Le basi psicobiologiche del DDAI Fabiana Bernarducci Dipartimento di psicologia, Università degli studi di Roma “La Sapienza” Come molti altri disordini mentali, il DDAI (Disturbo da Disattenzione/Iperattività) risulta essere una patologia multifattoriale in cui, sebbene l’ambiente giochi un importante ruolo di mantenimento, le cause di natura biologica sembrano essere prevalenti. L’ipotesi più accreditata è che il bambino nasca con una predisposizione a sviluppare i comportamenti tipici del DDAI la cui gravità e tipologia di manifestazione sintomatologica è in funzione della situazione ambientale in cui il piccolo vive (Douglas 1984). Le moderne tecniche radiologiche e gli studi di genetica molecolare hanno contribuito molto nello studio della natura biologica del DDAI. È soprattutto nel corso dell’ultimo decennio, infatti, che i ricercatori sono giunti a conclusioni quasi del tutto attendibili sia nei riguardi di alcuni geni presenti nei bambini portatori del disturbo, sia circa le regioni cerebrali il cui alterato funzionamento ne spiegherebbe i sintomi. Cause di origine genetica Diverse sono le ricerche per mezzo delle quali si è tentato di dimostrare il ruolo della genetica nell'eziologia del DDAI. La componente ereditaria dell'DDAI è stata documentata per mezzo di molti studi volti ad individuare soprattutto la percentuale di casi di DDAI in famiglie con figli adottivi, con gemelli eterozigoti ed omozigoti. Da questi studi è emerso che, in una coppia di gemelli omozigoti, qualora uno sia portatore di DDAI, l'altro ha una probabilità che oscilla tra il 50% e l'80% di manifestare lo stesso disturbo. Nei casi di fratelli eterozigoti invece, il rischio sembra ridursi al 30%. I deficit da Disattenzione ed Iperattività tuttavia, non sono gli unici disturbi mentali che possono ricorrere in una famiglia in cui sia stato già riscontrato un caso di DDAI: ansia, depressione ed altri disturbi psichiatrici risultano spesso essere presenti in altri membri della famiglia, ad indicare una probabile natura comune di questi diversi disturbi. Sono diverse le mutazioni genetiche coinvolte nell’eziologia del DDAI. Tra di esse emergono quelle a carico del gene DRD4 e del gene SLC6A3, entrambi molto attivi soprattutto nelle cellule della corteccia prefrontale, in quelle dei nuclei della base e nelle cellule delle aree limbiche (fig. 1, 2, 3) ed entrambi coinvolti nella trasmissione sinaptica che prevede l'utilizzo della dopamina. Il gene DRD4, situato sul cromosoma 11, è deputato alla codifica del recettore D4, una proteina presente sulle membrane delle cellule cerebrali. Questa proteina è molto importante ai fini della trasmissione sinaptica dopaminergica: mutazioni di questo gene, quindi, possono codificare recettori meno sensibili per la dopamina, alterando così la trasmissione sinaptica all'interno del cervello e quindi di tutta quella complessa rete di informazioni ad essa sottostante. Mutazioni di questo gene, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare l'origine del DDAI, in quanto mentre non sono state riscontrate in tutti i bambini con il disturbo, (in circa il 51% dei casi), risultano essere presenti anche nel 21% di bambini normali. L'altro gene (il gene SLC6A3), la cui mutazione è stata frequentemente riscontrata nei bambini con DDAI, è situato sul cromosoma 5 ed è deputato alla codifica di una molecola (denominata DAT) anch'essa molto importante nella trasmissione sinaptica mediata dalla dopamina. Questa molecola, infatti, è responsabile del trasporto e della riassunzione del neurotrasmettitore, dopo che questo è stato secreto dal neurone presinaptico per legarsi al neurone post-sinaptico e permettere così il trasferimento dell'informazione. Mutazioni di 1 questo gene, quindi, possono codificare molecole trasportatrici della dopamina eccessivamente attive, eliminando il neurotrasmettitore secreto prima che esso abbia la possibilità di legarsi agli specifici recettori situati sul neurone post-sinaptico. Mutazioni a carico di questo gene, però, come per il gene DRD4 precedentemente menzionato, non sono state riscontrate in tutti i bambini con DDAI, a dimostrare che probabilmente altri fattori, sia di natura genetica che ambientale (come dimostrano le ricerche effettuate sui fratelli omozigoti), concorrono nel determinare l'insorgenza del disturbo. Le componenti ambientali come fattore di mantenimento In uno studio condotto da Goodman e Stevenson (1989) su un campione costituito da coppie di gemelli omozigoti, gli autori conclusero che l’ereditabilità genetica della sindrome spiegava il 30% - 40% della varianza, mentre i fattori ambientali il 10% - 30%. Numerosi sono stati gli aspetti dell’ambiente sociale e biologico esaminati dai ricercatori quali rischi potenziali o fattori di mantenimento del DDAI. Tuttavia, anche se diversi elementi appaiono sufficientemente implicati nell’eziologia del disordine mentale, nessuno è mai emerso come unica causa che provochi l’insorgenza del disturbo. Determinate condizioni ambientali possono facilitare l’insorgenza del sintomo e renderlo più o meno grave, mentre condizioni sociali particolarmente favorevoli possono agire come “effetto tampone”, mitigando la predisposizione innata del bambino a sviluppare la malattia. In ogni modo, le particolari condizioni ambientali, oltre a giocare un ruolo di rilievo nell’eziologia del DDAI, sono coinvolte anche secondariamete in seguito agli insuccessi scolastici e di socializzazione cui i bambini con DDAI si imbattono: frustrazioni in ambito relazionale e scolastico spesso determinano disturbi comportamentali secondari che accentuano e confondono i sintomi primari di iperattività ed impulsività della sindrome. Si è inoltre molto discusso anche nei riguardi di particolari ed intensi stress famigliari e situazioni sociali svantaggiate come uno dei fattori determinanti il DDAI. Tuttavia, sebbene molti studi forniscano prove evidenti circa il loro contributo nella sua eziologia, essi tendono ad emergere più come predittori universali di diversi disturbi comportamentali e di natura emotiva che come predittori specifici di DDAI. Tra i fattori ambientali maggiormente coinvolti nell'eziologia del DDAI, sembrano prevalere il fumo durante i mesi di gestazione, complicazioni prenatali, perinatali e postnatali ed un basso peso ponderale alle nascita. Fumo La letteratura riporta risultati di svariate ricerche volte a scoprire le conseguenze del fumo materno sullo sviluppo del feto e le eventuali correlazioni tra i danni provocati dalla nicotina e la manifestazione dei sintomi del DDAI. La nicotina è una sostanza che può provocare ipossia all'interno del cervello del nascituro (una condizione di scarsa ossigenazione) e, come accade nei pazienti con DDAI, può interferire con la trasmissione dopaminergica cerebrale, alterando così il sistema di controllo attentivo e comportamentale mediato da questo neurotrasmettitore. Risultati di una ricerca portata avanti da Milberger et al. nel 1998 dimostravano che, in un campione di bambini con DDAI, il 22% di loro era nato da madri che nel corso di almeno tre mesi di gestazione hanno fumato circa 20 sigarette al giorno. L’autore approfondì ulteriormente la ricerca comparando due campioni costituiti entrambi da gestanti fumatrici, di cui, però, uno composto da donne che già avevano avuto un figlio con DDAI (campione 1) e l'altro costituito da donne fumatrici senza altri figli con la sindrome (campione 2). I risultati hanno riportato che, tra i bambini nati che in seguito hanno manifestato la sintomatologia di disattenzione ed iperattività, il 47% di loro era figlio del campione 1 mentre solo il 24% era stato messo al 2 mondo dalle donne fumatrici ma senza altri figli con DDAI. Questi studi, quindi, confermano l'ipotesi che il fumo materno durante la gestazione aumenta il rischio che il bambino sviluppo deficit attentivi ed iperattività, soprattutto se esiste una predisposizione genetica alla manifestazione del disturbo. Complicazioni pre, peri e post-natali Tra le complicazioni durante la gestazione, il parto ed i primi momenti di vita del nascituro sono segnalate: malattie materne, stress fetali, ridotta o eccessiva durata della gravidanza, emorrargie pre-parto, ipossia, anossia (carenza/assenza di ossigenazione cerebrale), basso peso ponderale. Queste complicazioni rischiano di incidere negativamente sul sistema nervoso centrale in seguito ai danni che esse provocano nelle aree corticali durante i periodi critici del loro sviluppo. In ogni caso, non è stata riscontrata una correlazione diretta tra complicazioni pre, peri e post-natali e DDAI, piuttosto una maggior frequenza, nei bambini con un tale trascorso, sia di disturbi cognitivi che di natura psicotica in genere. Tuttavia, le ricerche che riportano una correlazione positiva tra DDAI e complicazioni pre peri e post-natali indicano che queste ultime hanno sempre provocato nei neonati e nei feti, che poi avrebbero sviluppato la sindrome, anossia e ipossia cerebrale, soprattutto a carico di una particolare regione encefalica chiamata nuclei della base (fig. 3), direttamente coinvolta nel controllo del movimento volontario. Dati più diretti sono stati invece riscontrati nelle ricerche volte ad individuare una relazione tra basso peso ponderale alla nascita (inferiore ai 1500g) e DDAI, rilevando una percentuale piuttosto alta (22%-34%) di bambini con DDAI che alla nascita pesavano meno di 1500g (Astbury, Orgill & Bajuk, 1987; Ross, Lipper & Auld, 1992). Neuropsicobiologia del DDAI La complessa funzione di controllo dell’attenzione e di pianificazione del comportamento è la risultante dell’azione coordinata di diverse regioni corticali e sottocorticali, in un reciproco gioco di attivazione ed inibizione che mantiene il sistema nervoso centrale aperto alla ricezione di impulsi sensoriali significativi e pronto a reagire ad essi con movimenti e comportamenti appropriati. Il sistema attentivo è strutturato in modo da avere una capacità limitata, non può essere, infatti, occupato da troppi segnali contemporaneamente, rendendo obbligatoria una loro selezione. La sua azione preminente è quindi quella della soppressione di stimoli irrilevanti a vantaggio dell’elaborazione di quelli rilevanti. Il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto nella funzione attentiva è la dopamina. Il bambino con DDAI, a causa dell’insufficiente rilascio e del suo eccessivo riassorbimento a livello sinaptico non possiede una concentrazione di questo neurotrasmettitore tale da permettere un adeguato funzionamento del sistema di controllo dell’attenzione: la selezione degli stimoli sensoriali rilevanti e la scelta dei comportamenti più adeguati in relazione alle situazioni risulta così essere compromessa. Numerose ricerche hanno avuto lo scopo di rilevare la situazione anatomica e fisiologica delle diverse aree cerebrali nei pazienti con DDAI. Grazie anche ai moderni strumenti e tecniche radiologiche, è stato possibile riscontrare disfunzioni ed alterazioni strutturali in diverse regioni corticali e sottocorticali, prime tra tutte quelle a carico della corteccia prefrontale e dei nuclei della base. Disfunzioni a carico della corteccia prefrontale, dei nuclei della base e del lobo parietale Il lobo frontale rappresenta un terzo della corteccia cerebrale umana ed è anatomicamente molto complesso (fig. 1). L’area frontale maggiormente coinvolta nei processi cognitivi e comportamentali è la corteccia prefrontale (fig. 2). Attraverso numerose fibre di connessione, è in comunicazione diretta con quasi tutte le aree encefaliche e gioca un ruolo vitale in molte funzioni cerebrali, tra le quali programmazione del 3 pensiero e del comportamento, mantenimento dell’attenzione, capacità di giudizio ed astrazione, motivazione, espressione dell’emotività, inibizione di comportamenti socialmente inappropriati. In particolare, è il complesso sistema di connessioni tra la corteccia prefrontale ed nuclei della base (una formazione sottocorticale comprendente tre nuclei, chiamati putamen, caudato e globo pallido, fig. 3) a giocare un ruolo preminente nella regolazione della funzione motoria e del comportamento (Banich M.T., 1998). La corteccia prefrontale, infatti, dopo aver ricevuto ordini sensoriali di alto livello dalle aree corticali di associazione (Cavada C. & P.S. Goldman-Rakic1989) (fig. 1), esercita un controllo inibitorio sul movimento inviando l'informazione al nucleo caudato (Goldman-Rakic P.S. & W.J.H. Nauta, 1977). Quest'ultimo proietta l’informazione al globo pallido, che a sua volta rimanda il feedback alla corteccia prefrontale in una rete di connessioni che attraversano i nuclei talamici (Middleton F.A. & P.L. Strick1994). Già Luria, nel 1962, provò che la capacità di mantenere nel tempo attenzione focalizzata era correlata al funzionamento del lobo frontale. L’autore, infatti, riscontrò che pazienti adulti con danni ai lobi frontali ed alle fibre di connessione tra questi e le strutture sottocorticali (nuclei della base e sistema reticolare attivante, fig.3), manifestavano gravi difficoltà nel mantenimento delle capacità attentive. A suffragare l'ipotesi che nel determinare la particolare sintomatologia dei DDAI sia coinvolta una disfunzione dei lobi frontali ha contribuito Mattes (1993), riscontrando che esistono forti similitudini tra la sintomatologia manifestata da adulti celebrolesi frontali e quella tipica dei bambini con DDAI. Nei pazienti con lesioni frontali, infatti, si osserva frequentemente un ridotto apprezzamento delle regole e delle restrizioni sociali, una compromissione del ragionamento logico e della memoria di lavoro, un comportamento caratterizzato da impulsività e da difficoltà di programmazione. Nei bambini con DDAI sono state riscontrate anormalità morfologiche e funzionali proprio in quelle regioni encefaliche normalmente coinvolte nel controllo dei processi attentivi e comportamentali. Per mezzo delle tecniche di neuroimmagine i ricercatori hanno potuto rilevare che la corteccia frontale ed alcuni nuclei della base (nucleo caudato e globo pallido) dei bambini con DDAI risultano più piccoli rispetto a quelli dei bambini del gruppo di controllo e che tali differenze risultano maggiori nell’emisfero destro (Castellanos et al, 1996; Mataro et al., 1997). Un volume corticale ridotto è stato osservato anche nelle aree parieto-occipitali posteriori in adolescenti maschi in confronto al gruppo di controllo (Filipek, et al.,1997). Inoltre, sia nei bambini che in adulti con DDAI, durante un compito di concentrazione, è stato messo in evidenza una riduzione del metabolismo del glucosio ed un livello ematico cerebrale inferiore alla norma, in particolar modo nella corteccia prefrontale e dei nuclei della base. Altri studi rilevarono una significativa asimmetria corticale ed una minore attività fronto-parietale sinistra in bambini con DDAI rispetto al campione di controllo (Sieg et al., 1995). Le PET di un gruppo di adulti che durante l’infanzia hanno manifestato iperattività e che avevano almeno un parente con DDAI, riportavano un inferiore ritmo metabolico del glucosio soprattutto nelle aree corticali premotorie, nuclei della base ed in altre strutture encefaliche (talamo, ippocampo , giro del cingolo, fig. 2 e 3) (Zametkin et al., 1990). Alterazione del livello extracellulare della dopamina La dopamina è un neurotrasmettitore sintetizzato dalle cellule di una particolare area encefalica chiamata substantia nigra, situata nel mesencefalo (fig. 3). Essa svolge un ruolo fondamentale nel controllo di molte funzioni fisiologiche, fra cui l’attività motoria volontaria, (coordinazione ed inibizione dei movimenti), la regolazione dei processi cognitivi e dei processi neuroendocrini. Durante l’impulso nervoso, il livello della dopamina extracellulare è regolato dal suo riassorbimento da parte del trasportatore (DAT), dall’inibizione di ulteriore rilascio da parte dei recettori post-sinaptici e dalla sua distruzione in seguito all’intervento di speciali enzimi. Un livello ottimale di dopamina extracellulare è indispensabile affinché avvenga la trasmissione dell’impulso nervoso. Nei soggetti normali, il livello di dopamina extracellulare è di circa 4nM, mentre durante l’impulso nervoso aumenta fino ad un massimo di 250 4 nM (Garriss, et al, 1994). Nelle persone con DDAI invece il livello di dopamina extracellulare risulta essere inferiore, soprattutto nelle regioni frontali determinando una sottoattivazione corticale. Secondo alcuni autori (Arnsten e Steere, 1996) molto probabilmente, il comportamento iperattivo adottato dai pazienti con DDAI è finalizzato all’aumento del livello di dopamina, ipotesi peraltro confermata dall’efficacia dei farmaci stimolanti. Una delle cause sottostanti questo basso livello di dopamina extracellulare sembra essere un elevato numero di DAT (con un aumento di circa il 70% rispetto ai controlli). Ulteriori dati che supportano l’ipotesi di una correlazione tra DDAI ed alterazione del sistema dopaminergico provengono dai risultati ottenuti dai trattamenti farmacologici. È stato, infatti, ampiamente riscontrato che i farmaci più efficaci nella cura del sintomo siano quelli che agiscono su questo sistema neurotrasmettitoriale (Castellanos et al, 1996; Shekim et al, 1994 ed altri), in quanto aumentano il livello di dopamina extracellulare mediante il blocco dell'attività dei DAT. Conclusioni Da quanto detto appare chiaro che il DDAI sia una patologia molto complessa e nella quale entrano in gioco numerosi fattori. La genetica, come causa scatenante la sindrome, sembra avere un ruolo fondamentale, soprattutto se si incontra con particolari situazioni ambientali come il fumo durante la gestazione e complicazioni fetali che conducono a stati di ipossia od anossia cerebrale. Specifici correlati anatomo-fisiologici sono stati riscontrati in molti bambini ed adulti con DDAI. In particolare, sono state osservate frequenti asimmetrie volumetriche ed una ridotta attività corticale, soprattutto a carico della corteccia prefrontale e dei i gangli della base, nonché livelli di dopamina sinaptica inferiori alla norma. 5 FIG. 1 Disegno schematico della superficie laterale del cervello umano che mette in evidenza le regioni occupate dalle cortecce sensoriali e motrici primarie, dalle cortecce motrici e sensoriali di ordine superiore e dalle cortecce associative. (Da Kandel E.R., Schwartz J.H., Jessell T.M.: “Principi di neuroscienze”, seconda edizione). FIG. 2 Il giro del cingolo ed il giro paraippocampico sono due formazioni del sistema limbico disposte in corrispondenza della superficie mediale degli emisferi cerebrali. (Da Kandel E.R., Schwartz J.H., Jessell T.M.: “Principi di neuroscienze”, seconda edizione). FIG.3 Regioni principali del sistema nervoso centrale e punti di riferimento più importanti in una sezione sagittale mediana. I nuclei della base si trovano al di sotto del corpo calloso (non raffigurati), la substantia nigra nel mesencefalo ed il sistema reticolare attivante tra il mesencefalo ed il bulbo. (Da Kandel E.r., Schwartz J.H., Jessell T.M.: “Principi di neuroscienze”, seconda edizione). 6 Bibliografia Bradley James D.D., Golden Charles J.: “Biological contributions to the presentation and understanding of AttentionDeficit/Hyperactivity Disorder: a review”, Clinical Psychology Review, 2001; vol. 21; 6; 907-929. Dougherty D.D., Bonab A.A., Spencer T.J., Rauch S.L., Madras B.K., Fischman A.J.: “Dopamine transporter density in patients with attention deficit hyperactivity disorder”, Lancet, 1999; Dec 18-25; 354(9196): 2132-3. 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