell’insegnante alla performance del ragazzo dovrebbe essere quantitativo. Anche se i giudizi qualitativi possono dare informazioni importanti, sono spesso vaghi e non specifici (per es., “Johnny ha avuto una buona giornata”). Quinto, il feedback viene dato per ogni materia e ora di lezione. Questo fornisce allo studente informazioni precise sulla performance, permette di ricevere feedback più frequenti ed evita un calo motivazionale nei bambini che incontrano difficoltà nelle prime ora della giornata scolastica. In quest’ultimo caso, quando i punteggi sulla scheda di report sono giornalieri, il bambino otterrebbe punteggi bassi anche se la performance è andata migliorando nel corso della giornata. Sesto, la comunicazione casa-scuola avviene su base giornaliera o settimanale per permettere la somministrazione di rinforzi frequenti. Settimo, ai punteggi assegnati dall’insegnante nella scheda di report giornaliera è associata direttamente una piramide di privilegi a breve e lungo termine di cui il bambino può usufruire a casa. È molto improbabile che un 208 Strategie di intervento per contesti scolastici bambino con DDAI manifesti un miglioramento in assenza di rinforzi esterni. Ottavo, i genitori dovrebbero essere coinvolti nella progettazione del piano comunicazione casa-scuola fin dall’inizio per assicurare la comprensione e l’aderenza alle procedure. I bambini più grandi e gli adolescenti dovrebbero essere inclusi nella progettazione per le stesse ragioni. Nono, gli obiettivi e le tecniche applicate vengono costantemente rivisti in funzione del verificarsi o meno di progressi. Un’altra possibilità di intervento mediata dai genitori è aiutare i bambini nei compiti scolastici. Per esempio, Hook e DuPaul (1999) hanno valutato gli effetti di interventi di parent tutoring su quattro studenti di seconda e terza elementare con DDAI, che avevano anche difficoltà di lettura. I genitori erano stati addestrati a controllare i brani di lettura che l’insegnante aveva assegnato ai bambini. Il tutoring è stato fornito per un periodo da 4 a 8 settimane utilizzando un disegno sperimentale a baseline multipla. Il rendimento nella lettura è stato valutato a casa e a scuola utilizzando brevi esercizi di lettura basati sul curricolo che venivano somministrati due volte alla settimana nel corso delle fasi sperimentali. Tutti e quattro i bambini avevano mostrato miglioramenti della lettura negli esercizi somministrati a casa e risultati più variabili negli esercizi somministrati in classe. I risultati indicavano che il parent tutoring può essere una forma di intervento promettente per quei bambini con DDAI che hanno anche difficoltà di lettura, soprattutto nei casi in cui i genitori investono sull’educazione dei loro bambini. In sintesi, le strategie di intervento mediate dai genitori, soprattutto i sistemi di rinforzo applicati a casa, possono risultare efficaci nell’accrescere la performance scolastica, in particolare se sono in integrazione a procedure già applicate in classe (per es., perché coprono lassi di tempo in cui queste procedure non sono più applicate). Gli studenti che manifestano comportamenti associati al DDAI di media gravità dovrebbero rispondere molto bene ai programmi casa-scuola. Come per altre strategie di contingency management, l’attenzione nell’identificare i comportamenti target e i rinforzi, il collegamento di questi nello spazio e nel tempo e il monitoraggio del sistema per assicurarne l’integrità sono aspetti che rivestono un’importanza critica. Valutazione Funzionale del comportamento Le strategie di contingency management appena descritte si focalizzano principalmente sulla modificazione dei comportamenti target attraverso la 209 DDAI a Scuola manipolazione delle conseguenze dei comportamenti appropriati e non. Da un punto di vista tecnico, queste procedure si focalizzano sull’aspetto esteriore del comportamento, o sulla topografia, più che sulla funzione che esso ha per il singolo studente. Recenti progressi nelle tecniche di gestione del comportamento in classe, tuttavia, sottolineano sempre più l’importanza di collegare queste strategie a una valutazione funzionale. I metodi di valutazione funzionale includono interviste, osservazioni e manipolazioni dell’ambiente (per es., cambiare la posizione dei banchi) per identificare le variabili ambientali che precedono o seguono con una certa costanza i problemi comportamentali in oggetto. Se tali variabili precedono il comportamento, si ipotizza, all’interno di una formulazione analitica del comportamentale, che diano inizio o favoriscano l’occorrenza di un determinato atteggiamento problematico. Nel caso invece di variabili conseguenti, si ipotizza che queste rinforzino o contribuiscano al mantenimento del problema (vedere Nelson et al., 1998; O’Neill, Horner, Albin, Storey & Sprague, 1997). Comprendere i fattori che contribuiscono al mantenimento delle difficoltà comportamentali, insieme a quelli che sembrano generarli o incoraggiarli, è un primo passo fondamentale nella personalizzazione dell’intervento (DuPaul et al., 1997). Prendiamo, per esempio, in considerazione un comportamento disfunzionale di un determinato studente che si verifica in classe (per es., un disturbo verbale o parlare senza aspettare il proprio turno). Presumiamo anche che questo comportamento si verifichi quasi sempre quando l’insegnante spiega gli esercizi nuovi di matematica. È molto probabile che in queste circostanze tale atteggiamento derivi dal desiderio di evitare e/o sfuggire gli esercizi di matematica. In questo caso, quindi, come possibile intervento, l’insegnante potrebbe fornire un supporto allo studente, prima dell’inizio dell’attività, assicurandosi che egli abbia compreso tutte le regole e le aspettative; che abbia tutti i materiali necessari per partecipare e che sia in grado di ascoltare e di guardare l’insegnante nel corso della spiegazione. Questa sarebbe una strategia preventiva o proattiva. Consideriamo invece lo stesso studente e lo stesso comportamento, facendo però un’ipotesi differente sulla funzione. Supponiamo, per esempio, che il comportamento disfunzionale provochi l’attenzione dell’insegnante (per es., “William per favore smettila di disturbare la lezione. Non ricordi le regole della classe?”). In questo caso si può ipotizzare che tale atteggiamento venga rinforzato dall’attenzione sociale che lo segue. Almeno una componente di 210 Strategie di intervento per contesti scolastici un approccio “funzionale” al trattamento, dovrebbe includere azioni tese a rafforzare comportamenti alternativi che però siano in grado di produrre lo stesso tipo di rinforzo ricercato dallo studente – in questo caso, l’attenzione dell’insegnante. Per esempio, l’insegnante potrebbe utilizzare una strategia che prevede la concessione di attenzione positiva a William quando risponde correttamente a una domanda postagli e/o quando è attento alla lezione e la privazione dell’attenzione quando esibisce comportamenti disfunzionali. Quando la funzione del comportamento di un bambino è stata determinata, si progetta un intervento che generi un comportamento equivalente sul piano funzionale. Le tecniche che si basano su equivalenti funzionali permettono allo studente di accedere alle conseguenze desiderate sulla base della manifestazione di comportamenti appropriati e non di quelli problematici. La Figura 5.7 mostra i possibili collegamenti fra le funzioni comportamentali e alcuni interventi con equivalenti funzionali. Per esempio, se un bambino esibisce comportamenti disfunzionali in classe per ottenere l’attenzione dell’insegnante, allora l’intervento dovrebbe prevedere che l’insegnante conceda la propria attenzione in seguito a comportamenti appropriati e che, invece, ignori quelli disfunzionali (ossia, un rinforzo differenziale per comportamenti incompatibili). Si presume che gli interventi basati sulla funzione del comportamento siano più efficaci di quelli che si basano unicamente su esiti diagnostici più generici e/o su approcci per prove-ed-errori. Inoltre, si presume che queste strategie legate alla funzione del comportamento diano risultati più durevoli nel tempo dal momento che forniscono un accesso immediato alla ricompensa. Sulla base di una simile ipotesi, Ervin, DuPaul, Kern e Friman (1981) hanno utilizzato la valutazione funzionale per guidare la progettazione di un intervento in classe di quattro adolescenti con DDAI. Per due di questi studenti, gli interventi utilizzati erano rispettivamente legati alle ipotizzate funzioni di fuga dai compiti scritti e di ricerca dell’attenzione dei compagni. Al primo studente è stato permesso di completare i compiti scritti al computer dal momento che si ipotizzava una funzione di fuga. I comportamenti attinenti al compito manifestati dal secondo studente, venivano invece rinforzati attraverso l’attenzione dei compagni, dal momento che si ipotizzava una funzione di ricerca e mantenimento dell’attenzione. I risultati di questo lavoro suggeriscono che le tecniche che si basano sulla valutazione funzionale inducevano miglioramenti significativi nei comportamenti attinenti al compito di entrambi gli studenti. 211 I N T R V E N T I F U N Z I O N I 212 - Ridurre le assegnazioni - Rendere i compiti stimolanti - Permettere scelta compito - Sospensione dell’attenzione dopo completamento del compito Alterare il compito e/o accoppiare la fuga a un comportamento alternativo Evitare/Sfuggire l’assegnazione di compiti - Ignorare i comportamenti non attinenti al compito - Interruzione rinforzo - Attenersi ai comportamenti attinenti al compito Ignorare e/o concedere attenzione in seguito a un comportamento alternativo dall’adulto - Dare rinforzo ai pari se ignorano - Utilizzare strategie di rinforzo di gruppo - Peer tutoring Ignorare e/o concedere attenzione in seguito a un comportamento alternativo dai compagni Ottenere l’attenzione FIGURA 5.7. Forma ab - Response cost - Concedere dopo comportamenti attinenti al compito Negazione e/o ricompensa per comportamento alternativo Ottenere oggetti materiali - Rimproveri - Ridirezionamenti - Didattica con PC Interrompere la stimolazione o arricchire l’ambiente Ottenere rinforzo automatico DDAI a Scuola Strategie di intervento per contesti scolastici STRATEGIE DI SELF-MANAGEMENT Un obiettivo primario del trattamento del DDAI è quello di permettere allo studente di sviluppare livelli adeguati di autocontrollo. Questo implica che il bambino manifesti spontaneamente comportamenti sociali e scolastici adeguati all’età (ossia con la minima intrusione da parte del contesto). Nonostante questo sia un obiettivo desiderabile del trattamento, è piuttosto difficile da conseguire nella pratica data la natura complessa e persistente del DDAI. Gli interventi di self-management per il DDAI includono strategie di auto-monitoraggio, auto-rinforzo e auto-istruzione (Barkley, 1998). Queste procedure, soprattutto quelle che comprendono l’auto-istruzione, vengono a volte indicate con l’espressione interventi cognitivo-comportamentali data l’enfasi che pongono sui cambiamenti negli atteggiamenti cognitivi del bambino e nella loro interazione. Negli ultimi anni, gli interventi di self-management sono diventati sempre più popolari per una varietà di difficoltà scolastiche, incluso il DDAI (vedere Shapiro & Cole, 1994). In generale, malgrado sembrino apparentemente apportare miglioramenti alla sintomatologia del DDAI, il loro successo non è stato sempre costante, soprattutto nel caso delle strategie di auto-istruzione (Abikoff, 1985). Ciò non di meno, passeremo in rassegna i risultati più importanti degli approcci di auto-monitoraggio e di auto-rinforzo dando luce anche alle procedure più rilevanti per i professionisti. Auto-monitoraggio Si può insegnare ai bambini a osservare e registrare l’occorrenza dei propri comportamenti. Per esempio, si può insegnare a un bambino con DDAI a riconoscere e registrare i comportamenti attinenti al compito, durante lo svolgimento di assegnazioni scolastiche, nel corso di un lasso di tempo specifico, inviandogli precisi segnali per indurlo a osservare il comportamento che sta mettendo in atto (per es., tramite il beep di un registratore o un gesto della mano dell’insegnante).3 In seguito, il bambino registra su una griglia o su una scheda presente sul proprio banco se il comportamento osservato era o meno attinente al compito. Questa tipologia di auto-monitoraggio può essere utiliz3 Un metodo meno invasivo per segnalare l’auto-monitoraggio è quello di collegare ai vestiti del bambino un apparecchietto che emetta delle vibrazioni. Questo apparecchio, chiamato il MotivAider, può essere programmato per inviare segnalazioni al bambino in diversi intervalli. Il MotivAider è disponibile presso la Behavioral Dynamics, Inc., P.O. Box 66, Thief River Falls, MN 56701. Potete trovare informazioni sul prodotto anche sul Web all’indirizzo www.habitchange.com/index.html. 213 DDAI a Scuola zata da sola o, come più spesso accade, in combinazione con altre procedure di self-management. Anche se questa metodologia non è stata studiata approfonditamente sui bambini con DDAI, si è riscontrato che i comportamenti di attenzione aumentano in conseguenza dell’auto-monitoraggio, soprattutto se combinati con procedure di auto-rinforzo o di rinforzo esterno (vedere, per es., Barkley, Copeland & Sivage, 1980). Inoltre, alcune ricerche indicano che potrebbe essere più efficace fare monitorare al bambino il completamento dei compiti e/o l’accuratezza, piuttosto che i semplici comportamenti di attenzione (vedere, per es., Lam, Cole, Shapiro & Bambara, 1994). L’auto-monitoraggio può essere un intervento particolarmente valido per gli adolescenti con DDAI, soprattutto se ci si occupa di competenze organizzative. Per esempio, Gureasko-Moore, DuPaul e White (in stampa) hanno valutato l’utilizzo di strategie di auto-monitoraggio in tre studenti di scuola superiore con DDAI. Gli insegnanti riferivano che tutti i partecipanti mostravano difficoltà significative a prepararsi e organizzarsi per le lezioni (per es., arrivare in classe con i libri giusti, le matite e il quaderno degli appunti). L’insegnante ha stilato per ogni studente una lista di comportamenti preparatori. Questa checklist è stata utilizzata per individuare la percentuale di passi preparatori realmente effettuati durante le fasi sperimentali, all’interno di un disegno tra soggetti a baseline multipla. Dopo una fase di baseline, lo psicologo scolastico ha fornito un breve training nelle strategie di auto-monitoraggio a ciascun partecipante. Tutti e tre gli studenti hanno mostrato incrementi nella percentuale di passi completati in funzione dell’auto-monitoraggio (vedere Figura 5.8). Infatti, alcune settimane dopo, gli studenti mettevano in atto con costanza circa il 100% dei comportamenti preparatori richiesti, anche in assenza di input e rinforzi esterni. Auto-rinforzo L’intervento di self-management più promettente per il DDAI prevede non solo il monitoraggio del comportamenti, ma anche la valutazione e il rinforzo della performance (Barkley, 1989). La combinazione dell’auto-monitoraggio e dell’auto-rinforzo, infatti, si è rivelata efficace nel generare, in studenti con DDAI, comportamenti attinenti al compito, accuratezza scolastica e interazioni con i pari (Barkley et al., 1980; Hinshaw, Henker & Whalen, 1984). Questi effetti aumentano ancora di più se le strategie sono combinate con un trattamento farmacologico (Barkley, 1989). 214 Strategie di intervento per contesti scolastici FIGURA 5.8. Percentuale di comportamenti preparatori in tre adolescenti con DDAI dopo aver ricevuto un training di auto-monitoraggio. Tratta da GureaskoMoore, DuPaul e White (in stampa). Copyright della Sage Publications, Inc. Ristampata su gentile concessione. Training Monitoraggio Eliminazione Mantenimento Percentuale di comportamenti preparatori Percentuale di comportamenti preparatori Percentuale di comportamenti preparatori Baseline Baseline Baseline Training Monitoraggio Training Monitoraggio Elim. Giorni di scuola consecutivi 215 Eliminazione Mantenimento Mantenimento DDAI a Scuola Le procedure di auto-rinforzo possono essere particolarmente utili nell’affrontare le difficoltà associate al DDAI in due situazioni. Primo, si può insegnare a uno studente a monitorare e rinforzare il proprio comportamento mentre si elimina un sistema a rinforzo esterno (Barkley, 1989). Si presuppone che il cambiamento comportamentale positivo permarrà nonostante la riduzione del feedback da parte dell’insegnante o di altre forme di rinforzo. Ovviamente, i rinforzi secondari (per es., i privilegi in classe o a casa) devono essere utilizzati mano a mano che l’insegnante diminuisce il feedback e il monitoraggio. L’eliminazione dei rinforzi secondari si deve verificare nel corso di un tempo molto lungo. Un’altra situazione in cui l’auto-rinforzo è un trattamento appropriato per il DDAI è rappresentata dall’eventualità in cui, nella scuola secondaria, gli insegnanti e gli studenti sono restii a utilizzare procedure di contingency management. In questo caso, le tecniche di self-management potrebbero rappresentare un trattamento più accettabile e quindi con maggiore probabilità di essere applicato con costanza. Un esempio di procedure di automonitoraggio e auto-rinforzo utili per apportare miglioramenti ai sintomi del DDAI si può trovare nel lavoro di Rhode, Morgan e Young (1983).Questi ricercatori hanno utilizzato tali strategie per generare miglioramenti negli atteggiamenti di bambini con “handicap comportamentali”. Le fasi iniziali del programma prevedevano un programma di token reinforcement e un feedback verbale dell’insegnante sulla base delle valutazioni del comportamento in momenti specifici in classe. Tali valutazioni venivano date su una piramide a 6 punti mostrata nella Tabella 5.4 (questa tabella non esiste). Si possono effettuare altre valutazioni della performance scolastica e comportamentale utilizzando questo sistema. I punteggi dati dall’insegnante venivano scambiati con rinforzi secondari a scuola o a casa in un sistema economico a gettoni classico. Una volta che si erano verificati i primi miglioramenti comportamentali e/o scolastici, si addestrava lo studente a valutare il proprio comportamento. Utilizzando i criteri elencati nella Tabella 5.3 questo riferimento è errato dal momento che la tabella 5.3 contiene le componenti della comunicazione casa-scuola). In questa fase, i punteggi dell’insegnante venivano utilizzati per stabilire quanti punti lo studente avesse guadagnato. Inoltre, lo studente poteva guadagnare un bonus di un punto se le sue valutazioni concordavano perfettamente con quelle dell’insegnante. Se i punteggi che lo studente si assegnava deviavano di più di un punto da quelli dell’insegnante, non guadagnava punti per quell’intervallo di tempo. Pertanto, i rinforzi erano associati sia a 216 Strategie di intervento per contesti scolastici miglioramenti nel comportamento che alla capacità di valutare la propria performance in maniera simile all’insegnante. Nel corso del tempo, i punteggi dell’insegnante venivano gradualmente eliminati in modo che quelli dello studente stesso fossero i principali responsabili del guadagno di rinforzi secondari. Questo processo veniva facilitato attraverso (1) l’utilizzo di “sfide di concordanza” randomizzate fra l’insegnante e lo studente programmate su base costante e (2) la loro graduale riduzione. Per esempio, una prima diminuzione potrebbe, in media, prevedere una sfida giornaliera. In seguito si eliminano progressivamente le sfide passando, per esempio, da una ogni tre giorni a una la settimana, infine a una ogni due settimane. Se, in qualunque momento, la performance dello studente peggiora e/o l’insegnante sospetta che lo studente gonfi i punteggi, allora le sfide di concordanza vengono riproposte con maggiore frequenza. Nel programma descritto da Rhode e colleghi (1983), lo studente alla fine utilizzava solo i punteggi assegnati da sé, senza rinforzi secondari. Questo aveva portato al mantenimento di miglioramenti comportamentali significativi in contesti scolastici differenti. Questo sistema di auto-rinforzo è stato esteso ai bambini con DDAI e con disturbi del comportamento simili in una scuola elementare (Hoff & DuPaul, 1998), scuola media (Shapiro, DuPaul & Bradley, 1998) e scuola superiore (Smith, Young, Nelson & West, 1992). Sembrerebbe, pertanto, che variazioni di questo sistema possano essere applicabili al trattamento dei comportamenti associati al DDAI in età molto diverse. Malgrado ciò, è importante sottolineare che una variabile chiave che influenza il successo di queste procedure è l’utilizzo costante di rinforzi esterni in funzione dell’andamento mostrato dallo studente. È improbabile che l’efficacia di questo intervento rimanga la stessa se si riducessero o si eliminassero troppo presto, all’interno dei vari passaggi, i rinforzi esterni. Chi progetta interventi di self-management deve tenere a mente che i bambini con DDAI non riescono spesso a essere giudici sinceri dei loro comportamenti. Dal momento che tendono a ricordare quelli positivi e a non riconoscere quelli che invece influenzano negativamente i loro punteggi, sarebbe utile condurre una breve discussione in cui riepilogare i comportamenti che implicano l’assegnazione di punteggi negativi (Hinshaw & Melnick, 1992). La pianificazione di un sistema di self-management in classe per un bambino con DDAI prevede i seguenti passi: insegnare al bambino a utilizzare il sistema; fornirgli descrizioni chiare dei comportamenti attesi e stilare un elenco dei privilegi che lo studente potrà guadagnare. L’obiettivo di un simile 217 DDAI a Scuola intervento è quello di addestrare infine il bambino a monitorare il proprio comportamento all’interno della classe, senza ricevere un feedback costante dall’insegnante. METODOLOGIE DIDATTICHE EFFICACI In aggiunta ai vantaggi documentati derivanti dall’applicazione di strategie di contingency management, gli studenti con DDAI traggono, di solito, beneficio anche da tecniche di prevenzione, di gestione del comportamento e di gestione della classe. Inoltre, i bambini con questo disturbo possono richiedere modalità didattiche differenti o aggiuntive per accrescere la loro performance e le competenze scolastiche di base. In generale, un intervento teso a migliorare le difficoltà che questi studenti sperimentano in classe dovrebbe includere: (1) l’insegnamento attivo e costante delle regole, delle routine e dei comportamenti attesi; (2) la valutazione delle situazioni pratiche che possono sostenere le regole, le routine e le aspettative; (3) cambiamenti nelle routine educative e nei curricoli per accrescere i tassi di apprendimento; (4) il monitoraggio continuo dei progressi nelle competenze di base (per es., lettura, aritmetica e spelling) e (5) la trasmissione agli studenti di competenze organizzative e metodologiche. Nel considerare la performance e l’apprendimento di bambini con DDAI, si devono analizzare una serie di variabili, dalle competenze scolastiche di base ai comportamenti osservabili in classe che potenzialmente possono interferire con la performance. La tabella 5.5. fornisce un elenco non esaustivo di queste variabili. Per molti bambini che sperimentano difficoltà comportamentali e/o di rendimento in classe, il primo passo verso una soluzione del problema è rappresentato dal determinare se queste dipendano da deficit nelle competenze o da variabili situazionali, in modo da progettare un intervento appropriato. Tuttavia, una delle principali difficoltà, per i professionisti che trattano i bambini con DDAI, è rappresentata dal fatto che i problemi in classe sono probabilmente una combinazione di deficit nelle competenze e di variabili situazionali critiche. A causa di questa frequente interazione, andranno applicati trattamenti multipli in contesti differenti e attraverso agenti diversi. Le strategie discusse in questa sezione sono quelle che hanno ricevuto un supporto empirico per la loro efficacia nell’apportare miglioramenti alle difficoltà elencate nella Tabella 5.5. Tuttavia, si deve sottolineare che queste routine, prassi e metodologie didattiche sono state solo di recente sottoposte 218 Strategie di intervento per contesti scolastici a ricerche in cui si faceva un riferimento specifico ai loro effetti sull’apprendimento e sul comportamento di bambini con DDAI. TABELLA 5.5. Competenze e variabili situazionali da tenere in considerazione nella valutazione e nel trattamento di difficoltà associate al DDAI Competenze Variabili Situazionali Abilità di lettura Gravità dei sintomi del DDAI Abilità di scrittura Strategie di gestione della classe e tecniche motivazionali Abilità di spelling Routine educative Abilità aritmetiche Curricoli Metodo di studio, competenze organizzative e abilità di self-management Comunicazione casa-scuola Abilità sociali e interpersonali Interventi sul territorio (per es., farmaci) I ricercatori dell’Università di Lehigh stanno sviluppando e verificando un modello di consulenza per progettare trattamenti a scuola per studenti con DDAI (Promoting Academic Success for Students, Promuovere il Successo Accademico degli Studenti [PASS]). Questo modello decisionale, che si basa sulla raccolta di dati empirici, include procedure di consulenza che utilizzano il problem-solving (Bergan & Kratochwill, 1990); misure basate sul curricolo (Shinn, 1998) e la valutazione funzionale del comportamento a scuola (Witt, Daly & Noell, 2000). Nei prossimi anni, verranno raccolti dati sul successo formativo per consentire una valutazione costi-benefici degli interventi educativi che si basano su questo modello e per confrontarlo con quelli più comuni che si basano su un approccio “prove-ed-errori”. Molte delle strategie discusse in questa sezione saranno valutate nel corso di questo progetto di ricerca. Iniziamo la nostra presentazione focalizzandoci sui comportamenti proattivi dell’insegnante (ricordiamo che le strategie proattive sono quelle che vengono applicate prima della manifestazione di problemi comportamentali). 219 DDAI a Scuola Insegnare le regole e le aspettative della classe (Prevenzione) Gli spunti, gli input (inclusi i feedback sulla performance) o i segnali che l’insegnante da o non da possono essere piuttosto efficaci nella gestione di problemi comportamentali e nel promuovere un coinvolgimento attivo nel lavoro scolastico, nel completamento dei compiti e nell’accuratezza della performance (Paine, Radicchi, Rosellini, Deutchman & Darch, 1983; SulzerAzaroff & Mayer, 1991). Per dirla semplicemente, se si vuole che un altro individuo faccia qualcosa, il modo migliore per accrescere questa probabilità è comunicargli le aspettative in maniera chiara. Questo non vuol dire che gli insegnanti siano negligenti nelle richieste che fanno ai bambini con DDAI. Tuttavia, ognuno di noi, dimentica a volte di fare le cose “più semplici” mentre espleta le proprie responsabilità educative. Altre volte, crediamo fermamente di aver comunicato le nostre aspettative in modo chiaro e quindi, che non sia necessario fornire ulteriori spiegazioni. Prendiamo come esempio le regole della classe. Si da per certo che tutti i bambini, inclusi quelli con DDAI, che comprendono e seguono le regole della classe sperimenteranno un successo maggiore di quelli che non lo fanno (Madsen, Becker & Thomas, 1968; Paine et al., 1983). Tuttavia, a volte, non si ha ben chiara l’importanza che riveste la chiarezza con cui le regole vengono trasmesse e comprese. In uno studio pilota che indagava la comprensione delle regole della classe, Stoner e Green (1992a) hanno riscontrato che meno del 10% dei bambini intervistati di prima, seconda e terza riuscivano a ripetere o identificare le regole delle proprie classi. È ancora più importante e interessante che ciascun insegnante coinvolto credeva fermamente di aver trasmesso le regole con chiarezza e senza ambiguità. In un’indagine di follow-up con studenti più grandi, Johnson, Stoner e Green (1996) hanno trovato che la trasmissione attiva delle regole della classe a studenti di matematica di scuola superiore dava come risultato significativi miglioramenti comportamentali, anche per quegli studenti che erano stati all’inizio segnalati come problematici. Sono necessari altri studi su questa linea, per aiutarci nel comprendere meglio il ruolo e l’uso delle regole nel prevenire e affrontare i problemi di comportamento in classe. Le direzioni iniziali sulle variabili da includere in un simile lavoro sono state identificate da ricercatori educativi quali Martemns e Kelly (1993), Ysseldyke e Christenson (1987, 1988) e altri (per es., Elliott, Witt & Kratochwill, & Stoiber, 2002; Paine et al., 1983; Paine & Paine, 2002; Sprick, Borgmeier & Nolet, 2002). Questi professionisti hanno suggerito che i seguenti com220 Strategie di intervento per contesti scolastici portamenti proattivi dell’insegnante possono essere efficaci nel promuovere comportamenti appropriati in classe: 1. Gli insegnanti riepilogano agli studenti le regole della classe e le trasmettono attivamente attraverso la discussione in gruppo e la presentazione di esempi positivi (per es., “pizzicano” gli studenti che le stanno seguendo). 2. Gli insegnanti mantengono un contatto oculare con gli studenti quando si comportano in modo appropriato durante la lezione o l’attività in questione. 3. Gli insegnanti ricordano agli studenti i comportamenti attesi che rivestono un ruolo critico per l’attività da svolgere prima dell’inizio di tale attività. 4. Gli insegnanti passano tra i banchi mentre controllano il comportamento degli studenti e forniscono un feedback in forma discreta. 5. Gli insegnanti utilizzano segnali e input non verbali per ridirezionare uno studente mentre è coinvolto in attività di insegnamento con altri. 6. Il ritmo delle lezioni è vivace e guidato direttamente dall’insegnante. 7. Gli insegnanti si assicurano che gli studenti abbiano compreso le attività scolastiche e non (per es., quando un progetto si può considerare concluso, quali aspettative sono proprie della lezione odierna di matematica). Gli insegnanti gestiscono brevemente e con organizzazione i passaggi da un’attività all’altra (per es., enumerano le aspettative implicate nella transizione dalla matematica a un intervallo). 8.Gli insegnanti comunicano con chiarezza e frequentemente le proprie aspettative sull’utilizzo della lezione. Per esempio, Sprick e colleghi (2002) suggeriscono di rendere nota la “scaletta” del giorno (per es., scrivendola sulla lavagna) suddividendo le attività in blocchi temporali, esplicitando le aspettative comportamentali per ogni singolo blocco. Inoltre, raccomandano di inserire un’attività stimolante per gli studenti all’inizio di ogni ora di lezione. Queste attività sono relazionate con la lezione stessa e hanno lo scopo di coinvolgere gli studenti nell’argomento, per favorire il passaggio da un’altra attività, e di catturare il loro interesse e la loro attenzione. Includere queste procedure nelle routine giornaliere può essere utile per prevenire e gestire comportamenti di sfida. Inoltre, molte di queste strategie sono correlate a miglioramenti nel rendimento degli studenti (Martens & Kelly, 1993). Nel lavorare con studenti con DDAI, in aggiunta a valutare accuratamente le routine educative e della classe, gli insegnanti dovrebbero prendere in considerazione eventuali cambiamenti da apportare all’ambiente che permettono 221 DDAI a Scuola un monitoraggio più attento delle attività. Per esempio, mettere il banco del bambino vicino alla cattedra favorisce il monitoraggio e previene eventuali incomprensioni delle istruzioni date per un compito. Gli insegnanti dovrebbero anche considerare cambiamenti che assicurino la partecipazione alle attività della classe e che non restringano le opportunità di apprendimento, pur limitando la vicinanza a potenziali distrattori che sono presenti in ogni classe. Per esempio, un bambino con DDAI probabilmente non renderà se sarà seduto vicino a una zona della classe utilizzata con frequenza per molteplici attività. La didattica e il recupero delle competenze di base I tentativi di indagine condotti in classe, che includono bambini con DDAI, si sono focalizzati sui problemi di gestione del comportamento, come già illustrato nelle sezioni precedenti di questo capitolo. Al contrario, pochissime ricerche hanno avuto come oggetto la manipolazione delle metodologie didattiche, del curricolo e dell’ambiente allo scopo di favorire l’apprendimento e la performance scolastica di questi bambini. La nostra ipotesi è che questo dipenda dalla combinazione di due variabili. Primo, che i comportamenti disfunzionali sono la preoccupazione principale degli insegnanti e li inducono a inviare questi bambini agli specialisti. Secondo, che storicamente la teoria e la prassi della ricerca sul DDAI e sulle difficoltà a esso associate hanno avuto origine in ambito medico e clinico più che educativo. Tuttavia, questo insieme di circostanze ha iniziato a cambiare da quando i ricercatori in ambito educativo stanno valutando approcci quali il peer tutoring, la didattica con utilizzo del PC, modifiche alle istruzioni e alle assegnazioni e training sulle strategie da utilizzare per l’apprendimento e il rendimento di studenti con DDAI. Di seguito descriviamo queste procedure dopo aver brevemente affrontato alcuni aspetti basilari del processo didattico e delle metodologie per il recupero di competenze di base quali la lettura, la scrittura e lo spelling. Una trattazione esaustiva dell’argomento “processo didattico” va oltre il nostro scopo e sono disponibili numerosi testi a riguardo (vedere Berliner & Rosenshine, 1987, per una trattazione completa e accessibile dell’insegnamento in classe; vedere Shinn et al., 2002, per gli interventi in caso di problemi scolastici e comportamentali). Tuttavia, speriamo che questa presentazione innescherà un futuro sviluppo della ricerca sulle procedure da applicare in classe che colleghino il DDAI con le metodologie didattiche. 222 Strategie di intervento per contesti scolastici Processi Istruttivi di base Come analizzato e discusso da Rosenshine (1987), un insegnamento efficace implica la predisposizione sequenziale di sei funzioni istruttive primarie: ripasso, presentazione, esercizi guidati, correzioni e feedback, esercizi in autonomia e ripassi settimanali o mensili. Per esempio, la fase di ripasso comprende la verifica dei pre-requisiti e la discussione di materiali precedentemente studiati che si collegano con l’argomento attuale. In seguito, si presentano le informazioni o i contenuti nuovi (per es., eventi, discriminazioni, concetti base e relazioni) in blocchi o unità gestibili singolarmente, utilizzando esempi chiari, positivi e negativi. Una volta che sono stati presentati i contenuti e gli esempi, si forniscono agli studenti numerose opportunità di esercizio guidato che abbiano elevate probabilità di successo. Successivamente, sulla base della performance esibita dallo studente negli esercizi guidati, l’insegnante fornisce correzioni e feedback e, se necessario, rispiega alcuni concetti per rafforzare l’apprendimento. Quando gli studenti sono in grado di rispondere correttamente, per un tempo prolungato, alle domande e ai quesiti sul nuovo apprendimento, sono pronti per l’esercizio autonomo. Il lavoro autonomo ha lo scopo di generare fluenza e indipendenza nel trattare il materiale nuovo, in modo che gli studenti riescano ad applicare i nuovi apprendimenti a situazioni differenti e a riconoscerli in contesti vari. Infine, si forniscono opportunità di ripasso settimanali e mensili, ancora con l’intento di cementare la fluenza e l’indipendenza nell’applicazione dei contenuti appresi. In una trattazione su ciò che egli definisce “gli aspetti semplici dell’insegnamento efficace” Berliner (1987, p. 93) suggerisce che queste funzioni istruttive promuovano l’apprendimento dello studente per due ragioni. Primo, perché tali strategie assicurano che agli studenti venga data l’opportunità di apprendere ciò che dovrebbero. Secondo, perché attraverso il circolo “ripasso, esercizio, feedback, correzioni e nuovo esercizio”, gli insegnanti si assicurano che gli studenti applichino gli apprendimenti in modo corretto e che diventino più veloci. Tutto ciò permette di evitare quelle situazioni in cui gli studenti ripetutamente compiono il loro lavoro a scuola con errori, rafforzando così “regole errate” (per es., eseguire un’addizione in presenza del segno “-” ed eseguire una sottrazione davanti al “+”). Inoltre, questi fattori possono essere manipolati e personalizzati in funzione di materiali o studenti difficili. Per esempio, si possono fornire più occasioni di esercizio e un feedback più 223 DDAI a Scuola frequente in caso di materiale suddiviso in unità didattiche più piccole, se si insegna a uno studente che ha delle difficoltà in una materia specifica. Il supporto didattico e le metodologie di recupero descritti di seguito comprendono elementi associati a una migliore performance in bambini con DDAI. Questi fattori includono la possibilità di apprendere attraverso risposte attive alle indicazioni e istruzioni dell’insegnante, combinate con feedback e correzioni frequenti. Illustriamo qui brevemente queste procedure, allo scopo di fornire al lettore interessato una direzione di studio o di approfondimento. Abilità di lettura I risultati della ricerca suggeriscono che il successo nella lettura nei primi anni di scuola influenza il futuro rendimento e adattamento scolastico (Chall, 1983). Come tali, le abilità di lettura sono un mattone essenziale per l’esperienza formativa positiva di un bambino (Anderson, Hiebert, Scott & Wilkinson, 1985). I bambini con DDAI rischiano maggiormente di avere difficoltà di lettura rispetto ai loro coetanei (O’Reilly, 2002). La didattica e il recupero nella lettura possono essere pienamente valutati se suddivisi nelle aree connesse della decodifica e della comprensione. Trarre significato da informazioni scritte implica la decodifica del testo. È talmente importante per un bambino apprendere il processo di decodifica, che il Consiglio Nazionale delle Ricerche (1998) e l’Osservatorio Nazionale sulla Lettura (2000) hanno ritenuto fondamentale la trasmissione di nozioni di fonetica, come componente essenziale della didattica precoce della lettura, per tutti i bambini. In modo simile, altri ricercatori illustri nel campo della didattica della lettura (Adams, 1998; Carnine, Kameenui & Silbert, 1990; Simmons et al., 2002) suggeriscono che un training sistematico sulla fonetica dovrebbe essere parte dei primi 2 anni di istruzione dei bambini. Grossen e Carnine (1991) evidenziano quattro componenti essenziali nella didattica della lettura: (1) insegnare la corrispondenza lettera-suono; (2) insegnare la fusione dei suoni; (3) fornire correzioni e feedback immediati agli errori nella lettura orale e (4) fornire occasioni di esercizio prolungato utilizzando solo suoni, liste di parole e parole inserite in brani di lettura. Gli studenti che sviluppano competenze fluenti di decodifica sono preparati a diventare dei lettori esperti che traggono significato da ciò che leggono, dal momento che le abilità di decodifica fanno da complemento ad altre forme di didattica della lettura. Una didattica della lettura che sia completa include molto di più delle competenze fonetiche. Per esempio, Sindelar, Lane, Pullen e Hudson (2002) 224 Strategie di intervento per contesti scolastici hanno suggerito che gli studenti con difficoltà di lettura possano trarre beneficio da una serie di strategie che rientrano in tre grandi aree primarie: (1) la costruzione della fluenza lettura/decodifica; (2) la costruzione del vocabolario e (3) il rafforzamento delle abilità di comprensione. Alcune di queste strategie sono di seguito illustrate. Si può costruire fluenza nella lettura e nella decodifica attraverso letture ripetute di alcuni brani (O’Shea, Sindelar & O’Shea, 1987; Samuels 1979) e l’analisi preventiva di nuove letture (Rose & Sherry, 1984). Entrambe queste procedure migliorano la fluenza nella lettura e la comprensione in studenti con difficoltà di apprendimento. Baker, Gersten e Grossen (2002) suggeriscono anche che, in una didattica della lettura che aspiri a essere esaustiva, sono necessari esercizi sistematici sul vocabolario. Sindelar e Stoddard (1991) hanno evidenziato che numerosi studi di ricerca documentano l’efficacia di alcune strategie di costruzione del vocabolario quali l’insegnamento di sinonimi, attraverso l’esercizio di accoppiamento di parole stampate (Pany, Jenkins & Shreck, 1982), l’insegnamento di insiemi di parole che appartengono a un’unica categoria (Beck, Perfetti & McKeown, 1982) e l’insegnamento preventivo di parole nuove contenute all’interno di un brano di lettura assegnato successivamente (Wixon, 1986). In ultimo, non certo per importanza, delineiamo alcune metodologie didattiche che permettono di accrescere la comprensione del materiale letto. Prima di tutto, come evidenziato da Grossen e Carnine (1991), leggere per capire implica abilità di decodifica. Data una certa fluenza nella decodifica, si possono utilizzare una serie di tecniche didattiche per accrescere la comprensione (per una rassegna, vedere Baker et al., 2001; Simmons et al., 2002; Sindelar et al. 2002). Per esempio, le discussioni pre-lettura dei testi assegnati possono aiutare a fornire al materiale da leggere una cornice di riferimento, che lo studente possa comprendere e con cui possa relazionarsi. Si possono ricercare le conoscenze pregresse e le informazioni sul brano da leggere e integrarle, e lo stesso si può fare con il vocabolario necessario al processo di comprensione. In aggiunta a queste attività di pre-lettura, si possono utilizzare altre procedure durante la lettura di un brano o dopo averla conclusa. Si può insegnare agli studenti a comprendere il contenuto e la struttura di ciò che stanno leggendo ponendosi una serie di domande note come “la grammatica della trama” o “i pattern della trama” (Carnine & Kinder, 1985). Si può anche insegnare loro a costruire diagrammi o mappe concettuali del brano per facilitare la comprensione del contenuto (Grossen & Carnine, 1991). Anche lo 225 DDAI a Scuola sviluppo delle abilità di scrittura e di spelling può migliorare la comprensione del materiale letto (Anderson et al., 1985). Oltre alla didattica della lettura, tutta la didattica del linguaggio si focalizza sullo sviluppo delle abilità di scrittura e di spelling. Entrambe queste competenze sono critiche per costruire competenze di comunicazione funzionale. Detta diversamente, le abilità di scrittura e di spelling permettono allo scrittore di raggiungere lo scopo desiderato sul lettore. La trattazione di questo argomento va al di là dello scopo di questo testo, pertanto, indirizziamo i nostri lettori all’eccellente manuale di Graham e Harris (2002) sulla scrittura e lo spelling e sugli interventi che possono migliorare queste competenze in studenti con una bassa performance. Ovviamente, questa nostra trattazione sulle tecniche didattiche e sulle abilità scolastiche è tutt’altro che esaustiva. Tuttavia, gli insegnanti e gli psicologi della scuola che hanno una conoscenza approfondita della materia possono utilizzare interventi didattici per costruire programmi educativi esaustivi ed efficaci per studenti con DDAI e difficoltà di lettura. Competenze organizzative e metodologiche I bambini con una diagnosi di DDAI manifestano spesso una serie di difficoltà nel completamento dei compiti, nell’organizzazione del banco e di altri materiali, nel seguire le indicazioni e nello studio dei testi (Barkley, 1998; Todd et al., 2002). I bambini che sperimentano simili problemi possono trarre benefici da specifiche istruzioni organizzative e metodologiche. Un insieme completo e organizzato di strumenti testati sul campo, per trasmettere competenze organizzative e metodologiche a studenti delle scuole elementari e secondarie, è stato pubblicato nel testo Skills for School Success di Archer e Gleason (Competenze per riuscire a scuola; 1989) e contiene materiali idonei per entrambi gli ordini di scuola. L’obiettivo di questi autori era quello di preparare un curricolo per l’insegnamento di abilità di studio per riuscire a raccogliere, rispondere a e organizzare le informazioni. In questo modo, gli studenti sarebbero incoraggiati a divenire più attivamente coinvolti nel processo di apprendimento in classe. Un lavoro simile, focalizzato sulle strategie per studenti di scuola secondaria, è stato condotto all’Università del Kansas da Donald Deshler, Jean Schumaker e dai loro colleghi (Deshler & Schumaker, 1988; Ellis, Deshler & Schumaker, 1989; Schumaker, Deshler & McKnight, 2002). Come mostrato da Gleason, Archer e Colvin (2002), si possono insegnare agli studenti numerosi modi per ottenere informazioni dal materiale scritto. 226 Strategie di intervento per contesti scolastici Questi includono una pre-analisi del testo per individuare le idee e gli argomenti principali; la lettura del brano; la risposta concomitante a domande sul contenuto e l’utilizzo di tecniche per prendere appunti scrupolosi e completi sul materiale letto. Nell’ambito della comprensione dei materiali scritti, i bambini devono anche imparare a leggere e comprendere mappe concettuali, grafici, figure e altri input visivi che spesso accompagnano il testo scritto. Una seconda area di competenze di studio si occupa dell’utilizzo dell’informazione raccolta dal testo per rispondere a domande o ad altre richieste relative al materiale letto. In questo ambito, il curricolo contenuto nel libro Skills for School Success include: lezioni sulla lettura e la risposta a domande conclusive sull’unità didattica; sull’organizzazione e la preparazione di sintesi scritte di contenuti letti e sulla risposta a quiz o test. Per esempio, per preparare uno studente ad affrontare i quiz o i test, gli si insegna a prevedere il probabile contenuto di un test, a studiare e a prepararsi per il test e a rispondere a particolari tipologie di domande, come quelle a scelta multipla. Infine, Archer e Gleason (1989) hanno costruito anche delle lezioni per i bambini di scuola elementare sulla gestione del tempo e sull’organizzazione dei materiali a scuola. Si affrontano tre argomenti principali: l’organizzazione del quaderno degli appunti; la preparazione e l’utilizzo di un calendario per i compiti; la schematizzazione e il completamento del compito su un foglio in forma chiara e ben organizzata. Per esempio, nel caso di compiti scritti, si insegna agli studenti la strategia HOW. Questa tecnica insegna a curare, nell’esecuzione di un compito scritto, l’Intestazione (Heading) del foglio, nome; data e materia; l’Organizzazione (Organization), inclusi margini e interlinee e infine la Scrittura (Written) in forma chiara, scrivere nelle righe e cancellare, se necessario, lasciando pulito. Per ognuna di queste aree di competenza, si suggerisce agli insegnanti di fornire prima modelli adeguati, di fare poi esercitare gli studenti regolarmente e infine di dare, quando necessario, feedback positivi e correzioni. Pochi potrebbero non concordare sull’importanza di queste competenze organizzative e metodologiche per tutti gli studenti, anche per quelli con DDAI. A noi sembra anche chiaro che devono ancora essere indagati gli effetti di un insegnamento diretto di queste competenze a bambini con DDAI. Altre strategie utili per affrontare direttamente le difficoltà scolastiche degli studenti con questo disturbo sono: il peer tutoring; la didattica tramite l’uso del PC; le modifiche al compito e alle istruzioni e l’allenamento nell’uso di specifiche tecniche didattiche. 227 DDAI a Scuola PEER TUTORING Secondo Greenwood, Delquadri e Carta (2002), il peer tutoring può essere definito come una qualunque procedura didattica in cui due studenti lavorano insieme su un’attività scolastica con uno studente che assiste, da indicazioni e feedback all’altro. Esistono vari approcci al peer tutoring che condividono le caratteristiche di questa descrizione, ma che differiscono per le tecniche utilizzate. Per esempio, i modelli si distinguono in relazione al focus didattico (per es., acquisizione di competenze vs. esercizio di competenze), alla struttura del tutoring (per es., reciproco vs. unidirezionale) e alle componenti procedurali (numero di incontri a settimana, metodi di accoppiamento degli studenti, tipi di sistemi motivazionali utilizzati) (per una rassegna, vedere Fuchs, Fuchs, Phillips, Hamlett & Karns, 1995; Greenwood et al., 2002). Nonostante queste differenze, tutti i modelli di peer tutoring condividono caratteristiche note per apportare miglioramenti all’attenzione sostenuta degli studenti con DDAI. Queste caratteristiche sono: (1) un’interazione uno-a-uno; (2) un ritmo di apprendimento stabilito da chi apprende; (3) input costanti sulla performance scolastica e (4) feedback immediato sulla qualità della performance (Pfiffner & Barkley, 1998). Diversi studi di ricerca hanno utilizzato il ClassWide Peer Tutoring (Peer Tutoring per Tutta la Classe; CWPT; Greenwood et al., 1998, 2002) in classi normali che includevano studenti con DDAI. Il CWPT si è rivelato efficace nell’accrescere le competenze aritmetiche, di lettura e spelling degli studenti a tutti i livelli di rendimento (per una rassegna, vedere Greenwood et al., 2002). Questa forma di peer tutoring include le seguenti componenti: 1. suddivisione della classe in due squadre; 2. formazione di gruppi di tutoring da due all’interno di ogni squadra; 3. turnazione fra i due studenti nel ruolo di tutor; 4. consegna ai tutor dei compiti scolastici (per es., esercizi di matematica con le soluzioni); 5. elogi e assegnazione di punti in seguito a risposte corrette; 6. correzione immediata degli errori e possibilità di esercitarsi sulle risposte corrette; 7. supervisione delle coppie di tutoring da parte dell’insegnante e assegnazione di punteggi bonus a quelle che seguono le indicazioni fornite e 8. trascrizione dei punteggi di ogni individuo alla fine di ogni sessione. Le sessioni di tutoring durano di solito 20 minuti con ulteriori 5 minuti dedicati alla registrazione del progresso dello studente e al riordino dei materiali. 228 Strategie di intervento per contesti scolastici È interessante che i punti non servono da scambio per rinforzi secondari, ma, alla conclusione di ogni settimana, la squadra con più punti riceve un applauso dall’altra. Uno studio controllato sul CWPT condotto su un bambino di 7 anni con DDAI, in una classe normale di seconda elementare, ha dato risultati promettenti (DuPaul & Henningson, 1993). È stata analizzata l’influenza dell’uso del CWPT, rispetto alla condizione di baseline, durante le istruzioni e il lavoro autonomo al banco, focalizzandosi sui comportamenti attinenti al compito, sull’irrequietezza e sulla performance in matematica. Il CWPT si è rivelato efficace nel generare aumenti significativi nei comportamenti attinenti al compito e riduzioni consistenti nell’irrequietezza durante le lezioni di matematica rispetto alle condizioni didattiche usuali. I risultati relativi alla performance in matematica erano meno consistenti, anche se lo studente aveva fatto dei progressi notevoli. In una replicazione ed estensione di questo lavoro su un gruppo più ampio di studenti che mostravano comportamenti significativi associati al DDAI, DuPaul, Ervin, Hook e McGoey (1998) hanno esaminato gli effetti del CWPT sulla performance scolastica e sul controllo del comportamento in 19 studenti (16 ragazzi, 3 ragazze; età media = 7.5) con DDAI dalla prima alla quinta elementare all’interno di una classe normale. Le misure di valutazione dei risultati includevano: l’osservazione diretta dei comportamenti associati al DDAI; la raccolta di punteggi assegnati dall’insegnante; punteggi di selfreport; pre e post-test settimanali. Il CWPT è stato applicato nelle ore di aritmetica, spelling e lettura a seconda dell’area identificata come la più debole per ciascuno studente con DDAI. I risultati dello studio di DuPaul e colleghi hanno indicato che il coinvolgimento attivo degli studenti con DDAI aumentava considerevolmente passando dal 21.6% della baseline a una media del 82.3% durante l’applicazione del CWPT. Si sono riscontrate concomitanti riduzioni nei comportamenti non attinenti al compito. Inoltre, i punteggi dei bambini ai post-test settimanali erano migliorati passando da una media di 55.2% nella baseline a un 73% nelle condizioni di CWPT, indicando pertanto che questo intervento influenzava sia i comportamenti attentivi sia la performance a scuola. Simili progressi nel comportamento e nella performance scolastica si registravano anche per i compagni di classe senza DDAI, comprovando il fatto che il peer tutoring può aiutare tutti gli studenti, non solo quelli con problemi e disabilità. Inoltre, gli insegnanti e gli studenti partecipanti allo studio di DuPaul e colleghi hanno tutti riferito che il CWPT era accettabile ed efficace. 229 DDAI a Scuola In generale, queste ricerche forniscono prove consistenti del fatto che il peer tutoring è una strategia di intervento in grado di migliorare la partecipazione attiva, la performance scolastica e, forse, le interazioni sociali di molti studenti, inclusi quelli con DDAI. Dato che gli studenti con DDAI mostrano difficoltà significative quando si chiede loro di completare compiti autonomi, il peer tutoring fornisce un modello didattico alternativo per l’esercizio e l’affinamento delle abilità scolastiche. DIDATTICA TRAMITE L’UTILIZZO DEL PC L’impiego di tecniche didattiche che prevedono l’utilizzo del PC (Computer-Assisted Instructions, CAI) è raccomandato perché accresce i comportamenti produttivi e attinenti al compito degli studenti con DDAI Si è supposto che le caratteristiche didattiche del CAI permettano agli studenti con DDAI di focalizzare l’attenzione sugli stimoli scolastici (Lillie, Hannun & Stuck, 1989; Torgesen & Young, 1983). Il CAI ha cioè il potenziale per presentare immediatamente specifici obiettivi didattici; per mettere in risalto il materiale essenziale (per es., attraverso caratteri grandi e il colore); per utilizzare modalità sensoriali multiple; per suddividere il materiale in tranci di informazioni più piccoli e per fornire un feedback immediato sull’accuratezza della risposta. Inoltre, il CAI può limitare facilmente la presentazione di aspetti non essenziali che potrebbero fungere da potenziali distrattori (per es., effetti sonori, animazione). Pochi studi hanno indagato gli effetti positivi del CAI sugli studenti con DDAI. Come esempio di un intervento scolastico mediato dal computer, Ota e DuPaul (2002) hanno esaminato gli effetti dell’utilizzo di un software con un formato grafico tipico di un gioco (Math Blaster) sul miglioramento del rendimento in matematica. I partecipanti erano tre studenti maschi, bianchi, dalla quarta elementare alla prima media, con DDAI. Il software è stato introdotto dopo un periodo di baseline (osservazione in condizioni normali) in forma sequenziale, all’interno di un disegno a soggetto singolo con baseline multipla. I dati osservativi sono stati raccolti nel periodo di baseline e in quello della condizione sperimentale in aggiunta a un insieme di esercizi di matematica adeguati al livello scolastico, che sono stati somministrati diverse volte a settimana nel corso della ricerca. Tutti e tre i partecipanti hanno mostrato un qualche miglioramento nella loro performance negli esercizi di matematica basati sul curricolo; la consistenza di questi miglioramenti, tuttavia, variava 230 Strategie di intervento per contesti scolastici fra gli individui (ossia gli effetti erano stati particolarmente rilevanti per due studenti). Inoltre, tutti e tre i partecipanti mostravano una riduzione sostanziale di comportamenti disfunzionali non attinenti al compito in funzione dell’interazione con il software. I risultati di questi studi forniscono delle evidenze iniziali per il personale scolastico sul fatto che il CAI può essere un’alternativa didattica efficace, almeno per alcuni bambini con DDAI. Permettere agli studenti di utilizzare il CAI può portare a miglioramenti nel completamento del compito e nei comportamenti relativi. Tuttavia, le caratteristiche del software potrebbero influenzare le reazioni degli studenti con DDAI. I software con caratteristiche grafiche simili a quelle dei giochi e con l’animazione potrebbero essere più efficaci di programmi puramente istruttivi o del tipo “apprendi-ed-esercita”. Chiaramente, esiste la necessità impellente di continuare la ricerca sul CAI per studenti affetti da questo disturbo. MODIFICAZIONI NEL COMPITO E NELLE ISTRUZIONI Modificazioni nel compito Un altro tipo di intervento scolastico che può migliorare la performance scolastica degli studenti con diagnosi di DDAI è la modificazione del compito (Task Modification, TM). La TM implica una revisione del curricolo, o di alcuni suoi punti, nel tentativo di ridurre i problemi comportamentali e di accrescere gli atteggiamenti appropriati in classe. Inoltre, la TM è una strategia proattiva; dal momento che i cambiamenti vengono messi in atto prima di presentare il contenuto allo studente. Si ritiene che questo tipo di modificazione scolastica positiva risponda maggiormente ai bisogni individuali dello studente (Meyer & Evans, 1989). Un tipo di TM, e precisamente la scelta dell’attività da svolgere, prevede che lo studente possa esprimere una preferenza sul compito che vuole eseguire, scegliendo fra due o più alternative offertegli contemporaneamente. Studi precedenti che indagavano gli effetti della scelta dell’attività sugli studenti con disturbi evolutivi avevano dimostrato un aumento di scambi sociali e una diminuzione nei livelli di comportamenti disfunzionali (Dyer, Dunlap & Winterling, 1990; Koegel, Dyer & Bell, 1987). In uno studio recente condotto da Dunlap e colleghi (1994) sono stati valutati gli effetti della scelta nel contesto classe. In questo caso, si verificavano gli effetti della scelta del compito sul coinvolgimento attivo e sui comportamenti disfunzionali in tre studenti con 231 DDAI a Scuola disturbi emotivi e del comportamento. Dei tre partecipanti, un maschio di 12 anni aveva una diagnosi di DDAI. A questo studente è stata fornita una lista di compiti scolastici di Inglese e di Spelling fra i quali scegliere. I risultati dello studio hanno indicato che la scelta dell’attività aveva generato, con una certa affidabilità e consistenza, un aumento del coinvolgimento nel compito e concomitanti riduzioni nei comportamenti disfunzionali. Pertanto, la scelta dell’attività può essere una modificazione del compito piuttosto efficace per studenti con DDAI. La scelta non permette solo agli studenti di essere maggiormente coinvolti e di mostrare minori comportamenti disfunzionali, ma promuove anche l’iniziativa e l’indipendenza degli studenti stessi. Tuttavia, non è chiaro se questo tipo di TM sia efficace nel migliorare la performance scolastica. Vista la premessa che i bambini con DDAI hanno bisogno di una stimolazione cognitiva maggiore dei loro coetanei sani, poche ricerche hanno ancora studiato gli effetti di cambiamenti intra-attività (Zentall, 1989; Zentall & Leib, 1985). In uno studio condotto in una classe, Zentall e Leib (1985) hanno verificato gli effetti di una variazione nella struttura del compito sui livelli di attività e sulla performance dei bambini all’interno di un disegno a misure ripetute. Otto partecipanti, identificati come iperattivi, sono stati assegnati casualmente a una delle due condizioni sperimentali per la classe di arte, in cui venivano introdotti dei cambiamenti nella struttura dell’assegnazione del compito (istruzioni esplicite con l’utilizzo di materiale vs. istruzioni non specifiche senza utilizzo dei materiali). I risultati hanno indicato decrementi significativi nel livello globale di attività dei partecipanti e hanno suggerito che la modificazione delle richieste del compito può influenzare questi livelli in bambini definiti iperattivi. In un’altra ricerca condotta in classe, Zentall (1989) ha esaminato se l’aggiunta di colori a indicazioni importanti in un compito di spelling apportasse miglioramenti alla performance di bambini iperattivi. I partecipanti erano 20 bambini iperattivi e 26 ragazzi di controllo, precedentemente valutati nello spelling, che erano stati assegnati casualmente a una delle due condizioni sperimentali. I risultati di questa ricerca hanno indicato che i partecipanti identificati come iperattivi mostravano una performance migliore rispetto a quelli del gruppo di controllo quando il colore veniva aggiunto nei compiti di spelling. È interessante che l’aggiunta del colore in passaggi non rilevanti del compito faceva invece decrescere la performance. Le implicazioni educative di questi risultati suggeriscono che l’aggiunta del colore a componenti rilevanti 232 Strategie di intervento per contesti scolastici del compito poteva accrescere l’attenzione ai dettagli e pertanto migliorare la performance dei bambini con DDAI. Tuttavia, il fatto che i compiti di spelling siano altamente strutturati e che le misure del rendimento scolastico fossero limitate riduce il grado di generalizzabilità di questi risultati. In uno dei primi studi che utilizzava procedure di valutazione funzionale nel contesto classe, Ervin, DuPaul, Kern e Friman (1996) hanno indagato l’effetto della TM sulla performance scolastica dei bambini con DDAI. Sulla base dei risultati di un’analisi descrittiva, si supponeva che la partecipazione al compito di due studenti maschi con DDAI sarebbe migliorata in seguito a modificazioni nel compito. Utilizzando un breve disegno con ritorno alle condizioni di partenza, sono stati indagati gli effetti di un metodo di scrittura alternativa in un partecipante maschio. Questo metodo comprendeva la discussione nel gruppo di pari, un brainstorming e l’utilizzo del computer per scrivere un giornale. Permettere al partecipante di modificare i compiti scritti aveva portato a diminuzioni clinicamente significative dei comportamenti non attinenti al compito. Nello specifico, la percentuale di intervalli in cui non si osservavano comportamenti non attinenti al compito era maggiore se si permetteva al ragazzo di utilizzare il computer (M = 96.8%) rispetto alla situazione in cui doveva scrivere a mano (M = 64.8%). Per l’altro studente con diagnosi di DDAI, l’ipotesi era che permettergli di prendere appunti durante la lezione avrebbe portato a un numero minore di comportamenti non attinenti al compito rispetto alla situazione di ascolto passivo. I risultati di questa piccola manipolazione sperimentale hanno provato che la percentuale di intervalli in cui non si osservavano comportamenti non attinenti al compito era decisamente maggiore quando il ragazzo prendeva gli appunti (M = 97.8%) rispetto alle situazioni in cui non applicava questa tecnica (M = 54.5%). Questi risultati sono limitati dal periodo breve di applicazione dell’intervento e dall’assenza di dati sulla performance scolastica; tuttavia, sono interessanti e suggeriscono future direzioni di ricerca. Modificazioni nelle istruzioni In modo simile alla TM, si possono effettuare modifiche nelle istruzioni specifiche (Instructional Modifications, IM) per migliorare i contesti scolastici di studenti che esibiscono difficoltà di attenzione, impulsività o iperattività. Come già affermato, pochi studi hanno indagato questa tipologia di intervento con studenti che manifestano comportamenti associati al DDAI. 233 DDAI a Scuola Per esempio, Skinner, Johnson, Larkin, Lessley e Glowacki (1995) hanno verificato l’influenza di due modalità di presentazione, veloce (FTW) e lenta (STW), in un compito di lettura di un elenco di parole. Uno dei tre partecipanti aveva un DDAI. Le misure valutavano l’accuratezza nella lettura in condizioni di baseline, FTW e STW. Nella condizione STW si manifestavano percentuali maggiori di accuratezza nella lettura. Questi risultati suggeriscono che alcune modalità di presentazione scritta delle parole possono influenzare l’accuratezza nella lettura in studenti con DDAI. I dati ricavabili dalla letteratura di ricerca corrente suggeriscono che cambiamenti nel compito o nelle istruzioni possono ridurre i comportamenti disfunzionali, migliorare il coinvolgimento e la performance scolastica. Inoltre, queste tipologie di cambiamento possono essere applicate quotidianamente in classe, con una minima preparazione da parte dell’insegnante. Tuttavia, bisogna sottolineare che questi risultati sono limitati a effetti immediati e a breve termine. Anche questa è nuovamente un’area da sottoporre a ulteriori indagini. TRAINING DI STRATEGIE SPECIFICHE Infine, un altro intervento scolastico prevede l’insegnamento allo studente di specifiche strategie da utilizzare in classe mentre svolge compiti scolastici. Il training di strategie (ST) prevede che l’insegnante addestri gli studenti a utilizzare un insieme di tecniche che servono ad affrontare specificamente le richieste imposte da compiti scolastici. Questa tipologia di intervento è davvero promettente per studenti con una diagnosi di DDAI, dal momento che può renderli facilmente più responsabili del loro comportamento in classe. Tuttavia, anche in questo caso pochi sono gli studi che hanno valutato l’utilizzo della ST in questa popolazione. Il training di strategie sembra applicabile particolarmente agli adolescenti affetti da DDAI, anche se, di nuovo, ci sono pochi studi a cui fare riferimento. Al livello di scuola secondaria, gli studenti con DDAI possono manifestare scarse competenze organizzative e metodologiche, cosa che contribuisce al rischio di scarso rendimento (Shapiro, DuPaul, Bradley & Bailey, 1996). Per esempio, gli studenti con questo disturbo possono avere difficoltà a seguire le istruzioni date e a prendere appunti ben strutturati da ripassare in seguito. Migliorare la tecnica con cui gli adolescenti con DDAI prendono gli appunti, potrebbe forse accrescere la loro performance scolastica e comportamentale 234 Strategie di intervento per contesti scolastici nella classe. Una di queste tecniche è la Directed Notetaking Activity (Prendere appunti sotto supervisione, DNA; Spires & Stone, 1989). In questo caso, gli studenti apprendono la tecnica sotto la direzione dell’insegnante che fornisce loro anche alcuni input, nel tentativo di accrescere i comportamenti attinenti al compito e la comprensione del materiale e di ridurre la frequenza dei comportamenti disfunzionali. Nello specifico, l’insegnante da istruzioni su come prendere appunti mostrando come estrarre i dettagli importanti e le idee principali dal contenuto trasmesso. Gli input dell’insegnante diminuiscono progressivamente fino al momento in cui gli studenti sono in grado di produrre indipendentemente una sintesi del contenuto della lezione. Evans, Pelham e Grudberg (1995) hanno esaminato gli effetti del DNA su adolescenti con diagnosi di DDAI. Nel primo esperimento, 16 adolescenti con DDAI (13 maschi, 3 femmine) che frequentavano un programma di intervento estivo, ricevevano un training nel DNA. Questo programma estivo includeva attività scolastiche e ricreative. Ogni settimana, gli input sugli appunti e le istruzioni che l’insegnante dava, diminuivano progressivamente: da una sintesi del contenuto fornita dall’insegnante stesso si passava a una pagina bianca dove prendere da soli gli appunti. I risultati hanno mostrato che i partecipanti conseguivano miglioramenti significativi nella qualità degli appunti presi. Inoltre, registravano anche un numero sempre maggiore di dettagli. Questi dati suggeriscono che gli adolescenti con DDAI possono migliorare le loro competenze nel prendere appunti con la procedura DNA. Nello stesso studio, Evans e colleghi (1995) hanno anche indagato l’efficacia della tecnica DNA sul processo e sui risultati dell’atto di prendere appunti. 14 adolescenti inseriti in un programma di trattamento estivo ricevevano un training nel DNA per 3 settimane. Si valutava, in seguito, il profitto dei partecipanti nell’utilizzo della strategia appresa in quattro condizioni sperimentali. I risultati indicavano che l’intervento faceva aumentare significativamente i comportamenti attinenti al compito e la performance nei compiti giornalieri. Bisogna tuttavia sottolineare che questo trattamento non induceva miglioramenti significativi nei punteggi ai quiz e non riduceva i comportamenti disfunzionali. I risultati complessivi di questo studio indicano che le strategie per prendere appunti possono migliorare i comportamenti attinenti al compito e la performance in classe di adolescenti con DDAI. Inoltre, maggiore è la qualità e l’organizzazione degli appunti, minore è l’esibizione di comportamenti disfunzionali. 235 DDAI a Scuola CONSIDERAZIONI SU STUDENTI DI SCUOLA SECONDARIA La ricerca sulle strategie di intervento efficaci per gli adolescenti è scarsa. Infatti, nella loro meta-analisi sugli interventi in classe per studenti con DDAI, DuPaul e Eckert (1997) sono riusciti a individuare solo due studi che si occupavano specificamente della performance di studenti con un’età superiore ai 13 anni. Dati i problemi che gli studenti con DDAI incontrano nel rendimento scolastico, nelle abilità di studio, nel sottoporsi ai test e nell’adattamento in generale, questa è di nuovo un’altra area da sottoporre a indagini future. Le tecniche fin qui presentate che necessitano di considerazioni particolari nel caso di adolescenti includono: il contingency contracting, la didattica con l’utilizzo del computer e la trasmissione di competenze organizzative e metodologiche. Inoltre, un testo recente di Robin (1998) fornisce alcune linee guida e indicazioni utilissime per i professionisti e le famiglie che hanno a che fare con adolescenti con DDAI in contesti scolastici e casalinghi. Questo gruppo di studenti rappresenta infatti una sfida molto impegnativa, a causa dell’interazione fra la natura cronica del DDAI e le caratteristiche generali dell’adolescenza. Queste caratteristiche includono maggiori richieste e aspettative scolastiche e sociali, autonomia nel comportamento, nel giudizio e nell’autoregolazione. Inoltre, queste aspettative si verificano all’interno di contesti sempre più complessi, che comprendono la conclusione degli studi secondari, la pianificazione di un futuro lavoro e/o di un’istruzione ulteriore e la negoziazione con la famiglia di responsabilità quali la patente di guida, il coinvolgimento in attività sociali, l’abuso di sostanze, legami sentimentali e rapporti sessuali e l’andare a vivere da soli. Il supporto agli adolescenti in tutti questi ambiti può assumere forme differenti. Per esempio, in ambito scolastico, è probabile che gli studenti abbiano bisogno di supporto e di istruzioni dirette sulle competenze organizzative e metodologiche quali prendere appunti, studiare per e affrontare un test e portare a termine assegnazioni a lungo termine (vedere Robin, 1998, per una trattazione completa degli adattamenti possibili). Questi studenti potrebbero inoltre avere bisogno di un supporto maggiore nel progettare il loro futuro lavorativo e formativo. Per esempio, numerosi college e università hanno eccellenti programmi di sostegno per studenti con disturbi; essere a conoscenza di queste possibilità può diventare molto importante per questi studenti. È anche importante diventare eccellenti avvocati di se stessi: conoscere i propri diritti, il proprio disturbo e i propri punti di debolezza e di forza. Una 236 Strategie di intervento per contesti scolastici simile consapevolezza riveste un’importanza critica nel successo accademico universitario, dal momento che permette di accedere ai sostegni e alle fonti di supporto disponibili. Una via promettente per sostenere gli adolescenti con DDAI è quella di seguirli in una relazione uno-a-uno, affinché riescano a raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati. A questo proposito, Dawson e Guare (1998) hanno pubblicato il manuale Coaching the ADHD Student (Allenare lo Studente con DDAI), che fornisce una serie di linee guida, organizzate in tre capitoli, sui fondamenti teorici, la struttura e l’applicazione del coaching a studenti con DDAI, inclusa un’appendice con materiali da utilizzare. In breve, Dawson e Guare descrivono i seguenti passi da compiere nel coaching: valutazione dei bisogni; ottenere l’impegno dai partecipanti; scegliere un coach e iniziare delle sessioni di allenamento (possibilmente giornaliere). Si danno ulteriori suggerimenti per focalizzare la relazione di coaching sulla fissazione di obiettivi, sullo sviluppo di piani applicativi per conseguirli, sull’identificazione e il superamento degli ostacoli e sulla verifica dei progressi fatti. Questo modello di coaching si basa sulle attinenti ricerche relative al training (Paniagua, 1992; Risley e Hart, 1968) che facilita la corrispondenza fra ciò che un individuo afferma di portare a termine e ciò che nella realtà fa effettivamente. Il modello e i metodi hanno tutti senso in ambito teorico, tuttavia, sono necessarie ricerche empiriche per validare ulteriormente questo approccio al trattamento. A livello familiare, gli adolescenti con DDAI e i genitori possono probabilmente trarre beneficio da alcune forme di counseling (Robin, 1998; vedere anche il capitolo 8 per un’ulteriore discussione dell’argomento). Questo sostegno può andare dalla comprensione del DDAI e della relativa influenza sui pattern interattivi familiari, al sostegno e alla progettazione della formazione educativa di un adolescente con DDAI, alla negoziazione di privilegi e di responsabilità nella famiglia. Come nel caso degli esempi precedenti, la chiave per raggiungere esiti positivi è la personalizzazione della natura e della tipologia del sostegno scolastico, familiare e individuale. FORNIRE SUPPORTO AGLI INSEGNANTI Quando uno studente non soddisfa le aspettative della propria classe, si dovrebbero mettere in atto interventi e adattamenti per permettere allo studente di riuscire a farlo e di raggiungere il successo formativo. Tali adatta237 DDAI a Scuola menti possono includere: associare i materiali didattici alle reali competenze scolastiche già presenti; fornire feedback positivo e correttivo con maggiore frequenza; accrescere la motivazione a partecipare al lavoro in classe e aumentare le opportunità di apprendere e fare esercizio su nuove abilità. Si deve anche riconoscere, tuttavia, che gli insegnanti che dovrebbero mettere in atto simili adattamenti si aspettano, a loro volta, un aiuto sistematico sotto forma di consulenza e di servizi di supporto nella progettazione, applicazione e verifica degli interventi che si applicano nel contesto classe. Horner e colleghi (1991) hanno riscontrato che “i sistemi di sostegno per insegnanti” rivestono un ruolo critico per il successo formativo degli studenti con problemi di comportamento. Questi ricercatori hanno evidenziato che i sistemi di supporto agli insegnanti si basano su programmi didattici e comportamentali vincolati al rispetto di tre grandi impegni: 1. insegnare agli studenti all’interno delle classi in cui sarebbero inseriti se non manifestassero problemi di comportamento, 2. fornire un supporto costante 3. generare risultati sullo stile di vita che siano ampi e durevoli come, per esempio, preparare lo studente a partecipare con successo alla vita della società e della comunità. Dati questi impegni, secondo noi, adattando quando detto da Horner e colleghi (1991), i sistemi di supporto agli insegnanti che lavorano con studenti con DDAI dovrebbero includere le seguenti componenti: 1.Uno screening e una valutazione sistematica per assicurare l’individuazione di tutti gli studenti che hanno bisogno di sostegno comportamentale ed educativo. Per esempio, a questo scopo, si possono utilizzare approcci quali il Systematic Screening for Behavioral Disorders (Screening sistematico per i disturbi del comportamento; Walker & Stevenson, 1988) e lo Early Screening Project (Progetto di screening precoce; Feil et al., 1995). 2. Procedure complete che permettano di collegare fra loro i risultati del processo valutativo e la progettazione di piani di intervento per affrontare i problemi comportamentali e di rendimento. Per esempio, potrebbe andare bene l’utilizzo di strategie di valutazione funzionale e di misure basate sul curricolo. 3. Tecniche che assicurino la progettazione, l’applicazione e la verifica degli interventi e gli eventuali adattamenti che possono sostenere lo studente nel processo di apprendimento e di controllo dei propri comportamenti. 238 Strategie di intervento per contesti scolastici 4. Metodi per assicurare il trasferimento della responsabilità dell’applicazione del trattamento ai docenti curricolari. 5. La garanzia di una supervisione e di un monitoraggio costanti nelle classi e in altri contesti scolastici, focalizzandosi sulla strutturazione di ambienti educativi che siano organizzati, supportivi e finalizzati alla generazione di risultati positivi per gli studenti. 6. Verifiche e revisioni del sistema di supporto. I meccanismi di supporto agli insegnanti sono una componente necessaria del trattamento di bambini con DDAI. Data la frequenza e la gravità dei comportamenti disfunzionali che questi studenti manifestano, non è insolito che gli insegnanti riportino sentimenti di frustrazione e di impotenza nella gestione della classe. I professionisti e i familiari che interagiscono con questi insegnanti dovrebbero comprendere e confermare questi sentimenti. Inoltre, bisognerebbe fare uno sforzo per aiutare gli insegnanti a gestire questi sentimenti in maniera produttiva (per es., fornendo materiali sulla gestione dello stress). Un altro fattore sempre collegato che si deve tenere in considerazione, è che adattamenti nell’insegnamento richiedono spesso tempo, pazienza, risorse e allenamento che di solito superano quelli disponibili. Per esempio, l’applicazione di un sistema personalizzato di token reinforcement in un contesto classe di 25-30 bambini è spesso un’impresa impossibile per un insegnante. Pertanto, si dovrebbero selezionare le strategie sulla base dei limiti che l’insegnante stesso si trova ad affrontare. Le caratteristiche appena elencate di un sistema di supporto per l’insegnante hanno lo scopo di trovare una risposta a questi problemi pratici in modo proattivo, ossia prima che l’insegnante si lamenti o riferisca difficoltà. L’applicazione di questi sistemi di supporto prevede la partecipazione di professionisti della valutazione e della progettazione di interventi; di educatori con compiti di supervisione o di amministrazione per monitorare costantemente i programmi educativi e di altro personale all’interno della classe che possa fornire, quando necessario, un sostegno al docente curricolare durante l’applicazione dell’intervento. Idealmente, questo supporto all’insegnante si realizza tramite uno staff esperto e formato nell’ambito del sostegno didattico e comportamentale. Nelle scuole in cui queste circostanze si verificano realmente, non è insolito che gli insegnanti e i genitori possano aspettarsi elevate percentuali di successo scolastico, comportamentale e sociale per gli studenti con DDAI. 239 DDAI a Scuola CONCLUSIONI I bambini con DDAI sperimentano frequentemente difficoltà nei comportamenti in classe, nella performance e nel rendimento scolastico. Massimizzare le possibilità di successo formativo di ogni bambino richiede l’implementazione di una serie di strategie comportamentali, didattiche e di apprendimento che hanno lo scopo di prevenire e gestire i problemi in questi ambiti. Questo capitolo ha fornito una rassegna degli interventi efficaci di gestione del comportamento e di strategie didattiche, come anche una panoramica sulle strategie più promettenti di self-management. È stata anche evidenziata la necessità di fornire un supporto costante agli insegnanti. In aggiunta alla ricerca futura sugli approcci più promettenti, la sfida per noi è quella di integrare le diverse strategie all’interno di programmi di trattamento che si basino sui bisogni individuali del singolo studente, in modo che tutti gli studenti con DDAI possano sperimentare il successo a scuola. 240 CAPITOLO 6 Trattamento farmacologico La prescrizione di farmaci psicotropi è il trattamento più comune per il DDAI. Negli Stati Uniti, per esempio, un milione e mezzo di bambini circa (o una percentuale di popolazione scolastica superiore al 4%) riceve un trattamento farmacologico a base di psicostimolanti (per es., metilfenidato) (Safer & Zito, 2000). Il trattamento con psicostimolanti è diventato sempre più comune negli ultimi venti anni, soprattutto nella popolazione pre-scolare e di scuola secondaria (Olfson, Marcus, Weissman & Jensen, 2002; Safer & Zito, 2000). La durata media di utilizzo di farmaci va dai 2 ai 7 anni, a seconda dell’età del bambino (Safer & Zito, 2000). Inoltre, sono state condotte più ricerche sugli effetti dei farmaci stimolanti sul funzionamento di bambini con DDAI rispetto a qualunque altra modalità di trattamento (DuPaul, Barkley & Connor, 1998). Diversi studi hanno dimostrato i miglioramenti a breve termine nel funzionamento comportamentale, scolastico e sociale per la maggioranza di bambini trattati con stimolanti (vedere DuPaul et al., 1998, per una rassegna). I limiti del trattamento farmacologico (quali i possibili effetti collaterali e la mancanza di prove sugli effetti a lungo termine) hanno invece portato all’adozione di trattamenti multimodali per il DDAI (Barkley, 1998). Gli stimolanti sembrano esercitare effetti maggiori sulle difficoltà associate al DDAI (per es., lo scarso rendimento scolastico) se accoppiati ad altri approcci di trattamento efficaci, come la modificazione del comportamento (MTA Cooperative Group, 1999). Data la comprovata efficacia e la grande diffusione dell’uso di farmaci psicotropi nel trattamento del DDAI, è importante che il personale 241 DDAI a Scuola scolastico sviluppi familiarità con: 1. i tipi di farmaci utilizzati; 2. i possibili effetti collaterali e comportamentali associati a questi farmaci; 3. i fattori da considerare quando si suggerisce una prova farmacologica; 4. i metodi per valutare a scuola la risposta al trattamento; 5. le modalità per comunicare i dati della valutazione ai medici e alle altre figure sanitarie; 6. i limiti del trattamento farmacologico. TIPI DI FARMACI UTILIZZATI Stimolanti del Sistema Nervoso Centrale I farmaci psicostimolanti si chiamano così perché accrescono il livello di arousal o lo stato di “vigilanza” del sistema nervoso centrale (SNC). I loro effetti sui bambini con DDAI non sono “paradossali” dal momento che esercitano effetti fisiologici e comportamentali simili sulla popolazione normale (Rapoport et al., 1980). Dato che la struttura chimica degli stimolanti è simile a quella di certi neurotrasmettitori presenti nel cervello (per es., la dopamina), questi sono considerati sostanze simpatomimetiche (Donnelly & Rapoport, 1985). Gli stimolanti del SNC maggiormente utilizzati sono il metilfenidato (Ritalina, Concerta, Metadato), la dextro-amfetamina (Dexedrina) e la mix-amfetamina (Adderall). Fra questi, il metilfenidato è quello maggiormente utilizzato: viene, infatti, somministrato a più dell’80% dei bambini sotto trattamento farmacologico (Safer & Zito, 2000). La pemolina (Cylert) è stata utilizzata in passato nel trattamento del DDAI; tuttavia, il suo utilizzo è significativamente diminuito negli ultimi anni a causa di gravi indici di una possibile epatotossicità. In questa sede abbiamo tralasciato altre tipologie di stimolanti (per es., la caffeina), dal momento che non si sono rivelate così efficaci come quelle appena elencate o perché non sono solitamente usate in ambito medico. Dosaggi Nella Tabella 6.1 sono elencati gli stimolanti del SNC, la loro eventuale disponibilità in compresse e i dosaggi tipici. Abbiamo inserito dosaggi specifici, al contrario di quelli che si basano sul peso corporeo, per dare un’indicazione su quella che è la prassi prescrittiva in questo settore. Inoltre, la ricerca indica che né il peso complessivo né quello di qualche area in particolare sono buoni predittori della risposta al dosaggio del metilfenidato in età pediatrica (Rap242 Trattamento farmacologico port & Denney, 1997). Una volta che si è stabilita la dose ottimale per un bambino, come di seguito mostreremo, i farmaci vengono di solito somministrati una volta al giorno (nel caso di preparazioni a rilascio prolungato) o due volte al giorno (a colazione a e a pranzo in caso di preparazioni standard). Dato il tempo relativamente breve di emivita di queste sostanze, il personale scolastico ha numerose opportunità di osservare il bambino con DDAI sotto l’effetto dei farmaci rispetto ai genitori e deve quindi partecipare al processo di valutazione della risposta al trattamento. Sia il metilfenidato (MPH) sia la d-amfetamina sono disponibili nelle forme ad azione immediata e a rilascio prolungato. Dal momento che si suppone che gli effetti comportamentali di queste ultime due sostanze (insieme all’Adderall che è anch’esso una preparazione a lento rilascio) durino più a lungo (ossia 8 ore dopo l’ingestione) rispetto ai loro derivati a effetto immediato, esse presentano numerosi vantaggi, incluso quello di evitare una somministrazione all’ora di pranzo a scuola e la maggiore affidabilità del trattamento (DuPaul, Barkley & Connor, 1998). Pertanto, al momento, i farmaci a rilascio prolungato vengono preferiti rispetto a quelli a rilascio immediato per il trattamento della maggioranza dei bambini. Tabella 6.1. Farmaci stimolanti, posologia delle compresse e dosaggi Nome genericoa b Indicazioni somministrazione Ritalina (metilfenidato) Concerta (metilfenidato) Metadato (metilfenidato) Compresse da 5-20 mg SR, 20 mg Una volta al dì Dexedrina (d-amfetamina) Capsule da 5-mg Capsule da 10-mg Capsule da 15-mg Compresse da 5-mg 5 mg/5 ml (sciroppo) Compresse da 5-20 mg Una volta al dì Adderall (mixamfetamina) a Forma farmacologica Due volte al dì Una volta al dì Una volta al dì Range di Dosaggiob 2.5-25 mg 20-40 mg Una volta al dì Nome generico fra parentesi Si dà il dosaggio di ogni somministrazione 243 2.5-25 mg Due volte al dì 5-20 mg DDAI a Scuola Antidepressivi triciclici Gli antidepressivi, come la desiprammina (Norpramina) e l’imiprammina (Tofranil), sono farmaci a effetto lento che producono effetti comportamentali simili a quelli degli stimolanti in bambini con DDAI (Spencer, Biederman & Wilens, 1998). Per esempio, entrambi questi farmaci antidepressivi danno come risultato migliori punteggi dell’insegnante nelle scale di disattenzione, impulsività e aggressività in circa il 70% dei bambini trattati. Inoltre, questi farmaci possono essere particolarmente utili nel caso di bambini che non rispondono al trattamento con gli stimolanti (per es., Biederman, Baldessarini, Wright, Knee & Harmatz, 1989). Le desiprammina si è rivelata efficace nell’accrescere la performance in misure di laboratorio della memoria a breve termine e del problem-solving visivo, ma non influenza l’apprendimento di relazioni cognitive superiori, a meno che non sia associata al MPH (Rapport, Carlson, Kelly & Pataki, 1993). I possibili effetti collaterali degli antidepressivi sono: innalzamento della pressione arteriosa e del battito cardiaco e, allo stesso tempo, un rallentamento nell’emodinamica intracardiaca (Spencer et al., 1998). Pertanto, la risposta del bambino a questi farmaci deve essere monitorata con maggiore attenzione (per es., con frequenti elettrocardiogrammi) rispetto agli stimolanti. La desiprammina è anche associata a deficit nella crescita, anche se questi non sono così pronunciati come nel caso degli stimolanti (Spencer, Biederman, Wright & Danon, 1992). Altri antidepressivi Gli inibitori della monoamminoossidasi (IMAO) si sono mostrati clinicamente efficaci con difficoltà associate al DDAI (Rapoport, 1986; Zametkin, Rapoport, Murphy, Linnoila & Iamond, 1985). Sfortunatamente, nel corso della somministrazione degli IMAO si devono seguire numerose restrizioni alimentari e farmaceutiche, cosa che rende la loro applicazione problematica in caso di bambini che hanno difficoltà nel controllo degli impulsi, come quelli con DDAI (Hunt, Lau & Ryu, 1991). La nortriptilina si è rivelata efficace nel ridurre i tic associati alla sindrome di Tourette e i sintomi del DDAI in molti bambini affetti da entrambi i disturbi (Spencer, Biederman, Wilens, Steingard & Geist, 1993). Il bupropione (Wellbutrin) ha un’efficacia media, nel migliore dei casi, nel ridurre la sintomatologia del DDAI (Casat, Pleasants, Schroeder & Parler, 1989; Simeon, Ferguson & Van Wyck Fleet, 1986). Esiste la possibilità che il bupropione possa esercitare, su alcuni bambini con 244 Trattamento farmacologico DDAI, un duplice effetto anti-aggressivo e anti-iperattivo (Hunt et al., 1991). I risultati di un esperimento aperto con bupropione hanno indicato positivi effetti comportamentali in un campione di adolescenti con DDAI, disturbo della condotta e abuso di sostanze (Riggs, Leon, Mikulich & Pottle, 1998). Gli effetti sulla performance scolastica sono più variabili e richiedono indagini ulteriori (Nebrig & DuPaul, 2001). Antiipertensivi La clonidina, un antiipertensivo, ha una discreta efficacia nel ridurre i sintomi del DDAI (per una meta-analisi, vedere Connor, Fletcher & Swanson, 1999). Per esempio, Hunt, Mindera e Cohen (1985) hanno ottenuto un miglioramento, ascrivibile alla clonidina, nei punteggi degli insegnanti e dei genitori nelle dimensioni di iperattività e problemi di condotta nel 70% dei bambini trattati. Si dovrebbe, però, sottolineare che se si paragonano direttamente gli effetti della clonidina con quelli del MPH, quest’ultimo è più efficace (Connor et al., 1999). Di contro, la clonidina può essere più indicata in determinate situazioni dal momento che ha ancora effetto alla sera e che non comporta disturbi del sonno e dell’alimentazione che sono a volte associati al MPH. Infatti, la combinazione di clonidina e MPH può essere utile in quei casi in cui il MPH da solo ha portato, per esempio, all’insonnia (Connor, Barkley & Davis, 2000; Hunt et al., 1991). Gli effetti collaterali più frequenti della clonidina sono la sedazione, l’irritabilità e la pressione bassa (Connor et al., 1999). La guanfacina (Tenex) è un altro agente antiipertensivo che si è rivelato efficace nel produrre risultati simili a quelli della clonidina in diversi esperimenti aperti. Gli effetti collaterali sembrano essere meno frequenti e meno gravi di quelli della clonidina (Connor, 1998). Data la mancanza di esperimenti controllati su questa sostanza, sembra prematuro suggerire l’utilizzo della guanfacina nel trattamento del DDAI. Data la modesta efficacia e gli effetti collaterali, sembra che la clonidina possa essere un buon trattamento, con effetti equivalenti a quelli degli antidepressivi triciclici (Connor et al., 1999), di seconda elezione per il DDAI. Atomoxetina L’atomoxetina (Strattera) è una sostanza non stimolante che influenza la noradrenalina in modo simile agli stimolanti. Anche se questo farmaco non è stato ancora studiato approfonditamente, i risultati di un primo studio controllato sono promettenti (Michelson et al., 2002). Nello specifico, 245 DDAI a Scuola un campione numeroso di bambini e adolescenti con DDAI ha ricevuto un trattamento a base di atomoxetina con differenti dosaggi per un periodo di 8 settimane. I risultati hanno evidenziato che la maggioranza dei partecipanti mostrava una risposta comportamentale positiva, anche nel caso dei bambini del Tipo con disattenzione predominante. Malgrado siano necessarie indagini ulteriori, l’atomoxetina potrebbe giocare un ruolo sempre più importante nel trattamento di bambini che non rispondono agli stimolanti. Riassunto Nonostante questi e altri risultati siano promettenti, la maggior parte dei dati di ricerca disponibili sui farmaci diversi dagli stimolanti fa riferimento a campioni numericamente troppo esigui e che utilizzano, come criterio di valutazione dei risultati, soltanto i punteggi degli insegnanti e dei genitori. Inoltre, alcuni studi iniziali non hanno utilizzato la metodologia a doppio cieco, un metodo di controllo critico negli studi sui farmaci. Devono essere studiati gli effetti sulla performance scolastica e sul funzionamento cognitivo prima di considerare queste sostanze come valide alternative ai farmaci stimolanti. Inoltre, l’entità degli effetti del trattamento combinato di stimolanti e altri farmaci deve ancora essere confrontata direttamente in campioni numericamente ampi di bambini con DDAI. Sulla base dei risultati di queste indagini, gli stimolanti restano il trattamento farmacologico elettivo per il DDAI. Per questa ragione, il resto del capitolo di focalizza sugli stimolanti del SNC e in particolare sul MPH. EFFETTI COMPORTAMENTALI DEGLI STIMOLANTI Sulla base della letteratura empirica, circa il 75% dei bambini con DDAI, in età di scuola elementare, riceve un trattamento farmacologico a base di stimolanti e ha una risposta positiva a uno o più dosaggi (vedere Rapport & Denney, 2000). I bambini nella restante percentuale o non manifestano cambiamenti o esibiscono peggioramenti nella sintomatologia del DDAI, rendendo, pertanto, necessario l’utilizzo di altri farmaci. Non è quindi certo che un determinato bambino con DDAI risponda a uno specifico stimolante, né che il trattamento farmacologico dovrebbe essere utilizzato come metodo di conferma della diagnosi (ossia una risposta positiva al trattamento non conferma una diagnosi di DDAI e una risposta negativa non indica che un bambino non lo abbia). Inoltre, una mancanza di risposta al trattamento o la presen246 Trattamento farmacologico za di effetti collaterali associati a uno stimolante non esclude la possibilità di una risposta positiva a un altro farmaco appartenente alla stessa categoria (Elia & Rapoport, 1991). Al momento attuale, il MPH è lo stimolante più comunemente utilizzato; si prescrive a più dell’80% dei bambini sottoposti a trattamento farmacologico (Safer & Zito, 2000). Numerosi studi hanno delineato che gli effetti comportamentali del MPH, della d-amfetamina e della mix-amfetamina sono molto simili (per es., James et al., 2001). Sono stati indagati gli effetti dei farmaci stimolanti su quasi tutti gli ambiti di funzionamento comportamentale, emotivo e fisico in bambini con DDAI (per una rassegna, vedere DuPaul, Barkley & Connor, 1998; Spencer et al., 1996). Le aree di maggiore interesse per i professionisti vengono brevemente presentate di seguito. Effetti sul controllo del comportamento e sull’attenzione I farmaci stimolanti hanno dato esisti positivi sulla capacità dei bambini con DDAI di mantenere l’attenzione in compiti impegnativi (Barkley, DuPaul & McMurray, 1991; Douglas, Barr, O’Neill & Britton, 1986; Rapport et al., 1987) e di inibire la risposta impulsiva (Brown & Sleator, 1979; Rapport et al., 1988). In molti casi, l’attenzione ai compiti assegnati migliora a tal punto che il comportamento del bambino sembra simile a quello dei compagni “normali” (Abikoff & Gittelman, 1985; DuPaul & Rapport, 1993). Inoltre, questi farmaci riducono significativamente l’attività motoria disfunzionale, soprattutto i movimenti non attinenti al compito durante situazioni di lavoro (per es., Cunningham & Barkley, 1979). Anche i problemi di aggressività (Hinshaw, 1991; Klorman et al., 1988), i comportamenti disfunzionali in classe (Barkley, 1979), la capacità di persistere su compiti frustranti (Milich, Carlson, Pelham & Licht, 1991) e l’inottemperanza verso le figure di autorità (Barkley, Karlsson, Strzelecki & Murphy, 1984) migliorano in seguito all’utilizzo di questi farmaci. Una meta-analisi condotta da Connor, Glatt, Lopez, Jackson e Melloni (2002) ha riscontrato effetti da moderati a elevati nel miglioramento dell’aggressività manifesta e latente ascrivibili a farmaci stimolanti. Infatti, gli effetti sul comportamento aggressivo erano equivalenti a quelli ottenuti per i sintomi del DDAI. In generale, i miglioramenti nel controllo del comportamento e nell’attenzione sostenuta sono maggiori a dosaggi più elevati e sono identici a casa, in ambito clinico, in classe e in altri contesti scolastici. Simili effetti comportamentali si sono ottenuti con adolescenti con DDAI, tuttavia, la percentuale di coloro che rispondono positivamente è più 247 DDAI a Scuola bassa (ossia fra il 50-70%) di quella riscontrata in bambini di scuola elementare (Evans & Pelham, 1991; Pelham, Vodde-Hamilton, Murphy, Greenstein & Vallano, 1991). Gli effetti comportamentali degli stimolanti sono, in parte, mitigati da fattori ambientali. Northup e colleghi hanno condotto numerose ricerche per chiarire la relazione fra gli aspetti ambientali e la risposta al MPH (Northup et al, 1997; 1999). Queste analisi hanno dimostrato che gli effetti del MPH variavano in funzione delle situazioni ambientali. Per esempio, in test di laboratorio in cui si chiedeva ai bambini di completare un lavoro sotto differenti condizioni, gli effetti del MPH sui comportamenti disfunzionali erano maggiori se un adulto era presente nella stanza e più deboli se il bambino era solo (Northup et al., 1999). Anche se il MPH agisce direttamente sui fattori biologici (ossia sul funzionamento cerebrale) gli effetti di questo e altri farmaci simili dipendono dalle condizioni ambientali predominanti e dalle tipologie di comportamento che queste elicitano (Murray & Kollins, 2000; Rapport, DuPaul & Smith, 1985). Pertanto Northup e Gulley (2001) hanno raccomandato agli psicologi scolastici di valutare gli effetti dei farmaci nel contesto di una valutazione funzionale del comportamento, in cui vengano sistematicamente manipolati i fattori ambientali e i dosaggi di MPH per arrivare alla combinazione ottimale di ciascun approccio al trattamento. L’applicabilità di questo paradigma di ricerca ai contesti scolastici attende ancora di essere esaminata; tuttavia, è chiaro che gli effetti comportamentali degli stimolanti non vanno valutati in condizioni asettiche e che bisogna sempre tenere in considerazione i fattori ambientali nella valutazione della risposta a questi trattamenti farmacologici. Effetti sulla performance scolastica e cognitiva Gli effetti dei farmaci stimolanti sulla performance cognitiva dei bambini con DDAI sono stati tradizionalmente studiati utilizzando paradigmi di ricerca in laboratorio quali il Paired Association Learning Test (Apprendimento di associazioni; Swanson & Kinsbourne, 1975) e test di richiamo a breve termine (Sprague & Sleator, 1977). Sono stati riscontrati effetti benefici del MPH sul funzionamento cognitivo dei bambini in test di recupero verbale (Barkley, DuPaul & McMurray, 1991; Evans, Gualtieri & Amara, 1986), in test di apprendimento di associazioni (Rapport et al., 1985) e nel richiamo a breve termine di stimoli visivi (Sprague & Sleator, 1977). In generale, gli effetti di risposta al dosaggio del MPH sulla performance cognitiva sono lineari, con 248 Trattamento farmacologico miglioramenti più consistenti in funzione di dosaggi più elevati (Rapport & Kelly, 1991; Solanto, 2000). È importante tuttavia sottolineare che questi effetti del dosaggio sono stati evidenziati a livello gruppale e che, come spiegheremo di seguito, ci sono differenze sostanziali nella risposta individuale dei bambini alla dose. Una rassegna sugli effetti degli stimolanti sulla performance scolastica dei bambini con DDAI ha concluso che, in generale, quest’area di funzionamento non trae benefici a lungo termine dalla farmacoterapia (Barkley & Cunningham, 1978). Ovviamente, gli studi condotti alla fine degli anni ’70 hanno utilizzato principalmente test di profitto tradizionali (per es., il Wide Range Achievement Test) o batterie per la valutazione dell’intelligenza. Simili misure potrebbero non essere sufficientemente sensibili a identificare effetti a breve termine o cambiamenti più sottili nel funzionamento cognitivo associati al trattamento. Numerosi altri fattori limitano l’utilità di test di profitto con norme specifiche nella valutazione degli effetti del trattamento, fra i quali: (1) l’assenza di un campionamento adeguato del curricolo utilizzato; (2) l’utilizzo di un numero limitato di item per indagare diverse aree; (3) l’utilizzo di modalità di risposta che richiedono una performance comportamentale e (4) una insensibilità a piccoli cambiamenti nella performance dello studente (Marston, 1989; Shapiro, 1996). Numerosi studi condotti da gruppi di ricerca fra loro indipendenti hanno riscontrato miglioramenti importanti dovuti al MPH nella produttività e nell’accuratezza scolastica in campioni numerosi di bambini (Douglas, Barr, O’Neill & Britton, 1988; Pelham, Bender, Caddell, Booth & Moorer, 1985; Rapport et al., 1987, 1988) e di giovani adolescenti con DDAI (Evans & Pelham, 1991; Evans et al., 2001; Pelham et al., 1991). Anche l’attenzione alle lezioni, il completamento dei compiti assegnati e i punteggi a quiz e test in giovani studenti di scuola superiore con DDAI miglioravano in funzione del trattamento con MPH (Pelham et al., 2001). Come per altri ambiti, questi effetti erano più consistenti a dosaggi più elevati se analizzati a livello gruppale. Per valutare la performance scolastica, più che utilizzare test di profitto standardizzati, questi ricercatori hanno preferito servirsi di compiti scritti assegnati dall’insegnante di classe di ogni bambino. Anche se simili misure possono essere più sensibili a cambiamenti legati al trattamento e probabilmente hanno una validità ecologica maggiore di strumenti pubblicati e con norme stabilite, la loro affidabilità (ossia la stabilità nel tempo) deve essere chiarita prima di valutare eventuali effetti dell’intervento. Occorre verificare se i miglioramenti a breve termine nella performance scolastica portano, alla lunga, a un successo 249 DDAI a Scuola formativo maggiore. Tuttavia, questi risultati indicherebbero una probabilità elevata di ottenere simili risultati se il dosaggio iniziale dei farmaci viene stabilito dopo aver registrato dei miglioramenti nel funzionamento scolastico, piuttosto che fare riferimento unicamente al controllo del comportamento, come era stato fatto in passato (Rapport & Kelly, 1991). Numerose ricerche di gruppi indipendenti hanno definito gli effetti del MPH sulla traiettoria di acquisizione di competenze scolastiche. Precisamente, gli effetti dose-risposta risultano evidenti in misure basate sul curricolo delle abilità di lettura e di aritmetica e danno risultati paralleli a altre misure scolastiche (Roberts & Landau, 1995; Stoner, Carey, Ikeda & Shinn, 1994). Tuttavia, questi risultati evidenziano solitamente una vasta gamma di risposte individuali ai farmaci in questa area di funzionamento. Come discusso nel Capitolo 2, le prove basate sul curricolo sono un mezzo efficiente e sensibile per valutare gli effetti dell’intervento sulle abilità scolastiche. In quanto tale, si consiglia un utilizzo sempre maggiore di queste misure sia nella pratica clinica che nella ricerca. Effetti sulle relazioni sociali Il MPH migliora significativamente la qualità delle interazioni sociali fra i bambini con DDAI, genitori, insegnanti e compagni. Per esempio, numerosi studi hanno mostrato che gli stimolanti accrescono la compliance dei bambini alle richieste dei genitori e degli insegnanti e accrescono la loro responsività nelle interazioni con gli altri (per una rassegna, vedere DuPaul, Barkley & Connor, 1998). Queste stesse indagini hanno riscontrato che i comportamenti negativi e non attinenti al compito subivano una riduzione in situazioni di compliance, dando come risultato minori comandi da parte delle figure di autorità e più attenzione positiva degli adulti al comportamento del bambino. Infatti, gli effetti degli stimolanti sull’aggressività manifesta e latente sono quasi della stessa ampiezza degli effetti sui sintomi del DDAI (Connor et al., 2002). Simili risultati sono stati ottenuti per le relazioni con i pari in bambini con DDAI. Sotto trattamento con MPH, i bambini con DDAI sono meno aggressivi, si comportano in maniera più appropriata e vengono maggiormente accettati dai loro compagni (Cunningham, Single & Offord, 1985; Gadow, Nolan, Sverd, Sprafkin & Paolicelli, 1990; Hinshaw, 1991; Pelham & Hoza, 1987; Whalen et al., 1989). In maniera simile, il comportamento sociale di adolescenti con DDAI migliora grazie al MPH, soprattutto con dosaggi bassi (Smith et al., 1998). Gli effetti del MPH sui comportamenti prosociali di bam250 Trattamento farmacologico bini con DDAI restano ambigui. Alcuni studi non hanno evidenziato cambiamenti nella frequenza di inizio di interazioni con altri (Hinshaw, Henker, Whalen, Ehrhardt & Dunnington, 1989; Wallander, Schroeder, Michelli & Gualtieri, 1987), mentre altri hanno riscontrato una riduzione di interazioni positive con i pari (Buhrmeister, Whalen, Henker, MacDonald & Hinshaw, 1992). Al di là degli effetti diretti sul comportamento sociale, il MPH migliora altre aree di funzionamento che possono influenzare indirettamente quello sociale. Per esempio, un gruppo di bambini con DDAI era più attento durante una partita di softball (ricordavano di più il punteggio) sotto trattamento con MPH rispetto alla condizione placebo (Pelham et al., 1990). Dosaggio e risposta individuale Al di là dell’individuazione di specifici effetti comportamentali, i risultati delle analisi empiriche sugli effetti degli stimolanti in bambini con DDAI hanno portato a diverse importanti conclusioni sulla proprietà generali di questi farmaci. Primo, i cambiamenti causati dal MPH in specifici ambiti comportamentali variano in maniera sistematica in funzione del dosaggio, almeno a un livello gruppale di analisi (Barkley, Anastopoulos, Guevremont & Fletcher, 1991; Pelham et al., 1985; Rapport & Denney, 2000; Rapport et al., 1985; Sprague & Sleator, 1977). Per la maggior parte degli ambiti di funzionamento (cognitivo, sociale e di controllo del comportamento), questi effetti della dose sono lineari: dosaggi più elevati causano i cambiamenti maggiori. Secondo, a un livello individuale di analisi, categorie differenti di comportamento possono essere diversamente influenzate dal MPH anche allo stesso dosaggio (Rapport & Denney, 2000; Sprague & Sleator, 1977). Per esempio, un determinato bambino può esibire i miglioramenti più consistenti nella performance scolastica a dosaggi differenti da quelli “ottimali” per il controllo degli impulsi o per l’attenzione sostenuta. Infine, anche se gli effetti risposta-dose lineari sono stati rilevati con costanza a un livello gruppale di analisi, a livello individuale i bambini differiscono considerevolmente nel cambiamento comportamentale in funzione del dosaggio (Douglas et al., 1986; Pelham et al, 1985; Rapport & Denney, 2000). Anche quando i bambini condividono caratteristiche simili (per es., diagnosi, età e peso corporeo) ci può essere una variabilità considerevole nella risposta al dosaggio, probabilmente imputabile a differenze individuali nel funzionamento del SNC (Rapport & Denney, 2000). Per illustrare la natura idiosincratica degli effetti del MPH, la Figura 6.1 mostra i dati raccolti a scuola sulla risposta al dosaggio in tre bambini con 251 DDAI a Scuola DDAI che partecipavano a uno studio condotto da Rapport, DuPaul e Kelley (1989). FIGURA 6.1. Curve di risposta al dosaggio in tre misure differenti per tre singoli bambini con peso corporeo simile (M = 25 kg). La percentuale di comportamenti attinenti al compito e i punteggi al AES sono tracciati sull’ordinata sinistra. Il punteggio totale alla Abbreviated Conners Teacher Rating Scale (ACTRS) è tracciato sull’ordinata destra. Il miglioramento in tutti e tre i soggetti è indicato da movimenti lungo l’asse verso l’alto. Tratta da Rapport, DuPaul e Kelley (1989). Copyright 1989 di M. D. Rapport. Ristampata su gentile concessione. Punteggi ACTRS Percentuale di comportamenti attinenti al compito e punteggi AES soggetto con risposta lineare Punteggi ACTRS Percentuale di comportamenti attinenti al compito e punteggi AES soggetto con risposta quadratica Punteggi ACTRS Percentuale di comportamenti attinenti al compito e punteggi AES soggetto con risposta soglia Dose in mg e mg/kg 252 Trattamento farmacologico Sono illustrati i cambiamenti comportamentali in tre misure: percentuale di comportamenti attinenti al compito nel corso di lavoro autonomo; percentuale di lavoro completato correttamente (Academic Efficiency Score [AES], Punteggio di Efficienza Accademica) e punteggi dell’insegnante alla Abbreviated Conners Teacher Rating Scale (ACTRS; Werry, Sprague & Cohen, 1975). È stato utilizzato un disegno sperimentale a doppio cieco con gruppo di controllo con placebo in cui i bambini ricevevano, in sequenza casuale, quattro dosi di MPH (5 mg, 10 mg, 15 mg e 20 mg) e un placebo. I bambini avevano tutti quasi la stessa età e lo stesso peso corporeo, ma esibivano differenze piuttosto consistenti nella risposta al MPH. Per esempio, S-1 (Figura 6.1 in alto) manifestava miglioramenti nell’attenzione e nel comportamento come diretta conseguenza dell’aumento del dosaggio, con un picco a quello di 20 mg (effetti lineari risposta-dosaggio). Di contro, i miglioramenti nel comportamento e nella performance in classe di S-2 si ottenevano fino a 15 mg, dosaggio associato al massimo effetto, ma diminuivano a 20 mg. Quest’ultima può essere definita una “risposta quadratica” dal momento che si è verificato un cambiamento nello slope della funzione risposta-dose. Infine, S-3 non manifestava cambiamenti scolastici o comportamentali fino alla “soglia terapeutica” di 10 mg con piccoli incrementi all’aumentare della dose (ossia esisteva una soglia di risposta). Pertanto, il profilo dose-risposta e la risposta “ottimale” alla dose terapeutica differivano nei tre bambini. Normalizzazione del funzionamento in classe Anche se la significatività statistica degli effetti comportamentali del MPH è stata dimostrata con una certa affidabilità, la significatività clinica dei cambiamenti nel comportamento in singoli bambini con DDAI è stata dimostrata con minore frequenza. Alcuni ricercatori hanno indicato che l’attenzione al compito (Loney, Weissenburger, Woolson & Lichty, 1979; Rapport, Denney, DuPaul & Gardner, 1994; Whalen et al., 1978; Whalen, Henker, Collins, Finck & Dotemoto, 1979) e i comportamenti aggressivi (Hinshaw et al., 1989) dei bambini trattati con MPH erano statisticamente indistinguibili da quelli dei coetanei sani. Abikoff e Gittelman (1985) hanno trovato che il 60% dei bambini trattati con MPH esibiva una “normalizzazione” del comportamento nello span di attenzione e nel controllo degli impulsi in classe. Similmente, Pelham e colleghi (1993) hanno riscontrato che gli insegnanti giudicavano le interazioni con i pari e con gli adulti “quasi come quelle dei bambini normali” per circa il 60% dei bambini trattati con una dose di MPH di .6 mg/kg . 253 DDAI a Scuola Rapport e colleghi (1994) hanno indagato fino a che punto il MPH normalizzasse il comportamento in classe e il funzionamento scolastico di 76 bambini con DDAI confrontati con un normale gruppo di controllo di 25 bambini. I bambini con DDAI erano inseriti in un esperimento a doppio cieco con un controllo con placebo in cui ricevevano quattro dosi di MPH (5, 10, 15 e 20 mg) e un placebo. Le misure per la valutazione dei risultati includevano punteggi degli insegnanti alla condotta sociale, osservazioni dirette in classe dei comportamenti attinenti al compito e la percentuale di accuratezza in compiti scolastici autonomi. Una percentuale fra il 53 e il 78% del campione otteneva punteggi normali di funzionamento ad uno o più dosaggi di MPH a seconda della misura specifica utilizzata (vedere Figura 6.2). FIGURA 6.2. Percentuali di 76 bambini con DDAI che mostravano assenza di cambiamento, miglioramento clinico significativo e normalizzazione del comportamento a scuola in tre variabili scolastiche in funzione della dose di MPH e del placebo. Tratta da Rapport, Donney, DuPaul e Gardner (1994). Copyright 1994 dell’Accademia Americana di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Ristampata su gentile concessione. 254 Trattamento farmacologico In particolare, i miglioramenti e la normalizzazione più consistenti si verificavano nei punteggi dell’insegnante sul controllo del comportamento e poi nelle osservazioni dirette dell’attenzione al compito e dell’efficienza scolastica. Il 47% circa del campione non manifestava miglioramenti nell’efficienza scolastica. Anche se questi risultati forniscono ulteriori prove degli effetti terapeutici forti dei farmaci stimolanti, per molti bambini con DDAI, sono necessari altri interventi concomitanti (che affrontino soprattutto la performance scolastica); anche per quelli il cui comportamento si normalizza in funzione della somministrazione di MPH. Combinazione fra i farmaci e la terapia comportamentale I due interventi più comuni per il DDAI sono i farmaci stimolanti e le strategie di modificazione del comportamento (Barkley, 1998). L’indagine più completa e più su vasta scala condotta su questi due trattamenti è lo studio sul Trattamento Multimodale del DDAI (MTA) condotto in diverse zone del Nord America (MTA Cooperative Group, 1999). Un campione di 579 bambini con DDAI, fra i 7 e i 10 anni, è stato assegnato casualmente a uno dei quattro gruppi sperimentali. Il primo gruppo riceveva un trattamento con farmaci stimolanti, accreditati attraverso esperimenti controllati e multimodali che rappresentavano lo stato dell’arte del trattamento farmacologico; il secondo gruppo riceveva invece interventi comportamentali multipli a casa, a scuola e in un campus estivo. Le componenti scolastiche di questo secondo gruppo includevano: (1) consulenza costante agli insegnanti sugli interventi comportamentali e (2) un lavoro parascolastico con lo studente con DDAI per mezza giornata, tutti i giorni, per 12 settimane nel corso dell’anno. Questo lavoro parascolastico applicava interventi comportamentali tipo il token reinforcement in seguito a comportamenti appropriati in classe. Il terzo gruppo riceveva farmaci stimolanti accreditati e un intervento comportamentale completo. Infine, il quarto gruppo di partecipanti riceveva un trattamento dai servizi disponibili sul territorio (gruppo di controllo). Circa il 67% dei partecipanti a quest’ultimo gruppo riceveva un trattamento con stimolanti accreditati attraverso procedure meno controllate e più comuni rispetto a quelle utilizzate dal gruppo MTA. Sono stati raccolti dati in ambiti di funzionamento differenti in tre momenti distinti nel tempo: durante e immediatamente dopo la conclusione dei 14 mesi di trattamento. I partecipanti ai quattro gruppi esibivano tutti riduzioni significative nella sintomatologia del DDAI durante e dopo il trattamento. Le riduzioni dei 255 DDAI a Scuola sintomi erano più significative per i gruppi assegnati alle condizioni di trattamento farmacologico isolato e di trattamento combinato rispetto ai gruppi assegnati alla terapia comportamentale isolata o all’intervento erogato dai servizi disponibili sul territorio. Anche se i farmaci stimolanti accreditati davano esiti chiaramente superiori a quelli del trattamento unimodale, analisi più approfondite hanno fatto luce sul contributo degli interventi comportamentali. Nello specifico, il miglioramento maggiore, soprattutto per le difficoltà associate al DDAI (quali il comportamento oppositivo, problemi nella performance sociale) si verificava nei bambini sottoposti al trattamento combinato (Conners et al., 2001; Swanson et al., 2001). I bambini assegnati al gruppo di trattamento combinato avevano bisogno di dosaggi farmaceutici medi più bassi rispetto al gruppo assegnato alla condizione di trattamento farmacologico con stimolanti. Utilizzando una definizione piuttosto conservativa di “successo” in seguito al trattamento, Swanson e colleghi (2001) hanno riscontrato che nel 68% dei bambini assegnati al gruppo combinato il trattamento aveva avuto “successo” rispetto al 56%, al 34% e al 25% rispettivamente dei gruppi solo trattamento farmacologico, solo trattamento comportamentale e trattamento dei servizi territoriali. Anche se la grandezza degli effetti che separa il gruppo solo trattamento comportamentale da quello del trattamento dei servizi è piccola (Conners et al., 2001), è importante evidenziare che la maggior parte dei partecipanti al gruppo di trattamento erogato dai servizi territoriali riceveva anche un trattamento farmacologico tipico. Pertanto, un programma comportamentale intensivo sembra essere equivalente al trattamento farmacologico standard. Data la ricchezza dei risultati dello studio MTA, due riviste (Journal of Abnormal Child Psychology, 28 (6), 2000; Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 40(2), 2001) hanno pubblicato articoli speciali, per illustrare gli esiti di questa ricerca, che dovrebbero interessare particolarmente i professionisti della salute mentale e quelli che lavorano a scuola. Dati i risultati dello studio MTA e quelli di analisi precedenti meno complete, la combinazione del trattamento con stimolanti e di interventi comportamentali è a oggi considerato l’approccio “ottimale” alla terapia di molti bambini con DDAI (Barkley, 1998). Ognuno dei due trattamenti, preso isolatamente, presenta difetti importanti: la limitazione degli effetti solo al periodo in cui l’intervento è “attivo”, l’inefficacia riscontrata in una minoranza di bambini con DDAI e l’assenza di documentazioni sugli effetti a lungo termine (Hoza, Pelham, Smas & Carlson, 1992; Pelham & Murphy, 1986). 256 Trattamento farmacologico La combinazione dei trattamenti farmacologico e comportamentale può, invece, minimizzare i limiti di ciascuno massimizzando le possibilità di ottenere cambiamenti clinicamente significativi (Pelham & Murphy, 1986). Esperimenti su singoli soggetti hanno mostrato che il “dosaggio” è una variabile importante per stabilire la risposta individuale dei bambini con DDAI alla combinazione fra intervento comportamentale e farmacologico (Abramowitz, Eckstrand, O’Leary & Dulcan, 1992; Hoza et al., 1992). Per esempio, Abramowitz e colleghi (1992) hanno valutato i cambiamenti nei comportamenti non attinenti al compito in classe su tre bambini con DDAI in funzione di diverse dosi di MPH (placebo, .3 mg/kg, .6 mg/kg) associate a rimproveri immediati o differiti dell’insegnante. I risultati, mostrati nella Figura 6.3, indicano che la risposta alla combinazione dei trattamenti variava nei singoli bambini. Steven aveva risposto meglio all’associazione fra un basso dosaggio di MPH e un basso “dosaggio” di terapia comportamentale (rimproveri differiti), come mostrato dalla parte alta della Figura 6.3. Tony invece mostrava una risposta ottimale a dosi elevate di MPH associate indifferentemente a rimproveri immediati o differiti (vedere il grafico nella parte centrale della Figura 6.3). Infine, Kevin manifestava una percentuale minima di comportamenti non attinenti al compito a bassi “dosaggi” di intervento comportamentale (rimproveri differiti) associati indifferentemente a dosi elevate o basse di MPH (vedere il grafico in basso della Figura 6.3). I risultati di indagini come quella appena presentata e di altre ricerche simili indicano che alcuni bambini hanno bisogno di “dosaggi” bassi di modificazione comportamentale (per es., schede di report giornaliere a casa) associati a dosi basse di MPH, mentre i sintomi del DDAI di un altro bambino potrebbero essere così gravi da richiedere una dose elevata di MPH e una elevata di tecniche di modificazione comportamentale (per es., l’applicazione di un sistema response cost in classe). Inoltre, l’utilizzo di un trattamento potrebbe generare aggiustamenti nel dosaggio dell’altro. Per esempio, l’applicazione di un sistema di modificazione comportamentale potrebbe consentire una riduzione nella quantità di farmaco necessaria. L’accreditamento dell’efficacia di ciascun intervento deve essere condotto su base individuale, dal momento che la risposta alla combinazione di trattamenti varia in funzione di fattori organismici (per es., la gravità dei comportamenti associati al DDAI) e ambientali (per es., collocazione in classe) (Pelham, 1989). 257 DDAI a Scuola FIGURA 6.3. Percentuali di comportamenti non attinenti al compito in tre bambini trattati con metilfenidato e richiami verbali. D, rimproveri differiti; I, rimproveri immediati; Pl, placebo; Lo, 0.3 mg/kg MPH; Hi, 0.6 mg/kg MPH. Tratta da Abramowitz, Eckstrand, O’Leary e Dulcan (1992). Copyright 1992 della Sage Publications, Inc. Ristampata su gentile concessione. Percentuale di comportamenti non attinenti al compito Steven Giorni Percentuale di comportamenti non attinenti al compito TONY Giorni Percentuale di comportamenti non attinenti al compito KEVIN Giorni 258 Trattamento farmacologico POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI DEGLI STIMOLANTI DEL SNC Gli effetti collaterali, del MPH e di altri stimolanti, più acuti e più frequentemente riferiti, sono la riduzione dell’appetito (soprattutto a pranzo) e l’insonnia (Associazione Americana di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza [AACAP], 2002). Sembra che gli stimolanti influenzino la fase dell’addormentamento, ritardando la comparsa del sonno, piuttosto che dare luogo a un sonno disturbato di per sé (Stein & Pao, 2000). Altri effetti collaterali emersi in letteratura sono: maggiore irritabilità, mal di testa, mal di stomaco e, in rari casi, tic motori e/o vocali (AACAP, 2002). Numerosi studi hanno chiarito la percentuale di casi che manifesta determinati effetti collaterali in funzione di certi dosi di MPH (per una rassegna, vedere Rapport & Moffitt, 2002). Per esempio, Barkley, McMurray, Edelbrock e Robbins (1990) hanno esaminato la prevalenza di effetti collaterali, riferiti da insegnanti e genitori, per due dosi (0.3 mg/kg e 0.5 mg/kg) di MPH in un campione numeroso di bambini con DDAI. I ricercatori hanno riscontrato che il 50% del campione mostrava una diminuzione nell’appetito, insonnia, ansia, irritabilità o propensione al pianto con entrambe le dosi di MPH. Bisogna sottolineare che molti di questi apparenti effetti collaterali (soprattutto quelli relativi all’umore) erano presenti anche nella condizione placebo e che quindi potrebbero rappresentare caratteristiche associate al disturbo più che al trattamento. Il mal di stomaco e il mal di testa venivano riferiti da circa il 33% dei partecipanti. La gravità di questi effetti collaterali era media nella maggior parte dei casi, aumentava in funzione del dosaggio e non portava necessariamente a un’interruzione nel trattamento. Inoltre, sembra che la frequenza e la gravità di possibili effetti collaterali debba essere verificata in condizioni di non-trattamento o di pretrattamento per stabilire se questi siano veramente ascrivibili ai farmaci. Le percezioni della presenza e gravità degli effetti collaterali possono variare fra i genitori, gli insegnanti e gli studenti. DuPaul, Anastopoulos, Kwasnik, Barkley & McMurray (1996) hanno raccolto valutazioni sugli effetti collaterali in un campione di genitori, insegnanti e adolescenti all’interno di un esperimento su dosaggi multipli di MPH. Anche se le valutazioni degli insegnanti sulla gravità degli effetti collaterali non variavano sistematicamente dalla condizione placebo a quelle di somministrazione del farmaco, i genitori riferivano una maggiore gravità nella condizione placebo. Gli adolescenti invece riferivano una maggiore gravità degli effetti collaterali nelle due condizioni di massimo dosaggio. Gli effetti collaterali devono pertanto essere considerati 259 DDAI a Scuola dal punto di vista di colui che li sperimenta direttamente. Per ottenere prospettive differenti sul fenomeno si dovrebbero prendere in considerazione le risposte di più persone. Nella nostra esperienza, i genitori riferiscono al meglio gli effetti collaterali più comuni come la perdita di appetito e l’insonnia. Gli insegnanti possono fornire informazioni su possibili comportamenti di iperconcentrazione, soprattutto durante il lavoro in classe. Infine, i bambini stessi possono essere i migliori referenti per la presenza di effetti collaterali costituiti da sintomi interiorizzati (per es., ansia) e sono probabilmente più sensibili alla gravità complessiva di questi effetti. Altre possibili conseguenze che dovrebbero essere monitorate sono un possibile “ritorno comportamentale” nel tardo pomeriggio e la comparsa o l’esasperazione di tic motori e vocali (AACAP, 2002). Il fenomeno di “ritorno comportamentale” viene di solito descritto come un peggioramento della condotta (che supera quello della baseline o delle condizioni placebo) che si verifica nel tardo pomeriggio o nella sera dopo la somministrazione del farmaco durante il giorno (Johnston, Pelham, Hoza & Sturges, 1987). Alcuni studi che hanno indagato questo fenomeno hanno riscontrato che si verifica nel 33% dei bambini trattati con MPH e che la gravità del “ritorno” varia considerevolmente nei giorni per ogni singolo bambino (Johnston et al. 1987). Inoltre, la somministrazione di una piccola dose di MPH nel tardo pomeriggio può ridurre la gravità degli effetti del “ritorno” (DuPaul, Barkley & Conner, 1998). Fino a che punto gli stimolanti provochino nei bambini tic motori e sintomi della sindrome di Tourette resta ancora da chiarire. Alcuni studi precedenti indicavano che una piccola minoranza di bambini poteva sviluppare tic in seguito al trattamento con stimolanti e che la frequenza e la gravità di questi tic non diminuiva in seguito alla sospensione del trattamento (Bremnes & Sverd, 1979). Ricerche più recenti hanno invece indicato che la maggior parte dei bambini che ha un DDAI e tic risponde positivamente al trattamento con stimolanti, sia in termini di controllo del comportamento sia in termini di riduzione dei tic (Castellanos et al., 1997; Gadow, Sverd, Sprafkin, Nolan & Ezor, 1995). Una minoranza di bambini può manifestare un’esasperazione dei tic, cosa che implica pertanto un’attenzione maggiore nella prescrizione di stimolanti a bambini che presentano tic e DDAI. Tuttavia, con un attento monitoraggio, questa categoria di farmaci potrebbe essere adatta a bambini con DDAI che hanno anche una storia familiare di tic. Alcune osservazioni cliniche hanno documentato un aumento di comportamenti di “iperconcentrazione” in alcuni bambini con DDAI trattati con 260 Trattamento farmacologico MPH (Solanto, 1984). Questa costrizione del funzionamento cognitivo risulta evidente da molti atteggiamenti quali, per esempio, l’insistenza su un compito per un lasso di tempo esageratamente lungo; il disinteresse verso stimoli periferici rilevanti o l’incapacità di spostare l’attenzione cognitiva in funzione di cambiamenti situazionali (Solanto & Wender, 1989). Le indagini empiriche non sono riuscite a documentare l’occorrenza di questo fenomeno a un livello gruppale di analisi. Tuttavia, almeno uno studio ha individuato un sottogruppo di bambini con DDAI che mostrava atteggiamenti di iperconcentrazione in funzione della somministrazione di MPH (Solanto, 2000). Questo sottogruppo può includere bambini meno iperattivi e che hanno, nella baseline, punteggi migliori ai test cognitivi rispetto ad altri bambini con DDAI. Similmente, Rapport e colleghi (1994) hanno riscontrato che il 47% di un campione numeroso di bambini trattati con MPH non esibiva miglioramenti nell’efficienza scolastica con nessuna dose. Presumibilmente, la performance scolastica di alcuni di questi bambini era compromessa dal comportamento di iperconcentrazione ascrivibile al MPH, anche se non era stata effettuata nessuna misurazione diretta di questo atteggiamento. Questi risultati contribuiscono a motivare sempre più la necessità di una verifica individualizzata della performance scolastica e cognitiva a differenti dosaggi, quando si deve valutare la risposta a farmaci psicotropi. Rapport e Denney (2000) raccomandano infatti di accreditare la dose dello stimolante in base al riscontro di miglioramenti nell’efficienza scolastica piuttosto che sul controllo del comportamento. Questa argomentazione è rinforzata dal fatto che quando il metilfenidato induce miglioramenti nella performance scolastica, anche il controllo del comportamento tende a migliorare; mentre il contrario accade molto di rado. L’unico effetto collaterale a lungo termine ben documentato dei farmaci stimolanti è il blocco della crescita in altezza e in peso corporeo. Le ricerche che hanno esaminato questo fenomeno hanno indicato che la probabilità di un blocco della crescita, a dosaggi elevati, è maggiore per la d-amfetamina rispetto al MPH, ed è più elevata nel primo anno di trattamento (vedere AACAP, 2002). Sembra che, successivamente, si verifichi una ripresa della crescita in seguito alla sospensione del trattamento o all’abituazione agli effetti, con una sottile ma apprezzabile alterazione dell’altezza e del peso in età adulta (Greenhill, 1984; Reeve & Garfinkel, 1991). Altri possibili effetti collaterali a lungo termine che erano stati ipotizzati soprattutto dai mass media includono la dipendenza da sostanze, bassa autostima, depressione o altre dif261 DDAI a Scuola ficoltà emotive. Queste affermazioni non hanno basi empiriche nella letteratura e non dovrebbero essere considerate come rischi ascrivibili al trattamento farmacologico. Per esempio, Biederman, Wilens, Mick, Spencer e Faraone (1999) hanno riscontrato che i bambini trattati con stimolanti avevano meno probabilità, da adolescenti, di abusare di sostanze illecite rispetto ai bambini non trattati. QUANDO SUGGERIRE UNA PROVA FARMACOLOGICA Gli psicologi scolastici e altri professionisti nell’ambito dell’educazione sono in una posizione ideale per sostenere quale sia il trattamento appropriato per un bambino con DDAI, data la loro opportunità di osservare il funzionamento dello studente in un contesto in cui si verificano tipicamente le più gravi difficoltà di attenzione, iperattività e impulsività (ossia la scuola). La decisione di dare inizio a una prova farmacologica non dovrebbe essere una conseguenza automatica di una diagnosi di DDAI e deve ovviamente essere presa insieme ad altre figure importanti quali il medico di base e i genitori del bambino. Prima di prendere questa decisione, si dovrebbero condurre analisi complete, a livello fisico e psicologico, per definire la presenza e la gravità dei sintomi del DDAI (vedere il Capitolo 2), come anche per identificare tutti i fattori (per es., salute del cuore) che potrebbero compromettere l’utilizzo di farmaci stimolanti. In accordo con il medico di base del bambino, lo psicologo dovrebbe tenere in considerazione i seguenti punti (tratti da DuPaul, Barkley & Conner, 1998) prima di suggerire una prova farmacologica: 1. Gravità dei sintomi del DDAI e dei comportamenti disfunzionali del bambino. Come è prevedibile, maggiore è la gravità delle difficoltà di attenzione e controllo del comportamento, maggiore sarà la necessità di un trattamento farmacologico che integri altri approcci di intervento (per es., programmi di modificazione del comportamento). 2. Applicazione precedente di altri trattamenti. Se non sono già stati applicati altri interventi (per es., programmi di gestione del comportamento in classe, parent training), la prova farmaceutica può essere rinviata, soprattutto se la gravità dei sintomi del DDAI è moderata. Se sono già in corso altre forme di trattamento, bisognerebbe prima valutarne gli esiti e verificare se esiste un margine di miglioramento (Power et al., 2003). Si devono considerare diverse problematiche: (a) i sintomi del disturbo sono migliorati in funzione dell’intervento applicato?; (b) il miglioramento è considerato 262 Trattamento farmacologico sufficiente dagli individui chiave della vita del bambino?; (c) ci sono effetti collaterali negativi che possono suggerire una sospensione o la modifica degli attuali interventi?; (d) quali sono gli effetti dei trattamenti attuali sulle principali aree di funzionamento? E (e) quale è la probabilità che, aggiungendo i farmaci stimolanti, il trattamento porti a miglioramenti ulteriori, clinicamente significativi? Se gli altri interventi hanno avuto un successo limitato, si può considerare di integrarli con i farmaci. 3.Il supporto empirico al trattamento farmacologico. Bisognerebbe scegliere il farmaco da utilizzare in parte su ricerche empiriche precedenti. Come discusso in questo capitolo, gli stimolanti del SNC godono da tempo di prove di efficacia nel trattamento di questo disturbo. Tuttavia, in pratica, si possono utilizzare altri farmaci, da soli o combinati con gli stimolanti, nonostante una scarsa letteratura di ricerca sostenga questo approccio (Brown & Sammons, 2002). 4. Atteggiamento genitoriale verso il trattamento farmacologico. Ai genitori che sono fortemente “contrari all’uso dei farmaci” bisognerebbe fornire l’opportunità di valutare i vantaggi e gli svantaggi della farmacoterapia. In particolare, dovrebbero poter leggere la letteratura che descrive con chiarezza gli effetti dei farmaci sul comportamento, gli effetti collaterali e le metodologie per monitorare il trattamento (vedere Barkley, 2000). Non dovrebbero comunque essere costretti a fare ricorso ai farmaci, dato che, in questi casi, è maggiore la probabilità di una bassa compliance al trattamento. 5. Adeguatezza della supervisione degli adulti. I genitori devono essere in grado di supervisionare adeguatamente la somministrazione del farmaco e guardarsi da eventuali abusi. Inoltre, tutti gli adulti coinvolti nel piano di intervento del bambino (ossia medici, insegnanti, psicologi, genitori) devono spendere con costanza un po’ del loro tempo per determinare l’efficacia a breve e lungo termine del trattamento farmaceutico applicato. 6. L’atteggiamento del bambino verso i farmaci. È importante discutere con il bambino l’utilizzo dei farmaci e spiegargli con chiarezza le motivazioni a esso sottese, soprattutto nel caso di bambini più grandi e di adolescenti. I bambini che si mostrano restii o sono “contrari ai farmaci”, potrebbero sabotare la terapia (per es., rifiutarsi di ingoiare la pillola). Indipendentemente dal fatto che i farmaci vengano o meno utilizzati e che abbiano successo, lo psicologo scolastico è in una posizione privilegiata per mettere in atto trattamenti aggiuntivi per il bambino con DDAI. È obbligato263 DDAI a Scuola rio utilizzare altre forme di intervento (per es., strategie scolastiche e comportamentali) prima di o in aggiunta ai farmaci per ottimizzare il funzionamento in classe del bambino (Barkley, 1998). Infatti, come precedentemente detto, l’utilizzo contemporaneo di strategie comportamentali e di farmaci stimolanti può potenziare gli effetti comportamentali, soprattutto nell’ambito dell’aggressività e delle relazioni interpersonali, minimizzando così la dose dei farmaci e/o l’intensità delle terapie applicate (Abramowitz et al., 1992; Hoza et al., 1992). COME VALUTARE IN CLASSE GLI EFFETTI DEI FARMACI Le tecniche utilizzate per monitorare la risposta ai farmaci in bambini con DDAI variano enormemente per contenuto e qualità. I risultati dello studio MTA (MTA Cooperative Group, 1999) indicano con forza che controlli multipli attraverso misure oggettive della risposta ai farmaci sono la strategia ottimale per accreditare un determinato dosaggio. Sfortunatamente, e troppo frequentemente, la verifica della dose e la valutazione dell’efficacia a lungo termine si basano unicamente sui report soggettivi dei genitori, aumentando così la probabilità di prendere decisioni sbagliate (DuPaul, Barkley & Connor, 1998). I professionisti che lavorano a scuola possono decisamente influenzare questa prassi comunicando ai medici i cambiamenti nella performance scolastica dei bambini che sono ascrivibili al trattamento farmaceutico. Infatti, alcune linee guida recenti pubblicate dall’Accademia Americana di Pediatria (2002) pongono l’enfasi (1) sull’utilizzo di misure multiple per valutare gli esiti, (2) sull’inclusione del personale scolastico nella raccolta di informazioni sulla risposta al trattamento farmacologico e (3) sulla necessità di effettuare un monitoraggio costante attraverso una comunicazione scuolafamiglia. Dal momento che la risposta ai farmaci stimolanti è spesso idiosincratica e specifica in funzione della dose, è obbligatorio raccogliere dati comportamentali oggettivi a dosi differenti, includendo un periodo di sospensione del trattamento. In circostanze ideali, la dose ottimale per un bambino dovrebbe essere stabilita all’interno di un paradigma sperimentale a doppio cieco, con condizione di controllo con placebo, che comprenda misure multiple raccolte in contesti differenti (per es., a casa e a scuola). Questo tipo di valutazione non solo prevede la raccolta di dati oggettivi e quantitativi sulla risposta del bambino al trattamento, ma permette anche di verificare eventuali distorsioni proprie di alcune misure specifiche (per es., i punteggi assegnati dagli insegnanti e dai genitori alle scale di valutazione). Discuteremo in seguito 264 Trattamento farmacologico ulteriori dettagli relativi alla pianificazione di questo sistema di verifica; dettagli che comunque sono trattati con completezza in numerosi testi recenti sulla psicofarmacologia pediatrica (Brown & Sawyer, 1998; Phelps, Brown & Power, 2001; Werry & Aman, 1999). In molti casi, i professionisti non hanno le risorse e il tempo per condurre sul trattamento farmacologico applicato verifiche eleganti e controllate con placebo. Ciò non di meno, gli psicologi scolastici e i medici di base possono, insieme, raccogliere dati oggettivi, efficaci in termini di costi-benefici, che possono essere di grande aiuto nel prendere le decisioni sui farmaci. Questo processo implica numerosi passaggi: 1. la progettazione di una somministrazione progressiva, in cui il bambino viene sottoposto, settimana per settimana, alla somministrazione di dosi multiple, (inclusa una baseline o una condizione di non-trattamento); 2. la raccolta di dati derivati da misure oggettive della risposta al trattamento per tutti i dosaggi somministrati; 3. la raccolta delle impressioni dei genitori, degli insegnanti e del bambino stesso sui possibili effetti collaterali a dosi differenti (inclusa la condizione di non-trattamento); 4. la comunicazione fra il medico e lo psicologo nel corso di e in seguito alla prova farmacologica per stabilire se il bambino ha risposto positivamente; quale sia la dose in grado di ottimizzare la performance e se la gravità di possibili effetti collaterali necessita una sospensione della prova. Quando possibile, gli adulti che valutano direttamente i cambiamenti nella performance del bambino (per es., gli insegnanti) non dovrebbero essere a conoscenza delle condizioni di somministrazione del farmaco. Si potrebbe, per esempio, continuare a inviare il bambino in infermeria per la somministrazione dell’ora di pranzo (somministrandogli una vitamina al posto del MPH), anche nella fase di non-trattamento mantenendo così all’oscuro l’insegnante sulla fase applicata in quel momento. L’uso sempre più diffuso di stimolanti a rilascio prolungato ha facilitato enormemente la possibilità di tenere gli insegnanti e il personale scolastico all’oscuro della dose somministrata. Anche se l’insegnante non è al corrente della fase di trattamento in corso, è importante fornirgli alcune informazioni sugli effetti positivi e su quelli collaterali solitamente imputabili agli stimolanti. Una guida per gli insegnanti è fornita nell’Appendice 6.1. Queste informazioni aiuteranno l’insegnante a focalizzarsi su quei cambiamenti comportamentali rilevanti ai fini del trattamento. 265 DDAI a Scuola Misure della risposta al farmaco Per valutare il cambiamento ascrivibile al trattamento, bisognerebbe raccogliere dati derivanti da numerose misure in differenti condizioni di somministrazione, incluse le valutazioni dei genitori e degli insegnanti sul controllo del comportamento e sugli effetti collaterali, come anche osservazioni dirette del comportamento in classe e della performance scolastica. Per i bambini con DDAI del tipo con disattenzione predominante saranno sufficienti misure dello span di attenzione e della produttività scolastica, dal momento che questi bambini non manifestano di solito difficoltà significative nel controllo del comportamento (Carlson & Mann, 2000). Nella Tabella 6.2 sono elencate le componenti principali, di seguito brevemente illustrate, di una prova farmacologica in contesto scolastico. Scale di Valutazione per Insegnanti Numerose scale di valutazione per insegnanti si sono rivelate utili per valutare gli effetti del trattamento farmacologico, incluse la Conners Teacher Rating Scale (Conners, 1997), la ADD-H Comprehensive Teacher Rating Scale (Ullmann et al., 1985) e la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998). L’utilizzo di uno di questi questionari può fornire una misura delle riduzioni nella frequenza e/o nella gravità delle difficoltà nel controllo del comportamento che, a parere dell’insegnante, sono imputabili al trattamento. Queste scale brevi sono da preferire a misure più complete e ad ampio spettro (per es., la Child Behavior Checklist) dal momento che forniscono informazioni più circoscritte sulla risposta al farmaco e che sono più pratiche da compilare ripetutamente. Misure come lo School Situation Questionnaire (Barkley, 1990) e lo School Situations Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley, 1992) possono essere incluse per verificare i cambiamenti nella pervasività dei problemi comportamentali e delle difficoltà di attenzione in differenti situazioni. I cambiamenti indotti dal trattamento nella produttività e nell’accuratezza scolastica possono, in parte, essere valutati utilizzando la Academic Performance Rating Scale (DuPaul, Rapport & Perriello, 1991). Tutti questi questionari possiedono livelli adeguati di affidabilità e validità. Tuttavia, si raccomanda che i questionari per l’insegnante vengano somministrati due volte nella condizione di baseline, per definire i possibili effetti “di esercizio” spesso frequenti nell’utilizzo di queste misure (Barkley, 1998). 266 Trattamento farmacologico TABELLA 6.2. Misure per la valutazione della risposta ai farmaci 1. Scale di valutazione per insegnanti a. b. c. d. Conners Teacher Rating Scale (Conners, 1997) ADD-H Comprehensive Teacher Rating Scale (Ullmann et al., 1985) ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998) School Situation Questionnaire (Barkley, 1990) o School Situations QuestionnaireRevised (DuPaul & Barkley, 1992) e. Academic Performance Rating Scale (DuPaul et al., 1991) f. Side Effects Rating Scale (Barkley, 1990) 2. Scale di valutazione per genitori a. Conners Parents Rating Scale (Conners, 1997) b. ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998) c. Home Situation Questionnaire (Barkley, 1990) e/o Home Situations Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley, 1992) d. Side Effects Rating Scale (Barkley, 1990) 3. Osservazioni dirette della performance scolastica a. b. c. d. e. Classroom Observation Code (Abikoff et al. 1977) ADHD Behavior Coding System (Barkley et al. 1988) Behavior Observation for Student in Schools (Shapiro, 1996) On-Task Behavior Code (Rapport & Denney, 2000) ADHD School Observation Code (Gadow et al., 1996) 4. Misure della performance scolastica a. Percentuale di compiti assegnati completati correttamente b. Verifiche basate sul curricolo 5. Scale di self-report a. Conners-Wells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 2000) 267 DDAI a Scuola Scale di valutazione per genitori Anche una serie di questionari per genitori si sono rivelati sensibili agli effetti dei farmaci stimolanti su questa popolazione e questi sono: la Conners Parents Rating Scale (Conners, 1997) e la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998). Lo Home Situation Questionnaire (Barkley, 1990) e/o lo Home Situations Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley, 1992) possono essere rispettivamente utilizzati per valutare la pervasività delle difficoltà comportamentali e di attenzione. Come nel caso dei questionari per insegnanti, tutti questi strumenti hanno dimostrato affidabilità e validità nella valutazione degli effetti del trattamento (Barkley, 1998). Dato che le sostanze stimolanti danno tipicamente effetti comportamentali a breve termine, è possibile che i genitori abbiano meno opportunità di osservare direttamente i cambiamenti indotti dai farmaci nei sintomi del DDAI. Pertanto, i punteggi degli insegnanti possono fornire una misura degli esiti del trattamento più sensibile di quella data dai genitori. Osservazioni dirette della performance scolastica I professionisti che lavorano a scuola sono in una posizione unica rispetto ad altri professionisti della salute mentale perché hanno l’opportunità di osservare i bambini in uno dei loro ambienti naturali più importanti. Pertanto, i questionari compilati dai genitori e dagli insegnanti possono essere integrati con le osservazioni comportamentali che presumibilmente non dovrebbero essere soggette alle distorsioni associate spesso alle scale di valutazione. Sono stati sviluppati diversi sistemi di codifica per l’osservazione del comportamento di studenti con DDAI (vedere il Capitolo 2) che includono: lo ADHD Behavior Coding System (Barkley et al. 1998; Barkley et al., 1988), lo Hyperactive Behavior Code (Jacob et al., 1978), il Classroom Observation Code (Abikoff et al. 1977), il Behavior Observation for Student in Schools (BOSS; Shapiro, 1996) e lo ADHD School Observation Code (ADHD SOC; Gadow et al., 1996). L’uso di questi sistemi di codifica può fornire informazioni importanti sulla frequenza (di solito espressa in forma di percentuali) di occorrenza di alcuni comportamenti (per es., comportamenti attinenti al compito, irrequietezza) nel corso del periodo di osservazione. Un’alternativa ai sistemi di codifica sopra menzionati è rappresentata dalla semplice registrazione dei comportamenti attinenti vs. quelli non attinenti al compito (per es., attenzione 268 Trattamento farmacologico visiva ai materiali del compito) che si è mostrata piuttosto sensibile agli effetti delle diverse dosi di MPH (vedere Rapport & Denney, 2000). Quest’ultima richiede veramente poco addestramento e da, di solito, adeguati livelli di affidabilità interosservatore. Si dovrebbero indagare anche gli effetti dei farmaci sulle interazioni sociali dei bambini. A questo scopo sono stati sviluppati numerosi sistemi di codifica e sono stati adattati per la valutazione degli effetti del trattamento farmacologico (vedere, per es., Pelham & Milich, 1991). Per esempio, osservazioni dirette del comportamento sociale utilizzando lo ADHD SOC potrebbero essere condotte in contesti relativamente poco strutturati quali la mensa scolastica o il cortile. Una variazione di questo sistema di codifica si è rivelata sensibile agli effetti del trattamento farmacologico (vedere Gadow et al., 1990) e permette di documentare cambiamenti nei comportamenti aggressivi (per es., aggressività fisica) e prosociali (per es., interazioni sociali appropriate) in funzione del trattamento. Misure della performance scolastica In concomitanza con le osservazioni comportamentali, si dovrebbero raccogliere misure della performance scolastica del bambino. Per esempio, alla fine della sessione osservativa, si potrebbero calcolare le percentuali di lavoro completato, rispetto al totale assegnatogli, e quelle di accuratezza. Tali dati sono altamente sensibili agli effetti di dosi differenti di MPH e possono indicare se si sta verificando un “decremento nella prestazione cognitiva” o un fenomeno di “iperconcentrazione” dovuti al farmaco (Rapport & Denney, 2000). Nell’ultimo caso, il bambino potrebbe manifestare miglioramenti nel comportamento ma una riduzione nella produttività scolastica e/o nell’accuratezza. Per queste misure bisognerebbe inoltre valutare la stabilità della baseline e l’affidabilità interosservatore. Anche le tecniche valutative basate sul curricolo (Shinn, 1998) sono potenzialmente appropriate per verificare i cambiamenti indotti dal farmaco in questo ambito di funzionamento. Si possono raccogliere i risultati conseguiti in diverse prove basate sul curricolo ad ogni dosaggio del farmaco per stabilire gli effetti del trattamento sulla traiettoria d’acquisizione delle competenze (Roberts & Landau, 1995; Stoner et al., 1994). Si raccomanda fortemente di raccogliere almeno 10 punteggi a dosaggio per permettere una stima più affidabile di eventuali inversioni di tendenza nei test basati sul curricolo (Shinn, 1998). 269 DDAI a Scuola Punteggi di self-report In caso di bambini più grandi (ossia con più di 9 anni) e di adolescenti, potrebbe essere utile ottenere misure di self-report dei cambiamenti ascrivibili ai farmaci, negli ambiti di controllo del comportamento, della performance scolastica e dell’autostima. Anche se l’affidabilità dei dati tratti dai self-report in questa popolazione può essere ambigua (Barkley, 1998), i punteggi di queste misure sono utili a due scopi. Primo, forniscono informazioni su aree di funzionamento (per es., depressione, autostima) non indagabili in altro modo. Secondo, coinvolgono direttamente lo studente nel processo valutativo del farmaco, incrementando così le probabilità di cooperazione e compliance alle indicazioni del trattamento stesso. Si può utilizzare a questo scopo la ConnersWells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 2000). I punteggi di self-report degli effetti dei farmaci sui sintomi del DDAI sembrano essere sensibili a dosi diverse di MPH, anche se in misura minore dei questionari per genitori e insegnanti (DuPaul et al., 1996). Valutazione dei possibili effetti collaterali I genitori e gli insegnanti del bambino dovrebbero completare, almeno settimanalmente, anche la Side Effects Rating Scale (Barkley, 1998). I bambini più grandi (ossia con più di 9 anni) dovrebbero farlo a loro volta. Questi punteggi forniscono informazioni sul numero e sulla gravità dei possibili effetti collaterali emergenti in seguito al trattamento (per es., irritabilità, insonnia, riduzione dell’appetito). I genitori possono fornire le informazioni più utili in questo ambito dal momento che hanno più opportunità di osservare le attività che sono maggiormente colpite da questi effetti (ossia l’alimentazione e il sonno). A volte, i punteggi di self-report possono essere critici nel rivelare effetti collaterali che gli insegnanti e i genitori non osservano direttamente (DuPaul et al., 1996). Come già detto, è d’importanza cruciale ottenere questi dati anche nella condizione di non-trattamento dal momento che molti atteggiamenti, che potrebbero essere indicati come effetti collaterali (per es., l’irritabilità), possono verificarsi anche in assenza di trattamento. Valutazione del trattamento farmacologico Come già precedentemente evidenziato, prima di iniziare una procedura valutativa del trattamento farmacologico, si conducono indagini fisiche e 270 Trattamento farmacologico psicologiche per stabilire la necessità di una prova a base di stimolanti. Nella Tabella 6.3 sono presentati i passaggi della valutazione di un trattamento farmacologico a scuola. TABELLA 6.3. Fasi del processo valutativo a scuola del trattamento farmacologico 1. I genitori ricevono una prescrizione dal pediatra (per es., 5 mg di Ritalina). 2. I membri dell’équipe non direttamente coinvolti nella valutazione (per es., l’infermiera della scuola) e il medico stabiliscono l’ordine di somministrazione dei differenti dosaggi (ossia 5, 10, 15 e 20 mg) includendo una fase di non-trattamento. 3. I genitori (o l’infermiera della scuola) somministrano giornalmente il farmaco sulla base di un programma predefinito. 4. Si raccolgono settimanalmente (giornalmente) misure di valutazione: a. Punteggi degli insegnanti b. Punteggi dei genitori c. Punteggi sugli effetti collaterali d. Osservazioni del comportamento in classe durante il lavoro autonomo al banco condotte da un osservatore indipendente 5. Devono essere raccolte misure di valutazione in grado di riflettere lo stato del comportamento del bambino durante la fase attiva del farmaco (ossia 2-4 ore dopo l’ingestione per i farmaci a effetto immediato). 6. Si verificano cambiamenti significativi nel comportamento (soprattutto quello scolastico) a qualche dosaggio? 7. Se sì, qual è la dose più bassa in grado di dare i maggiori guadagni con i minimi effetti collaterali? 8. Riferire i risultati al pediatra del bambino. Una volta che si è raggiunto un accordo sulla necessità di effettuare una prova farmacologica, lo psicologo scolastico dovrebbe contattare il medico del bambino per discutere e stabilire la sequenza di dosaggi che può variare in funzione dell’età del bambino. Utilizzando come esempio le varianti a effetto immediato del MPH (Ritalina), le dosi varieranno per bambini in età pre271 DDAI a Scuola scolare (2.5 mg, 5 mg e 7.5 mg), per bambini di scuola elementare (5, 10, 15 mg) e per studenti delle scuole secondarie (10, 15, 20 mg). La sequenza delle dosi dovrebbe essere casuale con l’unico vincolo di non somministrare la dose più elevata all’inizio. In questa sequenza si include anche una condizione di non-trattamento, utilizzando preferibilmente un placebo. Sia il medico sia lo psicologo scolastico prendono nota della sequenza e conservano questa informazione in un luogo sicuro fino a che la fase di valutazione non si è conclusa. Il medico prescrive almeno 1 settimana di trattamento per ogni dose, incluso, il placebo. Il genitore successivamente va in farmacia e, se possibile, il farmaco dovrebbe essere impacchettato in confezioni senza scritte e preparato sotto forma di capsule gelatinose opache. In questo caso, le capsule saranno somministrate sulla base del numero della settimana e non sulla base della dose, per mantenere così la segretezza sulla sequenza. I genitori e l’infermiera della scuola somministrano il farmaco sulla base del programma stabilito. Il programma di somministrazione tipico per i preparati di MPH e di d-amfetamina a effetto immediato prevede una capsula alla mattina e una a pranzo con un intervallo di almeno 4 ore fra l’una e l’altra. Anche se alcuni ricercatori in questo ambito suggeriscono variazioni quotidiane nel dosaggio (per es., MTA Cooperative Group, 1999; Pelham & Milich, 1991), è spesso più pratico effettuare questi cambiamenti settimanalmente. Questo evita, per esempio, di chiedere agli insegnanti di compilare i questionari giornalmente. Le misure per i genitori, gli insegnanti e quelle di self-report vengono compilate settimanalmente per tutto il corso del trattamento. Le variazioni nelle dosi dovrebbero essere fatte di sabato in modo che tutte le misure possano essere compilate fino all’ultimo giorno di trattamento per quel dosaggio (ossia il venerdì). Se i cambiamenti si verificano di sabato, il genitore è inoltre in grado di osservare possibili effetti collaterali e contattare il medico tempestivamente. Se gli effetti collaterali osservati sono piuttosto gravi, non si continua la somministrazione di quella determinata dose. La situazione ottimale è quella in cui gli insegnanti, i genitori, e lo studente non sono a conoscenza del dosaggio impiegato settimanalmente, al fine di minimizzare distorsioni nelle misure. Il farmacista dovrebbe preparare confezioni senza scritte, per ogni settimana di trattamento, inserendo anche un placebo innocuo (per es., polvere di lattosio). Se questo non fosse possibile, allora si potrebbero tenere all’oscuro l’insegnante e il bambino chiedendo al272 Trattamento farmacologico l’infermiera della scuola di somministrare, per esempio, una vitamina nella settimana del placebo o di non-trattamento. Ovviamente, l’utilizzo di una sostanza a rilascio prolungato (per es., il Concerta) non renderà necessarie queste procedure a scuola e questo è uno dei principali vantaggi di queste preparazioni. Bisognerebbe contare le pillole, se possibile, per documentare la compliance alle modalità di somministrazione stabilite. Se il farmaco non viene somministrato con costanza a casa, allora, quando possibile, entrambe le dosi andrebbero somministrate a scuola. Indipendentemente dal sistema di codifica utilizzato, le osservazioni comportamentali dovrebbero essere condotte nelle ore scolastiche in cui il bambino è coinvolto in un lavoro autonomo al banco, dal momento che questa situazione è tipicamente la più problematica per i bambini con DDAI. Possono essere utili anche osservazioni del comportamento sociale in cortile e nella mensa. Queste osservazioni dovrebbero inoltre avvenire per il massimo numero di giorni possibili per ogni dose, un’ora e mezza massimo tre ore dopo l’ingestione del farmaco, per coincidere con il picco dell’effetto sul comportamento. I periodi osservativi dovrebbero durare da 15 a 20 minuti per volta. Inoltre, tali osservazioni dovrebbero essere condotte più volte nella condizione di baseline per definire quella che è la “tendenza” stabile (ossia la costanza nei risultati) prima di introdurre le condizioni sperimentali. Bisognerebbe ottenere, il più frequentemente possibile, verifiche dell’affidabilità interosservatore (per es., con osservazioni condotte da un assistente dell’insegnante o da un counselor), idealmente almeno una volta per dosaggio, per assicurare l’integrità dei dati raccolti. I dati sulla performance scolastica dovrebbero essere raccolti in seguito a ogni sessione osservativa. Per esempio, prima di lasciare la classe, si possono calcolare la quantità e l’accuratezza del lavoro completato durante la seduta osservativa. In aggiunta, si potrebbero somministrare alcuni brevi test basati sul curricolo alla fine di ogni fase osservativa. Bisognerebbe fare attenzione a raccogliere questi dati anche su altri studenti della classe affinché il bambino con DDAI non si accorga di essere l’unico sotto osservazione. LA COMUNICAZIONE DEI RISULTATI AL MEDICO CHE HA EFFETTUATO LA PRESCRIZIONE I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero rimanere in contatto con il medico che ha effettuato la prescrizione per tutto il corso del trattamento, 273 DDAI a Scuola soprattutto quando emergono preoccupazioni su possibili effetti collaterali. Alla fine della fase di valutazione, la cosa migliore è inviare al medico un resoconto scritto dei risultati per facilitare la discussione nel corso di un successivo incontro di follow-up (vedere il Capitolo 8 per una trattazione più approfondita della comunicazione con i medici). Nel report si dovrebbe rispondere a due principali domande: (1) ci sono cambiamenti clinicamente significativi nel controllo del comportamento e nella performance scolastica del bambino associati a una dose del farmaco? e se sì, (2) qual è il dosaggio più basso (la dose minima efficace; vedere Fielding, Murphy, Reagan & Peterson, 1980) che comporta i miglioramenti più rilevanti con i minimi effetti collaterali? A queste domande si trova una risposta sistematica confrontando i dati ottenuti nella somministrazione attiva dei diversi dosaggi e nella condizione placebo. Possono essere considerati cambiamenti significativi le modifiche di 1 deviazione standard nelle condizioni di somministrazione attiva rispetto alla condizione placebo. Si possono altrimenti calcolare indici affidabili di cambiamento (Jacobsen & Truax, 1991; Speer, 1992) per ogni variabile per stabilirne la significatività statistica. Infine, può essere utile effettuare confronti con un campione normativo o con i compagni sani della stessa classe per stabilire la significatività clinica degli effetti indotti dal trattamento. Nella Tabella 6.4 è illustrato un esempio di resoconto finale dei risultati di una prova farmacologica di 4 settimane con MPH su Judy, una bambina di 9 anni con DDAI. I dati vengono sintetizzati per quattro dosaggi (placebo, 5, 10 e 15 mg di MPH) somministrati secondo una procedura a doppio cieco e in sequenza casuale. I cambiamenti significativi nei punteggi oggettivi e nelle osservazioni dirette del comportamento in classe sono identificati dalle sottolineature (si tratta di variazioni di 1 deviazione standard dalla situazione placebo o, nel caso delle osservazioni, di una percentuale di cambiamento del 10% rispetto ai valori del placebo). Judy manifestava un miglioramento considerevole nel controllo del comportamento in diverse situazioni a 10 e 15 mg, senza apparenti aumenti negli effetti collaterali. La performance scolastica veniva influenzata al meglio con 15 mg, condizione che ha portato alla prescrizione di 15 mg di MPH due volte al giorno per tutta la durata dell’anno scolastico. 274 Trattamento farmacologico TABELLA 6.4. Esempio di resoconto conclusivo di una prova farmaceutica Dose Misura Placebo 5 mg 10 mg 15 mg Scale di valutazione per i genitori CPRS-Ra Effetti Collaterali – Totale Effetti Collaterali – Gravità 7.0b 11.0 3.4 6.0 9.0 3.3 3.0c 8.0 1.1 2.0 2.0 1.0 Scale di valutazione per insegnanti CTRSd SSQe - Contesti problematici SSQ - Gravità media APRSf 14.0 8.0 5.1 49.0 15.0 8.0 4.9 51.0 9.0 3.0 1.3 58.0 4.0 0.0 0.0 67.0 60.3 49.7 62.0 68.9 59.8 61.0 80.0 95.0 78.0 89.7 98.0 88.5 Osservazioni del comportamento Percentuale di comportamenti attinenti al compito Produttività scolastica Accuratezza scolastica Conners Parent Rating Scale. Fattore Impulsività-Iperattività. I valori sono i punteggi grezzi di ogni variabile. c I valori sottolineati rappresentano cambiamenti maggiori di 1 deviazione standard rispetto al placebo. d Conners Teacher Rating Scale-Revised. Indice di Iperattività. e School Situation Questionnaire. f Academic Performance Rating Scale. Punteggio di Produttività Scolastica. g Percentuale di lavoro completato rispetto ai compagni di classe. h Percentuale di accuratezza nel lavoro scolastico. a b Il resoconto al medico dovrebbe includere una breve tabella con i risultati della valutazione, con una o due pagine che evidenziano i cambiamenti in ogni area di funzionamento per ciascuna dose. Si dovrebbe utilizzare un paragrafo finale per indicare la dose, se ce ne fosse stata una, che il personale scolastico ha valutato come più utile nel migliorare la performance scolastica del bambino (vedere il Capitolo 8). Ovviamente, la decisione definitiva sul trattamento viene presa dal medico e dai genitori del bambino. Una o due settimane dopo aver inviato il report, si può fare una telefonata di follow-up, per vedere se il medico ha qualche domanda da porre o se sono necessarie ulteriori indagini da condurre a scuola prima di prendere una decisione definitiva. Infine, si dovrebbe condurre una sessione di feedback post-valutazione, 275 DDAI a Scuola in cui i genitori e gli insegnanti del bambino discutono i risultati della prova farmacologica e in cui si risponde alle domande sul successivo trattamento (Gadow, Nolan, Paolicelli & Sprafkin, 1991). MONITORAGGIO COSTANTE DELLA RISPOSTA AL FARMACO Una volta che è stato stabilito il dosaggio ottimale per uno studente, le misure precedentemente descritte dovrebbero essere raccolte periodicamente per tutto il corso dell’anno scolastico per valutare la necessità di modifiche nel dosaggio in seguito all’insorgenza di effetti collaterali. La grande maggioranza di queste misure deve essere somministrata nuovamente ogni tot mesi. È di solito una buona idea far compilare mensilmente ai genitori la scala sugli effetti collaterali e stilare un report per il medico. Ogni 6 mesi circa, il medico conduce solitamente un breve esame fisico. In questo periodo, si prende nota dell’altezza, del peso, della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca del bambino per determinare possibili effetti collaterali. I bambini che ricevono un trattamento con antidepressivi triciclici (per es., la desiprammina) dovrebbero essere sottoposti a un ECG (elettrocardiogramma) nella condizione di baseline e a ECG di follow-up ai differenti dosaggi o in mesi differenti, una volta che si è scelta la dose di somministrazione, se non ci sono variazioni rilevanti (Spencer et al., 1998). Pertanto, lo psicologo della scuola dovrebbe cercare di raccogliere punteggi rilevanti degli insegnanti e dei genitori prima del check-up a 6 mesi e dovrebbe riferire al medico qualunque informazione anche episodica, relativa al trattamento farmacologico. Quando i genitori e gli insegnanti riferiscono che una dose precedentemente efficace “non funziona più”, lo psicologo e il medico dovrebbero lavorare insieme per determinare, prima di cambiare la dose, i possibili fattori implicati in questo apparente deterioramento della risposta. I cambiamenti comportamentali possono dipendere da fattori medici (per es., passare da una marca accreditata a un farmaco generico, scarsa compliance al trattamento) o ambientali (per es., eventi familiari stressanti, maggiore difficoltà dei compiti scolastici). È importante valutare con attenzione possibili variabili non mediche che possono spiegare il peggioramento nel funzionamento. Spesso, i genitori e gli insegnanti di bambini con DDAI possono nutrire aspettative non realistiche sulla consistenza e la quantità dei cambiamenti comportamentali associati alla farmacoterapia. Pertanto, dovrebbero rendersi conto che, anche sotto l’effetto dei farmaci, i bambini avranno occasionalmente delle “cattive giornate” indipendentemente dalla dose utilizzata. 276 Trattamento farmacologico LIMITI DEL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO CON STIMOLANTI Come per la maggior parte delle modalità di trattamento scelte, esistono variabili associate al trattamento a base di stimolanti che ne limitano l’efficacia complessiva. Alcuni di questi fattori sono stati già discussi: i possibili effetti collaterali a breve e lungo termine e anche, nel caso di preparazioni standard, una durata relativamente breve dell’azione che hanno sul comportamento. Inoltre, questi farmaci non “insegnano” al bambino a compensare i sintomi del proprio disturbo e devono essere quindi integrati con strategie di costruzione di competenze, quali programmi di modificazione del comportamento (O’Leary, 1980). Più preoccupante è la mancanza di dati a sostegno dell’efficacia a lungo termine degli stimolanti. Infatti, la maggior parte degli studi longitudinali condotti fino a oggi non ha riscontrato differenze significative fra gruppi di bambini con DDAI che erano stati trattati o meno con gli stimolanti (per es., Weiss, Kruger, Danielson & Elman, 1975). Anche se questi studi sono stati criticati per una serie di limiti metodologici (per es., la mancanza di misure sensibili agli esiti del trattamento), i risultati ottenuti rafforzano la prova che nessuna modalità di intervento singola, anche quelle con una comprovata efficacia a breve termine, è sufficiente a generare riduzioni durevoli nella sintomatologia del DDAI. Questi vecchi risultati sono bilanciati da quelli del gruppo MTA (MTA Cooperative Group, 1999) che documentano effetti consistenti dei farmaci stimolanti per un periodo di almeno 14 mesi. Raccogliendo ulteriori dati sul campione MTA, avremo maggiori informazioni sugli effetti a lungo termine di questi farmaci su diversi ambiti di funzionamento. Dato che una somministrazione due volte al dì genera intervalli brevi di controllo del comportamento, la gran parte dell’effetto del farmaco è ormai svanita quando il bambino ritorna a casa. Inoltre, la famiglia sopporterà il peso di tutti gli effetti collaterali (per es., l’insonnia) che derivano dalla farmacoterapia. Come risultato, le famiglie dei bambini con DDAI avranno bisogno di un ulteriore aiuto per gestire i problemi comportamentali del bambino a casa (vedere il Capitolo 7). I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero essere al corrente dei servizi di salute mentale disponibili sul territorio, in modo da poter effettuare invii appropriati nell’interesse della famiglia stessa (Barkley, 1998). Anche se si utilizzano dati oggettivi per definire la risposta al farmaco, spesso le decisioni relative al trattamento stesso si basano ampiamente sul “giudizio clinico” (Gadow et al., 1991). Per esempio, molte volte i cambia277 DDAI a Scuola menti dovuti al trattamento variano nelle differenti aree di funzionamento o nelle diverse fonti di dati (per es., genitori e insegnanti). In tali situazioni, lo psicologo e il medico devono decidere quali misure considerare più rilevanti ai fini di una decisione. Queste possono variare in funzione delle priorità del trattamento e dei punti di forza e debolezza del bambino. Nello specifico, per prendere una decisione sulla dose, si da peso maggiore a quegli ambiti in cui, nel pre-trattamento, il bambino manifesta le difficoltà più pesanti (Pelham et al., 1993). Inoltre, si tiene anche conto della risposta del bambino a interventi precedenti e fino a che punto sia necessario un miglioramento per far spostare il bambino all’interno di un range normale di funzionamento (Pelham et al., 1991). RIASSUNTO Numerosi farmaci psicotropi sono stati utilizzati per promuovere il funzionamento attentivo, comportamentale e scolastico dei bambini con DDAI. I farmaci stimolanti del SNC sono quelli più efficaci nella gestione della sintomatologia tipica del DDAI. Fra i bambini con DDAI che rispondono positivamente al trattamento si possono riscontrare, in seguito al trattamento farmacologico, miglioramenti nello span di attenzione, nel controllo degli impulsi, nella performance scolastica e nelle relazioni con i pari, anche se gli effetti su queste ultime due aree di funzionamento devono ricevere ancora ulteriori conferme. Gli effetti collaterali (per es., l’insonnia, la riduzione dell’appetito) sono relativamente moderati e si verificano con maggiore probabilità a dosaggi più elevati. Dato che gli effetti degli stimolanti sul comportamento sono mediati dalla dose scelta e dalla responsività individuale, ogni risposta personale al trattamento deve essere valutata in maniera oggettiva a differenti dosi terapeutiche. I professionisti che lavorano a scuola possono giocare un ruolo importante nella valutazione dei cambiamenti ascrivibili al farmaco nella performance in classe dei bambini con DDAI e possono fornire al medico dati oggettivi sui risultati. Dal momento che l’efficacia complessiva del trattamento con farmaci stimolanti è limitata da una serie di fattori, è possibile che siano necessarie altre tipologie di intervento (per es., la modificazione del comportamento) per massimizzare la probabilità di avere esiti positivi a lungo termine nel funzionamento comportamentale e scolastico dei bambini con DDAI. 278 APPENDICE 6.11 Trattamento farmacologico con stimolanti per il DDAI: un promemoria per l’insegnante I bambini con DDAI manifestano difficoltà significative di disattenzione, impulsività e iperattività. Uno degli interventi più efficaci per questo disturbo è l’utilizzo di farmaci stimolanti del sistema nervoso centrale (SNC). Questi includono la Ritalina, il Concerta, il Metadato (tutti a base di metilfenidato), la Dexedrina (d-amfetamina) e lo Adderall (mix-amfetamina). Fra questi, quello più comunemente prescritto è il metilfenidato. Gli stimolanti del SNC fanno aumentare la disponibilità di alcuni neurotrasmettitori (ossia la dopamina e la noradrenalina) in determinate parti del cervello. Questo comporta un aumento del livello di arousal del SNC e quindi maggiore attenzione e controllo del comportamento. Una volta si credeva che questi farmaci esercitassero sui bambini con DDAI un effetto paradossale (ossia sedativo) e che questa risposta fosse dipendente dalla diagnosi. Questi farmaci, invece, agiscono per stimolare l’attività del cervello non solo nei bambini con DDAI, ma nella maggior parte della popolazione adulta e infantile. Pertanto, non si può emettere una diagnosi di DDAI sulla base della risposta a farmaci stimolanti. EFFETTI COMPORTAMENTALI I principali effetti comportamentali degli stimolanti includono maggiore attenzione, minore impulsività e una riduzione dell’attività motoria non attinente al compito. Gli studenti sono più propensi a completare con accuratezza i lavori assegnatigli, mostrano una compliance maggiore con le regole della classe e manifestano meno comportamenti aggressivi. Possono anche esibire una migliore calligrafia e progressi nella motricità fine ed essere meglio accettati dai loro compagni di classe. Infatti, alcuni studi hanno mostrato che, per la maggioranza dei bambini trattati, i farmaci stimolanti possono innescare cambiamenti nello span di attenzione e nella produttività scolastica tali che il 1 Tratta da ADHD in the Schools (2nd ed. ) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. Il permesso di fotocopiare questa appendice è concesso agli acquirenti del libro e solo per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. 279 Appendice 6.1 funzionamento in questi ambiti non differisce più da quello dei compagni. È tuttavia importante evidenziare che questi farmaci non “curano” il DDAI e che un bambino con DDAI continuerà a presentare i soliti “alti e bassi” anche con una risposta positiva al trattamento. Inoltre, questi farmaci non devono mai essere l’unico intervento per il DDAI. Spesso, se combinati con altre forme di trattamento (per es., programmi di modificazione del comportamento in classe), gli effetti dei farmaci sul controllo del comportamento possono aumentare. Gli effetti comportamentali della Ritalina e della Dexedrina di solito durano da 3 a 4 ore dopo l’ingestione. Pertanto, la maggioranza dei bambini prenderà questi farmaci due volte al giorno (la mattina, prima di arrivare a scuola, e a pranzo). Questa modalità di somministrazione “copre” l’intera giornata scolastica, ma gli insegnanti dovrebbero essere consapevoli di un possibile crollo nell’efficacia nelle ultime ore della mattina. Gli altri stimolanti, (il Concerta e lo Adderall) vengono, di solito, assunti una volta al dì e i loro effetti comportamentali durano circa 8 ore. Alcuni bambini, tuttavia, non rispondono altrettanto bene a questi farmaci a rilascio prolungato. Circa il 70-80% dei bambini con DDAI fra i 5 e i 12 anni che è sottoposto a trattamento con stimolanti mostra una risposta positiva. Per gli adolescenti, la percentuale è più bassa (60%). Pertanto, si può sostenere che la maggioranza di studenti con DDAI trattata con uno stimolante risponde positivamente. La risposta a questi farmaci varia in funzione della dose. Alcuni bambini risponderanno a dosaggi più bassi, mentre altri avranno necessità di dosi più elevate per ottenere gli stessi effetti. La risposta alla dose varia notevolmente da individuo a individuo e non può essere prevista in funzione dell’età e del peso corporeo del bambino. Nello specifico, la robustezza degli effetti comportamentali può variare fra i bambini e fra le dosi da moderata (cambiamento positivo minimo nel comportamento) a consistente (“normalizzazione” del controllo del comportamento). Pertanto, la maggior parte dei medici proverà differenti dosaggi di uno specifico stimolante per stabilire la dose “ottimale” per quello specifico bambino. Nei casi in cui un bambino con DDAI non risponde a un particolare stimolante, si riscontrano assenza di cambiamenti o, in alcuni casi, peggioramenti nella sintomatologia (disattenzione, iperattività, impulsività). Di solito, il medico proverà un altro stimolante. Per esempio, alcuni bambini che non rispondono alla Ritalina possono essere trattati con successo con lo Adderall. Se nessuno stimolante sembra andare bene, alcuni medici potrebbero prescri280 Appendice 6.1 vere altri farmaci quali antidepressivi (per es., bupropione). Quindi, se non si ottengono effetti con un farmaco, esistono delle alternative. EFFETTI COLLATERALI I principali e più acuti effetti collaterali degli stimolanti sono l’insonnia e la perdita di appetito. Uno di questi due si verificherà in circa il 50% dei bambini trattati con il metilfenidato, soprattutto a dosaggi elevati e nelle fasi iniziali del trattamento. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli effetti sul sonno e sull’appetito sono piuttosto lievi e non richiedono la sospensione del trattamento. Altri effetti collaterali meno comuni sono il mal di stomaco, il mal di testa e maggiori livelli di ansia o tristezza. Alcuni bambini trattati con il metilfenidato sperimenteranno un effetto di “ritorno comportamentale” nel tardo pomeriggio e quando gli effetti del farmaco diminuiscono. L’effetto di ritorno è indicato da un peggioramento del comportamento e dell’umore del bambino, maggiore di quello presente prima del trattamento farmacologico. Si può gestire questa eventualità riducendo il dosaggio o aggiungendo un’altra somministrazione del farmaco nel tardo pomeriggio. Un numero decisamente esiguo (meno del 5%) di bambini trattati con stimolanti manifesterà tic motori e/o vocali (movimenti motori ripetitivi o rumori vocali). Di solito, questi tic scompaiono in seguito alla riduzione del dosaggio o alla sospensione del farmaco. In alcuni casi, molto pochi, questi tic permangono anche dopo la fine del trattamento. Un potenziale effetto collaterale che potrebbe essere più evidente in contesti scolastici è l’effetto di “iperconcentrazione”. Quest’ultimo può fare sì che un bambino manifesti un controllo del comportamento esemplare, ma sembri concentrarsi troppo con scarsi risultati. In alcuni bambini, questo effetto di iperconcentrazione si può manifestare esteriormente (per es., occhio vitreo, minore espressività emotiva), in altri attraverso un crollo nella performance scolastica (per es., quantità di lavoro completato correttamente). Questa reazione è di solito il risultato di un dosaggio troppo elevato. Gli insegnanti e gli altri professionisti che lavorano a scuola dovrebbero essere consapevoli dei possibili effetti collaterali dei farmaci stimolanti. Quando ci si accorge della loro presenza, bisognerebbe informarne i genitori, il medico e/o l’infermiera della scuola. Questo soprattutto nel caso dell’effetto di iperconcentrazione. Si deve fare anche attenzione a valutare i possibili effetti collaterali paragonando il comportamento del bambino con la fase di non281 Appendice 6.1 trattamento. In altre parole, quello che a volte sembra essere un effetto collaterale del farmaco è in realtà un comportamento associato al DDAI presente già prima dell’utilizzo del farmaco. Per esempio, alcuni bambini con questo disturbo sono irritabili indipendentemente dal fatto di essere sotto farmaci stimolanti. IL RUOLO NEL TRATTAMENTO DEI PROFESSIONISTI CHE LAVORANO A SCUOLA È piuttosto importante che gli insegnanti e gli altri professionisti che lavorano a scuola siano in contatto con i genitori e/o il medico in caso di prescrizione di stimolanti. Questo almeno per due ragioni. Primo, perché questi farmaci influenzano più attivamente il comportamento del bambino durante la giornata scolastica. Infatti, molti genitori non hanno l’opportunità di vedere gli effetti dei farmaci sul comportamento dei loro bambini. Secondo, perché i bambini con DDAI mostrano le loro maggiori difficoltà in contesti scolastici e pertanto il successo del trattamento si determina, in gran parte, valutando i cambiamenti nella performance a scuola. I professionisti che lavorano a scuola possono avere un ruolo in tre fasi del trattamento. Primo, bisognerebbe cercare un parere dell’insegnante prima di iniziare un trattamento farmacologico. Questo perché si deve verificare se un bambino ha un DDAI e, se sì, se il trattamento farmacologico sia veramente necessario. Se il medico del bambino non cerca in prima persona questa informazione, allora la scuola dovrebbe contattarlo per fornirgli i dati raccolti nel contesto scolastico. Secondo, i cambiamenti nel controllo del comportamento e nella performance scolastica dovrebbero essere le misure primarie di valutazione di una dose farmaceutica. Informazioni oggettive (per es., scale di valutazione compilate dagli insegnanti) sulla performance in classe hanno un valore inestimabile per prendere decisioni sul farmaco. Terzo, una volta che si è scelta una determinata dose per un bambino, gli insegnanti dovrebbero comunicare tutti i cambiamenti significativi nella performance dello studente che si verificano nel corso dell’anno scolastico. Anche se tali cambiamenti non sono sempre relazionati al farmaco, a volte un crollo nel controllo del comportamento può indicare la necessità di una modifica nel dosaggio. Pertanto, la scuola e il medico dovrebbero essere in comunicazione per tutta la durata del trattamento. 282 CAPITOLO 7 Interventi Aggiuntivi per il DDAI I bambini con DDAI manifestano spesso problemi di disattenzione, controllo degli impulsi ed elevati livelli globali di attività a casa, a scuola e nella comunità. Oltre ai comportamenti peculiari che definiscono il DDAI, questi bambini possono manifestare anche difficoltà nelle relazioni con i pari, frequente inottemperanza alle richieste di figure di autorità e problemi della condotta, quali mentire e rubare, rendimento e competenze scolastiche scarse. Sfortunatamente, nessuna modalità di trattamento isolata, inclusa quella farmacologica, è sufficiente per migliorare tutti i problemi che un bambino con DDAI incontra. La natura cronica e potenzialmente debilitante delle problematiche associate al DDAI richiede l’utilizzo di interventi multipli applicati in contesti differenti per un lungo periodo di tempo. Inoltre, le strategie di trattamento dovrebbero focalizzarsi su molteplici comportamenti target per massimizzare l’impatto sul funzionamento complessivo del bambino. Per molti bambini con questo disturbo, si deve costruire un ambiente “protesico”, per un lasso di tempo piuttosto lungo, a scuola e a casa (Barkley, 1998). In aderenza con questa conclusione, lo studio più ampio sui risultati del trattamento condotto fino a oggi su questa popolazione (ossia lo studio MTA; MTA Cooperative Group, 1999) includeva componenti multiple (parent training, interventi a scuola e programmi di trattamento estivo) come parti del protocollo di intervento psicosociale. I capitoli precedenti hanno mostrato nel dettaglio le procedure comportamentali da applicare in classe e i farmaci psicotropi per il trattamento del DDAI. Certamente, la combinazione di queste modalità terapeutiche rappresenta, al momento, l’approccio “ottimale” per il DDAI. Ciò non di meno, in 283 DDAI a Scuola molti casi saranno necessari interventi aggiuntivi in funzione della gravità dei sintomi del DDAI e della presenza di ulteriori difficoltà comportamentali. In questo capitolo, si presentano diverse strategie terapeutiche che possono integrare i programmi di intervento in classe e la farmacoterapia. Presentiamo prima di tutto il training in classe delle competenze sociali e anche alcune strategie di peer coaching. Di seguito, descriviamo una serie di interventi per la famiglia, come il parent training e la terapia familiare comportamentale, soprattutto in relazione all’impatto che questi possono avere sulla performance scolastica. Illustriamo inoltre alcune tecniche per facilitare l’esecuzione dei compiti a casa. Nella sezione finale del capitolo, passiamo in rassegna i trattamenti per il DDAI che non hanno o che hanno minime prove di efficacia, ma che spesso vengono presentati come efficaci dai mass media. L’applicazione di queste terapie spesso toglie tempo ed energie ai trattamenti comprovati. Pertanto, è importante che i genitori, gli insegnanti e tutto il personale scolastico siano consapevoli del supporto che tutte le terapie presentate in questo libro hanno nella letteratura di ricerca. INTERVENTI IN CLASSE Nel Capitolo 5, sono stati descritti una serie di interventi in classe che includevano strategie proattive (per es., peer tutoring) e reattive (per es., token reinforcement). Molte altre tecniche possono essere utili per affrontare i problemi associati al DDAI. Il training delle competenze sociali che utilizza, per esempio, il modeling, la ripetizione del comportamento e l’esercizio con rinforzo, può a volte migliorare le difficoltà nelle relazioni interpersonali spesso mostrate dai bambini con DDAI. Anche se i supporti empirici del training delle competenze sociali in questa popolazione sono ancora limitati, crediamo sia importante che i professionisti che lavorano a scuola conoscano quali procedure potrebbero essere più efficaci, sulla base delle informazioni al momento disponibili. Training delle competenze sociali Come discusso nel Capitolo 1, i bambini con DDAI hanno spesso difficoltà nell’interazione con i pari e nel mantenere stretti rapporti di amicizia. I problemi di disattenzione e di controllo degli impulsi disturbano la “performance sociale” di questi bambini in molti modi: possono inserirsi in attività 284 Interventi aggiuntivi per il DDAI già iniziate dai compagni (per es., giochi alla lavagna o in cortile) in maniera improvvisa e disfunzionale e indurre così il loro disinteresse verso l’attività stessa. Un bambino con DDAI probabilmente non chiederà il permesso prima di unirsi a un gioco e potrebbe quindi partecipare senza rispettare le regole precedentemente stabilite. Inoltre, questi ragazzi spesso non rispettano le norme “implicite” della buona conversazione: interrompono spesso gli altri, non fanno attenzione a quello che viene detto e rispondono in modo non attinente (per es., non consequenziale) alle domande o alle affermazioni dei compagni. Questi bambini tendono, infine, a “risolvere” i problemi interpersonali in maniera aggressiva molto più frequentemente dei loro coetanei. Questo non sorprende data la forte associazione fra il DDAI e l’aggressività fisica. Sono pertanto molto frequenti conflitti e liti con i compagni. Similmente, i bambini con DDAI perdono velocemente il controllo e si arrabbiano con grande facilità. Le prese in giro e altre forme di provocazione che quasi tutti gli altri bambini riescono a ignorare e gestire in qualche modo, possono causare una reazione improvvisa e violenta in molti ragazzi con questo disturbo. Data la varietà dei problemi nella performance sociale dei bambini con DDAI, subiscono un rifiuto da parte dei loro compagni anche con più facilità dei bambini che sono solo aggressivi (Barkley, 1998). Più preoccupante risulta il fatto che questo rifiuto spesso perdura nel tempo (Parker & Asher, 1987). Pertanto, gli interventi che vogliono affrontare tutte queste difficoltà devono essere applicati per un tempo sufficientemente lungo per contrastare il rischio di esiti negativi. Ciò che rende particolarmente difficili i tentativi di intervento in questo ambito, è che i bambini con DDAI non sembrano avere deficit nelle competenze sociali di per sé. Sono in grado di elencare le “regole” di un comportamento sociale appropriato proprio come i coetanei. Quello che li distingue dal gruppo dei pari è che spesso non sono in grado di comportarsi in accordo con queste regole. Tale deficit di prestazione è in accordo con l’ipotesi che i bambini con DDAI presentino una compromissione nella risposta differita all’ambiente. Pertanto, in numerose situazioni interpersonali, i bambini con DDAI mettono in atto un comportamento sociale prima di aver riflettuto sulle sue conseguenze. Questi deficit nella performance sociale sono più complessi da trattare rispetto ai deficit nelle competenze per due principali ragioni. Primo, perché gli interventi disponibili per le relazioni sociali affrontano soprattutto deficit nelle competenze più che nella performance. Inoltre, dal momento che le difficoltà nella performance sociale si verificano in diversi contesti (per es., la classe, il cortile, il vicinato), gli in285 DDAI a Scuola terventi per affrontarle devono essere applicati da più individui in situazioni multiple. Similmente, i trattamenti che si occupano della comprensione delle situazioni sociali e dei comportamenti prosociali a un livello di gruppo (ossia i tradizionali training delle abilità sociali) non hanno generato cambiamenti durevoli nel funzionamento interpersonale in bambini con DDAI all’interno di contesti “reali”. Anche se sono stati ottenuti, nel corso delle sedute di training, incredibili miglioramenti nelle abilità di conversazione, nel problemsolving e nel controllo della rabbia, raramente questi perdurano una volta che il bambino ha lasciato la stanza della terapia (DuPaul & Eckert, 1994; Gresham, 2002). La mancanza di uniformità e di generalizzabilità dei programmi di training nelle competenze sociali ha portato alla formulazione di un approccio più completo di intervento sulle relazioni sociali per bambini con disturbi del comportamento disfunzionale (per una rassegna delle strategie sulle competenze sociali, vedere Gresham, 2002). Per esempio, Sheridan (1995) ha sviluppato il programma Tough Kids Social Skills (Competenze Sociali per Bambini “Tosti”) per l’applicazione in contesti scolastici. Questo programma include tre possibili livelli di training sulle competenze sociali: in piccoli gruppi, per tutta la classe e per tutta la scuola. Anche se tutti e tre potrebbero essere utili per bambini con DDAI, è possibile che questi bambini abbiano più bisogno di un training in piccoli gruppi a causa delle persistenti difficoltà relazionali. Si pianificano 12 sedute da 60 minuti suddivise in tre unità: ingresso nell’interazione sociale, mantenimento dell’interazione e problemsolving. Il training sull’ingresso nell’interazione sociale si occupa di abilità di conversazione, delle modalità di aggregazione ad attività già iniziate dai pari e dell’espressione delle emozioni. Due sedute si focalizzano sul mantenimento dell’interazione, includendo la capacità di portare avanti una conversazione e quella di giocare in maniera cooperativa. Si conducono infine numerose sedute sul problem-solving per facilitare la gestione della rabbia, il mantenimento del self-control e la capacità di risolvere piccoli conflitti. Si utilizzano alcune sedute di ripasso per facilitare il mantenimento dei miglioramenti conseguiti nella performance sociale. Sheridan, Dee, Morgan, McCormick e Walker (1996) hanno trovato un primo supporto empirico all’utilizzo di questo programma con bambini con DDAI. Ogni seduta del programma si conduce allo stesso modo. Innanzitutto, si controllano i “compiti” assegnati nella seduta precedente e si discutono con il gruppo. Si rivedono, inoltre, le 286 Interventi aggiuntivi per il DDAI regole del gruppo all’inizio di ogni seduta. In seguito, il leader del gruppo presenta verbalmente il comportamento oggetto della seduta presente e lo mima. Nella terza fase, gli studenti mettono in atto un role-play sullo specifico comportamento sociale utilizzando storie inventate dal gruppo e dal leader. Potrebbe essere utile videoregistrare i role-play per facilitare l’analisi a posteriori e il feedback. Una quarta fase della seduta prevede che i membri del gruppo analizzino ogni role-play e forniscano un feedback ai partecipanti. Si può anche chiedere agli studenti di analizzare la propria performance prima di ascoltare il feedback degli altri membri del gruppo. Gli studenti che si sono guadagnati la ricompensa comportandosi in accordo con le regole del gruppo ricevono in premio una merenda. Infine, si chiede a ogni studente di fissare un obiettivo per la settimana successiva, in relazione con il comportamento sociale della presente seduta. Questi obiettivi dovrebbero essere il più personalizzati possibile. Si utilizza poi un contratto sul comportamento per identificare le ricompense che saranno rese disponibili una volta che lo studente avrà conseguito gli obiettivi prefissati. Programmi di generalizzazione Anche se il training appena descritto può portare a miglioramenti considerevoli nei comportamenti sociali appropriati esibiti nel contesto del gruppo di training, tali cambiamenti non vengono necessariamente trasferiti spontaneamente nella quotidianità (per es., al gioco in cortile, nel vicinato o nella classe). Pertanto, un programma sulle relazioni interpersonali che voglia essere veramente completo deve prevedere modalità dirette per il mantenimento dei miglioramenti e procedure di generalizzazione dei nuovi comportamenti sociali appresi. I programmi di generalizzazione possono includere strategie di training che si rivolgono ad aspetti interiori del bambino, come pure strutturazioni dell’ambiente che possano supportare la manifestazione di comportamenti prosociali (Hoff & Robinson, 2002). Bisognerebbe inserire numerose procedure nel training delle competenze sociali per accrescere la probabilità di generalizzare questi comportamenti a contesti reali. Come mostrato nel programma Tough Kids Social Skills, queste strategie includono: (1) l’utilizzo, per i role-play, di situazioni di vita reale individuate dal gruppo; (2) l’utilizzo di numerosi esempi e di molteplici opportunità di allenamento durante i role-play e il modeling; (3) l’assegnazione di compiti che prevedano l’applicazione di tecniche di auto-monitoraggio e 287 DDAI a Scuola di auto-rinforzo e (4) la pianificazione di sedute periodiche di ripasso per rinforzare ed estendere il training precedente. Una delle principali ragioni per cui i comportamenti sociali appresi non si generalizzano alla vita reale è che gli adulti (per es., i genitori, gli insegnanti) e i pari non incoraggiano necessariamente e non rinforzano con costanza i comportamenti desiderati. In queste circostanze, è improbabile che si verifichi la manifestazione delle nuove competenze acquisite. Pertanto, si devono inserire delle modifiche nell’ambiente naturale del bambino in modo che questo incoraggi l’esibizione di comportamenti appropriati. Le modifiche all’ambiente possono includere componenti quali: (1) dare indicazioni ai genitori affinché incoraggino i bambini a mettere in pratica i comportamenti appresi nelle sedute sulle competenze sociali; (2) sviluppare programmi di contingency management a casa e a scuola per rinforzare le competenze apprese e per diminuire la probabilità di occorrenza di aggressività fisica e verbale (per es., utilizzando un token reinforcement unito a un response cost per determinati comportamenti sociali) e (3) insegnare ai bambini a ottenere rinforzi dagli altri, mettendo in atto comportamenti prosociali (DuPaul & Eckert, 1994). Pertanto, i genitori e gli insegnanti sono una parte importante dell’équipe di intervento sulle competenze sociali, dal momento che sono i principali agenti di generalizzazione. Coinvolgimento strategico dei coetanei Oltre i genitori e gli insegnanti, anche i compagni possono essere considerati agenti di generalizzazione dei comportamenti prosociali in contesti diversi. Includere i pari è piuttosto importante, dal momento che essi sono spesso presenti in situazioni in cui il monitoraggio e l’attenzione degli adulti non sono immediatamente disponibili (per es., giochi con vicini di casa). Inoltre, i coetanei sono gli unici a stabilire se si stanno verificando dei cambiamenti clinicamente significativi (dal momento che dovrebbe, in questo caso, aumentare l’accettazione sociale e il numero delle amicizie). I coetanei possono essere coinvolti in tutte le fasi dell’intervento sulle competenze sociali. Possono per esempio diventare “modelli di comportamento” nelle sedute di training: attraverso la partecipazione ai role-play e il feedback possono fungere da “co-terapeuti”. Il cambiamento comportamentale è infatti decisamente maggiore nei training che prevedono un gruppo di coetanei misto (ossia con bambini “normali”) da quelli composti unicamente da bambini con difficoltà 288 Interventi aggiuntivi per il DDAI da comportamento antisociale (Ang & Hughes, 2002). I coetanei possono inoltre fungere da tutor del comportamento sociale nell’ambiente naturale, incoraggiando e rinforzando determinati comportamenti sociali appresi nelle sedute di training. Ancora una volta questo richiederebbe di addestrare i pari ad agire come co-terapeuti. Cunningham e Cunningham (1998) hanno sviluppato un programma di risoluzione dei conflitti che vede i pari come mediatori e che coinvolge i coetanei nel ruolo di tutor al momento del gioco in cortile. L’utilizzo di programmi di mediazione con i coetanei è associato a riduzioni della violenza in cortile e delle interazioni negative in tutta la scuola. Infine, i genitori possono organizzare situazioni di training sull’amicizia da applicare a casa, supervisionando il bambino con DDAI nell’ambito di attività altamente strutturate e non competitive con un piccolo gruppo di coetanei (Guevremont, 1990). In molti casi, questo sistema sarebbe preferibile per incoraggiare i bambini con DDAI a partecipare alle attività della comunità, quali squadre sportive o gruppi di scout, che potrebbero essere supervisionate più da vicino e avere caratteristiche intrinseche più competitive. Il coaching di adolescenti con DDAI Gli studenti con DDAI sperimentano spesso difficoltà nel progettare le loro attività e nel completare i compiti in un lasso di tempo ragionevole. Per questa ragione, possono trarre beneficio da strategie di supporto che promuovono la fissazione di obiettivi, l’auto-monitoraggio e il completamento dei compiti per tempo. Un modo possibile di ottenere questi risultati è quello di affidarsi a strategie di coaching in cui un adulto o un compagno lavorano con lo studente con DDAI per incoraggiare e rinforzare la corretta scelta degli obiettivi e di strategie di gestione del tempo. Dawson e Guare (1998) hanno sviluppato un programma di coaching per gli adolescenti con DDAI. Il loro programma prevede due fasi principali. Nella prima fase, l’adolescente con DDAI lavora con un coach per (1) identificare possibili obiettivi a lungo termine; (2) determinare i criteri in base ai quali definire se un obiettivo è stato conseguito con successo e (3) delineare i possibili ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo. Uno studente può desiderare per esempio di ottenere un buon voto in una particolare materia. Il criterio potrebbe essere il voto specifico (per es., una “B” o meglio ancora) e, forse, un giudizio da parte dell’insegnante che indichi che lo studente padroneggia veramente il materiale. Possibili ostacoli al successo potrebbero includere la non comprensione di alcuni contenuti del289 DDAI a Scuola la materia, le distrazioni presenti nell’ambiente a casa (per es., il lettore CD, i videogames), che potrebbero interferire con lo studio, e scarse competenze nel prendere appunti. Nella seconda fase del programma di coaching, lo studente e il coach si incontrano regolarmente per progettare strategie e per analizzare i progressi verso l’obiettivo. Queste sedute includono quattro componenti (identificate dall’acronimo REAP): (1) Analisi, (2) Valutazione, (3) Anticipazione e (4) Progettazione. Il coach e lo studente analizzano quanto lo studente ha raggiunto nel corso delle sedute e valutano se è stato fatto qualche progresso verso l’obiettivo a lungo-termine. Molte volte, questo processo è agevolato dal fissare obiettivi intermedi a breve termine per fornire un rinforzo mano a mano che lo studente si avvicina all’obiettivo a lungo termine. Si anticipano i possibili ostacoli ai traguardi futuri e si sviluppa un piano per affrontarli e, allo stesso tempo, si applicano procedure per facilitare il raggiungimento degli obiettivi. Le sedute hanno una cadenza almeno settimanale e sono relativamente brevi (30 minuti). Anche se Dawson e Guare (1998) non presentano i risultati del loro modello di coaching, sembra essere un approccio promettente per aiutare gli adolescenti con DDAI. In particolare, gli studenti che hanno fatto progressi comportamentali significativi con altre strategie di intervento (per es., farmaci stimolanti o contratti sul comportamento) possono essere pronti per fare un altro passo verso l’autocontrollo. Uno studente deve essere motivato a lavorare con un adulto o un compagno per trarre profitto dal programma di coaching. Pertanto, i professionisti che lavorano a scuola dovrebbero prendere in considerazione la combinazione fra lo studente e l’approccio scelto e valutare anche chi potrebbe essere il migliore coach per quello studente. In alcuni casi, la scelta migliore può essere un adulto (per es., l’insegnante, il counselor, o un altro parente), mentre in altre situazioni un ragazzo potrebbe lavorare meglio con un coetaneo o un compagno di classe molto bravo. INTERVENTI PER L’ AMBITO FAMILIARE Parent training È spesso importante per i genitori di bambini con DDAI ricevere indicazioni di sostegno su strategie di gestione del comportamento al fine di accrescere l’attenzione dei loro bambini nelle incombenze di casa e l’aderenza alle regole della famiglia. In alcuni casi, gli psicologi scolastici o gli 290 Interventi aggiuntivi per il DDAI assistenti sociali forniscono servizi di parent training a scuola, soprattutto se questi non sono disponibili sul territorio (per es., con uno psicologo clinico). Quando si fornisce un servizio di parent training a scuola, si pone di solito l’attenzione sull’aiutare i genitori nella supervisione dello svolgimento dei compiti a casa e dello studio. Esistono una serie di programmi di parent training sulle strategie di modificazione del comportamento (per es., Webster-Stratton, 1994). Barkley (1997b) ha adattato il programma di parent training di Forehand e McMahom per affrontare più specificamente i principali problemi del DDAI. Questo programma di training, come di seguito descritto, si può condurre con una sola coppia genitoriale o con un gruppo di coppie. Di solito il bambino non partecipa al training, salvo nei casi in cui il terapeuta desidera che i genitori applichino le strategie dal vivo. Le sedute di training durano un’ora, un’ora e mezza per una singola famiglia e un’ora e mezza o due per i gruppi. Ogni seduta di training prevede una sequenza analoga di attività. Si inizia con il ripasso delle informazioni trattate la settimana precedente, seguito da una breve valutazione di eventuali situazioni critiche che possono essersi verificate nel corso della settimana e da una discussione dei compiti a casa assegnati alla fine della seduta precedente. Il terapeuta poi fornisce le istruzioni su una specifica strategia di gestione del comportamento che i genitori devono applicare nella settimana successiva. Dopo la trasmissione teorica di contenuti, il terapeuta mima il comportamento giusto. I genitori provano praticamente la procedura e ricevono un feedback e ulteriori eventuali linee guida. Alla fine della seduta, si assegna come compito per la settimana successiva l’esercizio ulteriore della strategia. Si distribuiscono degli opuscoli con i dettagli sulla tecnica e sulle procedure per eventuali ripassi. Il parent training dura di solito nove settimane. Gli argomenti delle sedute includono: la spiegazione del perché il bambino manifesta comportamenti disfunzionali, le strategie per gestire questi comportamenti, i metodi per accrescere la compliance e il gioco indipendente, lo sviluppo di un programma di token reinforcement, l’utilizzo di tecniche di interruzione del rinforzo positivo e di response cost, le strategie per gestire il comportamento del bambino in pubblico, l’utilizzo di un sistema di comunicazione casa-scuola e le modalità per affrontare eventuali future difficoltà comportamentali. Alla conclusione del primo corso di parent training si organizzano degli incontri di follow-up ogni mese per fornire sedute “di ripasso” sulle tecniche di gestione, e di supporto per mantenere le competenze acquisite. Per informazioni più dettagliate 291 DDAI a Scuola sul parent training, il lettore dovrebbe consultare Barkley (1997b) e Anastopoulos e colleghi (1998). Nonostante il supporto empirico sostanziale che il parent training ha come trattamento della negligenza nei bambini (Brestan & Eyberg, 1998), sono stati raccolti meno dati sugli effetti specifici di questo intervento su bambini con DDAI. Numerose ricerche suggeriscono che questo approccio al trattamento è efficace (per es., Anastopoulos, Shelton, DuPaul & Guevremont, 1993; Horn, Ialong, Popovich & Peradotto, 1987); tuttavia, restano ancora alcuni dubbi dato l’esiguo numero di studi condotti e le numerose differenze metodologiche fra di essi. In particolare, è necessaria una ricerca più approfondita per verificare la stabilità nel tempo e la generalizzazione a contesti diversi degli effetti del trattamento in questa popolazione. Inoltre, questo paradigma di training può essere utile anche per gli insegnanti. Malgrado la necessità di indagini ulteriori, il parent training per le strategie di modificazione del comportamento è una componente essenziale e spesso necessaria di un programma di trattamento multimodale per il DDAI. Certamente, uno dei principali elementi dell’intervento comportamentale dello studio MTA era un programma di parent training intensivo (Wells et al., 2000). Terapia Familiare Comportamentale per adolescenti Gli adolescenti con DDAI mostrano spesso elevati tassi di comportamenti disfunzionali e negligenti, ribellione, problemi della condotta e conflittualità con i membri della famiglia rispetto agli adolescenti senza il disturbo (Barkley, Anastopoulos, Guevremont & Fletcher, 1991; Robin, 1998; Weiss & Hechtman, 1993). La conflittualità interpersonale è un problema particolarmente importante nelle famiglie con DDAI e disturbo oppositivo provocatorio, perché queste ultime hanno maggiori probabilità di manifestare comportamenti avversivi (per es., insulti, aggressioni verbali) rispetto alle coppie genitoriali di adolescenti con solo DDAI o senza disturbo (Edwards, Barkley, Laneri, Fletcher & Metevia, 2001). Possibili approcci per affrontare il conflitto fra i genitori e l’adolescente includono gli interventi più comuni per il DDAI (per es., farmaci stimolanti e contingency management) e diverse forme di terapia familiare (per es., terapia familiare strutturale, Minuchin, 1974). Un approccio di terapia familiare comportamentale, noto come “training nel problem-solving e nella comunicazione” (PSCT, Robin & Foster, 1989), 292 Interventi aggiuntivi per il DDAI combina elementi del contingency management e della terapia familiare strutturale. Nello specifico, la PSCT include la costruzione di competenze quali l’apprendimento del problem-solving e di atteggiamenti comunicativi adeguati, l’imposizione di cambiamenti nel sistema familiare e nelle coalizioni. In molti casi, vengono utilizzate tecniche di terapia cognitiva per ristrutturare i sistemi di credenze irrazionali dei membri della famiglia (Robin & Foster, 1989). Due ricerche hanno indagato l’efficacia della PSCT nel trattare adolescenti con DDAI e disturbo oppositivo provocatorio. Barkley, Guevremont, Anastopoulos e Fletcher (1992) hanno trovato che la PSCT è efficace tanto quanto le strategie di contingency management e la terapia strutturale nel ridurre il numero di conflitti e l’intensità della rabbia manifestata nel corso di discussioni a casa. Inoltre, la PSCT migliorava significativamente la qualità della comunicazione genitori-adolescente, secondo resoconti indipendenti di 21 adolescenti con DDAI e delle loro madri. I genitori riportavano anche miglioramenti nell’adattamento scolastico degli adolescenti e nell’entità dei sintomi interiori (per es., la depressione) ed esteriori (per es., disturbo della condotta). Questo trattamento è stato valutato positivamente da tutti i membri della famiglia attraverso questionari di consumer satisfaction e i miglioramenti conseguiti erano ancora presenti a un follow-up di 3 mesi dopo. Sfortunatamente, gli effetti del trattamento non erano stati misurati su osservazioni dirette del conflitto genitore-adolescente, non davano come risultato cambiamenti significativi per la maggioranza del campione e la PSCT sembrava peggiorare il grado di convinzioni irrazionali che alcune madri avevano sui problemi di condotta dei loro figli. Barkley e colleghi (2001) hanno replicato questi studi e hanno inoltre riscontrato che la combinazione della PSCT con procedure di contingency management migliora i risultati. Gli effetti comportamentali erano equivalenti per la PSCT da sola e in combinazione con tecniche di contingency management, anche se le famiglie abbandonavano con maggiore probabilità il gruppo a cui si applicava la PSCT da sola. Il funzionamento familiare si normalizzava nel 70% delle famiglie nelle due condizioni di trattamento. Questi risultati forniscono almeno un supporto preliminare all’utilizzo della PSCT per il trattamento di adolescenti con DDAI e delle loro famiglie. È necessario indagare ulteriormente quali famiglie traggano più beneficio da questo trattamento e se, per determinate famiglie, sia necessario introdurre altre componenti dell’intervento (per es., contingency management). 293 DDAI a Scuola Interventi sui compiti a casa Dati i problemi scolastici e comportamentali che sperimentano gli studenti con DDAI, non sorprende che molti di loro incontrino difficoltà nello svolgere i compiti a casa in tempo e bene (Karustis, Power, Rescorla, Eiraldi & Gallagher, 1998). Tali difficoltà possono includere non scrivere e non portare i compiti a casa, non completare quelli assegnati con accuratezza, discutere con i genitori sul completamento dei compiti e non riuscire a riconsegnarli nel tempo stabilito (Power et al., 2001). Le difficoltà nello svolgimento dei compiti a casa rivestono un’importanza critica a causa della loro associazione con il rendimento scolastico (Cooper, Lindsay, Nye & Greathouse, 1998). Pertanto, negli anni, sono stati sviluppati programmi di intervento per affrontare le difficoltà nello svolgimento dei compiti a casa (per es., Olympia, Jenson & Hepworth-Neville, 1996). Power e colleghi (2001) hanno sviluppato e sottoposto a verifica in uno studio pilota un programma di intervento promettente per i compiti a casa, specifico per studenti con DDAI. Il loro programma, Homework Success (Riuscire a fare i Compiti a Casa), comprende sette sedute di 90 minuti condotte con gruppi di genitori. Così come è strutturato, questo programma potrebbe essere inserito in un parent training (come quello descritto prima) o utilizzato quale metodo a sé. C’è una forte componente collaborativa in questo intervento, dal momento che in determinati momenti vengono coinvolti sia gli insegnanti che i bambini . Per esempio, si promuove un incontro fra genitori e insegnanti all’inizio del programma per identificare i problemi specifici nello svolgimento dei compiti a casa e per enfatizzare l’importanza della collaborazione casa-scuola. Le componenti principali di questo programma sono procedure di contingency management e di fissazione degli obiettivi per incoraggiare una coerenza nella prestazione nei compiti a casa. Gli argomenti trattati nello Homework Success includono: un’introduzione al programma, la strutturazione di una routine per lo svolgimento dei compiti, l’attribuzione di rinforzo positivo, la gestione del tempo e la scelta di obiettivi, l’utilizzo appropriato di metodi avversivi, l’anticipazione di probabili difficoltà e l’offerta di un servizio di follow-up di supporto. In questo intervento, che si basa sulla costruzione di competenze, si insegnano ai genitori strategie nuove in ogni seduta. Ci si aspetta che i genitori a loro volta eseguano i compiti a casa assegnati fra una seduta e l’altra e all’inizio di ciascuna seduta si verifica il grado in cui sono 294 Interventi aggiuntivi per il DDAI riusciti ad applicare le tecniche apprese. Power e colleghi (2001) sottolineano l’importanza di utilizzare dati empirici per verificare i cambiamenti nella performance dei compiti a casa nel corso del tempo e forniscono numerose misure per rendere questa raccolta di dati più semplice. Anche se si devono ancora condurre indagini più approfondite su questa tipologia di intervento, l’analisi controllata di casi singoli indica che lo Homework Success porta a miglioramenti, in produttività e accuratezza, nello svolgimento dei compiti a casa (Daniel, Power, Karustis & Leff, 1999). Gruppi di supporto per genitori Di solito è piuttosto utile per i genitori di bambini con DDAI interagire con altri genitori di bambini con difficoltà simili per condividere frustrazioni, risultati e strategie di supporto. Sono state fondate associazioni di genitori che svolgono funzioni di sostegno, danno informazioni chiarificatrici sul DDAI ed esercitano pressione sulle autorità politiche affinché queste garantiscano sempre più servizi a questa popolazione. Una delle associazioni di genitori più importante a livello nazionale è la Children and Adults with Attention-Deficit/ Hyperactivity Disorder (Bambini e Adulti con Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività; CHADD) che ha la propria sede a Landover, Michigan1. La CHADD è stata fondata nel 1987 e ha sezioni locali praticamente in ogni stato. Oltre a pubblicare un quadrimestrale, organizza una conferenza annuale sul DDAI di risonanza nazionale. I membri della CHADD non sono solo genitori, ma anche insegnanti e professionisti sanitari che lavorano con bambini con DDAI. Simili associazioni hanno un ruolo molto importante nel trattamento complessivo del DDAI, dal momento che forniscono informazioni valide sul disturbo e che sono una guida per i membri nella ricerca degli interventi educativi e terapeutici appropriati ai loro bambini. INTERVENTI DI SCARSA O NESSUNA EFFICACIA Sono stati proposti e sponsorizzati numerosi trattamenti per il DDAI nel corso degli anni che, in ricerche controllate, si sono dimostrati di efficacia 1 Informazioni sulle modalità di iscrizione alla CHADD o a una sezione locale dell’associazione si possono ottenere contattato la sede nazionale allo 1-800-233-4050; scrivendo all’indirizzo 8181 Professional Place, Suite 201, Landover MD 20785 o visitando il loro sito Web www.chadd.org 295 DDAI a Scuola minima nel migliorare i deficit attentivi o che, invece, non sono mai stati oggetto di ricerche empiriche serie. Malgrado la mancanza di una comprovata efficacia, molti di questi trattamenti (per es., cambiamenti nella dieta alimentare) godono di una discreta popolarità e vengono utilizzati spesso. In generale, il supporto per queste terapie deriva “dall’opinione di esperti” e/o da una validità apparente (ossia hanno senso a livello intuitivo e pertanto sono estremamente attraenti per il consumatore). Nonostante i trattamenti non efficaci siano raramente in grado di causare danni a livello fisico, il loro utilizzo sottrae tempo, energie e risorse importanti all’applicazione di terapie efficaci. Pertanto è importante per i professionisti che lavorano a scuola essere a conoscenza delle tipologie di trattamento non efficaci e scoraggiarne l’utilizzo ogni qual volta sia necessario. Certamente, questo dovrebbe essere fatto con una certa sensibilità, offrendo alternative di intervento che abbiano un supporto empirico maggiore.I trattamenti per i bambini con DDAI che hanno un’efficacia minima, se non nulla, includono: il training di rilassamento, la terapia con il gioco, la prescrizione di alcune vitamine, l’integrazione dietetica di amminoacidi, il biofeedback sull’elettroencefalogramma (ECG), la somministrazione di erbe medicinali, gli esercizi con movimenti oculari e le diete alimentari specifiche (per es., quella di Feingold). Fattori da considerare prima di suggerire un trattamento A causa della moltitudine di trattamenti proposti per il DDAI, non è possibile discutere i meriti propri di ogni approccio. Ciò non di meno, è importante fornire una serie di linee guida che possono essere utilizzate al momento di valutare una terapia “nuova” o “alternativa” per il DDAI, considerando che il suo utilizzo potrebbe sottrarre energie a alternative più efficaci (Ingersoll & Goldstein, 1993). 1. Se chi sviluppa o propone una terapia sostiene che questa “può curare” il DDAI o che può essere utilizzata da sola per il trattamento del disturbo, allora è il caso di innalzare una bandiera rossa. Anche i trattamenti più efficaci e ben comprovati per il DDAI (per es., il trattamento con farmaci stimolanti) non generano miglioramenti stabili nel funzionamento dei bambini e devono essere integrati da una serie di altri interventi applicati in molteplici contesti. La pretesa di “essere curativa” deve quindi generare cautela. 2. Alcuni trattamenti che si spacciano per efficaci e potenzialmente curativi per un’intera serie di disturbi (per es., DDAI, disturbi dell’apprendimento, 296 Interventi aggiuntivi per il DDAI autismo, depressione) dovrebbero essere valutati con attenzione. È piuttosto improbabile che una terapia specifica porti a risultati clinicamente significativi nel trattamento di bambini con disturbi differenti. Simili affermazioni dovrebbero implicare un’immediata bandiera rossa e la raccolta di ulteriori informazioni sui fondamenti empirici della terapia. 3.È obbligatorio per chi sviluppa o propone un nuovo trattamento dimostrarne l’efficacia terapeutica nel contesto di un disegno sperimentale controllato, utilizzando misure valide e affidabili. Non è sufficiente offrire dati su casi singoli o testimonianze di pazienti soddisfatti. Inoltre, dovrebbero essere a disposizione dati che permettano un paragone diretto degli effetti della nuova terapia con quelli ascrivibili a interventi di comprovata efficacia. Pertanto, una delle domande da porre a chi suggerisce un nuovo trattamento per il DDAI è: “Dove sono i dati?” 4.La qualità della ricerca sperimentale che verifica un nuovo trattamento può essere valutata ponendo diverse domande. I partecipanti alla ricerca con diagnosi di DDAI sono stati identificati tramite indici affidabili e validi del disturbo? Le misure sono state raccolte in modo da evitare possibili distorsioni (per es., osservazioni comportamentali condotte da persone non consapevoli della popolazione clinica che stavano osservando e del trattamento sotto esame)? Sono state controllati tutti i limiti della validità interna del trattamento (per es., maturazione)? In che misura i risultati ottenuti sono generalizzabili ad altri bambini con DDAI? È stata verificata la significatività clinica (per es., normalizzazione) dei risultati ottenuti? I ricercatori hanno valutato la generalizzabilità del trattamento a contesti differenti (per es., a casa e a scuola) e a tempi diversi (per es., in valutazioni di follow-up)? 5. Ogni qual volta un professionista che lavora a scuola si imbatte in nuovi trattamenti che non siano supportati da prove empiriche, è importante che comunichi il proprio scetticismo ai genitori e agli educatori dei bambini con il DDAI I genitori di questi bambini possono essere particolarmente propensi a farsi “coinvolgere” in nuovi trattamenti dato l’elevato livello di frustrazione che sperimentano nella gestione delle difficoltà associate al DDAI e data la conoscenza dei limiti che hanno gli interventi al momento disponibili. Inoltre, nella nostra esperienza, questi genitori mancano spesso di una comprensione chiara dei requisiti e delle caratteristiche che uno studio scientifico di un trattamento dovrebbe avere. 297 DDAI a Scuola RIASSUNTO La manifestazione persistente di comportamenti associati al DDAI in contesti differenti e con diverse figure di accudimento richiede la messa in atto di un programma di intervento multimodale per diversi anni. Una serie di trattamenti aggiuntivi possono integrare l’utilizzo di strategie di sostegno in classe e del trattamento farmacologico. Ulteriori strategie da applicare a scuola includono: il training delle competenze sociali e il peer coaching. Gli interventi da applicare a casa includono il parent training in tecniche di modificazione del comportamento, la terapia familiare comportamentale per adolescenti con DDAI, interventi per lo svolgimento dei compiti a casa e la partecipazione genitoriale a organizzazioni di sostegno (per es., la CHADD). Nel corso degli anni, sono state proposte numerose terapie per il DDAI (per es., la dieta Feingold) che non sono state oggetto di indagini empiriche o che si sono rivelate non efficaci nel trattamento del disturbo. Data la popolarità di alcune di queste terapie, è importante per il professionista che lavora a scuola essere a conoscenza degli interventi con basi empiriche solide e di quelli meno efficaci, per suggerire in maniera più appropriata un trattamento adeguato per gli studenti con DDAI. 298 CAPITOLO 8 La comunicazione con i genitori, gli insegnanti e gli studenti Una comunicazione chiara e precisa è un aspetto fondamentale di tutti i servizi professionali in ambito educativo, psicologico, medico ed è una pietra angolare per l’erogazione di un servizio di qualità agli studenti con DDAI, ai loro genitori e insegnanti. Esistono diverse ragioni che rendono la comunicazione così decisiva. La valutazione del DDAI e dei problemi a esso associati è un processo che coinvolge diversi informatori e misure molteplici in contesti differenti. Inoltre, tale processo prevede la comunicazione di informazioni, di osservazioni, di opinioni e di giudizi professionali a genitori, insegnanti, altri professionisti che lavorano a scuola, studenti, psicologi e medici (vedere anche il Capitolo 2). La progettazione, l’applicazione e la verifica di interventi per il DDAI implicano componenti e contenuti simili. Di conseguenza, è necessaria una comunicazione chiara e costante con i genitori, gli insegnanti e gli altri professionisti impegnati con il bambino in questione e questa prevede obbligatoriamente la trattazione di contenuti critici per la valutazione, la diagnosi, la progettazione del piano di intervento, la gestione del trattamento in corso e la fornitura di servizi professionali in generale. Le prime preoccupazioni sui problemi di comportamento di un bambino vengono di solito dai professionisti che lavorano a scuola e/o dai genitori. Inoltre, il personale medico (per es., pediatri, psichiatri) viene coinvolto piuttosto spesso con studenti che hanno un DDAI. Queste persone insieme saranno protagoniste di uno screening, di una segnalazione, della diagnosi, della selezione di un trattamento e della valutazione dei risultati. La possibilità di 299 DDAI a Scuola interazioni proficue si basa su comunicazioni affidabili e chiare, anche se diverse nel linguaggio, nelle prospettive e nel background. C’è inoltre da considerare che una diagnosi di DDAI si basa su un sistema psichiatrico di classificazione (DSM-IV). I bambini segnalati e i genitori interagiscono, quindi, per la maggior parte del tempo con professionisti che lavorano a scuola ,mentre, contemporaneamente, usufruiscono di servizi territoriali di medicina di base e di neuropsichiatria. I professionisti che lavorano a scuola hanno di solito minore familiarità con il DSM che con il sistema di classificazione incluso nella Legge del 1997 sull’Educazione di Individui con Disabilità (IDEA, 1997). Dal momento che non si può dare per scontata a priori una comprensione equivalente di entrambi i sistemi di classificazione negli individui coinvolti, saranno necessarie alcune spiegazioni (e, in alcuni casi, un training professionale) che facciano chiarezza sui sistemi stessi e i loro fondamenti (ossia ricerca, approccio), sulla terminologia utilizzata, sulle implicazioni per il trattamento e su argomenti simili. Chiaramente, progettare, implementare e verificare l’efficacia di interventi medici, comportamentali ed educativi per bambini con DDAI sono azioni che si fondano su una comunicazione efficace, date le differenze intrinseche nelle convinzioni, opinioni e conoscenze proprie del background di ogni ambito professionale menzionato. L’aspetto che in questo caso ci interessa maggiormente è la scelta della terapia. Troppo frequentemente, infatti, questo atto si riduce a una competenza clinica o burocratica quando invece l’applicazione dell’intervento, gli effetti comportamentali positivi e quelli indesiderati vengono sperimentati a casa, in classe e in contesti comunitari. Pertanto, la verifica degli interventi e dei loro effetti richiede una comunicazione fra medici, genitori, insegnanti, studenti e altri professionisti. Ultimi, non certo per importanza, sono i principi etici e gli standard professionali dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici1 (NASP, 2000), che indicano come la comunicazione professionale con i genitori, gli studenti e gli altri professionisti sia una componente prevista in una buona prassi di psicologia scolastica. Queste linee guida per la condotta professionale specificano che lo scopo e le possibili conseguenze del coinvolgimento di molteplici professionisti, come anche le alternative di trattamento devono essere discus- 1 L’Associazione Americana di Psichiatria, il Comitato per i Bambini Speciali e altre organizzazioni professionali hanno linee guida etiche simili. 300 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti se con i genitori e gli studenti in un modo a loro comprensibile. Forniamo inoltre le linee guida per lo sviluppo di relazioni fra i professionisti (per es., psicologi scolastici e pediatri) quando queste relazioni sono nell’interesse del bambino coinvolto nel trattamento. Nelle ultime sezioni di questo capitolo, come indicazioni introduttive, diamo alcuni esempi di queste linee guida. Lo scopo di questo capitolo è identificare e discutere numerosi argomenti importanti legati al DDAI relativi alla comunicazione fra professionisti che lavorano a scuola e fra questi e altre figure coinvolte con gli studenti identificati; quali i genitori, altri professionisti e gli studenti stessi. Anche se ognuno degli argomenti trattati in questo libro è degno di considerazione e discussione, in questo caso si dà un’attenzione prioritaria (1) alla relazione fra una diagnosi di DDAI e i servizi educativi; (2) alle responsabilità dei professionisti dell’educazione; (3) alle questioni relative al trattamento con farmaci stimolanti e infine (4) ad aspetti specifici della comunicazione con i genitori, i medici e altri professionisti e gli studenti. Forse stiamo affermando l’ovvio. Tuttavia, crediamo che affrontare e chiarire questi aspetti possa facilitare i processi di scelta e di azione, dei professionisti e dei genitori, migliorando così i risultati per i bambini. LA DIAGNOSI SECONDO IL DSM E I SERVIZI EDUCATIVI Nel caso del DDAI, i professionisti e i genitori dovranno valutare una serie di risposte alla domanda “Come una diagnosi secondo il DSM o un altro sistema di classificazione può relazionarsi con l’erogazione di servizi educativi?” L’utilità dei sistemi di classificazione diagnostica per i problemi dell’infanzia è stata oggetto di dibattito per molti anni (Garmezy, 1978; Gresham & Gansle, 1992a, 1992b; Hynd, 1992; Martens, 1992; Reynolds, 1992; Schact & Nathan, 1977; Shapiro, 1992) e ha generato una vasta gamma di opinioni professionali a riguardo. Infatti, secondo il DSM-IV-R (Associazione Americana di Psichiatria, 2000), una diagnosi è unicamente un punto di partenza per la progettazione di servizi: Fare una diagnosi sulla base del DSM-IV rappresenta soltanto il passo iniziale di una valutazione completa. Per formulare un piano di trattamento adeguato, il clinico avrà necessità di ulteriori informazioni riguardo all’individuo esaminato, oltre a quelle richieste per fare una diagnosi con il DSM-IV. Le considerazioni cliniche e scientifiche implicate nella categorizzazione di alcune condizioni quali i disturbi mentali potrebbero, per esempio, non essere rilevanti ai fini di un procedimento legale, che 301 DDAI a Scuola tiene in considerazione argomenti quali la responsabilità individuale, le determinazione dell’invalidità e del livello di competenza (pp. xxxiv – xxxv – xxxvi). Da un punto di vista educativo, si deve riconoscere che il sistema di classificazione del DSM è legato a strumenti e procedure valutative che sono nomotetici nei loro fondamenti e assunti teorici. In psicologia e in ambito educativo, una valutazione nomotetica affidabile e valida può portare a informazioni utili per confrontare i bambini fra loro sulla dimensione o sul costrutto misurato (per es., l’intelligenza). Per esempio, un bambino con un punteggio pari al 37mo percentile a un test di intelligenza ha una performance meno buona di un suo coetaneo che ha un punteggio pari al 78mo percentile. Sviluppare un intervento didattico o progettare un programma educativo per un qualunque bambino solo sulla base di queste informazioni non è giustificabile. Tuttavia, le informazioni che si basano su procedure di valutazione nomotetiche possono essere utilizzate con un buon grado di affidabilità per prendere decisioni sullo screening, sulla segnalazione e sulla classificazione diagnostica. La pianificazione dell’intervento e le decisioni sull’efficacia si collegano invece con maggiore facilità ad altri strumenti e procedure di valutazione che nei loro fondamenti e assunti teorici sono idiografici. La valutazione idiografica non si focalizza sulla classificazione comparata degli individui in base ai comportamenti che presentano (per es., Anna soddisfa i criteri per il DDAI, mentre James no), ma si concentra piuttosto sul confronto del comportamento di un individuo nel corso del tempo (per es., il rendimento di Sam nella lettura nel mese di Marzo è molto migliorato rispetto al mese di Novembre) in seguito al trattamento, alla maturazione, al cambiamento nei programmi e ad altre simili eventualità. Nel caso in cui le misure idiografiche possiedano caratteristiche di accuratezza e utilità, possono fornire informazioni utili per lo sviluppo di programmi e interventi didattici efficaci. Per esempio, informazioni valutative accurate sulla performance costante e differenziale di un bambino in due curricoli di lettura può essere direttamente rilevante ai fini di decisioni sul programma didattico (per un confronto più approfondito fra l’approccio alla valutazione nomotetico e idiografico, vedere Barrios & Hartmann, 1986; Cone, 1986; Merrell, 1999). Sulla base della performance che il bambino ha nella lettura, si prenderanno di conseguenza decisioni sul curricolo che comportano probabilità di successo maggiori. Anche le valutazioni degli esiti di un trattamento, e cioè, il confronto del comportamento o della performance dello stesso bambino nel tempo, devono basarsi su informazioni tratte da valutazioni idio302 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti grafiche, anche se potrebbero essere utili ulteriori informazioni derivanti dal confronto con i pari. Un fattore restrittivo primario che impedisce il collegamento diretto fra una diagnosi e l’intervento è la grande variabilità comportamentale presente nei bambini con DDAI (Barkley, 1998; Frick & Lahey, 1991). Ossia, non tutti i bambini con una diagnosi di DDAI manifestano le stesse difficoltà comportamentali e non sperimentano gli stessi problemi a scuola, se mai ne presentino qualcuno. In termini valutativi, Haynes (1986) identifica la variabilità fra individui con la stessa diagnosi come un problema di “omogeneità diagnostica”. Nello specifico, Haynes ha riscontrato che “se gli individui inseriti in una specifica categoria di classificazione […] sono omogenei relativamente alle manifestazioni, all’eziologia e alla risposta al trattamento, la sola categorizzazione è sufficiente per una descrizione e una progettazione dell’intervento e che i benefici di ulteriori valutazioni pre-intervento si riducono” (p. 391). Data la variabilità nelle manifestazioni del comportamento e nella risposta al trattamento dei bambini con DDAI (Barkley, 1998), la progettazione dell’intervento, l’applicazione e la verifica richiederanno uno sforzo professionale ancora maggiore rispetto a quello richiesto dalla diagnosi o classificazione. In parte, il focus di questo sforzo si basa sul training professionale e sulle responsabilità. Questi problemi dovrebbero essere apertamente discussi in diversi momenti del processo valutativo. Quando un bambino mostra problemi significativi di disattenzione e/o di controllo del comportamento, il primo passo è raccogliere informazioni tramite uno screening (vedere il Capitolo 2). A volte, in questa fase, il genitore, o l’insegnante chiede esplicitamente se si tratti di DDAI, anche se è proprio questo che si sta cercando di stabilire. La situazione fornisce un’opportunità per dare la giusta prospettiva al processo diagnostico. Nello specifico, bisognerebbe comunicare chiaramente che si stanno raccogliendo dati valutativi non solo per trarne una diagnosi, ma anche per raccogliere informazioni in grado di generare un intervento efficace. Similmente, quando si è conclusa la valutazione multimodale del DDAI (ossia le Fasi II e III; vedere il Capitolo 2), è utile ripetere che la diagnosi è soltanto una “stazione intermedia” fra la segnalazione e la progettazione di un piano di trattamento. Inoltre, bisognerebbe sottolineare che il valore informativo della diagnosi sta proprio nel fungere da guida per ulteriori attività di valutazione, suggerendo eventuali rischi di comorbidità con altri disturbi o difficoltà di apprendimento e nell’accrescere la probabilità di scegliere strategie terapeutiche 303 DDAI a Scuola efficaci. Infine, bisogna evidenziare, in particolare con i membri del personale scolastico, che sarà necessario condurre una valutazione in itinere del funzionamento del bambino per verificare l’efficacia delle procedure di intervento applicate. Quando si comunicano con determinazione tutti questi punti, il focus dell’équipe valutativa può essere equamente distribuito sulla valutazione multimodale, sulla decisione diagnostica e sullo sviluppo di un protocollo di trattamento potenzialmente efficace. A nostro parere, questo equilibrio è importante, dal momento che troppo frequentemente il grosso degli sforzi professionali va nella direzione della diagnosi con relativamente poco impegno nella definizione dell’intervento. La trattazione di questi argomenti può aiutare a identificare e chiarire le aspettative dei genitori, degli insegnanti e delle altre persone coinvolte sull’uso e sui benefici di molteplici procedure valutative. Uno strumento eccellente che può incoraggiare e facilitare queste discussioni, come anche confronti sugli approcci al trattamento del DDAI, è la Attention Deficit/Hyperactivity Disorder Knowledge and Opinion Survey (Intervista sulle conoscenze e le opinioni relative al Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività; AKOS), pubblicata da Power e colleghi (2001). La AKOS è costituita da 43 item vero/ falso e a scala Likert per determinare la tipologia di aspettative, conoscenze e opinioni del genitore/insegnante su una varietà di strategie di valutazione e trattamento per il DDAI. L’identificazione e il chiarimento di queste aspettative dovrebbe aiutare a comprendere meglio la necessità di collegare la valutazione, l’intervento e la didattica in caso di studenti con DDAI. TRAINING FORMATIVO E RESPONSABILITÀ Le principali responsabilità professionali in ambito educativo riguardano lo sviluppo e la trasmissione di materiale didattico e del programma curricolare. Come tali, gli educatori prendono decisioni e intraprendono azioni su cosa insegnare (selezionare i programmi e gli obiettivi didattici), come insegnarlo (identificare quali materiali, procedure e metodologie utilizzare), quando insegnarlo (pianificazione e organizzazione didattica), chi lo insegnerà e dove insegnarlo (ambiente educativo). Le decisioni relative a questi aspetti sono importanti per tutti gli studenti, inclusi quelli con DDAI e probabilmente definiscono l’ambito educativo. Pertanto, questi aspetti dovrebbero essere primari nel processo decisionale degli educatori responsabili di studenti con DDAI in relazione all’apprendimento e al successo formativo del bambino. Inoltre, dal momento che la diagnosi e il trattamento del DDAI coinvolgono 304 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti quasi sempre il pediatra, lo psichiatra, lo psicologo clinico e altri professionisti, è necessario sviluppare e mantenere atteggiamenti collaborativi nella fase valutativa e di intervento. La vasta gamma di questioni e problematiche che richiedono il coinvolgimento di più professionisti nel caso di bambini con una diagnosi di DDAI implicano necessariamente una collaborazione interdisciplinare. Sono anche necessari confronti aperti sui ruoli e sulle relative responsabilità di tutti i professionisti coinvolti. Gli psicologi scolastici e gli educatori specializzati, in particolare, possono essere investiti da richieste molto impegnative soprattutto alla luce del possibile inserimento dei bambini con DDAI in servizi di educazione speciale nella categoria “Altri problemi di Salute” della Legge sull’Educazione di Individui con Disabilità del 1997 (IDEA 1997; Hakola, 1992). Per esempio, questi professionisti e i loro colleghi avranno quasi sicuramente bisogno di una formazione professionale aggiuntiva per acquisire familiarità e competenza con il sistema di classificazione psichiatrico DSM, con la psicopatologia dell’età evolutiva, la psicofarmacologia e i metodi e modelli della psicologia clinica e della psichiatria. Inoltre, i professionisti devono essere preparati a discutere con i genitori e con altre figure circa i modelli educativi disponibili e le opzioni possibili per gli studenti con DDAI. Dovranno rispondere, per esempio, alle seguenti domande: (1) il bambino è candidabile o meno all’inserimento in servizi di educazione speciale?; (2) il bambino dovrebbe poter usufruire di un “piano educativo individualizzato” sulla base della 504? e (3) in quale modo il sistema scolastico fornisce un supporto adeguato a questo studente con DDAI? Molti bambini con DDAI possono essere inseriti in servizi di educazione speciale all’interno del sistema scolastico pubblico in base ad alcune categorie dell’IDEA 1997 (vedere Telzrow & Tankersley, 2000, per una rassegna completa della legislazione). Tuttavia, i bambini con DDAI non sono automaticamente qualificabili sotto le categorie dell’IDEA solo per il fatto di avere una diagnosi di DDAI. La legge IDEA e le precedenti sostengono che gli studenti americani affetti da una disabilità devono poter ricevere un’educazione pubblica gratuita e adeguata, all’interno di un ambiente che sia il meno restrittivo possibile e che possano beneficiare di un piano educativo individualizzato (PEI). L’inserimento in servizi di educazione speciale sotto le categorie dell’IDEA è subordinata alla soddisfazione di due criteri. Il primo è essere affetto da un disturbo già classificato dall’IDEA. I bambini con DDAI 305 DDAI a Scuola possono rientrare nelle categorie di “disturbo specifico dell’apprendimento”, “altri problemi di salute” e, a volte, “disturbo emotivo”. Il secondo criterio è che un bambino con un determinato disturbo abbia un bisogno reale di un servizio di educazione speciale. Quest’ultimo criterio può essere spesso soddisfatto dimostrando una risposta non positiva a interventi e programmi di sostegno messi in atto all’interno di programmi didattici normali dallo staff di una scuola pubblica normale. In molti casi i genitori, e in alcuni casi anche i professionisti, non sono a conoscenza di questo secondo criterio e potrebbero quindi trarre benefici da una trattazione dei requisiti necessari alla candidabilità. Un’altra normativa adattabile agli studenti con DDAI a scuola è la Sezione 504 della Legge sulla Riabilitazione del 1973 (vedere Zirkel & Aleman, 2000, per una rassegna di questa legge e delle sue implicazioni nella prassi educativa). In generale, questa legge vieta la discriminazione sulla base della presenza di una disabilità, alle istituzioni che, come le scuole, percepiscono fondi federali. La Sezione 504 sentenzia che gli studenti con una disabilità mentale o fisica che compromette in modo sostanziale un’attività significativa della vita (come l’educazione) possono beneficiare di attività di sostegno e di modifiche al programma che permettano la partecipazione attiva in contesti di educazione normale o speciale (vedere il Capitolo 3 per una discussione completa dell’IDEA e della Sezione 504). Si dovranno fare ulteriori sforzi per aiutare i genitori e i professionisti a conoscere le differenze fra la candidabilità sulla base dell’IDEA e il sostegno previsto dalla Sezione 504. Un altro argomento da considerare sempre in questo ambito è che la psicologia scolastica, l’educazione speciale e, per alcuni aspetti anche l’educazione normale hanno valutato e in alcuni casi hanno adottato modelli di erogazione non categoriali e orientati all’intervento e ai risultati (Bardon, 1988; Reschly, 1988, 2000; Reschly, Tilly & Grimes, 1999; Stoner & Green, 1992b). A oggi, tuttavia, non è stato ancora adeguatamente valutato a livello professionale come questi modelli possano adattarsi ai bambini con DDAI (confrontare, per esempio, Hakola, 1992, con Stoner & Carey, 1992). L’erogazione di servizi in un’ottica non categoriale ha, in parte, l’obiettivo di evitare un’enfasi eccessiva sulla diagnosi e sulla classificazione dei bambini, che potrebbero impedire agli psicologi scolastici di assumere un ruolo maggiormente attivo e di assumersi delle responsabilità nello sviluppo e nell’applicazione di interventi efficaci. Per analizzare questo punto in maniera più approfondita, supponiamo che i professionisti che lavorano a scuola abbiano a che fare con un bambino che ha ricevuto una diagnosi corretta di 306 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti DDAI. Questo disturbo rappresenta necessariamente una condizione disabilitante e come tale richiede l’invio a servizi speciali? Si ritiene che un disturbo classificabile, come il DDAI, diventi un handicap solo in un ambiente non accomodante (Kameenui & Simmons, 1990; Shinn, 1998). Ossia, se una scuola fornisce un supporto formativo e sociale tale che uno studente affetto da una disabilità non è considerato un handicappato (per es., la performance soddisfa o supera le aspettative ed è proporzionata rispetto a quella dei coetanei), si può sostenere che questa scuola sta erogando un servizio esemplare. Ovviamente, nel caso in cui uno studente non soddisfi le aspettative del suo ambiente attuale, si dovrebbero mettere in atto degli adattamenti sensati per sostenere lo studente (e l’insegnante) nel tentativo di soddisfare queste aspettative (per es., associare i contenuti didattici con le competenze scolastiche esistenti, fornire feedback positivi e correttivi con maggiore frequenza, accrescere la motivazione a impegnarsi in compiti scolastici, accrescere le opportunità di esercitare competenze e conoscenze appena apprese) e di conseguire il successo formativo. In questo caso si pone l’enfasi sull’incoraggiare le scuole a destinare le proprie risorse limitate soprattutto a procedure che monitorizzino e promuovano il progresso sociale e scolastico individuale di tutti gli studenti (Reschly, 1988, 2000). Le problematiche relative all’erogazione del servizio devono essere discusse da tutte le parti interessate in modo da chiarire le aspettative e le responsabilità di ciascun membro dell’équipe e in modo che i genitori comprendano cosa aspettarsi dal personale della scuola con il quale stanno lavorando. La chiarificazione delle aspettative e delle responsabilità dei membri dell’équipe dovrebbe essere fatta in almeno tre momenti del processo di valutazione e di intervento. Prima di condurre la valutazione multimodale del DDAI (ossia la Fase II del processo valutativo, vedere il Capitolo 2), si dovrebbero delineare con chiarezza le responsabilità specifiche di ogni professionista che lavora a scuola. Inoltre, bisognerebbe anche indicare e discutere apertamente le “distorsioni” teoriche e professionali di ciascun membro dell’équipe. Per esempio, in alcuni casi gli insegnanti e i genitori possono addirittura dubitare dell’esistenza di un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività e potrebbe quindi essere necessaria una trattazione del Documento Internazionale di Accordo sul DDAI (Barkley, 2002). Anche se la trattazione di argomenti simili non porterà necessariamente a un appianamento completo dei conflitti e delle discordanze esistenti, accrescerà la consapevolezza delle somiglianze e delle differenze fra le posizioni di tutti i membri dell’équipe. Questo sarà almeno il 307 DDAI a Scuola primo passo per promuovere una maggiore collaborazione nell’erogazione di servizi da parte di un’équipe. Un altro momento in cui è necessaria questa chiarificazione è al momento della progettazione del piano di intervento (Fase IV del processo valutativo, vedere il Capitolo 2). A questo punto, vanno prese delle decisioni non solo sul trattamento da suggerire, ma anche su chi applicherà ciascuna componente dell’intervento stesso. Ci potrebbe essere una confusione iniziale in alcuni membri su cosa sia effettivamente il DDAI e su quali siano i trattamenti più efficaci per affrontarlo. In particolare, potrebbero sorgere dubbi sull’utilizzo di farmaci stimolanti. Potrebbe essere utile dare a tutti informazioni scritte (vedere l’Appendice 6.1) e/o suggerire una bibliografia ragionata (vedere l’Appendice 8.1) sul DDAI e sui relativi trattamenti. La nomina di un case manager (vedere il Capitolo 9 per una discussione più approfondita sul ruolo del case manager) faciliterà la pianificazione del trattamento e il mantenimento di una costanza nell’erogazione del servizio. Dato che alcune terapie per il DDAI (per es., i farmaci stimolanti) sono applicate da professionisti di servizi territoriali, la necessità che la scuola “parli attraverso una voce sola” è particolarmente cruciale. Potenziali disaccordi fra i membri dell’équipe dovrebbero essere manifestati apertamente e risolti prima dell’applicazione di qualunque procedura di intervento. Nella nostra esperienza, anche se questa fase di confronto all’interno dell’équipe potrebbe ritardare l’erogazione del servizio, spesso permette di evitare conflitti più gravi che comportano una notevole perdita di tempo una volta iniziato il trattamento. Le aspettative e le responsabilità relative all’erogazione del servizio dovrebbero essere periodicamente discusse anche nel corso della verifica in itinere delle strategie di intervento. Si dovrebbero tenere numerosi incontri all’anno per l’équipe scolastica, che includano i genitori, per discutere l’efficacia di ogni specifica componente terapeutica e l’eventuale necessità di modifiche al programma. Ciò fornisce l’opportunità di fare cambiamenti anche nelle responsabilità assunte dai componenti dell’équipe, se fosse necessario. È particolarmente importante per i membri dell’équipe (ossia insegnanti e genitori) che applicano la parte più consistente dell’intervento, ricevere rinforzi e supporto per i loro sforzi. Inoltre, se possibile, sarebbe opportuno far ruotare le responsabilità fra i membri dell’équipe per accrescere il senso di collegialità e per prevenire il potenziale burnout. 308 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti ASPETTI RELATIVI AL TRATTAMENTO CON FARMACI STIMOLANTI Come già discusso nel Capitolo 6, la terapia più frequente per il DDAI è quella con i farmaci stimolanti, in particolare il metilfenidato (MPH). A parere unanime, l’utilizzo di farmaci stimolanti nel trattamento delle difficoltà associate al DDAI è piuttosto comune e condiziona la vita di molti bambini in età scolare. Inoltre, per coloro che ne traggono beneficio, la risposta al farmaco sarà idiosincratica in relazione alla dose e al comportamento. Infine, alcuni bambini sperimenteranno gli effetti collaterali associati a questi farmaci. L’uso di farmaci stimolanti (SMT) per problemi di disattenzione, iperattività e impulsività nei bambini, è stato oggetto di numerose controversie. Le principali problematiche sollevate sono relative alle differenze fra la prassi professionale sostenibile e le convinzioni personali dei genitori, degli educatori e degli altri professionisti coinvolti, che riguardano (1) i potenziali benefici del trattamento; (2) i potenziali effetti dannosi del trattamento e, infine, (3) il peso che hanno i genitori, gli educatori e gli altri professionisti nel processo decisionale sull’intervento. La comunicazione e la trattazione di ognuno di questi aspetti diventeranno molto importanti nel caso in cui si considerino il trattamento con stimolanti o altri farmaci per un bambino con DDAI. Potenziali Benefici del Trattamento con Farmaci Stimolanti Numerose ricerche condotte a partire dagli anni ’60 hanno documentato effetti positivi a breve termine del trattamento con stimolanti nella maggior parte dei bambini con una diagnosi di disturbo iperattivo e/o di disattenzione. Questi risultati sono stati riscontrati nelle aree (1) della performance scolastica; (2) delle interazioni sociali e (3) in compiti individuali di valutazione della performance (vedere il Capitolo 6). Tuttavia, è stato anche dimostrato che la risposta agli stimolanti varia da bambino a bambino (anche in quelli con lo stesso peso corporeo) e nei differenti comportamenti target di ciascun individuo (Rapport & Denney, 2000). Pertanto, gli esiti del trattamento con stimolanti sul singolo bambino devono essere valutati con molta cautela e attraverso la produzione e l’analisi di dati individuali (vedere il Capitolo 6 per i dettagli sulla valutazione in contesto scolastico del trattamento farmacologico). 309 DDAI a Scuola Potenziali Effetti Collaterali del Trattamento con Farmaci Stimolanti I potenziali effetti collaterali del trattamento a base di psicostimolanti sono l’aspetto che maggiormente preoccupa i genitori e i professionisti. I bambini trattati con gli stimolanti possono sperimentare effetti collaterali negativi a livello fisico, quali riduzione dell’appetito, nausea, mal di testa, irritabilità, insonnia, interruzione della crescita e, in rari casi, tic motori o vocali (vedere il Capitolo 6). Inoltre, in una minoranza di casi, il trattamento con stimolanti può portare il bambino a un comportamento di “iperconcentrazione” che si manifesta attraverso un’attenzione esagerata a stimoli specifici e una lentezza nel spostare la concentrazione su compiti o attività differenti. Anche se problemi come questi sono stati riferiti di solito per dosaggi molti elevati, potrebbero verificarsi anche a dosi basse. I professionisti e i genitori devono discutere queste eventualità e valutare i sistemi per monitorare l’eventuale insorgenza di effetti collaterali. Convinzioni personali e conflitti su quale trattamento intraprendere Da un punto di vista relativo alle convinzioni personali, alcuni genitori e professionisti si oppongono con forza all’utilizzo di farmaci stimolanti con i bambini. Tali convinzioni prendono forme differenti e non sono facilmente attribuibili a un’unica fonte di preoccupazione. Opinioni contrarie all’utilizzo di farmaci si possono trovare in un gran numero di pubblicazioni professionali e divulgative. Per esempio, un ricercatore (O’Leary, 1980) ha sostenuto che i bambini con questa diagnosi hanno bisogno di apprendere competenze sociali e di self-management più che di essere acquietati con composti chimici. In modo simile, un libro molto popolare pubblicato negli anni ’70 (Schrag & Divoky, 1975) ha affermato che i farmaci stimolanti, così come la diffusione su larga scala dei test, delle diagnosi e degli interventi di “modificazione comportamentale” con i bambini, erano tutte modalità di controllo istituzionale illegale sui diritti umani. Più recentemente, un’organizzazione facente parte della Chiesa di Scientologia (Church of Scientology), la Commissione dei Cittadini per i Diritti Umani (Citizens Commission on Human Rights), ha supportato azioni legali contro medici che prescrivevano farmaci e ha organizzato picchetti davanti a sedi di conferenze di professionisti. Questo gruppo sostiene che l’utilizzo di farmaci stimolanti e di altri farmaci psicotropi nell’infanzia trasforma i bambini di età scolare in “drogati”. Come discusso nel Capitolo 6, queste critiche ai farmaci stimolanti non sono supportate dalla letteratura di 310 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti ricerca. Sfortunatamente, godono di una considerazione eccessiva e non vengono influenzate dai dati ottenuti dalle ricerche. Tuttavia, in una prospettiva empirica, dati validi e affidabili sugli esiti significativi di alcuni trattamenti possono e devono essere i determinanti più importanti della decisione dei genitori e dei professionisti sull’utilità terapeutica dei farmaci stimolanti. I dati sui risultati permettono di affidarsi a giudizi razionali in relazione a una valutazione costi-benefici del trattamento con psicostimolanti per ogni singolo bambino. Inoltre, focalizzandosi su una serie di valori attentamente misurati (per es., la performance scolastica, il comportamento sociale, gli effetti collaterali fisici) si possono trovare risposte sia ai dubbi, sia agli obiettivi dei genitori e dei professionisti coinvolti. Pertanto, se il medico di un bambino e l’équipe che ha condotto la valutazione a scuola concordano sulla necessità di un trattamento con farmaci stimolanti, i genitori del ragazzo dovrebbero ricevere informazioni chiare e non distorte sui costi e sui benefici del trattamento poichè saranno i protagonisti della verifica dell’efficacia. Per esempio, si potrebbe consegnare ai genitori un piccolo opuscolo, simile a quello per gli insegnanti presentato nell’Appendice 6.1, in cui sono presentati i potenziali benefici ed effetti collaterali degli stimolanti (vedere Barkley & Murphy, 1998, per un opuscolo sui farmaci per i genitori). La decisione dei genitori sul trattamento farmacologico dovrebbe essere presa in contesti idonei. La prima decisione riguarda la possibilità di effettuare una prova farmacologica controllata con gli stimolanti (o altri farmaci) e non il prescrivere una terapia farmacologica a un bambino senza possibilità di revoca. Inoltre, i genitori dovrebbero essere consapevoli della necessità di una verifica in itinere della risposta ai farmaci che deve essere fatta almeno una volta all’anno. Pertanto, anche se la prima prova farmacologica dà buoni risultati, i professionisti non devono comunicare ai genitori che il trattamento farmacologico è una componente permanente del piano di intervento. Ciò non di meno, data la persistenza dei sintomi del DDAI, è realistico credere che i farmaci saranno necessari per almeno un anno se non di più. Coinvolgimento della Scuola La gestione e la valutazione del trattamento con stimolanti spesso coinvolge attività che si svolgono all’interno della scuola e della classe. Le indicazioni per il coinvolgimento e la collaborazione della scuola con i medici sono state discusse ampiamente in altre sedi (vedere il Capitolo 6; vedere anche Brown & Sawyer, 1998; Gadow, 1993) e includono (1) stabilire una politica terri311 DDAI a Scuola toriale o scolastica e individuare metodologie comunicative da utilizzare con i medici; (2) individuare un sistema di verifica ampio dei risultati ottenuti da bambini che sono sotto trattamento con farmaci stimolanti; (3) definire i ruoli specifici del personale scolastico nell’applicazione e nel monitoraggio delle prove farmacologiche e (4) assicurarsi che tutto lo staff abbia ricevuto un addestramento adeguato per rispondere appieno alle proprie responsabilità. Gli psicologi scolastici e le infermiere dovrebbero essere le persone più indicate per coordinare e curare l’applicazione di queste regole all’interno del territorio in cui lavorano. Oltre a considerare le questioni relative alla valutazione e alla diagnosi, alle responsabilità educative e ai farmaci stimolanti, il lavoro con bambini con DDAI richiede che i professionisti dell’educazione comunichino informazioni specifiche, segnalazioni (per es., invii per valutazioni diagnostiche) e aspettative ai genitori, agli altri professionisti e ai bambini. Queste comunicazioni specifiche sono il focus della parte restante del capitolo. LA COMUNICAZIONE FRA I PROFESSIONISTI DELL’EDUCAZIONE E I GENITORI Il brano seguente delinea l’approccio ideale che i professionisti che lavorano a scuola dovrebbero avere (Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici, 2000): Principio Etico C1. Gli psicologi scolastici illustrano tutti i servizi ai genitori in modo chiaro e comprensibile. Si sforzano di proporre un insieme di alternative che tengono conto dei valori e delle capacità di ogni singolo genitore. Principio Etico C3. Gli psicologi scolastici incoraggiano e promuovono la partecipazione genitoriale alla progettazione dei servizi per i propri bambini. Quando è il caso, si possono collegare gli interventi fra scuola e casa, adattando il coinvolgimento dei genitori alle competenze proprie di ogni famiglia e cercando di facilitare l’acquisizione delle abilità necessarie ad aiutare i bambini. Principio Etico C4. Gli psicologi scolastici rispettano la volontà dei genitori che si oppongono ai servizi psicologici a scuola e cercano di indirizzarli ad altre risorse territoriali disponibili. Principio Etico C5. Gli psicologi scolastici discutono con i genitori le indicazioni e i trattamenti per assistere i bambini. Questa discussione include le alternative associate a ciascun insieme di trattamenti, nel rispetto dei valori etnici e culturali di ogni famiglia. I genitori vengono informati delle fonti di aiuto disponibili a scuola e sul territorio. La comunicazione con i genitori sull’educazione di bambini con DDAI si può, a grandi linee, concepire come un tentativo di coinvolgere i genitori 312 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti e di supportarli nel corso di una serie di attività che concorrono al processo decisionale in ambito educativo. Il tempo e l’impegno necessari a questo tipo di comunicazioni e attività variano molto a seconda delle situazioni. Sarà, infatti, differente il tempo necessario per la comunicazione del processo in atto e il consenso alla valutazione rispetto a quello richiesto per il completamento di scale di valutazione del comportamento o per la partecipazione a un’intervista strutturata con lo scopo di individuare gli obiettivi educativi. Indipendentemente dal tempo richiesto, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di comunicare nella maniera più diretta e chiara possibile con i genitori e di facilitare al massimo il loro coinvolgimento e la loro comprensione. Si deve porre particolare attenzione a questioni quali la necessaria comunicazione dell’iter valutativo in atto, il coinvolgimento genitoriale nel processo decisionale in ambito educativo e i ruoli dei genitori nell’applicazione dell’intervento educativo. Comunicazione necessaria del processo valutativo in atto La Legge sull’Educazione di Individui con Disabilità del 1997, le leggi a essa precedenti e le leggi dello stato che si occupano di argomenti correlati assicurano il diritto di tutti i bambini a un’educazione gratuita e adeguata, indipendentemente dalla disabilità o dall’handicap presente. Queste leggi prevedono che si comunichi ai genitori il processo valutativo avviato e che essi diano il loro consenso all’inserimento iniziale dei bambini in classi di educazione speciale e alla valutazione che potrebbe, in seguito, condurre a una decisione di questo tipo (Bersoff & Hofer, 1990). La comunicazione ai genitori è obbligatoria anche quando si tengono degli incontri allo scopo di prendere simili decisioni. Bersoff e Hofer (1990) hanno evidenziato che un consenso informato implica che i genitori siano a conoscenza delle azioni che andranno intraprese, che acconsentano volontariamente o liberamente senza alcuna costrizione e che siano in grado o abbiano le competenze per dare il consenso. Queste richieste procedurali e il coinvolgimento nel processo decisionale in ambito educativo, possono essere meglio garantiti attraverso una comunicazione informativa aperta. Coinvolgere i genitori nel processo decisionale e nella progettazione educativa Salvia e Ysseldyke (1998) hanno individuato cinque distinte, ma relazionate, tipologie di decisioni educative che possono essere facilitate da un processo valutativo accurato: lo screening, la segnalazione, la diagnosi o la candidabilità, la progettazione dell’intervento didattico, inclusa la decisione di dove posizio313 DDAI a Scuola nare il ragazzo e la verifica del trattamento (compresa la valutazione del progresso dello studente). Per i professionisti è obbligatorio chiarire e discutere con i genitori gli aspetti e le procedure di valutazione necessari per ognuna di queste scelte e come questi si relazionino al processo decisionale. Tali discussioni possono aiutare i genitori a diventare utenti completamente informati e consapevoli che possono pertanto agire nel migliore interesse del bambino in questione. Durante tali colloqui, i professionisti dovranno probabilmente chiarire ai genitori diversi aspetti del loro lavoro, fornendo informazioni su alcune, se non tutte, delle seguenti dimensioni: qual’è, per esempio, il modello (o l’approccio teorico) professionale adottato e, sulla base di questo, quali sono le implicazioni pratiche; quali attività, nell’ambito del processo valutativo, vengono intraprese di solito dal professionista nella fase di screening, di segnalazione, di diagnosi e valutazione della candidabilità; come far capire ai genitori che non esiste un test “cartina tornasole” per il DDAI, soprattutto nel caso di genitori e insegnanti che chiedono con insistenza di sapere con certezza assoluta se quel bambino sia affetto o meno da DDAI. Quando si arriva alla diagnosi di DDAI, i genitori dovranno essere informati della natura e delle implicazioni di una simile classificazione. Per esempio, come si è giunti a questa diagnosi? Come i genitori dovrebbero affrontare il problema? Dovrebbero vederlo come un disturbo medico o evolutivo, un problema scolastico o come una combinazione di questi tre aspetti? Qual è la prognosi per i bambini con DDAI? In base alla nostra esperienza, può essere utile far comprendere ai genitori dei bambini con DDAI che, in generale, avranno a che fare con due problemi principali: avranno difficoltà a controllare il comportamento del loro bambino e avranno difficoltà a insegnargli qualcosa. A questo punto, potrebbe essere utile presentare le strategie e le opzioni di gestione del comportamento per genitori e insegnanti, le strategie di self-management e il trattamento farmacologico. Inoltre, sempre con riferimento ai trattamenti, si dovrebbe comunicare ai genitori l’importanza di progettare, applicare e verificare accuratamente i trattamenti scelti. Infine, i professionisti dovrebbero fare del loro meglio per sfatare tutti i “miti” che esistono sul DDAI; per esempio, quello che il DDAI sia causato da intolleranze alimentari o che la risposta al trattamento farmacologico sia un indicatore della presenza di DDAI. Questi argomenti si possono trattare al momento in cui si discutono determinati aspetti del disturbo (per es., l’eziologia, la valutazione o l’intervento). Tali confronti possono essere facilitati fornendo ai genitori dei brevi opuscoli sul DDAI (vedere Barkley, 1998) oppure una bibliografia ragionata sull’argomento (vedere Appendice 8.1). 314 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti Il Coinvolgimento dei Genitori nel piano educativo Lo sviluppo di una partnership professionisti-genitori, in cui siano presenti sforzi congiunti per promuovere una responsabilità condivisa circa l’apprendimento dello studente, è parte dello spirito della legge IDEA 1997 e delle altre leggi a essa collegate. Inoltre, è stato dimostrato che il coinvolgimento dei genitori nelle attività educative e scolastiche accresce le possibilità di successo dello studente (Christenson, Rounds & Gorney, 1992; Christenson & Sheridan, 2001). Tuttavia, come Epstein (1986) ha evidenziato, anche se i genitori desiderano che i propri figli abbiano buoni risultati a scuola, in generale, non hanno le idee chiare su come sostenerli nel raggiungimento di questo obiettivo. Christenson e Sheridan (2001) forniscono una rassegna eccellente della letteratura sulle influenze genitoriali e familiari sul successo formativo degli studenti che si sono dimostrate positive e manipolabili. Di particolare importanza per il nostro argomento sono le influenze genitoriali sulla comunicazione scuola-casa, la strutturazione e compartecipazione, a casa, in attività relazionate con l’apprendimento. Si possono prendere in considerazione una vasta gamma di strategie comunicative casa-scuola. Per esempio, Turnbull e Turnbull (1986) e Christenson e Sheridan (2001) descrivono e illustrano, come strategie percorribili, l’organizzazione di seminari, visite informali a scuola, contatti telefonici, note o blocchi in cui registrare appunti (vedere il Capitolo 5 per una trattazione e un esempio di note casa-scuola), bollettini informativi e schede di report. Inoltre, suggeriscono anche ai professionisti di incoraggiare i genitori a esprimere eventuali preferenze sulle metodologie e la frequenza delle comunicazioni casa-scuola. Queste strategie possono essere utilizzate per accrescere la comprensione genitoriale dei programmi scolastici, come anche per facilitare il monitoraggio a casa del comportamento e del rendimento dello studente. Inoltre, il loro utilizzo può accrescere la capacità dei genitori di discutere aspetti specifici del comportamento dei loro bambini a scuola e a casa e di introdurre nelle loro routine casalinghe tecniche motivazionali e di feedback che vengono utilizzate a scuola. In aggiunta, genitori consapevoli possono riconoscere e prevenire eventuali problemi o gestirli nei momenti in cui essi si presentano (vedere Eddy, Reid & Curry, 2002, per una discussione sul ruolo critico dei genitori nella prevenzione di pattern di comportamento antisociale). Una caratteristica importante di queste strategie è che sono in grado di aiutare i genitori nel comunicare e nell’insegnare ai loro bambini che l’educazione, l’apprendimento e il comportamento socialmente appropriato sono valori importanti. 315 DDAI a Scuola Le attività di apprendimento a casa insegnano inoltre ai bambini che l’educazione e l’imparare sono decisivi. I genitori possono, per esempio, essere coinvolti nel controllo dello svolgimento dei compiti a casa e nella discussione di incombenze e responsabilità che il bambino ha a scuola. Inoltre, i genitori possono promuovere l’apprendimento assicurandosi di rendere disponibili i libri a casa, leggendo loro stessi, mostrando piacere nella lettura e nella discussione di molteplici argomenti e fornendo numerose occasioni di conoscenza ai loro figli. Tuttavia, è piuttosto probabile che i genitori dovranno essere aiutati nell’organizzazione e nella strutturazione di simili attività (per informazioni e materiali utili vedere Christenson & Sheridan, 2001; Epstein, 1986; Power et al., 2001). Non si dovrebbe inoltre presumere che gli insegnanti abbiano familiarità con le strategie da consigliare ai genitori o che si sentano in grado di fornire simili indicazioni. Gli psicologi scolastici, gli insegnanti e il personale amministrativo, lavorando insieme ai genitori, possono tuttavia promuovere il coinvolgimento di questi ultimi in pratiche che migliorano l’apprendimento e il rendimento scolastico. LA COMUNICAZIONE CON I MEDICI E ALTRI PROFESSIONISTI Il Manuale di Condotta Professionale dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici (2000) recita così: Principio Etico E1. Per soddisfare meglio le necessità dei bambini e di altri pazienti, gli psicologi scolastici collaborano con altri professionisti sulla base di relazioni di rispetto reciproco. Principio Etico E2. Gli psicologi scolastici riconoscono la competenza degli altri professionisti. Incoraggiano e promuovono l’utilizzo di tutte le risorse disponibili per i bambini e gli altri pazienti. Principio Etico E3. Gli psicologi scolastici dovrebbero sforzarsi di esplicitare le proprie competenze e l’ambito di applicazione, includendo ruoli, responsabilità e relazioni di lavoro con altri professionisti. Principio Etico E4. Gli psicologi scolastici collaborano e lavorano in cooperazione con altri professionisti e altre organizzazioni tenendo sempre a mente i diritti e le necessità dei bambini e degli altri utenti. Se un bambino o un altro assistito sta ricevendo servizi simili da un altro professionista, gli psicologi scolastici promuovono il coordinamento degli incarichi. Per la nostra esperienza, nel caso del DDAI, le comunicazioni e le segnalazioni del personale educativo ai medici riguardano due argomenti principali: la diagnosi del disturbo e il trattamento farmacologico. In questi casi, le fami316 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti glie dovrebbero essere coinvolte nel processo decisionale (per es., nel caso di una segnalazione) e dovrebbero essere sempre trattate con rispetto e dignità. A tal fine, la persona responsabile della segnalazione dovrebbe aiutare pazientemente i genitori a comprendere lo scopo di tale azione. Per esempio, si potrebbe dire ai genitori: “Siamo preoccupati per il vostro bambino in quanto crediamo che possa avere un DDAI. In molti casi in cui esiste un simile dubbio, può essere utile chiedere il parere di un medico. In questo caso vorremmo fare una segnalazione al vostro pediatra [o altro medico] per una valutazione professionale”. Se i genitori sono d’accordo con la segnalazione, si dovrebbe aiutarli fornendo loro una lettera (o in alcuni casi facendo una telefonata) per il medico, in cui si indicano sia le preoccupazioni specifiche sia le domande a cui si sta cercando una risposta (per es., la diagnosi). Un esempio di lettera di segnalazione è fornito nell’Appendice 8.2. Nel caso di bambini che hanno già una diagnosi di DDAI, si può fare una segnalazione per ricevere informazioni sull’adeguatezza di una prova farmacologica (vedere Appendice 8.3). In questo caso, la segnalazione può riguardare altri interventi già tentati o tuttora in atto. Inoltre, i professionisti che lavorano a scuola possono rendersi disponibili a raccogliere sistematicamente informazioni che possono essere utilizzate per valutare e monitorare gli effetti dei farmaci (per es., attraverso questionari sugli effetti collaterali, informazioni sulla performance scolastica e scale di valutazione del comportamento). Nelle Appendici 8.4 e 8.5 abbiamo inserito due esempi di lettere in cui si valutano rispettivamente una prova farmacologica e i relativi risultati. Nell’effettuare segnalazioni professionali, è importante tenere a mente che queste non devono dare indicazioni agli altri professionisti su cosa fare. Sono piuttosto richieste di assistenza professionale per trovare risposte a specifiche domande e le modalità con cui vengono fornite le risposte restano una prerogativa del professionista coinvolto. Infine, quando i professionisti che lavorano a scuola sono responsabili di bambini che ricevono un trattamento con farmaci psicoattivi, dovrebbero discutere una serie di questioni con i genitori e i medici. Per esempio, chi è responsabile di assicurarsi che lo studente abbia assunto il farmaco e cosa bisogna fare se lo studente si rifiuta di assumerlo? Chi è responsabile della valutazione degli effetti collaterali e del monitoraggio degli effetti del farmaco sul funzionamento sociale, scolastico e fisico del bambino? Chi prenderà le decisioni su eventuali cambiamenti nella prescrizione farmacologica? Come è possibile adempiere a questi compiti? Come possono essere valutati, in maniera valida e affidabile, i cambiamenti nel funzionamento sociale, scolastico 317 DDAI a Scuola e fisico del bambino? (Vedere il Capitolo 6, così come Gadow, 1993, e Brown & Sawyer, 1998, per alcune risposte possibili a queste domande). LA COMUNICAZIONE CON GLI STUDENTI Il brano seguente delinea le modalità appropriate di comunicazione con gli studenti (Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici, 2000): Principio Etico B2. Gli psicologi scolastici illustrano gli aspetti rilevanti del loro ruolo professionale in modo chiaro e comprensibile, adeguato all’età e alle competenze del bambino o degli altri assistiti. In questa discussione si deve spiegare al bambino perché è stato richiesto l’intervento dello psicologo; chi sarà il destinatario delle informazioni raccolte e quali saranno gli esiti possibili. Principio Etico B4. Le indicazioni relative a cambiamenti nel programma o a eventuali servizi aggiuntivi vengono discusse con gli individui coinvolti. Come nel caso dei genitori e dei medici, gli studenti dovrebbero essere trattati con dignità e rispetto all’interno delle discussioni e delle comunicazioni sulla valutazione, la diagnosi, l’intervento e le attività in atto. Prima di tutto, nel comunicare i risultati e le implicazioni di una diagnosi di DDAI, si dovrebbe porre molta attenzione a utilizzare un linguaggio comprensibile allo studente. Piuttosto che dire all’alunno che ha uno specifico disturbo, il focus della discussione dovrebbe essere sui punti di forza e sulle debolezze del ragazzo, emerse nel corso del processo di valutazione. Bisognerebbe inoltre comunicargli che tutti i compagni hanno manifestato reazioni positive e negative. I sintomi e i comportamenti propri del DDAI dovrebbero essere descritti in termini di difficoltà nel rimanere attenti per lungo tempo, nel controllare determinati impulsi e il livello globale di attivazione, soprattutto in determinate situazioni, come quella del lavoro autonomo al banco. Si potrebbe chiedere allo studente di fare degli esempi di quando, dove e come sperimenta queste difficoltà nella quotidianità. Si dovrebbe sottolineare che numerosi studenti presentano le stesse problematiche e che esistono mezzi per affrontarle. Ne consegue una trattazione dei diversi interventi disponibili in un linguaggio comprensibile per il bambino. Per esempio, si potrebbe inerire il discorso sui farmaci stimolanti all’interno di un discussione più generale sull’esistenza di farmaci che possono essere d’aiuto nel migliorare la disattenzione e la quantità di lavoro prodotto. Quando si verificano cambiamenti positivi, si deve sempre ricordare allo studente che egli è il protagonista e l’agente responsabile di questi cambiamenti e che i farmaci lo hanno solamente aiutato in questo lavoro. 318 La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti Agli adolescenti (per es., studenti di scuola superiore), si dovrebbero dare informazioni più specifiche sul DDAI (vedere Barkley & Murphy, 1998, per alcuni materiali utili). A seconda del livello cognitivo di ogni studente, si possono anche fornire gli opuscoli o suggerire la stessa bibliografia per gli insegnanti e i genitori. Saranno necessarie numerose sedute di counseling per comunicare queste informazioni con accuratezza, per rispondere alle domande dello studente e per fornire supporto emotivo. Come nel caso dei bambini più piccoli, l’enfasi non deve essere su ciò che lo studente non riesce a fare o che fa male, ma piuttosto sul fatto che le difficoltà presenti possono essere affrontate a breve termine con l’aiuto di genitori e insegnanti. Altri argomenti importanti da discutere con gli adolescenti con DDAI riguardano il sostegno attuale e futuro a scuola (per es., l’utilizzo di test adattati a loro, variazioni nel carico di lavoro) e i progetti per la formazione postscolastica, l’inserimento lavorativo e altri obiettivi. Per gli studenti inseriti in servizi di educazione speciale, la discussione sulla formazione post-scolastica è obbligatoria per legge. Questi progetti a lungo termine coinvolgono con molta probabilità anche i genitori, avvengono sotto forma di counseling alla famiglia e hanno come argomento centrale il futuro dello studente (vedere Robin, 1998, per una trattazione onnicomprensiva del lavoro con adolescenti con DDAI e le rispettive famiglie), la consapevolezza dei propri diritti e la conoscenza di tutte le alternative educative e formative disponibili. Indipendentemente dal focus individuale, si dovrebbe dedicare sempre del tempo al coinvolgimento degli studenti nelle decisioni sulle modalità di erogazione del servizio (ossia, quando possibile, nelle opzioni di intervento e nella scelta). Una regola generale da seguire con studenti con DDAI, è cercare di trasmettere, in tutti i modi possibili, incoraggiamento, supporto e proiezione verso esiti positivi e di fornire feedback costruttivi e una valutazione formativa per conseguire un successo. Una considerazione primaria nel caso di bambini con DDAI riguarda le attribuzioni causali sui propri comportamenti, sul rendimento e sul progresso scolastico, soprattutto nel caso in cui stiano ricevendo un trattamento con farmaci stimolanti (o altri farmaci). Una letteratura esigua in questo settore (DuPaul et al., 1996; Pelham et al., 1992), benché in costante sviluppo, suggerisce che i bambini valutano più positivamente i propri comportamenti attuali e futuri in relazione all’assunzione di farmaci stimolanti. Anche se sono necessarie ulteriori indagini in questa direzione, i risultati trovati suggeriscono che è importante considerare e valutare i “messaggi” che i bambini ricevono 319 DDAI a Scuola o inviano agli altri sull’attribuzione causale dei propri comportamenti ai farmaci o alla propria competenza. Pertanto, indipendentemente dal fatto che stiano assumendo o meno farmaci stimolanti, tutti gli studenti con DDAI devono sentirsi responsabili del proprio comportamento. RIASSUNTO Ritenere che dovrebbero essere gli interessi e gli esiti positivi per il bambino a guidare la pratica professionale ha numerose implicazioni per i servizi erogati dagli psicologi scolastici a studenti che hanno, o potrebbero ricevere, una diagnosi di DDAI. Richiede infatti un focus sull’individuazione e la definizione di problemi e difficoltà in aggiunta alla diagnosi in se stessa. Pertanto, le comunicazioni accurate con i genitori, i medici e i ragazzi stessi fissano l’ordine delle procedure diagnostiche e delle attività di trattamento. I nostri commenti sui servizi educativi per i bambini con DDAI si sono brevemente concentrati sui legami fra la diagnosi e la programmazione educativa, sulle responsabilità professionali, sui farmaci stimolanti e sulle comunicazioni con i genitori, i medici e i ragazzi stessi. Esistono e certamente sorgeranno altre prospettive e altri argomenti di interesse per i professionisti, i genitori e gli studenti. La sfida per tutti i protagonisti coinvolti è quella di equilibrare/dividere l’attenzione adeguatamente fra le necessità, spesso in competizione fra loro, di focalizzarsi sulle richieste legali e procedurali legate alla diagnosi e alla classificazione e, allo stesso tempo, sugli esiti significativi per il ragazzo. La sfida comunicativa è quella di superare le possibili barriere che sorgono a causa della mancanza di un vocabolario condiviso e a causa di training e prospettive differenti; costruendo interventi efficaci attraverso la collaborazione. Tuttavia, strutturando e promuovendo una comunicazione come quella presentata in questo capitolo, i genitori, gli studenti e i professionisti possono contribuire ad accrescere il numero di risultati significativi per lo studente stesso. 320 APPENDICE 8.1 Bibliografia Ragionata sul DDAI e le Difficoltà a esso Associate per i Genitori e gli Insegnanti Barkley, R. A. (2000). Taking charge of ADHD: The complete, authoritative guide for parents (rev. ed.). New York: Guilford Press. Christenson, S. L., & Sheridan, S. M. (2001). Schools and families: Creating essential connections for learning. New York: Guilford Press. Forgatch, M. S., & Patterson, G.R. (1989). Parents and adolescents living together: Part 2. Family problem solving. Eugene, O: Castalia. Fowler, M. (1992). C.H.A.D.D. educators manual: An in-depth look at attention deficit disorders from an educational perspective. Plantation, FL:CHADD. Ingersoll, B. D. (1997). Daredevils and daydreamer: New perspectives on attentiondeficit/hyperactivity disorder. New York: Doubleday. Parker, H. C. (1992). The ADD hyperactivity handbook for schools: Effective strategies for identifying and teaching ADD students in elementary and secondary schools: Plantation, FL: Impact. Patterson, G. R., & Forgatch, M. S. (1998). Parents and adolescents living together: Part 1. The basics. Eugene, OR: Castalia. Power, T. J., Karustis, J. L., & Habboushe, D. F. (2001). Homework success for children with ADHD: A family-school intervention program. New York: Guilford Press. Robin, A. L. (1998). ADHD in adolescents: Diagnosis and treatment. New York: Guilford Press. Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. 321 APPENDICE 8.2 Lettera di Segnalazione al Medico Dr. Janet Williams 755 E. 45th Street Anywhere, USA Gentile Dr. Williams, Le scriviamo per una segnalazione che riguarda uno dei suoi pazienti, Michael Winston. Michael è uno studente della classe prima, presso la nostra Scuola Elementare Edgars e siamo preoccupati per lui dal momento che riteniamo possa avere un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. L’insegnante di Michael e il nostro psicologo scolastico hanno condotto osservazioni sistematiche del comportamento in classe di Michael. In confronto ai compagni, Michael passa molto meno tempo a svolgere i compiti assegnati in classe e molto più tempo in piedi o dimenandosi sulla sedia. Fino a questo momento, Michael è riuscito a conseguire lo stesso rendimento scolastico dei compagni, ma temiamo che spesso non concluda i compiti assegnatigli o che li porti a termine con scarsa attenzione ai dettagli. Anche se, fino a questo momento, non abbiamo sviluppato un piano di intervento sistematico per Michael, stiamo considerando di farlo. Prima di intraprendere questo percorso, tuttavia, desidereremo ricevere la Sua opinione professionale su una eventuale diagnosi di DDAI e, in caso positivo, apprezzeremmo alcune sue indicazioni per il trattamento. Saremo lieti di fornirLe tutte le ulteriori informazioni di cui dovesse avere bisogno. La ringraziamo in anticipo per il Suo aiuto a riguardo. Sinceramente, Psicologo Scolastico Insegnante Dirigente Scolastico Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. 322 APPENDICE 8.3 Segnalazione al Medico per una Possibile Prova Farmacologica Dr. James Smith The Anytown Clinic 1162 Williams Street Anytown USA 99999 RE: Billy Buck Gentile Dr. Smith, Come Lei saprà stiamo lavorando con lo studente sopra citato per affrontare i problemi di disattenzione, impulsività e iperattività che manifesta in classe. Precedentemente, Lei aveva emesso una diagnosi di DDAI. Le scriviamo per fornirLe un aggiornamento sui progressi del ragazzo e per richiederLe un parere sulla necessità di eventuali trattamenti aggiuntivi (per es., con farmaci stimolanti). Nel corso degli ultimi mesi, abbiamo applicato una serie di interventi allo scopo di migliorare la performance scolastica e il controllo comportamentale di Billy. Questi interventi hanno incluso l’applicazione di un sistema di token reinforcement in classe, un protocollo di comunicazione casascuola e l’utilizzo del peer tutoring in alcuni ambiti specifici (per es., nella matematica e nello spelling). Anche se questi interventi si sono rivelati utili, Billy continua a manifestare difficoltà di attenzione nel corso di tutta la giornata scolastica ed esibisce anche comportamenti decisamente disfunzionali in cortile e a mensa. Stiamo pianificando di modificare e continuare questi interventi per il resto dell’anno scolastico. Ciò non di meno, Le chiediamo di valutare la necessità di effettuare una prova farmacologica. Abbiamo già parlato di questa segnalazione al Sig. e alla Sig.ra Buck. Sono d’accordo con noi nel ritenere che siano necessari ulteriori trattamenti. Ovviamente, come per altri casi, siamo disponibili a raccogliere dati oggettivi relativi alla risposta di Billy agli stimolanti. Se avesse bisogno di ulteriori informazioni sul programma scolastico di Billy, La preghiamo di non esitare a contattarci in qualunque momento. Attendiamo fiduciosi a breve una Sua riposta. Sinceramente, Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. 323 Psicologo Scolastico Insegnante Dirigente Scolastico APPENDICE 8.4 Descrizione al Medico dell’andamento della Prova Farmacologica Dr. James Smith The Anytown Clinic 1162 Williams Street Anytown USA 99999 Gentile Dr. Smith, Siamo lieti di collaborare con Lei e con il Suo paziente, Thomas Jones, per valutare gli effetti del trattamento farmacologico con stimolanti sul funzionamento scolastico e sociale di Thomas a scuola. Troverà allegata alla lettera una breve descrizione del piano di intervento, dello scopo e degli obiettivi. Joan Williams, il capo farmacista del Centro Territoriale della Salute, si è mostrata disponibile a fornire una preparazione dei farmaci congeniale alla prova in atto. Joan ha concordato di etichettare le bottigliette di farmaco con lettere in codice e date (per es., metilfenidato, dose A, settimana del 14 aprile). Di tutte le persone coinvolte nella prova farmacologica solamente io e Joan siamo al corrente della dose corrispondente a un tale giorno di trattamento. La preghiamo di scrivere quattro prescrizioni sulla base delle seguenti indicazioni e di specificare che la prescrizione deve essere portata al Centro Territoriale della Salute: Metilfenidato 5 mg; somministrazione per 6 giorni. Metilfenidato 10 mg; somministrazione per 6 giorni. Metilfenidato 15 mg; somministrazione per 6 giorni. La Signora Jones ritirerà le prescrizioni direttamente presso il Suo studio quando saranno pronte. Le date e le dosi (assegnate casualmente) della prova di trattamento farmacologico di Thomas saranno le seguenti: Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. 324 Appendice 8.4 DataDose Settimana del 7 Aprile Settimana del 14 Aprile, dal Lunedì al Sabato Settimana del 21 Aprile, dal Lunedì al Sabato Settimana del 28 Aprile, dal Lunedì al Sabato Baseline 10 mg 5 mg 15 mg Le forniremo una sintesi dei risultati della prova farmacologica non appena questa sarà terminata. In attesa di collaborare con Lei restiamo a Sua disposizione per ulteriori informazioni o richieste. Sinceramente, Psicologo Scolastico Insegnante Dirigente Scolastico APPENDICE 8.5 Report al Medico dei Risultati della Prova Farmacologica Dr. James Smith The Anytown Clinic 1162 Williams Street Anytown USA 99999 Gentile Dr. Smith, Abbiamo appena concluso la prova di trattamento farmacologico con metilfenidato con il Suo paziente, Thomas Jones. Le dosi e le date hanno seguito l’andamento di seguito presentato: DataDose Settimana del 7 Aprile Settimana del 14 Aprile, dal Lunedì al Sabato Settimana del 21 Aprile, dal Lunedì al Sabato Settimana del 28 Aprile, dal Lunedì al Sabato Baseline 10 mg 5 mg 15 mg Le misure raccolte in itinere hanno riguardato la performance di lettura di Thomas in brani scelti fra quelli inseriti nel programma, la performance in prove di competenze aritmetiche di base, punteggi assegnati dagli insegnanti a scale sul comportamento e sulla performance in classe, punteggi assegnati dai genitori a scale di comportamento e il completamento di una scala sugli effetti collaterali compilata dalla madre di Thomas e dal ragazzo stesso. Alleghiamo un grafico con i dati relativi alla lettura di Thomas. La tabella seguente riassume tutti i risultati della prova farmacologica. MisuraDose ottimale Performance giornaliera nella lettura di brani del curricolo 15 mg Performance giornaliera in matematica 15 mg Punteggi dell’insegnante sul comportamento in classe 10 mg/15 mgdella Guilford a Tratta da DDAI a Scuola (2 ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 Punteggi dei genitori sul comportamento 15 mg/ 5 mg Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli. 326 Appendice 8.5 Per quanto riguarda gli effetti collaterali Thomas e la madre hanno entrambi riferito vertigini, irritabilità, mal di stomaco e problemi nel sonno per le dosi di 10 e 15 mg. La gravità di questi effetti andava da moderata a seria e tendeva a diminuire con il passare dei giorni. I risultati della prova farmacologica indicano che la dose di 15 mg di metilfenidato migliora al massimo la performance sociale e scolastica di Thomas. Se dovesse prescrivere il metilfenidato a questo dosaggio, dovremmo monitorare con attenzione gli effetti collaterali. Speriamo che trovi questi risultati utili nel lavoro con Thomas e la famiglia. Se possiamo esserLe di ulteriore aiuto con Thomas o altri bambini, non esiti a contattarci. Sinceramente, Psicologo Scolastico Insegnante Dirigente Scolastico parole corrette per minuto Performance di lettura di Thomas J. giorni CAPITOLO 9 Conclusioni e Direzioni Future Soddisfare le necessità degli studenti con DDAI è una sfida significativa per il personale educativo. Le caratteristiche proprie di questo disturbo (ossia la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività) implicano spesso comportamenti disfunzionali in classe, scarso rendimento scolastico e difficoltà nel fare e mantenere delle amicizie. Ciascuna delle caratteristiche del DDAI sembra essere presente in un continuum (ossia in una curva normale) all’interno della popolazione di modo che più del 2-5% dei bambini di entrambi i sessi può ricevere una diagnosi di questo disturbo in una determinata età. Inoltre, esiste un ulteriore 5% di bambini, in una data popolazione, che si colloca appena al di fuori del range significativo per una “diagnosi clinica” di DDAI e questi manifestano problemi significativi, anche se meno gravi, di disattenzione e controllo del comportamento. Pertanto, in una classe normale di 25 studenti, un insegnante potrà imbattersi in almeno due o tre che esibiscono difficoltà considerevoli nell’attenersi alle attività didattiche e nel rispettare le regole della scuola e della classe. La performance scolastica della maggior parte dei bambini con DDAI è scarsa a causa del loro cattivo metodo di studio, del mancato svolgimento dei compiti e della costante scarsa accuratezza nel lavoro al banco, nei compiti a casa e nelle verifiche. Inoltre, circa un terzo di questi studenti ha competenze scolastiche al di sotto della media e gli viene quindi diagnosticato anche un disturbo d’apprendimento. Negli ultimi dieci anni, alcuni cambiamenti nelle linee guida federali hanno permesso di inserire i bambini con DDAI in servizi di educazione speciale solo sulla base della presenza o meno di questo disturbo, che limita fortemente la loro performance scolastica. Le decisioni relative 329 DDAI a Scuola all’inserimento nei servizi di educazione speciale dovrebbero essere prese dopo aver condotto una valutazione valida e affidabile del DDAI e delle difficoltà a esso associate, determinando il grado in cui questo disturbo compromette il funzionamento sociale e scolastico del bambino e verificando il grado di successo ottenuto da altri interventi applicati all’interno di classi normali allo scopo di migliorare i comportamenti disfunzionali. Il primo passo per soddisfare le necessità di un bambino segnalato per un possibile DDAI è quello di condurre una valutazione psicologica e, se necessario, scolastica completa. La valutazione a scuola del DDAI utilizza tecniche multiple in contesti diversi (per es., in classe e in cortile) e fonti di informazione differenti (per es., i genitori, l’insegnante e il bambino stesso). In seguito alla segnalazione di un insegnante riguardo un possibile DDAI, si intraprendono cinque fasi valutative che includono uno screening iniziale sulla presenza dei sintomi del DDAI, una valutazione multimodale, l’interpretazione dei risultati per arrivare a una conclusione diagnostica, lo sviluppo di un piano di intervento integrato e il monitoraggio in itinere dei progressi ascrivibili al trattamento. Il raggiungimento di una diagnosi di DDAI non indica la fine del processo di valutazione e non ne è certamente l’obiettivo definitivo. Piuttosto l’effettivo valore della valutazione iniziale sta proprio nella progettazione di un trattamento il cui successo è strettamente connesso alle informazioni raccolte nel corso del processo valutativo stesso. L’utilizzo di metodologie comportamentali, incluse le interviste e le scale di valutazione per genitori e insegnanti, le osservazioni dirette del comportamento in classe e la raccolta di dati sulla performance scolastica, rappresenta il modo migliore di conseguire entrambi gli obiettivi della valutazione. I dati valutativi continuano a essere raccolti nel corso di tutta la terapia per stabilire l’efficacia e/o i limiti di alcune componenti. Gli interventi psicosociali più efficaci sono quelli che si basano sui principi del condizionamento operante e della teoria dell’apprendimento sociale. Questi interventi tipicamente includono strategie (rinforzi o conseguenze negative) quali i sistemi di token reinforcement, response cost e interventi di selfmanagement. Abbiamo illustrato la necessità di sviluppare piani di intervento equilibrati che includano procedure sia reattive che proattive. Queste ultime sono strategie (per es., la scelta dell’attività e il peer tutoring) che implicano modifiche nelle condizioni antecedenti, per prevenire i comportamenti non appropriati o disfunzionali. Gli obiettivi del trattamento sono la riduzione dei 330 Conclusioni e direzioni future comportamenti disadattivi (per es., disattenzione al compito) e l’incremento delle competenze (per es., nella performance scolastica e nel grado di accettazione sociale). Infatti, all’aumentare dei comportamenti adattivi di solito le azioni disfunzionali diminuiscono in frequenza a causa dell’intrinseca incompatibilità fra queste due classi di comportamenti. Pertanto, vanno privilegiate le procedure proattive e di rinforzo positivo, con la consapevolezza che a volte potrebbero essere necessarie delle procedure punitive lievi per diminuire i comportamenti aggressivi o non attinenti al compito. Per molti bambini con DDAI, l’approccio di trattamento ottimale potrebbe essere la combinazione di interventi comportamentali con i farmaci psicostimolanti (per es., il metilfenidato). In contesti scolastici, per la maggior parte dei bambini trattati, i farmaci stimolanti possono accrescere lo span di attenzione, la percentuale di completamento e di accuratezza dei compiti e la compliance con le regole della classe. Dato che gli effetti comportamentali degli stimolanti sono mediati dal dosaggio e dalla risposta individuale, la risposta al trattamento di ogni singolo bambino deve essere valutata in maniera oggettiva a differenti dosaggi terapeutici. I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero svolgere un ruolo determinante nell’aiutare i medici a valutare i cambiamenti nel comportamento del bambino indotti dal farmaco, in una serie di ambiti di funzionamento cruciali (per es., la performance scolastica, le relazioni sociali e la compliance con le regole della classe). Un sottoinsieme degli strumenti utilizzati nel corso del processo valutativo iniziale del DDAI può essere somministrato con costanza per determinare se un individuo stia rispondendo alla farmacoterapia e quale sia la dose che ottimizza il funzionamento sociale e scolastico dello studente. Indipendentemente dall’efficacia ormai accertata del trattamento farmacologico e degli interventi comportamentali, nessun trattamento da solo sarà sufficiente per apportare miglioramenti nelle difficoltà associate al DDAI. La manifestazione persistente di problemi comportamentali in contesti diversi e con figure di accudimento differenti implica necessariamente l’applicazione di interventi multimodali per diversi anni. Si possono utilizzare una serie di strategie di trattamento per integrare gli interventi comportamentali in classe e i farmaci psicotropi. Tali strategie possono includere interventi da attuare a scuola (per es., il training di abilità sociali) o a casa (per es., il parent training). Il focus deve essere quello di progettare un piano efficace e completo per trattare tutte le aree funzionali compromesse dal disturbo, riconoscendo la necessità di una terapia a lungo termine. Allo stesso tempo, gli educatori e i genitori 331 DDAI a Scuola in particolare, nel corso dell’anno scolastico avranno bisogno di concentrarsi sul raggiungimento di obiettivi a breve termine per promuovere cambiamenti graduali nel livello di adattamento complessivo del bambino. I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero valutare con attenzione l’efficacia comprovata dei trattamenti suggeriti per il DDAI dal momento che esistono una serie di terapie che si spacciano come “efficaci” (per es., la dieta di Feingold), ma che attualmente non hanno alcun supporto empirico oppure è ancora troppo limitato. Data l’attrattiva che le alternative ai farmaci e alla modificazione comportamentale esercitano sul grande pubblico, è importante che qualcuno all’interno dell’équipe che lavora con il bambino prenda una posizione scettica e oggettiva sulle nuove terapie che si sostiene possano “curare” il DDAI. Nello specifico, bisogna valutare con precisione la quantità e la qualità del supporto empirico del trattamento proposto. Accade di frequente che si debbano evidenziare i limiti delle strategie di intervento senza supporto di ricerca per cercare di convogliare le energie e le risorse su interventi che hanno maggiore probabilità di aiutare veramente il bambino. Di solito, sono coinvolte una serie di persone nel trattamento di un bambino con diagnosi di DDAI. Pertanto lo studente e i genitori interagiscono spesso con professionisti che lavorano a scuola (per es., insegnanti, psicologi scolastici, personale amministrativo, infermiera e counselor) e con professionisti che lavorano sul territorio (per es., medici e psicologi clinici). Ciò implica la necessità di adottare un approccio di équipe all’intervento, in cui si coordina l’erogazione dei servizi attraverso una comunicazione costante fra i professionisti coinvolti. Sfortunatamente in realtà questo tipo di approccio rappresenta più un ideale che una prassi comune. Ciò non di meno, si presume che maggiore sarà il lavoro di équipe, migliori saranno i risultati per il bambino. L’approccio di équipe può essere promosso assicurandosi che tutti i professionisti coinvolti siano consapevoli di cosa sia il DDAI, di come identificare gli studenti che potrebbero avere bisogno di un intervento e di come trattare i problemi associati a questo disturbo. Gli educatori, anche quelli che lavorano in classi speciali, devono capire che i comportamenti associati al DDAI sono persistenti e che raramente vengono eliminati del tutto, soprattutto nel corso di un singolo anno scolastico. Pertanto, il focus degli sforzi professionali dovrebbe essere sulla modifica dell’ambiente di classe e della scuola per soddisfare le necessità degli studenti con questo disturbo e per promuovere il raggiungimento di obiettivi a breve termine. Mano a mano che si conseguono 332 Conclusioni e direzioni future miglioramenti a breve termine nell’ambito dell’attenzione, del controllo degli impulsi e del livello generale di attività, si fa un passo in più verso un miglioramento lungo termine. Nella nostra esperienza, tuttavia, per mantenere alta la motivazione nel bambino e nei membri dell’équipe è necessario promuovere l’attenzione sul conseguimento di “piccoli successi” piuttosto che sul raggiungimento di una “guarigione” definitiva in poco tempo. DIREZIONI DI LAVORO FUTURE PER STUDENTI CON DDAI Anche se negli ultimi decenni c’è stato un progresso sostanziale nell’identificazione e nel trattamento in contesti scolastici di studenti con DDAI, resta ancora molto lavoro da fare in numerosi ambiti cruciali. Primo, è stata fatta poca attenzione alle difficoltà e necessità di studenti con DDAI di scuola superiore fra i dodici e i quattordici anni e per quelli fra i quindici e i diciotto. Questi ultimi di solito hanno molteplici problemi di adattamento nel funzionamento scolastico, sociale e comportamentale. Data l’enfasi che si pone sull’autonomia e sulla responsabilità individuale del proprio comportamento durante l’adolescenza, diventa particolarmente importante definire quali programmi possano accrescere il successo formativo di questi studenti. Secondo, si devono definire il ruolo e le responsabilità dei “case manager” a scuola. Anche negli anni delle elementari, i bambini con DDAI lavorano con una serie di professionisti e questo implica la necessità di un coordinamento della comunicazione e dell’erogazione dei servizi fra casa, scuola e territorio. Terzo, si deve garantire al personale educativo curricolare e di classi speciali prima di entrare in servizio (ossia prima di conseguire l’abilitazione all’insegnamento), un training adeguato su come soddisfare le necessità educative e comportamentali di bambini con DDAI. Attualmente, molti insegnanti non sono adeguatamente preparati a lavorare con questi bambini in modo efficace anche dopo aver frequentato seminari di aggiornamento o aver letto testi rilevanti sull’argomento. Quarto, sono estremamente necessarie ricerche empiriche per identificare strategie pratiche ed efficienti per gestire i problemi di comportamento associati al DDAI, accrescendo allo stesso tempo le competenze scolastiche e sociali di questi studenti. Rispondere alle necessità degli adolescenti con DDAI Nel momento in cui gli studenti con DDAI passano dalla scuola elementare alla scuola media e superiore, si trovano ad affrontare una serie di “ostacoli” 333 DDAI a Scuola evolutivi che sono sostanzialmente più impegnativi per loro che per i loro coetanei. Inoltre, i contesti di scuola secondaria sono più impegnativi di per sé, soprattutto in relazione alle competenze organizzative, scolastiche e di autogestione degli studenti. Propriamente, ci si aspetta che gli studenti di scuola secondaria siano in grado di prepararsi per i test e di mostrare competenze organizzative adeguate (per es., tenere un quaderno degli appunti ordinato); come anche di progettare il loro futuro dopo la fine della scuola. Si presume che se gli studenti con DDAI fossero in grado di soddisfare le precedenti aspettative, allora le loro possibilità di riuscita da adulti sarebbero maggiori. Nella maggior parte delle scuole secondarie si forniscono minime istruzioni sulle competenze metodologiche e organizzative. Si presuppone che gli studenti abbiano sviluppato queste competenze nel passaggio fra una grado di scuola e l’altro in funzione della loro maturazione emotiva e cognitiva. Anche se questa assunzione può essere valida per molti adolescenti, risulta evidente che numerosi studenti con DDAI non acquisiscono competenze metodologiche di studio adeguate e che dunque la loro performance scolastica è compromessa (vedere il Capitolo 5 per una discussione sugli interventi per le competenze metodologiche). Pertanto a questi studenti si devono fornire indicazioni metodologiche e organizzative il prima possibile nel corso della carriera scolastica (per una rassegna vedere Gleason, Archer & Colvin, 2002). Nonostante i molteplici e complessi bisogni degli adolescenti con DDAI, sono stati condotti pochissimi lavori empirici su questa popolazione. Infatti, nella loro meta-analisi, DuPaul e Eckert (1997) hanno individuato solo un numero esiguo di ricerche in cui si valutavano gli interventi in contesti scolastici per studenti delle superiori con DDAI. Malgrado la scarsità di ricerche sugli adolescenti, bisognerebbe seguire comunque alcune linee guida: 1. Fornire delle prime indicazioni, alla fine della scuola elementare e all’inizio della scuola media, su come studiare per i test e su come prendere gli appunti; ossia non appena i programmi scolastici prevedono un numero maggiore di richieste a lungo termine. Queste indicazioni dovrebbero essere fornite costantemente dagli insegnanti curricolari e dal personale di supporto (per es., counselor, psicologo scolastico) insieme a numerose opportunità di esercitarsi sotto supervisione. 2. Si dovrebbe chiedere agli studenti con DDAI di scrivere i compiti a casa su un quaderno o sul diario non appena la quantità aumenta. Nel diario o nel quaderno dovrebbero essere scritti sia i compiti del giorno dopo sia quelli con scadenza più lunga. All’inizio, l’insegnante dovrebbe controllare 334 Conclusioni e direzioni future il diario o il quaderno alla fine di ogni giornata scolastica per assicurarsi che i compiti siano segnati correttamente. Inoltre, i genitori dovrebbero controllare il diario o il quaderno prima dello svolgimento dei compiti a casa per assicurarsi che lo studente abbia compreso cosa gli viene richiesto. Le strategie di rinforzo da applicare a casa (per es., attività preferite) dovrebbero essere direttamente collegate alla compliance con le incombenze assegnate. Questo aspetto è fondamentale dal momento che molti ragazzi con DDAI non scrivono sempre i compiti, a meno che non ci sia una “ricompensa”. Mano a mano che lo studente mostra livelli di responsabilità individuale sempre maggiori nell’utilizzo del diario o del quaderno, si può ridurre la supervisione degli insegnanti e dei genitori. Ciò non di meno, gli studenti con DDAI dovrebbero continuare a tenere un diario o un quaderno dei compiti assegnati per tutti gli anni di scuola. 3. Si dovrebbero mettere in atto dei meccanismi di compensazione per i deficit attentivi e organizzativi associati al DDAI. Primo, si dovrebbe permettere a questi studenti di registrare le lezioni in aggiunta al prendere appunti. Questo risulta particolarmente utile quando si insegna ai bambini a prendere appunti ascoltando le registrazioni delle lezioni sotto la supervisione dell’insegnante, di uno studente più grande o di un compagno. Secondo, si dovrebbe avere un insieme alternativo di libri di testo da tenere a casa nel corso dell’anno scolastico per evitare che lo studente non possa svolgere i compiti a casa dal momento che ha “dimenticato” i libri a scuola. 4. Potrebbe essere necessario per molti anni di scuola fornire indicazioni dirette costanti sulle competenze metodologiche e organizzative ed effettuarne un monitoraggio costante, e questa dovrebbe essere considerata una parte integrale del piano di intervento a scuola per adolescenti con DDAI. Anche se si presume che i suggerimenti per la prassi educativa appena forniti possano migliorare i risultati degli studenti, rimangono ancora, in questo ambito, numerose domande senza risposta. A un livello base, quali sono i deficit accertati nelle competenze metodologiche e organizzative in studenti con DDAI? Questi deficit persistono nel tempo o ci sono aree di miglioramento o peggioramento mano a mano che lo studente progredisce con i gradi di istruzione? In termini di intervento, quali sono le metodologie migliori per insegnare le competenze organizzative e metodologiche a questa popolazione di studenti? Le modalità di insegnamento dovrebbero variare in funzione delle caratteristiche individuali (per es., la presenza di disturbi dell’apprendi335 DDAI a Scuola mento, il livello scolastico dello studente)? Infine, quali sono gli effetti a lungo termine della trasmissione delle abilità di studio? I miglioramenti in questo ambito si generalizzano nelle diverse materie e permangono nel tempo? Sono necessari monitoraggi e insegnamenti periodici in questo ambito per assicurare miglioramenti più durevoli? L’insegnamento delle abilità di studio fa la differenza nei risultati finali degli studenti con DDAI? Le risposte a queste domande saranno certamente di aiuto nel promuovere la nostra capacità di aiutare questi studenti in un ambito così importante per l’apprendimento autonomo. Similmente, a causa della loro impulsività, i giovani con DDAI spesso non considerano le conseguenze a lungo termine delle loro azioni e non fanno piani in anticipo con una certa coerenza. Pertanto, gli studenti con questo disturbo richiedono spesso una guida maggiore nella pianificazione delle attività da intraprendere dopo la fine della scuola (per es., se entrare nel mondo del lavoro o iscriversi all’università). Anche se il counseling formativo e professionale si fornisce a tutti gli studenti di scuola superiore con intensità diverse, è particolarmente importante che gli individui con DDAI ricevano costanti suggerimenti in questo ambito. Per questi studenti potrebbe essere necessaria l’identificazione degli interessi e dei punti di forza in un’età più precoce rispetto a quella in cui questo processo si mette in atto con altri bambini. Ciò non dovrebbe tradursi in uno sforzo per “incasellare” il bambino in una precisa direzione (per es., educazione professionale) piuttosto che in un’altra (per es., corsi di preparazione all’università), ma piuttosto per incoraggiarlo a sviluppare un focus o un interesse sull’area che riuscirà a mantenere elevata la motivazione per tutta la durata della scuola. Uno dei rischi più grandi per questa popolazione è quello di perdere interesse nella scuola e, come risultato, quello di abbandonarla prematuramente. Pertanto, aiutare il bambino a guardare oltre e a fare progetti per il futuro può promuovere l’interesse verso l’ambito scolastico, anche se questo fosse limitato solo ad alcune materie. Dall’inizio della scuola media e nel corso di quella superiore, gli studenti con DDAI dovrebbero incontrasi regolarmente con il counselor che li guida, o con il personale che si occupa dell’orientamento, in modo che possano fornire loro una valutazione e una pianificazione delle aspirazioni professionali e formative. Come nel caso delle abilità di studio, è stata condotta poca ricerca empirica nell’ambito della progettazione professionale per studenti con questo disturbo. Abbiamo bisogno di informazioni sulle metodologie di counseling professionale e formativo che si adattano meglio a studenti con problemi di attenzione. 336 Conclusioni e direzioni future Quando dovrebbero verificarsi per la prima volta nel percorso educativo del bambino la valutazione degli interessi e il counseling professionale? Quanto frequente deve essere questo counseling per garantire un successo maggiore? Quali sono i possibili effetti iatrogeni (per es., stabilire prematuramente programmi per il post scuola secondaria) del counseling professionale e come si possono minimizzare? Quali metodologie si possono utilizzare per incoraggiare i giovani ad assumersi sempre più la responsabilità del loro futuro? Anche se, a detta della maggior parte dei professionisti che lavorano con questi studenti, questa è un’area cruciale di indagine, essa ha a tutt’oggi ricevuto una scarsa attenzione empirica. La presenza di un Case Manager a scuola Un trattamento di successo per un DDAI, spesso richiede un coordinamento di servizi fra genitori, studenti, insegnanti, altri professionisti che lavorano a scuola, medici e operatori dei servizi territoriali (per es., psicologi clinici dell’età evolutiva). Troppo spesso, queste figure che lavorano con uno stesso ragazzo si muovono una indipendentemente dall’altra, senza comunicare fra loro. Questo stato di cose accresce la probabilità di una ridondanza nella fornitura dei servizi o, cosa ancora peggiore, l’erogazione di interventi conflittuali ai genitori e al bambino. Sembra pertanto ragionevole credere che dovrebbero essere migliorati sia la comunicazione efficace fra i membri dell’équipe di trattamento, sia il coordinamento dei servizi attraverso l’individuazione di una figura professionale che funga da case manager. Dal momento che i bambini con DDAI passano la maggior parte del loro tempo a scuola, una buona possibilità, anche dal punto di vista costi-benefici, è quella di scegliere la figura che si assuma la responsabilità di case manager fra i professionisti che lavorano a scuola (per es., lo psicologo scolastico) (per una trattazione più approfondita del ruolo del case manager vedere Power, Atkins, Osborne & Blum, 1994). Un case manager efficiente fornirà i seguenti servizi al bambino e all’équipe di trattamento: 1. Funge da collegamento fra scuola e casa comunicando regolarmente con gli insegnanti e i genitori del ragazzo. Inoltre, il case manager terrà contatti regolari con tutti i professionisti del territorio (per es., il medico) che stanno lavorando con lo studente. 2. Coordina la programmazione a scuola fra tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado: elementari, medie e scuole superiori. Il case manager può 337 DDAI a Scuola incontrare ogni insegnante singolarmente o può organizzare delle riunioni collettive regolari. Questo procedimento faciliterà la continuità nella programmazione fra le classi prevenendo allo stesso tempo potenziali incomprensioni che potrebbero condurre a un trattamento inefficace. 3. Coordina i programmi di contingency management da applicare a scuola e a casa. Quando le procedure da applicare a casa sono legate alla performance del bambino a scuola, la comunicazione fra i genitori e gli insegnanti diventa cruciale. Inoltre, è importante che tutti i partecipanti al programma di trattamento siano consapevoli delle proprie responsabilità e che si attengano alle indicazioni fornite per l’applicazione dell’intervento. L’aderenza al trattamento può essere facilitata dalla presenza del case manager che tiene in contatto i genitori e gli insegnanti, organizza periodiche riunioni di équipe per verificare i progressi e mette in atto eventuali cambiamenti nella struttura o nel contenuto del programma terapeutico casa-scuola. 4.Comunica al medico gli effetti del trattamento sulla performance scolastica e sul comportamento in classe. L’importanza dei dati che si raccolgono a scuola nel determinare la risposta del bambino a una dose farmacologica e nello stabilire il dosaggio ottimale per ciascun individuo è già stata discussa nel Capitolo 6. Avere una figura definita che metta in comunicazione il medico e la scuola accresce le probabilità di un monitoraggio accurato del trattamento farmacologico e migliora pertanto gli esiti possibili. Il case manager raccoglierà e comunicherà quindi le informazioni sui cambiamenti nella performance del bambino al medico nel corso della prova farmacologica iniziale (vedere l’Appendice 8.4 e 8.5). Inoltre, potrebbe rendere noti al medico e/o ai genitori eventuali cambiamenti inattesi nel comportamento del bambino, che potrebbero verificarsi in seguito a un trattamento farmacologico prolungato. Il case manager può anche fungere da intermediario nel caso in cui i genitori o il medico debbano comunicare al personale scolastico cambiamenti nel dosaggio del farmaco. 5.Funge da tutore dei diritti del bambino per riuscire a ottenere i servizi adeguati sia a scuola sia sul territorio. Il case manager dovrebbe avere una panoramica dei servizi necessari a uno studente con DDAI e di quelli effettivamente disponibili. Quando fra i servizi necessari e quelli disponibili esiste un gap, il case manager dovrebbe promuovere cambiamenti nella programmazione didattica e territoriale del piano di intervento, coinvolgendo tutti i membri dell’équipe di trattamento (per es., personale amministrati338 Conclusioni e direzioni future vo della scuola, genitori). Inoltre, deve garantire l’attenzione dei professionisti al conseguimento di risultati significativi per la vita del bambino. Il precedente elenco delle responsabilità di un case manager non ha l’intenzione di essere esaustivo: ci possono essere altre funzioni a cui egli può assolvere in relazione ai bisogni del bambino. Inoltre, alcune di queste funzioni potrebbero, in alcuni casi, non essere necessarie. Ciò non di meno, c’è una forte necessità della presenza di una sola persona che coordini i servizi nel tempo. In molti casi, dovrebbe essere un professionista che lavora a scuola dal momento che questo può seguire il bambino attraverso tutti i livelli di istruzione (per es., uno psicologo scolastico o un counselor). I professionisti che lavorano a scuola sono avvantaggiati dal contatto quotidiano con gli insegnanti del bambino e dall’opportunità di essere in contatto con i genitori e con i membri dell’équipe territoriale che si occupa del bambino. Si presume che il coordinamento costante dei servizi e la comunicazione fra i membri dello staff accresca l’efficacia complessiva del trattamento a lungo termine di questo disturbo. Training sul DDAI prima dell’abilitazione all’insegnamento Una delle lamentele più frequenti dei genitori di bambini con DDAI è che gli insegnanti non sembrano avere alcun background teorico-pratico che permetta loro di lavorare con i bambini affetti da questo disturbo. Molti insegnanti, soprattutto quelli curricolari, riconoscono prontamente i limiti nel lavorare con questi studenti. Per affrontare questi problemi, i sistemi scolastici si sono sforzati di fornire un aggiornamento in servizio al personale scolastico su come identificare, insegnare e gestire questi bambini in contesti educativi normali o speciali. Sfortunatamente, non esistono dati empirici che provino come un breve training didattico su come lavorare con bambini con DDAI sia efficace nell’accrescere la conoscenza e le competenze degli educatori. Infatti, sembra che molti insegnanti non siano adeguatamente preparati a lavorare con efficacia con questi bambini anche dopo aver frequentato seminari di aggiornamento o dopo aver letto i testi più rilevanti sull’argomento. Dato questo stato di cose, dovrebbe esistere una formazione specifica prima dell’ingresso in servizio (ossia prima del conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento) su come soddisfare le necessità educative e comportamentali dei bambini con DDAI, per tutti gli insegnanti in formazione e anche per il resto del personale scolastico. Questo training permetterebbe di dare non solo informazioni teoriche sul DDAI, ma anche di supervisionare la prassi 339 DDAI a Scuola reale di insegnamento e le strategie di gestione del comportamento. Il fatto che ogni educatore lavorerà probabilmente almeno con uno studente che ha il DDAI in ogni anno di scuola, dovrebbe fare sì che questa proposta venisse seriamente presa in considerazione. Sfortunatamente, al momento attuale, il training intensivo sul lavoro con questi bambini non si verifica di solito prima dell’entrata in servizio. Anche se sembra ragionevole credere che il training preventivo sul DDAI possa accrescere le competenze degli educatori nel lavorare con questi bambini, non esistono ancora dati empirici che supportano questa posizione. Pertanto, l’efficacia del training prima dell’ingresso in servizio dovrebbe essere verificata nel dettaglio. In particolare, quali sono le attività di training che portano a livelli maggiori di comprensione di questo disturbo e a un potenziamento delle competenze didattiche e gestionali con questi bambini? La combinazione della formazione didattica, della lettura della bibliografia di riferimento e della pratica sotto supervisione sono in grado di preparare a sufficienza gli insegnanti per lavorare efficacemente con questa popolazione? Sono necessarie altre tipologie di training (per es., esperienza pratica in scuole per bambini con disturbi del comportamento) per conseguire livelli adeguati di competenza in questo ambito? Queste sono domande importanti a cui trovare una risposta dal momento che un adeguato training prima dell’entrata in servizio rappresenta una strategia proattiva (ossia preventiva) di intervento con i ragazzi con DDAI e potrebbe in definitiva ridurre la necessità di piani di intervento più costosi e intensivi in momenti successivi. La ricerca sul DDAI in contesti scolastici Anche se numerosi interventi comportamentali e cognitivo-comportamentali per il DDAI si sono dimostrati efficaci in indagini empiriche (DuPaul & Eckert, 1997), c’è ancora molto da apprendere su come accrescere la performance scolastica degli studenti affetti da questo disturbo. Rispetto alla voluminosità della letteratura relativa al trattamento farmacologico con stimolanti, la trattazione degli interventi didattici e psicosociali in contesti scolastici è solo all’inizio. Ci sono ancora numerose direzioni che possono essere intraprese in questo ambito; di seguito identifichiamo alcune delle dimensioni di ricerca più rilevanti ai fini della prassi quotidiana. Gli interventi comportamentali utilizzati per il DDAI sono piuttosto differenti nello scopo, nel contenuto e nell’intensità. Si sa poco dell’efficacia 340 Conclusioni e direzioni future propria di ogni componente dell’intervento (per es., sistema di token reinforcement vs. response cost). Quali sono le componenti di un intervento comportamentale sufficienti a trattare il DDAI? Il piano di intervento dovrebbe variare in funzione dei fattori individuali (ossia dell’età, del sesso, della gravità del disturbo) e ambientali (per es., inserimento in classi normali vs. inserimento in classi speciali, livello di stress dell’insegnante)? I professionisti devono sapere non solo se un intervento funzionerà, ma anche quale trattamento sarà maggiormente efficace data una serie di circostanze preesistenti. La maggior parte della ricerca sulle terapie si è focalizzata sulla manipolazione delle situazioni conseguenti per modificare il comportamento degli studenti con DDAI. Le informazioni su come utilizzare gli eventi antecedenti (ossia sulle procedure proattive) per ridurre i comportamenti problematici e migliorare la performance scolastica di questi studenti sono invece ancora molto scarse. Quali sono le modalità più efficaci di presentare contenuti scolastici a studenti con DDAI? L’efficacia delle differenti strategie didattiche varia in funzione del profilo comportamentale e scolastico del bambino? Come possiamo migliorare l’attenzione del bambino alle indicazioni del compito? E’ possibile, e come, modificare il livello di stimolazione dei contenuti didattici in modo che i bambini con DDAI possano completare con più facilità e accuratezza i compiti scolastici? Una conoscenza più approfondita delle manipolazioni più efficaci sugli eventi antecedenti presumibilmente sarà di grande aiuto nel prevenire e/o nel ridurre la gravità di numerose difficoltà nel controllo del comportamento associate a questo disturbo e, allo stesso tempo, nel migliorare il rendimento e la performance scolastica. Anche se gli interventi comportamentali si sono rivelati efficaci per il DDAI, questi spesso non vengono applicati in classe. Malgrado la loro efficacia, gli insegnanti spesso li trovano inattuabili a causa della mancanza di tempo, di risorse o del proprio disaccordo con l’approccio teorico di riferimento (Witt & Elliott, 1985). In altre parole, molti interventi che funzionano bene in un paradigma di ricerca spesso sono percepiti come poco pratici, soprattutto se devono essere applicati in classi normali. Pertanto, dobbiamo sapere come accrescere il grado di accettabilità dei trattamenti efficaci. Non è sufficiente stabilire che un intervento funzioni effettivamente, dobbiamo anche sapere se sia accettabile per i futuri “consumatori” (ossia per gli insegnanti, i genitori e gli studenti). Possono essere introdotti dei cambiamenti negli interventi attualmente disponibili che ne aumenterebbero il grado di accettabilità e quindi il grado in cui vengono adottati in classe? Come si può accrescere l’efficacia di 341 DDAI a Scuola trattamenti che sono percepiti come maggiormente accettabili, quali le strategie di self-management? Il vero banco di prova per la ricerca in questo ambito è rappresentato dal fatto che gli insegnanti e il resto del personale scolastico applichino nella realtà quotidiana, con costanza e per lunghi periodi di tempo queste procedure empiricamente valide. I ricercatori nel campo del DDAI devono sviluppare e verificare altre metodologie di lavoro con questi bambini in contesti scolastici. Tutto ciò dovrebbe avere lo scopo di migliorare gli esisti didattici di questi bambini piuttosto che tenere unicamente sotto controllo il loro comportamento. Per esempio, le procedure discusse nel Capitolo 5 includevano interventi mediati dai compagni o dall’utilizzo del computer. Queste procedure sono davvero promettenti per gli studenti con DDAI, ma non sono ancora state studiate nel dettaglio. Inoltre, non è ancora chiaro quale sia il processo decisionale migliore per scegliere l’intervento scolastico più adatto a determinate situazioni o per valutare se invece siano necessari cambiamenti da applicare in itinere. Per esempio, spesso, per la definizione del trattamento si suggerisce l’utilizzo di un modello di problem-solving che si basa sui dati empirici raccolti (Elliott, Witt, Kratochwill & Stoiber, 2002); tuttavia non esistono dati che ne provino l’efficacia costi-benefici in caso di studenti con DDAI. Questo metodo, più lungo e impegnativo, porta veramente a miglioramenti più consistenti nella performance scolastica di questi ragazzi rispetto a modelli prove-ed-errori? Infine, viste le attuali indicazioni federali sull’educazione speciale, è sempre più necessario stabilire come e a quali condizioni i bambini con DDAI possono essere candidabili all’inserimento in servizi di questo tipo. Attualmente, le linee guida su come prendere queste decisioni sono piuttosto vaghe e i sistemi scolastici sono lasciati a se stessi. Idealmente, dovrebbero essere disponibili delle linee guida pratiche che facilitino la decisione sulla candidabilità e che conducano alla definizione di programmi di intervento efficaci. In quali condizioni gli studenti con DDAI possono trarre beneficio da servizi di educazione speciale? Quali strumenti di valutazione si dovrebbero utilizzare per stabilirne l’inserimento? Quale dovrebbe essere, in questo processo decisionale, il ruolo dei professionisti che lavorano nei servizi territoriali (per es., dei medici)? Quali dovrebbero essere le componenti del piano educativo speciale per questi studenti? Questi trattamenti sono differenti da quelli attualmente in uso per studenti con disturbi dell’apprendimento o disturbi emotivi? Certamente tutti questi argomenti necessitano di ulteriori approfondimenti. 342 Conclusioni e direzioni future CONCLUSIONI È piuttosto sconfortante ammettere che nonostante la nostra comprensione del DDAI sia notevolmente accresciuta negli ultimi decenni, i bambini affetti da questo disturbo continuano a incontrare numerose difficoltà di riuscita all’interno delle nostre scuole. Per modificare questa situazione, si devono fare dei passi avanti in alcuni ambiti principali. Primo, i professionisti nel settore della psicologia e della pedagogia devono accrescere la propria consapevolezza e comprensione dei limiti che questi studenti presentano. Quei professionisti che hanno accumulato esperienza nel lavoro con questi ragazzi devono formare i loro colleghi e farli diventare egualmente competenti. I bambini con questo disturbo si incontrano praticamente in ogni classe. Pertanto, tutti gli educatori dovrebbero possedere almeno le competenze basilari per identificare questi bambini, per progettare curricoli e programmi didattici che possano venire incontro alle loro necessità e per aiutarli a diventare futuri cittadini più produttivi e realizzati. Secondo, si devono migliorare le tecniche di valutazione e di trattamento dei bambini con DDAI. Si devono sviluppare metodologie valutative che vadano oltre i report di altre figure significative al fine di accrescere la validità ecologica del processo di valutazione. Terzo, è assolutamente necessario individuare modalità di trattamento che siano efficaci, da un lato, e che, dall’altro, siano accettabili per i consumatori anche in seguito a una valutazione costi-benefici. Pertanto, la sfida per la ricerca è quella di condurre a una prassi efficace in modo da conseguire miglioramenti a lungo termine nella performance scolastica di tutti i bambini con DDAI. Finché non si sarà raggiunto questo obiettivo, tuttavia, i numerosi suggerimenti contenuti in questo testo possono fungere da punto di partenza e da guida per una prassi didattica corretta, al fine di accrescere le possibilità di esisti scolastici positivi per questi studenti. 343 Bibliografia Abikoff, H. (1985). Efficacy of cognitive training intervention in hyperactive children: A critical review. Clinical Psychology Review, 5, 479–512. Abikoff, H., & Gittelman, R. (1985). The normalizing effects of methylphenidate on the classroom behavior of ADDH children. 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