Novità fiscali
luglio 2010
Indice
La concorrenza fiscale intercantonale all’esame popolare
2
Una valutazione della situazione del Canton Ticino nel raffronto intercantonale
9
La revisione dell’imposta sul valore aggiunto
11
La controversia fiscale tra Svizzera ed Unione europea: una questione ancora aperta
14
Dal Tribunale amministrativo federale luce verde alla trasmissione dei dati bancari agli
Stati Uniti
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Il meccanismo del freno all’indebitamento previsto dalla Costituzione federale è in vigore
da 10 anni
17
Lo shopping italiano delle regole fiscali
18
Italia: l’applicazione dei benefici convenzionali alle partnerships di diritto estero
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A settembre prenderà avvio il corso annuale di diritto fiscale internazionale
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La concorrenza fiscale intercantonale all’esame popolare
Popolo e Cantoni saranno chiamati a votare il 28 novembre 2010 sull’iniziativa del
Partito socialista “Per imposte eque. Basta con gli abusi nella concorrenza fiscale”
L’iniziativa del Partito socialista “Per imposte eque. Basta con gli abusi nella concorrenza fiscale”, sulla quale
popolo e Cantoni saranno chiamati a votare il prossimo 28 novembre, ha l’obiettivo di porre un freno al
fenomeno della concorrenza fiscale intercantonale ai fini dell’imposta sul reddito e sulla sostanza delle
persone fisiche. In particolare si vuole arrestare il turismo fiscale per le persone più abbienti che, a seconda
degli iniziativisti, genererebbe tra i Cantoni una forte concorrenza in materia di riduzione delle imposte con
conseguente soppressione di prestazioni statali in favore della popolazione.
I contenuti dell’iniziativa del Partito socialista
L’iniziativa per imposte eque ha per oggetto i tre punti seguenti:
1. per le persone sole, l’aliquota fiscale marginale delle imposte cantonali e comunali sul reddito imponibile
a partire da 250'000 franchi deve ammontare in tutti i Cantoni almeno al 22%. Per le coppie tassate
congiuntamente e le persone con figli, l’importo può essere aumentato;
2. per le persone sole, l’aliquota fiscale marginale delle imposte cantonali e comunali sulla sostanza
imponibile a partire da 2 milioni di franchi deve ammontare in tutti i Cantoni almeno al 5‰. Per le coppie
tassate congiuntamente e le persone con figli, l’importo può essere aumentato;
3. l’aliquota fiscale media applicabile a ogni singola imposta diretta prelevata dalla Confederazione, dai
Cantoni e dai Comuni non decresce né con l’aumento del reddito imponibile né con l’aumento della
sostanza imponibile.
Verso un’armonizzazione materiale, oltre che formale
L’articolo 129 capoverso 2 della Costituzione federale obbliga i Cantoni a prevedere nelle loro leggi tributarie
regole identiche per soggetti fiscali (coloro che devono pagare l’imposta), oggetto fiscale (su che cosa si
paga l’imposta), periodo di calcolo (la base temporale dell’imposta) e le medesime procedure e disposizioni
penali. Questa armonizzazione fiscale formale, entrata in vigore il 1. gennaio 2001, anno in cui i Cantoni si
sono dovuti adeguare alla Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni
(LAID), ha equilibrato i differenti regimi fiscali cantonali, allineandoli a quello valevole per l’imposta federale
diretta prelevata dalla Confederazione. Tuttavia i Cantoni sono sempre rimasti autonomi nel determinare le
aliquote d’imposta nel rispetto dei principi costituzionali della parità di trattamento e dell’imposizione secondo
la capacità contributiva.
Nel caso in cui l’iniziativa venisse approvata, si verrebbe a creare un’armonizzazione fiscale materiale, oltre
che formale, tra i Cantoni poiché il loro margine di manovra in materia di aliquote, prerogativa del
federalismo fiscale, verrebbe concretamente ridotto. Infatti, i Cantoni avrebbero sì la possibilità di stabilire
aliquote superiori ai limiti indicati dall’iniziativa, ma non potrebbero fissare aliquote inferiori.
L’armonizzazione materiale, che si estenderebbe alle imposte sul reddito e sulla sostanza delle persone
fisiche, non concerne invece l’imposizione delle persone giuridiche, campo in cui i Cantoni resterebbero
liberi di fissare le aliquote applicabili ai fini delle imposte sull’utile e sul capitale.
Alcune incertezze giuridiche dell’iniziativa
Da un profilo fiscale, il testo dell’iniziativa pone alcuni dubbi sulla sua concreta applicabilità:
• in primo luogo ci si chiede come i Cantoni dovrebbero calcolare, in maniera uniforme, il limite di 250'000
franchi per applicare l’aliquota marginale del 22% ai fini dell’imposta sul reddito, rispettivamente il limite di
2 milioni di franchi per applicare l’aliquota marginale del 5‰ ai fini dell’imposta sulla sostanza. Infatti,
l’iniziativa non pone alcun vincolo ai Cantoni per la determinazione degli importi delle deduzioni ammesse
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dall’articolo 9 LAID, cosa che potrebbe causare, oltre ad un’incertezza giuridica, una nuova forma di
concorrenza fiscale in materia di deduzioni tra i Cantoni;
in secondo luogo l’iniziativa chiede che l’imposizione minima per le persone tassate congiuntamente e
quelle con figli a carico possa essere aumentata. Dato che non vengono stabiliti limiti minimi cantonali
per queste categorie di contribuenti, la disposizione potestativa prevista dall’iniziativa condurrà
inevitabilmente a minimi diversi a dipendenza del Cantone di domicilio;
in terzo luogo ci si domanda quali imposte debbano essere considerate per determinare l’aliquota
marginale minima. Oltre alle imposte cantonali e comunali, molti Cantoni riscuotono, con l’ausilio del
moltiplicatore d’imposta, anche le imposte di culto, oppure le imposte in favore di Comuni scolastici (p.
es. Turgovia) oppure ancora in favore dei distretti e dei circondari (p. es. Svitto e Appenzello Esterno).
Diventa quindi difficile determinare effettivamente l’aliquota marginale minima.
I Cantoni interessati dall’iniziativa
Esaminando l’onere fiscale massimo sul reddito imponibile nei capoluoghi cantonali per quanto riguarda le
imposte cantonali e comunali nel 2010, i Cantoni interessati completamente o parzialmente dal postulato
dell’iniziativa, la quale chiede un’aliquota marginale minima del 22% per i redditi imponibili superiori a
250'000 franchi, sono in totale 12 (Appenzello Esterno e Interno, Glarona, Grigioni, Lucerna, Nidvaldo,
Obvaldo, San Gallo, Sciaffusa, Svitto, Uri e Zugo). Nei rimanenti Cantoni, tra i quali figura anche il Ticino,
l’aliquota d’imposizione massima si situa al di sopra del minimo previsto dall’iniziativa per cui non ci
sarebbero ripercussioni.
Ai fini dell’imposta sulla sostanza, i Cantoni totalmente o parzialmente interessati dall’iniziativa sono più della
metà, vale a dire 15 su 26 (Appenzello Esterno e Interno, Argovia, Glarona, Grigioni, Lucerna, Nidvaldo,
Obvaldo, San Gallo, Sciaffusa, Soletta, Svitto, Turgovia, Uri e Zugo), i quali prevedono un’aliquota media
massima inferiore del 5‰ ai fini dell’imposta cantonale e comunale. Gli 11 restanti Cantoni, Ticino
compreso, non sarebbero invece toccati dal postulato.
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L’adeguamento della scala delle aliquote da parte di alcuni Cantoni
L’Alta Corte nella sentenza sulle discusse aliquote regressive previste dal Canton Obvaldo nel 2007 ha
rilevato che il principio della parità di trattamento dell’imposizione e quello dell’imposizione secondo la
capacità contributiva esigono che “l’imposizione di ogni livello di reddito all’interno del sistema e nel
confronto con gli altri livelli di reddito segua le stesse regole, appaia giustificato e sia ragionevole”. Delle
rappresentazioni molto deformate della curva d’imposizione (salti o sbalzi) rivestono un carattere inusuale e
violano il diritto all’uguaglianza.
Da queste indicazioni si può pertanto presumere che i diversi Cantoni interessati non possano
semplicemente inserire nella loro scala delle aliquote un’aliquota marginale minima per la soglia di reddito e
di sostanza imponibile richiesta dall’iniziativa senza violare il principio dell’uguaglianza, poiché si andrebbero
a formare, in alcuni casi, delle deformazioni della curva d’imposta.
Di seguito verrà esaminato l’impatto dell’iniziativa ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in tre
Cantoni molto diversi tra loro per quanto riguarda il prelievo fiscale: Nidvaldo, Grigioni e Ticino.
L’impatto dell’iniziativa ai fini dell’imposta sul reddito nel Canton Nidvaldo
Il Canton Nidvaldo figura fra i Cantoni interessati dall’iniziativa del Partito socialista. L’andamento dell’onere
fiscale (imposta cantonale e comunale) calcolato sul reddito imponibile di una persona sola nel Comune di
Stans (capoluogo cantonale) è rappresentato dal grafico sottostante (in colore blu). La progressione del
carico fiscale si interrompe a partire da un reddito imponibile di 300'000 franchi, soglia a partire dalla quale
viene applicata un’aliquota proporzionale del 15.24% (cfr. anche l’articolo 40 della legge tributaria del Canton
Nidvaldo). Per un reddito imponibile di 250'000 franchi l’onere fiscale a Stans è del 15.24% e, secondo le
disposizioni previste dall’iniziativa, oltre questa soglia si richiede un’aliquota marginale minima del 22%, vale
a dire di quasi sette punti percentuali in più rispetto all’onere fiscale attuale.
Se il legislatore del Canton Nidvaldo decidesse di inserire nella legge un’aliquota marginale del 22% a
partire da 250'000 franchi di reddito imponibile per le persone sole, senza tuttavia modificare le aliquote
marginali inferiori, la nuova curva d’imposta (combinazione del colore blu e del colore rosso nel grafico)
violerebbe i principi enunciati dal Tribunale federale, poiché la progressione della curva non seguirebbe più
un’evoluzione regolare. A questo punto al fine di riequilibrare l’andamento dell’onere fiscale, il legislatore
sarebbe tenuto a modificare verso l’alto le aliquote marginali inferiori a 250'000 franchi, aggravando
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fiscalmente i contribuenti del ceto medio che dispongono di un reddito imponibile inferiore (colore verde
tratteggiata).
L’impatto dell’iniziativa ai fini dell’imposta sul reddito nel Canton Grigioni
Il Canton Grigioni, che prevede un’aliquota massima applicabile al reddito imponibile delle persone sole del
20.9% verrebbe toccato in misura molto ridotta dall’iniziativa. Se si applicasse un’aliquota marginale minima
del 22% a partire da un reddito imponibile di 250'000 franchi per le persone sole, la curva d’imposta del
Canton Grigioni, come evidenziato dal grafico, non subirebbe grosse ripercussioni. Infatti l’aliquota media del
22% verrebbe quasi raggiunta (21.93%) per un reddito imponibile di 10 milioni di franchi.
Anche per quanto concerne l’andamento dell’onere fiscale non dovrebbero essere necessari adeguamenti,
verso l’alto, dei tassi marginali d’imposta.
Da un confronto della curva d’imposta del Canton Grigioni con quella del Canton Nidvaldo, a seguito di
un’ipotetica approvazione del popolo e dei Cantoni dell’iniziativa del Partito socialista, l’andamento dell’onere
fiscale risulterebbe quasi identico nei due Cantoni, salvo qualche piccola variazione nell’evoluzione della
progressione delle aliquote e degli importi esenti da imposta.
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L’impatto dell’iniziativa ai fini dell’imposta sul reddito nel Canton Ticino
Come indicato in precedenza, il Canton Ticino non rientra nel gruppo dei Cantoni che dovrebbero adeguare
il loro carico fiscale verso il basso secondo le disposizioni previste dall’iniziativa. Analizzando la scala delle
aliquote delle persone sole, l’onere fiscale (imposta cantonale e comunale) nel capoluogo cantonale
(Bellinzona) per un reddito imponibile di 250'000 franchi ammonta al 23.17%, superiore quindi al minimo
richiesto dall’iniziativa.
A tale proposito il Centro di competenze tributarie della SUPSI, su mandato del Consiglio di Stato del Canton
Ticino, ha esaminato la situazione del nostro Cantone nel raffronto intercantonale, proponendo
un’attenuazione delle aliquote massime dal 30 al 22%, sgravio che riflette la proposta del Partito socialista,
sulla base dei seguenti motivi: (Centro di competenze tributarie della SUPSI; Il Cantone Ticino nel contesto
della concorrenza fiscale intercantonale, Manno 2009, pagina 98)
“L’attenuazione dell’aliquota massima dal 15.076% all’11% (ndr. considerando solo l’imposta cantonale)
favorisce esclusivamente gli alti redditi e lascia inalterata la pressione fiscale per i redditi più ridotti. Il
vantaggio di questa soluzione, che è l’unica, a nostro parere, sostenibile, è quello di consentire al Cantone
Ticino di migliorare notevolmente la sua posizione nel contesto intercantonale con una contrazione di gettito
estremamente ridotta. I vantaggi sarebbero estremamente rilevanti per questi motivi:
• la posizione del Cantone Ticino si allinea alla media svizzera per quanto riguarda l’onere fiscale
concernente gli alti redditi;
• nei confronti del Canton Grigioni, della cui realtà bisogna tener conto, sia in considerazione della
vicinanza geografica, ma soprattutto perché numerosi contribuenti importanti residenti in Ticino hanno
case o appartamenti secondari in Engadina, la posizione del Canton Ticino migliora notevolmente. Di
fatto il prelievo fiscale massimo sarebbe analogo;
• la scala delle aliquote che ha un contenuto sociale tra i più importanti della Svizzera viene mantenuta
inalterata per i redditi con un’aliquota media inferiore all’11%;
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•
•
le deduzioni stabilite dalla legge tributaria ticinese, che sono il doppio o più della media svizzera,
vengono mantenute inalterate;
il Ticino diventa attrattivo nei confronti di quei contribuenti che vogliono trasferire in Svizzera il loro
domicilio per beneficiare del segreto bancario e della tassazione globale.
Questa soluzione salvaguarda inoltre il criterio della progressione delle aliquote, lasciando inalterate le
deduzioni attuali, per tutti i redditi la cui aliquota massima di categoria è pari o inferiore all’11%. A partire da
un’aliquota media dell’11%, si applicherà un’aliquota proporzionale della stessa misura. Si tratta in un certo
senso di combinare il criterio della progressione delle aliquote con quello dell’aliquota proporzionale, al di là
dell’11%.”
Il divieto di aliquote medie regressive
Il Tribunale federale, in una sentenza di principio, ha definito un sistema d’imposta ad aliquote
(parzialmente) regressive, così come concepito dal Canton Obvaldo nel 2007, contrario al principio
dell’imposizione secondo la capacità contributiva (articolo 127 capoverso 2 della Costituzione federale)
come pure al principio della parità di trattamento (articolo 8 capoverso 1 Costituzione federale) nel momento
in cui siano previste delle aliquote medie decrescenti.
Uno dei postulati dell’iniziativa, vale a dire il divieto di aliquote medie regressive, corrisponderebbe dunque
ad una codificazione nella Costituzione federale dell’attuale concezione giuridica.
Riuscita dell’iniziativa
Il Consiglio federale ha respinto l'iniziativa "per imposte eque" senza proporre alcun controprogetto; il
Consiglio degli Stati prima e il Consiglio nazionale dopo, hanno pure raccomandato al popolo e ai Cantoni di
respingere l’iniziativa; anche la Conferenza dei direttori cantonali delle finanze si è espressa, a più riprese,
contro questo postulato.
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Questa iniziativa, seppur lodevole nei suoi propositi di arrestare, almeno in parte, il fenomeno della
concorrenza fiscale intercantonale, sembra dunque destinata ad insuccesso popolare.
Difficilmente i Cantoni rinunceranno alla loro sovranità in materia di aliquote, principio fondamentale stabilito
già dall’articolo 3 della Costituzione federale del 1874. Anche la storia gioca contro questa iniziativa: infatti il
Consiglio federale, dagli anni sessanta, ha cercato più volte di disporre di una base costituzionale per
prelevare, senza limiti di tempo e senza limiti materiali, l’imposta federale diretta e l’imposta sul valore
aggiunto, senza però mai ottenere il consenso di tutte le istanze competenti. Una volta il popolo, un’altra
volta i Cantoni, un’altra volta ancora il parlamento, hanno in un modo o nell’altro sostenuto il principio del
federalismo fiscale nell’ambito delle imposte dirette.
La concorrenza fiscale intercantonale esercita una certa pressione sui regimi fiscali previsti dai Cantoni
portando a vantaggi e svantaggi. Il vantaggio principale riconosciuto alla concorrenza fiscale riguarda
l’incitamento all’ottimizzazione delle spese pubbliche sia all’esterno che all’interno dei diversi Cantoni, ciò
che permette un utilizzo razionale ed efficace delle risorse fiscali. Nel caso in cui si concretizzasse
un’armonizzazione materiale, l’eccedenza di entrate fiscali per i Cantoni che attualmente si situano al di
sotto della soglia minima stabilita dall’iniziativa, potrebbe essere utilizzata in modo poco parsimonioso per
evitare una ridistribuzione intercantonale.
Tra gli svantaggi si annoverano le disparità, talvolta considerevoli, delle aliquote tra i Cantoni (e tra i Comuni)
che conducono ad una corsa al ribasso delle aliquote stesse: i Cantoni con un’imposizione moderata
continuano ad abbassare le loro aliquote e i Cantoni vicini sono obbligati a fare lo stesso per evitare la fuga
di grossi contribuenti.
Esaminando l’iniziativa da un punto di vista prettamente ticinese, il blocco delle aliquote massime potrebbe
avere dei risvolti positivi per il Canton Ticino poiché, in caso di riuscita, gli consentirebbe di riavvicinare il
proprio onere fiscale applicabile ai redditi e alle sostanze elevate a quello degli altri Cantoni della Svizzera.
L’esito paradossale di questa iniziativa, che vuole porre la parola fine al fenomeno della concorrenza fiscale,
potrebbe dunque essere quello di rendere finalmente il Canton Ticino un po’ più concorrenziale con il resto
della Svizzera.
Per maggiori informazioni:
• Assemblea federale; Decreto federale concernente l’iniziativa popolare “Per imposte eque. Basta con gli
abusi nella concorrenza fiscale (Iniziativa per imposte eque)”, del 18 giugno 2010, in:
http://www.admin.ch/ch/i/ff/2010/3721.pdf
• Bernasconi Marco; Federalismo fiscale: l’esempio del Cantone Ticino dal 1950 al 1995, Edizione speciale
della Rivista ticinese di diritto, Bellinzona 2008, in:
http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/cartolina%20A5%20Bernasconi.pdf
• Cancelleria federale; Oggetti della votazione popolare del 28 novembre 2010, Comunicato stampa del 30
giugno 2010, in:
http://www.news.admin.ch/message/?lang=it&msg-id=34025
• Conferenza dei direttori cantonali delle finanze; La Conférence des directeurs cantonaux des finances
rejette l'initiative "Pour des impôts équitables", Comunicato stampa del 18 giugno 2010, in:
http://www.fdk-cdf.ch/fr-ch/100618_mm_fdkpv_vi-sps_def_f.pdf
• Consiglio federale; Messaggio numero 09.031 concernente l’iniziativa popolare “Per imposte eque. Basta
con gli abusi nella concorrenza fiscale (Iniziativa per imposte eque)”, del 6 marzo 2009, in:
http://www.admin.ch/ch/i/ff/2009/1563.pdf
• Oberson Xavier; La Suisse doit-elle craindre la concurence fiscale, Intervento al Club des 100, Seminario
organizzato dal Canton Vaud, Nyon 24 settembre 2007, in:
http://www.vd.ch/fileadmin/user_upload/organisation/dfin/aci/fichiers_pdf/Comm_presse_Prof_Oberson.p
df
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SUPSI; Il Cantone Ticino nel contesto della concorrenza fiscale intercantonale. Analisi della situazione e
proposte di soluzione, Manno 2009, in:
http://www3.ti.ch//DFE/cartellastampa/pdf-cartella-stampa-592416529587.pdf
Tribunale federale; Sentenza numero 133 I 206, del 1. giugno 2007, in:
http://jumpcgi.bger.ch/cgi-bin/JumpCGI?id=01.06.2007_2P.43/2006
Vorpe Samuele; L’imposizione parziale dei dividendi, relazione presentata al Convegno organizzato dal
Centro di competenze tributarie della SUPSI, Manno 23 giugno 2010.
Samuele Vorpe
Docente-ricercatore SUPSI
Una valutazione della situazione del Canton Ticino nel
raffronto intercantonale
Il Ticino tra la concorrenza fiscale intercantonale e l’iniziativa del Partito socialista
I sostenitori e i detrattori della concorrenza fiscale intercantonale potranno finalmente contarsi. Nel mese di
novembre l’iniziativa popolare del Partito socialista svizzero “Per imposte eque. Basta con gli abusi nella
concorrenza fiscale” solleverà un dibattito che non riguarda solamente la fiscalità, ma che coinvolge anche la
matrice stessa del nostro Stato che si fonda sul federalismo.
Ai Cantoni è stata riconosciuta la sovranità, e quindi la qualifica di Stato, con la Costituzione federale del 29
maggio 1874 che ha trasmesso integralmente questo principio alla vigente Costituzione federale, entrata in
vigore il 1. gennaio 2000. Principio fondamentale questo, difeso dai Cantoni che sono estremamente gelosi
della loro qualifica di Stato indipendente nei limiti della Costituzione federale. L’intolleranza dei Cantoni
riguardo la limitazione delle loro competenze si fa più vivace proprio quando si tocca uno degli aspetti
fondamentali dello Stato; vale a dire la sovranità fiscale e questo perché, secondo un principio
unanimemente riconosciuto dalla scienza politica, lo Stato nasce ancor prima di aver un territorio, quando
acquisisce il diritto di prelevare le imposte.
Per questa serie di ragioni che hanno una loro origine storica, anche se di questo nessuno ha più coscienza,
quando si vuole limitare la sovranità fiscale dei Cantoni ci si scontra immediatamente con problemi
insormontabili, proprio perché si viene a limitare l’aspetto fondamentale della sovranità dello Stato. Ne sa
qualcosa la Confederazione: (i) quando ha voluto uniformare le leggi cantonali (ii) che sino a qualche
decennio or sono erano così diverse da sembrare talvolta leggi che nulla avevano a che fare con il diritto
svizzero, ma che spesso si accostavano a nozioni fatte proprie da paesi molto lontani dal nostro, (iii) è stato
necessario un dibattito, con una creazione di diverse commissioni e durato quasi quarant’anni, per obbligare
i Cantoni ad accettare norme analoghe nell’ambito delle imposte dirette sul reddito e sulla sostanza delle
persone fisiche, e sull’utile e sul capitale delle persone giuridiche. Dal 1. gennaio 2001 i Cantoni quindi
avrebbero dovuto adottare disposizioni uguali per quanto riguarda i soggetti fiscali, l’oggetto dell’imposizione,
la procedura e le penalità. Uso il condizionale perché è comunque viva la tendenza da parte di alcuni
Cantoni di sottrarsi a questa regola generale dettata dalla Confederazione, sulla base dell’articolo 129
capoverso 2 della Costituzione federale e dell’articolo 1 capoverso 3 della Legge federale
sull’armonizzazione delle imposte dirette, per trovare soluzioni proprie nell’interesse del loro Cantone che
spesso sono in urto manifesto con la normativa federale; gli esempi potrebbero essere molteplici a
cominciare dagli alleggerimenti decisi più di dieci anni fa per i dividendi, la scala delle aliquote che
diminuisce all’aumentare del reddito, etc.
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Accanto all’uniformità formale delle legislazioni cantonali, che è stata accettata senza grande entusiasmo, i
Cantoni avevano però chiesto ed ottenuto libertà assoluta in materia di aliquote, proprio perché togliendo
loro la libertà decisionale nello stabilire il prelievo dell’imposta a carico di persone fisiche e giuridiche viene a
cadere una delle prerogative essenziali dello Stato.
Il contrasto in materia di aliquote tra sovranità originarie quali sono i Cantoni, esiste anche nell’ambito della
sovranità derivata comunale, tra il potere esecutivo e legislativo. Ne sappiamo qualcosa in Ticino, unico
Cantone in Svizzera che conferisce la competenza in materia di moltiplicatore comunale al Municipio. La
giurisprudenza del Tribunale federale è chiarissima a questo proposito perché gli aspetti fondamentali della
fiscalità, tra i quali emerge quello di determinare le aliquote, sono di esclusiva competenza del potere
legislativo. Sono persuaso che questa nozione, che sebbene limiti notevolmente la competenza del
Municipio, sia stata ormai recepita anche dall’autorità politica cantonale e intendo qui soprattutto il
Dipartimento delle istituzioni e spero anche dal Tribunale amministrativo presso il quale da diversi anni sono
pendenti due ricorsi. Tutto però è avvolto nel silenzio, non si muove nulla poiché rinunciare ad una delle
prerogative fondamentali del potere esecutivo è un fatto che susciterebbe un’infinità di reazioni. Ma vi sarà
pure un “giudice a Berlino” che ad un certo momento dovrà decidere sia sulla competenza del Municipio sia
anche sul principio fondamentale della irretroattività in materia di imposte, per cui il moltiplicatore d’imposta
del 2010, a mio modesto avviso almeno, non si deve decidere nel 2010 ma al più tardi entro il 31 dicembre
2009.
Sull’autonomia cantonale in materia di aliquote si possono avere opinioni diverse e tutte difendibili dal profilo
del principio. La realtà però oggi è tale per cui se non si interviene a limitare questa libertà dei Cantoni, tra
qualche anno le aliquote applicabili ai redditi e alle sostanze più elevate delle persone fisiche si
avvicineranno paurosamente a zero. Da un decennio, infatti, si assiste ad un vero e proprio “gioco al
massacro”, per cui non passa mese senza che uno od un altro Cantone dia prova di originalità sia
nell’abbassare le aliquote sia nel portare a limiti stellari le deduzioni. Il Canton Ticino ha scelto la via del
firmamento per cui le nostre deduzioni sono il doppio o addirittura il triplo rispetto a quelle applicate dalla
media svizzera, mentre non ha voluto attenuare, ma neanche di una piccola frazione, le aliquote applicabili
ai redditi più elevati. La maggior parte degli altri Cantoni, invece, ha diminuito le aliquote e hanno praticato
una politica più prudente (si parla sempre in generale) in materia di deduzioni. La conseguenza è quella che
i contribuenti più facoltosi tralasciano il Canton Ticino come luogo di adozione e preferiscono altri Cantoni
dove il prelievo fiscale è più attenuato.
Nella scelta del domicilio la fiscalità è un elemento determinante poiché in Svizzera le condizioni riguardanti
la sicurezza, l’efficienza amministrativa, le garanzie politiche e giudiziarie sono eguali in tutti i Cantoni. Non
solo il nostro Cantone non ha più alcuna attrattività per i redditi importanti, ma è molto probabile che negli
anni a venire vi sarà un deflusso di persone molto agiate verso altri Cantoni. Siccome il 3% dei contribuenti
paga il 30% circa delle imposte sul reddito e il 70% circa delle imposte sulla sostanza, lo spostamento,
anche minimo, di queste persone può comportare perdite di molte decine di milioni di franchi, se non ancora
più elevate.
Il Ticino ha quindi una scala delle aliquote che manca di qualsiasi equilibrio nel confronto intercantonale:
redditi e sostanze di poco rilievo con un prelievo fiscale minimo, redditi e sostanze medie con un prelievo
analogo alla media degli altri Cantoni, e redditi e sostanze elevate con prelievo completamente al dì fuori
della media degli altri Cantoni. E la classe politica ticinese? Beh non tutti stanno solo a guardare!
Il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha presentato un messaggio al governo con il quale proponeva
una sostanziosa riduzione delle aliquote applicabili al reddito e alla sostanza più elevati con una riduzione di
gettito, probabilmente solo per qualche anno, oltremodo contenuta. La perdita del gettito sarebbe molto
probabilmente stata compensata entro breve tempo sia dall’arrivo di contribuenti facoltosi sia dalla mancata
partenza di questi verso la maggior parte dei Cantoni che hanno condizioni più favorevoli del nostro.
L’iniziativa del Dipartimento delle finanze e dell’economia è entrata dalla porta del Consiglio di Stato, senza
però uscirne, perché non ha avuto il consenso politico. Un progetto fondamentale per la salvaguardia della
finanza pubblica cantonale e comunale è rimasto lì, sul tavolo del governo, in attesa di tempi migliori. Mi
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auguro che quando ci si chinerà ancora su cifre e grafici riguardanti la diminuzione delle aliquote per i redditi
e le sostanze più elevate vi sia ancora in Ticino l’oggetto imponibile su cui operare.
La soluzione del Dipartimento delle finanze e dell’economia in materia di riduzione delle aliquote è
esattamente quella proposta, come “soluzione minima”, da parte del Partito socialista svizzero. I redditi più
elevati devono subire un prelievo fiscale cantonale e comunale di almeno il 22%, così come le sostanze più
importanti devono pagare una dazio al Cantone e al Comune di almeno il 5‰. È proprio quello che
proponeva il Dipartimento delle finanze e dell’economia che, magari per altre ragioni, aveva fatto propria
l’iniziativa dei socialisti.
Nel novembre di quest’anno il popolo dovrà pronunciarsi sul prelievo minimo proposto dai socialisti sui
redditi e le sostanze più elevate. Anche se è difficile fare previsioni il risultato appare scontato poiché la
Conferenza dei direttori cantonali delle finanze, il Consiglio federale e le Camere federali hanno respinto
senza controproposta il progetto socialista. Inoltre la libertà fiscale dei Cantoni, a livello emotivo, è
considerato un po’ alla stessa stregua del diritto di tenere in casa il moschetto militare con 24 colpi.
Al di là del voto popolare su questo giustificato tentativo di limitare la libertà dei Cantoni, almeno per quanto
riguarda gli eccessi più rilevanti, i problemi per il Canton Ticino, nel caso in cui questa iniziativa fosse
respinta, rimangono senza soluzione. Comunque si può affermare che una massiccia riduzione delle
aliquote dal 30 al 22% ai fini dell’imposta sul reddito e dal 7 al 5‰ ai fini dell’imposta sulla sostanza, così
come proposto dal Dipartimento delle finanze e dell’economia, non lede il limite minimo postulato dal Partito
socialista svizzero.
Marco Bernasconi
Professore a contratto di diritto tributario presso l’Università Cattolica di Milano e docente di diritto tributario
presso l’Università della Svizzera italiana
La revisione dell’imposta sul valore aggiunto
Procedono i lavori per una semplificazione radicale dell’imposta
Lo scorso 23 giugno il Consiglio federale ha approvato il Messaggio aggiuntivo al messaggio concernente la
semplificazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), aprendo il dibattito sulla seconda parte della revisione
dell’IVA.
Di seguito è presentato un riassunto (non esaustivo) della proposta di riforma elaborata dal governo.
Messaggio aggiuntivo al messaggio concernente la semplificazione dell’imposta sul valore aggiunto:
Modello di aliquota unitaria
Idealmente l’IVA dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:
• configurarsi quale imposta onnifase con deduzione dell’imposta precedente;
• configurarsi quale imposta sul consumo finale e quindi permettere la deduzione immediata e integrale
dell’imposta precedente gravante gli investimenti in capitale;
• essere prelevata secondo il principio del luogo di destinazione;
• non conoscere eccezioni;
• prevedere un’aliquota unica.
Mentre la prima parte della riforma IVA, compiutasi con la revisione totale della legge entrata in vigore il 1°
gennaio di quest’anno, mirava alla realizzazione, nel limite del possibile, delle prime tre caratteristiche, la
seconda parte della riforma punta alla concretizzazione delle ultime due.
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Con queste premesse il Consiglio federale propone l’adozione del cosiddetto Modello di aliquota unitaria che
prevede l’introduzione di un’aliquota unitaria del 6.2% (6.5% dopo l’aumento delle aliquote per il
finanziamento complementare dell’assicurazione invalidità) e la riduzione del catalogo delle eccezioni
all’imposta da 29 a 8 cifre. Sarebbero mantenute solo le eccezioni la cui soppressione creerebbe un
aggravio amministrativo eccessivo (produzione naturale), non sarebbe tecnicamente attuabile a causa
dell’impossibilità di determinare la base imponibile (settore della finanza e assicurativo), comporterebbe una
doppia imposizione (lotterie e gioco d’azzardo) oppure non sarebbe proponibile per motivi sistematici
(immobili, collettività pubbliche).
Secondo l’analisi del Consiglio federale l’introduzione del Modello di aliquota unitaria permetterà di
incoraggiare l’economia e la crescita, soprattutto grazie alla netta diminuzione della tassa occulta, che
rappresenta attualmente un terzo delle entrate dell’IVA. L’esecutivo stima infatti una ripercussione positiva
sul Prodotto Interno Lordo fino a oltre 4 miliardi di franchi. Inoltre, l’abolizione della maggior parte delle
eccezioni all’imposta e l’introduzione di un’aliquota unica permetterà di semplificare durevolmente l’imposta.
Dal messaggio emerge come l’importanza di questi effetti positivi sia tale da giustificare le inevitabili
ripercussioni negative quali ad esempio l’aumento del numero dei contribuenti o l’aumento dei prezzi al
consumo nel settore della socialità e della salute, con conseguente aumento dei premi cassa malati. Per
quanto concerne le economie domestiche, quale conseguenza a breve termine, ci si attende un maggior
aggravio d’imposta per tutte le categorie di reddito, che verrà compensato per le economie domestiche
economicamente più deboli con un correttivo sociale. A lungo termine è invece stimato che anche le
economie domestiche approfitteranno delle ripercussioni favorevoli della riforma.
Modelli alternativi
Oltre al modello di aliquota unitaria previsto nel Messaggio, il Consiglio federale ha commissionato l’esame
di due varianti alternative, meno incisive e quindi, secondo il Consiglio federale, meno efficaci rispetto al
raggiungimento degli obiettivi di incentivo alla crescita economica e semplificazione sottesi alla riforma. I
risultati di detto studio sono contenuti nel Rapporto del Consiglio federale del 28 maggio 2010 sul messaggio
concernente la semplificazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Variante alternativa 1: Modello di aliquota unitaria senza abrogazione di eccezioni all’imposta
La prima variante alternativa contempla la fusione delle tre aliquote attuali in un’aliquota unitaria del 6.7%
(7.1% dopo l’aumento delle aliquote per il finanziamento complementare dell’assicurazione invalidità) ed il
mantenimento integrale delle attuali eccezioni di cui all’articolo 21 capoverso della Legge federale del 12
giugno 2009 concernente l’imposta sul valore aggiunto (LIVA).
Ci si può ragionevolmente attendere che questo modello alternativo avrebbe ripercussioni favorevoli:
• per quel 15 – 20% dei contribuenti che eseguono prestazioni imponibili ad aliquote differenti e che
approfitterebbero di una semplificazione del conteggio IVA;
• per Confederazione, Cantoni e Comuni ritenuto che l’adozione di un’aliquota unitaria inferiore all’attuale
aliquota normale condurrebbe ad un minor onere di imposta precedente gravante gli acquisti;
• per l’economia in generale con una diminuzione della tassa occulta che risulterebbe dalla nuova aliquota
unitaria, inferiore rispetto all’attuale aliquota normale.
Le ripercussioni sulle economie domestiche sarebbero verosimilmente esigue e non si renderebbe
necessaria una compensazione. Infine, in considerazione del mantenimento delle eccezioni, questa variante
è considerata euro-compatibile.
Cionondimeno, il Rapporto evidenzia come l’effetto di semplificazione di questa variante alternativa sia
inferiore rispetto al Modello di aliquota unitaria contenuto nel Messaggio e come il mantenimento delle
eccezioni porti alla fissazione di un’aliquota unitaria più elevata, con ripercussioni positive sulla crescita
economica sensibilmente inferiori a quelle del modello di aliquota unitaria.
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Variante alternativa 2: Modello a due aliquote con soppressione del maggior numero possibile di
eccezioni all’imposta
La seconda variante alternativa propone la soppressione delle eccezioni in misura identica al Modello di
aliquota unitaria contenuto nel Messaggio, il mantenimento dell’aliquota normale al 7.6% (8% dopo
l’aumento delle aliquote per il finanziamento complementare dell’assicurazione invalidità) e l’introduzione di
un’aliquota ridotta del 3.2% (3.4% dopo l’aumento delle aliquote per il finanziamento complementare
dell’assicurazione invalidità) applicabile a:
• generi alimentari (senza bevande alcoliche);
• prestazioni di ristorazione e alloggio (senza bevande alcoliche);
• prestazioni del settore della sanità e del sociale, compresi i medicinali;
• prestazioni nel settore della cultura e dello sport;
• prestazioni di formazione.
L’adozione di due aliquote consente di realizzare determinati obiettivi di politica sociale e di ripartizione.
Inoltre il modello a due aliquote permette comunque di realizzare una certa semplificazione, grazie
all’abolizione delle eccezioni e in quanto la ridefinizione degli ambiti di applicazione delle aliquote
permetterebbe di risolvere determinati problemi di delimitazione.
La differenziazione delle aliquote non consente tuttavia di diminuire l’aliquota normale, che rimarrebbe
invariata rispetto a quella attuale.
Il Rapporto rileva infine una serie di possibili ripercussioni. Di seguito alcuni dei punti sollevati:
• i costi amministrativi per la totalità delle imprese contribuenti aumenteranno di circa l’8%, poiché vi sarà
un numero maggiore di contribuenti;
• poiché il settore della sanità sarebbe sottoposto praticamente integralmente all’imposta, sarebbe lecito
attendersi un aumento dei prezzi al consumo nel settore della sanità e del sociale stimabile
complessivamente al 1%;
• le economie domestiche risulterebbero gravate in maniera leggermente superiore, sebbene le
ripercussioni a lungo termine siano considerate esigue;
• in termini di ripercussioni sull’economia il Modello a due aliquote permetterebbe una sensibile
diminuzione della tassa occulta, grazie alla soppressione delle eccezioni all’imposta.
Per maggiori informazioni:
• Consiglio federale; Messaggio aggiuntivo al messaggio numero 08.053 concernente la semplificazione
dell’imposta sul valore aggiunto, del 23 giugno 2010, in:
http://www.efd.admin.ch/dokumentation/gesetzgebung/00570/01713/index.html?lang=it
• Consiglio federale; Rapporto sul messaggio concernente la semplificazione dell’imposta sul valore
aggiunto (08.053), Ulteriori varianti di semplificazione durevole dell’imposta sul valore aggiunto, del 28
maggio 2010:
http://www.efd.admin.ch/dokumentation/zahlen/00578/01712/index.html?lang=it
• Dipartimento federale delle finanze; Il Consiglio federale intende potenziare la crescita con un'imposta sul
valore aggiunto semplice, comunicato stampa del 24 giugno 2010, in:
http://www.efd.admin.ch/dokumentation/medieninformationen/00467/index.html?lang=it&msg-id=33896
Elisa Antonini
Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Senior Manager Tax Services, Ernst & Young, Lugano
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La controversia fiscale tra Svizzera ed Unione europea: una
questione ancora aperta
L’Italia frenerebbe la proposta di compromesso formulata dalla Svizzera. Ma intanto
sembrano aprirsi nuovi scenari istituzionali
Forse pochi ricordano ancora la cosiddetta “controversia fiscale tra Svizzera ed UE”, ossia quella divergenza
innescata con la decisione 13 febbraio 2007 della Commissione europea che ha occupato per diversi mesi
politici, giuristi e organi di stampa.
Rinfreschiamoci un poco la memoria.
Il 13 febbraio 2007 la Commissione informò la Svizzera di aver adottato una decisione con la quale
dichiarava i vantaggi fiscali concessi dai cantoni svizzeri a talune imprese (segnatamente alle cosiddette
società di amministrazione, holding e “miste”) con riguardo ai redditi di fonte estera, incompatibili con il buon
funzionamento dell’Accordo di libero scambio (ALS) stipulato tra la Svizzera e l’allora Comunità economica
europea (CEE) nel 1972. La Commissione comunicò altresì di aspettarsi che la Svizzera eliminasse o
modificasse questi regimi fiscali, sopprimendo la differenza di imposizione tra reddito interno e reddito
estero, riservandosi inoltre di proporre al Consiglio l’adozione di misure di salvaguardia ai sensi dell’articolo
27 capoverso 3 ALS.
Da un punto di vista giuridico, la decisione adottata dalla Commissione non verte sulla fiscalità diretta
svizzera in senso stretto (leggi: parificazione delle modalità di imposizione delle imprese svizzere a quelle
UE) come è stato da più parti erroneamente sostenuto. La decisione focalizza invece un tema ben più ampio
e – è il caso di aggiungere – assai più spinoso: quello del divieto generale di fornire “aiuti di stato” che
distorcono la concorrenza (divieto oggi disciplinato agli articoli 107 e seguenti del Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea, TFUE, già articoli 87 e seguenti del Trattato istitutivo CEE, TCE). Si tratta di una
materia in cui la dimensione fiscale rappresenta solo un aspetto particolare di un concetto ben più esteso
che assume rilevanza fondamentale in ambito UE. In effetti, la nozione di aiuto di stato come intesa nel
TFUE (già TCE) è molto ampia, e comprende tutti i vantaggi concessi dagli stati membri mediante risorse
pubbliche, sotto qualsiasi forma, inclusi quindi anche quelli che adempiono il profilo di un trattamento fiscale
preferenziale.
Più precisamente, con la menzionata decisione la Commissione ha cercato – in maniera definita da alcuni
“spettacolare” – di estendere al di fuori dell’UE l’ambito di applicazione territoriale delle norme comunitarie
sugli aiuti di stato, cercando di sfruttare appieno le possibilità virtualmente offerte dall’articolo 23 capoverso 1
ALS (il cui tenore letterale è pressoché identico a quello dell’odierno articolo 107 TFUE, già articolo 87 TCE).
In questo quadro, la Commissione non ha chiesto alla Svizzera un adeguamento positivo del proprio sistema
di imposizione delle imprese (leggi: armonizzazione fiscale), bensì solo – ma pure sempre – l’eliminazione di
speciali misure di imposizione ritenute materialmente selettive ai sensi della disciplina sugli aiuti di stato
(leggi: integrazione negativa). La Commissione non ha nemmeno chiesto alla Svizzera di elevare le sue
aliquote di imposizione sugli utili delle imprese, bensì solo – ma pur sempre – di prevedere un’imposizione
equivalente per gli utili delle imprese, siano essi di provenienza estera o domestica.
Dal profilo giuridico risulta particolarmente difficile stabilire, in astratto, quale delle parti abbia materialmente
ragione. Per tutta una serie di motivi che è qui impossibile elencare – ma che sono in parte agevoli da
immaginare – dirimere tale aspetto non è nemmeno indispensabile. Determinante è, per la Svizzera almeno,
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trovare una soluzione – di natura necessariamente “politica” – che le permetta di uscire dalla pericolosa
situazione di incertezza venutasi a creare.
In effetti, dopo essersi roboantemente indignato, affermando categoricamente che nessun negoziato era
possibile, il Consiglio federale (CF) ha poi – giocoforza – aperto un cosiddetto “dialogo” con l’UE, dialogo in
un primo tempo molto serrato che è andato poi, complice forse anche il radicale mutamento degli scenari
macroeconomici internazionali, sempre più zoppicando fino a quando il 19 luglio 2010, in occasione della
visita di lavoro a Bruxelles della presidente della Confederazione Doris Leuthard, la questione è tornata
esplicitamente alla ribalta. E per di più proprio nel suo aspetto più delicato; quello propriamente istituzionale
relativo all’elaborazione di nuove modalità che permettano di adeguare in modo “più fluido e più semplice”
l’intera rete di accordi bilaterali alla continua e costante evoluzione del diritto comunitario. In realtà, l’ipotesi
di un “accordo quadro” – che realizzerebbe un’integrazione sui generis, che si situa tra l’adesione completa
all’UE e quanto previsto con l’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) – era già stata ventilata ad
inizio 2009 a livello di Consiglio dei ministri UE. In un documento il Consiglio si era infatti espresso
criticamente su alcuni aspetti dei rapporti bilaterali con la Svizzera, paese accusato di beneficiare di un
accesso privilegiato al mercato unico senza però dover sottostare alle norme che invece vincolano i paesi
UE.
Ma facciamo qualche ulteriore passo indietro. Appena scoppiata la controversia con l’UE, dopo le votazioni
del 24 febbraio 2008, il CF preannunciò l’istituzione di uno specifico gruppo di lavoro – denominato
"Concorrenza fiscale internazionale" – incaricato di esaminare le possibilità di miglioramento delle condizioni
fiscali quadro per le imprese nell’ottica di salvaguardare e rendere più attrattiva la posizione della Svizzera
nell'ambito della concorrenza fiscale internazionale. I risultati del gruppo di lavoro, il cui obiettivo era di
focalizzare contenuti e priorità di un’ulteriore riforma dell’imposizione delle imprese, furono annunciati per
l’autunno dello stesso anno. Nel mese di dicembre il governo dichiarò quindi pubblicamente di aver gettato le
fondamenta per un’ulteriore riforma dell’imposizione delle imprese. Con riguardo ai regimi fiscali cantonali, il
CF affermò che con misure mirate sarebbe stato possibile garantire che i redditi prodotti in Svizzera e
all'estero delle società al beneficio di tali agevolazioni potessero essere trattati in maniera fiscalmente
equivalente. Quali possibili misure furono preconizzate: il divieto generale per le società holding di esercitare
l'attività commerciale, l'adeguamento del trattamento fiscale delle “società miste” e l'abolizione dello statuto
di “società di domicilio”. Il CF informò l'UE di questa intenzione (pseudo)autonoma di riforma. Nel corso del
2009 la Commissione si dichiarò soddisfatta dei progressi compiuti dalla Svizzera, ancorché Italia,
Germania, Francia e Gran Bretagna continuassero ad esercitare forti pressioni in direzione di soluzioni più
radicali. In occasione di un incontro tra ministri delle finanze UE e l’Associazione europea di libero scambio
(AELS) tenutosi a Bruxelles il 10 novembre 2009 l’allora presidente della Confederazione Hans Rudolf Merz
dichiarò che, fatta eccezione per l’Italia, la maggioranza di questi paesi “reticenti” aveva infine segnalato una
certa disponibilità al compromesso. La Svizzera, da parte sua, esigeva in contropartita dall’UE che con
l’adozione di questa ulteriore riforma fiscale la controversia sarebbe stata definitivamente appianata. Sempre
secondo Merz tutta la problematica avrebbe trovato soluzione nel corso del 2010. Secondo alcune fonti, già
nel mese di marzo di quest’anno sarebbe stata pronta una dichiarazione comune in tal senso tra la
presidenza Svizzera e quella dell’UE, dichiarazione cancellata a causa dell’opposizione di alcuni paesi
membri dell’Unione – Italia in testa – che avrebbero chiesto alla Commissione di approfondire taluni aspetti
della riforma 2007 sull’imposizione delle imprese, chiedendo quindi di attendere i risultati dei lavori in seno al
Consiglio Ecofin sulla concorrenza fiscale dannosa. Ed ecco che, puntualmente, riuniti in Lussemburgo ad
inizio giugno, i ministri europei delle finanze dei ventisette hanno chiesto alla Commissione di attivarsi per
cercare di convincere la Svizzera (ed il Principato del Liechtenstein) a recepire il codice di condotta europeo
(del 1. dicembre 1997) inteso a limitare la cosiddetta “concorrenza fiscale dannosa”. Tale codice non è infatti
oggi estendibile alla Svizzera. Dall’altra parte, in ambito UE esso asseconda un obiettivo rilevante: quello di
chiarire – o per meglio dire tentare di chiarire – in che modo la Commissione applica le regole in materia di
aiuti di stato alle misure riguardanti la fiscalità diretta delle imprese, allo scopo di assicurare trasparenza,
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uguaglianza interstatale e prevedibilità nell’interpretazione del Trattato. I due temi sono quindi
concettualmente legati. Non è allora difficile capire perché da parte europea si ritenga prioritario spingere in
questa direzione.
I fatti mostrano che ad oltre tre anni di istanza dalla sua nascita, e a discapito della sua notevole portata, la
controversia fiscale tra Svizzera ed UE rappresenta a tutt’oggi una problematica ancora priva di autentici
scenari di soluzione. Chissà che il gruppo di lavoro congiunto Svizzera-UE – che le parti hanno deciso di
istituire il 19 luglio 2010 e i cui primi risultati sono attesi già entro la fine di quest’anno – non riesca
finalmente a fornire qualche utile, e magari anche innovativa, ipotesi risolutiva: staremo a vedere!
Per maggiori informazioni:
• www.toffolisala.ch/cfsue
Curzio Toffoli, [email protected]
Avvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax Law
Studio legale e notarile Toffoli & Sala, Chiasso
Dal Tribunale amministrativo federale luce verde alla
trasmissione dei dati bancari agli Stati Uniti
La sentenza pilota del 15 luglio 2010 ha respinto un ricorso di una cliente di UBS
Il Consiglio federale prima, l’Assemblea federale poi, hanno fatto tesoro delle argomentazioni contenute
nella sentenza del Tribunale amministrativo federale (TAF) del 21 gennaio 2010, la quale aveva azzerato la
portata dell'Accordo firmato il 19 agosto 2009 dai governi svizzero e statunitense sull’assistenza
amministrativa del 19 agosto 2009. Il TAF lo aveva qualificato come un mero accordo interpretativo che non
consente di modificare espressioni previste nella Convenzione in materia di doppia imposizione tra la
Svizzera e gli Stati Uniti che definisce in modo esaustivo l’espressione “truffe e delitti analoghi” come frode
fiscale o truffa in materia di tassa, in cui non rientrano le gravi infrazioni fiscali come la ripetuta sottrazione
fiscale di notevoli somme.
Sulla base di questa sentenza il Consiglio federale ha licenziato un messaggio alle Camere federali al fine di
integrare nella Convenzione l’Accordo del 19 agosto 2009, che permette la trasmissione di dati bancari agli
Stati Uniti anche nei casi di sottrazione d’imposta aggravata. Le Camere federali, dopo un lungo tira e molla,
hanno poi approvato nel giugno di quest’anno l’Accordo, poi diventato parte integrante della Convezione.
In seguito il TAF, con una decisione pilota del 15 luglio 2010, si è pronunciato favorevolmente alla
trasmissione dei dati bancari di una cliente UBS. Secondo le motivazioni del TAF l’Accordo del 19 agosto
2009, approvato dal Parlamento, è vincolante ai sensi dell’articolo 190 della Costituzione federale (“Le leggi
federali e il diritto internazionale sono determinanti per il Tribunale federale e per le altre autorità incaricate
dell’applicazione del diritto”) e appartiene al diritto internazionale, diritto gerarchicamente superiore rispetto a
quello costituzionale e federale. Esso prevale anche sulla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali che garantisce la protezione dei dati personali.
Il TAF ha dunque confermato che la fattispecie impugnata dalla ricorrente rientra nel campo di applicazione
dell’Accordo del 19 agosto 2009 (illecito fiscale continuato e grave) ed ha riconosciuto che la domanda di
assistenza amministrativa risponde alle basi legali e rientra nei criteri definiti dall’Accordo.
Dopo aver superato vari ostacoli il governo svizzero dovrà affrontare un’ultima estenuante corsa contro il
tempo, infatti entro la fine del mese di agosto dovrà trasmettere i 4'450 conti bancari di clienti americani della
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banca UBS all’autorità fiscale statunitense. Per i funzionari dell’Amministrazione federale delle contribuzioni
non ci saranno vacanze fino al mese di settembre.
Per maggiori informazioni:
• Tribunale federale amministrativo; Procedura d’assistenza amministrativa nel caso UBS, Comunicato
stampa del 19 luglio 2010, in:
http://www.bvger.ch/it/20100719mmamtshilfeverfahrenubs.pdf
• Tribunale federale amministrativo; Procedura d’assistenza amministrativa nel caso UBS, Comunicato
stampa del 22 gennaio 2010, in:
http://www.bvger.ch/it/20100122mmamtshilfeurteil.pdf
Samuele Vorpe
Docente-ricercatore SUPSI
Il meccanismo del freno all’indebitamento previsto dalla
Costituzione federale è in vigore da 10 anni
Lo strumento ha dato inizio ad una politica finanziaria di successo
Il 5 luglio 2000 il Consiglio federale ha approvato il messaggio del freno all’indebitamento. Il popolo svizzero
lo ha accettato in votazione con l’85% dei consensi.
Lo strumento consiste nel creare eccedenze nelle casse della Confederazione in periodi di alta congiuntura,
in modo da compensare i disavanzi delle casse nei periodi di crisi economica; infatti prima la politica era
quella di “consumare” subito l’eccedenza che si creava nel periodo di crescita, aumentando le spese o
diminuendo il carico fiscale. In tal modo però nei periodi di crisi il deficit non poteva essere compensato in
alcun modo e l’indebitamento aumentava a dismisura:
Figura 1: Il meccanismo del freno all’indebitamento (Fonte: Cancelleria federale; Votazione popolare del 2
dicembre 2001, Spiegazioni del Consiglio federale, pagina 7)
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Il freno all’indebitamento vincola dunque le spese alle entrate ovvero la spesa può essere aumentata
solamente se ci sono entrate supplementari corrispondenti all’aumento.
L’articolo 13 della Legge federale sulle finanze della Confederazione stabilisce ulteriormente questo principio
con una formula matematica che vincola il tetto massimo delle uscite totali alle entrate.
Grazie a questo meccanismo la Confederazione ha potuto ridurre il debito, dal 2005 al 2010, di 19 miliardi di
franchi (da 130 miliardi a 111) mentre il tasso d’indebitamento è stato ridotto dal 53 al 40% del prodotto
interno lordo.
Il successo del freno all’indebitamento svizzero non è rimasto inosservato a livello internazionale, in
particolare in Germania, dove è stato ampiamente ripreso. Neppure in campo nazionale, dove molti Cantoni
stanno sperimentando il modello con successo.
Il Dipartimento federale delle finanze ha pubblicato un opuscolo sull’argomento, ordinabile gratuitamente.
Per maggiori informazioni:
• Cancelleria federale; Votazione popolare del 2 dicembre 2001 – Spiegazioni del Consiglio federale, in:
http://www.bk.admin.ch/themen/pore/va/20011202/index.html?lang=it
• Dipartimento federale delle finanze; Il freno all’indebitamento – anniversario di uno strumento di
successo, comunicato stampa del 5 luglio 2010, in:
http://www.efd.admin.ch/aktuell/medieninformation/00462/index.html?lang=it&msg-id=34156
• Ordinazione opuscolo “Il freno all’indebitamento – un successo”:
http://www.bundespublikationen.admin.ch/it/pubblicazioni/detailansichtit.html?tx_ttproducts_pi1[backPID]=67&tx_ttproducts_pi1[product]=107607&cHash=cc16d6cfe9
• Legge federale sulle finanze della Confederazione, RS 611.0, in:
http://www.admin.ch/ch/i/rs/6/611.0.it.pdf
Sabina Rigozzi
Assistente SUPSI
Lo shopping italiano delle regole fiscali
L’articolo 41 del decreto-legge n. 78/2010 permette alle imprese UE insediate in Italia
di scegliere il regime fiscale più conveniente tra i 27 Stati membri dell’UE
Il Governo italiano, attraverso il decreto-legge del 31 maggio 2010, n. 78, ha emanato una serie di misure
urgenti al fine di garantire la stabilizzazione finanziaria ed una maggiore competitività economica del sistema
in Italia.
In particolar modo, si è voluta giocare la carta del Fisco per rendere più attraente l’Italia agli occhi degli
operatori che intendono avviare nella Penisola nuove attività economiche, attraverso la circolazione di
sottosistemi giuridici – fiscali dei Paesi membri dell’Unione europea (UE).
In particolare l’articolo 41, rubricato “Regime fiscale di attrazione europea” recita:
“Alle imprese residenti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia che intraprendono nuove
attività economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori, si può applicare, in via alternativa alla
normativa tributaria italiana, la normativa tributaria vigente in uno degli Stati membri dell’Unione europea. A
tal fine, i citati soggetti interpellano l’Amministrazione finanziaria secondo la procedura di cui all’articolo 8 del
decreto legge 30 settembre 2003, n. 69 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n.
326”.
Come si evince dalla lettera dell’articolo, il regime fiscale di attrazione consente alle imprese residenti in uno
Stato dell’UE, diverso dall’Italia, di poter dar vita ad una nuova attività produttiva, potendo scegliere il regime
fiscale che reputano più conveniente fra i ventisette esistenti all’interno dell’Unione. Tale scelta si rifletterà
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anche nei confronti dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori impiegati nell’esercizio dell’attività economica
intrapresa. A tal fine, sarà necessario interpellare l’Amministrazione finanziaria secondo la procedura di
ruling di standard internazionale, disciplinato dal decreto-legge 269/2003, articolo 8, convertito in legge, n.
236/2003 e successive modifiche. A fronte delle numerose incertezze che genera l’articolo 41 del decretolegge n. 78/2010, si deve sottolineare come solo con decreto di natura non regolamentare da parte del
Ministero dell’Economia e delle Finanze saranno stabilite le disposizioni attuative del suddetto regime e solo
dopo il via libera della stessa Commissione UE.
Gli emendamenti approvati dal Senato in sede di conversione in legge del decreto hanno però circoscritto il
raggio di applicazione: si chiede che il regime più favorevole riguardi la tassazione nazionale e non anche le
imposte locali e che venga applicato solo alle iniziative avviate in Italia ed effettivamente svolte sul suolo
nazionale per un periodo di tre anni, a decorrere dal 31 maggio 2010.
Sebbene si stia cercando in corsa di limitare l’impatto della nuova disciplina, diverse sono le riflessioni
critiche che il provvedimento suscita.
A ben vedere il regime introdotto sembra voler riproporre il meccanismo della “Home State Taxation”
previsto dalla Comunicazione COM/05/702 della Commissione europea. Il progetto, che è su di un binario
morto, proponeva per le piccole e medie imprese comunitarie di ridurre i costi di compliance, consentendo
alle branch o alle controllate estere di determinare la base imponibile secondo le regole fiscali vigenti nello
Stato di residenza della casa madre. Se, confrontando la ratio dei due schemi normativi, è possibile
rintracciare delle similitudini, si devono sottolineare delle sostanziali differenze: invero, accanto alla
possibilità di poter utilizzare tutte le discipline domestiche degli Stati membri dell’UE, oltre a quella della casa
madre, l’articolo 41 non pone alcun vincolo alla forma giuridica delle nuove attività da intraprendere in Italia.
Inoltre non vi è alcuna specificazione su che cosa si intenda per “normativa tributaria vigente in uno degli
Stati membri dell’Unione”. Non è chiaro cioè se l’opzione per la tassazione estera possa riguardare le regole
di determinazione della base imponibile e la misura dell’aliquota d’imposta da applicare ovvero è limitata alle
sole modalità di determinazione della base imponibile.
Ma vi è dell’altro. Questo innovativo sistema di cherry picking all’italiana, se recepito nella versione attuale,
creerebbe delle difficoltà applicative di non poco momento.
Infatti, al fine di valutare la corretta applicazione del regime in commento, i professionisti da un lato e
l’Amministrazione finanziaria dall’altro, dovranno necessariamente conoscere ventisette discipline fiscali, con
la relativa regolamentazione secondaria, non solo in merito al reddito d’impresa prodotto ma anche alla
disciplina fiscale afferente ai lavoratori dipendenti ed ai collaboratori; e lo stesso vale per i giudici tributari
che saranno chiamati ad avere dimestichezza con ventisette ordinamenti fiscali per dirimere l’eventuale
contenzioso.
Da un punto di vista sovranazionale, i problemi non sarebbero minori. La nuova norma incide, in maniera
negativa, anche sulla disciplina della concorrenza. Le imprese italiane o non comunitarie che sono attive sul
suolo nazionale sarebbero esposte alla concorrenza di altre imprese le quali potrebbero godere di una
disciplina fiscale di gran lunga favorevole, non solo per la tassazione dell’utile prodotto ma anche per il costo
del lavoro. Si verrebbe a creare un fenomeno di competizione fiscale dannosa, cioè un sistema in cui gli
agenti economici di altri Paesi avrebbero la possibilità di beneficiare di un trattamento preferenziale rispetto
ai residenti, in contrasto con il diritto comunitario. Invero, questo particolare regime di favore, alla luce dei
recenti chiarimenti della Corte di Giustizia in materia di aiuti di Stato concessi sotto forma di misure fiscali di
vantaggio, risulta di dubbia legittimità; come noto, ciò che configura l’aiuto di stato non è solo l’impiego di
risorse statali ma soprattutto la selettività dell’agevolazione e l’impatto che questa può avere sul mercato
interno. Ebbene difficilmente si può negare la selettività del regime di favore accordato alle sole imprese
europee operanti nel territorio italiano rispetto alle imprese italiane che operano nello stesso settore,
soggette a tassazione “ordinaria”. E così l’articolo 41 opererebbe una selettività fiscale in contrasto al divieto
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degli aiuti di Stato con misure di tassazione diretta delle imprese, così come interpretati nella comunicazione
della Commissione (98/C384/03).
Per maggiori informazioni:
• Decreto-legge 78 del 31 maggio 2010 - Min. Economia e Finanze, in:
http://def.finanze.it/DocTribFrontend/getAttoNormativoDetail.do?id={147A06D6-9990-42F4-ADF0C57A278A9C82}
• Commissione europea; Lotta contro gli ostacoli connessi alla tassazione delle società incontrati dalle
piccole e medie imprese nel mercato interno – Descrizione di un eventuale regime pilota basato sul
criterio della tassazione dello Stato di residenza, COM/05/702, Bruxelles 23 dicembre 2005, in:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2005:0702:FIN:IT:PDF
• Commissione europea; Comunicazione della Commissione sull'applicazione delle norme relative agli aiuti
di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese, 98/C 384/03, Gazzetta ufficiale delle Comunità
europee, 10 dicembre 1998, in:
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:1998:384:0003:0009:IT:PDF
Andrea Ballancin
Professore a contratto di Diritto Tributario presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale
Italia: l’applicazione dei benefici convenzionali alle
partnerships di diritto estero
Brevi note alla sentenza n. 4600/2009 della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 4600 del 26 febbraio 2009, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione
dell’applicazione dei benefici convenzionali a dividendi distribuiti da società fiscalmente residenti in Italia e
percepiti da una limited partnership costituita conformemente al diritto statunitense e considerata
“trasparente” dalla legge tributaria degli Stati Uniti d’America.
La questione appare di notevole rilevanza applicativa, considerato l’ampio ricorso a tali forme societarie, al
fine di canalizzare i flussi d’investimento, da parte di private equity e hedge funds.
Nel caso di specie, la partecipazione di controllo nella limited partnership statunitense era detenuta da un
istituto bancario giapponese (la “Banca”), che aveva acquisito e deteneva le partecipazioni sulla base di un
mandato ricevuto da un fondo pensione anch’esso giapponese (il “Fondo”). Il Fondo aveva chiesto il
rimborso di parte della ritenuta originariamente applicata dal sostituto d’imposta italiano ai dividendi,
ritenendo applicabile la convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni conclusa tra Italia e Giappone (la
“Convenzione Italia-Giappone”) e, in particolare, l’articolo 10 (Dividendi) della stessa. La Corte di
Cassazione si è espressa in favore della non applicabilità dell’articolo 10 della Convenzione Italia-Giappone
al caso di specie, affermando che tale articolo è applicabile soltanto a beneficio della persona che riceve il
pagamento dei dividendi e che si qualifica quale “residente dell’altro Stato Contraente” (del Giappone, in
questo caso): dal momento che il percettore dei dividendi (la limited partnership) non è residente del
Giappone ai fini della Convenzione Italia-Giappone, allo stesso non spettano i benefici di tale Convenzione.
Nonostante l’assenza di riferimenti al Commentario dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico (OCSE) e la carente analisi della questione concernente il potenziale conflitto di imputazione dei
dividendi ai fini tributari in base alla legislazione dei tre Stati coinvolti (Italia, Giappone e Stati Uniti
d’America), la sentenza appare condivisibile e la motivazione addotta dalla Corte di Cassazione ragionevole.
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Come sopra brevemente indicato, l’unico motivo del ricorso verteva sulla violazione dell’articolo 10 della
Convenzione Italia-Giappone. Tale violazione, per il ricorrente, sarebbe derivata dalla mancata applicazione
della ritenuta ridotta (15%) prevista dall’articolo 10 ai dividendi distribuiti dalle società residenti in Italia alla
partnership di diritto statunitense. Al fine di valutare la sussistenza di tale violazione, la Corte doveva
attribuire un significato alle espressioni contenute nell’articolo 10, le quali, ai fini che qui interessano,
possono sintetizzarsi come segue: se (i) una società residente in Italia (ii) paga dividendi ad una persona (iii)
residente in Giappone, (iv) l’imposta italiana non può eccedere il 15% dell’ammontare lordo dei dividendi.
Pertanto, la proposizione espressa da (iv) è vera se le proposizioni espresse da (i), (ii) e (iii) sono tutte vere.
Nel caso di specie, nessun dubbio è stato sollevato in merito al fatto che (i) vi fossero società residenti in
Italia (nel senso espresso dall’articolo 4 della Convenzione Italia-Giappone) che avessero distribuito
dividendi e che (iii) esistesse una persona (il Fondo) residente in Giappone. Le proposizioni espresse da (i) e
(iii) possono pertanto considerarsi vere ai fini dell’analisi. Un conflitto di opinioni sussisteva invece con
riferimento al fatto che (ii) i dividendi fossero stati pagati al Fondo. La soluzione di tale conflitto dipende dal
significato attribuito all’espressione “dividendi pagati … ad …”. La Cassazione, nella sua motivazione, altro
non fa che svolgere tale esercizio di attribuzione di significato. La Suprema Corte rileva che, sotto il profilo
civilistico, il diritto a percepire i dividendi non spetta al Fondo ma alla partnership di diritto statunitense e,
implicitamente, che in base alla rilevante disciplina tributaria italiana tale partnership è il soggetto passivo
(sostituito) d’imposta che possiede tali redditi. Dunque, i dividendi si devono considerare pagati alla
partnership e non al Fondo; la proposizione (ii) non è vera e, conseguentemente, non lo è nemmeno la
proposizione (iv): l’articolo 10 della convenzione Italia-Giappone non limita in alcun modo la potestà
impositiva italiana con riferimento ai suddetti dividendi.
Tale ricostruzione interpretativa trova le proprie fondamenta logico-giuridiche nell’articolo 3, comma 2, della
Convenzione Italia-Giappone. Tale articolo, infatti, nel fissare i canoni ermeneutici che devono essere seguiti
nell’interpretare espressioni non altrimenti definite, dispone che a tali espressioni sia attribuito il significato
che le medesime hanno nell’ordinamento tributario dello Stato che applica la convenzione; nel caso di
specie, il significato va rintracciato nella legislazione italiana relativa alle imposte sul reddito. Per quanto
sopra brevemente delineato, la corretta ricostruzione operata dalla Cassazione porta a concludere che
l’espressione verbale oggetto di analisi, nel contesto delle imposte sui redditi italiane, sarebbe applicabile
esclusivamente con riferimento alla partnership di diritto statunitense. La Corte, rilevando che (ii) la persona
cui i dividendi sono stati pagati (la partnership) non è (iii) residente in Giappone, ha concluso in favore della
non applicabilità dell’articolo 10 della convenzione e, pertanto, della sua non violazione ad opera
dell’amministrazione finanziaria e della Commissione Tributaria Regionale.
È vero che il sopra richiamato articolo 3, comma 2, della Convenzione dispone un’eccezione alla regola
secondo cui alle espressioni non altrimenti definite deve essere attribuito il significato che le medesime
hanno nella legislazione tributaria dello Stato che applica la convenzione, prevedendo che il contesto può
comportare una diversa interpretazione. Vero è anche che il Commentario all’articolo 1 del Modello di
Convenzione OCSE stabilisce che lo Stato che applica la convenzione (Stato della fonte) dovrebbe tenere in
considerazione, quale parte del contesto fattuale nel quale la convenzione si applica, la legislazione
tributaria dello Stato di residenza della persona che chiede l’applicazione della medesima convenzione (nel
caso di specie, la legislazione tributaria del Giappone, cfr. paragrafo 6.3 del Commentario all’articolo 1 del
Modello OCSE). In particolare, qualora tale legislazione prevedesse l’imputazione, ai fini dell’imposta cui la
convenzione si applica, dei redditi di una partnership ai soci della stessa e uno o più di questi soci fosse
residente di tale Stato (nel senso espresso dall’articolo 4 della Convenzione), il contesto comporterebbe
l’obbligo per lo Stato che applica la Convenzione di considerare i dividendi come pagati a tali soci (nel caso
di specie, la Banca o il Fondo, a seconda dell’effettivo contenuto del rapporto contrattuale di mandato
intercorrente tra gli stessi) e non alla partnership (cfr. paragrafo 6.4 del Commentario all’articolo 1 del
Modello OCSE).
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Tuttavia, anche attribuendo una decisiva rilevanza al Commentario OCSE ai fini interpretativi e finanche
riconoscendo valore ermeneutico, con riferimento ad una data Convenzione bilaterale, a paragrafi inseriti nel
Commentario successivamente alla conclusione di tale Convenzione (nel caso specifico, i paragrafi 6.3 e 6.4
indicati in precedenza sono stati inseriti nel Commentario all’articolo 1 del Modello OCSE diversi anni dopo
la conclusione e l’entrata in vigore della Convenzione Italia-Giappone), non può non ravvisarsi che è lo
stesso Commentario a subordinare la predetta interpretazione contestuale (e derogatoria) al fatto che la
legislazione tributaria dello Stato di residenza dei soci imputi a questi ultimi i redditi conseguiti per il tramite
della partnership. Nella sentenza in commento non vi è traccia del fatto che il contribuente abbia allegato e
provato che i dividendi fossero imputati al Fondo ai sensi e per gli effetti del diritto tributario giapponese.
L’onere di allegazione e probatorio gravava in questo caso sul contribuente e, stante la natura dispositiva del
processo tributario in Italia, non poteva essere integrato dalla Corte ex officio, trattandosi di questione
fattuale, in quanto concernente l’accertamento del diritto straniero rilevante quale elemento contestuale di
fatto al fine di interpretare una convenzione bilaterale (non sembrerebbero pertanto applicabili in via
analogica le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione con riferimento all’accertamento e
all’applicazione ex officio del diritto di un altro ordinamento nei casi in cui allo stesso faccia rinvio la rilevante
disposizione di diritto internazionale privato, trattandosi in tal caso di un accertamento della normativa
applicabile e valendo pertanto il principio iura novit curia, cfr. Cassazione, 17 novembre 2003, n. 17388).
Non essendo stato allegato e provato il fatto che tali dividendi fossero imputati al Fondo dalla rilevante
disciplina tributaria giapponese, il contesto non poteva comportare una attribuzione di significato diversa da
quella rinvenibile nell’ordinamento tributario italiano (tale significato è, peraltro, il più facile da accertare, in
quanto presumibilmente il meglio conosciuto dall’amministrazione finanziaria e dai giudici italiani; non è un
caso che si sia scelto il rinvio alla rilevante norma interna, nell’articolo 3 del Modello OCSE, quale strumento
primario per attribuire significato ad espressioni non diversamente definite).
In tale prospettiva, la sentenza in commento non può essere inquadrata quale precedente che osti
all’applicazione delle Convenzioni in vigore tra l’Italia, quale Stato della fonte del reddito, e lo Stato di
residenza dei soci di una partnership di diritto estero. La stessa, tuttavia, evidenzia come tale applicazione
non sia affatto automatica. È, infatti, onere del contribuente provare all’amministrazione finanziaria italiana
(ed eventualmente al giudice competente) che i rilevanti redditi sono imputati ai soci della partnership, ai
sensi e per gli effetti del diritto tributario del loro Stato di residenza (non rilevando, ai fini dell’applicazione
della predetta Convenzione, l’attribuzione di tali redditi ai sensi della disciplina tributaria dello Stato della
partnership, qualora diverso dallo Stato di residenza dei soci).
Per maggiori informazioni:
• Convenzione tra l’Italia e il Giappone per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito
conclusa a Tokyo il 20 marzo 1969 e ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 18 dicembre 1972,
in:
http://www.finanze.it/export/download/dipartimento_pol_fisc2/Giappone08_it.pdf
• Corte di Cassazione; sentenza n. 4600 del 26 febbraio 2009, in:
http://www.iusetnorma.it/sentenze/cassazione/varie/cass-26-02-09n4600.htm
Paolo Arginelli, [email protected]
Dottore commercialista
Docente e consulente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
Novità fiscali – luglio 2010
23/24
A settembre prenderà avvio il corso annuale di diritto fiscale
internazionale
Il corso, giunto alla sua quarta edizione, è parte integrante del Master of Advanced
Studies SUPSI in Tax Law
Il fenomeno della globalizzazione mondiale si sta espandendo prepotentemente anche
in campo fiscale. Recentemente ce ne siamo accorti dopo gli accadimenti sul segreto
bancario svizzero, lo scudo fiscale italiano, il caso UBS, liste varie di presunti evasori
fiscali in paesi terzi, e più in generale con la grave crisi economica attuale.
Il corso Diritto tributario internazionale, è quindi di grande attualità ed offre temi
quali il Modello di convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni
dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ed il diritto
tributario comunitario che sono la concretizzazione del processo di globalizzazione a
livello fiscale. In particolare verranno esaminati passo per passo le principali
disposizioni del Modello OCSE, l’assistenza amministrativa e penale, il regime
tributario internazionale in ambito di successioni, i prezzi di trasferimento infragruppo, nonché l’attualissimo
tema della fiscalità dei frontalieri, con particolare riguardo alla normativa svizzera (alla luce della recente
giurisprudenza del Tribunale federale) e italiana (alla luce delle nuove norme sul monitoraggio fiscale).
A complemento si esamineranno le principali Convenzioni di doppia imposizione stipulate dalla Svizzera e
dall’Italia.
In relazione al diritto tributario comunitario, oltre ad un’introduzione generale sul diritto comunitario europeo,
saranno trattati i principali Accordi bilaterali stipulati dalla Svizzera con l’Unione europea che hanno un
impatto fiscale, i principali aspetti dell’IVA intracomunitaria, nonché le principali Direttive della comunità
europea (Direttiva europea madre e figlia, Direttiva europea sugli interessi e canoni, ecc.).
Verranno pure introdotti anche i principali elementi del diritto tributario statunitense.
Un altro argomento che verrà trattato, recentemente “rinvigorito” dalle pressioni sul segreto bancario
elvetico, sarà la pianificazione fiscale delle persone fisiche e delle società, tema di forte attualità ed interesse
per gli operatori economici quali i fiduciari, i commercialisti, i consulenti fiscali, ecc.
Il compito di presentare gli argomenti sopra elencati è affidato a docenti SUPSI ed esperti altamente
qualificati ed operativi nel settore del diritto tributario internazionale; la qualità delle presentazioni è
assicurata dal fatto che tutti i relatori sono anche attivi professionalmente nella materia, in questo modo
potranno essere presentati molteplici casi pratici e concreti. Sarà pertanto riservato ampio spazio alle
problematiche proposte dai partecipanti.
L’aspetto didattico del corso è caratterizzato dal fatto che esso è raggruppato in più moduli che possono
anche essere frequentati singolarmente, a discrezione del partecipante. Verrà poi rilasciato un attestato di
frequenza. A coloro che invece si iscrivono all’intero corso, e che sostengono e superano gli esami previsti a
gennaio e giugno 2011, verrà rilasciato un certificato CAS (Certificate of Advanced Studies) SUPSI in Diritto
tributario internazionale del valore di 15 crediti ECTS (European Credit Transfer System).
Il corso corrisponde al terzo ed ultimo anno del Master of Advanced Studies (MAS) SUPSI in Tax Law. Il
primo anno, Fondamenti di diritto tributario ed il secondo, Approfondimenti di diritto tributario,
completano l’offerta formativa postuniversitaria nel campo del diritto tributario. Anche per ognuno di questi
due corsi sono previste due sessioni d’esame, che se superate consentono il rilascio del rispettivo certificato
CAS.
Novità fiscali – luglio 2010
24/24
Infine, per ottenere il titolo di MAS SUPSI in Tax Law, riconosciuto dal Dipartimento federale dell’Economia,
è necessario presentare un lavoro di tesi.
Per maggiori informazioni:
Prospetto del corso: http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/DT_internazionale.pdf
Sabina Rigozzi
Assistente SUPSI
Novità fiscali – luglio 2010
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Novità fiscali