Unione Sarda Venerdì 02 ottobre 2009 Convegno. Opuscoli e installazione di totem stradali per rileggere l'urbanistica di fondazione Le origini di Carbonia legate alle vicende dei centri istriani che oggi siglano il gemellaggio DAL NOSTRO INVIATO GIANCARLO GHIRRA CARBONIA. Non ci sono monumenti di per sé eccezionali, ma è l'intera città a narrare attraverso il disegno urbanistico, l'architettura, i quartieri e il suo peculiare paesaggio una storia economica, sociale, culturale del tutto originale. «E di qualità - precisa Antonello Sanna, preside della facoltà di Architettura dell'Università di Cagliari - perché questa è una città d'autore, frutto dell'impegno di architetti di grande capacità, a partire da Gustavo Pulitzer- Finali». Carbonia, ma il discorso vale anche per Arborea e Fertilia, le altre città di fondazione sorte nel Novecento in Sardegna, si racconta come un museo a cielo aperto. Lo fa anche attraverso un progetto (il Ciam, Itinerari dell'architettura moderna), realizzato dal grafico Stefano Asili con l'installazione nelle strade e nelle piazze di totem e la creazione di pieghevoli ricchi di notizie e stimoli. Cresce insomma la voglia di conoscere ogni dettaglio della storia della città del carbone, operazione arricchita oggi da un libro realizzato da due ricercatori dell'Università di Cagliari, Giorgio Peghin e Antonella Sanna, autori di una interessante Guida all'architettura moderna della città inaugurata nel dicembre del 1938. Né il movimento di un'amministrazione superdinamica si ferma qui. Il libro edito da Skirà nasce infatti come tappa di un convegno di due giorni che vede le città di fondazione andare alla ricerca, anche con la firma di un impegnativo “Protocollo d'intesa” sottoscritto dai sindaci (Marco Tedde di Alghero-Fertilia e Mussolini e i gerarchi mentre osservano il plastico di Giuseppe Costello di Arborea), di Carbonia strategie per il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico e ambientale. Un progetto del quale i primi destinatari sono proprio i cittadini spesso ignari. «In realtà - spiega Tore Cherchi, sindaco della città mineraria - Carbonia sta portando avanti un processo di riappropriazione della propria storia, che diventa così uno degli strumenti di costruzione di una prospettiva futura». Dopo aver rischiato di morire con la massiccia emigrazione successiva alla chiusura delle miniere negli anni Sessanta, la città è riuscita a riconvertirsi, a darsi una nuova fisionomia, con il decollo di servizi anche avanzati. E si è in qualche modo riconciliata con il suo passato duro e aspro anche grazie al restauro e al rilancio della “Grande miniera di Serbariu”, intorno alla quale la città nacque 70 anni fa. «Oggi la miniera mostra con i suoi percorsi museali la storia economica e tecnologica ma anche quella degli uomini in carne e ossa che faticarono nelle viscere della terra - dice ancora Cherchi - senza trascurare la costruzione di prospettive future. A fianco degli edifici trasformati in musei e centri di esposizione di importanti opere d'arte contemporanea, sorgono infatti centri di ricerca e alta formazione che lavorano principalmente su sperimentazione di energie alternative». Nella Grande miniera, in effetti, tecnici e ricercatori della Sotacarbo ottengono energia pulita dal carbone, re incontrastato di questo angolo di Sardegna. Non c'è insomma il rischio di voler musealizzare le città di fondazione. Semmai l'intenzione di rilanciarne il ruolo costruendo possibilità di sviluppo futuro partendo dalla conoscenza del passato. Un passato non neutrale, ma spesso ricco di lacrime e sangue. Carbonia nacque da un'idea e una prassi autoritarie, quelle del regime fascista. Fu proprio Benito Mussolini a decidere a metà degli anni Trenta che dal Sulcis sarebbe arrivato il carbone necessario ad alimentare autarchicamente lo sviluppo economico italiano. Fu lui, il duce, a designare l'imprenditore triestino Guido Segre alla testa dell'Azienda carboni italiani (Acai) per la costruzione di una città che, avrebbe dovuto contare su dodicimila minatori e ventinquemila abitanti. E nacque così un gemellaggio fra Trieste e il Sulcis che è stato ribadito in questi giorni dai sindaci di Arsia e Piedalbona, due cittadine istriane, oggi croate, entrate a pieno titolo nell'intesa con le tre città sarde di fondazione. Le miniere dell'Istria erano allora fra le più avanzate d'Europa, e da lì arrivarono i primi tecnici. Ma arrivò anche il primo progettista (insieme ai romani Cesare Valli e Ignazio Guidi) del nuovo insediamento. Si chiamava Gustavo Pulitzer-Finali, aveva alle spalle una carriera maturata prevalentemente nell'allestimento di transatlantici e grandi navi da crociera. «La sua impronta raffinatissima - sostiene Antonella Sanna, ingegnere, ricercatrice nel Dipartimento di Architettura - caratterizza la prima fase di Carbonia, a partire dal 1935. A lui si devono sicuramente nella piazza Roma, quella principale, il Palazzo del Comune, le Poste, il Cine-Teatro, il Dopolavoro e la torre Littoria». L'architetto Pulitzer realizzò anche numerose delle case operaie quadrifamigliari che caratterizzavano la città - giardino. Purtroppo poco si sa dei dettagli dell'opera del professionista triestino perché il suo nome ( e anche le sue immagini) vennero cancellate a partire dal varo delle leggi razziali, nel novembre del 1937. Il primo a essere silurato per le sue origini ebree fu Segre, uomo di industria dopo essere stato uno straordinairo combattente. E anche Pulizter fu bandito dalla città che Benito Mussolini inaugurò il 18 dicembre del 1938. L'architetto era scappato negli Stati Uniti, e ci vollero molti anni perché il suo nome tornasse ad avere cittadinanza a Carbonia. Eppure la sua impronta era stata fortissima, così come in Istria. Era stato lui a progettare Arsia ( in croato Rasa), inaugurata nel 1937, praticamente una copia di Bacu Abis nel centro residenziale. E anche a Piedalbona si ritrovano forti affinità architettoniche e urbanistiche con la capitale del Sulcis. Purtroppo le leggi razziali ci impediscono di conoscere maggiori dettagli, perché il nome di Pulitzer venne condannato a una sorta di damnatio memoriae dalla quale è stato ora ampiamente riscattato. Con lui agirono anche altri notevoli architetti. Fra i i più rilevanti Eugenio Montuori, del quale il professor Antonello Sanna scrive che «la sua versione del razionalismo mediterraneo si integra nel paesaggio urbano di Pulitzer con una freschezza più dissonante e sensibile alle suggestioni del neoplasticismo mitteleuropeo». In quello che è stato definito immenso deposito di fatiche si cimentano insomma professionisti di livello. E vengono fuori opere anche notevoli, quale la piazza Roma, definita «uno spazio urbano di straordinaria suggestione metafisica» da Giorgio Peghin, che sottolinea anche nella Guida su Carbonia presentata ieri il valore artistico assoluto del villaggio operaio di Cortoghiana, opera di Saverio Muratori. Carbonia merita dunque di essere conosciuta, e riconosciuta, intanto dai suoi abitanti. Anche perché la città nasconde sempre nuove sorprese. Che dire, ad esempio, del pulpito della chiesa di San Ponziano? Sarà stato razionalista, come si legge nella Guida, o futurista, come sostiene Giorgio Pellegrini, storico dell'arte e assessore comunale a Cagliari?