Firera & Liuzzo Publishing è un marchio di Firera & Liuzzo Group
© 2010 - Firera & Liuzzo Group
Via Boezio, 6 - 00193 Roma
www.fireraliuzzo.com
ISBN: 978-88-6538-006-2
Titolo dell’opera originale: ADHD n the schools.
Assessment and Interventon Strategies
© 2003 The Guilford Press
A Division of Guilford Publications, Inc.
72 Spring Street, New York, NY 10012
Traduzione di Margherita Fassari
Firera & Liuzzo Group is a member of
George J. DuPaul - Gary Stoner
DDAI a Scuola
Valutazione e strategie di intervento
Seconda Edizione
Prefazione di Russell A. Barkley
Gli Autori
George J. DuPaul, PhD, è Professore e Coordinatore della Facoltà di
Psicologia dell’Università di Leigh. I suoi primari interessi di ricerca riguardano
il trattamento in contesti scolastici dei disturbi del comportamento e il
trattamento in contesti scolastici dei bambini con malattie croniche. È autore
di più di 100 articoli di riviste e capitoli di libri sulla valutazione e il trattamento
del Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività. Il Dr. DuPaul è anche
autore dei seguenti testi: La Promozione della salute dei bambini: l’integrazione
fra la scuola, la famiglia e la comunità (in collaborazione con Thomas J. Power,
Edward S. Shapiro e Anne Kazak) e La Scala di Valutazione del DDAI- IV:
Checklist, Norme e Significato Clinico (in collaborazione con Thomas J. Power,
Arthur D. Anastopoulos e Robert Reid), entrambi pubblicati dalla Guilford
Press. È stato anche Direttore Associato della Rivista di Psicologia Scolastica e
del Trimestrale di Psicologia Scolastica. È membro delle Divisioni 16 (Psicologia
Scolastica) e 53 (Psicologia Clinica Infantile) dell’Associazione Americana di
Psicologia (A.P.A).
Gary Stoner, PhD, è Professore e Direttore del Corso di Psicologia
Scolastica presso la Scuola di Pedagogia dell’Università di Amherst del
Massachusetts. È noto per i suoi lavori professionali sul Disturbo da Deficit
dell’Attenzione e Iperattività, sui problemi motivazionali e comportamentali e
sugli approcci scientifico-sperimentali alla psicologia scolastica professionale.
Il Dr. Stoner è co-curatore del libro Interventi per Disturbi della Motivazione
e del Comportamento, Seconda Edizione (2002, Associazione Nazionale degli
Psicologi Scolastici). I suoi attuali interessi professionali si focalizzano sullo
studio e sulla promozione del successo scolastico per bambini con difficoltà di
apprendimento e con problemi comportamentali.
5
Ringraziamenti
Come è stato per la prima edizione, questo libro non si sarebbe potuto
realizzare senza l’incoraggiamento di una serie di persone. Continuiamo a
essere debitori al nostro professore e primo mentore il Dr. Mark Rapport
dell’Università della Florida Centrale. Il suo entusiasmo per lo studio
scientifico del DDAI, unito all’enfasi posta sulla conduzione di studi che
avessero rilevanza clinica e pratica, ci ha fornito un esempio del modello di
ricerca-intervento in azione. Inoltre, gli standard accademici molto alti che
egli aveva stabilito per noi e per gli altri laureandi hanno portato, almeno
indirettamente, all’ultimazione di questo libro. Continuiamo inoltre a
ricevere ispirazione dal lavoro del Dr. Russell Barkley della Facoltà di
Medicina dell’Università del Sud California. Egli è uno dei veri “giganti” nel
campo della ricerca sul DDAI, il suo supporto e la sua guida sono stati critici
nella preparazione della prima edizione di questo libro. Siamo grati anche ai
nostri colleghi, i Dottori Arthur Anastopoulos, John Hintze, Asha Jitendra,
Lee Kern, William Matthews, Thomas Power, Edward Shapiro, Terri Shelton
e Mark Shinn per il loro supporto e incoraggiamento. I nostri studenti delle
Università di Leigh e del Massachusetts, troppo numerosi per essere citati per
nome, sono stati anch’essi di sostegno e pazienti per tutto il tempo in cui noi
abbiamo preparato questo libro. Il nostro costante successo è direttamente
collegato alle idee innovative e alle sfide che ci presentano i nostri studenti. Le
nostre mogli, Judy Brown-DuPaul e Joyce Flanagan rispettivamente e i figli
di DuPaul, Jason e Glenn, hanno mostrato livelli di pazienza e di sostegno
ancora maggiori. La loro disponibilità nel sopportare serate e week-end
“mancati” non resterà senza ricompensa. In particolare siamo grati a Judy
Brown-DuPaul per aver fornito dei consigli molto utili, inclusi nel Capitolo
4, per gli insegnanti di scuola materna che lavorano con bambini a rischio
di DDAI. Siamo debitori verso tutto lo staff editoriale della Guilford Press
soprattutto verso Chris Jennison per il suo supporto continuo al nostro
lavoro fatto di una miscela ideale di pazienza e incitamento. Infine, saremmo
negligenti se non riconoscessimo un contributo alle centinaia di studenti con
DDAI, alle loro famiglie e ai loro insegnanti con cui abbiamo lavorato negli
ultimi vent’anni. Gran parte di questo libro presenta ciò che abbiamo appreso
da loro, e siamo loro molto grati per questa esperienza di apprendimento.
Indice
Prefazione 0 11
Introduzione
15
CAPITOLO 1 Rassegna sul DDAI
19
Diffusione del DDAI
Problemi scolastici dei bambini con DDAI
Sottotipi di DDAI
Possibili cause del DDAI
L’impatto di fattori situazionali sulla gravità
dei sintomi del DDAI
Esiti a lungo termine dei bambini con DDAI
Rassegna dei seguenti capitoli
CAPITOLO 2
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
Utilizzo dei criteri diagnostici nella valutazione
scolastica del DDAI
Rassegna delle metodologie di valutazione
Fasi della valutazione del DDAI
Considerazioni evolutive nella valutazione del DDAI
Applicazione del modello valutativo
Casi esemplificativi
Coinvolgimento del personale scolastico nella procedura valutativa Riassunto
Appendice 2.1 Sistema di Codifica Combinato
per l’Osservazione dei bambini a scuola
Appendice 2.2 Criteri di codifica per l’interazione
insegnante-studente
7
23
24
27
33
37
40
43
47
48
53
56
85
87
89
95
97
98
101
Indice
CAPITOLO 3
Il DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
103
Associazione fra DDAI e deficit cognitivi
104
Associazione fra il DDAI e lo scarso
rendimento scolastico
107
Possibili legami causali fra il DDAI e
le difficoltà scolastiche
108
Suddivisione del DDAI in sottotipi in base
ai deficit nelle abilità scolastiche
123
Linee guida per la procedura di valutazione: DDAI e deficit nella performance scolastica
125
Caso esemplificativo
131
Implicazioni per l’intervento
133
Il DDAI e l’educazione speciale
136
Riassunto
141
Appendice 3.1 Checklist di Zirkel per determinare la
candidabilità legale all’inserimento in servizi di
educazione speciale di studenti affetti da DDA / DDAI
143
CAPITOLO 4 Screening, identificazione e intervento precoci
145
Il DDAI nei bambini piccoli
146
Procedure diagnostiche e di screening
149
Intervento precoce e strategie di prevenzione
157
Prevenzione e intervento su scala territoriale
161
Conclusioni
179
CAPITOLO 5
181
Strategie di intervento per contesti scolastici
Fondamenti concettuali degli interventi per i
problemi di attenzione
Componenti base degli interventi per contesti scolastici
Tecniche di contingency management
Strategie di self-management
Metodologie didattiche efficaci
8
182
187
191
213
218
Indice
Peer tutoring
228
Didattica tramite l’utilizzo del PC
230
Modificazioni nel compito e nelle istruzioni 231
Training di strategie specifiche
234
Considerazioni su studenti di scuola secondaria
236
Fornire supporto agli insegnanti
237
Conclusioni
240
CAPITOLO 6
Trattamento farmacologico
241
Tipi di farmaci utilizzati
242
Effetti comportamentali degli stimolanti
246
Possibili effetti collaterali degli stimolanti del SNC
259
Quando suggerire una prova farmacologica
262
Come valutare in classe gli effetti dei farmaci 264
La comunicazione dei risultati al medico che
ha effettuato la prescrizione
273
Monitoraggio costante della risposta al farmaco
276
Limiti del trattamento farmacologico con stimolanti
277
Riassunto
278
Appendice 6.1 Trattamento farmacologico con stimolanti
per il DDAI: un promemoria per l’insegnante
279
CAPITOLO 7
Interventi aggiuntivi per il DDAI
283
Interventi in classe
284
Interventi per l’ambito familiare
290
Interventi di scarsa o nessuna efficacia
295
Riassunto
298
CAPITOLO 8
La comunicazione con i genitori, gli insegnanti e gli studenti
299
301
304
La diagnosi secondo il DSM e i servizi educativi
Training formativo e responsabilità
9
Indice
Aspetti relativi al trattamento con farmaci stimolanti
La Comunicazione fra i professionisti dell’educazione
e i genitori
La comunicazione con i medici e altri professionisti
La comunicazione con gli studenti
Riassunto
Appendice 8.1 Bibliografia ragionata sul DDAI e le
difficoltà a esso associate per i genitori e gli insegnanti
Appendice 8.2 Lettera di segnalazione al medico
Appendice 8.3 Segnalazione al medico per una possibile
prova farmacologica
Appendice 8.4 Descrizione al medico dell’andamento della
prova farmacologica
Appendice 8.5 Report al medico dei risultati della
prova farmacologica CAPITOLO 9 Conclusioni e direzioni future
309
312
316
318
320
321
322
323
324
326
329
Direzioni di lavoro future per studenti con DDAI
Conclusioni
333
343
Bibliografia
345
10
Prefazione
È per me un privilegio speciale e un onore redigere, ancora una volta, la
Prefazione di questo straordinario contributo alla letteratura sul Disturbo da
Deficit dell’Attenzione e Iperattività (DDAI) nei bambini e negli adolescenti.
Non esiste nessun altro lavoro paragonabile alla prima edizione di questo
testo che sia in grado di rispondere alle necessità del personale scolastico di
disporre di informazioni scientificamente comprovate sul DDAI, e questo è
vero ancora oggi. Se la prima edizione era straordinaria, questa lo è ancora
di più, dal momento che include i risultati di centinaia di studi scientifici,
pubblicati nel frattempo, relativi alla valutazione e alla gestione dei bambini
con DDAI in contesti scolastici.
Ciò che rende questa edizione ancora più significativa è l’insieme sempre
più consistente di prove che dimostrano come la sfera scolastica, più di ogni
altro ambito della vita, sia colpita in maniera disastrosa da questo disturbo
infantile abbastanza diffuso. Questa realtà viene qui confermata con una forza
ancora maggiore rispetto alla prima edizione. Tutto il sistema scolastico si
basa su un singolo principio: la ricompensa differita. Gli individui devono
essere in grado di mettere da parte le attrattive e i rinforzi del momento
per impegnarsi e riuscire ad acquisire conoscenze e abilità. La ricompensa
per tali sforzi è dilazionata molto avanti nel tempo. Il DDAI altera proprio
questo meccanismo: la capacità di valutare e di farsi guidare dalle ricompense,
probabilmentemaggiori, del futuro piuttosto che cedere alle più piccole e più
sicure ricompenseimmediate. Se vogliono diventare degli adulti pienamente
efficienti che danno il loro contributo alla società, i bambini devono essere
in grado di lavorare per obiettivi futuri; di sottoporsi a circostanze che non
hanno una ricompensa diretta; di trattenere i loro impulsi e di ritornare
nuovamente allo studio nonostante le ricorrenti occasioni di distrazione. I
11
Prefazione
bambini con DDAI fanno uno sforzo quotidiano in contesti che richiedono
controllo, azioni guidate da obiettivi, risolutezza, capacità di autoregolazione
e, soprattutto, ricompensa differita. Il successo in tali ambiti implica un
impegno decisamente maggiore per un bambino con DDAI rispetto a un
bambino normale dal momento che questo disturbo limita enormemente la
capacità di autoregolazione in relazione al tempo e al futuro. Gli effetti di
questi problemi in ambito educativo vengono delineati molto chiaramente
in questo libro e, aspetto ancora più importante, vengono anche delineate le
molteplici strategie che si possono utilizzare per evitare o minimizzare questi
rischi e difficoltà. La caratteristica davvero peculiare delle tecniche ampiamente
descritte in questo testo è che si basano su studi scientifici piuttosto che su
mode educative, sul folklore, o sulla semplice “esperienza clinica” di insegnanti
più anziani, non derivante da prove empiriche che ne comprovino la validità.
Questo volume mostra lo stato attuale della scienza, non solo dell’arte, nella
gestione scolastica del DDAI. Devo fare le mie congratulazioni agli autori per
la loro dedizione nel fare sì che questa seconda edizione venisse pubblicata.
Altrettanto rilevanti sono le informazioni dettagliate sui trattamenti
farmacologici per il DDAI e non solo su quelli psicosociali privilegiati dagli
insegnanti, dagli psicologi scolastici e dagli operatori sociali. Certamente gli
interventi educativi, comportamentali e psicosociali sono importanti per
il trattamento dei bambini con DDAI e in questo libro sono illustrati in
modo completo. Tuttavia, come le informazioni qui recensite dimostrano,
il DDAI non può essere trattato al meglio senza prendere in considerazione
una combinazione di trattamenti che spesso, anche se non sempre,
include la necessità di assumere farmaci. Non è importante, come spesso
pongono il problema i naïf, “credere” o meno nei farmaci. Il trattamento
farmacologico non è un credo religioso che richiede un atto di fede per
essere sostenuto. Contrariamente alla propaganda politica e ad alcune
chiacchiere scientificamente infondate in cui è possibile imbattersi nei mezzi
di comunicazione popolari, in alcune sedute del Congresso e in alcuni siti
Web inquinati dal fanatismo contro i farmaci e anche contro una diagnosi di
DDAI, il trattamento farmacologico da risultati clinici decisamente molto più
consolidati di qualunque altra strategia di intervento qui presentata. Questo
approccio merita di essere incluso in qualunque testo che abbia l’aspirazione
di diventare un manuale di intervento educativo veramente completo. Sono
lieto di vedere che gli autori non si sono tirati indietro nel fornire queste
12
Prefazione
informazioni relative al trattamento farmacologico in modo che il personale
scolastico possa essere a conoscenza dell’argomento. Dal momento che circa il
70-80% dei bambini con diagnosi di DDAI prima o poi, in un determinato
momento dell’infanzia, viene sottoposto a un qualche tipo di trattamento
farmacologico e che questo spesso avviene per far fronte ai loro problemi
scolastici e alle relative difficoltà comportamentali, il personale scolastico
deve essere pienamente a conoscenza di ciò che si sa sia sul DDAI che sui
trattamenti utilizzati con maggiore frequenza dai medici per intervenire su
di esso. Le nuove modalità di somministrazione “una volta al giorno - tutti i
giorni” dei principali stimolanti, quali il Concerta, Metadato CD, Adderall XR
e Ritalina LA, per non citare i non stimolanti di recente approvazione da parte
della FDA quali lo Strattera, hanno certamente ridotto il coinvolgimento del
personale scolastico. Malgrado ciò, si conta molto sul personale scolastico, sia
direttamente che indirettamente, per riferire ai medici curanti informazioni
cruciali sull’efficacia dei farmaci in contesti scolastici. Il personale scolastico
non dovrebbe esitare a fornire informazioni ai colleghi medici su quali siano
i punti di forza, le debolezze e gli ambiti problematici degli studenti con
DDAI e a notificare loro se l’intervento farmacologico sia efficace o meno
nell’affrontarli. Pertanto, elogio gli autori per aver qui fornito tali nozioni
mediche in una forma facilmente comprensibile e per aver incoraggiato un
approccio di équipe al trattamento globale del bambino.
A dispetto delle numerose e disparate difficoltà educative a cui il DDAI
sottopone il bambino in contesti scolastici, esiste una grande quantità di
trattamenti scientificamente comprovati che possono essere utilizzati per
affrontare queste problematiche. Certamente questo è il momento storico
migliore per avere come studente un bambino con DDAI, dal momento
che, rispetto ad alcuni anni fa, conosciamo molto di più questo disturbo e
le modalità per affrontarlo. Pochi hanno le credenziali degli autori di questo
testo per spiegare queste efficaci strategie di intervento comportamentali ed
educative. Essi lo hanno fatto in maniera responsabile ed etica, cercando di
essere chiaramente attenti ai vincoli morali e legali che inevitabilmente si
accompagnano al controllo del comportamento di un qualunque bambino
in contesti istituzionali, quali sono le scuole. Dichiarano apertamente
che i genitori del bambino sono una componente essenziale dell’équipe
interdisciplinare di trattamento; forse quella più importante, dal momento
che il loro supporto diretto e indiretto può influenzare anche troppo spesso
13
Prefazione
l’efficacia dei tentativi effettuati dalla scuola per affrontare i problemi di un
bambino con DDAI.
Mi congratulo con gli autori per un’altra eccellente edizione di questo
volume così importante e sono fiducioso che, come è stato per me, il lettore,
nell’avvicinarsi alla valutazione e al trattamento del bambino con DDAI in
contesti scolastici, lo troverà informativo e istruttivo.
Russell A. Barkley, Phd
Professore, College delle Professioni Sanitarie
Università di Medicina del Sud California
14
Introduzione
Gli studenti con problemi di attenzione e comportamento rappresentano
una sfida per i professionisti che lavorano in ambito educativo. Infatti, molti
bambini e adolescenti che hanno difficoltà nel controllo del comportamento in
contesti scolastici ricevono una diagnosi di Disturbo da Deficit dell’Attenzione
e Iperattività (DDAI). Gli studenti con DDAI rischiano fortemente di avere
difficoltà scolastiche croniche e di sviluppare comportamenti antisociali e
problemi relazionali con il gruppo dei pari, i genitori e gli insegnanti. Questo
disturbo è stato tradizionalmente diagnosticato e trattato da professionisti
con competenze prevalentemente cliniche (per es. pediatri, psicologi, clinici)
in contesti ambulatoriali. Dato che i bambini e gli adolescenti con DDAI
presentano le loro maggiori difficoltà in contesti educativi, i professionisti
che lavorano a scuola hanno posto un’attenzione crescente ai bisogni di questi
studenti. Inoltre, le leggi federali che regolano la candidabilità all’inserimento
in un programma di educazione speciale hanno reso ancora più necessario
addestrare gli educatori a identificare e ad intervenire sugli studenti con
DDAI all’interno delle scuole. Lo scopo di questo libro è fornire un supporto
ai professionisti che lavorano a scuola per comprendere e trattare i bambini e
gli adolescenti con DDAI.
Dalla pubblicazione della prima edizione di questo volume nel 1994,
abbiamo assistito a un’esplosione virtuale di articoli di riviste, capitoli di libri
e interi libri di testo dedicati al DDAI. Per molti anni la maggior parte della
letteratura precedente relativa a questo disturbo è stata scritta da professionisti
con competenze prevalentemente cliniche. Abbiamo cercato di affrontare i
problemi associati al DDAI in una prospettiva scolastica, pur riconoscendo la
necessità di un lavoro multidisciplinare con un’équipe che includa i genitori,
i professionisti che lavorano nell’ambito della salute mentale e gli educatori.
Nello specifico, ci siamo focalizzati su (1) come identificare e diagnosticare
15
Introduzione
gli studenti che potrebbero avere un DDAI, (2) sviluppare e mettere in atto
all’interno della classe programmi di intervento per questi studenti e (3)
comunicare con e assistere i medici curanti nei casi in cui vengano utilizzati
farmaci per trattare questo disturbo.
In questa seconda edizione, abbiamo aggiornato tutte le informazioni
relative a questi tre punti per affrontare con completezza la comprensione e
gestione del DDAI dal punto di vista dei professionisti che lavorano a scuola.
Questo libro vuole rispondere ai bisogni di una vasta gamma di persone che
lavorano a scuola, inclusi gli psicologi scolastici, i counselor, gli amministratori,
gli insegnanti curricolari e di sostegno. Dato che studenti con DDAI sono
presenti quasi in tutte le scuole e sperimentano un’ampia gamma di difficoltà,
tutte le categorie professionali sopra menzionate dovrebbero essere interessate a
questo testo. Inoltre, questo volume potrebbe risultare utile, per comprendere
un disturbo così complesso, anche agli studenti laureati che stanno facendo il
loro training in una professione scolastica. Il libro è stato scritto in modo da
renderne l’utilizzo più semplice da parte dei professionisti. Abbiamo incluso
una serie di figure e appendici con moduli, (per es., programmi, fogli di
codifica per l’osservazione, ecc.) che dovrebbero rivelarsi utili per gli educatori.
I lettori sono incoraggiati a riprodurre e utilizzare questi moduli se si rendono
conto che possono andare bene per situazioni da loro seguite.
16
DDAI a Scuola
CAPITOLO 1
Rassegna sul DDAI
AMY, 4 ANNI
Amy è una bambina di 4 anni che vive con la madre, il patrigno e un fratello più piccolo (2 anni). Frequenta la scuola materna, presso una chiesa locale, quattro mattine a settimana. La mamma riferisce che Amy da neonata
era una “peste”. Era soggetta a coliche, piangeva quasi sempre e chiedeva
“costantemente” di essere tenuta in braccio. A circa 11 mesi, momento in
cui iniziò a camminare, il livello generale di attività di Amy era cresciuto a
tal punto che “si dedicava sempre a tutto con entusiasmo e trasporto eccessivo”. Una volta infatti, all’età di 2 anni, Amy fu portata al pronto soccorso
per aver ingerito dei detersivi che aveva trovato sotto il lavandino della
cucina. Ad Amy era stato chiesto di interrompere la frequenza in diversi
asili nido e baby-parking giornalieri a causa dei comportamenti iperattivi,
della scarsa durata dell’attenzione e dell’aggressività fisica verso i coetanei.
Sebbene stia iniziando ad apprendere le lettere e i numeri è molto difficile
per la madre o per l’insegnante riuscire a farla stare seduta per eseguire
delle attività legate alla lettura o all’apprendimento. Amy preferisce essere
coinvolta in occupazioni confusionarie e può diventare piuttosto ribelle
quando le viene chiesto di sedersi e di portare a termine compiti più strutturati o tranquilli (quali disegnare o colorare).
GREG, 7 ANNI
Greg è un bambino di 7 anni inserito in una classe normale di prima elementare di una scuola pubblica. Secondo i genitori, lo sviluppo fisico e
19
DDAI a Scuola
psicologico sono stati “nella norma” fino all’età di 3 anni quando è iniziata
la frequenza della scuola materna. Gli insegnanti dell’asilo riferivano che
Greg riusciva a prestare attenzione per un brevissimo lasso di tempo, aveva
difficoltà a stare seduto durante le attività di gruppo e interrompeva spesso
le conversazioni. Questi comportamenti si manifestavano sempre più frequentemente anche a casa. Attualmente Greg consegue risultati scolastici
allo stesso livello dei compagni di classe in tutte le materie. Sfortunatamente però, continua a manifestare problemi di attenzione, impulsività e
irrequietezza motoria. Questi comportamenti sono più frequenti quando
Greg dovrebbe ascoltare l’insegnante o portare a termine un compito in
autonomia. L’insegnante teme che Greg possa iniziare ad avere difficoltà
scolastiche se il livello di attenzione e il comportamento non dovessero
migliorare.
TOMMY, 9 ANNI
Tommy è un bambino di quarta elementare la cui istruzione scolastica
avviene in una classe differenziale indipendente per bambini con “disturbi
emotivi”, all’interno di una scuola elementare pubblica. La mamma riferisce che Tommy è sempre stato un “diavoletto” da quando è nato. Durante
la scuola materna era molto attivo (si arrampicava sui mobili, correva in
giro incessantemente e non stava quasi mai seduto fermo) e non obbediva
mai alle richieste della madre.
Aveva difficoltà croniche nel relazionarsi con altri bambini: era verbalmente e fisicamente aggressivo con i coetanei. Come risultato, aveva pochi amici della stessa età e tendeva a giocare con bambini più piccoli. Tommy era
stato inserito fin dalla seconda elementare in una classe per bambini che
avevano bisogno di supporto sociale/emotivo a causa dei frequenti comportamenti di disturbo (interveniva ad alta voce senza permesso, insultava
gli insegnanti, si rifiutava di portare a termine seduto il lavoro) e dei relativi problemi di rendimento scolastico. Nel corso dell’ultimo anno la gravità
degli atteggiamenti antisociali di Tommy è aumentata: è stato sorpreso in
più occasioni a rubare all’interno di negozi ed è stato sospeso da scuola per
aver imbrattato il bagno dei maschi. Anche in una classe così altamente
strutturata Tommy ha una notevole difficoltà a portare a termine lavori
autonomi e a seguirne le regole.
20
Rassegna sul DDAI
HEATHER, 13 ANNI
Heather è una studentessa di terza media, di 13 anni, che frequenta per la
maggior parte del tempo una classe normale. Una valutazione psicoeducativa condotta all’età di 8 anni aveva evidenziato un “disturbo specifico dell’apprendimento” della matematica a causa del quale frequenta una classe
speciale1 di recupero tre volte a settimana. In aggiunta ai problemi con le
abilità matematiche, Heather ha sempre mostrato difficoltà significative
nell’area dell’attenzione fin dall’età di 5 anni. Nello specifico, sogna a occhi
aperti con troppa frequenza e “rimanda” quando le viene chiesto di portare
a termine compiti faticosi a casa o a scuola. I genitori e gli insegnanti riferiscono che “dimentica” molto frequentemente le indicazioni per i compiti,
soprattutto se questi implicano una procedura con più passi sequenziali.
All’inizio questi problemi di attenzione erano stati messi in relazione con il
disturbo di apprendimento nella matematica. La situazione, tuttavia, non
sembra essere tale, dal momento che è disattenta in quasi tutte le materie
(ossia non solo durante gli esercizi di matematica) e che questi comportamenti sono antecedenti all’ingresso nella scuola elementare. Heather non
è né impulsiva né iperattiva. Infatti, è “lenta nel rispondere” e a volte riservata nelle situazioni sociali.
ROBERTO, 17 ANNI
Roberto è uno studente di 17 anni che frequenta il secondo anno di una
grande scuola superiore di città. È stato respinto due volte durante la scuola elementare e ha sempre avuto difficoltà di rendimento in tutto il corso
della carriera scolastica. Viene inoltre descritto dagli insegnanti come impaziente, provocatorio, irrequieto e privo di motivazione. Come risultato
di queste difficoltà scolastiche e comportamentali, Roberto è stato inviato
a diversi servizi di educazione speciale: è stato inserito in una classe di
sostegno e, per un po’ di tempo, in contesti scolastici alternativi e si è
Negli Stati Uniti gli studenti con difficoltà specifiche (di apprendimento, comportamentali, cognitive)
o con disabilità possono usufruire di programmi scolastici personalizzati attraverso l’inserimento in
“classi speciali” o l’affidamento a educatori specializzati.
In Italia, invece, i bambini cui è stata certificata una disabilità (cognitiva, relazionale, fisica o
comportamentale) hanno diritto alla presenza di un insegnante di sostegno in classe (n.d.r).
1
21
DDAI a Scuola
sottoposto a counseling individuale. Inoltre, i professionisti che lavorano
a scuola hanno cercato di coinvolgere la famiglia in servizi di consulenza
territoriali e hanno suggerito un consulto con il medico di base per un
trattamento con farmaci psicotropi; questi suggerimenti sono stati seguiti
senza costanza nel corso degli anni. Nonostante questi interventi, le difficoltà di Roberto sono peggiorate e negli ultimi anni si sono aggravate a
causa dell’inserimento in una gang locale. È stato arrestato in due occasioni
per aver rubato in alcuni negozi e per atti di vandalismo e, inoltre, marina
la scuola con una certa frequenza. Ha chiesto ai genitori di permettergli di
abbandonare la scuola superiore per cercarsi un lavoro full-time.
Malgrado i cinque bambini e adolescenti appena descritti siano piuttosto
diversi fra loro, condividono un problema comune di attenzione, soprattutto
in relazione al lavoro scolastico e alle responsabilità familiari. Inoltre, molti
bambini con problemi di attenzione, come Amy, Greg, Tommy e Roberto,
presentano problemi aggiuntivi di impulsività e iperattività. La definizione
psichiatrica corrente per bambini che mostrano difficoltà gravi di attenzione,
impulsività e iperattività è Disturbo Da Deficit Dell’attenzione e Iperattività, o
DDAI2 (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Come si può dedurre dai casi appena descritti, l’etichetta diagnostica DDAI è applicabile a un
gruppo eterogeneo di bambini e adolescenti che si incontrano in quasi ogni
contesto educativo.
Lo scopo di questo capitolo è fornire una breve panoramica del DDAI.
Nello specifico, passeremo in rassegna le informazioni relative alla diffusione
del disturbo, alle problematiche scolastiche dei bambini con DDAI, alle relative difficoltà di adattamento, alle metodologie di sotto-classificazione per
i bambini con questo disturbo, alle cause possibili del DDAI, all’impatto dei
fattori situazionali sulla gravità dei sintomi e ai possibili esiti a lungo-termine
per questa popolazione. Inoltre, daremo una panoramica della cornice teorica
che possa spiegare i deficit alla base del DDAI. Questo background forni-
2
Dal momento che per il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività sono state utilizzate, nel
corso degli anni e in diverse discipline, varie etichette diagnostiche, la terminologia DDAI verrà
utilizzata in questo testo per semplicità. DDAI sarà considerato sinonimo di altre definizioni del
disturbo, come iperattività o disturbo da deficit dell’attenzione.
22
Rassegna sul DDAI
sce il contesto necessario per le trattazioni successive sulla valutazione e sulle
strategie di intervento del DDAI in ambito scolastico. I lettori interessati a
una trattazione più completa degli argomenti presentati in questo capitolo
dovrebbero consultare i testi di Barkley (1998), Goldstein e Goldstein (1998)
o Teeter (1998).
DIFFUSIONE DEL DDAI
A livello epidemiologico (ossia attraverso un censimento della popolazione) gli studi indicano che negli Stati Uniti circa il 3-7% dei bambini presenta
DDAI (Barkley, 1998; Pastor & Reuben, 2002). Dal momento che, in generale, le classi sono costituite da 20 studenti circa, si stima che un bambino per
ogni classe avrà il DDAI. Come risultato, i bambini che presentano problemi
di attenzione e controllo del comportamento vengono spesso segnalati agli
psicologi scolastici o ad altri servizi educativi o di salute mentale. La percentuale di maschi con questo disturbo è maggiore rispetto a quella delle
femmine e questo dato è confermato sia da studi su campioni clinici (con un
rapporto di circa 6:1) sia da studi su campioni comunitari (con un rapporto di
circa 3:1) (Barkley, 1998; Pastor & Reuben, 2002). Il rapporto così alto a sfavore dei maschi in studi con campioni clinici potrebbe essere il risultato della
maggiore prevalenza di altri comportamenti disfunzionali (per es., negligenza,
disturbi della condotta) fra i maschi con DDAI (Gaub & Carlson, 1997). Più
del 50% dei bambini con una diagnosi di DDAI riceve un trattamento con
farmaci psicotropi3, mentre circa il 12% e il 34% riceve, rispettivamente, trattamenti educativi speciali e trattamenti da parte di servizi di salute mentale
(Pastor & Reuben, 2002). Quindi, rispetto ad altre problematiche riscontrabili nell’infanzia (quali l’autismo e la depressione), il DDAI è un disturbo
a “elevata diffusione”; particolarmente presente nella popolazione maschile.
In maniera simile agli altri disturbi, per conseguire esiti evolutivi positivi, è
solitamente necessario l’intervento di servizi professionali multipli a livello
comunitario ed educativo.
3
Negli Stati Uniti il DDAI nei bambini può essere trattato con farmaci psicostimolanti
(metilfenidato). In Italia, la Commissione Unica del Farmaco (CUF), ha riclassificato il
metilfenidato e ne ha approvato l’uso per il trattamento del DDAI esclusivamente in Centri
Clinici accreditati (n.d.r.).
23
DDAI a Scuola
PROBLEMI SCOLASTICI DEI BAMBINI CON DDAI
Principali difficoltà comportamentali
Le caratteristiche principali del DDAI (disattenzione, impulsività e iperattività) possono causare ai bambini, in ambito scolastico, una moltitudine di
ostacoli. Nel dettaglio, dal momento che questi bambini spesso non sono in
grado di mantenere costante il livello di attenzione in compiti impegnativi,
di solito l’eventualità di riuscire a portare a termine attività autonome da
seduti è piuttosto bassa. Anche la performance nel lavoro in classe potrebbe
essere compromessa dalla mancanza di attenzione alle indicazioni date per
l’esecuzione del compito. Altre difficoltà scolastiche in relazione a quelle di
attenzione includono uno scarso rendimento ai test; abilità di studio insufficienti; appunti, banchi e riassunti disorganizzati e una scarsa partecipazione
alle lezioni frontali o alle discussioni di gruppo.
I bambini con DDAI spesso disturbano le attività in classe e quindi disturbano l’apprendimento dei loro compagni. Sono bambini che, per esempio,
intervengono ad alta voce senza permesso, che parlano con i loro compagni in
momenti non opportuni e che si arrabbiano di fronte a rimproveri o a compiti
frustranti. Anche l’accuratezza nei compiti in classe può essere negativamente
influenzata da uno stile di risposta impulsivo e disattento.
I comportamenti problematici in classe dovuti all’iperattività includono:
alzarsi dalla sedia senza permesso, giocare con oggetti non appropriati (per
es., con oggetti sul banco che non hanno relazione con ciò che si sta facendo
in quel momento), battere ripetutamente le mani e i piedi e dimenarsi sulle
sedie. Anche se questi ultimi comportamenti possono sembrare relativamente
innocui, quando si verificano con una frequenza elevata possono disturbare
significativamente i processi di istruzione e apprendimento in classe.
Difficoltà associate al DDAI
Gli studenti con DDAI rischiano di andare incontro a una serie di difficoltà
in molti ambiti operativi. Sembra che i problemi di attenzione, impulsività e
iperattività fungano da “magneti” per altre difficoltà che, in alcuni casi, sono
ancora più gravi dei deficit principali dovuti al DDAI. Fra queste difficoltà,
tre sono più frequentemente correlate al DDAI: l’insuccesso scolastico, elevati
livelli di negligenza e aggressività e relazioni disturbate con i pari.
24
Rassegna sul DDAI
Gli insegnanti e i genitori riferiscono frequentemente che i bambini con
DDAI hanno risultati scolastici più scarsi rispetto ai loro compagni di classe
(Barkley, 1998). Come precedentemente affermato questi bambini mostrano
percentuali significativamente più basse di comportamenti diretti al compito,
rispetto a quelle mostrate dai loro pari, durante le lezioni e nel lavoro autonomo (Abikoff, Gittelman-Klein, & Klein, 1977; Platzman et al., 1992). Di
conseguenza, i bambini con DDAI hanno minori probabilità di riuscire a
eseguire esercizi didattici e di portare a termine un lavoro individuale rispetto
ai loro compagni (Pfiffner & Barkley, 1998). Percentuali di completamento
del lavoro assegnato più basse di quelle attese, potrebbero, in parte, spiegare
l’associazione del DDAI con l’insuccesso scolastico: fino all’80% dei bambini
con questo disturbo manifesta scarsi risultati scolastici (Cantwell & Baker,
1991). Inoltre, a circa il 20-30% dei bambini con DDAI viene diagnosticato
un “disturbo dell’apprendimento” a causa delle difficoltà nell’acquisire specifiche competenze scolastiche (vedere il Capitolo 3 per i dettagli). Infine, i
risultati di studi sui probabili esiti futuri di bambini con DDAI che entrano
nell’adolescenza o che diventano adulti, evidenziano rischi seri di fallimento
scolastico stimato attraverso un maggior numero di bocciature e di casi di abbandono della scuola rispetto al gruppo dei pari (Barkley, Fischer, Edelbrock
& Smallish, 1990; Hansen, Weiss & Last, 1999).
Anche la correlazione significativa fra iperattività e aggressività è ben documentata nella letteratura di ricerca (Jensen, Martin & Cantwell, 1997; Loney
& Milich, 1982). Fra i comportamenti aggressivi più frequentemente associati al DDAI è possibile ascrivere ribellione o inadempienza a ordini ricevuti
da figure di autorità, scarso controllo della collera, aggressività verbale e litigiosità, che attualmente fanno parte della categoria psichiatrica del disturbo
oppositivo provocatorio (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Non
sorprende pertanto che il disturbo oppositivo provocatorio sia la diagnosi più
frequentemente associata al DDAI (ossia in compresenza o comorbilità): più
del 40% dei bambini con DDAI e più del 65% degli adolescenti con DDAI
esibisce comportamenti tipici del disturbo oppositivo provocatorio (Jensen et
al., 1997). Circa il 25% o più degli studenti con DDAI rivela comportamenti antisociali più gravi (furti, aggressioni fisiche e assenteismo), soprattutto
nella scuola superiore (Barkley, Fischer et al., 1990; Gittelman, Mannuzza,
Shenker & Bonagura, 1985). I bambini con aggressività associata a DDAI
sono a rischio maggiore di conflittualità interpersonale a casa, a scuola e con i
25
DDAI a Scuola
pari rispetto a coloro che presentano unicamente i sintomi del DDAI (Johnston & Mash, 2001). Non è strano quindi che gli insegnanti riportino elevati
livelli di stress nell’interazione con studenti con DDAI, soprattutto con quelli
che presentano anche aggressività (Greene, Beszterczey, Katzenstein, Park &
Goring, 2002). Infine, la combinazione di problemi di condotta e DDAI
è fortemente associata all’abuso di sostanze illecite (Biederman et al., 1997;
Gittelman et al., 1985).
Per molti bambini con DDAI, è piuttosto difficile dare inizio e riuscire a
mantenere un’amicizia con i loro compagni di classe (Stormont, 2001). Studi
che utilizzano misure sociometriche hanno rilevato elevati punteggi di rifiuto
da parte dei pari verso bambini che esibiscono comportamenti associati al
DDAI (Hinshaw, Zupan, Simmel, Nigg & Melnick, 1997; Hodgens, Cole
& Boldizar, 2000). Il grado di rifiuto da parte del gruppo dei pari è particolarmente alto per i bambini che presentano DDAI e aggressività. Solitamente
il rifiuto da parte dei coetanei è stabile nel tempo e riflette la natura cronica
delle difficoltà interpersonali di questi bambini (Parker & Asher, 1987). Altro
aspetto preoccupante è rappresentato dal fatto che circa il 22% dei maschi e
il 15% delle femmine con DDAI si contraddistingue per la presenza di un
“handicap sociale” espresso da punteggi, in misure standardizzate del funzionamento sociale, più bassi di 1.65 deviazioni standard dalla media per età e
genere(Greene et al., 1996; 2002). Prove raccolte precedentemente indicano
anche che i bambini con DDAI tendono a essere emarginati dalla rete sociale
della classe e a frequentarsi fra loro, accrescendo così la probabilità di comportamenti disfunzionali (Kelly, 2001). Non sorprende, pertanto, che i bambini
con questo disturbo non percepiscano i loro pari e compagni di classe come
fonte di sostegno sociale, mentre i loro coetanei normali sì (Demaray & Elliott, 2001).
Le relazioni problematiche che i bambini con DDAI hanno con i pari sono
presumibilmente dovute ai comportamenti di disattenzione e impulsività che
alterano la loro “performance sociale” (Stormont, 2001). I deficit di performance più comuni dovuti a questo disturbo comprendono tentativi inadeguati (per es., interruzioni frequenti, scarsa attenzione a ciò dicono gli altri) di
entrare a far parte di attività di gruppo in fieri; l’utilizzo di “soluzioni” aggressive a problemi interpersonali e la facilità nel perdere il controllo di sé quando
si verificano situazioni sociali conflittuali o frustranti (Guevremont, 1990).
Un’ulteriore problematica sempre relativa all’ambito sociale è rappresentata
26
Rassegna sul DDAI
dal lasso di tempo più basso che i maschi con DDAI trascorrono coinvolti in
sport di gruppo o individuali rispetto ai loro coetanei: presentano verosimilmente, rispetto al gruppo di controllo, comportamenti aggressivi e reazioni
emotive esagerate e annoverano un numero maggiore di squalifiche nel corso
di attività atletiche di gruppo (Johnson e Rosén, 2000). Sorprendentemente
i bambini con DDAI sono spesso in grado di descrivere i comportamenti
sociali appropriati a determinate situazioni, nonostante abbiano la tendenza a
proporre soluzioni aggressive ai problemi interpersonali (Stormont, 2001). La
conclusione al momento più ragionevole è che i sintomi del DDAI causino
difficoltà nella performance sociale piuttosto che deficit sostanziali nelle competenze sociali in quanto tali (vedere il Capitolo 7 per i dettagli).
I bambini con DDAI ricorrono a interventi medici e psicologici più spesso
rispetto ai loro pari senza DDAI. Uno studio recente ha rilevato che questi bambini ricorrono maggiormente a servizi di primo soccorso, farmacie
e a servizi di salute mentale rispetto ai bambini normali (Guevara, Lozano,
Wickizer, Mell & Gephart, 2001). Come risultato, le spese per la salute dei
bambini con DDAI raddoppiano rispetto a quelle sostenute per bambini che
non presentano questo disturbo. Le spese sanitarie sono addirittura maggiori
di quelle dei bambini con malattie croniche, quali per esempio l’asma (Chan,
Zhan & Homer, 2002). I costi “reali” del trattamento del DDAI potrebbero
essere al momento sottostimati, dato che questi bambini ricevono servizi in
contesti sia scolastici che sanitari (Chan et al., 2002). I professionisti4 che lavorano a scuola devono quindi essere consapevoli del bisogno elevato di cure
mediche proprio di questa popolazione e devono cercare di aiutare le famiglie
ad accedere ai servizi di cui hanno bisogno all’interno della comunità.
SOTTOTIPI DI DDAI
L’attuale definizione di DDAI contempla una lista di 18 sintomi comportamentali suddivisi in due insiemi (disattenzione e iperattività-impulsività) da
nove sintomi ciascuno (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Esistono
tre sottotipi di DDAI: il tipo combinato (DDAI-TC), il tipo con disattenzione
4
Occorre tenere presente che nelle scuole statunitensi operano diverse figure professionali oltre agli
insegnanti (medico, psicologo scolastico, infermiera) che, invece, non sono previste nell’organico
delle scuole italiane (n.d.r.).
27
DDAI a Scuola
predominante (DDAI-DP) e il tipo con iperattività-impulsività predominanti
(DDAI-IIP). I bambini con DDAI-TC dovrebbero esibire almeno sei dei nove
sintomi di disattenzione e almeno sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività. La diagnosi di DDAI-DP si applica a bambini che presentano almeno sei
sintomi di disattenzione ma meno di sei sintomi di iperattività-impulsività. Al
contrario, i bambini con DDAI-IIP manifestano sei o più sintomi di iperattività-impulsività ma meno di sei sintomi di disattenzione.
Dato che il profilo sintomatico varia notevolmente fra gli individui, i bambini con diagnosi di DDAI rappresentano un gruppo molto eterogeneo. Infatti esistono almeno 7,065 possibili combinazioni di 12 dei 18 sintomi che
potrebbero dare luogo a una diagnosi di DDAI-TC. Ad ampliare questa intrinseca eterogeneità concorrono anche i correlati del DDAI (l’insuccesso scolastico, l’aggressività e le difficoltà nella relazione con i pari). Di conseguenza
sono stati fatti dei tentativi per identificare sottotipi più omogenei di DDAI
al fine di facilitare la ricerca dei fattori eziologici, per identificare potenziali
differenze negli esiti a lungo termine e, cosa più importante, al fine di dare un
contributo nella pianificazione del trattamento (per una rassegna vedere Jensen et al., 1997). Di seguito forniamo una breve descrizione di ciascuno dei
sottotipi unitamente ad alcune considerazioni sull’eventuale valore aggiunto
che potrebbe dare una classificazione del DDAI in sottotipi sulla base della
presenza o meno di aggressività o di sintomi interiorizzati.5
DDAI/Tipo con disattenzione predominante
Il precedente sistema di classificazione dell’Associazione Americana di Psichiatria (il DSM-III, Associazione Americana di Psichiatria, 1980) includeva
due differenti sottotipi di DDAI: il disturbo da deficit dell’attenzione con
iperattività (DDA + I) e il disturbo da deficit dell’attenzione senza iperattività
(DDAnoI). L’ultima categoria includeva bambini che manifestavano problemi significativi di disattenzione e di impulsività in assenza di manifestazioni frequenti di iperattività. Quando il DSM-III venne revisionato nel 1987,
questo sottotipo venne rimosso dalla classificazione a causa delle esigue prove
empiriche allora esistenti.
5
I vantaggi e gli svantaggi di classificare i bambini con DDAI in quelli affetti o meno da disturbi
dell’apprendimento vengono discussi all’interno del Capitolo 3.
28
Rassegna sul DDAI
Dalla data di pubblicazione nel 1987 del DSM-III-R (Associazione Americana di Psichiatria, 1987) sono state condotte una serie di ricerche che supportano l’esistenza di un sottotipo di DDAnoI (per una rassegna vedere la
pubblicazione del DSM-IV [Associazione Americana di Psichiatria, 1994]). I
bambini con DDAI con disattenzione predominante (DDAI-DP) esibiscono
sintomi significativi di disattenzione in assenza di sintomi rilevanti di iperattività-impulsività. Si iniziano a raccogliere prove che dimostrano come i
bambini con DDAI-DP presentino maggiori difficoltà in attività di recupero
mnestico e nella velocità percettivo-motoria rispetto ai loro equivalenti impulsivi-iperattivi (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990). Inoltre, questi bambini vengono descritti dai genitori e dagli insegnanti come più “lenti” a livello
cognitivo, assorti in sogni a occhi aperti e ritirati a livello sociale rispetto ai
bambini con DDAI-TC (Hodgens et al., 2000; McBurnett, Pfiffner & Frick,
2001). Questi e altri risultati hanno portato alcuni ricercatori a ipotizzare
una maggiore incidenza di disturbi dell’apprendimento in questo sottotipo
rispetto ai bambini che presentano la forma combinata. Queste ipotesi non
sono state avvalorate da studi empirici, anche se almeno una ricerca (Barkley,
DuPaul & McMurray, 1990) ha riscontrato un’elevata percentuale di studenti
con DDAI-DP (53%) in classi per studenti con disturbi dell’apprendimento
rispetto a quelli con DDAI-TC (34%).
Contrariamente al sottotipo DDAI-DP, i bambini con la forma combinata
di DDAI esibiscono tassi più elevati di impulsività, iperattività, aggressività,
negligenza e rifiuto da parte dei pari (Carlson & Mann, 2000). Inoltre, i
bambini con DDAI-TC hanno più probabilità di ricevere una diagnosi di
disturbo comportamentale (disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della
condotta), di essere inseriti in classi per studenti con problemi emotivi, di
annoverare un maggior numero di sospensioni a scuola e di ricevere un trattamento psicoterapeutico rispetto a quelli con DDAI-DP (Barkley, DuPaul
& McMurray, 1990; Faraone, Biederman, Weber & Russell, 1998; Willcut,
Pennington, Chhabildas, Friedman & Alexander, 1999). Malgrado non siano
stati condotti studi comparativi sugli esiti a lungo termine, si presume che i
bambini con la forma combinata di DDAI siano a maggiore rischio di disturbo antisociale di personalità e difficoltà di adattamento comportamentale.
Si sa poco della cronicità e degli esiti longitudinali del DDAI-DP nell’infanzia, anche se Willcutt e colleghi (in stampa; citato in Willcutt, Chabildas &
Pennington, 2001) hanno verificato che più dell’80% dei bambini con una
29
DDAI a Scuola
diagnosi in questo sottotipo continuano a manifestare sintomi significativi di
disattenzione per un periodo di 18 mesi.
Pochi studi hanno esaminato la risposta differenziale ai farmaci psicostimolanti (come la Ritalina o il metilfenidato) nei due sottotipi di DDAI.
Questi studi indicano in generale una risposta positiva al trattamento farmacologico nella maggior parte dei membri di entrambi i sottotipi e, per
una percentuale più elevata di bambini con DDAI-DP, si sono dimostrati
sufficienti dosaggi più bassi (Barkley, DuPaul, & McMurray, 1991). A oggi
nessuno studio ha comparato le risposte dei diversi sottotipi ai trattamenti
non farmacologici.
In campioni clinici meno bambini (approssimativamente 1.3%) presentano il DDAI-DP rispetto alla forma combinata (Szatmari, Offord & Boyle,
1989), mentre la percentuale potrebbe essere maggiore (5%) in campioni collettivi (Wolraich, Hannah, Pinnock, Baumgaertel & Brown, 1996). Inoltre,
ci sono sempre maggiori indicazioni a favore di una diagnosi distinta rispetto
al sottotipo con DDAI-TC.
Questi sottotipi differiscono chiaramente quanto alle difficoltà associate e
probabilmente anche quanto alle risposte al trattamento e agli esiti a lungo
termine. Barkley (1998) ha sostenuto che i problemi di attenzione dei bambini con DDAI-DP possano inoltre differire qualitativamente da quelli dei
bambini che sono anche iperattivi-impulsivi. In particolare i bambini con
DDAI-TC evidenziano difficoltà nell’attenzione sostenuta in conseguenza
della compromissione della capacità di risposta differita all’ambiente, mentre
i bambini con DDAI-DP hanno maggiore probabilità di avere difficoltà con
l’attenzione focalizzata. Potrebbero quindi essere coinvolti differenti meccanismi neuronali, implicando così stili di risposta comportamentale differenti
(Barkley 1998). Inoltre, i bambini con DDAI-DP che hanno uno stile cognitivo lento (per es., sono confusi, sembrano persi nella nebbia) possono presentare in seguito comportamenti di ritiro sociale e sintomi interiorizzati non frequenti, invece, nei bambini con DDAI-TC (Carlson & Mann, 2002). Queste
importanti differenze fra sottotipi hanno portato i ricercatori a suggerire che
il DDAI-DP sia un disturbo distinto e separato dal tipo combinato (Barkley,
1998; Milich, Balentine & Lynam, 2001) e, come minimo, per permettere
un’identificazione più accurata dei bambini con disattenzione predominante,
i criteri diagnostici dovrebbero includere i sintomi di uno stile cognitivo lento
(Carlson & Mann, 2002).
30
Rassegna sul DDAI
DDAI/Tipo con iperattività-impulsività predominanti
Il sottotipo di DDAI con impulsività-iperattività predominanti è stato
introdotto dal DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatria, 1994). Le
ricerche sul campo condotte prima della pubblicazione del DSM-IV indicavano che una piccola percentuale di bambini presentava comportamenti
significativi di iperattività-impulsività in assenza di sintomi di disattenzione
(Lahey et al., 1994).
Dal momento che la grande maggioranza di questi bambini era in età prescolare o nei primi anni di scuola elementare si può ipotizzare che il DDAI-IIP
sia un precursore della forma combinata. Questa ipotesi deve ancora essere verificata attraverso studi longitudinali su bambini con DDAI-IIP. Infatti
sono state effettuate pochissime ricerche sull’epidemiologia, sulle caratteristiche cliniche, sulle performance scolastiche e sugli esiti del trattamento del
DDAI-IIP. Ci sono alcune prime evidenze di comorbilità del DDAI-IIP e del
DDAI-TC con altri disturbi (ossia con il disturbo oppositivo provocatorio e
con quello della condotta) (Willcutt et al. 1999) Data la scarsità di ricerche
su questo sottotipo la conclusione più ragionevole è che il DDAI-IIP rappresenti una forma meno grave o una manifestazione precoce del sottotipo
combinato.
DDAI con e senza aggressività
Come precedentemente affermato, il termine “aggressività” è stato utilizzato per descrivere bambini che manifestano gradi di negligenza, litigiosità,
ribellione e scarso controllo della collera superiori alla media. Molti bambini
che mostrano simili comportamenti soddisfano i criteri per una diagnosi di
disturbo oppositivo provocatorio. Malgrado la sovrapposizione o comorbilità fra il DDAI e il disturbo oppositivo provocatorio sia alta (Barkley, 1998:
vedere la sezione precedente “Difficoltà associate al DDAI”), i bambini che
presentano solo uno dei due disturbi differiscono dagli iperattivi-aggressivi
soprattutto negli esiti a lungo-termine (per una rassegna, vedere Jensen et al.,
1997).
I bambini con DDAI e aggressività (ossia con disturbo oppositivo provocatorio o disturbo della condotta) esibiscono con frequenza decisamente più
elevata comportamenti antisociali quali mentire, rubare e lottare rispetto ai
bambini solo iperattivi (Barkley, 1998). Inoltre, i bambini iperattivi-aggres31
DDAI a Scuola
sivi rischiano maggiormente di essere rifiutati dal gruppo dei pari rispetto ai
bambini solo con DDAI o aggressività.
Inoltre, sono stati rilevati livelli maggiori di cattivo funzionamento familiare
e di psicopatologia genitoriale per il gruppo affetto da entrambi i disturbi
(Jensen et al., 1997). Cosa ancora più importante, i bambini con DDAI e
aggressività hanno maggiori probabilità di andare incontro a evoluzioni disfunzionali del disturbo nell’adolescenza e nell’età adulta (per es., maggiore
incidenza di abuso di sostanze illecite) rispetto a qualunque altro sottotipo di
DDAI (Jensen et al., 1997).
Malgrado questi sottotipi non reagiscano in maniera differente al trattamento farmacologico con psicostimolanti (Barkley, McMurray, Edelbrock
& Robbins, 1989), i professionisti concordano sul fatto che i bambini con
DDAI e aggressività richiedono un intervento dei servizi professionali più
intenso e continuo nel tempo per raggiungere risultati favorevoli. I precursori
dell’associazione fra DDAI e aggressività forniscono indicazioni a sostegno
della necessità di un trattamento multimodale globale. Sarebbe una combinazione di fattori interni al bambino (per es., un temperamento irritabile; uno
span di attenzione più breve rispetto alla media e un elevato livello di attività
complessiva) e fattori ambientali (per es., stile di risposta coercitivo dei membri della famiglia, conflittualità coniugale e scarsa competenza genitoriale) a
generare la compresenza di questi disturbi (Barkley, 1998).
Tali fattori contribuiscono al disadattamento del bambino nel corso dello sviluppo a tal punto che più tardivo è il momento dell’intervento, maggiore sarà
la necessità di invio a servizi di trattamento intensivi e a lungo termine. La natura durevole e problematica di questi comportamenti porta a sua volta all’inserimento di questi bambini in contesti con caratteristiche decisamente più
restrittive di quelle che hanno le scuole pubbliche e gli ambienti familiari.
DDAI con o senza disturbo interiorizzato
Fra il 13 e il 50% circa di bambini con DDAI mostra sintomi di disturbo
d’ansia o depressivo (Jensen et al., 1997). La comorbidità con sintomi interiorizzati porta con sé implicazioni positive e negative per i bambini con DDAI.
Da un lato, l’associazione di sintomi interiorizzati con il DDAI può fungere
da fattore protettivo dal momento che (1) i comportamenti iperattivi-impulsivi sono meno gravi di quando non sono presenti sintomi interiorizzati e che
(2) è meno probabile che siano presenti sintomi di disturbo della condotta
32
Rassegna sul DDAI
(Pliszka, Carlson & Swanson, 1999). Da un altro lato, la combinazione del
DDAI con sintomi interiorizzati si accompagna a un handicap sociale molto
più grande (come riferito dai genitori e dagli insegnanti) rispetto ai bambini
affetti solo da DDAI (Karustis, Power, Rescorla, Eiraldi & Gallagher, 2000).
Inoltre, alcuni studi hanno riscontrato un effetto minore degli psicostimolanti su bambini con DDAI e con sintomi interiorizzati rispetto ai bambini
che non presentano questa combinazione (vedere DuPaul, Barkley & McMurray, 1991). Potrebbero pertanto esserci delle distinzioni importanti nella
manifestazione clinica, nel danno e nella risposta al trattamento fra bambini
con DDAI con o senza sintomi di interiorizzazione. Questi dati supportano
dunque l’idea che questa sia una buona via da seguire per l’identificazione di
ulteriore sottotipo. Questa conclusione è resa meno consistente dal fatto che
le poche ricerche condotte in questo ambito (1) si sono focalizzate quasi esclusivamente sui disturbi d’ansia rispetto a quelli depressivi e (2) hanno utilizzato
le risposte di unico informatore (per esempio il genitore) per valutare la sintomatologia interiorizzata. Ciononostante i professionisti dovrebbero per lo
meno considerare sia i sintomi interiorizzati sia quelli esteriorizzati nel corso
di una valutazione per un potenziale DDAI, perché tali sintomi influenzano
probabilmente sia la direzione che prenderanno le difficoltà del bambino, sia
la risposta a determinati interventi.
POSSIBILI CAUSE DEL DDAI
Apparentemente non esiste una singola “causa” del DDAI. La sintomatologia propria del DDAI potrebbe piuttosto derivare da una varietà di meccanismi causali (Barkley, 1998). La maggior parte degli studi che indagano
l’eziologia del DDAI è di tipo correlazionale. La prudenza è quindi d’obbligo
nell’attribuire valore causale alle variabili identificate. Nondimeno sono stati
raccolti dati empirici sul potenziale contributo causale di una serie di fattori
all’insorgenza del DDAI (Barkley, 1998). Nella letteratura l’attenzione maggiore è riservata a variabili interne al bambino quali componenti neurobiologiche ed ereditarie (Barkley, 1998; Tannock, 1998). I contributi di queste
variabili vengono brevemente sintetizzati di seguito. Le influenze ambientali
(quali lo stress familiare, scarse competenze genitoriali a livello disciplinare)
sembrano invece modulare la gravità del disturbo, ma non giocare un ruolo
causale di per sé (Barkley, 1998).
33
DDAI a Scuola
Variabili Neurobiologiche
Storicamente i fattori neurobiologici hanno sempre ricevuto un’attenzione
predominante sul piano eziologico.
Le primissime ipotesi affermavano che i bambini con DDAI avessero un danno cerebrale strutturale che contribuiva alle difficoltà di attenzione e di controllo del comportamento (Barkley, 1998). Sembra che ci siano delle sottili
differenze strutturali tra cervelli di individui con DDAI e quelli di soggetti di
controllo normali.
Nel dettaglio, studi che utilizzano metodologie di indagine strutturali (per es.,
l’immagine di risonanza magnetica [MRI]) e funzionali (per es., la tomografia
a emissione di positroni [PET]) hanno individuato importanti differenze e
possibili anomalie nelle connessioni fronto-striate del cervello (per una rassegna vedere Tannock, 1998).
È interessante che una delle sezioni del cervello maggiormente studiata a tale
proposito sia la corteccia prefrontale, che risulta coinvolta nell’inibizione del
comportamento e nella mediazione delle risposte agli stimoli ambientali.
Inoltre si ritiene che alcuni neurotrasmettitori, dopamina e norepinefrina nello specifico, siano “meno disponibili” in alcune regioni del cervello (per es., la
corteccia frontale) contribuendo così alla sintomatologia del DDAI. Questa
ipotesi si basa in parte sull’azione degli psicostimolanti (quali la Ritalina) sul
cervello che accrescono la disponibilità di dopamina e norepinefrina. In base
alle prove disponibili, si presume che queste differenze neurobiologiche siano
riconducibili ad anomalie nello sviluppo normale del cervello dovute a fattori
genetici, ormonali e/o ambientali (Tannock, 1998).
Fattori ereditari
Ci sono indizi consistenti che il DDAI sia un disturbo fortemente ereditario
che si verifica ripetutamente all’interno delle famiglie (Faraone, 2000). Le prove
a sostegno del ruolo primario dei fattori genetici sono state raccolte e ottenute
in diversi modi. Prima di tutto i familiari stretti di bambini con DDAI mostrano un numero più elevato di sintomi presenti o passati di DDAI rispetto ai familiari di bambini sani (vedere Faraone et al., 1993). Inoltre, c’è una maggiore
incidenza di DDAI fra i parenti biologici di primo grado e fra fratelli di sangue
rispetto a parenti e fratelli acquisiti di bambini con DDAI adottati da piccoli
(vedere Van der Oord, Boomsa & Verhulst, 1994).
34
Rassegna sul DDAI
Una seconda strategia di ricerca per indagare l’ereditarietà dei sintomi
DDAI è stata quella di analizzare pattern di sintomi in gemelli omo ed eterozigoti. Nello specifico la probabilità che un gemello manifesti un DDAI,
nel caso in cui l’altro gemello sia già affetto dal disturbo (noto come grado
di concordanza), è significativamente più elevata fra i gemelli omozigoti che
fra quelli etero (vedere Levi, Hay, McStephen, Wood & Waldman, 1997).
Dal momento che i gemelli omozigoti sono geneticamente identici, mentre gli eterozigoti condividono solo il 50% del loro patrimonio genetico,
si presume che il grado di concordanza più elevato fra i gemelli omozigoti
supporti l’ipotesi del ruolo predominante dei fattori ereditari (rispetto a
quelli ambientali) nella manifestazione dei sintomi del DDAI. La maggior
parte della varianza è spiegata dai fattori genetici come evidenziato da stime
di ereditarietà che vanno dal .75 al .98 (per una rassegna vedere Tannock,
1998).
Una piccola ma significativa percentuale di varianza nei sintomi viene spiegata da fattori ambientali idiosincratici, mentre nessuno di questi studi convalida il ruolo significativo di fattori ambientali comuni. Le stime di ereditarietà per il DDAI sono fra le più elevate di tutti i disturbi emotivi e del
comportamento, superando anche le stime della schizofrenia e dell’autismo
(Barkley, 1998).
Studi di genetica molecolare hanno fornito alcune evidenze iniziali a sostegno dell’associazione fra geni di specifici neurotrasmettitori e l’espressione
fenotipica dei sintomi del DDAI (vedere Comings et al., 2000). Malgrado sia
ipotizzabile un coinvolgimento di geni multipli legati ai sistemi dopaminergico e noradrenergico (vedere Comings et al., 2000), fino a oggi solo due geni
sono stati maggiormente al centro dell’attenzione ed espressamente, esistono
importanti differenze, in campioni di individui con DDAI rispetto ai campioni di controllo (Comings et al., 2000), nel gene trasportatore della dopamina (DAT; Dougherty et al., 1999) e nel gene recettore della dopamina D4
(DRD; Swanson et al., 1998). Questi risultati sono interessanti dal momento
che la dopamina è un neurotrasmettitore importante in quelle parti del cervello (la corteccia frontale) che risultano implicate nel DDAI e che i farmaci
stimolanti fanno temporaneamente aumentare la disponibilità di dopamina
nel terminale sinaptico. Sono chiaramente necessarie ulteriori replicazioni e
ampliamenti di questi studi per identificare i geni che potrebbero giocare un
ruolo nella sintomatologia del DDAI.
35
DDAI a Scuola
Tossine ambientali
Nel corso degli anni si è ipotizzato che numerose tossine ambientali potessero concorrere alla sintomatologia del DDAI. Alcune delle teorie più popolari
hanno coinvolto fattori nutrizionali, avvelenamento da piombo ed esposizione
prenatale a droghe o alcol (Barkley, 1998). Feingold (1975) ha, per esempio,
sostenuto che determinati additivi nel cibo (quali i coloranti e i salicilati) portino a iperattività nel bambino. Studi scientificamente rigorosi che hanno indagato questa ipotesi, e altre ipotesi simili sullo zucchero, indicano che i fattori
relativi alla dieta giocano un ruolo minimo nell’eziologia del DDAI (Barkley,
1998).Più recentemente, i ricercatori hanno riscontrato una relazione significativa fra il fumo materno (Milberger, Beiderman, Faraone, Chen & Jones,
1996) o la presenza di fumatori nell’ambiente durante la gravidanza (Mick,
Biederman, Faraone, Sayer & Kleinman, 2002) e fra un basso peso alla nascita
con l’insorgenza successiva di DDAI (Mick, Biederman, Prince, Fischer &
Faraone, 2002). Anche se i risultati di studi correlazionali coinvolgono alcuni
fattori ambientali nell’esordio del DDAI, il ruolo esatto che questi fattori giocano nel “causare” veramente questo disturbo sembra essere minimo, almeno
per la maggior parte dei ragazzi che ricevono questa diagnosi.
Conclusioni
La conclusione più ragionevole, relativamente all’eziologia del DDAI, è che
molteplici fattori neurobiologici possono predisporre i bambini a esibire gradi
maggiori di impulsività e di attività motoria uniti a uno span di attenzione
più breve della media se paragonati con altri bambini. Le prove più promettenti sono in direzione di un’influenza di fattori ereditari che potrebbero alterare il funzionamento del cervello (ossia la sua neurochimica), in particolare
nel sistema fronto-striato. Inoltre, studi di genetica comportamentale hanno
nel complesso corroborato la definizione del DDAI come disturbo dimensionale più che categorizzato (Levy et al., 1997). Per dirla diversamente, ognuno
mostra sintomi di questo disturbo in alcune situazioni. Ciò che identifica i
bambini con DDAI rispetto ai loro coetanei che non hanno ricevuto questa
diagnosi è la possibilità di avere una predisposizione genetica (dovuta a differenze neurobiologiche) a manifestare questi comportamenti in grado significativamente maggiore rispetto agli altri individui della stessa età e genere.
Bisognerebbe tenere sempre a mente i numerosi ammonimenti relativi alle
conclusioni eziologiche. Prima di tutto, la ricerca in questo ambito è irta di
36
Rassegna sul DDAI
difficoltà metodologiche che riducono la sicurezza nell’interpretazione dei risultati (Tannock, 1998). Secondo, anche se le variabili interne al bambino
sembrano essere i fattori causali principali, questi risultati non dovrebbero
portare a sottovalutare il ruolo dell’ambiente nel mantenimento dei sintomi
del DDAI. Per esempio, come discusso nei Capitoli 4 e 5, gli interventi che
implicano la manipolazione delle condizioni ambientali possono essere piuttosto efficaci nel migliorare il livello globale di funzionamento di questi bambini. Terzo, al momento attuale non ci sono collegamenti noti fra la “causa”
del DDAI di un individuo e il piano di trattamento. Quindi, l’individuazione
della causa ha una relazione minima con i miglioramenti nei risultati del trattamento. Forse con l’aumentare dell’utilizzo di tecnologie diagnostiche avanzate, in particolare nell’ambito della genetica molecolare, arriveranno anche
informazioni utili a livello clinico sulle cause del DDAI.
L’IMPATTO DI FATTORI SITUAZIONALI SULLA GRAVITà DEI
SINTOMI DEL DDAI
Malgrado le variabili biologiche siano considerate la cause principali del
DDAI, il ruolo dei fattori ambientali nel creare le condizioni per o nel ridurre
la probabilità di comportamenti associati al DDAI rimane importante per i
professionisti che lavorano nei servizi. Gli stimoli antecedenti e conseguenti
rivestono un ruolo determinante nella gravità dei problemi di attenzione, impulsività e controllo del comportamento. Infatti, la progettazione di interventi in classe per i bambini con DDAI viene migliorata dalla (1) individuazione
dello scopo dei comportamenti associati al DDAI e (2) dall’applicazione di
strategie che siano direttamente collegate allo scopo del comportamento stesso (DuPaul & Ervin, 1996; vedere anche i Capitoli 2 e 5 ). Per esempio, se si
determina che la disattenzione di un bambino ha lo scopo quasi certo di catturare l’attenzione dell’insegnante, allora, nell’intervento in classe, bisognerebbe garantire al bambino l’attenzione dell’insegnante in seguito all’esibizione di comportamenti non disfunzionali. Si è convinti che, nonostante i fattori
ambientali influenzino il comportamento di tutti i bambini, la performance
dei bambini con problemi di attenzione e controllo del comportamento sia
molto più sensibile a questi eventi.
Importanti eventi situazionali attuali o pregressi che influenzano la probabilità del verificarsi di comportamenti associati al DDAI possono essere: il
tipo di comando o indicazione data al bambino, il grado in cui il bambino
37
DDAI a Scuola
riceve una supervisione mentre svolge un lavoro individuale, il numero di
bambini presenti al momento delle indicazioni di lavoro (Barkley, 1998) e la
presentazione di compiti scolastici percepiti come difficili o non graditi.
Gli insegnanti affermano frequentemente che i bambini con problemi di
controllo dell’attenzione e del comportamento sono in grado di portare a
termine un lavoro con maggiore accuratezza se interagiscono con un “supervisore” (che sia l’insegnante, un assistente o un compagno) in modalità “unoa-uno”. Quando invece si chiede loro di completare un lavoro al tavolino
o di seguire le indicazioni all’interno di un gruppo, gli studenti con DDAI
incontrano numerose difficoltà (Barkley, 1998). Similmente, quando il lavoro
autonomo viene supervisionato passo a passo, i bambini con DDAI sono in
grado di produrre maggiori e migliori risultati rispetto a situazioni in cui la supervisione del lavoro è minima. I bambini con DDAI hanno anche maggiori
probabilità di completare compiti che reputano stimolanti e interessanti come
anche compiti che rientrano nel loro range di competenze (ossia che abbiano
una difficoltà didattica proporzionata). Inoltre, esistono prove che bambini
con questo disturbo si comportano in maniera più appropriata quando gli si
permette di scegliere fra una varietà di compiti, rispetto alle situazioni in cui
gli si ordina di portare a termine un’attività specifica (Dunlap et al., 1994).
I bambini con DDAI rispettano più facilmente comandi impartiti in maniera chiara ed esplicita (per es., “Torna al lavoro”) rispetto a comandi che
vengono presentati sotto forma di domanda o richiesta (“Torneresti al lavoro
per favore?”) (Anastopoulos, Smith & Wein, 1998). Inoltre, è più probabile
che le indicazioni date vengano seguite se comunicate in assenza di potenziali distrattori (quali giocattoli o televisione) e se lo studente ha un contatto
oculare con chi le impartisce. Infine, l’aderenza alle istruzioni è maggiore in
casi di supervisione costante del bambino fin dal primo momento dopo aver
impartito il comando (Barkley, 1997b).
Pertanto, le condizioni antecedenti che promuovono un migliore controllo
del comportamento e della performance scolastica contemplano la trasmissione di comandi concreti uniti alla supervisione “uno-a-uno” del lavoro del
bambino.
Esiste una varietà di fattori che regola il grado in cui le possibili conseguenze possono determinare il comportamento del bambino con DDAI. Questi
fattori possono essere il periodo di latenza fra l’esibizione del comportamento
e le conseguenze, la frequenza del rinforzo, il grado di importanza o “significatività” che queste conseguenze hanno per il bambino e le caratteristiche di
38
Rassegna sul DDAI
eventuali richiami verbali (Pfiffner & Barkley, 1998).
I bambini con DDAI hanno performance simili a quelle dei loro compagni
in condizioni di rinforzo immediato e frequente (Pfiffner & Barkley, 1998).
Questo soprattutto nei casi in cui il rinforzo è particolarmente importante e
significativo per il bambino. Sfortunatamente, nella maggior parte delle classi,
il rinforzo è differito e poco frequente. Inoltre, i rinforzi tipici del contesto
scolastico (voti ed elogi degli insegnanti) sono solitamente al grado più basso
del continuum di importanza e significatività.
I rimproveri verbali vengono comunemente utilizzati dagli insegnanti per
ridurre i comportamenti disfunzionali degli studenti (White, 1975). Di solito, tali richiami vengono fatti a voce alta di fronte a tutta la classe con l’insegnante che esibisce anche segnali non-verbali (aggrottare la fronte, arrossire
in volto) di rabbia nei confronti degli studenti oggetto del rimprovero. Un
insieme consistente di ricerche dimostra invece come i rimproveri abbiano
una maggiore probabilità di ridurre il comportamento disfunzionale se fatti
in separata sede direttamente al bambino, subito dopo l’avvenuta trasgressione, senza discussioni e coinvolgimento emotivo (vedere Pfiffner & O’Leary,
1987). Questi ultimi due fattori sono particolarmente importanti quando si
cerca di ridurre il comportamento disfunzionale di uno studente disattento.
Il DDAI come disturbo della compromissione nella risposta differita
Il ruolo cruciale che l’interazione dei fattori biologici interni al bambino e degli eventi ambientali gioca nel determinare la gravità dei sintomi del
DDAI ha portato a recenti cambiamenti nella concettualizzazione dei deficit sottostanti a questo disturbo. In particolare, la caratteristica principale
del DDAI potrebbe essere una compromissione nella risposta differita (ossia
nell’inibizione comportamentale) piuttosto che un deficit attentivo di per sé
(Barkley, 1997a; 1998). Molti contesti importanti (quali la classe) e molte
abilità (per es., il linguaggio interiore) implicano la capacità di differire nel
tempo la risposta all’ambiente. Quindi un deficit nella risposta differita porta
alla manifestazione dei sintomi del DDAI in molteplici situazioni e influenza
negativamente lo sviluppo di un comportamento guidato da regole.
Barkley (1997a) ha descritto un modello teorico del DDAI come disturbo
dell’inibizione comportamentale in cui la compromissione della risposta differita all’ambiente inficia lo sviluppo di quattro funzioni esecutive di importanza critica. Queste funzioni sono la memoria di lavoro; l’autoregolazione
39
DDAI a Scuola
nel circuito emozione-motivazione-livello di arousal, il linguaggio interiore e
l’analisi/sintesi del comportamento. Il mancato sviluppo di queste funzioni
esecutive porta a una moltitudine di problemi nel funzionamento cognitivo,
scolastico e sociale. Questo modello teorico quadra a livello intuitivo ed è coerente con la letteratura esistente su questo disturbo (per una rassegna vedere
Barkley, 1997a). Tuttavia, solo adesso iniziano a essere presenti in letteratura
ricerche scientifiche che utilizzano questo modello teorico a priori per la formulazione delle ipotesi. Pertanto, il vero valore di questa teoria nello spiegare
il DDAI e nel formulare strategie di intervento attende ancora ulteriori verifiche empiriche.
Nonostante siano necessarie ulteriori ricerche, le implicazioni di questo
modello concettuale del DDAI sono molto chiare. Gli interventi per questo
disturbo dovrebbero includere cambiamenti nelle variabili interne al bambino (ossia cambiamenti temporanei nel funzionamento cerebrale ottenuti
attraverso farmaci stimolanti) e/o cambiamenti negli stimoli antecedenti e
conseguenti, per accrescere la probabilità che si verifichi una risposta differita,
che quindi generi un comportamento attento e produttivo (Barkley, 1997a).
Sfortunatamente, la maggior parte della classi sono strutturate in modo da
fornire rinforzi differiti e non frequenti sulla base della convinzione che così
gli studenti sviluppano una “motivazione interiore” al rispetto delle regole
e al completamento dei compiti scolastici. Queste condizioni sono proprio
quelle che, nei bambini con DDAI, generano maggiormente comportamenti
disfunzionali nell’area dell’attenzione (per es., la compromissione dell’inibizione della risposta). Quindi, la sfida per i professionisti dell’educazione è di
introdurre stimoli ambientali che possano accrescere le probabilità di riuscita
in tutte le classi in cui sono inseriti studenti disattenti e impulsivi (vedere
Capitolo 5).
ESITI A LUNGO TERMINE DEI BAMBINI CON DDAI
Per molti anni si è creduto, soprattutto fra i membri della comunità più
ampia, che i bambini con DDAI “perdessero” le loro difficoltà di controllo del
comportamento non appena adolescenti o giovani adulti. Sfortunatamente
questa convinzione non deriva da ricerche longitudinali sul disturbo (vedere
Weiss & Hechtman, 1993). Con il procedere dei bambini con DDAI verso
l’adolescenza, la frequenza assoluta e l’intensità dei loro sintomi diminuisce
(Barkley, 1998). Ossia, si verificano dei miglioramenti nell’ambito dell’atten40
Rassegna sul DDAI
zione, dell’impulsività e soprattutto dell’iperattività rispetto al comportamento presente nella scuola materna ed elementare. Certamente anche i coetanei
mostrano miglioramenti nel controllo del comportamento contribuendo così
all’aumento del gap fra gli adolescenti con DDAI e i compagni. Infatti una
percentuale fra il 70 e l’85% di bambini con DDAI continua a manifestare
deficit significativi nell’area dell’attenzione e dell’impulsività se paragonati ai
loro coetanei (Barkley, Fischer et al., 1990; Biederman et al., 1996).
In aggiunta alla sintomatologia del DDAI che persiste, gli adolescenti con
DDAI esibiscono problemi di adattamento in numerosi ambiti di vita. Prima
di tutto, è accertato che più del 60% degli adolescenti con questo disturbo manifesta frequenti comportamenti di ribellione e inottemperanza nei confronti
di figure di autorità e nei confronti delle regole (Barkley, Fissare et al., 1990;
Biederman et al., 1997). Inoltre, più del 40% degli adolescenti con DDAI
mostra comportamenti antisociali significativi: essere protagonisti di risse, rubare e compiere atti di vandalismo (Barkley, Fisher et al., 1990; Gittelman et
al., 1985). Se paragonati ai loro compagni di classe normali, gli adolescenti
con questo disturbo hanno maggiori probabilità di ripetere più volte gli anni
scolastici, di essere sospesi dalla frequenza, di abbandonare precocemente la
scuola e di fare uso di sostanze illecite. Il rischio dell’abuso di droga sembra
imputabile alla presenza di importanti disturbi della condotta che vanno ad
aggiungersi ai sintomi del DDAI (Biederman et al., 1997; Gittelman et al.,
1985). Pertanto, per una grande percentuale di bambini con DDAI, non è
realistico affermare che prima o poi le difficoltà nella vita quotidiana “andranno perse” come conseguenza della crescita.
Esistono numerose ricerche sugli esiti longitudinali a lungo termine di bambini con DDAI monitorati fino a quando sono diventati giovani adulti (ossia
fino a 18-25 anni). In generale questi studi hanno riscontrato che più del 50%
dei bambini con DDAI continuava a manifestare in età adulta sintomi del disturbo, particolarmente nell’area dell’attenzione e dell’impulsività, soprattutto
dove venivano utilizzate misure quali interviste ai genitori rispetto a misure di
self-report (Barkley, Fischer, Smallish & Fletcher, 2002). Il rischio maggiore per
gli adolescenti di questa popolazione, entrati nell’età adulta, è rappresentato
proprio dall’insuccesso scolastico e dai comportamenti antisociali.
Quasi un terzo di questi adulti aveva abbandonato la scuola superiore e solo
un 5% aveva portato a termine un corso di laurea rispetto al 40% del gruppo
di controllo (Barkley, Fisher et al., 1990). Circa il 25% o più di questi bambini
41
DDAI a Scuola
aveva sviluppato pattern cronici di comportamento antisociale che persistevano nell’età adulta e che si accompagnavano ad altri problemi di adattamento
(per es., abuso di sostanze, difficoltà interpersonali, disoccupazione).
I tardo adolescenti e i giovani adulti con DDAI hanno maggiori probabilità
rispetto ai loro coetanei sani di ricevere multe per eccesso di velocità e di essere
vittime di incidenti stradali come guidatori (Barkley, Guevremont, Anastopoulos, DuPaul & Shelton, 1993; Barkley, Murphy, DuPaul & Bush, 2002).
Una nota positiva è rappresentata dal fatto che circa un terzo dei bambini
seguiti fino all’età adulta non mostrava più sintomi e risultava relativamente
ben adattata (Barkley, 1998). Questo disturbo dell’infanzia comporta tuttavia rischi di esiti negativi a lungo-termine piuttosto alti rispetto al gruppo di
controllo senza DDAI.
I ricercatori hanno condotto diverse analisi per individuare le variabili presenti nell’infanzia che possano prevedere con un certo grado di affidabilità
gli esiti, in adolescenza e in età adulta, di individui con DDAI. Sono stati
identificati pochissimi predittori specifici oltre a quelli validi per tutta la popolazione (per es., punteggi ai test di intelligenza, status socioeconomico).
Esistono comunque due predittori che i professionisti dovrebbero considerare
rilevanti nel loro lavoro. L’insorgenza precoce di comportamenti antisociali,
in particolare mentire, rubare ed essere protagonisti di risse, è predittiva di
una futura evoluzione antisociale e forse di una persistenza del DDAI (Barkley, 1998; Biederman et al., 1996). Per insorgenza precoce si intende prima
degli 8-10 anni. Il rifiuto da parte dei propri coetanei nell’infanzia è predittivo
di problemi persistenti di adattamento interpersonale negli anni successivi
(Barkley, 1998; Parker & Asher, 1987). Attualmente, la combinazione fra il
livello cognitivo, i problemi psicosociali e le condizioni di crescita del bambino rappresenta lo schema predittivo migliore (Barkley, 1998; Biederman et
al., 1996).
Data la natura cronica del disturbo e i relativi rischi a lungo termine per
una grande percentuale di bambini, si va sempre più diffondendo un largo
consenso sulla necessità di modalità di intervento multiple per tutta la durata
degli anni di scuola (Barkley, 1998). Piuttosto che cercare di “curare” il disturbo, quindi, i professionisti che lavorano a scuola e i genitori dovrebbero aiutare
i bambini a “compensare” i loro problemi di controllo del comportamento.
Si ritiene inoltre che il DDAI sia un disturbo che si colloca nell’interfaccia fra
il set biologico del bambino (per es., le differenze genetiche nel funzionamen42
Rassegna sul DDAI
to dei neurotrasmettitori) e l’ambiente (per es., i fattori situazionali) nel quale
l’individuo ha una predisposizione a essere coinvolto con maggiore frequenza
in comportamenti disinibiti e iperattivi rispetto ai coetanei, soprattutto in
determinate condizioni ambientali.
Il trattamento dovrebbe quindi comprendere sia cambiamenti negli ambienti
scolastici e familiari che tentativi di modificare le variabili interne al bambino
attraverso l’uso di farmaci psicostimolanti. Con questa prospettiva in mente,
per tutto il corso del libro daremo importanza alla promozione di metodologie che siano in grado di creare e mantenere “ambienti protesici” (Barkley,
1998) che permettano ai bambini con DDAI di conseguire il successo in
ambito scolastico, emotivo e sociale. Per raggiungere questi risultati i professionisti che lavorano a scuola, i genitori e altri professionisti che operano
nell’ambito della salute devono fare uno sforzo congiunto per tutto il corso
della frequenza scolastica.
RASSEGNA DEI SEGUENTI CAPITOLI
Lo scopo di questo libro è fornire ai professionisti che lavorano a scuola
una guida per la valutazione e il trattamento degli studenti con DDAI. Si è
tentato di identificare tecniche di valutazione e di intervento con basi empiriche rigorose e adattabili all’applicazione nel mondo reale. In questa seconda
edizione del nostro testo abbiamo aggiornato e ampliato la descrizione delle
strategie di valutazione e trattamento che possono essere usate con efficacia in
contesti scolastici per tutto il periodo dello sviluppo.
Nel Capitolo 2 presentiamo un modello per la valutazione e lo screening
del DDAI a scuola. Suggeriamo che il processo di valutazione di studenti che
esibiscono comportamenti associati al DDAI implichi l’utilizzo di tecniche
multiple trasversali ai contesti scolastico e familiare. Lo scopo di questo processo di valutazione non è semplicemente raggiungere la diagnosi, ma, cosa
più importante, guidare lo sviluppo di un piano di intervento efficace. La valutazione funzionale del comportamento è particolarmente critica nel creare
un collegamento diretto fra gli esiti diagnostici e il trattamento.
Nel Capitolo 3 esaminiamo nel dettaglio la relazione fra il DDAI e le
difficoltà nella performance scolastica. Anche se il DDAI non è un disturbo
dell’apprendimento in quanto tale, una minoranza significativa di bambini
con problemi di attenzione e controllo del comportamento manifesta deficit
43
DDAI a Scuola
in alcune abilità scolastiche. Non è chiaro se sia il DDAI a “causare” i deficit
nelle abilità scolastiche o il contrario. Tuttavia, è più probabile che questi
disturbi siano semplicemente correlati, piuttosto che uno la causa dell’altro.
Offriamo anche dei suggerimenti per prendere decisioni sulla candidabilità di
studenti con DDAI all’inserimento in classi di educazione speciale.
Il DDAI è un disturbo che insorge molto presto, con sintomi che si manifestano di solito prima dei 7 anni. Nel Capitolo 4 descriviamo le metodologie
per identificare i bambini molto piccoli a rischio di sviluppare un DDAI e le
strategie per minimizzare la gravità dei comportamenti disfunzionali a esso
associati (quali l’aggressività e la ribellione) e per promuovere il successo scolastico nei primi anni di scuola. Dato che il DDAI può essere cronico e può
associarsi a scarso rendimento scolastico, l’identificazione e l’intervento precoci potrebbero giocare un ruolo critico nel promuovere il successo a lungo
termine di bambini affetti da questo disturbo.
Uno degli interventi più efficaci per il DDAI è la manipolazione degli
antecedenti e dei conseguenti nel contesto classe. Nel Capitolo 5 illustriamo le tecniche comportamentali che si sono rivelate efficaci nel migliorare il
controllo del comportamento, la performance scolastica e il comportamento
sociale. Proponiamo un modello empirico, basato sul problem-solving, per
progettare interventi scolastici e comportamentali, che può essere applicato
nella sua globalità soprattutto in contesti di scuola elementare. Nella discussione di queste tecniche enfatizzeremo soprattutto l’importanza di collegare i
dati raccolti attraverso la valutazione funzionale sia con il curricolo scolastico
e che con il modello di intervento.
Il trattamento del DDAI maggiormente studiato e che da i migliori risultati, in un’ottica di analisi costi-benefici, è la prescrizione di farmaci psicostimolanti come la Ritalina (metilfenidato). Questi farmaci possono indurre, nel
70-80% dei bambini con DDAI, miglioramenti nei comportamenti diretti al
compito, nell’impulsività, negli atteggiamenti sociali e nel rendimento scolastico. Nel capitolo 6 descriviamo i farmaci specifici (inclusi i non stimolanti),
i loro effetti comportamentali, gli effetti collaterali e i fattori che modulano il
rapporto dose-risposta. Evidenziamo, inoltre, come i professionisti che lavorano a scuola possano aiutare i medici nel valutare la risposta ai farmaci.
Per diminuire la gravità della sintomatologia del DDAI sono spesso necessari interventi multipli trasversali ai diversi contesti. I farmaci e le tecniche
comportamentali applicate in classe potrebbero quindi essere integrati con
44
Rassegna sul DDAI
training nelle abilità sociali, parent training e/o terapia familiare comportamentale. Nel capitolo 7 presentiamo questi trattamenti. Forniamo inoltre alcune indicazioni utili per mettere in guardia i genitori sui “trattamenti” per il
DDAI che non hanno alcun fondamento empirico (per es., il biofeedback).
Il lavoro di équipe è cruciale per raggiungere esiti positivi nel trattamento
del DDAI. Nel Capitolo 8 affrontiamo nel dettaglio la questione della comunicazione fra i professionisti e i genitori. Troppo spesso una cattiva comunicazione fra scuola e famiglia o fra i professionisti che lavorano a scuola e quelli
dei servizi territoriali (per es., i medici) ha come risultato la fornitura di un
servizio scadente. In questo capitolo delineiamo anche i metodi per promuovere una comunicazione efficace fra i membri dell’équipe di intervento.
Nel Capitolo 9 discuteremo le future direzioni di ricerca e dei programmi
di intervento a scuola per il DDAI. Si deve chiaramente porre un’attenzione
sempre maggiore alle istruzioni dirette, alle abilità organizzative e al counseling di orientamento per i bambini con questo disturbo. I suggerimenti proposti in questo libro sono solo un punto di partenza ed è pertanto necessario
continuare a sviluppare strategie scolastiche che portino a risultati sempre più
favorevoli per i ragazzi con DDAI e con difficoltà a esso associate.
45
CAPITOLO 2
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
Di solito, si utilizzano tecniche di valutazione multiple, nei contesti familiari e scolastici, per effettuare una valutazione completa di bambini a rischio
di DDAI (Accademia Americana di Pediatria, 2000; Barkley, 1998; Istituto
Nazionale della Salute, 1998). Sebbene i criteri diagnostici fissati per il disturbo siano stati sviluppati e pubblicati prevalentemente da medici (Associazione
Americana di Psichiatria, 2000), i professionisti che lavorano a scuola devono
essere ben informati sulle procedure di valutazione appropriate per una serie
di buone ragioni. Primo, perché i problemi di attenzione e controllo del comportamento sono una delle due cause più comuni che spingono la scuola a
effettuare un invio agli psicologi clinici dell’età evolutiva.
Gli psicologi scolastici devono pertanto essere in grado di condurre una valutazione del DDAI da soli o, almeno, di essere al corrente di quali specialisti
dei servizi territoriali potrebbero fornire loro una valutazione adeguata. Secondo, gli psicologi scolastici hanno un accesso diretto a fonti di informazione e dati (rappresentati dagli insegnanti, dall’osservazione del comportamento
del bambino in contesti non artificiali) cruciali per la diagnosi differenziale
del DDAI. Terzo, il DDAI ha una prevalenza maggiore in determinate popolazioni (per es., nei bambini con disturbi dell’apprendimento).
Infine, i bambini con DDAI potrebbero essere inviati a servizi di educazione speciale in quanto inseribili nella categoria “altre problematiche di salute”
della Legge Federale sull’Educazione degli Individui con Disabilità del 1997
(Hakola, 1992).
47
DDAI a Scuola
Gli psicologi scolastici saranno dunque chiamati a contribuire alla decisione
di inviare o meno questi bambini a simili servizi in quanto rientranti nella
suddetta categoria.
Lo scopo di questo capitolo è descrivere un approccio di valutazione scolastico del DDAI che includa tutte le tecniche presenti nella letteratura sull’argomento che presentano il massimo rigore scientifico.1
UTILIZZO DEI CRITERI DIAGNOSTICI NELLA VALUTAZIONE
SCOLASTICA DEL DDAI
Definizione attuale di DDAI
Il DDAI è stato definito e concettualizzato in molti modi negli ultimi decenni, situazione che ha portato a una grande confusione fra i professionisti
sulla diagnosi e le procedure di valutazione corrette. (Barkley, 1998).
Più recentemente sta emergendo un consenso sul fatto che il DDAI sia caratterizzato da disattenzione e/o iperattività/impulsività presenti con frequenze non adeguate all’età di sviluppo (Associazione Americana di Psichiatria,
2000).
Queste due dimensioni del comportamento comportano una compromissione del funzionamento, per cui il bambino con DDAI manifesta difficoltà nella risposta differita all’ambiente, nello sviluppo dell’autocontrollo e nel mantenimento di una performance di lavoro costante per un determinato lasso di
tempo (Associazione Americana di Psichiatria, 2000; Barkley, 1998).
I comportamenti, o “sintomi” caratterizzanti il DDAI, secondo i criteri del
DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatra, 2000), sono elencati nella
Tabella 2.1.
Per essere considerati sintomi di DDAI tali comportamenti devono manifestarsi precocemente nell’infanzia (prima dei 7 anni) e devono essere presenti nel tempo in almeno due contesti differenti (Associazione Americana di
Psichiatria, 2000). Un bambino deve esibire almeno sei dei nove sintomi di
disattenzione e/o almeno sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività.
1
Per una dimostrazione pratica dell’applicazione del nostro modello diagnostico i lettori possono
visionare la videocassetta La valutazione del DDAI a scuola (DuPaul & Stoner, 1999a).
48
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
TABELLA 2.1. Sintomi del Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività
secondo il DSM-IV
Sintomi di Disattenzione
(1)sei (o più) dei seguenti sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi con
un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:
(a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro a casa o in altre attività
(b)spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco
(c) spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente
(d)spesso non segue le istruzioni passo-passo e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul luogo di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni)
(e) spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività
(f ) spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono uno sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa)
(g)spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., giocattoli,
compiti di scuola, matite, libri o strumenti vari)
(h)viene facilmente e frequentemente distratto da stimoli estranei
(i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane
Sintomi di Iperattività-Impulsività
(2)sei (o più) dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno 6 mesi con una intensità
che causa disadattamento e contrasta con il livello di sviluppo:
(a) spesso muove con irrequietezza mani e piedi e si dimena sulla sedia
(b)spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci
aspetta che resti seduto
(c)spesso corre, scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui
ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti ciò potrebbe limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza)
(d)spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti tranquilli
(e) è spesso “sotto pressione” o agisce come fosse “motorizzato”
(f ) spesso parla troppo
(g)spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate
(h)spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno
(i) spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette
nelle conversazioni o nei giochi)
1
49
DDAI a Scuola
La diagnosi di DDAI viene di solito fatta stabilendo la deviazione dal livello di sviluppo e la prevalenza dei sintomi. Allo stesso tempo è egualmente
importante escludere altre possibili cause della disattenzione, dell’impulsività
e dell’irrequietezza motoria del bambino. Queste cause potrebbero includere
istruzioni scolastiche e strategie di gestione non adeguate; un grave danno
neurologico, sensoriale, motorio o linguistico, ritardo mentale o gravi disturbi
della sfera affettiva (Barkley, 1998).
Esistono tre sottotipi di DDAI. Il tipo combinato si applica a bambini
che manifestano almeno sei sintomi di disattenzione e almeno sei sintomi di
iperattività-impulsività. Questa è la variante “classica” del DDAI che è stata
ampiamente studiata nella letteratura e che rappresenta il sottotipo più problematico. Il tipo di DDAI con disattenzione predominante (le definizioni
precedentemente utilizzate erano “disturbo da deficit dell’attenzione indifferenziato” e “disturbo da deficit dell’attenzione senza iperattività”) viene diagnosticato in quei bambini che mostrano almeno sei dei nove sintomi di disattenzione e non più di cinque sintomi iperattivi-impulsivi. Infine, il tipo di
DDAI con iperattività-impulsività predominanti viene diagnosticato a quei
bambini che mostrano almeno sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività
ma meno di sei sintomi di disattenzione. Si sa molto poco di questo sottotipo,
a parte il fatto che dovrebbe essere più comune nei bambini molto piccoli che
sono a rischio di sviluppare in età più avanzata la forma combinata (Lahey et
al., 1994). Inoltre, i bambini al di sotto dei 6 anni potrebbero non avere occasioni sufficienti per mostrare sintomi di disattenzione e potrebbero quindi
essere inclusi nel gruppo iperattivo-impulsivo.
I vantaggi dell’approccio del DSM-IV
Anche se i criteri diagnostici del DDAI sono stati sviluppati all’interno di
un modello medico dei problemi infantili, esistono diverse ragioni valide per
considerarli utili anche in un contesto scolastico. Prima di tutto, i sintomi
elencati descrivono un insieme di problemi comportamentali che covariano
con un certo grado di affidabilità in alcuni bambini. Una diagnosi (ossia un
insieme di comportamenti che covariano) può essere utilizzata per predire il
successo di alcuni trattamenti; il rischio di comorbidità con disturbi del comportamento attuali e futuri e per suggerire delle possibili variabili di controllo
(Barlow, 1981).
50
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
In secondo luogo, l’utilizzo dei criteri del DSM-IV da alla procedura valutativa una forma standardizzata, accrescendo di conseguenza l’accordo fra professionisti diversi sulla diagnosi stessa. Terzo, tali criteri guidano la scelta fra
ipotesi alternative (altri disturbi o problemi) che potrebbero rendere conto di
quelli che sembrano essere sintomi di DDAI. Conclusioni basate su una diagnosi differenziale possono far accrescere le possibilità di progettare un piano
di intervento in classe con esiti positivi. Per esempio, se la disattenzione di un
bambino fosse legata a un disturbo d’ansia piuttosto che al DDAI le strategie
di intervento sarebbero piuttosto differenti.
Quarto, un altro vantaggio dell’utilizzo dei criteri del DSM-IV nel protocollo di valutazione è rappresentato dalla lista di sintomi, la cui analisi
dettagliata potrebbe portare all’identificazione delle problematiche comportamentali che diventeranno il target dell’intervento. Quei sintomi che, per
esempio, vengono esibiti con maggiore frequenza o che vengono considerati
dai genitori e dagli insegnanti come più importanti dovrebbero diventare il
focus iniziale del trattamento. Quinto, introdurre nella procedura valutativa
dei criteri diagnostici su cui esiste un accordo ampio (ossia utilizzare un linguaggio comune) certamente migliora la comunicazione con altri specialisti
della salute mentale (psicologi clinici dell’età evolutiva) o con i medici che si
occupano dello stato psicologico del bambino, promuovendo così un approccio di équipe al trattamento.
Limiti dell’approccio del DSM
Nonostante i criteri del DSM rappresentino una componente importante
della procedura valutativa, bisogna tenere in considerazione i diversi limiti
che presentano. Prima di tutto, i criteri per il DDAI sono stati sviluppati
all’interno di un modello medico e pertanto sottintendono che il “problema”
sia localizzato all’interno del bambino. L’etichettamento di un bambino come
“disturbato” potrebbe ridurre i tentativi di valutare le variabili ambientali che
potrebbero giocare un ruolo importante nel causare o mantenere i problemi
comportamentali.
Secondo, l’utilizzo di un sistema di classificazione psichiatrica potrebbe promuovere una ricerca del patologico che, in certe condizioni, risulterebbe in
una prevalenza esagerata di disturbi comportamentali nei bambini (meglio
nota come identificazione di “falsi positivi”).
51
DDAI a Scuola
Queste eventualità suggeriscono la necessità di un approccio valutativo con
metodologie differenti in cui misure oggettive (per es., osservazioni del comportamento) integrano l’utilizzo di tecniche più soggettive quali, per esempio, l’intervista diagnostica (Achenbach & McConaughy, 1996). Terzo, un
sistema di classificazione psichiatrica che genera un’etichetta diagnostica può
compromettere l’autostima del bambino se gli altri iniziano a considerarlo
un “disturbato”. Gli effetti iatrogeni di una diagnosi di DDAI non sono stati
ancora investigati a livello empirico, anche se questo è un argomento di discussione piuttosto frequente fra i professionisti. Il quarto limite, abbastanza
importante, dell’approccio del DSM è il seguente: le proprietà psicometriche
(affidabilità, validità) dei vari criteri diagnostici non sono stabilite con chiarezza e completezza (Gresham & Gansle, 1992).
Sono necessarie una serie di competenze per assicurare un utilizzo appropriato del paradigma di classificazione del DSM (adattato da Barlow 1981).
Prima di tutto, gli psicologi scolastici dovrebbero avere una certa familiarità
con la psicopatologia dell’infanzia per conoscere quali comportamenti presentino di solito una covariazione (la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività).
Secondo, è necessaria una conoscenza operativa degli attuali criteri del DSM
per tutta la psicopatologia dell’infanzia e non solo per il DDAI. Questo richiede familiarità non solo con le liste dei sintomi ma anche con i criteri in
funzione dell’età di insorgenza e della persistenza minima dei problemi comportamentali. Infine, gli psicologi devono essere stati addestrati all’utilizzo di
un protocollo di valutazione completo per determinare quali sintomi siano
presenti nel repertorio comportamentale di uno studente.
Il DDAI può essere meglio identificato come il risultato di un “cattivo
adattamento” fra il set biologico del bambino e l’ambiente, per esempio la
struttura e le variabili contestuali della classe. In un simile ambito, i criteri diagnostici forniscono indicazioni sulla covariazione di alcuni problemi
comportamentali, sulle variabili di controllo e sugli interventi efficaci basati sulla definizione generale di DDAI (Barlow, 1981). Pertanto la discussione dei criteri del DSM deve essere integrata con metodologie di valutazione
multiple, condotte in contesti differenti per identificare gli specifici problemi
comportamentali, le variabili di controllo e le possibili strategie di intervento
applicabili al singolo studente. La diagnosi di DDAI è solo il primo passo
nel processo di definizione e valutazione degli interventi per promuovere un
successo maggiore all’interno delle classi.
52
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
RASSEGNA DELLE METODOLOGIE DI VALUTAZIONE
Di solito, il processo di valutazione del DDAI in cui si utilizzano differenti
metodologie di raccolta dei dati in contesti disparati e da fonti di informazione diverse avviene secondo un approccio comportamentale (Anastopoulos &
Shelton, 2001; Barkley, 1998). In particolare, si pone l’accento sulla possibilità di ottenere informazioni affidabili sul comportamento del bambino dai
genitori, dagli insegnanti e dalle prime osservazioni della performance dello
studente. Pertanto, le principali componenti della procedura di valutazione
sono: le interviste con i genitori e gli insegnanti del bambino, i questionari
compilati dai genitori e dagli insegnanti e le osservazioni dirette del comportamento in differenti contesti e attività. Anche se tutte queste misure possono
essere utilizzate anche con gli adolescenti, sono necessarie alcune modifiche
(per es., l’inclusione di misure di self-report) per mantenere un buon livello di
affidabilità e validità dei dati (vedere la sezione seguente sulle “Considerazioni
Evolutive”).
Ciascuna metodologia verrà discussa nel dettaglio nella sezione seguente,
anche in funzione della fase della procedura valutativa. Le interviste con i genitori, gli insegnanti e il bambino vengono fatte per determinare la presenza o
meno dei diversi sintomi elencati dal DSM e per identificare i fattori attuali o
antecedenti che contribuiscono al mantenimento dei comportamenti problematici. Le scale di valutazione del comportamento completate dai genitori e
dagli insegnanti forniscono dati che aiutano a stabilire la gravità dei comportamenti associati al DDAI utilizzando il paragone con campioni normativi. Per
integrare i report dei genitori e degli insegnanti, vengono utilizzate numerose
misure dirette del comportamento del bambino. Si osserva il comportamento
in differenti contesti (per es., in classe e in cortile) e in diverse occasioni per
stabilire la frequenza e/o la durata dei comportamenti target. La frequenza di
un comportamento viene di solito paragonata con quella degli altri compagni
di classe per determinare la deviazione dalla media. Infine, vengono raccolti
ed esaminati i risultati pratici delle azioni del bambino (per es., il numero di
esercizi scolastici completati e l’accuratezza nell’esecuzione). Tutte le tecniche hanno dei limiti ma, se utilizzate all’interno di un modello multimodale,
danno vita a un sistema in cui le mancanze proprie di una misura vengono
compensate dai dati raccolti con un’altra (Anastopoulos & Shelton, 2001;
Barkley, 1998).
53
DDAI a Scuola
Numerose metodologie valutative, solitamente utilizzate dagli psicologi
scolastici, non sono invece utili nel caso del DDAI. I risultati in test cognitivi,
neuropsicologici e di profitto, di solito, non si rivelano adeguati a discriminare bambini con DDAI da quelli che non lo sono. Ad oggi, non esiste nessun
test o batteria di test a somministrazione individuale che presenti un grado
accettabile di validità ecologica da poter essere considerato utile nella diagnosi
del DDAI (Barkley, 1992). Per esempio, il test utilizzato con maggiore frequenza dagli psicologi scolastici (la Scala di Intelligenza Wechsler per i bambini – WISC-III) non discrimina con affidabilità i bambini con DDAI dai
bambini normali o dagli studenti con disturbi dell’apprendimento (Barkley,
DuPaul & McMurray, 1990). Aspetto ancora più importante, i punteggi nel
fattore Non-Distraibilità (composto dai subtest Ragionamento Aritmetico,
Memoria di Cifre e Associazione fra simboli e numeri) della WISC-III non
sono indicatori diagnostici affidabili per il DDAI (Anastopoulos, Spisto &
Mahler, 1994). Una scarsa performance in questo fattore può derivare da una
serie di cause, inclusa l’ansia da prestazione. Inoltre, i bambini con DDAI
mostrano spesso livelli adeguati di attenzione e controllo del comportamento
in compiti altamente strutturati e che implicano un’interazione “uno-a-uno”
con un adulto sconosciuto, eventualità piuttosto frequente nei test a somministrazione individuale (Barkley, 1998). Quindi, nonostante i test a somministrazione individuale possano essere utili nel determinare il livello cognitivo
e il profitto del bambino, non sono componenti necessarie del processo di
valutazione per il DDAI.
Nella prassi diagnostica quotidiana del DDAI sono state incluse misure
standardizzate dell’attenzione sostenuta e del controllo degli impulsi (Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). Questi test forniscono dati oggettivi
che non sono influenzati da fattori che potrebbero distorcere i report dei genitori e degli insegnanti (per es., la presenza di psicopatologia del genitore)
(Gordon, 1986). Una delle misure standardizzate più diffuse è il Continuous
Performance Test (CPT; Rosvold, Mirsky, Sarason, Bransome & Beck 1956) e
le sue varianti il Gordon Vigilance Task (Gordon, 1983) e il Conners Continuous Performance Test (Conners, 1995).
Sebbene i punteggi al CPT sembrino discriminare i bambini con DDAI
dai loro coetanei normali a livello gruppale, l’utilità di queste misure nella
valutazione individuale è limitata da numerosi fattori. Primo, diverse ricerche
non sono riuscite a ottenere correlazioni significative fra misure criterio (per
54
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
es., i voti degli insegnanti) e i punteggi in diverse somministrazioni di CPT
(Halperin, Sharma, Greenblatty & Schwartz, 1991; Lovejoy & Rasmussen,
1990). Secondo, quando si separano le percentuali di varianza spiegate dall’età, dal genere e dalle abilità di comprensione del vocabolario, i punteggi in
queste misure non riescono più a distinguere i bambini con DDAI, i bambini
con disturbo della condotta, i bambini con disturbi d’ansia e i loro coetanei
normali (Weery, Elkind & Reeves, 1987). Anche quando si ottengono correlazioni significative fra i punteggi al CPT e le misure criterio, queste sono di
solito di scarsa rilevanza (con valori che variano di solito fra .21 e .50), suggerendo che i risultati in compiti clinici spiegano una percentuale di varianza
minima degli indici del criterio (Barkley, 1991). Inoltre, i punteggi al CPT, da
soli o in combinazione, portano di solito a conclusioni diagnostiche opposte
a una diagnosi di DDAI basata sulle interviste ai genitori e sui dati delle scale
di valutazione del comportamento (DuPaul, Anastopoulos, Shelton, Guevremont & Metevia, 1992). Infine, anche quando si ottengono punteggi al CPT
clinicamente significativi il grado in cui questi punteggi siano specifici del
DDAI e siano di aiuto per una diagnosi differenziale è discutibile (McGee,
Clark & Symons, 2000). Pertanto, la conclusione più ragionevole, al momento, è che l’utilità di strumenti di laboratorio nella valutazione del DDAI
è limitata da una loro dubbia validità ecologica (Anastopoulos & Shelton,
2001; Rapport, Chung, Shore, Denney & Isaacs, 2000).
Le misure che gli psicologi scolastici utilizzano di solito per valutare il
funzionamento emotivo degli studenti non sono utili nella valutazione del
DDAI. Le tecniche proiettive, come il Test di Appercezione Tematica (Murray, 1943) o il Disegno della Famiglia in Movimento (Hammer, 1975) si
basano sull’assunto teorico che i problemi comportamentali siano causati da
difficoltà emotive a essi soggiacenti.
Questo assunto non ha validità empirica, almeno per i sintomi comportamentali del DDAI. Inoltre, i test proiettivi sono stati criticati per la loro dubbia validità e affidabilità (Gregory, 1996).
Negli ultimi anni si sono sempre più diffuse misure di self-report completate dai bambini e dagli adolescenti (Conners et al., 1997). Sono disponibili
una serie di checklist di misure di self-report statisticamente solide: il Youth
Self-Report (Achenbach, 1991a), il Youth-Inventory-4 (Gadow et al., 2002)
e il Conners-Wells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 1997).
Malgrado la ben nota problematica che i bambini con disturbi del compor55
DDAI a Scuola
tamento non riferiscono con obiettività i loro atteggiamenti (Landau, Milich
& Widiger, 1991), ci sono sempre maggiori prove che gli adolescenti con disturbi del comportamento possono fornire informazioni utili per le decisioni
diagnostiche (Conners et al., 1997) e terapeutiche (Smith, Pelham, Gnagy,
Molina & Evans, 2000).
Inoltre, i dati raccolti con i self-report sono cruciali nel caso di adolescenti
con probabile DDAI per permettere una valutazione degli ambiti di funzionamento nascosti (per es., sintomi depressivi) e per promuovere la compartecipazione dello studente nel processo diagnostico e terapeutico (vedere la
sezione seguente “Considerazioni Evolutive”).
FASI DELLA VALUTAZIONE DEL DDAI
In seguito alla segnalazione di un insegnante per difficoltà di attenzione
o di controllo del comportamento, si conduce una valutazione a scuola del
DDAI in cinque fasi (DuPaul, 1992; vedere Figura 2.1). Queste fasi derivano dal modello decisionale proposto da Salvia e Ysseldyke (1998). Prima,
si raccolgono le indicazioni su eventuali sintomi di DDAI e si conduce una
breve intervista per sondare la gravità e la frequenza dei sintomi del probabile
DDAI.
In un secondo momento, se i risultati di questo screening sono significativi, si utilizzano metodologie diagnostiche multiple, in contesti diversi e con
fonti di informazione differenti, per documentare il funzionamento del bambino in diversi ambiti. In una terza fase, si interpretano i risultati ottenuti per
prendere una decisione diagnostica. In un quarto momento, si sviluppa un
piano di intervento sulla base dell’esito della valutazione. Infine, in una quinta fase, si monitorizzano in itinere la performance scolastica e i comportamenti
a scuola per verificare l’efficacia del piano di intervento o l’eventuale necessità
di apportare delle modifiche.
Di seguito verranno illustrate nel dettaglio le cinque fasi del processo di
valutazione. Per ogni fase abbiamo identificato una serie di domande iniziali a cui tale processo deve rispondere. Queste domande sono state in parte
tratte dalle linee guida per una diagnosi comportamentale fornite da Barrios
e Hartmann (1986). Dopo aver identificato tutte le fasi, abbiamo esaminato
la maniera in cui si utilizzano tecniche specifiche per trovare le risposte alle
domande che, in ciascuna fase, guidano il processo di valutazione.
56
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
FIGURA 2.1. Le cinque fasi della valutazione a scuola del disturbo da deficit
dell’attenzione e iperattività.
L’INSEGNANTE SEGNALA DIFFICOLTÀ DI
ATTENZIONE, IMPULSIVITÀ E/O IPERATTIVITÀ
FASE I
SCREENING
L’insegnante fa una stima dei sintomi del DDAI
FASE II
VALUTAZIONE MULTIMODALE DEL DDAI
Interviste a genitori e insegnanti
Analisi delle pagelle e dei registri scolastici
Scale di valutazione del comportamento
Osservazioni del comportamento a scuola
Raccolta e analisi dei dati sulla performance scolastica
FASE III
INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI
Numero di sintomi del DDAI
Devianza dalle norme relative all’età e al sesso
Età di insorgenza e cronicità
Pervasività
Grado di compromissione funzionale
Diagnosi Differenziale
FASE IV
SVILUPPO DEL PIANO DI TRATTAMENTO
Sulla base di:
Gravità dei sintomi del DDAI
Analisi funzionale del comportamento
Presenza di altri disturbi
Risposta a trattamenti precedenti
Servizi presenti sul territorio
FASE V
VERIFICA DEL PIANO DI TRATTAMENTO
Valutazione in itinere
Revisione del piano di trattamento
dei sintomi del DDAI
57
DDAI a Scuola
Fase I: Screening
Domande che guidano il processo di valutazione
I dati raccolti servono a rispondere alle seguenti domande:
1. Questo studente mostra problemi che possono essere ricondotti a un possibile DDAI?
2. È necessaria un’indagine più approfondita del DDAI?
Lo screening
Uno screening per un potenziale DDAI dovrebbe essere condotto ogni qual
volta un insegnante chiede aiuto per uno studente che manifesta difficoltà a
restare attento quando gli vengono fornite delle istruzioni, non porta a termine i compiti che deve svolgere individualmente, non riesce a restare seduto
quando gli viene chiesto o mostra comportamenti impulsivi disfunzionali.
Si conduce una breve intervista con l’insegnante per specificare la natura dei
comportamenti problematici e per identificare i fattori ambientali che potrebbero concorrere a provocare o a far persistere i suddetti problemi. L’insegnante
fa anche una stima della frequenza dei sintomi del DDAI.
Metodologie di screening
L’intervista iniziale con l’insegnante dovrebbe includere domande relative
alla frequenza, all’intensità e/o alla durata degli specifici problemi comportamentali. Dovrebbe, inoltre, valutare il ruolo dei molteplici fattori ambientali
(caratteristiche del compito, modalità di trasmissione delle istruzioni, comportamenti dei compagni di classe) per stabilire quali siano gli antecedenti
e i conseguenti. Per stabilire se i sintomi possano essere ricondotti al DDAI,
si dovrebbe determinare la presenza/assenza dei 18 sintomi del DSM-IV e la
loro persistenza. Se l’insegnante riferisce sei o più sintomi frequenti di disattenzione o sei o più sintomi frequenti di iperattività-impulsività, allora è necessario condurre un’analisi. Anche se l’insegnante riferisce meno di sei sintomi per ogni area, potrebbe essere necessaria una valutazione più approfondita,
soprattutto nel caso di studenti di scuola superiore.
La metodologia di screening più efficace per l’insegnante è completare la
ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998) che
58
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
verte sul comportamento usuale del bambino nel corso dell’anno scolastico.
L’insegnante segna su una scala Likert a 4 valori la frequenza dei 18 sintomi
comportamentali del DDAI derivati direttamente da quelli del DSM-IV (Associazione Americana di Psichiatria, 1994). Nel caso in cui, in aggiunta ai dati
raccolti dall’intervista, sei o più item in entrambi i domini ricevono una valutazione di “piuttosto di frequente” o “molto frequentemente”, allora è necessaria
l’indagine più approfondita. Se invece gli item che rientrano in questi range di
frequenza sono meno, non è comunque esclusa del tutto un’eventuale necessità
di analisi ulteriori, ma bisogna prima considerare altre spiegazioni possibili per
le difficoltà segnalate dall’insegnante (per es., i disturbi dell’apprendimento).
Fase II: Valutazione Multimodale del DDAI
Domande che guidano il processo diagnostico
I dati raccolti servono a rispondere alle seguenti domande:
1. Quali sono la prevalenza e la natura dei problemi associati al DDAI?
2. Quali fattori ambientali contribuiscono alla persistenza di questi sintomi?
3. Quali sono la frequenza, la durata e/o l’intensità dei comportamenti problematici?
4. In quali contesti tali comportamenti associati al DDAI si verificano e da
quanto tempo?
Processo di valutazione
Se i risultati dello screening iniziale indicano la presenza di un probabile
DDAI, è necessario allora condurre un’indagine diagnostica più completa del
funzionamento globale del bambino. In un primo momento, si intervistano i
genitori e gli insegnanti per identificare gli specifici problemi comportamentali e per verificare il ruolo causale di alcune variabili storiche. Si esaminano
anche le pagelle e i registri scolastici per completare la raccolta di dati storici.
La fase iniziale del processo di valutazione ha pertanto come obiettivo delineare i problemi comportamentali propri di quel bambino e le variabili storiche che devono essere sottoposte a ulteriori considerazioni.
I genitori e gli insegnanti dello studente compilano numerosi questionari
allo scopo di raccogliere dati più specifici sulla frequenza e/o sulla gravità dei
59
DDAI a Scuola
problemi comportamentali. Queste misure servono a stabilire la deviazione
dalle norme evolutive e a identificare la persistenza dei sintomi in contesti
diversi e con figure di riferimento diverse. I questionari utilizzati variano in
funzione dei comportamenti target e dell’età del bambino.
L’ultima fase del processo diagnostico formale consiste nell’osservazione
diretta del comportamento del bambino in situazioni differenti e nella raccolta dei dati sulla performance scolastica. Queste tecniche possono fornire informazioni cruciali sulla frequenza e durata dei comportamenti target, su quali
siano gli specifici antecedenti o conseguenti che contribuiscono a provocarli
o a mantenerli e sul grado in cui questi compromettono il funzionamento
sociale e scolastico del bambino. Nella prospettiva di delineare una proposta
di intervento è particolarmente critica la raccolta di dati per una valutazione
funzionale del comportamento (DuPaul & Ervin, 1996).
Metodologie di valutazione
Intervista agli insegnanti. Bisognerebbe chiedere all’insegnante di descrivere le difficoltà dello studente in termini strettamente comportamentali utilizzando il modello di intervista descritto da Bergan e Kratochwill (1990), che
ha come scopo l’identificazione precisa dei problemi.
Inoltre, con l’insegnante bisognerebbe esaminare tutti gli attuali criteri del
DSM-IV propri di una serie di disturbi del comportamento. Andrebbe appurata la presenza o l’assenza di comportamenti associati non solo al DDAI,
ma anche al disturbo oppositivo provocatorio, al disturbo della condotta, al
disturbo d’ansia generalizzato, al disturbo d’ansia da separazione e alla depressione. È importante analizzare i criteri di tutti questi disturbi per due ragioni.
Primo, perché sintomi apparenti di DDAI potrebbero essere in realtà manifestazioni di un altro disturbo. Un bambino depresso, per esempio, può manifestare problemi di concentrazione. Pertanto, si arriva alla diagnosi di DDAI
eliminando altre ipotesi (ossia gli altri disturbi) di spiegazione per i sintomi
comportamentali. Una seconda ragione per condurre questa rassegna è rappresentata dal fatto che molti bambini con DDAI soddisfano i criteri anche di altri disturbi. La diagnosi che maggiormente si accompagna a quella di DDAI è
quella di disturbo oppositivo provocatorio, con una percentuale dal 40 al 65%
di bambini con DDAI che manifestano i sintomi di questo disturbo (Barkley,
1998). La combinazione del DDAI con altri disturbi del comportamento o
della sfera affettiva, inoltre, implica la necessità di interventi multipli.
60
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
Nell’atto di appurare la presenza o l’assenza di ciascuno dei sintomi
comportamentali, si chiede all’insegnante di fornire anche esempi specifici di questi comportamenti e di dare una stima della frequenza con cui
si verificano. Bisognerebbe identificare anche gli antecedenti (per es., la
natura delle istruzioni) e i conseguenti (per es., la risposta dell’insegnante
al comportamento disfunzionale del bambino) che solitamente si accompagnano a ciascun atteggiamento problematico perché potrebbero concorrere nel far persistere o nell’esasperare le difficoltà riscontrate. Andrebbero
inoltre discusse le tecniche di gestione della classe utilizzate e il loro grado
di efficacia.
È obbligatorio raccogliere informazioni sulla qualità della performance scolastica del bambino e sullo status sociale. Alcuni bambini con DDAI potrebbero presentare deficit significativi nelle abilità scolastiche oltre a difficoltà
nel completamento dei compiti. Ovviamente in queste situazioni è necessaria una valutazione delle abilità scolastiche (per es., con misure basate sul
curricolo). Le osservazioni dell’insegnante sullo stile interattivo in situazioni
sociali e sull’accettazione da parte dei pari sono utili per determinare se sia
necessaria un’indagine più approfondita in questo ambito (per es., con un
test sociometrico). Molti bambini con DDAI avranno probabilmente pattern interattivi autoritari e aggressivi, generando così una scarsa accettazione
o un rifiuto esplicito da parte dei loro compagni di classe (Stormont, 2001). I
dati raccolti attraverso l’intervista agli insegnanti vengono utilizzati per individuare possibili deficit nelle abilità sociali che potrebbero diventare oggetto
di ulteriori esami e di trattamento e per identificare i contesti e/o i momenti
della giornata scolastica in cui queste difficoltà di interazione si verificano con
maggiore probabilità.
Analisi delle pagelle e dei registri scolastici. Le pagelle e i registri scolastici
dovrebbero essere analizzati per raccogliere informazioni utili sul momento
preciso in cui si sono manifestate per la prima volta le difficoltà associate
al DDAI e la loro evoluzione. Gli insegnanti, per esempio, tengono spesso
traccia della qualità del metodo di lavoro di un bambino e della condotta
registrandola sulle pagelle o nei registri. Non sorprende che la maggior parte
degli studenti con DDAI ottenga voti al di sotto della media in tutti i diversi
gradi di scuola. Questi voti al di sotto della media si accompagnano di solito
a giudizi in cui risultano evidenti una scarsa capacità di completare i compiti
61
DDAI a Scuola
assegnati, elevati livelli di irrequietezza o una tendenza a parlare troppo con i
compagni senza aver avuto il permesso.
È importante prendere nota della classe in cui si registrano per la prima volta
questi voti e questi giudizi per confrontarli con l’età di insorgenza del DDAI
riferita dai genitori.
Il School Archival Record Search (SARS; Walker, Block-Pedego, Todis & Severson, 1998) ha suggerito un approccio più strutturato all’analisi delle pagelle e dei registri scolastici. Il SARS fornisce infatti un modulo standardizzato
per la raccolta di informazioni relative a 11 variabili predittive per disturbi del
comportamento e/o per l’abbandono scolastico.
Queste variabili includono: il numero di scuole frequentate, i giorni di assenza, lo scarso rendimento, numero anni ripetuti più volte, note scolastiche
o di condotta, piani educativi individualizzati, inserimento in classi differenziali, inserimento in servizi di educazione speciale, invio a servizi territoriali,
giudizi sintetici negativi e problemi con la disciplina a scuola. Queste variabili
individuali portano all’identificazione di tre fattori Disfunzionalità, Necessità
di Assistenza e Scarso Rendimento. Walker e colleghi (1998) hanno fissato
dei punteggi limite per ciascuna variabile individuale e dei punteggi fattoriali
predittivi per le difficoltà scolastiche.
Come previsto, i bambini con disturbi del comportamento (presumibilmente anche quelli con DDAI) hanno maggiori probabilità di ottenere
punteggi positivi (al di sotto del limite) nei fattori Disfunzionalità e Scarso
Rendimento. Il vantaggio principale del SARS è che individua in maniera
standardizzata e strutturata le variabili chiave che fungono da predittori, fornendo così un resoconto affidabile della storia scolastica e comportamentale
dello studente.
Le interviste ai genitori. Si può condurre una breve intervista di circa 3540 minuti con i genitori dello studente sia di persona sia per telefono. È possibile porre alcune domande per raccogliere informazioni sul funzionamento
generale attuale e passato del bambino in diversi ambiti (per es., dati anamnestici) anche se sono altri gli interrogativi più importanti. Prima di tutto, è
necessario verificare la presenza e la frequenza di difficoltà del controllo del
comportamento a casa. È meglio porre queste domande tenendo a mente i
criteri del DSM per il DDAI e per i disturbi del comportamento a esso collegati (disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta). Inoltre, è
62
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
necessario accertarsi anche dell’eventuale presenza di sintomi di disturbi interiorizzati (per es., disturbo d’ansia) che potrebbero causare la disattenzione
e l’iperattività del bambino. Anche in questo caso passare in rassegna i criteri
del DSM sarà di grande aiuto nella diagnosi differenziale e nell’escludere altri
disturbi che potrebbero essere responsabili della manifestazione di sintomi
propri del DDAI.
Un altro ambito di discussione nell’intervista con i genitori è rappresentato dalle informazioni sui primi anni di sviluppo del bambino. È importante
individuare il momento preciso di insorgenza dei sintomi associati al DDAI
e raccogliere informazioni sulla loro persistenza nel tempo. Il comportamento che i bambini con DDAI manifestano nei primissimi anni dell’infanzia
è solitamente caratterizzato da un livello generale di attività molto alto e da
difficoltà di autocontrollo (DuPaul, McGoey, Eckert & VanBrakle, 2001). In
alcuni casi, tuttavia, tali atteggiamenti non vengono considerati problematici
fino al momento dell’ingresso a scuola ossia quando la richiesta di portare a
termine compiti e attività in autonomia aumenta.
Questo succede soprattutto con genitori che non hanno esperienza di altri
bambini (il bambino in valutazione è il loro primo bambino o il più grande) e/o che nutrono delle aspettative non realistiche sul comportamento del
bambino.
Una terza area di indagine riguarda la storia familiare del bambino con
specifica attenzione alla presenza di difficoltà comportamentali, emotive e di
apprendimento. Nonostante la discussione di queste problematiche possa rivelarsi imbarazzante sia per il genitore che per il professionista, è importante
condurla per due ragioni. Prima di tutto, perché le ricerche indicano con
chiarezza che il DDAI può avere delle componenti genetiche o di familiarità
(Faraone, 2000) e quindi ripresentarsi all’interno di una stessa famiglia nel
corso delle generazioni.
La presenza di DDAI nella famiglia aumenta la probabilità che il bambino in valutazione sia anche egli affetto da DDAI. Una seconda ragione è
rappresentata dal fatto che nel 27-32% dei casi, la mamma del bambino è
depressa o presenta una storia di depressione (Biederman et al., 1987). Nelle
famiglie dei bambini con DDAI è spesso riscontrabile anche una percentuale molto elevata di padri con comportamento antisociale (Lahey et al.,
1988). La presenza o meno di simili condizioni all’interno della famiglia
ha delle implicazioni dirette sul trattamento: è molto più probabile che gli
63
DDAI a Scuola
interventi a casa per il DDAI abbiano maggiore successo quando vengono
messi in atto dopo aver apportato dei miglioramenti nella psicopatologia
genitoriale e nei problemi di funzionamento familiare. Madri depresse di
bambini con disturbi del comportamento mostrano, per esempio, un grado
maggiore di insuccesso in risposta all’addestramento per la modificazione
di strategie comportamentali rispetto a madri non depresse (Patterson &
Chamberlain, 1994).
Scale di Valutazione completate dai genitori. Uno o entrambi i genitori
dovrebbero compilare una serie di questionari per stabilire la deviazione evolutiva dei comportamenti del bambino associati al DDAI e per stabilire la
pervasività dei problemi comportamentali.
A questo scopo, si possono utilizzare numerose scale di valutazione generali o “ad ampio spettro” che abbiano norme adeguate e proprietà psicometriche
consistenti (per una rassegna vedere Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998). I principali questionari in questo ambito sono il Child Behavior
Checklist (CBCL; Achenbach, 1991b), il Behavior Assessment System for Children (BASC, Reynolds & Kamphaus, 1992) e il Conners Parent Rating Scale
(CPRS, Conners, 1997).
Ciascuna di queste scale di valutazione ha dei pregi specifici che dovrebbero essere considerati al momento della scelta della misura da utilizzare.
Propriamente la CBCL e il BASC hanno un set di item molto ampio e coprono pertanto ampiamente i disturbi interiorizzati ed esteriorizzati. Questa
copertura ampia facilita la diagnosi differenziale perché si possono vagliare
tutte le ipotesi alternative (per es., la presenza di altri disturbi) che potrebbero
spiegare la presenza dei sintomi del DDAI. Dal momento che il set di item e
la struttura fattoriale delle versioni della CBCL per genitori e per insegnanti
sono piuttosto simili, si può effettuare una cross-valutazione e ricavarne una
percentuale di accordo.
Un grado elevato di accordo, tale da indicare la manifestazione degli stessi
sintomi in ambiti differenti, fra il giudizio degli insegnanti e quello dei genitori è un’informazione importantissima per una diagnosi di DDAI. A sua
volta, la CRS, per essere una scala breve, fornisce una copertura ampia dei
sintomi esteriorizzati. Quest’ultima può essere molto utile soprattutto in situazioni in cui i genitori siano riluttanti a passare molto tempo a completare
questionari.
64
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
In aggiunta a una di queste scale ad ampio spettro, i genitori dovrebbero
compilare due questionari “mirati” che contengano item specifici sui comportamenti associati al DDAI: la ADHD Rating Scale-IV e Home Situation Questionnaire (HSQ; Barkley, 1990). La ADHD Rating Scale-IV fornisce informazioni
sulla frequenza di manifestazione dei 18 sintomi a casa. Si conteggia il numero
di item valutati con le espressioni “piuttosto spesso” o “molto spesso”. I punteggi ai fattori Disattenzione e Iperattività-Impulsività viene paragonato alle norme per stabilire la deviazione evolutiva della sintomatologia del DDAI (DuPaul
et al., 1998). Le risposte dei genitori allo HSQ permettono di quantificare le
situazioni a casa in cui il bambino esibisce i comportamenti problematici.
Inoltre si valuta la gravità dei problemi comportamentali per ogni situazione su una scala Likert a 9 punti dove 1 sta per “lieve” e 9 per “grave”. La
versione revisionata dello HSQ (HSQ-R; DuPaul & Barkley, 1991) fornisce
informazioni più specifiche sulla pervasività dei problemi attentivi in diverse
situazioni casalinghe.
Pertanto, lo HSQ sarà di aiuto nel determinare la specificità situazionale e
la gravità dei problemi comportamentali, mentre la versione revisionata fornirà dati relativi alle stesse variabili ma per la disattenzione, particolarmente
utile se si sospetta che il bambino presenti il tipo con disattenzione predominante. Per esempio, è meno probabile che un bambino distratto in una o
due situazioni rientri nel tipo con disattenzione predominante rispetto a un
bambino che è invece disattento in numerose situazioni.
Molti bambini con sintomi di DDAI presentano anche difficoltà significative nel completare i compiti a casa e nel metodo di studio. Quando gli
insegnanti o i genitori riferiscono la presenza di queste difficoltà è necessario
esaminare ulteriormente quali aspetti relativi al completamento dei compiti
devono essere affrontati nella fase di intervento. Per prima cosa al genitore
si chiederà di completare le Homework Problem Checklist (Anesko, Shoiock,
Ramirez & Levine, 1987) o lo Homework Performance Questionnaire (Power,
Karustis & Habboushe, 2001).
Queste misure forniscono dati relativi alla frequenza e alla gravità dei problemi riscontrati nello svolgimento dei compiti a casa (per es., il bambino dice
di non avere compiti da fare, non li porta a termine). Le risposte dei genitori
a questi questionari possono portare a un’analisi successiva per individuare gli
ostacoli specifici che si presentano in ogni fase del processo di svolgimento dei
compiti a casa.
65
DDAI a Scuola
La Impairment Rating Scale (IRS, Fabiano et al., 1999) può essere utilizzata per stabilire il grado in cui i genitori ritengono che i sintomi del DDAI
siano la causa di compromissioni nel funzionamento. La IRS è composta da
sette item relativi a differenti ambiti di funzionamento (per es., le relazioni
del bambino con i pari) che potrebbero essere negativamente influenzati dai
sintomi del DDAI.
Le Scale di Valutazione completate dagli insegnanti. Come per i questionari completati dai genitori, sono disponibili numerose scale di valutazione
ben standardizzate ad ampio spettro che gli insegnanti possono completare. Le principali sono: il Teacher Report Form (TRF; Achenbach, 1991c),
il Behavior Assessment System for Children (BASC; Reynolds & Kamphaus,
1992), la Devereux Scale of Mental Disorders (Naglieri, LeBuffe & Pfeiffer,
1994) e la Conners Teachers Rating Scale (Conners, 1997). Come già precedentemente illustrato, queste misure ad ampio spettro presentano numerosi
vantaggi, inclusa l’ampia copertura di possibili aree problematiche e la presenza campioni standardizzati molto ampi che facilitano il confronto con le
norme per sesso e per età.
Bisognerebbe prendere in considerazione l’aggiunta di due o più misure
a queste scale ad ampio spettro. Se l’insegnante non dovesse ancora averlo
fatto nella fase di screening, bisognerebbe utilizzare una misura specifica per i
sintomi del DDAI: la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul et al., 1998) per determinare, nella prospettiva dell’insegnante, la frequenza dei comportamenti
associati al DDAI.
L’insegnante dovrebbe inoltre completare lo School Situations Questionnaire
(SSQ; Barkley, 1990) e/o lo School Situations Questionnaire-Revised (SSQ_R;
DuPaul & Barkley, 1992). Questi due questionari forniscono rispettivamente
informazioni sulla pervasività e sulla gravità dei problemi comportamentali e
attentivi.
In molti casi, gli studenti segnalati per una valutazione presentano anche
difficoltà scolastiche e problemi di relazioni sociali. Bisognerebbe pertanto
analizzare anche la percezione che l’insegnante ha di queste aree di funzionamento.
Sono disponibili una serie di questionari psicometricamente validi per la
valutazione delle abilità sociali, inclusi la Social Skills Rating Scale (Gresham
& Elliott, 1990) e la Walker-McConnell Scale of Social Competence and School
Adjustment (Walker & McConnell, 1998). Quando lo si ritiene opportuno
66
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
bisognerebbe integrare le considerazioni che l’insegnante fa sulla competenza
sociale con i dati raccolti da scale completate dai compagni di classe o dalla
somministrazione di un test sociometrico.
I giudizi dell’insegnante sulle difficoltà scolastiche possono essere ottenuti attraverso la somministrazione della Academic Performance Rating
Scale (DuPaul, Rapport & Perriello, 1991) o della Academic Competency
Evaluation Scale (DiPerna & Elliott, 2000). I punteggi alle scale appena
menzionate daranno indicazioni utili per effettuare eventuali indagini ulteriori sui deficit nelle abilità scolastiche. Infine, è disponibile una versione
per gli insegnanti della Impairment Rating Scale (IRS; Fabiano et al., 1999)
per determinare la percezione che l’insegnante ha della compromissione nel
funzionamento generale causata dai sintomi del DDAI. La IRS è composta
da item relativi a possibili compromissioni in aree di funzionamento prettamente scolastiche.
Osservazioni dirette del comportamento. I dati raccolti attraverso le interviste e le scale di valutazione presentano una serie di limiti, fra i quali la
distorsione introdotta dal soggetto che risponde alle domande o che completa
la scala di valutazione (Barkley, 1998).
Questi dati dovrebbero essere pertanto integrati attraverso un’analisi del
comportamento del bambino potenzialmente più libera da simili distorsioni.
Una delle metodologie migliori per raggiungere questo obiettivo è rappresentata dall’osservazione diretta del comportamento in diversi momenti e situazioni. In molti casi l’osservazione diretta condotta durante lo svolgimento
del lavoro autonomo sarà in grado di fornire le informazioni più rilevanti.
Di solito le sessioni osservative durano da 10 a 30 minuti e si ripetono per
diversi giorni per ottenere una frequenza comportamentale significativa ai fini
diagnostici. Inoltre, le osservazioni vengono condotte in diversi momenti della giornata scolastica (per es., nelle ore di matematica, di linguistica, ecc.),
all’interno della classe e in altri contesti come il cortile e la mensa. Le ultime
due situazioni permettono di osservare l’interazione sociale fra il bambino
esaminato e i propri coetanei.
E’ stata sviluppata una serie di sistemi di codifica dell’osservazione utilizzati per determinare la frequenza dei vari sintomi associati al DDAI nei
momenti di lavoro in classe (per una rassegna, vedere Barkley, 1998; Platzman
et al., 1992).
67
DDAI a Scuola
Questi sistemi sono: il ADHD Behavior Coding System (Sistema di Codifica dei Comportamenti del DDAI; Barkley, 1998; Barkley, Fischer, Newby
& Breen, 1988), lo Hyperactive Behavior Code (Sistema di Codifica del Comportamento Iperattivo; Jacob, O’Leary & Rosenblad, 1978), il Classroom Observation Code (Sistema di Codifica dell’Osservazione del Comportamento
in classe; Abikoff et al., 1977), il Behavior Observation of Students in Schools
(BOSS; Osservazione del Comportamento degli Studenti a Scuola; Shapiro,
1996) e il ADHD School Observation Code (ADHD SOC; Sistema di Codifica dell’Osservazione a Scuola del DDAI; Gadow, Sparfkin & Nolan, 1996).
Ciascuno di questi strumenti di codifica richiede che l’osservatore classifichi
i comportamenti secondo una serie di categorie (per es., comportamenti non
attinenti al compito, comportamenti di irrequietezza) utilizzando procedure
di registrazione degli intervalli di osservazione. Nella nostra ricerca utilizziamo
un sistema di osservazione (School Hybrid Observation Cose for Kids; Sistema
di Codifica Combinato per l’Osservazione dei Bambini a Scuola [SHOCK])
che unisce aspetti del BOSS e del ADHD SOC. L’Appendice 2.1 include una
descrizione delle categorie di codifica, un esempio di foglio per la registrazione delle osservazioni e un esempio del foglio riassuntivo delle osservazioni per
lo SHOCK.
Platzman e colleghi (1992) hanno analizzato tutte le varie metodologie
osservative sviluppate per la valutazione del DDAI e alcuni risultati di questa
indagine sono molto interessanti per i professionisti. Prima di tutto, hanno
riscontrato che le osservazioni condotte in classe fornivano dati che discriminavano meglio i bambini con DDAI dai loro coetanei sani rispetto a osservazioni condotte in ambito clinico.
Questo risultato conferma ulteriormente la necessità che i professionisti
che lavorano a scuola siano coinvolti nella valutazione del DDAI.
Secondo, hanno individuato tre categorie di comportamento in grado di discriminare con costanza campioni di bambini con DDAI da campioni di controllo: comportamenti non attinenti al compito, eccessivo livello di attività
grosso-motoria e risposte verbali negative (per es., rifiuto di obbedire a un
comando).
I sistemi osservativi che includono queste categorie di comportamenti
hanno maggiori probabilità di produrre dati rilevanti a livello diagnostico.
Terzo, hanno riscontrato che pochissimi studi includevano soggetti di sesso
femminile. Dal momento che le femmine con DDAI presentano comporta68
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
menti meno disfunzionali e aggressivi (Barkley, 1998), determinate categorie
osservative (per es., rifiuto a obbedire a un comando) potrebbero risultare
meno efficaci nel discriminare bambine con DDAI da quelle sane. I professionisti dovranno pertanto porre maggiore attenzione alle differenze nei
comportamenti non attinenti al compito quando valutano soggetti femminili
a rischio di DDAI.
Dal momento che per la maggior parte di questi sistemi di codifica mancano norme calcolate su campioni numericamente rappresentativi, il comportamento del bambino esaminato deve essere confrontato con quello di un
compagno di classe che gli insegnanti indicano come “tipico” o “nella media”.
In questo modo, ogni bambino verrà valutato sulla base di uno standard di
comportamento proprio della classe in cui è inserito.
Quando è possibile, le osservazioni dovrebbero essere condotte con la stessa frequenza anche da un’altra persona (un assistente) per assicurare livelli
adeguati di affidabilità interosservatore. Indipendentemente dal sistema di
codifica utilizzato, i due obiettivi di questa procedura sono: (1) stabilire la
frequenza dei comportamenti di disattenzione, impulsività e/o irrequietezza
rispetto ai compagni e (2) ottenere una stima delle frequenze che sia stabile
e il più possibile priva di distorsioni attraverso osservazioni ripetute in più
situazioni nello stesso contesto classe.
Oltre alla codifica del comportamento del bambino durante lo svolgimento di compiti, può risultare a volte utile raccogliere ulteriori dati osservativi. Si
potrebbero per esempio registrare i comportamenti degli insegnanti (per es.,
feedback, rimproveri o suggerimenti) antecedenti o conseguenti al comportamento mostrato dal bambino (Whalen, Henker & Dotemoto, 1981). Questi
dati cruciali per individuare eventuali atteggiamenti scatenanti sono quindi
importantissimi per la pianificazione del trattamento.
Nel corso dell’intervista con l’insegnante è possibile individuare i comportamenti dell’insegnante stesso o dei compagni da sottoporre a osservazione nella
fase successiva.
L’Appendice 2.2 include un esempio di sistema di codifica (adattato da
Saudargras & Creed, 1980) che include l’osservazione del comportamento
dell’insegnante. Normalmente, come illustrato nell’esempio di codifica della
Figura 2.2., i comportamenti dell’insegnante come le attenzioni positive o i
rimproveri vengono codificati negli intervalli di registrazione contemporanei
alle osservazioni del comportamento del bambino.
69
DDAI a Scuola
FIGURA 2.2. Foglio di codifica dell’osservazione per le interazioni insegnantestudente. Tratto da DDAI a Scuola (seconda edizione) di George J. DuPaul e
Gary Stoner. Copyright 2003. Guilford Press. La fotocopia di questo modulo è
consentita agli acquirenti del libro a uso puramente personale (per i dettagli vedere
la pagina sul copyright).
Fase ___________ Giorno_________
FOGLIO DI OSSERVAZIONE DELLE INTERAZIONI IN CLASSE
Osservatore_________
Rel?
SI
NO
Data_______________ Classe______________
Modulo Riassuntivo dei dati raccolti
Totale # degli intervalli osservati ___________
70
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
Queste registrazioni rendono possibile determinare la percentuale di intervalli osservativi in cui specifici comportamenti dell’insegnante e del bambino
si verificano in successione. Si potrebbe riscontrare, per esempio, che l’attenzione positiva dell’insegnante non segue quasi mai l’esibizione di comportamenti attinenti al compito, mentre i rimproveri sono quasi sempre successivi
ai comportamenti non attinenti al compito. In simili casi si può ipotizzare
che l’attenzione dell’insegnante rinforzi i comportamenti non attinenti al
compito piuttosto che quelli attinenti. Osservazioni come questa possono
immediatamente generare suggerimenti per la modifica degli atteggiamenti
dell’insegnante (per es., aumentare l’attenzione positiva quando il bambino
mostra comportamenti attinenti al compito).
Se si individuano difficoltà nelle relazioni sociali, bisognerebbe condurre un’osservazione del comportamento del bambino in situazioni attinenti.
Nell’Appendice 2.3 si fornisce un esempio di sistema osservativo idoneo per
determinare la frequenza di specifici comportamenti interpersonali (per es.,
aggressività, negatività e positività) in situazioni di gioco nel cortile o a mensa.
Anche il ADHD SOC si è rivelato utile nella raccolta di dati sulle interazioni
sociali al momento del pranzo o del gioco in cortile (Gadow et al., 1996). Di
solito, i bambini con DDAI hanno frequenze di comportamenti aggressivi
e negativi verso gli altri più alte della media (Barkley, 1998). Nella maggior
parte dei casi, invece, la frequenza dei comportamenti positivi non differisce
significativamente da quella dei loro coetanei (Stormont, 2001). I risultati di
queste osservazioni servono non solo per documentare la tipologia e la gravità
delle difficoltà relazionali, ma anche per individuare i target dell’intervento.
Valutazione della Performance Scolastica. Nonostante i bambini con
DDAI ottengano una performance nella media nei test di profitto individuali
tradizionali (vedere Barkley, DuPaul & McMurray, 1990), le loro prestazioni
quotidiane nelle attività in classe e nei compiti a casa sono spesso contrastanti
e inferiori a quelle dei loro compagni di classe (Barkley, 1998). È utile raccogliere delle misure dirette delle performance scolastiche prima dell’intervento
dal momento che cambiamenti in questo ambito possono essere considerati
uno degli esisti del trattamento socialmente più rilevanti. Il completamento
di un lavoro individuale assegnato in classe o a casa, l’accuratezza nel completamento, l’acquisizione di abilità insegnate a lezione e la presenza di capacità
organizzative sono tutti aspetti da includere nell’indagine.
71
DDAI a Scuola
Si dovrebbero calcolare le frequenze di completamento dei compiti assegnati e le percentuali di accuratezza. Per prima cosa, nelle sessioni di osservazione bisognerebbe calcolare la differenza fra il lavoro scritto completato (per
es., percentuale di item) e quello assegnato (ratio; DuPaul, Stoner & Jones,
1986) o la differenza nelle percentuali di completamento fra lo studente e i
compagni di classe. In secondo luogo, si calcola la percentuale di item portati
a termine correttamente (punteggio di efficienza scolastica; Rapport et al.,
1996) per determinare il livello di accuratezza. In molti casi, gli studenti con
DDAI portano a termine una minore quantità di lavoro e con minore accuratezza a causa dei loro problemi di disattenzione e/o superficialità. Questi
dati sono piuttosto facili da raccogliere in situazioni di osservazione in classe.
Anche gli insegnanti potrebbero raccogliere simili indicazioni sul completamento e sull’accuratezza nell’arco di 2-3 settimane, mentre è in corso la valutazione del DDAI. Si può chiedere anche ai genitori di fare la stessa cosa a
casa. Infine, gli item risultati problematici nella Homework Problem Checklist
possono essere utilizzati come target dell’intervento.
Raccogliere informazioni sull’apprendimento di abilità curricolari insegnate a lezione nel corso degli ultimi due anni (attraverso misure basate sul
curricolo [CBM]; Shinn, 1998) può essere molto utile. Prima di tutto, è possibile definire il livello di istruzione raggiunto dal bambino in ogni materia.
È probabile che le difficoltà di attenzione e di comportamento derivino dalla
frustrazione che il bambino prova ogni qual volta gli viene chiesto di eseguire
compiti che sono superiori alle sue capacità. Per dirla in un altro modo, è
possibile che la trasmissione dei contenuti e le richieste di lavoro individuale
assumano una connotazione più frustrante che istruttiva. Potrebbe invece anche verificarsi il contrario: le richieste sono troppo semplici (per es., relative a
materiale in cui il bambino ha un livello di padronanza altissimo) e pertanto
inducono disattenzione. In secondo luogo, dal momento che queste prove
sono brevi (2-3 minuti), si possono raccogliere questi dati ogni qual volta
che cambiano le istruzioni date al bambino, fornendo così indicazioni utili
sull’intervento applicato.
Infine, si può osservare regolarmente, per un breve periodo di tempo (2-3
settimane), l’organizzazione del banco del bambino (pulizia e ordine) e paragonarla con quella dei compagni (Atkins, Pelham & Licht, 1985). Gli insegnanti di bambini con DDAI lamentano spesso che questi hanno banchi
disorganizzati e caotici e che a causa di ciò perdono il materiale necessario
72
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
ai compiti se non i compiti stessi. In questo frangente si possono raccogliere
moltissime notizie utili per determinare l’origine delle difficoltà e per identificare il focus per l’intervento.
Fase III: Interpretazione dei risultati (Diagnosi/Classificazione)
Domande che guidano il processo di interpretazione
I risultati ottenuti vengono utilizzati per stabilire una diagnosi sulla base delle
seguenti domande:
1. Il bambino mostra un numero significativo di sintomi comportamentali
del DDAI secondo quanto riferito dai genitori e dagli insegnanti?
2. Il bambino manifesta questi comportamenti con una frequenza maggiore
di quella dei bambini della stessa età cronologica e dello stesso sesso?
3. A quale età sono iniziati questi comportamenti associati al DDAI e qual’ è
il loro grado di persistenza e pervasività?
4. Il funzionamento del bambino a scuola, a casa e/o con il gruppo dei pari è
significativamente compromesso?
5.Sono presenti altre problematiche (per es., disturbi dell’apprendimento)
o fattori (per es., insofferenza dell’insegnante a comportamenti vivaci)
che potrebbero rendere conto della richiesta di diagnosi per un probabile
DDAI?
Procedimento e Metodologie Interpretative
Le informazioni raccolte con le tecniche precedentemente descritte si possono utilizzare per rispondere alle domande appena elencate. Malgrado ogni
tecnica diagnostica abbia i propri limiti, l’utilizzo di un approccio multimodale ha il grande vantaggio di permettere il bilanciamento delle debolezze
di una metodologia con i punti di forza di un’altra. L’obiettivo prioritario è
quello di ottenere elementi trasversali sulla frequenza e sulla gravità dei sintomi associati al DDAI rispetto ai contesti e alle figure di riferimento e di
individuare le cause possibili di questi comportamenti. Se si raggiunge questo
obiettivo, si possono trarre delle conclusioni con un buon grado di sicurezza.
L’interpretazione dei dati valutativi viene discussa in relazione a ciascuna delle
domande a cui bisogna rispondere.
73
DDAI a Scuola
Numero di sintomi del DDAI. Il numero di sintomi del DDAI si determina sulla base delle interviste condotte con i genitori e gli insegnanti e dei
punteggi ottenuti alle scale di valutazione. Se ogni figura di riferimento, nel
corso delle interviste, riferisce sei o più sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività, la significatività diagnostica in base ai criteri del DSM-IV
(Associazione Americana di Psichiatria, 1994) per uno dei tre tipi di DDAI è
piuttosto elevata. In particolare, per una diagnosi di DDAI/Tipo combinato
il bambino dovrebbe presentare almeno sei dei nove sintomi di disattenzione
e sei dei nove sintomi di iperattività-impulsività (vedere Tabella 2.1).
Per una diagnosi di DDAI/Tipo con disattenzione predominante il bambino dovrebbe manifestare sei dei nove sintomi di disattenzione con un massimo di cinque comportamenti iperattivi-impulsivi. Infine, per una diagnosi di
DDAI/Tipo con iperattività-impulsività predominanti il bambino dovrebbe
esibire sei dei nove sintomi iperattivi-impulsivi e al massimo cinque sintomi di
disattenzione.
Frequenza dei comportamenti associati al DDAI. Tutti i questionari che i
genitori e gli insegnanti completano contengono almeno un fattore legato al
DDAI (per es., “Problemi di attenzione”, “Iperattività” oppure “Irrequietezza”). Se il punteggio del bambino esaminato in uno di questi fattori è superiore a due deviazioni standard dalla media per sesso e per età cronologica è da
considerarsi significativo a livello diagnostico (Barkley, 1998). I punteggi su
questi stessi fattori che sono superiori alla media di 1.5.-2 deviazioni standard
sono considerati all’interno del margine significativo per il DDAI. Pertanto,
bambini che nei fattori del DDAI hanno punteggi superiori del 2-7% alla
media per età e sesso possono ricevere una diagnosi di DDAI (a seconda degli
altri risultati ottenuti).
Nel valutare la significatività dei punteggi è sempre importante tenere conto dell’etnia del bambino. I giudizi degli insegnanti e dei genitori sui sintomi
del DDAI potrebbero variare per gruppi etnici diversi: i bambini afro-americani di solito ottengono punteggi molto più elevati dei bambini bianchi americani e degli ispano-americani (DuPaul, et al., 1998; Reid, DuPaul, Power,
Anastopoulos & Riccio, 1998). Le differenze fra gruppi etnici permangono
anche quando si rimuovono statisticamente gli effetti dovuti allo status socioeconomico che dovrebbero includerle. Queste potrebbero portare a una
percentuale maggiore di bambini afro-americani con DDAI. I professionisti
74
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
devono essere perciò molto cauti nella diagnosi di bambini di etnie diverse
e affidarsi ancora di più a misurazioni multimodali. Inoltre, è obbligatorio
utilizzare scale di valutazione che abbiano norme standardizzate sulla popolazione statunitense di diversa etnia.
I dati osservativi vengono utilizzati per calcolare la frequenza dei comportamenti, confrontandoli con i compagni di classe. Se si raccoglie un campione di osservazioni piuttosto ampio, la differenza fra le frequenze del bambino esaminato e quelle dei compagni può essere calcolata statisticamente con
un t-test. Il bambino con DDAI dovrebbe mostrare frequenze notevolmente
maggiori di comportamenti di disattenzione, iperattività e/o impulsività. Se
le frequenze dovessero invece risultare simili bisognerà allora muoversi su altre
direzioni (analizzare, per esempio, le metodologie di gestione del comportamenti degli studenti in classe).
Età di insorgenza e persistenza. L’età di insorgenza si conosce nel corso
dell’intervista con i genitori. Di solito l’età indicata coincide con l’inizio della scuola (scuola materna o primo anno delle elementari) se non prima. La
persistenza dei sintomi nel corso dei diversi anni scolastici e nel tempo può
essere confermata dall’analisi delle pagelle e dei registri. L’età di insorgenza del
DDAI deve essere antecedente ai 7 anni (Associazione Americana di Psichiatria, 2000) e la sintomatologia deve verificarsi su base quotidiana per un anno
almeno (Barkley, 1998). Bisogna sottolineare che i 7 anni non sono stati scelti
in seguito a indagini empiriche e sarebbe quindi meglio utilizzare un criterio
di “insorgenza nell’infanzia” (prima dei 18 anni) come si fa per il disturbo
della condotta (Barkley e Biederman, 1997). Indagini longitudinali hanno
rilevato molto frequentemente che i sintomi iniziano di solito prestissimo e
che, in molti casi, perdurano per tutta la vita (Barkley, Fischer et al., 1990;
Biederman et al., 1996).
In alcune circostanze i sintomi del DDAI non diventeranno problematici
fino alla quarta o quinta elementare. Questo è spesso il caso di bambini particolarmente “intelligenti” che riescono a “compensare” nei primi anni di scuola le loro difficoltà nella regolazione del comportamento e che poi cominciano
ad avere problemi mano a mano che aumenta la richiesta di lavoro autonomo.
A loro volta, studenti con problemi scolastici potrebbero manifestare sintomi
simili a quelli del DDAI a causa delle continue frustrazioni che ricevono nel
setting educativo. In questo caso, non ci sarà ovviamente nessuna diagnosi di
75
DDAI a Scuola
DDAI e l’intervento avrà quindi come focus primario i deficit nelle abilità
scolastiche o il disturbo dell’apprendimento in oggetto (Barkley, 1998).
I problemi comportamentali si verificano in situazioni e contesti differenti
(pervasività). In generale i criteri per il DDAI vengono soddisfatti se i genitori
e gli insegnanti riferiscono entrambi numerosi sintomi del DDAI sia a casa
che a scuola. La pervasività dei comportamenti di disattenzione e/o di problemi nella condotta in ambienti scolastici e a casa si determina utilizzando
le versioni revisionate dello HSQ e dello SSQ. Se i problemi di disattenzione
e/o di condotta si verificano nel 50% o più delle situazioni indicate allora il
risultato è significativo (Barkley, 1990). Inoltre, se i punteggi a queste scale
presentano una deviazione standard di 1.5-2 superiore alla media della norma
l’aderenza al criterio è ancora maggiore (vedere Barkley, 1990).
Nel caso in cui si rilevano numerosi e significativi sintomi del DDAI a casa
e a scuola, si può affermare con una certa sicurezza che variabili interne al
bambino (ossia la presenza di un DDAI) spiegano le difficoltà di controllo del
comportamento. Se invece le valutazioni dei genitori e degli insegnanti non
sono coerenti fra loro, il grado di sicurezza diminuisce. Di solito si da una valenza maggiore alle valutazioni degli insegnanti dal momento che la scuola è il
contesto in cui la maggior parte dei bambini con DDAI manifesta le difficoltà
più grandi e dal momento che gli insegnanti hanno maggiore esperienza di
bambini all’interno di una stessa fascia di età.
Compromissione funzionale. La gravità della compromissione nel funzionamento scolastico, sociale ed emotivo del bambino si determina analizzando
tutti i risultati ottenuti. Le compromissioni più frequenti per i bambini con
DDAI includono il rendimento scolastico sotto la media e una scarsa accettazione da parte del gruppo dei pari (Associazione Americana di Psichiatria,
2000; Barkley, 1998). Pertanto, ci si aspetta di trovare nei dati osservativi e
nelle scale di valutazione completate dagli insegnanti che un bambino affetto
da DDAI completi un numero minore di compiti e con minore accuratezza
rispetto ai compagni. Inoltre, i punteggi dei bambini a scale di competenza
sociale e di relazione dovrebbero essere sotto la media per età e sesso. I dati
osservativi potrebbero confermare questi punteggi rilevando la presenza di
numerosi comportamenti aggressivi in cortile o l’esclusione volontaria da parte dei pari nei momenti di gioco libero.
76
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
Esistono altre cause possibili che spiegano i sintomi associati al DDAI. La
diagnosi di DDAI si raggiunge di norma stabilendo la deviazione evolutiva
dalla media e la pervasività dei sintomi. Allo stesso tempo è molto importante
vagliare tutte le possibili cause alternative per la disattenzione, l’impulsività e
l’irrequietezza motoria del bambino. Una possibilità è quella che i comportamenti siano dovuti a frustrazioni causate dalle difficoltà scolastiche del bambino. Questo è per esempio il caso di bambini che iniziano a esibire sintomi di
DDAI dopo diversi anni di difficoltà nell’apprendimento o solo al momento
di assegnazioni scolastiche nelle materie in cui riesce peggio. Se invece i sintomi di DDAI sono iniziati molto presto e sono pervasivi, si potrebbe essere in
presenza di un DDAI associato a un disturbo dell’apprendimento (vedere il
Capitolo 3 per ulteriori dettagli).
Un’altra possibilità è che il bambino abbia difficoltà emotive o di adattamento che causano disattenzione, impulsività e/o irrequietezza. In questi casi,
i dati delle interviste e delle scale di valutazione dovrebbero contenere indicazioni significative della presenza di un altro disturbo (per es., disturbo d’ansia,
della condotta) o di situazioni ambientali difficili (per es., una separazione dei
genitori) in aggiunta o al posto dei sintomi del DDAI. Inoltre, i sintomi di un
eventuale disturbo emotivo dovrebbero precedere per età di insorgenza quelli
del DDAI. I sintomi del DDAI saranno in questo caso recenti e non pervasivi
o persistenti. Nel caso di difficoltà di adattamento saremo in presenza di una
sintomatologia che può essere conseguente a uno specifico evento o serie di
eventi rilevanti per il bambino o la famiglia. Il professionista deve tenere in
considerazione le linee guida per la diagnosi differenziale in base al DSM-IV
(vedere anche Anastopoulos & Shelton, 2001).
Scarse o cattive istruzioni o metodologie inefficaci di gestione della classe sono altre cause possibili di apparenti sintomi di DDAI. Questa ipotesi
andrebbe tenuta in considerazione ogni qual volta i dati raccolti presentano
incongruenze fra le fonti e fra i contesti considerati – per esempio, esiste
un disaccordo fra i genitori e gli insegnanti sulla gravità e la frequenza dei
sintomi. Questo è particolarmente vero nei casi di disaccordo fra insegnanti
della stessa classe. Se questi sintomi vengono riferiti da un solo insegnante
in assenza di una storia di difficoltà tipiche associate al DDAI e di altri dati
a favore di una diagnosi, allora è necessario indagare le metodologie di insegnamento e in particolare le istruzioni e la gestione della classe. In questo
caso i problemi non derivano da variabili interne al bambino (ossia dalla
77
DDAI a Scuola
presenza di un DDAI) ma da cattive pratiche di insegnamento che devono
essere modificate.
Non appena si è raggiunta una diagnosi, si devono comunicare i risultati
e i suggerimenti per il trattamento agli insegnanti e ai genitori del bambino e
anche a tutti i professionisti dei servizi territoriali che lavorano con il bambino
(per es., il pediatra). Di solito è bene stilare una relazione scritta e commentare oralmente i risultati e i suggerimenti con i genitori e con il personale scolastico che seguirà il bambino. Nel Capitolo 8 verranno discusse con maggiore
accuratezza le problematiche e le procedure di comunicazione dei risultati
della diagnosi.
Fase IV: pianificazione dell’intervento
Domande che guidano la pianificazione dell’intervento
Bisognerebbe rispondere alle seguenti domande quando si pianifica un intervento per i bambini con DDAI:
1. Che scopo hanno i comportamenti del bambino associati al DDAI?
2. Quali sono i punti di forza e di debolezza dello studente (per es., motivazione e competenze specifiche)?
3. Quali sono gli obiettivi comportamentali dell’intervento?
4. Quali sono le migliori strategie di intervento?
5. Quali altre risorse sono disponibili per affrontare le difficoltà del bambino
associate al DDAI?
Procedure di pianificazione dell’intervento
Il processo di valutazione non si conclude con la diagnosi, dal momento
che questa è solo uno dei passi per definire quali strategie di intervento abbiano la maggiore probabilità di dare esiti positivi. Pertanto, i dati raccolti
servono a generare un trattamento appropriato. Le strategie di intervento per
il DDAI che hanno un maggiore supporto scientifico e di ricerca sono: il
trattamento con farmaci psicostimolanti (quali la Ritalina) e le tecniche di
modificazione del comportamento (Barkley, 1998; MTA Cooperative Group,
1999; Pelham, Wheeler & Chronis, 1998).
Gli interventi sul DDAI hanno lo scopo principale di modificare determinati comportamenti target relativi a competenze scolastiche e sociali. Dal
78
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
momento che, per definizione, i sintomi del DDAI si verificano in contesti
diversi, le strategie di intervento devono essere stabilite per figure di riferimento multiple. Anche se uno dei principali obiettivi del trattamento è ridurre la frequenza dei comportamenti associati al DDAI (per es., la disattenzione
al compito) il focus principale deve essere accrescere le competenze in una
serie di aree e migliorare l’adattamento comportamentale, scolastico e sociale
del bambino. Pertanto i comportamenti target saranno quelli che dovrebbero
diventare più frequenti in seguito all’applicazione dell’intervento: completamento di lavoro autonomo, compliance alle direttive dell’insegnante, accuratezza nell’esecuzione di attività scolastiche e interazione positiva con i pari.
Gli obiettivi dell’intervento devono essere stabiliti per il singolo studente in
funzione delle informazioni raccolte nel corso delle osservazioni del comportamento in classe e dei giudizi dati dai genitori e dagli insegnanti. I risultati
del processo di valutazione serviranno anche a individuare le competenze già
presenti (per es., buone relazioni sociali con i pari) che saranno di aiuto nel
ridurre le difficoltà del bambino. I primi target dell’intervento saranno i comportamenti positivi che si verificano raramente e quelli ritenuti cruciali per un
migliore funzionamento scolastico.
Nella scelta delle strategie di intervento più appropriate al singolo bambino
bisogna tenere in considerazione numerosi fattori. Bisognerebbe prima di tutto classificare la gravità del DDAI su una scala a quattro valori (limite, lieve,
moderato, grave) in funzione del numero di sintomi riscontrati con la ADHD
Rating Scale-IV e la gravità della compromissione funzionale (Associazione
Americana di Psichiatria, 2000). Più gravi sono i sintomi più sarà necessario
l’invio a un medico per iniziare un trattamento con farmaci psicostimolanti.
In generale, la strategia di intervento è una terapia comportamentale che prevede la modificazione degli antecedenti e dei conseguenti e/o l’applicazione di
tecniche di rinforzo positivo per accrescere l’attenzione al compito e il completamento del lavoro assegnato (DuPaul & Stoner, 2002; DuPaul, Stoner &
O’Reilly, 2002). I risultati delle osservazioni forniranno i dati di partenza e
aiuteranno a identificare gli eventi antecedenti e conseguenti da manipolare
nel corso dell’intervento.
Esiste un altro fattore importante da tenere in considerazione nella progettazione di un intervento psicosociale, precisamente lo scopo dei comportamenti associati al DDAI (DuPaul & Ervin, 1996; vedere anche il Capitolo
5 per maggiori dettagli). Lo scopo più plausibile è quello di evitare o sfuggire
79
DDAI a Scuola
compiti faticosi, per esempio attività autonome da eseguire seduti in classe
o a casa. Un secondo possibile scopo è attirare l’attenzione degli adulti o dei
pari. Alcuni eventi che più frequentemente seguono un comportamento tipico del DDAI sono il rimprovero verbale dell’insegnante e le reazioni verbali
(risatine) e non verbali (sorrisetti) dei compagni di classe. Un ulteriore scopo
ipotizzabile è quello di svolgere un’attività più gratificante rispetto a quella
proposta. Un esempio è il bambino che, in seguito a una richiesta di risolvere
seduto al banco una serie di esercizi di matematica, inizia a giocare con un
oggetto che tiene sul banco. Infine i comportamenti associati al DDAI permettono di sperimentare sensazioni positive (per es., sognare a occhi aperti).
La specifica funzione operativa del comportamento di un bambino nel
contesto della classe può essere determinata con valutazioni descrittive, analisi
sperimentali o entrambe (Gresham, Watson & Skinner, 2001; Nelson, Roberts & Smith, 1998). Di solito, per sviluppare ipotesi di lavoro sulla funzione di
un particolare comportamento si utilizzano i contenuti delle interviste degli
insegnanti e quelli delle osservazioni dirette. Molto raramente si conducono
in classe analisi sperimentali complete (Ervin, Ehrhardt & Poling, 2001). L’intervento avrà quindi lo scopo di incoraggiare un comportamento equivalente
nella funzione (in relazione allo scopo ipotizzato) attraverso la modificazione
delle condizioni antecedenti e/o conseguenti (vedere Capitolo 5).
Oltre allo scopo del comportamento vengono identificati i contesti specifici in cui devono essere messe in atto le strategie di intervento sulla base dei
dati osservativi o di un diagramma di dispersione (Touchette, MacDonald
& Langer, 1985) che mostra se, per esempio, lo studente con DDAI presenta una frequenza più bassa di comportamenti desiderabili nella situazione
classe rispetto alla situazione cortile. Inoltre, i punteggi di attenzione e di
completamento del compito potrebbero variare nelle diverse materie. L’intervento iniziale dovrebbe incentrarsi sulle istruzioni e sul completamento di
quei compiti in cui si evidenziano le maggiori difficoltà e solo sulla situazione
classe. Mano a mano che si riscontrano dei progressi, i comportamenti target
possono essere estensi ad altre materie e ad altri contesti.
Un terzo fattore da considerare nello sviluppo di strategie di intervento è
la presenza di altri disturbi del comportamento o dell’apprendimento. Molti bambini con DDAI, per esempio, mostrano comportamenti oppositivi in
risposta alle richieste di una figura autoritaria (Associazione Americana di
Psichiatria, 2000). In questo caso i comportamenti aggressivi e di ribellione
80
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
diventeranno un target ulteriore del programma di intervento in classe. Potrebbe essere utile inviare il bambino ai servizi territoriali competenti (per es.,
la neuropsichiatria infantile) affinché i genitori possano ricevere delle indicazioni utili sulle modalità di gestione dei comportamenti a casa.
Un’ulteriore considerazione riguarda la risposta del bambino ad altri eventuali interventi precedenti. Se, per esempio, è stato già applicato un programma comportamentale all’interno di una classe normale, ma il bambino continua a manifestare un’elevata frequenza di comportamenti associati al DDAI,
è bene suggerire altre strategie di intervento (per es., il trattamento farmacologico con psicostimolanti o l’inserimento in classi di educazione speciale).
Come per la maggior parte dei bambini con bisogni particolari, la preferenza
va a trattamenti e contesti di intervento che sono il meno restrittivi possibile.
La maggior parte dei bambini con DDAI viene inserita in classi normali (Pastor & Reuben, 2002; Pfiffner & Barkley, 1998). Pertanto, la resistenza dei
comportamenti a interventi precedenti dovrebbe essere il criterio principale
per stabilire se i problemi del singolo bambino sono talmente gravi da richiedere l’invio a una classe speciale (Gresham, 1991; vedere anche il Capitolo 3
per una discussione più approfondita sull’argomento).
Un ultimo fattore da considerare è la disponibilità di risorse sul territorio. Questa disponibilità permetterà, per esempio, di considerare un eventuale
invio a un servizio di neuropsichiatria infantile o un intervento domiciliare.
Quando i genitori e gli insegnanti sono entrambi attivamente coinvolti nel
trattamento (mettendo in atto strategie di modificazione del comportamento)
le probabilità di successo sono maggiori. Pertanto, se ci sono servizi territoriali i
genitori saranno inviati lì per ricevere un training specifico su queste strategie.
Fase V: Valutazione dell’intervento
Domande che guidano la valutazione dell’intervento
Una volta che l’intervento è stato progettato e applicato si conduce una verifica in itinere che deve rispondere alle seguenti domande:
1.Si stanno verificando dei cambiamenti nei comportamenti target e nei
comportamenti a essi associati?
2. I cambiamenti ascrivibili all’intervento sono significativi a livello sociale e
clinico?
3. I comportamenti target si sono normalizzati?
81
DDAI a Scuola
Verifica del processo di intervento
La valutazione del bambino con DDAI non si conclude con la diagnosi,
ma continua con l’applicazione delle strategie di intervento e la verifica in itinere. In questo contesto i risultati delle indagini iniziali, dopo aver contribuito
al raggiungimento di una diagnosi, diventano la baseline di riferimento pretrattamento per valutare l’efficacia degli interventi. Se questi dati valutativi
non venissero raccolti all’inizio, non si potrebbe mai essere sicuri dell’efficacia
dell’intervento o dell’eventuale necessità di apportarvi delle modifiche in corso d’opera. Per valutare l’entità dei cambiamenti nei comportamenti target
dell’intervento si dovrebbe utilizzare un disegno su soggetti singoli (DuPaul
& Stoner, 2002; Morgan & Morgan, 2001). Si possono avere maggiori dettagli nell’applicazione di questo modello consultando i numerosi testi sull’argomento (per esempio, Hersen & Barlow, 1982; Kazdin, 1992).
Durante tutto l’intervento, lo studente è “controllo” di sè stesso e il cambiamento comportamentale si valuta in base al confronto con la baseline e le
condizioni di non-intervento. Questa metodologia richiede la raccolta continuativa di dati valutativi, in momenti distinti dell’intervento, in situazioni
diverse e con figure di riferimento differenti. Inoltre, si verifica l’integrità dell’intervento (la compliance alle indicazioni di trattamento da parte di chi lo
implementa) per assicurarne la correttezza. Se l’intervento è applicato secondo le direttive stabilite e si verificano cambiamenti comportamentali, allora si
può dedurre che l’intervento stia dando i risultati previsti. Altrimenti, vanno
apportate delle modifiche al trattamento stesso o al modo in cui esso viene
messo in atto dai genitori o dagli insegnanti. Pertanto, la verifica in itinere
ha un’importanza cruciale ai fini dell’intervento stesso ed esiste un legame
inesorabile fra di essi.
Metodologie di Verifica dell’Intervento
Nella maggior parte delle situazioni si utilizzano tecniche specifiche, come
l’osservazione diretta della performance scolastica e della condotta, per stabilire l’entità del cambiamento comportamentale ascrivibile al trattamento. Tali
dati concorrono a stabilire se si stiano verificando o meno dei cambiamenti
come previsto in seguito all’applicazione dell’intervento. Si raccolgono, per
esempio, osservazioni giornaliere o settimanali all’interno di un disegno con
interruzione del trattamento o baseline multiple in contesti diversi (ABA).
82
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
Cambiamenti nella media, nell’intercetta, nell’andamento dei dati vengono
utilizzati per stabilire se l’intervento ha portato a un aumento dell’attenzione
al compito, della compliance con le regole della classe e del rendimento scolastico in termini di produttività e accuratezza (vedere il Capitolo 5 per un
esempio specifico di verifica di un intervento in classe). Qualche volta si calcola la percentuale di accordo interosservatore con le osservazioni condotte da
un assistente o da un insegnante o da un altro osservatore. La percentuale di
accordo interosservatore andrebbe calcolata più volte nel corso del trattamento per garantire l’affidabilità dell’osservazione e dei dati raccolti.
Si utilizzano numerose altre metodologie per accertare se si sia verificato un cambiamento affidabile in funzione dell’intervento. Prima di tutto, si
raccolgono i punteggi ottenuti alle scale CBCL, BASC o Conners compilate
dagli insegnanti in diversi momenti: all’inizio, durante il trattamento, ritorno
alla baseline (se possibile) e dopo circa 1 mese dalla fine dell’intervento. In
genere, questi dati andrebbero raccolti almeno una volta per ogni fase del trattamento. Anche se esistono dei dati raccolti durante la fase di valutazione, è
importante raccoglierli un’altra volta prima di iniziare il trattamento dal momento che per queste misure sono stati rilevati “effetti dovuti all’allenamento”
(Barkley, 1998). Una seconda rilevazione che funga da baseline ridurrà il rischio di attribuire al trattamento cambiamenti che sono invece dovuti solo ad
artefatti di regressione. Scale di valutazione con pochi item, come la ADHD
Rating Scale-IV o la APRS, possono essere somministrate tutte le settimane in
tutte le fasi del trattamento. Di solito, si paragona la media delle valutazioni
date dagli insegnanti fase per fase per stabilire se l’insegnante percepisce o
meno dei miglioramenti nella performance scolastica e comportamentale in
seguito all’intervento.
Una seconda componente da verificare per documentare il cambiamento
dovuto all’intervento è l’aderenza alle direttive stabilite per l’applicazione dell’intervento (Gresham, 1989; Hayes, Barlow & Nelson-Gray, 1999; Peterson,
Homer & Wonderlich, 1982). Se si devono valutare gli effetti del trattamento
farmacologico si contano le pillole assunte settimanalmente per verificare che
il medicinale venga assunto con regolarità. Se, invece, l’intervento (per es.,
un sistema token reinforcement in classe) viene applicato dall’insegnante o dal
genitore, è più complesso stabilirne l’integrità. Si dovrebbe osservare il comportamento dell’insegnante in varie occasioni nel corso del trattamento per
definire se l’intervento viene messo in atto come da indicazioni. Ovviamente
83
DDAI a Scuola
non è possibile verificare l’integrità del trattamento in momenti in cui non è
presente alcun osservatore. In questo caso, si forniscono all’insegnante delle
checklist con le varie componenti dell’intervento. L’insegnante dovrebbe completare la checklist mano a mano che applica determinate parti dell’intervento.
Il completamento di queste checklist favorisce la compliance all’intervento da
parte di chi lo mette in atto. Le checklist possono essere compilate anche da
qualcuno che non sia l’agente principale dell’intervento (per es., da un assistente presente in classe). Un’altra possibilità è quella di registrare gli interventi
per supervisionarli in seguito e valutarne l’integrità (Power, DuPaul, Shapiro
& Kazak, 2003). Senza queste verifiche quantomeno occasionali non si può
essere sicuri che esso venga applicato nel modo in cui è stato progettato.
Anche se è importante dimostrare che l’intervento ha causato dei cambiamenti significativi nel comportamento dello studente, è anche cruciale stabilire se questi cambiamenti siano rilevanti a livello sociale e clinico. Per esempio,
si potrebbe registrare un incremento significativo, dal 50 al 65%, nelle percentuali di comportamenti attinenti al compito durante il lavoro autonomo,
ma la realtà è che il ragazzo continua a manifestare numerosi comportamenti
non attinenti al compito e non è più produttivo a livello scolastico. Interventi
che portano a cambiamenti che non hanno un impatto significativo sulla
performance scolastica dello studente vengono solitamente abbandonati molto
presto dagli insegnanti del bambino.
La significatività a livello clinico e la validità sociale del cambiamento può
essere valutata in diversi modi (per i dettagli vedere Kazdin, 2000; Schwartz
& Baer, 1991). Prima di tutto, il bambino, i genitori e gli insegnanti dovrebbero compilare delle scale di consumer satisfaction nel corso e alla fine del
trattamento. In questo modo, si possono raccogliere informazioni sul punto
di vista che ciascun partecipante ha su specifiche componenti del piano di
intervento. Un’altra tecnica è far compilare all’insegnante delle scale che valutano l’accettabilità di diverse metodologie (per una rassegna vedere Finn &
Sladeczek, 2001). L’accettabilità di un trattamento può essere appurata prima
dell’applicazione e può essere di aiuto nella fase di progettazione del piano di
intervento (Bergan & Kratochwill, 1990).
Una terza maniera per stabilire la significatività clinica di un risultato è
esaminare se il trattamento ha provocato una “normalizzazione” del comportamento. Detta diversamente, l’intervento ha portato a un incremento nello
span di attenzione dello studente, nella resa scolastica e a miglioramenti negli
84
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
atteggiamenti sociali al punto che la performance e i comportamenti in classe
sono diventati in tutto e per tutto simili a quelli dei compagni? Questa indicazione si può ottenere raccogliendo dati concorrenti su uno o più compagni di
classe in diversi momenti del trattamento. In questo modo, si può paragonare
la performance del bambino direttamente con quella dei coetanei normali.
Se considerazioni etiche o pratiche impediscono la valutazione dei compagni
di classe, si possono utilizzare numerose procedure statistiche per stabilire se
questo cambiamento significativo a livello clinico si sia verificato oppure no.
Per esempio, se sono disponibili le norme per una specifica misura, si può calcolare un indice di cambiamento con caratteristiche di affidabilità (Jacobsen
& Truax, 1991) per definire se il trattamento abbia causato miglioramenti
statisticamente affidabili. Inoltre, Jacobsen e Truax (1991) hanno suggerito diverse formule per calcolare se si è verificata una normalizzazione della
performance. Hanno, per esempio, riscontrato che il metilfenidato (Ritalina)
“normalizza” i comportamenti di attenzione al compito e la resa scolastica
di una grande percentuale di bambini con DDAI che avevano partecipato a
una prova di trattamento farmacologico per 6 settimane (DuPaul & Rapport,
1993; vedere il Capitolo 6 per i dettagli). Nonostante la normalizzazione della
performance rispetto alla classe non sia sempre possibile, è uno degli aspetti
più importanti nel considerare di valore un esito del trattamento.
CONSIDERAZIONI EVOLUTIVE NELLA VALUTAZIONE DEL DDAI
Ci sono dei fattori evolutivi, a seconda che il soggetto sia un bambino di
scuola materna o un adolescente, che possono in qualche modo alterare il
contenuto e l’andamento del processo di valutazione del DDAI (Anastopoulos & Shelton, 2001). Affronteremo le problematiche relative alla valutazione
di bambini in età prescolare nel Capitolo 4. Per quanto riguarda la valutazione
del DDAI negli adolescenti esistono diverse ragioni per introdurre modifiche
nelle procedure valutative utilizzate con i bambini. Prima di tutto, il funzionamento globale dell’adolescente con DDAI potrebbe essere maggiormente
compromesso, dato il rischio maggiore di riscontrare un disturbo della condotta o di personalità antisociale (Barkley, Fischer et al., 1990; Biederman et
al., 1996) e insuccesso scolastico (Barkley, Fischer et al., 1990; Mannuzza,
Gittelman-Klein, Bessler, Malloy & LaPadula, 1993). Inoltre, diverse ricerche empiriche hanno indicato una frequenza maggiore di abuso di sostanze
85
DDAI a Scuola
(Biederman et al., 1997) fra gli adolescenti con DDAI, soprattutto se sono
presenti anche comportamenti antisociali (per es., furti, vandalismo). Pertanto, in aggiunta alle difficoltà principali del DDAI gli adolescenti con questo
disturbo potrebbero presentare una varietà di disturbi comportamentali e/o
emotivi e sono quindi necessarie procedure specifiche per queste difficoltà
associate.
Nella valutazione di un adolescente a rischio di DDAI è molto importante ottenere una storia affidabile dei problemi comportamentali dal momento
che, per definizione, i sintomi del DDAI dovrebbero evidenziarsi prima dei 7
anni. Dal momento che l’affidabilità delle informazioni storiche fornite dai
genitori è di solito piuttosto bassa, anche in caso di bambini molto piccoli, bisognerebbe fare attenzione a ottenere “controlli d’affidabilità” sui resoconti dei
genitori (Cantwell, 1986). Una fonte possibile sono le pagelle e i registri scolastici; precedenti valutazioni psicologiche e la storia disciplinare del ragazzo.
Un terzo fattore da considerare è l’informazione data dagli studenti stessi.
Si può raccogliere la percezione che l’adolescente ha del proprio attuale livello
di adattamento in aggiunta a quella dei genitori. I self-report compilati dagli
adolescenti mostrano un elevato grado di correlazione con le valutazioni genitoriali (Gittelman et al., 1985), anche se questo risultato non è stabile in
tutti gli studi condotti (Barkley, Fischer et al., 2002). Indipendentemente
dalla relazione fra i self-report e altre misure, i primi possono fornire informazioni critiche (per es., la presenza di sintomi depressivi) non disponibili
con altre metodologie valutative. Inoltre, gli adolescenti saranno più probabilmente d’accordo con i risultati di un processo valutativo in cui è stata data
importanza alla loro opinione e potrebbero quindi partecipare con maggiore
motivazione al piano di intervento (DuPaul, Guevremont & Barkley, 1991).
Pertanto, il cambiamento principale nella valutazione multimodale di un adolescente con probabile DDAI è rappresentato dall’inserimento di self-report,
quali un’intervista diagnostica con l’adolescente e la compilazione di scale di
valutazione comportamentale.
Lo studente potrebbe avere un ruolo determinante nella formulazione,
implementazione e valutazione del piano di intervento. Come minimo, bisognerebbe ottenere dallo studente misure di self-report e di consumer satisfaction
durante la valutazione del piano di intervento.
Anche il contenuto della valutazione è in qualche modo differente nel
caso di un adolescente. Infatti, bisognerebbe prima di tutto condurre con lo
86
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
studente un’intervista diagnostica che includa i criteri del DSM per tutti i
disturbi passati in rassegna con gli insegnanti e i genitori. Secondo, lo studente dovrebbe compilare diverse misure di self-report incluse la versione Youth
Self-Report (YSR) della Child Behavior Checklist (Achenbach, 1991c), lo Youth-Inventory-4 (Gadow et al. 2002) e/o il Conners-Wells Adolescent Self-Report
of Symptoms (Conners et al., 2000). Sono disponibili norme statistiche per
tutte le misure. Dato il maggiore rischio di disturbo emotivo e affettivo fra gli
adolescenti con DDAI rispetto ai loro coetanei, è spesso necessario includere
questionari che comprendano item su sintomi interiorizzati come la Reynolds
Adolescent Depression Scale (Reynolds, 1987).
Un ultimo cambiamento nel processo valutativo degli adolescenti è l’inclusione di scale valutative compilate però da più insegnanti. Questo aspetto
comporta spesso problemi di interpretazione dei risultati dato il campione
limitato di comportamenti dello studente che ogni insegnante osserva. È
spesso utile ottenere valutazioni da diversi individui, incluso il personale non
docente (per es., un counselor) con il quale lo studente ha maggiori contatti.
Piuttosto che affidarsi all’analisi di ogni singolo insegnante (come si fa con i
bambini), si può utilizzare la coerenza fra i diversi profili (nei punteggi fattoriali del DDAI) per documentare la pervasività o la mancanza di controllo del
comportamento in contesti differenti. Ulteriori dettagli relativi al contenuto
delle valutazioni di un possibile DDAI negli adolescenti possono essere trovati
in numerosi testi recenti (Anastopoulos & Shelton, 2001; Barkley, 1998).
APPLICAZIONE DEL MODELLO VALUTATIVO
Il modello valutativo proposto in questo capitolo rappresenta quello che
noi consideriamo lo stato dell’arte per identificare studenti con DDAI e per
progettare un piano d’intervento in classe per questa popolazione. In quanto modello teorico, deve essere adattato all’applicazione pratica contesto per
contesto. Alcune componenti del modello (per es., l’intervista con i genitori)
potrebbero non essere applicabili in determinate situazioni. Sarà quindi necessario introdurre cambiamenti nel modello proposto. Come esempio di implementazione locale di questo modello valutativo, le scuole pubbliche della
Contea di Carroll (MD) hanno sviluppato delle linee guida applicative per
gli insegnanti e gli psicologi scolastici (County Carroll Public Schools, 1997).
Queste linee guida strutturano il processo di identificazione e di intervento
87
DDAI a Scuola
in quattro fasi invece di cinque: lo screening, la valutazione multimodale del
DDAI, l’interpretazione dei risultati e il piano di intervento. Malgrado la fase
di screening sia virtualmente identica nel contenuto e nelle procedure a quella
descritta in questo capitolo, sono stati introdotti degli adattamenti al protocollo di valutazione multimodale.
Per esempio, si chiede ai genitori di rispondere a domande strutturate sulle
difficoltà comportamentali, evolutive e mediche e sulla storia familiare piuttosto che sottoporli ad interviste. Questa seconda fase, anche nelle linee guida
della Contea di Carroll, include le componenti principali del protocollo multimodale proposto in questo capitolo: il completamento di scale di valutazione da parte degli insegnanti e dei genitori, l’osservazione diretta e l’analisi
delle pagelle e dei registri scolastici.
Anche se il nostro modello include alcune componenti non praticabili in
alcuni distretti scolastici, è possibile adattare il protocollo andando incontro
ai bisogni e alle limitazioni pratiche di ogni singola scuola. L’obiettivo principale è mantenere i principi guida del modello.
Prima di tutto, la valutazione deve basarsi su un modello di problem-solving
basato su dati empirici in cui vengono utilizzate misure psicometricamente
consistenti per identificare il disturbo e prendere decisioni relative all’intervento. In secondo luogo, il modello dovrebbe prevedere uno screening iniziale
per identificare chi ha bisogno di una valutazione più approfondita e/o di
un intervento. In terzo luogo, bisognerebbe utilizzare informazioni tratte da
misure multiple e da fonti differenti per ottenere un ritratto completo del
funzionamento del bambino a casa e a scuola.
Come nel caso della valutazione di disturbi del comportamento, i professionisti non dovrebbero mai basarsi su un singolo strumento o questionario
per fare una diagnosi di DDAI. In quarto luogo, dovrebbero essere raccolti
costantemente dati utili per la progettazione del piano di intervento (per es.,
la valutazione funzionale del comportamento e/o la valutazione basata sul
curricolo). Infine, si dovrebbero raccogliere periodicamente dati in alcuni sottoinsiemi di misure per determinare l’efficacia del piano di intervento e per
guidare eventuali cambiamenti in itinere.
88
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
CASI ESEMPLIFICATIVI
Caso 1
Arthur è un bambino di 7 anni che frequenta la seconda elementare segnalato allo psicologo scolastico dal proprio insegnante curricolare perché ha
difficoltà nel completare attività autonome da seduto, parla spesso senza permesso e non rispetta le regole della scuola. L’insegnante afferma che la qualità
del lavoro scolastico di Arthur è simile a quella dei compagni quando lei
lavora insieme a lui da sola. Di contro, poiché non porta a termine i compiti
assegnatigli ed è spesso distratto durante i test, Arthur ha conseguito risultati
scolastici al di sotto di quelli attesi.
Dopo una breve discussione sul caso, lo psicologo scolastico ha chiesto
all’insegnante di compilare uno strumento di screening (la ADHD Rating Scale-IV). Il punteggio totale di Arthur e i punteggi nei fattori Attenzione e Iperattività-Impulsività superavano il 93° percentile. Inoltre, l’insegnante riferiva
come “piuttosto frequenti” sei sintomi di disattenzione e sei sintomi di iperattività-impulsività (in base ai criteri del DSM). Sulla base delle informazioni
tratte dallo screening e della natura della segnalazione, si è ritenuta necessaria
una valutazione multimodale del DDAI.
Come primo passo del processo valutativo, è stata condotta un’intervista
con l’insegnante di Arthur. Nel corso dell’intervista, l’insegnante ha riferito
che Arthur mostrava spesso problemi di disattenzione, impulsività, iperattività e negligenza in quasi tutte le situazioni e le attività di classe. Queste difficoltà diventavano più evidenti durante lo svolgimento di attività autonome al
banco e mentre l’insegnante spiegava qualcosa alla classe o a un piccolo gruppo. Non sembrava ci fossero differenze nel comportamento a seconda delle
materie. L’insegnante riferiva, inoltre, la presenza frequente di sei dei nove
sintomi di disattenzione e di sette dei nove sintomi di iperattività-impulsività.
Questi sintomi si presentavano quotidianamente negli ultimi 6 mesi (ossia
dall’inizio dell’anno scolastico). Inoltre, l’insegnante riferiva anche la presenza
frequente di un numero significativo (cinque su nove) di sintomi del disturbo oppositivo provocatorio. Questi includevano disobbedienza alle richieste
dell’insegnante, scatti frequenti d’ira e infastidire volutamente gli altri. Non
riferiva invece problematiche associate ad altri disturbi (per es., disturbo della
condotta, depressione, ecc.).
Come conseguenza dei problemi di attenzione e di comportamento, Arthur non conseguiva risultati scolastici paragonabili a quelli dei compagni di
89
DDAI a Scuola
classe, né in matematica né in attività di lettura. Malgrado ciò l’insegnante
non riteneva che avesse difficoltà di apprendimento in nessuna materia. Riferiva che in caso di lavoro “uno-a-uno”, Arthur era in grado di dimostrare
conoscenze adeguate in entrambe le aree (era in grado di leggere correttamente materiale interessante per lui), mentre quando gli si chiedeva di portare a
termine delle attività autonomamente, soprattutto se si trattava di materiale
che non lo interessava, non era in grado di dimostrare le sue capacità perché
non portava mai a termine il lavoro.
Arthur aveva pochi amici in classe e veniva rifiutato dalla maggior parte
dei coetanei. Non seguiva le regole dei giochi ed era spesso verbalmente e
fisicamente aggressivo in contesti non strutturati (per es., nel gioco in cortile). L’insegnante riteneva che molti dei comportamenti disfunzionali (quali
parlare ad alta voce in classe) fossero tentativi di catturare l’attenzione dei
compagni. Sfortunatamente, questi tentativi per favorire l’interazione con i
pari generavano solo un ulteriore rifiuto nei propri confronti.
L’insegnante riferiva, inoltre, un elevato livello di frustrazione nel tentativo
di gestire i comportamenti di Arthur. Gli interventi avevano incluso: ignorare
i comportamenti disfunzionali, rimproverarlo pubblicamente per riportarlo al
completamento delle attività, inviare note ai genitori in seguito a comportamenti non adeguati e ridurre il numero di item da completare nel lavoro autonomo al banco. Nessuna di queste strategie aveva prodotto miglioramenti
nel comportamento.
In seguito, sono stati analizzati i registri e le pagelle di Arthur degli anni
precedenti. I giudizi scritti degli insegnanti della scuola materna e del primo
anno di elementari indicavano che erano già presenti difficoltà simili, nel controllo del comportamento, a quelle riferite dall’attuale insegnante, anche se
meno gravi. Da questi dati risultava evidente un pattern di difficoltà attentive
e comportamentali presente già da un’età molto precoce e persistente nel corso degli anni successivi.
A seguire, è stata condotta una breve intervista telefonica con la madre di
Arthur. Le informazioni da lei riportate confermavano le indicazioni dell’insegnante e provavano la presenza di problemi seri di disattenzione, impulsività
e iperattività. La madre riferiva, infatti, che quasi tutti i sintomi comportamentali del DDAI si verificavano a casa con una certa frequenza. Questi sintomi erano evidenti fin dall’età di 3 anni, quando frequentava l’asilo nido. La
madre descriveva Arthur come ribelle e non cooperativo a casa, soprattutto in
90
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
risposta alle richieste materne. Non prestava attenzione nello svolgimento di
alcuna attività a meno che non fosse interessato a farla e portarla a termine.
La mamma indicava anche la presenza di una grande maggioranza di sintomi
del disturbo oppositivo provocatorio. Non era invece presente una storia di
difficoltà mediche particolari o di ritardi nello sviluppo. La mamma riferiva
inoltre che il padre di Arthur aveva avuto simili problemi di disattenzione e
di controllo del comportamento da bambino, ma che adesso era un uomo
d’affari di successo. Nessun altro membro della famiglia presentava disturbi o
problemi rilevanti. Infine, la mamma affermava di essere molto interessata a
ricevere un aiuto per la gestione del comportamento di Arthur, dal momento
che il livello di stress a casa dipendeva strettamente dal modo in cui egli si
comportava. Tentativi precedenti di interventi, inclusa una terapia familiare,
non erano riusciti a modificare il comportamento.
Le risposte della madre alla Child Behavior Checklist avevano dato come
risultato punteggi significativi in tre sottoscale: Problemi di Attenzione, Aggressività e Delinquenza. I punteggi “t” relativi a queste scale erano maggiori
di 67, ossia oltre il 95° percentile. Tutte le altre sottoscale erano al di sotto del
93° percentile (nella norma). I punteggi alla ADHD Rating Scale-IV erano
superiori alla media di 2 deviazioni standard sia nel punteggio totale che in
entrambe le sottoscale. I problemi di attenzione di Arthur si verificavano in
quasi tutte le situazioni possibili a casa identificate tramite lo HSQ-R e la loro
gravità tipica era di 2 deviazioni standard sopra la media.
I punteggi di valutazione dell’insegnante erano coerenti con quelli forniti
dalla mamma di Arthur. Sulla versione per l’insegnanti della Child Behavior
Checklist Arthur aveva ottenuto dei punteggi significativi nelle sottoscale Problemi di Attenzione e Aggressività. I punteggi “t” erano superiori a 70, ossia
oltre il 98° percentile per entrambe le dimensioni. I punteggi nelle scale rimanenti erano nella norma. I risultati allo SSQ-R riferivano che Arthur mostrava
problemi di attenzione in tutte le situazioni scolastiche con una gravità di 2
deviazioni standard sopra la media. I giudizi dati dall’insegnante alla SSRS
erano indicavano un punteggio al di sotto della media (punteggio “t” di 85)
per le abilità sociali. Infine, i punteggi alla Academic Performance Rating Scale
rientravano nel range di significatività clinica (1.5 deviazioni standard sotto la
media) solo per il fattore Rendimento Scolastico.
È stato poi osservato il comportamento di Arthur in diverse situazioni
sia in classe sia in cortile. Le osservazioni in classe (utilizzando il sistema di
91
DDAI a Scuola
codifica illustrato nell’Appendice 2.2) sono state tre della durata di 20 minuti
ciascuna (una volta durante esercizi di matematica al banco, due volte mentre
lavorava su un foglio di attività di fonetica). Arthur esibiva numerosi comportamenti verbali e motori non attinenti al compito. Nello specifico, mostrava
comportamenti verbali non attinenti al compito nel 20% degli intervalli osservativi e attività motorie non attinenti al compito nel 15% degli intervalli.
Al contrario, i compagni selezionati casualmente mostravano comportamenti
verbali non attinenti al compito solo nel 4% degli intervalli e attività motorie
non attinenti al compito in meno dell’8% degli intervalli. È stato osservato
anche il comportamento di Arthur in cortile in due occasioni utilizzando il
SOC. Era verbalmente e fisicamente più aggressivo dei compagni di classe
selezionati a caso. Pertanto, le osservazioni dirette erano coerenti con quanto
riferito dai genitori e dall’insegnante.
In concomitanza con le osservazioni, sono stati raccolti dati sulla performance scolastica nel corso dello svolgimento di attività autonome al banco.
Arthur completava circa il 60% del lavoro assegnatogli nel corso delle tre
sessioni osservative, mentre i compagni ne completavano il 95%. Un aspetto
positivo era rappresentato dall’accuratezza del lavoro svolto (una percentuale
di correttezza del 93%). Questo conferma la convinzione dell’insegnante secondo cui le abilità di Arthur erano allo stesso livello dei compagni di classe,
solo che egli non terminava il lavoro.
Successivamente si è passati all’interpretazione dei risultati. La madre e
l’insegnante di Arthur riferivano rispettivamente almeno sei sintomi di disattenzione e sei sintomi di iperattività-impulsività come frequenti. Secondo la
madre, queste difficoltà si erano manifestate dall’età di tre anni senza remissione dei sintomi. Pertanto, i sintomi erano presenti da un’età molto precoce
ed erano persistenti. I punteggi materni e dell’insegnante indicavano che i
problemi di attenzione, impulsività e iperattività erano molto più gravi e frequenti di quelli mostrati dalla stragrande maggioranza dei maschi di quell’età.
Questo era confermato dall’osservazione del comportamento in classe. Inoltre, la disattenzione si presentava in situazioni diverse a scuola e a casa. Infine,
i comportamenti associati al DDAI avevano compromesso significativamente
le relazioni di Arthur con i pari e la performance scolastica.
Malgrado fosse presente un numero significativo di sintomi del disturbo
oppositivo provocatorio, questo disturbo non poteva spiegare le difficoltà di
attenzione. Di rilevante importanza era il fatto che i sintomi del DDAI erano
92
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
precedenti ai comportamenti di negligenza e ribellione. Nello specifico, i primi erano presenti dall’età di tre anni, mentre gli altri non si erano manifestati
fino ai 6 anni. Non c’erano indicazioni a favore di altri disturbi emotivi o di
apprendimento che potessero spiegare i sintomi del DDAI. Pertanto, la diagnosi è stata di DDAI e di disturbo oppositivo provocatorio.
Sono state chieste informazioni all’insegnante di Arthur sugli eventi in
classe antecedenti e conseguenti ai comportamenti disfunzionali non attinenti
al compito. Inoltre, lo psicologo scolastico ha registrato la frequenza di questi
antecedenti (per es., la presentazione del compito) e conseguenti (le risate dei
compagni) nel corso di diverse situazioni in classe. I dati delle interviste e delle
osservazioni indicavano che i comportamenti disfunzionali di Arthur si verificavano con maggiore probabilità quando gli si chiedeva di svolgere un’attività
autonoma al banco e che questi comportamenti erano seguiti da frequenti
rimproveri da parte dell’insegnante per riportarlo a concentrarsi sul lavoro
da svolgere. Sembrava che lo scopo di questi comportamenti non attinenti al
compito fosse evitare e sfuggire il lavoro in classe.
Sono stati messi in atto numerosi livelli di intervento sulla base di questi
dati valutativi. Prima di tutto, l’insegnante e lo psicologo scolastico hanno
progettato un trattamento in classe che includesse modifiche nelle assegnazioni del compito, token reinforcement, valutazione delle risposte e un programma di comunicazione casa-scuola (vedere il Capitolo 5 per i dettagli della
programmazione in classe). Questi interventi avevano lo scopo di ridurre il
desiderio di Arthur di evitare il lavoro, migliorando gli aspetti positivi della
comunicazione casa-scuola e fornendogli una motivazione maggiore a portare
a termine i compiti assegnati. In secondo luogo, i genitori sono stati inviati
da uno psicologo clinico per un parent training ed è stata fatta una segnalazione al pediatra di Arthur per iniziare un trattamento farmacologico. Il parent
training era necessario a causa dell’elevato livello di ribellione e disattenzione
a casa. Il trattamento farmacologico è stato suggerito a causa della gravità
del DDAI di Arthur e della probabilità molto elevata di un peggioramento
nel funzionamento in una serie di aree. La persistenza e la gravità dei comportamenti potevano soddisfare i criteri per l’inserimento in un programma
di educazione speciale che però la famiglia di Arthur desiderava evitare per
quanto possibile. Se Arthur avesse risposto positivamente al trattamento farmacologico questa eventualità poteva essere evitata. Infine, è stato progettato
un livello di intervento sulle abilità sociali per modificare il comportamento
93
DDAI a Scuola
di Arthur nei momenti di gioco in cortile. Nello specifico è stata utilizzata una
metodologia di peer mediation in cui alcuni compagni erano stati addestrati
a mostrare e rinforzare i comportamenti sociali positivi. La combinazione di
questi molteplici trattamenti a lungo termine era necessaria data la persistenza
e la gravità del DDAI di Arthur.
È stata inoltre condotta una verifica in itinere della performance in classe di
Arthur da parte di uno psicologo scolastico per valutare i progressi e per determinare se fossero necessari cambiamenti nel trattamento. Sono state condotte
osservazioni dell’insegnante e osservazioni in classe almeno settimanalmente
durante le prime fasi. Come risultato sono stati introdotti dei cambiamenti
nei tempi e nella frequenza delle ricompense. Per diverse settimane sono stati
raccolti dati simili tutti i giorni per valutare l’effetto di tre differenti dosi di
Ritalina (5 mg, 10 mg, 15 mg). Nel corso dell’anno scolastico queste misure
sono state somministrate più volte per accertarsi se fossero necessarie ulteriori
modifiche nel piano di intervento o nelle dosi dei farmaci.
Caso 2
Keesha è una ragazza afro-americana di 10 anni che frequenta la quinta
elementare in una scuola normale pubblica di città. Ha avuto alcune difficoltà
nelle lettura e nella matematica per tutto il corso degli anni di scuola, nonostante non sia mai stata inviata a servizi di educazione speciale. Gli insegnanti
attuali sono preoccupati di una possibile presenza di DDAI, dal momento che
fa spesso fatica a concentrarsi sul compito da svolgere, che dimentica spesso
i compiti assegnati e i materiali necessari allo svolgimento delle attività e che
sembra spesso distratta. I punteggi dati dall’insegnante alla sottoscala della
Disattenzione del DDAI Rating Scale-IV erano superiori al 85° percentile indicando la necessità di una valutazione ulteriore del DDAI.
I giudizi dei genitori e dell’insegnante alla BASC indicavano punteggi
significativi nei domini della Disattenzione e dell’Ansia e un punteggio borderline per i problemi di iperattività-impulsività e della condotta. Le risposte della madre e dell’insegnante all’intervista evidenziavano che nonostante
fossero presenti sette dei nove sintomi di disattenzione non c’erano invece
sintomi di iperattività-impulsività. Le sue difficoltà di attenzione risultavano
inoltre essere piuttosto recenti (si erano verificate la prima volta all’inizio dell’anno scolastico). Sia la madre sia l’insegnante riferivano anche sintomi del
94
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
disturbo d’ansia generalizzato (preoccupazioni eccessive sulla qualità delle sue
performance scolastiche e sociali) che sembravano peggiorare mano a mano
che la scuola andava avanti. Non venivano invece riportati sintomi significativi di disturbo della condotta e di disturbo oppositivo provocatorio.
Lo psicologo della scuola ha osservato il comportamento di Keesha in classe durante attività di lettura ed esercizi matematici (lezioni frontali, attività al
banco, lavoro in piccoli gruppi). Keesha mostrava comportamenti non attinenti al compito (distogliere lo sguardo dall’attività, parlare con i compagni)
in circa il 15% degli intervalli osservativi mentre i compagni di classe mostravano questi comportamenti in solo il 6% degli intervalli. Keesha portava
inoltre a termine una percentuale molto più bassa di lavoro scritto al banco
rispetto ai coetanei.
Un’intervista condotta con Keesha aveva evidenziato che si “sentiva stupida” e che era spesso frustrata a causa della incapacità di leggere alcuni materiali con la stessa velocità dei compagni. Sapeva di non concludere spesso il
proprio lavoro e affermava di essere preoccupata per un’eventuale bocciatura.
Riferiva, inoltre, preoccupazioni per lo status socioeconomico della madre
dal momento che ella era stata spesso malata nel corso dell’anno scolastico.
Infine, riferiva di non avere molti amici e di sentirsi in imbarazzo se doveva
parlare di fronte ad un gruppo di pari. Anche i punteggi alla self-report RCMAS erano molto alti. Dato che i problemi di Keesha erano piuttosto recenti,
non associati a sintomi di iperattività-impulsività e associati invece a sintomi
importanti di un disturbo d’ansia, l’équipe di valutazione della scuola è arrivata alla conclusione che non si era in presenza di un DDAI. Lo psicologo
della scuola ha suggerito un counseling individuale per i sintomi d’ansia e una
valutazione più approfondita da parte di uno psicologo clinico. Inoltre, a causa delle difficoltà scolastiche croniche si è pensato di condurre una valutazione
per possibili disturbi specifici dell’apprendimento.
COINVOLGIMENTO DEL PERSONALE SCOLASTICO NELLA PROCEDURA VALUTATIVA
Negli ultimi anni, sono sorte numerose controversie sul ruolo del personale
scolastico nel processo di valutazione del DDAI. Per esempio, la legislazione
di molti stati ha limitato la diagnosi a scuola di studenti con DDAI, soprattutto a causa del problema dell’invio a ulteriori servizi per un trattamento
95
DDAI a Scuola
farmacologico. Chi si oppone al coinvolgimento della scuola nel processo di
valutazione del DDAI sostiene che si tratta di un processo di “diagnosi medica” dal momento che il disturbo è inserito nel DSM-IV e che quindi le
valutazioni dovrebbero essere condotte da medici. Se però si osservano con
attenzione le metodologie con supporto empirico utilizzate per l’identificazione del DDAI, risulta evidente che gli psicologi scolastici e altro personale
educativo hanno l’addestramento e l’esperienza necessari per essere coinvolti
in questo processo. Recenti dati di ricerca indicano che gli psicologi scolastici
facevano un pari uso a quello degli psicologi clinici di misure con validità
empirica (Handler & DuPaul, 2002). Gli psicologi scolastici hanno, inoltre,
più opportunità di condurre osservazioni in classe e nel cortile rispetto ad altri
professionisti. Inoltre, pochi medici possono vantare lo stesso background,
esperienza e opportunità, quantomeno nella somministrazione di scale di valutazione e nell’osservazione del comportamento. La semplice inclusione del
DDAI nel DSM-IV non delega di per sé la diagnosi esclusivamente ai medici,
dal momento che esso include anche i criteri diagnostici per il ritardo mentale e i disturbi dell’apprendimento (che vengono quotidianamente valutati
dagli psicologi scolastici). Infine, dal momento che gli studenti con DDAI
probabilmente sperimentano le principali difficoltà in contesti scolastici, non
includere il personale scolastico nella valutazione del disturbo sarebbe equivalente a una cattiva prassi diagnostica.
Per essere chiari, non stiamo dicendo che gli psicologi scolastici o altro
personale educativo siano gli unici professionisti a poter identificare bambini
con DDAI. Piuttosto crediamo fortemente che la diagnosi e il trattamento
di studenti con questo disturbo richieda una collaborazione di più figure fra
le quali i genitori, il personale scolastico, i medici e altri professionisti eventualmente presenti sul territorio (per es., psicologi clinici o neuropsichiatri
infantili). Una valutazione completa del DDAI richiede la raccolta di dati
affidabili e validi sul funzionamento del bambino in diversi contesti. Troppo
spesso, le valutazioni dei servizi territoriali su bambini con possibile DDAI
non comprendono la raccolta di informazioni scolastiche dettagliate. Allo
stesso modo, alcune valutazioni a scuola possono trascurare l’apporto della
famiglia. Pertanto, i professionisti che lavorano a scuola dovrebbero cercare la
collaborazione con gli altri colleghi in modo che i dati raccolti a scuola possano essere comunicati in modo sistematico al medico e agli psicologi clinici per
prendere decisioni diagnostiche documentate (vedere Capitolo 8).
96
Valutazione del DDAI in contesti scolastici
RIASSUNTO
La valutazione a scuola del DDAI è costituita da molteplici tecniche diagnostiche utilizzate in una serie di setting e con diverse fonti di informazione.
In seguito a una segnalazione di un insegnante per un probabile DDAI, prende il via un processo a cinque fasi: (1) screening dei sintomi del DDAI, (2)
valutazione multimodale, (3) interpretazione dei risultati per raggiungere una
diagnosi, (4) sviluppo di un piano di intervento e (5) verifica in itinere del
piano di intervento. L’obiettivo della valutazione non è semplicemente quello
di arrivare a una diagnosi di DDAI, ma di generare un piano di intervento che
abbia probabilità di successo perché basato sulle informazioni raccolte. L’utilizzo di un approccio comportamentale alla valutazione, che include interviste
a genitori e insegnanti, somministrazione di scale di valutazione a genitori e
insegnanti, osservazione diretta del comportamento e analisi dei dati scolastici, è la metodologia migliore per raggiungere entrambi gli obiettivi del processo valutativo. Aspetto importante, i dati vengono raccolti anche nel corso del
trattamento per determinarne l’efficacia e/o gli eventuali limiti.
97
APPENDICE 2.1
Sistema di codifica combinato
per l’osservazione di bambini a scuola
(Volpe & Lorah, 2000)
Il sistema di codifica combinato per l’osservazione dei bambini a scuola
(SHOCK) deriva dalla combinazione di due sistemi di codifica dell’osservazione: il sistema di codifica dell’osservazione a scuola del DDAI (ADHD SOC;
Gadow, Sprafkin & Nolan, 1996) e l’Osservazione del Comportamento degli
Studenti a Scuola (BOSS, Shapiro, 1996). Il BOSS include le seguenti categorie di codifica: tempo occupato in azioni attive (AET), tempo occupato in
azioni passive (PET), Attività Motorie non attinenti al compito (OFT-M),
Comportamenti Verbali non attinenti al compito (OFT-V), Comportamenti
passivi non attinenti al compito (OFT-P) e Istruzioni dell’insegnante (TDI).
È codificata anche la categoria della Negligenza (NonC) del ADHD SOC. Ad
eccezione delle categorie AET e PET (che sono rilevate con una campionatura
temporale momentanea), tutti i comportamenti vengono codificati utilizzando un intervallo di 15 minuti.
I lettori interessati a questo sistema di codifica dovrebbero consultare Gadow
e colleghi (1996) e Shapiro (1996) per ottenere specifiche definizioni di ogni
categoria osservativa.
Volpe & Lorah (2000).
98
Appendice 2.1
Foglio Riassuntivo di codifica dello SHOCK
Bambino: __________________________ Data:_________________
Materia Scolastica: ___________________
Contesto:
Osservatore: _______________________ ISW:TPsnt
SmGp: TPsnt
ISW: TSmpGp LgGp:TPsnt
Tempo d’osservazione: _______________ Altro: ______________________________
Sintesi
Studente sotto osservazione
∑AET
%AET
∑PET
%PET
∑OFT-M
%OFT-M
∑OFT-V
%OFT-V
∑OFT-P
%OFT-P
∑NPAg %NPAg
∑NonC %NonC
Totale degli
intervalli
osservati
Coetanei “controllo”
Insegnante
∑AET %AET ∑TDI
∑PET %PET
∑OFT-M
%OFT-M
∑OFT-V
%OFT-V
∑OFT-P
%OFT-P
∑NPAg
%NPAg
∑NonC
%NonC
%TDI
Totale degli
intervalli
osservati
99
Appendice 2.1
Modulo di raccolta delle osservazioni dello SHOCK
Moment
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
S
P
T
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
S
P
T
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
S
P
T
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
S
P
T
AET
PET
Partial
OFT-M
OFT-V
OFT-P
NonC
TDI
Moment
AET
PET
Partial
OFT-M
OFT-V
OFT-P
NonC
TDI
Moment
AET
PET
Partial
OFT-M
OFT-V
OFT-P
NonC
TDI
Moment
AET
PET
Partial
OFT-M
OFT-V
OFT-P
NonC
TDI
100
APPENDICE 2.2
Criteri di codifica per l’interazione
insegnante-studente
Le prime categorie osservative identificano l’agente iniziale dell’interazione
(insegnante o studente) e le modalità di avvio dell’interazione (dall’insegnante
mentre lo studente mostrava un comportamento attinente/non-attinente al
compito o dallo studente in maniera appropriata o non appropriata).
TA/ON = L’insegnante interagisce con lo studente che mostra comportamenti attinenti al compito.
L’insegnante da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con lo
studente che al momento del contatto mostra comportamenti attinenti al
compito (vedere sopra). Non si usa questa codifica se lo studente ha alzato
la mano o ha chiamato l’insegnante per ottenere la sua attenzione.
TA/OFF = L’insegnante interagisce con lo studente che mostra comportamenti non-attinenti al compito.
L’insegnante da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con lo
studente che al momento del contatto mostra comportamenti non-attinenti al compito (vedere sopra per una definizione di comportamenti
non-attinenti al compito). La codifica TA/OFF è indipendente da ciò che
succede dopo l’interazione (per es., un intervento che riporta lo studente a
mostrare comportamenti attinenti al compito).
SA/APP= Lo studente si rivolge all’insegnante in maniera appropriata.
Lo studente da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con l’insegnante in maniera “appropriata” ossia:
• Alza la mano
• Pone domande senza alzare la mano quando le regole della classe sono
meno restrittive (per es., se permesso dall’insegnante o in situazioni di
lavoro in piccoli gruppi)
• Si avvicina alla cattedra durante l’attività autonoma
SA/INAPP = Lo studente si rivolge all’insegnante in maniera non appropriata.
101
Appendice 2.2
Lo studente da inizio, verbalmente o fisicamente, all’interazione con l’insegnante in maniera “non appropriata” ossia:
• Parla ad alta voce senza permesso
• Si alza dalla sedia (a meno che questo non si verifichi durante un’attività
autonoma o un’attività similare, se le regole della classe lo prevedono)
• La seconda categoria di codifica dell’osservazione del comportamento
dell’insegnante identifica la qualità dell’interazione con lo studente:
“positiva”, “negativa” o “altro”
POSITIVA = Questa interazione include tutti i commenti verbali positivi in
risposta a comportamenti sociali o scolastici appropriati. Può includere
anche un contatto fisico (per es., una pacca sulla spalla) a meno che questi
contatti non abbiano motivazioni disciplinari. I commenti positivi possono essere diretti allo studente sotto osservazione o al gruppo in cui è
inserito.
NEGATIVA = Questa interazione include commenti verbali di disapprovazione, rimproveri negativi o minacce verbali di punizioni. Può includere
contatto fisico (per es., ricondurre lo studente per mano al proprio banco)
se questo è conseguente a un comportamento non appropriato dello studente. L’insegnante può rimproverare direttamente lo studente o emettere
giudizi negativi sul gruppo di cui egli è parte.
ALTRO = Qualunque altra interazione insegnante-studente non codificabile
come positiva o negativa:
• Fare lezione o dare istruzioni alla classe
• Rispondere a domande (a meno che l’insegnante non aggiunga commenti di approvazione quali “buon lavoro”)
• Parlare con lo studente
• Dare indicazioni specifiche alla classe (per es., cambiare l’attività)
102
CAPITOLO 3
DDAI e Difficoltà
di Apprendimento: quale legame?
I bambini con DDAI conseguono solitamente scarsi risultati scolastici
(Barkley, 1998; Forness & Kavale, 2001). In classe, questi bambini manifestano una percentuale più bassa di comportamenti attinenti al compito durante le spiegazioni e lo svolgimento di attività in autonomia rispetto a quelle
mostrate dai loro compagni di classe (Abikoff et al., 1977). Come risultato, i
bambini con DDAI hanno minori opportunità di rispondere alle spiegazioni
date e di portare a termine un lavoro autonomo rispetto ai loro coetanei (Pfiffner & Barkley, 1998). Quest’ultimo problema potrebbe, almeno in parte,
spiegare lo scarso risultato scolastico dei bambini con DDAI: fino all’80%
dei bambini con questo disturbo mostra difficoltà scolastiche e/o di apprendimento (vedere Cantwell & Baker, 1991; Frick et al., 1991; Pastor e Reuben, 2002). Inoltre, i risultati di studi su probabili esiti nell’adolescenza per
bambini con DDAI (vedi Barkley, Fischer et al., 1990) indicano che i rischi
maggiori per questa popolazione sono rappresentati da uno scarso rendimento scolastico persistente e da tassi più elevati di abbandono scolastico.
Data l’associazione fra il DDAI e l’insuccesso formativo, è importante per
gli psicologi scolastici e gli altri professionisti dell’educazione essere consapevoli della possibile presenza di difficoltà di apprendimento in bambini con
DDAI. Inoltre, quando necessario, è dovere di questi professionisti progettare
e mettere in atto strategie efficaci di prevenzione e di intervento per migliorare il rendimento scolastico del bambino (vedere i Capitoli 4 e 5). Lo scopo
103
DDAI a Scuola
di questo capitolo è fornire una panoramica sui molteplici aspetti implicati
nella relazione fra DDAI e difficoltà di apprendimento. Prima di tutto, passeremo in rassegna le difficoltà di apprendimento che più spesso si associano al
DDAI. In secondo luogo, illustreremo una serie di ricerche che hanno esaminato le possibili relazioni causali fra le difficoltà di apprendimento e il DDAI,
tratte dalla prima edizione di questo libro (DuPaul & Stoner, 1994) insieme
alle prospettive più recenti sulla relazione fra le difficoltà di apprendimento e
quelle attentive. Si discuterà inoltre la possibilità di trattare il DDAI aggravato
da difficoltà di apprendimento come un sottotipo di DDAI. Saranno inoltre
discusse le leggi federali sulla possibile candidabilità degli studenti con DDAI
all’inserimento in programmi di educazione speciale e in altri servizi specialistici. Infine, verranno forniti dei suggerimenti per determinare se uno studente con DDAI sia legalmente candidabile all’inserimento in un programma di
educazione speciale o in un altro servizio territoriale di supporto in relazione
alle norme vigenti.
ASSOCIAZIONE FRA DDAI E DEFICIT COGNITIVI
Sono state rilevate numerose differenze nel funzionamento cognitivo tra
i bambini con DDAI e i loro coetanei che non presentano problematiche
evolutive. I bambini con DDAI mostrano spesso difficoltà a svolgere compiti
che implicano strategie complesse di problem-solving e capacità organizzative
(Barkley, 1998; Tant & Douglas, 1982). È interessante che questi problemi
non siano necessariamente imputabili a una carenza nelle abilità di problemsolving di per sé, ma sembrino piuttosto riflettere un impegno insufficiente
o un utilizzo non efficace delle strategie adeguate al compito stesso (Barkley,
1990, 1998; Voelker, Carter, Sprague, Gdowski & Lachar, 1989). Dal confronto con i coetanei emerge un’altra differenza nelle misure neuropsicologiche del competenze esecutive (Barkley, 1990; Barkley, Grodzinsky & DuPaul,
1992). I test che valutano esplicitamente le abilità di problem-solving, l’inibizione della risposta e lo sforzo cognitivo prolungato discriminano con un
buon grado di affidabilità i bambini con e senza DDAI (Barkley et al., 1992;
Chelune, Ferguson, Koon & Dickey, 1986; Rapport et al., 2000). Ancora
una volta le strategie utilizzate dai bambini con DDAI in compiti simili sono
inefficaci, non ragionate e scarsamente organizzate (Zentall, 1988). Pertanto,
non sorprende che gli insegnanti di questi ragazzi riferiscano spesso difficoltà
104
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
nel prendere appunti, nel portare a termine attività a lungo-termine, nell’organizzazione del banco e nel metodo di studio.
Un’altra area in cui i bambini con DDAI mostrano di solito maggiori
difficoltà rispetto ai loro coetanei sani è lo sviluppo linguistico. Nonostante
le ricerche condotte abbiano prodotto risultati equivoci su eventuali ritardi nella comparsa del linguaggio, esistono invece prove ripetute di difficoltà
nell’espressione linguistica fra molti bambini con DDAI (Barkley, 1998). In
particolare, una percentuale che va dal 10 al 54% di bambini con DDAI
mostra problemi di espressione linguistica contro il 2-25% della popolazione normale (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Hartsough & Lambert,
1985). Anche il grado di fluenza e di organizzazione del discorso, in attività
che richiedono spiegazioni verbali (per es., rispondere a domande di test di
“lettura e comprensione”), è notevolmente più basso in bambini con DDAI
(Hamlett, Pelligrini & Conners, 1987; Zentall & Leib, 1985).
Al disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività possono associarsi anche
difficoltà nella motricità fine e grossa. Una serie di studi hanno rilevato che
circa il 52% dei bambini con DDAI mostra una scarsa coordinazione nella
motricità fine rispetto alla percentuale massima del 35% di bambini senza
questo disturbo (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Hartsough & Lambert, 1985; Szatmari et al., 1989). Questi risultati si presentano con una certa
consistenza nel test di disegno di labirinti o pegboard test (vedere Ullman,
Barkley & Brown, 1978). Anche in questo caso i risultati non sorprendono
dal momento che gli insegnanti riferiscono spesso la presenza di problemi di
scrittura e calligrafia (Barkley, 1998). Un’altra serie di ricerche ha documentato una frequenza più elevata di segni neurologici “lievi”, quali difficoltà
di coordinazione grosso-motoria, difficoltà e scarso controllo nell’intensità
dei movimenti, in bambini con DDAI rispetto ai coetanei normali o con
disturbi dell’apprendimento (Denckla, Rudel, Chapman & Krieger, 1985).
Per esempio, alla richiesta di muovere un gruppo di muscoli ben preciso (per
es., battere l’alluce sul pavimento), i bambini con DDAI potrebbero associare
una serie di movimenti non necessari, probabilmente indicativi di una scarsa
inibizione motoria (Denckla & Rudel, 1978). Fino a che punto il DDAI sia
associato a ritardi nell’abilità cognitiva generale non è ancora chiaro. A un
livello di analisi gruppale, questi bambini presentano quasi sempre punteggi
mediamente inferiori di 7-15 punti rispetto a quelli dei coetanei normali in
test di intelligenza standardizzati (Barkley, 1998). Nonostante queste diffe105
DDAI a Scuola
renze possano riflettere uno scarto reale nelle abilità cognitive dei due gruppi,
esistono almeno due spiegazioni alternative a questi risultati. Prima di tutto,
lo scarto nei risultati del QI potrebbe essere dovuto a differenze nei comportamenti tenuti durante lo svolgimento del test quali, per esempio, elevati livelli
di disattenzione nel gruppo di bambini con DDAI rispetto al gruppo dei
coetanei (Barkley, 1998). Un secondo possibile fattore esplicativo di queste
differenze è l’elevata probabilità che, nel gruppo di bambini con DDAI, siano
presenti anche bambini con disturbi dell’apprendimento. Pertanto, i punteggi
più bassi al QI del gruppo di bambini con DDAI potrebbero essere dovuti a
un sottogruppo che presenta anche disturbi dell’apprendimento. A supporto
di questa conclusione vanno i risultati di due ricerche che non hanno rilevato
differenze nel QI fra campioni con DDAI e normali quando vengono eliminati gli effetti dei disturbi dell’apprendimento (August & Garfinkel, 1989;
Dykman & Ackerman, 1991). Indipendentemente dalle differenze nel QI fra
campioni con DDAI e campioni normali, è chiaro che il livello di funzionamento intellettivo di bambini con DDAI è simile a quello della popolazione
generale (una distribuzione normale che presenta un funzionamento cognitivo da significativamente sotto la media a significativamente sopra la media;
Kaplan, Crawford, Dewey & Fisher, 2000).
Conclusioni
I bambini con DDAI presentano un rischio maggiore di debolezze nel
funzionamento cognitivo rispetto ai loro coetanei. Nello specifico, una percentuale significativa di bambini con questo disturbo manifesta difficoltà nel
problem-solving e nelle competenze organizzative, nell’espressione linguistica
e/o nel controllo della motricità fine e grossa. Se una di queste difficoltà o la
combinazione di esse si aggiunge al DDAI il rischio di insuccesso formativo
è ancora più grande. La letteratura individua però almeno due aspetti positivi
in contrasto con questi problemi. Innanzi tutto che i bambini con DDAI
non differiscono mediamente dalla popolazione generale nel funzionamento
intellettivo e che questo disturbo non sembra inficiare le abilità cognitive generali di questi bambini. Tali risultati supportano la convinzione che il DDAI
non sia dovuto a una mancanza di capacità, ma che piuttosto rappresenti un
deficit nella performance (Barkley, 1998). Inoltre, molti bambini con DDAI,
valutati singolarmente, non mostrano nessuno dei problemi cognitivi appena
elencati. Questo significa che se come gruppo i bambini con DDAI presenta106
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
no un rischio maggiore di problemi linguistici, di controllo motorio e di problem-solving, molti bambini nello specifico non manifestano alcuna di queste
difficoltà.
ASSOCIAZIONE FRA IL DDAI E LO SCARSO RENDIMENTO
SCOLASTICO
Una delle difficoltà più comuni e dagli effetti potenzialmente debilitanti
per i bambini con DDAI è il loro costante scarso rendimento scolastico rispetto alle potenzialità intellettive (Barkley, 1998). La grande maggioranza degli
studenti con questo disturbo ottiene voti più bassi di quelli attesi in una o più
materie scolastiche. Inoltre, questi bambini conseguono punteggi significativamente più bassi rispetto a quelli del gruppo di controllo normale in test
di profitto standardizzati (Barkley, DuPaul & McMurray, 1990; Cantwell &
Satterfield, 1978). Problemi nel rendimento scolastico sono specificamente
associati al DDAI anche all’interno di gruppi con bambini con altri disturbi
psicologici. Per esempio, i bambini con DDAI ricevono i punteggi più bassi di competenza scolastica alla Child Behavior Checklist anche all’interno di
gruppi di bambini con altri problemi clinici (McConaughy, Achenbach &
Gent, 1988). Questo scarso rendimento scolastico è presumibilmente imputabile ai principali sintomi del DDAI, disattenzione, iperattività, impulsività,
che si verificano in classe, nonostante il dibattito su questo punto si ancora
molto acceso.
Il persistente scarso rendimento scolastico dei bambini con DDAI li espone a esiti scolastici negativi. Circa il 40% o più dei bambini con DDAI viene
inserito in programmi di educazione speciale per studenti con disturbi di apprendimento o disturbi della sfera comportamentale (Barkley, 1998). Inoltre,
in campioni di ricerca, circa un terzo dei bambini con DDAI aveva ripetuto
almeno un anno scolastico prima di raggiungere la scuola superiore (Barkley,
Fischer et al., 1990; Brown & Borden, 1986). Sono anche più spesso soggetti
a sospensioni o espulsioni dalla frequenza scolastica anche se questo potrebbe
essere in parte dovuto alla presenza maggiore di disturbi della condotta in associazione al DDAI (Barkley, Fischer et al., 1990). Anche il tasso di abbandono scolastico è maggiore nella popolazione affetta da DDAI (Barkley, Fischer
et al., 1990). Le difficoltà di rendimento scolastico possono permanere anche
nell’età adulta come indicano indagini di follow-up: solo il 20% degli adulti
107
DDAI a Scuola
con una storia di DDAI, contro il 50% del campione normale, studia ancora
all’età di 21 anni (Weiss & Hechtman, 1986, 1993). I problemi educativi e gli
esiti negativi associati a questo disturbo accrescono quindi il rischio di andare
incontro, in età adulta, a significative difficoltà sociali e professionali (Barkley,
Fischer et al., 1990; Weiss & Hechtman, 1986, 1993).
POSSIBILI LEGAMI CAUSALI FRA IL DDAI E LE DIFFICOLTÀ’
SCOLASTICHE
Ipotesi di collegamenti fra il DDAI e le difficoltà scolastiche
Data la probabilità di un rendimento scolastico costantemente scarso e
delle relative difficoltà di apprendimento per bambini con DDAI, sono stati ipotizzati in letteratura diversi possibili collegamenti fra deficit significativi nelle abilità scolastiche (per es., disturbi dell’apprendimento) e il DDAI.
Sono state individuate almeno tre ipotesi di legami causali: (1) i deficit nelle
abilità scolastiche portano alla manifestazione di comportamenti associati al
DDAI; (2) i sintomi comportamentali del DDAI (disattenzione, impulsività
e iperattività) disturbano l’acquisizione di abilità scolastiche e la performance;
(3) il DDAI e le difficoltà di apprendimento sono entrambi causati da una o
più variabili esterne (per es., deficit neurologici). Ciascuna di queste ipotesi
viene vagliata nel dettaglio nella sezione seguente insieme a un sunto delle
ricerche condotte per verificarle.
Ipotesi I: Le difficoltà nelle abilità scolastiche causano il DDAI
Un’ipotesi possibile sul collegamento fra le difficoltà di apprendimento e
il DDAI è quella secondo cui difficoltà nelle abilità scolastiche alla fine portano a problemi di attenzione, di impulsività e ad altri problemi comportamentali. Questa ipotesi è stata espressa nella forma più completa da McGee
e Share (1988). Questi autori assumono che i disturbi dell’apprendimento
portano a risultati scolastici fallimentari ripetuti, che con il passare del tempo inducono il bambino a sviluppare un’immagine scolastica negativa di sé
(ossia una bassa autostima). Come conseguenza della mancanza di sicurezza nelle proprie capacità scolastiche, questi bambini sono meno motivati
a seguire le spiegazioni e a rispettare le regole della classe. Questi evidenti
sintomi comportamentali del DDAI portano in seguito a ulteriori scarsi
rendimenti completando così il “circolo vizioso”. In base a questo scenario,
McGee e Share sostengono che il focus primario del trattamento di bambini
108
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
con DDAI dovrebbero essere le difficoltà di apprendimento e non i sintomi
comportamentali.
McGee e Share (1988) portano numerose prove a supporto della loro ipotesi. Primo, lo scarso rendimento scolastico è una caratteristica rilevante dei
bambini con DDAI. In secondo luogo, i bambini con DDAI, come gruppo,
mostrano deficit di performance in test cognitivi correlati con difficoltà di
lettura (test di denominazione e test di velocità percettiva). Terzo, i deficit
attentivi dei bambini con DDAI potrebbero indicare una scarsa motivazione
piuttosto che un deficit proprio delle capacità di concentrazione. Quarto,
McGee e Share affermano, sebbene erroneamente, che non esistono prove che
il trattamento elettivo per il DDAI (ossia quello farmacologico) porti a miglioramenti nella performance scolastica oltre che a riduzioni della sintomatologia comportamentale. Nonostante le argomentazioni presentate a sostegno
di questa ipotesi siano abbastanza convincenti, ognuna di esse presenta limiti
importanti come illustrato nella sezione successiva.
Ipotesi 2: il DDAI causa le difficoltà scolastiche
È possibile che i principali comportamenti del DDAI (disattenzione, impulsività e iperattività) inficino la capacità del bambino di acquisire le abilità
scolastiche e/o di dimostrare le sue conoscenze con una certa costanza (Silver,
1990). Una delle versioni iniziali di questa ipotesi era stata proposta da Keogh
(1971) secondo cui i comportamenti associati al DDAI potevano interferire con l’apprendimento in almeno due modi. L’elevato livello di attività del
bambino poteva, infatti, distrarlo dalle spiegazioni minimizzando così l’acquisizione delle informazioni scolastiche e l’impulsività poteva, a sua volta,
portarlo a prendere decisioni affrettate negli esercizi scolastici peggiorando la
performance in compiti autonomi.
A supporto di questa ipotesi sono i risultati sempre più numerosi, che confermano come il trattamento farmacologico (per es., con metilfenidato) non
solo riduca la sintomatologia comportamentale del DDAI, ma porti anche a
un miglioramento nella performance scolastica (DuPaul, Barkley & Connor,
1998; Rapport & Kelly, 1991). Pertanto, un trattamento che ha un impatto
diretto sullo span di attenzione del bambino e sul controllo del comportamento porta spesso a un concomitante, anche se indiretto, miglioramento
della produttività e dell’accuratezza nei compiti, implicando così che i sintomi comportamentali del DDAI siano la causa principale delle difficoltà scolastiche del bambino. Dal momento che sono state condotte poche ricerche
109
DDAI a Scuola
che indagano direttamente la relazione causale fra il DDAI e le difficoltà di
apprendimento, le conclusioni sulla direzione della causalità sembrano ancora premature. Nonostante una minoranza di bambini con DDAI sia affetta
da disturbi dell’apprendimento (vedere di seguito), la maggior parte di loro
presenta invece deficit specifici di apprendimento (Cantwell & Baker, 1991).
Quest’ipotesi pertanto non spiega come mai alcuni bambini con DDAI presentino anche disturbi dell’apprendimento mentre altri no.
Ipotesi 3: il DDAI e le difficoltà scolastiche sono entrambi causati da una terza
variabile esterna
Le due ipotesi appena illustrate hanno suggerito delle relazioni causali
dirette fra il DDAI e le difficoltà di apprendimento. È anche possibile che
entrambi i problemi abbiano una terza causa separata. L’ipotesi più comune
sostiene che ci sia un danno neurologico aspecifico che causa il DDAI e le
difficoltà di apprendimento, almeno in alcuni bambini (Keogh, 1971). Anche
altre variabili individuali (temperamento, difficoltà linguistiche) e ambientali
(conflittualità familiare) sono state prese in considerazione come possibili fattori causali del DDAI e delle difficoltà scolastiche (Hinshaw, 1992b).
Gli studi che verificano queste ipotesi presentano tutti una distorsione che
ne inficia la validità: il fatto che i gruppi di bambini con DDAI e/o difficoltà
di apprendimento siano eterogenei. L’indagine simultanea su molte variabili
più che su un unico fattore causale, complica la verifica dell’ipotesi (Cantwell
& Satterfiled, 1978; Hinshaw, 1992b) In realtà è plausibile che siano implicati diversi meccanismi causali in differenti sottogruppi di bambini (Hinshaw,
1992b). Sarebbero necessarie indagini longitudinali per valutare le traiettorie
evolutive per diversi sottogruppi di bambini con DDAI, difficoltà di apprendimento o entrambi.
Associazione fra DDAI e difficoltà scolastiche: dati empirici
Un fattore che ha reso confuse le conclusioni sull’associazione fra DDAI
e difficoltà di apprendimento è la sovrapposizione dei concetti di deficit nelle abilità scolastiche (ossia disturbi dell’apprendimento) e deficit nelle performance scolastiche. I primi presumono una mancanza di abilità ad apprendere
contenuti di specifiche materie, in situazioni in cui il materiale viene trasmesso
correttamente. Quindi, lo studente potrebbe mostrare deficit in simili abilità
anche in condizioni di spiegazioni individuali. Al contrario, un deficit nella
performance scolastica è presente quando lo studente ha le abilità necessarie
110
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
ma non riesce a dimostrare con costanza, in particolari condizioni di lavoro in
classe, le conoscenze acquisite (per es., producendo un lavoro accurato in autonomia al banco). In caso di bambini con DDAI una mancanza di attenzione
ai contenuti scolastici potrebbe portare a una scarsa performance nei compiti,
anche se il bambino possiede le abilità necessarie a portare a termine il compito
correttamente. Inoltre, le difficoltà di attenzione e di controllo del comportamento possono compromettere la disponibilità ad apprendere dello studente (per es., se la disattenzione gli fa perdere passaggi importanti della lezione
dell’insegnante) e portare quindi a livelli molto più alti di scarso rendimento
scolastico (Silver, 1990). La performance scolastica di bambini con DDAI potrebbe essere scarsa a causa dell’inefficienza e dell’instabilità delle loro abilità di
problem-solving (Douglas, 1980). Sfortunatamente, la maggior parte delle ricerche che ha indagato la relazione fra il DDAI e le difficoltà scolastiche non ha
chiaramente distinto i deficit nelle abilità scolastiche da quelli di performance.
Le indagini empiriche fra il DDAI e le difficoltà scolastiche hanno utilizzato per lo più modelli correlazionali. Pochissimi studi hanno impiegato
invece disegni di ricerca che permettessero attribuzioni causali e verifiche specifiche delle ipotesi precedentemente illustrate. Al contrario, è sempre stata
misurata la co-occorrenza di difficoltà scolastiche in popolazioni di bambini
con DDAI. In quasi tutte queste indagini le difficoltà accademiche sono state
definite come “disturbi dell’apprendimento”, malgrado le definizioni di questo costrutto nei diversi studi di ricerca presentino notevoli incongruenze.
Ciò non di meno, nella discussione della letteratura utilizzeremo l’espressione
disturbi dell’apprendimento dal momento che è quella più ricorrente. Nonostante molti bambini con DDAI presentino anche disturbi dell’apprendimento rispetto alla popolazione normale, le percentuali di co-occorrenza variano
molto da studio a studio e l’associazione fra i due disturbi è tutto tranne che
definita. Nelle prossime due sezioni forniamo una breve rassegna di questa
letteratura. La maggior parte degli articoli citati possono essere consultati, per
chi sia interessato a un’analisi più completa del panorama di ricerca (Cantwell
& Baker, 1991; Hinshaw, 1992b; Semrud-Clikeman et al., 1992).
Occorrenza di difficoltà di apprendimento in campioni affetti da DDAI
Fra il 1978 e il 1993 sono state condotte almeno 17 distinte ricerche per
determinare la percentuale di bambini con DDAI che presentasse anche disturbi dell’apprendimento in una o più aree (vedere la Tabella 3.1 per un
elenco degli studi).
111
DDAI a Scuola
TABELLA 3.1. Studi che hanno indagato l’occorrenza dei Disturbi dell’Apprendimento in bambini con DDAI
Studio
August & Garfinkel (1989)
Holborow Berry (1986)
Lambert & Sandoval (1980)
McGee, Wiiliams & Silva (1984)
Schachar, Rutter & Smith (1981)
Descrizione del
campione
Epidemiologico
scolastico
Epidemiologico
scolastico
Epidemiologico
scolastico
Epidemiologico
scolastico
Epidemiologico
scolastico
August & Garfinkel (1990)
Clinico
August & Holmes (1984)
Clinico
Barkley (1990)
Clinico
Cantwell & Satterfield (1978)
Clinico
Gruppi diagnostici
N
% di DA
DDAI
Controllo
DDAI
Controllo
50
47
188
1,405
22
8
27
5
DDAI
DC
Controllo
DDAI
DCo
100
44
108
18
21
14.8-42.6
0.0-14.6
2.8-11.3
19
19
DDAI + DCo
Controllo
DDAI
Controllo
DDAI
Controllo
DDAI
DDAI + DCo
DDAI
Controllo
DDAI
Controllo
24
426
31
1,285
115
50
14
24
42
36
93
54
37
7
23
2
39
8
7
8
19.0-26.2
0.0-2.9
27.6
5.5
182
52
111
97
15
45
0
18
17
20
Dykman & Ackerman (1991)
Clinico
DDAI
Controllo
DDAI
DDA+I
DDA-I
Frick et al. (1991)
Clinico
DCo
Controllo clinico
68
42
16
2
Halperin et al. (1984)
Clinico
DDAI
241
9
Levine, Busch & Aufseeser (1982)
Clinico
DDAI
220
66
Livingston (1990)
Clinico
Nussbaum et al. (1990)
Clinico
DDAI
Controllo
Giovani DDAI
Vecchi DDAI
147
52
38
36
>50
N.R.
29
53
60
30
23-30
10-33
36
2-22
95
100
92
4
Semrud-Clikeman et al. (1992)
Silver (1981)
DDAI
Difficoltà scolastiche
Controllo
Clinico
DDAI
Controllo clinico
Clinico
Nota: DA, disturbi dell’apprendimento; DDAI, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività; DC,
disturbi del comportamento; DCo, disturbo della condotta; DDA+I, disturbo da deficit dell’attenzione
+ iperattività; DDA-I, disturbo da deficit dell’attenzione senza iperattività; N.R., non riportato.
112
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
Come previsto, l’occorrenza di disturbi dell’apprendimento nei gruppi di
controllo normali è molto più bassa rispetto ai gruppi con DDAI e va da uno
0% (Barkley, 1990) a un 22% (Semrud-Clikeman et al., 1992). La percentuale media di disturbi dell’apprendimento nei gruppi di controllo è del 8.9%
(Mediana = 3%) che corrisponde alle stime di occorrenza di questi disturbi
nella popolazione normativa. Sulla base di queste ricerche, sembra che i bambini con DDAI abbiano un rischio tre o quattro volte superiore a quello dei
coetanei di presentare anche disturbi dell’apprendimento.
Le indagini sintetizzate precedentemente hanno portato a numerose importanti conclusioni sul legame fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento.
Prima di tutto, i campioni epidemiologici scolastici rilevano con una certa
consistenza una correlazione significativa fra la presenza di disattenzione e
iperattività e lo scarso rendimento scolastico (per una rassegna vedere Hinshaw, 1992b; Semrud-Clikeman et al., 1992). Questa associazione è ancora
più forte in bambini di scuola elementare (fra i 6 e gli 11 anni). In secondo
luogo, nonostante i disturbi dell’apprendimento mostrino una correlazione
elevata anche con altri disturbi del comportamento (per es., con il disturbo
della condotta), la relazione con le difficoltà scolastiche è più forte nei bambini con DDAI (Frick et al., 1991; Hinshaw, 1992b). La co-occorrenza di
DDAI e altri disturbi del comportamento potrebbe spiegare l’associazione di
questi ultimi con i disturbi dell’apprendimento. In terzo luogo, la relazione
fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento dipende fortemente dai criteri
utilizzati per definire i disturbi dell’apprendimento. Gli studi che utilizzano criteri rigorosi per la definizione dei disturbi dell’apprendimento (per es.,
Frick et al. 1991; Semrund-Clikeman et al., 1991) indicano tutti una sovrapposizione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento inferiore al 20%.
Nonostante questo dato identifichi una percentuale significativa di bambini,
l’occorrenza dei disturbi dell’apprendimento in bambini con DDAI non è
più così elevata come si credeva. Infine, le difficoltà scolastiche dei bambini
con DDAI non si limitano alla presenza di disturbi dell’apprendimento dal
momento che questi bambini sono a rischio maggiore di ripetere gli anni scolastici, di non conseguire il diploma e di abbandonare prima la scuola (Hinshaw, 1992b). L’utilizzo del criterio della bocciatura per affrontare le difficoltà
associate al DDAI sembra essere piuttosto fallimentare dal momento che le
difficoltà comportamentali di solito persistono se non peggiorano in seguito
alla ripetizione dell’anno scolastico (Pagani, Tremblay, Vitaro, Boulerice &
McDuff, 2001).
113
DDAI a Scuola
Occorrenza del DDAI in campioni di bambini affetti da disturbi dell’apprendimento
Numerosi studi hanno, invece, esaminato l’occorrenza del DDAI fra studenti che hanno ricevuto una diagnosi di disturbo dell’apprendimento. La
tabella 3.2 include sette studi condotti in questo ambito fra il 1982 e il 1993.
Le percentuali di occorrenza del DDAI variano dal 18 al 60% circa con una
percentuale media del 37.2 (mediana = 38.2) (vedere Tabella 3.2).
TABELLA 3.2. Studi che hanno indagato l’occorrenza del DDAI in bambini
con disturbi dell’apprendimento
Studio
Descrizione del
campione
Cantwell & Baker (1991)
Felton et al. (1987)
Fuerst et al. (1989)
Holborow & Berry (1986)
Levine et al. (1982)
McConaughy, Mattison & Peterson
(1994)
Vatz (1990)
Gruppi diagnostici
N
% di DDAI
Difficoltà linguistiche Tutto il campione
ed espressive
DA
600
42
19
40
Epidemiologico
scolastico
Segnalati per
difficoltà di
apprendimento
Epidemiologico
scolastico
Segnalati per
difficoltà di
apprendimento
Epidemiologico
scolastico
Epidemiologico
scolastico
45
53
57.7
24.5
132
18
123
1,470
41.1
7.9
646
34
503
28.1-36.3
84
87
42
N.R.
DL
Non DL
DA
DA
Non DA
DA
DA
DA
Controllo random
Nota: DDAI, disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività; DA, Disturbi dell’apprendimento; DL,
disturbo di lettura; N.R., non riportato.
È evidente che una quantità sostanziale di studenti con disturbi dell’apprendimento mostra anche sintomi significativi di DDAI. Gli studenti con
disturbi dell’apprendimento hanno una probabilità sette volte maggiore dei
loro coetanei normali di essere affetti anche da DDAI. Inoltre, l’occorrenza di
DDAI nella popolazione con disturbi dell’apprendimento è significativamente maggiore dell’occorrenza di disturbi dell’apprendimento in campioni di
popolazione con DDAI. Questa associazione così forte ha portato a interrogarsi sull’ipotesi che il DDAI e i disturbi dell’apprendimento non siano altro
che un unico disturbo (Silver, 1990). I dati empirici suggeriscono tuttavia che
114
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
i disturbi dell’apprendimento e il DDAI siano due disturbi distinti sebbene
sovrapposti, come mostrato nella Figura 3.1.
FIGURA 3.1. Diagramma di Venn che illustra la sovrapposizione fra i disturbi
dell’apprendimento e il DDAI
DDAI
20 - 40%
LD
Nonostante questi disturbi condividano una parte di varianza, la loro associazione non è totale come dovrebbe essere in caso si trattasse di un unico
disturbo. Pertanto, l’associazione fra DDAI e i disturbi dell’apprendimento
è probabilmente una funzione delle caratteristiche specifiche di particolari
individui con uno dei due disturbi piuttosto che un fenomeno comune a tutti
i bambini appartenenti a queste due popolazioni.
Studi sulle relazioni causali fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento
A tutt’oggi non sono ancora stati condotti studi longitudinali rigorosi che
permettano una valutazione diretta dei legami causali fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento. Tuttavia due studi che hanno utilizzato modelli con
equazioni strutturali hanno in parte cercato di dare una risposta a questo
problema. I risultati di questi due studi portano a concludere che la direzione
di causalità prevalente è quella che siano i deficit attentivi a influenzare il rendimento scolastico piuttosto che il contrario.
Ferguson e Horwood (1992) hanno indagato le possibili relazioni reciproche fra il DDAI e le abilità di lettura in un campione di 777 bambini della
Nuova Zelanda. Sono stati raccolti dati sul rendimento nella lettura e sulla
115
DDAI a Scuola
presenza di comportamenti associati al DDAI quando i soggetti avevano 10 e
12 anni. Utilizzando un modello a equazioni strutturali sono stati indagati i
possibili legami causali fra il DDAI e il rendimento scolastico. Il modello delle
equazioni strutturali misura l’aderenza dei dati empirici al modello teorico,
ossia misura la forza e la natura delle relazioni causali ipotizzate fra insiemi di
variabili all’interno di una teoria. In questo caso, è stato proposto e sottoposto
ad analisi un modello di connessione causale reciproca fra il DDAI e il rendimento nella lettura. I risultati di questo studio hanno indicato che il grado
di deficit attentivo di un bambino di 12 anni influenzava negativamente il
rendimento nella lettura, mentre non c’erano prove che il rendimento nella
lettura a questa età esercitasse un qualche effetto sui deficit attentivi. Pertanto,
i sintomi del DDAI sembrano, almeno in parte, presentare un legame causale con il rendimento nella lettura almeno in questo campione. Gli autori
di questo studio hanno evidenziato rapidamente tuttavia che è possibile che,
in campioni di età inferiori o maggiori, esistano relazioni diverse fra i deficit
attentivi e il rendimento nella lettura.
Rowe e Rowe hanno ottenuto risultati simili (1992) utilizzando sempre
un modello a equazioni strutturali per verificare due possibili modelli di relazione fra il rendimento nella lettura e la disattenzione in classe. Il primo
modello ipotizza che nonostante diversi fattori possano avere un impatto sul
rendimento nella lettura (per es., status socioeconomico della famiglia, attitudine alla lettura e attività di lettura a casa), la disattenzione influenzi negativamente il rendimento. Il secondo modello ipotizzava invece una relazione
causale reciproca fra la disattenzione e il rendimento nella lettura, includendo
gli effetti del background familiare su entrambe le variabili. I soggetti erano
5.902 studenti australiani divisi per fasce di età in quattro gruppi sperimentali: 5-6 anni, 7-8 anni, 9-11 anni e 12-14 anni. Sono state utilizzate scale di
valutazione compilate dagli insegnanti, misure di self-report e test di profitto
per valutare il livello di attenzione in classe, il background familiare (per es., lo
status socioeconomico) e il rendimento nella lettura.
I risultati di questo studio supportano entrambi i modelli causali ipotizzati
per le relazioni fra disattenzione e rendimento nella lettura. Come ipotizzato
nel primo modello, la disattenzione in classe influenzava direttamente e negativamente il rendimento nella lettura. Pertanto, gradi elevati di disattenzione
erano associati a scarsi punteggi di profitto nella lettura. Fra tutte le variabili
considerate, la disattenzione in classe spiegava da sola la percentuale maggiore
116
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
di varianza nel rendimento della lettura, come mostrato nella Figura 3.2. La
quantità di varianza spiegata andava dal 13.4% (per il gruppo 7-8 anni) al
22.9% (per il gruppo 12-14 anni).
FIGURA 3.2. Istogramma delle proporzioni di varianza spiegata nel rendimento
alla lettura dai fattori status socioeconomico, attività di lettura a casa, attitudine
alla lettura e disattenzione in classe per quattro gruppi di età di studenti. Tratto
da Rowe e Rowe (1992). Copyright 1992 dell’Accademia Americana di Psichiatra Infantile e dell’Adolescenza. Ristampato dietro cortese concessione.
I dati empirici supportano però anche il secondo modello causale ipotizzato, dal momento che un maggiore rendimento nella lettura aveva una
significativa influenza positiva sull’attenzione in classe.
Più recentemente, una serie di studi longitudinali (Fergusson & Horwood,
1995; Fergusson, Horwood & Lynskey, 1993; Fergusson, Lynskey &
Horwood, 1997) condotti su un campione di più di 700 bambini neozelandesi ha dimostrato chiari legami fra i comportamenti associati al DDAI
nelle scuole elementari e nelle scuole medie (valutati attraverso le scale di
valutazione compilate dagli insegnanti e dai genitori) e successivi livelli di
successo scolastico (dalle scuole medie fino ai 18 anni). In particolare, modelli
117
DDAI a Scuola
a equazioni strutturali hanno dimostrato che elevati livelli precoci di comportamenti associati al DDAI si accompagnavano a scarso rendimento scolastico
nel presente e nel futuro.
Rapport, Scanlan e Denney (1999) hanno cercato di replicare i risultati
degli studi di Fergusson e colleghi valutando i sintomi del DDAI e il rendimento scolastico in un campione di 325 bambini hawaiani di etnie differenti.
La relazione fra i sintomi del DDAI (valutati attraverso scale di valutazione
compilate dagli insegnanti) e il successivo rendimento scolastico (valutato attraverso la somministrazione collettiva di test di profitto) risulta confermata
anche da questi ricercatori. Analisi ulteriori hanno indicato che l’influenza dei
comportamenti associati al DDAI sul funzionamento scolastico era mediata
da variabili cognitive (per es., la memoria) e comportamentali (per es., condotta in classe).
Anche se i modelli a equazioni strutturali non permettono di indagare
direttamente la relazione causale, forniscono misure dell’influenza relativa fra
gruppi di variabili. Da questi studi risulta evidente che i comportamenti associati al DDAI (quali disattenzione e impulsività) influenzano direttamente
il rendimento scolastico in modo negativo: un elevato numero di sintomi di
DDAI si associa a un rendimento scolastico più scarso. I risultati dello studio
di Rowe e Rowe (1992), in particolare, indicano che è la disattenzione a giocare un ruolo determinante nel rendimento nella lettura rispetto ad altri fattori (quali lo status socioeconomico familiare) di cui si presupponeva l’influenza
sulla lettura. È importante notare, tuttavia, che la relazione fra il rendimento
nella lettura e il DDAI è più probabilmente bidirezionale, nonostante questa
ipotesi non sia supportata dai risultati nello studio di Fergusson e Horwood
(1992).
Limiti dei risultati degli studi empirici
In aggiunta al fatto che nessuno studio ha direttamente indagato la relazione causale fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento, ci sono altri fattori che
rendono limitate le conclusioni relative all’associazione fra i due disturbi. Uno
dei difetti principali delle ricerche presentate è rappresentato dall’incoerenza
nella definizione adottata della variabile disturbi dell’apprendimento (Barkley, 1990), 1998; Frick et al., 1991; Hinshaw, 1992b). A seconda dello studio,
i disturbi dell’apprendimento sono stati definiti in una varietà di modi fra i
quali: performance inferiore alla media in test di profitto; differenza superiore
118
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
a 1 deviazione standard fra il punteggio del QI e i punteggi a test di profitto
e giudizi dell’insegnante sulla presenza di significativi problemi di apprendimento. Non sorprende che questa mancanza di accordo sulla definizione dei
disturbi dell’apprendimento abbia portato a più elevati tassi di occorrenza di
questi disturbi in campioni di bambini con DDAI (vedere Tabella 3.1) e abbia, in alcuni casi, gonfiato la percentuale stessa dei disturbi di apprendimento (vedere per una discussione del problema Semrud-Clikeman et al., 1992).
Un altro fattore che limita le conclusioni dell’attuale letteratura è l’utilizzo
frequente di un solo strumento di misura per definire i disturbi dell’apprendimento e/o il DDAI. Per esempio, Holborow e Berry (1986) hanno utilizzato punteggi di scarto a scale di valutazione compilate dagli insegnanti per
determinare la presenza di DDAI e di disturbi dell’apprendimento. Anche
quando gli strumenti utilizzati sono statisticamente validi e affidabili, l’uso di
un solo strumento di misura per “diagnosticare” ciascuno dei due disturbi ha
una maggiore probabilità di produrre errori diagnostici. Pertanto, si sconsiglia una simile prassi di lavoro sia a scopi di ricerca che a scopi di intervento
professionale.
Infine, la maggior parte delle ricerche ha utilizzato campioni clinici per
indagare il grado di associazione fra i disturbi dell’apprendimento e il DDAI.
In tali campioni l’occorrenza di disturbi dell’apprendimento in soggetti con
DDAI e viceversa potrebbe essere sovrastimata dal momento che bambini
che presentano più di un disturbo vengono di solito inviati a servizi clinici
(Semrud-Clikeman et al., 1992). Pertanto, l’occorrenza media di disturbi dell’apprendimento in campioni di bambini con DDAI precedentemente riportata (31.1%) potrebbe rappresentare un valore limite massimo e lo stesso si
può affermare per l’occorrenza di DDAI in campioni di bambini con disturbi
dell’apprendimento.
Recenti prospettive sulla relazione fra DDAI e Difficoltà di Apprendimento
Dalla rassegna di studi effettuata per la prima edizione di questo libro,
i ricercatori hanno continuato a indagare, formulare ipotesi e a scrivere articoli sulla relazione fra i deficit attentivi e le difficoltà di apprendimento.
Presentiamo qui alcuni di questi lavori e possiamo notare da subito che le
conclusioni principali a cui si è giunti oggi rimangono coerenti con quelle dei
lavori precedenti. Di recente è stato invece pubblicato il più ampio studio mai
condotto sui tassi di occorrenza e di co-occorrenza del DDAI e dei Disturbi
119
DDAI a Scuola
dell’Apprendimento (Pastor e Reuben, 2002). In questo studio i ricercatori
del Centro Nazionale di Statistica Sanitaria riportano risultati coerenti con
quelli ottenuti dall’Indagine sulla Salute Nazionale condotta negli anni 19971998. Sono stati raccolti dati su più di 8.600 bambini con un’età fra i 6 e gli
11 anni in più di 78.000 nuclei familiari individuati come rappresentativi
della popolazione degli Stati Uniti.
Dai dati raccolti i ricercatori hanno elaborato delle stime nazionali sull’occorrenza del DDAI, dei disturbi dell’apprendimento e sulla co-occorrenza di
questi due disturbi. Il risultato principale dello studio è il seguente:
negli anni 1997-1998 più di 2.6 milioni di bambini fra i 6 e gli 11 anni avevano ricevuto
una diagnosi di Disturbo da Deficit dell’Attenzione (DDA) o di disturbo dell’apprendimento (DA). Il 3% dei bambini aveva ricevuto una diagnosi di DDA soltanto, il 4% di
DA soltanto e il 4% di entrambi (Pastor e Reuben, 2002).
Queste stime sono coerenti con quelle rilevate in precedenti studi sull’occorrenza del DDAI nella popolazione degli Stati Uniti (Barkley, 1990, 1998).
Coerente con i risultati precedenti era anche la percentuale tre volte superiore di maschi con DDAI rispetto a quella delle femmine (Pastor & Reuben, 2002). Aspetto ancora più interessante, i bambini con sola diagnosi di
disturbi dell’apprendimento avevano una probabilità cinque volte maggiore
di essere inseriti in programmi di educazione speciale rispetto a bambini con
sola diagnosi di DDAI. Questo risultato è coerente con il fatto che alcuni, ma
non tutti i bambini con DDAI presentino difficoltà di apprendimento così
significative da richiedere l’inserimento in programmi di educazione speciale.
Tuttavia, paragonando fra loro i bambini affetti solo da DDAI, i bambini affetti solo da disturbi dell’apprendimento e i bambini con entrambi i disturbi,
questi ultimi presentavano un tasso maggiore di trattamento farmacologico
e di invio a servizi di salute mentale. Questi due interventi erano poi maggiormente frequenti per i bambini affetti solo da DDAI e meno frequenti per
bambini solo con disturbi dell’apprendimento.
Sempre nell’ambito dell’occorrenza, ma con un focus maggiore sui servizi
educativi, Forness e colleghi (Forness & Kavale, 2001; Forness, Kavale, Sweeney & Crenshaw, 1999) riferiscono che i bambini con DDAI rappresentano
il 40% dei bambini con disturbo emotivo a essere inseriti in programmi di
educazione speciale. Inoltre, i bambini affetti solo da DDAI rappresentano
120
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
il 25% della popolazione di bambini che ricevono un’educazione speciale a
causa di disturbi dell’apprendimento. Questi ricercatori suggeriscono nuovamente come una valutazione di eventuale comorbidità fra DDAI e disturbi
dell’apprendimento o disturbi della condotta sia un fattore cruciale per determinare i servizi di supporto necessari al bambino e il piano di intervento
a scuola.
In maniera simile, altri importanti ricercatori del settore concordano
sull’importanza di un’attenzione particolare alla diagnosi (Barkley, 1997;
Shaywitz, Fletcher & Shaywitz, 1995; Shaywitz & Shaywitz, 1991), rinforzando il concetto che il DDAI e i disturbi dell’apprendimento siano disturbi
differenti con cause distinte. Considerando il DDAI un disturbo dell’inibizione e dell’autocontrollo, con cause neurobiologiche, Barkley (1997) suggerisce, in base agli studi valutati, che il DDAI implichi deficit dimostrabili nelle
funzioni inibitorie ed esecutive, non riscontrabili in bambini con disturbi
dell’apprendimento. In maniera simile, Shaywitz e colleghi affermano che i
disturbi dell’apprendimento si fondano su deficit in fattori cognitivi, mentre
il DDAI si fonda su deficit dell’area comportamentale. Anch’essi riconoscono
e sottolineano l’importanza di determinare l’occorrenza di uno dei due o di
entrambi i disturbi in un determinato bambino che presenta problemi di apprendimento e di attenzione a scuola.
Conclusioni
Nonostante i limiti evidenziati, i dati empirici disponibili indicano una
relazione consistente fra il DDAI e deficit significativi nelle abilità scolastiche
(disturbi dell’apprendimento). Circa un bambino su tre o quattro con DDAI
può presentare anche un disturbo specifico dell’apprendimento. Inoltre la
maggioranza dei bambini con DDAI mostra uno scarso rendimento scolastico, presumibilmente perché non completa i lavori assegnatigli e perché è
poco accurato nello svolgimento di attività al banco e di test. Circa il 40%
degli studenti con disturbi dell’apprendimento mostrano sintomi significativi
anche di DDAI. Pertanto l’area di sovrapposizione fra i due disturbi è piuttosto ampia, come mostrato nella Figura 3.1. È importante notare, comunque,
che l’associazione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento non è perfetta
e che non siamo in presenza di un unico disturbo come sostenuto da alcuni
ricercatori (McGee & Share, 1998). In realtà, la maggior parte dei bambini
con DDAI non è affetta da un disturbo dell’apprendimento e la maggior par121
DDAI a Scuola
te degli studenti con disturbi dell’apprendimento non soddisfa i criteri per
una diagnosi di DDAI. Malgrado ciò, si deve tenere in considerazione, al
momento di progettare una valutazione e un piano di intervento in contesti
scolastici, il fatto che una minoranza significativa di bambini in ogni gruppo
diagnostico presenta entrambi i disturbi.
Non è chiaro se sia il DDAI a “causare” o a portare ai disturbi dell’apprendimento in alcuni bambini o viceversa. Non è stato condotto nessuno studio
che affronti adeguatamente questo problema. Probabilmente si tratta di una
questione non risolvibile. Le ricerche che hanno utilizzato modelli a equazioni strutturali hanno tuttavia fatto un po’ di luce sulla questione. Hanno infatti
indicato che i comportamenti associati al DDAI, soprattutto la disattenzione
e l’impulsività, esercitano un effetto negativo forte sul rendimento scolastico.
Questa relazione può essere reciproca (il livello di rendimento nella lettura
può influenzare l’attenzione in classe); tuttavia l’impatto del DDAI sul rendimento sembra più evidente. Infatti, i risultati di una ricerca (Rowe e Rowe,
1992) indicano che la disattenzione è uno dei fattori principali che determinano il rendimento nella lettura.
Nonostante la direzione causale sia a tutt’oggi sconosciuta, è chiaro che
molti bambini con DDAI presentano deficit nelle abilità scolastiche che devono essere tenuti in considerazione. Si ritiene che determinati sottotipi di
DDAI possano essere associati a una maggiore probabilità di occorrenza di
disturbi dell’apprendimento. Per esempio, alcuni studi hanno esaminato se
i bambini con DDAI/Tipo con disattenzione predominante siano a maggiore rischio di deficit di apprendimento rispetto a quelli con DDAI/Tipo
combinato. In generale, questi studi non hanno trovato differenze significative nell’occorrenza di disturbi dell’apprendimento fra diversi sottotipi di
DDAI (Lahey & Carlson, 1992). Al contrario, alcuni sottotipi di bambini
con disturbi dell’apprendimento presentano un rischio maggiore di problemi
di controllo del comportamento, incluso il DDAI. Nello specifico, Rourke
(1988) ha identificato che i bambini con deficit di apprendimento non-verbale sono a maggiore rischio di presentare simili disturbi. Le future ricerche
sull’associazione fra il DDAI e i disturbi dell’apprendimento dovrebbero dividere i campioni in sottotipo noti di ogni disturbo piuttosto che raggruppare
i bambini in due campioni eterogenei. Tale procedura potrebbe fornire la
migliore opportunità per identificare quali bambini con DDAI presentino un
rischio maggiore di disturbi dell’apprendimento e viceversa.
122
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
SUDDIVISIONE DEL DDAI IN SOTTOTIPI IN BASE AI DEFICIT
NELLE ABILITÀ SCOLASTICHE
Data l’eterogeneità dei bambini con DDAI, sono stati fatti dei tentativi
per identificare possibili sottotipi del disturbo che possano essere omogenei
rispetto a una dimensione importante (iperattività, aggressività, sintomi interiorizzati). Dal momento che un terzo dei bambini con DDAI mostra anche
deficit di apprendimento significativi, può avere un senso considerare la presenza o meno di disturbi dell’apprendimento come un criterio per identificare
sottotipi del disturbo. Affinché questa suddivisone possa essere di un qualche
utilità pratica, i bambini con DDAI associato a disturbi dell’apprendimento
dovrebbero differire da quelli affetti solo da DDAI nei fattori eziologici, nel
corso evolutivo, negli esiti a lungo-termine e/o nella risposta a trattamento
(Barkley, 1990, 1998). In altre parole, devono presentare differenze significative a livello clinico che vadano oltre quelle di profitto (ossia le differenze nel
rendimento scolastico) che hanno indotto a prendere in considerazione una
suddivisione in sottotipi. In questa sezione, analizziamo brevemente le argomentazioni e le prove a favore e contrarie all’identificazione di un sottotipo
del DDAI con disturbi dell’apprendimento.
In aggiunta a un rischio maggiore di disturbi dell’apprendimento associati
a DDAI, esistono almeno due ragioni serie per indagare se esista un sottotipo
di DDAI con disturbi dell’apprendimento. Prima di tutto, il fatto che suddividere i bambini in funzione dei deficit di apprendimento potrebbe essere
utile nel determinare i “meccanismi causali” soggiacenti alle loro difficoltà
cognitive e comportamentali. Piuttosto che ricercare cause unitarie per tutti i
bambini con uno dei disturbi, sarebbe di maggiore utilità esplorare l’eventuale
presenza di differenti fattori eziologici per ogni sottotipo (Hinshaw, 1992a;
Rourke, 1988). Per esempio, i deficit di attenzione di bambini con disturbo
della lettura potrebbero essere causati o associati a un fattore o insieme di
fattori differenti rispetto a quelli che portano a un deficit attentivo senza difficoltà di lettura (Felton, Wood, Brown, Campbell & Harter, 1987; Shaywitz
et al., 1995; Shaywitz e Shaywitz, 1991).
Un secondo fattore a favore dell’individuazione di un sottotipo di DDAI
con disturbi dell’apprendimento è rappresentato dalle possibili differenze
negli esiti a lungo-termine. È possibile che i bambini con DDAI e alcune
forme di disturbi dell’apprendimento siano a maggiore rischio di problemi
cronici nel rendimento scolastico rispetto ai bambini affetti solo da DDAI
123
DDAI a Scuola
o solo da disturbi dell’apprendimento. Per esempio, Beitchman, Wekerle e
Hood (1987) hanno riscontrato deficit significativi nell’espressione e nella
comprensione linguistica e difficoltà visuo-motorie in un piccolo gruppo di
bambini di scuola materna con DDAI e ritardo del linguaggio. Sulla base di
questi risultati, hanno suggerito che questi bambini sono a maggiore rischio
di sviluppare in età successive un DDAI associato a un disturbo di lettura.
In modo simile, Felton e colleghi (1987) hanno scoperto pattern differenti
di performance in vari test di abilità verbali fra bambini con DDAI suddivisi in gruppi sulla base della presenza o meno di un disturbo di lettura. Il
fatto che bambini con DDAI e disturbo di lettura mostrino punti deboli in
tutte le aree di funzionamento verbale ha portato questi ricercatori a ipotizzare che questi bambini abbiano maggiore probabilità di andare incontro
a deficit persistenti. Si deve tuttavia sottolineare come la probabilità di un
esito peggiore per i bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento resti
solo un’ipotesi dal momento che non sono stati ancora condotti studi longitudinali rigorosi che abbiano come oggetto specifico d’indagine questo
aspetto.
I bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento differiscono dai bambini affetti solo da DDAI o solo da disturbi dell’apprendimento in numerose
dimensioni. Il risultato più evidente è che i bambini che presentano l’associazione dei due disturbi sono “doppiamente svantaggiati” (August & Garfinkel,
1990). Oltre a mostrare i comportamenti associati al DDAI, i bambini con
entrambi i disturbi mostrano deficit in test cognitivi associati a tutte e due
le problematiche. August e Garfinkel (1990) hanno riscontrato che bambini
con disturbo della lettura isolato esibiscono difficoltà in compiti che richiedono competenze di elaborazione automatizzata (per es., identificazione immediata di una lettera, denominazione di oggetti). A loro volta, i bambini affetti
solo da DDAI manifestano competenze di elaborazione automatizzata nella
norma, ma carenze in test che richiedono un’elaborazione prolungata e impegnativa (per es., memorizzazione meccanica di contenuti). I bambini affetti
sia da DDAI che da disturbo della lettura avevano difficoltà in entrambe le
aree dell’elaborazione. Inoltre, i bambini con DDAI e disturbi dell’apprendimento sono a maggiore rischio di sperimentare ansia da separazione (Dykman
& Ackerman, 1991) e rifiuto sociale (Flicek, 1992) rispetto a quelli con uno
solo dei due disturbi. Questi e altri risultati sono stati utilizzati a sostegno di
una classificazione del DDAI in un sottotipo comportamentale (DDAI senza
124
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
disturbi dell’apprendimento) e in un sottotipo cognitivo (DDAI con disturbi
dell’apprendimento) (August & Garfinkel, 1989).
Malgrado questi risultati, è prematuro concludere che la classificazione del
DDAI in sottotipi sulla base della presenza o meno di difficoltà di apprendimento abbia una qualche utilità pratica. La maggior parte degli studi che hanno verificato questa distinzione hanno ottenuto differenze fra i due sottotipi
in test scolastici (QI, compiti di apprendimento, profitto). Queste differenze
sono ovvie dal momento che hanno guidato l’ipotesi di classificazione. Al di
là del caso isolato sopra citato (Flicek, 1992), la maggior parte degli studi
non è riuscita a ottenere differenze qualitative o quantitative nel funzionamento comportamentale dei due sottotipi (August & Garfinkel, 1989, 1990;
Dykman & Ackerman, 1991; Halperin et al., 1984). Inoltre, i bambini con
DDAI e disturbi dell’apprendimento non differiscono da quelli affetti solo
da DDAI nella risposta al trattamento con farmaci stimolanti (Dykman &
Ackerman, 1991; Halperin, Gittelman, Klein & Rudel, 1984). Pertanto, non
sono state raccolte prove affidabili che differenzino i due sottotipi in relazione
ai fattori eziologici, al corso evolutivo, agli esiti a lungo-termine e alla risposta
al trattamento. Fino a che non verranno condotte ulteriori ricerche, la classificazione del DDAI sulla base di altre dimensioni (con o senza aggressività) è
certamente di maggiore utilità per i professionisti.
LINEE GUIDA PER LA PROCEDURA DI VALUTAZIONE: DDAI E
DEFICIT NELLA PERFORMANCE SCOLASTICA
Come precedentemente evidenziato, le difficoltà nel rendimento scolastico
di bambini con DDAI possono essere suddivise in due categorie: deficit nella
performance scolastica e deficit nelle abilità scolastiche. Pertanto, la procedura
di valutazione in contesti scolastici di bambini segnalati per problemi di attenzione deve includere misure del rendimento scolastico che possano coprire
possibili deficit di abilità e di performance. La procedura di valutazione del
DDAI è descritta nel dettaglio all’interno del Capitolo 2. La sezione seguente
vuole individuare metodologie valutative adeguate per un’analisi del rendimento scolastico del bambino. Inizialmente, verranno discussi gli strumenti
utilizzabili per uno screening dei deficit nelle abilità scolastiche e dei disturbi
dell’apprendimento in bambini con DDAI. Di seguito, dal momento che i
bambini con DDAI mostrano performance scolastiche incostanti (per es., nel
125
DDAI a Scuola
completamento del lavoro), verranno presentate le tecniche per valutare i possibili deficit di performance. Infine, verranno illustrate le metodologie utilizzate per determinare se i problemi di attenzione del bambino siano imputabili
a una mancanza di abilità scolastiche, al DDAI o a entrambi. Verrà, inoltre,
presentato un caso esemplificativo per spiegare meglio questa distinzione così
sottile.
Procedure di screening
Ogni qual volta un bambino viene segnalato per problemi di attenzione
e comportamenti associati al DDAI, bisognerebbe includere nel processo di
valutazione strumenti che permettano di effettuare uno screening dei deficit
nelle abilità scolastiche. Bisognerebbe prima di tutto includere nelle interviste
a genitori e insegnanti domande relative alle difficoltà scolastiche (vedere il
Capitolo 2; vedere anche Barkley, 1990, 1998). In particolare, l’insegnante del
bambino dovrebbe fornire informazioni sulle possibili difficoltà in ciascuna
materia. In secondo luogo, bisognerebbe ottenere un giudizio dell’insegnante
sulle difficoltà nel rendimento scolastico attraverso la somministrazione della Academic Performance Rating Scale (APRS; DuPaul, Rapport & Perriello,
1991) o della Academic Competence Evaluate Scale (ACES; DiPerna & Elliott,
2000). Punteggi inferiori di 1.5 o più deviazioni standard dalla media per età
e per genere al punteggio totale della APRS e nella sottoscala del Successo
Scolastico sono considerati significativi. Bisognerebbe approfondire con l’insegnante alcuni item delle scale di valutazione per chiarire la natura specifica
delle possibili difficoltà scolastiche.
Nella maggior parte dei casi, i bambini con DDAI ottengono punteggi pari a quelli dei coetanei in quasi tutte le materie e non presentano deficit
nelle abilità scolastiche. Nella sottoscala Successo Scolastico della APRS ci
si aspettano punteggi all’interno del range di 1.5 deviazioni standard dalla
media. Questi stessi bambini presentano invece, di solito, difficoltà di performance scolastica (bassa percentuale di completamento in compiti individuali
al banco e nell’accuratezza) con valori inferiori alla media nel punteggio totale
dell’APRS e nella Sottoscala di Produttività Scolastica. Bisognerebbe condurre
una valutazione più approfondita della performance come indicato di seguito.
Se i dati delle interviste e delle scale di valutazione indicano la presenza di
potenziali deficit nelle abilità scolastiche, bisognerà condurre indagini più ap126
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
profondite per vagliare la presenza di eventuali disturbi dell’apprendimento.
Anche se di solito si conduce una valutazione psicoeducativa che include il QI
e altri test di profitto, preferiamo suggerire una valutazione comportamentale
dei deficit nelle abilità scolastiche per una serie di ragioni (maggiore rilevanza
per le strategie di insegnamento, maggiore validità ecologica). Un approccio comportamentale, di solito, include misure basate sul curricolo (Shinn,
1989, 1998); l’osservazione diretta dei comportamenti finalizzati al compito;
un’analisi delle produzioni scritte e interviste con l’insegnante sulle problematiche specifiche presentate dal bambino (per i dettagli vedere Shapiro, 1996;
Shapiro & Kratochwill, 2000). L’esame del rendimento scolastico dovrebbe
essere condotto contemporaneamente a quello del DDAI come indicato nel
Capitolo 2.
I bambini segnalati per possibili disturbi dell’apprendimento dovrebbero
essere sottoposti anche a uno screening per il DDAI dato che sono a rischio
maggiore di presentare questo disturbo rispetto ai loro coetanei. Questo screening dovrebbe essere condotto anche se chi ha fatto la segnalazione non ha
menzionato problemi di attenzione e/o di comportamento. Le procedure di
screening per il DDAI sono discusse nel dettaglio all’interno del Capitolo 2.
Queste includono interviste con l’insegnante sulla presenza di possibili comportamenti associati al DDAI. Tale risultato si ottiene con maggiore facilità
se l’insegnante completa la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power et al.,
1998). Utilizzando i criteri del DSM, se sei o più item di Disattenzione o di
Iperattività-Impulsività vengono valutati come “piuttosto frequenti” o “molto
frequenti”, allora è necessaria un’indagine più approfondita sul DDAI. Se viene riferito un numero inferiore di sintomi si procederà a una valutazione più
approfondita solo se altre informazioni raccolte lo renderanno necessario.
Valutare i deficit nella performance scolastica
Anche quando i bambini con DDAI non mostrano specifici punti deboli
in determinate abilità scolastiche, hanno spesso difficoltà a completare lavori individuali nei tempi giusti, ottenendo così punteggi inadeguati ai test di
valutazione; a studiare per gli esami; a prendere appunti durante le lezioni in
classe e a portare a termine i compiti assegnati. I comportamenti associati al
rendimento scolastico sono fra i target più importanti di qualunque piano di
intervento per il DDAI. Pertanto, la valutazione di questi comportamenti
127
DDAI a Scuola
dovrebbe essere una componente standard della procedura di valutazione del
DDAI.
Alcuni fra i comportamenti scolastici più rilevanti da valutare sono: la percentuale di completamento e di accuratezza del lavoro individuale al banco, la
percentuale di completamento e di accuratezza dei compiti a casa e le competenze organizzative (per es., ordine del banco, precisione degli appunti presi
a lezione). Gli strumenti per ottenere queste informazioni includono l’osservazione diretta del comportamento in classe, le valutazioni dell’insegnante e
la raccolta dei prodotti scolastici finiti del bambino (per es., compiti svolti a
casa o in classe). Questi strumenti sono discussi con maggiore dettaglio nel
Capitolo 2. Ci si aspetta che i bambini con DDAI portino a termine una
percentuale significativamente inferiore di compiti e/o che li completino con
minore accuratezza rispetto ai loro compagni di classe.
Distinguere il DDAI dai deficit nelle abilità scolastiche
Come già detto, la sovrapposizione fra il DDAI e i deficit nella abilità scolastiche o disturbi dell’apprendimento è piuttosto rilevante. Pertanto, molti
bambini segnalati per uno screening di DDAI presenteranno sintomi sia del
DDAI che di deficit in abilità scolastiche. La grande maggioranza dei bambini
con DDAI, tuttavia, non ha problemi nelle abilità scolastiche di per sé. Piuttosto, i problemi di disattenzione e impulsività li portano a incontrare difficoltà nel seguire le istruzioni, nel completare i compiti assegnati con costanza
e accuratezza e nell’ottenere valutazioni a test di profitto che rispecchino il
loro reale livello di conoscenze. Pertanto, uno degli obiettivi della valutazione
del DDAI è quello di determinare se i problemi scolastici di uno studente
siano imputabili al DDAI, ai disturbi dell’apprendimento o a entrambi. Ciò
che rende questa distinzione particolarmente complessa è l’ambiguità delle
numerose definizioni esistenti di disturbi dell’apprendimento in diversi distretti scolastici. Indipendentemente dalla definizione utilizzata, gli obiettivi
della valutazione sono duplici. Il primo è quello di verificare se i sintomi che
il bambino manifesta soddisfino i criteri per il DDAI. Il secondo è quello
di raccogliere informazioni utili a determinare fino a che punto i problemi
scolastici del bambino siano imputabili a difficoltà di attenzione, impulsività
e iperattività.
Bisognerebbe tenere in considerazione numerosi fattori nel determinare se
i problemi di disattenzione, di controllo degli impulsi e di iperattività a scuola
128
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
siano dovuti al DDAI o siano secondari a deficit in abilità scolastiche. Queste
considerazioni sono di seguito elencate all’interno di tre possibili scenari:
1. Se i dati raccolti nel corso della valutazione, come descritto nel Capitolo 2,
indicano una sintomatologia significativa a livello clinico che perdura nel
tempo in diversi ambiti, è probabile che i problemi scolastici del bambino
siano secondari a un DDAI. In questo caso, i dati ricavati dalle interviste,
dalle scale di valutazione e dalle osservazioni dirette sono coerenti fra loro
nel posizionare i comportamenti del bambino agli estremi della normalità
per il genere e per l’età. Una valutazione più approfondita per la presenza
di eventuali disturbi dell’apprendimento è necessaria solo se sono presenti
dubbi su abilità al di sotto della media in una o più materie scolastiche.
2. Un secondo scenario è quello in cui i dati della valutazione indicano che
sono presenti pochi sintomi del DDAI e che questi si manifestano soprattutto in situazioni scolastiche (per es., durante le spiegazioni in classe o nel
lavoro individuale al banco). In tali casi, i dati delle interviste, delle scale
di valutazione e delle osservazioni dirette saranno all’interno di un range
normale. Se sono presenti problemi scolastici, allora vanno vagliate ipotesi
alternative al DDAI, inclusa la possibile presenza di disturbi dell’apprendimento.
3. Le conclusioni dei due scenari precedenti sono piuttosto evidenti. La situazione si complica nei casi in cui i dati della valutazione sono incoerenti
fra loro in quanto alla gravità, alla frequenza e alla pervasività della sintomatologia del DDAI. Per esempio, gli insegnanti di un bambino riportano
sintomi significativi di DDAI, mentre i genitori ne riferiscono pochi se
non addirittura nessuno. Nonostante la problematica interpretativa di dati
fra loro incoerenti sia già stata affrontata nel Capitolo 2, la discriminazione
specifica fra il DDAI e i deficit nelle abilità scolastiche può essere migliorata seguendo queste linee guida:
a. i bambini con DDAI, di solito, ottengono punteggi elevati alle scale di
valutazione compilate dai genitori e dagli insegnanti di importante significato clinico in item che indagano la presenza di altri disturbi del comportamento disfunzionali in aggiunta ai sintomi del DDAI (per es., alla
sottoscala dell’Aggressività della Child Behavior Checklist). I bambini con
disturbi dell’apprendimento senza DDAI, di solito, no (Barkley, DuPaul
& McMurray, 1990). Inoltre, i bambini con disturbi dell’apprendimento raramente sono impulsivi, disinibiti e aggressivi mentre i bambini con
129
DDAI a Scuola
DDAI manifestano questi problemi con una frequenza piuttosto elevata
(Barkley, 1990, 1998).
b. I bambini con disturbi dell’apprendimento di solito ottengono punteggi
nella media in strumenti che misurano la pervasività dei problemi comportamentali (HSQ, SSQ) e di attenzione (HSQ-R, SSQ-R), mentre i
bambini con DDAI, negli stessi strumenti, presentano di solito punteggi
medi di gravità ed elevati in pervasività (Barkley, DuPaul & McMurray,
1990).
c. I bambini con disturbi dell’apprendimento che non hanno il DDAI, in
sedute osservative di lavoro individuale al banco, di solito esibiscono percentuali di comportamenti attinenti al compito e di completamento delle
attività non differenti da quelle dei loro coetanei normali (Barkley, DuPaul
e McMurray, 1990).
d.Gli studenti con disturbi dell’apprendimento differiscono dai quelli con
DDAI anche per l’età di insorgenza e la pervasività dei sintomi associati
al DDAI. Di solito, i bambini che mostrano problemi di attenzione e di
controllo del comportamento a causa di deficit in abilità scolastiche non
hanno una storia infantile di iperattività e di problemi di comportamento.
Queste due caratteristiche sono invece proprie del DDAI, dal momento che quest’ultimo è un disturbo che si manifesta in età molto precoce.
Al contrario, i problemi di attenzione degli studenti con disturbi dell’apprendimento sorgono di solito a metà dell’infanzia (in quarta o quinta
elementare) e si manifestano solo in specifiche circostanze. I problemi di
attenzione si verificano per lo più solo durante le spiegazioni e/o nell’esecuzione dei compiti delle materie per loro più problematiche. Al contrario,
i bambini con DDAI mostrano i sintomi a esso associati in molte, se non
tutte, le circostanze sia a casa che a scuola.
e. I bambini con DDAI, di solito, ottengono punteggi a test di profitto individuali non differenti da quelli dei loro coetanei, contrariamente ai bambini con disturbi dell’apprendimento che ottengono punteggi inferiori alla
media.
In conclusione, i bambini con deficit di abilità scolastiche possono essere
distinti da quelli con DDAI in base all’età di insorgenza, alla gravità e alla
pervasività dei sintomi. In particolare, più i problemi di attenzione e di comportamento sono strettamente legati a circostanze e attività scolastiche, più
130
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
è probabile che dipendano da deficit in abilità scolastiche piuttosto che dal
DDAI.
CASO ESEMPLIFICATIVO
David è un bambino di 8 anni segnalato dall’insegnante di seconda elementare perché presenta problemi di attenzione e difficoltà scolastiche. David
manifesta problemi importanti nel portare a termine, in tempo utile, i compiti assegnatigli e sogna frequentemente a occhi aperti durante le spiegazioni in
classe. Non mostra sempre queste difficoltà. L’insegnante è preoccupata degli
scarsi progressi nelle abilità di lettura e nella comprensione del materiale letto.
L’intervista con la madre di David ha evidenziato che la nascita, i primi
anni di sviluppo e l’anamnesi sono nella norma. Il livello di attività negli anni
del nido e della scuola materna era “normale”. Il padre aveva avuto problemi di
apprendimento e un probabile DDAI da bambino, ma nessun altro membro
della famiglia presentava problemi rilevanti. La madre non riferiva difficoltà
nella gestione del comportamento di David a casa e giudicava “eccellenti” le
relazioni del bambino con i coetanei. David non era stato mai inviato a servizi
speciali né aveva seguito alcuna terapia fino al momento della valutazione,
anche se la mamma diceva di aver adottato una dieta particolare, la Feingold,
che aveva indotto lievi cambiamenti nel controllo del comportamento. Non
erano mai state messe in pratica, né a scuola né a casa, strategie formali di
modifica del comportamento.
È stata condotta una valutazione psicoeducativa da parte dello psicologo
della scuola anche attraverso la somministrazione di test di intelligenza e di
profitto. I risultati suggerivano che David avesse un livello di intelligenza nella
media con una certa debolezza nelle abilità verbali. I test di profitto evidenziavano una serie di difficoltà nel linguaggio e nella lettura. Sulla base di questi
risultati, l’équipe della scuola ha proposto un sostegno per David nella lettura
e nelle attività linguistiche più volte a settimana con un insegnante che si
dedichi solo a lui.
Per valutare se David avesse un DDAI sono stati utilizzati numerosi strumenti di misura. È stata condotta un’intervista con la mamma di David in
cui sono stati riferiti solo sei dei 18 sintomi del DSM-IV con un certa frequenza. Questi includevano la distraibilità e il passare da un’attività all’altra
senza portarla a termine. In particolare, David mostrava disattenzione solo in
131
DDAI a Scuola
compiti scolastici (per es., leggere) ma portava a termine tutte le incombenze
che gli venivano affidate a casa in maniera adeguata. Non presentava problemi
di impulsività e iperattività. Altre valutazioni indicavano inoltre che David
non mostrava comportamenti associati ad altri disturbi del comportamento,
incluso quello della condotta, alla depressione o al disturbo d’ansia.
La madre di David ha compilato diverse scale di valutazione per valutare
la gravità dei problemi comportamentali in relazione ai bambini della stessa
età. Le sue risposte alla Child Behavior Checklist portavano a delineare un
profilo nella norma (punteggi “t” < 65) in tutte le scale cliniche incluse quelle
relative al DDAI. Solo cinque dei 18 sintomi del DDAI sono stati indicati
come frequenti nella ADHD Rating Scale-IV. I punteggi allo Home Situation
Questionnaire-Revised indicavano lievi problemi di attenzione solo in alcuni
momenti (per es., quando doveva fare i compiti a casa). I punteggi al Social
Skill Rating System (Gresham & Elliott, 1990) erano nella norma. Pertanto, i
genitori non evidenziavano problemi relazionati ai sintomi del DDAI e non
era presente pervasività.
L’insegnante di David ha compilato questionari simili. Le sue risposte alla
versione per insegnanti della Child Behavior Checklist riportavano punteggi borderline (“t” = 66 ossia oltre il 93° percentile) solo nella sottoscala dei
Problemi Attentivi. Le altre scale, incluse quelle relative ad altri disturbi del
comportamento, erano nella media. I punteggi al Social Skill Rating System
non indicavano livelli clinici significativi di difficoltà nelle relazioni con i pari.
Anche in questo caso solo cinque dei 18 sintomi del DDAI sono stati indicati come frequenti nella ADHD Rating Scale-IV. Allo School Situations Questionnaire-Revised venivano riportati moderati problemi di attenzione nella
maggior parte delle situazioni strutturate in classe. I problemi più importanti
associati con il DDAI erano la concentrazione e il completamento dei compiti, non il controllo degli impulsi o l’iperattività. Pertanto, i sintomi riferiti
dall’insegnante di David erano più coerenti con una diagnosi di DDAI/Tipo
con disattenzione predominante.
Sono state condotte numerose osservazioni in classe utilizzando il Restricted Academic Situation Coding System (Sistema di Codifica Ridotto delle
Situazioni Scolastiche; Barkley, 1990, 1998). Ogni osservazione è avvenuta al
momento dell’assegnazione di un lavoro individuale di lettura o linguistica da
svolgere al banco. In media, su tre osservazioni da 20 minuti ciascuna, David
era per l’80% del tempo coinvolto in comportamenti attinenti al compito,
132
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
nonostante le percentuali variassero da un minimo del 53% a un massimo del
90%. Pertanto, l‘attenzione al compito variava giorno per giorno. David mostrava comportamenti di irrequietezza con una media fra gli intervalli osservativi di solo il 28%. David portava a termine l’80% del lavoro assegnatogli con
un livello di accuratezza relativamente basso (74%). Nonostante mostrasse
alcuni comportamenti associati al DDAI, i problemi principali erano relativi
alla comprensione dei compiti assegnatigli e all’accuratezza di quelli portati a
termine.
In conclusione, la maggior parte dei dati raccolti nel corso di questa valutazione non erano coerenti con la conclusione che David soddisfacesse i criteri
per una diagnosi di DDAI. Infatti, solo una parte dei dati, i punteggi alla Child Behavior Checklist compilata dall’insegnante erano significativi a un livello
clinico per questo disturbo. Le altre misure erano nella norma, inclusi i dati
delle interviste dei genitori, i punteggi alla ADHD Rating Scale-IV compilata
dall’insegnante e dalla mamma, i punteggi alla Child Behavior Checklist compilata dalla mamma e i dati osservativi. I comportamenti associati al DDAI
erano ristretti all’area dell’attenzione e, più specificamente, dell’attenzione
solo in attività scolastiche. Secondo i genitori, David era piuttosto attento
nelle incombenze a casa e in altre attività non prettamente scolastiche. Pertanto, i problemi di disattenzione di David sembrano essere un riflesso della
frustrazione nello svolgimento di compiti piuttosto complessi per lui più che
riflettere la presenza di un probabile DDAI. Si suggerisce una valutazione più
approfondita dei deficit nelle abilità scolastiche per individuare gli obiettivi e
le strategie più appropriate ai fini di accrescere le sue competenze scolastiche.
Anche se presupponeva che un miglioramento nelle abilità scolastiche incrementasse la qualità dei comportamenti nello svolgimento dei compiti, questo
aspetto è stato direttamente affrontato attraverso un programma di contingency management in classe unito a un sistema di registrazioni giornaliere dei
risultati (vedere Capitolo 5).
IMPLICAZIONI PER L’INTERVENTO
Determinare se le difficoltà scolastiche di uno studente siano dovute al
DDAI, a un deficit nelle abilità scolastiche o a entrambi ha delle implicazioni dirette per il piano di intervento in classe (Cantwell & Baker, 1991). I
comportamenti target dell’intervento, i setting del trattamento e le specifiche
133
DDAI a Scuola
strategie di intervento utilizzate varieranno in funzione delle conclusioni diagnostiche. Come discusso nel Capitolo 5, i target usuali del trattamento per
uno studente con DDAI sono i comportamenti che caratterizzano la condotta
in classe, quali essere attenti alle spiegazioni, stare seduti e rispettare le regole
della classe. Se sono presenti anche delle difficoltà nella performance scolastica,
il piano di intervento dovrà includere anche comportamenti prettamente scolastici, quali il completamento del lavoro individuale al banco in tempi utili
e/o l’accuratezza nei compiti scritti. Per quei bambini con deficit nelle abilità
scolastiche i target primari del piano di intervento devono essere i comportamenti che influenzano il rendimento scolastico e lo sviluppo delle competenze scolastiche. Questo vuol dire includere non solo comportamenti relativi
al completamento del lavoro individuale al banco, ma anche, per esempio,
rispondere correttamente in gruppi di lettura, prendere appunti accurati durante le lezioni e fornire risposte corrette a test con item scritti. Quando un
bambino ha un DDAI e anche deficit nelle abilità scolastiche, i comportamenti relativi ai compiti scolastici sono di solito i target primari del piano di
intervento. Questo perché, come spesso riscontrato, un miglioramento nella
performance scolastica, comporta spesso anche un miglioramento nella condotta (DuPaul & Eckert, 1997; Hinshaw, 1992a; McGee & Share, 1988).
Non è insolito, tuttavia, imbattersi in situazioni in cui sia i comportamenti
prettamente scolastici sia quelli relativi alla condotta debbano essere trattati
entrambi affinché gli effetti del cambiamento siano durevoli e consistenti nel
tempo. Inoltre, per quei bambini con DDAI e deficit nell’apprendimento, si
devono combinare programmi che lavorino sugli interventi scolastici e sulla
motivazione estrinseca, indipendentemente dagli specifici target del cambiamento (Hinshaw, 1992a).
I programmi di intervento ideati per il trattamento di bambini con DDAI
si applicano di solito in una varietà di situazioni, data la pervasività dei sintomi di questo disturbo (Barkley, 1998). Per esempio, sistemi di token reinforcement potrebbero essere applicati in una varietà di situazioni scolastiche (per
es., il cortile, la classe, la mensa) e casalinghe per promuovere la compliance
alle regole e l’attenzione ai compiti assegnati. In contrasto, il setting primario
del piano di intervento per i bambini con deficit nelle abilità scolastiche è la
classe. Nonostante si possano includere nell’intervento una varietà di situazioni che si verificano all’interno della classe, il trattamento dei deficit di abilità
scolastiche non include di solito contesti esterni, anche se negli ultimi anni
sono state fornite motivazioni importanti per inserire interventi casa-scuola
134
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
(Kelley, 1990). I bambini che presentano entrambi i disturbi richiederanno
un trattamento in contesti multipli con professionisti differenti. In simili casi,
è ovvio che siano necessarie una comunicazione efficace e una collaborazione
fra gli individui coinvolti nel trattamento del bambino (vedere il Capitolo 5
e il Capitolo 8).
Come illustrato nei seguenti capitoli, i due interventi più efficaci per il
DDAI sono il trattamento farmacologico a base di stimolanti (quali il metilfenidato) e le strategie di contingency management. Nonostante queste ultime possano implicare cambiamenti negli antecedenti (per es., richiami più
frequenti a porre attenzione) e nei conseguenti (per es., rinforzo positivo per
il completamento dei compiti), l’enfasi maggiore della letteratura sul trattamento del DDAI è riservata alla programmazione motivazionale (DuPaul &
Eckert, 1997; Pfiffner & Barkley, 1998). Pertanto, gli interventi comportamentali in classe per il DDAI includono di solito sistemi di token reinforcement combinati con sistemi response cost in cui gli eventi quotidiani da sottoporre a trattamento possono essere individuati a scuola, a casa o in entrambi
i setting per motivare i bambini ad attenersi ai compiti assegnati e a rispettare
le regole della classe (vedere il Capitolo 5 per i dettagli). Al contrario, i deficit
nelle abilità scolastiche non traggono nessun giovamento dal trattamento farmacologico e vengono di solito trattati con metodologie psicoeducative progettate per migliorare i supposti deficit di elaborazione dell’informazione che
soggiacciono ai problemi di apprendimento del bambino (Semrud-Clikeman
et al., 1992; vedere anche Crenshaw et al., 1999, per i risultati di una metaanalisi sugli effetti degli psicostimolanti sul comportamento e sul rendimento
scolastico). Questo approccio al trattamento è il prevalente negli Stati Uniti,
nonostante manchino prove concrete della sua efficacia (vedere Kavale e Mattson, 1983). Gli interventi comportamentali e di istruzione programmata per
i deficit nelle abilità scolastiche includono la modifica degli antecedenti e dei
conseguenti (vedere Shinn, Walker & Stoner, 2002). Nonostante la programmazione motivazionale simile a quella utilizzata per il DDAI si sia mostrata
utile nel trattare i deficit delle abilità scolastiche, esiste in letteratura un’enfasi equivalente sul cambiamento degli antecedenti dello stimolo (modalità
di presentazione del materiale scolastico). Pertanto, anche se il DDAI e i deficit nella abilità scolastica possono essere trattati entrambi con metodologie
comportamentali, i parametri specifici del piano di intervento varieranno in
funzione della diagnosi.
135
DDAI a Scuola
IL DDAI E L’EDUCAZIONE SPECIALE
Prima del 1991, gli studenti con DDAI non erano candidabili all’inserimento in servizi di educazione speciale, se non sulla base della presenza anche
di altri disturbi già classificati (per es., disturbo specifico dell’apprendimento,
disturbo emotivo). Pertanto la maggior parte dei bambini con DDAI veniva
inserita in classi normali e non aveva grandi alternative per il proprio percorso
scolastico. A causa della forte pressione esercitata dai professionisti e da gruppi
di genitori, nel 1991 il Dipartimento per l’Educazione degli Stati Uniti ha
sottoscritto dei cambiamenti nell’applicazione delle linee guida federali (vedere Hakola, 1992). In questa sezione, descriviamo questi cambiamenti nelle
singole leggi federali e offriamo dei suggerimenti per gli psicologi scolastici
per stabilire se un determinato bambino con DDAI richieda l’inserimento in
servizi di educazione speciale.
In un promemoria indirizzato ai funzionari dirigenti delle scuole statali
emanato il 16 Settembre del 1991, i funzionari governativi del Dipartimento
per l’Educazione hanno fornito dei chiarimenti sulla politica dipartimentale
per trovare una risposta ai bisogni educativi dei bambini con DDAI (Davila,
Williams & MacDonald, 1991).
La sostanza del loro promemoria era la seguente: gli studenti con DDAI
potevano essere segnalati per l’inserimento in servizi di educazione speciale nel caso si trovassero in una di queste tre condizioni. Primo, un bambino che presentasse il DDAI associato a un altro “disturbo” (per es., disturbo
dell’apprendimento) poteva essere candidabile per l’inserimento in servizi di
educazione speciale, venendo inserito in una delle classificazioni di disturbi
definite nella Parte B della Legge sull’Educazione degli Individui con Disabilità (IDEA) del 1990 (una revisione della Legge sull’Educazione degli Handicappati). Questa era l’unica maniera in cui un bambino con DDAI poteva
essere inserito in un servizio di educazione speciale prima dell’emanazione di
questo promemoria.
Una seconda possibilità per la candidabilità all’educazione speciale è rappresentata dall’inclusione nella categoria “Altri Problemi di Salute” della Parte
B della stessa legge. Il promemoria definisce la candidabilità come segue:
L’espressione “Altri problemi di salute” include alterazioni croniche o acute che pregiudicano lo stato di vigilanza che a sua volta influenza la performance scolastica. Pertanto, i
bambini con D.D.A. dovrebbero essere considerati candidabili per l’inserimento in servizi
136
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
di educazione speciale sotto la categoria “altri problemi di salute”, nei casi in cui il D.D.A.
è un problema di salute cronico o acuto che pregiudica lo stato di vigilanza che a sua volta
influenza la performance scolastica. In altre parole, i bambini con D.D.A. , dove D.D.A. è
un problema di salute cronico o acuto che pregiudica lo stato di vigilanza, possono essere considerati affetti da una disabilità, in base alla Parte B della Legge, solo sulla base della presenza
di questo disturbo, all’interno della categoria “altri problemi di salute”, e sono candidabili
nelle situazioni in cui i servizi di educazione speciale siano resi necessari a causa del D.D.A.
(Davila et al., 1991, p. 3., corsivo aggiunto).
L’inclusione del DDAI nella categoria “altri problemi di salute” (OHI) è
stata riconfermata nella riedizione dell’IDEA del 1997 (da qui in poi indicata come “IDEA-1997”). Inoltre, la categoria OHI è diventata il criterio
maggiormente utilizzato per stabilire la candidabilità di uno studente con
DDAI per l’inserimento in servizi di educazione speciale: in seguito a questo
provvedimento c ‘è stato un incremento del 280% nel numero di studenti
identificati sulla base della categoria OHI rispetto ai decenni passati (Dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti, 1999). Questo provvedimento afferma chiaramente che se lo stato di vigilanza di un bambino è pregiudicato
dalla presenza di un DDAI cronico a un punto tale da inficiare la performance
scolastica, allora il bambino può avere necessità di essere inserito in servizi di
educazione speciale. L’affermazione precedente include la maggior parte, se
non tutti i bambini con DDAI, dal momento che, per definizione, si tratta di
un disturbo cronico in cui i bambini presentano uno stato di vigilanza inferiore e in cui la loro performance scolastica subisce influenze negative. La decisione difficile da prendere, pertanto, è se il bambino abbia bisogno veramente di
essere inserito in servizi di educazione speciale (sulla base del secondo criterio
di candidabilità dal momento che il primo è la presenza di un altro disturbo
o disabilità) per superare queste difficoltà e/o promuovere le proprie competenze scolastiche o se possano essere sufficienti piani di intervento applicabili
all’interno della classe normale frequentata dal bambino.
Un ultimo criterio che potrebbe essere utilizzato per stabilire la candidabilità di un bambino a servizi di istruzione differenti in base alla presenza di
un DDAI è indicato all’interno della Sezione 504 della Legge Federale del
1973 sulla Riabilitazione. Questi servizi di istruzione differenti possono o
meno includere l’invio a servizi di educazione speciale. Questa è una legge
del Codice Civile che sancisce che le scuole devono affrontare i bisogni dei
bambini “con handicap” con la stessa competenza con cui affrontano quelli
137
DDAI a Scuola
dei bambini “senza handicap”. Un individuo con handicap è “una persona che
ha un problema mentale o fisico che limita nella sostanza un’attività significativa della vita” (Davila et al., 1991, p. 6). Certamente, l’apprendimento in
relazione al rendimento scolastico e il funzionamento a scuola possono essere
considerate attività significative della vita. Pertanto, anche per i bambini con
DDAI non candidabili per l’inserimento in servizi di educazione speciale in
base alla Parte B della Legge, si può considerare necessario un intervento educativo individuale in quanto “persone con handicap” in accordo con quanto
affermato nella Sezione 504.
Se si interpretano le regole appena indicate con un certo grado di libertà,
si potrebbe ritenere che la maggior parte dei bambini con DDAI possa ricevere in qualche modo qualche tipologia di educazione speciale. Data l’elevata
percentuale di bambini che già ricevono questi servizi e gli scarsi dati che supportino l’efficacia complessiva dell’educazione speciale, potrebbe non essere
sempre consigliabile intraprendere questa strada. Piuttosto, come nel caso di
bambini con altri disturbi del comportamento, uno dei criteri principali per
definire la necessità di inviare un bambino a servizi di educazione speciale
dovrebbe essere la riposta che il bambino ha dato a interventi condotti nella
classe normale (Gresham, 1991). Pertanto, la diagnosi di DDAI non implica
la necessità dell’invio a servizi di educazione speciale, a meno che il comportamento del bambino non abbia subito delle modificazioni in conseguenza a
un intervento prolungato e costante all’interno della classe normale (Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici, 1998; Silver, 1990).
Da un punto di vista della prassi, un bambino con diagnosi di DDAI
che presenta anche disturbi dell’apprendimento o problemi di rendimento
scolastico ha maggiori probabilità di essere ritenuto candidabile per l’inserimento in servizi di educazione speciale in seguito al fallimento di interventi
all’interno della classe normale (vedere Telzrow & Tankersley, 2000). Se quel
bambino è ritenuto candidabile per l’inserimento in servizi di educazione
speciale, un’équipe di professionisti progetterà, metterà in atto e valuterà un
piano educativo individualizzato. Se il bambino non è ritenuto candidabile,
il personale della scuola rimarrà responsabile della “rimozione delle barriere”
all’apprendimento nella classe normale. Questa rimozione delle barriere è indicata comunemente come “piano di adattamento della 504” (vedere Zirkel
& Aleman, 2000; per una trattazione completa della Sezione 504 e degli studenti con disabilità).
138
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
Nell’effettuare degli aggiustamenti, gli educatori dovrebbero considerare
insieme l’adattamento da applicare in quanto tale e la barriera all’apprendimento che deve essere rimossa. Fornendo allo studente una modificazione nel
compito (adattamento), permettendogli, per esempio, di scegliere le attività,
si rimuove la barriera all’apprendimento costituita dall’avere una e una sola
attività sulla quale poter lavorare. In maniera simile, permettere a uno studente con DDAI di completare un numero inferiore di item durante un compito
individuale al banco (mantenendo però lo stesso livello di accuratezza dei
compagni) vuol dire rimuovere quegli aspetti del compito che notoriamente
esasperano i problemi associati al DDAI in classe e propriamente il lavoro su
item ripetitivi.
Infine, l’uso del peer tutoring e/o delle spiegazioni con l’ausilio del computer come strategie di adattamento rimuove le barriere all’apprendimento
costituite dal feedback differito e dalle spiegazioni frontali al gruppo classe,
entrambi noti come potenziali ostacoli all’apprendimento di studenti con
DDAI (vedere il Capitolo 5 per una discussione degli interventi in contesti
scolastici).
Zirkel (1992) ha costruito una checklist per stabilire la candidabilità legale
all’inserimento in servizi di educazione speciale, in accordo con le indicazioni
sopra menzionate (vedere l’Appendice 3.1). La Figura 3.3 presenta un diagramma di flusso decisionale adattato dalla checklist di Zirkel. Utilizzando la
checklist e il diagramma di flusso come guida, bisognerebbe seguire i passaggi
indicati per stabilire se un bambino abbia veramente necessità di un servizio
di educazione speciale a causa del DDAI:
1.Condurre una valutazione del DDAI e delle difficoltà a esso associate, come illustrato nel Capitolo 2. Se il bambino soddisfa i criteri per il
DDAI, allora, per definizione, presenta una condizione cronica che limita
significativamente lo stato di vigilanza, concordando così con i due criteri
di candidabilità per l’inserimento nei servizi di educazione speciale sotto la
categoria “altri problemi di salute” della Parte B della Legge.
2. Se il bambino mostra comportamenti associabili a una delle categorie già
codificate nell’IDEA-1997 (per es., disturbo dell’apprendimento) allora
l’educazione speciale potrebbe essere necessaria.
3.Se il bambino non è candidabile per l’inserimento in servizi di educazione speciale sulla base delle condizioni appena citate, allora si possono
139
DDAI a Scuola
intraprendere due strade. Primo, i comportamenti associati al DDAI in
classe limitano significativamente la performance scolastica? Questo si può
stabilire raccogliendo le informazioni relative, come già illustrato nel Capitolo 2. Di solito, alcuni aspetti del rendimento scolastico del bambino
sono negativamente influenzati dalla sintomatologia del DDAI. Pertanto,
è certamente necessaria una qualche forma di intervento dal momento che
la Sezione 504 prevede azioni di questo tipo, dato che un “handicap” compromette nella sostanza un’attività significativa della vita (per es., l’educazione). Il primo passo è progettare e mettere in atto un piano di intervento
nella classe normale in cui il bambino è inserito (vedere il Capitolo 5). Tali
trattamenti dovrebbero includere modifiche al programma di istruzione
del bambino sulla base di principi comportamentali. Il bambino potrebbe
anche essere inviato al medico di base per iniziare un trattamento con farmaci stimolanti, come discusso nel Capitolo 6.
4. L’ultimo, e più critico criterio di candidabilità per l’inserimento in servizi
di educazione speciale è valutare se il bambino abbia davvero bisogno di
un simile servizio a causa del DDAI. Questo criterio potrebbe essere interpretato in molti modi ambigui. Pertanto, la maniera più oggettiva per
prendere una decisione è valutare l’efficacia degli interventi messi in atto
nella classe normale (Gresham, 1991). Bisognerebbe raccogliere dati sui
comportamenti target, che fungano da baseline, prima dell’intervento (inclusi i dati sul trattamento farmacologico).
Dopo aver applicato il trattamento stabilito, si raccolgono nuovamente i
dati sulle stesse variabili per valutare il grado di cambiamento. Se il bambino non mostra miglioramenti significativi dopo un tentativo di intervento nella classe normale, si segue una delle strade seguenti. Primo: possono essere introdotti dei cambiamenti nel piano di intervento. Secondo:
il bambino potrebbe ricevere una qualche forma di sostegno individuale.
Terzo: si possono inserire cambiamenti negli interventi educativi generali e
si potrebbe fornire un piano educativo individualizzato.
5. Indipendentemente dal fatto che ci sia o meno un inserimento in servizi di
educazione speciale, interventi per affrontare il DDAI sono comunque necessari. Bisognerebbe verificare l’efficacia sia degli interventi di educazione generale che di quella speciale in itinere per determinare quando sono
necessari cambiamenti nel programma o nell’inserimento del bambino in
questi servizi.
140
DDAI e difficoltà di apprendimento: quale legame?
FIGURA 3.3. Diagramma di flusso per stabilire la candidabilità all’inserimento
in servizi di educazione speciale per studenti con DDAI. Tratto da Zirkel (1992).
Copyright 1992 della LRP Publications. Ristampato per gentile concessione.
Soddisfa i criteri di qualche classificazione esistente?
Se no, potrebbe essere incluso nella
Se sì, si procede
all’inserimento nei servizi
Ha un DDAI?
La performance scolastica è pregiudicata?
La risposta a interventi precedenti
è negativa o assente?
Se no, valutare la candidabilità
sulla base della Sezione 504
Se sì, a tutte e tre le precedenti,
si procede all’inserimento nel
servizio
Il DDAI pregiudica un’attività significativa della vita?
La pregiudica a un livello sostanziale?
Se no, fermarsi qui
Se sì, educazione speciale o nella
classe normale?
RIASSUNTO
La maggior parte dei bambini con DDAI mostra problemi significativi di
performance scolastica, come il completamento lento del lavoro, l’accuratezza
incostante nelle attività al banco e nei compiti a casa, un metodo di studio
non efficace. Inoltre, circa il 25% di questi bambini esibisce abilità scolastiche
significativamente al di sotto della media e pertanto verrà considerato affetto
anche da un disturbo dell’apprendimento. Il fatto che i problemi scolastici
siano quasi sempre associati al DDAI ha delle implicazioni dirette per la va141
DDAI a Scuola
lutazione e il trattamento di questi studenti. La valutazione dei sintomi del
DDAI non deve essere mirata esclusivamente alle difficoltà nel controllo del
comportamento, ma dovrebbe includere anche misure di profitto. Inoltre, tali
bambini dovrebbero essere costantemente monitorati per valutare la presenza
di deficit in abilità scolastiche attraverso strumenti di misura della performance.
In maniera simile, i piani di intervento progettati per trattare il DDAI devono
includere, come target, comportamenti strettamente connessi alla performance
scolastica. Nel caso di bambini che presentano un DDAI e deficit di abilità
scolastiche, il trattamento deve essere teso ad apportare miglioramenti in tutte
e due le dimensioni contemporaneamente. Infine, i bambini con DDAI che
soddisfano i criteri per un disturbo dell’apprendimento, un disturbo emotivo
o per altre condizioni di salute che limitano la loro performance scolastica
possono essere inseriti in servizi di educazione speciale sulla base delle linee
guida federali. Le decisioni relative alla candidabilità per servizi di educazione
speciale dovrebbero essere prese sulla base di una valutazione affidabile del
DDAI, del grado in cui il DDAI influisce sul funzionamento sociale e scolastico e del successo di interventi già applicati nella classe normale per migliorare le difficoltà scolastiche e comportamentali associate al DDAI.
142
APPENDICE 3.1
Checklist di Zirkel per determinare la
candidabilità legale all’inserimento in servizi
di educazione speciale di studenti
affetti da DDA/DDAI
PARTE 1
1. Lo studente mostra, in modo evidente, tutte le caratteristiche della categoria IDEA “altri problemi di salute”:
•
•
•
un problema di salute acuto o cronico ? SÌ
NO
se SÌ, il problema pregiudica la forza,
la vitalità o il livello di vigilanza? SÌ
NO
se SÌ, la forza, la vitalità o lo stato di vigilanza pregiudicati influenzano
a loro volta la performance scolastica del bambino al punto da richiedere
un’educazione speciale? SÌ
NO
2. Lo studente mostra, in modo evidente, tutte le caratteristiche della categoria IDEA “disturbo specifico dell’apprendimento”:
• un disturbo nell’elaborazione psicologica responsabile della comprensione o dell’espressione linguistica che si manifesta con una differenza
significativa fra la performance e la capacità intellettiva in compiti di (a)
comprensione verbale, (b) ascolto e comprensione (c) espressione scritta, (d) abilità di lettura basilari, (e) comprensione, (f ) calcolo aritmetico
o (g) ragionamento matematico? SÌ
NO
• se SÌ, questa differenza rilevante può essere colmata senza l’ausilio dell’educazione speciale? SÌ
NO
• se SÌ il problema è solo secondario se non del tutto attribuibile (a) una
situazione ambientale, culturale e economica svantaggiata; (b) alterazioni nella vista, nell’udito o motorie; (c) ritardo mentale, o (d) disturbi
emotivi? SÌ
NO
3. Lo studente mostra, in modo evidente, tutte le caratteristiche di altri disturbi inclusi nella classificazione dell’IDEA?
143
Appendice 3.1
• Grave disturbo emotivo? • Ritardo mentale?
• Autismo o trauma cerebrale? SÌ
SÌ
SÌ
NO
NO
NO
PARTE II
4.Se lo studente non rientra nella Parte I, le condizioni del DDA/DDAI
hanno tutte le caratteristiche indicate nella Sezione 504:
•
•
•
L’handicap è mentale o fisico? SÌ
NO
Se SÌ, pregiudica un’attività significativa della vita come
l’apprendimento? SÌ
NO
Se SÌ, il grado in cui questa attività è
pregiudicata è sostanziale? SÌ
NO
PARTE III
5.Se lo studente non rientra né nella Parte I né nella Parte II, può essere
candidabile in funzione di qualche legge dello stato che integra l’IDEA o
la Sezione 504? SÌ
NO
144
CAPITOLO 4
Screening, identificazione e intervento precoci
Per definizione, il DDAI è un disturbo dall’insorgenza precoce con sintomi comportamentali che si manifestano prima di o al momento dell’ingresso
nella scuola elementare (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). I bambini, di solito, non ricevono una diagnosi di DDAI fino all’ingresso ufficiale
a scuola (per es., l’asilo o la prima elementare). Tuttavia, negli ultimi anni,
sempre più bambini piccoli frequentano l’asilo nido o servizi di baby-parking
giornaliero. Nonostante i programmi educativi di questi servizi siano orientati
prevalentemente al gioco e offrano una scelta più libera delle attività rispetto
alle classi successive, anche i compiti, le attività sociali e artistiche che si svolgono a scuola in questi anni richiedono un’attenzione sostenuta e la compliance alle regole, seppure per brevi periodi di tempo. Pertanto, i bambini con
comportamenti associati al DDAI potrebbero disturbare significativamente le
attività strutturate, i passaggi da un’attività all’altra e le interazioni di gruppo
(per es., i circle time). Inoltre, i bambini piccoli iperattivi a livello motorio e
più impulsivi dei loro coetanei possono avere difficoltà nella compartecipazione, nel rispetto dei turni e nel controllo della frustrazione anche nel corso
di attività meno strutturate come il gioco libero. Pertanto, data la potenziale
insorgenza precoce dei sintomi del DDAI, è importante che il personale scolastico, soprattutto quello che lavora con bambini molto piccoli, sappia (1)
come si manifesta questo disturbo nella prima infanzia, (2) come si possono
identificare i bambini piccoli a rischio di sviluppare un futuro DDAI e (3)
come progettare interventi per ridurre questi sintomi e migliorare il funzionamento scolastico, sociale e familiare.
145
DDAI a Scuola
IL DDAI NEI BAMBINI PICCOLI
Anche se le difficoltà associate ai sintomi del DDAI in bambini piccoli
sono molteplici, la grande maggioranza degli studi di ricerca su questo disturbo è stata condotta su bambini della scuola elementare (vedere Barkley,
1998). I dati epidemiologici disponibili indicano che circa il 2% dei bambini
in questa fascia di età è con DDAI (Lavigne et al., 1996). Keenan, Shaw, Walsh, Deliquadri e Giovanelli (1997) hanno riscontrato che il 5.7% dei bambini
di 5 anni in un campione di reddito basso soddisfaceva i criteri per il DDAI.
Inoltre, dato che il DDAI tende a essere persistente, almeno il 50% dei bambini che presenta questo disturbo in età pre-scolare continuerà a manifestare
la sintomatologia propria del DDAI anche nella scuola elementare (Campbell,
2002). Quei bambini che presentano un livello elevato di comportamenti di
iperattività-impulsività (sottotipo combinato o con iperattività-impulsività
predominanti) rischiano maggiormente di sviluppare altri disturbi del comportamento (per es., disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta) in associazione a deficit scolastici e sociali (Campbell & Ewing, 1990).
I bambini piccoli che presentano sintomi del DDAI esibiscono abilità sociali
più scarse rispetto ai loro coetanei normali e livelli più alti di aggressività fisica
e verbale in classe e nell’interazione con i genitori (DuPaul et al., 2001). Altro
aspetto preoccupante: il 59-67% dei bambini con DDAI, le cui difficoltà
persistono al momento dell’ingresso a scuola, continuerà a presentare sintomi
rilevanti di disturbi del comportamento nella tarda infanzia e nell’adolescenza
(Pierce, Ewing & Campbell, 1999). Pertanto, sintomi significativi del DDAI,
per una larga percentuale di bambini piccoli, sono associati a una compromissione cronica dell’area comportamentale/scolastica.
In età precoce, si associano al DDAI anche interazioni madre-bambino
anomale e comportamenti sociali aggressivi e disfunzionali. Le madri di bambini piccoli con DDAI fanno maggiormente uso di ordini, critiche e punizioni rispetto alle madri di bambini normali (Barkley, 1988). Inoltre, le mamme
di bambini di età pre-scolare con DDAI riferiscono livelli più alti di burnout
genitoriale rispetto alle madri di bambini normali o di bambini più grandi
con DDAI (DuPaul et al., 2001; Fischer, 1990). Come risultato, i genitori
dei bambini piccoli con questo disturbo fanno fronte alle difficoltà comportamentali in maniera meno adattiva rispetto ai genitori di bambini senza DDAI
(DuPaul et al., 2001). In contesti di asilo nido o baby-parking giornaliero, i
146
Screening, identificazione e intervento precoci
bambini con DDAI mostrano percentuali elevate di comportamenti disfunzionali, negligenti e fisicamente aggressivi (Campbell, Endamn & Bernfield,
1977; DuPaul et al., 2001). Questi comportamenti non solo influenzano le
interazioni con gli adulti di riferimento ma possono anche avere un impatto
negativo sulle relazioni con i pari. Infatti, il rifiuto dei pari in età pre-scolare
è strettamente associato all’aggressività, come indicano i coetanei e gli insegnanti (Milich, Landau, Kilby & Whitten, 1982). Questo risultato non sorprende dato che i bambini con DDAI che sono anche aggressivi disturbano le
attività di gioco degli altri bambini, sono molto rumorosi e richiedono molta
attenzione durante le interazioni con i coetanei (Campbell et al., 1977; Campbell, Schliefer & Weiss, 1978). In alcuni casi, i comportamenti associati al
DDAI sono abbastanza seri da richiedere l’allontanamento dalle classi di asilo
o di baby-parking giornaliero, riducendo così le opportunità del bambino di
sviluppare interazioni sociali appropriate all’età e di acquisire competenze prescolastiche (Blackman, Westervelt, Stevenson & Welch, 1991).
I bambini piccoli con DDAI hanno maggiori probabilità di usufruire di
servizi sanitari territoriali rispetto ai loro coetanei per due ragioni. Primo,
perché in questa popolazione si riscontrano percentuali più elevate della media di lesioni fisiche e avvelenamenti accidentali probabilmente dovute alla
presenza di frequenti comportamenti impulsivi e iperattivi (vedere Lahey et
al., 1998). Inoltre, i bambini con DDAI hanno maggiori probabilità di incorrere in lesioni fisiche accidentali molto più gravi (per es., con perdita di
coscienza) dei loro coetanei normali vittime di incidenti (DiScala, Lescohier,
Barthel & Li, 1998; Lahey, 2000). La relazione fra il DDAI e le lesioni fisiche
accidentali sembra più consistente nei bambini del tipo con iperattività-impulsività predominanti (Lahey et al., 1998) ed è aggravata dalla presenza di
aggressività (Bijur, Golding, Haslum & Kurzon, 1988; Davidson, Hughes &
O’Conner, 1988). Secondo, come per i bambini più grandi con DDAI, alcuni bambini in età pre-scolare vengono sottoposti a trattamento farmacologico
con psicostimolanti (per es., metilfenidato) per ridurre i sintomi del disturbo.
Infatti, farmaci stimolanti vengono prescritti a una percentuale fra 1.2 e 2%
di bambini dai 2 ai 4 anni, presumibilmente come trattamento per un DDAI
(Zito et al., 2000).
In seguito all’ingresso nella scuola, i bambini piccoli con DDAI hanno
maggiori probabilità dei loro coetanei normali di restare indietro nell’apprendimento di concetti logico-matematici, di abilità di pre-lettura e di motricità
147
DDAI a Scuola
fine (Lahey et al., 1998; Mariani & Barkley, 1997; Shelton et al., 1998). Per
esempio, DuPaul e colleghi (2001) hanno riscontrato che un campione di 58
bambini di età pre-scolare con DDAI otteneva un punteggio inferiore di 1 deviazione standard a quello ottenuto dai loro compagni in test che valutavano
lo sviluppo cognitivo e le competenze pre-scolastiche.
Questo è particolarmente preoccupante data la relazione forte fra le competenze acquisite precocemente e il successivo rendimento (vedere Kameenui,
1993). La presenza di fattori di rischio relativi al rendimento scolastico (e ad
altri ambiti) in bambini con DDAI è supportata dai dati che mostrano come
i bambini con DDAI presentino un rischio superiore alla media di essere
inseriti in programmi di educazione speciale nei primi anni delle scuole elementari (Lahey et al., 1998) e come abbiano minori probabilità di portare a
termine la scuola superiore rispetto ai loro coetanei normali (vedere Barkley,
Fischer et al., 1990).
I risultati di un’indagine recente (O’Reilly, 2002) sottolineano fino a che
punto i bambini con DDAI, al momento del loro ingresso nella scuola elementare, siano già indietro rispetto ai loro compagni in aree importanti relative al rendimento scolastico. O’Reilly ha esaminato la traiettoria delle abilità di
pre-lettura e pre-scrittura in un campione di bambini dell’asilo e della prima
elementare che mostravano sintomi del DDAI e in un campione di loro coetanei normali.
Per valutare l’acquisizione delle abilità è stato utilizzato il Dynamic Indicators of Basic Early Literacy Skills (Indicatori Dinamici delle Abilità Alfabetiche
Basilari Precoci; DIBELS; Kaminski & Good, 1996) in tre momenti distinti
dell’anno (autunno, inverno e primavera). I risultati indicavano che i bambini
dell’asilo con DDAI presentavano una differenza di 0.5 deviazioni standard
nelle competenze alfabetiche precoci rispetto ai loro coetanei del campione di
controllo, in tutti e tre i momenti dell’anno.
Simili differenze fra gruppi sono state rilevate per i bambini di scuola elementare. Inoltre, i bambini di prima elementare con DDAI mostravano un
tasso di progresso più lento nella fluenza della lettura orale rispetto al gruppo
di controllo e al 50° percentile delle norme locali per il DIBELS (vedere Figura 4.1). Pertanto, i bambini piccoli con DDAI fanno il loro ingresso nella
scuola elementare portandosi dietro delle lacune importanti rispetto ai loro
coetanei in competenze scolastiche critiche e il loro deficit perdura nei primi
anni delle scuole elementari.
148
Screening, identificazione e intervento precoci
FIGURA 4.1. Punteggi di fluenza media nel riconoscimento di sillabe (OnRF)
alle rilevazioni in autunno e in inverno per bambini dell’asilo a rischio e per i
gruppi di controllo di coetanei e del 50° percentile delle norme locali. Tratta da
O’Reilly (2002). Copyright dell’autore. Ristampato per gentile concessione.
In sintesi, le difficoltà di salute, sociali e scolastiche associate al DDAI
iniziano di solito in un’età molto precoce e non mostrano segni di remissione
(Pierce et al., 1999). Pertanto, l’opportunità migliore per prevenire deficit significativi a livello comportamentale, scolastico e sociale, per ridurre il ricorso
al trattamento farmacologico e per accrescere il funzionamento scolastico dei
bambini con DDAI nei primi anni della scuola elementare (ultimo anno di
asilo e prima elementare) è rappresentata da un’identificazione precoce del
problema e dall’applicazione di un intervento intensivo.
PROCEDURE DIAGNOSTICHE E DI SCREENING
Per identificare bambini piccoli a rischio di sviluppare un futuro DDAI, bisogna utilizzare metodologie affidabili e valide per (1) effettuare uno screening
al fine di individuare i bambini su quali condurre indagini più approfondite e
(2) valutare i comportamenti associati al DDAI e ad altri disturbi del comportamento. Nonostante siano disponibili alcuni strumenti psicometricamente
robusti, la valutazione del DDAI in bambini di età pre-scolare è piena di difficoltà. La principale è rappresentata dal fatto che di solito i bambini in questa
149
DDAI a Scuola
fascia di età manifestano spesso comportamenti di disattenzione e impulsività
e livelli di attività molto alti. In numerosi casi, questi comportamenti sono
semplicemente espressione dell’essere piccoli. Un’altra difficoltà è la natura
passeggera dei problemi comportamentali riscontrati nei bambini piccoli. Anche se circa il 50% dei bambini piccoli con sintomi di DDAI continuerà a
esibire difficoltà persistenti nelle aree interessate, è anche vero che nel restante
50% dei casi questa sintomatologia scomparirà (Campbell, 1990). Inoltre, il
comportamento nei bambini piccoli può essere molto diverso in situazioni e
tempi differenti. Infine, differenziare fra loro comportamenti indicativi di un
DDAI o di altri disturbi (per es., l’autismo) è particolarmente difficile, data
la variabilità naturale nello sviluppo delle competenze e delle abilità intrinseca in questa fascia di età. Pertanto, lo screening e la diagnosi del DDAI in
bambini piccoli deve essere condotta con prudenza non tralasciando mai le
considerazioni evolutive.
Screening
Esistono due approcci allo screening di bambini a rischio: quello individuale
e quello in classe. Lo screening in classe è una procedura attiva ideata per identificare i bambini a rischio di DDAI o di disturbi del comportamento disfunzionale prima di una segnalazione da parte dell’insegnante o del genitore. Per
dirla diversamente, data l’occorrenza del DDAI nella popolazione generale, si
presume che uno o due bambini in ogni classe possano essere affetti da questo
disturbo. Piuttosto che aspettare eventuali segnalazioni, si possono utilizzare
varie metodologie per identificarli il più precocemente possibile. Per esempio,
il Progetto di Screening Precoce (Feil, Walker & Severson, 1995) utilizza per
l’identificazione di bambini piccoli a rischio di disturbi del comportamento
una procedura a ingressi sequenziali. All’inizio si chiede all’insegnante di scuola materna di valutare la frequenza e la gravità dei comportamenti manifesti di
tutti i bambini. I primi tre bambini varcano “ l’ingresso” del livello successivo
in cui l’insegnante da un giudizio comportamentale in termini di punteggi
in un questionario psicometricamente robusto. Quei bambini che ricevono
punteggi superiori ai criteri delle norme (ossia 1.5 deviazioni standard sopra
la media) entrano in un altro livello ancora in cui vengono condotte osservazioni sistematiche del comportamento e vengono raccolte le valutazioni dei
genitori. Se gli ultimi due strumenti danno come risultati punteggi che superano i criteri delle norme, allora si progetta un piano di intervento in classe e
150
Screening, identificazione e intervento precoci
lo si mette in atto; oppure si segnala il bambino per una valutazione ancora
più approfondita.
Al contrario lo screening individuale è una procedura reattiva in cui la valutazione si verifica dopo la segnalazione da parte di un insegnante o un genitore. Questo procedimento è molto simile a quello descritto nella Fase I del
nostro modello valutativo (vedere il Capitolo 2). Pertanto, ogni qual volta un
insegnante di scuola materna o un genitore presenti dei dubbi sul livello di
attenzione, di attività e di controllo degli impulsi di un bambino è necessario
intraprendere uno screening per il DDAI. Inoltre, data la forte associazione
fra i sintomi di questo disturbo e le difficoltà nelle abilità prescolari di lettura
e aritmetica lo screening dovrebbe essere condotto anche se i genitori o l’insegnante riferiscono preoccupazioni relative all’apprendimento delle lettere
e dei numeri da parte del bambino. Come nel caso dei bambini più grandi,
i principali strumenti di valutazione utilizzati in questo caso sono i giudizi
dell’insegnante sui comportamenti del DDAI e/o una breve intervista con
l’insegnante o i genitori. Per rendere più semplice questo procedimento, McGoey e colleghi (2002) hanno ideato una versione della ADHD Rating ScaleIV per l’età pre-scolare che include i 18 sintomi del DDAI. Nello specifico,
gli item comportamentali includono esempi di come si possono manifestare
i sintomi in bambini piccoli (per es., difficoltà a seguire le spiegazioni che si
manifesta con problemi nel passaggio da un’attività all’altra). Se si riscontrano
frequenti sintomi del DDAI, allora potrebbe essere necessaria una valutazione
più approfondita. Come parte del processo valutativo, bisognerebbe tenere in
considerazione le seguenti domande:
1.Che percentuale del comportamento disfunzionale del bambino può essere imputata a “immaturità”? Il bambino è immaturo in diverse aree di
sviluppo oltre a presentare distraibilità e uno span di attenzione ridotto?
I comportamenti del bambino sono migliorati nel tempo in seguito a un
impegno in questa direzione? Se no, potrebbe essere necessaria una valutazione più approfondita per un eventuale DDAI?
2. Le aspettative della classe sono appropriate per l’età cronologica? Per esempio, ci si aspetta che i bambini stiano seduti per un lasso di tempo troppo
lungo? Il curricolo potrebbe essere esageratamente incentrato su attività
scolastiche e/o potrebbe richiedere competenze non adeguate al livello di
istruzione dei bambini. I comportamenti disfunzionali sono collegati alla
sperimentazione di frustrazione?
151
DDAI a Scuola
3. Le regole della classe sono chiare? Queste regole sono state esplicitamente
insegnate ai bambini? Lo stile disciplinare dell’insegnante è chiaro e coerente? Il bambino è oppositivo e provocatorio nei confronti delle regole
della classe?
4. I genitori e il personale della scuola sono di solito riluttanti nell’assegnare
un’etichetta a un bambino in un’età così precoce. Potrebbero sentirsi più a
loro agio nell’aspettare la fine dell’asilo o la prima elementare per vedere se
questi comportamenti passano da sé (per es., se il comportamento diventa
meno difficoltoso da gestire). Di contro, se un bambino che mostra sintomi del DDAI non riceve alcun intervento in età pre-scolare, l’approccio
“aspettiamo e vediamo” potrebbe portare solo a maggiori frustrazioni nelle
attività scolastiche, a sviluppare relazioni interpersonali scarse e a sperimentare un abbassamento nell’autostima in contesti scolastici. Pertanto,
bisogna chiedersi se i benefici dell’identificazione e dell’intervento così precoce superino i costi implicati.
Quando l’esito dello screening indica la necessità di un esame più approfondito, allora bisognerebbe utilizzare un protocollo multimodale come quello descritto nella Fase II del nostro modello di valutazione (vedere il Capitolo
2). Malgrado le domande che guidano il processo stesso siano simili a quelle
utilizzate per bambini di un’età più avanzata, esistono delle differenze importanti. Prima fra tutte, devono essere utilizzati strumenti di misura differenti.
In particolare, bisognerebbe utilizzare scale di valutazione e altri strumenti
sviluppati appositamente per l’uso in età pre-scolare. Come minimo, le metodologie valutative devono includere campioni normativi per un’età fra i 3 e i
5 anni. Di seguito verranno presentati alcuni strumenti che rispettano questo
criterio. In secondo luogo, data la natura variabile del comportamento dei
bambini di questa età, le osservazioni e le scale di valutazione devono coprire
un lasso di tempo e una varietà di situazioni più ampi che non con i bambini
più grandi. Per esempio, gli insegnanti dovrebbero valutare il comportamento per tutta la durata dell’anno scolastico e i genitori almeno per 6 mesi. Le
osservazioni devono essere condotte nel corso di attività strutturate (per es.,
circle time) e non (gioco libero). Infine, bisognerebbe dare un’importanza primaria a quello che i genitori riferiscono sui sintomi del DDAI dal momento
che sono proprio loro a passare più tempo con i bambini piccoli. Nel caso
fossero altre figure di riferimento a passare la maggior parte del tempo con i
bambini (educatori di baby-parking giornalieri), allora anche queste persone
152
Screening, identificazione e intervento precoci
dovrebbero essere coinvolte nell’intervista e/o nel rispondere agli item delle
scale di valutazione.
Sono state sviluppate numerose interviste e scale di valutazione del comportamento per i bambini piccoli. Sono al momento disponibili versioni per
l’età pre-scolare della Diagnostic Interview for Children and Adolescents (Reich,
2000) e della Diagnostic Interview Schedule for Children (DISC; Gruppo di
Sviluppo del DISC della Columbia University, 2000). Anche se queste interviste sono piuttosto lunghe (30-60 minuti circa), rappresentano una maniera
completa e affidabile per valutare i comportamenti sintomatici di diversi disturbi che potrebbero colpire i bambini in età pre-scolare. Sono anche disponibili scale di valutazione che contengono item specifici per la valutazione
del comportamento di bambini piccoli sia per i genitori (o altre figure di
riferimento) che per gli insegnanti di scuola materna. Alcune scale ad ampio
spettro per i genitori sono la Preschool and Kindergarten Behavior Scale (PKBS;
Merrell, 1994;), la Conners Parent Rating Scale (Conners, 1997), la Early Childhood Inventory-4 (ECI-4; Gadow & Sprafkin, 1997) e una versione per i
piccoli della Child Behavior Checklist (Achenbach & Rescorla, 2000). Simili
scale di valutazione sono disponibili anche per gli insegnanti: la PKBS, la
Conners Teachers Rating Scale e l’ECI-4. Una scala mirata che può essere utilizzata per ottenere delle valutazioni sul DDAI dai genitori e dagli insegnanti
è la Preschool ADHD Rating Scale-IV (McGoey et al., 2002). Come nel caso
di bambini più grandi, le scale di valutazione vengono utilizzate per valutare il
grado di devianza evolutiva nelle arre chiave solitamente pregiudicate dai sintomi del DDAI, incluse le competenze prescolastiche e sociali. Anche la SSRS
(Gresham & Elliott, 1990), che valuta le competenze sociali, include versioni
per i genitori e gli insegnanti di bambini in età pre-scolare. Gli insegnanti
possono compilare la Preschooler Learning Behavior Scale (McDermott, Leigh
& Perry, 2002) per valutare fino a che punto i bambini presentino problemi
relazionati ai comportamenti di apprendimento e di motivazione.
Un’altra componente critica della valutazione multimodale dei sintomi del
DDAI nei bambini piccoli è l’osservazione diretta del comportamento del
bambino in classe e/o a casa. Per esempio, DuPaul e colleghi (2001) hanno
utilizzato un adattamento del sistema di codifica del comportamento sociale,
presente nel Progetto per lo Screening Precoce (Feil et al., 1995), per raccogliere informazioni sul comportamento di bambini a rischio di DDAI in
situazioni di classe strutturate (ascoltare l’insegnante che legge) e non (gioco libero).Questo sistema utilizza una combinazione fra la codifica parziale
153
DDAI a Scuola
dell’intervallo temporale (15 secondi) per i comportamenti negativi, la codifica continua dell’intervallo temporale per i comportamenti positivi e una
campionatura temporanea per registrare i cambiamenti nell’attività svolta. La
categoria dei comportamenti sociali negativi include: interazioni sociali negative, inottemperanza alle regole, comportamenti non attinenti al compito
e capricci. La categoria di comportamenti sociali positivi include: interazioni
sociali positive, gioco parallelo e compliance con le regole. Il cambiamento
nell’attività viene misurato indipendentemente dai comportamenti sociali positivi e negativi e viene definito come il coinvolgimento del bambino in un’attività diversa da quella in cui era coinvolto all’inizio dell’intervallo osservativo
precedente. DuPaul e colleghi hanno riscontrato che i bambini piccoli con
DDAI mostravano percentuali significativamente più elevate di comportamenti sociali negativi in situazioni strutturate rispetto ai loro coetanei.
Le osservazioni dell’interazione genitore-bambino in una varietà di situazioni possono essere utili non solo nel determinare la devianza evolutiva del
comportamento del bambino, ma anche nel fornire informazioni utili nella
progettazione degli interventi a casa. DuPaul e colleghi (2001) hanno osservato le interazioni genitore-bambino in un setting clinico: una stanza da gioco in
cui si susseguivano quattro differenti situazioni controllate della durata di 10
minuti ciascuna. Nella prima situazione il genitore permetteva al bambino di
interagire liberamente con i giocattoli: situazione di gioco libero (FPS). Nella
seconda situazione il genitore non prestava attenzione al bambino: situazione di bassa attenzione dell’adulto (LAAS). Nella terza situazione il genitore
supervisionava l’attività del bambino (per es., mentre faceva un puzzle o un
disegno): situazione di supervisione dell’adulto (PSS). Nell’ultima situazione
ogni bambino doveva portare a termine un compito (per es., riordinare la
stanza da gioco): situazione sotto la direzione del genitore (PDTS). I comportamenti genitoriali codificati erano i seguenti: comandi alfa (diretti), comandi
beta (indiretti e vaghi), comportamenti positivi, comportamenti negativi, domande e rinforzi alla compliance del bambino. I comportamenti codificati del
bambino erano invece: attività, compliance, negligenza, comportamenti non
appropriati, comportamenti attinenti al compito. Tranne che per la categoria
dell’attività, per tutte le altre categorie è stata calcolata la percentuale degli
intervalli osservativi. Il punteggio nella categoria attività rappresentava il numero di intervalli in cui si era verificato un cambiamento nell’attività svolta.
Questo sistema di codifica dell’interazione genitore-bambino si è rivelato
154
Screening, identificazione e intervento precoci
in grado di discriminare bambini piccoli con DDAI dai loro coetanei normali
(DuPaul et al., 2001). I bambini con DDAI mostravano livelli di negligenza
due volte maggiori e comportamenti non appropriati a livelli circa cinque
volte superiori a quelli del gruppo di controllo, quando i genitori chiedevano
loro di portare a termine un’attività o un compito. Aspetto interessante, nella
situazione LAAS non sono state rilevate differenze fra i due gruppi, suggerendo che per molti bambini piccoli con DDAI la motivazione principale dei
loro comportamenti negligenti sia sfuggire alle richieste genitoriali di eseguire
un compito (piuttosto che mostrare comportamenti negativi per attirare l’attenzione del genitore). Pertanto, questo sistema può essere utile per suggerire
le direzioni da prendere nella valutazione funzionale.
In base a queste indicazioni, è obbligatorio raccogliere dati attraverso una
valutazione funzionale. Le componenti di una valutazione funzionale del
comportamento nei bambini piccoli non sono diverse da quelle dei bambini
più grandi (vedere il Capitolo 2) e includono le interviste ai genitori e agli
insegnanti e le osservazioni dirette. Nella maggior parte dei casi, i dati della
valutazione saranno sufficientemente descrittivi in modo da poter identificare
gli antecedenti e conseguenti mano a mano che questi si verificano sia nel
contesto classe sia a casa. Quando è possibile, si possono utilizzare delle procedure di analisi sperimentale come quelle descritte da Boyajian, DuPaul, Warte
Handler, Eckert & McGoey (2001) per identificare con maggiore chiarezza
le funzioni di uno specifico comportamento. Più avanti forniremo ulteriori
dettagli della valutazione funzionale in bambini piccoli (vedere la sezione sul
“Modello del Progetto “ACHIEVE ”).
Il protocollo di valutazione multimodale deve includere strumenti di misura che vadano oltre la valutazione dei semplici comportamenti. Nello specifico, bisognerebbe includere una valutazione dei pre-requisiti dell’apprendimento della lettura e dell’aritmetica, dato che i bambini con DDAI hanno un
rischio superiore alla media di conseguire scarsi rendimenti in questi ambiti.
Idealmente, la valutazione dei pre-requisiti alfabetici non dovrebbe solo valutare i contenuti rilevanti ma anche rispettare i criteri di un’utilità pratica,
tecnica e decisionale (vedere Good, Gruba & Kaminski, 2002). Sulla base
di questi criteri la metodologia più completa per valutare le competenze di
pre-lettura è rappresentato dai Dynamic Indicators of Basic Early Literacy Skills
(DIBELS: Kaminski & Good, 1996). Il DIBELS è costituito da quattro misure: fluenza nel riconoscimento delle sillabe, fluenza nella segmentazione dei
155
DDAI a Scuola
fonemi, fluenza nella lettura di non-parole e fluenza nello spelling di lettere.
Esiste anche una quinta misura, la misura basata sul curricolo della fluenza
nella lettura orale, che può essere utilizzata per i bambini che iniziano a leggere. Ciascuna di queste misure è breve e può essere ripetuta nel tempo per valutare eventuali progressi. Inoltre, l’affidabilità e la validità riferita al criterio del
DIBELS sono molto consistenti (per una rassegna vedere Good et al., 2002).
Sfortunatamente, un simile insieme di misure non è disponibile per la valutazione delle competenze aritmetiche anche se Sokol (2002) ha sviluppato un
protocollo di valutazione che fa parte del protocollo di trattamento “Progetto
ACHIEVE”, descritto di seguito. Chiaramente la valutazione dei concetti di
numero e quantità è un’area importante che deve ancora essere sviluppata per
i bambini piccoli.
Una volta che sono stati raccolti i dati della valutazione, si devono interpretare i risultati in modo simile a quello descritto nella Fase III del nostro modello di valutazione (vedere il Capitolo 2). Le decisioni diagnostiche devono
essere prese sulla base dell’aderenza dei dati raccolti ai criteri del DSM-IV per
i tre sottotipi di DDAI (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). In questo caso, bisogna tenere conto di diversi ammonimenti. Prima di tutto, una
diagnosi di DDAI può essere emessa con minore sicurezza in bambini piccoli
a causa della variabilità intrinseca al loro comportamento e alla possibilità che
i sintomi regrediscano con il passare del tempo. Infatti, nel nostro lavoro con
bambini in età pre-scolare, utilizziamo l’espressione “a rischio di DDAI” per
descrivere quelli che soddisfano i criteri del DSM-IV per questo disturbo.
Questa espressione riconosce la gravità dei sintomi ma permette anche di
considerarli come precursori del disturbo che potrebbero scomparire con la
crescita. Inoltre, abbiamo riscontrato che una diagnosi che include l’espressione “a rischio di” è più accettabile per i genitori e gli insegnanti dei bambini
piccoli, che si preoccupano della potenziale stigmatizzazione a lungo-termine
derivante da un’etichetta diagnostica assegnata in un’età così precoce.
Un’altra considerazione da fare nella fase interpretativa è il grado in cui i
sintomi di un apparente DDAI possano essere spiegati da altre cause. Malgrado tutte le ipotesi alternative elencate nel Capitolo 2 per i bambini più
grandi possano andare bene anche nella valutazione dei bambini più piccoli,
è soprattutto necessario distinguere il DDAI dall’autismo e da altri disturbi
pervasivi dello sviluppo. L’autismo e gli altri disturbi pervasivi dello sviluppo
vengono spesso individuati negli anni di scuola materna (Associazione Americana di Psichiatria, 2000). Inoltre, la disattenzione, l’impulsività e gli elevati
156
Screening, identificazione e intervento precoci
livelli di attività grosso-motoria possono presentarsi anche in bambini con
disturbi dello sviluppo. In particolare, quando i genitori e gli insegnanti riferiscono preoccupazioni relative alle competenze linguistiche e sociali, i professionisti dovrebbero includere misure di screening per l’autismo. Per esempio,
l’intervista diagnostica Autism Diagnostic Interview – Revised (Lord, Rutter
& LeCouteur, 1994) può essere utilizzata per ottenere dai genitori o dagli
insegnanti informazioni su sintomi autistici. Inoltre, possono essere utili scale di valutazione del comportamento quali la Childhood Autism Rating Scale
(Schopler, Reichler & Renner, 1988).
Come nel caso di bambini più grandi con DDAI, le strategie di intervento
dovrebbero essere progettate, verificate e modificate sulla base dei dati delle
valutazioni (vedere le Fasi IV e V del nostro modello valutativo descritto nel
Capitolo 2). Come parte del piano di intervento sarebbe prudente effettuare
una valutazione periodica dei sintomi del DDAI per accertarsi della persistenza del disturbo. Per esempio, un sottoinsieme di misure potrebbe essere
nuovamente somministrato una volta l’anno nei primi anni delle elementari.
Dato che, in alcuni bambini piccoli, i sintomi del disturbo possono subire
una remissione con il tempo, si potrebbe tracciare una traiettoria dei comportamenti associati al DDAI utile per la pianificazione del trattamento a breve
e lungo termine.
INTERVENTO PRECOCE E STRATEGIE DI PREVENZIONE
Gli interventi più efficaci per il DDAI sono il trattamento farmacologico
con psicostimolanti (per es., il metilfenidato) e la terapia comportamentale
applicata sia a scuola sia a casa (MTA Cooperative Group, 1999; Pelham et
al., 1998). Nonostante la maggior parte degli studi sull’efficacia siano stati
condotti con bambini di scuola elementare (6-11 anni), ci sono anche alcune
ricerche che forniscono un supporto alla validità di queste metodologie nel
trattamento di bambini piccoli con DDAI (vedere McGoey, Eckert & DuPaul, 2002). Più specificamente, il trattamento farmacologico con stimolanti
e il parent training applicati separatamente hanno portato risultati positivi
rispetto ad altre condizioni di controllo. I programmi comportamentali di parent training sembrano essere una strategia ottimale per i bambini piccoli con
problemi della condotta perché questo tipo di trattamento può interrompere
le interazioni coercitive genitore-bambino che sono spesso la fonte dei comportamenti problematici. Di particolare rilevanza è il programma di parent
157
DDAI a Scuola
training sviluppato da Webster-Stratton (1996) che applica un modello che
si basa sulla discussione di videoregistrazioni piuttosto che quello di didattica
frontale proprio del parent training tradizionale. Questo programma gode di
un supporto empirico davvero molto ampio per l’efficacia nel trattamento di
bambini piccoli con problemi di condotta (Webster-Stratton, 1998; WebsterStratton, Hollinsworth & Kolpacoff, 1989) ed è stato identificato come uno
dei due trattamenti, per il disturbo della condotta, che hanno una validità
empirica (Brestan & Eyberg, 1998).
McGoey e colleghi (2002) hanno compilato una rassegna completa della
letteratura che valuta gli interventi per bambini piccoli con DDAI. Sono stati
identificati 28 studi pubblicati fra il 1967 e il 2000 in cui venivano esaminati
tre trattamenti: il trattamento farmacologico (N=14), la terapia comportamentale in contesto scolastico (N = 9) e i programmi di educazione per i genitori (N=4). Inoltre, è stato trovato uno studio che valutava un trattamento
multimodale. Questi studi empirici comprovano l’efficacia di ognuna di queste tre strategie di intervento nel migliorare i sintomi del DDAI e i comportamenti a esso associati in bambini piccoli. Di seguito forniamo degli esempi di
ciascuna strategia, con le relative prove di efficacia, per illustrare tutto quello
che al momento si conosce sul trattamento del DDAI nella prima infanzia.
Trattamento farmacologico
Il trattamento maggiormente studiato per il DDAI nei bambini di età
pre-scolare è quello che utilizza farmaci psicotropi e, nello specifico, psicostimolanti. La grande maggioranza delle ricerche ha esaminato gli effetti del
metilfenidato, anche se sono stati studiati anche d-amfetamina e il carbonato
di litio. La maggior parte degli studi ha cercato di stabilire fino a che punto i
farmaci riducessero i sintomi del DDAI e i relativi problemi comportamentali. Per esempio, Barkley (1988) ha studiato gli effetti comportamentali di due
differenti dosaggi (0.15 mg/kg, 0.5 mg/kg) di metilfenidato su 27 bambini
con DDAI di età fra i 2.5 e i 4 anni. Sono state condotte osservazioni delle
interazioni madre-bambino in una stanza da gioco in ambulatorio e queste
hanno permesso di riscontrare riduzioni significative di comportamenti non
attinenti al compito e di negligenza con entrambi i dosaggi. I bambini erano invece maggiormente disponibili alle richieste materne nello svolgimento
delle attività. Simili riduzioni nel comportamento di disattenzione sono state
ottenute con dosaggi differenti e in contesti differenti (casa, ambulatorio e a
scuola) anche in altri studi. A un livello di analisi gruppale, elevati dosaggi
158
Screening, identificazione e intervento precoci
(per es., 1.0 mg/kg) mostrano effetti più costanti in tutti gli studi e in tutti i
contesti, anche se questi stessi dosaggi sono più spesso associati a presenza di
effetti collaterali (per es., minore interazione sociale, perdita dell’appetito e
umore disforico). La d-amfetamina (sempre uno psicostimolante) ottiene gli
stessi effetti comportamentali, mentre il carbonato di litio non sembra efficace nel trattamento di questo disturbo nei bambini piccoli.
McGoey e colleghi (2002) hanno individuato una serie di limiti negli studi
sul trattamento farmacologico con questa popolazione: (1) l’assenza di misure per valutare l’aderenza al protocollo di somministrazione, (2) un’indagine
minima degli effetti comportamentali nelle classi reali di scuola materna e (3)
indicazioni solo su effetti a breve-termine (per es., alcune settimane). Inoltre,
diversi studi precedenti sugli effetti dei farmaci non includevano gruppi di
controllo con placebo o metodologie a doppio cieco, entrambi aspetti critici
per eliminare minacce alla validità interna. Inoltre, diverse ricerche riferivano
che i genitori sospendevano il trattamento alla conclusione della ricerca stessa.
Pertanto, sembra che almeno alcuni genitori non valutassero gli effetti dei farmaci sul comportamento dei loro bambini così significativi oppure che fossero preoccupati di eventuali effetti collaterali. Pertanto, la conclusione più prudente è quella che il metilfenidato e altri stimolanti riducono effettivamente i
sintomi del DDAI e i relativi problemi comportamentali nei bambini piccoli.
Tuttavia, resta ancora da definire fino a che punto il trattamento farmacologico sia necessario a questa età in aggiunta ad altre strategie di intervento. È
tuttora in corso un’analisi su vasta scala (Studio sul Trattamento dell’Attenzione in Età Pre-scolare [PATS]; Greenhill, 2000) che dovrebbe portare più
luce sul ruolo degli psicostimolanti nella gestione dei sintomi del DDAI in
bambini piccoli.
Terapia comportamentale nella scuola materna
Al contrario della terapia farmacologica, pochi studi hanno indagato gli
effetti degli interventi comportamentali e/o educativi in classi di scuola materna. Questo è sorprendente e allo stesso tempo deprimente date le implicazioni a breve e lungo-termine di comportamenti disfunzionali nella scuola
materna ed elementare. Inoltre, molti interventi “in classe” analizzati fino
a oggi sono stati verificati in laboratorio più che sul campo, limitando così
la generalizzabilità dei risultati ottenuti. Questo è, per esempio, il caso di
un’analisi condotta in un contesto classe: McGoey e DuPaul (2000) hanno
valutato gli effetti di una terapia comportamentale che combinava tecniche di
159
DDAI a Scuola
rinforzo positivo con tecniche response cost per i comportamenti disfunzionali
di quattro bambini di scuola materna con DDAI. Agli insegnanti dei bambini si chiedeva di rinforzare i comportamenti appropriati e scoraggiare quelli
non appropriati concedendo o negando rispettivamente i conseguenti rinforzi
“simbolo” (per es., un bottone). I bambini ottenevano dei premi giornalieri
sulla base del numero di gettoni guadagnati durante l’intera giornata a scuola.
Osservazioni dirette del comportamento indicavano riduzioni del comportamento disfunzionale durante l’applicazione del trattamento in confronto con
i dati della baseline. Gli insegnanti e gli studenti riferivano che questa strategia
era gradita ed efficace.
In generale, sembra che, come nel caso dei bambini più grandi con DDAI,
gli interventi in classe basati su principi comportamentali siano efficaci nel
ridurre i comportamenti disfunzionali in contesti di scuola materna. Questa conclusione è indebolita da diversi limiti presenti in letteratura che sono:
bassa numerosità dei campioni, mancanza di informazioni sull’integrità del
trattamento applicato, di follow-up a lungo-termine e di dati generalizzabili
(McGoey et al., 2002).
Inoltre, gli interventi sono stati applicati secondo l’approccio “uno per tutti”, presupponendo che tutti i bambini piccoli con DDAI rispondano a un particolare intervento. Sono necessari più lavori sulla linea di quello di Boyajian e
colleghi (2001) che hanno progettato interventi in età pre-scolare utilizzando i
dati della valutazione funzionale. Questa valutazione permette di personalizzare gli interventi comportamentali per cercare di migliorarne gli esiti.
Il parent training nel contesto della terapia comportamentale
Una serie di studi ha provato che gli interventi di terapia comportamentale applicati attraverso i genitori possono accrescere la compliance e ridurre i
comportamenti non appropriati in bambini piccoli con DDAI e con disturbi
simili. Gli effetti positivi sul comportamento dei bambini sembrano derivare
dai cambiamenti nel modo in cui i genitori pongono le richieste e rispondono
loro quando si mostrano cooperativi.
Uno degli studi più ambiziosi sul parent training in questa popolazione è
stato condotto da Strayhorn e Weidman (1989) che sono stati in grado di ottenere un campione di 98 genitori di bambini in età pre-scolare con DDAI. I
genitori sono stati assegnati casualmente al gruppo di controllo e a quello sperimentale; quelli nel gruppo sperimentale imparavano a dare rinforzi positivi
160
Screening, identificazione e intervento precoci
a comportamenti adeguati nel corso di un training sulle interazioni genitorebambino. Il gruppo sperimentale manifestava miglioramenti statisticamente significativi nelle valutazioni genitoriali dei comportamenti dei bambini,
come anche nelle osservazioni dirette delle interazioni genitore-bambino in
ambulatorio. I genitori riferivano anche un più elevato grado di soddisfazione
nei confronti degli esiti del trattamento. Gli stessi ricercatori hanno riscontrato che le differenze fra i due gruppi erano ancora presenti a un anno dalla fine
del trattamento, dimostrando la resistenza dei cambiamenti comportamentali
indotti dal trattamento (Strayhorn & Weidman, 1991).
Come nel caso delle terapie comportamentali applicate in classi di scuola
materna, il parent training sembra essere un trattamento efficace nella gestione
del comportamento di bambini piccoli con DDAI. Tuttavia, questa conclusione è stemperata da limiti simili a quelli per gli interventi in classe: mancanza di informazioni sull’integrità del trattamento applicato e affidamento solo
misure indirette degli esiti di trattamento (ossia le valutazioni genitoriali del
comportamento) (McGoey et al., 2002). Inoltre, la maggior parte dei parent
training considerati negli studi insegnava ai genitori a mettere in atto molteplici strategie comportamentali (rinforzo positivo, response cost e interruzione
del rinforzo positivo).
Pertanto, è difficile distinguere quali specifiche strategie di intervento siano efficaci e se sia necessario un “pacchetto” di trattamento completo per
ottenere dei cambiamenti nel comportamento. Infine, la maggior parte degli
studi hanno incluso per lo più campioni di individui bianchi di reddito medio, limitando così il grado in cui tali risultati possono essere generalizzati a
popolazioni differenti. Dato che la letteratura sul parent training ha documentato da sempre gli effetti ridotti di questo trattamento su madri sole di status
socioeconomico basso (Nixon, 2000), è decisamente importante che vengano
eseguite indagini su campioni differenti.
PREVENZIONE E INTERVENTO SU SCALA TERRITORIALE
Anche se esistono prove empiriche che gli interventi psicosociali possono
aiutare a ridurre le difficoltà delle famiglie e delle scuole che hanno a che fare
con bambini piccoli con DDAI, sembra che questi interventi non vengano
applicati con una certa frequenza nel territorio o in contesti che non siano di
ricerca. In breve, esiste un gap fra ciò di cui questi bambini hanno bisogno,
ciò che si sa che funziona nel rispondere ai loro bisogni e quello che in realtà
161
DDAI a Scuola
si offre. Eckert, DuPaul, McGoey e Volpe (2002) hanno intervistato i genitori di bambini piccoli a rischio di DDAI (N= 101), gli operatori dei servizi
territoriali (educatori professionali per la prima infanzia, pediatri e psicologi
scolastici N= 137), gli esperti e i ricercatori nazionali nel campo del DDAI
(N= 25) chiedendo loro di individuare i bisogni dei bambini in età pre-scolare
con questo disturbo. Tutti e tre i campioni concordavano sull’affermare che i
genitori e gli insegnanti di questi bambini avevano bisogno di informazioni e
di un sostegno costante sugli interventi comportamentali ed educativi. Anche
se i genitori percepivano di ottenere informazioni utili dall’insegnante e dal
medico di base del bambino, riferivano minore soddisfazione sul fronte dei
gruppi di supporto e di altri servizi disponibili sul territorio. Gli operatori dei
servizi sottolineavano la necessità costante di un intervento precoce, di parent
training e di una consulenza educativa. Gli esperti riportavano un gap fra la
ricerca e la pratica insieme a una necessità generale di ulteriori indagini sugli
interventi realmente efficaci per questa fascia di età.
Il gap fra la ricerca e la pratica non sembra essere dovuto a una mancanza
di accettazione o di accordo con gli interventi da parte dei genitori e degli
insegnanti. Piuttosto il contrario: i genitori non solo sentono la necessità di
ricevere addestramenti specifici su strategie genitoriali di gestione del comportamento, ma ritengono anche che le terapie comportamentali, quali il rinforzo positivo, siano maggiormente accettabili, per esempio, del trattamento
farmacologico (Wilson & Jennings, 1996). In maniera simile, Stormont e
Stebbins (2001) hanno riscontrato che gli insegnanti di scuola materna ritenevano importanti numerosi trattamenti comportamentali ed educativi nella
gestione di bambini con DDAI e il grado di importanza correlava significativamente con la familiarità che avevano con queste tecniche. Le valutazioni
degli insegnanti sull’importanza e sulla familiarità non correlavano con gli
anni di esperienza, con il livello di istruzione o altri fattori demografici. Pertanto, i genitori e gli insegnanti hanno una necessità critica di informazioni e
sostegno per comprendere e trattare i bambini piccoli con DDAI. Malgrado
la letteratura di ricerca confermi la validità di una serie di trattamenti, esiste
un gap evidente fra la ricerca e la pratica nei servizi territoriali. Nella sezione
seguente, sottolineiamo l’importanza di un coinvolgimento sempre maggiore degli psicologi scolastici nell’intervento precoce su questa popolazione e
presentiamo un modello di prevenzione/intervento che può essere messo in
pratica dai professionisti della salute mentale, dagli educatori e da altri professionisti sanitari.
162
Screening, identificazione e intervento precoci
Prevenzione delle difficoltà associate al DDAI
Come precedentemente affermato in questo capitolo, i sintomi del DDAI
a insorgenza precoce sono associati a una serie di difficoltà croniche che compromettono la riuscita del bambino in una serie di aree critiche (vedere la
parte alta della Figura 4.2). I due esiti di gran lunga più problematici sono il
successivo sviluppo di un disturbo oppositivo provocatorio o di un disturbo
della condotta e lo scarso rendimento scolastico. Più del 50% dei bambini,
soprattutto i maschi, con DDAI riceveranno, a un determinato momento
della loro infanzia, una diagnosi anche di disturbo oppositivo provocatorio o
di disturbo della condotta (Barkley, 1998). Lo sviluppo sociale dipende, almeno in parte, dall’interazione fra le inclinazioni comportamentali del bambino
(per es., la presenza di DDAI) e le competenze genitoriali nella gestione di tali
comportamenti (Tremblay et al., 1992). Il numero maggiore di rinforzi viene
fornito dalle persone che hanno più contatti con il bambino (ossia i genitori);
pertanto scambi positivi con le figure di riferimento primarie contribuiscono significativamente allo sviluppo sociale del bambino (Patterson, Reid &
Dishion, 1992).
Un principio chiave della teoria di Patterson (Patterson et al., 1992) sullo
sviluppo di comportamenti antisociali è che questi si sviluppino in casa nel
corso dei primissimi anni. Più specificamente, i bambini apprendono che i
loro comportamenti avversivi (pianto, provocazione) allontanano i comportamenti avversivi dei genitori (i loro comandi). Nel tempo e attraverso situazioni ricorrenti, le interazioni coercitive addestrano i bambini a utilizzare i
comportamenti avversivi come un modo per controllare le situazioni spiacevoli e caotiche (Dishion, Patterson & Kavanagh, 1992). Mano a mano che il
bambino cresce, questi scambi coercitivi si intensificano in frequenza e gravità, portando a comportamenti avversivi che si generalizzano a più situazioni,
diventano persistenti nel tempo e hanno come risultato il rifiuto da parte
dei genitori e dei coetanei (Reid & Eddy, 1997). Le variabili principalmente
responsabili dell’instaurarsi di questo cerchio coercitivo sono la capacità e l’efficacia dei genitori nel porre dei limiti e nel monitorare il comportamento del
bambino (Dishion et al., 1992). I sintomi del DDAI sono significativamente
associati a strategie di gestione disfunzionali che accrescono la probabilità di
scambi coercitivi fra il genitore e il bambino (Dishion & Patterson, 1997). La
chiave per il cambiamento è modificare le modalità disciplinari utilizzate dai
genitori, riducendo la frequenza di scambi coercitivi (accrescendo allo stesso
tempo gli scambi positivi) fra i genitori e il bambino.
163
164
Rischio maggiore di funzionamento disfunzionale:
• Interazioni coercitive genitore-bambino
• Sviluppo cognitivo ostacolato
• Gravi problemi di comportamento
Identificazione precoce
dei sintomi significativi
del DDAI
Intervento precoce multimodale:
• Parent training
• Valutazione e terapia comportamentale individualizzata
• Valutazione e intervento scolastico individualizzato
• Valutazione e intervento scolastico
• Miglioramento della comunicazione casa
scuola
Conseguenze ipotizzate in seguito a un intervento precoce
Sintomi significativi del
DDAI
Conseguenze tipiche del DDAI a insorgenza precoce
Assenza di DOP/DC in
contesti diversi
Rendimento scolastico
nella media
Accettazione da parte
dei pari
Pre-requsiti dell’apprendimento nella
norma
Normalizzazione dell’uso dei servizi
sanitari
Trattamento precoce con
stimolanti
Rendimento scolastico
sotto la media
Riduzione dei sintomi di Disturbo
Oppositivo Provocatorio/Disturbo della
Condotta
Maggiore utilizzo di servizi sanitari
Scarsi pre-requisiti dell’apprendimento
Sintomi precoci di Disturbo Oppositivo
Provocatorio/Disturbodella Condotta
FIGURA 4.2.Conseguenze tipiche e ipotizzate del DDAI a insorgenza precoce
Screening, identificazione e intervento precoci
I genitori dovrebbero, inoltre, essere incoraggiati a monitorare con costanza i loro bambini per prevenire la manifestazione di comportamenti antisociali (aggressività fisica) e per prevenire lesioni accidentali associate al comportamento impulsivo. L’intervento ha maggiori probabilità di avere successo
se condotto durante quella che Patterson chiama la fase di “training basilare”,
ossia in età pre-scolare, piuttosto che se condotto in età più avanzate quando
lo stile interattivo coercitivo è ormai ben radicato, i comportamenti antisociali sono saldamente consolidati e il comportamento dei genitori è meno relazionato a quello del bambino (Patterson et al., 1992; Reid & Eddy, 1997).
Dato che i bambini in età pre-scolare con DDAI hanno maggiori probabilità dei loro coetanei normali di mostrare comportamenti aggressivi/provocatori in contesti scolastici, c’è una necessità impellente di modificare anche lo
stile interattivo insegnante-studente.
Il secondo esito comune associato al DDAI in età precoce è lo scarso rendimento scolastico. Come precedentemente affermato in questo capitolo, i
deficit scolastici sono spesso evidenti fin dall’inizio della scuola e persistono negli anni successivi. Numerosi studi di ricerca hanno dimostrato che le
prime esperienze di un bambino con le lettere e i numeri influenzano significativamente le future competenze scolastiche. La ricerca ha, per esempio,
dimostrato che le prime competenze di alfabetizzazione del bambino (per es.,
la consapevolezza fonemica) fanno una differenza importante nelle successive
competenze linguistiche e alfabetiche (vedere Hart & Risley, 1995). Alcune
ricerche suggeriscono anche che attività precoci con i numeri possono ridurre
significativamente futuri fallimenti in aritmetica (vedere Griffin, Case & Siegler, 1994).
La consapevolezza fonemica, ossia l’intuizione che le parole sono composte
da suoni, è essenziale per l’apprendimento della lettura. Le competenze dei
bambini in questi ambiti, in un’età precoce, sono predittive del successivo
rendimento nell’alfabetizzazione (Adams, 1990). Per esempio, da 1 a 3 anni,
i bambini dovrebbero ricevere dai genitori e dalla lettura di fiabe stimoli relativi ai vocaboli (Ninio & Bruner, 1978). Fra i 2 e i 4 anni, con la stimolazione giusta, inizieranno ad acquisire una competenza linguistica sempre più
complessa, utilizzando costrutti sintattici ed espressioni idiomatiche (Snow &
Goldfiled, 1983). Quando i bambini arrivano alla scuola materna, dovrebbero essere pronti ad apprendere le convenzioni formali di scrittura delle lettere,
i nomi delle lettere e i loro suoni (Clay, 1979).
165
DDAI a Scuola
In aggiunta alle competenze alfabetiche, sono importanti anche le competenze aritmetiche precoci (fluidità ed elasticità nella manipolazione di numeri
e senso di cosa siano i numeri) (Gersten & Chard, 1999). Le competenze precoci per l’aritmetica consistono nell’identificazione di simboli (le prime cifre)
e nella comprensione della linearità (più grande, più piccolo). Nonostante sia
ancora solo agli inizi, la letteratura esistente suggerisce che esperienze precoci
con la quantità e i numeri possano aiutare i bambini nell’acquisizione delle
competenze aritmetiche (addizione, sottrazione) una volta entrati nella scuola
materna (Gersten & Chard, 1999). Dal momento che anche i genitori sono
responsabili dello sviluppo cognitivo precoce e dello sviluppo dei pre-requisiti
dell’apprendimento, gli interventi per prevenire l’insuccesso devono includere
un miglioramento nella stimolazione cognitiva da parte dei genitori (Hart &
Risley, 1995).
Oltre alle ricerche sulle componenti del trattamento individuale (parent
training e trattamento farmacologico con stimolanti), sono stati fatti pochissimi tentativi per indagare gli effetti di un intervento di prevenzione/trattamento precoce combinato. McGoey e colleghi (2002) hanno condotto uno
studio pilota su un programma di intervento a livello territoriale per bambini
piccoli con DDAI Gli operatori dei servizi territoriali (per es., i pediatri), gli
insegnanti di scuola materna e i genitori hanno segnalato 57 bambini (fra i
3 e i 4 anni) con DDAI. Questi bambini sono stati assegnati casualmente a
un gruppo sottoposto a un intervento combinato o a un gruppo di controllo
sottoposto a un intervento a livello territoriale (in cui le famiglie accedevano
ai servizi psicologici, pediatrici, educativi e/o psichiatrici disponibili sul territorio). I risultati definitivi sono disponibili per 23 partecipanti agli interventi
precoci e 22 partecipanti all’intervento a livello territoriale.
Il programma di intervento combinato includeva (1) sedute settimanali di
parent training per 3 mesi (utilizzando il programma sviluppato da WebsterStratton [1996]), seguite da sedute di parent training mensili per 9 mesi; (2)
interventi comportamentali alla scuola materna per 3 mesi seguiti da una
consulenza all’insegnante per i primi 6 mesi dell’anno scolastico successivo e
(3) prove di trattamento farmacologico (metilfenidato e d-amfetamina) per
quei bambini che non rispondevano agli interventi psicosociali.
Sono state raccolte misure, ambito per ambito, per un periodo di 15 mesi
che includevano: scale di valutazione del comportamento compilate da genitori e insegnanti, osservazioni delle interazioni genitore-bambino e del
166
Screening, identificazione e intervento precoci
comportamento a scuola, documentazioni sulle lesioni fisiche e sul ricorso a
servizi sanitari, valutazioni dei genitori del livello di stress e funzionamento
familiare e un breve test sullo sviluppo cognitivo del bambino. Inoltre, in due
momenti distinti, ai genitori e agli insegnanti dei bambini inseriti nel gruppo
dell’intervento combinato è stato chiesto di completare misure di consumer
satisfaction.
I risultati di questo studio pilota hanno indicato che, rispetto al gruppo di
controllo sottoposto all’intervento su base territoriale, i bambini che avevano
ricevuto l’intervento combinato mostravano miglioramenti statisticamente
significativi nel controllo del comportamento (a casa e a scuola); i genitori
indicavano livelli minori di stress e la famiglia aveva sperimentato strategie
di coping più adattive. L’effetto principale dell’intervento combinato è stato
quello di modificare la traiettoria del comportamento del bambino nel tempo
rispetto a quella dei bambini inseriti nel gruppo di controllo. Per esempio, la
tendenza lineare negativa nel comportamento antisociale/aggressivo valutato
dall’insegnante (alla PKBS; Merrell, 1994) era stata significativamente abbattuta nel gruppo dell’intervento combinato (slope = -1.06) rispetto al gruppo
di controllo (slope = -0.2). In particolare, la fornitura costante di consulenza
all’insegnante sembrava aiutare i bambini del gruppo di intervento combinato a mantenere questa tendenza discendente nei comportamenti antisociali. I genitori e gli insegnanti riferivano uniformemente che le procedure di
intervento combinato erano del tutto accettabili e moderatamente efficaci.
Anche se pochissimi bambini che partecipavano all’intervento precoce erano
stati sottoposti a trattamento farmacologico, in questo studio pilota non sono
stati ottenuti cambiamenti statisticamente significativi nell’utilizzo dei servizi
sanitari e nello sviluppo cognitivo.
A un livello individuale di analisi, sono stati esaminati gli effetti specifici
degli interventi in età pre-scolare basati sulla valutazione funzionale del comportamento attraverso disegni su soggetti singoli che utilizzavano molteplici
raccolte di dati nel corso del tempo (Boyajian et al., 2001). I risultati hanno
indicato che l’individuazione della funzione dello specifico comportamento
(per es., motivato dal desiderio di fuggire vs. motivato dal desiderio di attirare l’attenzione) ha aiutato la progettazione di interventi nel contesto classe
che hanno ridotto sensibilmente la frequenza del comportamento aggressivo
per i bambini con DDAI rispetto ai bambini del gruppo di controllo (vedere
Figura 4.3).
167
DDAI a Scuola
FIGURA 4.3. Livelli di aggressività, di comandi e di coinvolgimento nelle fasi di
Inversione di Tendenza (intervento) e baseline (attenzione). Tratto da Boyajian,
DuPaul, Handler, Eckert e McGoey (2001). Copyright 2001 dell’Associazione
Nazionale di Psicologia Scolastica. Ristampato su gentile concessione.
Attenzione
Aggressività per ora o per percentuale di tempo
Inversione di Tendenza
Inversione di Tendenza
Coinvolgimento
Comando
Drew
Aggressività
Sedute consecutive
Shelton, Woods, Williford, Dobbins e Neale (2002) hanno riportato risultati simili con un protocollo di intervento precoce globale su 184 bambini
con DDAI. Questi bambini in età pre-scolare avevano frequentato i programmi Head Start ed erano di gruppi etnici differenti. Gli interventi comportamentali sono stati applicati sia a casa sia a scuola e sono stati personalizzati
attraverso l’utilizzo di procedure di consulenza. Dopo 1 anno di intervento,
i bambini sottoposti all’intervento mostravano meno sintomi del DDAI e
minore aggressività rispetto a bambini di un gruppo di controllo che avevano ricevuto solo la diagnosi. Nonostante non siano state ottenute differenze
significative relativamente alla competenza genitoriale, allo stress dei genitori
o al supporto familiare, i genitori e gli insegnanti riferivano elevati livelli di
soddisfazione per i servizi ricevuti.
Barkley e colleghi (2000) hanno indagato gli effetti di un programma di
prevenzione multimodale per bambini piccoli con disturbi da comportamenti
disfunzionali. Anche se l’obiettivo specifico di questo programma non erano i
bambini con DDAI, i risultati ottenuti sono istruttivi relativamente alle pro168
Screening, identificazione e intervento precoci
messe e ai limiti di un programma di intervento precoce con questo tipo di
popolazione. 158 bambini di scuola materna pubblica che mostravano comportamenti significativi associati a DDAI e disturbo oppositivo provocatorio
sono stati assegnati casualmente a quattro gruppi sperimentali: solo parent
training, solo trattamento nel contesto classe per tutto il giorno, combinazione fra parent training e trattamento in classe e un gruppo di controllo con
nessun trattamento. Il programma di parent training sviluppato da Barkley
(1997b) era composto da 10 sedute settimanali seguite da cinque sedute mensili di supervisione. Gli interventi comportamentali sono stati messi in atto
nelle classi di scuola materna utilizzando il modello sviluppato all’Università
della California-Irvine (vedere Pfiffner & Barkley, 1998). Le strategie in classe includevano sistemi di token reinforcement; response cost, training di gruppo per l’autocontrollo cognitivo-comportamentale, training di gruppo sulle
competenze sociali e sul controllo della rabbia e una registrazione giornaliera
dell’andamento comportamentale.
Sono stati raccolti dati esaustivi sul bambino, sulla famiglia e sul funzionamento in classe all’inizio e alla fine dell’anno scolastico. I due gruppi che
avevano ricevuto il programma di trattamento in classe mostrarono miglioramenti significativi nel comportamento adattivo, nelle competenze sociali e nei
sintomi del DDAI e in quelli del disturbo oppositivo provocatorio secondo
quanto riferito dai genitori e dagli insegnanti e secondo quanto emerso dalle
osservazioni dirette in classe. Sfortunatamente, non sono stati rilevati effetti
significativi per il parent training, forse perché molti genitori non avevano
frequentato le sedute con regolarità. Nessun trattamento aveva portato dei
miglioramenti nella performance o nel rendimento scolastico valutati attraverso misure cliniche dell’attenzione e delle abilità cognitive.
I risultati di queste tre ricerche promettenti sono tutti coerenti nell’indicare che gli interventi psicologici costituiti principalmente da strategie comportamentali possono ridurre i sintomi a breve termine del DDAI e del disturbo
oppositivo provocatorio, soprattutto in contesti scolastici. Anche le interazioni
con i pari e le competenze sociali possono essere migliorate tramite l’applicazione di un intervento precoce. Sfortunatamente, si sono ottenuti risultati più
ambigui sulla prevenzione a casa. Sembra che i soliti tentativi di parent training non siano sufficienti nel produrre miglioramenti, anche a breve termine,
nel funzionamento familiare e genitoriale. Un protocollo di trattamento più
intensivo a casa che includa sedute di parent training e consulenze individuali
sembra più efficace. Nessuno di questi programmi multimodali era associa169
DDAI a Scuola
to con miglioramenti nel rendimento scolastico, limite decisamente critico.
Inoltre, non è chiaro se i miglioramenti a breve termine nel funzionamento
comportamentale permangano nel tempo. Infatti, Shelton e colleghi (2000)
hanno riscontrato che gli iniziali miglioramenti nel funzionamento in classe
rilevati da Barkley e colleghi (2000) non erano più presenti 2 anni dopo.
Il Modello del Progetto ACHIEVE
Alla luce delle promesse e dei limiti derivanti dai precedenti tentativi di
prevenzione e di intervento precoce con bambini piccoli a rischio di DDAI, i
ricercatori dell’Università di Lehigh e dell’Ospedale della Lehigh Valley nella
Pennsylvania dell’est hanno sviluppato un programma di intervento territoriale completo chiamato Progetto ACHIEVE. Questo modello di intervento è
progettato per ridurre e/o prevenire gli esiti più problematici dei sintomi del
DDAI nella prima infanzia (vedere la parte bassa della Figura 4.2). Nei prossimi anni, verranno sistematicamente raccolti dati per verificare gli esiti a breve
e lungo termine associati con l’implementazione di un intervento intensivo
a casa e a scuola rispetto a una condizione di controllo con trattamento su
base territoriale. Nonostante questo programma sia solo in una fase iniziale di
valutazione, descriviamo brevemente le componenti dell’intervento a scopo
puramente informativo. Crediamo che gli psicologi scolastici e altro personale educativo dovrebbero essere dei protagonisti chiave della progettazione e
dell’implementazione di programmi di intervento precoce nei contesti locali,
come il Progetto ACHIEVE.
Le componenti di questo intervento si focalizzano su tre aree (problemi
comportamentali, pre-requisiti dell’apprendimento scolastico e sicurezza del
bambino) e in due contesti (casa e scuola). Queste componenti includono: il
parent training, l’intervento comportamentale basato sugli esiti della valutazione a scuola e a casa, interventi sui pre-requisiti dell’apprendimento a casa e
a scuola e la comunicazione casa-scuola.
Parent Training
Il parent training si focalizza sui problemi comportamentali, sui pre-requisiti dell’apprendimento e sulla sicurezza del bambino. Il training si effettua di
solito in gruppi da 10 persone che partecipano a 20 sedute per l’arco di un
anno scolastico. Questi gruppi sono condotti da uno psicologo scolastico o da
un educatore specializzato. Delle 20 sedute, 12 sono quelle originali descritte
da Cunningham, Bremner e Secord (1998) e utilizzano il Community Parent
170
Screening, identificazione e intervento precoci
Education Program (Programma Comunitario sull’Educazione dei Genitori;
COPE). Questo programma si è rivelato efficace nel ridurre la negligenza e
l’aggressività nei bambini a rischio (per una rassegna, vedere Cunningham,
1998). Le restanti 8 sedute ne includono: due introduttive (che forniscono informazioni base sul DDAI e sui disturbi a esso correlati), cinque di valutazione funzionale e di promozione dei pre-requisiti dell’apprendimento (descritte
di seguito) e una dedicata alla prevenzione degli infortuni a casa. Ogni seduta
di parent training dura fra i 90 e i 120 minuti circa.
Le 12 sedute del COPE hanno l’obiettivo di educare i genitori alle modalità comportamentali efficaci, quali il rinforzo positivo in caso di compliance, l’utilizzo del problem-solving e modalità di punizione leggere per gestire i
comportamenti problematici. I principali concetti comportamentali vengono
descritti attraverso interazioni genitore-bambino videoregistrate seguite da
una discussione di gruppo. In aggiunta al programma COPE, si forniscono
informazioni e supporto ai genitori su diversi concetti e tecniche correlate.
Le componenti filosofiche dell’approccio funzionale al comportamento sono
il focus di tutto il parent training. I genitori vengono introdotti ai concetti
fondamentali delle funzioni del comportamento. Per esempio, si discutono
le situazioni in cui un intervento ha meno probabilità di essere efficace (per
es., interruzione del rinforzo positivo in caso di comportamento problematico motivato dall’evitamento). Utilizzando un processo di consulenza basato
sul problem-solving (Kratochwill & Bergan, 1990), si insegnano ai genitori le
strategie per determinare la funzione dei comportamenti provocatori a casa e
poi si spiegano loro le tecniche adatte alle funzioni del comportamento identificate. Si forniscono indicazioni per sviluppare azioni antecedenti (per es.,
introdurre cambiamenti nell’ambiente per ridurre la probabilità del verificarsi
di un comportamento problematico), per costruire competenze (insegnare ai
bambini mezzi alternativi per soddisfare i loro bisogni) e per rispondere in
modi che hanno minori probabilità di rinforzare il comportamento.
Dal momento che uno dei focus primari del Progetto ACHIEVE è promuovere lo sviluppo dei pre-requisiti dell’apprendimento scolastico, due sedute del parent training si focalizzano su quest’area di sviluppo. In queste
sedute si affrontano quattro tematiche principali. La prima è lo sviluppo di
competenze alfabetiche precoci attraverso l’utilizzo del programma Ladders to
Literacy (Percorso graduale verso l’alfabetizzazione; Notari-Syverson, O’Connor & Vadasy, 1998). La seconda tematica è: “Comprendere il curricolo del
vostro bambino”. Qui si aiutano ai genitori a comprendere il vocabolario che
171
DDAI a Scuola
i loro bambini probabilmente incontreranno al loro ingresso nella scuola elementare (fonemica, prontezza). La terza tematica è: “Leggere qualcosa al vostro bambino”. Si utilizzano delle videoregistrazioni per mostrare le tipologie
di letture adatte a vari momenti evolutivi e si illustrano ai genitori anche le
domande appropriate da porre e le aspettative da avere. La quarta tematica
è: “Comprendere gli interessi e lo span di attenzione del vostro bambino”.
Questa tematica ha lo scopo di aiutare i genitori a selezionare i materiali e
le opportunità di apprendimento che hanno maggiore probabilità di essere
motivanti per i loro bambini.
La promozione della sicurezza del bambino è invece oggetto specifico di
una seduta soltanto ma viene affrontata anche nel corso di tutto il parent
training. La tecnica principale fornita per raggiungere questo obiettivo è l’utilizzo del The Injury Prevention Program (Il Programma di Prevenzione degli
Infortuni; TIPP; Accademia Americana di Pediatria, 1999). Nello specifico, i
genitori ricevono tutti i materiali del TIPP; si conducono discussioni di gruppo sulla sicurezza e si deducono le strategie da utilizzare. Anche l’implementazione delle strategie di promozione della salute viene inserita negli interventi
comportamentali progettati come parte del parent training. In particolare, i
comportamenti associati alla sicurezza saranno i target dell’intervento.
Intervento basato sugli esiti della valutazione: Casa
La valutazione funzionale del comportamento e l’intervento vengono facilitati dall’uso di un modello di consulenza collaborativo (per es., Kratochwill
& Bergan, 1990). I genitori partecipano a una procedura di consulenza comportamentale con uno psicologo scolastico o un educatore specializato una
volta al mese, quando necessario, per facilitare lo sviluppo e l’implementazione di piani di intervento individualizzati per ogni bambino. Come parte
di questo processo, la valutazione funzionale del comportamento si conduce
in collaborazione: i genitori e lo psicologo insieme raccolgono dati descrittivi
sui possibili antecedenti e conseguenti dei comportamenti provocatori. Si vagliano le ipotesi relative alle funzioni dei comportamenti messi in atto a casa
utilizzando una breve procedura di analisi funzionale (Northup et al., 1991).
Questa procedura di valutazione richiede circa 90 minuti. Una volta sviluppate le ipotesi sulle possibili funzioni del comportamento, si creano delle situazioni ad hoc per verificare le funzioni ipotizzate. Per esempio, se si ipotizza
che la richiesta da parte del genitore di completare un compito sia associata a
problemi comportamentali, si chiederà al genitore di presentare delle richieste
172
Screening, identificazione e intervento precoci
multiple nel corso di un’osservazione di 5-10 minuti. Per stabilire un controllo sperimentale a questa seduta con le richieste si alterna una seduta osservativa senza richieste. Se si osservano percentuali elevate di comportamenti
problematici nella seduta con le richieste e percentuali basse durante la seduta
senza richieste, la funzione (per es., fuga) del comportamento problematico è
confermata sperimentalmente. Se non si osservano differenze nella percentuale di comportamenti problematici, si sviluppano ipotesi alternative.
Dopo la conclusione della fase di valutazione con l’identificazione della
funzione del comportamento, si sviluppa un piano di intervento individualizzato per ciascun bambino/famiglia. I trattamenti di solito sono costituiti da
tre componenti principali: strategie per intervenire sugli antecedenti, costruzione di competenze e metodologie di gestione delle conseguenze. I genitori
vengono addestrati a mettere in atto interventi specifici attraverso istruzioni
frontali, modeling, esercizi e feedback. Infine, si stabilisce un obiettivo per ogni
comportamento target dell’intervento.
Nei mesi seguenti, i genitori vengono periodicamente contattati per verificare il raggiungimento degli obiettivi dell’intervento. Si rivedono i trattamenti
applicati, si valutano eventuali problemi a essi collegati e i rimedi. Le decisioni
sugli interventi vengono prese in collaborazione con i genitori sulla base dei
dati che essi raccolgono direttamente e del completamento di scale di valutazione. Una volta che l’obiettivo per un comportamento è stato raggiunto, si
pianifica una strategia di mantenimento e, se necessario, si seleziona un nuovo
comportamento, dando così nuovamente inizio al processo di consulenza.
Intervento basato sugli esiti della valutazione: Scuola
Come per l’intervento a casa, la valutazione funzionale del comportamento e l’intervento vengono facilitati dall’uso di un modello di consulenza collaborativa nei contesti di scuola materna (vedere Tabella 4.1).
Gli insegnanti ricevono una consulenza comportamentale dallo stesso psicologo o educatore specializzato che lavora con i genitori del bambino. All’inizio, si conduce un’analisi funzionale del comportamento nelle classi di scuola
materna di ogni bambino, coerentemente con le linee guida sviluppate dal Dipartimento per l’Educazione della Pennsylvania (Bambara & Knoster, 1995).
Questo processo di valutazione funzionale del comportamento include i seguenti cinque passi: (1) condurre un’analisi funzionale, (2) sviluppare ipotesi,
(3) progettare un piano di sostegno comportamentale efficace, (4) verificare
l’efficacia e (5) modificare il piano di sostegno in funzione delle necessità.
173
DDAI a Scuola
TABELLA 4.1. Punti dell’Analisi Funzionale e della Verifica dell’Intervento
1. Il consulente conduce con l’insegnante l’Intervista per l’Identificazione dei Problemi
per determinare le difficoltà comportamentali e i possibili eventi ambientali (per es.,
ricevere attenzione da parte dell’insegnante) che fanno persistere il comportamento.
2. Il consulente conduce una Breve Analisi Funzionale con il bambino nella classe di
scuola materna. Questa procedura implica i seguenti passi:
a. Valutazione di situazioni analoghe per raccogliere dati iniziali su quali siano gli
eventi ambientali che seguono il comportamento.
b. Replicazione delle condizioni che hanno prodotto le percentuali più elevate e più
basse di comportamenti problematici per verificare l’affidabilità della valutazione.
c. Inversione di Tendenza: si fa seguire l’evento ambientale ricercato dal bambino
(per es., l’attenzione dell’insegnante) alla manifestazione del comportamento appropriato (per es., una richiesta verbale) e si verifica se, in questa condizione, il
comportamento problematico diminuisce mentre quello appropriato aumenta.
3. Il consulente mette in atto l’intervento sulla base dei risultati della fase di Inversione
di Tendenza. L’insegnante di ogni singolo bambino mano a mano si sostituisce nell’applicazione dell’intervento dopo aver osservato il consulente. Gli effetti dell’intervento vengono valutati osservando i cambiamenti nei comportamenti problematici
e la sostituzione del comportamento con uno appropriato rispetto alla baseline e alle
condizioni di intervento.
Nota: Tratto da Boyajian, DuPaul, Handler, Eckert e McGoey (2001). Copyright 2001 dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici. Ristampato su gentile concessione.
Si chiede agli insegnanti di scuola materna di raccogliere dati per due settimane sugli eventi antecedenti e conseguenti di un singolo comportamento
problematico e di compilare il Functional Analysis Screening Tool (FAST). Sulla
base delle informazioni raccolte con queste due analisi, l’insegnante e lo psicologo formulano insieme delle ipotesi. Queste ipotesi vengono verificate dallo
psicologo utilizzando brevi modifiche nella situazione (vedere Kern, Childs,
Dunlap, Clarke & Falk, 1994). Per esempio, se la valutazione identifica come
funzione del comportamento problematico la fuga da lavori impegnativi, la
difficoltà del lavoro verrà manipolata sistematicamente per brevi lassi di tempo (5-15 minuti). Se il comportamento problematico varia sistematicamente
al variare della difficoltà del lavoro, l’ipotesi sarà confermata. Di seguito, si
progettano piani di intervento individualizzati sulla base dei risultati della
valutazione. Questi interventi, di solito, consistono nella modifica degli antecedenti, nella costruzione di competenze e in strategie di gestione delle conse174
Screening, identificazione e intervento precoci
guenze. Come nel caso dei genitori, si addestrano gli insegnanti a mettere in
atto interventi specifici attraverso istruzioni dirette, modeling, esercizi e feedback. Gli insegnanti e lo psicologo selezionano insieme un obiettivo del trattamento e si chiede agli insegnanti di raccogliere dati relativi al comportamento
target per monitorare il progresso verso il raggiungimento dell’obiettivo.
Nei mesi seguenti, gli insegnanti vengono contattati per esaminare il progresso verso gli obiettivi dell’intervento. Gli interventi progettati vengono rivisti, si valutano gli eventuali problemi e si trovano soluzioni. Una volta che
un obiettivo relativo a un determinato comportamento viene raggiunto, si
programma il mantenimento e, se necessario, si seleziona un nuovo comportamento target.
I bambini con DDAI, di solito, non traggono vantaggio dall’esperienza
della scuola materna perché perdono tutte le informazioni trasmesse a causa
della disattenzione e perché potrebbero essere esclusi dal gioco come punizione generata dai loro comportamenti disfunzionali. Inoltre, l’ecologia della
classe viene modificata dalla presenza di un bambino con DDAI perché potrebbe aumentare il livello complessivo di comportamenti disfunzionali in
classe. Pertanto, l’insegnante di scuola materna deve riconsiderare lo spazio fisico, la programmazione giornaliera delle attività e le sue tecniche di insegnamento per aiutare il bambino con DDAI a rendere come gli altri e per riuscire
a gestire la classe nel complesso. Gli interventi in classi di scuola materna per
il DDAI non sono ancora stati studiati nel dettaglio. Pertanto, come parte del
processo di consulenza, si possono suggerire agli insegnanti di scuola materna
alcuni possibili adattamenti quali:
1. Ridisegnare lo spazio fisico. I tavoli ai quali si svolgono le attività più formali, per esempio l’insegnamento delle prime abilità scolastiche, dovrebbero essere posizionati lontano da scalette e blocchi per arrampicarsi e da
altre fonti di distrazione (per es., lavagne per gli avvisi tridimensionali e
illuminate). Utilizzare scaffali o mobili come confine per le diverse aree
gioco (per es., angolo dei libri, area del gioco simbolico) in modo che possano esserci in ogni area degli indizi visibili della tipologia di attività appropriata. Questi tipi di sistemazione ambientale possono aiutare il bambino
a focalizzarsi su un’area di azione per volta minimizzando la probabilità di
venire distratti da altri stimoli.
2. Adottare un approccio graduale nell’organizzazione delle attività. Per esempio, piuttosto che organizzare un’attività artistica posizionando sul banco
la carta, i colori, le forbici e la colla contemporaneamente, l’insegnante
175
DDAI a Scuola
dovrebbe fornire il materiale necessario solo per il primo stadio di lavoro
(per es., la carta e i colori per disegnare). Mano a mano che i bambini
terminano ogni stadio dell’attività, gli vengono forniti i materiali necessari
per lo stadio successivo e si rimuovono dal banco i materiali non più necessari. Questo riduce le distrazioni e minimizza i potenziali comportamenti
disfunzionali. Nella fornitura delle istruzioni per l’attività, il bambino con
DDAI dovrebbe essere seduto il più vicino possibile all’insegnante e dovrebbe sempre riuscire a vedere la dimostrazione pratica che l’insegnante
dà dell’attività. Infine, le sedie dovrebbero essere separate in maniera che i
bambini non stiano seduti troppo vicini.
3.Considerare e modificare la programmazione giornaliera e i passaggi da
un’attività all’altra. L’insegnante dovrebbe essere incoraggiato a valutare
criticamente il contenuto e la durata delle attività programmate. Le modifiche specifiche da fare variano in funzione della singola classe. Bisognerebbe porsi diverse domande. È preferibile programmare due circle time
brevi più che uno lungo? La prima soluzione potrebbe essere più adatta a
bambini con uno span di attenzione limitato. In quale orario del giorno
il bambino sta seduto più volentieri a svolgere attività al banco? Forse la
programmazione dovrebbe essere rivista sulla base delle osservazioni del
comportamento del bambino. Tutti i bambini devono proprio formare
una fila dritta per uscire? I passaggi da un’attività all’altra possono essere
abbreviati per ridurre l’attesa (per es., far vestire tutti per uscire, dare la merenda a tutti)? Infine, potrebbe essere utile “parlare ai bambini” durante i
passaggi da un’attività all’altra. Per esempio, questi passaggi possono essere
annunciati e si possono esplicitare ad alta voce i passi necessari per portare
a termine l’attività attuale.
4. Modificare il programma scolastico. Per massimizzare il livello di interesse,
l’insegnante dovrebbe essere incoraggiato a diventare creativo nel progettare per tutta la classe attività innovative e coinvolgenti (quali storielle su
pannelli di flanella e teatrino dei burattini) e dovrebbe includere quelle attività che risultano particolarmente attraenti per il bambino con problemi
di attenzione e comportamento.
5. Dare indicazioni individuali chiare. L’insegnante non dovrebbe presumere
che il bambino seguirà con costanza le indicazioni date al gruppo. Mentre
da le istruzioni, l’insegnante dovrebbe mantenere il contatto oculare con
il bambino e toccarlo con gentilezza per incoraggiarlo a stare attento. I
comandi dovrebbero essere espressi con chiarezza e in maniera diretta (per
es., “Jhonny, per favore raccogli questi giocattoli”) e non sotto forma di
176
Screening, identificazione e intervento precoci
domanda o di richiesta di favore (per es., “Jhonny, potresti farmi un favore
e raccogliere questi giocattoli?”) Le istruzioni a compiti che implicano a
loro volta una serie di passi successivi dovrebbero essere spezzettate. Infine,
si dovrebbe chiedere al bambino di ripetere le indicazioni fornite per assicurarsi che abbia fatto attenzione e che abbia compreso tutto.
6. Aumentare il rapporto n° adulti/n° bambini. Cercare e utilizzare personale
volontario (per es., nonni, studenti universitari) per fornire al bambino
con DDAI un’attenzione individuale maggiore durante lo svolgimento di
attività strutturate, i circle time e i passaggi fra un’attività e l’altra. Inoltre,
avere un aiuto extra può assicurare una maggiore coerenza e aderenza agli
interventi messi in atto.
Verifica e Training dei pre-requisiti dell’apprendimento: A casa
Ladders to Literacy: A Preschool Activity Book (Percorso graduale verso l’alfabetizzazione: un libro di esercizi per i bambini di scuola materna; NotariSyverson et al., 1998) si utilizza come guida per le prime esperienze di alfabetizzazione. Il programma permette una facile personalizzazione offrendo
scelte, direzioni personali e opportunità multiple di esercizi, rendendo così
il percorso appropriato a bambini di diversi livelli evolutivi. Le attività e le
esperienze contenute in Ladders to Literacy rientrano in tre ampie categorie risultate importanti per influenzare lo sviluppo successivo dell’alfabetizzazione
nei bambini. Queste categorie sono: la consapevolezza dei caratteri stampati,
la consapevolezza metalinguistica e il linguaggio orale.
Ladders to Literacy contiene semplici attività ideate per “genitori indaffarati” che possono essere completate anche mentre si stanno svolgendo altre
attività (per es., mentre si lavano i piatti, mentre si guida la macchina). Un’attività può prevedere, per esempio, che mentre gli leggono una fiaba conosciuta, i genitori chiedano al bambino di prevedere cosa succederà in seguito. Le
attività sono anche schematizzate in carte-indice per facilitarne l’utilizzo. Si
consiglia di completare almeno un’attività al giorno per una durata di 15-20
minuti circa.
Inoltre, si illustrano ai genitori anche numerose attività per aiutare il loro
bambino con le prime competenze numeriche. Questi esercizi hanno lo scopo
di rinforzare il riconoscimento dei numeri e dei rapporti lineari. Per esempio,
si mostrano ai bambini numeri in successione lineare e termometri che forniscono una rappresentazione visiva dei primi concetti numerici di più piccolo/
più grande e di muoversi in su/in giù.
177
DDAI a Scuola
Verifica e training dei pre-requisiti dell’apprendimento: a scuola
La valutazione che si basa sul curricolo dei bambini di scuola materna si
tiene una volta al mese. In aggiunta, vanno valutate la fluenza di segmentazione fonemica, la fluenza nell’indicare il nome di ogni lettera e la fluenza nell’indicare il nome di immagini attraverso il Dynamic Indicators of Basic Early
Literacy Skills (DIBELS; Kaminski & Good, 1996). Per una verifica dinamica
dei pre-requisiti dell’apprendimento di concetti aritmetici e matematici, si
utilizza una versione modificata del DIBELS che si focalizza sulle competenze
numeriche. Le competenze specifiche valutate includono: indicare il nome di
caratteri numerici, contare, associare caratteri numerici a un insieme, associare insiemi fra loro e associare forme. Questi dati aiuteranno gli insegnanti a
personalizzare costantemente le lezioni.
Il programma Ladders to Literacy si utilizza come intervento didattico perché contiene un programma molto ampio che gli insegnanti di scuola materna possono seguire. Ogni attività viene utilizzata per insegnare o rinforzare
una specifica competenza (per es., la consapevolezza dei suoni). Le attività
sono categorizzate in tre livelli di complessità del compito che includono
“complessità elevata/scarso supporto”, “complessità media/supporto medio” e
“richiesta non complessa/elevato supporto”. Questi livelli corrispondono alla
complessità del compito richiesto al bambino e alla quantità di supporto dell’adulto necessaria per il completamento dell’attività stessa. Questo sistema
di categorizzazione facilita la selezione e la programmazione dei compiti sulla
base delle caratteristiche del bambino e delle richieste che l’insegnante deve
fare. In aggiunta, i compiti includono l’utilizzo di competenze multiple e il
raggiungimento di obiettivi possibili anche per bambini con disabilità (per
es., problemi di udito, motori o visivi). Pertanto sono adatti a bambini con
bisogni differenti.
Comunicazione casa-scuola
Gli insegnanti di scuola materna mandano delle brevi note a casa ai genitori affinché possano rivedere tutte le questioni affrontate a livello scolastico e
di comportamento. In queste notazioni, gli insegnanti forniscono ai genitori
una breve descrizione della lezione del giorno (per es., “Oggi abbiamo imparato le lettere che iniziano con la C”). Se un bambino ha avuto difficoltà, si
chiede agli insegnanti di mandare ai genitori un esercizio semplice per migliorare la competenza in oggetto. Agli insegnanti viene anche chiesto di riferire
qualunque problema comportamentale mostrato dal bambino durante il gior178
Screening, identificazione e intervento precoci
no, come anche esempi di comportamenti positivi avuti e di miglioramenti
nelle competenze scolastiche. I genitori sono guidati dallo psicologo o da un
educatore specializzato nel fornire al bambino le ricompense positive (per es.,
elogi e premi) per aver avuto a scuola comportamenti appropriati e un buon
rendimento.
In sintesi, lo scopo del progetto ACHIEVE è affrontare le aree di maggiore
rischio per i bambini piccoli che mostrano sintomi del DDAI. Nello specifico,
l’obiettivo è prevenire lo sviluppo di comportamenti sempre più antisociali e
di promuovere allo stesso tempo lo sviluppo delle competenze alfabetiche e
numeriche precoci. Nonostante la valutazione dei risultati associati a questo
programma di prevenzione sia solamente all’inizio, presentiamo questo protocollo come un modello attuale di intervento precoce su questa popolazione
nella speranza che ciò stimoli ulteriori ricerche e applicazioni in un’area così
importante.
CONCLUSIONI
Il DDAI è un disturbo che, di solito, esordisce in un’età molto precoce con
i principali sintomi che diventano sempre più evidenti prima della scuola elementare. Tuttavia, fino a poco fa, sono state condotte pochissime ricerche per
aiutare i professionisti nell’identificazione e nel sostegno dei bambini piccoli
a rischio di sviluppare questo disturbo. In questo capitolo, abbiamo descritto
le metodologie per (1) effettuare uno screening dei bambini in età pre-scolare
per individuare coloro che richiedono una valutazione più approfondita e un
intervento precoce, (2) adattare ai bambini piccoli il nostro modello multimodale di valutazione del DDAI e (3) intervenire tempestivamente al fine di
ridurre la frequenza e l’intensità dei comportamenti associati al DDAI come
anche al fine di prevenire esiti piuttosto comuni per questo disturbo (per es.,
deficit scolastici e problemi di condotta).
Data la cronicità del DDAI in molti bambini, è auspicabile che l’identificazione e l’intervento precoci migliorino il funzionamento scolastico, sociale
e familiare di questi bambini in modo che nelle età successive non si renda
necessario il ricorso a cure più intensive e costose. Nonostante questa ipotesi
richieda una verifica empirica, attenendoci alle recenti richieste di maggiore
prevenzione fatte agli psicologi scolastici (Power, 2002), crediamo fortemente
che i professionisti che lavorano a scuola debbano essere coinvolti nel lavoro
con questi bambini, con le loro famiglie e con i loro insegnanti, il prima possibile.
179
CAPITOLO 5
Strategie di intervento per contesti scolastici
I bambini trascorrono in classe e in altri contesti scolastici, nel corso di
ogni anno scolastico, dalle 6 alle 8 ore al giorno per 5 giorni la settimana.
Questo implica l’essere in grado di seguire delle regole, di interagire in maniera appropriata con altri bambini e con gli adulti, di partecipare ad attività
didattiche sotto la direzione degli adulti, di apprendere ciò che viene insegnato e di trattenersi dal disturbare o intralciare l’apprendimento o le attività
altrui. Per gli insegnanti la trasmissione di conoscenze e competenze inserite
nel programma e l’insegnamento di modalità comportamentali idonee alle
aspettative organizzative, sociali e culturali, sono compiti molto impegnativi
e lo diventano ancora di più nel caso di bambini con DDAI, dal momento
che i loro comportamenti caratteristici interferiscono con l’apprendimento in
classe e impediscono interazioni sociali positive. Lo scopo di questo capitolo è
quello di presentare e discutere gli interventi e le strategie di supporto, in contesti prettamente scolastici, che promuovono l’apprendimento e lo sviluppo
di competenze prosociali in bambini con DDAI e che facilitano la conduzione regolare dell’insegnamento nelle classi in cui questi bambini sono inseriti.
Iniziamo da una discussione sui fondamenti concettuali di questi interventi
e successivamente illustreremo strategie basate sul contingency management e
su metodologie didattiche particolari1. Passeremo poi alla presentazione degli interventi che possono essere applicati da una vasta gamma di personale
scolastico e faremo delle considerazioni specifiche per gli studenti con DDAI
1
È possibile vedere una dimostrazione pratica di molte delle strategie di intervento descritte in questo
capitolo all’interno della videocassetta Interventi in classe per il DDAI (DuPaul & Stoner, 1999),
disponibile nelle pubblicazioni della Guilford Press.
181
DDAI a Scuola
che frequentano le scuole superiori. Concluderemo il capitolo valutando la
possibilità di fornire un supporto agli insegnanti responsabili di studenti con
DDAI.
FONDAMENTI CONCETTUALI DEGLI INTERVENTI PER
PROBLEMI DI ATTENZIONE
Data la natura complessa e persistente del DDAI, suggeriamo ai professionisti coinvolti di utilizzare un approccio sistematico e sempre in evoluzione,
per la progettazione, l’implementazione e la verifica degli interventi applicati
in classe, che associ la prevenzione e il trattamento nella gestione dei problemi
attuali e che implichi tecniche di intervento multiple. Per facilitare un approccio di questo tipo, le strategie presentate vengono riesaminate sulla base del
supporto empirico di cui godono nella letteratura di ricerca educativa e psicologica, come anche nella Dichiarazione sull’orientamento da tenere in caso di
studenti con Problemi di Attenzione dell’Associazione Nazionale degli Psicologi
Scolastici (NASP; 1998). Inoltre, esamineremo gli approcci più promettenti e
di recente indagine per la gestione didattica e comportamentale dei bambini
con DDAI.
Per iniziare, consideriamo i nostri presupposti teorici. Il primo è che il
DDAI dovrebbe essere considerato un disturbo grave che dura nel tempo e
che nel tempo si accompagnerà a difficoltà nel gestire il comportamento in
classe (Barkley, 2002). I bambini con una diagnosi di DDAI probabilmente
andranno incontro a difficoltà di apprendimento scolastico e sociale in molte,
ma non tutte, le situazioni che si verificano a scuola e nel corso di tutti gli anni
di istruzione (Teeter, 1998). A oggi, il numero maggiore di ricerche relative
agli interventi per i bambini con DDAI si è focalizzato sulle problematiche
e sulle strategie di gestione del comportamento e della condotta in classe,
soprattutto tramite il trattamento farmacologico e le strategie di contingency
management. Tuttavia, questa focalizzazione sul miglioramento degli atteggiamenti sociali del bambino, sul disadattamento comportamentale e sulla
prevenzione di comportamenti antisociali rappresenta solo “una faccia della
medaglia” del DDAI. L’altra faccia si focalizza sull’ottimizzazione del rendimento e della performance scolastica.
I problemi sociali e scolastici possono essere visti come due aspetti fra loro
collegati. Un simile punto di vista conduce al secondo presupposto teorico:
nello specifico, crediamo che i problemi di rendimento scolastico e le difficol182
Strategie di intervento per contesti scolastici
tà sociali dell’infanzia possano entrambi essere visti come problemi educativi
(Colvin & Sugai, 1988). Questo implica che gli educatori e gli psicologi hanno un ruolo fondamentale nel programmare e nell’applicare strategie didattiche che promuovano lo sviluppo scolastico e sociale al fine di prevenire e
risolvere i problemi in questi ambiti.
Ne consegue, quindi, il terzo presupposto: i professionisti coinvolti nel
lavoro con bambini con DDAI dovrebbero adottare un approccio educativo
ai problemi comportamentali (Evans & Meyer, 1985; Meyer & Evans, 1989).
In questa prospettiva, gli interventi per problemi comportamentali hanno
come obiettivi specifici la trasmissione, ai bambini coinvolti, di competenze
e conoscenze necessarie per sostituire i comportamenti problematici con altri
maggiormente appropriati. Un approccio educativo rappresenta un’alternativa agli interventi unicamente focalizzati sul bambino che si occupano soprattutto di eliminare o ridurre i comportamenti problematici.
L’adozione di un approccio educativo alle difficoltà del comportamento
porta al quarto presupposto: gestire efficacemente e in un’ottica educativa i
problemi comportamentali richiede lo sviluppo e l’applicazione di strategie di
intervento che prevedono la pianificazione dei comportamenti e la fornitura
di supporto agli insegnanti (Horner, Albin & O’Neill, 1991).
Gli approcci contemporanei alla prevenzione dei problemi in classe, spesso indicati come programmi di “sostegno del comportamento appropriato”,
utilizzano interventi in classe e nel contesto globale della scuola che facilitano
l’apprendimento e la condotta di tutti gli studenti (per una trattazione onnicomprensiva dell’argomento vedere Sugai, Horner & Gresham, 2002). Facendo ciò, questi programmi “danno il via” a strategie di intervento/supporto
personalizzate.
Infine, siamo convinti che le persone responsabili del sostegno comportamentale di bambini con DDAI debbano aver concluso un training professionale adeguato (vedere Barner et al., 2002; Jenson, Clark, Walker & Kehle,
1991; McConnell & Hecht, 1991; e vedere Power, 2002 per una discussione
del training professionale necessario per quest’area di intervento). Un simile
training dovrebbe includere una preparazione teorica e pratica con specifico
riferimento alla progettazione del trattamento da applicare e alla verifica risultati.
Dati questi presupposti, le metodologie di intervento in classe per il DDAI
dovrebbero derivare dalle linee guida per la terapia presentate nella Tabella 5.1.
183
DDAI a Scuola
TABELLA 5.1. Linee Guida per la progettazione, l’applicazione e la verifica di
interventi per problemi comportamentali e di apprendimento.
1. Le attività di progettazione, verifica e revisione dell’intervento si fanno sulla base dei
dati empirici raccolti.
2. La progettazione, la verifica e la revisione dell’intervento si sviluppano dal punto di
vista del bambino e si focalizzano sul raggiungimento di risultati chiari e socialmente
significativi.
3. Le procedure di intervento devono essere identificate e definite in ogni loro aspetto
e devono anche essere applicate integralmente da individui con responsabilità ben
definite.
4. Gli interventi efficaci producono o comportano percentuali maggiori di comportamenti appropriati e/o migliori tassi di apprendimento e non riducono semplicemente i comportamenti non desiderabili e disfunzionali.
5. Prima dell’applicazione di un intervento non è possibile stabilirne gli effetti sul comportamento del bambino specifico, sull’insegnante e sulla classe.
Prima e più importante indicazione: la progettazione e la valutazione degli
interventi per il DDAI si basano sulla raccolta di dati empirici. Le strategie di
trattamento si scelgono in parte sulla base della loro dimostrata efficacia nella
letteratura di ricerca. Inoltre, si valuta il successo relativo di un programma
di intervento utilizzando strumenti di misura adeguati (vedere il Capitolo
2). Per esempio, i dati sul possibile valore del rinforzo, o sulle funzioni del
comportamento problematico, possono essere utilizzati per sviluppare procedure che affrontino direttamente la funzione presunta del comportamento
problematico (per una rassegna vedere DuPaul & Ervin, 1996). In maniera
simile, i dati derivanti dalle misure basate sul curricolo, relativi allo sviluppo
delle competenze scolastiche del bambino, possono essere utilizzati per fissare obiettivi specifici e valutare i benefici di un intervento a scuola (Shinn,
1998).
I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero anche consultare la letteratura di ricerca relativa alle terapie più efficaci per studenti con DDAI.
Esistono prove chiare, per esempio, che la manipolazione degli eventi ambientali all’interno della classe comporta cambiamenti considerevoli nel comportamento degli studenti, anche in quelli la cui gravità della sintomatologia
è piuttosto elevata (vedere la meta-analisi di DuPaul & Eckert, 1997).
Seconda linea guida: nella selezione delle strategie di trattamento, l’aspetto più importante da tenere in considerazione sono i bisogni del bambino.
Gli obiettivi dell’intervento si fissano in relazione al conseguimento di esiti
184
Strategie di intervento per contesti scolastici
socialmente validi per i bambini con DDAI. Terza linea guida: dal momento
che di solito il trattamento di bambini con DDAI coinvolge numerosi professionisti, è necessario definire con chiarezza le responsabilità di ogni membro
dell’équipe, per assicurarsi che l’intervento venga riproposto integralmente.
Quarta indicazione: il focus primario della terapia è l’aumento della frequenza
e/o della durata dei comportamenti appropriati (per es., la produttività e l’accuratezza) piuttosto che la sola diminuzione dei comportamenti disfunzionali
in classe. Infine, si suppone che le risposte all’intervento di ogni singolo bambino siano uniche e che, pertanto, gli effetti diretti e quelli collaterali di un
particolare trattamento sono sconosciuti prima che esso venga messo in atto.
Questa prospettiva implica la necessità di effettuare una verifica completa di
tutte le strategie in itinere.
Oltre a fare riferimento ai nostri presupposti sugli studenti con DDAI e
alle linee guida appena descritte, ci basiamo su molti altri fondamenti pratici
e teorici per progettare interventi per studenti con problemi di attenzione e
difficoltà associate al DDAI. Il personale scolastico utilizza spesso procedure
reattive e punitive per cercare di cambiare i comportamenti degli studenti distratti. Infatti, l’intervento in classe più comune nei confronti di un comportamento disfunzionale è il rimprovero verbale dell’insegnante e/o l’allontanamento dalla classe (White, 1975). Simili procedure hanno buone probabilità
di dare esiti positivi solo se utilizzate con parsimonia, senza coinvolgimento
emotivo e in un ambiente che da anche rinforzi positivi. L’approccio che invece da risultati migliori è quello bilanciato, in cui vengono utilizzate strategie
proattive e reattive. Nello specifico, dovrebbero essere manipolati gli eventi
antecedenti, che di solito precedono i comportamenti disfunzionali e di disattenzione, per prevenire il verificarsi di interazioni problematiche. Inoltre,
le strategie reattive non dovrebbero essere confinate agli approcci puntivi, ma
dovrebbero dare un peso rilevante all’utilizzo del rinforzo positivo nel caso di
comportamenti appropriati e di attenzione al compito.
Un altro fondamento concettuale utile nella progettazione di interventi efficaci per studenti con problemi di attenzione è quello di intervenire al
momento esatto della performance (Goldstein & Goldstein, 1998). Per dirla
diversamente, per essere il più efficace possibile, una strategia dovrebbe essere
applicata con una prossimità massima (di tempo e luogo) al comportamento
target. Per esempio, se il comportamento in oggetto è restare attenti e completare gli esercizi di matematica, allora le strategie di intervento più efficaci
saranno quelle utilizzate durante le ore di matematica al momento in cui gli
185
DDAI a Scuola
studenti devono eseguire gli esercizi. Gli interventi rimandati nel tempo e in
luoghi lontani dal comportamento in oggetto hanno minore probabilità di
risultare efficaci. Questo principio guida è basato sulle prove sempre più evidenti che sia proprio l’impulsività il deficit primario soggiacente alle difficoltà
di attenzione e agli altri sintomi del DDAI (Barkley, 1997). Modificare o prevenire il comportamento impulsivo richiede di solito che l’intervento venga
messo in atto nel luogo e nel momento in cui si verifica il comportamento
problematico.
Oltre a seguire immediatamente la manifestazione di un determinato comportamento, l’intervento per studenti con problemi di attenzione deve essere personalizzato. Ossia, deve essere assolutamente evitato l’approccio “uno
per tutti” basato sulla convinzione che tutti i bambini che condividono una
diagnosi di DDAI o un profilo comportamentale abbiano le stesse esigenze
di supporto (DuPaul, Eckert & McGoey, 1997). Questo processo di personalizzazione del piano di intervento dovrebbe tenere in considerazione (1) il
livello attuale delle competenze scolastiche del bambino; (2) la “topografia”
e la possibile funzione ambientale del comportamento di disattenzione; (3)
i comportamenti target e/o i risultati che possono essere più significativi per
l’insegnante, i genitori e/o lo studente e (4) nell’ottica dell’insegnante, elementi di gestione della classe e indicazioni sugli elementi che potrebbero ridurre l’efficacia di alcune procedure. I trattamenti individualizzati dovrebbero
essere sviluppati adottando un modello di consulenza, che utilizzi il problemsolving, partendo dai dati delle valutazioni e di collaborazione fra insegnanti,
genitori e altri professionisti che lavorano a scuola (Bergan & Kratochwill,
1990; Sheridan, Kratochwill & Bergan, 1996).
Infine, un altro aspetto importante dei trattamenti attualmente noti è
rappresentato dal riconoscere che simili interventi, per studenti con DDAI,
devono essere applicati da una vasta gamma di individui. Nello specifico, gli
insegnanti, i genitori, i coetanei e gli studenti stessi possono tutti mettere in
atto delle procedure efficaci (Teeter, 1998). Quando sono disponibili, si possono utilizzare anche i computer, per accrescere il livello di coinvolgimento
nel compito e/o del completamento del lavoro, soprattutto nel caso di attività
“apprendi ed esercitati”. L’idea di fondo è quella che l’insegnante di classe non
dovrebbe essere considerato l’unico responsabile della gestione di tutte le difficoltà presentate da uno studente con DDAI. Esistono altre risorse importanti
all’interno della classe stessa (per es., i compagni) e a casa (per es., i genitori)
che possono essere utilizzate come supporto e come agenti terapeutici gene186
Strategie di intervento per contesti scolastici
rando così trattamenti più completi e, forse, più efficaci in relazione ai costi.
La Tabella 5.2 contiene una matrice delle strategie di intervento più efficaci in
contesti scolastici (scuole elementari vs. scuole secondarie) e degli agenti che
possono applicare il trattamento. Queste metodologie specifiche vengono descritte più avanti nel corso del capitolo, dopo le sezioni seguenti che trattano
considerazioni più generali nella progettazione di un piano di intervento per
studenti con DDAI.
TABELLA 5.2. Possibili agenti in trattamenti per contesti scolastici
Tipo di intervento
Scuola Elementare
Scuola Secondaria
Agente: insegnante
Strategie didattiche
Token Reinforcement
Insegnamento di abilità di
studio
Contingency contracting
Agente: genitore
Definizione degli obiettivi
Contingency contracting
Sistemi di rinforzo da
applicare a casa
Parent tutoring
Negoziazione
Contingency contracting
Sistemi di rinforzo da
applicare a casa
Agente: compagni
Peer tutoring
Peer coaching
Peer mediation
Computer
Didattica con PC
“Apprendi ed esercitati”
Didattica con PC
Elaborazione di testi
Auto applicazione
Self-monitoring
Self-monitoring
Self-evaluation
Nota. Tratta da DuPaul e Power (2000). Copyright 2000 dell’Associazione Americana di Psichiatria.
Ristampata su gentile concessione.
COMPONENTI BASE DEI TRATTAMENTI IN CONTESTI
SCOLASTICI
Come già evidenziato, nella progettazione di interventi in classe per bambini con una diagnosi di DDAI, esiste una tendenza a porre maggiore enfasi
sulla manipolazione delle conseguenze (per una rassegna, vedere DuPaul, &
Eckert, 1997; Pfiffner & O’Leary, 1993; Rapport, 1987a). Le ricerche-intervento qui presentate hanno evidenziato l’importanza dell’utilizzo di strategie
di rinforzo positivo e di rinforzo negativo associato a forme di punizione lievi
187
DDAI a Scuola
(response cost e interruzione del rinforzo positivo). In generale, nell’ambito
dell’analisi comportamentale applicata, la ricerca degli ultimi decenni ha posto l’accento sulla prevenzione e sulla possibilità di gestire il comportamento
e i problemi di rendimento scolastico attraverso la manipolazione degli antecedenti e la modifica dell’ambiente (Sugai, Horner & Gresham, 2002; SulzerAzaroff & Mayer, 1991). L’attenzione a questi aspetti è necessaria anche in
caso di bambini con DDAI.
Le procedure di intervento che si basano su principi comportamentali hanno una lunga e ben documentata storia di efficacia nel migliorare l’apprendimento e i problemi comportamentali in contesti scolastici, anche di bambini
con DDAI (Sulzer-Azaroff & Mayer, 1991). Per esempio, queste strategie di
modificazione hanno successo nel ridurre i comportamenti disfunzionali e
non attinenti al compito dei bambini con diagnosi di DDAI e accrescono la
loro produttività scolastica (vedere Rapport, Murphy & Bailey, 1980; 1982).
Date le difficoltà che si suppone siano all’origine dei problemi mostrati dai
bambini con DDAI (ossia l’impulsività, lo scarso autocontrollo e il mancato
differimento della risposta), questi risultati non sorprendono. Gli interventi
comportamentali potrebbero accrescere la quantità complessiva dei comportamenti appropriati in classe fornendo input e indicazioni esterne (per es.,
regole, direttive, situazioni) che sostituiscono quelle “proprie” dello studente.
Nel progettare trattamenti comportamentali per problemi in classe associati
al DDAI, bisogna tenere in considerazione i seguenti aspetti:
1.Effettuare una valutazione completa dei problemi presenti, includendo
anche una valutazione funzionale che guidi la progettazione e la selezione
delle componenti dell’intervento (per es., i comportamenti target e le relative funzioni, le strategie didattiche, i programmi motivazionali).
2. I bambini con DDAI, di solito, hanno bisogno di un feedback molto più
frequente e specifico rispetto ai loro compagni di classe per ottimizzare la
performance. Pertanto, le fasi iniziali di trattamento, che hanno come oggetto i problemi associati al DDAI, dovrebbero includere situazioni in cui
questo feedback viene fornito con una certa costanza. Si possono introdurre gradualmente programmi con livelli progressivi di rinforzo dal momento che, come evidenziato da alcune ricerche di laboratorio, i bambini con
DDAI hanno, rispetto ai loro coetanei, maggiori difficoltà a mantenere
costante il loro comportamento in presenza di rinforzi intermittenti (Douglas, 1984). In uno studio sempre relativo all’aspetto temporale del rinforzo, i bambini con DDAI tendevano a scegliere ricompense più piccole
188
Strategie di intervento per contesti scolastici
ma immediate, rispetto a ricompense più ampie ma differite in seguito al
completamento di un esercizio scolastico (Rapport, Stoner, DuPaul, Birmingham & Tucker, 1985). Questi risultati hanno lo scopo di sottolineare
ancora di più la necessità di attenersi alla regola generale secondo cui determinate azioni, per essere efficaci, devono essere collocate “al momento
della performance”.
3. Le procedure di rinforzo positivo dovrebbero essere la componente principale di un piano di intervento comportamentale per problemi associati
al DDAI. Esistono tuttavia alcune ricerche che provano come l’affidamento esclusivo a tecniche di rinforzo positivo possa distrarre il bambino dal
compito che deve svolgere in quel determinato momento. Il problema
potrebbe essere invece superato utilizzando il rinforzo positivo associato
a lievi conseguenze negative in caso di esibizione di comportamenti non
appropriati (per es., rimproveri leggeri; Abramowitz, O’Leary & Rosen,
1987; Rosen, O’Leary, Joyce, Conway & Pfiffner, 1984) e al ridirezionamento del comportamento verso atteggiamenti attinenti al compito. I
rimproveri verbali e il ridirezionamento sono maggiormente efficaci quanto più specifici sono i problemi evidenziati dall’insegnante e quanto più
è vicina la conseguenza negativa all’esibizione del comportamento problematico (Pfiffner & O’Leary, 1993). Inoltre, trattare i bambini con dignità
e rispetto, implica che i rimproveri e i ridirezionamenti siano brevi e che
vengano effettuati con calma e tranquillità. I rimproveri dovrebbero avvenire, per quanto possibile, in privato e mantenendo il contatto visivo con
il bambino.
4. Quando il comportamento del bambino nel corso di momenti di lavoro
autonomo è il target dell’intervento, le indicazioni iniziali per lo svolgimento del compito non dovrebbero contenere più di qualche passaggio. Il
bambino dovrebbe poi ripetere all’insegnante le istruzioni per dimostrare
di averle comprese. In maniera simile, i compiti a casa e i progetti assegnati
non dovrebbero essere più di uno alla volta e i compiti più complessi dovrebbero essere suddivisi in compiti più brevi e più piccoli. In alcuni casi,
la quantità complessiva di lavoro per i bambini con DDAI dovrebbe essere
ridotta. La lunghezza e la complessità del carico di lavoro possono essere
aumentate progressivamente mano a mano che il bambino dimostra di riuscire a portare a termine accuratamente unità di lavoro sempre più ampie.
Bisognerebbe evitare l’utilizzo di materiale ripetitivo (per es., riassegnare
per errore esercizi già fatti). Un esercizio focalizzato sulla stessa competen189
DDAI a Scuola
za o area concettuale dovrebbe piuttosto essere sostituito per evitare la noia
e il possibile peggioramento dei problemi di attenzione.
5. Per diverse ragioni, bisogna privilegiare, come target dell’intervento, il rendimento e la performance scolastica (percentuale di completamento del lavoro e di accuratezza) rispetto a comportamenti più strettamente relativi
al compito (per es., fare attenzione al compito o rimanere seduti). Questa
attenzione facilita prima di tutto il monitoraggio da parte dell’insegnante
della presenza di risultati significativi per lo studente. In secondo luogo,
così si promuove un focus su competenze organizzative e scolastiche (per
es., utilizzare il materiale appropriato per completare un compito, sollecitare un feedback formativo sulla performance iniziale a un compito) necessarie per l’apprendimento autonomo e per il completamento degli esercizi
scolastici. Terzo, l’enfasi sulla risposta scolastica attiva non viola la regola
di Lindsley (1991) del “test dell’uomo morto per il comportamento” (per
es., l’esibizione di un comportamento desiderato). Questa “regola” afferma
che “se un bambino morto può farlo, non si tratta di comportamento”
(Lindsley, 1991, p. 457). L’utilizzo di comportamenti quali “stare fermi”
e “non gridare” come target viola la regola dell’uomo morto. Infine, la
concentrazione sulla risposta scolastica promuove un focus di comportamenti che non sono compatibili con quelli disfunzionali e di disattenzione
e potrebbe, pertanto, portare a molteplici esiti desiderabili, compresa una
riduzione del comportamento disfunzionale (Pfiffner & O’Leary, 1993).
6. Ogni qual volta è possibile, si dovrebbero utilizzare come rinforzo attività
particolarmente gradite al bambino (per es., tempo per attività a scelta,
accesso al computer) piuttosto che ricompense concrete (per es., adesivi o
altri oggetti di consumo). Un rinforzo potrebbe, per esempio, essere l’accesso a un’attività preferita da svolgere in classe dopo aver portato a termine
un’incombenza in un’attività meno gradita (il completamento di esercizi
di matematica porta a poter accedere a un’attività di lettura). Allo stesso
modo, le ricompense o i rinforzi specifici dovrebbero essere variati o essere
sottoposti a rotazione per evitare che il bambino si disinteressi a essi e, di
conseguenza, al programma (saturazione del rinforzo). Infine, piuttosto
che presumere la natura motivante di alcune attività, bisognerebbe stilare
un “menu” delle ricompense chiedendo direttamente al bambino cosa gli
piacerebbe ottenere o osservando quali sono le attività da lui preferite.
7.Per accrescere il valore di incentivo positivo di alcuni privilegi, bisognerebbe utilizzare con il bambino, prima dell’assegnazione del compito, una
190
Strategie di intervento per contesti scolastici
procedura di priming. Il priming prevede che il bambino e l’insegnante
passino in rassegna una serie di privilegi godibili in classe e che lo studente
scelga a quale attività gli piacerebbe partecipare successivamente, prima di
iniziare una fase di lavoro scolastico.
8. Bisogna sempre valutare l’integrità e la fedeltà con cui viene messo in pratica un intervento (Gresham, 1991). Un simile monitoraggio può fungere
da base per introdurre cambiamenti nelle componenti del trattamento,
per giustificare l’eventuale necessità di risorse aggiuntive e/o per sviluppare
e fornire ulteriori materiali di addestramento e di esercizio per coloro che
mettono effettivamente in atto le procedure. Nella Figura 5.1 forniamo,
come esempio di monitoraggio, una checklist per la valutazione dell’integrità dell’intervento (Gresham, 1989). Gresham (1989) ha utilizzato questa
checklist per verificare l’accuratezza nell’applicazione in classe di un sistema
di lotteria con response cost. Un osservatore esterno valutava se l’insegnante di classe metteva in atto gli 11 passaggi dell’intervento ogni giorno.
Pertanto, l’integrità dell’intervento poteva essere valutata componente per
componente nel corso della giornata o viceversa. Una simile informazione
ha un valore inestimabile per stabilire la necessità di un eventuale training
aggiuntivo per l’insegnante o di un sostegno nell’applicazione delle strategie in classe. Questo tipo di checklist, ovviamente, dovrà essere modificata
in funzione delle componenti specifiche di una particolare procedura di
intervento.
TECNICHE DI CONTINGENCY MANAGEMENT
Il rinforzo positivo di comportamenti sociali e scolastici appropriati dovrebbe essere considerato la pietra angolare delle strategie di gestione in classe.
Per definizione, un rinforzo positivo è un evento, una condizione o uno stimolo che accresce la probabilità futura del verificarsi dell’azione o del comportamento che immediatamente lo precede (Sulzer-Azaroff & Mayer, 1991). Per i
bambini con DDAI, la letteratura di ricerca indica che numerose strategie di
gestione del comportamento basate sul rinforzo positivo possono migliorare il
comportamento in classe. Infatti, la meta-analisi condotta da DuPaul e Eckert
(1997) ha indicato che la manipolazione degli eventi antecedenti e conseguenti nella classe si accompagnava, in media, a un cambiamento comportamentale da medio a considerevole. Le tecniche di contingency management in
questa popolazione hanno invece avuto effetti meno rilevanti sul rendimento
scolastico.
191
DDAI a Scuola
FIGURA 5.1. Modulo di osservazione diretta per la registrazione dell’integrità del trattamento di una lotteria con response-cost. Tratto da Gresham (1989).
Copyright 1989 dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici. Ristampata
per gentile concessione.
Componenti
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì
% di integrità
Venerdì della singola
componente
1. Descrive il sistema
XI
XI
XI
XI
XI
100%
2. Descrive/Mostra i
rinforzi
XI
IO
IO
XI
XI
60%
3. Posiziona le carte
3x5 sulla cattedra
XI
XI
XI
XI
XI
100%
4. Le carte vengono
segnate su 3 lati
XI
XI
XI
XI
XI
100%
5. Vengono posizionati
4 bordi di carta
colorata sulle carte
XI
XI
XI
XI
XI
100%
6. Lotteria di 1/2 ora
XI
IO
IO
IO
XI
40%
7. I bordi colorati
vengono tolti in
funzione della
violazione di alcune
regole
XI
IO
XI
IO
IO
40%
8. L’insegnante
riafferma
immediatamente la
regola
IO
IO
IO
XI
XI
20%
9. Si mettono i biglietti
nella scatola
XI
XI
XI
XI
XI
100%
10. Si estrae di venerdì
NA I
NA I
NA I
NA I
XI
100%
11. Il vincitore seleziona
il rinforzo
NA I
NA I
NA I
NA I
XI
100%
Integrità giornaliera=
91%
64%
73%
82%
82%
X= Occorrenza
O= Non occorrenza
Integrità
media =
78%
Un insieme rappresentativo di queste tecniche include: il contingency contracting, il rinforzo positivo associato a lievi punizioni o al ridirezionamento in seguito a comportamenti problematici e l’inserimento di situazioni nel
192
Strategie di intervento per contesti scolastici
contesto “casa” per influenzare il comportamento a scuola. Anche se la maggioranza di queste procedure implica che l’insegnate elogi pubblicamente il
bambino in seguito a determinate situazioni (vedere O’Leary, Pelham, Rosenbaum & Price, 1976), la ricerca indica che i bambini con DDAI potrebbero
non mostrare cambiamenti comportamentali durevoli in assenza di situazioni
rinforzanti più potenti (Barkley, 1998).
È pertanto possibile che interventi formali di modificazione del comportamento in classe richiedano l’introduzione di una o più fra le seguenti componenti: token reinforcement, contingency contracting, response cost e interruzione
del rinforzo positivo. Ciascuna di queste tecniche è descritta di seguito nel
dettaglio, insieme ai fattori da tenere in considerazione quando se ne pianifica
l’utilizzo all’interno della classe.
Token reinforcement
L’elogio e l’attenzione positiva in pubblico possono essere efficaci nell’indurre cambiamenti comportamentali positivi in molti bambini. Tuttavia, di
solito, non sono sufficienti per apportare miglioramenti durevoli nel comportamento in classe e nella performance scolastica di bambini con DDAI
(Pfiffner & Barkley, 1990). Le strategie comportamentali che utilizzano rinforzi secondari generalizzati (per es., i gettoni[token]) possono fornire una
ricompensa immediata, specifica e sono spesso efficaci con bambini con una
diagnosi di DDAI. Le metodologie di gestione comportamentale che utilizzano questo sistema si sono rivelate molto efficaci nell’accrescere la produttività a scuola e il comportamento non appropriato di bambini disattenti (vedere, per es., Ayllon, Layman & Kandel, 1975; Robinson, Newby &
Ganzell, 1981).
La progettazione di un sistema di token reinforcement a scuola prevede i
seguenti passaggi:
1. Si identificano una o più situazioni problematiche in classe. Queste situazioni possono essere individuate attraverso un’intervista con l’insegnante
e/o la somministrazione di scale di valutazione oggettive quali il School
Situation Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley, 1992). Si può utilizzare anche l’osservazione diretta in classe per validare la selezione di queste
situazioni e dei comportamenti problematici (vedere il Capitolo 2). Di
solito, sono i momenti in cui lo studente affetto da DDAI deve completare i compiti in autonomia a presentare le difficoltà maggiori a livello di
controllo del comportamento.
193
DDAI a Scuola
2. Si selezionano i comportamenti target. Di solito, questi includono output
scolastici (per es., numero di esercizi di matematica completati in un certo
lasso di tempo) o azioni specifiche (per es., interazioni appropriate con i
coetanei nei momenti di ricreazione). In generale, si preferiscono gli output scolastici perché è più semplice raccogliere dati oggettivi su di essi e
monitorarli. Inoltre, la produttività scolastica di solito implica l’assunzione
di atteggiamenti incompatibili con quelli disfunzionali e di disattenzione
(vedere Robinson et al., 1981).
3. Si identifica la tipologia dei rinforzi secondari (ossia i gettoni) da utilizzare. Questi possono essere fiche colorate da poker, l’annotazione di segni o
di adesivi su una carta o di punti su un cartellone. I bambini più piccoli
(fino a 9 anni), di solito, preferiscono ricompense tangibili (per es., le fiche) mentre i bambini più grandi e gli adolescenti rispondono meglio e
più positivamente all’annotazione di segni-punto o punteggi veri e propri.
I sistemi di token reinforcement sono di solito considerati troppo complicati per i bambini al di sotto dei 5 anni. Con i bambini in età pre-scolare
si consiglia, in seguito all’esibizione di un comportamento appropriato,
l’utilizzo di rinforzi primari (elogi dei genitori o dell’insegnante, abbracci
o altre forme di attenzione sociale).
4.Si fissa il valore dei comportamenti target o degli obiettivi. Ossia, il numero di gettoni che il bambino guadagna completando il lavoro su ogni
comportamento target o sulle sue componenti dovrebbe essere determinato
sulla base della difficoltà del compito; con compiti più difficili o più lunghi
che prevedono l’assegnazione di più gettoni rispetto a compiti più leggeri.
I comportamenti più complessi vengono scomposti in piccole componenti
(per es., “il completamento riuscito di un compito” può essere ridefinito
come: completare un certo numero di item in un lasso di tempo definito,
con un certo grado di accuratezza e riesaminare il lavoro svolto prima di
chiedere un feedback all’insegnante) per permettere ai bambini di ottenere
dei gettoni anche per il completamento solo di una parte del compito o
per aver raggiunto un certo livello di performance. In questi casi, potrebbe
essere necessario condurre un’analisi del compito stesso per definire esplicitamente le componenti del comportamento atteso.
5. L’insegnante e lo studente dovrebbero stilare insieme un elenco di privilegi o di attività da scambiare con i gettoni guadagnati. La lista dovrebbe
includere item a basso, medio e alto costo. Potrebbe essere utile chiedere ai
genitori di collaborare all’elenco e, in aggiunta, rendere disponibili alcuni
194
Strategie di intervento per contesti scolastici
privilegi a casa da scambiare sempre con i gettoni. La quantità di gettoni
o di punti necessaria per “comprare” ogni privilegio può essere stabilita in
collaborazione con tutte le persone coinvolte nel programma di intervento. Come linea guida approssimativa, si può calcolare il numero massimo
di gettoni guadagnabili nell’arco di una giornata e dividerlo equamente per
il numero dei rinforzi disponibili e poi aggiungere o sottrarre i gettoni per
il costo di ogni item in base al “valore” che il privilegio o l’attività hanno
per il bambino.
6. Bisognerebbe insegnare o mostrare il valore dei gettoni ai bambini coinvolti nel programma (per es., con scambi esemplificativi di gettoni seguiti
da momenti di discussione) e bisognerebbe stabilire criteri iniziali per il
guadagno dei gettoni per assicurare al bambino un successo immediato.
Prendiamo come esempio un bambino che ha come target l’aumento della
percentuale di esercizi di matematica portati a termine. Una percentuale
di completamento del 50% potrebbe essere un buon livello iniziale per i
primi giorni di intervento.
7. I gettoni devono essere scambiati almeno giornalmente con un privilegio
in classe. Tuttavia, come regola, minore è il lasso di tempo che passa fra il
guadagno del gettone e il successivo scambio con un’attività di rinforzo positivo, maggiore sarà l’efficacia del programma. Nonostante i gettoni siano
una ricompensa immediata di natura temporanea, possono perdere il loro
valore di ricompensa se non vengono “incassati” entro un certo tempo.
8.Bisognerebbe verificare in itinere l’efficacia del programma di intervento
utilizzando misure multimodali degli esiti ottenuti. Sulla base di questa valutazione, si possono aggiungere nuovi target comportamentali, eliminarne
alcuni vecchi o modificarli e variare o far ruotare i privilegi. Inoltre, si possono cambiare le modalità e i tempi di consegna dei gettoni. Si possono incorporare nel sistema delle procedure di response cost (come di seguito discusso)
quando si ottengono dei miglioramenti nei comportamenti appropriati, ma
permangono ancora dei comportamenti disfunzionali o di disattenzione.
9. In seguito a un’applicazione iniziale e ai primi miglioramenti nel comportamento, potrebbero essere necessarie numerose procedure aggiuntive per
assicurare la generalizzazione degli effetti ottenuti a differenti contesti e
situazioni temporali. Per prima cosa, vanno identificate tutte le altre situazioni problematiche che diventano target per l’applicazione delle strategie
appena descritte (passaggi da 2 a 8). É sbagliato credere che sia sufficiente
conseguire una performance in una determinata situazione affinché quel
195
DDAI a Scuola
comportamento si generalizzi spontaneamente ad altri contesti (Stokes &
Naer, 1977). In seguito, bisognerebbe diminuire gradualmente l’utilizzo
dei gettoni e delle ricompense secondarie. Per esempio, più che continuare
a fornire gettoni in seguito al completamento di ogni passaggio di un lavoro scolastico, il rinforzo verrà dato inizialmente dopo il completamento di
più passi insieme e poi, in seguito, alla conclusione dell’intero lavoro assegnato. Alla fine, il sistema si evolverà nel contingency contracting illustrato
di seguito. Nella letteratura professionale sono disponibili numerose altre
strategie per accrescere il grado di generalizzazione e mantenimento degli
obiettivi raggiunti con il trattamento (vedere Horner, Dunlap & Koegel,
1988; Stokes & Osnes, 1989).
Contingency Contracting
Il contingency contracting è una tecnica di gestione del comportamento
costituita da una negoziazione di un accordo contrattuale fra lo studente e
l’insegnante (DeRisi & Butz, 1975). Di solito, il contratto stabilisce i comportamenti da tenere in classe e i conseguenti benefici secondari disponibili
in caso di esibizione di questi comportamenti. Come nel caso del programma
con i gettoni, si identificano gli obiettivi scolastici e comportamentali specifici
che il bambino deve conseguire per accedere alle attività preferite o ad altre
ricompense. La contrattazione di solito implica un collegamento fra i comportamenti target e i benefici, piuttosto che utilizzare rinforzi secondari come
nel sistema a gettoni. Per cui potrebbe passare un lasso di tempo maggiore fra
l’esibizione del comportamento e il rinforzo rispetto al programma che utilizza i gettoni. Un esempio di contratto è illustrato nella Figura 5.2.
Nonostante la procedura di contingency contracting sia piuttosto diretta,
un certo numero di fattori possono influenzarne l’efficacia con i bambini con
DDAI. Prima di tutto, l’età del bambino è un aspetto importante da tenere in
considerazione. Di solito, le procedure di contrattazione non hanno successo
con bambini di età inferiore ai 6 anni, forse perché ancora non si è sufficientemente sviluppata la capacità di seguire le regole e di riuscire a differire la
ricompensa per periodi di tempo troppo lunghi.
Una seconda considerazione da fare riguarda la quantità di tempo che passa dall’esibizione del comportamento richiesto e il rinforzo. Per esempio, un
intervento che richiede a un bambino di 8 anni affetto da DDAI di completare gli esercizi di matematica assegnatigli con un grado di accuratezza dell’80%
196
Strategie di intervento per contesti scolastici
ogni giorno per una settimana prima di ottenere una ricompensa è destinato
a fallire. L’aspetto temporale del rinforzo è cruciale nell’applicazione di programmi di gestione del comportamento con i bambini, soprattutto nel caso
di quelli con DDAI. Per aumentare la probabilità di esiti positivi, si dovrebbe
consentire l’accesso alle attività preferite alla fine del periodo di lavoro concluso con successo o alla fine della giornata scolastica.
FIGURA 5.2. Un esempio di contratto sul comportamento da tenere in classe per
uno studente affetto da DDAI. Tratto da DDAI a scuola (seconda edizione) di
George DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford Press. È permesso
fotocopiare questa figura solo a chi acquista il libro e per uso personale. Vedere la
pagina sul copyright per i dettagli.
Io,
, concordo con i seguenti punti:
(scrivere il nome dello studente)
1. Completare tutti i miei compiti di matematica e linguistica, con un livello di accuratezza dell’80% prima dell’ora del pranzo.
2.Dare a [scrivere il nome dell’insegnante] la mia attenzione più completa quando
parla alla classe o al mio gruppo di lettura.
3.Rimanere calmo e seguire le indicazioni quando è il momento di mettersi in fila per
la ricreazione, il pranzo e la lezione di musica.
4.Rispettare tutte le regole durante la ricreazione in cortile (per es., non picchiarsi).
Ogni giorno che avrò rispettato questi punti, potrò scegliere una fra le seguenti alternative:
1.15 minuti alla fine della giornata scolastica in cui giocare con un compagno.
2.Utilizzare il computer di classe per lavorare o giocare per 15 minuti.
3.Aiutare il mio insegnante a sbrigare alcune incombenze (portare i fogli presenza in
segreteria) o nei lavori in classe (raccogliere i compiti di matematica degli studenti).
Se tutta la settimana andrà bene, avrò guadagnato una delle attività speciali da svolgere nel week-end con i miei genitori: (per es., una gita al parco, una passeggiata
in bicicletta, invitare un amico a pranzo o a cena). Se non rispetterò questi punti in
classe, avrò perso l’opportunità di partecipare alle attività quotidiane libere.
Cercherò di adempiere a questo contratto al massimo delle mie possibilità.
Letto e sottoscritto,
Firma dello studente
Firma dell’insegnante
Data
197
DDAI a Scuola
La scelta dei comportamenti target e il modo in cui inserirli in un piano
di intervento sono fattori determinanti per il successo di una contrattazione
comportamentale. Per esempio, nelle fasi iniziali di una procedura contrattuale bisognerebbe fare attenzione a evitare un numero eccessivo di obiettivi
da raggiungere; livelli di qualità molto elevati e percentuali di completamento
elevate per compiti complessi (ossia che richiedono più passaggi). Per il bambino affetto da DDAI simili richieste iniziali sono fallimentari. Un approccio
migliore potrebbe essere quello di individuare pochi semplici comportamenti
o output scolastici in modo che il bambino possa riuscire fin dall’inizio. Gradualmente si possono inserire obiettivi più complessi in versioni successive
del contratto in modo che gli obiettivi finali possano essere raggiunti con una
percentuale minima di fallimento lungo il percorso.
Un’ultima considerazione importante nella progettazione del contratto è
l’individuazione dei rinforzi giusti. Troppo spesso i rinforzi sono attività o
item che l’insegnante reputa motivanti per il bambino. Valutare le ricompense più gradite per il bambino con cui stiamo lavorando è un buon punto di
partenza per l’applicazione di strategie di contingency contracting. Tuttavia, le
ricompense gradite possono essere molto idiosincratiche e come tali sarebbe
bene stilarne una lista. Per fare questo suggeriamo due alternative. La prima,
consigliabile soprattutto in caso di bambini più grandi, è quella di negoziare
direttamente con lo studente possibili privilegi. La negoziazione diretta non
solo assicura l’identificazione corretta dei rinforzi più potenti, ma anche la
collaborazione e l’impegno dello studente nella procedura contrattuale. La
seconda alternativa è osservare il bambino in attività per identificare quelle
preferite che possano fungere da rinforzo. Queste osservazioni si possono concentrare sui comportamenti non attinenti al compito (per es., disegnare, giocare da seduto con altri oggetti) in cui il bambino è coinvolto quando invece
dovrebbe completare del lavoro autonomo. Questa strategia può essere molto
utile soprattutto quando il bambino non sa dare indicazioni sulla ricompensa
che vorrebbe ricevere.
Response cost
Le strategie di contingency management costituite unicamente da procedure di rinforzo positivo di rado sono efficaci nel mantenere stabile il livello di comportamenti sociali e scolastici appropriati in bambini con DDAI
(Pfiffner & O’Leary, 1993). Infatti, diversi studi hanno documentato, al fine
di promuovere un cambiamento durevole nel comportamento, l’efficacia di
198
Strategie di intervento per contesti scolastici
lievi punizioni in caso di esibizione di atteggiamenti non appropriati (per es.,
comportamenti non attinenti al compito) (Pfiffner & O’Leary, 1987; Pfiffner, O’Leary, Rosen & Sanderson, 1985; Rosen et al., 1984). In aggiunta a
lievi rimproveri e ridirezionamenti verbali, è risultata, per esempio, utile, in
combinazione con procedure di rinforzo positivo, l’applicazione di punizioni
quali la perdita o la cancellazione dei privilegi e dei punti o gettoni guadagnati
(ossia tecniche di response cost) in seguito alla manifestazione di comportamenti disfunzionali o di disattenzione.
È stato dimostrato che l’utilizzo concomitante della procedura a gettoni e
di response cost accresce la percentuale di comportamenti attinenti al compito,
della produttività nel lavoro al banco e dell’accuratezza in bambini con DDAI
(DuPaul, Guevremont & Barkley, 1992; Rapport et al., 1980, 1982). In molti casi, il miglioramento ottenuto in classe era equivalente a quello ottenuto
con il trattamento farmacologico (Rapport et al., 1982). Per esempio, Rapport (1987a, 1987b) descrive un sistema a gettoni che incorpora tecniche di
response cost. Lo studente e l’insegnante hanno entrambi un cartoncino o un
supporto elettronico che segna i punti totali guadagnati dal bambino2. Il bambino guadagna i punti quando mostra comportamenti da seduto attinenti al
compito in un programma a intervalli fissi e li perde in seguito al verificarsi di
comportamenti non attinenti al compito. I punti vengono assegnati o sottratti (response cost) dall’insegnante che cambia la carta con il punteggio (o spinge
un bottone sul sistema elettronico). In questo sistema, gli studenti modificano
a loro volta la carta in loro possesso per essere in accordo con l’insegnante e/o
vedono l’aggiunta o la sottrazione dei punti sul display elettronico controllato
dall’insegnante. Pertanto, l’assegnazione o la sottrazione dei “gettoni” avviene
in remoto, cosa che permette al docente di impegnarsi in altre attività con altri studenti. Come per gli altri sistemi a gettoni, alla fine del periodo di lavoro
scolastico i punti accumulati dal bambino vengono utilizzati per “comprare”
vari rinforzi secondari (per es., la scelta di un’attività preferita).
L’efficacia dei programmi di response cost si può vedere analizzando le Figure
5.3 e 5.4 tratte da Rapport (1987a). Questi dati rappresentano graficamente
la risposta di un bambino di 8 anni con DDAI a diverse dosi di metilfenidato
(Ritalina) e a un sistema di response cost applicato nella classe normale.
2
Un sistema response-cost elettronico basato sul prototipo utilizzato in questa ricerca è lo Attention
Training System, o ATS. L’ATS è disponibile nel Gordon Diagnostic System, Inc., di de Witt, New
York (www.gsi-add.com)
199
DDAI a Scuola
La Figura 5.3 mostra i cambiamenti dovuti al trattamento nei comportamenti attinenti al compito e i punteggi dati dall’insegnante sulla condotta in classe nel corso dell’anno scolastico. Le procedure di response cost sono state scaglionate nel tempo (ossia utilizzando un disegno con baseline multipla) nelle ore di matematica e di fonetica.
FIGURA 5.3. Percentuale media degli intervalli di comportamenti giornalieri
attinenti al compito in diverse materie scolastiche (puntini neri = matematica,
puntini bianchi = fonetica) e nelle diverse condizioni sperimentali. L’asse delle ordinate sulla destra indica i punteggi dati dall’insegnante ai comportamenti
sociali (triangolini = Abbreviated Conners Teachers Rating Scale) dove i valori
diminuiscono mano a mano che il bambino migliora. Tratta da Rapport (1987a).
Copyright 1987 della John Wiley & Sons. Ristampato su gentile concessione.
punteggi medi alla ATRS
% di comportamenti attinenti al compito
S-2
MG/KG
Nelle condizioni di baseline, il ragazzo mostrava comportamenti attinenti
al compito, in media, nel 40-50% degli intervalli.
L’applicazione delle procedure di response cost ha portato a un incremento nella frequenza dei comportamenti attinenti al compito nel 90% degli intervalli.
Questo incremento di attenzione era del tutto simile se non superiore, nel
caso di alcuni dosaggi, a quello ottenuto con il metilfenidato. Le tecniche di
response cost avevano anche migliorato la percentuale di completamento dei
200
Strategie di intervento per contesti scolastici
compiti rispetto alla baseline (vedere Figura 5.4).
I miglioramenti nella produttività scolastica erano maggiori di quelli ottenuti con il metilfenidato. Pertanto, le strategie di response cost possono essere
utilizzate per accrescere sia i comportamenti attinenti al compito, sia la produttività a scuola.
FIGURA 5.4. Percentuale media di completamento di assegnazioni giornaliere in diverse materie scolastiche (puntini neri = matematica, puntini bianchi =
fonetica) e nelle diverse condizioni sperimentali. L’asse delle ordinate sulla destra
indica i punteggi dati dall’insegnante ai comportamenti sociali (triangolini =
Abbreviated Conners Teachers Rating Scale) dove i valori diminuiscono mano a
mano che il bambino migliora. Tratta da Rapport (1987a). Copyright 1987 della
John Wiley & Sons. Ristampato su gentile concessione.
% di comportamento
punteggi medi alla ATRS
S-2
MG/KG
Bisognerebbe considerare diversi aspetti nell’utilizzo di procedure di response cost. Per esempio, queste sono forme di punizione e il loro utilizzo potrebbe portare il bambino ad assumere un atteggiamento negativo verso l’intero sistema di token reinforcement. Pertanto, quando si presenta il programma
allo studente e agli insegnanti, bisognerebbe enfatizzarne gli aspetti positivi
(per es., sottolineare che lo studente avrà la possibilità di guadagnare punti
e ricompense per aver completato con accuratezza il proprio lavoro). Inol201
DDAI a Scuola
tre, si dovrebbero fare degli sforzi, all’inizio e in corso d’opera, per apportare
modifiche alle situazioni in modo da permettere al bambino di guadagnare
più punti di quelli che perde. Per esempio, gli studenti potrebbero all’inizio
manifestare comportamenti non attinenti al compito per verificare se effettivamente verranno loro sottratti dei punti. Per evitare che l’insegnante si faccia
coinvolgere in un gioco “al ribasso”, si raccomanda di non sottrarre più di un
punto al minuto indipendentemente dalla frequenza dei comportamenti non
appropriati. Bisognerebbe inoltre dire all’insegnante di non guardare più il
bambino subito dopo avergli sottratto dei punti (Rapport, 1987b). Infine, il
punteggio totale del bambino non dovrebbe mai essere minore di 0. Se il punteggio totale è pari a 0 tutti i comportamenti non attinenti al compito e quelli
disfunzionali vanno ignorati. Se si verificano spesso punteggi totali pari a 0,
potrebbe essere necessario rivedere il sistema in modo da non sottrarre punti
per infrazioni poco rilevanti. Una volta che il bambino inizia a sperimentare
il successo e che si fa coinvolgere nel sistema, si possono applicare criteri più
severi nella sottrazione dei punti per migliorare sempre più il comportamento
e la performance in classe.
Interruzione del rinforzo positivo
Un’altra strategia punitiva leggera adatta per l’applicazione è l’interruzione
del rinforzo positivo. Questa procedura, come il nome stesso dice, interrompe
l’accesso del bambino ai rinforzi positivi (per es., all’attenzione dell’insegnante o dei compagni). La forma più accettabile sembra essere l’adattamento progettato da Barkley (1987) per l’utilizzo in casa. Per dare risultati, le tecniche
di interruzione del rinforzo dovrebbero: (1) essere applicate solo se esiste un
rinforzo da cui si può essere allontanati, (2) essere messe in pratica solo quando lo scopo del comportamento disfunzionale del bambino è attirare l’attenzione dell’insegnante o dei compagni, (3) essere utilizzate immediatamente
dopo l’infrazione di una regola, (4) essere applicate con costanza e (5) essere
utilizzate per un tempo brevissimo che ne rafforzi l’efficacia (1-5 minuti). È la
privazione del rinforzo la componente veramente efficace di questa procedura
e non la quantità di tempo nel quale avviene questa interruzione. Se il bambino deve spostarsi in un altro luogo durante l’interruzione, questo dovrebbe
essere un’area della classe piuttosto noiosa (non un’altra stanza, un armadietto,
un guardaroba o il corridoio) per permettere all’insegnante di monitorare i
comportamenti e le attività del bambino. I criteri in base ai quali terminare
202
Strategie di intervento per contesti scolastici
l’interruzione sono: (1) un periodo di tempo sufficientemente lungo per essere efficace (di solito si considera 1 minuto per ogni 2 anni di età del bambino);
(2) l’imposizione di un momento con l’esibizione di comportamenti tranquilli e non disfunzionali prima della conclusione dell’interruzione e (3) la manifestazione, da parte del bambino, del desiderio di correggersi, porre rimedio o
compensare i cattivi comportamenti che hanno condotto all’interruzione del
rinforzo. Infine, bisognerebbe prolungare la permanenza di quei bambini che
lasciano l’area di punizione senza permesso per un numero predeterminato di
minuti in funzione della violazione commessa. Oppure questi bambini potrebbero perdere dei punti o dei gettoni se si sta utilizzando in combinazione
un sistema di token reinforcement.
Come nel caso delle procedure di response cost, è obbligatorio utilizzare
queste strategie restrittive solo in associazione con sistemi di rinforzo positivo.
Le tecniche di interruzione del rinforzo dovrebbero costituire inoltre un’estrema ratio dopo aver applicato quelle di rinforzo positivo e altre strategie restrittive meno pesanti. Per esempio, i comportamenti non appropriati dovrebbero
essere seguiti prima da rimproveri lievi e brevi, poi da strategie di response cost,
poi da interruzione del rinforzo chiedendo al bambino di mettersi con la testa
sul banco e infine allontanandolo in un’area specifica della classe. Comportamenti disfunzionali più gravi (quali l’aggressività fisica) dovrebbero portare
all’applicazione immediata di procedure di interruzione massimamente restrittive o ad altre decisioni punitive coerenti con le regole della classe o della
scuola. Le strategie di interruzione del rinforzo positivo vanno accuratamente
monitorate nel corso della loro applicazione dato che non sono considerate
praticabili per molto tempo. Sono piuttosto considerate delle buone tecniche
a breve termine.
Strategie da applicare a casa
Le tecniche di contingency management da applicare a casa, in funzione
della performance scolastica e comportamentale del bambino a scuola, possono essere utilizzate per integrare efficacemente i sistemi di modificazione
del comportamento in contesti scolastici. Queste procedure hanno numerosi
aspetti positivi. Primo, il bambino riceve un feedback diretto dagli insegnanti
in seguito alle sue performance in diversi ambiti di funzionamento a scuola.
Secondo, i genitori a loro volta ricevono informazioni quotidiane sulla performance del bambino a scuola e questo permette una comunicazione costante
203
DDAI a Scuola
fra la scuola e la famiglia. Per bambini che manifestano difficoltà in classe, è
preferibile utilizzare un simile programma di comunicazione piuttosto che
aspettare incontri prefissati o la conclusione di una scheda di report. Infine,
questo sistema permette di superare alcuni limiti pratici delle strategie di contingency management applicate in classe (per es., un range limitato di attività
rinforzanti), dal momento che i genitori forniranno, a loro volta, rinforzi a
casa per comportamenti tenuti a scuola.
Abbiamo proposto un esempio di programma di rinforzo da applicare a
casa (DuPaul, Guevremont & Barkley, 1991) che utilizza una scheda di report
giornaliera simile a quella mostrata nella Figura 5.5.
FIGURA 5.5. Scheda di report giornaliera da utilizzare all’interno di un programma di rinforzo per il DDAI da applicare a casa. Tratto da Barkley (1990).
Copyright 1990 della Guilford Press. Ristampato su gentile concessione.
SCHEDA GIORNALIERA DEI PUNTEGGI DELLO STUDENTE
NOME______________________________________ DATA__________
Assegnare una valutazione al bambino in ciascuna delle aree sotto elencate, sulla base della performance avuta oggi a scuola utilizzando punteggi da 1 a
5. 1 = “eccellente”; 2 = “buono”, 3 = “discreto”, 4 = “scarso”,
5 = “terribile o non ha lavorato”
ORE IN CLASSE/MATERIE
AREA
1
2
Partecipazione
Lavoro in classe
Consegna dei compiti a casa
Interazione con altri bambini
Sigla dell’insegnante
Si prega di scrivere eventuali commenti sul retro
204
3
4
5
6
Strategie di intervento per contesti scolastici
Per ciascun bambino si identificano una serie di obiettivi comportamentali,
come essere attenti nel corso di attività in classe, completare i lavori assegnati,
essere accurati nel lavoro e rispettare le regole. Gli obiettivi specifici dovrebbero variare in funzione dei problemi specifici che lo studente manifesta (per
es., l’interazione con i pari può essere un target se il bambino tende a litigare
e lottare fisicamente con i compagni).
Le colonne della scheda di report possono essere utilizzare per comunicare
informazioni relative a diverse materie in diverse ore scolastiche. Pertanto, se
il bambino ha più di un insegnante, tutti possono partecipare. L’insegnante
segna i punteggi relativi alla performance del bambino (su una scala a 5 punti
che va da “eccellente” a “terribile”) negli spazi appropriati della scheda, appone la propria sigla ed eventualmente inserisce dei commenti. I punteggi
e i commenti devono essere scritti a penna per evitare che il bambino possa
modificarli. Lo studente ha la responsabilità di consegnare la scheda a ogni
insegnante e di portarla a casa tutti i giorni.
Dal momento che si utilizzano punteggi quantitativi, queste schede scuolacasa possono essere utilizzate in un sistema di token reinforcement. Per esempio,
l’insegnante assegna punteggi quantitativi in ogni area, come appena indicato.
Quando la scheda viene consegnata a casa, i genitori discutono brevemente
i punteggi positivi e negativi ottenuti dal bambino. Poi si assegna un valore
numerico specifico a ogni punteggio riportato sulla scheda e lo si somma per
ottenere il punteggio netto della giornata. Per esempio, ogni punteggio pari
a “1” potrebbe essere convertito in 25 punti, ogni “2” in 15 punti, ogni “3”
in 5 punti. I punteggi “4” e “5” costeranno al bambino la sottrazione di 15
e 25 punti rispettivamente. Per produrre un cambiamento positivo nel comportamento, bisogna progettare un sistema di token reinforcement da applicare
a casa in cui questi punteggi possano essere utilizzati per “comprare” alcuni
rinforzi secondari (per es., privilegi a casa, tempo da trascorrere davanti alla
televisione, andare a dormire a casa di un amico). Come per gli altri sistemi
a gettoni, l’efficacia dipende dalla natura motivante e dalla disponibilità di
numerosi rinforzi secondari.
Kelley (1990) ha scritto un libro che tratta ampiamente questa materia,
focalizzato sull’ideazione e sull’utilizzo delle “note scuola-casa” come mezzo di
comunicazione fra i genitori, gli insegnanti e i bambini. Nel libro presenta una
serie di note scuola-casa che possono essere utilizzate con studenti che hanno
comportamenti associati al DDAI. Un esempio di nota scuola-casa utilizzabile
nel trattamento di un bambino con DDAI è illustrato nella Figura 5.6.
205
DDAI a Scuola
FIGURA 5.6. Forma abbreviata di una nota scuola-casa utilizzabile con
studenti di scuola media e scuola superiore.(Questa nota è stata compilata da Richard, dagli insegnanti e dai genitori) Tratta da Kelley (1990), Copyright 1990
della Guilford Press. Ristampata su gentile concessione.
NOTA SCUOLA-CASA
Nome
Richard
Data 10/20
MATERIA Matematica
Era pronto per la lezione
SÌ NO NA
Ha utilizzato bene il tempo
SÌ NO NA
Ha consegnato i compiti a casa SÌ NO NA
Punteggio al test/compiti a casa F D C B A NA
Compiti a casa:
Venerdì test
sul Capitolo 3
Sigla dell’insegnante___
Commenti: Sembra essere più attento e utilizzare meglio il tempo a di
sposizione
MATERIA Studi sociali
Era pronto per la lezione
SÌ NO NA
Ha utilizzato bene il tempo
SÌ NO NA
Ha consegnato i compiti a casa SÌ NO NA
Punteggio al test/compiti a casa F D C B A NA
Compiti a casa:
Rispondere alle
domande 1-10
p. 113
Sigla dell’insegnante___
Commenti: Non ha portato il quaderno degli appunti e ha chiacchierato
abbastanza nel corso della lezione
MATERIA Inglese
Era pronto per la lezione
SÌ NO NA
Ha utilizzato bene il tempo
SÌ NO NA
Ha consegnato i compiti a casa SÌ NO NA
Punteggio del test/compiti a casa F D C B A NA
Compiti a casa:
Nessuno
Sigla dell’insegnante___
Commenti: Buona partecipazione alla lezione
Commenti dei genitori: Mrs. Sessions, Richard dice di aver terminato i
compiti a casa, potrebbe controllarli insieme a lui?
206
Strategie di intervento per contesti scolastici
A un primo livello come questo, si pone molta attenzione sul completamento dei compiti a casa e sui risultati ottenuti ai test. L’insegnante è in grado
anche di anticipare con regolarità quali compiti verranno assegnati. In un
secondo livello l’insegnante compilerà invece le note scuola-casa settimanalmente.
Esistono numerosi fattori che possono limitare l’efficacia dei programmi
di rinforzo da applicare a casa (Rapport 1987a). Uno dei principali inconvenienti è che, per definizione, implica un rinforzo differito. Dato che i bambini
con DDAI incontrano difficoltà nel differire la ricompensa (Barkley, 1998)
i sistemi di rinforzo applicati a casa potrebbero essere meno potenti di quelli
utilizzati in classe, più direttamente collegati ai comportamenti target.
Questo aspetto è particolarmente importante se si lavora con bambini di
età inferiore ai 6 anni.
In secondo luogo, il personale scolastico ha pochi mezzi per verificare se
i genitori applichino effettivamente le tecniche a casa. Infine, quando si utilizzano rinforzi a casa, i genitori dovrebbero essere scoraggiati dall’utilizzare
solo ricompense materiali, che possono perdere di efficacia nel tempo. Bisognerebbe piuttosto fornire loro assistenza per sviluppare un set di rinforzi che
includano attività, oggetti e situazioni sociali. Queste ricompense dovrebbero
essere rilevanti per il bambino, facilmente disponibili in casa o sul territorio,
non costose se prevedono una spesa economica e dovrebbero subire una rotazione per evitare la noia perché si offrono al bambino “sempre le stesse cose”.
È particolarmente importante utilizzare rinforzi che il bambino percepisce
come “necessità” (per es., guardare la televisione, giocare ai videogames, andare
in bicicletta) piuttosto che sceglierne altri che sono visti come “lussi” e senza
i quali il bambino può tranquillamente vivere (per es., mangiare in un determinato ristorante, andare al luna park).
Sempre nella stessa ottica, è utile presentare i fattori che possono accrescere
l’efficacia delle metodologie di rinforzo applicate a casa. Questi fattori sono
elencati nella Tabella 5.3.
Primo, si stabiliscono obiettivi positivi giornalieri e settimanali. Come già
sottolineato, per superare il “test dell’uomo morto”, i comportamenti target
devono prevedere un coinvolgimento attivo in incombenze da svolgere in
classe (per es., completare un lavoro) piuttosto che la semplice scomparsa
di comportamenti disfunzionali. Secondo, si inseriscono obiettivi comportamentali e scolastici. Nel tentativo di accrescere le possibilità di sperimentare
subito un successo, uno o due obiettivi dovrebbero essere realmente consegui207
DDAI a Scuola
bili dal bambino. Questo ha lo scopo di “agganciare” il bambino e di portarlo
a collaborare con il sistema prima di fissare standard o aspettative di performance più elevati.
TABELLA 5.3. Componenti Efficaci dei programmi di comunicazione casa-scuola
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Vengono fissati obiettivi positivi giornalieri e settimanali.
Si stabiliscono obiettivi comportamentali e scolastici.
Si lavora su pochi obiettivi alla volta.
L’insegnante fornisce un feedback quantitativo alla performance dello studente.
Si fornisce un feedback su ogni materia e su ogni ora di lezione.
La comunicazione è regolare (giornaliera o settimanale).
I rinforzi da applicare a casa si basano sulla performance avuta a scuola e sono a
breve e lungo termine.
8. Prima di iniziare il trattamento bisogna motivare i genitori alla cooperazione e
al coinvolgimento.
9. Si sollecita un contributo del ragazzo nel definire gli obiettivi e i rinforzi, soprattutto nel caso di bambini più grandi e adolescenti.
10.Si modificano, se necessario, gli obiettivi e le procedure.
Terzo, è importante lavorare solo su pochi obiettivi alla volta in modo che
lo studente e l’insegnante non abbiano un carico di lavoro eccessivo.
Quarto, il feedback dell’insegnante alla performance del ragazzo dovrebbe
essere quantitativo. Anche se i giudizi qualitativi possono dare informazioni
importanti, sono spesso vaghi e non specifici (per es., “Johnny ha avuto una
buona giornata”). Quinto, il feedback viene dato per ogni materia e ora di
lezione. Questo fornisce allo studente informazioni precise sulla performance,
permette di ricevere feedback più frequenti ed evita un calo motivazionale nei
bambini che incontrano difficoltà nelle prime ora della giornata scolastica. In
quest’ultimo caso, quando i punteggi sulla scheda di report sono giornalieri,
il bambino otterrebbe punteggi bassi anche se la performance è andata migliorando nel corso della giornata. Sesto, la comunicazione casa-scuola avviene su
base giornaliera o settimanale per permettere la somministrazione di rinforzi
frequenti. Settimo, ai punteggi assegnati dall’insegnante nella scheda di report
giornaliera è associata direttamente una piramide di privilegi a breve e lungo
termine di cui il bambino può usufruire a casa. È molto improbabile che un
208
Strategie di intervento per contesti scolastici
bambino con DDAI manifesti un miglioramento in assenza di rinforzi esterni. Ottavo, i genitori dovrebbero essere coinvolti nella progettazione del piano comunicazione casa-scuola fin dall’inizio per assicurare la comprensione e
l’aderenza alle procedure. I bambini più grandi e gli adolescenti dovrebbero
essere inclusi nella progettazione per le stesse ragioni. Nono, gli obiettivi e le
tecniche applicate vengono costantemente rivisti in funzione del verificarsi o
meno di progressi.
Un’altra possibilità di intervento mediata dai genitori è aiutare i bambini
nei compiti scolastici. Per esempio, Hook e DuPaul (1999) hanno valutato
gli effetti di interventi di parent tutoring su quattro studenti di seconda e terza
elementare con DDAI, che avevano anche difficoltà di lettura. I genitori erano
stati addestrati a controllare i brani di lettura che l’insegnante aveva assegnato
ai bambini. Il tutoring è stato fornito per un periodo da 4 a 8 settimane utilizzando un disegno sperimentale a baseline multipla. Il rendimento nella lettura
è stato valutato a casa e a scuola utilizzando brevi esercizi di lettura basati sul
curricolo che venivano somministrati due volte alla settimana nel corso delle
fasi sperimentali. Tutti e quattro i bambini avevano mostrato miglioramenti
della lettura negli esercizi somministrati a casa e risultati più variabili negli
esercizi somministrati in classe. I risultati indicavano che il parent tutoring può
essere una forma di intervento promettente per quei bambini con DDAI che
hanno anche difficoltà di lettura, soprattutto nei casi in cui i genitori investono sull’educazione dei loro bambini.
In sintesi, le strategie di intervento mediate dai genitori, soprattutto i sistemi di rinforzo applicati a casa, possono risultare efficaci nell’accrescere la
performance scolastica, in particolare se sono in integrazione a procedure già
applicate in classe (per es., perché coprono lassi di tempo in cui queste procedure non sono più applicate). Gli studenti che manifestano comportamenti
associati al DDAI di media gravità dovrebbero rispondere molto bene ai programmi casa-scuola. Come per altre strategie di contingency management, l’attenzione nell’identificare i comportamenti target e i rinforzi, il collegamento
di questi nello spazio e nel tempo e il monitoraggio del sistema per assicurarne
l’integrità sono aspetti che rivestono un’importanza critica.
Valutazione Funzionale del comportamento
Le strategie di contingency management appena descritte si focalizzano
principalmente sulla modificazione dei comportamenti target attraverso la
209
DDAI a Scuola
manipolazione delle conseguenze dei comportamenti appropriati e non. Da
un punto di vista tecnico, queste procedure si focalizzano sull’aspetto esteriore
del comportamento, o sulla topografia, più che sulla funzione che esso ha per
il singolo studente. Recenti progressi nelle tecniche di gestione del comportamento in classe, tuttavia, sottolineano sempre più l’importanza di collegare
queste strategie a una valutazione funzionale.
I metodi di valutazione funzionale includono interviste, osservazioni e
manipolazioni dell’ambiente (per es., cambiare la posizione dei banchi) per
identificare le variabili ambientali che precedono o seguono con una certa
costanza i problemi comportamentali in oggetto. Se tali variabili precedono
il comportamento, si ipotizza, all’interno di una formulazione analitica del
comportamentale, che diano inizio o favoriscano l’occorrenza di un determinato atteggiamento problematico. Nel caso invece di variabili conseguenti, si
ipotizza che queste rinforzino o contribuiscano al mantenimento del problema (vedere Nelson et al., 1998; O’Neill, Horner, Albin, Storey & Sprague,
1997).
Comprendere i fattori che contribuiscono al mantenimento delle difficoltà
comportamentali, insieme a quelli che sembrano generarli o incoraggiarli, è
un primo passo fondamentale nella personalizzazione dell’intervento (DuPaul
et al., 1997). Prendiamo, per esempio, in considerazione un comportamento
disfunzionale di un determinato studente che si verifica in classe (per es., un
disturbo verbale o parlare senza aspettare il proprio turno). Presumiamo anche che questo comportamento si verifichi quasi sempre quando l’insegnante
spiega gli esercizi nuovi di matematica. È molto probabile che in queste circostanze tale atteggiamento derivi dal desiderio di evitare e/o sfuggire gli esercizi
di matematica. In questo caso, quindi, come possibile intervento, l’insegnante
potrebbe fornire un supporto allo studente, prima dell’inizio dell’attività, assicurandosi che egli abbia compreso tutte le regole e le aspettative; che abbia
tutti i materiali necessari per partecipare e che sia in grado di ascoltare e di
guardare l’insegnante nel corso della spiegazione. Questa sarebbe una strategia
preventiva o proattiva.
Consideriamo invece lo stesso studente e lo stesso comportamento, facendo però un’ipotesi differente sulla funzione. Supponiamo, per esempio, che il
comportamento disfunzionale provochi l’attenzione dell’insegnante (per es.,
“William per favore smettila di disturbare la lezione. Non ricordi le regole
della classe?”). In questo caso si può ipotizzare che tale atteggiamento venga
rinforzato dall’attenzione sociale che lo segue. Almeno una componente di
210
Strategie di intervento per contesti scolastici
un approccio “funzionale” al trattamento, dovrebbe includere azioni tese a
rafforzare comportamenti alternativi che però siano in grado di produrre lo
stesso tipo di rinforzo ricercato dallo studente – in questo caso, l’attenzione
dell’insegnante. Per esempio, l’insegnante potrebbe utilizzare una strategia
che prevede la concessione di attenzione positiva a William quando risponde
correttamente a una domanda postagli e/o quando è attento alla lezione e la
privazione dell’attenzione quando esibisce comportamenti disfunzionali.
Quando la funzione del comportamento di un bambino è stata determinata, si progetta un intervento che generi un comportamento equivalente
sul piano funzionale. Le tecniche che si basano su equivalenti funzionali permettono allo studente di accedere alle conseguenze desiderate sulla base della
manifestazione di comportamenti appropriati e non di quelli problematici.
La Figura 5.7 mostra i possibili collegamenti fra le funzioni comportamentali
e alcuni interventi con equivalenti funzionali. Per esempio, se un bambino
esibisce comportamenti disfunzionali in classe per ottenere l’attenzione dell’insegnante, allora l’intervento dovrebbe prevedere che l’insegnante conceda
la propria attenzione in seguito a comportamenti appropriati e che, invece,
ignori quelli disfunzionali (ossia, un rinforzo differenziale per comportamenti
incompatibili). Si presume che gli interventi basati sulla funzione del comportamento siano più efficaci di quelli che si basano unicamente su esiti diagnostici più generici e/o su approcci per prove-ed-errori. Inoltre, si presume
che queste strategie legate alla funzione del comportamento diano risultati
più durevoli nel tempo dal momento che forniscono un accesso immediato
alla ricompensa.
Sulla base di una simile ipotesi, Ervin, DuPaul, Kern e Friman (1981)
hanno utilizzato la valutazione funzionale per guidare la progettazione di un
intervento in classe di quattro adolescenti con DDAI. Per due di questi studenti, gli interventi utilizzati erano rispettivamente legati alle ipotizzate funzioni di fuga dai compiti scritti e di ricerca dell’attenzione dei compagni. Al
primo studente è stato permesso di completare i compiti scritti al computer
dal momento che si ipotizzava una funzione di fuga. I comportamenti attinenti al compito manifestati dal secondo studente, venivano invece rinforzati
attraverso l’attenzione dei compagni, dal momento che si ipotizzava una funzione di ricerca e mantenimento dell’attenzione. I risultati di questo lavoro
suggeriscono che le tecniche che si basano sulla valutazione funzionale inducevano miglioramenti significativi nei comportamenti attinenti al compito di
entrambi gli studenti.
211
I
N
T
R
V
E
N
T
I
F
U
N
Z
I
O
N
I
212
- Ridurre le assegnazioni
- Rendere i compiti
stimolanti
- Permettere scelta
compito
- Sospensione dell’attenzione dopo completamento del compito
Alterare il compito
e/o accoppiare la fuga
a un comportamento
alternativo
Evitare/Sfuggire
l’assegnazione di
compiti
- Ignorare i comportamenti non attinenti al
compito
- Interruzione rinforzo
- Attenersi ai comportamenti attinenti al
compito
Ignorare e/o
concedere
attenzione in seguito
a un comportamento
alternativo
dall’adulto
- Dare rinforzo ai pari se
ignorano
- Utilizzare strategie di
rinforzo di gruppo
- Peer tutoring
Ignorare e/o
concedere
attenzione in seguito
a un comportamento
alternativo
dai compagni
Ottenere
l’attenzione
FIGURA 5.7. Forma ab
- Response cost
- Concedere dopo
comportamenti attinenti
al compito
Negazione e/o
ricompensa per
comportamento
alternativo
Ottenere oggetti
materiali
- Rimproveri
- Ridirezionamenti
- Didattica con PC
Interrompere
la stimolazione o
arricchire
l’ambiente
Ottenere rinforzo
automatico
DDAI a Scuola
Strategie di intervento per contesti scolastici
STRATEGIE DI SELF-MANAGEMENT
Un obiettivo primario del trattamento del DDAI è quello di permettere
allo studente di sviluppare livelli adeguati di autocontrollo. Questo implica
che il bambino manifesti spontaneamente comportamenti sociali e scolastici
adeguati all’età (ossia con la minima intrusione da parte del contesto). Nonostante questo sia un obiettivo desiderabile del trattamento, è piuttosto difficile da conseguire nella pratica data la natura complessa e persistente del
DDAI. Gli interventi di self-management per il DDAI includono strategie di
auto-monitoraggio, auto-rinforzo e auto-istruzione (Barkley, 1998). Queste
procedure, soprattutto quelle che comprendono l’auto-istruzione, vengono a
volte indicate con l’espressione interventi cognitivo-comportamentali data l’enfasi che pongono sui cambiamenti negli atteggiamenti cognitivi del bambino
e nella loro interazione. Negli ultimi anni, gli interventi di self-management
sono diventati sempre più popolari per una varietà di difficoltà scolastiche, incluso il DDAI (vedere Shapiro & Cole, 1994). In generale, malgrado sembrino apparentemente apportare miglioramenti alla sintomatologia del DDAI, il
loro successo non è stato sempre costante, soprattutto nel caso delle strategie
di auto-istruzione (Abikoff, 1985). Ciò non di meno, passeremo in rassegna i
risultati più importanti degli approcci di auto-monitoraggio e di auto-rinforzo dando luce anche alle procedure più rilevanti per i professionisti.
Auto-monitoraggio
Si può insegnare ai bambini a osservare e registrare l’occorrenza dei propri
comportamenti. Per esempio, si può insegnare a un bambino con DDAI a
riconoscere e registrare i comportamenti attinenti al compito, durante lo svolgimento di assegnazioni scolastiche, nel corso di un lasso di tempo specifico,
inviandogli precisi segnali per indurlo a osservare il comportamento che sta
mettendo in atto (per es., tramite il beep di un registratore o un gesto della
mano dell’insegnante).3 In seguito, il bambino registra su una griglia o su una
scheda presente sul proprio banco se il comportamento osservato era o meno
attinente al compito. Questa tipologia di auto-monitoraggio può essere utiliz3
Un metodo meno invasivo per segnalare l’auto-monitoraggio è quello di collegare ai vestiti del bambino un apparecchietto che emetta delle vibrazioni. Questo apparecchio, chiamato il MotivAider,
può essere programmato per inviare segnalazioni al bambino in diversi intervalli. Il MotivAider è
disponibile presso la Behavioral Dynamics, Inc., P.O. Box 66, Thief River Falls, MN 56701. Potete
trovare informazioni sul prodotto anche sul Web all’indirizzo www.habitchange.com/index.html.
213
DDAI a Scuola
zata da sola o, come più spesso accade, in combinazione con altre procedure
di self-management. Anche se questa metodologia non è stata studiata approfonditamente sui bambini con DDAI, si è riscontrato che i comportamenti di
attenzione aumentano in conseguenza dell’auto-monitoraggio, soprattutto se
combinati con procedure di auto-rinforzo o di rinforzo esterno (vedere, per
es., Barkley, Copeland & Sivage, 1980). Inoltre, alcune ricerche indicano che
potrebbe essere più efficace fare monitorare al bambino il completamento dei
compiti e/o l’accuratezza, piuttosto che i semplici comportamenti di attenzione (vedere, per es., Lam, Cole, Shapiro & Bambara, 1994).
L’auto-monitoraggio può essere un intervento particolarmente valido per
gli adolescenti con DDAI, soprattutto se ci si occupa di competenze organizzative. Per esempio, Gureasko-Moore, DuPaul e White (in stampa) hanno
valutato l’utilizzo di strategie di auto-monitoraggio in tre studenti di scuola
superiore con DDAI. Gli insegnanti riferivano che tutti i partecipanti mostravano difficoltà significative a prepararsi e organizzarsi per le lezioni (per
es., arrivare in classe con i libri giusti, le matite e il quaderno degli appunti).
L’insegnante ha stilato per ogni studente una lista di comportamenti preparatori. Questa checklist è stata utilizzata per individuare la percentuale di passi
preparatori realmente effettuati durante le fasi sperimentali, all’interno di un
disegno tra soggetti a baseline multipla. Dopo una fase di baseline, lo psicologo scolastico ha fornito un breve training nelle strategie di auto-monitoraggio
a ciascun partecipante. Tutti e tre gli studenti hanno mostrato incrementi nella percentuale di passi completati in funzione dell’auto-monitoraggio (vedere
Figura 5.8). Infatti, alcune settimane dopo, gli studenti mettevano in atto
con costanza circa il 100% dei comportamenti preparatori richiesti, anche in
assenza di input e rinforzi esterni.
Auto-rinforzo
L’intervento di self-management più promettente per il DDAI prevede non
solo il monitoraggio del comportamenti, ma anche la valutazione e il rinforzo
della performance (Barkley, 1989). La combinazione dell’auto-monitoraggio
e dell’auto-rinforzo, infatti, si è rivelata efficace nel generare, in studenti con
DDAI, comportamenti attinenti al compito, accuratezza scolastica e interazioni con i pari (Barkley et al., 1980; Hinshaw, Henker & Whalen, 1984).
Questi effetti aumentano ancora di più se le strategie sono combinate con un
trattamento farmacologico (Barkley, 1989).
214
Strategie di intervento per contesti scolastici
FIGURA 5.8. Percentuale di comportamenti preparatori in tre adolescenti con
DDAI dopo aver ricevuto un training di auto-monitoraggio. Tratta da GureaskoMoore, DuPaul e White (in stampa). Copyright della Sage Publications, Inc. Ristampata su gentile concessione.
Training
Monitoraggio
Eliminazione
Mantenimento
Percentuale di comportamenti preparatori
Percentuale di comportamenti preparatori
Percentuale di comportamenti preparatori
Baseline
Baseline
Baseline
Training
Monitoraggio
Training
Monitoraggio Elim.
Giorni di scuola consecutivi
215
Eliminazione
Mantenimento
Mantenimento
DDAI a Scuola
Le procedure di auto-rinforzo possono essere particolarmente utili nell’affrontare le difficoltà associate al DDAI in due situazioni. Primo, si può insegnare a uno studente a monitorare e rinforzare il proprio comportamento
mentre si elimina un sistema a rinforzo esterno (Barkley, 1989). Si presuppone che il cambiamento comportamentale positivo permarrà nonostante la
riduzione del feedback da parte dell’insegnante o di altre forme di rinforzo.
Ovviamente, i rinforzi secondari (per es., i privilegi in classe o a casa) devono
essere utilizzati mano a mano che l’insegnante diminuisce il feedback e il monitoraggio. L’eliminazione dei rinforzi secondari si deve verificare nel corso di
un tempo molto lungo. Un’altra situazione in cui l’auto-rinforzo è un trattamento appropriato per il DDAI è rappresentata dall’eventualità in cui, nella
scuola secondaria, gli insegnanti e gli studenti sono restii a utilizzare procedure
di contingency management. In questo caso, le tecniche di self-management potrebbero rappresentare un trattamento più accettabile e quindi con maggiore
probabilità di essere applicato con costanza. Un esempio di procedure di automonitoraggio e auto-rinforzo utili per apportare miglioramenti ai sintomi del
DDAI si può trovare nel lavoro di Rhode, Morgan e Young (1983).Questi
ricercatori hanno utilizzato tali strategie per generare miglioramenti negli atteggiamenti di bambini con “handicap comportamentali”. Le fasi iniziali del
programma prevedevano un programma di token reinforcement e un feedback
verbale dell’insegnante sulla base delle valutazioni del comportamento in momenti specifici in classe. Tali valutazioni venivano date su una piramide a 6
punti mostrata nella Tabella 5.4 (questa tabella non esiste).
Si possono effettuare altre valutazioni della performance scolastica e comportamentale utilizzando questo sistema. I punteggi dati dall’insegnante venivano scambiati con rinforzi secondari a scuola o a casa in un sistema economico a gettoni classico.
Una volta che si erano verificati i primi miglioramenti comportamentali
e/o scolastici, si addestrava lo studente a valutare il proprio comportamento. Utilizzando i criteri elencati nella Tabella 5.3 questo riferimento è errato
dal momento che la tabella 5.3 contiene le componenti della comunicazione casa-scuola). In questa fase, i punteggi dell’insegnante venivano utilizzati
per stabilire quanti punti lo studente avesse guadagnato. Inoltre, lo studente
poteva guadagnare un bonus di un punto se le sue valutazioni concordavano
perfettamente con quelle dell’insegnante. Se i punteggi che lo studente si assegnava deviavano di più di un punto da quelli dell’insegnante, non guadagnava
punti per quell’intervallo di tempo. Pertanto, i rinforzi erano associati sia a
216
Strategie di intervento per contesti scolastici
miglioramenti nel comportamento che alla capacità di valutare la propria performance in maniera simile all’insegnante.
Nel corso del tempo, i punteggi dell’insegnante venivano gradualmente
eliminati in modo che quelli dello studente stesso fossero i principali responsabili del guadagno di rinforzi secondari. Questo processo veniva facilitato
attraverso (1) l’utilizzo di “sfide di concordanza” randomizzate fra l’insegnante
e lo studente programmate su base costante e (2) la loro graduale riduzione.
Per esempio, una prima diminuzione potrebbe, in media, prevedere una sfida
giornaliera. In seguito si eliminano progressivamente le sfide passando, per
esempio, da una ogni tre giorni a una la settimana, infine a una ogni due
settimane. Se, in qualunque momento, la performance dello studente peggiora
e/o l’insegnante sospetta che lo studente gonfi i punteggi, allora le sfide di
concordanza vengono riproposte con maggiore frequenza.
Nel programma descritto da Rhode e colleghi (1983), lo studente alla fine
utilizzava solo i punteggi assegnati da sé, senza rinforzi secondari. Questo
aveva portato al mantenimento di miglioramenti comportamentali significativi in contesti scolastici differenti. Questo sistema di auto-rinforzo è stato
esteso ai bambini con DDAI e con disturbi del comportamento simili in una
scuola elementare (Hoff & DuPaul, 1998), scuola media (Shapiro, DuPaul
& Bradley, 1998) e scuola superiore (Smith, Young, Nelson & West, 1992).
Sembrerebbe, pertanto, che variazioni di questo sistema possano essere applicabili al trattamento dei comportamenti associati al DDAI in età molto
diverse. Malgrado ciò, è importante sottolineare che una variabile chiave che
influenza il successo di queste procedure è l’utilizzo costante di rinforzi esterni
in funzione dell’andamento mostrato dallo studente. È improbabile che l’efficacia di questo intervento rimanga la stessa se si riducessero o si eliminassero
troppo presto, all’interno dei vari passaggi, i rinforzi esterni.
Chi progetta interventi di self-management deve tenere a mente che i bambini con DDAI non riescono spesso a essere giudici sinceri dei loro comportamenti. Dal momento che tendono a ricordare quelli positivi e a non riconoscere quelli che invece influenzano negativamente i loro punteggi, sarebbe
utile condurre una breve discussione in cui riepilogare i comportamenti che
implicano l’assegnazione di punteggi negativi (Hinshaw & Melnick, 1992).
La pianificazione di un sistema di self-management in classe per un bambino
con DDAI prevede i seguenti passi: insegnare al bambino a utilizzare il sistema; fornirgli descrizioni chiare dei comportamenti attesi e stilare un elenco dei privilegi che lo studente potrà guadagnare. L’obiettivo di un simile
217
DDAI a Scuola
intervento è quello di addestrare infine il bambino a monitorare il proprio
comportamento all’interno della classe, senza ricevere un feedback costante
dall’insegnante.
METODOLOGIE DIDATTICHE EFFICACI
In aggiunta ai vantaggi documentati derivanti dall’applicazione di strategie
di contingency management, gli studenti con DDAI traggono, di solito, beneficio anche da tecniche di prevenzione, di gestione del comportamento e di gestione della classe. Inoltre, i bambini con questo disturbo possono richiedere
modalità didattiche differenti o aggiuntive per accrescere la loro performance e
le competenze scolastiche di base. In generale, un intervento teso a migliorare
le difficoltà che questi studenti sperimentano in classe dovrebbe includere:
(1) l’insegnamento attivo e costante delle regole, delle routine e dei comportamenti attesi; (2) la valutazione delle situazioni pratiche che possono sostenere
le regole, le routine e le aspettative; (3) cambiamenti nelle routine educative
e nei curricoli per accrescere i tassi di apprendimento; (4) il monitoraggio
continuo dei progressi nelle competenze di base (per es., lettura, aritmetica
e spelling) e (5) la trasmissione agli studenti di competenze organizzative e
metodologiche.
Nel considerare la performance e l’apprendimento di bambini con DDAI,
si devono analizzare una serie di variabili, dalle competenze scolastiche di base
ai comportamenti osservabili in classe che potenzialmente possono interferire
con la performance. La tabella 5.5. fornisce un elenco non esaustivo di queste
variabili.
Per molti bambini che sperimentano difficoltà comportamentali e/o di
rendimento in classe, il primo passo verso una soluzione del problema è rappresentato dal determinare se queste dipendano da deficit nelle competenze
o da variabili situazionali, in modo da progettare un intervento appropriato. Tuttavia, una delle principali difficoltà, per i professionisti che trattano i
bambini con DDAI, è rappresentata dal fatto che i problemi in classe sono
probabilmente una combinazione di deficit nelle competenze e di variabili
situazionali critiche. A causa di questa frequente interazione, andranno applicati trattamenti multipli in contesti differenti e attraverso agenti diversi.
Le strategie discusse in questa sezione sono quelle che hanno ricevuto
un supporto empirico per la loro efficacia nell’apportare miglioramenti alle
difficoltà elencate nella Tabella 5.5. Tuttavia, si deve sottolineare che queste
routine, prassi e metodologie didattiche sono state solo di recente sottoposte
218
Strategie di intervento per contesti scolastici
a ricerche in cui si faceva un riferimento specifico ai loro effetti sull’apprendimento e sul comportamento di bambini con DDAI.
TABELLA 5.5. Competenze e variabili situazionali da tenere in considerazione
nella valutazione e nel trattamento di difficoltà associate al DDAI
Competenze
Variabili Situazionali
Abilità di lettura
Gravità dei sintomi del DDAI
Abilità di scrittura
Strategie di gestione della classe e tecniche
motivazionali
Abilità di spelling
Routine educative
Abilità aritmetiche
Curricoli
Metodo di studio,
competenze organizzative
e abilità di self-management
Comunicazione casa-scuola
Abilità sociali e interpersonali
Interventi sul territorio (per es., farmaci)
I ricercatori dell’Università di Lehigh stanno sviluppando e verificando
un modello di consulenza per progettare trattamenti a scuola per studenti
con DDAI (Promoting Academic Success for Students, Promuovere il Successo
Accademico degli Studenti [PASS]). Questo modello decisionale, che si basa
sulla raccolta di dati empirici, include procedure di consulenza che utilizzano
il problem-solving (Bergan & Kratochwill, 1990); misure basate sul curricolo
(Shinn, 1998) e la valutazione funzionale del comportamento a scuola (Witt,
Daly & Noell, 2000).
Nei prossimi anni, verranno raccolti dati sul successo formativo per consentire una valutazione costi-benefici degli interventi educativi che si basano
su questo modello e per confrontarlo con quelli più comuni che si basano su
un approccio “prove-ed-errori”.
Molte delle strategie discusse in questa sezione saranno valutate nel corso
di questo progetto di ricerca. Iniziamo la nostra presentazione focalizzandoci sui comportamenti proattivi dell’insegnante (ricordiamo che le strategie
proattive sono quelle che vengono applicate prima della manifestazione di
problemi comportamentali).
219
DDAI a Scuola
Insegnare le regole e le aspettative della classe (Prevenzione)
Gli spunti, gli input (inclusi i feedback sulla performance) o i segnali che
l’insegnante da o non da possono essere piuttosto efficaci nella gestione di
problemi comportamentali e nel promuovere un coinvolgimento attivo nel
lavoro scolastico, nel completamento dei compiti e nell’accuratezza della performance (Paine, Radicchi, Rosellini, Deutchman & Darch, 1983; SulzerAzaroff & Mayer, 1991). Per dirla semplicemente, se si vuole che un altro
individuo faccia qualcosa, il modo migliore per accrescere questa probabilità è
comunicargli le aspettative in maniera chiara. Questo non vuol dire che gli insegnanti siano negligenti nelle richieste che fanno ai bambini con DDAI. Tuttavia, ognuno di noi, dimentica a volte di fare le cose “più semplici” mentre
espleta le proprie responsabilità educative. Altre volte, crediamo fermamente
di aver comunicato le nostre aspettative in modo chiaro e quindi, che non sia
necessario fornire ulteriori spiegazioni.
Prendiamo come esempio le regole della classe. Si da per certo che tutti
i bambini, inclusi quelli con DDAI, che comprendono e seguono le regole
della classe sperimenteranno un successo maggiore di quelli che non lo fanno
(Madsen, Becker & Thomas, 1968; Paine et al., 1983). Tuttavia, a volte, non
si ha ben chiara l’importanza che riveste la chiarezza con cui le regole vengono
trasmesse e comprese. In uno studio pilota che indagava la comprensione delle regole della classe, Stoner e Green (1992a) hanno riscontrato che meno del
10% dei bambini intervistati di prima, seconda e terza riuscivano a ripetere
o identificare le regole delle proprie classi. È ancora più importante e interessante che ciascun insegnante coinvolto credeva fermamente di aver trasmesso
le regole con chiarezza e senza ambiguità. In un’indagine di follow-up con
studenti più grandi, Johnson, Stoner e Green (1996) hanno trovato che la
trasmissione attiva delle regole della classe a studenti di matematica di scuola
superiore dava come risultato significativi miglioramenti comportamentali,
anche per quegli studenti che erano stati all’inizio segnalati come problematici. Sono necessari altri studi su questa linea, per aiutarci nel comprendere
meglio il ruolo e l’uso delle regole nel prevenire e affrontare i problemi di
comportamento in classe.
Le direzioni iniziali sulle variabili da includere in un simile lavoro sono state identificate da ricercatori educativi quali Martemns e Kelly (1993), Ysseldyke e Christenson (1987, 1988) e altri (per es., Elliott, Witt & Kratochwill,
& Stoiber, 2002; Paine et al., 1983; Paine & Paine, 2002; Sprick, Borgmeier
& Nolet, 2002). Questi professionisti hanno suggerito che i seguenti com220
Strategie di intervento per contesti scolastici
portamenti proattivi dell’insegnante possono essere efficaci nel promuovere
comportamenti appropriati in classe:
1. Gli insegnanti riepilogano agli studenti le regole della classe e le trasmettono attivamente attraverso la discussione in gruppo e la presentazione di
esempi positivi (per es., “pizzicano” gli studenti che le stanno seguendo).
2. Gli insegnanti mantengono un contatto oculare con gli studenti quando si
comportano in modo appropriato durante la lezione o l’attività in questione.
3. Gli insegnanti ricordano agli studenti i comportamenti attesi che rivestono
un ruolo critico per l’attività da svolgere prima dell’inizio di tale attività.
4. Gli insegnanti passano tra i banchi mentre controllano il comportamento
degli studenti e forniscono un feedback in forma discreta.
5. Gli insegnanti utilizzano segnali e input non verbali per ridirezionare uno
studente mentre è coinvolto in attività di insegnamento con altri.
6. Il ritmo delle lezioni è vivace e guidato direttamente dall’insegnante.
7. Gli insegnanti si assicurano che gli studenti abbiano compreso le attività
scolastiche e non (per es., quando un progetto si può considerare concluso,
quali aspettative sono proprie della lezione odierna di matematica). Gli
insegnanti gestiscono brevemente e con organizzazione i passaggi da un’attività all’altra (per es., enumerano le aspettative implicate nella transizione
dalla matematica a un intervallo).
8.Gli insegnanti comunicano con chiarezza e frequentemente le proprie
aspettative sull’utilizzo della lezione. Per esempio, Sprick e colleghi (2002)
suggeriscono di rendere nota la “scaletta” del giorno (per es., scrivendola
sulla lavagna) suddividendo le attività in blocchi temporali, esplicitando le
aspettative comportamentali per ogni singolo blocco. Inoltre, raccomandano di inserire un’attività stimolante per gli studenti all’inizio di ogni ora
di lezione. Queste attività sono relazionate con la lezione stessa e hanno lo
scopo di coinvolgere gli studenti nell’argomento, per favorire il passaggio
da un’altra attività, e di catturare il loro interesse e la loro attenzione.
Includere queste procedure nelle routine giornaliere può essere utile per
prevenire e gestire comportamenti di sfida. Inoltre, molte di queste strategie
sono correlate a miglioramenti nel rendimento degli studenti (Martens &
Kelly, 1993).
Nel lavorare con studenti con DDAI, in aggiunta a valutare accuratamente
le routine educative e della classe, gli insegnanti dovrebbero prendere in considerazione eventuali cambiamenti da apportare all’ambiente che permettono
221
DDAI a Scuola
un monitoraggio più attento delle attività. Per esempio, mettere il banco del
bambino vicino alla cattedra favorisce il monitoraggio e previene eventuali incomprensioni delle istruzioni date per un compito. Gli insegnanti dovrebbero
anche considerare cambiamenti che assicurino la partecipazione alle attività
della classe e che non restringano le opportunità di apprendimento, pur limitando la vicinanza a potenziali distrattori che sono presenti in ogni classe. Per
esempio, un bambino con DDAI probabilmente non renderà se sarà seduto
vicino a una zona della classe utilizzata con frequenza per molteplici attività.
La didattica e il recupero delle competenze di base
I tentativi di indagine condotti in classe, che includono bambini con
DDAI, si sono focalizzati sui problemi di gestione del comportamento, come
già illustrato nelle sezioni precedenti di questo capitolo. Al contrario, pochissime ricerche hanno avuto come oggetto la manipolazione delle metodologie
didattiche, del curricolo e dell’ambiente allo scopo di favorire l’apprendimento e la performance scolastica di questi bambini. La nostra ipotesi è che questo
dipenda dalla combinazione di due variabili. Primo, che i comportamenti
disfunzionali sono la preoccupazione principale degli insegnanti e li inducono
a inviare questi bambini agli specialisti. Secondo, che storicamente la teoria e
la prassi della ricerca sul DDAI e sulle difficoltà a esso associate hanno avuto
origine in ambito medico e clinico più che educativo.
Tuttavia, questo insieme di circostanze ha iniziato a cambiare da quando
i ricercatori in ambito educativo stanno valutando approcci quali il peer tutoring, la didattica con utilizzo del PC, modifiche alle istruzioni e alle assegnazioni e training sulle strategie da utilizzare per l’apprendimento e il rendimento di studenti con DDAI. Di seguito descriviamo queste procedure dopo
aver brevemente affrontato alcuni aspetti basilari del processo didattico e delle
metodologie per il recupero di competenze di base quali la lettura, la scrittura
e lo spelling.
Una trattazione esaustiva dell’argomento “processo didattico” va oltre il
nostro scopo e sono disponibili numerosi testi a riguardo (vedere Berliner
& Rosenshine, 1987, per una trattazione completa e accessibile dell’insegnamento in classe; vedere Shinn et al., 2002, per gli interventi in caso di problemi scolastici e comportamentali). Tuttavia, speriamo che questa presentazione
innescherà un futuro sviluppo della ricerca sulle procedure da applicare in
classe che colleghino il DDAI con le metodologie didattiche.
222
Strategie di intervento per contesti scolastici
Processi Istruttivi di base
Come analizzato e discusso da Rosenshine (1987), un insegnamento efficace implica la predisposizione sequenziale di sei funzioni istruttive primarie: ripasso, presentazione, esercizi guidati, correzioni e feedback, esercizi
in autonomia e ripassi settimanali o mensili. Per esempio, la fase di ripasso
comprende la verifica dei pre-requisiti e la discussione di materiali precedentemente studiati che si collegano con l’argomento attuale. In seguito, si presentano le informazioni o i contenuti nuovi (per es., eventi, discriminazioni,
concetti base e relazioni) in blocchi o unità gestibili singolarmente, utilizzando esempi chiari, positivi e negativi. Una volta che sono stati presentati i
contenuti e gli esempi, si forniscono agli studenti numerose opportunità di
esercizio guidato che abbiano elevate probabilità di successo. Successivamente, sulla base della performance esibita dallo studente negli esercizi guidati,
l’insegnante fornisce correzioni e feedback e, se necessario, rispiega alcuni
concetti per rafforzare l’apprendimento. Quando gli studenti sono in grado
di rispondere correttamente, per un tempo prolungato, alle domande e ai
quesiti sul nuovo apprendimento, sono pronti per l’esercizio autonomo. Il
lavoro autonomo ha lo scopo di generare fluenza e indipendenza nel trattare
il materiale nuovo, in modo che gli studenti riescano ad applicare i nuovi
apprendimenti a situazioni differenti e a riconoscerli in contesti vari. Infine,
si forniscono opportunità di ripasso settimanali e mensili, ancora con l’intento di cementare la fluenza e l’indipendenza nell’applicazione dei contenuti
appresi.
In una trattazione su ciò che egli definisce “gli aspetti semplici dell’insegnamento efficace” Berliner (1987, p. 93) suggerisce che queste funzioni
istruttive promuovano l’apprendimento dello studente per due ragioni. Primo, perché tali strategie assicurano che agli studenti venga data l’opportunità di apprendere ciò che dovrebbero. Secondo, perché attraverso il circolo
“ripasso, esercizio, feedback, correzioni e nuovo esercizio”, gli insegnanti si
assicurano che gli studenti applichino gli apprendimenti in modo corretto e
che diventino più veloci. Tutto ciò permette di evitare quelle situazioni in cui
gli studenti ripetutamente compiono il loro lavoro a scuola con errori, rafforzando così “regole errate” (per es., eseguire un’addizione in presenza del segno
“-” ed eseguire una sottrazione davanti al “+”). Inoltre, questi fattori possono
essere manipolati e personalizzati in funzione di materiali o studenti difficili.
Per esempio, si possono fornire più occasioni di esercizio e un feedback più
223
DDAI a Scuola
frequente in caso di materiale suddiviso in unità didattiche più piccole, se si
insegna a uno studente che ha delle difficoltà in una materia specifica.
Il supporto didattico e le metodologie di recupero descritti di seguito
comprendono elementi associati a una migliore performance in bambini con
DDAI. Questi fattori includono la possibilità di apprendere attraverso risposte
attive alle indicazioni e istruzioni dell’insegnante, combinate con feedback e
correzioni frequenti. Illustriamo qui brevemente queste procedure, allo scopo
di fornire al lettore interessato una direzione di studio o di approfondimento.
Abilità di lettura
I risultati della ricerca suggeriscono che il successo nella lettura nei primi anni di scuola influenza il futuro rendimento e adattamento scolastico
(Chall, 1983). Come tali, le abilità di lettura sono un mattone essenziale per
l’esperienza formativa positiva di un bambino (Anderson, Hiebert, Scott &
Wilkinson, 1985). I bambini con DDAI rischiano maggiormente di avere
difficoltà di lettura rispetto ai loro coetanei (O’Reilly, 2002). La didattica e
il recupero nella lettura possono essere pienamente valutati se suddivisi nelle
aree connesse della decodifica e della comprensione.
Trarre significato da informazioni scritte implica la decodifica del testo. È
talmente importante per un bambino apprendere il processo di decodifica,
che il Consiglio Nazionale delle Ricerche (1998) e l’Osservatorio Nazionale
sulla Lettura (2000) hanno ritenuto fondamentale la trasmissione di nozioni
di fonetica, come componente essenziale della didattica precoce della lettura,
per tutti i bambini. In modo simile, altri ricercatori illustri nel campo della
didattica della lettura (Adams, 1998; Carnine, Kameenui & Silbert, 1990;
Simmons et al., 2002) suggeriscono che un training sistematico sulla fonetica
dovrebbe essere parte dei primi 2 anni di istruzione dei bambini. Grossen
e Carnine (1991) evidenziano quattro componenti essenziali nella didattica
della lettura: (1) insegnare la corrispondenza lettera-suono; (2) insegnare la
fusione dei suoni; (3) fornire correzioni e feedback immediati agli errori nella
lettura orale e (4) fornire occasioni di esercizio prolungato utilizzando solo
suoni, liste di parole e parole inserite in brani di lettura. Gli studenti che sviluppano competenze fluenti di decodifica sono preparati a diventare dei lettori
esperti che traggono significato da ciò che leggono, dal momento che le abilità
di decodifica fanno da complemento ad altre forme di didattica della lettura.
Una didattica della lettura che sia completa include molto di più delle
competenze fonetiche. Per esempio, Sindelar, Lane, Pullen e Hudson (2002)
224
Strategie di intervento per contesti scolastici
hanno suggerito che gli studenti con difficoltà di lettura possano trarre beneficio da una serie di strategie che rientrano in tre grandi aree primarie: (1)
la costruzione della fluenza lettura/decodifica; (2) la costruzione del vocabolario e (3) il rafforzamento delle abilità di comprensione. Alcune di queste
strategie sono di seguito illustrate. Si può costruire fluenza nella lettura e
nella decodifica attraverso letture ripetute di alcuni brani (O’Shea, Sindelar & O’Shea, 1987; Samuels 1979) e l’analisi preventiva di nuove letture
(Rose & Sherry, 1984). Entrambe queste procedure migliorano la fluenza
nella lettura e la comprensione in studenti con difficoltà di apprendimento.
Baker, Gersten e Grossen (2002) suggeriscono anche che, in una didattica
della lettura che aspiri a essere esaustiva, sono necessari esercizi sistematici
sul vocabolario. Sindelar e Stoddard (1991) hanno evidenziato che numerosi studi di ricerca documentano l’efficacia di alcune strategie di costruzione
del vocabolario quali l’insegnamento di sinonimi, attraverso l’esercizio di
accoppiamento di parole stampate (Pany, Jenkins & Shreck, 1982), l’insegnamento di insiemi di parole che appartengono a un’unica categoria (Beck,
Perfetti & McKeown, 1982) e l’insegnamento preventivo di parole nuove contenute all’interno di un brano di lettura assegnato successivamente
(Wixon, 1986).
In ultimo, non certo per importanza, delineiamo alcune metodologie didattiche che permettono di accrescere la comprensione del materiale letto.
Prima di tutto, come evidenziato da Grossen e Carnine (1991), leggere per
capire implica abilità di decodifica. Data una certa fluenza nella decodifica,
si possono utilizzare una serie di tecniche didattiche per accrescere la comprensione (per una rassegna, vedere Baker et al., 2001; Simmons et al., 2002;
Sindelar et al. 2002). Per esempio, le discussioni pre-lettura dei testi assegnati
possono aiutare a fornire al materiale da leggere una cornice di riferimento,
che lo studente possa comprendere e con cui possa relazionarsi. Si possono
ricercare le conoscenze pregresse e le informazioni sul brano da leggere e integrarle, e lo stesso si può fare con il vocabolario necessario al processo di comprensione. In aggiunta a queste attività di pre-lettura, si possono utilizzare
altre procedure durante la lettura di un brano o dopo averla conclusa. Si può
insegnare agli studenti a comprendere il contenuto e la struttura di ciò che
stanno leggendo ponendosi una serie di domande note come “la grammatica
della trama” o “i pattern della trama” (Carnine & Kinder, 1985). Si può anche
insegnare loro a costruire diagrammi o mappe concettuali del brano per facilitare la comprensione del contenuto (Grossen & Carnine, 1991). Anche lo
225
DDAI a Scuola
sviluppo delle abilità di scrittura e di spelling può migliorare la comprensione
del materiale letto (Anderson et al., 1985).
Oltre alla didattica della lettura, tutta la didattica del linguaggio si focalizza
sullo sviluppo delle abilità di scrittura e di spelling. Entrambe queste competenze sono critiche per costruire competenze di comunicazione funzionale.
Detta diversamente, le abilità di scrittura e di spelling permettono allo scrittore di raggiungere lo scopo desiderato sul lettore. La trattazione di questo
argomento va al di là dello scopo di questo testo, pertanto, indirizziamo i
nostri lettori all’eccellente manuale di Graham e Harris (2002) sulla scrittura
e lo spelling e sugli interventi che possono migliorare queste competenze in
studenti con una bassa performance.
Ovviamente, questa nostra trattazione sulle tecniche didattiche e sulle abilità scolastiche è tutt’altro che esaustiva. Tuttavia, gli insegnanti e gli psicologi
della scuola che hanno una conoscenza approfondita della materia possono
utilizzare interventi didattici per costruire programmi educativi esaustivi ed
efficaci per studenti con DDAI e difficoltà di lettura.
Competenze organizzative e metodologiche
I bambini con una diagnosi di DDAI manifestano spesso una serie di difficoltà nel completamento dei compiti, nell’organizzazione del banco e di altri
materiali, nel seguire le indicazioni e nello studio dei testi (Barkley, 1998; Todd
et al., 2002). I bambini che sperimentano simili problemi possono trarre benefici da specifiche istruzioni organizzative e metodologiche. Un insieme completo e organizzato di strumenti testati sul campo, per trasmettere competenze
organizzative e metodologiche a studenti delle scuole elementari e secondarie,
è stato pubblicato nel testo Skills for School Success di Archer e Gleason (Competenze per riuscire a scuola; 1989) e contiene materiali idonei per entrambi gli
ordini di scuola. L’obiettivo di questi autori era quello di preparare un curricolo
per l’insegnamento di abilità di studio per riuscire a raccogliere, rispondere a e
organizzare le informazioni. In questo modo, gli studenti sarebbero incoraggiati a divenire più attivamente coinvolti nel processo di apprendimento in classe.
Un lavoro simile, focalizzato sulle strategie per studenti di scuola secondaria, è
stato condotto all’Università del Kansas da Donald Deshler, Jean Schumaker
e dai loro colleghi (Deshler & Schumaker, 1988; Ellis, Deshler & Schumaker,
1989; Schumaker, Deshler & McKnight, 2002).
Come mostrato da Gleason, Archer e Colvin (2002), si possono insegnare
agli studenti numerosi modi per ottenere informazioni dal materiale scritto.
226
Strategie di intervento per contesti scolastici
Questi includono una pre-analisi del testo per individuare le idee e gli argomenti principali; la lettura del brano; la risposta concomitante a domande sul
contenuto e l’utilizzo di tecniche per prendere appunti scrupolosi e completi sul materiale letto. Nell’ambito della comprensione dei materiali scritti, i
bambini devono anche imparare a leggere e comprendere mappe concettuali,
grafici, figure e altri input visivi che spesso accompagnano il testo scritto. Una
seconda area di competenze di studio si occupa dell’utilizzo dell’informazione raccolta dal testo per rispondere a domande o ad altre richieste relative al
materiale letto. In questo ambito, il curricolo contenuto nel libro Skills for
School Success include: lezioni sulla lettura e la risposta a domande conclusive
sull’unità didattica; sull’organizzazione e la preparazione di sintesi scritte di
contenuti letti e sulla risposta a quiz o test. Per esempio, per preparare uno
studente ad affrontare i quiz o i test, gli si insegna a prevedere il probabile contenuto di un test, a studiare e a prepararsi per il test e a rispondere a particolari
tipologie di domande, come quelle a scelta multipla.
Infine, Archer e Gleason (1989) hanno costruito anche delle lezioni per i
bambini di scuola elementare sulla gestione del tempo e sull’organizzazione
dei materiali a scuola. Si affrontano tre argomenti principali: l’organizzazione
del quaderno degli appunti; la preparazione e l’utilizzo di un calendario per i
compiti; la schematizzazione e il completamento del compito su un foglio in
forma chiara e ben organizzata.
Per esempio, nel caso di compiti scritti, si insegna agli studenti la strategia
HOW. Questa tecnica insegna a curare, nell’esecuzione di un compito scritto, l’Intestazione (Heading) del foglio, nome; data e materia; l’Organizzazione
(Organization), inclusi margini e interlinee e infine la Scrittura (Written) in
forma chiara, scrivere nelle righe e cancellare, se necessario, lasciando pulito.
Per ognuna di queste aree di competenza, si suggerisce agli insegnanti di fornire prima modelli adeguati, di fare poi esercitare gli studenti regolarmente
e infine di dare, quando necessario, feedback positivi e correzioni. Pochi potrebbero non concordare sull’importanza di queste competenze organizzative
e metodologiche per tutti gli studenti, anche per quelli con DDAI. A noi
sembra anche chiaro che devono ancora essere indagati gli effetti di un insegnamento diretto di queste competenze a bambini con DDAI. Altre strategie
utili per affrontare direttamente le difficoltà scolastiche degli studenti con
questo disturbo sono: il peer tutoring; la didattica tramite l’uso del PC; le
modifiche al compito e alle istruzioni e l’allenamento nell’uso di specifiche
tecniche didattiche.
227
DDAI a Scuola
PEER TUTORING
Secondo Greenwood, Delquadri e Carta (2002), il peer tutoring può essere
definito come una qualunque procedura didattica in cui due studenti lavorano
insieme su un’attività scolastica con uno studente che assiste, da indicazioni
e feedback all’altro. Esistono vari approcci al peer tutoring che condividono le
caratteristiche di questa descrizione, ma che differiscono per le tecniche utilizzate. Per esempio, i modelli si distinguono in relazione al focus didattico (per
es., acquisizione di competenze vs. esercizio di competenze), alla struttura del
tutoring (per es., reciproco vs. unidirezionale) e alle componenti procedurali
(numero di incontri a settimana, metodi di accoppiamento degli studenti,
tipi di sistemi motivazionali utilizzati) (per una rassegna, vedere Fuchs, Fuchs, Phillips, Hamlett & Karns, 1995; Greenwood et al., 2002). Nonostante
queste differenze, tutti i modelli di peer tutoring condividono caratteristiche
note per apportare miglioramenti all’attenzione sostenuta degli studenti con
DDAI. Queste caratteristiche sono: (1) un’interazione uno-a-uno; (2) un ritmo di apprendimento stabilito da chi apprende; (3) input costanti sulla performance scolastica e (4) feedback immediato sulla qualità della performance
(Pfiffner & Barkley, 1998).
Diversi studi di ricerca hanno utilizzato il ClassWide Peer Tutoring (Peer
Tutoring per Tutta la Classe; CWPT; Greenwood et al., 1998, 2002) in classi
normali che includevano studenti con DDAI. Il CWPT si è rivelato efficace
nell’accrescere le competenze aritmetiche, di lettura e spelling degli studenti a
tutti i livelli di rendimento (per una rassegna, vedere Greenwood et al., 2002).
Questa forma di peer tutoring include le seguenti componenti:
1. suddivisione della classe in due squadre;
2. formazione di gruppi di tutoring da due all’interno di ogni squadra;
3. turnazione fra i due studenti nel ruolo di tutor;
4. consegna ai tutor dei compiti scolastici (per es., esercizi di matematica con
le soluzioni);
5. elogi e assegnazione di punti in seguito a risposte corrette;
6. correzione immediata degli errori e possibilità di esercitarsi sulle risposte
corrette;
7. supervisione delle coppie di tutoring da parte dell’insegnante e assegnazione di punteggi bonus a quelle che seguono le indicazioni fornite e
8. trascrizione dei punteggi di ogni individuo alla fine di ogni sessione. Le sessioni di tutoring durano di solito 20 minuti con ulteriori 5 minuti dedicati
alla registrazione del progresso dello studente e al riordino dei materiali.
228
Strategie di intervento per contesti scolastici
È interessante che i punti non servono da scambio per rinforzi secondari,
ma, alla conclusione di ogni settimana, la squadra con più punti riceve un
applauso dall’altra.
Uno studio controllato sul CWPT condotto su un bambino di 7 anni
con DDAI, in una classe normale di seconda elementare, ha dato risultati
promettenti (DuPaul & Henningson, 1993). È stata analizzata l’influenza
dell’uso del CWPT, rispetto alla condizione di baseline, durante le istruzioni
e il lavoro autonomo al banco, focalizzandosi sui comportamenti attinenti
al compito, sull’irrequietezza e sulla performance in matematica. Il CWPT si
è rivelato efficace nel generare aumenti significativi nei comportamenti attinenti al compito e riduzioni consistenti nell’irrequietezza durante le lezioni
di matematica rispetto alle condizioni didattiche usuali. I risultati relativi alla
performance in matematica erano meno consistenti, anche se lo studente aveva
fatto dei progressi notevoli.
In una replicazione ed estensione di questo lavoro su un gruppo più ampio
di studenti che mostravano comportamenti significativi associati al DDAI,
DuPaul, Ervin, Hook e McGoey (1998) hanno esaminato gli effetti del
CWPT sulla performance scolastica e sul controllo del comportamento in 19
studenti (16 ragazzi, 3 ragazze; età media = 7.5) con DDAI dalla prima alla
quinta elementare all’interno di una classe normale. Le misure di valutazione
dei risultati includevano: l’osservazione diretta dei comportamenti associati
al DDAI; la raccolta di punteggi assegnati dall’insegnante; punteggi di selfreport; pre e post-test settimanali. Il CWPT è stato applicato nelle ore di aritmetica, spelling e lettura a seconda dell’area identificata come la più debole per
ciascuno studente con DDAI. I risultati dello studio di DuPaul e colleghi hanno indicato che il coinvolgimento attivo degli studenti con DDAI aumentava
considerevolmente passando dal 21.6% della baseline a una media del 82.3%
durante l’applicazione del CWPT. Si sono riscontrate concomitanti riduzioni
nei comportamenti non attinenti al compito. Inoltre, i punteggi dei bambini
ai post-test settimanali erano migliorati passando da una media di 55.2% nella
baseline a un 73% nelle condizioni di CWPT, indicando pertanto che questo
intervento influenzava sia i comportamenti attentivi sia la performance a scuola. Simili progressi nel comportamento e nella performance scolastica si registravano anche per i compagni di classe senza DDAI, comprovando il fatto
che il peer tutoring può aiutare tutti gli studenti, non solo quelli con problemi
e disabilità. Inoltre, gli insegnanti e gli studenti partecipanti allo studio di DuPaul e colleghi hanno tutti riferito che il CWPT era accettabile ed efficace.
229
DDAI a Scuola
In generale, queste ricerche forniscono prove consistenti del fatto che il
peer tutoring è una strategia di intervento in grado di migliorare la partecipazione attiva, la performance scolastica e, forse, le interazioni sociali di molti
studenti, inclusi quelli con DDAI. Dato che gli studenti con DDAI mostrano
difficoltà significative quando si chiede loro di completare compiti autonomi,
il peer tutoring fornisce un modello didattico alternativo per l’esercizio e l’affinamento delle abilità scolastiche.
DIDATTICA TRAMITE L’UTILIZZO DEL PC
L’impiego di tecniche didattiche che prevedono l’utilizzo del PC (Computer-Assisted Instructions, CAI) è raccomandato perché accresce i comportamenti produttivi e attinenti al compito degli studenti con DDAI Si è supposto
che le caratteristiche didattiche del CAI permettano agli studenti con DDAI
di focalizzare l’attenzione sugli stimoli scolastici (Lillie, Hannun & Stuck,
1989; Torgesen & Young, 1983). Il CAI ha cioè il potenziale per presentare
immediatamente specifici obiettivi didattici; per mettere in risalto il materiale
essenziale (per es., attraverso caratteri grandi e il colore); per utilizzare modalità sensoriali multiple; per suddividere il materiale in tranci di informazioni
più piccoli e per fornire un feedback immediato sull’accuratezza della risposta.
Inoltre, il CAI può limitare facilmente la presentazione di aspetti non essenziali che potrebbero fungere da potenziali distrattori (per es., effetti sonori,
animazione). Pochi studi hanno indagato gli effetti positivi del CAI sugli studenti con DDAI.
Come esempio di un intervento scolastico mediato dal computer, Ota e DuPaul (2002) hanno esaminato gli effetti dell’utilizzo di un software con un
formato grafico tipico di un gioco (Math Blaster) sul miglioramento del rendimento in matematica. I partecipanti erano tre studenti maschi, bianchi, dalla
quarta elementare alla prima media, con DDAI. Il software è stato introdotto
dopo un periodo di baseline (osservazione in condizioni normali) in forma
sequenziale, all’interno di un disegno a soggetto singolo con baseline multipla.
I dati osservativi sono stati raccolti nel periodo di baseline e in quello della
condizione sperimentale in aggiunta a un insieme di esercizi di matematica
adeguati al livello scolastico, che sono stati somministrati diverse volte a settimana nel corso della ricerca. Tutti e tre i partecipanti hanno mostrato un
qualche miglioramento nella loro performance negli esercizi di matematica
basati sul curricolo; la consistenza di questi miglioramenti, tuttavia, variava
230
Strategie di intervento per contesti scolastici
fra gli individui (ossia gli effetti erano stati particolarmente rilevanti per due
studenti). Inoltre, tutti e tre i partecipanti mostravano una riduzione sostanziale di comportamenti disfunzionali non attinenti al compito in funzione
dell’interazione con il software.
I risultati di questi studi forniscono delle evidenze iniziali per il personale scolastico sul fatto che il CAI può essere un’alternativa didattica efficace,
almeno per alcuni bambini con DDAI. Permettere agli studenti di utilizzare
il CAI può portare a miglioramenti nel completamento del compito e nei
comportamenti relativi. Tuttavia, le caratteristiche del software potrebbero influenzare le reazioni degli studenti con DDAI. I software con caratteristiche
grafiche simili a quelle dei giochi e con l’animazione potrebbero essere più
efficaci di programmi puramente istruttivi o del tipo “apprendi-ed-esercita”.
Chiaramente, esiste la necessità impellente di continuare la ricerca sul CAI
per studenti affetti da questo disturbo.
MODIFICAZIONI NEL COMPITO E NELLE ISTRUZIONI
Modificazioni nel compito
Un altro tipo di intervento scolastico che può migliorare la performance
scolastica degli studenti con diagnosi di DDAI è la modificazione del compito (Task Modification, TM). La TM implica una revisione del curricolo, o
di alcuni suoi punti, nel tentativo di ridurre i problemi comportamentali e di
accrescere gli atteggiamenti appropriati in classe. Inoltre, la TM è una strategia proattiva; dal momento che i cambiamenti vengono messi in atto prima
di presentare il contenuto allo studente. Si ritiene che questo tipo di modificazione scolastica positiva risponda maggiormente ai bisogni individuali dello
studente (Meyer & Evans, 1989).
Un tipo di TM, e precisamente la scelta dell’attività da svolgere, prevede
che lo studente possa esprimere una preferenza sul compito che vuole eseguire, scegliendo fra due o più alternative offertegli contemporaneamente. Studi
precedenti che indagavano gli effetti della scelta dell’attività sugli studenti con
disturbi evolutivi avevano dimostrato un aumento di scambi sociali e una diminuzione nei livelli di comportamenti disfunzionali (Dyer, Dunlap & Winterling, 1990; Koegel, Dyer & Bell, 1987). In uno studio recente condotto da
Dunlap e colleghi (1994) sono stati valutati gli effetti della scelta nel contesto
classe. In questo caso, si verificavano gli effetti della scelta del compito sul
coinvolgimento attivo e sui comportamenti disfunzionali in tre studenti con
231
DDAI a Scuola
disturbi emotivi e del comportamento. Dei tre partecipanti, un maschio di
12 anni aveva una diagnosi di DDAI. A questo studente è stata fornita una
lista di compiti scolastici di Inglese e di Spelling fra i quali scegliere. I risultati
dello studio hanno indicato che la scelta dell’attività aveva generato, con una
certa affidabilità e consistenza, un aumento del coinvolgimento nel compito
e concomitanti riduzioni nei comportamenti disfunzionali. Pertanto, la scelta
dell’attività può essere una modificazione del compito piuttosto efficace per
studenti con DDAI. La scelta non permette solo agli studenti di essere maggiormente coinvolti e di mostrare minori comportamenti disfunzionali, ma
promuove anche l’iniziativa e l’indipendenza degli studenti stessi. Tuttavia,
non è chiaro se questo tipo di TM sia efficace nel migliorare la performance
scolastica.
Vista la premessa che i bambini con DDAI hanno bisogno di una stimolazione cognitiva maggiore dei loro coetanei sani, poche ricerche hanno ancora studiato gli effetti di cambiamenti intra-attività (Zentall, 1989; Zentall
& Leib, 1985). In uno studio condotto in una classe, Zentall e Leib (1985)
hanno verificato gli effetti di una variazione nella struttura del compito sui
livelli di attività e sulla performance dei bambini all’interno di un disegno a
misure ripetute. Otto partecipanti, identificati come iperattivi, sono stati assegnati casualmente a una delle due condizioni sperimentali per la classe di arte,
in cui venivano introdotti dei cambiamenti nella struttura dell’assegnazione
del compito (istruzioni esplicite con l’utilizzo di materiale vs. istruzioni non
specifiche senza utilizzo dei materiali). I risultati hanno indicato decrementi
significativi nel livello globale di attività dei partecipanti e hanno suggerito
che la modificazione delle richieste del compito può influenzare questi livelli
in bambini definiti iperattivi.
In un’altra ricerca condotta in classe, Zentall (1989) ha esaminato se l’aggiunta di colori a indicazioni importanti in un compito di spelling apportasse
miglioramenti alla performance di bambini iperattivi. I partecipanti erano 20
bambini iperattivi e 26 ragazzi di controllo, precedentemente valutati nello spelling, che erano stati assegnati casualmente a una delle due condizioni
sperimentali. I risultati di questa ricerca hanno indicato che i partecipanti
identificati come iperattivi mostravano una performance migliore rispetto a
quelli del gruppo di controllo quando il colore veniva aggiunto nei compiti di
spelling. È interessante che l’aggiunta del colore in passaggi non rilevanti del
compito faceva invece decrescere la performance. Le implicazioni educative di
questi risultati suggeriscono che l’aggiunta del colore a componenti rilevanti
232
Strategie di intervento per contesti scolastici
del compito poteva accrescere l’attenzione ai dettagli e pertanto migliorare la
performance dei bambini con DDAI. Tuttavia, il fatto che i compiti di spelling
siano altamente strutturati e che le misure del rendimento scolastico fossero
limitate riduce il grado di generalizzabilità di questi risultati.
In uno dei primi studi che utilizzava procedure di valutazione funzionale
nel contesto classe, Ervin, DuPaul, Kern e Friman (1996) hanno indagato
l’effetto della TM sulla performance scolastica dei bambini con DDAI. Sulla
base dei risultati di un’analisi descrittiva, si supponeva che la partecipazione
al compito di due studenti maschi con DDAI sarebbe migliorata in seguito
a modificazioni nel compito. Utilizzando un breve disegno con ritorno alle
condizioni di partenza, sono stati indagati gli effetti di un metodo di scrittura alternativa in un partecipante maschio. Questo metodo comprendeva la
discussione nel gruppo di pari, un brainstorming e l’utilizzo del computer per
scrivere un giornale. Permettere al partecipante di modificare i compiti scritti aveva portato a diminuzioni clinicamente significative dei comportamenti
non attinenti al compito. Nello specifico, la percentuale di intervalli in cui
non si osservavano comportamenti non attinenti al compito era maggiore
se si permetteva al ragazzo di utilizzare il computer (M = 96.8%) rispetto alla
situazione in cui doveva scrivere a mano (M = 64.8%). Per l’altro studente con
diagnosi di DDAI, l’ipotesi era che permettergli di prendere appunti durante
la lezione avrebbe portato a un numero minore di comportamenti non attinenti al compito rispetto alla situazione di ascolto passivo. I risultati di questa
piccola manipolazione sperimentale hanno provato che la percentuale di intervalli in cui non si osservavano comportamenti non attinenti al compito era
decisamente maggiore quando il ragazzo prendeva gli appunti (M = 97.8%)
rispetto alle situazioni in cui non applicava questa tecnica (M = 54.5%). Questi risultati sono limitati dal periodo breve di applicazione dell’intervento e
dall’assenza di dati sulla performance scolastica; tuttavia, sono interessanti e
suggeriscono future direzioni di ricerca.
Modificazioni nelle istruzioni
In modo simile alla TM, si possono effettuare modifiche nelle istruzioni
specifiche (Instructional Modifications, IM) per migliorare i contesti scolastici
di studenti che esibiscono difficoltà di attenzione, impulsività o iperattività.
Come già affermato, pochi studi hanno indagato questa tipologia di intervento con studenti che manifestano comportamenti associati al DDAI.
233
DDAI a Scuola
Per esempio, Skinner, Johnson, Larkin, Lessley e Glowacki (1995) hanno
verificato l’influenza di due modalità di presentazione, veloce (FTW) e lenta
(STW), in un compito di lettura di un elenco di parole. Uno dei tre partecipanti aveva un DDAI. Le misure valutavano l’accuratezza nella lettura in
condizioni di baseline, FTW e STW. Nella condizione STW si manifestavano
percentuali maggiori di accuratezza nella lettura. Questi risultati suggeriscono
che alcune modalità di presentazione scritta delle parole possono influenzare
l’accuratezza nella lettura in studenti con DDAI.
I dati ricavabili dalla letteratura di ricerca corrente suggeriscono che cambiamenti nel compito o nelle istruzioni possono ridurre i comportamenti disfunzionali, migliorare il coinvolgimento e la performance scolastica. Inoltre,
queste tipologie di cambiamento possono essere applicate quotidianamente
in classe, con una minima preparazione da parte dell’insegnante. Tuttavia,
bisogna sottolineare che questi risultati sono limitati a effetti immediati e a
breve termine. Anche questa è nuovamente un’area da sottoporre a ulteriori
indagini.
TRAINING DI STRATEGIE SPECIFICHE
Infine, un altro intervento scolastico prevede l’insegnamento allo studente
di specifiche strategie da utilizzare in classe mentre svolge compiti scolastici.
Il training di strategie (ST) prevede che l’insegnante addestri gli studenti a
utilizzare un insieme di tecniche che servono ad affrontare specificamente le
richieste imposte da compiti scolastici. Questa tipologia di intervento è davvero promettente per studenti con una diagnosi di DDAI, dal momento che
può renderli facilmente più responsabili del loro comportamento in classe.
Tuttavia, anche in questo caso pochi sono gli studi che hanno valutato l’utilizzo della ST in questa popolazione.
Il training di strategie sembra applicabile particolarmente agli adolescenti
affetti da DDAI, anche se, di nuovo, ci sono pochi studi a cui fare riferimento.
Al livello di scuola secondaria, gli studenti con DDAI possono manifestare
scarse competenze organizzative e metodologiche, cosa che contribuisce al
rischio di scarso rendimento (Shapiro, DuPaul, Bradley & Bailey, 1996). Per
esempio, gli studenti con questo disturbo possono avere difficoltà a seguire
le istruzioni date e a prendere appunti ben strutturati da ripassare in seguito.
Migliorare la tecnica con cui gli adolescenti con DDAI prendono gli appunti,
potrebbe forse accrescere la loro performance scolastica e comportamentale
234
Strategie di intervento per contesti scolastici
nella classe. Una di queste tecniche è la Directed Notetaking Activity (Prendere
appunti sotto supervisione, DNA; Spires & Stone, 1989). In questo caso, gli
studenti apprendono la tecnica sotto la direzione dell’insegnante che fornisce
loro anche alcuni input, nel tentativo di accrescere i comportamenti attinenti
al compito e la comprensione del materiale e di ridurre la frequenza dei comportamenti disfunzionali. Nello specifico, l’insegnante da istruzioni su come
prendere appunti mostrando come estrarre i dettagli importanti e le idee principali dal contenuto trasmesso. Gli input dell’insegnante diminuiscono progressivamente fino al momento in cui gli studenti sono in grado di produrre
indipendentemente una sintesi del contenuto della lezione.
Evans, Pelham e Grudberg (1995) hanno esaminato gli effetti del DNA
su adolescenti con diagnosi di DDAI. Nel primo esperimento, 16 adolescenti
con DDAI (13 maschi, 3 femmine) che frequentavano un programma di intervento estivo, ricevevano un training nel DNA. Questo programma estivo
includeva attività scolastiche e ricreative. Ogni settimana, gli input sugli appunti e le istruzioni che l’insegnante dava, diminuivano progressivamente: da
una sintesi del contenuto fornita dall’insegnante stesso si passava a una pagina
bianca dove prendere da soli gli appunti. I risultati hanno mostrato che i partecipanti conseguivano miglioramenti significativi nella qualità degli appunti
presi. Inoltre, registravano anche un numero sempre maggiore di dettagli.
Questi dati suggeriscono che gli adolescenti con DDAI possono migliorare le
loro competenze nel prendere appunti con la procedura DNA.
Nello stesso studio, Evans e colleghi (1995) hanno anche indagato l’efficacia della tecnica DNA sul processo e sui risultati dell’atto di prendere appunti.
14 adolescenti inseriti in un programma di trattamento estivo ricevevano un
training nel DNA per 3 settimane. Si valutava, in seguito, il profitto dei partecipanti nell’utilizzo della strategia appresa in quattro condizioni sperimentali.
I risultati indicavano che l’intervento faceva aumentare significativamente i
comportamenti attinenti al compito e la performance nei compiti giornalieri.
Bisogna tuttavia sottolineare che questo trattamento non induceva miglioramenti significativi nei punteggi ai quiz e non riduceva i comportamenti
disfunzionali. I risultati complessivi di questo studio indicano che le strategie
per prendere appunti possono migliorare i comportamenti attinenti al compito e la performance in classe di adolescenti con DDAI. Inoltre, maggiore è
la qualità e l’organizzazione degli appunti, minore è l’esibizione di comportamenti disfunzionali.
235
DDAI a Scuola
CONSIDERAZIONI SU STUDENTI DI SCUOLA SECONDARIA
La ricerca sulle strategie di intervento efficaci per gli adolescenti è scarsa.
Infatti, nella loro meta-analisi sugli interventi in classe per studenti con DDAI,
DuPaul e Eckert (1997) sono riusciti a individuare solo due studi che si occupavano specificamente della performance di studenti con un’età superiore ai 13
anni. Dati i problemi che gli studenti con DDAI incontrano nel rendimento
scolastico, nelle abilità di studio, nel sottoporsi ai test e nell’adattamento in
generale, questa è di nuovo un’altra area da sottoporre a indagini future.
Le tecniche fin qui presentate che necessitano di considerazioni particolari nel caso di adolescenti includono: il contingency contracting, la didattica con l’utilizzo del computer e la trasmissione di competenze organizzative
e metodologiche. Inoltre, un testo recente di Robin (1998) fornisce alcune
linee guida e indicazioni utilissime per i professionisti e le famiglie che hanno a che fare con adolescenti con DDAI in contesti scolastici e casalinghi.
Questo gruppo di studenti rappresenta infatti una sfida molto impegnativa,
a causa dell’interazione fra la natura cronica del DDAI e le caratteristiche generali dell’adolescenza. Queste caratteristiche includono maggiori richieste e
aspettative scolastiche e sociali, autonomia nel comportamento, nel giudizio
e nell’autoregolazione. Inoltre, queste aspettative si verificano all’interno di
contesti sempre più complessi, che comprendono la conclusione degli studi
secondari, la pianificazione di un futuro lavoro e/o di un’istruzione ulteriore
e la negoziazione con la famiglia di responsabilità quali la patente di guida, il
coinvolgimento in attività sociali, l’abuso di sostanze, legami sentimentali e
rapporti sessuali e l’andare a vivere da soli.
Il supporto agli adolescenti in tutti questi ambiti può assumere forme differenti. Per esempio, in ambito scolastico, è probabile che gli studenti abbiano bisogno di supporto e di istruzioni dirette sulle competenze organizzative
e metodologiche quali prendere appunti, studiare per e affrontare un test e
portare a termine assegnazioni a lungo termine (vedere Robin, 1998, per una
trattazione completa degli adattamenti possibili). Questi studenti potrebbero
inoltre avere bisogno di un supporto maggiore nel progettare il loro futuro
lavorativo e formativo. Per esempio, numerosi college e università hanno eccellenti programmi di sostegno per studenti con disturbi; essere a conoscenza
di queste possibilità può diventare molto importante per questi studenti. È
anche importante diventare eccellenti avvocati di se stessi: conoscere i propri diritti, il proprio disturbo e i propri punti di debolezza e di forza. Una
236
Strategie di intervento per contesti scolastici
simile consapevolezza riveste un’importanza critica nel successo accademico
universitario, dal momento che permette di accedere ai sostegni e alle fonti di
supporto disponibili.
Una via promettente per sostenere gli adolescenti con DDAI è quella di
seguirli in una relazione uno-a-uno, affinché riescano a raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati. A questo proposito, Dawson e Guare (1998) hanno
pubblicato il manuale Coaching the ADHD Student (Allenare lo Studente con
DDAI), che fornisce una serie di linee guida, organizzate in tre capitoli, sui
fondamenti teorici, la struttura e l’applicazione del coaching a studenti con
DDAI, inclusa un’appendice con materiali da utilizzare. In breve, Dawson e
Guare descrivono i seguenti passi da compiere nel coaching: valutazione dei
bisogni; ottenere l’impegno dai partecipanti; scegliere un coach e iniziare delle
sessioni di allenamento (possibilmente giornaliere). Si danno ulteriori suggerimenti per focalizzare la relazione di coaching sulla fissazione di obiettivi,
sullo sviluppo di piani applicativi per conseguirli, sull’identificazione e il superamento degli ostacoli e sulla verifica dei progressi fatti.
Questo modello di coaching si basa sulle attinenti ricerche relative al training (Paniagua, 1992; Risley e Hart, 1968) che facilita la corrispondenza fra
ciò che un individuo afferma di portare a termine e ciò che nella realtà fa
effettivamente. Il modello e i metodi hanno tutti senso in ambito teorico,
tuttavia, sono necessarie ricerche empiriche per validare ulteriormente questo
approccio al trattamento.
A livello familiare, gli adolescenti con DDAI e i genitori possono probabilmente trarre beneficio da alcune forme di counseling (Robin, 1998; vedere
anche il capitolo 8 per un’ulteriore discussione dell’argomento). Questo sostegno può andare dalla comprensione del DDAI e della relativa influenza sui
pattern interattivi familiari, al sostegno e alla progettazione della formazione
educativa di un adolescente con DDAI, alla negoziazione di privilegi e di responsabilità nella famiglia. Come nel caso degli esempi precedenti, la chiave
per raggiungere esiti positivi è la personalizzazione della natura e della tipologia del sostegno scolastico, familiare e individuale.
FORNIRE SUPPORTO AGLI INSEGNANTI
Quando uno studente non soddisfa le aspettative della propria classe, si
dovrebbero mettere in atto interventi e adattamenti per permettere allo studente di riuscire a farlo e di raggiungere il successo formativo. Tali adatta237
DDAI a Scuola
menti possono includere: associare i materiali didattici alle reali competenze
scolastiche già presenti; fornire feedback positivo e correttivo con maggiore
frequenza; accrescere la motivazione a partecipare al lavoro in classe e aumentare le opportunità di apprendere e fare esercizio su nuove abilità. Si deve
anche riconoscere, tuttavia, che gli insegnanti che dovrebbero mettere in atto
simili adattamenti si aspettano, a loro volta, un aiuto sistematico sotto forma
di consulenza e di servizi di supporto nella progettazione, applicazione e verifica degli interventi che si applicano nel contesto classe.
Horner e colleghi (1991) hanno riscontrato che “i sistemi di sostegno per
insegnanti” rivestono un ruolo critico per il successo formativo degli studenti
con problemi di comportamento. Questi ricercatori hanno evidenziato che i
sistemi di supporto agli insegnanti si basano su programmi didattici e comportamentali vincolati al rispetto di tre grandi impegni:
1. insegnare agli studenti all’interno delle classi in cui sarebbero inseriti se non
manifestassero problemi di comportamento,
2. fornire un supporto costante
3. generare risultati sullo stile di vita che siano ampi e durevoli come, per
esempio, preparare lo studente a partecipare con successo alla vita della
società e della comunità.
Dati questi impegni, secondo noi, adattando quando detto da Horner e
colleghi (1991), i sistemi di supporto agli insegnanti che lavorano con studenti con DDAI dovrebbero includere le seguenti componenti:
1.Uno screening e una valutazione sistematica per assicurare l’individuazione
di tutti gli studenti che hanno bisogno di sostegno comportamentale ed
educativo. Per esempio, a questo scopo, si possono utilizzare approcci quali
il Systematic Screening for Behavioral Disorders (Screening sistematico per i
disturbi del comportamento; Walker & Stevenson, 1988) e lo Early Screening Project (Progetto di screening precoce; Feil et al., 1995).
2. Procedure complete che permettano di collegare fra loro i risultati del processo valutativo e la progettazione di piani di intervento per affrontare i
problemi comportamentali e di rendimento. Per esempio, potrebbe andare
bene l’utilizzo di strategie di valutazione funzionale e di misure basate sul
curricolo.
3. Tecniche che assicurino la progettazione, l’applicazione e la verifica degli
interventi e gli eventuali adattamenti che possono sostenere lo studente nel
processo di apprendimento e di controllo dei propri comportamenti.
238
Strategie di intervento per contesti scolastici
4. Metodi per assicurare il trasferimento della responsabilità dell’applicazione
del trattamento ai docenti curricolari.
5. La garanzia di una supervisione e di un monitoraggio costanti nelle classi
e in altri contesti scolastici, focalizzandosi sulla strutturazione di ambienti
educativi che siano organizzati, supportivi e finalizzati alla generazione di
risultati positivi per gli studenti.
6. Verifiche e revisioni del sistema di supporto.
I meccanismi di supporto agli insegnanti sono una componente necessaria del trattamento di bambini con DDAI. Data la frequenza e la gravità dei
comportamenti disfunzionali che questi studenti manifestano, non è insolito
che gli insegnanti riportino sentimenti di frustrazione e di impotenza nella
gestione della classe. I professionisti e i familiari che interagiscono con questi
insegnanti dovrebbero comprendere e confermare questi sentimenti. Inoltre,
bisognerebbe fare uno sforzo per aiutare gli insegnanti a gestire questi sentimenti in maniera produttiva (per es., fornendo materiali sulla gestione dello
stress). Un altro fattore sempre collegato che si deve tenere in considerazione, è che adattamenti nell’insegnamento richiedono spesso tempo, pazienza,
risorse e allenamento che di solito superano quelli disponibili. Per esempio,
l’applicazione di un sistema personalizzato di token reinforcement in un contesto classe di 25-30 bambini è spesso un’impresa impossibile per un insegnante. Pertanto, si dovrebbero selezionare le strategie sulla base dei limiti che
l’insegnante stesso si trova ad affrontare. Le caratteristiche appena elencate di
un sistema di supporto per l’insegnante hanno lo scopo di trovare una risposta
a questi problemi pratici in modo proattivo, ossia prima che l’insegnante si
lamenti o riferisca difficoltà.
L’applicazione di questi sistemi di supporto prevede la partecipazione di
professionisti della valutazione e della progettazione di interventi; di educatori con compiti di supervisione o di amministrazione per monitorare costantemente i programmi educativi e di altro personale all’interno della classe che
possa fornire, quando necessario, un sostegno al docente curricolare durante
l’applicazione dell’intervento. Idealmente, questo supporto all’insegnante si
realizza tramite uno staff esperto e formato nell’ambito del sostegno didattico
e comportamentale. Nelle scuole in cui queste circostanze si verificano realmente, non è insolito che gli insegnanti e i genitori possano aspettarsi elevate
percentuali di successo scolastico, comportamentale e sociale per gli studenti
con DDAI.
239
DDAI a Scuola
CONCLUSIONI
I bambini con DDAI sperimentano frequentemente difficoltà nei comportamenti in classe, nella performance e nel rendimento scolastico. Massimizzare
le possibilità di successo formativo di ogni bambino richiede l’implementazione di una serie di strategie comportamentali, didattiche e di apprendimento che hanno lo scopo di prevenire e gestire i problemi in questi ambiti.
Questo capitolo ha fornito una rassegna degli interventi efficaci di gestione
del comportamento e di strategie didattiche, come anche una panoramica
sulle strategie più promettenti di self-management. È stata anche evidenziata
la necessità di fornire un supporto costante agli insegnanti. In aggiunta alla
ricerca futura sugli approcci più promettenti, la sfida per noi è quella di integrare le diverse strategie all’interno di programmi di trattamento che si basino
sui bisogni individuali del singolo studente, in modo che tutti gli studenti con
DDAI possano sperimentare il successo a scuola.
240
CAPITOLO 6
Trattamento farmacologico
La prescrizione di farmaci psicotropi è il trattamento più comune per il
DDAI. Negli Stati Uniti, per esempio, un milione e mezzo di bambini circa
(o una percentuale di popolazione scolastica superiore al 4%) riceve un trattamento farmacologico a base di psicostimolanti (per es., metilfenidato) (Safer
& Zito, 2000). Il trattamento con psicostimolanti è diventato sempre più
comune negli ultimi venti anni, soprattutto nella popolazione pre-scolare e di
scuola secondaria (Olfson, Marcus, Weissman & Jensen, 2002; Safer & Zito,
2000). La durata media di utilizzo di farmaci va dai 2 ai 7 anni, a seconda
dell’età del bambino (Safer & Zito, 2000). Inoltre, sono state condotte più
ricerche sugli effetti dei farmaci stimolanti sul funzionamento di bambini con
DDAI rispetto a qualunque altra modalità di trattamento (DuPaul, Barkley
& Connor, 1998).
Diversi studi hanno dimostrato i miglioramenti a breve termine nel funzionamento comportamentale, scolastico e sociale per la maggioranza di bambini trattati con stimolanti (vedere DuPaul et al., 1998, per una rassegna). I
limiti del trattamento farmacologico (quali i possibili effetti collaterali e la
mancanza di prove sugli effetti a lungo termine) hanno invece portato all’adozione di trattamenti multimodali per il DDAI (Barkley, 1998). Gli stimolanti
sembrano esercitare effetti maggiori sulle difficoltà associate al DDAI (per es.,
lo scarso rendimento scolastico) se accoppiati ad altri approcci di trattamento efficaci, come la modificazione del comportamento (MTA Cooperative
Group, 1999). Data la comprovata efficacia e la grande diffusione dell’uso di
farmaci psicotropi nel trattamento del DDAI, è importante che il personale
241
DDAI a Scuola
scolastico sviluppi familiarità con:
1. i tipi di farmaci utilizzati;
2. i possibili effetti collaterali e comportamentali associati a questi farmaci;
3. i fattori da considerare quando si suggerisce una prova farmacologica;
4. i metodi per valutare a scuola la risposta al trattamento;
5. le modalità per comunicare i dati della valutazione ai medici e alle altre figure sanitarie;
6. i limiti del trattamento farmacologico.
TIPI DI FARMACI UTILIZZATI
Stimolanti del Sistema Nervoso Centrale
I farmaci psicostimolanti si chiamano così perché accrescono il livello di
arousal o lo stato di “vigilanza” del sistema nervoso centrale (SNC). I loro effetti
sui bambini con DDAI non sono “paradossali” dal momento che esercitano effetti fisiologici e comportamentali simili sulla popolazione normale (Rapoport
et al., 1980). Dato che la struttura chimica degli stimolanti è simile a quella
di certi neurotrasmettitori presenti nel cervello (per es., la dopamina), questi
sono considerati sostanze simpatomimetiche (Donnelly & Rapoport, 1985).
Gli stimolanti del SNC maggiormente utilizzati sono il metilfenidato (Ritalina, Concerta, Metadato), la dextro-amfetamina (Dexedrina) e la mix-amfetamina (Adderall). Fra questi, il metilfenidato è quello maggiormente utilizzato:
viene, infatti, somministrato a più dell’80% dei bambini sotto trattamento
farmacologico (Safer & Zito, 2000). La pemolina (Cylert) è stata utilizzata in
passato nel trattamento del DDAI; tuttavia, il suo utilizzo è significativamente
diminuito negli ultimi anni a causa di gravi indici di una possibile epatotossicità. In questa sede abbiamo tralasciato altre tipologie di stimolanti (per es., la
caffeina), dal momento che non si sono rivelate così efficaci come quelle appena elencate o perché non sono solitamente usate in ambito medico.
Dosaggi
Nella Tabella 6.1 sono elencati gli stimolanti del SNC, la loro eventuale disponibilità in compresse e i dosaggi tipici. Abbiamo inserito dosaggi specifici,
al contrario di quelli che si basano sul peso corporeo, per dare un’indicazione
su quella che è la prassi prescrittiva in questo settore. Inoltre, la ricerca indica
che né il peso complessivo né quello di qualche area in particolare sono buoni
predittori della risposta al dosaggio del metilfenidato in età pediatrica (Rap242
Trattamento farmacologico
port & Denney, 1997). Una volta che si è stabilita la dose ottimale per un
bambino, come di seguito mostreremo, i farmaci vengono di solito somministrati una volta al giorno (nel caso di preparazioni a rilascio prolungato) o due
volte al giorno (a colazione a e a pranzo in caso di preparazioni standard).
Dato il tempo relativamente breve di emivita di queste sostanze, il personale scolastico ha numerose opportunità di osservare il bambino con DDAI
sotto l’effetto dei farmaci rispetto ai genitori e deve quindi partecipare al processo di valutazione della risposta al trattamento.
Sia il metilfenidato (MPH) sia la d-amfetamina sono disponibili nelle forme ad azione immediata e a rilascio prolungato. Dal momento che si suppone
che gli effetti comportamentali di queste ultime due sostanze (insieme all’Adderall che è anch’esso una preparazione a lento rilascio) durino più a lungo
(ossia 8 ore dopo l’ingestione) rispetto ai loro derivati a effetto immediato,
esse presentano numerosi vantaggi, incluso quello di evitare una somministrazione all’ora di pranzo a scuola e la maggiore affidabilità del trattamento
(DuPaul, Barkley & Connor, 1998). Pertanto, al momento, i farmaci a rilascio prolungato vengono preferiti rispetto a quelli a rilascio immediato per il
trattamento della maggioranza dei bambini.
Tabella 6.1. Farmaci stimolanti, posologia delle compresse e dosaggi
Nome genericoa
b
Indicazioni
somministrazione
Ritalina
(metilfenidato)
Concerta
(metilfenidato)
Metadato
(metilfenidato)
Compresse da 5-20 mg
SR, 20 mg
Una volta al dì
Dexedrina
(d-amfetamina)
Capsule da 5-mg
Capsule da 10-mg
Capsule da 15-mg
Compresse da 5-mg
5 mg/5 ml (sciroppo)
Compresse da 5-20 mg
Una volta al dì
Adderall (mixamfetamina)
a
Forma farmacologica
Due volte al dì
Una volta al dì
Una volta al dì
Range di
Dosaggiob
2.5-25 mg
20-40 mg
Una volta al dì
Nome generico fra parentesi
Si dà il dosaggio di ogni somministrazione
243
2.5-25 mg
Due volte al dì
5-20 mg
DDAI a Scuola
Antidepressivi triciclici
Gli antidepressivi, come la desiprammina (Norpramina) e l’imiprammina
(Tofranil), sono farmaci a effetto lento che producono effetti comportamentali simili a quelli degli stimolanti in bambini con DDAI (Spencer, Biederman
& Wilens, 1998). Per esempio, entrambi questi farmaci antidepressivi danno
come risultato migliori punteggi dell’insegnante nelle scale di disattenzione,
impulsività e aggressività in circa il 70% dei bambini trattati. Inoltre, questi
farmaci possono essere particolarmente utili nel caso di bambini che non rispondono al trattamento con gli stimolanti (per es., Biederman, Baldessarini, Wright, Knee & Harmatz, 1989). Le desiprammina si è rivelata efficace
nell’accrescere la performance in misure di laboratorio della memoria a breve
termine e del problem-solving visivo, ma non influenza l’apprendimento di
relazioni cognitive superiori, a meno che non sia associata al MPH (Rapport,
Carlson, Kelly & Pataki, 1993).
I possibili effetti collaterali degli antidepressivi sono: innalzamento della
pressione arteriosa e del battito cardiaco e, allo stesso tempo, un rallentamento nell’emodinamica intracardiaca (Spencer et al., 1998). Pertanto, la risposta
del bambino a questi farmaci deve essere monitorata con maggiore attenzione
(per es., con frequenti elettrocardiogrammi) rispetto agli stimolanti. La desiprammina è anche associata a deficit nella crescita, anche se questi non sono
così pronunciati come nel caso degli stimolanti (Spencer, Biederman, Wright
& Danon, 1992).
Altri antidepressivi
Gli inibitori della monoamminoossidasi (IMAO) si sono mostrati clinicamente efficaci con difficoltà associate al DDAI (Rapoport, 1986; Zametkin,
Rapoport, Murphy, Linnoila & Iamond, 1985). Sfortunatamente, nel corso
della somministrazione degli IMAO si devono seguire numerose restrizioni
alimentari e farmaceutiche, cosa che rende la loro applicazione problematica
in caso di bambini che hanno difficoltà nel controllo degli impulsi, come
quelli con DDAI (Hunt, Lau & Ryu, 1991). La nortriptilina si è rivelata efficace nel ridurre i tic associati alla sindrome di Tourette e i sintomi del DDAI
in molti bambini affetti da entrambi i disturbi (Spencer, Biederman, Wilens,
Steingard & Geist, 1993). Il bupropione (Wellbutrin) ha un’efficacia media,
nel migliore dei casi, nel ridurre la sintomatologia del DDAI (Casat, Pleasants, Schroeder & Parler, 1989; Simeon, Ferguson & Van Wyck Fleet, 1986).
Esiste la possibilità che il bupropione possa esercitare, su alcuni bambini con
244
Trattamento farmacologico
DDAI, un duplice effetto anti-aggressivo e anti-iperattivo (Hunt et al., 1991).
I risultati di un esperimento aperto con bupropione hanno indicato positivi
effetti comportamentali in un campione di adolescenti con DDAI, disturbo
della condotta e abuso di sostanze (Riggs, Leon, Mikulich & Pottle, 1998).
Gli effetti sulla performance scolastica sono più variabili e richiedono indagini
ulteriori (Nebrig & DuPaul, 2001).
Antiipertensivi
La clonidina, un antiipertensivo, ha una discreta efficacia nel ridurre i
sintomi del DDAI (per una meta-analisi, vedere Connor, Fletcher & Swanson, 1999). Per esempio, Hunt, Mindera e Cohen (1985) hanno ottenuto
un miglioramento, ascrivibile alla clonidina, nei punteggi degli insegnanti e
dei genitori nelle dimensioni di iperattività e problemi di condotta nel 70%
dei bambini trattati. Si dovrebbe, però, sottolineare che se si paragonano direttamente gli effetti della clonidina con quelli del MPH, quest’ultimo è più
efficace (Connor et al., 1999). Di contro, la clonidina può essere più indicata
in determinate situazioni dal momento che ha ancora effetto alla sera e che
non comporta disturbi del sonno e dell’alimentazione che sono a volte associati al MPH. Infatti, la combinazione di clonidina e MPH può essere utile in
quei casi in cui il MPH da solo ha portato, per esempio, all’insonnia (Connor,
Barkley & Davis, 2000; Hunt et al., 1991). Gli effetti collaterali più frequenti
della clonidina sono la sedazione, l’irritabilità e la pressione bassa (Connor
et al., 1999). La guanfacina (Tenex) è un altro agente antiipertensivo che si è
rivelato efficace nel produrre risultati simili a quelli della clonidina in diversi
esperimenti aperti. Gli effetti collaterali sembrano essere meno frequenti e
meno gravi di quelli della clonidina (Connor, 1998). Data la mancanza di
esperimenti controllati su questa sostanza, sembra prematuro suggerire l’utilizzo della guanfacina nel trattamento del DDAI. Data la modesta efficacia e
gli effetti collaterali, sembra che la clonidina possa essere un buon trattamento, con effetti equivalenti a quelli degli antidepressivi triciclici (Connor et al.,
1999), di seconda elezione per il DDAI.
Atomoxetina
L’atomoxetina (Strattera) è una sostanza non stimolante che influenza
la noradrenalina in modo simile agli stimolanti. Anche se questo farmaco
non è stato ancora studiato approfonditamente, i risultati di un primo studio controllato sono promettenti (Michelson et al., 2002). Nello specifico,
245
DDAI a Scuola
un campione numeroso di bambini e adolescenti con DDAI ha ricevuto un
trattamento a base di atomoxetina con differenti dosaggi per un periodo di 8
settimane. I risultati hanno evidenziato che la maggioranza dei partecipanti
mostrava una risposta comportamentale positiva, anche nel caso dei bambini
del Tipo con disattenzione predominante. Malgrado siano necessarie indagini
ulteriori, l’atomoxetina potrebbe giocare un ruolo sempre più importante nel
trattamento di bambini che non rispondono agli stimolanti.
Riassunto
Nonostante questi e altri risultati siano promettenti, la maggior parte dei
dati di ricerca disponibili sui farmaci diversi dagli stimolanti fa riferimento a
campioni numericamente troppo esigui e che utilizzano, come criterio di valutazione dei risultati, soltanto i punteggi degli insegnanti e dei genitori. Inoltre, alcuni studi iniziali non hanno utilizzato la metodologia a doppio cieco,
un metodo di controllo critico negli studi sui farmaci. Devono essere studiati
gli effetti sulla performance scolastica e sul funzionamento cognitivo prima
di considerare queste sostanze come valide alternative ai farmaci stimolanti.
Inoltre, l’entità degli effetti del trattamento combinato di stimolanti e altri
farmaci deve ancora essere confrontata direttamente in campioni numericamente ampi di bambini con DDAI. Sulla base dei risultati di queste indagini,
gli stimolanti restano il trattamento farmacologico elettivo per il DDAI. Per
questa ragione, il resto del capitolo di focalizza sugli stimolanti del SNC e in
particolare sul MPH.
EFFETTI COMPORTAMENTALI DEGLI STIMOLANTI
Sulla base della letteratura empirica, circa il 75% dei bambini con DDAI,
in età di scuola elementare, riceve un trattamento farmacologico a base di
stimolanti e ha una risposta positiva a uno o più dosaggi (vedere Rapport &
Denney, 2000). I bambini nella restante percentuale o non manifestano cambiamenti o esibiscono peggioramenti nella sintomatologia del DDAI, rendendo, pertanto, necessario l’utilizzo di altri farmaci. Non è quindi certo che un
determinato bambino con DDAI risponda a uno specifico stimolante, né che
il trattamento farmacologico dovrebbe essere utilizzato come metodo di conferma della diagnosi (ossia una risposta positiva al trattamento non conferma
una diagnosi di DDAI e una risposta negativa non indica che un bambino
non lo abbia). Inoltre, una mancanza di risposta al trattamento o la presen246
Trattamento farmacologico
za di effetti collaterali associati a uno stimolante non esclude la possibilità
di una risposta positiva a un altro farmaco appartenente alla stessa categoria
(Elia & Rapoport, 1991). Al momento attuale, il MPH è lo stimolante più
comunemente utilizzato; si prescrive a più dell’80% dei bambini sottoposti a
trattamento farmacologico (Safer & Zito, 2000). Numerosi studi hanno delineato che gli effetti comportamentali del MPH, della d-amfetamina e della
mix-amfetamina sono molto simili (per es., James et al., 2001).
Sono stati indagati gli effetti dei farmaci stimolanti su quasi tutti gli ambiti
di funzionamento comportamentale, emotivo e fisico in bambini con DDAI
(per una rassegna, vedere DuPaul, Barkley & Connor, 1998; Spencer et al.,
1996). Le aree di maggiore interesse per i professionisti vengono brevemente
presentate di seguito.
Effetti sul controllo del comportamento e sull’attenzione
I farmaci stimolanti hanno dato esisti positivi sulla capacità dei bambini
con DDAI di mantenere l’attenzione in compiti impegnativi (Barkley, DuPaul
& McMurray, 1991; Douglas, Barr, O’Neill & Britton, 1986; Rapport et al.,
1987) e di inibire la risposta impulsiva (Brown & Sleator, 1979; Rapport et
al., 1988). In molti casi, l’attenzione ai compiti assegnati migliora a tal punto che il comportamento del bambino sembra simile a quello dei compagni
“normali” (Abikoff & Gittelman, 1985; DuPaul & Rapport, 1993). Inoltre,
questi farmaci riducono significativamente l’attività motoria disfunzionale,
soprattutto i movimenti non attinenti al compito durante situazioni di lavoro
(per es., Cunningham & Barkley, 1979). Anche i problemi di aggressività
(Hinshaw, 1991; Klorman et al., 1988), i comportamenti disfunzionali in
classe (Barkley, 1979), la capacità di persistere su compiti frustranti (Milich,
Carlson, Pelham & Licht, 1991) e l’inottemperanza verso le figure di autorità (Barkley, Karlsson, Strzelecki & Murphy, 1984) migliorano in seguito
all’utilizzo di questi farmaci. Una meta-analisi condotta da Connor, Glatt,
Lopez, Jackson e Melloni (2002) ha riscontrato effetti da moderati a elevati
nel miglioramento dell’aggressività manifesta e latente ascrivibili a farmaci
stimolanti. Infatti, gli effetti sul comportamento aggressivo erano equivalenti
a quelli ottenuti per i sintomi del DDAI. In generale, i miglioramenti nel controllo del comportamento e nell’attenzione sostenuta sono maggiori a dosaggi
più elevati e sono identici a casa, in ambito clinico, in classe e in altri contesti
scolastici. Simili effetti comportamentali si sono ottenuti con adolescenti con
DDAI, tuttavia, la percentuale di coloro che rispondono positivamente è più
247
DDAI a Scuola
bassa (ossia fra il 50-70%) di quella riscontrata in bambini di scuola elementare (Evans & Pelham, 1991; Pelham, Vodde-Hamilton, Murphy, Greenstein
& Vallano, 1991).
Gli effetti comportamentali degli stimolanti sono, in parte, mitigati da
fattori ambientali. Northup e colleghi hanno condotto numerose ricerche per
chiarire la relazione fra gli aspetti ambientali e la risposta al MPH (Northup
et al, 1997; 1999). Queste analisi hanno dimostrato che gli effetti del MPH
variavano in funzione delle situazioni ambientali. Per esempio, in test di laboratorio in cui si chiedeva ai bambini di completare un lavoro sotto differenti
condizioni, gli effetti del MPH sui comportamenti disfunzionali erano maggiori se un adulto era presente nella stanza e più deboli se il bambino era solo
(Northup et al., 1999). Anche se il MPH agisce direttamente sui fattori biologici (ossia sul funzionamento cerebrale) gli effetti di questo e altri farmaci
simili dipendono dalle condizioni ambientali predominanti e dalle tipologie
di comportamento che queste elicitano (Murray & Kollins, 2000; Rapport,
DuPaul & Smith, 1985). Pertanto Northup e Gulley (2001) hanno raccomandato agli psicologi scolastici di valutare gli effetti dei farmaci nel contesto
di una valutazione funzionale del comportamento, in cui vengano sistematicamente manipolati i fattori ambientali e i dosaggi di MPH per arrivare alla
combinazione ottimale di ciascun approccio al trattamento. L’applicabilità
di questo paradigma di ricerca ai contesti scolastici attende ancora di essere
esaminata; tuttavia, è chiaro che gli effetti comportamentali degli stimolanti
non vanno valutati in condizioni asettiche e che bisogna sempre tenere in
considerazione i fattori ambientali nella valutazione della risposta a questi
trattamenti farmacologici.
Effetti sulla performance scolastica e cognitiva
Gli effetti dei farmaci stimolanti sulla performance cognitiva dei bambini
con DDAI sono stati tradizionalmente studiati utilizzando paradigmi di ricerca in laboratorio quali il Paired Association Learning Test (Apprendimento di
associazioni; Swanson & Kinsbourne, 1975) e test di richiamo a breve termine
(Sprague & Sleator, 1977). Sono stati riscontrati effetti benefici del MPH sul
funzionamento cognitivo dei bambini in test di recupero verbale (Barkley,
DuPaul & McMurray, 1991; Evans, Gualtieri & Amara, 1986), in test di
apprendimento di associazioni (Rapport et al., 1985) e nel richiamo a breve
termine di stimoli visivi (Sprague & Sleator, 1977). In generale, gli effetti di
risposta al dosaggio del MPH sulla performance cognitiva sono lineari, con
248
Trattamento farmacologico
miglioramenti più consistenti in funzione di dosaggi più elevati (Rapport &
Kelly, 1991; Solanto, 2000). È importante tuttavia sottolineare che questi
effetti del dosaggio sono stati evidenziati a livello gruppale e che, come spiegheremo di seguito, ci sono differenze sostanziali nella risposta individuale dei
bambini alla dose.
Una rassegna sugli effetti degli stimolanti sulla performance scolastica dei
bambini con DDAI ha concluso che, in generale, quest’area di funzionamento non trae benefici a lungo termine dalla farmacoterapia (Barkley & Cunningham, 1978). Ovviamente, gli studi condotti alla fine degli anni ’70 hanno
utilizzato principalmente test di profitto tradizionali (per es., il Wide Range
Achievement Test) o batterie per la valutazione dell’intelligenza. Simili misure
potrebbero non essere sufficientemente sensibili a identificare effetti a breve
termine o cambiamenti più sottili nel funzionamento cognitivo associati al
trattamento. Numerosi altri fattori limitano l’utilità di test di profitto con
norme specifiche nella valutazione degli effetti del trattamento, fra i quali: (1)
l’assenza di un campionamento adeguato del curricolo utilizzato; (2) l’utilizzo
di un numero limitato di item per indagare diverse aree; (3) l’utilizzo di modalità di risposta che richiedono una performance comportamentale e (4) una
insensibilità a piccoli cambiamenti nella performance dello studente (Marston,
1989; Shapiro, 1996).
Numerosi studi condotti da gruppi di ricerca fra loro indipendenti hanno riscontrato miglioramenti importanti dovuti al MPH nella produttività e
nell’accuratezza scolastica in campioni numerosi di bambini (Douglas, Barr,
O’Neill & Britton, 1988; Pelham, Bender, Caddell, Booth & Moorer, 1985;
Rapport et al., 1987, 1988) e di giovani adolescenti con DDAI (Evans &
Pelham, 1991; Evans et al., 2001; Pelham et al., 1991). Anche l’attenzione
alle lezioni, il completamento dei compiti assegnati e i punteggi a quiz e test in
giovani studenti di scuola superiore con DDAI miglioravano in funzione del
trattamento con MPH (Pelham et al., 2001). Come per altri ambiti, questi effetti erano più consistenti a dosaggi più elevati se analizzati a livello gruppale.
Per valutare la performance scolastica, più che utilizzare test di profitto standardizzati, questi ricercatori hanno preferito servirsi di compiti scritti assegnati
dall’insegnante di classe di ogni bambino. Anche se simili misure possono essere più sensibili a cambiamenti legati al trattamento e probabilmente hanno
una validità ecologica maggiore di strumenti pubblicati e con norme stabilite,
la loro affidabilità (ossia la stabilità nel tempo) deve essere chiarita prima di
valutare eventuali effetti dell’intervento. Occorre verificare se i miglioramenti
a breve termine nella performance scolastica portano, alla lunga, a un successo
249
DDAI a Scuola
formativo maggiore. Tuttavia, questi risultati indicherebbero una probabilità
elevata di ottenere simili risultati se il dosaggio iniziale dei farmaci viene stabilito dopo aver registrato dei miglioramenti nel funzionamento scolastico,
piuttosto che fare riferimento unicamente al controllo del comportamento,
come era stato fatto in passato (Rapport & Kelly, 1991).
Numerose ricerche di gruppi indipendenti hanno definito gli effetti del
MPH sulla traiettoria di acquisizione di competenze scolastiche. Precisamente, gli effetti dose-risposta risultano evidenti in misure basate sul curricolo
delle abilità di lettura e di aritmetica e danno risultati paralleli a altre misure
scolastiche (Roberts & Landau, 1995; Stoner, Carey, Ikeda & Shinn, 1994).
Tuttavia, questi risultati evidenziano solitamente una vasta gamma di risposte
individuali ai farmaci in questa area di funzionamento. Come discusso nel
Capitolo 2, le prove basate sul curricolo sono un mezzo efficiente e sensibile
per valutare gli effetti dell’intervento sulle abilità scolastiche. In quanto tale, si
consiglia un utilizzo sempre maggiore di queste misure sia nella pratica clinica
che nella ricerca.
Effetti sulle relazioni sociali
Il MPH migliora significativamente la qualità delle interazioni sociali fra i
bambini con DDAI, genitori, insegnanti e compagni. Per esempio, numerosi
studi hanno mostrato che gli stimolanti accrescono la compliance dei bambini
alle richieste dei genitori e degli insegnanti e accrescono la loro responsività
nelle interazioni con gli altri (per una rassegna, vedere DuPaul, Barkley &
Connor, 1998). Queste stesse indagini hanno riscontrato che i comportamenti negativi e non attinenti al compito subivano una riduzione in situazioni
di compliance, dando come risultato minori comandi da parte delle figure di
autorità e più attenzione positiva degli adulti al comportamento del bambino. Infatti, gli effetti degli stimolanti sull’aggressività manifesta e latente sono
quasi della stessa ampiezza degli effetti sui sintomi del DDAI (Connor et al.,
2002). Simili risultati sono stati ottenuti per le relazioni con i pari in bambini
con DDAI. Sotto trattamento con MPH, i bambini con DDAI sono meno
aggressivi, si comportano in maniera più appropriata e vengono maggiormente accettati dai loro compagni (Cunningham, Single & Offord, 1985; Gadow,
Nolan, Sverd, Sprafkin & Paolicelli, 1990; Hinshaw, 1991; Pelham & Hoza,
1987; Whalen et al., 1989). In maniera simile, il comportamento sociale di
adolescenti con DDAI migliora grazie al MPH, soprattutto con dosaggi bassi
(Smith et al., 1998). Gli effetti del MPH sui comportamenti prosociali di bam250
Trattamento farmacologico
bini con DDAI restano ambigui. Alcuni studi non hanno evidenziato cambiamenti nella frequenza di inizio di interazioni con altri (Hinshaw, Henker,
Whalen, Ehrhardt & Dunnington, 1989; Wallander, Schroeder, Michelli &
Gualtieri, 1987), mentre altri hanno riscontrato una riduzione di interazioni
positive con i pari (Buhrmeister, Whalen, Henker, MacDonald & Hinshaw,
1992). Al di là degli effetti diretti sul comportamento sociale, il MPH migliora
altre aree di funzionamento che possono influenzare indirettamente quello
sociale. Per esempio, un gruppo di bambini con DDAI era più attento durante
una partita di softball (ricordavano di più il punteggio) sotto trattamento con
MPH rispetto alla condizione placebo (Pelham et al., 1990).
Dosaggio e risposta individuale
Al di là dell’individuazione di specifici effetti comportamentali, i risultati
delle analisi empiriche sugli effetti degli stimolanti in bambini con DDAI hanno portato a diverse importanti conclusioni sulla proprietà generali di questi
farmaci. Primo, i cambiamenti causati dal MPH in specifici ambiti comportamentali variano in maniera sistematica in funzione del dosaggio, almeno a un
livello gruppale di analisi (Barkley, Anastopoulos, Guevremont & Fletcher,
1991; Pelham et al., 1985; Rapport & Denney, 2000; Rapport et al., 1985;
Sprague & Sleator, 1977). Per la maggior parte degli ambiti di funzionamento (cognitivo, sociale e di controllo del comportamento), questi effetti della
dose sono lineari: dosaggi più elevati causano i cambiamenti maggiori. Secondo, a un livello individuale di analisi, categorie differenti di comportamento
possono essere diversamente influenzate dal MPH anche allo stesso dosaggio
(Rapport & Denney, 2000; Sprague & Sleator, 1977). Per esempio, un determinato bambino può esibire i miglioramenti più consistenti nella performance
scolastica a dosaggi differenti da quelli “ottimali” per il controllo degli impulsi
o per l’attenzione sostenuta. Infine, anche se gli effetti risposta-dose lineari sono
stati rilevati con costanza a un livello gruppale di analisi, a livello individuale
i bambini differiscono considerevolmente nel cambiamento comportamentale
in funzione del dosaggio (Douglas et al., 1986; Pelham et al, 1985; Rapport
& Denney, 2000). Anche quando i bambini condividono caratteristiche simili
(per es., diagnosi, età e peso corporeo) ci può essere una variabilità considerevole nella risposta al dosaggio, probabilmente imputabile a differenze individuali
nel funzionamento del SNC (Rapport & Denney, 2000).
Per illustrare la natura idiosincratica degli effetti del MPH, la Figura 6.1
mostra i dati raccolti a scuola sulla risposta al dosaggio in tre bambini con
251
DDAI a Scuola
DDAI che partecipavano a uno studio condotto da Rapport, DuPaul e Kelley
(1989).
FIGURA 6.1. Curve di risposta al dosaggio in tre misure differenti per tre singoli
bambini con peso corporeo simile (M = 25 kg). La percentuale di comportamenti
attinenti al compito e i punteggi al AES sono tracciati sull’ordinata sinistra. Il
punteggio totale alla Abbreviated Conners Teacher Rating Scale (ACTRS) è tracciato sull’ordinata destra. Il miglioramento in tutti e tre i soggetti è indicato da
movimenti lungo l’asse verso l’alto. Tratta da Rapport, DuPaul e Kelley (1989).
Copyright 1989 di M. D. Rapport. Ristampata su gentile concessione.
Punteggi ACTRS
Percentuale di comportamenti
attinenti al compito e
punteggi AES
soggetto con risposta lineare
Punteggi ACTRS
Percentuale di comportamenti
attinenti al compito e
punteggi AES
soggetto con risposta quadratica
Punteggi ACTRS
Percentuale di comportamenti
attinenti al compito e
punteggi AES
soggetto con risposta soglia
Dose in mg e mg/kg
252
Trattamento farmacologico
Sono illustrati i cambiamenti comportamentali in tre misure: percentuale
di comportamenti attinenti al compito nel corso di lavoro autonomo; percentuale di lavoro completato correttamente (Academic Efficiency Score [AES],
Punteggio di Efficienza Accademica) e punteggi dell’insegnante alla Abbreviated Conners Teacher Rating Scale (ACTRS; Werry, Sprague & Cohen, 1975).
È stato utilizzato un disegno sperimentale a doppio cieco con gruppo di controllo con placebo in cui i bambini ricevevano, in sequenza casuale, quattro
dosi di MPH (5 mg, 10 mg, 15 mg e 20 mg) e un placebo. I bambini avevano
tutti quasi la stessa età e lo stesso peso corporeo, ma esibivano differenze piuttosto consistenti nella risposta al MPH. Per esempio, S-1 (Figura 6.1 in alto)
manifestava miglioramenti nell’attenzione e nel comportamento come diretta
conseguenza dell’aumento del dosaggio, con un picco a quello di 20 mg (effetti lineari risposta-dosaggio). Di contro, i miglioramenti nel comportamento e nella performance in classe di S-2 si ottenevano fino a 15 mg, dosaggio
associato al massimo effetto, ma diminuivano a 20 mg. Quest’ultima può
essere definita una “risposta quadratica” dal momento che si è verificato un
cambiamento nello slope della funzione risposta-dose. Infine, S-3 non manifestava cambiamenti scolastici o comportamentali fino alla “soglia terapeutica”
di 10 mg con piccoli incrementi all’aumentare della dose (ossia esisteva una
soglia di risposta). Pertanto, il profilo dose-risposta e la risposta “ottimale” alla
dose terapeutica differivano nei tre bambini.
Normalizzazione del funzionamento in classe
Anche se la significatività statistica degli effetti comportamentali del MPH
è stata dimostrata con una certa affidabilità, la significatività clinica dei cambiamenti nel comportamento in singoli bambini con DDAI è stata dimostrata con minore frequenza. Alcuni ricercatori hanno indicato che l’attenzione al compito (Loney, Weissenburger, Woolson & Lichty, 1979; Rapport,
Denney, DuPaul & Gardner, 1994; Whalen et al., 1978; Whalen, Henker,
Collins, Finck & Dotemoto, 1979) e i comportamenti aggressivi (Hinshaw et
al., 1989) dei bambini trattati con MPH erano statisticamente indistinguibili
da quelli dei coetanei sani. Abikoff e Gittelman (1985) hanno trovato che il
60% dei bambini trattati con MPH esibiva una “normalizzazione” del comportamento nello span di attenzione e nel controllo degli impulsi in classe.
Similmente, Pelham e colleghi (1993) hanno riscontrato che gli insegnanti
giudicavano le interazioni con i pari e con gli adulti “quasi come quelle dei
bambini normali” per circa il 60% dei bambini trattati con una dose di MPH
di .6 mg/kg .
253
DDAI a Scuola
Rapport e colleghi (1994) hanno indagato fino a che punto il MPH normalizzasse il comportamento in classe e il funzionamento scolastico di 76
bambini con DDAI confrontati con un normale gruppo di controllo di 25
bambini. I bambini con DDAI erano inseriti in un esperimento a doppio
cieco con un controllo con placebo in cui ricevevano quattro dosi di MPH (5,
10, 15 e 20 mg) e un placebo. Le misure per la valutazione dei risultati includevano punteggi degli insegnanti alla condotta sociale, osservazioni dirette in
classe dei comportamenti attinenti al compito e la percentuale di accuratezza
in compiti scolastici autonomi. Una percentuale fra il 53 e il 78% del campione otteneva punteggi normali di funzionamento ad uno o più dosaggi di
MPH a seconda della misura specifica utilizzata (vedere Figura 6.2).
FIGURA 6.2. Percentuali di 76 bambini con DDAI che mostravano assenza
di cambiamento, miglioramento clinico significativo e normalizzazione del comportamento a scuola in tre variabili scolastiche in funzione della dose di MPH e
del placebo. Tratta da Rapport, Donney, DuPaul e Gardner (1994). Copyright
1994 dell’Accademia Americana di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
Ristampata su gentile concessione.
254
Trattamento farmacologico
In particolare, i miglioramenti e la normalizzazione più consistenti si verificavano nei punteggi dell’insegnante sul controllo del comportamento e poi
nelle osservazioni dirette dell’attenzione al compito e dell’efficienza scolastica. Il 47% circa del campione non manifestava miglioramenti nell’efficienza
scolastica. Anche se questi risultati forniscono ulteriori prove degli effetti terapeutici forti dei farmaci stimolanti, per molti bambini con DDAI, sono necessari altri interventi concomitanti (che affrontino soprattutto la performance
scolastica); anche per quelli il cui comportamento si normalizza in funzione
della somministrazione di MPH.
Combinazione fra i farmaci e la terapia comportamentale
I due interventi più comuni per il DDAI sono i farmaci stimolanti e le
strategie di modificazione del comportamento (Barkley, 1998). L’indagine più
completa e più su vasta scala condotta su questi due trattamenti è lo studio
sul Trattamento Multimodale del DDAI (MTA) condotto in diverse zone
del Nord America (MTA Cooperative Group, 1999). Un campione di 579
bambini con DDAI, fra i 7 e i 10 anni, è stato assegnato casualmente a uno
dei quattro gruppi sperimentali. Il primo gruppo riceveva un trattamento con
farmaci stimolanti, accreditati attraverso esperimenti controllati e multimodali che rappresentavano lo stato dell’arte del trattamento farmacologico; il
secondo gruppo riceveva invece interventi comportamentali multipli a casa,
a scuola e in un campus estivo. Le componenti scolastiche di questo secondo
gruppo includevano: (1) consulenza costante agli insegnanti sugli interventi
comportamentali e (2) un lavoro parascolastico con lo studente con DDAI
per mezza giornata, tutti i giorni, per 12 settimane nel corso dell’anno. Questo lavoro parascolastico applicava interventi comportamentali tipo il token
reinforcement in seguito a comportamenti appropriati in classe. Il terzo gruppo riceveva farmaci stimolanti accreditati e un intervento comportamentale
completo. Infine, il quarto gruppo di partecipanti riceveva un trattamento dai
servizi disponibili sul territorio (gruppo di controllo). Circa il 67% dei partecipanti a quest’ultimo gruppo riceveva un trattamento con stimolanti accreditati attraverso procedure meno controllate e più comuni rispetto a quelle utilizzate dal gruppo MTA. Sono stati raccolti dati in ambiti di funzionamento
differenti in tre momenti distinti nel tempo: durante e immediatamente dopo
la conclusione dei 14 mesi di trattamento.
I partecipanti ai quattro gruppi esibivano tutti riduzioni significative nella
sintomatologia del DDAI durante e dopo il trattamento. Le riduzioni dei
255
DDAI a Scuola
sintomi erano più significative per i gruppi assegnati alle condizioni di trattamento farmacologico isolato e di trattamento combinato rispetto ai gruppi
assegnati alla terapia comportamentale isolata o all’intervento erogato dai servizi disponibili sul territorio. Anche se i farmaci stimolanti accreditati davano
esiti chiaramente superiori a quelli del trattamento unimodale, analisi più
approfondite hanno fatto luce sul contributo degli interventi comportamentali. Nello specifico, il miglioramento maggiore, soprattutto per le difficoltà
associate al DDAI (quali il comportamento oppositivo, problemi nella performance sociale) si verificava nei bambini sottoposti al trattamento combinato
(Conners et al., 2001; Swanson et al., 2001). I bambini assegnati al gruppo
di trattamento combinato avevano bisogno di dosaggi farmaceutici medi più
bassi rispetto al gruppo assegnato alla condizione di trattamento farmacologico con stimolanti. Utilizzando una definizione piuttosto conservativa di
“successo” in seguito al trattamento, Swanson e colleghi (2001) hanno riscontrato che nel 68% dei bambini assegnati al gruppo combinato il trattamento
aveva avuto “successo” rispetto al 56%, al 34% e al 25% rispettivamente dei
gruppi solo trattamento farmacologico, solo trattamento comportamentale
e trattamento dei servizi territoriali. Anche se la grandezza degli effetti che
separa il gruppo solo trattamento comportamentale da quello del trattamento
dei servizi è piccola (Conners et al., 2001), è importante evidenziare che la
maggior parte dei partecipanti al gruppo di trattamento erogato dai servizi territoriali riceveva anche un trattamento farmacologico tipico. Pertanto,
un programma comportamentale intensivo sembra essere equivalente al trattamento farmacologico standard. Data la ricchezza dei risultati dello studio
MTA, due riviste (Journal of Abnormal Child Psychology, 28 (6), 2000; Journal
of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 40(2), 2001) hanno
pubblicato articoli speciali, per illustrare gli esiti di questa ricerca, che dovrebbero interessare particolarmente i professionisti della salute mentale e quelli
che lavorano a scuola.
Dati i risultati dello studio MTA e quelli di analisi precedenti meno complete, la combinazione del trattamento con stimolanti e di interventi comportamentali è a oggi considerato l’approccio “ottimale” alla terapia di molti bambini con DDAI (Barkley, 1998). Ognuno dei due trattamenti, preso
isolatamente, presenta difetti importanti: la limitazione degli effetti solo al
periodo in cui l’intervento è “attivo”, l’inefficacia riscontrata in una minoranza di bambini con DDAI e l’assenza di documentazioni sugli effetti a lungo
termine (Hoza, Pelham, Smas & Carlson, 1992; Pelham & Murphy, 1986).
256
Trattamento farmacologico
La combinazione dei trattamenti farmacologico e comportamentale può, invece, minimizzare i limiti di ciascuno massimizzando le possibilità di ottenere
cambiamenti clinicamente significativi (Pelham & Murphy, 1986).
Esperimenti su singoli soggetti hanno mostrato che il “dosaggio” è una
variabile importante per stabilire la risposta individuale dei bambini con
DDAI alla combinazione fra intervento comportamentale e farmacologico
(Abramowitz, Eckstrand, O’Leary & Dulcan, 1992; Hoza et al., 1992). Per
esempio, Abramowitz e colleghi (1992) hanno valutato i cambiamenti nei
comportamenti non attinenti al compito in classe su tre bambini con DDAI
in funzione di diverse dosi di MPH (placebo, .3 mg/kg, .6 mg/kg) associate
a rimproveri immediati o differiti dell’insegnante. I risultati, mostrati nella
Figura 6.3, indicano che la risposta alla combinazione dei trattamenti variava
nei singoli bambini.
Steven aveva risposto meglio all’associazione fra un basso dosaggio di MPH
e un basso “dosaggio” di terapia comportamentale (rimproveri differiti), come
mostrato dalla parte alta della Figura 6.3. Tony invece mostrava una risposta ottimale a dosi elevate di MPH associate indifferentemente a rimproveri
immediati o differiti (vedere il grafico nella parte centrale della Figura 6.3).
Infine, Kevin manifestava una percentuale minima di comportamenti non
attinenti al compito a bassi “dosaggi” di intervento comportamentale (rimproveri differiti) associati indifferentemente a dosi elevate o basse di MPH
(vedere il grafico in basso della Figura 6.3).
I risultati di indagini come quella appena presentata e di altre ricerche simili indicano che alcuni bambini hanno bisogno di “dosaggi” bassi di modificazione comportamentale (per es., schede di report giornaliere a casa) associati
a dosi basse di MPH, mentre i sintomi del DDAI di un altro bambino potrebbero essere così gravi da richiedere una dose elevata di MPH e una elevata
di tecniche di modificazione comportamentale (per es., l’applicazione di un
sistema response cost in classe). Inoltre, l’utilizzo di un trattamento potrebbe
generare aggiustamenti nel dosaggio dell’altro.
Per esempio, l’applicazione di un sistema di modificazione comportamentale potrebbe consentire una riduzione nella quantità di farmaco necessaria.
L’accreditamento dell’efficacia di ciascun intervento deve essere condotto su
base individuale, dal momento che la risposta alla combinazione di trattamenti varia in funzione di fattori organismici (per es., la gravità dei comportamenti associati al DDAI) e ambientali (per es., collocazione in classe)
(Pelham, 1989).
257
DDAI a Scuola
FIGURA 6.3. Percentuali di comportamenti non attinenti al compito in tre
bambini trattati con metilfenidato e richiami verbali. D, rimproveri differiti; I,
rimproveri immediati; Pl, placebo; Lo, 0.3 mg/kg MPH; Hi, 0.6 mg/kg MPH.
Tratta da Abramowitz, Eckstrand, O’Leary e Dulcan (1992). Copyright 1992
della Sage Publications, Inc. Ristampata su gentile concessione.
Percentuale di comportamenti
non attinenti al compito
Steven
Giorni
Percentuale di comportamenti
non attinenti al compito
TONY
Giorni
Percentuale di comportamenti
non attinenti al compito
KEVIN
Giorni
258
Trattamento farmacologico
POSSIBILI EFFETTI COLLATERALI DEGLI STIMOLANTI
DEL SNC
Gli effetti collaterali, del MPH e di altri stimolanti, più acuti e più frequentemente riferiti, sono la riduzione dell’appetito (soprattutto a pranzo) e l’insonnia (Associazione Americana di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza
[AACAP], 2002). Sembra che gli stimolanti influenzino la fase dell’addormentamento, ritardando la comparsa del sonno, piuttosto che dare luogo a un
sonno disturbato di per sé (Stein & Pao, 2000). Altri effetti collaterali emersi
in letteratura sono: maggiore irritabilità, mal di testa, mal di stomaco e, in rari
casi, tic motori e/o vocali (AACAP, 2002). Numerosi studi hanno chiarito la
percentuale di casi che manifesta determinati effetti collaterali in funzione di
certi dosi di MPH (per una rassegna, vedere Rapport & Moffitt, 2002). Per
esempio, Barkley, McMurray, Edelbrock e Robbins (1990) hanno esaminato
la prevalenza di effetti collaterali, riferiti da insegnanti e genitori, per due dosi
(0.3 mg/kg e 0.5 mg/kg) di MPH in un campione numeroso di bambini con
DDAI. I ricercatori hanno riscontrato che il 50% del campione mostrava
una diminuzione nell’appetito, insonnia, ansia, irritabilità o propensione al
pianto con entrambe le dosi di MPH. Bisogna sottolineare che molti di questi
apparenti effetti collaterali (soprattutto quelli relativi all’umore) erano presenti anche nella condizione placebo e che quindi potrebbero rappresentare
caratteristiche associate al disturbo più che al trattamento. Il mal di stomaco
e il mal di testa venivano riferiti da circa il 33% dei partecipanti. La gravità
di questi effetti collaterali era media nella maggior parte dei casi, aumentava
in funzione del dosaggio e non portava necessariamente a un’interruzione nel
trattamento. Inoltre, sembra che la frequenza e la gravità di possibili effetti
collaterali debba essere verificata in condizioni di non-trattamento o di pretrattamento per stabilire se questi siano veramente ascrivibili ai farmaci.
Le percezioni della presenza e gravità degli effetti collaterali possono variare fra i genitori, gli insegnanti e gli studenti. DuPaul, Anastopoulos, Kwasnik, Barkley & McMurray (1996) hanno raccolto valutazioni sugli effetti
collaterali in un campione di genitori, insegnanti e adolescenti all’interno di
un esperimento su dosaggi multipli di MPH. Anche se le valutazioni degli
insegnanti sulla gravità degli effetti collaterali non variavano sistematicamente
dalla condizione placebo a quelle di somministrazione del farmaco, i genitori
riferivano una maggiore gravità nella condizione placebo. Gli adolescenti invece riferivano una maggiore gravità degli effetti collaterali nelle due condizioni
di massimo dosaggio. Gli effetti collaterali devono pertanto essere considerati
259
DDAI a Scuola
dal punto di vista di colui che li sperimenta direttamente. Per ottenere prospettive differenti sul fenomeno si dovrebbero prendere in considerazione le risposte di più persone. Nella nostra esperienza, i genitori riferiscono al meglio
gli effetti collaterali più comuni come la perdita di appetito e l’insonnia. Gli
insegnanti possono fornire informazioni su possibili comportamenti di iperconcentrazione, soprattutto durante il lavoro in classe. Infine, i bambini stessi
possono essere i migliori referenti per la presenza di effetti collaterali costituiti
da sintomi interiorizzati (per es., ansia) e sono probabilmente più sensibili alla
gravità complessiva di questi effetti.
Altre possibili conseguenze che dovrebbero essere monitorate sono un possibile “ritorno comportamentale” nel tardo pomeriggio e la comparsa o l’esasperazione di tic motori e vocali (AACAP, 2002). Il fenomeno di “ritorno comportamentale” viene di solito descritto come un peggioramento della condotta
(che supera quello della baseline o delle condizioni placebo) che si verifica nel
tardo pomeriggio o nella sera dopo la somministrazione del farmaco durante
il giorno (Johnston, Pelham, Hoza & Sturges, 1987). Alcuni studi che hanno
indagato questo fenomeno hanno riscontrato che si verifica nel 33% dei bambini trattati con MPH e che la gravità del “ritorno” varia considerevolmente
nei giorni per ogni singolo bambino (Johnston et al. 1987). Inoltre, la somministrazione di una piccola dose di MPH nel tardo pomeriggio può ridurre la
gravità degli effetti del “ritorno” (DuPaul, Barkley & Conner, 1998).
Fino a che punto gli stimolanti provochino nei bambini tic motori e sintomi della sindrome di Tourette resta ancora da chiarire. Alcuni studi precedenti
indicavano che una piccola minoranza di bambini poteva sviluppare tic in
seguito al trattamento con stimolanti e che la frequenza e la gravità di questi
tic non diminuiva in seguito alla sospensione del trattamento (Bremnes &
Sverd, 1979). Ricerche più recenti hanno invece indicato che la maggior parte dei bambini che ha un DDAI e tic risponde positivamente al trattamento
con stimolanti, sia in termini di controllo del comportamento sia in termini
di riduzione dei tic (Castellanos et al., 1997; Gadow, Sverd, Sprafkin, Nolan
& Ezor, 1995). Una minoranza di bambini può manifestare un’esasperazione
dei tic, cosa che implica pertanto un’attenzione maggiore nella prescrizione
di stimolanti a bambini che presentano tic e DDAI. Tuttavia, con un attento
monitoraggio, questa categoria di farmaci potrebbe essere adatta a bambini
con DDAI che hanno anche una storia familiare di tic.
Alcune osservazioni cliniche hanno documentato un aumento di comportamenti di “iperconcentrazione” in alcuni bambini con DDAI trattati con
260
Trattamento farmacologico
MPH (Solanto, 1984). Questa costrizione del funzionamento cognitivo risulta evidente da molti atteggiamenti quali, per esempio, l’insistenza su un
compito per un lasso di tempo esageratamente lungo; il disinteresse verso
stimoli periferici rilevanti o l’incapacità di spostare l’attenzione cognitiva in
funzione di cambiamenti situazionali (Solanto & Wender, 1989). Le indagini
empiriche non sono riuscite a documentare l’occorrenza di questo fenomeno
a un livello gruppale di analisi. Tuttavia, almeno uno studio ha individuato
un sottogruppo di bambini con DDAI che mostrava atteggiamenti di iperconcentrazione in funzione della somministrazione di MPH (Solanto, 2000).
Questo sottogruppo può includere bambini meno iperattivi e che hanno,
nella baseline, punteggi migliori ai test cognitivi rispetto ad altri bambini
con DDAI. Similmente, Rapport e colleghi (1994) hanno riscontrato che
il 47% di un campione numeroso di bambini trattati con MPH non esibiva
miglioramenti nell’efficienza scolastica con nessuna dose. Presumibilmente,
la performance scolastica di alcuni di questi bambini era compromessa dal
comportamento di iperconcentrazione ascrivibile al MPH, anche se non era
stata effettuata nessuna misurazione diretta di questo atteggiamento. Questi risultati contribuiscono a motivare sempre più la necessità di una verifica
individualizzata della performance scolastica e cognitiva a differenti dosaggi,
quando si deve valutare la risposta a farmaci psicotropi. Rapport e Denney
(2000) raccomandano infatti di accreditare la dose dello stimolante in base al
riscontro di miglioramenti nell’efficienza scolastica piuttosto che sul controllo
del comportamento. Questa argomentazione è rinforzata dal fatto che quando il metilfenidato induce miglioramenti nella performance scolastica, anche
il controllo del comportamento tende a migliorare; mentre il contrario accade
molto di rado.
L’unico effetto collaterale a lungo termine ben documentato dei farmaci
stimolanti è il blocco della crescita in altezza e in peso corporeo. Le ricerche
che hanno esaminato questo fenomeno hanno indicato che la probabilità di
un blocco della crescita, a dosaggi elevati, è maggiore per la d-amfetamina
rispetto al MPH, ed è più elevata nel primo anno di trattamento (vedere
AACAP, 2002). Sembra che, successivamente, si verifichi una ripresa della
crescita in seguito alla sospensione del trattamento o all’abituazione agli effetti, con una sottile ma apprezzabile alterazione dell’altezza e del peso in età
adulta (Greenhill, 1984; Reeve & Garfinkel, 1991). Altri possibili effetti collaterali a lungo termine che erano stati ipotizzati soprattutto dai mass media
includono la dipendenza da sostanze, bassa autostima, depressione o altre dif261
DDAI a Scuola
ficoltà emotive. Queste affermazioni non hanno basi empiriche nella letteratura e non dovrebbero essere considerate come rischi ascrivibili al trattamento
farmacologico. Per esempio, Biederman, Wilens, Mick, Spencer e Faraone
(1999) hanno riscontrato che i bambini trattati con stimolanti avevano meno
probabilità, da adolescenti, di abusare di sostanze illecite rispetto ai bambini
non trattati.
QUANDO SUGGERIRE UNA PROVA FARMACOLOGICA
Gli psicologi scolastici e altri professionisti nell’ambito dell’educazione
sono in una posizione ideale per sostenere quale sia il trattamento appropriato per un bambino con DDAI, data la loro opportunità di osservare il
funzionamento dello studente in un contesto in cui si verificano tipicamente
le più gravi difficoltà di attenzione, iperattività e impulsività (ossia la scuola).
La decisione di dare inizio a una prova farmacologica non dovrebbe essere una
conseguenza automatica di una diagnosi di DDAI e deve ovviamente essere
presa insieme ad altre figure importanti quali il medico di base e i genitori del
bambino. Prima di prendere questa decisione, si dovrebbero condurre analisi
complete, a livello fisico e psicologico, per definire la presenza e la gravità dei
sintomi del DDAI (vedere il Capitolo 2), come anche per identificare tutti i
fattori (per es., salute del cuore) che potrebbero compromettere l’utilizzo di
farmaci stimolanti. In accordo con il medico di base del bambino, lo psicologo dovrebbe tenere in considerazione i seguenti punti (tratti da DuPaul,
Barkley & Conner, 1998) prima di suggerire una prova farmacologica:
1. Gravità dei sintomi del DDAI e dei comportamenti disfunzionali del bambino. Come è prevedibile, maggiore è la gravità delle difficoltà di attenzione e
controllo del comportamento, maggiore sarà la necessità di un trattamento
farmacologico che integri altri approcci di intervento (per es., programmi
di modificazione del comportamento).
2. Applicazione precedente di altri trattamenti. Se non sono già stati applicati
altri interventi (per es., programmi di gestione del comportamento in classe, parent training), la prova farmaceutica può essere rinviata, soprattutto
se la gravità dei sintomi del DDAI è moderata. Se sono già in corso altre
forme di trattamento, bisognerebbe prima valutarne gli esiti e verificare se
esiste un margine di miglioramento (Power et al., 2003). Si devono considerare diverse problematiche: (a) i sintomi del disturbo sono migliorati
in funzione dell’intervento applicato?; (b) il miglioramento è considerato
262
Trattamento farmacologico
sufficiente dagli individui chiave della vita del bambino?; (c) ci sono effetti
collaterali negativi che possono suggerire una sospensione o la modifica degli attuali interventi?; (d) quali sono gli effetti dei trattamenti attuali sulle
principali aree di funzionamento? E (e) quale è la probabilità che, aggiungendo i farmaci stimolanti, il trattamento porti a miglioramenti ulteriori,
clinicamente significativi? Se gli altri interventi hanno avuto un successo
limitato, si può considerare di integrarli con i farmaci.
3.Il supporto empirico al trattamento farmacologico. Bisognerebbe scegliere
il farmaco da utilizzare in parte su ricerche empiriche precedenti. Come
discusso in questo capitolo, gli stimolanti del SNC godono da tempo di
prove di efficacia nel trattamento di questo disturbo. Tuttavia, in pratica, si
possono utilizzare altri farmaci, da soli o combinati con gli stimolanti, nonostante una scarsa letteratura di ricerca sostenga questo approccio (Brown
& Sammons, 2002).
4. Atteggiamento genitoriale verso il trattamento farmacologico. Ai genitori che
sono fortemente “contrari all’uso dei farmaci” bisognerebbe fornire l’opportunità di valutare i vantaggi e gli svantaggi della farmacoterapia. In particolare, dovrebbero poter leggere la letteratura che descrive con chiarezza
gli effetti dei farmaci sul comportamento, gli effetti collaterali e le metodologie per monitorare il trattamento (vedere Barkley, 2000). Non dovrebbero
comunque essere costretti a fare ricorso ai farmaci, dato che, in questi casi, è
maggiore la probabilità di una bassa compliance al trattamento.
5. Adeguatezza della supervisione degli adulti. I genitori devono essere in grado
di supervisionare adeguatamente la somministrazione del farmaco e guardarsi da eventuali abusi. Inoltre, tutti gli adulti coinvolti nel piano di intervento del bambino (ossia medici, insegnanti, psicologi, genitori) devono
spendere con costanza un po’ del loro tempo per determinare l’efficacia a
breve e lungo termine del trattamento farmaceutico applicato.
6. L’atteggiamento del bambino verso i farmaci. È importante discutere con il
bambino l’utilizzo dei farmaci e spiegargli con chiarezza le motivazioni a
esso sottese, soprattutto nel caso di bambini più grandi e di adolescenti.
I bambini che si mostrano restii o sono “contrari ai farmaci”, potrebbero
sabotare la terapia (per es., rifiutarsi di ingoiare la pillola).
Indipendentemente dal fatto che i farmaci vengano o meno utilizzati e che
abbiano successo, lo psicologo scolastico è in una posizione privilegiata per
mettere in atto trattamenti aggiuntivi per il bambino con DDAI. È obbligato263
DDAI a Scuola
rio utilizzare altre forme di intervento (per es., strategie scolastiche e comportamentali) prima di o in aggiunta ai farmaci per ottimizzare il funzionamento in
classe del bambino (Barkley, 1998). Infatti, come precedentemente detto, l’utilizzo contemporaneo di strategie comportamentali e di farmaci stimolanti può
potenziare gli effetti comportamentali, soprattutto nell’ambito dell’aggressività
e delle relazioni interpersonali, minimizzando così la dose dei farmaci e/o l’intensità delle terapie applicate (Abramowitz et al., 1992; Hoza et al., 1992).
COME VALUTARE IN CLASSE GLI EFFETTI DEI FARMACI
Le tecniche utilizzate per monitorare la risposta ai farmaci in bambini con
DDAI variano enormemente per contenuto e qualità. I risultati dello studio
MTA (MTA Cooperative Group, 1999) indicano con forza che controlli
multipli attraverso misure oggettive della risposta ai farmaci sono la strategia
ottimale per accreditare un determinato dosaggio. Sfortunatamente, e troppo frequentemente, la verifica della dose e la valutazione dell’efficacia a lungo
termine si basano unicamente sui report soggettivi dei genitori, aumentando così la probabilità di prendere decisioni sbagliate (DuPaul, Barkley &
Connor, 1998). I professionisti che lavorano a scuola possono decisamente
influenzare questa prassi comunicando ai medici i cambiamenti nella performance scolastica dei bambini che sono ascrivibili al trattamento farmaceutico. Infatti, alcune linee guida recenti pubblicate dall’Accademia Americana
di Pediatria (2002) pongono l’enfasi (1) sull’utilizzo di misure multiple per
valutare gli esiti, (2) sull’inclusione del personale scolastico nella raccolta di
informazioni sulla risposta al trattamento farmacologico e (3) sulla necessità
di effettuare un monitoraggio costante attraverso una comunicazione scuolafamiglia.
Dal momento che la risposta ai farmaci stimolanti è spesso idiosincratica
e specifica in funzione della dose, è obbligatorio raccogliere dati comportamentali oggettivi a dosi differenti, includendo un periodo di sospensione del
trattamento. In circostanze ideali, la dose ottimale per un bambino dovrebbe
essere stabilita all’interno di un paradigma sperimentale a doppio cieco, con
condizione di controllo con placebo, che comprenda misure multiple raccolte
in contesti differenti (per es., a casa e a scuola). Questo tipo di valutazione
non solo prevede la raccolta di dati oggettivi e quantitativi sulla risposta del
bambino al trattamento, ma permette anche di verificare eventuali distorsioni proprie di alcune misure specifiche (per es., i punteggi assegnati dagli
insegnanti e dai genitori alle scale di valutazione). Discuteremo in seguito
264
Trattamento farmacologico
ulteriori dettagli relativi alla pianificazione di questo sistema di verifica; dettagli che comunque sono trattati con completezza in numerosi testi recenti
sulla psicofarmacologia pediatrica (Brown & Sawyer, 1998; Phelps, Brown &
Power, 2001; Werry & Aman, 1999).
In molti casi, i professionisti non hanno le risorse e il tempo per condurre
sul trattamento farmacologico applicato verifiche eleganti e controllate con
placebo. Ciò non di meno, gli psicologi scolastici e i medici di base possono,
insieme, raccogliere dati oggettivi, efficaci in termini di costi-benefici, che
possono essere di grande aiuto nel prendere le decisioni sui farmaci. Questo
processo implica numerosi passaggi:
1. la progettazione di una somministrazione progressiva, in cui il bambino
viene sottoposto, settimana per settimana, alla somministrazione di dosi
multiple, (inclusa una baseline o una condizione di non-trattamento);
2. la raccolta di dati derivati da misure oggettive della risposta al trattamento
per tutti i dosaggi somministrati;
3. la raccolta delle impressioni dei genitori, degli insegnanti e del bambino
stesso sui possibili effetti collaterali a dosi differenti (inclusa la condizione
di non-trattamento);
4. la comunicazione fra il medico e lo psicologo nel corso di e in seguito alla
prova farmacologica per stabilire se il bambino ha risposto positivamente;
quale sia la dose in grado di ottimizzare la performance e se la gravità di
possibili effetti collaterali necessita una sospensione della prova. Quando
possibile, gli adulti che valutano direttamente i cambiamenti nella performance del bambino (per es., gli insegnanti) non dovrebbero essere a
conoscenza delle condizioni di somministrazione del farmaco. Si potrebbe,
per esempio, continuare a inviare il bambino in infermeria per la somministrazione dell’ora di pranzo (somministrandogli una vitamina al posto del
MPH), anche nella fase di non-trattamento mantenendo così all’oscuro
l’insegnante sulla fase applicata in quel momento. L’uso sempre più diffuso
di stimolanti a rilascio prolungato ha facilitato enormemente la possibilità
di tenere gli insegnanti e il personale scolastico all’oscuro della dose somministrata.
Anche se l’insegnante non è al corrente della fase di trattamento in corso, è
importante fornirgli alcune informazioni sugli effetti positivi e su quelli collaterali solitamente imputabili agli stimolanti. Una guida per gli insegnanti è fornita nell’Appendice 6.1. Queste informazioni aiuteranno l’insegnante a focalizzarsi su quei cambiamenti comportamentali rilevanti ai fini del trattamento.
265
DDAI a Scuola
Misure della risposta al farmaco
Per valutare il cambiamento ascrivibile al trattamento, bisognerebbe raccogliere dati derivanti da numerose misure in differenti condizioni di somministrazione, incluse le valutazioni dei genitori e degli insegnanti sul controllo
del comportamento e sugli effetti collaterali, come anche osservazioni dirette
del comportamento in classe e della performance scolastica. Per i bambini con
DDAI del tipo con disattenzione predominante saranno sufficienti misure
dello span di attenzione e della produttività scolastica, dal momento che questi bambini non manifestano di solito difficoltà significative nel controllo del
comportamento (Carlson & Mann, 2000). Nella Tabella 6.2 sono elencate le
componenti principali, di seguito brevemente illustrate, di una prova farmacologica in contesto scolastico.
Scale di Valutazione per Insegnanti
Numerose scale di valutazione per insegnanti si sono rivelate utili per valutare gli effetti del trattamento farmacologico, incluse la Conners Teacher Rating Scale (Conners, 1997), la ADD-H Comprehensive Teacher Rating Scale
(Ullmann et al., 1985) e la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998). L’utilizzo di uno di questi questionari può fornire
una misura delle riduzioni nella frequenza e/o nella gravità delle difficoltà nel
controllo del comportamento che, a parere dell’insegnante, sono imputabili
al trattamento. Queste scale brevi sono da preferire a misure più complete
e ad ampio spettro (per es., la Child Behavior Checklist) dal momento che
forniscono informazioni più circoscritte sulla risposta al farmaco e che sono
più pratiche da compilare ripetutamente. Misure come lo School Situation
Questionnaire (Barkley, 1990) e lo School Situations Questionnaire-Revised
(DuPaul & Barkley, 1992) possono essere incluse per verificare i cambiamenti
nella pervasività dei problemi comportamentali e delle difficoltà di attenzione
in differenti situazioni.
I cambiamenti indotti dal trattamento nella produttività e nell’accuratezza
scolastica possono, in parte, essere valutati utilizzando la Academic Performance Rating Scale (DuPaul, Rapport & Perriello, 1991). Tutti questi questionari
possiedono livelli adeguati di affidabilità e validità. Tuttavia, si raccomanda
che i questionari per l’insegnante vengano somministrati due volte nella condizione di baseline, per definire i possibili effetti “di esercizio” spesso frequenti
nell’utilizzo di queste misure (Barkley, 1998).
266
Trattamento farmacologico
TABELLA 6.2. Misure per la valutazione della risposta ai farmaci
1. Scale di valutazione per insegnanti
a.
b.
c.
d.
Conners Teacher Rating Scale (Conners, 1997)
ADD-H Comprehensive Teacher Rating Scale (Ullmann et al., 1985)
ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998)
School Situation Questionnaire (Barkley, 1990) o School Situations QuestionnaireRevised (DuPaul & Barkley, 1992)
e. Academic Performance Rating Scale (DuPaul et al., 1991)
f. Side Effects Rating Scale (Barkley, 1990)
2. Scale di valutazione per genitori
a. Conners Parents Rating Scale (Conners, 1997)
b. ADHD Rating Scale-IV (DuPaul, Power, Anastopoulos & Reid, 1998)
c. Home Situation Questionnaire (Barkley, 1990) e/o Home Situations Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley, 1992)
d. Side Effects Rating Scale (Barkley, 1990)
3. Osservazioni dirette della performance scolastica
a.
b.
c.
d.
e.
Classroom Observation Code (Abikoff et al. 1977)
ADHD Behavior Coding System (Barkley et al. 1988)
Behavior Observation for Student in Schools (Shapiro, 1996)
On-Task Behavior Code (Rapport & Denney, 2000)
ADHD School Observation Code (Gadow et al., 1996)
4. Misure della performance scolastica
a. Percentuale di compiti assegnati completati correttamente
b. Verifiche basate sul curricolo
5. Scale di self-report
a. Conners-Wells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 2000)
267
DDAI a Scuola
Scale di valutazione per genitori
Anche una serie di questionari per genitori si sono rivelati sensibili agli
effetti dei farmaci stimolanti su questa popolazione e questi sono: la Conners
Parents Rating Scale (Conners, 1997) e la ADHD Rating Scale-IV (DuPaul,
Power, Anastopoulos & Reid, 1998). Lo Home Situation Questionnaire (Barkley, 1990) e/o lo Home Situations Questionnaire-Revised (DuPaul & Barkley,
1992) possono essere rispettivamente utilizzati per valutare la pervasività delle
difficoltà comportamentali e di attenzione. Come nel caso dei questionari
per insegnanti, tutti questi strumenti hanno dimostrato affidabilità e validità
nella valutazione degli effetti del trattamento (Barkley, 1998). Dato che le sostanze stimolanti danno tipicamente effetti comportamentali a breve termine,
è possibile che i genitori abbiano meno opportunità di osservare direttamente
i cambiamenti indotti dai farmaci nei sintomi del DDAI. Pertanto, i punteggi
degli insegnanti possono fornire una misura degli esiti del trattamento più
sensibile di quella data dai genitori.
Osservazioni dirette della performance scolastica
I professionisti che lavorano a scuola sono in una posizione unica rispetto
ad altri professionisti della salute mentale perché hanno l’opportunità di osservare i bambini in uno dei loro ambienti naturali più importanti. Pertanto,
i questionari compilati dai genitori e dagli insegnanti possono essere integrati
con le osservazioni comportamentali che presumibilmente non dovrebbero
essere soggette alle distorsioni associate spesso alle scale di valutazione. Sono
stati sviluppati diversi sistemi di codifica per l’osservazione del comportamento di studenti con DDAI (vedere il Capitolo 2) che includono: lo ADHD
Behavior Coding System (Barkley et al. 1998; Barkley et al., 1988), lo Hyperactive Behavior Code (Jacob et al., 1978), il Classroom Observation Code (Abikoff
et al. 1977), il Behavior Observation for Student in Schools (BOSS; Shapiro,
1996) e lo ADHD School Observation Code (ADHD SOC; Gadow et al.,
1996). L’uso di questi sistemi di codifica può fornire informazioni importanti
sulla frequenza (di solito espressa in forma di percentuali) di occorrenza di
alcuni comportamenti (per es., comportamenti attinenti al compito, irrequietezza) nel corso del periodo di osservazione. Un’alternativa ai sistemi di codifica sopra menzionati è rappresentata dalla semplice registrazione dei comportamenti attinenti vs. quelli non attinenti al compito (per es., attenzione
268
Trattamento farmacologico
visiva ai materiali del compito) che si è mostrata piuttosto sensibile agli effetti
delle diverse dosi di MPH (vedere Rapport & Denney, 2000). Quest’ultima
richiede veramente poco addestramento e da, di solito, adeguati livelli di affidabilità interosservatore.
Si dovrebbero indagare anche gli effetti dei farmaci sulle interazioni sociali
dei bambini. A questo scopo sono stati sviluppati numerosi sistemi di codifica
e sono stati adattati per la valutazione degli effetti del trattamento farmacologico (vedere, per es., Pelham & Milich, 1991). Per esempio, osservazioni
dirette del comportamento sociale utilizzando lo ADHD SOC potrebbero
essere condotte in contesti relativamente poco strutturati quali la mensa scolastica o il cortile. Una variazione di questo sistema di codifica si è rivelata sensibile agli effetti del trattamento farmacologico (vedere Gadow et al., 1990)
e permette di documentare cambiamenti nei comportamenti aggressivi (per
es., aggressività fisica) e prosociali (per es., interazioni sociali appropriate) in
funzione del trattamento.
Misure della performance scolastica
In concomitanza con le osservazioni comportamentali, si dovrebbero raccogliere misure della performance scolastica del bambino. Per esempio, alla
fine della sessione osservativa, si potrebbero calcolare le percentuali di lavoro
completato, rispetto al totale assegnatogli, e quelle di accuratezza. Tali dati
sono altamente sensibili agli effetti di dosi differenti di MPH e possono indicare se si sta verificando un “decremento nella prestazione cognitiva” o un
fenomeno di “iperconcentrazione” dovuti al farmaco (Rapport & Denney,
2000). Nell’ultimo caso, il bambino potrebbe manifestare miglioramenti nel
comportamento ma una riduzione nella produttività scolastica e/o nell’accuratezza. Per queste misure bisognerebbe inoltre valutare la stabilità della
baseline e l’affidabilità interosservatore. Anche le tecniche valutative basate
sul curricolo (Shinn, 1998) sono potenzialmente appropriate per verificare
i cambiamenti indotti dal farmaco in questo ambito di funzionamento. Si
possono raccogliere i risultati conseguiti in diverse prove basate sul curricolo ad ogni dosaggio del farmaco per stabilire gli effetti del trattamento sulla
traiettoria d’acquisizione delle competenze (Roberts & Landau, 1995; Stoner
et al., 1994). Si raccomanda fortemente di raccogliere almeno 10 punteggi
a dosaggio per permettere una stima più affidabile di eventuali inversioni di
tendenza nei test basati sul curricolo (Shinn, 1998).
269
DDAI a Scuola
Punteggi di self-report
In caso di bambini più grandi (ossia con più di 9 anni) e di adolescenti, potrebbe essere utile ottenere misure di self-report dei cambiamenti ascrivibili ai
farmaci, negli ambiti di controllo del comportamento, della performance scolastica e dell’autostima. Anche se l’affidabilità dei dati tratti dai self-report in
questa popolazione può essere ambigua (Barkley, 1998), i punteggi di queste
misure sono utili a due scopi. Primo, forniscono informazioni su aree di funzionamento (per es., depressione, autostima) non indagabili in altro modo.
Secondo, coinvolgono direttamente lo studente nel processo valutativo del
farmaco, incrementando così le probabilità di cooperazione e compliance alle
indicazioni del trattamento stesso. Si può utilizzare a questo scopo la ConnersWells Adolescent Self-Report of Symptoms (Conners et al., 2000). I punteggi
di self-report degli effetti dei farmaci sui sintomi del DDAI sembrano essere
sensibili a dosi diverse di MPH, anche se in misura minore dei questionari per
genitori e insegnanti (DuPaul et al., 1996).
Valutazione dei possibili effetti collaterali
I genitori e gli insegnanti del bambino dovrebbero completare, almeno
settimanalmente, anche la Side Effects Rating Scale (Barkley, 1998). I bambini
più grandi (ossia con più di 9 anni) dovrebbero farlo a loro volta. Questi punteggi forniscono informazioni sul numero e sulla gravità dei possibili effetti
collaterali emergenti in seguito al trattamento (per es., irritabilità, insonnia,
riduzione dell’appetito). I genitori possono fornire le informazioni più utili
in questo ambito dal momento che hanno più opportunità di osservare le
attività che sono maggiormente colpite da questi effetti (ossia l’alimentazione
e il sonno). A volte, i punteggi di self-report possono essere critici nel rivelare
effetti collaterali che gli insegnanti e i genitori non osservano direttamente
(DuPaul et al., 1996). Come già detto, è d’importanza cruciale ottenere questi dati anche nella condizione di non-trattamento dal momento che molti
atteggiamenti, che potrebbero essere indicati come effetti collaterali (per es.,
l’irritabilità), possono verificarsi anche in assenza di trattamento.
Valutazione del trattamento farmacologico
Come già precedentemente evidenziato, prima di iniziare una procedura valutativa del trattamento farmacologico, si conducono indagini fisiche e
270
Trattamento farmacologico
psicologiche per stabilire la necessità di una prova a base di stimolanti. Nella
Tabella 6.3 sono presentati i passaggi della valutazione di un trattamento farmacologico a scuola.
TABELLA 6.3. Fasi del processo valutativo a scuola del trattamento farmacologico
1. I genitori ricevono una prescrizione dal pediatra (per es., 5 mg di Ritalina).
2. I membri dell’équipe non direttamente coinvolti nella valutazione (per es., l’infermiera della scuola) e il medico stabiliscono l’ordine di somministrazione dei
differenti dosaggi (ossia 5, 10, 15 e 20 mg) includendo una fase di non-trattamento.
3. I genitori (o l’infermiera della scuola) somministrano giornalmente il farmaco
sulla base di un programma predefinito.
4. Si raccolgono settimanalmente (giornalmente) misure di valutazione:
a. Punteggi degli insegnanti
b. Punteggi dei genitori
c. Punteggi sugli effetti collaterali
d. Osservazioni del comportamento in classe durante il lavoro autonomo al
banco condotte da un osservatore indipendente
5. Devono essere raccolte misure di valutazione in grado di riflettere lo stato del
comportamento del bambino durante la fase attiva del farmaco (ossia 2-4 ore
dopo l’ingestione per i farmaci a effetto immediato).
6. Si verificano cambiamenti significativi nel comportamento (soprattutto quello
scolastico) a qualche dosaggio?
7. Se sì, qual è la dose più bassa in grado di dare i maggiori guadagni con i minimi
effetti collaterali?
8. Riferire i risultati al pediatra del bambino.
Una volta che si è raggiunto un accordo sulla necessità di effettuare una
prova farmacologica, lo psicologo scolastico dovrebbe contattare il medico
del bambino per discutere e stabilire la sequenza di dosaggi che può variare in
funzione dell’età del bambino. Utilizzando come esempio le varianti a effetto
immediato del MPH (Ritalina), le dosi varieranno per bambini in età pre271
DDAI a Scuola
scolare (2.5 mg, 5 mg e 7.5 mg), per bambini di scuola elementare (5, 10,
15 mg) e per studenti delle scuole secondarie (10, 15, 20 mg). La sequenza
delle dosi dovrebbe essere casuale con l’unico vincolo di non somministrare la
dose più elevata all’inizio. In questa sequenza si include anche una condizione di non-trattamento, utilizzando preferibilmente un placebo. Sia il medico
sia lo psicologo scolastico prendono nota della sequenza e conservano questa
informazione in un luogo sicuro fino a che la fase di valutazione non si è
conclusa.
Il medico prescrive almeno 1 settimana di trattamento per ogni dose,
incluso, il placebo. Il genitore successivamente va in farmacia e, se possibile,
il farmaco dovrebbe essere impacchettato in confezioni senza scritte e preparato sotto forma di capsule gelatinose opache. In questo caso, le capsule
saranno somministrate sulla base del numero della settimana e non sulla
base della dose, per mantenere così la segretezza sulla sequenza. I genitori e
l’infermiera della scuola somministrano il farmaco sulla base del programma
stabilito. Il programma di somministrazione tipico per i preparati di MPH e
di d-amfetamina a effetto immediato prevede una capsula alla mattina e una
a pranzo con un intervallo di almeno 4 ore fra l’una e l’altra. Anche se alcuni
ricercatori in questo ambito suggeriscono variazioni quotidiane nel dosaggio
(per es., MTA Cooperative Group, 1999; Pelham & Milich, 1991), è spesso
più pratico effettuare questi cambiamenti settimanalmente. Questo evita,
per esempio, di chiedere agli insegnanti di compilare i questionari giornalmente.
Le misure per i genitori, gli insegnanti e quelle di self-report vengono compilate settimanalmente per tutto il corso del trattamento. Le variazioni nelle
dosi dovrebbero essere fatte di sabato in modo che tutte le misure possano essere compilate fino all’ultimo giorno di trattamento per quel dosaggio (ossia il
venerdì). Se i cambiamenti si verificano di sabato, il genitore è inoltre in grado
di osservare possibili effetti collaterali e contattare il medico tempestivamente.
Se gli effetti collaterali osservati sono piuttosto gravi, non si continua la somministrazione di quella determinata dose.
La situazione ottimale è quella in cui gli insegnanti, i genitori, e lo studente
non sono a conoscenza del dosaggio impiegato settimanalmente, al fine di
minimizzare distorsioni nelle misure. Il farmacista dovrebbe preparare confezioni senza scritte, per ogni settimana di trattamento, inserendo anche un
placebo innocuo (per es., polvere di lattosio). Se questo non fosse possibile,
allora si potrebbero tenere all’oscuro l’insegnante e il bambino chiedendo al272
Trattamento farmacologico
l’infermiera della scuola di somministrare, per esempio, una vitamina nella
settimana del placebo o di non-trattamento. Ovviamente, l’utilizzo di una
sostanza a rilascio prolungato (per es., il Concerta) non renderà necessarie
queste procedure a scuola e questo è uno dei principali vantaggi di queste
preparazioni. Bisognerebbe contare le pillole, se possibile, per documentare
la compliance alle modalità di somministrazione stabilite. Se il farmaco non
viene somministrato con costanza a casa, allora, quando possibile, entrambe
le dosi andrebbero somministrate a scuola.
Indipendentemente dal sistema di codifica utilizzato, le osservazioni comportamentali dovrebbero essere condotte nelle ore scolastiche in cui il bambino è coinvolto in un lavoro autonomo al banco, dal momento che questa
situazione è tipicamente la più problematica per i bambini con DDAI. Possono essere utili anche osservazioni del comportamento sociale in cortile e
nella mensa. Queste osservazioni dovrebbero inoltre avvenire per il massimo
numero di giorni possibili per ogni dose, un’ora e mezza massimo tre ore dopo
l’ingestione del farmaco, per coincidere con il picco dell’effetto sul comportamento. I periodi osservativi dovrebbero durare da 15 a 20 minuti per volta.
Inoltre, tali osservazioni dovrebbero essere condotte più volte nella condizione di baseline per definire quella che è la “tendenza” stabile (ossia la costanza
nei risultati) prima di introdurre le condizioni sperimentali. Bisognerebbe
ottenere, il più frequentemente possibile, verifiche dell’affidabilità interosservatore (per es., con osservazioni condotte da un assistente dell’insegnante o
da un counselor), idealmente almeno una volta per dosaggio, per assicurare
l’integrità dei dati raccolti.
I dati sulla performance scolastica dovrebbero essere raccolti in seguito a
ogni sessione osservativa. Per esempio, prima di lasciare la classe, si possono
calcolare la quantità e l’accuratezza del lavoro completato durante la seduta
osservativa. In aggiunta, si potrebbero somministrare alcuni brevi test basati
sul curricolo alla fine di ogni fase osservativa. Bisognerebbe fare attenzione a
raccogliere questi dati anche su altri studenti della classe affinché il bambino
con DDAI non si accorga di essere l’unico sotto osservazione.
LA COMUNICAZIONE DEI RISULTATI AL MEDICO CHE HA
EFFETTUATO LA PRESCRIZIONE
I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero rimanere in contatto con
il medico che ha effettuato la prescrizione per tutto il corso del trattamento,
273
DDAI a Scuola
soprattutto quando emergono preoccupazioni su possibili effetti collaterali.
Alla fine della fase di valutazione, la cosa migliore è inviare al medico un resoconto scritto dei risultati per facilitare la discussione nel corso di un successivo
incontro di follow-up (vedere il Capitolo 8 per una trattazione più approfondita della comunicazione con i medici).
Nel report si dovrebbe rispondere a due principali domande: (1) ci sono
cambiamenti clinicamente significativi nel controllo del comportamento e
nella performance scolastica del bambino associati a una dose del farmaco? e se
sì, (2) qual è il dosaggio più basso (la dose minima efficace; vedere Fielding,
Murphy, Reagan & Peterson, 1980) che comporta i miglioramenti più rilevanti con i minimi effetti collaterali? A queste domande si trova una risposta
sistematica confrontando i dati ottenuti nella somministrazione attiva dei diversi dosaggi e nella condizione placebo.
Possono essere considerati cambiamenti significativi le modifiche di 1 deviazione standard nelle condizioni di somministrazione attiva rispetto alla
condizione placebo.
Si possono altrimenti calcolare indici affidabili di cambiamento (Jacobsen &
Truax, 1991; Speer, 1992) per ogni variabile per stabilirne la significatività
statistica. Infine, può essere utile effettuare confronti con un campione normativo o con i compagni sani della stessa classe per stabilire la significatività
clinica degli effetti indotti dal trattamento.
Nella Tabella 6.4 è illustrato un esempio di resoconto finale dei risultati di
una prova farmacologica di 4 settimane con MPH su Judy, una bambina di 9
anni con DDAI. I dati vengono sintetizzati per quattro dosaggi (placebo, 5,
10 e 15 mg di MPH) somministrati secondo una procedura a doppio cieco e
in sequenza casuale.
I cambiamenti significativi nei punteggi oggettivi e nelle osservazioni dirette del comportamento in classe sono identificati dalle sottolineature (si
tratta di variazioni di 1 deviazione standard dalla situazione placebo o, nel
caso delle osservazioni, di una percentuale di cambiamento del 10% rispetto
ai valori del placebo).
Judy manifestava un miglioramento considerevole nel controllo del comportamento in diverse situazioni a 10 e 15 mg, senza apparenti aumenti negli effetti collaterali. La performance scolastica veniva influenzata al meglio con 15
mg, condizione che ha portato alla prescrizione di 15 mg di MPH due volte
al giorno per tutta la durata dell’anno scolastico.
274
Trattamento farmacologico
TABELLA 6.4. Esempio di resoconto conclusivo di una prova farmaceutica
Dose
Misura
Placebo
5 mg
10 mg
15 mg
Scale di valutazione per i genitori
CPRS-Ra
Effetti Collaterali – Totale
Effetti Collaterali – Gravità
7.0b
11.0
3.4
6.0
9.0
3.3
3.0c
8.0
1.1
2.0
2.0
1.0
Scale di valutazione per insegnanti
CTRSd
SSQe - Contesti problematici
SSQ - Gravità media
APRSf
14.0
8.0
5.1
49.0
15.0
8.0
4.9
51.0
9.0
3.0
1.3
58.0
4.0
0.0
0.0
67.0
60.3
49.7
62.0
68.9
59.8
61.0
80.0
95.0
78.0
89.7
98.0
88.5
Osservazioni del comportamento
Percentuale di comportamenti
attinenti al compito
Produttività scolastica
Accuratezza scolastica
Conners Parent Rating Scale. Fattore Impulsività-Iperattività.
I valori sono i punteggi grezzi di ogni variabile.
c
I valori sottolineati rappresentano cambiamenti maggiori di 1 deviazione standard rispetto al placebo.
d
Conners Teacher Rating Scale-Revised. Indice di Iperattività.
e
School Situation Questionnaire.
f
Academic Performance Rating Scale. Punteggio di Produttività Scolastica.
g
Percentuale di lavoro completato rispetto ai compagni di classe.
h
Percentuale di accuratezza nel lavoro scolastico.
a
b
Il resoconto al medico dovrebbe includere una breve tabella con i risultati della valutazione, con una o due pagine che evidenziano i cambiamenti
in ogni area di funzionamento per ciascuna dose. Si dovrebbe utilizzare un
paragrafo finale per indicare la dose, se ce ne fosse stata una, che il personale
scolastico ha valutato come più utile nel migliorare la performance scolastica
del bambino (vedere il Capitolo 8). Ovviamente, la decisione definitiva sul
trattamento viene presa dal medico e dai genitori del bambino. Una o due
settimane dopo aver inviato il report, si può fare una telefonata di follow-up,
per vedere se il medico ha qualche domanda da porre o se sono necessarie
ulteriori indagini da condurre a scuola prima di prendere una decisione definitiva. Infine, si dovrebbe condurre una sessione di feedback post-valutazione,
275
DDAI a Scuola
in cui i genitori e gli insegnanti del bambino discutono i risultati della prova
farmacologica e in cui si risponde alle domande sul successivo trattamento
(Gadow, Nolan, Paolicelli & Sprafkin, 1991).
MONITORAGGIO COSTANTE DELLA RISPOSTA AL FARMACO
Una volta che è stato stabilito il dosaggio ottimale per uno studente, le
misure precedentemente descritte dovrebbero essere raccolte periodicamente
per tutto il corso dell’anno scolastico per valutare la necessità di modifiche nel
dosaggio in seguito all’insorgenza di effetti collaterali. La grande maggioranza
di queste misure deve essere somministrata nuovamente ogni tot mesi. È di
solito una buona idea far compilare mensilmente ai genitori la scala sugli effetti collaterali e stilare un report per il medico.
Ogni 6 mesi circa, il medico conduce solitamente un breve esame fisico. In
questo periodo, si prende nota dell’altezza, del peso, della pressione sanguigna
e della frequenza cardiaca del bambino per determinare possibili effetti collaterali. I bambini che ricevono un trattamento con antidepressivi triciclici (per
es., la desiprammina) dovrebbero essere sottoposti a un ECG (elettrocardiogramma) nella condizione di baseline e a ECG di follow-up ai differenti dosaggi o in mesi differenti, una volta che si è scelta la dose di somministrazione, se
non ci sono variazioni rilevanti (Spencer et al., 1998). Pertanto, lo psicologo
della scuola dovrebbe cercare di raccogliere punteggi rilevanti degli insegnanti
e dei genitori prima del check-up a 6 mesi e dovrebbe riferire al medico qualunque informazione anche episodica, relativa al trattamento farmacologico.
Quando i genitori e gli insegnanti riferiscono che una dose precedentemente efficace “non funziona più”, lo psicologo e il medico dovrebbero lavorare insieme per determinare, prima di cambiare la dose, i possibili fattori
implicati in questo apparente deterioramento della risposta. I cambiamenti
comportamentali possono dipendere da fattori medici (per es., passare da una
marca accreditata a un farmaco generico, scarsa compliance al trattamento) o
ambientali (per es., eventi familiari stressanti, maggiore difficoltà dei compiti
scolastici). È importante valutare con attenzione possibili variabili non mediche che possono spiegare il peggioramento nel funzionamento. Spesso, i genitori e gli insegnanti di bambini con DDAI possono nutrire aspettative non
realistiche sulla consistenza e la quantità dei cambiamenti comportamentali
associati alla farmacoterapia. Pertanto, dovrebbero rendersi conto che, anche
sotto l’effetto dei farmaci, i bambini avranno occasionalmente delle “cattive
giornate” indipendentemente dalla dose utilizzata.
276
Trattamento farmacologico
LIMITI DEL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
CON STIMOLANTI
Come per la maggior parte delle modalità di trattamento scelte, esistono
variabili associate al trattamento a base di stimolanti che ne limitano l’efficacia complessiva. Alcuni di questi fattori sono stati già discussi: i possibili
effetti collaterali a breve e lungo termine e anche, nel caso di preparazioni
standard, una durata relativamente breve dell’azione che hanno sul comportamento. Inoltre, questi farmaci non “insegnano” al bambino a compensare i
sintomi del proprio disturbo e devono essere quindi integrati con strategie di
costruzione di competenze, quali programmi di modificazione del comportamento (O’Leary, 1980). Più preoccupante è la mancanza di dati a sostegno
dell’efficacia a lungo termine degli stimolanti. Infatti, la maggior parte degli
studi longitudinali condotti fino a oggi non ha riscontrato differenze significative fra gruppi di bambini con DDAI che erano stati trattati o meno con
gli stimolanti (per es., Weiss, Kruger, Danielson & Elman, 1975). Anche se
questi studi sono stati criticati per una serie di limiti metodologici (per es., la
mancanza di misure sensibili agli esiti del trattamento), i risultati ottenuti rafforzano la prova che nessuna modalità di intervento singola, anche quelle con
una comprovata efficacia a breve termine, è sufficiente a generare riduzioni
durevoli nella sintomatologia del DDAI. Questi vecchi risultati sono bilanciati da quelli del gruppo MTA (MTA Cooperative Group, 1999) che documentano effetti consistenti dei farmaci stimolanti per un periodo di almeno
14 mesi. Raccogliendo ulteriori dati sul campione MTA, avremo maggiori
informazioni sugli effetti a lungo termine di questi farmaci su diversi ambiti
di funzionamento.
Dato che una somministrazione due volte al dì genera intervalli brevi di
controllo del comportamento, la gran parte dell’effetto del farmaco è ormai
svanita quando il bambino ritorna a casa. Inoltre, la famiglia sopporterà il peso
di tutti gli effetti collaterali (per es., l’insonnia) che derivano dalla farmacoterapia. Come risultato, le famiglie dei bambini con DDAI avranno bisogno di
un ulteriore aiuto per gestire i problemi comportamentali del bambino a casa
(vedere il Capitolo 7). I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero essere al
corrente dei servizi di salute mentale disponibili sul territorio, in modo da poter
effettuare invii appropriati nell’interesse della famiglia stessa (Barkley, 1998).
Anche se si utilizzano dati oggettivi per definire la risposta al farmaco,
spesso le decisioni relative al trattamento stesso si basano ampiamente sul
“giudizio clinico” (Gadow et al., 1991). Per esempio, molte volte i cambia277
DDAI a Scuola
menti dovuti al trattamento variano nelle differenti aree di funzionamento o
nelle diverse fonti di dati (per es., genitori e insegnanti). In tali situazioni, lo
psicologo e il medico devono decidere quali misure considerare più rilevanti
ai fini di una decisione. Queste possono variare in funzione delle priorità del
trattamento e dei punti di forza e debolezza del bambino. Nello specifico, per
prendere una decisione sulla dose, si da peso maggiore a quegli ambiti in cui,
nel pre-trattamento, il bambino manifesta le difficoltà più pesanti (Pelham et
al., 1993). Inoltre, si tiene anche conto della risposta del bambino a interventi
precedenti e fino a che punto sia necessario un miglioramento per far spostare
il bambino all’interno di un range normale di funzionamento (Pelham et al.,
1991).
RIASSUNTO
Numerosi farmaci psicotropi sono stati utilizzati per promuovere il funzionamento attentivo, comportamentale e scolastico dei bambini con DDAI.
I farmaci stimolanti del SNC sono quelli più efficaci nella gestione della sintomatologia tipica del DDAI. Fra i bambini con DDAI che rispondono positivamente al trattamento si possono riscontrare, in seguito al trattamento
farmacologico, miglioramenti nello span di attenzione, nel controllo degli impulsi, nella performance scolastica e nelle relazioni con i pari, anche se gli effetti
su queste ultime due aree di funzionamento devono ricevere ancora ulteriori
conferme. Gli effetti collaterali (per es., l’insonnia, la riduzione dell’appetito)
sono relativamente moderati e si verificano con maggiore probabilità a dosaggi più elevati. Dato che gli effetti degli stimolanti sul comportamento sono
mediati dalla dose scelta e dalla responsività individuale, ogni risposta personale al trattamento deve essere valutata in maniera oggettiva a differenti dosi
terapeutiche. I professionisti che lavorano a scuola possono giocare un ruolo
importante nella valutazione dei cambiamenti ascrivibili al farmaco nella performance in classe dei bambini con DDAI e possono fornire al medico dati
oggettivi sui risultati. Dal momento che l’efficacia complessiva del trattamento
con farmaci stimolanti è limitata da una serie di fattori, è possibile che siano
necessarie altre tipologie di intervento (per es., la modificazione del comportamento) per massimizzare la probabilità di avere esiti positivi a lungo termine
nel funzionamento comportamentale e scolastico dei bambini con DDAI.
278
APPENDICE 6.11
Trattamento farmacologico con stimolanti
per il DDAI: un promemoria per l’insegnante
I bambini con DDAI manifestano difficoltà significative di disattenzione,
impulsività e iperattività. Uno degli interventi più efficaci per questo disturbo
è l’utilizzo di farmaci stimolanti del sistema nervoso centrale (SNC). Questi
includono la Ritalina, il Concerta, il Metadato (tutti a base di metilfenidato), la Dexedrina (d-amfetamina) e lo Adderall (mix-amfetamina). Fra questi,
quello più comunemente prescritto è il metilfenidato. Gli stimolanti del SNC
fanno aumentare la disponibilità di alcuni neurotrasmettitori (ossia la dopamina e la noradrenalina) in determinate parti del cervello. Questo comporta
un aumento del livello di arousal del SNC e quindi maggiore attenzione e
controllo del comportamento. Una volta si credeva che questi farmaci esercitassero sui bambini con DDAI un effetto paradossale (ossia sedativo) e che
questa risposta fosse dipendente dalla diagnosi. Questi farmaci, invece, agiscono per stimolare l’attività del cervello non solo nei bambini con DDAI, ma
nella maggior parte della popolazione adulta e infantile. Pertanto, non si può
emettere una diagnosi di DDAI sulla base della risposta a farmaci stimolanti.
EFFETTI COMPORTAMENTALI
I principali effetti comportamentali degli stimolanti includono maggiore
attenzione, minore impulsività e una riduzione dell’attività motoria non attinente al compito. Gli studenti sono più propensi a completare con accuratezza i lavori assegnatigli, mostrano una compliance maggiore con le regole della
classe e manifestano meno comportamenti aggressivi. Possono anche esibire
una migliore calligrafia e progressi nella motricità fine ed essere meglio accettati dai loro compagni di classe. Infatti, alcuni studi hanno mostrato che, per
la maggioranza dei bambini trattati, i farmaci stimolanti possono innescare
cambiamenti nello span di attenzione e nella produttività scolastica tali che il
1
Tratta da ADHD in the Schools (2nd ed. ) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della
Guilford Press. Il permesso di fotocopiare questa appendice è concesso agli acquirenti del libro e solo
per uso personale. Vedere la pagina sul copyright per i dettagli.
279
Appendice 6.1
funzionamento in questi ambiti non differisce più da quello dei compagni. È
tuttavia importante evidenziare che questi farmaci non “curano” il DDAI e
che un bambino con DDAI continuerà a presentare i soliti “alti e bassi” anche
con una risposta positiva al trattamento. Inoltre, questi farmaci non devono
mai essere l’unico intervento per il DDAI. Spesso, se combinati con altre forme di trattamento (per es., programmi di modificazione del comportamento
in classe), gli effetti dei farmaci sul controllo del comportamento possono
aumentare.
Gli effetti comportamentali della Ritalina e della Dexedrina di solito durano da 3 a 4 ore dopo l’ingestione. Pertanto, la maggioranza dei bambini
prenderà questi farmaci due volte al giorno (la mattina, prima di arrivare
a scuola, e a pranzo). Questa modalità di somministrazione “copre” l’intera
giornata scolastica, ma gli insegnanti dovrebbero essere consapevoli di un possibile crollo nell’efficacia nelle ultime ore della mattina. Gli altri stimolanti,
(il Concerta e lo Adderall) vengono, di solito, assunti una volta al dì e i loro
effetti comportamentali durano circa 8 ore. Alcuni bambini, tuttavia, non
rispondono altrettanto bene a questi farmaci a rilascio prolungato.
Circa il 70-80% dei bambini con DDAI fra i 5 e i 12 anni che è sottoposto
a trattamento con stimolanti mostra una risposta positiva. Per gli adolescenti,
la percentuale è più bassa (60%). Pertanto, si può sostenere che la maggioranza di studenti con DDAI trattata con uno stimolante risponde positivamente. La risposta a questi farmaci varia in funzione della dose. Alcuni bambini
risponderanno a dosaggi più bassi, mentre altri avranno necessità di dosi più
elevate per ottenere gli stessi effetti. La risposta alla dose varia notevolmente
da individuo a individuo e non può essere prevista in funzione dell’età e del
peso corporeo del bambino. Nello specifico, la robustezza degli effetti comportamentali può variare fra i bambini e fra le dosi da moderata (cambiamento positivo minimo nel comportamento) a consistente (“normalizzazione” del
controllo del comportamento). Pertanto, la maggior parte dei medici proverà
differenti dosaggi di uno specifico stimolante per stabilire la dose “ottimale”
per quello specifico bambino.
Nei casi in cui un bambino con DDAI non risponde a un particolare
stimolante, si riscontrano assenza di cambiamenti o, in alcuni casi, peggioramenti nella sintomatologia (disattenzione, iperattività, impulsività). Di solito,
il medico proverà un altro stimolante. Per esempio, alcuni bambini che non
rispondono alla Ritalina possono essere trattati con successo con lo Adderall.
Se nessuno stimolante sembra andare bene, alcuni medici potrebbero prescri280
Appendice 6.1
vere altri farmaci quali antidepressivi (per es., bupropione). Quindi, se non si
ottengono effetti con un farmaco, esistono delle alternative.
EFFETTI COLLATERALI
I principali e più acuti effetti collaterali degli stimolanti sono l’insonnia
e la perdita di appetito. Uno di questi due si verificherà in circa il 50% dei
bambini trattati con il metilfenidato, soprattutto a dosaggi elevati e nelle fasi
iniziali del trattamento. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, gli effetti sul
sonno e sull’appetito sono piuttosto lievi e non richiedono la sospensione del
trattamento. Altri effetti collaterali meno comuni sono il mal di stomaco, il
mal di testa e maggiori livelli di ansia o tristezza. Alcuni bambini trattati con
il metilfenidato sperimenteranno un effetto di “ritorno comportamentale” nel
tardo pomeriggio e quando gli effetti del farmaco diminuiscono. L’effetto di
ritorno è indicato da un peggioramento del comportamento e dell’umore del
bambino, maggiore di quello presente prima del trattamento farmacologico.
Si può gestire questa eventualità riducendo il dosaggio o aggiungendo un’altra
somministrazione del farmaco nel tardo pomeriggio. Un numero decisamente
esiguo (meno del 5%) di bambini trattati con stimolanti manifesterà tic motori e/o vocali (movimenti motori ripetitivi o rumori vocali). Di solito, questi
tic scompaiono in seguito alla riduzione del dosaggio o alla sospensione del
farmaco. In alcuni casi, molto pochi, questi tic permangono anche dopo la
fine del trattamento.
Un potenziale effetto collaterale che potrebbe essere più evidente in contesti scolastici è l’effetto di “iperconcentrazione”. Quest’ultimo può fare sì che
un bambino manifesti un controllo del comportamento esemplare, ma sembri concentrarsi troppo con scarsi risultati. In alcuni bambini, questo effetto
di iperconcentrazione si può manifestare esteriormente (per es., occhio vitreo,
minore espressività emotiva), in altri attraverso un crollo nella performance
scolastica (per es., quantità di lavoro completato correttamente). Questa reazione è di solito il risultato di un dosaggio troppo elevato.
Gli insegnanti e gli altri professionisti che lavorano a scuola dovrebbero essere consapevoli dei possibili effetti collaterali dei farmaci stimolanti. Quando
ci si accorge della loro presenza, bisognerebbe informarne i genitori, il medico e/o l’infermiera della scuola. Questo soprattutto nel caso dell’effetto di
iperconcentrazione. Si deve fare anche attenzione a valutare i possibili effetti
collaterali paragonando il comportamento del bambino con la fase di non281
Appendice 6.1
trattamento. In altre parole, quello che a volte sembra essere un effetto collaterale del farmaco è in realtà un comportamento associato al DDAI presente
già prima dell’utilizzo del farmaco. Per esempio, alcuni bambini con questo
disturbo sono irritabili indipendentemente dal fatto di essere sotto farmaci
stimolanti.
IL RUOLO NEL TRATTAMENTO DEI PROFESSIONISTI
CHE LAVORANO A SCUOLA
È piuttosto importante che gli insegnanti e gli altri professionisti che lavorano a scuola siano in contatto con i genitori e/o il medico in caso di prescrizione di stimolanti. Questo almeno per due ragioni. Primo, perché questi farmaci influenzano più attivamente il comportamento del bambino durante la
giornata scolastica. Infatti, molti genitori non hanno l’opportunità di vedere
gli effetti dei farmaci sul comportamento dei loro bambini. Secondo, perché i
bambini con DDAI mostrano le loro maggiori difficoltà in contesti scolastici
e pertanto il successo del trattamento si determina, in gran parte, valutando i
cambiamenti nella performance a scuola.
I professionisti che lavorano a scuola possono avere un ruolo in tre fasi del
trattamento. Primo, bisognerebbe cercare un parere dell’insegnante prima di
iniziare un trattamento farmacologico. Questo perché si deve verificare se un
bambino ha un DDAI e, se sì, se il trattamento farmacologico sia veramente
necessario. Se il medico del bambino non cerca in prima persona questa informazione, allora la scuola dovrebbe contattarlo per fornirgli i dati raccolti
nel contesto scolastico. Secondo, i cambiamenti nel controllo del comportamento e nella performance scolastica dovrebbero essere le misure primarie di
valutazione di una dose farmaceutica. Informazioni oggettive (per es., scale di
valutazione compilate dagli insegnanti) sulla performance in classe hanno un
valore inestimabile per prendere decisioni sul farmaco. Terzo, una volta che
si è scelta una determinata dose per un bambino, gli insegnanti dovrebbero
comunicare tutti i cambiamenti significativi nella performance dello studente
che si verificano nel corso dell’anno scolastico. Anche se tali cambiamenti non
sono sempre relazionati al farmaco, a volte un crollo nel controllo del comportamento può indicare la necessità di una modifica nel dosaggio. Pertanto,
la scuola e il medico dovrebbero essere in comunicazione per tutta la durata
del trattamento.
282
CAPITOLO 7
Interventi Aggiuntivi per il DDAI
I bambini con DDAI manifestano spesso problemi di disattenzione, controllo degli impulsi ed elevati livelli globali di attività a casa, a scuola e nella
comunità. Oltre ai comportamenti peculiari che definiscono il DDAI, questi
bambini possono manifestare anche difficoltà nelle relazioni con i pari, frequente inottemperanza alle richieste di figure di autorità e problemi della
condotta, quali mentire e rubare, rendimento e competenze scolastiche scarse. Sfortunatamente, nessuna modalità di trattamento isolata, inclusa quella
farmacologica, è sufficiente per migliorare tutti i problemi che un bambino
con DDAI incontra. La natura cronica e potenzialmente debilitante delle problematiche associate al DDAI richiede l’utilizzo di interventi multipli applicati in contesti differenti per un lungo periodo di tempo. Inoltre, le strategie
di trattamento dovrebbero focalizzarsi su molteplici comportamenti target
per massimizzare l’impatto sul funzionamento complessivo del bambino. Per
molti bambini con questo disturbo, si deve costruire un ambiente “protesico”,
per un lasso di tempo piuttosto lungo, a scuola e a casa (Barkley, 1998). In
aderenza con questa conclusione, lo studio più ampio sui risultati del trattamento condotto fino a oggi su questa popolazione (ossia lo studio MTA;
MTA Cooperative Group, 1999) includeva componenti multiple (parent training, interventi a scuola e programmi di trattamento estivo) come parti del
protocollo di intervento psicosociale.
I capitoli precedenti hanno mostrato nel dettaglio le procedure comportamentali da applicare in classe e i farmaci psicotropi per il trattamento del
DDAI. Certamente, la combinazione di queste modalità terapeutiche rappresenta, al momento, l’approccio “ottimale” per il DDAI. Ciò non di meno, in
283
DDAI a Scuola
molti casi saranno necessari interventi aggiuntivi in funzione della gravità dei
sintomi del DDAI e della presenza di ulteriori difficoltà comportamentali.
In questo capitolo, si presentano diverse strategie terapeutiche che possono
integrare i programmi di intervento in classe e la farmacoterapia. Presentiamo
prima di tutto il training in classe delle competenze sociali e anche alcune
strategie di peer coaching. Di seguito, descriviamo una serie di interventi per
la famiglia, come il parent training e la terapia familiare comportamentale,
soprattutto in relazione all’impatto che questi possono avere sulla performance
scolastica. Illustriamo inoltre alcune tecniche per facilitare l’esecuzione dei
compiti a casa. Nella sezione finale del capitolo, passiamo in rassegna i trattamenti per il DDAI che non hanno o che hanno minime prove di efficacia, ma
che spesso vengono presentati come efficaci dai mass media. L’applicazione di
queste terapie spesso toglie tempo ed energie ai trattamenti comprovati. Pertanto, è importante che i genitori, gli insegnanti e tutto il personale scolastico
siano consapevoli del supporto che tutte le terapie presentate in questo libro
hanno nella letteratura di ricerca.
INTERVENTI IN CLASSE
Nel Capitolo 5, sono stati descritti una serie di interventi in classe che
includevano strategie proattive (per es., peer tutoring) e reattive (per es., token reinforcement). Molte altre tecniche possono essere utili per affrontare i
problemi associati al DDAI. Il training delle competenze sociali che utilizza, per esempio, il modeling, la ripetizione del comportamento e l’esercizio
con rinforzo, può a volte migliorare le difficoltà nelle relazioni interpersonali
spesso mostrate dai bambini con DDAI. Anche se i supporti empirici del
training delle competenze sociali in questa popolazione sono ancora limitati,
crediamo sia importante che i professionisti che lavorano a scuola conoscano
quali procedure potrebbero essere più efficaci, sulla base delle informazioni al
momento disponibili.
Training delle competenze sociali
Come discusso nel Capitolo 1, i bambini con DDAI hanno spesso difficoltà nell’interazione con i pari e nel mantenere stretti rapporti di amicizia. I
problemi di disattenzione e di controllo degli impulsi disturbano la “performance sociale” di questi bambini in molti modi: possono inserirsi in attività
284
Interventi aggiuntivi per il DDAI
già iniziate dai compagni (per es., giochi alla lavagna o in cortile) in maniera
improvvisa e disfunzionale e indurre così il loro disinteresse verso l’attività
stessa. Un bambino con DDAI probabilmente non chiederà il permesso prima di unirsi a un gioco e potrebbe quindi partecipare senza rispettare le regole
precedentemente stabilite. Inoltre, questi ragazzi spesso non rispettano le norme “implicite” della buona conversazione: interrompono spesso gli altri, non
fanno attenzione a quello che viene detto e rispondono in modo non attinente (per es., non consequenziale) alle domande o alle affermazioni dei compagni. Questi bambini tendono, infine, a “risolvere” i problemi interpersonali in
maniera aggressiva molto più frequentemente dei loro coetanei. Questo non
sorprende data la forte associazione fra il DDAI e l’aggressività fisica. Sono
pertanto molto frequenti conflitti e liti con i compagni. Similmente, i bambini con DDAI perdono velocemente il controllo e si arrabbiano con grande
facilità. Le prese in giro e altre forme di provocazione che quasi tutti gli altri
bambini riescono a ignorare e gestire in qualche modo, possono causare una
reazione improvvisa e violenta in molti ragazzi con questo disturbo.
Data la varietà dei problemi nella performance sociale dei bambini con
DDAI, subiscono un rifiuto da parte dei loro compagni anche con più facilità dei bambini che sono solo aggressivi (Barkley, 1998). Più preoccupante
risulta il fatto che questo rifiuto spesso perdura nel tempo (Parker & Asher,
1987). Pertanto, gli interventi che vogliono affrontare tutte queste difficoltà
devono essere applicati per un tempo sufficientemente lungo per contrastare
il rischio di esiti negativi. Ciò che rende particolarmente difficili i tentativi
di intervento in questo ambito, è che i bambini con DDAI non sembrano
avere deficit nelle competenze sociali di per sé. Sono in grado di elencare le
“regole” di un comportamento sociale appropriato proprio come i coetanei.
Quello che li distingue dal gruppo dei pari è che spesso non sono in grado di
comportarsi in accordo con queste regole. Tale deficit di prestazione è in accordo con l’ipotesi che i bambini con DDAI presentino una compromissione
nella risposta differita all’ambiente. Pertanto, in numerose situazioni interpersonali, i bambini con DDAI mettono in atto un comportamento sociale
prima di aver riflettuto sulle sue conseguenze. Questi deficit nella performance sociale sono più complessi da trattare rispetto ai deficit nelle competenze
per due principali ragioni. Primo, perché gli interventi disponibili per le
relazioni sociali affrontano soprattutto deficit nelle competenze più che nella
performance. Inoltre, dal momento che le difficoltà nella performance sociale
si verificano in diversi contesti (per es., la classe, il cortile, il vicinato), gli in285
DDAI a Scuola
terventi per affrontarle devono essere applicati da più individui in situazioni
multiple.
Similmente, i trattamenti che si occupano della comprensione delle situazioni sociali e dei comportamenti prosociali a un livello di gruppo (ossia
i tradizionali training delle abilità sociali) non hanno generato cambiamenti
durevoli nel funzionamento interpersonale in bambini con DDAI all’interno di contesti “reali”. Anche se sono stati ottenuti, nel corso delle sedute di
training, incredibili miglioramenti nelle abilità di conversazione, nel problemsolving e nel controllo della rabbia, raramente questi perdurano una volta che
il bambino ha lasciato la stanza della terapia (DuPaul & Eckert, 1994; Gresham, 2002).
La mancanza di uniformità e di generalizzabilità dei programmi di training nelle competenze sociali ha portato alla formulazione di un approccio
più completo di intervento sulle relazioni sociali per bambini con disturbi del comportamento disfunzionale (per una rassegna delle strategie sulle
competenze sociali, vedere Gresham, 2002). Per esempio, Sheridan (1995)
ha sviluppato il programma Tough Kids Social Skills (Competenze Sociali per
Bambini “Tosti”) per l’applicazione in contesti scolastici. Questo programma include tre possibili livelli di training sulle competenze sociali: in piccoli
gruppi, per tutta la classe e per tutta la scuola. Anche se tutti e tre potrebbero
essere utili per bambini con DDAI, è possibile che questi bambini abbiano
più bisogno di un training in piccoli gruppi a causa delle persistenti difficoltà relazionali. Si pianificano 12 sedute da 60 minuti suddivise in tre unità:
ingresso nell’interazione sociale, mantenimento dell’interazione e problemsolving. Il training sull’ingresso nell’interazione sociale si occupa di abilità di
conversazione, delle modalità di aggregazione ad attività già iniziate dai pari
e dell’espressione delle emozioni. Due sedute si focalizzano sul mantenimento dell’interazione, includendo la capacità di portare avanti una conversazione e quella di giocare in maniera cooperativa. Si conducono infine numerose
sedute sul problem-solving per facilitare la gestione della rabbia, il mantenimento del self-control e la capacità di risolvere piccoli conflitti. Si utilizzano
alcune sedute di ripasso per facilitare il mantenimento dei miglioramenti
conseguiti nella performance sociale. Sheridan, Dee, Morgan, McCormick
e Walker (1996) hanno trovato un primo supporto empirico all’utilizzo di
questo programma con bambini con DDAI. Ogni seduta del programma si
conduce allo stesso modo. Innanzitutto, si controllano i “compiti” assegnati
nella seduta precedente e si discutono con il gruppo. Si rivedono, inoltre, le
286
Interventi aggiuntivi per il DDAI
regole del gruppo all’inizio di ogni seduta. In seguito, il leader del gruppo
presenta verbalmente il comportamento oggetto della seduta presente e lo
mima. Nella terza fase, gli studenti mettono in atto un role-play sullo specifico comportamento sociale utilizzando storie inventate dal gruppo e dal
leader. Potrebbe essere utile videoregistrare i role-play per facilitare l’analisi
a posteriori e il feedback. Una quarta fase della seduta prevede che i membri
del gruppo analizzino ogni role-play e forniscano un feedback ai partecipanti.
Si può anche chiedere agli studenti di analizzare la propria performance prima di ascoltare il feedback degli altri membri del gruppo. Gli studenti che si
sono guadagnati la ricompensa comportandosi in accordo con le regole del
gruppo ricevono in premio una merenda. Infine, si chiede a ogni studente di
fissare un obiettivo per la settimana successiva, in relazione con il comportamento sociale della presente seduta. Questi obiettivi dovrebbero essere il
più personalizzati possibile. Si utilizza poi un contratto sul comportamento
per identificare le ricompense che saranno rese disponibili una volta che lo
studente avrà conseguito gli obiettivi prefissati.
Programmi di generalizzazione
Anche se il training appena descritto può portare a miglioramenti considerevoli nei comportamenti sociali appropriati esibiti nel contesto del gruppo
di training, tali cambiamenti non vengono necessariamente trasferiti spontaneamente nella quotidianità (per es., al gioco in cortile, nel vicinato o nella
classe). Pertanto, un programma sulle relazioni interpersonali che voglia essere
veramente completo deve prevedere modalità dirette per il mantenimento dei
miglioramenti e procedure di generalizzazione dei nuovi comportamenti sociali appresi. I programmi di generalizzazione possono includere strategie di
training che si rivolgono ad aspetti interiori del bambino, come pure strutturazioni dell’ambiente che possano supportare la manifestazione di comportamenti prosociali (Hoff & Robinson, 2002).
Bisognerebbe inserire numerose procedure nel training delle competenze
sociali per accrescere la probabilità di generalizzare questi comportamenti a
contesti reali. Come mostrato nel programma Tough Kids Social Skills, queste
strategie includono: (1) l’utilizzo, per i role-play, di situazioni di vita reale
individuate dal gruppo; (2) l’utilizzo di numerosi esempi e di molteplici opportunità di allenamento durante i role-play e il modeling; (3) l’assegnazione
di compiti che prevedano l’applicazione di tecniche di auto-monitoraggio e
287
DDAI a Scuola
di auto-rinforzo e (4) la pianificazione di sedute periodiche di ripasso per rinforzare ed estendere il training precedente.
Una delle principali ragioni per cui i comportamenti sociali appresi non
si generalizzano alla vita reale è che gli adulti (per es., i genitori, gli insegnanti) e i pari non incoraggiano necessariamente e non rinforzano con costanza i comportamenti desiderati. In queste circostanze, è improbabile che
si verifichi la manifestazione delle nuove competenze acquisite. Pertanto, si
devono inserire delle modifiche nell’ambiente naturale del bambino in modo
che questo incoraggi l’esibizione di comportamenti appropriati. Le modifiche
all’ambiente possono includere componenti quali: (1) dare indicazioni ai genitori affinché incoraggino i bambini a mettere in pratica i comportamenti
appresi nelle sedute sulle competenze sociali; (2) sviluppare programmi di
contingency management a casa e a scuola per rinforzare le competenze apprese
e per diminuire la probabilità di occorrenza di aggressività fisica e verbale (per
es., utilizzando un token reinforcement unito a un response cost per determinati
comportamenti sociali) e (3) insegnare ai bambini a ottenere rinforzi dagli
altri, mettendo in atto comportamenti prosociali (DuPaul & Eckert, 1994).
Pertanto, i genitori e gli insegnanti sono una parte importante dell’équipe di
intervento sulle competenze sociali, dal momento che sono i principali agenti
di generalizzazione.
Coinvolgimento strategico dei coetanei
Oltre i genitori e gli insegnanti, anche i compagni possono essere considerati agenti di generalizzazione dei comportamenti prosociali in contesti
diversi. Includere i pari è piuttosto importante, dal momento che essi sono
spesso presenti in situazioni in cui il monitoraggio e l’attenzione degli adulti
non sono immediatamente disponibili (per es., giochi con vicini di casa).
Inoltre, i coetanei sono gli unici a stabilire se si stanno verificando dei cambiamenti clinicamente significativi (dal momento che dovrebbe, in questo caso,
aumentare l’accettazione sociale e il numero delle amicizie). I coetanei possono essere coinvolti in tutte le fasi dell’intervento sulle competenze sociali.
Possono per esempio diventare “modelli di comportamento” nelle sedute di
training: attraverso la partecipazione ai role-play e il feedback possono fungere da “co-terapeuti”. Il cambiamento comportamentale è infatti decisamente
maggiore nei training che prevedono un gruppo di coetanei misto (ossia con
bambini “normali”) da quelli composti unicamente da bambini con difficoltà
288
Interventi aggiuntivi per il DDAI
da comportamento antisociale (Ang & Hughes, 2002). I coetanei possono
inoltre fungere da tutor del comportamento sociale nell’ambiente naturale,
incoraggiando e rinforzando determinati comportamenti sociali appresi nelle sedute di training. Ancora una volta questo richiederebbe di addestrare i
pari ad agire come co-terapeuti. Cunningham e Cunningham (1998) hanno
sviluppato un programma di risoluzione dei conflitti che vede i pari come
mediatori e che coinvolge i coetanei nel ruolo di tutor al momento del gioco
in cortile. L’utilizzo di programmi di mediazione con i coetanei è associato a
riduzioni della violenza in cortile e delle interazioni negative in tutta la scuola.
Infine, i genitori possono organizzare situazioni di training sull’amicizia da
applicare a casa, supervisionando il bambino con DDAI nell’ambito di attività altamente strutturate e non competitive con un piccolo gruppo di coetanei (Guevremont, 1990). In molti casi, questo sistema sarebbe preferibile per
incoraggiare i bambini con DDAI a partecipare alle attività della comunità,
quali squadre sportive o gruppi di scout, che potrebbero essere supervisionate
più da vicino e avere caratteristiche intrinseche più competitive.
Il coaching di adolescenti con DDAI
Gli studenti con DDAI sperimentano spesso difficoltà nel progettare le
loro attività e nel completare i compiti in un lasso di tempo ragionevole. Per
questa ragione, possono trarre beneficio da strategie di supporto che promuovono la fissazione di obiettivi, l’auto-monitoraggio e il completamento dei
compiti per tempo. Un modo possibile di ottenere questi risultati è quello di
affidarsi a strategie di coaching in cui un adulto o un compagno lavorano con
lo studente con DDAI per incoraggiare e rinforzare la corretta scelta degli
obiettivi e di strategie di gestione del tempo. Dawson e Guare (1998) hanno
sviluppato un programma di coaching per gli adolescenti con DDAI. Il loro
programma prevede due fasi principali. Nella prima fase, l’adolescente con
DDAI lavora con un coach per (1) identificare possibili obiettivi a lungo termine; (2) determinare i criteri in base ai quali definire se un obiettivo è stato
conseguito con successo e (3) delineare i possibili ostacoli al raggiungimento
dell’obiettivo. Uno studente può desiderare per esempio di ottenere un buon
voto in una particolare materia. Il criterio potrebbe essere il voto specifico (per
es., una “B” o meglio ancora) e, forse, un giudizio da parte dell’insegnante che
indichi che lo studente padroneggia veramente il materiale. Possibili ostacoli
al successo potrebbero includere la non comprensione di alcuni contenuti del289
DDAI a Scuola
la materia, le distrazioni presenti nell’ambiente a casa (per es., il lettore CD, i
videogames), che potrebbero interferire con lo studio, e scarse competenze nel
prendere appunti.
Nella seconda fase del programma di coaching, lo studente e il coach si
incontrano regolarmente per progettare strategie e per analizzare i progressi
verso l’obiettivo. Queste sedute includono quattro componenti (identificate
dall’acronimo REAP): (1) Analisi, (2) Valutazione, (3) Anticipazione e (4)
Progettazione. Il coach e lo studente analizzano quanto lo studente ha raggiunto nel corso delle sedute e valutano se è stato fatto qualche progresso
verso l’obiettivo a lungo-termine. Molte volte, questo processo è agevolato
dal fissare obiettivi intermedi a breve termine per fornire un rinforzo mano a
mano che lo studente si avvicina all’obiettivo a lungo termine. Si anticipano
i possibili ostacoli ai traguardi futuri e si sviluppa un piano per affrontarli e,
allo stesso tempo, si applicano procedure per facilitare il raggiungimento degli
obiettivi. Le sedute hanno una cadenza almeno settimanale e sono relativamente brevi (30 minuti).
Anche se Dawson e Guare (1998) non presentano i risultati del loro modello di coaching, sembra essere un approccio promettente per aiutare gli
adolescenti con DDAI. In particolare, gli studenti che hanno fatto progressi
comportamentali significativi con altre strategie di intervento (per es., farmaci
stimolanti o contratti sul comportamento) possono essere pronti per fare un
altro passo verso l’autocontrollo. Uno studente deve essere motivato a lavorare
con un adulto o un compagno per trarre profitto dal programma di coaching.
Pertanto, i professionisti che lavorano a scuola dovrebbero prendere in considerazione la combinazione fra lo studente e l’approccio scelto e valutare
anche chi potrebbe essere il migliore coach per quello studente. In alcuni casi,
la scelta migliore può essere un adulto (per es., l’insegnante, il counselor, o un
altro parente), mentre in altre situazioni un ragazzo potrebbe lavorare meglio
con un coetaneo o un compagno di classe molto bravo.
INTERVENTI PER L’ AMBITO FAMILIARE
Parent training
È spesso importante per i genitori di bambini con DDAI ricevere indicazioni di sostegno su strategie di gestione del comportamento al fine di
accrescere l’attenzione dei loro bambini nelle incombenze di casa e l’aderenza alle regole della famiglia. In alcuni casi, gli psicologi scolastici o gli
290
Interventi aggiuntivi per il DDAI
assistenti sociali forniscono servizi di parent training a scuola, soprattutto
se questi non sono disponibili sul territorio (per es., con uno psicologo clinico). Quando si fornisce un servizio di parent training a scuola, si pone di
solito l’attenzione sull’aiutare i genitori nella supervisione dello svolgimento
dei compiti a casa e dello studio. Esistono una serie di programmi di parent
training sulle strategie di modificazione del comportamento (per es., Webster-Stratton, 1994).
Barkley (1997b) ha adattato il programma di parent training di Forehand e
McMahom per affrontare più specificamente i principali problemi del DDAI.
Questo programma di training, come di seguito descritto, si può condurre
con una sola coppia genitoriale o con un gruppo di coppie. Di solito il bambino non partecipa al training, salvo nei casi in cui il terapeuta desidera che i
genitori applichino le strategie dal vivo. Le sedute di training durano un’ora,
un’ora e mezza per una singola famiglia e un’ora e mezza o due per i gruppi.
Ogni seduta di training prevede una sequenza analoga di attività. Si inizia con il ripasso delle informazioni trattate la settimana precedente, seguito
da una breve valutazione di eventuali situazioni critiche che possono essersi
verificate nel corso della settimana e da una discussione dei compiti a casa
assegnati alla fine della seduta precedente. Il terapeuta poi fornisce le istruzioni su una specifica strategia di gestione del comportamento che i genitori
devono applicare nella settimana successiva. Dopo la trasmissione teorica di
contenuti, il terapeuta mima il comportamento giusto. I genitori provano
praticamente la procedura e ricevono un feedback e ulteriori eventuali linee
guida. Alla fine della seduta, si assegna come compito per la settimana successiva l’esercizio ulteriore della strategia. Si distribuiscono degli opuscoli con i
dettagli sulla tecnica e sulle procedure per eventuali ripassi.
Il parent training dura di solito nove settimane. Gli argomenti delle sedute
includono: la spiegazione del perché il bambino manifesta comportamenti
disfunzionali, le strategie per gestire questi comportamenti, i metodi per accrescere la compliance e il gioco indipendente, lo sviluppo di un programma di
token reinforcement, l’utilizzo di tecniche di interruzione del rinforzo positivo
e di response cost, le strategie per gestire il comportamento del bambino in
pubblico, l’utilizzo di un sistema di comunicazione casa-scuola e le modalità
per affrontare eventuali future difficoltà comportamentali. Alla conclusione
del primo corso di parent training si organizzano degli incontri di follow-up
ogni mese per fornire sedute “di ripasso” sulle tecniche di gestione, e di supporto per mantenere le competenze acquisite. Per informazioni più dettagliate
291
DDAI a Scuola
sul parent training, il lettore dovrebbe consultare Barkley (1997b) e Anastopoulos e colleghi (1998).
Nonostante il supporto empirico sostanziale che il parent training ha
come trattamento della negligenza nei bambini (Brestan & Eyberg, 1998),
sono stati raccolti meno dati sugli effetti specifici di questo intervento su
bambini con DDAI. Numerose ricerche suggeriscono che questo approccio
al trattamento è efficace (per es., Anastopoulos, Shelton, DuPaul & Guevremont, 1993; Horn, Ialong, Popovich & Peradotto, 1987); tuttavia, restano
ancora alcuni dubbi dato l’esiguo numero di studi condotti e le numerose
differenze metodologiche fra di essi. In particolare, è necessaria una ricerca
più approfondita per verificare la stabilità nel tempo e la generalizzazione
a contesti diversi degli effetti del trattamento in questa popolazione. Inoltre, questo paradigma di training può essere utile anche per gli insegnanti.
Malgrado la necessità di indagini ulteriori, il parent training per le strategie
di modificazione del comportamento è una componente essenziale e spesso necessaria di un programma di trattamento multimodale per il DDAI.
Certamente, uno dei principali elementi dell’intervento comportamentale
dello studio MTA era un programma di parent training intensivo (Wells et
al., 2000).
Terapia Familiare Comportamentale per adolescenti
Gli adolescenti con DDAI mostrano spesso elevati tassi di comportamenti
disfunzionali e negligenti, ribellione, problemi della condotta e conflittualità
con i membri della famiglia rispetto agli adolescenti senza il disturbo (Barkley,
Anastopoulos, Guevremont & Fletcher, 1991; Robin, 1998; Weiss & Hechtman, 1993). La conflittualità interpersonale è un problema particolarmente
importante nelle famiglie con DDAI e disturbo oppositivo provocatorio, perché queste ultime hanno maggiori probabilità di manifestare comportamenti
avversivi (per es., insulti, aggressioni verbali) rispetto alle coppie genitoriali
di adolescenti con solo DDAI o senza disturbo (Edwards, Barkley, Laneri,
Fletcher & Metevia, 2001). Possibili approcci per affrontare il conflitto fra i
genitori e l’adolescente includono gli interventi più comuni per il DDAI (per
es., farmaci stimolanti e contingency management) e diverse forme di terapia
familiare (per es., terapia familiare strutturale, Minuchin, 1974).
Un approccio di terapia familiare comportamentale, noto come “training
nel problem-solving e nella comunicazione” (PSCT, Robin & Foster, 1989),
292
Interventi aggiuntivi per il DDAI
combina elementi del contingency management e della terapia familiare strutturale. Nello specifico, la PSCT include la costruzione di competenze quali
l’apprendimento del problem-solving e di atteggiamenti comunicativi adeguati,
l’imposizione di cambiamenti nel sistema familiare e nelle coalizioni. In molti
casi, vengono utilizzate tecniche di terapia cognitiva per ristrutturare i sistemi
di credenze irrazionali dei membri della famiglia (Robin & Foster, 1989).
Due ricerche hanno indagato l’efficacia della PSCT nel trattare adolescenti
con DDAI e disturbo oppositivo provocatorio. Barkley, Guevremont, Anastopoulos e Fletcher (1992) hanno trovato che la PSCT è efficace tanto quanto
le strategie di contingency management e la terapia strutturale nel ridurre il
numero di conflitti e l’intensità della rabbia manifestata nel corso di discussioni a casa. Inoltre, la PSCT migliorava significativamente la qualità della
comunicazione genitori-adolescente, secondo resoconti indipendenti di 21
adolescenti con DDAI e delle loro madri. I genitori riportavano anche miglioramenti nell’adattamento scolastico degli adolescenti e nell’entità dei sintomi
interiori (per es., la depressione) ed esteriori (per es., disturbo della condotta).
Questo trattamento è stato valutato positivamente da tutti i membri della
famiglia attraverso questionari di consumer satisfaction e i miglioramenti conseguiti erano ancora presenti a un follow-up di 3 mesi dopo. Sfortunatamente,
gli effetti del trattamento non erano stati misurati su osservazioni dirette del
conflitto genitore-adolescente, non davano come risultato cambiamenti significativi per la maggioranza del campione e la PSCT sembrava peggiorare
il grado di convinzioni irrazionali che alcune madri avevano sui problemi di
condotta dei loro figli. Barkley e colleghi (2001) hanno replicato questi studi
e hanno inoltre riscontrato che la combinazione della PSCT con procedure di
contingency management migliora i risultati. Gli effetti comportamentali erano
equivalenti per la PSCT da sola e in combinazione con tecniche di contingency
management, anche se le famiglie abbandonavano con maggiore probabilità il
gruppo a cui si applicava la PSCT da sola.
Il funzionamento familiare si normalizzava nel 70% delle famiglie nelle
due condizioni di trattamento. Questi risultati forniscono almeno un supporto preliminare all’utilizzo della PSCT per il trattamento di adolescenti
con DDAI e delle loro famiglie. È necessario indagare ulteriormente quali
famiglie traggano più beneficio da questo trattamento e se, per determinate
famiglie, sia necessario introdurre altre componenti dell’intervento (per es.,
contingency management).
293
DDAI a Scuola
Interventi sui compiti a casa
Dati i problemi scolastici e comportamentali che sperimentano gli studenti con DDAI, non sorprende che molti di loro incontrino difficoltà nello
svolgere i compiti a casa in tempo e bene (Karustis, Power, Rescorla, Eiraldi &
Gallagher, 1998). Tali difficoltà possono includere non scrivere e non portare
i compiti a casa, non completare quelli assegnati con accuratezza, discutere
con i genitori sul completamento dei compiti e non riuscire a riconsegnarli
nel tempo stabilito (Power et al., 2001). Le difficoltà nello svolgimento dei
compiti a casa rivestono un’importanza critica a causa della loro associazione
con il rendimento scolastico (Cooper, Lindsay, Nye & Greathouse, 1998).
Pertanto, negli anni, sono stati sviluppati programmi di intervento per affrontare le difficoltà nello svolgimento dei compiti a casa (per es., Olympia,
Jenson & Hepworth-Neville, 1996).
Power e colleghi (2001) hanno sviluppato e sottoposto a verifica in uno
studio pilota un programma di intervento promettente per i compiti a casa,
specifico per studenti con DDAI. Il loro programma, Homework Success (Riuscire a fare i Compiti a Casa), comprende sette sedute di 90 minuti condotte
con gruppi di genitori. Così come è strutturato, questo programma potrebbe
essere inserito in un parent training (come quello descritto prima) o utilizzato
quale metodo a sé. C’è una forte componente collaborativa in questo intervento, dal momento che in determinati momenti vengono coinvolti sia gli
insegnanti che i bambini . Per esempio, si promuove un incontro fra genitori e
insegnanti all’inizio del programma per identificare i problemi specifici nello
svolgimento dei compiti a casa e per enfatizzare l’importanza della collaborazione casa-scuola.
Le componenti principali di questo programma sono procedure di contingency management e di fissazione degli obiettivi per incoraggiare una coerenza
nella prestazione nei compiti a casa. Gli argomenti trattati nello Homework
Success includono: un’introduzione al programma, la strutturazione di una
routine per lo svolgimento dei compiti, l’attribuzione di rinforzo positivo,
la gestione del tempo e la scelta di obiettivi, l’utilizzo appropriato di metodi
avversivi, l’anticipazione di probabili difficoltà e l’offerta di un servizio di
follow-up di supporto. In questo intervento, che si basa sulla costruzione di
competenze, si insegnano ai genitori strategie nuove in ogni seduta. Ci si
aspetta che i genitori a loro volta eseguano i compiti a casa assegnati fra una
seduta e l’altra e all’inizio di ciascuna seduta si verifica il grado in cui sono
294
Interventi aggiuntivi per il DDAI
riusciti ad applicare le tecniche apprese. Power e colleghi (2001) sottolineano l’importanza di utilizzare dati empirici per verificare i cambiamenti nella
performance dei compiti a casa nel corso del tempo e forniscono numerose
misure per rendere questa raccolta di dati più semplice. Anche se si devono
ancora condurre indagini più approfondite su questa tipologia di intervento, l’analisi controllata di casi singoli indica che lo Homework Success porta a
miglioramenti, in produttività e accuratezza, nello svolgimento dei compiti a
casa (Daniel, Power, Karustis & Leff, 1999).
Gruppi di supporto per genitori
Di solito è piuttosto utile per i genitori di bambini con DDAI interagire
con altri genitori di bambini con difficoltà simili per condividere frustrazioni,
risultati e strategie di supporto. Sono state fondate associazioni di genitori che
svolgono funzioni di sostegno, danno informazioni chiarificatrici sul DDAI
ed esercitano pressione sulle autorità politiche affinché queste garantiscano
sempre più servizi a questa popolazione. Una delle associazioni di genitori più
importante a livello nazionale è la Children and Adults with Attention-Deficit/
Hyperactivity Disorder (Bambini e Adulti con Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività; CHADD) che ha la propria sede a Landover, Michigan1.
La CHADD è stata fondata nel 1987 e ha sezioni locali praticamente in ogni
stato. Oltre a pubblicare un quadrimestrale, organizza una conferenza annuale sul DDAI di risonanza nazionale. I membri della CHADD non sono
solo genitori, ma anche insegnanti e professionisti sanitari che lavorano con
bambini con DDAI. Simili associazioni hanno un ruolo molto importante
nel trattamento complessivo del DDAI, dal momento che forniscono informazioni valide sul disturbo e che sono una guida per i membri nella ricerca
degli interventi educativi e terapeutici appropriati ai loro bambini.
INTERVENTI DI SCARSA O NESSUNA EFFICACIA
Sono stati proposti e sponsorizzati numerosi trattamenti per il DDAI nel
corso degli anni che, in ricerche controllate, si sono dimostrati di efficacia
1
Informazioni sulle modalità di iscrizione alla CHADD o a una sezione locale dell’associazione si
possono ottenere contattato la sede nazionale allo 1-800-233-4050; scrivendo all’indirizzo 8181
Professional Place, Suite 201, Landover MD 20785 o visitando il loro sito Web www.chadd.org
295
DDAI a Scuola
minima nel migliorare i deficit attentivi o che, invece, non sono mai stati
oggetto di ricerche empiriche serie. Malgrado la mancanza di una comprovata efficacia, molti di questi trattamenti (per es., cambiamenti nella dieta
alimentare) godono di una discreta popolarità e vengono utilizzati spesso.
In generale, il supporto per queste terapie deriva “dall’opinione di esperti”
e/o da una validità apparente (ossia hanno senso a livello intuitivo e pertanto
sono estremamente attraenti per il consumatore). Nonostante i trattamenti
non efficaci siano raramente in grado di causare danni a livello fisico, il loro
utilizzo sottrae tempo, energie e risorse importanti all’applicazione di terapie efficaci. Pertanto è importante per i professionisti che lavorano a scuola
essere a conoscenza delle tipologie di trattamento non efficaci e scoraggiarne
l’utilizzo ogni qual volta sia necessario. Certamente, questo dovrebbe essere
fatto con una certa sensibilità, offrendo alternative di intervento che abbiano
un supporto empirico maggiore.I trattamenti per i bambini con DDAI che
hanno un’efficacia minima, se non nulla, includono: il training di rilassamento, la terapia con il gioco, la prescrizione di alcune vitamine, l’integrazione
dietetica di amminoacidi, il biofeedback sull’elettroencefalogramma (ECG), la
somministrazione di erbe medicinali, gli esercizi con movimenti oculari e le
diete alimentari specifiche (per es., quella di Feingold).
Fattori da considerare prima di suggerire un trattamento
A causa della moltitudine di trattamenti proposti per il DDAI, non è possibile discutere i meriti propri di ogni approccio. Ciò non di meno, è importante fornire una serie di linee guida che possono essere utilizzate al momento
di valutare una terapia “nuova” o “alternativa” per il DDAI, considerando che
il suo utilizzo potrebbe sottrarre energie a alternative più efficaci (Ingersoll &
Goldstein, 1993).
1. Se chi sviluppa o propone una terapia sostiene che questa “può curare” il
DDAI o che può essere utilizzata da sola per il trattamento del disturbo, allora è il caso di innalzare una bandiera rossa. Anche i trattamenti più efficaci
e ben comprovati per il DDAI (per es., il trattamento con farmaci stimolanti) non generano miglioramenti stabili nel funzionamento dei bambini e
devono essere integrati da una serie di altri interventi applicati in molteplici
contesti. La pretesa di “essere curativa” deve quindi generare cautela.
2. Alcuni trattamenti che si spacciano per efficaci e potenzialmente curativi
per un’intera serie di disturbi (per es., DDAI, disturbi dell’apprendimento,
296
Interventi aggiuntivi per il DDAI
autismo, depressione) dovrebbero essere valutati con attenzione. È piuttosto improbabile che una terapia specifica porti a risultati clinicamente
significativi nel trattamento di bambini con disturbi differenti. Simili affermazioni dovrebbero implicare un’immediata bandiera rossa e la raccolta
di ulteriori informazioni sui fondamenti empirici della terapia.
3.È obbligatorio per chi sviluppa o propone un nuovo trattamento dimostrarne l’efficacia terapeutica nel contesto di un disegno sperimentale controllato, utilizzando misure valide e affidabili. Non è sufficiente offrire dati
su casi singoli o testimonianze di pazienti soddisfatti. Inoltre, dovrebbero
essere a disposizione dati che permettano un paragone diretto degli effetti
della nuova terapia con quelli ascrivibili a interventi di comprovata efficacia. Pertanto, una delle domande da porre a chi suggerisce un nuovo
trattamento per il DDAI è: “Dove sono i dati?”
4.La qualità della ricerca sperimentale che verifica un nuovo trattamento
può essere valutata ponendo diverse domande. I partecipanti alla ricerca
con diagnosi di DDAI sono stati identificati tramite indici affidabili e validi del disturbo? Le misure sono state raccolte in modo da evitare possibili distorsioni (per es., osservazioni comportamentali condotte da persone
non consapevoli della popolazione clinica che stavano osservando e del
trattamento sotto esame)? Sono state controllati tutti i limiti della validità
interna del trattamento (per es., maturazione)? In che misura i risultati
ottenuti sono generalizzabili ad altri bambini con DDAI? È stata verificata
la significatività clinica (per es., normalizzazione) dei risultati ottenuti? I
ricercatori hanno valutato la generalizzabilità del trattamento a contesti
differenti (per es., a casa e a scuola) e a tempi diversi (per es., in valutazioni
di follow-up)?
5. Ogni qual volta un professionista che lavora a scuola si imbatte in nuovi
trattamenti che non siano supportati da prove empiriche, è importante che
comunichi il proprio scetticismo ai genitori e agli educatori dei bambini
con il DDAI I genitori di questi bambini possono essere particolarmente
propensi a farsi “coinvolgere” in nuovi trattamenti dato l’elevato livello di
frustrazione che sperimentano nella gestione delle difficoltà associate al
DDAI e data la conoscenza dei limiti che hanno gli interventi al momento
disponibili. Inoltre, nella nostra esperienza, questi genitori mancano spesso di una comprensione chiara dei requisiti e delle caratteristiche che uno
studio scientifico di un trattamento dovrebbe avere.
297
DDAI a Scuola
RIASSUNTO
La manifestazione persistente di comportamenti associati al DDAI in contesti differenti e con diverse figure di accudimento richiede la messa in atto
di un programma di intervento multimodale per diversi anni. Una serie di
trattamenti aggiuntivi possono integrare l’utilizzo di strategie di sostegno in
classe e del trattamento farmacologico. Ulteriori strategie da applicare a scuola
includono: il training delle competenze sociali e il peer coaching. Gli interventi
da applicare a casa includono il parent training in tecniche di modificazione
del comportamento, la terapia familiare comportamentale per adolescenti con
DDAI, interventi per lo svolgimento dei compiti a casa e la partecipazione
genitoriale a organizzazioni di sostegno (per es., la CHADD). Nel corso degli anni, sono state proposte numerose terapie per il DDAI (per es., la dieta
Feingold) che non sono state oggetto di indagini empiriche o che si sono rivelate non efficaci nel trattamento del disturbo. Data la popolarità di alcune di
queste terapie, è importante per il professionista che lavora a scuola essere a
conoscenza degli interventi con basi empiriche solide e di quelli meno efficaci, per suggerire in maniera più appropriata un trattamento adeguato per gli
studenti con DDAI.
298
CAPITOLO 8
La comunicazione con i genitori,
gli insegnanti e gli studenti
Una comunicazione chiara e precisa è un aspetto fondamentale di tutti i
servizi professionali in ambito educativo, psicologico, medico ed è una pietra
angolare per l’erogazione di un servizio di qualità agli studenti con DDAI, ai
loro genitori e insegnanti. Esistono diverse ragioni che rendono la comunicazione così decisiva. La valutazione del DDAI e dei problemi a esso associati è
un processo che coinvolge diversi informatori e misure molteplici in contesti
differenti. Inoltre, tale processo prevede la comunicazione di informazioni,
di osservazioni, di opinioni e di giudizi professionali a genitori, insegnanti,
altri professionisti che lavorano a scuola, studenti, psicologi e medici (vedere
anche il Capitolo 2). La progettazione, l’applicazione e la verifica di interventi
per il DDAI implicano componenti e contenuti simili. Di conseguenza, è
necessaria una comunicazione chiara e costante con i genitori, gli insegnanti e
gli altri professionisti impegnati con il bambino in questione e questa prevede
obbligatoriamente la trattazione di contenuti critici per la valutazione, la diagnosi, la progettazione del piano di intervento, la gestione del trattamento in
corso e la fornitura di servizi professionali in generale.
Le prime preoccupazioni sui problemi di comportamento di un bambino
vengono di solito dai professionisti che lavorano a scuola e/o dai genitori.
Inoltre, il personale medico (per es., pediatri, psichiatri) viene coinvolto piuttosto spesso con studenti che hanno un DDAI. Queste persone insieme saranno protagoniste di uno screening, di una segnalazione, della diagnosi, della
selezione di un trattamento e della valutazione dei risultati. La possibilità di
299
DDAI a Scuola
interazioni proficue si basa su comunicazioni affidabili e chiare, anche se diverse nel linguaggio, nelle prospettive e nel background.
C’è inoltre da considerare che una diagnosi di DDAI si basa su un sistema psichiatrico di classificazione (DSM-IV). I bambini segnalati e i genitori
interagiscono, quindi, per la maggior parte del tempo con professionisti che
lavorano a scuola ,mentre, contemporaneamente, usufruiscono di servizi territoriali di medicina di base e di neuropsichiatria. I professionisti che lavorano
a scuola hanno di solito minore familiarità con il DSM che con il sistema di
classificazione incluso nella Legge del 1997 sull’Educazione di Individui con
Disabilità (IDEA, 1997). Dal momento che non si può dare per scontata a
priori una comprensione equivalente di entrambi i sistemi di classificazione
negli individui coinvolti, saranno necessarie alcune spiegazioni (e, in alcuni
casi, un training professionale) che facciano chiarezza sui sistemi stessi e i loro
fondamenti (ossia ricerca, approccio), sulla terminologia utilizzata, sulle implicazioni per il trattamento e su argomenti simili.
Chiaramente, progettare, implementare e verificare l’efficacia di interventi
medici, comportamentali ed educativi per bambini con DDAI sono azioni
che si fondano su una comunicazione efficace, date le differenze intrinseche
nelle convinzioni, opinioni e conoscenze proprie del background di ogni ambito professionale menzionato. L’aspetto che in questo caso ci interessa maggiormente è la scelta della terapia. Troppo frequentemente, infatti, questo atto
si riduce a una competenza clinica o burocratica quando invece l’applicazione
dell’intervento, gli effetti comportamentali positivi e quelli indesiderati vengono sperimentati a casa, in classe e in contesti comunitari. Pertanto, la verifica degli interventi e dei loro effetti richiede una comunicazione fra medici,
genitori, insegnanti, studenti e altri professionisti.
Ultimi, non certo per importanza, sono i principi etici e gli standard professionali dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici1 (NASP, 2000),
che indicano come la comunicazione professionale con i genitori, gli studenti
e gli altri professionisti sia una componente prevista in una buona prassi di
psicologia scolastica. Queste linee guida per la condotta professionale specificano che lo scopo e le possibili conseguenze del coinvolgimento di molteplici
professionisti, come anche le alternative di trattamento devono essere discus-
1
L’Associazione Americana di Psichiatria, il Comitato per i Bambini Speciali e altre organizzazioni
professionali hanno linee guida etiche simili.
300
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
se con i genitori e gli studenti in un modo a loro comprensibile. Forniamo
inoltre le linee guida per lo sviluppo di relazioni fra i professionisti (per es.,
psicologi scolastici e pediatri) quando queste relazioni sono nell’interesse del
bambino coinvolto nel trattamento. Nelle ultime sezioni di questo capitolo,
come indicazioni introduttive, diamo alcuni esempi di queste linee guida.
Lo scopo di questo capitolo è identificare e discutere numerosi argomenti importanti legati al DDAI relativi alla comunicazione fra professionisti
che lavorano a scuola e fra questi e altre figure coinvolte con gli studenti
identificati; quali i genitori, altri professionisti e gli studenti stessi. Anche se
ognuno degli argomenti trattati in questo libro è degno di considerazione e
discussione, in questo caso si dà un’attenzione prioritaria (1) alla relazione fra
una diagnosi di DDAI e i servizi educativi; (2) alle responsabilità dei professionisti dell’educazione; (3) alle questioni relative al trattamento con farmaci
stimolanti e infine (4) ad aspetti specifici della comunicazione con i genitori,
i medici e altri professionisti e gli studenti. Forse stiamo affermando l’ovvio.
Tuttavia, crediamo che affrontare e chiarire questi aspetti possa facilitare i
processi di scelta e di azione, dei professionisti e dei genitori, migliorando così
i risultati per i bambini.
LA DIAGNOSI SECONDO IL DSM E I SERVIZI EDUCATIVI
Nel caso del DDAI, i professionisti e i genitori dovranno valutare una serie
di risposte alla domanda “Come una diagnosi secondo il DSM o un altro sistema di classificazione può relazionarsi con l’erogazione di servizi educativi?”
L’utilità dei sistemi di classificazione diagnostica per i problemi dell’infanzia è
stata oggetto di dibattito per molti anni (Garmezy, 1978; Gresham & Gansle,
1992a, 1992b; Hynd, 1992; Martens, 1992; Reynolds, 1992; Schact & Nathan, 1977; Shapiro, 1992) e ha generato una vasta gamma di opinioni professionali a riguardo. Infatti, secondo il DSM-IV-R (Associazione Americana
di Psichiatria, 2000), una diagnosi è unicamente un punto di partenza per la
progettazione di servizi:
Fare una diagnosi sulla base del DSM-IV rappresenta soltanto il passo iniziale di
una valutazione completa. Per formulare un piano di trattamento adeguato, il clinico
avrà necessità di ulteriori informazioni riguardo all’individuo esaminato, oltre a quelle
richieste per fare una diagnosi con il DSM-IV. Le considerazioni cliniche e scientifiche implicate nella categorizzazione di alcune condizioni quali i disturbi mentali
potrebbero, per esempio, non essere rilevanti ai fini di un procedimento legale, che
301
DDAI a Scuola
tiene in considerazione argomenti quali la responsabilità individuale, le determinazione dell’invalidità e del livello di competenza (pp. xxxiv – xxxv – xxxvi).
Da un punto di vista educativo, si deve riconoscere che il sistema di classificazione del DSM è legato a strumenti e procedure valutative che sono nomotetici nei loro fondamenti e assunti teorici. In psicologia e in ambito educativo,
una valutazione nomotetica affidabile e valida può portare a informazioni
utili per confrontare i bambini fra loro sulla dimensione o sul costrutto misurato (per es., l’intelligenza). Per esempio, un bambino con un punteggio pari
al 37mo percentile a un test di intelligenza ha una performance meno buona di
un suo coetaneo che ha un punteggio pari al 78mo percentile. Sviluppare un
intervento didattico o progettare un programma educativo per un qualunque
bambino solo sulla base di queste informazioni non è giustificabile. Tuttavia,
le informazioni che si basano su procedure di valutazione nomotetiche possono essere utilizzate con un buon grado di affidabilità per prendere decisioni
sullo screening, sulla segnalazione e sulla classificazione diagnostica.
La pianificazione dell’intervento e le decisioni sull’efficacia si collegano
invece con maggiore facilità ad altri strumenti e procedure di valutazione che
nei loro fondamenti e assunti teorici sono idiografici. La valutazione idiografica non si focalizza sulla classificazione comparata degli individui in base ai
comportamenti che presentano (per es., Anna soddisfa i criteri per il DDAI,
mentre James no), ma si concentra piuttosto sul confronto del comportamento di un individuo nel corso del tempo (per es., il rendimento di Sam nella
lettura nel mese di Marzo è molto migliorato rispetto al mese di Novembre)
in seguito al trattamento, alla maturazione, al cambiamento nei programmi e
ad altre simili eventualità.
Nel caso in cui le misure idiografiche possiedano caratteristiche di accuratezza e utilità, possono fornire informazioni utili per lo sviluppo di programmi e interventi didattici efficaci. Per esempio, informazioni valutative accurate sulla performance costante e differenziale di un bambino in due curricoli
di lettura può essere direttamente rilevante ai fini di decisioni sul programma
didattico (per un confronto più approfondito fra l’approccio alla valutazione
nomotetico e idiografico, vedere Barrios & Hartmann, 1986; Cone, 1986;
Merrell, 1999). Sulla base della performance che il bambino ha nella lettura, si
prenderanno di conseguenza decisioni sul curricolo che comportano probabilità di successo maggiori. Anche le valutazioni degli esiti di un trattamento,
e cioè, il confronto del comportamento o della performance dello stesso bambino nel tempo, devono basarsi su informazioni tratte da valutazioni idio302
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
grafiche, anche se potrebbero essere utili ulteriori informazioni derivanti dal
confronto con i pari.
Un fattore restrittivo primario che impedisce il collegamento diretto fra
una diagnosi e l’intervento è la grande variabilità comportamentale presente
nei bambini con DDAI (Barkley, 1998; Frick & Lahey, 1991). Ossia, non
tutti i bambini con una diagnosi di DDAI manifestano le stesse difficoltà
comportamentali e non sperimentano gli stessi problemi a scuola, se mai ne
presentino qualcuno. In termini valutativi, Haynes (1986) identifica la variabilità fra individui con la stessa diagnosi come un problema di “omogeneità
diagnostica”. Nello specifico, Haynes ha riscontrato che “se gli individui inseriti in una specifica categoria di classificazione […] sono omogenei relativamente alle manifestazioni, all’eziologia e alla risposta al trattamento, la sola
categorizzazione è sufficiente per una descrizione e una progettazione dell’intervento e che i benefici di ulteriori valutazioni pre-intervento si riducono”
(p. 391). Data la variabilità nelle manifestazioni del comportamento e nella
risposta al trattamento dei bambini con DDAI (Barkley, 1998), la progettazione dell’intervento, l’applicazione e la verifica richiederanno uno sforzo
professionale ancora maggiore rispetto a quello richiesto dalla diagnosi o classificazione. In parte, il focus di questo sforzo si basa sul training professionale
e sulle responsabilità.
Questi problemi dovrebbero essere apertamente discussi in diversi momenti del processo valutativo. Quando un bambino mostra problemi significativi di disattenzione e/o di controllo del comportamento, il primo passo è
raccogliere informazioni tramite uno screening (vedere il Capitolo 2). A volte,
in questa fase, il genitore, o l’insegnante chiede esplicitamente se si tratti di
DDAI, anche se è proprio questo che si sta cercando di stabilire. La situazione fornisce un’opportunità per dare la giusta prospettiva al processo diagnostico. Nello specifico, bisognerebbe comunicare chiaramente che si stanno
raccogliendo dati valutativi non solo per trarne una diagnosi, ma anche per
raccogliere informazioni in grado di generare un intervento efficace. Similmente, quando si è conclusa la valutazione multimodale del DDAI (ossia le
Fasi II e III; vedere il Capitolo 2), è utile ripetere che la diagnosi è soltanto
una “stazione intermedia” fra la segnalazione e la progettazione di un piano di
trattamento. Inoltre, bisognerebbe sottolineare che il valore informativo della
diagnosi sta proprio nel fungere da guida per ulteriori attività di valutazione,
suggerendo eventuali rischi di comorbidità con altri disturbi o difficoltà di apprendimento e nell’accrescere la probabilità di scegliere strategie terapeutiche
303
DDAI a Scuola
efficaci. Infine, bisogna evidenziare, in particolare con i membri del personale
scolastico, che sarà necessario condurre una valutazione in itinere del funzionamento del bambino per verificare l’efficacia delle procedure di intervento
applicate. Quando si comunicano con determinazione tutti questi punti, il
focus dell’équipe valutativa può essere equamente distribuito sulla valutazione
multimodale, sulla decisione diagnostica e sullo sviluppo di un protocollo
di trattamento potenzialmente efficace. A nostro parere, questo equilibrio è
importante, dal momento che troppo frequentemente il grosso degli sforzi
professionali va nella direzione della diagnosi con relativamente poco impegno nella definizione dell’intervento.
La trattazione di questi argomenti può aiutare a identificare e chiarire le
aspettative dei genitori, degli insegnanti e delle altre persone coinvolte sull’uso
e sui benefici di molteplici procedure valutative. Uno strumento eccellente
che può incoraggiare e facilitare queste discussioni, come anche confronti
sugli approcci al trattamento del DDAI, è la Attention Deficit/Hyperactivity
Disorder Knowledge and Opinion Survey (Intervista sulle conoscenze e le opinioni relative al Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività; AKOS),
pubblicata da Power e colleghi (2001). La AKOS è costituita da 43 item vero/
falso e a scala Likert per determinare la tipologia di aspettative, conoscenze e
opinioni del genitore/insegnante su una varietà di strategie di valutazione e
trattamento per il DDAI. L’identificazione e il chiarimento di queste aspettative dovrebbe aiutare a comprendere meglio la necessità di collegare la valutazione, l’intervento e la didattica in caso di studenti con DDAI.
TRAINING FORMATIVO E RESPONSABILITÀ
Le principali responsabilità professionali in ambito educativo riguardano
lo sviluppo e la trasmissione di materiale didattico e del programma curricolare. Come tali, gli educatori prendono decisioni e intraprendono azioni su cosa
insegnare (selezionare i programmi e gli obiettivi didattici), come insegnarlo
(identificare quali materiali, procedure e metodologie utilizzare), quando insegnarlo (pianificazione e organizzazione didattica), chi lo insegnerà e dove
insegnarlo (ambiente educativo). Le decisioni relative a questi aspetti sono
importanti per tutti gli studenti, inclusi quelli con DDAI e probabilmente
definiscono l’ambito educativo. Pertanto, questi aspetti dovrebbero essere
primari nel processo decisionale degli educatori responsabili di studenti con
DDAI in relazione all’apprendimento e al successo formativo del bambino.
Inoltre, dal momento che la diagnosi e il trattamento del DDAI coinvolgono
304
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
quasi sempre il pediatra, lo psichiatra, lo psicologo clinico e altri professionisti, è necessario sviluppare e mantenere atteggiamenti collaborativi nella fase
valutativa e di intervento.
La vasta gamma di questioni e problematiche che richiedono il coinvolgimento di più professionisti nel caso di bambini con una diagnosi di DDAI
implicano necessariamente una collaborazione interdisciplinare. Sono anche
necessari confronti aperti sui ruoli e sulle relative responsabilità di tutti i professionisti coinvolti.
Gli psicologi scolastici e gli educatori specializzati, in particolare, possono
essere investiti da richieste molto impegnative soprattutto alla luce del possibile inserimento dei bambini con DDAI in servizi di educazione speciale nella
categoria “Altri problemi di Salute” della Legge sull’Educazione di Individui
con Disabilità del 1997 (IDEA 1997; Hakola, 1992). Per esempio, questi
professionisti e i loro colleghi avranno quasi sicuramente bisogno di una formazione professionale aggiuntiva per acquisire familiarità e competenza con
il sistema di classificazione psichiatrico DSM, con la psicopatologia dell’età
evolutiva, la psicofarmacologia e i metodi e modelli della psicologia clinica e
della psichiatria.
Inoltre, i professionisti devono essere preparati a discutere con i genitori
e con altre figure circa i modelli educativi disponibili e le opzioni possibili
per gli studenti con DDAI. Dovranno rispondere, per esempio, alle seguenti
domande: (1) il bambino è candidabile o meno all’inserimento in servizi di
educazione speciale?; (2) il bambino dovrebbe poter usufruire di un “piano
educativo individualizzato” sulla base della 504? e (3) in quale modo il sistema
scolastico fornisce un supporto adeguato a questo studente con DDAI?
Molti bambini con DDAI possono essere inseriti in servizi di educazione
speciale all’interno del sistema scolastico pubblico in base ad alcune categorie dell’IDEA 1997 (vedere Telzrow & Tankersley, 2000, per una rassegna
completa della legislazione). Tuttavia, i bambini con DDAI non sono automaticamente qualificabili sotto le categorie dell’IDEA solo per il fatto di
avere una diagnosi di DDAI. La legge IDEA e le precedenti sostengono che
gli studenti americani affetti da una disabilità devono poter ricevere un’educazione pubblica gratuita e adeguata, all’interno di un ambiente che sia il
meno restrittivo possibile e che possano beneficiare di un piano educativo
individualizzato (PEI). L’inserimento in servizi di educazione speciale sotto le
categorie dell’IDEA è subordinata alla soddisfazione di due criteri. Il primo è
essere affetto da un disturbo già classificato dall’IDEA. I bambini con DDAI
305
DDAI a Scuola
possono rientrare nelle categorie di “disturbo specifico dell’apprendimento”,
“altri problemi di salute” e, a volte, “disturbo emotivo”. Il secondo criterio è
che un bambino con un determinato disturbo abbia un bisogno reale di un servizio di educazione speciale. Quest’ultimo criterio può essere spesso soddisfatto
dimostrando una risposta non positiva a interventi e programmi di sostegno
messi in atto all’interno di programmi didattici normali dallo staff di una scuola pubblica normale. In molti casi i genitori, e in alcuni casi anche i professionisti, non sono a conoscenza di questo secondo criterio e potrebbero quindi
trarre benefici da una trattazione dei requisiti necessari alla candidabilità.
Un’altra normativa adattabile agli studenti con DDAI a scuola è la Sezione 504 della Legge sulla Riabilitazione del 1973 (vedere Zirkel & Aleman,
2000, per una rassegna di questa legge e delle sue implicazioni nella prassi
educativa). In generale, questa legge vieta la discriminazione sulla base della
presenza di una disabilità, alle istituzioni che, come le scuole, percepiscono
fondi federali. La Sezione 504 sentenzia che gli studenti con una disabilità
mentale o fisica che compromette in modo sostanziale un’attività significativa
della vita (come l’educazione) possono beneficiare di attività di sostegno e di
modifiche al programma che permettano la partecipazione attiva in contesti
di educazione normale o speciale (vedere il Capitolo 3 per una discussione
completa dell’IDEA e della Sezione 504). Si dovranno fare ulteriori sforzi per
aiutare i genitori e i professionisti a conoscere le differenze fra la candidabilità
sulla base dell’IDEA e il sostegno previsto dalla Sezione 504.
Un altro argomento da considerare sempre in questo ambito è che la psicologia scolastica, l’educazione speciale e, per alcuni aspetti anche l’educazione
normale hanno valutato e in alcuni casi hanno adottato modelli di erogazione
non categoriali e orientati all’intervento e ai risultati (Bardon, 1988; Reschly,
1988, 2000; Reschly, Tilly & Grimes, 1999; Stoner & Green, 1992b). A oggi,
tuttavia, non è stato ancora adeguatamente valutato a livello professionale
come questi modelli possano adattarsi ai bambini con DDAI (confrontare,
per esempio, Hakola, 1992, con Stoner & Carey, 1992).
L’erogazione di servizi in un’ottica non categoriale ha, in parte, l’obiettivo
di evitare un’enfasi eccessiva sulla diagnosi e sulla classificazione dei bambini, che potrebbero impedire agli psicologi scolastici di assumere un ruolo
maggiormente attivo e di assumersi delle responsabilità nello sviluppo e nell’applicazione di interventi efficaci. Per analizzare questo punto in maniera più approfondita, supponiamo che i professionisti che lavorano a scuola
abbiano a che fare con un bambino che ha ricevuto una diagnosi corretta di
306
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
DDAI. Questo disturbo rappresenta necessariamente una condizione disabilitante e come tale richiede l’invio a servizi speciali? Si ritiene che un disturbo
classificabile, come il DDAI, diventi un handicap solo in un ambiente non
accomodante (Kameenui & Simmons, 1990; Shinn, 1998). Ossia, se una
scuola fornisce un supporto formativo e sociale tale che uno studente affetto
da una disabilità non è considerato un handicappato (per es., la performance
soddisfa o supera le aspettative ed è proporzionata rispetto a quella dei coetanei), si può sostenere che questa scuola sta erogando un servizio esemplare.
Ovviamente, nel caso in cui uno studente non soddisfi le aspettative del suo
ambiente attuale, si dovrebbero mettere in atto degli adattamenti sensati per
sostenere lo studente (e l’insegnante) nel tentativo di soddisfare queste aspettative (per es., associare i contenuti didattici con le competenze scolastiche
esistenti, fornire feedback positivi e correttivi con maggiore frequenza, accrescere la motivazione a impegnarsi in compiti scolastici, accrescere le opportunità di esercitare competenze e conoscenze appena apprese) e di conseguire il
successo formativo. In questo caso si pone l’enfasi sull’incoraggiare le scuole a
destinare le proprie risorse limitate soprattutto a procedure che monitorizzino
e promuovano il progresso sociale e scolastico individuale di tutti gli studenti
(Reschly, 1988, 2000).
Le problematiche relative all’erogazione del servizio devono essere discusse
da tutte le parti interessate in modo da chiarire le aspettative e le responsabilità di ciascun membro dell’équipe e in modo che i genitori comprendano
cosa aspettarsi dal personale della scuola con il quale stanno lavorando. La
chiarificazione delle aspettative e delle responsabilità dei membri dell’équipe
dovrebbe essere fatta in almeno tre momenti del processo di valutazione e di
intervento. Prima di condurre la valutazione multimodale del DDAI (ossia
la Fase II del processo valutativo, vedere il Capitolo 2), si dovrebbero delineare con chiarezza le responsabilità specifiche di ogni professionista che
lavora a scuola. Inoltre, bisognerebbe anche indicare e discutere apertamente
le “distorsioni” teoriche e professionali di ciascun membro dell’équipe. Per
esempio, in alcuni casi gli insegnanti e i genitori possono addirittura dubitare
dell’esistenza di un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività e potrebbe
quindi essere necessaria una trattazione del Documento Internazionale di Accordo sul DDAI (Barkley, 2002). Anche se la trattazione di argomenti simili
non porterà necessariamente a un appianamento completo dei conflitti e delle
discordanze esistenti, accrescerà la consapevolezza delle somiglianze e delle
differenze fra le posizioni di tutti i membri dell’équipe. Questo sarà almeno il
307
DDAI a Scuola
primo passo per promuovere una maggiore collaborazione nell’erogazione di
servizi da parte di un’équipe.
Un altro momento in cui è necessaria questa chiarificazione è al momento
della progettazione del piano di intervento (Fase IV del processo valutativo,
vedere il Capitolo 2). A questo punto, vanno prese delle decisioni non solo sul
trattamento da suggerire, ma anche su chi applicherà ciascuna componente
dell’intervento stesso. Ci potrebbe essere una confusione iniziale in alcuni
membri su cosa sia effettivamente il DDAI e su quali siano i trattamenti più
efficaci per affrontarlo. In particolare, potrebbero sorgere dubbi sull’utilizzo
di farmaci stimolanti. Potrebbe essere utile dare a tutti informazioni scritte (vedere l’Appendice 6.1) e/o suggerire una bibliografia ragionata (vedere
l’Appendice 8.1) sul DDAI e sui relativi trattamenti. La nomina di un case
manager (vedere il Capitolo 9 per una discussione più approfondita sul ruolo
del case manager) faciliterà la pianificazione del trattamento e il mantenimento di una costanza nell’erogazione del servizio. Dato che alcune terapie per il
DDAI (per es., i farmaci stimolanti) sono applicate da professionisti di servizi
territoriali, la necessità che la scuola “parli attraverso una voce sola” è particolarmente cruciale.
Potenziali disaccordi fra i membri dell’équipe dovrebbero essere manifestati apertamente e risolti prima dell’applicazione di qualunque procedura di
intervento. Nella nostra esperienza, anche se questa fase di confronto all’interno dell’équipe potrebbe ritardare l’erogazione del servizio, spesso permette di
evitare conflitti più gravi che comportano una notevole perdita di tempo una
volta iniziato il trattamento.
Le aspettative e le responsabilità relative all’erogazione del servizio dovrebbero essere periodicamente discusse anche nel corso della verifica in itinere
delle strategie di intervento. Si dovrebbero tenere numerosi incontri all’anno
per l’équipe scolastica, che includano i genitori, per discutere l’efficacia di
ogni specifica componente terapeutica e l’eventuale necessità di modifiche
al programma. Ciò fornisce l’opportunità di fare cambiamenti anche nelle
responsabilità assunte dai componenti dell’équipe, se fosse necessario. È particolarmente importante per i membri dell’équipe (ossia insegnanti e genitori)
che applicano la parte più consistente dell’intervento, ricevere rinforzi e supporto per i loro sforzi. Inoltre, se possibile, sarebbe opportuno far ruotare le
responsabilità fra i membri dell’équipe per accrescere il senso di collegialità e
per prevenire il potenziale burnout.
308
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
ASPETTI RELATIVI AL TRATTAMENTO CON FARMACI STIMOLANTI
Come già discusso nel Capitolo 6, la terapia più frequente per il DDAI è
quella con i farmaci stimolanti, in particolare il metilfenidato (MPH). A parere unanime, l’utilizzo di farmaci stimolanti nel trattamento delle difficoltà
associate al DDAI è piuttosto comune e condiziona la vita di molti bambini
in età scolare. Inoltre, per coloro che ne traggono beneficio, la risposta al farmaco sarà idiosincratica in relazione alla dose e al comportamento.
Infine, alcuni bambini sperimenteranno gli effetti collaterali associati a questi
farmaci.
L’uso di farmaci stimolanti (SMT) per problemi di disattenzione, iperattività e impulsività nei bambini, è stato oggetto di numerose controversie.
Le principali problematiche sollevate sono relative alle differenze fra la prassi
professionale sostenibile e le convinzioni personali dei genitori, degli educatori e degli altri professionisti coinvolti, che riguardano (1) i potenziali benefici
del trattamento; (2) i potenziali effetti dannosi del trattamento e, infine, (3)
il peso che hanno i genitori, gli educatori e gli altri professionisti nel processo
decisionale sull’intervento.
La comunicazione e la trattazione di ognuno di questi aspetti diventeranno
molto importanti nel caso in cui si considerino il trattamento con stimolanti
o altri farmaci per un bambino con DDAI.
Potenziali Benefici del Trattamento con Farmaci Stimolanti
Numerose ricerche condotte a partire dagli anni ’60 hanno documentato
effetti positivi a breve termine del trattamento con stimolanti nella maggior
parte dei bambini con una diagnosi di disturbo iperattivo e/o di disattenzione.
Questi risultati sono stati riscontrati nelle aree (1) della performance scolastica;
(2) delle interazioni sociali e (3) in compiti individuali di valutazione della
performance (vedere il Capitolo 6).
Tuttavia, è stato anche dimostrato che la risposta agli stimolanti varia da
bambino a bambino (anche in quelli con lo stesso peso corporeo) e nei differenti comportamenti target di ciascun individuo (Rapport & Denney, 2000).
Pertanto, gli esiti del trattamento con stimolanti sul singolo bambino devono
essere valutati con molta cautela e attraverso la produzione e l’analisi di dati
individuali (vedere il Capitolo 6 per i dettagli sulla valutazione in contesto
scolastico del trattamento farmacologico).
309
DDAI a Scuola
Potenziali Effetti Collaterali del Trattamento con Farmaci Stimolanti
I potenziali effetti collaterali del trattamento a base di psicostimolanti sono
l’aspetto che maggiormente preoccupa i genitori e i professionisti. I bambini
trattati con gli stimolanti possono sperimentare effetti collaterali negativi a
livello fisico, quali riduzione dell’appetito, nausea, mal di testa, irritabilità,
insonnia, interruzione della crescita e, in rari casi, tic motori o vocali (vedere
il Capitolo 6). Inoltre, in una minoranza di casi, il trattamento con stimolanti può portare il bambino a un comportamento di “iperconcentrazione”
che si manifesta attraverso un’attenzione esagerata a stimoli specifici e una
lentezza nel spostare la concentrazione su compiti o attività differenti. Anche
se problemi come questi sono stati riferiti di solito per dosaggi molti elevati,
potrebbero verificarsi anche a dosi basse. I professionisti e i genitori devono
discutere queste eventualità e valutare i sistemi per monitorare l’eventuale
insorgenza di effetti collaterali.
Convinzioni personali e conflitti su quale trattamento intraprendere
Da un punto di vista relativo alle convinzioni personali, alcuni genitori e
professionisti si oppongono con forza all’utilizzo di farmaci stimolanti con i
bambini. Tali convinzioni prendono forme differenti e non sono facilmente
attribuibili a un’unica fonte di preoccupazione. Opinioni contrarie all’utilizzo
di farmaci si possono trovare in un gran numero di pubblicazioni professionali e divulgative. Per esempio, un ricercatore (O’Leary, 1980) ha sostenuto
che i bambini con questa diagnosi hanno bisogno di apprendere competenze
sociali e di self-management più che di essere acquietati con composti chimici.
In modo simile, un libro molto popolare pubblicato negli anni ’70 (Schrag &
Divoky, 1975) ha affermato che i farmaci stimolanti, così come la diffusione
su larga scala dei test, delle diagnosi e degli interventi di “modificazione comportamentale” con i bambini, erano tutte modalità di controllo istituzionale
illegale sui diritti umani. Più recentemente, un’organizzazione facente parte
della Chiesa di Scientologia (Church of Scientology), la Commissione dei Cittadini per i Diritti Umani (Citizens Commission on Human Rights), ha supportato azioni legali contro medici che prescrivevano farmaci e ha organizzato
picchetti davanti a sedi di conferenze di professionisti. Questo gruppo sostiene che l’utilizzo di farmaci stimolanti e di altri farmaci psicotropi nell’infanzia
trasforma i bambini di età scolare in “drogati”. Come discusso nel Capitolo 6,
queste critiche ai farmaci stimolanti non sono supportate dalla letteratura di
310
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
ricerca. Sfortunatamente, godono di una considerazione eccessiva e non vengono influenzate dai dati ottenuti dalle ricerche. Tuttavia, in una prospettiva
empirica, dati validi e affidabili sugli esiti significativi di alcuni trattamenti
possono e devono essere i determinanti più importanti della decisione dei
genitori e dei professionisti sull’utilità terapeutica dei farmaci stimolanti.
I dati sui risultati permettono di affidarsi a giudizi razionali in relazione a
una valutazione costi-benefici del trattamento con psicostimolanti per ogni
singolo bambino. Inoltre, focalizzandosi su una serie di valori attentamente
misurati (per es., la performance scolastica, il comportamento sociale, gli effetti collaterali fisici) si possono trovare risposte sia ai dubbi, sia agli obiettivi dei
genitori e dei professionisti coinvolti. Pertanto, se il medico di un bambino
e l’équipe che ha condotto la valutazione a scuola concordano sulla necessità
di un trattamento con farmaci stimolanti, i genitori del ragazzo dovrebbero
ricevere informazioni chiare e non distorte sui costi e sui benefici del trattamento poichè saranno i protagonisti della verifica dell’efficacia. Per esempio,
si potrebbe consegnare ai genitori un piccolo opuscolo, simile a quello per
gli insegnanti presentato nell’Appendice 6.1, in cui sono presentati i potenziali benefici ed effetti collaterali degli stimolanti (vedere Barkley & Murphy,
1998, per un opuscolo sui farmaci per i genitori).
La decisione dei genitori sul trattamento farmacologico dovrebbe essere
presa in contesti idonei. La prima decisione riguarda la possibilità di effettuare una prova farmacologica controllata con gli stimolanti (o altri farmaci) e
non il prescrivere una terapia farmacologica a un bambino senza possibilità
di revoca. Inoltre, i genitori dovrebbero essere consapevoli della necessità di
una verifica in itinere della risposta ai farmaci che deve essere fatta almeno
una volta all’anno. Pertanto, anche se la prima prova farmacologica dà buoni
risultati, i professionisti non devono comunicare ai genitori che il trattamento
farmacologico è una componente permanente del piano di intervento. Ciò
non di meno, data la persistenza dei sintomi del DDAI, è realistico credere
che i farmaci saranno necessari per almeno un anno se non di più.
Coinvolgimento della Scuola
La gestione e la valutazione del trattamento con stimolanti spesso coinvolge attività che si svolgono all’interno della scuola e della classe. Le indicazioni
per il coinvolgimento e la collaborazione della scuola con i medici sono state
discusse ampiamente in altre sedi (vedere il Capitolo 6; vedere anche Brown
& Sawyer, 1998; Gadow, 1993) e includono (1) stabilire una politica terri311
DDAI a Scuola
toriale o scolastica e individuare metodologie comunicative da utilizzare con
i medici; (2) individuare un sistema di verifica ampio dei risultati ottenuti
da bambini che sono sotto trattamento con farmaci stimolanti; (3) definire
i ruoli specifici del personale scolastico nell’applicazione e nel monitoraggio
delle prove farmacologiche e (4) assicurarsi che tutto lo staff abbia ricevuto
un addestramento adeguato per rispondere appieno alle proprie responsabilità. Gli psicologi scolastici e le infermiere dovrebbero essere le persone più
indicate per coordinare e curare l’applicazione di queste regole all’interno del
territorio in cui lavorano.
Oltre a considerare le questioni relative alla valutazione e alla diagnosi, alle
responsabilità educative e ai farmaci stimolanti, il lavoro con bambini con
DDAI richiede che i professionisti dell’educazione comunichino informazioni specifiche, segnalazioni (per es., invii per valutazioni diagnostiche) e aspettative ai genitori, agli altri professionisti e ai bambini. Queste comunicazioni
specifiche sono il focus della parte restante del capitolo.
LA COMUNICAZIONE FRA I PROFESSIONISTI DELL’EDUCAZIONE E I GENITORI
Il brano seguente delinea l’approccio ideale che i professionisti che lavorano a scuola dovrebbero avere (Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici, 2000):
Principio Etico C1. Gli psicologi scolastici illustrano tutti i servizi ai genitori in modo
chiaro e comprensibile. Si sforzano di proporre un insieme di alternative che tengono
conto dei valori e delle capacità di ogni singolo genitore.
Principio Etico C3. Gli psicologi scolastici incoraggiano e promuovono la partecipazione genitoriale alla progettazione dei servizi per i propri bambini. Quando è il caso, si
possono collegare gli interventi fra scuola e casa, adattando il coinvolgimento dei genitori
alle competenze proprie di ogni famiglia e cercando di facilitare l’acquisizione delle abilità
necessarie ad aiutare i bambini.
Principio Etico C4. Gli psicologi scolastici rispettano la volontà dei genitori che si oppongono ai servizi psicologici a scuola e cercano di indirizzarli ad altre risorse territoriali
disponibili.
Principio Etico C5. Gli psicologi scolastici discutono con i genitori le indicazioni e i
trattamenti per assistere i bambini. Questa discussione include le alternative associate a
ciascun insieme di trattamenti, nel rispetto dei valori etnici e culturali di ogni famiglia. I
genitori vengono informati delle fonti di aiuto disponibili a scuola e sul territorio.
La comunicazione con i genitori sull’educazione di bambini con DDAI
si può, a grandi linee, concepire come un tentativo di coinvolgere i genitori
312
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
e di supportarli nel corso di una serie di attività che concorrono al processo
decisionale in ambito educativo. Il tempo e l’impegno necessari a questo tipo
di comunicazioni e attività variano molto a seconda delle situazioni. Sarà, infatti, differente il tempo necessario per la comunicazione del processo in atto e
il consenso alla valutazione rispetto a quello richiesto per il completamento di
scale di valutazione del comportamento o per la partecipazione a un’intervista
strutturata con lo scopo di individuare gli obiettivi educativi. Indipendentemente dal tempo richiesto, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di comunicare nella maniera più diretta e chiara possibile con i genitori e di facilitare
al massimo il loro coinvolgimento e la loro comprensione. Si deve porre particolare attenzione a questioni quali la necessaria comunicazione dell’iter valutativo in atto, il coinvolgimento genitoriale nel processo decisionale in ambito
educativo e i ruoli dei genitori nell’applicazione dell’intervento educativo.
Comunicazione necessaria del processo valutativo in atto
La Legge sull’Educazione di Individui con Disabilità del 1997, le leggi a
essa precedenti e le leggi dello stato che si occupano di argomenti correlati
assicurano il diritto di tutti i bambini a un’educazione gratuita e adeguata,
indipendentemente dalla disabilità o dall’handicap presente. Queste leggi prevedono che si comunichi ai genitori il processo valutativo avviato e che essi
diano il loro consenso all’inserimento iniziale dei bambini in classi di educazione speciale e alla valutazione che potrebbe, in seguito, condurre a una decisione di questo tipo (Bersoff & Hofer, 1990). La comunicazione ai genitori
è obbligatoria anche quando si tengono degli incontri allo scopo di prendere
simili decisioni. Bersoff e Hofer (1990) hanno evidenziato che un consenso
informato implica che i genitori siano a conoscenza delle azioni che andranno
intraprese, che acconsentano volontariamente o liberamente senza alcuna costrizione e che siano in grado o abbiano le competenze per dare il consenso.
Queste richieste procedurali e il coinvolgimento nel processo decisionale in
ambito educativo, possono essere meglio garantiti attraverso una comunicazione informativa aperta.
Coinvolgere i genitori nel processo decisionale e nella progettazione educativa
Salvia e Ysseldyke (1998) hanno individuato cinque distinte, ma relazionate, tipologie di decisioni educative che possono essere facilitate da un processo
valutativo accurato: lo screening, la segnalazione, la diagnosi o la candidabilità,
la progettazione dell’intervento didattico, inclusa la decisione di dove posizio313
DDAI a Scuola
nare il ragazzo e la verifica del trattamento (compresa la valutazione del progresso dello studente). Per i professionisti è obbligatorio chiarire e discutere
con i genitori gli aspetti e le procedure di valutazione necessari per ognuna di
queste scelte e come questi si relazionino al processo decisionale. Tali discussioni possono aiutare i genitori a diventare utenti completamente informati
e consapevoli che possono pertanto agire nel migliore interesse del bambino
in questione. Durante tali colloqui, i professionisti dovranno probabilmente
chiarire ai genitori diversi aspetti del loro lavoro, fornendo informazioni su
alcune, se non tutte, delle seguenti dimensioni: qual’è, per esempio, il modello (o l’approccio teorico) professionale adottato e, sulla base di questo, quali
sono le implicazioni pratiche; quali attività, nell’ambito del processo valutativo, vengono intraprese di solito dal professionista nella fase di screening, di
segnalazione, di diagnosi e valutazione della candidabilità; come far capire ai
genitori che non esiste un test “cartina tornasole” per il DDAI, soprattutto nel
caso di genitori e insegnanti che chiedono con insistenza di sapere con certezza assoluta se quel bambino sia affetto o meno da DDAI.
Quando si arriva alla diagnosi di DDAI, i genitori dovranno essere informati della natura e delle implicazioni di una simile classificazione. Per esempio, come si è giunti a questa diagnosi? Come i genitori dovrebbero affrontare
il problema? Dovrebbero vederlo come un disturbo medico o evolutivo, un
problema scolastico o come una combinazione di questi tre aspetti? Qual è la
prognosi per i bambini con DDAI? In base alla nostra esperienza, può essere
utile far comprendere ai genitori dei bambini con DDAI che, in generale,
avranno a che fare con due problemi principali: avranno difficoltà a controllare
il comportamento del loro bambino e avranno difficoltà a insegnargli qualcosa.
A questo punto, potrebbe essere utile presentare le strategie e le opzioni di
gestione del comportamento per genitori e insegnanti, le strategie di self-management e il trattamento farmacologico. Inoltre, sempre con riferimento ai
trattamenti, si dovrebbe comunicare ai genitori l’importanza di progettare,
applicare e verificare accuratamente i trattamenti scelti. Infine, i professionisti dovrebbero fare del loro meglio per sfatare tutti i “miti” che esistono sul
DDAI; per esempio, quello che il DDAI sia causato da intolleranze alimentari
o che la risposta al trattamento farmacologico sia un indicatore della presenza
di DDAI. Questi argomenti si possono trattare al momento in cui si discutono determinati aspetti del disturbo (per es., l’eziologia, la valutazione o l’intervento). Tali confronti possono essere facilitati fornendo ai genitori dei brevi
opuscoli sul DDAI (vedere Barkley, 1998) oppure una bibliografia ragionata
sull’argomento (vedere Appendice 8.1).
314
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
Il Coinvolgimento dei Genitori nel piano educativo
Lo sviluppo di una partnership professionisti-genitori, in cui siano presenti
sforzi congiunti per promuovere una responsabilità condivisa circa l’apprendimento dello studente, è parte dello spirito della legge IDEA 1997 e delle
altre leggi a essa collegate. Inoltre, è stato dimostrato che il coinvolgimento
dei genitori nelle attività educative e scolastiche accresce le possibilità di successo dello studente (Christenson, Rounds & Gorney, 1992; Christenson &
Sheridan, 2001). Tuttavia, come Epstein (1986) ha evidenziato, anche se i genitori desiderano che i propri figli abbiano buoni risultati a scuola, in generale, non hanno le idee chiare su come sostenerli nel raggiungimento di questo
obiettivo. Christenson e Sheridan (2001) forniscono una rassegna eccellente
della letteratura sulle influenze genitoriali e familiari sul successo formativo
degli studenti che si sono dimostrate positive e manipolabili. Di particolare
importanza per il nostro argomento sono le influenze genitoriali sulla comunicazione scuola-casa, la strutturazione e compartecipazione, a casa, in attività
relazionate con l’apprendimento.
Si possono prendere in considerazione una vasta gamma di strategie comunicative casa-scuola. Per esempio, Turnbull e Turnbull (1986) e Christenson e
Sheridan (2001) descrivono e illustrano, come strategie percorribili, l’organizzazione di seminari, visite informali a scuola, contatti telefonici, note o blocchi
in cui registrare appunti (vedere il Capitolo 5 per una trattazione e un esempio
di note casa-scuola), bollettini informativi e schede di report. Inoltre, suggeriscono anche ai professionisti di incoraggiare i genitori a esprimere eventuali
preferenze sulle metodologie e la frequenza delle comunicazioni casa-scuola.
Queste strategie possono essere utilizzate per accrescere la comprensione genitoriale dei programmi scolastici, come anche per facilitare il monitoraggio
a casa del comportamento e del rendimento dello studente. Inoltre, il loro
utilizzo può accrescere la capacità dei genitori di discutere aspetti specifici del
comportamento dei loro bambini a scuola e a casa e di introdurre nelle loro
routine casalinghe tecniche motivazionali e di feedback che vengono utilizzate
a scuola. In aggiunta, genitori consapevoli possono riconoscere e prevenire
eventuali problemi o gestirli nei momenti in cui essi si presentano (vedere
Eddy, Reid & Curry, 2002, per una discussione sul ruolo critico dei genitori
nella prevenzione di pattern di comportamento antisociale). Una caratteristica
importante di queste strategie è che sono in grado di aiutare i genitori nel comunicare e nell’insegnare ai loro bambini che l’educazione, l’apprendimento
e il comportamento socialmente appropriato sono valori importanti.
315
DDAI a Scuola
Le attività di apprendimento a casa insegnano inoltre ai bambini che l’educazione e l’imparare sono decisivi. I genitori possono, per esempio, essere
coinvolti nel controllo dello svolgimento dei compiti a casa e nella discussione
di incombenze e responsabilità che il bambino ha a scuola. Inoltre, i genitori
possono promuovere l’apprendimento assicurandosi di rendere disponibili i
libri a casa, leggendo loro stessi, mostrando piacere nella lettura e nella discussione di molteplici argomenti e fornendo numerose occasioni di conoscenza ai
loro figli. Tuttavia, è piuttosto probabile che i genitori dovranno essere aiutati
nell’organizzazione e nella strutturazione di simili attività (per informazioni e
materiali utili vedere Christenson & Sheridan, 2001; Epstein, 1986; Power et
al., 2001). Non si dovrebbe inoltre presumere che gli insegnanti abbiano familiarità con le strategie da consigliare ai genitori o che si sentano in grado di
fornire simili indicazioni. Gli psicologi scolastici, gli insegnanti e il personale
amministrativo, lavorando insieme ai genitori, possono tuttavia promuovere
il coinvolgimento di questi ultimi in pratiche che migliorano l’apprendimento e il rendimento scolastico.
LA COMUNICAZIONE CON I MEDICI E ALTRI PROFESSIONISTI
Il Manuale di Condotta Professionale dell’Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici (2000) recita così:
Principio Etico E1. Per soddisfare meglio le necessità dei bambini e di altri pazienti, gli psicologi scolastici collaborano con altri professionisti sulla base di relazioni di
rispetto reciproco.
Principio Etico E2. Gli psicologi scolastici riconoscono la competenza degli altri
professionisti. Incoraggiano e promuovono l’utilizzo di tutte le risorse disponibili per
i bambini e gli altri pazienti.
Principio Etico E3. Gli psicologi scolastici dovrebbero sforzarsi di esplicitare le
proprie competenze e l’ambito di applicazione, includendo ruoli, responsabilità e relazioni di lavoro con altri professionisti.
Principio Etico E4. Gli psicologi scolastici collaborano e lavorano in cooperazione
con altri professionisti e altre organizzazioni tenendo sempre a mente i diritti e le
necessità dei bambini e degli altri utenti. Se un bambino o un altro assistito sta ricevendo servizi simili da un altro professionista, gli psicologi scolastici promuovono il
coordinamento degli incarichi.
Per la nostra esperienza, nel caso del DDAI, le comunicazioni e le segnalazioni del personale educativo ai medici riguardano due argomenti principali:
la diagnosi del disturbo e il trattamento farmacologico. In questi casi, le fami316
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
glie dovrebbero essere coinvolte nel processo decisionale (per es., nel caso di
una segnalazione) e dovrebbero essere sempre trattate con rispetto e dignità.
A tal fine, la persona responsabile della segnalazione dovrebbe aiutare pazientemente i genitori a comprendere lo scopo di tale azione. Per esempio, si
potrebbe dire ai genitori: “Siamo preoccupati per il vostro bambino in quanto
crediamo che possa avere un DDAI. In molti casi in cui esiste un simile dubbio, può essere utile chiedere il parere di un medico. In questo caso vorremmo
fare una segnalazione al vostro pediatra [o altro medico] per una valutazione
professionale”. Se i genitori sono d’accordo con la segnalazione, si dovrebbe
aiutarli fornendo loro una lettera (o in alcuni casi facendo una telefonata) per
il medico, in cui si indicano sia le preoccupazioni specifiche sia le domande a
cui si sta cercando una risposta (per es., la diagnosi). Un esempio di lettera di
segnalazione è fornito nell’Appendice 8.2.
Nel caso di bambini che hanno già una diagnosi di DDAI, si può fare una
segnalazione per ricevere informazioni sull’adeguatezza di una prova farmacologica (vedere Appendice 8.3). In questo caso, la segnalazione può riguardare
altri interventi già tentati o tuttora in atto. Inoltre, i professionisti che lavorano a scuola possono rendersi disponibili a raccogliere sistematicamente informazioni che possono essere utilizzate per valutare e monitorare gli effetti dei
farmaci (per es., attraverso questionari sugli effetti collaterali, informazioni
sulla performance scolastica e scale di valutazione del comportamento). Nelle
Appendici 8.4 e 8.5 abbiamo inserito due esempi di lettere in cui si valutano
rispettivamente una prova farmacologica e i relativi risultati. Nell’effettuare segnalazioni professionali, è importante tenere a mente che queste non
devono dare indicazioni agli altri professionisti su cosa fare. Sono piuttosto
richieste di assistenza professionale per trovare risposte a specifiche domande
e le modalità con cui vengono fornite le risposte restano una prerogativa del
professionista coinvolto.
Infine, quando i professionisti che lavorano a scuola sono responsabili di
bambini che ricevono un trattamento con farmaci psicoattivi, dovrebbero discutere una serie di questioni con i genitori e i medici. Per esempio, chi è
responsabile di assicurarsi che lo studente abbia assunto il farmaco e cosa
bisogna fare se lo studente si rifiuta di assumerlo? Chi è responsabile della
valutazione degli effetti collaterali e del monitoraggio degli effetti del farmaco
sul funzionamento sociale, scolastico e fisico del bambino? Chi prenderà le
decisioni su eventuali cambiamenti nella prescrizione farmacologica? Come
è possibile adempiere a questi compiti? Come possono essere valutati, in maniera valida e affidabile, i cambiamenti nel funzionamento sociale, scolastico
317
DDAI a Scuola
e fisico del bambino? (Vedere il Capitolo 6, così come Gadow, 1993, e Brown
& Sawyer, 1998, per alcune risposte possibili a queste domande).
LA COMUNICAZIONE CON GLI STUDENTI
Il brano seguente delinea le modalità appropriate di comunicazione con gli
studenti (Associazione Nazionale degli Psicologi Scolastici, 2000):
Principio Etico B2. Gli psicologi scolastici illustrano gli aspetti rilevanti del loro
ruolo professionale in modo chiaro e comprensibile, adeguato all’età e alle competenze del bambino o degli altri assistiti. In questa discussione si deve spiegare al bambino
perché è stato richiesto l’intervento dello psicologo; chi sarà il destinatario delle informazioni raccolte e quali saranno gli esiti possibili.
Principio Etico B4. Le indicazioni relative a cambiamenti nel programma o a eventuali servizi aggiuntivi vengono discusse con gli individui coinvolti.
Come nel caso dei genitori e dei medici, gli studenti dovrebbero essere
trattati con dignità e rispetto all’interno delle discussioni e delle comunicazioni sulla valutazione, la diagnosi, l’intervento e le attività in atto. Prima di
tutto, nel comunicare i risultati e le implicazioni di una diagnosi di DDAI, si
dovrebbe porre molta attenzione a utilizzare un linguaggio comprensibile allo
studente. Piuttosto che dire all’alunno che ha uno specifico disturbo, il focus
della discussione dovrebbe essere sui punti di forza e sulle debolezze del ragazzo, emerse nel corso del processo di valutazione. Bisognerebbe inoltre comunicargli che tutti i compagni hanno manifestato reazioni positive e negative.
I sintomi e i comportamenti propri del DDAI dovrebbero essere descritti in
termini di difficoltà nel rimanere attenti per lungo tempo, nel controllare determinati impulsi e il livello globale di attivazione, soprattutto in determinate
situazioni, come quella del lavoro autonomo al banco. Si potrebbe chiedere
allo studente di fare degli esempi di quando, dove e come sperimenta queste
difficoltà nella quotidianità. Si dovrebbe sottolineare che numerosi studenti
presentano le stesse problematiche e che esistono mezzi per affrontarle. Ne
consegue una trattazione dei diversi interventi disponibili in un linguaggio
comprensibile per il bambino. Per esempio, si potrebbe inerire il discorso sui
farmaci stimolanti all’interno di un discussione più generale sull’esistenza di
farmaci che possono essere d’aiuto nel migliorare la disattenzione e la quantità
di lavoro prodotto. Quando si verificano cambiamenti positivi, si deve sempre
ricordare allo studente che egli è il protagonista e l’agente responsabile di questi cambiamenti e che i farmaci lo hanno solamente aiutato in questo lavoro.
318
La comunicazione con i Genitori, gli Insegnanti e gli Studenti
Agli adolescenti (per es., studenti di scuola superiore), si dovrebbero dare
informazioni più specifiche sul DDAI (vedere Barkley & Murphy, 1998, per
alcuni materiali utili). A seconda del livello cognitivo di ogni studente, si
possono anche fornire gli opuscoli o suggerire la stessa bibliografia per gli
insegnanti e i genitori. Saranno necessarie numerose sedute di counseling per
comunicare queste informazioni con accuratezza, per rispondere alle domande dello studente e per fornire supporto emotivo. Come nel caso dei bambini
più piccoli, l’enfasi non deve essere su ciò che lo studente non riesce a fare
o che fa male, ma piuttosto sul fatto che le difficoltà presenti possono essere
affrontate a breve termine con l’aiuto di genitori e insegnanti.
Altri argomenti importanti da discutere con gli adolescenti con DDAI
riguardano il sostegno attuale e futuro a scuola (per es., l’utilizzo di test adattati a loro, variazioni nel carico di lavoro) e i progetti per la formazione postscolastica, l’inserimento lavorativo e altri obiettivi. Per gli studenti inseriti in
servizi di educazione speciale, la discussione sulla formazione post-scolastica
è obbligatoria per legge. Questi progetti a lungo termine coinvolgono con
molta probabilità anche i genitori, avvengono sotto forma di counseling alla
famiglia e hanno come argomento centrale il futuro dello studente (vedere
Robin, 1998, per una trattazione onnicomprensiva del lavoro con adolescenti
con DDAI e le rispettive famiglie), la consapevolezza dei propri diritti e la
conoscenza di tutte le alternative educative e formative disponibili.
Indipendentemente dal focus individuale, si dovrebbe dedicare sempre del
tempo al coinvolgimento degli studenti nelle decisioni sulle modalità di erogazione del servizio (ossia, quando possibile, nelle opzioni di intervento e nella scelta). Una regola generale da seguire con studenti con DDAI, è cercare di
trasmettere, in tutti i modi possibili, incoraggiamento, supporto e proiezione
verso esiti positivi e di fornire feedback costruttivi e una valutazione formativa
per conseguire un successo.
Una considerazione primaria nel caso di bambini con DDAI riguarda le
attribuzioni causali sui propri comportamenti, sul rendimento e sul progresso
scolastico, soprattutto nel caso in cui stiano ricevendo un trattamento con
farmaci stimolanti (o altri farmaci). Una letteratura esigua in questo settore (DuPaul et al., 1996; Pelham et al., 1992), benché in costante sviluppo,
suggerisce che i bambini valutano più positivamente i propri comportamenti
attuali e futuri in relazione all’assunzione di farmaci stimolanti. Anche se sono
necessarie ulteriori indagini in questa direzione, i risultati trovati suggeriscono
che è importante considerare e valutare i “messaggi” che i bambini ricevono
319
DDAI a Scuola
o inviano agli altri sull’attribuzione causale dei propri comportamenti ai farmaci o alla propria competenza. Pertanto, indipendentemente dal fatto che
stiano assumendo o meno farmaci stimolanti, tutti gli studenti con DDAI
devono sentirsi responsabili del proprio comportamento.
RIASSUNTO
Ritenere che dovrebbero essere gli interessi e gli esiti positivi per il bambino a guidare la pratica professionale ha numerose implicazioni per i servizi
erogati dagli psicologi scolastici a studenti che hanno, o potrebbero ricevere,
una diagnosi di DDAI. Richiede infatti un focus sull’individuazione e la definizione di problemi e difficoltà in aggiunta alla diagnosi in se stessa. Pertanto,
le comunicazioni accurate con i genitori, i medici e i ragazzi stessi fissano
l’ordine delle procedure diagnostiche e delle attività di trattamento.
I nostri commenti sui servizi educativi per i bambini con DDAI si sono brevemente concentrati sui legami fra la diagnosi e la programmazione educativa,
sulle responsabilità professionali, sui farmaci stimolanti e sulle comunicazioni
con i genitori, i medici e i ragazzi stessi. Esistono e certamente sorgeranno altre prospettive e altri argomenti di interesse per i professionisti, i genitori e gli
studenti. La sfida per tutti i protagonisti coinvolti è quella di equilibrare/dividere l’attenzione adeguatamente fra le necessità, spesso in competizione fra
loro, di focalizzarsi sulle richieste legali e procedurali legate alla diagnosi e alla
classificazione e, allo stesso tempo, sugli esiti significativi per il ragazzo. La sfida comunicativa è quella di superare le possibili barriere che sorgono a causa
della mancanza di un vocabolario condiviso e a causa di training e prospettive
differenti; costruendo interventi efficaci attraverso la collaborazione. Tuttavia,
strutturando e promuovendo una comunicazione come quella presentata in
questo capitolo, i genitori, gli studenti e i professionisti possono contribuire
ad accrescere il numero di risultati significativi per lo studente stesso.
320
APPENDICE 8.1
Bibliografia Ragionata sul DDAI e le Difficoltà
a esso Associate per i Genitori e gli Insegnanti
Barkley, R. A. (2000). Taking charge of ADHD: The complete, authoritative
guide for parents (rev. ed.). New York: Guilford Press.
Christenson, S. L., & Sheridan, S. M. (2001). Schools and families: Creating essential connections for learning. New York: Guilford Press.
Forgatch, M. S., & Patterson, G.R. (1989). Parents and adolescents living
together: Part 2. Family problem solving. Eugene, O: Castalia.
Fowler, M. (1992). C.H.A.D.D. educators manual: An in-depth look at attention deficit disorders from an educational perspective. Plantation, FL:CHADD.
Ingersoll, B. D. (1997). Daredevils and daydreamer: New perspectives on
attentiondeficit/hyperactivity disorder. New York: Doubleday.
Parker, H. C. (1992). The ADD hyperactivity handbook for schools: Effective
strategies for identifying and teaching ADD students in elementary and secondary
schools: Plantation, FL: Impact.
Patterson, G. R., & Forgatch, M. S. (1998). Parents and adolescents living
together: Part 1. The basics. Eugene, OR: Castalia.
Power, T. J., Karustis, J. L., & Habboushe, D. F. (2001). Homework success for children with ADHD: A family-school intervention program. New York:
Guilford Press.
Robin, A. L. (1998). ADHD in adolescents: Diagnosis and treatment. New
York: Guilford Press.
Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford
Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale.
Vedere la pagina sul copyright per i dettagli.
321
APPENDICE 8.2
Lettera di Segnalazione al Medico
Dr. Janet Williams
755 E. 45th Street
Anywhere, USA
Gentile Dr. Williams,
Le scriviamo per una segnalazione che riguarda uno dei suoi pazienti, Michael Winston.
Michael è uno studente della classe prima, presso la nostra Scuola Elementare Edgars e siamo
preoccupati per lui dal momento che riteniamo possa avere un disturbo da deficit dell’attenzione
e iperattività. L’insegnante di Michael e il nostro psicologo scolastico hanno condotto osservazioni
sistematiche del comportamento in classe di Michael. In confronto ai compagni, Michael passa
molto meno tempo a svolgere i compiti assegnati in classe e molto più tempo in piedi o dimenandosi
sulla sedia. Fino a questo momento, Michael è riuscito a conseguire lo stesso rendimento scolastico
dei compagni, ma temiamo che spesso non concluda i compiti assegnatigli o che li porti a termine
con scarsa attenzione ai dettagli. Anche se, fino a questo momento, non abbiamo sviluppato un
piano di intervento sistematico per Michael, stiamo considerando di farlo. Prima di intraprendere
questo percorso, tuttavia, desidereremo ricevere la Sua opinione professionale su una eventuale
diagnosi di DDAI e, in caso positivo, apprezzeremmo alcune sue indicazioni per il trattamento.
Saremo lieti di fornirLe tutte le ulteriori informazioni di cui dovesse avere bisogno. La ringraziamo in anticipo per il Suo aiuto a riguardo.
Sinceramente,
Psicologo Scolastico
Insegnante
Dirigente Scolastico
Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford
Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale.
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322
APPENDICE 8.3
Segnalazione al Medico
per una Possibile Prova Farmacologica
Dr. James Smith
The Anytown Clinic
1162 Williams Street
Anytown USA 99999
RE: Billy Buck
Gentile Dr. Smith,
Come Lei saprà stiamo lavorando con lo studente sopra citato per affrontare i problemi di disattenzione, impulsività e iperattività che manifesta in classe. Precedentemente, Lei aveva emesso
una diagnosi di DDAI. Le scriviamo per fornirLe un aggiornamento sui progressi del ragazzo e
per richiederLe un parere sulla necessità di eventuali trattamenti aggiuntivi (per es., con farmaci
stimolanti).
Nel corso degli ultimi mesi, abbiamo applicato una serie di interventi allo scopo di migliorare
la performance scolastica e il controllo comportamentale di Billy. Questi interventi hanno incluso
l’applicazione di un sistema di token reinforcement in classe, un protocollo di comunicazione casascuola e l’utilizzo del peer tutoring in alcuni ambiti specifici (per es., nella matematica e nello
spelling). Anche se questi interventi si sono rivelati utili, Billy continua a manifestare difficoltà di
attenzione nel corso di tutta la giornata scolastica ed esibisce anche comportamenti decisamente
disfunzionali in cortile e a mensa. Stiamo pianificando di modificare e continuare questi interventi per il resto dell’anno scolastico. Ciò non di meno, Le chiediamo di valutare la necessità di
effettuare una prova farmacologica.
Abbiamo già parlato di questa segnalazione al Sig. e alla Sig.ra Buck. Sono d’accordo con
noi nel ritenere che siano necessari ulteriori trattamenti. Ovviamente, come per altri casi, siamo
disponibili a raccogliere dati oggettivi relativi alla risposta di Billy agli stimolanti.
Se avesse bisogno di ulteriori informazioni sul programma scolastico di Billy, La preghiamo di
non esitare a contattarci in qualunque momento. Attendiamo fiduciosi a breve una Sua riposta.
Sinceramente,
Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford
Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale.
Vedere la pagina sul copyright per i dettagli.
323
Psicologo Scolastico
Insegnante
Dirigente Scolastico
APPENDICE 8.4
Descrizione al Medico dell’andamento
della Prova Farmacologica
Dr. James Smith
The Anytown Clinic
1162 Williams Street
Anytown USA 99999
Gentile Dr. Smith,
Siamo lieti di collaborare con Lei e con il Suo paziente, Thomas Jones, per valutare gli effetti
del trattamento farmacologico con stimolanti sul funzionamento scolastico e sociale di Thomas a
scuola. Troverà allegata alla lettera una breve descrizione del piano di intervento, dello scopo e
degli obiettivi. Joan Williams, il capo farmacista del Centro Territoriale della Salute, si è mostrata
disponibile a fornire una preparazione dei farmaci congeniale alla prova in atto. Joan ha concordato di etichettare le bottigliette di farmaco con lettere in codice e date (per es., metilfenidato, dose
A, settimana del 14 aprile).
Di tutte le persone coinvolte nella prova farmacologica solamente io e Joan siamo al corrente
della dose corrispondente a un tale giorno di trattamento. La preghiamo di scrivere quattro prescrizioni sulla base delle seguenti indicazioni e di specificare che la prescrizione deve essere portata
al Centro Territoriale della Salute:
Metilfenidato 5 mg; somministrazione per 6 giorni.
Metilfenidato 10 mg; somministrazione per 6 giorni.
Metilfenidato 15 mg; somministrazione per 6 giorni.
La Signora Jones ritirerà le prescrizioni direttamente presso il Suo studio quando saranno
pronte. Le date e le dosi (assegnate casualmente) della prova di trattamento farmacologico di
Thomas saranno le seguenti:
Tratta da DDAI a Scuola (2a ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright 2003 della Guilford
Press. La fotocopia di questa Appendice è consentita ai possessori del libro e solo per uso personale.
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324
Appendice 8.4
DataDose
Settimana del 7 Aprile
Settimana del 14 Aprile, dal Lunedì al Sabato
Settimana del 21 Aprile, dal Lunedì al Sabato
Settimana del 28 Aprile, dal Lunedì al Sabato
Baseline
10 mg
5 mg
15 mg
Le forniremo una sintesi dei risultati della prova farmacologica non appena questa sarà terminata. In attesa di collaborare con Lei restiamo a Sua disposizione per ulteriori informazioni o
richieste.
Sinceramente,
Psicologo Scolastico
Insegnante
Dirigente Scolastico
APPENDICE 8.5
Report al Medico dei Risultati della
Prova Farmacologica
Dr. James Smith
The Anytown Clinic
1162 Williams Street
Anytown USA 99999
Gentile Dr. Smith,
Abbiamo appena concluso la prova di trattamento farmacologico con metilfenidato con il Suo
paziente, Thomas Jones. Le dosi e le date hanno seguito l’andamento di seguito presentato:
DataDose
Settimana del 7 Aprile
Settimana del 14 Aprile, dal Lunedì al Sabato
Settimana del 21 Aprile, dal Lunedì al Sabato
Settimana del 28 Aprile, dal Lunedì al Sabato
Baseline
10 mg
5 mg
15 mg
Le misure raccolte in itinere hanno riguardato la performance di lettura di Thomas in brani
scelti fra quelli inseriti nel programma, la performance in prove di competenze aritmetiche di
base, punteggi assegnati dagli insegnanti a scale sul comportamento e sulla performance in classe,
punteggi assegnati dai genitori a scale di comportamento e il completamento di una scala sugli
effetti collaterali compilata dalla madre di Thomas e dal ragazzo stesso. Alleghiamo un grafico
con i dati relativi alla lettura di Thomas. La tabella seguente riassume tutti i risultati della prova
farmacologica.
MisuraDose ottimale
Performance giornaliera nella lettura di brani del curricolo 15 mg
Performance giornaliera in matematica
15 mg
Punteggi
dell’insegnante
sul
comportamento
in
classe
10 mg/15
mgdella Guilford
a
Tratta da DDAI a Scuola (2 ed.) di George J. DuPaul e Gary Stoner. Copyright
2003
Punteggi
dei genitori
sul comportamento
15 mg/
5 mg
Press. La fotocopia
di questa
Appendice è consentita ai possessori del libro
e solo
per uso personale.
Vedere la pagina sul copyright per i dettagli.
326
Appendice 8.5
Per quanto riguarda gli effetti collaterali Thomas e la madre hanno entrambi riferito vertigini,
irritabilità, mal di stomaco e problemi nel sonno per le dosi di 10 e 15 mg. La gravità di questi
effetti andava da moderata a seria e tendeva a diminuire con il passare dei giorni.
I risultati della prova farmacologica indicano che la dose di 15 mg di metilfenidato migliora
al massimo la performance sociale e scolastica di Thomas. Se dovesse prescrivere il metilfenidato
a questo dosaggio, dovremmo monitorare con attenzione gli effetti collaterali. Speriamo che trovi
questi risultati utili nel lavoro con Thomas e la famiglia. Se possiamo esserLe di ulteriore aiuto con
Thomas o altri bambini, non esiti a contattarci.
Sinceramente,
Psicologo Scolastico
Insegnante
Dirigente Scolastico
parole corrette per minuto
Performance di lettura di Thomas J.
giorni
CAPITOLO 9
Conclusioni e Direzioni Future
Soddisfare le necessità degli studenti con DDAI è una sfida significativa
per il personale educativo. Le caratteristiche proprie di questo disturbo (ossia la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività) implicano spesso comportamenti disfunzionali in classe, scarso rendimento scolastico e difficoltà nel fare
e mantenere delle amicizie. Ciascuna delle caratteristiche del DDAI sembra
essere presente in un continuum (ossia in una curva normale) all’interno della
popolazione di modo che più del 2-5% dei bambini di entrambi i sessi può
ricevere una diagnosi di questo disturbo in una determinata età. Inoltre, esiste
un ulteriore 5% di bambini, in una data popolazione, che si colloca appena
al di fuori del range significativo per una “diagnosi clinica” di DDAI e questi
manifestano problemi significativi, anche se meno gravi, di disattenzione e
controllo del comportamento. Pertanto, in una classe normale di 25 studenti,
un insegnante potrà imbattersi in almeno due o tre che esibiscono difficoltà
considerevoli nell’attenersi alle attività didattiche e nel rispettare le regole della scuola e della classe.
La performance scolastica della maggior parte dei bambini con DDAI è
scarsa a causa del loro cattivo metodo di studio, del mancato svolgimento dei
compiti e della costante scarsa accuratezza nel lavoro al banco, nei compiti a
casa e nelle verifiche. Inoltre, circa un terzo di questi studenti ha competenze
scolastiche al di sotto della media e gli viene quindi diagnosticato anche un
disturbo d’apprendimento. Negli ultimi dieci anni, alcuni cambiamenti nelle
linee guida federali hanno permesso di inserire i bambini con DDAI in servizi
di educazione speciale solo sulla base della presenza o meno di questo disturbo, che limita fortemente la loro performance scolastica. Le decisioni relative
329
DDAI a Scuola
all’inserimento nei servizi di educazione speciale dovrebbero essere prese dopo
aver condotto una valutazione valida e affidabile del DDAI e delle difficoltà
a esso associate, determinando il grado in cui questo disturbo compromette
il funzionamento sociale e scolastico del bambino e verificando il grado di
successo ottenuto da altri interventi applicati all’interno di classi normali allo
scopo di migliorare i comportamenti disfunzionali.
Il primo passo per soddisfare le necessità di un bambino segnalato per un
possibile DDAI è quello di condurre una valutazione psicologica e, se necessario, scolastica completa. La valutazione a scuola del DDAI utilizza tecniche
multiple in contesti diversi (per es., in classe e in cortile) e fonti di informazione differenti (per es., i genitori, l’insegnante e il bambino stesso). In seguito
alla segnalazione di un insegnante riguardo un possibile DDAI, si intraprendono cinque fasi valutative che includono uno screening iniziale sulla presenza
dei sintomi del DDAI, una valutazione multimodale, l’interpretazione dei
risultati per arrivare a una conclusione diagnostica, lo sviluppo di un piano
di intervento integrato e il monitoraggio in itinere dei progressi ascrivibili al
trattamento.
Il raggiungimento di una diagnosi di DDAI non indica la fine del processo di valutazione e non ne è certamente l’obiettivo definitivo. Piuttosto l’effettivo valore della valutazione iniziale sta proprio nella progettazione di un
trattamento il cui successo è strettamente connesso alle informazioni raccolte
nel corso del processo valutativo stesso. L’utilizzo di metodologie comportamentali, incluse le interviste e le scale di valutazione per genitori e insegnanti,
le osservazioni dirette del comportamento in classe e la raccolta di dati sulla
performance scolastica, rappresenta il modo migliore di conseguire entrambi
gli obiettivi della valutazione. I dati valutativi continuano a essere raccolti nel
corso di tutta la terapia per stabilire l’efficacia e/o i limiti di alcune componenti.
Gli interventi psicosociali più efficaci sono quelli che si basano sui principi del condizionamento operante e della teoria dell’apprendimento sociale.
Questi interventi tipicamente includono strategie (rinforzi o conseguenze negative) quali i sistemi di token reinforcement, response cost e interventi di selfmanagement. Abbiamo illustrato la necessità di sviluppare piani di intervento
equilibrati che includano procedure sia reattive che proattive. Queste ultime
sono strategie (per es., la scelta dell’attività e il peer tutoring) che implicano
modifiche nelle condizioni antecedenti, per prevenire i comportamenti non
appropriati o disfunzionali. Gli obiettivi del trattamento sono la riduzione dei
330
Conclusioni e direzioni future
comportamenti disadattivi (per es., disattenzione al compito) e l’incremento
delle competenze (per es., nella performance scolastica e nel grado di accettazione sociale). Infatti, all’aumentare dei comportamenti adattivi di solito le
azioni disfunzionali diminuiscono in frequenza a causa dell’intrinseca incompatibilità fra queste due classi di comportamenti. Pertanto, vanno privilegiate
le procedure proattive e di rinforzo positivo, con la consapevolezza che a volte potrebbero essere necessarie delle procedure punitive lievi per diminuire i
comportamenti aggressivi o non attinenti al compito.
Per molti bambini con DDAI, l’approccio di trattamento ottimale potrebbe essere la combinazione di interventi comportamentali con i farmaci
psicostimolanti (per es., il metilfenidato). In contesti scolastici, per la maggior
parte dei bambini trattati, i farmaci stimolanti possono accrescere lo span di
attenzione, la percentuale di completamento e di accuratezza dei compiti e
la compliance con le regole della classe. Dato che gli effetti comportamentali
degli stimolanti sono mediati dal dosaggio e dalla risposta individuale, la risposta al trattamento di ogni singolo bambino deve essere valutata in maniera
oggettiva a differenti dosaggi terapeutici. I professionisti che lavorano a scuola
dovrebbero svolgere un ruolo determinante nell’aiutare i medici a valutare i
cambiamenti nel comportamento del bambino indotti dal farmaco, in una
serie di ambiti di funzionamento cruciali (per es., la performance scolastica,
le relazioni sociali e la compliance con le regole della classe). Un sottoinsieme
degli strumenti utilizzati nel corso del processo valutativo iniziale del DDAI
può essere somministrato con costanza per determinare se un individuo stia
rispondendo alla farmacoterapia e quale sia la dose che ottimizza il funzionamento sociale e scolastico dello studente.
Indipendentemente dall’efficacia ormai accertata del trattamento farmacologico e degli interventi comportamentali, nessun trattamento da solo sarà
sufficiente per apportare miglioramenti nelle difficoltà associate al DDAI. La
manifestazione persistente di problemi comportamentali in contesti diversi e
con figure di accudimento differenti implica necessariamente l’applicazione
di interventi multimodali per diversi anni. Si possono utilizzare una serie di
strategie di trattamento per integrare gli interventi comportamentali in classe
e i farmaci psicotropi. Tali strategie possono includere interventi da attuare a
scuola (per es., il training di abilità sociali) o a casa (per es., il parent training).
Il focus deve essere quello di progettare un piano efficace e completo per trattare tutte le aree funzionali compromesse dal disturbo, riconoscendo la necessità di una terapia a lungo termine. Allo stesso tempo, gli educatori e i genitori
331
DDAI a Scuola
in particolare, nel corso dell’anno scolastico avranno bisogno di concentrarsi
sul raggiungimento di obiettivi a breve termine per promuovere cambiamenti
graduali nel livello di adattamento complessivo del bambino.
I professionisti che lavorano a scuola dovrebbero valutare con attenzione
l’efficacia comprovata dei trattamenti suggeriti per il DDAI dal momento che
esistono una serie di terapie che si spacciano come “efficaci” (per es., la dieta
di Feingold), ma che attualmente non hanno alcun supporto empirico oppure
è ancora troppo limitato. Data l’attrattiva che le alternative ai farmaci e alla
modificazione comportamentale esercitano sul grande pubblico, è importante
che qualcuno all’interno dell’équipe che lavora con il bambino prenda una
posizione scettica e oggettiva sulle nuove terapie che si sostiene possano “curare” il DDAI. Nello specifico, bisogna valutare con precisione la quantità e la
qualità del supporto empirico del trattamento proposto. Accade di frequente
che si debbano evidenziare i limiti delle strategie di intervento senza supporto
di ricerca per cercare di convogliare le energie e le risorse su interventi che
hanno maggiore probabilità di aiutare veramente il bambino.
Di solito, sono coinvolte una serie di persone nel trattamento di un bambino con diagnosi di DDAI. Pertanto lo studente e i genitori interagiscono
spesso con professionisti che lavorano a scuola (per es., insegnanti, psicologi
scolastici, personale amministrativo, infermiera e counselor) e con professionisti che lavorano sul territorio (per es., medici e psicologi clinici). Ciò implica la necessità di adottare un approccio di équipe all’intervento, in cui si
coordina l’erogazione dei servizi attraverso una comunicazione costante fra i
professionisti coinvolti. Sfortunatamente in realtà questo tipo di approccio
rappresenta più un ideale che una prassi comune. Ciò non di meno, si presume che maggiore sarà il lavoro di équipe, migliori saranno i risultati per il
bambino.
L’approccio di équipe può essere promosso assicurandosi che tutti i professionisti coinvolti siano consapevoli di cosa sia il DDAI, di come identificare
gli studenti che potrebbero avere bisogno di un intervento e di come trattare
i problemi associati a questo disturbo. Gli educatori, anche quelli che lavorano in classi speciali, devono capire che i comportamenti associati al DDAI
sono persistenti e che raramente vengono eliminati del tutto, soprattutto nel
corso di un singolo anno scolastico. Pertanto, il focus degli sforzi professionali dovrebbe essere sulla modifica dell’ambiente di classe e della scuola per
soddisfare le necessità degli studenti con questo disturbo e per promuovere il
raggiungimento di obiettivi a breve termine. Mano a mano che si conseguono
332
Conclusioni e direzioni future
miglioramenti a breve termine nell’ambito dell’attenzione, del controllo degli
impulsi e del livello generale di attività, si fa un passo in più verso un miglioramento lungo termine. Nella nostra esperienza, tuttavia, per mantenere alta la
motivazione nel bambino e nei membri dell’équipe è necessario promuovere
l’attenzione sul conseguimento di “piccoli successi” piuttosto che sul raggiungimento di una “guarigione” definitiva in poco tempo.
DIREZIONI DI LAVORO FUTURE PER STUDENTI CON DDAI
Anche se negli ultimi decenni c’è stato un progresso sostanziale nell’identificazione e nel trattamento in contesti scolastici di studenti con DDAI, resta
ancora molto lavoro da fare in numerosi ambiti cruciali. Primo, è stata fatta
poca attenzione alle difficoltà e necessità di studenti con DDAI di scuola superiore fra i dodici e i quattordici anni e per quelli fra i quindici e i diciotto.
Questi ultimi di solito hanno molteplici problemi di adattamento nel funzionamento scolastico, sociale e comportamentale. Data l’enfasi che si pone
sull’autonomia e sulla responsabilità individuale del proprio comportamento
durante l’adolescenza, diventa particolarmente importante definire quali programmi possano accrescere il successo formativo di questi studenti. Secondo,
si devono definire il ruolo e le responsabilità dei “case manager” a scuola.
Anche negli anni delle elementari, i bambini con DDAI lavorano con una
serie di professionisti e questo implica la necessità di un coordinamento della
comunicazione e dell’erogazione dei servizi fra casa, scuola e territorio. Terzo,
si deve garantire al personale educativo curricolare e di classi speciali prima di
entrare in servizio (ossia prima di conseguire l’abilitazione all’insegnamento),
un training adeguato su come soddisfare le necessità educative e comportamentali di bambini con DDAI. Attualmente, molti insegnanti non sono adeguatamente preparati a lavorare con questi bambini in modo efficace anche
dopo aver frequentato seminari di aggiornamento o aver letto testi rilevanti
sull’argomento. Quarto, sono estremamente necessarie ricerche empiriche per
identificare strategie pratiche ed efficienti per gestire i problemi di comportamento associati al DDAI, accrescendo allo stesso tempo le competenze scolastiche e sociali di questi studenti.
Rispondere alle necessità degli adolescenti con DDAI
Nel momento in cui gli studenti con DDAI passano dalla scuola elementare alla scuola media e superiore, si trovano ad affrontare una serie di “ostacoli”
333
DDAI a Scuola
evolutivi che sono sostanzialmente più impegnativi per loro che per i loro
coetanei. Inoltre, i contesti di scuola secondaria sono più impegnativi di per
sé, soprattutto in relazione alle competenze organizzative, scolastiche e di autogestione degli studenti. Propriamente, ci si aspetta che gli studenti di scuola
secondaria siano in grado di prepararsi per i test e di mostrare competenze
organizzative adeguate (per es., tenere un quaderno degli appunti ordinato);
come anche di progettare il loro futuro dopo la fine della scuola. Si presume
che se gli studenti con DDAI fossero in grado di soddisfare le precedenti
aspettative, allora le loro possibilità di riuscita da adulti sarebbero maggiori.
Nella maggior parte delle scuole secondarie si forniscono minime istruzioni sulle competenze metodologiche e organizzative. Si presuppone che gli
studenti abbiano sviluppato queste competenze nel passaggio fra una grado
di scuola e l’altro in funzione della loro maturazione emotiva e cognitiva.
Anche se questa assunzione può essere valida per molti adolescenti, risulta
evidente che numerosi studenti con DDAI non acquisiscono competenze metodologiche di studio adeguate e che dunque la loro performance scolastica è
compromessa (vedere il Capitolo 5 per una discussione sugli interventi per le
competenze metodologiche). Pertanto a questi studenti si devono fornire indicazioni metodologiche e organizzative il prima possibile nel corso della carriera scolastica (per una rassegna vedere Gleason, Archer & Colvin, 2002).
Nonostante i molteplici e complessi bisogni degli adolescenti con DDAI,
sono stati condotti pochissimi lavori empirici su questa popolazione. Infatti,
nella loro meta-analisi, DuPaul e Eckert (1997) hanno individuato solo un
numero esiguo di ricerche in cui si valutavano gli interventi in contesti scolastici per studenti delle superiori con DDAI. Malgrado la scarsità di ricerche
sugli adolescenti, bisognerebbe seguire comunque alcune linee guida:
1. Fornire delle prime indicazioni, alla fine della scuola elementare e all’inizio della scuola media, su come studiare per i test e su come prendere gli
appunti; ossia non appena i programmi scolastici prevedono un numero
maggiore di richieste a lungo termine. Queste indicazioni dovrebbero essere fornite costantemente dagli insegnanti curricolari e dal personale di
supporto (per es., counselor, psicologo scolastico) insieme a numerose opportunità di esercitarsi sotto supervisione.
2. Si dovrebbe chiedere agli studenti con DDAI di scrivere i compiti a casa
su un quaderno o sul diario non appena la quantità aumenta. Nel diario
o nel quaderno dovrebbero essere scritti sia i compiti del giorno dopo sia
quelli con scadenza più lunga. All’inizio, l’insegnante dovrebbe controllare
334
Conclusioni e direzioni future
il diario o il quaderno alla fine di ogni giornata scolastica per assicurarsi
che i compiti siano segnati correttamente. Inoltre, i genitori dovrebbero
controllare il diario o il quaderno prima dello svolgimento dei compiti a
casa per assicurarsi che lo studente abbia compreso cosa gli viene richiesto.
Le strategie di rinforzo da applicare a casa (per es., attività preferite) dovrebbero essere direttamente collegate alla compliance con le incombenze
assegnate. Questo aspetto è fondamentale dal momento che molti ragazzi
con DDAI non scrivono sempre i compiti, a meno che non ci sia una “ricompensa”. Mano a mano che lo studente mostra livelli di responsabilità
individuale sempre maggiori nell’utilizzo del diario o del quaderno, si può
ridurre la supervisione degli insegnanti e dei genitori. Ciò non di meno, gli
studenti con DDAI dovrebbero continuare a tenere un diario o un quaderno dei compiti assegnati per tutti gli anni di scuola.
3. Si dovrebbero mettere in atto dei meccanismi di compensazione per i deficit
attentivi e organizzativi associati al DDAI. Primo, si dovrebbe permettere
a questi studenti di registrare le lezioni in aggiunta al prendere appunti.
Questo risulta particolarmente utile quando si insegna ai bambini a prendere appunti ascoltando le registrazioni delle lezioni sotto la supervisione
dell’insegnante, di uno studente più grande o di un compagno. Secondo,
si dovrebbe avere un insieme alternativo di libri di testo da tenere a casa nel
corso dell’anno scolastico per evitare che lo studente non possa svolgere i
compiti a casa dal momento che ha “dimenticato” i libri a scuola.
4. Potrebbe essere necessario per molti anni di scuola fornire indicazioni dirette costanti sulle competenze metodologiche e organizzative ed effettuarne
un monitoraggio costante, e questa dovrebbe essere considerata una parte
integrale del piano di intervento a scuola per adolescenti con DDAI.
Anche se si presume che i suggerimenti per la prassi educativa appena forniti possano migliorare i risultati degli studenti, rimangono ancora, in questo
ambito, numerose domande senza risposta. A un livello base, quali sono i
deficit accertati nelle competenze metodologiche e organizzative in studenti
con DDAI? Questi deficit persistono nel tempo o ci sono aree di miglioramento o peggioramento mano a mano che lo studente progredisce con i gradi
di istruzione? In termini di intervento, quali sono le metodologie migliori per
insegnare le competenze organizzative e metodologiche a questa popolazione di studenti? Le modalità di insegnamento dovrebbero variare in funzione
delle caratteristiche individuali (per es., la presenza di disturbi dell’apprendi335
DDAI a Scuola
mento, il livello scolastico dello studente)? Infine, quali sono gli effetti a lungo
termine della trasmissione delle abilità di studio? I miglioramenti in questo
ambito si generalizzano nelle diverse materie e permangono nel tempo? Sono
necessari monitoraggi e insegnamenti periodici in questo ambito per assicurare miglioramenti più durevoli? L’insegnamento delle abilità di studio fa la
differenza nei risultati finali degli studenti con DDAI? Le risposte a queste
domande saranno certamente di aiuto nel promuovere la nostra capacità di
aiutare questi studenti in un ambito così importante per l’apprendimento
autonomo.
Similmente, a causa della loro impulsività, i giovani con DDAI spesso non
considerano le conseguenze a lungo termine delle loro azioni e non fanno
piani in anticipo con una certa coerenza. Pertanto, gli studenti con questo disturbo richiedono spesso una guida maggiore nella pianificazione delle attività
da intraprendere dopo la fine della scuola (per es., se entrare nel mondo del
lavoro o iscriversi all’università). Anche se il counseling formativo e professionale si fornisce a tutti gli studenti di scuola superiore con intensità diverse,
è particolarmente importante che gli individui con DDAI ricevano costanti
suggerimenti in questo ambito. Per questi studenti potrebbe essere necessaria
l’identificazione degli interessi e dei punti di forza in un’età più precoce rispetto a quella in cui questo processo si mette in atto con altri bambini. Ciò non
dovrebbe tradursi in uno sforzo per “incasellare” il bambino in una precisa
direzione (per es., educazione professionale) piuttosto che in un’altra (per es.,
corsi di preparazione all’università), ma piuttosto per incoraggiarlo a sviluppare un focus o un interesse sull’area che riuscirà a mantenere elevata la motivazione per tutta la durata della scuola. Uno dei rischi più grandi per questa
popolazione è quello di perdere interesse nella scuola e, come risultato, quello
di abbandonarla prematuramente. Pertanto, aiutare il bambino a guardare
oltre e a fare progetti per il futuro può promuovere l’interesse verso l’ambito
scolastico, anche se questo fosse limitato solo ad alcune materie. Dall’inizio
della scuola media e nel corso di quella superiore, gli studenti con DDAI
dovrebbero incontrasi regolarmente con il counselor che li guida, o con il personale che si occupa dell’orientamento, in modo che possano fornire loro una
valutazione e una pianificazione delle aspirazioni professionali e formative.
Come nel caso delle abilità di studio, è stata condotta poca ricerca empirica
nell’ambito della progettazione professionale per studenti con questo disturbo.
Abbiamo bisogno di informazioni sulle metodologie di counseling professionale e formativo che si adattano meglio a studenti con problemi di attenzione.
336
Conclusioni e direzioni future
Quando dovrebbero verificarsi per la prima volta nel percorso educativo del
bambino la valutazione degli interessi e il counseling professionale? Quanto
frequente deve essere questo counseling per garantire un successo maggiore?
Quali sono i possibili effetti iatrogeni (per es., stabilire prematuramente programmi per il post scuola secondaria) del counseling professionale e come si
possono minimizzare? Quali metodologie si possono utilizzare per incoraggiare i giovani ad assumersi sempre più la responsabilità del loro futuro? Anche se, a detta della maggior parte dei professionisti che lavorano con questi
studenti, questa è un’area cruciale di indagine, essa ha a tutt’oggi ricevuto una
scarsa attenzione empirica.
La presenza di un Case Manager a scuola
Un trattamento di successo per un DDAI, spesso richiede un coordinamento di servizi fra genitori, studenti, insegnanti, altri professionisti che lavorano a scuola, medici e operatori dei servizi territoriali (per es., psicologi clinici
dell’età evolutiva). Troppo spesso, queste figure che lavorano con uno stesso
ragazzo si muovono una indipendentemente dall’altra, senza comunicare fra
loro. Questo stato di cose accresce la probabilità di una ridondanza nella fornitura dei servizi o, cosa ancora peggiore, l’erogazione di interventi conflittuali
ai genitori e al bambino. Sembra pertanto ragionevole credere che dovrebbero
essere migliorati sia la comunicazione efficace fra i membri dell’équipe di trattamento, sia il coordinamento dei servizi attraverso l’individuazione di una
figura professionale che funga da case manager. Dal momento che i bambini
con DDAI passano la maggior parte del loro tempo a scuola, una buona possibilità, anche dal punto di vista costi-benefici, è quella di scegliere la figura
che si assuma la responsabilità di case manager fra i professionisti che lavorano
a scuola (per es., lo psicologo scolastico) (per una trattazione più approfondita
del ruolo del case manager vedere Power, Atkins, Osborne & Blum, 1994).
Un case manager efficiente fornirà i seguenti servizi al bambino e all’équipe
di trattamento:
1. Funge da collegamento fra scuola e casa comunicando regolarmente con
gli insegnanti e i genitori del ragazzo. Inoltre, il case manager terrà contatti
regolari con tutti i professionisti del territorio (per es., il medico) che stanno lavorando con lo studente.
2. Coordina la programmazione a scuola fra tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado: elementari, medie e scuole superiori. Il case manager può
337
DDAI a Scuola
incontrare ogni insegnante singolarmente o può organizzare delle riunioni
collettive regolari. Questo procedimento faciliterà la continuità nella programmazione fra le classi prevenendo allo stesso tempo potenziali incomprensioni che potrebbero condurre a un trattamento inefficace.
3. Coordina i programmi di contingency management da applicare a scuola e a
casa. Quando le procedure da applicare a casa sono legate alla performance
del bambino a scuola, la comunicazione fra i genitori e gli insegnanti diventa cruciale. Inoltre, è importante che tutti i partecipanti al programma
di trattamento siano consapevoli delle proprie responsabilità e che si attengano alle indicazioni fornite per l’applicazione dell’intervento. L’aderenza
al trattamento può essere facilitata dalla presenza del case manager che tiene
in contatto i genitori e gli insegnanti, organizza periodiche riunioni di
équipe per verificare i progressi e mette in atto eventuali cambiamenti nella
struttura o nel contenuto del programma terapeutico casa-scuola.
4.Comunica al medico gli effetti del trattamento sulla performance scolastica e sul comportamento in classe. L’importanza dei dati che si raccolgono a scuola nel determinare la risposta del bambino a una dose
farmacologica e nello stabilire il dosaggio ottimale per ciascun individuo
è già stata discussa nel Capitolo 6. Avere una figura definita che metta
in comunicazione il medico e la scuola accresce le probabilità di un monitoraggio accurato del trattamento farmacologico e migliora pertanto
gli esiti possibili. Il case manager raccoglierà e comunicherà quindi le
informazioni sui cambiamenti nella performance del bambino al medico
nel corso della prova farmacologica iniziale (vedere l’Appendice 8.4 e
8.5). Inoltre, potrebbe rendere noti al medico e/o ai genitori eventuali
cambiamenti inattesi nel comportamento del bambino, che potrebbero
verificarsi in seguito a un trattamento farmacologico prolungato. Il case
manager può anche fungere da intermediario nel caso in cui i genitori o
il medico debbano comunicare al personale scolastico cambiamenti nel
dosaggio del farmaco.
5.Funge da tutore dei diritti del bambino per riuscire a ottenere i servizi
adeguati sia a scuola sia sul territorio. Il case manager dovrebbe avere una
panoramica dei servizi necessari a uno studente con DDAI e di quelli effettivamente disponibili. Quando fra i servizi necessari e quelli disponibili
esiste un gap, il case manager dovrebbe promuovere cambiamenti nella programmazione didattica e territoriale del piano di intervento, coinvolgendo
tutti i membri dell’équipe di trattamento (per es., personale amministrati338
Conclusioni e direzioni future
vo della scuola, genitori). Inoltre, deve garantire l’attenzione dei professionisti al conseguimento di risultati significativi per la vita del bambino.
Il precedente elenco delle responsabilità di un case manager non ha l’intenzione di essere esaustivo: ci possono essere altre funzioni a cui egli può assolvere
in relazione ai bisogni del bambino. Inoltre, alcune di queste funzioni potrebbero, in alcuni casi, non essere necessarie. Ciò non di meno, c’è una forte
necessità della presenza di una sola persona che coordini i servizi nel tempo. In
molti casi, dovrebbe essere un professionista che lavora a scuola dal momento
che questo può seguire il bambino attraverso tutti i livelli di istruzione (per es.,
uno psicologo scolastico o un counselor). I professionisti che lavorano a scuola
sono avvantaggiati dal contatto quotidiano con gli insegnanti del bambino e
dall’opportunità di essere in contatto con i genitori e con i membri dell’équipe
territoriale che si occupa del bambino. Si presume che il coordinamento costante dei servizi e la comunicazione fra i membri dello staff accresca l’efficacia
complessiva del trattamento a lungo termine di questo disturbo.
Training sul DDAI prima dell’abilitazione all’insegnamento
Una delle lamentele più frequenti dei genitori di bambini con DDAI è
che gli insegnanti non sembrano avere alcun background teorico-pratico che
permetta loro di lavorare con i bambini affetti da questo disturbo. Molti insegnanti, soprattutto quelli curricolari, riconoscono prontamente i limiti nel
lavorare con questi studenti. Per affrontare questi problemi, i sistemi scolastici
si sono sforzati di fornire un aggiornamento in servizio al personale scolastico
su come identificare, insegnare e gestire questi bambini in contesti educativi
normali o speciali. Sfortunatamente, non esistono dati empirici che provino
come un breve training didattico su come lavorare con bambini con DDAI sia
efficace nell’accrescere la conoscenza e le competenze degli educatori. Infatti,
sembra che molti insegnanti non siano adeguatamente preparati a lavorare
con efficacia con questi bambini anche dopo aver frequentato seminari di
aggiornamento o dopo aver letto i testi più rilevanti sull’argomento.
Dato questo stato di cose, dovrebbe esistere una formazione specifica prima dell’ingresso in servizio (ossia prima del conseguimento dell’abilitazione
all’insegnamento) su come soddisfare le necessità educative e comportamentali dei bambini con DDAI, per tutti gli insegnanti in formazione e anche per
il resto del personale scolastico. Questo training permetterebbe di dare non
solo informazioni teoriche sul DDAI, ma anche di supervisionare la prassi
339
DDAI a Scuola
reale di insegnamento e le strategie di gestione del comportamento. Il fatto
che ogni educatore lavorerà probabilmente almeno con uno studente che ha
il DDAI in ogni anno di scuola, dovrebbe fare sì che questa proposta venisse
seriamente presa in considerazione. Sfortunatamente, al momento attuale, il
training intensivo sul lavoro con questi bambini non si verifica di solito prima
dell’entrata in servizio.
Anche se sembra ragionevole credere che il training preventivo sul DDAI
possa accrescere le competenze degli educatori nel lavorare con questi bambini, non esistono ancora dati empirici che supportano questa posizione. Pertanto, l’efficacia del training prima dell’ingresso in servizio dovrebbe essere
verificata nel dettaglio. In particolare, quali sono le attività di training che
portano a livelli maggiori di comprensione di questo disturbo e a un potenziamento delle competenze didattiche e gestionali con questi bambini? La
combinazione della formazione didattica, della lettura della bibliografia di
riferimento e della pratica sotto supervisione sono in grado di preparare a
sufficienza gli insegnanti per lavorare efficacemente con questa popolazione?
Sono necessarie altre tipologie di training (per es., esperienza pratica in scuole
per bambini con disturbi del comportamento) per conseguire livelli adeguati
di competenza in questo ambito? Queste sono domande importanti a cui
trovare una risposta dal momento che un adeguato training prima dell’entrata
in servizio rappresenta una strategia proattiva (ossia preventiva) di intervento
con i ragazzi con DDAI e potrebbe in definitiva ridurre la necessità di piani di
intervento più costosi e intensivi in momenti successivi.
La ricerca sul DDAI in contesti scolastici
Anche se numerosi interventi comportamentali e cognitivo-comportamentali per il DDAI si sono dimostrati efficaci in indagini empiriche (DuPaul & Eckert, 1997), c’è ancora molto da apprendere su come accrescere
la performance scolastica degli studenti affetti da questo disturbo. Rispetto
alla voluminosità della letteratura relativa al trattamento farmacologico con
stimolanti, la trattazione degli interventi didattici e psicosociali in contesti
scolastici è solo all’inizio. Ci sono ancora numerose direzioni che possono
essere intraprese in questo ambito; di seguito identifichiamo alcune delle dimensioni di ricerca più rilevanti ai fini della prassi quotidiana.
Gli interventi comportamentali utilizzati per il DDAI sono piuttosto differenti nello scopo, nel contenuto e nell’intensità. Si sa poco dell’efficacia
340
Conclusioni e direzioni future
propria di ogni componente dell’intervento (per es., sistema di token reinforcement vs. response cost). Quali sono le componenti di un intervento comportamentale sufficienti a trattare il DDAI? Il piano di intervento dovrebbe variare
in funzione dei fattori individuali (ossia dell’età, del sesso, della gravità del
disturbo) e ambientali (per es., inserimento in classi normali vs. inserimento
in classi speciali, livello di stress dell’insegnante)? I professionisti devono sapere non solo se un intervento funzionerà, ma anche quale trattamento sarà
maggiormente efficace data una serie di circostanze preesistenti.
La maggior parte della ricerca sulle terapie si è focalizzata sulla manipolazione delle situazioni conseguenti per modificare il comportamento degli
studenti con DDAI. Le informazioni su come utilizzare gli eventi antecedenti
(ossia sulle procedure proattive) per ridurre i comportamenti problematici
e migliorare la performance scolastica di questi studenti sono invece ancora
molto scarse. Quali sono le modalità più efficaci di presentare contenuti scolastici a studenti con DDAI? L’efficacia delle differenti strategie didattiche varia
in funzione del profilo comportamentale e scolastico del bambino? Come
possiamo migliorare l’attenzione del bambino alle indicazioni del compito?
E’ possibile, e come, modificare il livello di stimolazione dei contenuti didattici in modo che i bambini con DDAI possano completare con più facilità e accuratezza i compiti scolastici? Una conoscenza più approfondita delle
manipolazioni più efficaci sugli eventi antecedenti presumibilmente sarà di
grande aiuto nel prevenire e/o nel ridurre la gravità di numerose difficoltà nel
controllo del comportamento associate a questo disturbo e, allo stesso tempo,
nel migliorare il rendimento e la performance scolastica.
Anche se gli interventi comportamentali si sono rivelati efficaci per il DDAI,
questi spesso non vengono applicati in classe. Malgrado la loro efficacia, gli
insegnanti spesso li trovano inattuabili a causa della mancanza di tempo, di
risorse o del proprio disaccordo con l’approccio teorico di riferimento (Witt
& Elliott, 1985). In altre parole, molti interventi che funzionano bene in un
paradigma di ricerca spesso sono percepiti come poco pratici, soprattutto se
devono essere applicati in classi normali. Pertanto, dobbiamo sapere come
accrescere il grado di accettabilità dei trattamenti efficaci. Non è sufficiente
stabilire che un intervento funzioni effettivamente, dobbiamo anche sapere se
sia accettabile per i futuri “consumatori” (ossia per gli insegnanti, i genitori
e gli studenti). Possono essere introdotti dei cambiamenti negli interventi attualmente disponibili che ne aumenterebbero il grado di accettabilità e quindi
il grado in cui vengono adottati in classe? Come si può accrescere l’efficacia di
341
DDAI a Scuola
trattamenti che sono percepiti come maggiormente accettabili, quali le strategie di self-management? Il vero banco di prova per la ricerca in questo ambito
è rappresentato dal fatto che gli insegnanti e il resto del personale scolastico
applichino nella realtà quotidiana, con costanza e per lunghi periodi di tempo
queste procedure empiricamente valide.
I ricercatori nel campo del DDAI devono sviluppare e verificare altre metodologie di lavoro con questi bambini in contesti scolastici. Tutto ciò dovrebbe
avere lo scopo di migliorare gli esisti didattici di questi bambini piuttosto che
tenere unicamente sotto controllo il loro comportamento. Per esempio, le
procedure discusse nel Capitolo 5 includevano interventi mediati dai compagni o dall’utilizzo del computer. Queste procedure sono davvero promettenti
per gli studenti con DDAI, ma non sono ancora state studiate nel dettaglio.
Inoltre, non è ancora chiaro quale sia il processo decisionale migliore per scegliere l’intervento scolastico più adatto a determinate situazioni o per valutare
se invece siano necessari cambiamenti da applicare in itinere. Per esempio,
spesso, per la definizione del trattamento si suggerisce l’utilizzo di un modello
di problem-solving che si basa sui dati empirici raccolti (Elliott, Witt, Kratochwill & Stoiber, 2002); tuttavia non esistono dati che ne provino l’efficacia
costi-benefici in caso di studenti con DDAI. Questo metodo, più lungo e impegnativo, porta veramente a miglioramenti più consistenti nella performance
scolastica di questi ragazzi rispetto a modelli prove-ed-errori?
Infine, viste le attuali indicazioni federali sull’educazione speciale, è sempre più necessario stabilire come e a quali condizioni i bambini con DDAI
possono essere candidabili all’inserimento in servizi di questo tipo. Attualmente, le linee guida su come prendere queste decisioni sono piuttosto vaghe e i sistemi scolastici sono lasciati a se stessi. Idealmente, dovrebbero
essere disponibili delle linee guida pratiche che facilitino la decisione sulla
candidabilità e che conducano alla definizione di programmi di intervento
efficaci. In quali condizioni gli studenti con DDAI possono trarre beneficio
da servizi di educazione speciale? Quali strumenti di valutazione si dovrebbero utilizzare per stabilirne l’inserimento? Quale dovrebbe essere, in questo
processo decisionale, il ruolo dei professionisti che lavorano nei servizi territoriali (per es., dei medici)? Quali dovrebbero essere le componenti del piano educativo speciale per questi studenti? Questi trattamenti sono differenti
da quelli attualmente in uso per studenti con disturbi dell’apprendimento o
disturbi emotivi? Certamente tutti questi argomenti necessitano di ulteriori
approfondimenti.
342
Conclusioni e direzioni future
CONCLUSIONI
È piuttosto sconfortante ammettere che nonostante la nostra comprensione del DDAI sia notevolmente accresciuta negli ultimi decenni, i bambini affetti da questo disturbo continuano a incontrare numerose difficoltà
di riuscita all’interno delle nostre scuole. Per modificare questa situazione, si
devono fare dei passi avanti in alcuni ambiti principali. Primo, i professionisti
nel settore della psicologia e della pedagogia devono accrescere la propria consapevolezza e comprensione dei limiti che questi studenti presentano. Quei
professionisti che hanno accumulato esperienza nel lavoro con questi ragazzi devono formare i loro colleghi e farli diventare egualmente competenti. I
bambini con questo disturbo si incontrano praticamente in ogni classe. Pertanto, tutti gli educatori dovrebbero possedere almeno le competenze basilari
per identificare questi bambini, per progettare curricoli e programmi didattici
che possano venire incontro alle loro necessità e per aiutarli a diventare futuri
cittadini più produttivi e realizzati. Secondo, si devono migliorare le tecniche
di valutazione e di trattamento dei bambini con DDAI. Si devono sviluppare
metodologie valutative che vadano oltre i report di altre figure significative al
fine di accrescere la validità ecologica del processo di valutazione. Terzo, è assolutamente necessario individuare modalità di trattamento che siano efficaci,
da un lato, e che, dall’altro, siano accettabili per i consumatori anche in seguito a una valutazione costi-benefici. Pertanto, la sfida per la ricerca è quella di
condurre a una prassi efficace in modo da conseguire miglioramenti a lungo
termine nella performance scolastica di tutti i bambini con DDAI. Finché non
si sarà raggiunto questo obiettivo, tuttavia, i numerosi suggerimenti contenuti
in questo testo possono fungere da punto di partenza e da guida per una prassi
didattica corretta, al fine di accrescere le possibilità di esisti scolastici positivi
per questi studenti.
343
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