Christian Ball
Q
L’Università
popolare della
Svizzera italiana:
dai primi progetti
aiCorsiperadulti
(1945-1975)
Quaderni
Divisione
della formazione professionale
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Quaderni
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Repubblica e Cantone
Ticino
Dipartimento dell’educazione,
della cultura e dello sport
©
2014
Divisione
della formazione professionale
ISBN 978-88-86486-81-1
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Christian Ball
L’Università popolare
della Svizzera italiana:
dai primi progetti
ai Corsi per adulti
(1945-1975)
Università di Losanna
Facoltà di Lettere
Tesi di master in storia contemporanea
Diretto dalla Professoressa Nelly Valsangiacomo
Anno Accademico 2012-2013
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Contro il sospetto il sapere
di Manuele Bertoli, Consigliere di Stato,
Direttore del Dipartimento dell’educazione,
della cultura e dello sport
«C’è chi non vedrà l’utilità, soprattutto culturale, di alcuni corsi bizzarri, chi invece attraverso quest’ultimi scopre una nuova parte di sé, chi segue i corsi per un diploma, chi per socializzare.
(…) La nostra impressione è che in una società moderna la cultura sia diventata un’esperienza sempre più
personale della quale è difficile dare una definizione, ma sulla quale l’uomo non dovrà mai smettere di
interrogarsi».
In queste parole, desunte direttamente dal testo elaborato da Christian Ball
per la sua tesi di master pubblicata nel presente volume, sta racchiusa, credo, la sintesi
ideale non solo della storia ma del senso profondo di quelli che oggi chiamiamo corsi
per adulti. Un’esperienza formativa di grande portata sociologica oltre che culturale, cresciuta e modificatasi con l’evolvere stesso della società ticinese, nella quale si è compenetrata. Dai primi profili concepiti come sostegno al mandato assegnato alla scuola
pubblica, queste iniziative formative rivolte alla popolazione adulta hanno presto assunto
i connotati della formazione continua necessaria per rapportarsi con competenza alle evoluzioni, anche tecnologiche, che il nostro cantone stava vivendo. Un’evoluzione che, in
linea con quella del concetto stesso di formazione, porta questa offerta a occuparsi sempre più anche dei cosiddetti ambiti dello svago e del tempo libero. Stimolata dalla richiesta che, in termini chiari e costanti, proveniva e proviene tuttora dai destinatari medesimi.
La storia di quelli che oggi conosciamo con il nome di Corsi per adulti è
stata allo stesso tempo anche lo specchio del rapporto tra lo Stato e la società, per il tramite del complesso ma decisivo connubio definito dalla formazione e dalla cultura. Un
rapporto che necessita certo di equilibri e di attenzioni ma che si dimostra fondamentale in termini di garanzia di equità e di progresso.
In questo senso l’apporto assicurato da questa proposta formativa si fa
identitario in termini dinamici, registrando passo dopo passo i mutamenti direi quasi antropologici della nostra popolazione nel mentre assicura, per il tramite di offerte mirate,
anche la conservazione di elementi della tradizione. Chi guarda con sufficienza, quando
non addirittura con scherno, a questo complesso insieme di offerte in verità indirizza
questo suo atteggiamento all’insieme dell’articolata comunità in cui vive.
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Il lavoro, approfondito, di Christian Ball permette invece di cogliere nel
suo spessore e nella sua profondità il senso fondante di questa grande operazione culturale che lo scorso anno ha festeggiato il cinquantesimo dalla propria nascita in questa veste. È quindi con vero piacere che, riconoscente, accolgo l’apporto di conoscenza e di sapere di cui questo studio fa dono a tutti noi. Compiendo in questo modo
un significativo passo lungo la strada che ha come impresa le parole del Machiavelli:
«Dove men si sa, più si sospetta».
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Indice
7
Contro il sospetto il sapere
5
1.
1.1.
1.2.
1.3.
1.3.1.
1.3.2.
Introduzione
Problematica
Stato della ricerca
L’educazione degli adulti in Svizzera
Cenni storici
Il quadro legislativo e la concertazione
13
13
19
24
24
25
2.
Dalla Scuola ticinese di cultura italiana alla nuova legge
della scuola: la maturazione di un progetto (1917-1958)
L’azione culturale dello Stato
Identità culturale e politica
La Scuola Ticinese di Cultura Italiana
I Circoli culturali
Verso l’Università popolare
Accademia cantonale o Università popolare?
La proposta della Federazione Goliardica Ticinese
La legislatura di Brenno Galli (1947-1959)
Il progetto governativo
Gli impulsi esterni: Hermann Weilenmann
La nuova legge della Scuola del 1958
Brenno Galli si congeda
27
27
27
28
31
33
33
34
39
39
41
44
50
2.1.
2.1.1.
2.1.2.
2.1.3.
2.2.
2.2.1.
2.2.2.
2.2.3.
2.2.3.1.
2.2.3.2.
2.2.3.3.
2.2.3.4.
3.
3.1.
3.2.
3.3.
3.3.1.
3.3.2.
3.3.3.
3.3.4.
4.
4.1.
4.1.1.
4.1.2.
4.2.
4.2.1.
4.2.1.1.
4.2.1.2.
4.2.1.3.
4.2.2.
L’istituzione e la consacrazione dei Corsi per adulti (1963-1973)
I Trenta gloriosi
La nascita dei Corsi per adulti
I Corsi per adulti e le Scuole club Migros
Il movimento delle Scuole club Migros
Le Scuole club Migros in Ticino
«Boom culturale»! Corsi per adulti, Scuole club Migros
e Circoli culturali a confronto nella conferenza dell’ASSI
Corsi per adulti e Scuole club Migros: un «dissidio insanabile»?
53
54
57
65
65
68
Sviluppi dei Corsi per adulti (1964-1972)
I Corsi per adulti al servizio della società (1964-1968)
Il perfezionamento professionale come componente
della cultura (1964-1965)
Guido Marazzi consolida l’attività (1966-1968)
I Corsi per adulti al servizio dell’individuo (1969-1972)
Elzio Pelloni parte col botto(1969)
«La droga anche fra noi…»
I desideri della popolazione: il sondaggio
d’opinione nel maggio 1969
L’educazione degli adulti come parte integrante
di un sistema di educazione permanente
L’espansione dei Corsi per adulti (1970-1972)
79
79
69
73
79
89
95
95
95
97
99
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
4.2.2.1.
4.2.2.2.
4.2.2.3.
4.2.2.4.
L’educazione permanente come risposta
alla domanda sociale del paese
È tempo di hobby: il boom dei corsi brevi
I Corsi per adulti chiamati al banco degli imputati
«Una correzione nella direzione di rotta»
101
106
110
113
5.
Conclusione
119
6.
Appendice
123
7.
Allegati
127
8.
8.1.
8.2.
Bibliografia
Fonti
Letteratura secondaria
143
143
146
Ringraziamenti
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Indice
9
Abbreviazioni1
ACpa
ASTi
AUPS
Cpa
DPE
FCC
FGT
FSEA
RCS
ScM
STCI
UIPS
VGC
Archivio Corsi per adulti
Archivio di Stato Ticinese
Associazione delle Università Popolari svizzere
Corsi per adulti
Dipartimento Pubblica Educazione
Federazione dei Circoli di cultura del Canton Ticino
Federazione goliardica ticinese
Federazione svizzera per l’educazione degli adulti
Rendiconti del Consiglio di Stato
Scuole club Migros
Scuola Ticinese di Cultura Italiana
Ufficio insegnamento post-scolastico
Verbali Gran Consiglio
1. Le seguenti abbreviazioni sono impiegate a partire dalla seconda citazione.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
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“Faut-il vraiment que l’être humain s’adapte à l’éducation ou, au contraire, convient-il pas que l’éducation s’adapte aux hommes?”
Jean-Jacques Rousseau, Émile
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1.
13
Introduzione
Nel gennaio del 2013 l’organo pubblico responsabile della formazione degli adulti in Ticino, Corsi per adulti (Cpa)2, ha festeggiato i cinquant’anni di attività.
Spesso e volentieri simili traguardi suscitano nei diretti interessati riflessioni diverse,
volte a stabilire un giudizio critico sul periodo di vita passato. La memoria si attiva in
un processo continuo di auto analisi dove però difficilmente riemergono tutti gli elementi
oggettivi del caso. Quando l’argomento in esame è cosa pubblica il tutto si complica ulteriormente. Lo Stato che da un lato è chiamato a fornire ai cittadini le informazioni necessarie a costituire un quadro oggettivo, si trova a sua volta sottoposto al rischioso esercizio della memoria. Per ovviare a questo inconveniente può far capo al discorso
oggettivo della storia elaborato a partire dallo studio delle fonti. Questo lavoro nasce dalla
necessità di colmare le lacune che concernono la storia dei Cpa, in modo da permettere
ad ogni cittadino e allo Stato stesso una riflessione sulla base di elementi oggettivi sul
passato, il presente e il futuro di questa istituzione.
1.1.
Problematica
Con questo lavoro si vogliono identificare le ragioni che spiegano la creazione nel 1963 in Ticino dei Cpa, un’istituzione pubblica responsabile dell’educazione
degli adulti e ripercorrerne i primi dieci anni di vita, dalla nascita al primo momento di
«crisi». I Cpa, paragonabili a un’Università popolare, nacquero come servizio gratuito
dell’allora Dipartimento della Pubblica Educazione (DPE) rivolto alla popolazione adulta della Svizzera italiana. Furono istituiti dal Consigliere di Stato liberale Plinio Cioccari e vennero organizzati per la prima volta, sotto forma sperimentale, durante il periodo tra marzo e giugno del 1963, dal professor Guido Marazzi. L’edizione contava otto
corsi serali di una durata variabile – dalle nove alle quattordici lezioni – che si svolgevano nei centri di Bellinzona, Locarno, Lugano e a Biasca. I sei argomenti trattati ri2. La lista delle abbreviazioni si trova a p. 9.
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guardavano principalmente materie scientifiche e questioni d’attualità in relazione all’economia cantonale. Il pubblico si mostrò entusiasta dell’iniziativa che, incoraggiata
da un tale responso, prese a crescere rapidamente e già a partire dalla seconda edizione i numeri dei corsi, delle materie e delle sedi raddoppiarono. Come nacque l’idea di
realizzare un’Università popolare nel Canton Ticino e con quali scopi? In che modo fu
trasformata in pratica e quali furono le tappe determinanti dei Cpa nei primi anni di vita?
Con quali termini furono definiti dallo Stato?
Dopo una breve introduzione storica sull’educazione degli adulti in Svizzera e sulla sua organizzazione dal punto di vista normativo concentreremo l’attenzione
sul caso ticinese. In un primo momento verrà tracciato un breve quadro del contesto culturale della prima metà del XX secolo che vide protagonisti, in particolar modo, la
Scuola ticinese di cultura italiana (STCI) e i Circoli di cultura. In entrambe le istituzioni
si poteva parlare di cultura riconosciuta dallo Stato che nel primo caso istituì direttamente la Scuola e nel secondo sostenne l’attività dei Circoli finanziariamente. L’intenzione è quella d’iscrivere la nascita dei Cpa in una prospettiva più ampia in modo da
fissare un termine di paragone senza il quale si comprenderebbero solo parzialmente
gli argomenti a favore di un’Università popolare nel dopoguerra.
L’intervento pubblico nella sfera culturale rientrava in parte nella problematica della difesa dei valori culturali e politici cantonali sorta nel nuovo contesto
federale. La questione fu posta all’attenzione del governo centrale nella prima serie di
rivendicazioni ticinesi del 1924 grazie alle quali al Ticino fu riconosciuto in un primo
tempo un sussidio di sessantamila franchi. Nel 1933 parte di questa cifra venne impiegata nella ristrutturazione della STCI che fu alla base dello sviluppo culturale del Cantone, dando anche nuovo slancio ai Circoli culturali preesistenti e favorendo la nascita
di nuovi Circoli3. A partire dal 1938 l’istituzione perse però la sua influenza a favore
appunto di quest’ultimi che, dopo le difficoltà del periodo bellico, divennero il principale organo riconosciuto di diffusione culturale del Cantone.
Attraverso l’esame dei primi progetti a favore della realizzazione di un’Università popolare, cercheremo di individuare gli argomenti che s’imposero all’interno
di un discorso di legittimazione. L’idea di creare un organo per l’educazione degli adulti
nella Svizzera italiana prese forma nei primi anni del dopoguerra. Tra i primi che si
mostrarono sensibili alla questione gli studenti universitari della Federazione goliardica ticinese (FGT) che nel 1944 sottoposero al DPE uno schema per una «Scuola popolare di cultura»4. In un primo tempo le autorità cantonali non se ne interessarono,
ritenendo già abbastanza efficace l’azione dei Circoli di cultura. Tuttavia, a distanza di
pochi anni, il DPE, attraverso la figura protagonista del nuovo direttore Brenno Galli,
riconobbe il valore e soprattutto la necessità di un’iniziativa simile a quella proposta dai
giovani goliardi. In un momento di fermento nazionale e internazionale nel campo dell’educazione degli adulti, il Consigliere di Stato liberale portò avanti una questione che
già il padre Antonio aveva sollevato a suo tempo. Nel 1947 nacque dunque il progetto
3. VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? Francesco Chiesa e gli invitati italiani alla Scuola ticinese di coltura italiana (1918-1939)», Archivio storico ticinese, 2011,
p. 23.
4. ASTi, DPE/900, scat, 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, lettera 2.6.1945.
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1.
Introduzione
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per una «specie di Università popolare» che trovò una prima espressione nel disegno
della nuova legge sulla scuola del 19585. In che modo venne giustificata la necessità di
creare un organo di educazione degli adulti sul modello delle università popolari? Con
quali modalità si intendeva agire? Per quali ragioni si ritenne necessario introdurre la
problematica dell’educazione degli adulti in un quadro legislativo?
Il contesto del nuovo scenario storico del dopoguerra ci aiuterà a fissare
gli aspetti principali che caratterizzarono il periodo dei cosiddetti Trenta gloriosi, durante i quali presero vita i Cpa. Presteremo particolare attenzione al nuovo ruolo assunto
dallo Stato che, sospinto da una congiuntura economica internazionale eccezionale, diede
il via a una serie di riforme sociali tra cui quelle in ambito scolastico sotto l’egida della
democratizzazione degli studi.
Una volta stabilite le origini dei Cpa ci concentreremo sulla nascita e gli
sviluppi dell’attività fino ai primi anni Settanta. L’analisi di questo primo ciclo di vita
fondamentale si articolerà intorno alle variabili costituite dall’offerta del servizio pubblico, dagli obiettivi che si prefisse e dal pubblico al quale si rivolse. Istituire i Cpa
significò infatti fissare in un contesto preciso determinati obiettivi in relazione a un
pubblico al quale si rivolgeva e cercare di rispondervi attraverso l’offerta promossa.
Quale definizione diede lo Stato ai Cpa durante i primi dieci anni di attività, in termini
sociali, culturali, economici e politici. Quale fu l’articolazione tra i vari scopi?
Procederemo seguendo un ordine cronologico, esaminando inizialmente
il primo anno di vita dei Cpa per capire da quali basi si partì. Cercheremo poi di mettere in rapporto l’attività dell’ente pubblico con quella delle Scuole club Migros (ScM)
introdotte in Ticino nel 1957 e considerate a livello nazionale l’organo più importante,
in termini numerici, di educazione degli adulti. In quale contesto istituzionale nacque
l’iniziativa pubblica in favore dell’educazione degli adulti? Quale fu la risposta del pubblico? Quali i rapporti tra la direzione dei Cpa e quella delle ScM ticinesi?
In seguito proseguiremo l’analisi del percorso dei Cpa fino all’inizio
degli anni Settanta. È possibile dividere questo lasso di tempo in due periodi che vanno
dal 1963 al 1968-69 e dal 1969-70 al 1971-72. Nei primi anni, sotto la direzione di
Guido Marazzi e in un momento di grandi investimenti nel settore educativo, il programma dei Cpa si ampliò progressivamente passando da 8 a 50 corsi. L’offerta si estese
anche sul piano dei contenuti. Nel 1965 oltre ai corsi culturali vennero proposti alcuni
corsi pratici di perfezionamento professionale, una categoria alla quale il direttore dei
Cpa diede molta importanza e che s’impegnò a sviluppare. Qual’era il significato di
questi corsi? A chi si rivolgevano?
Al termine del 1968 Marazzi lasciò la carica di direttore, assunta dal professor Elzio Pelloni che fu dunque alla guida dei Cpa durante il secondo intervallo che
ci concerne. Forte dei dati emersi da un sondaggio effettuato nel 1969 presso la popolazione ticinese, Pelloni incrementò nel giro di pochi anni l’attività dei Cpa in maniera
impressionante. L’offerta esplose, soprattutto quella della nuova categoria dei corsi
brevi. Dai 50 corsi del 1968-69 si passò nel 1970-71 a un totale di 228 tra cui 177 corsi
brevi, questi ultimi distribuiti tra ben 72 materie. Anche dal punto di vista della partecipazione l’incremento fu deciso, raggiungendo dapprima nel 1969-70 quasi le 6’000
5. ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, «Schema di progetto
per l’istituzione nel Cantone di corsi serali a carattere universitario», allegato lettera
8.10.1947.
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presenze e superando l’anno scolastico seguente le 7’000. Quali furono le ragioni di un
tale sviluppo? Cosa cambiò nella definizione dei Cpa? Per essere in grado di rispondere
a queste domande le scelte di Pelloni saranno da esaminare in rapporto al discorso sull’educazione permanente che si affermò a partire dagli anni Settanta e più in generale
tenendo conto della crisi sociale, politica e culturale internazionale della fine degli anni
Sessanta che interessò anche la Svizzera e il Ticino, sebbene in forme diverse.
In questo contesto, durante la prima metà degli anni Settanta i Cpa suscitarono le prime critiche da una parte, seppur limitata, dell’opinione pubblica. La situazione economica stava cambiando e l’intervento coordinatore dello Stato non sempre
si giustificava agli occhi di tutti come in precedenza.
Termineremo con una breve riflessione sul periodo di transizione al quale
furono forzati i Cpa, cercando di identificare quali furono le vie intraprese dall’organo
pubblico per far fronte al nuovo cambiamento della società e quali gli sviluppi principali dell’attività negli anni successivi.
Questo lavoro di ricerca poggia essenzialmente su un corpo eterogeneo
di fonti scritte – manoscritte e stampate – reperite principalmente nell’Archivio di Stato
ticinese (ASTi) e in quello dei Cpa (ACpa), ubicato presso gli uffici governativi di Bellinzona.
Tra le fonti stampate, i Rendiconti del Consiglio di Stato (RCS) rappresentano i primi strumenti attraverso i quali approcciare la realtà dei Cpa nel suo insieme
e si prestano al tempo stesso a una prima analisi quantitativa e qualitativa. Vi si trovano
infatti informazioni relative a tipologia e numero di corsi, lezioni, classi, partecipanti,
località interessate, a supporto di argomentazioni riguardo tendenze, scelte e obiettivi
dei Cpa. Tuttavia l’assenza saltuaria di dati e talvolta di uniformità nel presentarli,
soprattutto durante i primi dieci anni di attività, unita al carattere ufficiale e via via più
superficiale dell’informazione, non permettono di effettuare un’analisi esauriente. Il
dato statistico più rivelante presente nei RCS è quello dei partecipanti-ora, calcolato
per misurare la partecipazione effettiva ai corsi. Introdotto dal 1973, s’impose come
principale termine di paragone nel contesto elvetico dell’educazione degli adulti. Le
lacune più evidente dei rendiconti dipartimentali concerne i dati relativi ai costi finanziari, quasi inesistenti e sovente discrepanti rispetto alla contabilità interna ai Cpa. Di
quest’ultima però si hanno tracce solo a partire dal 19746. Questo non deve sorprendere
poiché le statistiche in generale prendono forma in modo sistematico dal 1973-74,
quando consapevole della crescita in volume e in responsabilità del DPE e più in generale dell’amministrazione dello Stato, quest’ultimo mette in moto un processo di razionalizzazione e burocratizzazione.
È possibile completare il quadro numerico dei RCS presso l’ACpa, dove
sono conservati le statistiche generali dei corsi e soprattutto i movimenti contabili dal
1974 sino ai giorni nostri, salvo alcune eccezioni7. Si tratta di fonti non pubblicate, più
6. Riguardo i dati finanziari, Venturelli rileva che la classificazione delle spese cantonali
nell’educazione prima del 1975 non fu svolta in modo funzionale, in: VENTURELLI, Elio,
«Domanda di educazione e politica scolastica 1940-1980», in: BIUCCHI, Basilio (dir.), Un
paese che cambia, Locarno: Armando Dadò Editore, 1985, p. 239.
7. Queste statistiche si trovano nelle scatole denominate «Documentazione anno scolastico
[…]». Per gli anni 1996, 1998-99 e 2003 i dati raccolti sono frammentari o assenti e solo
in alcuni casi è stato possibile colmarli grazie a informazioni complementari. Prima del
1974 sono comunque presenti alcune cifre sotto forma di grafici realizzati a mano.
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1.
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complete e precise dei RCS. Per esempio dal punto di vista dell’attività finanziaria sono
riassunti costi, ricavi, la quota di spesa effettiva del Cantone, quindi il grado di autofinanziamento, e la presenza o meno di sussidi federali. Rispetto a quest’ultime i Consuntivi, da noi poco utilizzati, presentano durante il periodo considerato un quadro
finanziario più grossolano poiché a bilancio figurano unicamente le voci principali
delle spese per docenti e materiale e quella dei ricavi dalle tasse di partecipazione.
Nell’ ACpa sono pure consultabili delle copie originali di gran parte dei
programmi dei corsi8, fonte primaria di questo lavoro, che, come nel caso dei RCS, si
presta nel contempo a un’analisi quantitativa e qualitativa. I prospetti pubblicati nei
primi anni sono particolarmente interessanti poiché ricchi d’informazioni. In primo
luogo sono sempre introdotti da argomentazioni volte a presentare e legittimare il nuovo
servizio. Vi si illustrano inoltre i contenuti dei corsi e i motivi per i quali sono state
scelte determinate materie. A seguito dello sviluppo dell’attività ci si limita invece a
elencare i corsi, sempre più numerosi e vari, talvolta con brevi accenni della materia, il
ché rimane comunque una fonte essenziale nell’esame dell’offerta dei Cpa. Tale approccio comporta però un limite importante poiché la classificazione dei corsi, sulla quale
posano argomentazioni d’ordine qualitativo, viene costituita essenzialmente a partire dal
nome del corso che non sempre corrisponde al suo reale contenuto. Nella presente
ricerca questo rischio è scongiurato in quanto nella breve analisi posteriore al 1975 ci
si limita a tracciare un quadro generale dei principali sviluppi dell’attività.
I Verbali del Gran Consiglio (VGC) e gli articoli della stampa ticinese,
ai quali si accede dalla sede dell’ASTI o via internet, ma in versione ridotta per la testate
giornalistiche, permettono di penetrare la realtà sociale, politica e culturale del Cantone durante il periodo considerato. Meglio partire dalla stampa che spesso commenta
e rimanda appunto a interventi parlamentari, difficilmente reperibili tramite il motore
di ricerca informatico. I VGC permettono di dare una lettura dei Cpa all’interno di un
quadro generale di politica formativa e culturale. Tuttavia in quel contesto la discussione tende a focalizzarsi su temi principali e questioni urgenti rispetto ai quali i Cpa
occupano uno spazio marginale. Non è dunque tra i dibattiti parlamentari che viene
approfondita la problematica dell’educazione dell’adulto anche se ne viene riconosciuta
l’importanza.
Lo stesso invece non si può dire degli articoli apparsi nella Stampa ticinese durante il periodo trattato. Infatti quest’ultima vi dedicò ampio spazio come dimostrano il numero e la varietà dei contributi proposti sul soggetto. Grazie all’archivio
digitale dell’ASTi è stato possibile estendere l’esame ai principali quotidiani dell’epoca, ovvero Corriere del Ticino, Il Dovere, Gazzetta ticinese, Giornale del Popolo,
Libera Stampa e Popolo e Libertà9. Attraverso quest’analisi è possibile accedere a delle
informazioni sul gradimento del servizio, sul pubblico che vi prese parte, sugli argomenti espressi dai due direttori dei Cpa interessati riguardo la definizione e gli obiettivi dei corsi e a una serie d’informazioni non presenti nei documenti ufficiali. Tuttavia
8. Non si trovano i numeri degli anni scolastici tra il 1966-67 e il 1969-70.
9. Ci siamo serviti degli archivi digitali dell’ASTi, digitando nel motore di ricerca l’espressione «corsi per adulti» per un periodo compreso tra il 1963 e il 1974. È un sistema
molto pratico poiché a differenza del motore di ricerca informatico dei VGC è possibile
individuare delle espressioni all’interno di tutto il testo. La tabella riassuntiva che si trova negli allegati (I, p. 127) descrive l’evoluzione numerica degli articoli che abbiamo esaminato.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
bisogna tener conto della componente soggettiva di queste fonti. Più che in altri documenti gli autori giocano un ruolo fondamentale nel modo di trasmettere l’informazione
dietro il quale sovente si celano posizioni politiche e/o morali, a partire da quelle ufficiali. Nel loro insieme le testate giornalistiche ticinesi, si sa, rappresentavano, e lo fanno
tuttora, la configurazione delle diverse sensibilità politiche del Paese, dando della stessa
informazione interpretazioni diverse, giocando in questo modo il ruolo di strumento
politico. Lo sguardo attento del lettore contemporaneo non deve quindi rivolgersi unicamente all’informazione trasmessa o per lo meno non deve estrapolarne conclusioni,
ma riconoscere i limiti di tale approccio. Tenuto conto di ciò gli articoli di giornali sono
senz’altro una fonte ricca e rivelatrice. Tra i periodici va citato anche l’Educatore della
Svizzera italiana, buon indicatore dei cambiamenti avvenuti in Ticino in ambito educativo nel periodo compreso tra la fine del 1850 e i primi anni del 197010.
Finora si è parlato in prevalenza di documenti cosiddetti stampati,
vediamo dunque a quali fonti manoscritte si è fatto ricorso per completare e valorizzare
gli argomenti esposti in questo lavoro. Oltre alle statistiche generali dei corsi delle quali
si è già accennato l’esistenza, l’ACpa dispone di una buona raccolta di documenti interni
alla direzione dei Cpa e al DPE, che è possibile completare presso l’ASTi. Si tratta
soprattutto di corrispondenza rivolta alle questioni più ricorrenti poste dalla realizzazione e dalla gestione di un’Università popolare nel contesto ticinese e svizzero. Queste tracce, insieme ai programmi dei corsi, sono le più importanti per rispondere agli
interrogativi prevalentemente qualitativi sollevati in questa ricerca, poiché da esse emergono i discorsi dei principali attori coinvolti nell’educazione degli adulti in Ticino.
Il fondo Dipartimento Pubblica Educazione (1912-1983) all’ASTi è particolarmente ricco per quanto concerne il periodo che precede l’istituzione dei Cpa,
quindi le problematiche legate alla difesa della lingua e della cultura italiana, alla nuova
legge della scuola e soprattutto ai progetti per la creazione di un’Università popolare.
La corrispondenza e i rapporti al riguardo sono indispensabili per comprendere l’evoluzione nell’idea di realizzare in Ticino un istituto simile a un’Università popolare. Tra
gli scambi più rivelanti vi sono quelli avvenuti tra il DPE e Hermann Weilenmann, promotore del movimento delle università popolari in Svizzera.
L’ACpa dispone invece di una documentazione più o meno fitta a
seconda del periodo, che segue l’evoluzione del servizio pubblico dal 1963 fino ai giorni
nostri. Il panorama delle questioni è più eterogeneo, vi si trovano diversi aspetti che
sarebbe possibile approfondire, come il riciclaggio delle donne, il bisogno di nuove tecnologie didattiche, i diversi canali di propaganda dei Cpa, numerosi appunti sulla
gestione finanziaria dell’attività e altro ancora. Sono particolarmente interessanti gli
scambi di corrispondenza interni ed esterni nel periodo compreso tra la fine degli anni
Sessanta e i primi anni Settanta, archiviati nelle scatole nominate Direzione dal … al
…. Qui si trovano per esempio i pochi interventi intercettati tra i la direzione dei Cpa e
quella delle Scuole club Migros. Tornano molto utili e sono un buon punto di partenza
i tre compartimenti nei quali sono ordinate cronologicamente le Risoluzioni del Con10. L’utilizzo di questa fonte è facilitato dalla presenza in rete (www.retro.seals.ch,
19.01.2014) dell’intera collezione della rivista e da una pubblicazione degli indici (Archivio di Stato del Canton Ticino, L’educatore della Svizzera italiana: I serie 1855-1856,
II serie 1859-1972: raccolta degli indici annuali, Bellinzona: Archivio di Stato del Cantone Ticino, [s.d.]).
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siglio di Stato riguardanti i Cpa. Sono accessibili anche pubblicamente, ma questa raccolta facilita di molto la ricerca di alcuni documenti marcanti, come quelli relativi all’istituzione del Consiglio direttivo dei Cpa e in seguito dell’Ufficio dell’insegnamento
post-scolastico (UIPS).
La natura di queste fonti non pone problemi formali salvo casi eccezionali; la maggior parte delle lettere, sia originali che in copia, sono datate, firmate e quindi
facilmente riconducibili al loro contesto originale. Quasi sempre lo stesso vale anche
per i documenti meno evidenti, sovente bozze redatte a mano, poiché archiviati in modo
tale da renderne più espliciti i contenuti (soprattutto nei casi presenti all’ASTi). Salvo
le Risoluzioni governative siamo di fronte a testi più o meno ufficiali sui quali grava evidentemente un filtro nella comunicazione, che però, vista la natura non pubblica di gran
parte di questi interventi, risulta meno permeabile. Talvolta si è invitati a entrare in una
dimensione più intima delle questioni come ad esempio quella che poneva il delicato
rapporto tra Cpa e Scuole club Migros. Tuttavia questa prossimità svanisce almeno in
parte se si considera che tali documenti erano destinati, come dimostrano anche le numerose copie prodotte, all’archiviazione e quindi alla futura memoria storica.
Oltre alle fonti citate gli ACpa conservano altri tipi d’informazioni alle
quali però si è prestato meno attenzione: raccolte degli esami di lingue e di contabilità,
tabelle dei partecipanti ai differenti corsi, corrispondenza specifica intrattenuta con l’Associazione delle Università popolari svizzere (AUPS), più in generale informazioni che
concernono il periodo posteriore a quello trattato in questa ricerca e delle quali bisognerebbe
ancora verificare l’impiego. L’impressione però è che con il consolidamento del servizio e passato il periodo di riassestamento della prima metà degli anni Settanta, la documentazione tenda a ripetersi in un processo di rigenerazione dell’attività. Dunque per
abbordare quel periodo bisognerebbe, a nostro avviso, cambiare approccio, favorendo
un’analisi più sistematica dell’attività basata sulla scelta di variabili prestabilite.
Il nostro vuole essere uno sguardo aperto, attento, ma soprattutto curioso;
quello di un individuo che si confronta con una nuova realtà e cerca di capirne il meccanismo. Attenzione però a non confonderlo con uno sguardo globale che questa ricerca
è lungi dall’offrire, come dimostrano le lacune nel corpo delle fonti esaminate. Prima
su tutte l’assenza di testimonianze orali. Per ragioni di tempo e di spazio si è infatti
deciso di non interrogare i testimoni diretti della realtà dei Cpa anche se alcuni tra i
principali sono venuti meno ultimamente, pensiamo al fondatore dei corsi Guido
Marazzi. Invitiamo dunque chi volesse nei prossimi anni approfondire ulteriormente
questo argomento a ripartire proprio da questa risorsa importante.
1.2.
Stato della ricerca
Il nostro soggetto rientra nell’ambito di ricerca dell’educazione degli
adulti e in particolare in quello delle università popolari. L’educazione degli adulti è un
insieme ampio e confuso di pratiche che per la loro pluralità sono difficilmente classificabili11. Cercheremo tuttavia di tracciarne un quadro storiografico molto generale e
semplificato, anche perché ne approfondiremo alcuni aspetti durante il lavoro.
11. Negli anni Cinquanta il Repertorio internazionale dell’educazione edito dall’UNESCO
elencò le dieci forme istituzionali più frequenti: scuole e corsi (università operaie, po-
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
L’educazione degli adulti è un soggetto recente che concerne soprattutto
la storia contemporanea. Tuttavia i primi ad interessarsene sono stati i modernisti in
relazione alla questione dell’educazione del popolo emersa soprattutto in seguito alla
Rivoluzione francese. Per il periodo che ci concerne la ricerca si è sviluppata gradualmente e solo a partire dagli anni Settanta si può parlare di un campo relativamente
fecondo. In passato generalmente si è preferito agire piuttosto che teorizzare e le poche
indagini sono evolute in stretto contatto con il contesto nel quale venivano prodotte. I
quadri concettuali ai quali si fa riferimento nell’ambito dell’educazione degli adulti
provengono da tradizioni diverse e i termini di referenza utilizzati nel corso degli anni
ne sono testimoni: educazione degli adulti, educazione permanente, educazione ricorrente, lifelong learning e più recentemente quello di formazione continua12. Un campo
così vasto e eterogeneo non poteva che interessare più discipline, in particolare la sociologia, le scienze dell’educazione e la storia, nella quale s’iscrive la presente ricerca.
Gli studi sull’educazione degli adulti, se si tralasciano quelli pubblicati
da organizzazioni internazionali, sono principalmente a carattere nazionale o addirittura
regionale poiché, nonostante la presenza di basi istituzionali comuni, ogni paese ha sviluppato forme di educazione diverse, in funzione delle proprie caratteristiche politiche
e culturali e dei bisogni ai quali intendeva rispondere. In Svizzera l’educazione degli
adulti riflette dunque la pluralità politica e culturale che contraddistingue il paese.
Potrebbe essere questa la ragione che spiega tuttora l’assenza di una storia scritta sull’educazione degli adulti in Svizzera.
Da un punto di vista storiografico si possono distinguere quattro fasi che
coincidono con lo sviluppo del fenomeno a livello nazionale e internazionale. I primi
studi si situavano attorno agli anni Quaranta e s’interessarono principalmente all’aspetto politico e sociale della questione dell’educazione dei lavoratori in relazione alla
polari, corsi di lunga e corta durata, semestrali, serali, per corrispondenza, con laboratorio, con seminari, ecc.), conferenze, club, gruppi di studio, circoli (società di utilità pubblica, associazioni culturali, organizzazioni religiose o politiche, gruppi folcloristici), cinema culturale, corsi radio, televisione educativa, teatro, musica, musei, biblioteche,
stampa, in: CHESSEX, Pierre, L’éducation des adultes et l’Université populaire de Lausanne, Lausanne: Payot, 1952, p. 5. Negli anni Novanta Dominicé e Fringer presentarono una classificazione non tanto legata alle forme di educazione degli adulti quanto ai
diversi indirizzi che si volevano perseguire. Consci di proporre uno schema semplificato e senza barriere rigide individuarono tre categorie: animazione socio-culturale (attività di promozione e diffusione culturale da svolgere durante il tempo libero che rinforzavano la capacità d’inserimento o di partecipazione sociale degli adulti), perfezionamento professionale (programmi destinati al mantenimento del lavoro o alla mobilità
professionale) e qualità di vita (nel campo della salute, della famiglia o dello sviluppo
personale tutto quanto portava su cambiamenti di comportamento e di attitudine in rapporto la gestione del tempo), in: DOMINICIÉ, Pierre, FINGER, Matthias, L’éducation des
adultes en Suisse, Zurich: Pro Helvetia, 1990, p. 23. Le università popolari dunque non
sono che una delle forme istituzionali di educazione degli adulti che a dipendenza del
paese e del periodo possono coprire allo stesso tempo più indirizzi.Per un quadro riassuntivo dei concetti principali dell’educazione degli adulti e del rapporto di quest’ultima
con gli altri ambiti educativi, si vedano invece gli allegati II e III a p. 131, 132.
12. Per approfondire le diverse tradizioni filosofiche dalle quali vengono i termini si veda:
DOMINICIÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., pp. 19-21. Per avere invece un idea dell’evoluzione generale dei termini impiegati, in particolar modo nel contesto francese si veda: FORQUIN, Jean-Claude, e alii, «De l’éducation permanente à la formation tout au long
de la vie», Savoirs: revueinternationale de recherches en éducation et formation des
adultes, Paris: L’Harmattan, 6, 2004, pp. 12-44.
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1.
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nuova strutturazione della giornata, suddivisa in tempo lavorativo e tempo libero, dove
il secondo acquistava sempre più importanza13. Con la nascita delle prime università
popolari il campo si allargò ed uscirono le prime pubblicazioni sull’argomento che ci
interessa più da vicino. In tal senso i contributi maggiori in Svizzera si devono al promotore del movimento delle università popolari, Hermann Weilenmann, che nel 1944
propose un’analisi dello stato delle università popolari in Svizzera e ne presentò i principi sociali, politici e culturali14. Si tratta di un’opera centrale che durante il lavoro
avremo modo d’incontrare.
A partire dagli anni Cinquanta, nel nuovo contesto socio-economico, la
ricerca nell’educazione degli adulti visse un momento di fermento internazionale,
soprattutto grazie all’azione dei nuovi attori internazionali, in particolare dell’UNESCO che si pose da subito come punto di riferimento nell’orientamento della ricerca
educativa15. Nel 1949, a tre anni dalla sua nascita, l’UNESCO organizzò in Danimarca
la prima conferenza internazionale consacrata all’educazione degli adulti che diede
luogo a diverse pubblicazioni16. L’obiettivo di questi studi era di informare il pubblico
sui principali problemi che la questione poneva e di mostrare le possibilità d’intervento
sul piano nazionale. In quegli anni riviste come l’International Review of Education
furono un altro terreno fertile per la problematica dell’educazione degli adulti. Lo dimostrano i numerosi articoli dedicati all’argomento a partire dagli anni Cinquanta, tra cui
quelli di Campa, Eyford, King e altri ancora17, che mettevano in risalto l’emergenza di
una questione centrale nel nuovo contesto storico, sempre in relazione con la tematica
del tempo libero18. Nel frattempo in Svizzera, dove era nata nel 1943 un’Associazione
delle università popolari svizzere (AUPS), usciva nel 1957, con la collaborazione di
13. Si veda ad esempio BLUM, Emil, Ziele der Arbeiterbildung, Olten: Hauenstein-Verlag
1946, 27 p.; NEUMANN, Hans, Hundert Jahre Schweizerischer Arbeiterbildung, Bern:
[s.n], 1949, 15 p.; WARTENWEILER, Fritz, Erwachsenenbildung gestern – heute – morgen,
Zurich: Freunde Schweizerischer Volksbildungsheime, 1949, [s.p.].
14. WEILENMANN, Herman, L’université populaire. Principes et réalisations, Genève: Institut universitaire des sciences de l’éducation, 1944, 31 p.
15. MANCINI, Riccardo, Una cultura emergente. L’educazione permanente, Roma: Aracne,
2011, p. 168.
16. Un rapporto sommario pubblicato lo stesso anno, una serie di studi intitolata L’éducation
des adultes: tendances et réalisations actuelles pubblicati nel 1950 e tre anni dopo un repertorio internazionale dell’educazione degli adulti (Répertoire international de l’éducation des adultes, Paris: UNESCO; Lausanne: Impr. Centrale, 1953, 372 p.), in: Répertoire international de l’éducation des adultes, op. cit., p. 18. Per avere un’idea generale delle conferenze tenute successivamente si veda: LOWE, John, L’éducation des adultes. Perspectives mondiales, Paris: UNESCO, 1984 (1976), 292 p.
17. CAMPA, André, «Comment concilier, par l’éducation, la culture et la technique», Revue
Internationale de l’Éducation, vol. 3, n. 4, 1957, pp. 423-443; EYFORD, G., «Unesco’s International Seminar on Adult Education in Rural Areas (Hillerød 1954) «, International
Review of Education, vol. 1, n. 2, 1955, pp. 242-243; KING, Edmund. J., «Education for
adults today: an international survey», International Review of Education, vol. 3, n. 1,
1957, pp. 13-26. Per altri contributi di questo tipo si veda la lista di articoli nella bibliografia.
18. La questione del tempo libero, o dei cosiddetti loisirs, fu oggetto di studio soprattutto a
partire dagli anni Cinquanta anche in relazione con un discorso sull’educazione. A questo proposito si veda ad esempio: DUMAZEDIER, Joffre, «Loisirs et pédagogie», Revue Internationale de l’Éducation, vol. 1, n. 1, 1955, pp. 102-116 e per la realtà svizzera: DUVANEL, Blaise, Population salariée et loisirs, Zürich: Fédération suisse pour l’éducation
des adultes, 1968, 31 p.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
Weilenmann, a cui era stata affidata la direzione dell’associazione, Les Universités
populaires suisses en 1956/57, riproposto in versione aggiornata ma ridotta nel 196219.
Queste indagini a carattere nazionale furono accompagnate da contributi regionali,
come ad esempio quello di Chessex sull’Università popolare di Losanna20.
Poste le prime basi, la ricerca si sviluppò in modo più consistente nel
decennio tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta soprattutto in relazione al nuovo concetto di educazione permanente. All’interno di un processo europeo
di riforme nel settore scolastico, l’educazione degli adulti fu integrata in un sistema
organico di educazione che avrebbe dovuto accompagnare un individuo durante tutto
l’arco di vita. Tra le pubblicazioni internazionali più rilevanti in questo senso troviamo
quelle di Lengrand, Hartung e Le Veugle21. La questione assunse una valenza politica
soprattutto per le sue implicazioni sociali, economiche e culturali. In Svizzera la pubblicazione nel 1971 del Groupe romand pour l’étude des techniques d’instruction
(GRETI) fu sicuramente la più importante22. Lo studio esaminava la questione dell’educazione come sistema permanente in rapporto alla vita sociale, politica, economica
e culturale del paese, fornendo sul finale delle proposte di misure da intraprendere sul
piano federale e cantonale. In questo periodo crebbe dunque l’interesse pubblico per un
ambito che in pratica era gestito essenzialmente da enti e organizzazioni private.
A partire dagli anni Settanta, sullo slancio del nuovo concetto di educazione permanente, la ricerca in Svizzera si sviluppò e vennero pubblicati anche i primi
contributi da parte di ricercatori non coinvolti direttamente nell’ambito dell’educazione
degli adulti. Pensiamo in particolare allo studio di Bourgoz e colleghi, un inchiesta
sociologica sulle motivazioni di frequentazione dei corsi della ScM di Losanna23. In un
contesto come quello elvetico la tendenza fu piuttosto quella di concentrarsi su casi
particolari, come dimostrano anche i contributi di Prongué che stilò un rapporto sulla
politica culturale giurassiana e di Kalbermatten e Michelet che recentemente hanno
analizzato l’esempio dell’Università popolare in Vallese24. Tuttavia tra gli anni Ottanta
e Novanta, prima con Nestler poi con Dominicé e Fringer, si effettuarono dei tentativi
19. Les Universités populaires suisses en 1956/57, Zurich: Artemis, 1957, 183 p.; Les Universités populaires en Suisse, AUPS, [Zurich]: [s. n.], 1962, 22 p.
20. CHESSEX, Pierre, op. cit., 20 p.; Sempre per quanto concerne l’Università popolare di Losanna nel 1961 veniva pubblicato: Université populaire de Lausanne. Dixième anniversaire: 1951 – 1961, [s. l.]: [s. n.], [1961] (Lausanne: Impr. Centrale), 24 p.
21. HARTUNG, Henri, Pour une éducation permanente, Paris: Fayard, 1968, 232 p.; LE VEUGLE, Jean, Initiation à l’éducation permanente, Toulouse: E. Privat, 1968, 225 p.; LENGRAND, Paul, Introduction à l’éducation permanente, Paris: Unesco, 1970, 100 p.
22. GRETLER,Armin et alii, La Suisse au-devant de l’éducation permanente, Collection Greti infomation, Lausanne: Payot, 1971, 178 p.
23. BOURGOZ, René, e alii, Quelques aspects de l’éducation permanente en Suisse. Enquête
sur les motivations de fréquentation des cours para-professionnels chez les adultes, effectuée dans un centre-test de formation: l’Ecole-club Migros de Lausanne, Genève: Institut d’études sociales, 1971, 87 p.
24. PRONGUÈ, Bernard, Politique culturelle jurassienne, 1979 -1991: rapport pour une évaluation, Porrentruy: Office du patrimoine historique, 1991, 254 p.; KALBERMATTEN, Brigitte et MICHELET JAQUOD, Valérie, «Des universités populaires en Suisse: l’exemple du
Valais romand», in: POULOUIN, Gérard (dir.), Universités populaires hier et aujourd’hui,
Paris: Éditions Autrement, 2012, pp. 260-273. Altri possono essere quelli di Mattmüller:
MATTMÜLLER, H., Volkshochschule in Basel und Zürich: zur Geschichte der Erwachsenenbildung in der Schweiz, Bern: P. Haupt 1976, 458 p.; MATTMÜLLER, H., LINDGREN,
A., Volkshochschule Bern 1919-1979, Bern: Volkhochschule, 1979, 152 p.
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di studi complessivi sull’insieme della realtà dell’educazione degli adulti in Svizzera25.
Queste ricerche danno una visione generale della situazione e sono tuttora tra i punti di
riferimento per quanto concerne il fenomeno in Svizzera. Al giorno d’oggi la questione
dell’educazione degli adulti, alla quale si fa riferimento con il termine di formazione
continua, rappresenta un elemento essenziale come parte integrante della società. Dopo
essere stata definita essenzialmente per la sua dimensione culturale attualmente è dominata dal settore professionale26. Dal punto di vista della ricerca sembrerebbe che come
in passato si preferisca agire con misure concrete, e quindi siamo di fronte a studi particolari sui bisogni dei vari settori professionali. In questo modo il campo si allarga
ulteriormente e diventa sempre più difficile considerarlo nel suo insieme. Per quanto
concerne la ricerca nell’ambito delle università popolari l’impressione è che resti ancora
molto da fare, poiché sebbene il settore sia molto attivo, non si può dire che l’identità
dell’educazione degli adulti sia veramente affermata27. Si potrebbe magari prendere
spunto dalla storiografia francese che vanta nell’ambito della formazione degli adulti i
recenti lavori di Françoise F. Laot28.
Il nostro è uno studio sul caso dell’Università popolare in Ticino e s’iscrive dunque tra le ricerche di tipo regionale. La realtà ticinese dell’educazione degli
adulti rappresenta un caso particolare in Svizzera poiché fu il primo Cantone a inserire
questa problematica in un quadro legislativo e poiché fu lo Stato a istituire e a dirigere
i Cpa, diversamente da quanto succedeva nel resto del Paese. In questo lavoro impiegheremo un approccio che prevede una riflessione generale sull’attività di un istituzione culturale attiva sul territorio all’interno di una politica culturale cantonale. A
questo proposito segnaliamo per la storiografia ticinese gli importanti contributi di Valsangiacomo e di Marcacci29.
25. NESTLER, Monica, L’éducation des adultes en Suisse, Zurich: Pro Helvetia éd., 1984, 58
p.; DOMINICÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., 93 p.
26. DOMINICÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., p. 23.
27. Ibidem, p. 11.
28. LAOT, Françoise F., L’image dans l’histoire de la formation des adultes, Paris: L’Harmattan, 2010, 213 p.; LAOT, Françoise F. e ORLY, Paul, Education et formation des adultes: histoires et recherches, Saint-Fons: INRP, 2004, 149 p.; LAOT, Françoise F., 40 ans
de recherche en formation d’adultes (1960-2000), Paris: L’Harmattan, 2002, 158 p.; LAOT,
Françoise F., La formation des adultes: histoire d’une utopie en acte. Le complexe de
Nancy, Paris: L’Harmattan, 1999, 415 p.
29. In particolare si vedano VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? […]» art.
cit., 2011, pp. 19-32; VALSANGIACOMO, Nelly, «Militanze intellettuali durante il fascismo:
l’Associazione Romeo Manzoni», in:VALSANGIACOMO, Nelly, MARIANI ARCOBELLO, Francesca (dir.), Altre culture. Ricerche proposte, testimonianze, Bellinzona: Fondazione Pellegrini-Canevascini, 2011, pp. 35-49; MARCACCI, Marco, «ECCO: iniziative, aspettative e disillusioni della cultura operaia», in: VALSANGIACOMO, Nelly, MARIANI ARCOBELLO, Francesca (dir.), op. cit., pp. 13-32; MARCACCI, Marco, «Conferenze e conferenzieri
nel Ticino degli anni Trenta», Archivio storico ticinese, 2010, pp. 63-78.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
1.3.
L’educazione degli adulti in Svizzera
1.3.1.
Cenni storici
In Svizzera l’educazione degli adulti prese forma istituzionale all’indomani della Rivoluzione francese. L’invasione delle truppe francesi segnò la fine
dell’Ancien Regime e la nascita della Repubblica elvetica. In questo nuovo contesto
bisognava istruire il popolo che si voleva sovrano. Era necessario liberare la popolazione dagli schemi arbitrari dei quali era stata soggetta e al contempo trasmetterle valori
di tipo civico e morale. Lo sforzo in tal senso si concretizzò principalmente nella creazione della scuola popolare obbligatoria. Sulla linea della Società svizzera di
educazione e della Società elvetica, nel 1810 fu fondata la prima istituzione di educazione popolare del paese, la Società svizzera di utilità pubblica, che riuniva in seno
diversi movimenti sociali: cristiano-umanisti, razionalisti e politici30.
Nel XIX secolo, con lo sviluppo dell’industrializzazione, dalla quale
emersero la classe operaia e borgese, l’educazione popolare rivestì una connotazione
prevalentemente politica. Concepita inizialmente come strumento di emancipazione
per tutti, lo divenne per le classi e gli strati sociali più sfavoriti. Nacquero così le prime
Associaizoni educative operaie con il motto: «Education populaire égale libération du
peuple»31. Successivamente, nel 1912, fu creata la Centrale svizzera di educazione operaia. I progressi dell’industrializzazione portarono inoltre nel 1860 anche alla creazione
della prima Associazione degli impiegati di commercio che si pose come obiettivo principale la difesa degli interessi professionali all’insegna del motto: «Par la formation
vers le succès»32.
L’idea di una formazione popolare intensa prese piede gradualmente e si
concretizzò in un primo tempo nel 1919, all’indomani della Prima guerra mondiale e
dello Sciopero generale, quando sorsero le prime università popolari a Basilea, Zurigo,
Lucerna e Berna. C’era chi scorse in un tale progetto il pericolo di una semi-formazione e chi invece ne fu entusiasta e lo concepì come complemento al sistema d’insegnamento dell’epoca33. Hermann Weilenmann, il loro iniziatore, vide nell’Università
popolare un’istituzione con un obiettivo che andava oltre il perfezionamento professionale, un compito secondo lui da affidare piuttosto alle scuole d’arti e mestieri. Nell’intento di Weilenman risaltavano maggiormente le componenti patriottiche e
umanistiche. Nel periodo tra le due guerre furono create diverse università popolari,
sotto forma di fondazioni o di società di utilità pubblica, ma il movimento prese slancio soprattutto in seguito al secondo conflitto mondiale, un periodo di crescita per eccellenza, durante il quale s’impose la realtà del tempo libero34.
Le ScM, create nel 1944 principalmente come scuole di lingua, furono i
rappresentanti più tipici di questa nuova forma di educazione degli adulti, orientata sull’occupazione del tempo libero e sul viver meglio, anche se, fin dal principio, presero
30.
31.
32.
33.
34.
DOMINICIÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., p. 12.
Ibidem, p. 12
NESTLER, Monica, op. cit., p. 9.
Ibidem, p. 10.
DOMINICIÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., p. 14.
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in considerazione anche i bisogni legati alla vita professionale35. Queste scuole segnarono inoltre l’inizio di un approccio meno ideologico e più pratico della formazione
degli adulti.
L’ultima fase di sviluppo dell’educazione degli adulti cominciò negli anni
Settanta36. I paesi industriali dovettero reagire prima a una crisi sociale, politica e culturale, poi alla crisi del petrolio e al periodo di recessione economica internazionale,
durante il quale vi fu una presa di coscienza riguardo a problematiche sociali e politiche che evidenziavano i limiti della crescita e che furono portate alla ribalta da nuovi
movimenti di protesta, come ad esempio quello ecologista, pacifista, antinucleare e
femminista. Parallelamente si osservò una profonda trasformazione culturale verso una
dimensione sempre più individuale nella quale si mise in risalto lo sviluppo personale.
Per il campo dell’educazione degli adulti questa tendenza portò all’erosione del progetto
educativo illuminista e della modernità e si tradusse nell’estensione della formazione
professionale da una parte, e di una formazione rivolta all’individuo dall’altra37.
1.3.2.
Il quadro legislativo e la concertazione
Da un punto di vista pratico il campo dell’educazione degli adulti è molto
complesso e comprende come si è visto oggetti diversi fra loro. Ogni nazione o addirittura ogni regione possiede una sua forma. Il pluralismo politico e culturale rendono
la realtà elvetica particolarmente difficile da presentare. Nel sistema federalista svizzero
l’educazione è tra gli ambiti di competenza dei Cantoni. Gli articoli 61-71 della Costituzione federale relativi alla formazione, alla ricerca e alla cultura, attribuiscono alla
Confederazione un numero limitato di compiti. L’istruzione pubblica è dunque quasi
interamente a carico dei Cantoni (art. 62).
Per quanto concerne l’educazione degli adulti, oggigiorno designata con
il termine di formazione continua, la situazione è evoluta progressivamente, ma si attendono ancora dei risultati concreti. La legge federale del 20 settembre 1963 sulla formazione professionale prevedeva l’organizzazione e il sussidio da parte della Confederazione di corsi di perfezionamento professionale (art. 44)38. A quell’epoca la formazione
non professionale era assicurata da enti o istituzioni private e finanziata per il 95% da
organi privati e per il 5% da organi pubblici39. Nel 1973 il popolo svizzero rifiutò gli
articoli costituzionali volti a incoraggiare e soprattutto finanziare la formazione degli
adulti40. Tra gli scopi sociali, elencati nel testo costituzionale del 18 aprile 1999, che competevano alla Confederazione e ai Cantoni come complemento alla responsabilità individuale e all’iniziativa privata, vi era anche quello di garantire ai fanciulli, agli adolescenti e alle persone in età lavorativa l’accesso a una formazione di base e a una for35.
36.
37.
38.
Ibidem, p. 14.
Ibidem, p. 15.
Ibidem, p. 15.
I testi di legge citati in questo breve capitolo sono consultabili su: www.admin.ch
(29.7.2013).
39. RCS, [Bellinzona]: Repubblica e del Cantone Ticino, 1969, (6) p. 43.
40. DOMINICIÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., p. 66.A questo proposito si veda l’opuscolo
della FSEA: Oui à la réforme de l’éducation – mais aussi pour les adultes: contribution
de la Fédération suisse pour l’éducation des adultes aux problèmes de cette réforme,
MALHERBE, Rémy W. (trad.), Zurich; Lausanne: FSEA, [1970], 26 p.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
mazione continua (art. 41)41. Secondo l’articolo 69 dello stesso testo le attività culturali, tranne quelle d’interesse nazionale, erano affare dei Cantoni, sebbene non venisse
specificato alcun campo di applicazione. Il 21 maggio 2006 il popolo svizzero e i Cantoni accettarono a larga maggioranza le nuove disposizioni in materia di formazione42.
La formazione continua entrò così a far parte dello spazio formativo svizzero e per la
prima volta fu disciplinata a livello costituzionale. Come indicato dall’art. 64a della Costituzione, la Confederazione ne fissava i principi e poteva incoraggiarla, ma mancava
ancora «una base legale che consentisse di collocare la formazione continua in una prospettiva formativa integrata e di sviluppare una politica uniforme in materia di formazione continua»43. Nel 2012 è entrata in vigore la legge federale sul promovimento della cultura, un passo importante giunto dopo lunga concertazione. Secondo l’art. 14, la
Confederazione poteva sostenere, anche finanziariamente, le organizzazioni culturali.
Tuttavia tenendo conto dell’insieme del testo legislativo si capisce che questa legge non
rappresentava l’ambito di prescrizione consono alla formazione degli adulti. Sembrerebbe però che in un futuro prossimo si possa finalmente realizzare qualcosa di concreto.
Infatti è storia recente il messaggio del 15 maggio 2013 concernente la legge federale
sulla formazione continua (LECo) e il conseguente disegno di legge in applicazione dell’art. 64a44. Con questa legge la Confederazione si prefigge di «rafforzare la formazione
continua quale componente dell’apprendimento permanente nel contesto dello spazio
formativo svizzero»45. Oltre a definirne i principi applicabili, stabilisce le condizioni per
la concessione di aiuti finanziari da parte della Confederazione (art. 1).
In questo contesto e a causa delle diversità cantonali in materia di educazione degli adulti, a partire dagli anni Cinquanta si pose un problema di coerenza
nell’insieme del campo nazionale. Nel periodo durante il quale l’educazione degli adulti
conobbe una fase di sviluppo importante, iniziarono quindi i primi sforzi di concertazione nazionale con l’intenzione di coordinarne la politica. In queste circostanze nel
1951 nacque la Federazione svizzera per l’educazione degli adulti (FSEA) che si pose
come interlocutore privilegiato nelle relazioni tra i vari organi responsabili della formazione degli adulti e le autorità federali46. Tra i membri della FSEA si trovano anche
i Cpa e l’AUPS, della quale i Cpa fanno pure parte.
41. Ci siamo basati sulla versione francese della Costituzione poiché riteniamo che impieghi una terminologia più intuitiva per quanto ci concerne. Nel testo in italiano «formation continue» è tradotto con «perfezionamento» nonostante il termine formazione continua sia d’uso corrente.
42. «Messaggio concernente la legge federale sulla formazione continua del 15 maggio
2013», in: www.admin.ch (29.7.2013).
43. «Messaggio concernente la legge federale sulla formazione continua del 15 maggio
2013», in: www.admin.ch (29.7.2013).
44. Ibidem.
45. Ibidem.
46. Contribution suisse à la base des données «Eurybase – la base de données sur les systèmes d’enseignement en Europe», 2001, p. 190. Per avere un’idea dell’insieme del campo nazionale e internazionale dell’educazione degli adulti si veda l’allegato IV a p. 130.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
2.
Dalla Scuola ticinese di cultura
italiana alla nuova legge della scuola:
la maturazione di un progetto
(1917-1958)
2.1.
L’azione culturale dello Stato
2.1.1.
Identità culturale e politica
27
Prima di passare all’analisi dei primi progetti concreti in favore della realizzazione di un’Università popolare, riteniamo importante tracciare brevemente l’evoluzione dei due principali organi culturali ufficiali in Ticino durante la prima metà del
Novecento, ovvero la STCI e i Circoli di cultura, quest’ultimi riuniti dal 1944 in una
federazione. Il contesto nel quale s’iscrive la storia di queste due istituzioni fu caratterizzato dalla problematica dell’identità culturale e politica del Cantone nei confronti
della Confederazione da un lato e della vicina Penisola dall’altro. Adottando una prospettiva d’analisi più ampia sarà possibile inserire la nascita dei Cpa nello sviluppo di
una «cultura riconosciuta», in modo da individuarne gli aspetti comuni e quelli caratteristici, tenendo conto dell’evoluzione repentina della situazione storica.
Due tra gli eventi più significativi nel processo di metamorfosi dell’identità ticinese furono la riforma costituzionale del 1848, che segnò il passaggio dalla
Svizzera confederale a quella federale, e l’inaugurazione, nel 1882, della galleria ferroviaria del San Gottardo. A partire dal 1848 il Ticino fu costretto ad affrontare le decisioni prese dal potere centrale che, in più di un’occasione, urtarono gli interessi
economici cantonali. Tali scelte diedero vita a polemiche e malcontenti in un Cantone
che, già impegnato a recuperare il distacco rispetto ai suoi omologhi confederati, vide
aumentare gli oneri a suo carico. Il confronto con il governo centrale spinse il Ticino a
riflettere sul proprio ruolo all’interno del sistema federalista, dando il via a un processo
di presa di coscienza durante il quale cercò di far riconoscere e valorizzare la propria
identità politica, culturale e socio-economica nel nuovo contesto nazionale47. Questo
processo si accelerò con l’apertura del traforo ferroviario del San Gottardo, un evento
significativo che ebbe risvolti economici e sociali determinanti per la realtà ticinese.
47. CASTRO, Sonia, Tra Italia e Svizzera. La presenza degli studenti svizzeri nell’Università
di Pavia (1860-1945), Milano: Cisalpino, 2004, p. 4.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
In quegli anni infatti si registrò un incremento demografico notevole
dovuto soprattutto a nuovi flussi migratori, principalmente di italiani, ma anche di germanici, agevolati appunto dal nuovo collegamento ferroviario. La crescita della popolazione cantonale si condensò nei centri, dove fiorivano l’industria, il commercio e il
turismo, e lungo la linea ferroviaria48. Le valli invece venivano abbandonate per ragioni
economiche. In un tessuto sociale più eterogeneo, dove la presenza imponente, non
tanto numerica, dei confederati si faceva sentire sempre più, la difesa della lingua italiana fu avvertita come una questione culturale e politica urgente.
Da un punto di vista economico l’inaugurazione del portale ferroviario
alimentò un clima di attese e di speranze nello sviluppo industriale che avrebbe permesso di risollevare il Cantone. Tuttavia, nonostante l’espansione del turismo e dei settori ad esso collegati, le aspettative furono deluse e il Ticino finì per essere assorbito
dall’economia della Confederazione che vi attinse per la fornitura di beni strumentali,
di consumo e di servizi d’ogni genere49.
La limitazione dell’autonomia cantonale dovuta alla riforma costituzionale del 1848, l’allarme sulla questione etnica lanciato dal censimento del 1910 e le
difficoltà economiche persistenti furono elementi determinanti nella costruzione del
dibattito di quella che fu definita «la questione ticinese»50. In Ticino crebbe la percezione di rappresentare un caso particolare nella Confederazione e di meritare dunque
un trattamento speciale. La problematica della minoranza linguistica da difendere e
della marginalità geografica avrebbero percorso tutta la prima metà del Novecento, sfociando nel 1924 nella prima serie di rivendicazioni ticinesi 51. All’interno di questo
dibattito si discusse anche il problema della difesa della lingua e della cultura italiana.
Si trattava di una questione culturale con una forte valenza politica che, nel 1930, dopo
lunghe trattative, permise al Ticino di ottenere un primo sussidio straordinario di 60’000
franchi per farvi fronte52.
2.1.2.
La Scuola Ticinese di Cultura Italiana
La STCI, istituita nel 1917 dallo Stato grazie al lascito di Romeo Manzoni, fu attiva in Ticino sotto la direzione di Francesco Chiesa nel periodo tra i due conflitti mondiali. Come si legge nelle prime righe del regolamento, la Scuola aveva lo scopo
«di affermare, nel modo praticamente più efficace, quella che è la qualità propria della
Svizzera italiana, e di adempiere un alto ufficio che, nella famiglia confederata, com48. La popolazione di Locarno passo da 4’928 abitanti nel 1870 a 9’200 nel 1910, quella di
Lugano, centro principale del Cantone, da 7’578 (1870) a 18’586 (1910), quella residente
della pianura di Mendrisio, da Chiasso al lago, da 14’674 (1870) a 24’471 (1910) e quella di Bellinzona e comuni finitimi da 6’289 (1870) a 14’001 (1910), GILARDONI, Silvano, «Italianità ed elvetismo nel CantonTicino negli anni precedenti la prima guerra mondiale (1909-1914)», Archivio Storico Ticinese, n. 45/46, 1971, p. 6.
49. Ibidem, p. 9.
50. CASTRO, Sonia, op. cit., p. 7.
51. GILARDONI, Silvano, art. cit., p. 166.
52. Si veda a questo proposito il Messaggio del Consiglio federale del 29.9.1930: «Message du Conseil fédéral à l’Assemblée fédérale concernant l’allocation d’une subvention
annuelle au canton du Tessin pour la défense de sa culture et de sa langue (du 29 septembre 1930)», Foglio federale, vol. 2, n. 40, 1930, pp. 419-439.
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Dalla Scuola ticinese di cultura italiana alla nuova legge
29
pete a ciascuno dei tre gruppi etnici»53. Per poter assolvere questo compito vennero costituiti tre settori di attività:
«l’organizzazione di corsi semestrali di lingua e letteratura italiana per secondare il
nuovo crescente interesse con cui nella Svizzera transalpina si studiano la lingua e la letteratura italiane,
la creazione di una biblioteca itinerante e l’organizzazione di conferenze per diffondere nella cittadinanza, e soprattutto nel ceto dei maestri, mediante le conferenze tenute dal corpo insegnante e da oratori straordinari, un saggio almeno di quella coltura che occorre ad ogni popolo per essere veramente
degno delle sue libere istituzioni»54.
Tra i diversi programmi le conferenze divennero presto lo strumento privilegiato per veicolare i temi culturali affrontati55. Dopo una prima fase di consolidamento (1922-29) la Scuola dovette affrontare un primo momento di crisi scaturito dal
rifiuto nel 1928 dell’invito al noto antifascista Gaetano Salvemini a partecipare a una
conferenza in programma nella Scuola56. L’istituto fu quindi riorganizzato grazie a parte
di quel sussidio federale per la difesa della cultura e della lingua italiana ottenuto dal
Cantone nel 1930. La direzione fu affidata a Enrico Celio, capo del DPE, e ai responsabili delle varie attività, tra i quali Francesco Chiesa, che conservò il compito di organizzare conferenze, suddivise tra «centri maggiori» (Lugano, Locarno, Bellinzona) e
«centri minori»57. Riguardo i temi, la revisione del 1932 faceva distinzione tra conferenze di alta e bassa cultura; le prime rivolte ai centri e tenute da persone particolarmente competenti, le seconde, considerate conferenze di cultura popolare, interessavano
invece sedi minori e insegnanti qualificati58. Questa nuova configurazione permise alla
STCI di assumere nei primi anni Trenta un ruolo centrale nello sviluppo culturale del
Cantone. I generi più presenti erano la letteratura degli autori classici, soprattutto Ariosto e Dante, e quella dei poeti consacrati della culturale italiana come Leopardi, Carducci e Pascoli, la storia dell’arte e la storia59. Al termine del 1933 Celio propose senza
successo di avviare una collaborazione con un nuovo attore culturale che da poco aveva
fatto la sua apparizione nella Svizzera italiana: la Radio60.
53. Regolamento e Programma per la scuola ticinese di coltura italiana presso il liceo cantonale, Bellinzona: Tipo-Litografia Grassi & c., 1917, [s.p.].
54. VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? […]» art. cit., 2011, pp. 22, 23. Le
parti in corsivo sono riprese dalla relazione del 19 aprile 1918 del Rettore Francesco
Chiesa, pubblicata nel rendiconto del DPE del 1918.
55. Ibidem, p. 23.A questo proposito si veda anche l’art. di Marco Marcacci: MARCACCI, Marco, art. cit., 2010, pp. 63-78.
56. La decisione del 1928 sfociò in una vigorosa polemica nella stampa e nel parlamento cantonale. Venne fondata una nuova istituzione per offrire spazio ai conferenzieri antifascisti, l’Associazione Romeo Manzoni, in: VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? […]» art. cit., 2011, p. 26. Sempre diValsangiacomo il contributo anche recente
sull’Associazione Romeo Manzoni: VALSANGIACOMO, Nelly, «Militanze intellettuali durante il fascismo: l’Associazione Romeo Manzoni», cit., pp. 35-49.
57. VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? […]» art. cit., 2011, p. 23.
58. Ibidem, p. 28.
59. Ibidem, p. 29. Per una visione generale dell’evoluzione del numero di conferenze per tema si veda il grafico elaborato da Valsangiacomo (allegato V, p. 131).
60. «[…] sarebbe opportuno, sia dal punto di vista dell’efficacia e della diffusione della cultura, sia dal punto di vista della limitazione delle spese, un accordo con la Direzione della Radio affinché i conferenzieri chiamati dalla nostra Scuola abbiano a dare anche una
o due conferenze alla Radio», in: ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circolo di cultura italiana, verbale seduta 4.12.1933.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
Nell’invito che Chiesa recapitò a Benedetto Croce nella seconda metà
degli anni Venti, il direttore fece delle osservazioni interessanti riguardo il pubblico che
frequentava la Scuola, paragonata a un’Università popolare:
«la scuola ticinese di cultura italiana […] è una specie di Università popolare, che promuove ogni anno conferenze e lezioni allo scopo di tener vivo nel nostro paese […] il culto delle cose italiane. Il nostro pubblico non è certo un collegio di specialisti, ma serio, colto e capace di poter apprezzare
il valore del dono che Ella ci farebbe venendo»61
Nonostante la buona ripresa dell’attività il periodo della riorganizzazione
(1933-1937) coincise con una fase di autarchia culturale generale causata dai rapporti
sempre più tesi tra il Cantone e l’Italia, che divenne pressoché totale con lo scoppio
della guerra62. Questa situazione fu la causa di grossi inconvenienti per la Scuola che
negli anni aveva perlopiù fatto ricorso a conferenzieri italiani e necessitava dunque di
aggiustamenti congiunturali. A questo proposito, nel verbale del 1937, il direttore del
DPE affermava che «molte volte i conferenzieri venuti di fuori non si adattano al nostro
ambiente, alle nostre condizioni culturali» e aggiungeva che in futuro si sarebbe dato
maggiore spazio alle conferenze di divulgazione scientifica, considerate più neutre63.
In questo periodo l’attività della Scuola fu frenata anche dalle misure generali di risparmio della Confederazione, che limitò il sussidio straordinario a 45’000 franchi invece
dei 60’000 previsti inizialmente. Di conseguenza anche la quota destinata alla STCI fu
ridotta64. Chiesa fu dunque costretto a ridurre le conferenze più onerose dei centri maggiori a favore di quelle dei centri minori o di altre iniziative65. Così nel verbale del 1938
si riportava che le conferenze dei centri maggiori rappresentavano solo un terzo del
totale delle conferenze (13 su 39)66. La STCI si stava avviando al declino e progressivamente abbandonò la sua funzione di organizzatrice di conferenze a favore dei Circoli
di cultura. Celio riteneva che la soluzione migliore fosse stata quella di sostenere finanziariamente l’organizzazione di conferenze da parte dei Circoli di cultura locali e che,
per ovviare al pericolo sollevato da Chiesa riguardo la richiesta di sussidi da parte di enti
di carattere politico e confessionale, sarebbe bastato precisare che tali associazioni non
avrebbero beneficiato dell’aiuto del Cantone67. Con la guerra alle porte l’attività della
Scuola sembrò quindi alla ricerca di una nuova identità. Lo si capisce ancora una volta
dalle parole del capo del DPE:
61. VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? […]» art. cit., 2011, pp. 24, 25. In
questo caso si riferiva in particolare all’uditorio di Lugano.
62. Il grafico sull’evoluzione del numero dei conferenzieri italiani in rapporto al numero di
conferenze mostra una chiara diminuzione di italiani residenti in Italia tra il 1938 e il 1939,
allegato VI, a p. 131.
63. ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circolo di cultura italiana, verbale seduta 12.11.1937.
64. CESCHI, Raffaello, DONATI, Giorgio, «Un paese minacciato», in: RATTI, Remigio e alii, Il
Ticino regione aperta. Problemi e significati sotto il profilo dell’identità regionale e nazionale, Locarno: Armando Dadò, 1990, p. 68.
65. Le conferenze dei centri maggiori costavano 3’000 franchi, quelle dei centri minori 1’700
franchi, in: ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circolo di cultura italiana, verbale seduta
12.11.1937.
66. ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circolo di cultura italiana, verbale seduta 14.11.1938.
67. Ibidem.
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«più delle singole conferenze gioverebbero dei corsi, delle serie di conferenze, affidate
più che sia possibile a oratori nostri, e destinate di preferenza ai centri minori. La direzione della Scuola
di coltura potrebbe indicare di volta in volta i temi che potrebbero essere svolti utilmente; e in questo
campo entrerebbero anche le conferenze di divulgazione scientifica»68.
Nello stesso contesto Mario Jäggli, responsabile delle biblioteche popolari, suggeriva di trattare argomenti che potessero servire a porre un argine al pericolo
che minacciava da ogni parte le istituzioni cantonali69. Fu forse la prima volta che si
fecero delle considerazioni sui temi in base all’utilità, non esclusivamente culturale,
che potevano avere. Evidentemente qualunque tipo di conferenza poteva considerarsi
utile in un modo o nell’altro, ma le osservazioni espresse in tal senso da Celio e Jäggli,
sebbene limitate, scaturivano dall’urgenza del momento e lanciavano un segnale chiaro.
Si tornò dunque a insistere su argomenti di attualità e questioni sociali, stralciate dal programma durante la riorganizzazione della Scuola. A causa della disponibilità finanziaria ridotta, durante il periodo bellico le attività furono ridotte al minimo. Nel 1942
nonostante l’aumento cospicuo del sussidio per la difesa della lingua e della cultura italiana, che permise alla STCI di tornare a beneficiare di un capitale consistente, il ruolo
della Scuola era passato in secondo piano rispetto a quello dei Circoli di cultura.
2.1.3.
I Circoli culturali
La nuova distribuzione delle conferenze sul territorio, scaturita dalla riorganizzazione della STCI, diede un nuovo slancio ai Circoli culturali preesistenti e favorì
la nascita di altri circoli di cultura italiana70. Progressivamente si fecero interpreti dell’attività principale della Scuola anche se durante la guerra furono a loro volta costretti
ad adottare una politica di sopravvivenza71. Al termine del conflitto fu la perseveranza
del presidente della FCC a riattivare i cinque Circoli presenti sul territorio. Giuseppe
Zoppi dapprima condusse delle trattative con la fondazione Pro Helvetia, dalla quale
ottenne un sussidio globale di 6’000 franchi, e in seguito con il DPE che, tramite l’attività della STCI, concesse loro dei sussidi annui72. Dunque dopo aver approfittato dello
slancio culturale della Scuola, e superate le difficoltà della guerra, a partire dalla metà
degli anni Quaranta i Circoli di cultura divennero i principali protagonisti della scena
culturale del Cantone73.
68.
69.
70.
71.
Ibidem.
Ibidem.
VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? […]» art. cit., 2011, p. 23.
Il presidente della FCC, Giuseppe Zoppi, descrisse quel periodo al capo del DPE, Giuseppe Lepori, in questi termini: «la guerra ha messo i circoli, e soprattutto alcuni, in gravi difficoltà. […] non è facile svolgere opera culturale in piccoli ambienti; inoltre – negli ultimi anni – le trattative con oratori italiani erano così difficoltose – per ragioni di
passaporti, di permessi, ecc. – che spesso per una sola conferenza si dovevano scrive fino a una decina di lettere», in: ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura 19321957, lettera del 27.4.1945.
72. ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, lettera del 27.4.1945. Nel
1945 i Circoli di cultura attivi erano quelli di: Biasca, Bellinzona, Chiasso, Locarno, Lugano e Mendrisio.
73. Nel 1945 il DPE si esprimeva in questi termini a proposito della collaborazione con i Circoli culturali: «siamo stati lieti di affidare praticamente ai circoli di cultura certi compiti che prima erano svolti dalla Scuola di cultura; e riteniamo ancor oggi che a soluzione
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Nel 1944 i Circoli si riunirono nella Federazione dei Circoli di cultura del
Canton Ticino con lo scopo generale di «meglio attuare il loro comune programma»74.
Gli statuti della federazione determinavano il rapporto tra i Circoli, rappresentati dalla
FCC, e il DPE. Quest’ultimo, finanziandone l’attività, svolgeva una funzione di vigilanza esigendo dai primi i rendiconti annuali e finanziari delle manifestazioni. Il fatto
di offrire un sussidio ai Circoli non permetteva unicamente di mantenere un controllo
sull’attività culturale proposta, ma anche di incentivare la nascita e lo sviluppo di altri
circoli. I nuovi arrivati, per poter entrare a far parte della FCC e fruire dei vantaggi che
ne derivavano, dovevano infatti dimostrare di possedere le stesse forze e gli stessi intenti
dei Circoli già federati75.
Tuttavia i Circoli non erano organi ufficiali a tutti gli effetti. La FCC, che
fungeva come visto da intermediario tra il DPE e i Circoli, era incaricata di fornire ai
membri federati una conferenza al mese76. Per esempio nel programma della stagione
culturale 1948-49 i temi «imposti» erano perlopiù a carattere letterario, storico e artistico, materie classiche dunque. L’impressione è che il Cantone tramite la FCC cercasse
di dare una base tematica piuttosto tradizionale dalla quale partire, in linea con quanto
era stato generalmente offerto dalla STCI. Al di là di questa direttiva i Circoli erano
liberi di completare il proprio calendario in base alle esigenze locali, mantenendo quindi
una propria autonomia.
Sfogliando i programmi offerti in quegli anni dai Circoli di cultura emerge la presenza costante di temi d’attualità ticinese o semplicemente riguardanti la Svizzera italiana. Sulle nove conferenze organizzate nel 1948 dal Circolo di Biasca e Valli,
quattro riguardavano argomenti «nostrani»77. Qualche anno dopo il programma di dieci conferenze del Circolo della Bassa Leventina presentava degli argomenti molto interessanti in prospettiva a quanto sarebbe accaduto più tardi con i Cpa; Cesare Giudici
parlò dell’Utilizzazione delle forze idriche nel Canton Ticino dall’inizio all’epoca contemporanea, Sergio Jacomella invece propose il tema della Delinquenza minorile78. Tra
74.
75.
76.
77.
78.
sia eccellente. Ma è necessario che i circoli stessi traggano dal concreto riconoscimento
statale stimolo di un’attività più efficace», in: ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di
cultura 1932-1957, lettera 23.4.1945. Due anni più tardi, trattando la questione del neonato Circolo di Ascona, il commento del DPE non lasciava trasparire dubbi riguardo il
passaggio di testimone dalla STCI ai Circoli culturali: «considerato che i circoli di cultura hanno svolto e continuano a svolgere un’attiva ed efficace opera di informazione e
di incremento nel campo della letteratura, della storia della musica e della arti figurative
avendo assunto interamente i compiti che erano assegnati per tale attività alla scuola ticinese di cultura italiana […]», in: ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura
1932-1957, Risoluzione del Consiglio di Stato 2.5.1947.
ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, lettera 16.4.1944, con allegati gli statuti della FCC.
ASTi, DPE/900, scat.A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, Risoluzione del Consiglio
di Stato 2.5.1947. Questo sistema sembrava funzionare visto che nel 1947 i Circoli erano ormai sette.
ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, lettera del 25.10.1948. Si
trattava di una lettera di Zoppi indirizzata al nuovo direttore del DPE, Brenno Galli, nella quale si presentava il programma generale di quell’anno.
ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, lettera del 14.2.1949, con
allegato il programma.
ASTi, DPE/900, scat. A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, lettera del 20.2.1954, con
allegato il programma. Bisogna comunque riconoscere dai titoli si può solo immaginare
il contenuto anche se a volte, come nel caso della conferenza di Cesare Giudici è abbastanza evidente.
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i conferenzieri spiccava la presenza di due donne, alquanto rara in questo tipo di esercizio79. Luisa Rovelli si espresse a proposito del diritto di voto della donna – Perché chiediamo il diritto di voto – e Liuccia Becker-Masoro presentò Trilussa80. Il programma
prevedeva anche alcuni temi scientifici, con le conferenze di Flavio Ambrosetti: Come
si può prevedere scientificamente il tempo, e di Cesare Giudici: La bomba atomica81.
Si tratta di pochi esempi dai quali evidentemente non si può trarre alcuna
conclusione. Tuttavia è interessante notare come in sedi che probabilmente venivano
considerate minori, quali la regione di Biasca e Valli o la Bassa Leventina, accanto ai
temi classici prendevano piede argomenti più «nostrani» e d’attualità, forse perché più
vicini agli interessi del pubblico di questi Circoli. Lo stesso valeva per i conferenzieri
tra i quali, probabilmente anche per necessità in talune zone, si trovavano sempre più
ticinesi. Il pubblico sembrava apprezzarlo, o almeno quello del Circolo della Bassa
Leventina dove «le conferenze più ascoltate e che riscuotono maggior successo sono
quelle di nostri Soci o di conferenzieri nostrani»82. In un Cantone come il Ticino la
struttura decentralizzata dei Circoli di cultura assunse a nostro avviso un ruolo determinante anche e soprattutto poiché permise probabilmente di coinvolgere e di rispondere ai bisogni di un pubblico sempre più numeroso e con esigenze diverse.
2.2.
Verso l’Università popolare
2.2.1.
Accademia cantonale o Università popolare?
L’idea di creare un organo d’educazione degli adulti nella Svizzera italiana prese forma negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale. Tuttavia la prima
proposta fu lanciata già nel 1912 da un articolo di Antonio Galli intitolato Accademia
cantonale e Università popolare83. Da quanto ci risulta l’intervento del docente, politico e pubblicista, nonché direttore della Gazzetta ticinese non ebbe seguito, ma proprio
perché rappresentava una prima traccia della volontà di dar vita a un’Università popolare in Ticino crediamo valga la pena presentarlo brevemente84.
79. MARCACCI, Marco, «ECCO: iniziative, aspettative e disillusioni della cultura operaia»,
in: VALSANGIACOMO, Nelly, MARIANI ARCOBELLO, Francesca (dir.), Altre culture. Ricerche proposte, testimonianze, Bellinzona: Fondazione Pellegrini-Canevascini, 2011, p.
24.
80. Ibidem, con allegato il programma. Il fatto comunque non stupisce più di quel tanto nel
caso del Circolo della Bassa Leventina poiché questo era diretto proprio da una donna,
la presidentessa Adele Pousax-Carnelli.
81. Ibidem.
82. ASTi, DPE/900, Scat.A25, fasc. Circoli di cultura 1932-1957, lettera del 14.6.1956, con
allegato rendiconto attività 1955-56.
83. GALLI, Antonio, «Accademia cantonale e Università popolare», L’educatore della Svizzera italiana: giornale pubblicato per cura della Società degli amici dell’educazione del
popolo, fasc. 1, 1912, pp. 4-8.
84. L’art. di Galli si inseriva in un dibattito sulla questione universitaria ticinese suscitato allora da Giuseppe Prezzolini sul periodico italiano La Voce. Antonio Galli (1883-1942)
insegnò nelle scuole elementari, nel ginnasio e, dal 1914 al 1925, nella scuola professionale e commerciale femminile di Lugano. Liberale radicale, militò, dopo la scissione
del 1934, nel partito liberale radicale democratico, di cui fu presidente dal 1941. Fu Consigliere di Stato (1926-35), alla guida del Dip. dell’agricoltura e dell’igiene, deputato al
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
Nella prima parte dell’articolo l’autore ricordava rammaricato l’esito
negativo con cui si era concluso il primo tentativo nel 1844 di istituire un’Accademia
cantonale e come le condizioni, soprattutto finanziarie, del Cantone non permettessero
più di prendere in considerazione una tale iniziativa. Da questi presupposti nasceva l’idea di concentrare le risorse presenti sul territorio cantonale a favore della realizzazione di un’Università popolare. Questa forma istituzionale si era già affermata nei
paesi vicini poiché tra le altre cose aveva il vantaggio di corrispondere ai nuovi bisogni
sociali della fascia di popolazione più grande, il popolo lavoratore:
«Invece di un’Accademia accontentiamoci della Istituzione di una buona Università
popolare. Le Università popolari, in Italia, in Francia, in Germania, hanno ormai vinta la loro buona battaglia. Esse esercitano una efficacia considerevole nella volgarizzazione del patrimonio scientifico e nella
diffusione delle grandi idealità, e per di più costano poco, non esigono grandi fabbricati, non perpetrano
gravi sottrazioni al pubblico erario, servono, invece che a una élite privilegiata, al popolo lavoratore che
per il passato fu negletto e che ora ha diritto ad una visione più ampia, più consona ai tempi nuovi, dei
grandi problemi della vita»85.
Secondo Galli non era neppure necessario ricorrere all’aiuto dello Stato.
Per dare un primo slancio sarebbe bastato riunire e fondere le associazioni già attive in
Ticino nel campo dell’educazione degli adulti come le Scuole serali, le Scuole dei commercianti, i Circoli operai educativi o ancora i Circoli di lettura. In questo modo, affermava Galli, non sarebbero mancati i soci e neppure il sostegno da parte dei comuni,
delle varie Società e dei privati. In conclusione ribadiva il valore di una buona cultura
che avrebbe permesso di completare quella impartita dalla Scuola elementare e dalla
Scuola media. La gioventù che si affacciava alla vita del lavoratore e allo stesso tempo
del cittadino sarebbe stata la prima a beneficiare di questo apporto fondamentale86.
Da un punto di vista cronologico Galli faceva riferimento ai primi
modelli di Università popolari europei caratterizzati da una connotazione prevalentemente politica che concepivano l’educazione non come un privilegio di un élite, ma
come un bene comune di tutti. Evidentemente quel modello andava adattato alla realtà
ticinese. L’argomento che pesava maggiormente in Ticino era l’assenza di un istituto
accademico che poteva così essere compensata dalla creazione di un’Università popolare. Forse però, per il fatto che idealmente l’obiettivo principale rimaneva l’Università
ticinese, l’idea di Galli non attirò l’attenzione che secondo lui meritava.
2.2.2.
La proposta della Federazione Goliardica Ticinese
Non si ebbero più notizie dell’Università popolare della Svizzera italiana
fino a metà degli anni Quaranta, quando il presidente del direttorio della FGT sottopose
Gran Consiglio ticinese (1913-26, 1935-42) e al Consiglio nazionale (febbraio-dicembre 1926). Studioso versatile di questioni ticinesi e autore di importanti opere quali i tre
volumi delle Notizie sul CantoneTicino (1937), diresse i giornali GazzettaTicinese (191226) e Avanguardia (1939-40). Profilo biografico tratto dall’art. di Andrea Ghiringhelli
nel DSS in linea: www.dhs.ch, consultato il 1.6.2013. Carlo Speziali traccia un profilo
leggermente più completo in: SPEZIALI, Carlo (dir.), Brenno Galli, Bellinzona: Edizioni
Casagrande, 1989, pp. 14-17.
85. GALLI, Antonio, art. cit., p. 7.
86. Ibidem, p. 8.
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al DPE un progetto nel quale figurava la possibilità di realizzare un organismo postscolastico di educazione popolare in Ticino87.
La FGT nacque nel 1918 come organo apolitico e aconfessionale, il che
le permise di godere in una base di appoggio più ampia rispetto alla Lepontia88. Dopo
essersi fatta paladina di alcune delle rivendicazioni ticinesi, si ricorda soprattutto la sua
partecipazione al dibattito sull’Università ticinese e a quello relativo alla difesa della lingua italiana89.
Secondo il piano redatto dal presidente del direttorio della FGT, Giuseppe Borella, la natura dell’organismo variava a seconda delle intenzioni che l’avrebbero animata. L’autore prendeva spunto da tre enti già presenti sul territorio cantonale
e svizzero. Se si fosse deciso di perseguire uno scopo civico culturale l’esempio da
seguire sarebbero state le Università operaie della Svizzera interna; nel caso si fosse privilegiato un scopo professionale sarebbe stato necessario orientarsi in base al modello
delle scuole professionali serali; se invece si fosse optato per la combinazione dei due
scopi l’impostazione sarebbe stata simile a quella dei circoli operai educativi90. Tuttavia qualunque fosse stata la direzione scelta il nuovo ente avrebbe dovuto soddisfare
delle condizioni di base generali: apolitico, aconfessionale e gratuito, in linea dunque
con l’ideologia dell’Associazione. L’altro elemento comune era costituito dal pubblico
al quale l’istituto si sarebbe rivolto, incarnato dalle classi lavoratrici. In un primo tempo
l’iniziativa avrebbe dovuto prendere luogo nei principali centri urbani del Cantone.
Nella seconda parte del documento Borella mostrava le modalità d’intervento all’interno di tre tipologie d’istituzione: l’Università operaia, il Circolo operaio
educativo e la Società educativa operaia. Non è chiaro se l’autore volesse descrivere
dei casi concreti, in riferimento ai diversi scopi elencati precedentemente, o se invece
intendesse semplicemente portare degli esempi concreti d’intervento. In ogni caso se
negli ultimi due scenari si prevedeva di agire su una realtà già esistente e in alcuni casi
consolidata sul territorio cantonale, nel primo si sarebbe trattato, apparentemente, di
realizzare qualcosa di nuovo. Il movimento studentesco propendeva per questa soluzione, dunque per la realizzazione di una sorta di università operaia con uno scopo prevalentemente civico-culturale. Leggendo però la descrizione del progetto di Borella e
alla luce di quanto visto nella prima parte della ricerca, sorge spontaneo un interrogativo: quale differenza ci sarebbe stata fra il nuovo ente e quelli già esistenti? Il programma prevedeva l’organizzazione di corsi, conferenze ed escursioni sotto la guida di
professori e di liberi professionisti con competenze equivalenti (medici, letterati, ingeneri e più in generale specialisti nei domini scelti). Qual era la differenza con le attività
svolte dagli organi operai e dai Circoli di cultura? Forse la novità risiedeva proprio nel
fatto di costituire quello che Borella qualificava come un corpo di insegnanti e di liberi
professionisti ai quali sarebbe stata affidata la «direzione morale» del nuovo organi87. ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, «Movimento per la creazione di un nuovo organo postscolastico di educazione popolare», allegato lettera
27.2.1945.
88. CASTRO, Sonia, «Le associazioni degli studenti svizzeri», in: CASTRO, Sonia, op. cit., pp.,
p. 69.
89. Ibidem, p. 70.
90. ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, «Movimento per la creazione di un nuovo organo postscolastico di educazione popolare», allegato lettera
27.2.1945.
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smo. Non si sarebbe trattato dunque di far semplicemente capo a conferenzieri vari.
Tuttavia non era ben chiaro cosa s’intendeva in pratica con «direzione morale».
L’idea dei giovani goliardi fu solo in parte condivisa dal Dipartimento
che nella sua pronta risposta non mancava di sottolineare l’importanza di mettere a
disposizione delle classi lavoratrici i mezzi per migliorare la loro preparazione civicoculturale e la loro formazione professionale91. A questo proposito faceva però riferimento al buon lavoro che i Circoli di cultura e i Circoli operai educativi svolgevano,
ragione per la quale non riteneva necessario creare nuovi enti. Si sarebbe potuto invece
allargare la cerchia di attività di quelli già esistenti, ma a questo punto il problema si
poneva in termini finanziari poiché se i Circoli di cultura godevano da tempo del sussidio finanziario del Cantone, prelevato dall’allocazione federale, per i Circoli operai
educativi sarebbe stato necessario trovare altri fondi all’infuori di quelli pubblici.
La faccenda sembrava concludersi senza grandi risvolti, ma nel mese di
giugno del 1945 la FGT riaccese la questione inoltrando una nuova lettera al DPE, questa volta intestata direttamente al capo del Dipartimento, Giuseppe Lepori, nella quale
si volevano chiarire le incomprensioni sull’idea originale del progetto92. L’autore non
era più Borella, ma Guelfo Poretti, presidente del precedente direttorio che aveva approvato il progetto per una «Scuola popolare di cultura» durante il Congresso pasquale
dell’associazione nel 1944. Nelle prime righe si toccava un punto centrale, che non era
stato menzionato nel piano di Borella: «alla realizzazione di una simile idea dovrebbe
essere interessato, in primo luogo, il Cantone»93. Quando Borella parlava della necessità di affidare la «direzione morale» nelle mani della classe d’insegnanti, non era ben
chiaro come pensasse di organizzare a livello pratico il nuovo organo d’educazione
postscolastica. Poretti invece indicava gli studenti accademici e lo Stato come i principali attori del progetto. I primi, grazie alla loro esperienza in materia, sarebbero stati
disposti a creare e organizzare un simile ente sul modello delle «Volkshochschulen»
della Svizzera interna. Il Cantone avrebbe invece figurato come primo investitore dell’iniziativa al pari dell’associazione studentesca, anch’essa intenzionata a partecipare
finanziariamente.
La terminologia utilizzata da Poretti era più chiara e precisa, così come
i motivi che giustificavano l’idea dei goliardi. Il nuovo ente avrebbe applicato gli stessi
principi delle Università popolari svizzere tenendo conto delle specificità ticinesi, cosa
che non facevano né i Circoli culturali, né quelli operai di educazione e, cosa ancora più
importante, avrebbe risposto ai bisogni di un Cantone già privo di una struttura universitaria, «quel centro di cultura progressista e seria […] quell’ente di irradiazione e di raccolta di tutto l’ampio fervore intellettuale di un paese civile, e […] istruito»94. La
creazione di un’organizzazione che avrebbe permesso ai possessori di una media cultura e a chi era stato fermato culturalmente al diploma, di accedere a un miglioramento
culturale generale in modo da riattivare il dibattito sui problemi culturali tra studiosi e
giovani lavoratori era considerata dalla FGT come un’opportunità da cogliere per lo
Stato.
91.
92.
93.
94.
ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, lettera 15.6.1945.
ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, lettera 2.6.1945.
Ibidem.
Ibidem.
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Il progetto allegato, completamente rivisitato da Poretti, era decisamente
più esplicito di quello elaborato da Borella95. Vi si elencava il luogo dei corsi, il piano
finanziario, le caratteristiche generali dei corsi, i professori, i libri di testo, l’organizzazione pratica e non da ultimo l’azione di propaganda. La formula però sembrava sempre la stessa, si prevedeva la combinazione di corsi e conferenze, ma qui Poretti entrava
nello specifico. Come primo passo consigliava di cominciare ad organizzare tre corsi
– letteratura italiana, storia, musica – per sondare le prime reazioni della popolazione
e poi eventualmente di aggiungervi progressivamente nuovi soggetti – scienze in generale, tecnica, filosofia, cinema, teatro, civica, ecc. Si immaginava da dieci a venti
lezioni, durante un periodo compreso tra ottobre e gennaio, tenute la sera inizialmente
presso l’Aula Magna del Liceo cantonale di Lugano da professori dei Ginnasi e del
Liceo cantonale, diplomati ticinesi e svizzeri e in futuro anche stranieri. Per quanto
concerneva il lato finanziario, Cantone e FGT avrebbero coperto la maggior parte delle
spese con un sussidio di 500 franchi a testa. Altri contributi sarebbero potuti giungere
dalla città di Lugano, dalla Scuola ticinese, dalla Nuova società elvetica o ancora da enti
privati, permettendo così di conseguire un risultato in positivo e di mantenere buone prospettive per un ulteriore sviluppo negli anni seguenti. Vi era inoltre la possibilità di chiedere ai partecipanti una tassa simbolica di 5 franchi.
Non bisognava poi dimenticare che dei 1‘250 franchi di costi previsti,
750 sarebbero stati impiegati nella propaganda del nuovo ente, da svolgersi unicamente
nei primi anni96. Considerato che con l’aumento del sussidio straordinario per la difesa
della lingua e della cultura italiana la STCI e i Circoli culturali disponevano rispettivamente di 23’000 e di 5’000 franchi, questo investimento non sembrava certo porre ostacoli dal punto di vista economico.
L’obiettivo degli studenti d’oltre Gottardo era dunque quello di istituire
in Ticino una sorta di Università popolare prendendo spunto dai modelli presenti nella
Svizzera interna. La questione di fondo non si poneva tanto in termini finanziari, quanto
sul bisogno o meno di un’istituzione di questo genere nel contesto della Svizzera italiana dove, come si è visto, vi erano già la STCI e i Circoli culturali ad organizzare l’agenda culturale ufficiale. Gli studenti universitari riconoscevano il valore di tali
associazioni e auspicavano che in un domani avessero potuto collaborare con il nuovo
ente, ma consideravano che una «Scuola popolare di cultura» avrebbe rappresentato
una novità rispetto alla situazione esistente per due ragioni principali.
Innanzitutto per il ruolo importante che lo Stato avrebbe assunto nell’iniziativa, non solo come principale investitore, ma indirettamente anche in termini politici, legittimandola e facendosi così garante di una cultura generale, apparentemente
diversa da quella offerta dagli organi già esistenti nel Cantone. È vero che il DPE aveva
giocato un ruolo simile sia con la STCI che con i Circoli culturali, ma qui si trattava di
un’Università popolare, un ambito culturale che nel resto del Paese era generalmente
95. ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, «Progetto di massima
per la creazione nel Canton Ticino di una Scuola popolare di cultura», allegato lettera
2.6.1945.
96. La propaganda era prevista sotto forma d’inserti di giornali, cartelloni pubblicitari e opuscoli da spedire alle famiglie ticinesi, ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare
di cultura 1945, «Progetto di massima per la creazione nel Canton Ticino di una Scuola
popolare di cultura», allegato lettera 2.6.1945.
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gestito dal settore privato. In Ticino però, vuoi per le lacune che si lamentavano in questo settore, vuoi per una caratteristica propria al Cantone, il legame tra mondo politico
e culturale contraddistinse come si è visto tutta la prima metà del Novecento. Potrebbe
anche darsi dunque che la FGT si fosse rivolta al Cantone in quanto lo considerava uno
degli attori di riferimento in materia di cultura generale.
La seconda innovazione consisteva nel carattere del progetto: non si trattava unicamente di soddisfare e di alimentare un interesse culturale presente nel Cantone, ma di educare gli adulti in un contesto che si apprestava a mutare. Poretti parlava
di lezioni e di professori, e non solo di conferenze e conferenzieri. I corsi dovevano
essere chiari in modo da permettere agli uditori di prendere appunti. Si prevedevano
come detto libri di testo e di consultazione, «quei volumi di letteratura, arte, scienza,
ecc., di cui si fa gran parlare ma di cui si conosce ben poco»97. In particolare la differenza tra professori e conferenzieri non stava semplicemente nella terminologia, ma si
verificava concretamente, poiché se i secondi sarebbero stati pagati come al solito i
primi avrebbero ricevuto un compenso diverso. In quest’ottica le conferenze non rappresentavano più il mezzo privilegiato di divulgazione culturale ma unicamente un utile
supporto a quelle che dovevano essere delle vere e proprie lezioni.
Siamo nel 1945 e questi documenti descrivono una situazione potenziale
che per il momento sarebbe rimasta tale poiché il direttore del DPE non credeva che
fosse venuto il momento per una riorganizzazione del settore anche se non ne escludeva
la possibilità in futuro. La risposta di Lepori seguiva la falsa riga di quella data in precedenza dal segretario del DPE, Ugo Tarabori. L’istituzione di una «Scuola di cultura
popolare» sarebbe venuta a creare un doppione con l’attività estesa a tutti i centri del
Cantone dei Circoli di cultura e della STCI che, seppur funzionasse in maniera ridotta,
si occupava ancora di promuovere le diverse manifestazioni culturali. Lepori insisteva
in modo particolare sulla collaborazione esistente tra il Cantone e i Circoli di cultura i
quali da tempo non avrebbero più dovuto limitarsi a organizzare singole conferenze, ma
concentrarsi sullo sviluppo organico delle proprie attività mediante cicli di conferenze
attinenti a una materia scelta.
Il DPE non colse dunque il potenziale innovativo, ma forse anche perché
questo non sempre fu esposto in modo chiaro dalla FGT, come dimostra ad esempio il
primo progetto di Borella. I giovani adulti si trovarono a un crocevia: se da un lato si
metteva in risalto la necessità di rispondere a un nuovo bisogno educativo, con modalità diverse da quelle conosciute fino a quel punto nel Cantone, dall’altro, come nel
caso di Antonio Galli, sembrava che l’Università popolare ticinese fosse una buona
alternativa all’assenza di un istituto accademico. Per di più non era chiaro quale ruolo,
oltre a quello di finanziatore, spettasse allo Stato e neppure in quale modo la FGT si
sarebbe assunta la responsabilità di realizzare concretamente quest’iniziativa. Non si
menzionavano né i Comuni né le loro strutture culturali. Questo compito sarebbe dunque toccato al Cantone? Bisogna tuttavia dar credito alla loro iniziativa poiché nei tratti
principali non si discostava molto dalla forma dei primi Cpa.
97. Ibidem.
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2.
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2.2.3.
La legislatura di Brenno Galli (1947-1959)
2.2.3.1.
Il progetto governativo
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Il primo progetto per così dire ufficiale per la realizzazione di un organo
di educazione degli adulti nacque sotto la guida di Brenno Galli, figlio di quell’Antonio Galli che per primo intravide la possibilità di creare un’Università popolare ticinese. Il Galli figlio trascorse tre legislature alla direzione del DPE, dal febbraio 1947
alla primavera del 1959. Diventò responsabile del Dipartimento dopo essere stato per
un decennio consigliere comunale a Lugano e deputato al Gran Consiglio dal 194298.
L’elezione in Consiglio di Stato dell’avvocato luganese accompagnò due eventi fondamentali per la politica del Cantone: la riunificazione del Partito liberale radicale e, nel
1947, il patto governativo fra liberali e socialisti noto come «alleanza di sinistra» che
permise di strappare il DPE ai conservatori che lo dirigevano dal 192299. Galli ereditò
un Dipartimento ben dotato, ma soprattutto in crescita100. La sua conduzione fu caratterizzata da un dinamismo, un attivismo e uno stile particolari, anche se i primi passi
furono mossi seguendo le linee guida dei dirigenti che lo avevano preceduto101.
Successo a Giuseppe Lepori nel 1947, Galli s’interessò da subito alla questione dell’educazione degli adulti e già nello stesso anno, dopo aver tenuto un colloquio sull’argomento con il giornalista grigionese Giovanni Gaetano Tuor, gli chiese di
elaborare uno schema di progetto per l’istituzione nel Cantone di corsi serali a carattere universitario102. Non sappiamo se Galli ereditò la questione da Lepori e quindi fosse a conoscenza e poté così trarre ispirazione dalla proposta dei goliardi. In ogni caso
la richiesta della FGT aveva fatto notizia, almeno sui quotidiani, che ne riportavano un
breve cenno103. Più che dai giornali, Galli poteva esserne venuto a conoscenza tramite
il segretario del DPE, Ugo Tarabori, che sotto la direzione di Lepori aveva già esaminato di persona il progetto studentesco. Lo stimolo nacque forse anche dall’opinione in
tal senso del padre, che nel 1942 lo aveva lasciato prematuramente. In ogni caso non deve
sorprendere che il capo del DPE fosse intenzionato a esaminare tale questione nel con98. In questo capitolo sono riportati solo i dati biografici di Brenno Galli (1910-1978) che
interessano la nostra problematica. Per un ulteriore approfondimento si veda l’art. in linea di Andrea Ghiringhelli nel DSS («Brenno Galli», in: www.dhs.ch) oppure il contributo dal timbro celebrativo di Carlo Speziali: SPEZIALI, Carlo (dir.), Brenno Galli, Bellinzona: Edizioni Casagrande, 1989, 369 p
99. GILARDONI, Silvano, «La politica culturale di Brenno Galli fra progetti, resistenze e fratture», Archivio storico ticinese, 2004, p. 217.
100. Ibidem. Le parole espresse da Aleandro Pini nel rapporto sulla gestione del 1944 che Gilardoni riporta nel suo art. sono significative in tal senso: «L’esame critico del rendiconto 1944, permette di affermare che, data la sempre più vasta e comprensiva materia trattata, il Dipartimento Educazione ha cessato di essere esclusivamente il Dipartimento della Pubblica Istruzione per tendere a diventare un vero e proprio Dicastero della Cultura.
Di qui le sue maggiori responsabilità». Infatti come ricorda Gilardoni le responsabilità
statali stavano crescendo in materie di monumenti, restauri, bellezze naturali, ricerche
archeologiche, tutela dei musei, organizzazione archivistica, senza contare le attività proposte da altri enti o da privati che lo Stato sussidiava.
101. Ibidem, p. 221.
102. ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, lettera 8.10.1947.
103. L’art. dal titolo «Una scuola superiore popolare di coltura nel Ticino» fu pubblicato il
3.5.1945 in Libera Stampa (p. 3) e il giorno seguente, in versione ancora più ridotta, sul
Corriere del Ticino a p. 2.
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testo ticinese poiché a partire dal secondo dopoguerra la problematica dell’educazione
dell’adulto si sviluppò notevolmente nelle politiche culturali nazionali e internazionali così come gli studi sull’argomento.
Nello schema concepito da Tuor lo scopo era di introdurre in Ticino una
«specie di Università popolare», concepita come «palestra culturale»104. I corsi, tre a settimana, si sarebbero tenuti nei centri di Bellinzona, Lugano e Locarno, in collaborazione
con la RSI, di modo che chi non avesse potuto presenziare alle lezioni le avrebbe seguite grazie al collegamento radiofonico. Per la gestione delle iscrizioni si prevedeva la
creazione di un segretariato. Il pubblico a cui ci si rivolgeva era costituito prevalentemente da operai, lavoratori, contadini, impiegati e più in generale, ed è questo l’aspetto più interessante, da chi disertava le conferenze dei Circoli di cultura. Dunque un pubblico più ampio e eterogeneo di quello dei Circoli. Per questa ragione si preconizzavano materie d’insegnamento molto diverse tra loro. Inizialmente si sarebbero tralasciati
argomenti letterari, fin troppo ricorrenti nelle sedi dei Circoli, per prediligere materie
di maggiore interesse generale e con cui il pubblico non avrebbe avuto abituale dimestichezza. Tuor portava degli esempi di materie con il relativo programma; nel corso di
Economia elementare i partecipanti avrebbero appreso delle nozioni teoriche poi applicate
a esempi concreti nell’industria e nell’agricoltura. A Scienza delle finanze e diritto finanziario si sarebbero studiati i rapporti tra lo Stato e la finanza e quelli tra il contribuente e la società. Il programma era completato da corsi sulla storia civile e politica,
dalle scienze, da corsi di geografia politica e economica e infine delle lezioni sugli uomini illustri di tutti i paesi.
Le modalità d’insegnamento sarebbero state tali da permettere ai partecipanti lo sviluppo in modo semplice e diretto, ma non per questo privo di carattere scientifico, del proprio sapere, migliorando in questo modo le loro conoscenze culturali e pratiche105. Si cercavano docenti delle migliori Scuole svizzere e Università italiane «con
particolare riguardo alla loro cultura ed alle loro capacità didattiche e comunicative».
Durante i trenta minuti di lezione avrebbero dovuto esporre la materia in modo chiaro
e con un linguaggio appropriato al pubblico a cui si rivolgevano. Nei quindici minuti
restanti si sarebbe dato spazio a una discussione aperta tra insegnanti e allievi.
Lo schema commissionato dal capo del DPE rispecchiava in un certo
senso la sua concezione di cultura di ascendenza illuministica e di ispirazione democratica:
«Illuministica nella misura in cui la produzione di conoscenze e le loro relative salvaguardia e diffusione, attraverso istituzioni adeguate, costituiscono gli strumenti più preziosi del progresso
civile e della libertà. […] democratica [nel senso di] apertura e garanzia di possibilità per tutti, innalzamento progressivo del livello educativo del popolo. […] Cultura, dunque, come strada maestra del progresso autentico e come promozione doverosa delle individualità»106.
104. ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, «Schema di progetto
per l’istituzione nel Cantone di corsi serali a carattere universitario», allegato Lettera
8.10.1947
105. Ibidem. Su questo punto Tuor si allacciava a quanto affermato qualche anno prima da Poretti – «le lezioni dovranno essere chiare sebbene lontane da qualsiasi volgarizzazione a
buon mercato». ASTi, DPE/900, scat. 117, fasc. Scuola popolare di cultura 1945, «Progetto di massima per la creazione nel Canton Ticino di una Scuola popolare di cultura»,
allegato lettera 2.6.1945.
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È interessante notare che Galli, almeno inizialmente, non volle che si
venisse a sapere del progetto preparato da Tuor: «come era suo desiderio, non ho parlato a nessuno di questo progetto» erano le parole conclusive del giornalista grigionese107. Forse questo atteggiamento si spiegava dalla prudenza che il direttore del DPE
dovette avere nelle richieste relative alla spesa culturale108. A causa delle resistenze,
anche all’interno del partito, Galli dovette infatti stare cauto nel proporre i suoi progetti109. Non sappiamo invece quanto s’intendesse spendere poiché nel progetto veniva
tralasciata appositamente la questione del finanziamento, considerato un oggetto prematuro. Non è dunque possibile fare un paragone in questo senso con quello della FGT.
Si sapeva solamente che una parte delle entrate sarebbe giunta dai partecipanti.
Rispetto agli schemi di Antonio Galli e dei Goliardi quello ufficiale realizzato da Tuor appariva più solido da un punto di vista pratico anche se in definitiva i
tratti generali erano praticamente gli stessi. Veniva però mostrato in modo più convincente l’intenzione di demarcarsi dai Circoli di cultura. In questo modo si offrivano ulteriori giustificazioni – sicuramente più determinanti rispetto a quelle mostrate dai
Goliardi – della necessità di creare un organo di educazione degli adulti in Ticino. Il confronto diretto con i Circoli culturali permetteva infatti di mettere in luce nuove necessità sociali e culturali alle quali quest’ultimi non erano più in grado di rispondere.
2.2.3.2.
Gli impulsi esterni: Hermann Weilenmann
Il progetto di Galli era da inserire in un momento di fermento nazionale
e internazionale nel campo dell’educazione degli adulti. Nel secondo dopoguerra gli
studi sull’argomento si moltiplicarono. Come si è visto si trattava generalmente di ricerche condotte da organi direttamente interessati alla questione che cercavano di fare il
punto sulla situazione a livello nazionale o internazionale e di capire cosa si poteva o
si doveva fare in quest’ambito.
La corrispondenza e la circolazione di documenti tra il capo del Dipartimento e attori di diversa natura confermavano l’interesse del Cantone – e non solo –
per la questione e pure che l’idea di istituire un’Università popolare fu portata avanti
negli anni110. Si possono identificare tre tipi di attori sollecitati o che sollecitarono il
106. SPEZIALI, Carlo (dir.), op. cit, pp. 276, 277. La posizione di Galli s’iscriveva dunque nella corrente di pensiero di stampo illuminista «al cui centro vi era l’idea della formazione quale condizione indispensabile per la costruzione della modernità» che prese avvio
in Ticino dal 1803, data della costituzione della Repubblica e del Cantone, in: GHISLA,
Gianni, «La formazione professionale in Ticino all’incrocio tra economia, politica e cultura: una sfida ancora da vincere. Appunti su oltre 200 anni di storia» in: GHISLA, Gianni (dir.), Meglio artigiano che disoccupato? Società, economia e formazione professionale nel futuro del Ticino, Bellinzona: Casagrande, p. 262.
107. ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, lettera 8.10.1947.
108. GILARDONI, Silvano, art. cit., 2004, p. 234.
109. Ibidem. Si tratta di un’affermazione generica, non in relazione a degli ambiti precisi e
che quindi potrebbe valere anche nel caso dell’Università popolare nonostante l’art. non
parli della questione.
110. A due anni dal progetto di Tuor, Galli rispondeva in questo modo alle sollecitazioni di
Raimondo Baggiolini, messosi a disposizione per l’istituzione di una scuola libera, serale o diurna, per la divulgazione delle scienze: «Dal punto di vista cantonale, il problema di una scuola libera serale, del tipo di quelle che sono denominate università popolari, è allo studio da parecchi mesi […]», in ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
DPE nella questione dell’Università popolare ticinese: le Università popolari svizzere
e dal 1943 l’Associazione che le riuniva (AUPS), sezioni o commissioni nazionali dell’UNESCO e associazioni o singoli privati. Nei primi due casi era soprattutto il DPE a
richiedere informazioni o prendere conoscenza delle direttive internazionali. Nel terzo
invece accadeva generalmente l’opposto con il Dipartimento che era chiamato a prendere posizione rispetto a iniziative private o a richieste di finanziamento di associazioni
che consideravano i loro corsi d’interesse pubblico111.
Per quanto concerne gli impulsi esterni, il più rilevante, soprattutto nella
fase iniziale di elaborazione del progetto, sembrò giungere dalla figura di Hermann
Weilenmann, direttore dell’Università popolare di Zurigo e futuro presidente dell’AUPS112. Entusiasta dell’iniziativa ticinese fornì a Galli una serie di testi contenenti
informazioni sulla realtà di Zurigo e più in generale della Svizzera, tra i quali un suo
primo contributo sull’argomento – Die schweizerischen Volkshochschulen im Jahre
1944 – che tracciavano un quadro complessivo dell’educazione degli adulti in Svizzera, offrendo così a Galli e ai suoi collaboratori consigli preziosi e spunti di riflessione. Durante il primo scambio di corrispondenza tra il capo del DPE e Weilenmann
quest’ultimo sollevò un punto particolarmente interessante riguardo le modalità di realizzazione di un’Università popolare ticinese:
«Se mi è permesso esprimere una mia idea tutta personale in quanto all’organizzazione
di una tale istituzione, mi pare desiderabile che sia basata anzitutto sui Circoli di Coltura che hanno già
raggiunto tanto nel loro eccellente lavoro per l’educazione degli adulti nel cantone Ticino»113.
È un’affermazione importante poiché non solo si può presumere che Weilenmann conoscesse la realtà dei Circoli culturali in Ticino, ma soprattutto che la riteneva il punto di riferimento nell’educazione degli adulti del Cantone. Non sarebbe
corretto affermare che vi era un accostamento diretto tra l’attività dei Circoli e quella
che avrebbe potuto essere l’Università popolare ticinese, ma l’ipotesi non è neppure da
escludere. Weilennman consigliava anche di creare un comitato dove fossero stati rappresentati diversi tipi di attori, come era avvenuto nel caso di Zurigo, ma anche per altre
realtà come ad esempio quella di Losanna, ovvero Scuole medie e superiori, Stato,
Comuni, diversi gruppi confessionali, politici e sociali della popolazione, compresi
donne e giovani, e altre organizzazioni con interessi in problemi intellettuali e spirituali
popolare 1947-1951, lettera 3.10.1949. Gli altri documenti di questo genere sono integrati nel proseguo del discorso.
111. La maggior parte di questi documenti si trovano in ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59. Nel seguito del testo ne vedremo gli esempi principali. Per quanto concerne il confronto con le università popolari alcuni documenti attestano che l’attenzione fu portata anche alle esperienze italiane, ma apparentemente non vi furono scambi con i rappresentanti degli istituti interessati. Gli scambi con le Università popolari svizzere e l’AUPS avvennero tramite la figura carismatica di Hermann Weilenmann e non i
singoli istituti.
112. Weilenmann (1893-1970) studiò scienze economiche a Zurigo, Ginevra e Lipsia e storia
a Kiel, conseguendo il dottorato (1923). Fu segretario (1924-28) e direttore (1928-64)
dell’Università popolare di Zurigo nonché responsabile del segretariato (1943-64) e presidente (dal 1956) dell’AUPS. Profilo biografico tratto dall’art. di Nicolas Füzesi nel DSS
in linea: www.dhs.ch (1.6.2013).
113. ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, lettera 4.12.1947.
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come la Radio o ad esempio gli scrittori. Concludeva la sua prima lettera sottolineando
l’importanza di non tenere i corsi esclusivamente a Bellinzona, Lugano e Locarno, ma
anche presso i borghi più piccoli, andando a costituire una rete di istituzioni.
La concezione di Weilenmann riguardo ai principi e al ruolo delle università popolari che emerse dal suo primo contributo nel 1944, si basava essenzialmente
su valori patriottici – probabilmente accentuati dal contesto bellico – e umanistici114. Le
sue due figure di riferimento erano il danese Nicolaj Frederik Severin Grundtvig e lo
svizzero Paul Vital Troxler; il primo ideatore e promotore a metà del XIX secolo del
concetto moderno di Università popolare, il secondo anche lui promotore degli stessi
valori, ma nel contesto svizzero115.
Il primo obiettivo dell’Università popolare era di natura patriottica e consisteva nel formare un popolo. Doveva quindi essere accessibile a tutti e trasmettere valori nazionali. Beninteso, questa concezione era da inserire nel contesto di minaccia della Seconda guerra mondiale, dove nel Paese venivano riaffermati i valori democratici
e l’unità spirituale del paese. Weilenmann tracciava un legame diretto tra la democrazia e l’educazione popolare, nel quale la prima non poteva sopravvivere senza lo sviluppo della seconda. Sarebbe dunque stato indispensabile che ognuno potesse essere in
grado di comprendere le questioni fondamentali dell’economia pubblica, della politica
interna, degli affari esteri e altro ancora116. L’educazione nazionale e civica rappresentavano la base per soddisfare questo primo obiettivo. Allo stesso tempo l’Università popolare doveva perseguire un obiettivo di natura spirituale che consisteva nel coltivare la
propria umanità sviluppando il senso critico necessario per affrontare la vita:
«[L’université populaire] apprend à ses auditeurs à penser juste, à observer juste et, par
conséquent, à conclure juste, c’est-à dire à conclure en parfaite connaissance de cause. L’université populaire ne se propose ni plus ni moins que de fournir aux gens l’occasion de s’imprégner eux-mêmes de ce
que leur a révélé l’infinie complexité de la vie. Elle opère, sur l’intellect, l’entendement et la volonté»117.
L’individuo avrebbe così preso coscienza di se stesso, come uomo e come
cittadino parte di una comunità politica e sociale. L’Università popolare doveva quindi
mettersi al servizio del paese, per e attraverso il popolo, adattandosi alle esigenze dei
tempi. La guerra non era ancora terminata e Weilenmann concludeva con una considerazione che oggi possiamo considerare profetica: «Je suis persuadé qu’après la guerre
le mouvement en faveur de l’éducation des adultes prendra un nouvel essor dans notre
pays»118.
I programmi svolti negli anni della guerra e in quelli immediatamente
successivi nelle università popolari svizzere riflettevano la posizione del direttore del114. DOMINICÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., p. 12. Concezione umanista intesa come concezione che riconosce centralità della persona nella realtà, o che intende rivendicarne i
diritti, l’esigenza di libertà e la dignità individuale.
115. WEILENMANN, Herman, op. cit., pp. 5-9.
116. «Il est clair que la démocratie ne peut être réalisée que là où le peuple, appelé à décider
lui-même de ses destinées, possède des connaissance lui permettant de répondre judicieusement aux questions qui lui permettant de répondre judicieusement aux questions
qui lui sont posées par l’Etat», in: WEILENMANN, Herman, op. cit., pp. 22-24.
117. Ibidem., p. 21.
118. Ibidem, p. 31.
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l’AUPS. Una parte consistente dei 444 corsi organizzati nel 1944 dalle 53 università
popolari – 30 solo nel Canton Zurigo – portavano infatti su contenuti a carattere civiconazionale119. Tuttavia, come vedremo in seguito, non passò molto tempo prima che l’offerta venisse ampliata. Nel frattempo nel dibattito radiofonico del novembre 1949
sull’Università ticinese Brenno Galli, nelle vesti di conduttore radiofonico, ricordava che
il problema dell’educazione degli adulti nel Cantone non si limitava alla questione universitaria e agli universitari:
«c’è un’altra vasta parte della popolazione ticinese che non è costituita di universitari
ma di coloro che hanno abbandonato la scuola a l’età di quattordici anni e dal quel momento non han più
visto un’aula, non han più letto un libro di letteratura, un romanzo, non si sono più interessanti di quanto
hanno visto a scuola»120
Sarebbe sicuramente stato interessante ascoltare le reazioni degli ospiti
intervenuti alla trasmissione, ma la parentesi che apriva il capo del DPE giungeva in
conclusione, quasi a rilanciare la discussione di un argomento di cui prima o poi si
sarebbe parlato. Sin qui si è visto che il primo progetto di Galli per la realizzazione di
un organo cantonale di educazione degli adulti fu portato avanti almeno nelle intenzioni e che il DPE seguì con attenzione gli sviluppi, soprattutto a livello nazionale, di
questo campo. Ora ci interessa capire quali furono gli esiti concreti della vicenda.
2.2.3.3.
La nuova legge della scuola del 1958
La volontà di istituire nel Cantone dei corsi serali sul modello delle Università popolari riemerge concretamente in alcuni appunti redatti a mano che non presentano né data né firma; tuttavia i contenuti e la loro archiviazione li collocano
chiaramente nella seconda metà degli anni Cinquanta, dunque sempre sotto la direzione
di Brenno Galli121. Queste note non ufficiali accompagnavano il dibattito interno sul
testo della nuova legge della Scuola, dove il progetto di Galli trovò una prima espressione concreta. Inserire la problematica dell’educazione degli adulti nel progetto di
nuova legge della scuola rappresentò senza dubbio una svolta fondamentale. Le questioni più accese non riguardarono l’educazione degli adulti, ma fu all’interno di questo quadro legislativo che si posarono le basi dei futuri Corsi per adulti.
119. ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, «Die schweizerischen
Volkshochschulen in Jahr 1944», allegato lettera 4.12.1947. Difficile capire quanto di
preciso, ma per ogni regione si faceva sempre riferimento a quanti corsi avevano contenuti svizzeri. Per di più c’era un capitolo introduttivo sull’educazione nazionale. Bisogna precisare che anche le università popolari cattoliche facevano parte del conteggio. A
questo proposito, in conclusione all’opera del 1944, Weilenmann aggiungeva che all’educazione nazionale si poteva aggiungere l’educazione cristiana nel suo senso più largo.
Al di sopra di queste due componenti vi era solamente la solidarietà umana, WEILENMANN,
Herman, op. cit., p. 30.
120. Si tratta di una trasmissione che Radio Monteceneri mandò in onda nel novembre del1949
e alla quale intervennero: Francesco Chiesa, Francesco Borella, la FGT, Guido Calgari,
Foglia. La registrazione ci è stata gentilmente messa a disposizione presso gli archivi della RSI. (Attorno al tavolo: «L’istituto di studi ticinesi», 15.11.1949, Radio Monteceneri)
121. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59. Si tratta di due documenti,
uno di due, l’altro di sei pagine.
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Il dibattito sulla nuova legge della scuola coinvolse, anche vivacemente,
l’opinione pubblica ticinese nella stampa e in numerose discussioni. Tuttavia, come
nota Alberto Lepori, nei principali volumi di storia ticinese manca un approfondimento
sull’argomento122. Il progetto di legge nacque a metà degli anni Quaranta con l’intenzione di radunare in un unico testo le norme regolanti i vari ordini di scuole del Cantone accumulatesi dall’ultima legge generale sulla scuola che datava del 1882 e di
introdurre le innovazioni necessarie all’aggiornamento di un settore in continua evoluzione123. In pratica si tradusse in una riforma che rinnovò profondamente la Scuola ticinese e che forse più di ogni altra favorì la creazione del Ticino moderno124. Galli fu tra
gli attori principali, in particolare insisté sul riavvicinamento degli istituti superiori alla
formazione di base, necessario secondo lui per avviare un processo di democratizzazione degli studi, poi sfociato nella Scuola media unica e in altre riforme settoriali125.
In generale il progetto di legge conteneva le premesse di riforma di un sistema scolastico ritenuto inadatto ad assicurare le risorse intellettuali e il capitale umano necessario a soddisfare le esigenze socio-economiche del paese, ovvero la modifica dell’assetto
selettivo della scuola dell’obbligo a favore di una democratizzazione degli studi e al
raggiungimento delle pari opportunità per permettere ai ticinesi di mirare a posizioni
sociali economicamente più vantaggiose e culturalmente privilegiate126.
Nel messaggio governativo del gennaio 1957 accompagnante il progetto
della nuova legge scolastica, la questione dell’educazione degli adulti figurava nella
sezione dei cosiddetti Corsi speciali, che comprendeva Corsi di cultura popolare, Corsi
post-accademici e Corsi d’italiano per adulti d’altre lingue, qualificati come:
«corsi non obbligatori organizzati per chi, pur essendo prosciolto dall’obbligo scolastico, intende in una forma o nell’altra completare le proprie conoscenze, perfezionarsi in certi campi,
rimanere in contatto con il continuo evolvere della cultura»127.
È una definizione interessante sulla quale si possono già fare delle prime
osservazioni. Per la prima volta il pubblico non era connotato; non si parlava di classi
lavoratrici, di operai, di impiegati o di contadini. Chiunque sembrava invitato a parteciparvi, poiché tutti erano sottoposti all’obbligo scolastico, indipendentemente dalle
proprie origini. Con una definizione del pubblico così ampia anche i metodi d’insegnamento sarebbero stati molteplici e lo stesso valeva per gli scopi. Il fatto di rivolgersi
all’intera popolazione non era di per sé una novità, lo abbiamo visto nel caso precedente
di Weilenmann. Ma erano le ragioni ad essere cambiate, ragioni che si spiegavano all’in122. LEPORI, Alberto, «La Federazione Docenti Ticinesi e la legge scolastica del 1958», in:
MARGARINI, Giorgio, PANZERA, Fabrizio, SARGENTI, Aurelio (dir.), Verbanus. La ricerca
e la passione come metodo. Omaggio a Romano Broggini, Verbania-Intra: Alberti, 2006,
pp. 401, 402. Anche se improntato sulla figura di Brenno Galli il capitolo di Sergio Caratti offre un contributo in tal senso, CARATTI, Sergio, «La legge della scuola del 29 maggio 1958», in: SPEZIALI, Carlo (dir.), op.cit., pp. 106-129.
123. ASTi, DPE/900, scat. 225, fasc. Progetto di legge della scuola, bozze di lavoro, Messaggio
228 del Consiglio di Stato al Gran Consiglio 19.6.1945, p. 1.
124. CARATTI, Sergio, art. cit., p. 106.
125. Ibidem, p. 107.
126. GHISLA, Gianni, art. cit., p. 292.
127. ASTi, DPE/900, scat. 225, fasc. Progetto di legge della scuola, bozze di lavoro, «Messaggio del Consiglio di Stato al Gran Consiglio accompagnante il progetto di una nuova
legge scolastica» [4.1.1957], p. 28.
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terno di un nuovo contesto. La cultura a cui faceva riferimento il Consiglio di Stato in
questa prima definizione era una nuova forma di cultura. Questo aspetto emergeva in
particolar modo nella descrizione dei corsi che ci interessano da vicino, i Corsi di cultura popolare, dove s’insisteva sulla loro necessità nel nuovo contesto sociale del dopoguerra per far fronte a:
«le esigenze sempre più vaste della società d’oggi, una società che tende alla specializzazione e la cui attenzione è ormai volta a considerare avvenimenti che si svolgono sempre più lontano,
in ogni parte della terra. La causa è facile da trovare nell’intensificarsi continuo dei mezzi di comunicazione e nel peso enorme assunto dalla tecnica e dalle sue infinite possibilità ed applicazioni: fenomeni
che provocano una rivoluzione negli interessi dell’uomo d’oggi, estendendone la cerchia, e fatalmente
allontanando dalle cose della nostra ragione, dalle sue necessità e dai suoi bisogni»128.
In questo contesto l’educazione degli adulti assumeva un valore centrale
in qualità di strumento essenziale all’uomo e alla società:
«la cultura dell’adulto […] si rivela particolarmente indispensabile nel compito, che le
spetta, di rimettere di continuo l’uomo maturo al contatto di problemi e situazioni nuove d’interesse
comune, di riabilitarlo a nuove tecniche, di riorientarlo nel mondo in cui vive a ogni nuova trasformazione
che questo subisce, consolidando, da una parte, in lui […] i poteri di resistenza e di continuità in quanto
è essenziale alla vita morale dell’uomo e al durare e prosperare di una veramente umana società, dall’altra evitando che egli rimanga un arretrato e un superato in una società che rapidamente cammina e che
nell’uno e, a lungo andare, nell’altra si determini un’irrimediabile crisi»129.
Tra le trasformazioni sociali in corso ve n’era una che concerneva da
vicino l’educazione degli adulti. Stiamo parlando del nuovo tempo libero di cui beneficiava la popolazione attiva. Nel marzo del 1957 la Commissione nazionale svizzera
dell’Unesco rese attento il Consiglio di Stato sull’utilizzo razionale del tempo libero per
far fronte al dilagare degli interessi futili130. Per questa ragione lo s’invitava a sostenere
legalmente e finanziariamente le istituzioni impegnate nell’educazione degli adulti:
«L’éducation des adultes et l’utilisation rationnelle des loisirs ont pris ces dernières
années une importance très grande. Il devient de plus en plus urgent de leur apporter des solutions, à
mesure que la réduction du travail tend à se généraliser. La réalisation des postulats que pose l’occupation des loisirs est une des tâches primordiales de notre temps, surtout dans les Etats qui sont membres
de l’Unesco […]. L’extension rapide des plaisirs superficiels n’est pas sans donner des souci à tous ceux
qui luttent pour le maintien et le développement des valeurs culturelles de notre peuple; elle leur fait un
devoir de se grouper autour de nos associations culturelles et de leur accorder tout leur appui»131.
Allo stesso tempo bisognava responsabilizzare i Comuni affinché mettessero a disposizione di tali associazioni i locali necessari e cercassero di creare dei centri comunali di vita culturale.
128. Ibidem, p. 28.
129. ASTi, DPE/900, scat. 225, fasc. Progetto di legge della scuola, bozze di lavoro, «Messaggio del Consiglio di Stato al Gran Consiglio accompagnante il progetto di una nuova
legge scolastica» [4.1.1957], p. 28. Questo passaggio era ripreso dal testo di Giovanni
Calò, rappresentante italiano dell’Unesco: CALÒ, Giovanni, L’educazione popolare: dieci anni di attività, Bologna: Cappelli editore, 1958, 245 p.
130. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59, lettera 7.3.1958.
131. Ibidem.
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Questi argomenti si ritrovano negli appunti non ufficiali che ora andiamo
a esaminare ripercorrendone il filo logico per capire cosa si sarebbe voluto realizzare.
L’obiettivo era appunto quello di costituire dei «centri di cultura popolare» pronti ad
accogliere gli adulti di uno o più comuni senza limiti di età132. Si proponevano tre corsi
a settimana, due da svolgere nelle aule scolastiche, uno da tenere in Radio, per venti settimane (durante i mesi autunnali e invernali), per un totale di sessanta lezioni di un’ora
(dalle 20 alle 21)133. Una volta stabiliti i centri il Dipartimento sarebbe intervenuto per
allestire un programma generale. Nella sezione intitolata Le ragioni che spingono all’educazione degli adulti s’insisteva sui problemi che poteva presentare la nuova organizzazione del tempo giornaliero e si valutavano le soluzioni per porvi rimedio134. Nella
suddivisione classica della giornata si costatava che il tempo libero occupava una persona almeno quanto il lavoro. Dal momento che i sociologi affermavano che il rendimento del lavoro era direttamente proporzionale al tempo libero – ma solo se
quest’ultimo fosse stato usato con criterio – oltre che a educare al lavoro bisognava
educare al giusto impiego del tempo libero135. Il pericolo, come sottolineato dalla Commissione svizzera dell’Unesco, risiedeva nella moltitudine di interessi offerti dalle nuove
condizioni sociali che potevano limitare gli uomini a una condizione di «dannosa superficialità»136. Per questo motivo s’imponeva un elevamento culturale «diretto, condotto,
orientato».
A questo punto però si poneva un problema sul ruolo che avrebbe assunto
lo Stato in questo processo. L’orientamento culturale degli adulti poteva rientrare nell’ambito dell’educazione pubblica che competeva allo Stato oppure no? In altre parole
si temeva di cadere in un dirigismo culturale. Il suo compito avrebbe dovuto quindi limitarsi alla coordinazione e alla collaborazione, in una parola alla promozione come ricordava il passaggio riportato sul documento interno, di cui però non si conosce l’origine:
«Nella società moderna in cui ogni attività moderna professionale assume sempre più
carattere di limitazione e di svuotamento dell’umanità del singolo appare come un compito fondamentale dello Stato quello di promuovere l’educazione degli adulti».
132. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59, 6 p. La formula del consorzio
non concerneva solo l’educazione degli adulti, ma era un elemento essenziale delle riforme proposte nel progetto della nuova legge scolastica.
133. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59. Uno un documento di 2 pagine, l’altro di 6.
134. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59, 6 p.
135. A proposito dello studio dell’educazione degli adulti da parte della Sociologia si veda
l’art. dell’assistente sociale italiana Adriana Barbaglia, «Educare gli adulti», pubblicato
il 24 marzo 1955 su Libera Stampa 1955 a p. 3. La giornalista del quotidiano ticinese
spiegava che l’art. toccava un problema dell’Italia, ma sebbene posto in termini diversi
«anche un po’ nostro».
136. Lo stesso argomento veniva sollevato nell’aprile 1959 in una lettera firmata con il nome
Bixio e indirizzata probabilmente al segretario del DPE Carlo Speziali. In questo caso il
pericolo riguardava soprattutto i giovani: «sarebbe già non piccola vittoria il riuscire ad
allontanare molti giovani (il cui «tempo libero» andrà nei prossimi anni sempre aumentando) da svaghi e divertimenti così desolatamente vuoti e grossolanamente idioti come
quelli che attraggono così tenacemente la gioventù d’oggi», ASTi, DPE/900, scat. 133,
fasc. Educazione adulti 1955-59, lettera aprile 1959.
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Per quanto concerneva le modalità d’insegnamento non vi era invece
alcun dubbio. L’elevamento culturale si sarebbe raggiunto non più per mezzo della conferenza, «metodo antiquato e non più sopportabile», ma dando vita a corsi che avrebbero favorito il colloquio e il dialogo tra insegnante e allievi su temi d’interesse generale.
L’idea, non lontana dagli ultimi sviluppi delle attività dei Circoli di cultura, era quella
di organizzare un ciclo di istruzione dove si sarebbe trattato un argomento centrale sotto
diversi punti di vista e servendosi di supporti didattici il più variati possibile (conversazione, lettura, film, esposizione, radio).
Questo dunque quello che apparentemente si avrebbe voluto realizzare.
Vediamo ora se e come queste intenzioni vennero tradotte nel quadro normativo della
nuova legge della scuola. Le disposizioni riguardo i futuri Corsi di cultura popolare
erano inizialmente raccolte in otto articoli, dallo scopo ai mezzi didattici, alla direzione,
ecc. L’articolo più dibattuto dall’ultima commissione speciale d’esame del progetto,
presieduta da Libero Olgiati137, riguardava lo scopo che avrebbero avuto i Corsi di cultura popolare:
«Lo Stato e i Comuni possono istituire direttamente o in collaborazione con gli enti culturali locali o con le associazioni sindacali corsi di cultura popolare per adulti e giovani prosciolti dall’obbligo scolastico al fine di completare l’istruzione impartita nelle scuole obbligatorie e professionali,
di favorire la formazione culturale del cittadino, di migliorare la conoscenza dei problemi essenziali di
natura economica, sociale e spirituale che interessano il paese. I corsi possono essere istituiti anche in
forma consortile: deve essere assicurata la frequenza di almeno 20 partecipanti»138.
Le preoccupazioni maggiori riguardavano sempre il ruolo che avrebbe
assunto lo Stato in qualità di promotore della cultura popolare. Antonio Snider, pur
riconoscendo la bontà degli scopi, temeva un indirizzo culturale statale che avrebbe
imposto un’istruzione uguale per tutti. Snider consigliava di lasciare questo campo all’iniziativa privata o di trovare un coordinamento tra questi corsi e le scuole maggiori. Per
Carlo Speziali lo Stato non sarebbe intervenuto per dirigere, ma piuttosto per coordinare e facilitare l’istituzione dei corsi da un punto di vista amministrativo, dando in
questo modo un primo impulso importante. Didier Wyler era dello stesso avviso, convinto che toccava al Cantone preoccuparsi di un problema che si poneva urgentemente
per tutti i paesi industrializzati. Wyler si riallacciava poi al discorso sul nuovo tempo
libero a disposizione degli operai e degli impiegati, da utilizzare in modo intelligente e
proficuo.
Per finire non vi furono modifiche sostanziali e il 29 maggio 1958 la
nuova legge scolastica fu approvata dal Gran Consiglio, compresi gli articoli (188-194)
relativi ai Corsi di cultura popolare139.
137. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59, «Commissione speciale per
l’esame del progetto di nuova legge della scuola, seduta 21.10.1957», p. 52. Quel giorno erano presenti: Brenno Galli, Libero Olgiati, Pino Bernasconi, Achille Borella, Alberto Bottani, Arturo Lafranchi, Mario Mengoni, Aleandro Pini, Antonio Snider, Plinio
Verda, Domenico Visani, Edoardo Zeli, Amedeo Boffa, Franco Ghiggia, Giampiero Mina, Arnoldo Tamburini, Didier Wyler, Carlo Speziali.
138. ASTi, DPE/900, scat. 225, fasc. Progetto di legge della scuola, bozze di lavoro, «Messaggio del Consiglio di Stato al Gran Consiglio accompagnante il progetto di una nuova
legge scolastica» [4.1.1957], pp. 69, 70.
139. Vedi allegato VII a p. 132.
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Come avrebbe ricordato qualche anno più tardi il successore di Galli,
Plinio Cioccari, il Ticino, costretto il più delle volte a inseguire il resto del Paese, fu il
primo Cantone a inserire la problematica dell’educazione degli adulti in un testo normativo. In definitiva gli articoli includevano bene o male gli aspetti principali emersi
nelle diverse iniziative. I protagonisti sarebbero stati lo Stato e i comuni. La collaborazione con gli altri attori interessati, gli enti culturali locali e le associazioni sindacali non
era infatti una prerogativa, ma solo una possibilità140.
Si prevedeva l’opportunità di organizzare i corsi in forma consortile, in
linea quindi con il carattere generale della legge. Probabilmente per evitare casi di mancata collaborazione di comuni, in nome della propria autonomia, la legge poneva alcune
condizioni di base sullo svolgimento dei corsi e la presa a carico dei costi logistici. I
corsi avrebbero dovuto tenersi nelle sedi scolastiche del Cantone, dove avrebbero beneficiato dei mezzi didattici che vi si trovavano. I costi relativi all’utilizzo delle sedi sarebbero stati a carico dei comuni. Per quanto concerneva la direzione dei corsi e il relativo
ruolo dello Stato gli articoli erano chiari. Com’era stato in parte suggerito dai Goliardi
la direzioni dei corsi sarebbe stata affidata a un docente, rappresentante secondo Galli
della categoria dei veri protagonisti della riforma scolastica. Toccava a loro infatti tradurre in pratica pedagogica e didattica il progetto di legge141. Lo Stato invece sarebbe
intervenuto come organo di vigilanza sui corsi che avrebbe sussidiato, sulla base quindi
dell’esperienza maturata sino a quel punto con i Circoli culturali. Come auspicato in più
di un’occasione da più parti, si prevedeva inoltre la possibilità di associare i corsi al
servizio radioscolastico142.
Dai documenti analizzati emerge chiaramente che le ragioni che alla fine
degli anni Cinquanta spinsero le autorità a iscrivere i Corsi di cultura popolare nel nuovo
progetto di legge sulla scuola, erano da imputare alle trasformazioni che la società stava
vivendo.
Se ci s’interroga sugli obiettivi ci si rende conto che nel nuovo contesto
l’obiettivo culturale spiegava solo in parte le intenzioni del Cantone. Malgrado i corsi
fossero facoltativi, l’invito del DPE suonava piuttosto come un’esortazione. Non vi era
dubbio nell’affermare che l’educazione degli adulti rappresentava ormai un problema
140. Nella sede meno in vista dei Corsi di cultura popolare non sorprende l’esclusione di
associazioni confessionali vista la volontà di laicizzare la nuova legge. Il progetto originale infatti prevedeva di rendere facoltativo l’insegnamento religioso, ma questa presa
di posizione creò diverse polemiche e per evitare di spezzare in due il Paese e per preservare la pace religiosa, si mantenne la situazione in vigore, CARATTI, Sergio, art. cit.,
p. 119.
141. A questo proposito Caratti riportava un passaggio del direttore del DPE che indicava come il promotore di una delle principali riforme scolastiche nel nostro Cantone fosse il
primo a relativizzare l’importanza delle modifiche strutturali, riconoscendo invece il primato all’attività didattica: «una legge scolastica deve evidentemente essere interpretata
nel campo delle sue possibilità applicative: spetta infatti sempre ai docenti tramutare in
realtà viva la parola del legislatore. Le scuole potranno essere organizzate in qualunque
modo si voglia, saranno però sempre i docenti a farle vivere», Ibidem, p. 122.
142. Secondo Baggiolini i corsi radiofonici e in futuro anche televisivi avevano il vantaggio
di mettere la formazione a disposizione di tutti, ASTi, DPE/900, scat. 102, fasc. Università popolare 1947-1951, lettere 3.10.1949, 15.4.1951, 8.5.1950.Anche l’autore della lettera dell’aprile 1959 indirizzata a Carlo Speziali era dell’opinione che un simile organo
non doveva prescindere da questi mezzi,ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59, lettera aprile 1959.
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urgente che toccava anche il Ticino143. Le esigenze sociali alle quali si confrontava la
popolazione erano sempre maggiori. Malgrado l’aumento del tempo libero e l’avvento
delle nuove tecnologie, i ritmi quotidiani s’intensificavano. Per evitare di rimanere arretrati rispetto al rapido cammino della società l’unica soluzione era quella di aggiornarsi
di continuo. I Corsi di cultura popolare previsti nel Cantone non si limitavano dunque
ad appagare una sete di cultura, che Circoli culturali e società affini già placavano, ma
furono concepiti anche e soprattutto per supplire alle necessità di una popolazione che
si apprestava a conoscere un Ticino dal volto nuovo. L’impressione quindi è che si era
di fronte a un’articolazione di scopi culturali e sociali.
2.2.3.4.
Brenno Galli si congeda
Nella primavera del 1959 Breno Galli, consapevole del lavoro svolto,
decise di congedarsi dal mondo politico per lasciar spazio a personalità più giovani.
Malgrado gli sforzi per promuovere l’educazione degli adulti non vide realizzarsi sotto
la sua guida l’Università popolare ticinese, anche se in parte ne pose le basi legislative.
Questo risultato rappresentava di per sé un passo avanti determinante. Come per altre
questioni nel progetto della nuova legge della scuola, Brenno Galli avvertì le trasformazioni sociali in atto e avrebbe voluto adattarvi le strutture e i programmi educativi,
ma allo stesso tempo sapeva che non bisognava forzare un processo che avrebbe avuto
comunque luogo nella naturale progressione dell’evoluzione storica144. Nelle considerazioni di Carlo Speziali, «il Ticino per il quale la nuova legge era pensata, era ancora
un Paese rurale, sbriciolato nei piccoli centri periferici»145. Si andava preparando una
mentalità nuova della quale però si sarebbero raccolti i frutti negli anni a venire e Galli
ne era cosciente, come dimostra il suo intervento in Gran Consiglio nell’ottobre 1957
durante la commemorazione fransciniana; un pensiero che sembrava rivolgersi alla sua
esperienza di uomo politico, un uomo che deve:
«nel proprio tempo vivere e pensare ed agire: in mezzo agli uomini del suo tempo, valendosi degli uomini del suo tempo, per coloro che seguiranno. Le sue opere d’oggi, il suo sogno immediato
si tramuteranno in vitale realtà spesso molto più tardi: è egli l’eterno seminatore nel corso d’una lunga
giornata e ben sa che i frutti matureranno, quali più rapidi, quali tardivi, in altra stagione, se pur giungeranno a maturanza»146.
L’impressione è che gli articoli sui Corsi di cultura popolare non fossero che una tappa, seppur decisiva, per poter in un futuro prossimo realizzare e legittimare un progetto di per sé già delineato. Progetto che ricordava la struttura organizzativa dei Circoli di cultura, si propendeva dunque per un’Università popolare decentralizzata. Il quadro legislativo permetteva inoltre di lasciare aperte le porte ad altre iniziative,
non necessariamente pubbliche, che avrebbero potuto godere del supporto finanziario
143. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955, «Commissione speciale per l’esame del progetto di nuova legge della scuola, seduta 21.10.1957», p. 52.
144. CARATTI, Sergio, art. cit., p. 120.
145. Ibidem, p. 120. Nella pagina seguente Caratti afferma che «Doveva passare ancora una
generazione prima che l’evoluzione, allora per certi aspetti imprevedibile, del Paese,
creasse le condizioni – sociali, economiche e geografiche – perché l’ipotesi di un’unica
istruzione per tutta la scolarità medio obbligatoria diventasse storicamente realistica».
146. GILARDONI, Silvano, art. cit., 2004, p. 236.
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2.
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Dalla Scuola ticinese di cultura italiana alla nuova legge
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dello Stato. Ancora nel marzo del 1958 Galli ribadiva, in risposta all’invio di una nuova opera sulle università popolari svizzere da parte di Weilenmann, che l’argomento interessava da vicino anche il Ticino147. L’interesse c’era ma, come si è visto, mancavano i presupposti giusti.
Galli non poté dunque assistere in prima persona all’istituzione dell’Università popolare ticinese poiché si ritrovò ad agire, insieme ad altri dirigenti culturali, in una realtà particolare, da un lato radicata nelle proprie tradizioni e dall’altro con
lo sguardo rivolto alla modernità. Una situazione che frenò le realizzazioni attese nella seconda metà degli anni Cinquanta148. Oltre alle resistenze al cambiamento non bisognava dimenticare i margini finanziari, spesso limitati, della spesa culturale. Inoltre
la presenza decentralizzata dei Circoli di cultura, la loro collaborazione con le autorità
competenti e in definitiva le buone considerazione di cui godevano, costituirono a nostro avviso un ulteriore freno alla realizzazione di un nuovo organo di educazione degli adulti. Il germe piantato da Antonio Galli avrebbe trovato un terreno fertile qualche
anno più tardi, quando anche in Ticino sarebbero state evidenti le conseguenze del processo di trasformazioni sociali, economiche e culturali senza precedenti che caratterizzò
l’Europa durante la fase conosciuta come i Trenta gloriosi.
L’articolo pubblicato nell’aprile del 1959 – proprio quando Galli si apprestava a lasciare la direzione del DPE – dall’Educatore della Svizzera italiana intitolato «Il problema dell’educazione degli adulti» era sintomatico dei nuovi sviluppi nella concezione dell’educazione degli adulti. Di fatto si trattava del primo articolo dedicato all’argomento, inteso nel suo significato moderno, apparso nel periodico149. Guarda caso l’autore era Giuseppe Martinola, collaboratore nonché uomo di fiducia di Galli durante gli anni Cinquanta150. Martinola rilevava come l’esperienza dei paesi che si
occupavano della questione già da qualche generazione, indicasse che i metodi da impiegare nell’educazione degli adulti erano diversi da quelli scolastici. Bisognava tener
conto dei bisogni particolari degli individui a cui ci si rivolgeva, variando il programma nel contenuto, nella forma e nel livello. Non sarebbe contato molto l’apprendimento
di nozioni ma piuttosto la creazione di un clima di curiosità intellettuale, di indipendenza
sociale e di compartecipazione ai problemi dell’epoca. Il tutto senza perdere di vista la
preoccupazione dell’adulto che rimaneva pur sempre il miglioramento delle proprie condizioni di vita. Per esempio l’insegnamento delle scienze, già caratteristico dei programmi
dei Circoli di cultura, era sì indispensabile, ma doveva preoccuparsi prevalentemente di
mettere in evidenza le ripercussioni sociali del progresso scientifico. Nell’elenco dei principali metodi praticati nell’educazione degli adulti si citavano i corsi, la discussione e
i mezzi audiovisivi. Ormai non si faceva più cenno alla conferenza, un metodo che come
si è visto in precedenza, era superato in questo esercizio, poiché alla fine degli anni Cinquanta la scuola degli adulti non era né un corso post-professionale né un circolo di cultura ma, secondo la definizione E. M. Hutchinson, «il coordinamento delle possibilità
offerte agli uomini di arricchirsi dell’esperienza della vita e di meglio comprenderla»151.
147. ASTi, DPE/900, scat. 133, fasc. Educazione adulti 1955-59, lettera 24.3.1958. Si trattava di Les Universités populaires suisses en 1956/57, Zürich: Artemis, 1957, 183 p.
148. GILARDONI, Silvano, art. cit., 2004, p. 236.
149. MARTINOLA, Giuseppe, «Il problema dell’educazione degli adulti», Educatore della Svizzera italiana, n. 1, aprile 1959, pp. 10,11.
150. GILARDONI, Silvano, art. cit., 2004, p. 227.
151. MARTINOLA, Giuseppe, art. cit., p. 11.
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3.
53
L’istituzione e i primi dieci anni
dei Corsi per adulti
(1963-1972)
Gli articoli 188 e seguenti della nuova legge della scuola rappresentarono, come si è visto, un passo fondamentale verso l’organizzazione dell’Università
popolare ticinese. A differenza di altre riforme scolastiche che a causa dei tempi lunghi della politica si protrassero per anni, i Corsi di cultura popolare previsti dalla legge
trovarono immediatamente una loro applicazione; dapprima da parte di associazioni
culturali che intensificarono l’organizzazione di corsi e conferenze grazie al sostegno
finanziario del Cantone152 e in seguito, nel gennaio del 1963, da parte del nuovo direttore del DPE Plinio Cioccari che istituì i Corsi per adulti, la tanto ambita Università
popolare della Svizzera italiana.
Questo capitolo si concentrerà sui primi dieci anni di vita dei Cpa (19631972), anni durante i quali l’attività si radicò nel nuovo contesto socio-economico dei
Trenta gloriosi e si sviluppò in modo consistente. L’esame dei diversi progetti di università popolari e gli articoli sui Corsi di cultura popolare ci hanno rivelato le ragioni
che spinsero all’istituzione dei Cpa e con quali modalità si era inteso agire nella nuova
situazione storica del dopoguerra. Uno degli aspetti più rilevanti riguardava la probabile articolazione di scopi che, come si è visto, andavano oltre una definizione di tipo
culturale. Istituire i Cpa significò fissare in un contesto preciso determinati obiettivi in
relazione a un pubblico al quale ci si rivolgeva e cercare di rispondervi attraverso l’offerta promossa. I Cpa si configurarono dunque in funzione dell’evoluzione della società
e della sfera educativa sottoposta a un riesame continuo. Sarà quindi attraverso l’analisi dell’offerta, degli obiettivi e del pubblico che cercheremo di delineare i tratti principali della definizione che lo Stato diede durante i primi dieci anni alla propria
iniziativa in ambito dell’educazione degli adulti, in termini sociali, culturali, economici
e politici.
152. Ad esempio l’Associazione ticinese per il voto alla donna o la Sezione educazione e cultura della Pro Verzasca. Questi ed altri esempi si trovano in: ASTi, DPE/900, scat. 133,
fasc. Educazione adulti 1955.
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3.1.
I Trenta gloriosi
A partire dagli anni Cinquanta, ma soprattutto dagli anni Sessanta e fino
alla metà degli anni Settanta, il Cantone visse una fase di sviluppo economico e demografico senza precedenti, riconducibile alla congiuntura economica internazionale
straordinaria dei Trenta gloriosi153. La popolazione passò da 175’000 a 266’000 abitanti,
un aumento del 50% ovvero del 15% superiore a quello registrato in Svizzera154. Tuttavia, più della metà dello sviluppo demografico fu dovuto ai saldi migratori155. La crescita economica fu invece caratterizzata dallo sviluppo del settore terziario dove
l’effettivo venne quasi raddoppiato in vent’anni156. Grazie alla congiuntura favorevole
il reddito cantonale reale aumentò più del triplo157.
Lo sviluppo economico e demografico generò una serie incessante di
nuovi bisogni tanto quantitativi: più strade, più scuole e più ospedali, quanto qualitativi:
riforme del sistema scolastico, correzione delle sperequazioni sociali, attenzione alle
classi marginali e ai problemi dell’ambiente158. Durante la riconversione postbellica
l’Europa si convinse che un’azione incisiva dei poteri pubblici nella conduzione del
processo di sviluppo economico avrebbe permesso di raggiungere progresso e benessere collettivo159. Le risorse finanziarie scaturite dalla crescita economica permisero
allo Stato di soddisfare i nuovi bisogni della società allargando così la propria sfera
d’intervento a numerosi ambiti. La ridistribuzione delle risorse economiche contribuì
a creare quello che venne definito il «compromesso keynesiano», la cui definizione
metteva in risalto il nuovo ruolo dello Stato nel promuovere lo sviluppo economico e il
benessere sociale160. L’alta congiuntura fu dunque alla base dello sviluppo e dell’affer153. ROSSI, Martino, «Dal più al meno Stato. Politica economica e finanze pubbliche nel Ticino del dopoguerra», in: BIUCCHI, Basilio (dir.), op. cit., p. 185. Per avere un’idea dell’evoluzione economica e demografica di quegli anni si veda il grafico realizzato da Martino Rossi (allegato VIII a p. 132).
154. TOPPI, Silvano, «La crescita economica (1945-1975): la scommessa industriale», in: CESCHI, Raffaello, Storia del Cantone Ticino: il Novecento, Bellinzona: Stato del Canton
Ticino, 1998, p 602.
155. Ibidem, p. 602.
156. Nel 1950 questa era la composizione delle popolazione attiva di 82’000 lavoratori: primario 15’000, artigianato 34’000, terziario 32’000. Alla fine degli anni Sessanta su un
totale di 107’000: poco più di 5’000 primario, più di 42’000 secondario, quasi 60‘000
terziario, in: DILLENA, Giancarlo, «Tra cambiamenti appariscenti e cambiamenti sostanziali», in CAVADINI, Adriano e alii, Il Ticino moderno: le trasformazioni dalla fine della
Seconda guerra mondiale ai nostri giorni, 1945-2010, Castagnola: Associazione Carlo
Cattaneo, 2010, pp. 17, 18. Il divario tra il settore primario e quello terziario era destinato ad aumentare sempre di più. Nel 2010 su una popolazione attiva di più di 160’000 lavoratori nel primario se ne trovavano 1’436, nel terziario 92’829, in: Annuario statistico
ticinese, Giubiasco: Ufficio di statistica, 2012.
157. ROSSI, Martino, art. cit., p. 183.
158. CESCHI, Raffaello, GHIRINGHELLI, Andrea, «Dall’intesa di sinistra al governo quadripartito (1947-1995)», in: CESCHI, Raffaello, op. cit., p. 565.
159. TOPPI, Silvano, art. cit., p. 601.
160. MARAZZI, Christian e alii, Nuovi bisogni nuovo welfare.Analisi dell’evoluzione delle prestazioni sociali in Canton Ticino, Manno: SUPSI/DSAS, 2007, p. 26. Sandro Cattacin e
i suoi colleghi descrivono in questi termini l’evoluzione del ruolo dello Stato: «À partir
des années cinquante, l’Etat n’apparaît plus seulement comme le garant de la sécurité des
citoyens – l’une de ses plus anciennes prérogatives – et de leurs droits fondamentaux, ni
davantage comme un simple régulateur du fonctionnement de l’économie et de la pro-
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mazione dello Stato sociale, accompagnata però anche da ragioni di natura politica.
Infatti l’integrazione della sinistra nel sistema politico, in particolar modo quella dei
socialisti, che in tutta Europa parteciparono a coalizioni di governo, fu allo stesso tempo
un elemento determinante nella realizzazione dello Stato sociale161.
L’élite ticinese, stimolata dal dibattito europeo, abbracciò così l’idea di
uno Stato più dinamico e responsabile, impegnato con il suo intervento politico a sostenere e indirizzare lo sviluppo economico e sociale162. Quest’obiettivo fu perseguito in
un primo tempo dall’intesa di sinistra, un’alleanza politica fra radicali e socialisti voluta
in special modo dall’ex democratico Libero Olgiati e dal socialista Guglielmo Canevascini163. L’alleanza di sinistra prese forma il 18 febbraio 1947 durante la costituzione
del governo, quando durante la distribuzione dei Dipartimenti Canevascini si schierò
con i radicali Brenno Galli e Nello Celio formando di fatto una maggioranza che «provvide ad una divisione di quello che per i conservatori era il bottino di una rapina»164. Al
giovane e inesperto Agostino Bernasconi spettarono i Dipartimenti dell’Igiene, simbolo dell’emarginazione, il Militare ed il Controllo, mentre che a Giuseppe Lepori, perduto il DPE, toccarono gli Interni, la Giustizi e la Polizia165. Le Costruzioni andarono
a Celio, i Dipartimenti economici a Canevascini e a Galli le Finanze e il DPE, emblema
del potere. Fu proprio quest’ultima la svolta più significativa poiché permise ai liberali
di tornare a capo del DPE dopo più di vent’anni di gestione da parte dei conservatori
che subirono dunque un brutto colpo.
L’intesa di sinistra, alla guida dello Stato tra il 1946 e il 1966, s’impegnò
con leggi e decreti a stimolare la crescita economica del Paese attribuendo allo Stato una
funzione equilibratrice fra le esigenze economiche e quelle sociali166. In questi anni la
spesa pubblica ticinese si moltiplicò di quattro volte e mezzo in valori nominali167. Gli
anni Sessanta furono quelli della programmazione sia sul piano economico che su
quello territoriale. Nel 1963 il professor Kneschaurek fu incaricato dal Cantone a svolgere uno studio sullo sviluppo economico e sociale che doveva mostrare le differenti
possibilità d’intervento168. Il rapporto fu consegnato l’anno successivo e sull’onda delle
raccomandazioni che conteneva fu istituita una Commissione per la programmazione
economica che però non portò alcun risultato concreto. Quindi, malgrado gli sforzi
161.
162.
163.
164.
165.
166.
167.
168.
duction. Il dispense de surcroît les biens sociaux et planifie le bien-être de ses citoyens»,
in: CATTACIN, Sandro et alii, Mouvements sociaux et état: mobilisation sociales et transformations de la société en Europe, Genève: Centre Européen de la Culture/ACTES SUD,
1997, p. 61.
CATTACIN, Sandro et alii, op. cit., pp. 60, 61. Per una definizione dello Stato sociale facciamo riferimento all’opera di Christian Marazzi e colleghi: «insieme di valori, di istituzioni e di pratiche (allo stesso tempo economiche, sociali e politiche) che ha consentito
forme di intervento dello Stato e della spesa pubblica volte ad assicurare prestazioni e tutele, mediante forme di socializzazione dei rischi, per fasce sempre più numerose di cittadini in misura corrispondente alla crescita della produzione e dell’occupazione», in:
MARAZZI, Christian e alii, op. cit., p. 26.
GHISLA, Gianni, art. cit., p. 253.
CESCHI, Raffaello, GHIRINGHELLI, Andrea, art. cit., p. 551.
BIANCHI, Roberto, IlTicino politico contemporaneo1921-1975, Locarno:Armando Dadò
Editore, 1989, p. 384
Ibidem, p. 385.
Ibidem, p. 554.
TOPPI, Silvano, art. cit., p. 604.
GHISLA, Gianni, art. cit., p. 253.
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intrapresi dallo Stato, i due obiettivi principali – la Legge sul promovimento delle attività economiche del 1962 e la Legge urbanistica del 1968 – non vennero raggiunti169.
Ebbero però miglior fortuna gli interventi complementari nel settore idroelettrico e in
quello scolastico170.
Infatti, tra i nuovi bisogni sociali generati dal benessere del dopoguerra
vi era anche quello di ricevere maggiore istruzione171. Questa tendenza, sebbene fosse
compresa all’interno di un processo europeo di democratizzazione degli studi, nacque
anche dalla necessità di procurare al Cantone il capitale intellettuale e professionale necessario per affrontare le sfide della modernità: dalle tecniche di produzione, ai nuovi
rapporti sociali passando per l’esplosione dell’informazione. Per di più come indicava
il rapporto di Kneschuarek il Ticino partiva da una situazione sfavorevole rispetto al resto del Paese: «il grado di qualificazione del nostro potenziale lavorativo non è stato elevato in modo sufficiente per garantire quel ritmo di sviluppo economico che sarebbe stato necessario per poter rimontare la corrente nei confronti dei Cantoni economicamente più progrediti»172. Su queste premesse indicò, all’interno di un capitolo sul potenziamento
del sistema educativo, delle proposte riconducibili a due ambiti d’intervento: la democratizzazione dell’accesso agli studi, la riforma dell’apparato scolastico (compresa la formazione professionale) e la modernizzazione dei programmi d’insegnamento, la riforma dell’orientamento professionale173.
Dalla scuola ci si aspettava che formasse gli individui a vivere meglio e
nel contempo che preparasse cittadini migliori, capaci di arricchire la propria condizione
contribuendo quindi al benessere generale174. Negli anni Cinquanta e Sessanta presero
piede anche in Ticino nuove teorie sugli investimenti in campo educativo che come quella di Kneschaurek consideravano l’educazione come un fattore generatore di crescita economica175. Fu su queste basi che il DPE difese le spese scolastiche, sempre più alte, delle riforme in atto per innalzare il livello culturale generale e recuperare il terreno perso nella formazione professionale176. Nella scuola venne investito molto – soprattutto
nella formazione medio-superiore – ma, come osservava nel 1962 il nuovo direttore del
DPE Plinio Cioccari, «il futuro del paese dipende dalla capacità di mettere a frutto le
risorse d’intelligenza»177. In Ticino s’impose l’idea secondo la quale il benessere, il progresso, l’ascesa sociale e la crescita democratica dipendevano dalla facoltà di accedere a formazioni di tipo accademico178. In questo senso la scuola assunse una valenza politica rilevante che più avanti sarebbe sfociata anche nella strumentalizzazione politica.
169.
170.
171.
172.
173.
174.
175.
176.
ROSSI, Martino, art. cit., pp. 187-189.
CESCHI, Raffaello, GHIRINGHELLI, Andrea, art. cit., p. 560.
VENTURELLI, Elio, art. cit., p. 239.
GHISLA, Gianni, art. cit., p. 254.
Ibidem, p. 254.
VENTURELLI, Elio, art. cit., p. 239.
Ibidem, p. 239.
Nel ventennio tra il 1960 e il 1980 Venturelli ha calcolato un aumento reale, senza l’influenza dell’incremento della popolazione e il costo maggiore della vita, del 250%. La
percentuale rispetto al totale delle spese di esercizio del Cantone era del 9,8 % nel 1940,
9% nel 1960, 21,6% nel 1980. Quindi nell’ultimo ventenni che si registra aumento spese educazione più che proporzionale all’aumento complessivo delle spese dello stato, in:
VENTURELLI, Elio, art. cit., p. 279.
177. CESCHI, Raffaello, GHIRINGHELLI, Andrea, art. cit., p. 554.
178. GHISLA, Gianni, art. cit., p. 256.
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Nel 1951 venne prolungato l’obbligo scolastico; nel 1958 entrò in vigore,
come visto, la nuova legge della scuola; durante gli anni Sessanta furono poste le premesse per una democratizzazione degli studi, anche grazie alla creazione della sezione
pedagogica del DPE (1969); nel 1974 fu approvata la legge sull’istituzione della scuola
media unificata; la legge della scuola del 1990 costituì, sul piano legislativo, il punto
d’arrivo nell’evoluzione della scuola del Cantone Ticino179. Tuttavia, il peso delle
responsabilità delle quali si volle incaricare la scuola fu troppo grande per un’istituzione che, a differenza del contesto che la circondava, stava cambiando in modo graduale e non senza incontrare difficoltà. I compiti che le furono affidati, invece di
esaltarne i nuovi valori ne misero in evidenza i limiti. In questo contesto l’educazione
degli adulti si affermò innanzitutto come complemento indispensabile per l’individuo
e la collettività.
Nel frattempo, proprio sotto la spinta dell’educazione degli adulti, in tutto
il mondo la concezione tradizionale dell’educazione fu stravolta in quanto non veniva
più unicamente associata alla prima fase della vita di una persona, ma era da intendere
come processo d’aggiornamento continuo nella propria formazione professionale e culturale. In questo senso, come si è già in parte visto nel capitolo precedente, la problematica del tempo libero giocava un ruolo fondamentale, all’interno di una società nella
quale il benessere medio era aumentato e di conseguenza anche la parte del bilancio
domestico destinata allo svago e all’istruzione180.
Lo sviluppo economico straordinario del dopoguerra fu dunque favorito
in larga parte dalla congiuntura internazionale, ma, come annota Gianni Ghisla allo
stesso fu stimolato da «una trasformazione culturale che cercava di sbarazzarsi del passato per aprire nuovi orizzonti»181. Remigio Ratti ne parlava come di «un’epoca di
grandi e rapidi mutamenti, in parte traumatici e brutali, che travolgono la frastornata
coscienza identitaria ritrosa e statica e promuovono invece, non senza incertezze e smarrimenti, una coscienza dinamica e aperta sul futuro, rinnegatrice del passato, disposta
ad accettare il mutamento e capace di adattarsi in modo originale»182. Toppi la considerava «una vera svolta politico-culturale che si concretizza a livello ideologico con
aperture verso una democratizzazione sociale e sul piano politico-istituzionale con
nuovo assetto politico basato sulla cosiddetta intesa di sinistra»183.
3.2.
La nascita dei Corsi per adulti
Nel rendiconto del DPE del 1962 era già manifesta l’intenzione di rendere operanti gli articoli 188 e seguenti della nuova legge della scuola. A questo proposito era iniziata la preparazione di una serie di corsi che si sarebbero tenuti tra marzo e giugno del 1963 in alcuni centri del Cantone. Quest’iniziativa doveva essere una
179. BROGGINI, Romano, SAVOLDELLI, Agostino (dir.), Cent’anni di scuola: contributi alla
storia della scuola ticinese pubblicati in occasione del centenario della FDT, Locarno:
A. Dadò, 1995, p. 238.
180. TOPPI, Silvano, art. cit., p. 604.
181. GHISLA, Gianni, art. cit., p. 251.
182. RATTI, Remigio e alii, op. cit, p. 17.
183. TOPPI, Silvano, art. cit., pp. 593-614.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
prima esperienza per testare i desideri e le aspettative del pubblico in modo da permettere in futuro di dare all’attività una forma regolare e continua184. Dopo aver studiato
la problematica dell’educazione degli adulti e le sue possibili applicazioni nel contesto
ticinese, lo Stato era pronto a realizzare in via sperimentale un organo cantonale sul modello delle Università popolari svizzere. Vista la misura volutamente contenuta del progetto non si parlò di Università popolare, ma bensì di corsi di cultura popolare destinati
agli adulti, secondo la formula prescritta dalla nuova legge scolastica del 1958. Possiamo perciò presumere che sia stata questa la ragione che spieghi il nome adottato dal DPE.
D’altro canto in questo modo si mettevano in risalto le particolarità dell’iniziativa ticinese, prima su tutte quella di essere un ente istituito dallo Stato. Nei documenti esaminati non risulta infatti che il Cantone abbia agito in collaborazione con gli enti culturali locali o con le associazioni sindacali, collaborazione che ricordiamo venne posta come
possibilità dall’articolo 188 della legge scolastica e che Hermann Weilenmann aveva auspicato. Pare invece che un altro attore sia intervenuto a favore della realizzazione dei
Cpa. Stiamo parlando dell’Associazione dei docenti ticinesi delle scuole secondarie superiori che, come spiega Alberto Lepori, prese già parte attiva nel dibattito sulla nuova
legge della scuola185. Troviamo conferma di ciò in un articolo pubblicato a marzo 1963
nel Dovere dove si affermava che già da parecchi anni, grazie ad un gruppo di volenterosi sospinto dall’iniziativa del presidente dell’Associazione nonché futuro direttore dei
Cpa Guido Marazzi, qualcosa si stava muovendo186. Solo la mancanza di un ente disposto
a patrocinare e finanziare il progetto ne aveva differito l’attuazione, alla quale decise poi
di partecipare proprio il DPE: «Il concreto appoggio che il Dipartimento cantonale dell’educazione ha deciso di concedere agli iniziatori è stato quindi determinante perché
l’idea si traducesse quest’anno in pratica»187.
Il Cantone sembrò quindi cogliere l’occasione di mettere in pratica i propositi profusi negli anni precedenti, che avevano trovato una prima risposta concreta nella nuova legge della scuola, sostenendo di fatto un’iniziativa sorta apparentemente autonomamente, in modo da non suscitare alcun dubbio relativo a un presunto dirigismo
184. RCS, cit.,1962, p. 235.
185. LEPORI, Alberto, art. cit., pp. 401-409.
186. «I primi passi di una meritoria iniziativa.Allineamento delTicino sul piano delle università
popolari», Il Dovere, 4.3.1963, p. 1. Guido Marazzi (1928-2012): docente, giornalista,
intellettuale ticinese attento alle problematiche internazionali, nazionali e locali. Nel
1952 conseguì la laurea in Lettere all’università di Firenze. Nello stesso anno cominciò
la sua attività di docente dapprima presso il Ginnasio di Biasca, poi in quello di Locarno. Nel 1955 fu nominato alla Magistrale di Locarno, dove insegnò per tredici anni prima di diventarne direttore, carica che svolse fino al 1988. Attivo in politica tra le fila del
PLR, esponente dell’indirizzo progressista, laico e particolarmente attento alla questione sociale e del lavoro, nel 1961 costituì, insieme a Luigi Salvadé, i Sindacati indipendenti ticinesi (SIT), assumendosene la presidenza. Nel 1963 diede alle stampe il primo
numero dell’organo dei SIT, Progresso sociale del quale Marazzi, nonostante la successione di Diego Scacchi alla presidenza dei SIT nel 1967, ne rimase l’ispiratore nelle nuove vesti di presidente onorario. Uomo di scuola, oltre a dedicare la propria carriera al servizio della Scuola pubblica si fece promotore di importanti iniziative socio-culturali. Dopo aver promosso la realizzazione di un’Università popolare in Ticino, nel 1963 assunse
la direzione dei Corsi per adulti. Successivamente, nel 1985, fondò i corsi UNI3, la cosiddetta università della terza età, che diresse fino al 2005. Le informazioni biografiche
di Marazzi sono tratte dai diversi articoli a lui dedicati sulle pagine di Progresso sociale
(settembre 2012) in seguito alla scomparsa di quest’ultimo.
187. Ibidem, p. 1.
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culturale. Nonostante l’interesse politico nei confronti dell’educazione degli adulti, lo
Stato non si propose come principale fautore dell’iniziativa, anche se in seguito ne assunse in pratica la gestione, ma come sostegno indispensabile alla realizzazione di un’Università popolare ticinese. Troviamo conferma di ciò in un contributo in due puntate
intitolato L’Università popolare o Scuola popolare superiore, pubblicato da Guido Marazzi sull’Educatore della Svizzera italiana nel 1960, dove il professore della Magistrale
di Locarno condivise con i lettori della rivista l’intenzione di avviare una «campagna
per l’istituzione di un’Università popolare in Ticino»188. Dal primo testo si evinceva che
l’Università popolare ticinese, secondo l’esperienza degli altri paesi, non doveva essere un’emanazione dello Stato. Quest’ultimo doveva limitarsi a finanziarne l’attività, facilitandone l’organizzazione, partecipando alla gestione dell’istituto attraverso un suo
rappresentante189. L’Università popolare ticinese avrebbe dovuto assumere il carattere
di fondazione ed essere articolata in Comitato cantonale e Comitati locali, in un primo
tempo nelle tre località principali, poi dappertutto dove ce ne fosse stata la possibilità190.
Come la FGT e a differenza del progetto ufficiale di Brenno Galli, Marazzi approfondì
la questione centrale del finanziamento. In linea con quanto espresso dagli studenti universitari il costo dell’impresa non avrebbe di certo costituito un ostacolo. Forte dei dati
sui costi delle università popolari in Svizzera, stimava un sussidio cantonale di 600 franchi a corso – poco più di quanto indicato dai goliardi – dunque di 6’000 franchi per i
dieci corsi previsti191.
È interessante notare come anche in questa occasione si prese contatto con
Hermann Weilenmann, che nuovamente promise tutto l’appoggio possibile al Ticino, e
pure con l’Università popolare di Losanna192. Dopo aver esaurito la parte informativa
dell’articolo, Marazzi invitava i sostenitori di tale iniziativa a riunirsi per discutere del
problema e auspicava la formazione di una commissione di studio con lo scopo di «saggiare il terreno presso le autorità cantonali e comunali interessate, eventualmente anche
presso enti privati»193. Presumibilmente gli iniziativisi, guidati da Guido Marazzi, trovarono nelle autorità cantonali l’interlocutore ideale il quale a questo punto era pronto
a lanciarsi in un progetto che aleggiava da tempo.
Nel testo introduttivo del primo programma dei Cpa Plinio Cioccari non
poteva non fare riferimento all’evoluzione della società. Nonostante mettesse l’accento sul cambiamento rapido, il suo non era un segnale d’allarme, ma piuttosto un invito
a prendere coscienza del nuovo contesto sociale e ad assumersi le nuove responsabilità
che ne derivavano:
«Il mutare vertiginoso del modo di vivere esige che ognuno acquisti attraverso il sapere
la facoltà di una valutazione sempre più chiara e completa dei fatti, perché si renda indipendente; in una
parola perché sia un Uomo libero. Una società che si preoccupa, a giusta ragione, di ridurre i tempi di
lavoro, ha il dovere di ridurre i divieti che ancora negano a molte persone l’esatta coscienza dei tempi
nuovi, dei nuovi problemi che essi comportano e delle nuove responsabilità che a noi derivano, come
uomini e come cittadini»194.
188. MARAZZI, Guido, «L’Università popolare o Scuola popolare superiore», L’educatore della Svizzera italiana, fasc. 3, 1960, p. 22.
189. Ibidem, p. 22.
190. Ibidem, fasc. 4-5, 1960, p. 42.
191. Ibidem, fasc. 4-5, 1960, pp. 39, 42.
192. Ibidem, fasc. 3, p. 21.
193. Ibidem, fasc. 4-5, p. 42.
194. CIOCCARI, Plinio, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, 1963, p. 1.
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Lo Stato con l’istituzione dei Cpa era dunque pronto ad assolvere il suo
compito mettendo a disposizione gli strumenti necessari a una nuova presa di coscienza
individuale e collettiva. Tuttavia, in uno Stato democratico l’obiettivo sarebbe stato raggiunto solo in caso di risposta positiva da parte della popolazione, un’ulteriore ragione
della forma sperimentale dell’iniziativa. Alle parole del direttore del DPE seguivano
quelle di Guido Marazzi che spiegava il senso e le caratteristiche dei Cpa nel contesto
ticinese facendo riferimento a realtà simili in Svizzera e nel mondo. In Ticino come in
Svizzera questi corsi si proponevano:
«di integrare, con corsi specializzati, l’istruzione professionale di base, di corrispondere agli interessi culturali del popolo in direzioni particolari, anche e specialmente non utilitarie, di sollecitare gli interessi civici e sociali e di educare all’indipendenza ed alla razionalità di giudizio»195.
Marazzi aggiungeva che con i Cpa il Cantone si prestava a completare le
conoscenze scolastiche o a integrarle attraverso l’esame dei problemi della vita
sociale196. Da un punto di vista generale lo scopo era dunque di natura culturale e
sociale. Per far comprendere come tutto il paese avesse un assoluto bisogno di corsi di
questo tipo, il direttore dei Cpa si affidava alle parole di Weilenmann, riportandone un
ampio passaggio dove, ancora una volta, s’insisteva sulla dualità che caratterizzava l’individuo come uomo e cittadino e sul senso che la cultura aveva per entrambi in uno
stato democratico:
«I rapporti dell’uomo con la natura, la società, lo stato, l’economia, la cultura non cessano che al momento della morte. L’individuo si orienta e si comporta nell’ambiente che lo circonda in
funzione della vastità e dell’intensità dei suoi rapporti con le cose, le persone, i gruppi sociali, le istituzioni, le idee. Il senso autentico della cultura per l’uomo consiste nell’approfondimento dei suoi rapporti
con l’ambiente, unica possibilità di inserirsi attivamente nella società e di arrivare a conoscere se stesso.
La democrazia esige che ogni cittadino comprenda ciò che decide. In un tempo in cui i compiti dello
stato si moltiplicano ed esso deve incidere sempre più sulla vita del singolo, è d’importanza fondamentale che i cittadini siano informati sulla vita politica ed economica che determinano col loro voto. È veramente democratico solo quel popolo la cui maggioranza sa trovare la soluzione giusta ai problemi posti:
perciò dal grado di cultura raggiunto dipendono la collaborazione nella vita civica, l’attività culturale, la
qualità del lavoro, la salute pubblica, la pace sociale»197.
Marazzi ribadiva che era compito della Stato rispondere a questa esigenza
mettendo a disposizione dei cittadini i mezzi, gratuiti e facoltativi, per approfondire le
proprie conoscenze e colmare le proprie lacune198. Gli indirizzi che i Cpa desideravano offrire, soprattutto negli sviluppi futuri, erano tre: educazione politico-sociale, sviluppo di interessi culturali extra-professionali e perfezionamento professionale.
Per la prima edizione erano previsti otto corsi serali di una durata variabile, dalle nove alle quattordici lezioni, ripartiti nelle sedi di Bellinzona, Biasca, Locarno
195.
196.
197.
198.
MARAZZI, Guido, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, 1963, p. 3.
MARAZZI, Guido, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, 1963, p. 2.
Ibidem, p. 3.
Nell’art. del 1960 Marazzi, non ancora certo dell’entità del sostegno dello Stato, riteneva opportuno prelevare delle tesse d’iscrizione secondo l’esempio delle università popolari svizzere. In ogni caso si trattava di otto franchi, dunque poco più dei cinque franchi simbolici dei primi Cpa, in: MARAZZI, Guido, art. cit., fasc. 4-5, 1960, p. 42.
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e Lugano, dove degli incaricati locali avrebbero dato le informazioni necessarie e raccolto le iscrizioni. La partecipazione era aperta a tutti ed era come detto gratuita. Le sei
materie in programma erano: La situazione economica del Ticino (due corsi, uno a Bellinzona e uno a Lugano), Astronomia (Locarno), Biologia (Lugano), Chimica (Lugano),
Matematica (due corsi, uno a Bellinzona l’altro a Locarno) e La televisione come fatto
tecnico (Biasca)199. Questa prima prova non prevedeva dunque, come era facile intuire,
materie di tipo letterario. A questo proposito, nel contributo pubblicato nel 1960 sull’Educatore della Svizzera italiana, Marazzi sottolineava un argomento già emerso in
precedenza, indicando l’importanza per l’Università popolare ticinese di distaccarsi
chiaramente dall’organizzazione dei Circoli di cultura e ancor più nettamente dalle consuete conferenze che vi avevano luogo200. Marazzi in quell’occasione parlava della
necessità di un’organicità e di una differenziazione delle attività che avrebbe significato
promuovere le «materie più disparate», per esempio corsi di «igiene, di storia, di geografia, di materie tecniche e scientifiche»201. Il corpo insegnanti, come previsto nel
1960, era costituito da docenti delle scuole cantonali e da specialisti del ramo. Per il
momento mancavano all’appello solo i docenti universitari202. Per presentare in modo
preciso la situazione economica del Cantone, in via eccezionale, le lezioni furono affidate a più conferenzieri203.
Nel programma dei corsi oltre alla sede, la durata, l’orario e il docente,
erano indicati lo scopo e i contenuti. In queste descrizioni si ritrovavano diversi elementi emersi a suo tempo nei progetti anteriori all’istituzione dei Cpa e ribadite in
ultima analisi dal futuro direttore dei corsi, come ad esempio le principali caratteristiche riguardo le modalità di svolgimento e di presentazione della materia, ovvero la semplicità, l’ausilio di mezzi didattici moderni e un approccio non scolastico, rivolto
piuttosto a metodi di lavoro che avrebbero impiegato più direttamente i partecipanti
tenendo conto delle loro diverse esigenze. In nessuna delle materie proposte era necessario avere delle conoscenze specifiche e neppure beneficiare di titoli di studio, eccezion fatta per il corso di matematica che richiedeva delle basi equivalenti al programma
svolto in quella materia nella scuola maggiore. Questo aspetto di per sé non era sorprendente, ma se si considerava che di quelle cinque materie tre erano di tipo scientifico, solitamente ostiche a un pubblico profano, e che una concerneva una questione
tecnica e di attualità come la televisione204, è possibile fare delle prime osservazioni
199. Ibidem, p. 4. I corsi di Matematica, Biologia e Chimica erano previsti su più anni.
200. MARAZZI, Guido, «L’Università popolare o Scuola popolare superiore», L’educatore della Svizzera italiana, fasc. 3 e 4-5, 1960, pp. 22, 42.
201. Ibidem, pp. 22, 42.
202. MARAZZI, Guido, art. cit., 1960, p. 42.
203. Ecco l’elenco completo dei conferenzieri: Guido Cotti: Il paesaggio naturale; Le possibilità dell’ambiente naturale (in collaborazione con Flavio Ambrosetti), Flavio Ambrosetti: Il clima; Le possibilità dell’ambiente naturale, Giuseppe Conti: Nozioni elementari di economia; Attività economiche della fase secondaria; Attività economiche della fase terziaria (I e II), Aldo Dell’Ambrogio: Attività economiche della fase primaria, Bruno Caizzi: Compiti attuali e prospettive dell’economia ticinese, L’evoluzione
dell’economia ticinese nell’ultimo mezzo secolo, Guido Locarnini: Economia e politica,
Plinio Cioccari: Effetti economici della spesa pubblica.
204. Il periodo fecondo della Televisione della Svizzera italiana si era aperto nel giugno del
1958, BLASER, Marco, «Politica e comunicazione di massa», in CAVADINI,Adriano, e alii,
op. cit., p. 29.
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sulle intenzioni della direzione dei Cpa riguardo la natura dei corsi. Sembra che la
volontà fosse quella di partire da zero per permettere di coinvolgere un pubblico il più
vasto possibile, Marazzi parlava di un istituto aperto «a tutte le classi sociali»205. Le
problematiche poste dal nuovo contesto sociale alle quali si voleva far fronte con i Cpa
interessavano tutta la popolazione, di conseguenza lo stesso avrebbe dovuto valere per
i corsi, esclusi evidentemente quelli di perfezionamento professionale; in quel caso
infatti ci si rivolgeva a un pubblico ristretto come per le lezioni di matematica, destinate
a coloro che intendevano approfondire le proprie conoscenze nel campo dell’elettricità, della radiotecnica e della meccanica206. In pratica gli elementi dei discorsi erano
gli stessi emersi nella definizione dei Corsi speciali e in particolare dei Corsi di cultura
popolare prescritti dalla legge della scuola del 1958.
Il fatto che nella prima edizione si fosse puntato sulle scienze e su temi
di attualità poteva spiegarsi con la tendenza, già manifestata durante e dopo gli anni di
guerra da alcuni Circoli di cultura, a promuovere questo genere di materie. Si trattava
oltretutto di discipline nelle quali, a differenza di quelle umanistiche, il progresso tecnico stava permettendo di raggiungere nuove scoperte207. Inoltre erano discipline che
facevano parte dei programmi delle università popolari svizzere prese da modello208.
Visto che lo scopo dei corsi era anche e soprattutto sociale, l’insegnamento di queste materie doveva poter avere delle implicazioni sociali. I docenti avrebbero dovuto sforzarsi di adeguare le loro specializzazioni alle esigenze di un pubblico
particolare209.
Così ad esempio per il corso di chimica nel primo programma si precisava che l’ultima parte della lezione sarebbe stata dedicata allo studio di un fenomeno
o procedimento chimico con lo scopo di vederne un’applicazione pratica nella vita di
tutti i giorni210. Inoltre non dimentichiamo che la scienza e la tecnica erano, nel bene e
nel male, due aspetti caratteristici del progresso della modernità e in questo senso il
carattere scientifico dei programmi non concerneva unicamente l’educazione degli
adulti. Nella seduta del Gran Consiglio dell’ottobre 1963 Arnoldo Tamburini dichiarava
riguardo le scuole medie che «un aggiornato indirizzo di tono scientifico e tecnico
sarebbe necessario, poiché una scuola media che non risponde a quelle che sono le esigenze dell’economia del paese manca alla sua funzione»211. Durante la stessa seduta,
il socialista Elio Galli si felicitava con il DPE per aver compiuto un primo passo verso
l’attuazione di un sistema di istruzione permanente degli adulti, una delle componenti
205. MARAZZI, Guido, art. cit., 1960, p. 22.
206. MARAZZI, Guido, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, 1963, p. 8.
207. Ad esempio, nel corso di biologia del professor Guido Cotti si parlava di recenti scoperte biologiche, oppure la stessa televisione rappresentava ancora per certi versi un mistero. Negli anni successivi si possono trovare numerosi altri esempi, soprattutto nella stampa.
208. A questo proposito, in aggiunta a quanto visto precedentemente negli scambi epistolari
tra Brenno Galli e Hermann Weilenmann, si veda l’art. di Guido Marazzi il quale nel 1960
presenta nel dettaglio gli esempi delle università popolari di Zurigo e Losanna dove si
svolgevano diversi corsi scientifici, in: GUIDO, Marazzi, art. cit., 1960.
209. Ibidem, p. 22.
210. MARAZZI, Guido, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, 1963, p. 15. Quest’argomento era già stato sollevato nell’art. di Giuseppe Martinola del quale si è già parlato: MARTINOLA, Giuseppe, art. cit., pp. 10,11.
211. VGC, Sessione ordinaria primaverile 1963, Seduta XXII, 21.10.1963, p. 587.
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essenziali della tanto inneggiata democratizzazione degli studi212. A questo proposito
Cioccari affermava che il DPE era convinto che solo attraverso i corsi facoltativi per
adulti era possibile giungere a una migliore diffusione della cultura213. E ancora, che a
differenza di quanto avveniva negli altri paesi, nei quali i corsi di cultura erano l’emanazione di gruppi economici, in Ticino questi erano stati promossi e interamente finanziati dallo Stato. Con l’istituzione dei Cpa l’educazione degli adulti, che era nata
all’ombra della nuova legge scolastica, guadagnò maggiore visibilità anche presso l’opinione pubblica, come dimostrano i numerosi articoli di giornale dedicati all’attività
del nuovo ente cantonale214.
Le reazioni dei principali quotidiani ticinesi furono in gran parte positive.
Si parlava di un’iniziativa valida, degna del massimo interesse e che stava incontrando
un successo lusinghiero. A Lugano i tre corsi in programma registrarono il numero massimo di partecipanti: 35 al corso di chimica del prof. Franco Zschokke, 45 a quello di
biologia di Guido Cotti e più di 50 presenze ai corsi-conferenza sulla situazione economica del Cantone215. Nel Sopraceneri ai due corsi in programma a Locarno parteciparono una quarantina d’iscritti216. Di Bellinzona fu riportato solo il successo del corso
sulla situazione economia del Cantone che anche nella capitale fu seguito da 50 persone217. Non si avevano invece informazioni sull’esito del corso relativo alla televisione
come fatto tecnico tenutosi a Biasca.
Il Giornale del Popolo, riferendosi al corso di matematica di Locarno, si
felicitava anche per i metodi di insegnamento impiegati, che permettevano all’allievo
di raggiungere determinati traguardi attraverso l’esercitazione diretta e non ascoltando
passivamente un conferenziere218. Nello stesso articolo l’autore concludeva dando
alcune informazioni sul pubblico presente allo stesso corso tenuto a Bellinzona.
Secondo lui il successo non si misurava tanto dal numero di iscritti quanto dall’età dei
partecipanti, metà dei quali avevano oltre quarant’anni e che malgrado ciò non avevano
disdegnato la possibilità loro offerta di migliorare la propria posizione professionale219.
Per il corso sulla situazione economica del Cantone, sempre nella capitale, si riferiva
invece che i partecipanti provenivano dal ceto medio ed erano in gran parte impiegati,
funzionari e docenti220. Da questo punto di vista l’articolo più interessante fu quello
212. Le altre due componenti citate erano: l’attuazione della scuola unica per il tutto il periodo dell’obbligatorietà scolastica e la completa democratizzazione degli studi medio-superiori e superiori, in: VGC, Sessione ordinaria primaverile 1963, seduta XXII,
21.10.1963, p. 589.
213. VGC, Sessione ordinaria primaverile 1963, seduta XXII, 21.10.1963, p. 605.
214. Per un quadro generale degli articoli apparsi sulla stampa ticinese si rimanda alla tabella negli allegati (I) a p. 127. Bisogna comunque tener conto che una parte di essi erano
degli articoli promozionali redatti dalla direzione dei Cpa.
215. «Verso una felice conclusione i corsi dell’Università popolare», in: Corriere del Ticino,
20.5.1963, p. 3. In un altro art. apparso in Popolo e Libertà si affermava che diversa gente aveva partecipato a più di un corso, in: «Corsi per adulti al Liceo», Popolo e Libertà,
5.4.1963, p. 3.
216. «Ottima accoglienza ai corsi per adulti», Il Dovere, 14.3.1963, p. 4.
217. «È sorta una nuova Associazione culturale», Gazzetta ticinese, 5.6.1963, p. 2.
218. «Questa sera iniziano nella nostra città i Corsi per adulti», Giornale del Popolo, 11.3.1963,
p. 3.
219. Ibidem, p. 3.
220. «È sorta una nuova Associazione culturale», Gazzetta ticinese, 5.6.1963, p. 2.
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pubblicato nell’aprile del 1963 da Popolo e Libertà che faceva il punto sull’origine
sociale del pubblico dei corsi di Lugano:
«impiegati che nel loro lavoro sono a contatto con persone e ambienti di cultura. Numerosi i docenti, specialmente di scuola maggiore, che trovano l’occasione di rivedere certi aspetti della
loro preparazione e mantenersi al passo con l’evoluzione scientifica. […] Pochi gli operai; si tratta di
persone che già in passato dimostrarono, attraverso un’attività autodidattica, certi interessi culturali»221.
Ai corsi dunque avevano partecipato coloro che già li attendevano. Per
questa ragione secondo l’autore uno dei compiti principali della direzione dei Cpa
sarebbe stato quello di invogliare chi solitamente era escluso dai canali culturali del
Cantone. Detto ciò si rivolgeva a chi, magari per timore, era rimasto a casa, assicurandolo che non era necessaria una grande preparazione scolastica, ma bastava la buona
volontà poiché i professori tenevano piuttosto delle conversazioni che delle lezioni. Si
trattava come detto dell’articolo probabilmente più interessante pubblicato dalla stampa
ticinese nel 1963, anche perché fu l’unico che in un clima generale d’entusiasmo a
favore dell’iniziativa pubblica si permise un’osservazione critica. Pur essendo contenti
di questo primo esperimento, al quale auguravano pieno successo per il futuro, costatavano con una certa amarezza che anche in questo settore si era verificato il fatto,
ormai consueto in Ticino, di uno Stato che veniva preceduto nelle realizzazioni sociali
dall’iniziativa privata. L’autore si riferiva alle Scuole club Migros che da qualche anno
organizzavano corsi culturali popolari con indubbio successo. E a questo proposito
commentava:
«Nessuno ce ne voglia, perciò, se ammettiamo di essere stati sfiorati dal dubbio che i
corsi siano stati organizzati, proprio per non dover morire di vergogna di fronte alla iniziativa privata. Un
Dipartimento Educazione che si fa precedere, nel campo dell’educazione popolare, da un negozio di
commestibili!!»222.
Non stupiva che le critiche venissero pubblicate sull’organo ufficiale del
partito conservatore che ancora non aveva digerito la perdita del DPE. Marazzi riconosceva che in Ticino si sentiva l’esigenza di questi corsi, ma più che alla presenza delle
ScM, faceva riferimento a quanto succedeva nel contesto nazionale dove solo durante
il 1962 erano state realizzate in 20 cantoni confederati 148 istituzioni simili: 138 a
livello locale e 10 regionale223. Non menzionò dunque l’attività nell’ambito dell’educazione degli adulti dell’attore più importante, in termini di cifre, in Svizzera.
A marzo, nel primo mese di attività dei Cpa, sul Corriere del Ticino si sollevava indirettamente quello che sarebbe potuto diventare un limite dei Cpa224. Sorpresi
dalla poca pubblicità sulla stampa a favore di un evento culturale comunque notevole,
si pensò che fosse dovuto al numero ristretto di posti disponibili. Evidentemente, come
221. Si diceva che le informazioni erano giunte dall’incaricata locale dei corsi, ovvero la segretaria Ersilia Fossati, in: «Corsi per adulti al Liceo», Popolo e Libertà, 5.4.1963, p. 3.
222. Ibidem, p. 3.
223. MARAZZI, Guido, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, p. 4.
224. «Sono cominciati in questi giorni i primi corsi. L’Università popolare: un’iniziativa interessante», Corriere del Ticino, 9.3.1963, p. 2.
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si è già ripetuto più volte, la prima edizione dei Cpa fu un esperimento, ma nonostante
ciò anche in futuro avrebbero potuto porsi delle difficoltà sul piano delle risorse umane,
anche perché, secondo la pedagogia moderna, le classi non dovevano comprendere un
numero troppo elevato di allievi. I Cpa rispondevano a un esigenza sociale, ragione per
la quale si rivolgevano a tutta la popolazione senza barriere d’età, classe o religione e
la gratuità ne era la prerogativa. Tuttavia, sarebbero potuti crescere solo nella misura in
cui vi fosse stato un numero sufficiente di docenti. Quello degli insegnanti era un problema già noto alla scuola ticinese e riguardava soprattutto le loro qualifiche rispetto alle
nuove esigenze pedagogiche225. Queste difficoltà si sarebbero dunque potute ripercuotere anche sull’educazione degli adulti. Nel 1963 vi era già il caso di Guido Cotti che
oltre a tenere i corsi-conferenza all’interno del programma sulla situazione economica
del cantone, si occupava anche dei corsi di biologia a Lugano. Nonostante ciò, dopo il
successo conseguito nel primo esperimento con un totale di oltre 400 presenze, il DPE
era intenzionato a proseguire l’avventura aumentando il numero di corsi e di sedi226.
3.3.
I Corsi per adulti e le Scuole club Migros
Quando i Cpa vennero istituiti s’iscrissero in un contesto culturale già
dinamico. Infatti, oltre alla presenza di organi ufficiali e di enti sussidiati dallo Stato dei
quali abbiamo visto gli esempi principali con la STCI e i Circoli culturali, da tempo si
organizzavano sul territorio del Cantone i corsi delle ScM. Prima di cominciare l’analisi sui Cpa abbiamo ritenuto opportuno tracciare un quadro di paragone soprattutto tra
i corsi pubblici del DPE e quelli privati delle cooperative Migros. Visto il divario temporale nello sviluppo delle due attività e l’assenza di dati conformi, abbiamo rinunciato
a un confronto sistematico su più anni, prediligendo invece l’analisi del rapporto tra le
due istituzioni227. Per prima cosa presenteremo in breve le ScM e la loro attività in Svizzera nei primi vent’anni d’esistenza.
3.3.1.
Il movimento delle Scuole club Migros
Nel novembre 1943 il fondatore della catena di alimentari Migros, Gottlieb Duttweiler, ebbe l’idea di creare delle scuole popolari di lingue per adulti228. Il
movimento delle Scuole club fu così lanciato durante gli ultimi anni di guerra dalle
cooperative Migros e le prime lezioni ebbero luogo nel maggio 1944 a Zurigo. Come
225. A tal proposito si vedano in particolare i Verbali del Gran Consiglio dei primi anni Sessanta. Tuttavia si tratta di una problematica che si sarebbe protratta anche al di là di questo periodo.
226. RCS, cit.,1963, p. 287.
227. Il problema relativo ai dati consiste soprattutto nel modo di misurare la partecipazione.
Le cifre possono indicare i partecipanti o i partecipanti-ora, ovvero il numero di allievi
moltiplicato per il numero di ore che hanno seguito. Nei rapporti di attività della Federazione delle cooperative Migros che abbiamo consultato (Rapport d’activité de l’administration de la Fédération des coopératives Migros pour l’année [...] à l’ intention de
l’Assemblée des délégués, Zurich: [s.n], 1950-1974) troviamo l’uno o l’altro e ogni tanto entrambi. Inizialmente sono raccolti i dati per regione linguistica, poi dal 1962 solo il
totale nazionale.
228. BOURGOZ, René e alii, op. cit., p. 16.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
mostrava il prospetto apparso a marzo nell’organo interno d’informazione Wir Brückenbauer, si trattava di corsi di lingue, d’italiano, francese, inglese, spagnolo e russo229. L’iniziativa conobbe un successo immediato e impressionante: al posto delle 200 iscrizioni
attese ve ne furono 1’400230. All’epoca si attendeva con impazienza la riapertura delle
frontiere e le lezioni venivano offerte a prezzi vantaggiosi231. Si trattò dunque di un
vero e proprio boom delle lingue nel dopoguerra232.
Le ScM furono le maggiori beneficiarie della politica sociale intrapresa
dalla Migros nel 1941, quando venne abbandonata la forma di società anonima a favore di quella cooperativa che conveniva maggiormente alla filosofia del suo fondatore233.
Duttweiler era convinto che bisognava dare un senso più globale all’esigenza di prosperità
insita nell’uomo e non limitarsi a soddisfarne lo stomaco. Grazie all’economia della sovrabbondanza le prospettive erano cambiate, ma un livello di vita alto veniva troppo spesso indicato in funzione di beni materiali. Secondo lui era necessario investire nel livello morale, spirituale e culturale della popolazione poiché il futuro stesso dipendeva da
essi234. Nel 1955 affermava: «Il ne suffit pas de garder les gens en vie, il faut aussi les
conserver pleins de vie, les protéger contre la dépression et contre le sentiment de leur
propre inutilité»235.
Un elemento che caratterizzò da subito le ScM fu l’atmosfera di grande
libertà nel frequentare i corsi. Le classi erano composte da pochi allievi, all’incirca una
decina che, se lo desideravano, potevano andarsene in ogni momento della lezione. Bourgoz e i suoi colleghi, che esaminarono da vicino l’esperienza della ScM di Losanna, trovarono sorprendente vedere come gli adulti studiassero con entusiasmo qualora ne avevano la possibilità e non erano obbligati a farlo236.
L’esito più che positivo spinse già dal 1946 a estendere il programma a
più discipline che rispondevano al motto di «loisirs heureux»237. S’invitava a usare il tempo libero per risvegliare e sviluppare le proprie forze creatrici latenti al fine di rendere
più sopportabile la specializzazione sempre più spinta della vita professionale moderna238.
A turno materie quali disegno, pittura, fotografia, bricolage, musica, danza, cha-cha-cha, vela, equitazione, scherma, scacchi, bridge o ancora corsi su come abi229. MUNZ, Hans, Le phénomène Migros: l’histoire de la communauté Migros, PLAUT, Alec
(trad.), Zurich; Lausanne: Ex Libris, 1974, p. 146. Si veda il prospetto tra gli allegati (IX)
a p. 136.
230. HÄSLER, Alfred A., L’aventure Migros: 60 ans d’une idée jeune, REYNES, Pierre (trad.),
Zurich: Fédération des coopératives Migros, 1985, p. 237.
231. Häsler parlava di 5,50 franchi al mese per due lezioni settimanali di un’ora e un quarto,
in: Ibidem, p. 237. Nel rapporto della Federazione delle cooperative Migros del 1951 si
parlava di 6 franchi al mese per 4-5 ore di corso, Rapport d’activité […] cit.,, 1951, p. 53.
232. Ibidem, 1953, p. 48.
233. Per assicurare in futuro gli stessi sforzi di promozione in ambito culturale e sociale fu introdotto negli statuti l’art. che imponeva alle cooperative di consacrare lo 0,5% delle propria cifra d’affari a obiettivi di natura culturale, sociale, economica e di interesse generale. Da parte sua la Federazione delle cooperative s’impegnò per lo stesso fine a utilizzare l’1% della cifra d’affari, BOURGOZ, René e alii, op. cit, p. 19.
234. MUNZ, Hans, op. cit., p. 308.
235. HÄSLER, Alfred A., op. cit., p. 237.
236. BOURGOZ, René e alii, op. cit., p. 16.
237. Ibidem, p. 19.
238. HÄSLER, Alfred A., op.cit., p. 237.
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tare meglio, sulla cura dei fiori, i pomeriggi per casalinghe e altri ancora entrarono a far
parte dei programmi di un numero sempre maggiore di scuole, la cui frequentazione era
in continuo aumento239. Nonostante lo sviluppo progressivo delle discipline, nel 1953
i corsi di lingue e quelli a carattere artistico rappresentavano il centro delle attività delle ScM, con i primi che occupavano i due terzi dell’insieme del programma240. L’anno
successivo si contavano in tutta la Svizzera 70 materie diverse di cui se ne arrivavano
ad insegnare fino a 38 in alcune scuole 241. Nel 1957 fu creata la sezione dei corsi di perfezionamento professionale che, come si precisò in seguito, non si limitava a curare l’aspetto tecnico della professione, ma piuttosto lo sviluppo della personalità e dello spirito d’iniziativa242. Da quel momento in poi le ScM avrebbero perseguito un duplice scopo tanto sul piano del tempo libero che su quello professionale. Nel frattempo stavano
crescendo i corsi d’arte, di bricolage e di sport, mentre quelli di lingue subivano una diminuzione. Tenendo conto non solo dei bisogni, ma anche delle possibilità, le materie
proponibili non conoscevano limiti. Alla fine degli anni Cinquanta la percentuale delle ore dedicate alle arti e mestieri, al perfezionamento professionale e allo sport raggiunse
il 54% superando per la prima volta quella delle lingue243. Questa tendenza proseguì negli anni successivi raggiungendo il suo apice nel 1966 con una percentuale del 71%, stabilizzandosi in seguito intorno al 70%244.
Già il primo bilancio del 1948 dimostrava che le ScM avevano colmato
una lacuna nel sistema educativo svizzero245. Alle ScM fu quindi riconosciuta un’importanza culturale anche perché presto divennero l’organo di educazione degli adulti più
importante del Paese in termini quantitativi246.
In termini qualitativi invece la missione delle ScM veniva giustificata
facendo riferimento alla definizione che il Consiglio d’Europa aveva dato di cultura:
«La culture c’est tout ce qui permet à l’individu de se situer par rapport au monde, à la
société, mais aussi par rapport à son patrimoine natal; c’est tout ce qui contribue à ce que l’homme comprenne mieux sa situation dans l’éventuel but de la modifier»247.
Per rispondere al proprio pubblico ogni istituto conservava la propria
autonomia, ma vi era comunque una base comune a tutte le ScM che consisteva nel
permettere ai partecipanti di:
«rafraichir leurs connaissances ou d’en acquérir de nouvelles, de développer des dons
artistiques souvent insoupçonnés, d’enrichir leur personnalité, tout cela dans une ambiance de liberté
aussi grande que possible, sans obligations scolaires et dans le cadre de petits groupes de travail»248.
239. Nel 1950 vi erano 14 scuole alle quali parteciparono 23’075 allievi; nel 1960 si contavano 32 istituti e 100’000 iscritti; nel 1970 erano addirittura 94 e i partecipanti 200’000, in:
Rapport d’activité […] cit., 1950; 1960; 1970, p. 46, p. 60, p. 54. Per un quadro evolutivo più preciso si rimanda alla tabella allegata (X) a p. 137.
240. Rapport d’activité […] cit., 1953, p. 49.
241. Rapport d’activité […] cit., 1954, p. 50.
242. Rapport d’activité […] cit., 1958, p. 57.
243. Rapport d’activité […] cit., 1959, p. 62.
244. Rapport d’activité […] cit., anni 1959-1974.
245. BOURGOZ, René e alii, op.cit., p. 22.
246. MUNZ, Hans, op. cit., p. 149.
247. HÄSLER, Alfred A., op. cit., p. 237.
248. BOURGOZ, René e alii, op. cit., p. 23.
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Per Bourgoz, si era realizzato su basi private un’opera d’interesse nazionale incontestabile249. Secondo lui in un paese a concezione liberale come la Svizzera
lo Stato non sarebbe dovuto praticamente intervenire nel tempo libero dei cittadini.
Solo un’impresa che disponeva di grandi mezzi come la Migros poteva sopportare il
peso considerabile di un sovvenzionamento della cultura popolare. Il successo riscosso
dalle ScM si spiegava per la grande capacità di adattamento ai bisogni fluttuanti del
pubblico, per la grande varietà di discipline insegnate e per la forma particolare di una
pedagogia non direttiva che rispondeva alle diverse sensibilità della popolazione, tanto
dell’operaio che voleva apprendere nuove conoscenze quanto delle donne da assistere
nelle loro attività casalinghe250.
3.3.2.
Le Scuole club Migros in Ticino
Le ScM furono istituite in Ticino nei primi tre mesi del 1957 presso i
centri di Lugano, Bellinzona e Locarno. Durante il loro primo anno di attività, da settembre 1957 a giugno 1958, 1’780 persone presero parte ai corsi offerti dalla nuova
struttura251. Eccezionalmente rispetto allo sviluppo nazionale, tra il primo e il secondo
anno vi fu un calo nella partecipazione che però dal terzo fu recuperato, ristabilendo la
tendenza positiva252.
Nel primo programma pubblicato sui quotidiani si enunciarono i principi base; le prerogative erano l’ambiente di lavoro gioioso e le modalità d’insegnamento secondo le quali i docenti avrebbero preso posto allo stesso tavolo degli allievi.
È interessante notare l’intenzione fin dal principio di richiamare a sé, grazie a una vasta
gamma di proposte già sperimentate nel resto della Svizzera, un pubblico numeroso ed
eterogeneo:
«La Scuola Club Migros vuole essere fonte di gioia nella spontanea applicazione personale. Il vostro hobby deve poter essere coltivato in un ambiente adatto e vi darà allora un vero piacere.
Tutti troverete qualche corso interessante tra i molti: i prezzi sono convenientissimi e tutti possono aumentare le loro cognizioni, realizzando così beni indistruttibili»253
Seguendo il modello nazionale, l’offerta si concentrò sui corsi di lingue
e su quelli artistici che i partecipanti potevano seguire per tutto l’anno. Italiano per confederati, francese, tedesco, inglese e spagnolo le lingue; disegno, pittura, scultura, ceramiche e porcellana le tecniche artistiche proposte. Nel primo caso il costo mensile era
di 6 franchi – materiale compreso – per quattro lezioni di un’ora in gruppi di 10-15
persone. Per le arti le ore di lezione erano doppie e quindi anche il prezzo del corso che
però non comprendeva le spese per i materiali impiegati nella creazione di oggetti.
Il resto dell’offerta presentava materie molto diverse tra loro: da corsi di
contabilità, dattilografia, fotografia, a corsi di scuola guida, ballo o ancora sulla cura
249.
250.
251.
252.
Ibidem, p. 17.
Ibidem, p. 17.
«Scuola Club Migros», Popolo e Libertà, 20.9.1958, p. 4.
Queste le cifre dei primi tre anni: 20’185, 19’598, 25’120, in: Rapport d’activité […] cit.,
anni 1957-1959.
253. «Scuola Club Migros», Popolo e Libertà, 20.9.1958, p. 4. Il programma pubblicato nel
giornale si trova in allegato XI a p. 134.
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delle piante d’appartamento, senza dimenticare lo sport con il tennis e l’equitazione. A
seconda del corso queste attività si svolgevano in un periodo tra le 8 e le 24 ore totali e
il costo variava tra i 15 ai 60 franchi.
Alcuni anni più tardi emerse una delle particolarità del programma ticinese delle ScM, i Corsi di cultura contemporanea. Si trattava di cicli di lezioni, da due
a quattro serate, che rappresentavano un tentativo «encomiabile» di Università popolare nel Cantone a favore dell’incremento culturale254. La scelta di svolgere queste lezioni
anche in località periferiche rispondeva ai bisogni caratteristici del Ticino che, vista la
ripartizione della popolazione sul territorio, presentava una sproporzione tra le occasioni
di tipo culturale offerte nelle zone urbane e quelle nelle zone rurali255.
Dopo il successo delle prime due edizioni, nel settembre 1962 il quotidiano Popolo e Libertà presentò in un articolo il programma della terza. Gli argomenti riguardavano le materie seguenti: biologia, cinema, diritto fiscale, letteratura, medicina, musica, pittura, psicologia e sociologia, teatro e si sarebbero svolti ad Acquarossa, Bellinzona, Biasca, Chiasso, Faido, Locarno, Lugano, Magadino, Mendrisio e Tesserete. Tra gli oratori si trovavano il futuro direttore dei Cpa Elzio Pelloni che proponeva I problemi della biologia e l’ispettore delle scuole professionali cantonali Francesco Bertola, anche lui protagonista in futuro dei Cpa, a presentare la tematica La scuola dei genitori256. Le tasse d’iscrizione ammontavano dai tre ai cinque franchi e nel caso
di studenti a un franco.
3.3.3.
«Boom culturale»! Corsi per adulti, Scuole club Migros
e Circoli culturali a confronto nella conferenza dell’ASSI
Quando vennero istituiti i Cpa non vi fu alcun rifermento all’attività in
corso delle ScM, ma evidentemente in un contesto come quello ticinese la coesistenza
dei due organi, unita alla presenza di altri enti culturali quali i Circoli di cultura e altre
associazioni private, non poteva passare inosservata. Fu questa infatti la ragione che, nel
novembre 1964, spinse l’Associazione degli scrittori della Svizzera italiana (ASSI) a organizzare, presso l’aula magna della Scuola cantonale di commercio una conferenza riguardante i problemi culturali del Ticino e in particolare il coordinamento delle iniziative per la diffusione della cultura nel Cantone. Per capire quindi quali dinamiche s’instaurarono tra i protagonisti della scena culturale ticinese esamineremo i discorsi tenuti dai rappresentanti durante questa conferenza.
254. «Organizzati dalla Scuola Club Migros Ticino. Corsi di cultura contemporanea», Popolo e libertà, 19.9.1962, p. 2.
255. Nel 1966 il direttore dei Cpa descriveva la situazione in questi termini: «Si l’on pense au
fait qu’au Tessin – 200’000habitants pour environ 2’800 km2 – plus de la moitié de la population est concentrée dans une trentaine de communes occupant quatre zones qui couvrent à peine 1/15 de la superficie du canton, et qu’un autre quart est dispersé dans plus
de 150 communes petits ou très petites couvrant les 4/5 de la superficie totale, on comprend aisément que seul un effort de longue haleine entrepris par l’Etat permettra d’atténuer la disproportion criante entre les occasions de culture offertes à la population des
zones urbaines et à celle des zones rurales», in: MARAZZI, Guido, «Les Cours pour adultes organisés par le Département de l’instruction publique du canton Tessin», Études pédagogique: annuaire de l’instruction publique en Suisse, n. 57, 1966, p. 41.
256. «Scuola Club Migros», Libera Stampa, 7.1.1963, p. 3.
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L’ASSI voleva vederci chiaro in quello che nella prima metà degli anni
Sessanta veniva definito un «boom culturale» all’interno del quale, a loro modo di
vedere, l’organizzazione di lezioni e conferenze non sempre veniva fatta in modo sistematico257. Oltre al presidente dell’Associazione Giovanni Bonalumi, che fungeva da
moderatore, furono invitati i rappresentanti delle ScM, dei Cpa e dei Circoli di cultura,
rispettivamente Sergio Jacomella, Guido Marazzi e Vincenzo Snider.
Il tema suscitò delle controversie, più o meno velate nei toni dei protagonisti e relativamente accese nella stampa che a maggioranza criticò l’impostazione
della conferenza e s’interrogò sull’utilità di tale iniziativa. Fu sicuramente una situazione
delicata da analizzare poiché poteva sembrare che il confronto dei tre enti dovesse in un
certo modo designare un vincitore. Infatti la condotta del dibattito spinse gli interlocutori piuttosto a promuovere o difendere la propria attività che a cercare una base comune
a favore di una collaborazione o perlomeno di una coordinazione. In questo senso il Giornale del Popolo commentò che l’orgoglio di ognuno aveva impedito all’una o all’altra
parte di cedere anche solo un centimetro di territorio agli avversari258.
Da una parte la presenza di più iniziative culturali rappresentava un pregio per un Cantone dove, come annotava il Corriere del Ticino, la sensibilità per la cultura e per l’istruzione non mancava259; dall’altra però queste avevano ragione d’essere
solo in funzione del pubblico al quale si rivolgevano. Rispetto alla realtà di altri cantoni, quella ticinese non era di certo tra le più differenziate anche perché, come annotava il Giornale del Popolo, le disponibilità intellettuali erano ancora limitate260. Da questo punto di vista un’offerta troppo variata non avrebbe di fatto corrisposto alle ambizioni reali della popolazione. La presenza di più organi poteva dunque generare una situazione di tensione laddove si avesse voluto coinvolgere lo stesso pubblico. Ma oltre
all’offerta bisognava tener conto anche dello scopo dell’iniziativa che giocava un ruolo decisivo nella caratterizzazione dei vari enti, permettendo loro di coesistere, anche
se talvolta ai limiti della concorrenza. L’istituzione dei Cpa, gli ultimi arrivati, impose
dunque una riflessione sulla realtà culturale ticinese della quale si fece portavoce l’ASSI obbligando così i tre organi interessati a definire la propria fisionomia.
Il confronto portò essenzialmente sulla loro posizione nei riguardi del nuovo scenario culturale del dopoguerra dove, secondo Bonalumi, le distinzioni tra cultura popolare e cultura accademica, cultura d’élite e cultura di massa, cultura come ricerca
di verità e cultura di divulgazione, andavano superate in una sintesi superiore nella quale i termini, più che come realtà opposte, erano da considerare come aspetti e momenti di un’unica realtà261.
Snider considerava che vi erano appunto diverse vie percorribili per giungere alla cultura e che tutti i passi compiuti in questa direzione erano degni di considerazione. Riteneva dunque inutile interrogarsi su quale delle diverse forme era la più au257. «Gli scrittori si interrogano sulla realtà ticinese. Inchiesta sui circoli di cultura all’assemblea annuale dell’ASSI», Corriere del Ticino, 16.11.1964, p. 3.
258. Ibidem, p. 3.
259. «Sono cominciati in questi giorni i primi corsi. L’Università popolare: un’iniziativa interessante», Corriere del Ticino, 9.3.1963, p. 2
260. «Questa sera iniziano nella nostra città i Corsi per adulti», Giornale del Popolo, 11.3.1963,
p. 3.
261. «Auspicato dagli scrittori ticinesi Il coordinamento delle iniziative per la diffusione della cultura», Popolo e Libertà, 19.11.1964, p. 1.
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spicabile262. Dal canto suo dichiarava che non ci si doveva illudere riguardo all’azione
dei Circoli culturali, la quale non era certamente di massa, il che li confinava fatalmente
a luoghi per minoranze263. La loro attività consisteva piuttosto nell’impegnarsi a portare a contatto di un pubblico che era diventato «massa condizionata da soggetti, idee, immagini in serie da consumare in fretta e senza processo di assimilazione», conferenzieri
rappresentanti della cultura italiana264. Quando gli si chiese se la cultura avesse dovuto essere un privilegio di alcuni, rispose che non lo era, ma che invece doveva poter essere la conquista di ognuno, silenziosa e faticosa265. Concludeva il suo intervento provocatoriamente, affermando che non si faceva opera culturalmente democratica offrendo
prodotti per tutti, ma permettendo a tutti di avvicinarsi a prodotti eccelsi266.
Jacomella descrisse l’attività culturale della Migros come una forma di mecenatismo culturale volto a «spiritualizzare l’economia» e non una propaganda per le derrate alimentari come qualcuno affermava267. Faceva notare come la sezione culturale della Migros fosse attenta ai problemi posti dal tempo libero e come cercasse di raggiungere il più possibile le zone periferiche. Concentrò il suo intervento sulle cifre imponenti
del movimento nazionale delle ScM, con le quali i vicini di banco non potevano di certo competere, e su quelle relative alle tre ScM attive in Ticino. Nel 1963 vi erano state
organizzate 25 materie diverse per un totale di 9’970 ore d’insegnamento, tenute da 30
insegnanti268. Erano in fase di sviluppo dei corsi itineranti nei comuni di Airolo, Biasca,
Brione, Verzasca, Vogorno, Gordola, Novazzano, Mendrisio, così come i corsi di cultura che avrebbero sostituito l’iniziativa prevista precedentemente di corsi simili a quelli
organizzati dalle università popolari. In quell’anno i cicli di materie erano in corso in nove
località, ma si era deciso di sospenderli onde evitare un doppione con i Cpa269. Le ScM
ticinesi puntavano dunque su un programma molto diversificato e sempre più rivolto alle
località periferiche. Jacomella non si soffermò sui contenuti culturali dei corsi Migros,
forse per non entrare in merito alla provocazione del presidente della FCC. Si limitò a
confermare che il livello delle manifestazioni era stato messo in discussione, ma a questo proposito replicò invitando i più critici ad addurre delle prove270.
Per quanto concerneva i Cpa Marazzi tenne a puntualizzare fin da subito la differenza tra l’organo cantonale e i corsi offerti dalla Migros, in quanto il primo
262. «Sabato pomeriggio nell’Aula magna della scuola di commercio. Tentato dagli scrittori
della Svizzera italiana un dibattito sulla cultura nel nostro paese», Giornale del Popolo,
16.11.1963, p. 4.
263. «Gli scrittori si interrogano sulla realtà ticinese. Inchiesta sui circoli di cultura all’assemblea annuale dell’ASSI», Corriere del Ticino, 16.11.1964, p. 3.
264. «Sabato pomeriggio nell’Aula magna della scuola di commercio. Tentato dagli scrittori
della Svizzera italiana un dibattito sulla cultura nel nostro paese», Giornale del Popolo,
16.11.1963, p. 4.
265. IMPERIALI, Maura, «Corsi per adulti, circoli di cultura, attività culturale della Migros»,
Libera Stampa, 26.11.1964, p. 3.
266. «Sabato pomeriggio nell’Aula magna della scuola di commercio. Tentato dagli scrittori
della Svizzera italiana un dibattito sulla cultura nel nostro paese», Giornale del Popolo,
16.11.1963, p. 4.
267. Ibidem, p. 4.
268. «Auspicato dagli scrittori ticinesi Il coordinamento delle iniziative per la diffusione della cultura», Popolo e Libertà, 19.11.1964, p. 1 – continua p. 2.
269. Ibidem.
270. «Sabato pomeriggio nell’Aula magna della scuola di commercio. Tentato dagli scrittori
della Svizzera italiana un dibattito sulla cultura nel nostro paese», Giornale del Popolo,
16.11.1963, p. 4.
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s’ispirava all’esperienza ormai quarantennale della Volkshochschule di Zurigo271. L’argomento della longevità nel quale si voleva iscrivere i Cpa rispondeva in un certo senso alle affermazioni di Jacomella riguardo le cifre ragguardevoli delle ScM in Svizzera. Secondo Marazzi, malgrado l’esiguità del nucleo umano entro il quale si operava,
bisognava sfruttare la varietà dei campi di attività, rendendo in questo modo complementari le diverse iniziative272. L’ampiezza degli ambiti d’insegnamento non si misurava in relazione alla varietà dei temi, ma piuttosto nella diversa impostazione del programma culturale. Dal canto loro i Cpa si proponevano di:
«aiutare gli uomini del nostro tempo a tenere il passo col ritmo vertiginoso che si dà in
ogni campo della cultura e della tecnica e di recuperare quelli, specie operai, che hanno perduto, per varie
ragioni, certe possibilità di aggancio»273
Si costatava nella popolazione una certa inibizione di fronte alle iniziative culturali di carattere elevato. In questa maniera si rischiava di scoraggiare un inserimento nel mondo culturale che, nella concezione di Marazzi, oltre alla rubrica
strettamente culturale, avrebbe dovuto comprendere più in generale il settore sociale e
quello educativo274. Si era dunque scelto di promuovere una sezione professionale di
base e nel contempo una a carattere culturale-educativo. A questo proposito il Corriere
del Ticino commentava ch’era certo un’opera commendevole, ma che forse stava fuori
da quello che comunemente rientrava nella definizione di cultura275. Marazzi ne era
conscio, d’altronde l’iniziativa pubblica rispondeva anche soprattutto ad altre necessità. Da un punto di vista strettamente culturale i Cpa erano quindi da intendere come
un ausilio propedeutico nei riguardi di manifestazioni più complesse e specializzate
come quelle dei Circoli di cultura276. Secondo Marazzi la posizione dei Cpa era data dall’equilibrio, o forse il compromesso, tra la cultura e la formazione professionale in uno
spirito democratico inteso a difendere la cultura dal pericolo del dirigismo, di qualunque tipo fosse stato277.
Il Corriere del Ticino concludeva il suo articolo con la costatazione che
i tre organi d’educazione degli adulti avrebbero potuto coesistere, ma solo se i programmi fossero stati coordinati278. I Cpa e le ScM avrebbero dovuto assolvere un compito di «utilità illuministica», nel quale ai secondi era riconosciuta l’azione vasta e
capillare. Ai Circoli di cultura invece, come si è visto, spettava un’opera di tutt’altro
271. «Gli scrittori si interrogano sulla realtà ticinese. Inchiesta sui circoli di cultura all’assemblea annuale dell’ASSI», Corriere del Ticino, 16.11.1964, p. 3.
272. «Auspicato dagli scrittori ticinesi Il coordinamento delle iniziative per la diffusione della cultura», Popolo e Libertà, 19.11.1964, p. 1 – continua p. 2
273. «Gli scrittori si interrogano sulla realtà ticinese. Inchiesta sui circoli di cultura all’assemblea annuale dell’ASSI», Corriere del Ticino, 16.11.1964, p. 3.
274. «Auspicato dagli scrittori ticinesi Il coordinamento delle iniziative per la diffusione della cultura», Popolo e Libertà, 19.11.1964, p. 1 – continua p. 2.
275. «Gli scrittori si interrogano sulla realtà ticinese. Inchiesta sui circoli di cultura all’assemblea annuale dell’ASSI», Corriere del Ticino, 16.11.1964, p. 3.
276. «Auspicato dagli scrittori ticinesi Il coordinamento delle iniziative per la diffusione della cultura», Popolo e Libertà, 19.11.1964, p. 1 – continua p. 2.
277. Ibidem, p. 1 – continua p. 2.
278. «Gli scrittori si interrogano sulla realtà ticinese. Inchiesta sui circoli di cultura all’assemblea annuale dell’ASSI», Corriere del Ticino, 16.11.1964, p. 3.
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genere, un’azione insostituibile, che però si voleva maggiormente inserita nel tessuto
sociale.
Il dato che preoccupava di più però era la possibile somiglianza tra l’offerta dei Cpa e quella delle ScM che si pose da subito come problematica, come dimostrava l’episodio della rinuncia da parte di queste ultime a una sezione di corsi. Questo
cambio di programma delle ScM poteva appianare i primi dissensi, ma era inevitabile
che il percorso dei due enti si sarebbe presto o tardi incrociato di nuovo.
3.3.4.
Corsi per adulti e Scuole club Migros: un «dissidio insanabile»?
È chiaro che non ci si può basare sugli episodi della conferenza dell’ASSI
per trarre delle conclusioni riguardo le dinamiche scaturite dall’istituzione dei Cpa, in
particolare tra l’organo pubblico e quello privato delle ScM. Tuttavia, l’impressione è
che se il rapporto tra Cpa e Circoli di cultura era trasparente e l’offerta promossa dai
due istituti fondamentalmente diversa, lo stesso non si poteva dire del paragone più sensibile con le ScM.
I Cpa, anche se per esigenze e con obiettivi diversi, rappresentavano
un’ulteriore tappa nella diffusione della cultura ufficiale. Nel nuovo contesto socioeconomico lo Stato istituì i Cpa poiché sentiva sua la responsabilità di promuovere la
formazione culturale e il perfezionamento professionale degli adulti nel Cantone, dove
però le ScM se ne occupavano da tempo anche se evidentemente non in termini ufficiali. I Cpa non sembrarono considerare più di tanto le ScM e lo dimostrava un articolo
di Marazzi nel quale affermò che il settore privato non era in grado di assumersi il compito che stava svolgendo lo Stato279.
Inoltre, come si è visto precedentemente, nei progetti per la realizzazione
di un’Università popolare ticinese, si faceva di continuo riferimento alla situazione dei
Circoli culturali proprio per mettere in evidenza la necessità di istituire un nuovo organo
con scopi differenti. Nessuna osservazione fu invece fatta a proposito dell’attività delle
ScM, istituite in Ticino ancora prima che furono approvati gli articoli sui Corsi di cultura popolare della nuova legge della scuola del 1958. Ci si chiede come si sia potuta
ignorare la penetrazione nel Cantone di un fenomeno nazionale avviato nel 1944. Siamo
convinti che non fu il caso, ma i documenti che abbiamo esaminato in gran parte tacciono al riguardo280. Tuttavia, malgrado i pochi elementi a nostra disposizione, è comunque possibile fare alcune osservazioni e avanzare quelle che resteranno delle ipotesi.
Sembra che sin dal principio ci fu un certo attrito nel rapporto di coesistenza tra le due istituzioni come testimonia l’articolo sulla conferenza stampa annuale
della Migros riguardo l’attività del 1963 dove, dopo il primo anno d’esperienza dei
Cpa, Sergio Jacomella commentava:
«Abbiamo chiesto se non fosse il caso di provvedere, unitamente ad altri enti culturali,
ad una specie di coordinazione: ci è stato risposto che la Migros procederà per conto proprio. Possiamo
279. MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, p. 41. Il riferimento concerneva piuttosto l’incapacità
dei vari settori professionali del Cantone di provvedere al perfezionamento e all’aggiornamento professionale della categoria.
280. Dobbiamo però precisare che non abbiamo preso in considerazione gli archivi delle ScM
qualora ce ne fossero.
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senz’altro, da un lato, comprendere questo atteggiamento, si tratta dopo tutto di mettere a frutto i propri
fondi: ma la cultura trarrebbe sicuro guadagno da un’organizzazione più aderente alle necessità e alle aspirazioni del Paese. Comunque in casa sua ognuno fa quel che meglio crede e pertanto ogni considerazione
in più sarebbe inutile»281.
Riguardo le attività culturali della Migros, Jacomella comunicava che si
era deciso di orientare i propri corsi culturali su delle serate uniche, abbandonando il
criterio dei cicli. Questa scelta, come si è già detto, era stata presa in seguito all’introduzione dei Cpa che, stando alle parole del direttore della sezione culturale Migros,
avevano imitato il loro sistema282. Tutto questo succedeva ancora prima della conferenza dell’ASSI dove i due enti, partiti sicuramente con il piede sbagliato, avevano
mostrato nei rispettivi confronti una certa reticenza, magari proprio legata a questo
primo episodio negativo. In seguito non accadde più nulla, e ognuno, secondo le affermazioni di Jacomella, parve percorrere il proprio cammino. Tuttavia, visti quelli che
sarebbero stati i punti in comune, il confronto presto o tardi ci sarebbe stato, anche se
non necessariamente sull’offerta.
Infatti il discorso si riaprì all’inizio degli anni Settanta durante l’assemblea annuale dei delegati della FSEA dove vennero dibattuti i principi generali dell’educazione permanente e dell’educazione degli adulti283. Il problema della concorrenza
tra i due enti era appena emerso anche in Gran Consiglio, dove Fabio Vassalli, esponente
del PPD, aveva sollevato la necessità di una presenza maggiore e più efficiente dello
Stato nel campo della cultura. Uno degli esempi dell’inerzia pubblica era il mancato utilizzo della somma riservata al sussidio dei circoli Culturali284. Ancora una volta erano
i conservatori a portare uno sguardo critico sull’attività del DPE, ceduto ai liberali nel
1947. Su questo punto Bixio Celio precisava che l’attività dei suddetti Circoli era ormai
pari a zero e aggiungeva, ed è questo ad interessarci maggiormente, che non vi era dubbio che:
«enti privati a sfondo economico costituiscono per questi circoli un grosso pregiudizio;
è una concorrenza che si fa acuta e preoccupante – soprattutto in relazione ai compensi versati ai docenti,
ai conferenzieri o ai relatori – anche nell’ambito dell’organizzazione per la formazione post-scolastica»285.
Ci si trovava evidentemente in un contesto diverso da quello della prima
parte degli anni Sessanta dove però avevamo già preso nota delle difficoltà nel trovare
docenti qualificati. Lo sviluppo dei Cpa unito a quello delle ScM sembrava dunque
aver compromesso, in termini di capitale umano, l’attività dei Circoli di cultura. Questo argomento, che probabilmente non riguardava il solo Ticino, giunse sul tavolo di
discussione dell’assemblea annuale dei delegati della FSEA che reagirono sottolineando
281. «L’annuale conferenza stampa della Cooperativa Migros […] L’attività sociale e culturale», Giornale del Popolo, 28.1.1964, p. 2.
282. «L’annuale conferenza stampa della Cooperativa Migros […] L’attività sociale e culturale», Giornale del Popolo, 28.1.1964, p. 2.
283. «La Federazione svizzera per l’educazione degli adulti», Corriere del Ticino, 21.7.1970,
p. 5.
284. VGC, sessione ordinaria primaverile 1970, Seduta V, 24.6.1970, pp. 110, 111.
285. VGC, sessione ordinaria primaverile 1970, Seduta VII, 25.6.1970, p. 134.
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quello che doveva essere il ruolo dello Stato nel campo dell’educazione degli adulti. Era
giusto che quest’ultimo se ne occupasse in qualità di coordinatore e sostenitore delle iniziative in tal senso, private, statali o parastatali che fossero, supplendo laddove si fossero presentate carenze286. Non doveva invece compromettere né umiliare le iniziative
private che già operavano efficacemente in questo campo. Al contrario gli si chiedeva
di venire in aiuto accordando gratuitamente i locali e le attrezzature necessarie a questo tipo di formazione. Si disse pure che la legislazione dei Corsi di cultura popolare
andava ripensata proprio tenendo conto degli sforzi efficaci del settore privato, riconosciuti anche dal direttore del Dipartimento dell’interno Hans Peter Tschudi.
Quello dei locali era un problema che le ScM sollevarono già all’inizio
degli anni Cinquanta e che poi riproposero a scadenze regolari senza però trovare una
soluzione. Nel rapporto della Federazione delle cooperative Migros del 1951 si esponeva il caso della ScM di Zurigo:
«Le problème des locaux ainsi que les loyers élevés devient de plus en plus imminent,
car, par suite de la faiblesse financière des écoles, les coopératives ont à faire face à des sacrifices toujours
plus lourds. Le loyer annuel payé par l’École-Club de Zurich seul s’élève à plus de Fr. 100’000. Les Écoles-Club, qui s’occupent de l’enseignement aux adultes et rendent des grands services, ne bénéficient en
aucun cas de subventions d’État; ce fait pose un problème qui devra tôt ou tard trouver sa solution: il faudra que l’État songe au moins à mettre à disposition les établissements indispensables à l’enseignement
aux adultes»287
In Ticino accadde un episodio simile poco tempo dopo l’assemblea
annuale dei delegati della FSEA nel 1970. Si trattò forse della vicenda più significativa
riguardo gli attriti tra i Cpa e le ScM ticinesi. Anche se la faccenda fu lasciata in sospeso,
in un certo senso si mise un punto, almeno per il lasso di tempo da noi considerato, alla
questione delle relazioni e della collaborazione tra i due enti.
Tutto ebbe inizio quando Sergio Jacomella scrisse a Ugo Sadis, nuovo
direttore del DPE288; nuovo era pure il professore Elzio Pelloni alla direzione dei Cpa.
La lunga lettera di Jacomella voleva dimostrare che in quanto organo di utilità pubblica
le ScM avrebbero dovuto essere esentate da tasse sull’uso dei locali scolastici e pubblici,
ma soprattutto dalle tasse erariali alle quali erano ancora sottoposte. Dopo aver ricordato che le attività svolte dalle ScM e più in generale dalla sezione culturale della
Migros, l’ente di educazione permanente più importante in Svizzera, s’inserivano nell’educazione permanente, Jacomella invitava Sadis a riconoscere le circostanze sulle
quali si basava la richiesta. Per prima cosa presentava la decisione della Direzione generale delle Dogane svizzere di riconoscere le ScM quale ente di pubblica utilità. Secondariamente faceva riferimento all’ultima conferenza dei Direttori cantonali della
pubblica educazione dell’8 agosto 1970, durante la quale era stata emanata la direttiva
che invitava i Dipartimenti della pubblica educazione a mettere a disposizione gratuitamente sale, laboratori, biblioteche, ecc. a enti che si occupavano dell’educazione degli
adulti. Infine richiamava lo Stato ai suoi doveri in quanto, secondo la legge, aveva l’obbligo di appoggiare e di sostenere iniziative private miranti a realizzare gli obiettivi del286. «La Federazione svizzera per l’educazione degli adulti», Corriere del Ticino, 21.7.1970,
p. 5.
287. Rapport d’activité […] cit., 1951, p. 53.
288. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, lettera 1.9.1971.
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l’educazione permanente. Jacomella precisava che, essendo un ente di utilità pubblica,
non vi era nessuno scopo speculativo da ricondurre alla contabilità, secondo lui sempre negativa, delle proprie attività. Sapeva che vi era una disparità di vedute su questo
problema, ma si augurava che gli argomenti esposti avrebbero indotto il Cantone ad
assecondare la richiesta di esonero dalle tasse summenzionate e in certi casi addirittura
il rimborso dell’ammontare già versato precedentemente.
Non abbiamo trovato alcuna risposta ufficiale alla lettera di Jacomella,
ma solo delle osservazioni avanzate dalla direzione dei Cpa sotto forma di appunti289.
Non si contestava l’apporto culturale di determinati corsi della ScM, ma la definizione
di ente di utilità pubblica era messa in discussione in quanto si era sicuri che i corsi
mascherassero scopi propagandistici e pubblicitari. Punto per punto si ribatteva dunque
agli argomenti di Jacomella. L’affermazione secondo la quale le ScM fossero l’ente più
importante che si occupava di educazione permanente era da ridimensionare290. In
seguito, l’esonero dalle tasse citate era visto come un’ingiustizia fiscale poiché tutte le
indennità versate dai Cpa erano pure soggette a tassazione. A tal proposito stupiva la
richiesta di restituzione di somme irrisorie, se comparate alla cifra d’affari fra i cento
e i centocinquanta milioni di Migros Ticino. In ultima analisi ci si mostrava più che
scettici riguardo l’autorità di giudizio chiamata in causa da Jacomella come prova del
riconoscimento dello status di ente di pubblica utilità: «Da quale autorità emana la
dichiarazione di Ente di pubblica utilità? Dalla direzione delle dogane?»291.
È probabile che dopo questa vicenda il dialogo tra i due enti fu semplicemente interrotto. In un documento che accompagna le osservazioni della direzione dei
Cpa si parlò addirittura di un «dissidio insanabile» e infatti, a quasi un anno di distanza
dall’accaduto, nessuno aveva ancora ripreso il filo del discorso292.
Dal punto di vista dello sviluppo dell’offerta, che esamineremo per i Cpa
nei prossimi capitoli, emergeva in modo chiaro una similitudine tra i due che probabilmente dava più fastidio all’organo pubblico, partito in un certo senso in svantaggio, in
un settore dove le ScM erano consolidate da tempo. Il loro rapporto dunque non fu
certo collaborativo, ma piuttosto di concorrenza passiva.
Tuttavia, se si considera la missione sociale dei due istituti, al momento
della creazione dei Cpa v’erano delle differenze evidenti. Le ScM offrivano delle soluzioni istruttive per occupare il proprio tempo ponendo al centro del proprio progetto la
crescita dell’individuo. Evidentemente vi era anche un ritorno d’immagine, magari
anche un profitto, ma come per i Cpa probabilmente ci si trovava di fronte a un’articolazione di scopi dove uno non escludeva l’altro. La missione dei Cpa era certo rivolta
all’individuo in quanto tale, ma soprattutto al suo ruolo di cittadino, quale attore prin289. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, «Osservazioni concernenti la sezione culturale e sociale Migros Ticino. Note direzione corsi per adulti e consiglio direttivo»,
11.11.1971.
290. Con il metodo statistico adottato dalle ScM (ore lezione per numero di presenti) anche i
Cpa avrebbero avuto nel 1971 oltre 60’000 presenze, ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76,
fasc. M, «Osservazioni concernenti la sezione culturale e sociale MigrosTicino. Note direzione corsi per adulti e consiglio direttivo», 11.11.1971.
291. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, «Osservazioni concernenti la sezione culturale e sociale Migros Ticino. Note direzione corsi per adulti e consiglio direttivo»,
11.11.1971.
292. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, 16.11.1972
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cipale della società dalla quale era influenzato ma da cui allo stesso tempo ne dipendevano le sorti. Lo sviluppo cosiddetto spirituale e morale dell’individuo era dunque
concepito nella misura in cui avrebbe permesso di far progredire la società. In questo
senso la gratuità rappresentava un elemento essenziale poiché il contributo che si chiedeva alla popolazione era la partecipazione.
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4.
Sviluppi dei Corsi per adulti
(1964-1972)
4.1.
I Corsi per adulti al servizio della società (1964-1968)
4.1.1.
Il perfezionamento professionale come componente
della cultura (1964-1965)
79
In questa parte ci concentreremo sugli sviluppi dell’offerta dei Cpa nei
due anni seguenti la prima esperienza del 1963. Li metteremo quindi in relazione con
gli obiettivi perseguiti, il pubblico e i bisogni ai quali si cercava di rispondere nel nuovo
contesto socio-economico.
Si è visto che nella prima edizione si puntò molto sulle materie scientifiche, un terreno sicuro che in un certo senso garantì ai Cpa un successo che andò oltre
le aspettative293. Le inchieste svolte presso i partecipanti del primo anno avevano dimostrato un vivo interesse per le materie solitamente neglette dall’attività culturale tradizionale e il desiderio di approfondire le proprie conoscenze professionali294.
Nella seconda edizione svoltasi tra gennaio e aprile del 1964 i corsi erano
ben 19, dunque più del doppio rispetto alla prima edizione, e vi si proponevano 10
materie diverse, 5 delle quali nuove rispetto al primo anno295. Per le tematiche con un
programma ripartito su più anni – Matematica, Chimica e Biologia – si offriva nuovamente il programma del primo anno e per chi invece lo aveva già seguito cominciava
quello del secondo296.
293. Nel programma dell’anno accademico 1964-65 affermava: «nemmeno le più ottimistiche previsioni ci promettevano le massicce adesioni che i due precedenti corsi hanno avuto», in CIOCCARI, Plinio, Programma Corsi per adulti dicembre 1964-maggio 1965, 1964,
p. 1.
294. MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, pp. 42, 43.
295. Le nuove materie erano: Igiene della gravidanza e del parto, Storia della musica, Storia
del Cinema, L’economia forestale del Cantone Ticino, Istituzioni politiche, in: Programma Corsi per adulti gennaio-aprile 1964, 1964, p. 6. Per l’elenco delle materie di quell’anno scolastico si veda l’allegato XII a p. 134.
296. Già nel 1960 il futuro direttore dei corsi previde in un secondo momento l’organizzazione
di corsi sistematici ripartiti su più anni, MARAZZI, Guido, art. cit., 1960, p. 42.
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Le sedi erano anch’esse raddoppiate e il pubblico rispose presente con 1’132
iscrizioni, ovvero quasi il triplo di quelle del 1963. I corsi più seguiti furono quelli a carattere scientifico ai quali parteciparono 331 persone, seguiti dai corsi di scienze politiche ed economiche con 292 partecipanti. Insieme coprirono più dei tre quarti delle lezioni, ma il dato più sorprendente era rappresentato dalle 243 presenze al corso di Igiene della gravidanza e del parto tenuto dal dottore Athos Gallino e riservato a un pubblico femminile297.
Non fu però l’unico a catturare l’attenzione delle donne ticinesi. Verso la
fine di marzo, nella rubrica del Corriere del Ticino riservata al gentil sesso, il Corriere della donna, apparse un articolo dove s’invitavano le donne a partecipare ai Cpa e in
particolare al corso Istituzioni politiche del nostro paese298. L’appello era rivolto soprattutto
ai membri delle associazioni femminili e in particolare a quelle di carattere politico che
miravano all’istituzione del suffragio femminile, come ad esempio l’Associazione per
il voto alla donna:
«La materia, questa istruzione civica che nelle nostre scuole, soprattutto quelle femminili, è stata da qualche tempo messo un po’ troppo in disparte, grazie ai caldi insegnamenti dell’avvocato Beati verrà posta a portata di mano anche delle donne che un giorno saranno chiamate a partecipare
alla vita civica del Paese e che vanno quindi senz’altro preparate alla loro futura attività di cittadine a parte intera nella Nazione. […] Di solito noi donne, poco sappiamo sulle attività degli eletti alle cariche pubbliche: forse perché dalla loro elezione siamo ingiustamente escluse. Poco sappiamo anche sulle loro competenze, sui doveri che questa o quella carica includono per chi la copre. Poco sappiamo anche su leggi,
ordinanze, regolamenti che stanno alla base delle nostre istituzioni politiche, sul modo in cui si emanano queste leggi nel Comune, nel Cantone, nella Confederazione alle quali dobbiamo, anche se cittadine
a parte molto ridotta, sottostare a pieno. I corsi per adulti dedicati alle istituzioni politiche ci danno modo
di istruirci e di sapere con esattezza come si svolge tutto l’apparato politico e amministrativo del nostro
paese»299
In questo modo i Cpa assumevano, e questa era anche l’intenzione del
DPE, una funzione d’integrazione per quei gruppi sociali confinati ai margini dalla vita
politica, professionale o sociale, secondo il progetto politico-culturale di offrire pari
opportunità a tutti. Pensiamo in particolare alle donne che, anche se non avevano ancora
ottenuto il suffragio, s’inserivano sempre più nella vita economica, politica e professionale del Cantone, ai giovani, anch’essi precedentemente esclusi dalle responsabilità
sociali e politiche del Paese e agli stranieri che si voleva integrare culturalmente. In
questo senso i Cpa potevano rappresentare, anche se su scala ridotta, un vettore sociale
all’interno del processo di riforme democratiche, non solo nel campo dell’educazione,
ma anche della vita sociale, economica e politica.
Nel mese conclusivo dei corsi di quell’edizione Marazzi, su richiesta di
Cioccari, gli recapitò un rapporto intermedio. Nonostante i riscontri positivi da parte di
insegnanti e partecipanti riteneva che l’esperienza dei primi due anni suggeriva non
poche modifiche. Con lo scopo di rendere l’attività sempre più vicina alle necessità del
paese Marazzi si disse pronto a presentare delle proposte concrete già nel programma
dell’anno successivo300. Nel Rendiconto del Consiglio di Stato si annunciava quindi
297. Programma Corsi per adulti gennaio-aprile 1964, 1964, p. 4.
298. «A proposito dei corsi per adulti. Impariamo a conoscere le istituzioni politiche del nostro paese», Corriere del Ticino, 21.3.1964, p. 17.
299. Ibidem, p. 17.
300. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, lettera 8.6.1964.
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l’intenzione di introdurre accanto ai corsi di cultura una sezione di corsi pratici e di
perfezionamento professionale con l’obiettivo seguente:
«Se con le lezioni di cultura si vuol corrispondere al desiderio di molti ticinesi di poter
coltivare i propri interessi intellettuali, con quelle pratiche si vuole offrire la possibilità di miglioramento
delle conoscenze di base nella professione principale o in una accessoria»301.
Nel rapporto di Marazzi si osservava infine che dopo la richiesta formale
a inizio giugno 1964, i Cpa erano stati giudicati positivamente dall’AUPS che li aveva
così accettati come loro membro a tutti gli effetti302.
Fu dunque a partire dal terzo anno di attività dei Cpa, cioè l’anno scolastico 1964-1965, che l’offerta venne strutturata per la prima volta303. Gli ormai 33 corsi
presero le due direzioni annunciate alla fine dell’anno precedente: una eminentemente
culturale (25) e una professionale (8), a sua volta suddivisa in lavori manuali (3) e perfezionamento professionale (5). Al Giornale del Popolo parve un’ottima decisione e
l’accoglienza che i Cpa stavano ricevendo dal pubblico ne era la dimostrazione304. Nell’articolo in questione il giornale sembrava intenzionato a chiudere definitivamente, in
toni critici, il discorso sulla diffusione della cultura del Cantone sollevato qualche mese
prima dall’ASSI: «che i corsi possano o debbano essere inseriti in un discorso culturale
ad ampio o a più ristretto respiro non lo vogliamo discutere poiché se n’è già inutilmente
parlato a Bellinzona alla conferenza dell’ASSI»305. L’entusiasmo sembrò dunque prevalere su ogni tipo di questione legata alla definizione più o meno culturale dei Cpa.
La scelta delle nuove materie, ben 22 nel 1964-65, privilegiò i corsi pratici e di perfezionamento professionale e, sull’onda del successo delle lezioni mediche
del dottor Gallino, quelli di igiene e profilassi, organizzati in collaborazione con l’ordine dei medici e dei dentisti. Se ne tennero uno in ogni centro del Cantone: a Bellinzona, dove era stato organizzato il primo corso di questo tipo, andò in scena Igiene e
profilassi: L’apparato cardiocircolatorio – Le vie digestive, a Locarno Igiene, profilassi e cura dentaria, mentre a Lugano si ripropose Igiene della gravidanza e del
parto306. L’intenzione di questi corsi era di stabilire un confine preciso tra norme igieniche e di profilassi e pericolose diagnosi o cure per iniziativa personale del malato307.
C’era molto interesse da parte della popolazione per questo genere di nozioni, ma capitava che la loro divulgazione potesse avere un effetto contrario a quello desiderato e
301. RCS, cit., 1964, p. 258.
302. Non trattandosi di un’istituzione autonoma ma statale l’AUPS dovette fare un’eccezione statutaria. L’ammissione ufficiale sarebbe avvenuta durante l’assemblea dell’AUPS
del 20 giugno. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, lettera 8.6.1964. La lettera di
richiesta ufficiale scritta da Marazzi all’indirizzo di Weilenmann, il presidente dell’AUPS si trova nello stesso fascicolo d’archivio (lettera 7.6.1964). Tra le altre cose Marazzi
ringraziava Weilenmann per il suo costante interesse nei Cpa.
303. Programma Corsi per adulti dicembre 1964-maggio 1965, 1964, pp. 6, 7.
304. «I corsi per adulti nella nostra città orientati verso sei interessi del pubblico», Giornale
del popolo, 3.2.1965, p. 3.
305. Ibidem, p. 3.
306. Per quanto concerneva i corsi pratici e di perfezionamento professionale le materie erano le seguenti: Calcolo e disegno per operai della metalmeccanica, Manutenzione delle
macchine agricole, Lavoro al banco di falegname. Per ulteriori informazioni riguardo le
materie di quell’anno si veda l’allegato XIII a p. 135.
307. RCS, cit., 1965, p. 276.
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c’era chi pensava di poter fare a meno del parere di un esperto in materia. Si volevano
dunque correggere le errate illazioni che derivavano dalla volgarizzazione del campo
medico e da una pubblicità considerata irresponsabile, favorendo invece la ricerca di un
rapporto di fiducia tra medico e paziente.
Anche con i corsi pratici e di perfezionamento professionale s’intendeva
fare fronte a necessità più o meno impellenti, ma in questo caso di tipo socio-economico. I corsi di Calcolo e disegno per operai della metalmeccanica svoltisi nei centri
di Lugano e Locarno con la collaborazione dell’Associazione Industriali Ticinesi
(AITI), rispondevano infatti a una crescente mancanza di manodopera specializzata e
di quadri nell’industria ticinese308. Sull’arco di due anni si potevano dunque migliorare
le proprie conoscenze nelle materie fondamentali quali il calcolo, il disegno e l’aritmetica, tanto da poter accedere in seguito alle scuole post professionali di cui l’AITI
stava studiando l’organizzazione309. I partecipanti furono in maggioranza operai italiani. A questo proposito Marazzi affermava che in Ticino, attraverso l’educazione politica e sociale e il perfezionamento professionale degli adulti, si proteggeva l’omogeneità
etnica del Paese, accelerando l’integrazione professionale e sociale degli immigrati italiani e quella linguistica e culturale dei confederati domiciliati310. Visto il successo ottenuto nei due centri la direzione decise che dall’anno successivo si sarebbe istituita una
classe anche in Leventina a Faido311.
I corsi di Manutenzione delle macchine agricole e di Lavoro al banco di
falegname, organizzati con il concorso della Heimatwerkschule e con le Pro locali, si
erano invece dimostrati un prezioso strumento di contatto umano, in quanto si era creata
un’atmosfera simpatica tra collaboratori e iscritti312. Allo stesso tempo offrivano un
valido contributo al risanamento dell’economia rurale. Quello dei corsi pratici e di perfezionamento professionale era dunque un settore che per il suo valore sociale ed economico andava incrementato negli anni a venire313.
Fecero la loro apparizione nel programma anche le tematiche relative
alle scienze sociali con il corso dal titolo quanto mai sintomatico Cosa faranno i nostri
figli?. Durante le otto lezioni previste nelle sedi di Bodio e Locarno si volevano vagliare
le possibilità di studio offerte ai giovani ticinesi. La Gazzetta ticinese, riportando il
messaggio dalla direzione dei Cap, spiegava che vista la massiccia partecipazione ai precedenti corsi di cultura generale si era ritenuto opportuno iscrivervi questo argomento
di indiscussa attualità e particolarmente utile ai genitori314. Il corso era l’occasione per
una riflessione più generale sulla scuola. Nel quotidiano si ricordava infatti come tutti
i paesi fossero impegnati in una corsa incessante per migliorare le proprie strutture scolastiche tenendo conto delle nuove esigenze sociali ed economiche:
«Si discute spesso di mano d’opera qualificata, di progresso tecnico, di evoluzione economica e sociale, ma non sempre s’insiste sul modo con il quale si consegue tale progresso attraverso la
308. «Successo dei corsi pratici di perfezionamento professionale», Gazzetta ticinese,
1.7.1965, p. 3.
309. Ibidem, p. 3.
310. MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, p. 40.
311. «Successo dei corsi pratici di perfezionamento professionale», Gazzetta ticinese,
1.7.1965, p. 3.
312. RCS, cit., 1965, p. 276.
313. Ibidem, p. 27.
314. «Corsi per adulti. Cosa faranno i nostri figli?», Gazzetta ticinese, 9.2.1965, p. 2.
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preparazione nella scuola. […] Oggi si discute se la scuola debba rispondere più a un intendimento economico oppure più a quello culturale. I bisogni dell’economia e della vita sociale collimano con l’aspirazione di ogni ceto della popolazione di offrire a tutti – tenuto conto delle capacità di ognuno – uguale
possibilità di istruzione. Il corso rappresenterà dunque un’analisi della situazione attuale della scuola ticinese, dei problemi sociali ed economici che gravitano attorno ad essa, delle possibilità che offre ai giovani, delle sue prospettive future»315.
I primi anni di vita dei Cpa rientravano come visto nel contesto del dopoguerra, ma in particolare in una fase, compresa tra il 1961 e 1965, durante la quale la
spesa pubblica giocò come non mai un ruolo propulsore per la crescita economica del
paese316. In questo contesto s’insisteva come detto sul ruolo dell’educazione come fattore generatore di crescita economica. La relazione che legava la formazione all’economia era stata provata da studi scientifici come quello di Kneschaurek a cui faceva
riferimento il DPE e secondo il quale «la qualità delle forze lavorative di cui un paese
dispone […] è d’importanza primordiale per lo sviluppo economico»317. Nel 1963 Antonio Snider affermava in Gran Consiglio che «i frutti abbondanti e generali del progresso
economico hanno messo in risalto l’influsso determinante dell’educazione sull’efficienza della produzione»318. Anche il socialista Elio Galli sembrava essersi convinto di
questo rapporto proporzionale anche se serbava uno spirito critico al riguardo:
«La spinta dell’espansione economica ha convinto molti – se non tutti – della necessità
di procedere al potenziamento della scuola per i riflessi stessi che da tale azione saranno per riflettersi
appunto sull’economia. Un criterio che sia unicamente condizionato dalle esigenze di questa economia
deve però essere respinto per un futuro e probabile piano dello sviluppo della scuola del nostro Cantone.
E se è vero che all’origine di una nuova politica scolastica deve essere anche la preoccupazione di giovare all’economia del paese nell’interesse della collettività, tale obiettivo deve essere subordinato a quello,
principale, rispondente al desiderio degli individui di sviluppare liberamente nello Stato le loro doti intellettuali e le loro reali inclinazioni professionali. […] Dall’orientamento professionale scolastico dipende
una equilibrata e razionale utilizzazione delle attitudini, sia nell’interesse dei singoli sia in quello della
comunità. Ma un efficace orientamento non può avvenire senza una preventiva determinazione delle esigenze future dello sviluppo dell’economia in ogni suo settore; ogni programma dello sviluppo dell’istruzione dovrebbe pertanto far parte integrante della politica economica del paese tenendo soprattutto
conto delle tendenze economiche e sociali in via di sviluppo e non già solo di quelle attuali»319.
Il legame era dunque evidente, restava da valutare se bisognava semplicemente adeguare il sistema educativo secondo i bisogni dettati dall’economia, oppure,
come sembrava suggerire Galli, se partire da una riforma scolastica tenendo anche conto
di quelli che sarebbero stati gli sviluppi dell’economia.
Nel suo rapporto sulle possibilità di sviluppo economico e sociale Kneschaurek indicava quali indirizzi d’intervento la democratizzazione degli studi e il
potenziamento della formazione professionale320. Ciò nonostante la scelta politica e
culturale cadde sul primo orizzonte poiché rispondeva perfettamente alla domanda
sociale di educazione321. Lo studio di Ghisla dimostra infatti tra le altre cose che in pas315.
316.
317.
318.
319.
320.
321.
Ibidem, p. 2.
A questo proposito si veda il grafico allegato (VIII) elaborato da Martino Rossi a p. 132.
VENTURELLI, Elio, art. cit., p. 258
VGC, Sessione ordinaria primaverile 1963, Seduta XXII 21.10.1963, p. 591.
Ibidem, pp. 588-590.
GHISLA, Gianni, art. cit., p. 293.
Ibidem, p. 293.
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sato la politica economica e scolastica del Cantone non fece mai della formazione professionale una priorità e che neppure il mondo del lavoro e la società civile le concessero grande credito322. Più in generale, sempre secondo Ghisla, furono lo sviluppo
economico e le specificità ticinesi a influenzare profondamente le strutture e l’identità
della formazione professionale «contribuendo a farne rispetto ai percorsi formativi di
carattere culturale e accademico, una sorta di soluzione di ripiego, di scarso prestigio
sociale e culturale»323.
Nei propositi politici dell’epoca inerenti al rapporto tra la formazione
nel suo insieme e il mondo economico l’accento era quindi messo sull’elevamento culturale della società, ottenuto grazie a una formazione di tipo scolastico piuttosto che professionale. Nella stessa seduta parlamentare, dove emerse il bisogno di potenziare
l’istruzione in funzione dell’economica, Cioccari rispondeva con queste parole al precedente intervento di Elio Galli:
«La curva ascendente che registra, non solo da noi ma in tutti i paesi del mondo, la spesa
per l’educazione pubblica è impressionante; secondo recenti indagini, l’aumento medio annuale dei bilanci
dell’istruzione pubblica è dell’ordine del dieci per cento. Per il Ticino, gli undici milioni spesi nel 1959
sono diventati diciotto nel preventivo del 1963 e ventisei nel preventivo 1964. È principio da tutti accettato che i costi della formazione della nuova società sono da collocare tra quelli a carattere squisitamente
sociale; di una socialità che mira essenzialmente alla elevazione del livello culturale»324.
Che la formazione professionale era relegata al ruolo di «buona serva»
lo si capì dal posto minore che le fu accordata nel dibattito sul progetto di nuova legge
della scuola del 1958325. Nei documenti preparatori non v’era alcuna traccia di discussione seria relativa alla funzione della formazione professionale nelle nuove condizioni
di forte sviluppo del dopoguerra. Eppure il direttore del DPE Brenno Galli, «illuminato protagonista del progetto di legge», aveva reso attento il Gran Consiglio sulla questione urgente della formazione professionale:
«se per tutta la materia culturale e degli studi superiori il nostro Cantone da più di un
secolo ha ormai fatto […] tutto quanto era necessario per offrire ad una classe dedita agli studi superiori
una preparazione sufficiente, esso si trova per contro in grave ritardo nei confronti del doveroso progresso nel campo della preparazione professionale. Certe realizzazioni compiute in questi ultimi anni
[…] hanno tuttavia posto certe basi per un graduale miglioramento della situazione professionale nel
nostro Cantone»326.
Tuttavia, come indica Ghisla, il settore della formazione professionale,
nonostante la posizione in sordina rispetto all’insieme della scuola ticinese, si sviluppò
anch’esso a partire dagli anni Cinquanta, anche se i risultati più concreti giunsero dagli
anni Ottanta in poi327.
In questo senso i Cpa furono una sede privilegiata per la formazione professionale, almeno dal punto di vista delle intenzioni. Marazzi, sottolineando le insuf322.
323.
324.
325.
326.
Ibidem, p. 225.
Ibidem, p. 225.
VGC, Sessione ordinaria primaverile 1963, Seduta XXIV 22.10. 1963, p. 610.
GHISLA, Gianni, art. cit., p. 281.
Le parole di Galli risalgono ai verbali del 22 maggio 1958, in: GHISLA, Gianni, art. cit.,
p. 282.
327. Ibidem, p. 221.
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ficienze in questo settore, ne faceva una ragione d’essere dei Cpa e dell’intervento dello
Stato nell’educazione degli adulti:
«L’industrialisation et la conversion de l’économie aux formes de notre époque se sont
heurtées au Tessin à des grandes difficultés, ont subi des retards et souffrent de désaccords qui, malgré
les énormes investissements de l’État au profit de l’école, ont rendu plus aigu qu’ailleurs le problème du
perfectionnement professionnel à tous les niveau. […] Au Tessin enfin n’existent pas de complexes industriels suffisamment puissants pour prendre l’initiative de la formation culturelle et du perfectionnement
professionnel de leurs propres employés; les associations professionnelles, par exemple les cartels patronaux ou l’association des employés de commerce, ne réussissent guère plus qu’à veiller, en collaboration
avec l’État, à la formation des apprentis»328.
L’azione dei Cpa in questo senso non significava però risolvere un problema del quale non potevano e non dovevano farsi carico. Negli intenti espressi nel
1960 sulle pagine dell’Educatore della Svizzera italiana, Marazzi affermava che la
futura Università popolare non era da confondere né con la scuola né con l’istruzione
professionale e tecnica «che è compito dello Stato, eventualmente delle associazioni
economiche interessate»329. Probabilmente vista a posteriori la partecipazione, non solo
finanziaria, dello Stato nella realizzazione dell’Università popolare, l’intervento nell’ambito del perfezionamento professionale assunse una prospettiva diversa e fu lo
stesso Marazzi a mettere in rilievo le lacune del settore professionale e la necessità di
concentrarvi, almeno in un primo tempo, le risorse dei Cpa.
Storicamente la fragilità della formazione professionale risultava dall’emigrazione, dallo sviluppo economico arretrato e dall’identità culturale ticinese nella
quale non si era mai affermata. Tra le ragioni alla base di questi tratti determinanti vi
era il mancato sviluppo di organizzazioni professionali, corporazioni o confraternite
durante il periodo dei baliaggi330. L’assenza di una tradizione corporativa e imprenditoriale condizionò in maniera decisiva le difficoltà nel Cantone di «creare attività artigianali di una certa consistenza e di conseguenza dare luogo ad un’istruzione più
diffusa, capace di alimentare il sistema produttivo con conoscenze e spirito d’iniziativa»331. Fu una delle carenze del Ticino moderno il cui peso fu assunto di riflesso in un
sistema di formazione professionale difettoso. L’accento che Marazzi mise fin dai primi
anni era dunque da interpretare tenendo conto di questo contesto di fondo, a dimostrazione che qualcosa si stava muovendo in favore della formazione professionale. A differenza della società civile i Cpa cercarono, nei limiti nei quali agivano, di dare una
risposta alla modernità tenendo conto dell’insieme del sistema formativo – formazione
professionale compresa – nella sua relazione con quello economico e quello politicoculturale. Dal momento che si posero a supporto dell’istruzione, sempre più sottoposta
alle esigenze del mondo economico e sociale, la direzione di rotta indicava a maggior
ragione come primo indirizzo d’intervento mirato proprio il perfezionamento professionale. Un altro elemento di cui bisognava tener conto per capire il ruolo che quest’ultimo assunse nei Cpa era in ogni caso il pubblico al quale ci si rivolgeva, costituito
principalmente da adulti attivi, quindi da persone che nella maggior parte dei casi ave328.
329.
330.
331.
MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, p. 40.
Ibidem, p. 22.
GHISLA, Gianni, art. cit., p. 240.
Ibidem, p. 258.
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vano già beneficiato di una formazione scolastica di base ed erano alla ricerca di un
complemento culturale certo, ma anche professionale.
Tornando ai corsi, a livello di partecipazione il successo maggiore lo
riscontrarono ancora una volta i corsi di igiene e profilassi con 473 iscritti, insieme ai
nuovi corsi pratici e di perfezionamento professionale con 345 iscritti, su un totale di
1’754 partecipanti332. Oltre all’introduzione dei corsi pratici e di perfezionamento professionale, la terza edizione fu caratterizzata dallo sviluppo dei corsi culturali, sezione
che comprendeva temi molto diversi, tra i quali appunto i corsi sopraccitati di igiene e
profilassi333. Stando al rendiconto dipartimentale questa disposizione avrebbe permesso
di coinvolgere un pubblico più eterogeneo e quindi, aggiungiamo noi, anche più vasto:
«Le materie trattate hanno già raggiunto una notevole diversificazione, così da offrire
a turno alle varie sedi la possibilità di richiamare un pubblico di carattere differente per
interessi professionali o culturali»334.
L’altra tendenza che, sempre secondo il rapporto della direzione dei Cpa,
s’imponeva a livello sociale era la diffusione dei corsi presso sedi minori di periferia e
di campagna con meno di mille abitanti335. Questo provvedimento non rappresentava
la possibilità d’incrementare la statistica degli iscritti, visto il numero elevato di partecipanti in queste regioni, ma lo si intendeva piuttosto come risposta ad una reale necessità nelle zone dove il discorso culturale era quasi nullo336.
In una conferenza tenuta nei mesi conclusivi della terza edizione dei Cpa
per iniziativa della commissione nazionale svizzera dell’UNESCO, Marazzi diede delle
indicazioni fondamentali riguardo gli obiettivi e alla definizione dei Cpa337. L’argomento di discussione era il nuovo concetto di educazione permanente, intimamente
legato all’educazione degli adulti, ma Marazzi focalizzò l’attenzione su quest’ultima.
Le riflessioni del direttore dei Cpa portarono sulla tematica in generale, ma evidentemente riguardavano da vicino anche l’organo da lui gestito.
In quell’occasione illustrò i tre gradi che a suo modo di vedere caratterizzavano l’educazione degli adulti all’interno di un discorso socio-culturale: il primo
riguardava l’analfabetismo e il semianalfabetismo, il secondo il perfezionamento professionale, definito da Marazzi come un elemento importante della cultura, e infine
l’ultimo grado, al quale corrispondeva la conquista dell’autonomia e della padronanza
critica. Lo stadio più alto era dunque quello attraverso cui si accedeva alla cultura nella
sua definizione più completa, che il direttore dei Cpa cercò di dare nei termini seguenti:
332. Programma Corsi per adulti novembre 1965-giugno 1966, 1965, p. 4.
333. In quell’anno i corsi culturali erano: Astronomia, La televisione come fatto tecnico, Economia agricola, Economia forestale, Cosa faranno i nostri figli?, Istituzioni politiche, Il
codice penale, Storia dell’Italia contemporanea, Storia del pensiero scientifico, Storia
del cinema e i corsi di Igiene e profilassi che occupavano di fatto un posto a sé. Vi rientravano anche i corsi ripartiti su più anni che toccavano da un lato il settore scientifico,
per il quale prima di trattare sezioni particolari era necessario porre una base di elementi fondamentali, e dall’altro quello culturale dove si offrivano corsi organici con un valore propedeutico. RCS, cit., 1965, p. 275.
334. Ibidem, p. 275.
335. Ibidem, p. 277.
336. Ibidem, p. 277.
337. «Per iniziativa dell’UNESCO. Il prof. Marazzi ha parlato al Lyceum sull’importanza dell’educazione degli adulti», Giornale del Popolo, 24.4.1965, p. 2.
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«Oggi la cultura è intesa come rielaborazione intellettuale e spirituale delle nozioni
acquisite, formazione della personalità morale dell’uomo, capacità di dominare intellettualmente e moralmente (e non solo strumentalmente) il prodotto della scienza, della tecnica, della vita associata, superamento di ogni condizionamento esteriore (macchina, propaganda politica ed economica, opinione
corrente)»338.
Una definizione figlia di una concezione della cultura in quanto oggetto
storicamente variabile, ma soggetto a cristallizzazioni a dipendenza delle epoche, poiché «determinato dalla necessità di interpretare la realtà del momento ed insieme di
determinarla»339. Una definizione quindi inevitabilmente legata alla situazione storica
nella quale s’iscriveva; contesto quello del dopoguerra che, come si è visto con Giovanni
Bonalumi, poteva indurre a pensare la cultura come la somma di forme diverse di cultura ma parte della stessa realtà sociale.
In rapporto ai tre gradi enunciati la società ticinese si trovava piuttosto nel
secondo caso di figura. In questa sede dunque non solo si ribadiva l’importanza della
formazione professionale, che con i Cpa prendeva la forma di un perfezionamento, ma
la si ergeva a protagonista dell’organico formativo rivolto agli adulti. Per Marazzi dunque il perfezionamento professionale rappresentava un elemento importante dell’educazione degli adulti all’interno di un discorso socio-culturale, in quanto lo riteneva un
elemento indispensabile – e qui si riallacciava al tema più largo dell’educazione permanente – per supplire alle lacune nell’educazione culturale e professionale della
scuola:
«a causa della insufficienza nozionale anche della scuola risalta l’importanza anche nel
secondo grado dell’educazione degli adulti [quello del perfezionamento professionale], in quanto complemento dell’istruzione scolastica»340.
Insieme, le istituzioni scolastiche e l’educazione degli adulti, dovevano
costituire la prima premessa per l’ultimo grado d’educazione degli adulti e quindi per
l’accesso alla cultura intesa come rielaborazione indipendente e mai conclusa nella vita
di ogni individuo. Era poi di fondamentale importanza inserire concretamente, per
mezzo di un’attività collettiva e coordinata, questo processo individuale nel contesto
sociale di un paese o di una regione «affinché l’opera del singolo non sia mera evasione gratuita, ma torni a vantaggio anche della società»341. Il perfezionamento professionale era quindi importante in un discorso socio-culturale in quanto elemento
capace d’influire sulla realtà sociale e dunque culturale.
Tuttavia l’espressione «insufficienza nozionale anche della scuola»
lasciava presagire che l’ambito professionale era sì fondamentale, ma non era il solo nel
quale bisognava intervenire. L’azione dei Cpa doveva infatti considerare anche altre esigenze presenti nella società, come quella d’informare meglio la popolazione sull’igiene
e la profilassi del proprio corpo o quella di orientare le famiglie nelle scelte future dei
figli. Per una buona parte dei corsi offerti si presumeva infatti che vi fossero delle impli-
338.
339.
340.
341.
Ibidem, p. 2.
Ibidem, p. 2.
Ibidem, p. 2.
Ibidem, p. 2.
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cazioni sociali ritenute importanti. In questo senso era essenziale rendersi interpreti dei
bisogni della popolazione e puntare sui corsi che riscuotevano un grande interesse.
I Cpa rappresentavano dunque agli occhi di Marazzi, e non solo, un’istituzione fondamentale per intervenire sulla realtà sociale laddove ce ne fosse stato bisogno. Solo perseguendo un obiettivo culturale anche attraverso degli scopi sociali si
poteva pensare di poter progredire socialmente e culturalmente. Ecco perché già nel
1964 si era parlato di intenti sociologici-culturali342.
Proprio per l’influenza che l’educazione degli adulti poteva avere sulle
sorti della realtà sociale, questa assumeva inevitabilmente un potenziale anche dal punto
di vista della diffusione di determinati valori, diventando così una questione politica.
Anche su questo punto Marazzi era attento e sempre durante la conferenza sull’educazione permanente lo sollevò in questo modo:
«Il fatto che tanto le democrazie occidentali quanto i regimi di tipo collettivistico e i
paesi di nuova formazione ritengano l’educazione degli adulti uno dei mezzi più efficaci per rafforzare
la propria capacità di penetrazione e di evoluzione dimostra […] l’intima connessione tra questo problema ed il divenire della realtà sociale concreta. Non è questo dunque un tema per pedagoghi in vena di
disquisizione teoriche, ma problema politico nel senso più alto e globale della parola343.»
In questa prospettiva riaffiorava però la questione del ruolo dello Stato
nell’educazione degli adulti e il pericolo più volte scongiurato di un dirigismo culturale.
In quella sede Marazzi non chiarì questo aspetto nel contesto ticinese, ma più tardi
sciolse il dubbio in un articolo pubblicato nella rivista Études pédagogiques. Spiegava
che la struttura dei Cpa rispondeva a due esigenze quasi opposte344. Da una parte doveva
permettere di trasporre nei fatti delle direttive uniformi di politica educativa, ovvero
non solo rispondere ai desideri del pubblico, ma stabilire un ordine di priorità nelle
scelte delle materie e dei soggetti da trattare. Bisognava risvegliare l’interesse per le
forme di studio che rispondevano alle necessità del paese e che non erano richieste dalla
popolazione, e attirare gli strati sociali nei quali il bisogno di cultura non era immediato, conciliando corsi di livello alto con altri di preparazione di base o elementare se
necessario.
Dall’altra, visto che i corsi erano facoltativi, era opportuno accettare, nei
limiti del possibile, proposte spontanee anche se non in linea con l’orientamento generale. Per rispondere alla prima esigenza Marazzi dichiarava che i programmi erano studiati in stretta collaborazione con il DPE secondo la visione generale della politica
scolastica. Precisava inoltre che le spese dell’attività figuravano nei conti ordinari del
DPE. Per rispondere alla seconda esigenza invece venivano designati dei responsabili
regionali, i cosiddetti animatori, che si occupavano della propaganda e delle relazioni
con i partecipanti.
Per concludere il discorso sull’edizione del 1964-65 e più in generale sui
due anni esaminati in questo capitolo, possiamo affermare che a nostro avviso questo pe342. «Sabato pomeriggio nell’Aula magna della scuola di commercio. Tentato dagli scrittori
della Svizzera italiana un dibattito sulla cultura nel nostro paese», Giornale del Popolo,
16.11.1963, p. 4.
343. «Per iniziativa dell’UNESCO. Il prof. Marazzi ha parlato al Lyceum sull’importanza dell’educazione degli adulti», Giornale del Popolo, 24.4.1965, p. 2.
344. MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, p. 43.
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riodo ricoprì un’importanza significativa sia per l’impostazione assunta dai Cpa, sia per
gli argomenti avanzati da Marazzi sul ruolo dell’educazione degli adulti. Fu il primo passo compiuto verso un indirizzo che avrebbe caratterizzato l’offerta degli anni successivi.
Anche dal punto di vista della definizione culturale vi fu una svolta
importante. Marazzi era conscio del fatto che la posizione dell’uomo di fronte alla cultura era diversa da quella delle generazioni passate e già aveva sottolineato come in
seno a un’Università popolare la cultura andava intesa nel senso più ampio e comprensivo del termine345. Misurando la cultura anche in base alle necessità sociali, la sua
definizione si poteva allargare a tutto ciò che veniva definito utile per la vita individuale e collettiva di una persona. In questo senso il concetto di cultura subiva una dilatazione orizzontale. Allo stesso tempo però, per rivolgersi a un pubblico sempre più
ampio e dunque diversificato, era necessaria anche una dilatazione verticale dell’offerta culturale introducendo gradualmente temi di carattere letterario e artistico volutamente esclusi in un primo tempo346. Nel primo caso si spiegava dunque la tendenza
a raggiungere le zone periferiche dove i bisogni erano maggiori, nel secondo quella di
diversificare sempre più l’offerta dei corsi di cultura.
4.1.2.
Guido Marazzi consolida l’attività (1966-1968)
Nei tre anni scolastici successivi – dall’edizione novembre-giugno 196566 a quella del 1967-68 – si affermarono le scelte prese durante il 1964-65. Nel 196566 si organizzarono 17 corsi pratici e di perfezionamento professionale contro gli 8
dell’anno precedente e gli iscritti passarono da 345 a 506347. Due terzi delle 648 lezioni
furono dedicate a questi corsi348. Lo sviluppo di quest’ambito fondamentale permise
così di offrire gradualmente nuovi percorsi formativi. Per ovviare al fatto che tutti i
corsi di questo tipo erano rivolti ad attività esclusivamente maschili nel 1967 si decise
di allargare l’offerta a due settori considerati tipicamente femminili: economia domestica, i cui corsi erano sempre più richiesti, e psicologia e tecnica della vendita349.
I corsi di cultura continuarono invece nella direzione tracciata, diversificando il più possibile la paletta delle tematiche, in modo da richiamare un pubblico differente per interessi e formazione culturale350. Nel 1965-66 tra gli argomenti nuovi si
345. MARAZZI, Guido, art. cit., fasc. 3, 1960, pp. 22, 24.
346. Già a partire dalla seconda edizione furono introdotti due corsi di Storia della musica e
uno di Storia del cinema. In seguito nel 1964-65 vi si aggiunsero un corso sulla Narrativa italiana del Novecento e due corsi di storia, L’Italia tra le due guerre mondiali e Storia del pensiero scientifico. Questi corsi erano pensati sotto forma di cicli da svolgersi su
più anni, con i quali si poteva partire da un livello base per poi inglobare anche chi più
acculturato in un secondo tempo.
347. RCS, cit., 1966, p. 278. Per quanto concerne l’economia domestica si può dire che in Ticino le ScM la introdussero nel programma all’inizio degli anni Sessanta (vedi allegato
XV a p. 137), ma probabilmente con scopi differenti, perché alla fine dell’anno scolastico del 1965, l’ispettrice delle scuole di economia domestica del Cantone auspicava l’introduzione di corsi obbligatori per tutte le «fanciulle». E a questo proposito preconizzava dei corsi per adulti patrocinati dal DPE con lo scopo di aggiornare periodicamente le
massaie sulla materia in continua evoluzione, «I problemi della scuola professionale visti, criticati e studiati dalle donne», Corriere del Ticino, 19.6.1965, p. 17.
348. Per una panoramica dell’offerta di quell’anno si veda l’allegato XIV a p. 136.
349. RCS, cit., 1967, p. 251.
350. RCS, cit., 1966, p. 278.
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segnalavano in particolare nel settore sociale i corsi Risparmio, investimenti, borsa e
Codice stradale, entrambi sollecitati da un’esigenza effettiva351. L’anno seguente l’accento fu invece messo sulle lezioni, tenute in cinque sedi diverse del Cantone, sul Nostro
sistema tributario, organizzate in concomitanza con il periodo delle dichiarazioni d’imposta, con lo scopo dunque d’illustrare l’impostazione generale e il significato delle
disposizioni fondamentali della legge fiscale352. Nello stesso anno si sottolineava l’aumento significativo nelle richieste di corsi riguardanti i problemi della vita scolastica,
della psicologia infantile e dei rapporti tra genitori e figli353. Si trattava di una sensibilità che andava seguita e soprattutto «rettamente indirizzata» per evitare che venisse
intaccata dai «deleteri influssi di una pubblicistica spesso irresponsabile»354. Furono
dunque tutti temi e problematiche che riguardavano l’attualità e nei quali si sentì l’esigenza d’intervenire.
Proseguiva pure lo sforzo di una diffusione capillare e differenziata dei
corsi presso le sedi periferiche, il cui numero nel 1966-67 superò per la prima volta
quello dei corsi organizzati nei centri355. Nonostante in termini di volume la partecipazione fosse più alta nei centri, nelle località periferiche si registrava un tasso d’iscrizioni
e di frequenza maggiori in proporzione alla popolazione residente356. Era uno degli
aspetti sul quale insistette Marazzi dopo essere stato sollecitato agli inizi del 1968 dal
Giornale del Popolo che, vista la quasi mancanza di pubblicità per i Cpa durante l’anno
scolastico 1967-68, s’interrogava sullo stato di salute dell’iniziativa pubblica357. Il direttore dei Cpa rassicurava il quotidiano conservatore spiegando che la diffusione dei corsi
in un reticolo sempre più ampio non richiedeva più la grossa propaganda dei primi
tempi, quando i corsi si rivolgevano al pubblico vasto e distratto delle città. Riguardo
le differenze tra centri e località periferiche, Marazzi indicava in primo luogo il pubblico
e quindi i programmi offerti. Se in città si seguivano le indicazioni fornite dalle esperienze delle Università popolari di altri Cantoni, nei paesi più piccoli, grazie all’attività
degli animatori locali, si potevano facilmente conoscere le necessità particolari e provvedervi358. Nei piccoli centri vi era inoltre il vantaggio di poter costituire delle classi piccole e organiche che favorivano il contatto diretto con l’insegnante.
Nel 1967, anno di elezioni cantonali, vi fu un esempio concreto della
potenziale dimensione politica dei Cpa che, solitamente ricondotti al discorso più
generale sulla scuola e sulla cultura, trovarono spazio nell’agenda politica di chi ne
351.
352.
353.
354.
355.
Ibidem, p. 278.
RCS, cit., 1967, p. 251.
Ibidem, p. 251.
Ibidem, p. 251.
Su un totale di 46 corsi 27 si tennero presso sedi considerate periferiche. Con sedi periferiche s’intendeva ad esempio paesi comeAmbrì,Acquila, Cavergno, Biasca, Faido, Olivone, Tesserete.RCS, cit., 1967, p. 250.
356. MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, p. 48.
357. «Ora che l’iniziativa si è affermata non è più necessaria la pubblicità. Dopo 5 anni di attività i Corsi per adulti guardano al futuro con la consapevolezza d’aver mantenuto le promesse iniziali», Giornale del Popolo, 13.1.1968, p. 7. Nell’art. veniva pubblicata anche
una tabella riassuntiva che mostrava l’evoluzione nei primi cinque anni del numero di
corsi e del numero di iscritti in base alle sedi e alle materie (allegato XVI a p. 137).
358. «Ora che l’iniziativa si è affermata non è più necessaria la pubblicità. Dopo 5 anni di attività i Corsi per adulti guardano al futuro con la consapevolezza d’aver mantenuto le promesse iniziali», Giornale del Popolo, 13.1.1968, p. 7.
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dirigeva le sorti. Nel programma del Partito Liberale Radicale pubblicato a gennaio,
oltre agli interventi necessari nel processo di democratizzazione degli studi, veniva
infatti trattato anche il punto sui Cpa. Questo settore si trovava politicamente nelle mani
dei liberali radicali in quanto il DPE, al quale i corsi facevano capo, era diretto da ormai
diverse legislature da esponenti del PLR359. Fino a quegli anni i Cpa non avevano
certamente rappresentato un tema principale nel dibattito politico. L’impostazione che
avevano assunto non aveva, fino a quel momento, suscitato grandi critiche, al contrario,
nell’insieme della stampa ticinese si tendeva a felicitarsi per l’iniziativa del DPE. Gli
unici appunti critici provenivano dai conservatori che, amareggiati per la perdita del
DPE, non esitarono a mettere in questione l’azione dei liberali quando se ne presentava
l’occasione. Non sorprendeva che sul punto dei Cpa l’intenzione generale era quella di
consolidare quanto si era fatto sino a quel punto e di continuarne lo sviluppo con lo
scopo di:
«sollecitare gli interessi culturali e di educare all’indipendenza e alla razionalità di giudizio, offrire ai docenti corsi di perfezionamento, integrare l’istruzione professionale di base nel settore
industriale, commerciale e agricolo, favorire l’attività artigianale nelle zone rurali, agevolare, con corsi
post-accademici il contatto dei laureati con l’evoluzione delle singole specializzazioni»360.
Tuttavia in quel periodo iniziarono le prime avvisaglie politiche nel dibattito
sull’organizzazione della scuola e della cultura all’interno del processo di democratizzazione degli studi. Alla fine degli anni Sessanta in Europa e negli Stati Uniti il contesto di benessere, frutto di uno sviluppo economico sorprendente, avrebbe generato una
crisi sul piano politico, sociale e culturale esplosa nel maggio del 1968 e che coinvolse
anche la Svizzera. Le politiche di chi aveva diretto lo Stato sull’onda della crescita economica furono rimesse in causa da movimenti di sinistra, a partire da quella di un settore dove si era investito molto. La scuola fu dunque accusata di perpetuare, sotto l’insegna della democratizzazione degli studi, un sistema retto sulle ineguaglianze sociali.
In Ticino, dove dopo le elezioni del 1967 si ruppe formalmente l’intesa
di sinistra, la manifestazione più evidente della reazione popolare ai costi sociali della
crescita fu la cristallizzazione, nel 1969, di un’opposizione politica di sinistra: il Partito socialisti autonomo (PSA) 361. Si trattava di una forza decisa a scardinare il sistema
che non ebbe scrupoli a trasportare la lotta politica all’interno della scuola. I conservatori,
che durante il ventennio dell’alleanza di sinistra furono costretti a giocare un ruolo tra
opposizione e collaborazione, trovarono nel 1963 lo spiraglio giusto per mettere in crisi quella che sembrava una formidabile impresa362. In quell’anno l’organo conservatore Popolo e Libertà pubblicò un documento programmatico nel quale mise in evidenza le inadempienze della coalizione radico-socialista: «Così, proprio quando di fronte
all’elettorato la formula dell’intesa di sinistra venne chiaramente ribadita da un programma,
e non fu più una sorta di matrimonio segreto, essa entrava in crisi»363. All’interno del
359. «Programma del Partito Liberale Radicale per le elezioni cantonali 1967. Progetto della
Direttiva politica del Partito Liberale Radicale Ticinese», Gazzetta ticinese, 4.1.1967, p.
3. Dall’istituzione dei Cpa e per il periodo che ci concerne si successero Plinio Cioccari
(1963-1967), Bixio Celio (1967-1971) e Ugo Sadis (1971-75).
360. Ibidem, p. 3.
361. ROSSI, Martino, art. cit., p. 190.
362. BIANCHI, Roberto, op. cit., p. 432.
363. Ibidem, p. 434.
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partito socialista sorsero dubbi in merito all’alleanza e progressivamente aumentarono
le voci critiche in tal senso. Queste presero una certa consistenza dal 1959, si affermarono quattro anni più tardi e trovarono un risvolto concreto durante il congresso del novembre 1966, quando in seguito al confronto ideologico prevalse lo schieramento a favore dell’autonomia364. I contrasti ideologici e politici in seno al gruppo dirigente del
PST sfociarono all’inizio del 1969 in una scissione con la nascita del PSA, schierato su
posizioni più radicali rispetto alla linea socialdemocratica365.
Terminata l’intesa di sinistra e all’interno di un contesto di dibattito e
confronto riguardo l’indirizzo politico della sinistra i socialisti, che dunque non correvano più a fianco dei liberali radicali, intervennero nel febbraio del 1967 su Libera
Stampa, intenzionati a rispondere alle critiche che erano state mosse loro dalle altre
fazioni politiche, critiche riguardanti il loro programma elettorale nel quale si diceva
mancassero le questioni relative ai nuovi rapporti di convivenza nella società
moderna366. Per provare il contrario i socialisti presero come esempio un ambito che
consideravano di fondamentale importanza come quello culturale. Innanzitutto sottolineavano l’importanza di una cultura che tendesse a promuovere lo sviluppo dell’educazione degli adulti mediante la creazione di corsi che raggiungevano anche le sedi
periferiche, punto sul quale si trovarono d’accordo con quanto svolto dal DPE con i
Cpa. Erano le intenzioni manifestate dai partiti borghesi in ambito culturale ad essere
messe in dubbio, specialmente quelle del PRL, accusato di aver voluto strumentalizzare
i moderni mezzi di comunicazione una volta capita l’importanza che potevano avere
come strumenti di penetrazione culturale e politica. In questo modo si limitava, per
paura di un mutamento ideologico, l’approfondimento individuale dei propri interessi
e dei propri problemi nel tempo libero. Le critiche dei socialisti si spostavano quindi sul
ruolo dello Stato, il quale secondo loro avrebbe dovuto intervenire unicamente per coordinare e sovvenzionare le attività culturali e non per cercare di dirigerle, punto quest’ultimo sensibile alla questione dei Cpa che però non furono direttamente menzionati.
Al di là del confronto ideologico riguardo la gestione della sfera culturale, terreno prediletto di dispute politiche, soprattutto quando veniva toccata la scuola,
da un punto di visto pratico le preoccupazioni di Marazzi erano rivolte a due ostacoli
che intralciavano in maniera decisiva lo sviluppo dei Cpa: i docenti e gli animatori,
dunque i principali collaboratori dei corsi. Il problema delle lacune degli insegnanti
rispetto alle nuove esigenze dottrinali e pedagogiche non era nuovo e toccava la scuola
nel suo insieme. Nel caso dei Cpa però assumeva maggiore importanza poiché la didattica dell’insegnamento post-scolastico era diversa da quella impiegata nelle scuole e,
come si è visto, il corpo docenti dei Cpa era costituito in gran parte dagli stessi professori che insegnavano nelle strutture scolastiche ticinesi367. Stando a un articolo apparso
364. Ibidem, p. 448.
365. Secondo Bianchi «il nuovo partito avrebbe dovuto essere il vero rappresentante dei lavoratori, creato e gestito da essi: lavoratori non solo del braccio, naturalmente. Anticapitalista, antiimperialista e internazionalista, la nuova compagine avrebbe dovuto essere
democratica nel dibattito e d’opposizione politica non solo parlamentare ma, fuori dalle
istituzioni, anche sui posti di lavoro: negli uffici, nelle fabbriche, nella scuola», in: BIANCHI, Roberto, op. cit., p. 453.
366. «Avanti coi socialisti. Cultura e tempo libero», Libera Stampa, 6.2.1967, p. 3.
367. RCS, cit., 1968, p. 273. Nell’art. del 1966 apparso nella rivista Études pédagogique, Marazzi diede delle indicazioni anche riguardo l’origine professionale dei 42 professori del
1966: professore universitario (1), professore scuole secondarie di livello superiore (14),
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4.
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sul Corriere del Ticino lo stesso valeva per le ScM368. Oltre al problema della qualità
dell’insegnamento, si presentava quindi anche quello più impellente della disponibilità
dei docenti.
Per far fronte in primo luogo ai problemi legati alle competenze dei
docenti delle scuole del Cantone, la direzione dei Cpa decise di introdurre, a partire dal
1967, una sezione di corsi dedicata ai docenti con lo scopo di preparali, durante giornate di studio, ai programmi delle scuole primarie e secondarie. Per alcuni docenti la
presenza era da considerarsi obbligatoria369. I seminari sarebbero stati tenuti da professori universitari o da specialisti degli argomenti in esame. Il primo corso del genere
si tenne a Bellinzona, durante il quale i Giudici dei Tribunale d’appello Giordano Borradori e Giordano Beati, presentarono a 195 docenti gli aspetti fondamentali dell’istituto giudiziario del Cantone370.
Non si trattò comunque di una novità vera e propria, poiché sin dalle
prime edizioni i docenti delle scuole ticinesi, chiamati a mettere in pratica le riforme
scolastiche, parteciparono ai Cpa di spontanea volontà o vennero sollecitati a farlo. Nel
gennaio del 1964 ad esempio, l’ispettore scolastico Sergio Caratti raccomandava ai
docenti delle scuole maggiori di iscriversi a La televisione come fatto tecnico e a Storia della musica, «per l’importanza e l’attualità del programma, fonte di approfondimento culturale nonché materia d’insegnamento»371. Le docenti delle scuole di
economia domestica furono invece invitate a partecipare a Igiene della gravidanza e del
parto, «in particolare per migliorare e approfondire le conoscenze relative alla anatomia, alla fisiologia e all’igiene della donna»372.
Il ruolo degli animatori era pure considerato essenziale come volevasi
dimostrare dall’esperienza dei modelli di educazione degli adulti francesi, germanici e
scandinavi373. Vi era bisogno di collaboratori esperti che sapessero interpretare le necessità locali e che curassero il contatto con il pubblico. Bisognava dunque trasformare i
volenterosi incaricati di sede in veri e propri animatori. I Cpa però non sembravano in
grado di assumersi questo compito da soli, poiché all’inizio del 1968 Marazzi auspicava
una coordinazione delle attività con gli altri enti d’educazione degli adulti proprio per
cercare di organizzare in comune gli indispensabili corsi per animatori, auspicio che
però non sembrò andare in porto374.
368.
369.
370.
371.
372.
373.
374.
professore di scuole professionali (6), funzionari con titoli universitari (6), carriera liberale o magistratura (10), tecnici (3), artigiani (2), in: MARAZZI, Guido, art. cit., 1966, p. 45.
Nell’art. il presidente del Circolo di cultura di Locarno, Vincenzo Snider, giustificava la
presenza massiccia di conferenzieri italiani con il fatto che i ticinesi erano spesso impegnati con i Cpa e le ScM. «Solo quindici … si preoccupano della cultura? Il programma
dei Concerti di Locarno presentato all’assemblea del Circolo», Corriere del Ticino,
22.2.1967, p. 5.
RCS, cit., 1967, p. 252.
«Ora che l’iniziativa si è affermata non è più necessaria la pubblicità. Dopo 5 anni di attività i Corsi per adulti guardano al futuro con la consapevolezza d’aver mantenuto le promesse iniziali», Giornale del Popolo, 13.1.1968, p. 7.
ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, fasc. M, lettera 29.1.1964.
Ibidem.
RCS, cit., 1967, p. 251.
«Ora che l’iniziativa si è affermata non è più necessaria la pubblicità. Dopo 5 anni di attività i Corsi per adulti guardano al futuro con la consapevolezza d’aver mantenuto le promesse iniziali», Giornale del Popolo, 13.1.1968, p. 7.
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Per cercare di rispondere in modo più efficace a questo tipo di problematiche, che si aggravavano in proporzione alla crescita dell’attività, e alle difficoltà di
gestione e di coordinazione dei molteplici interessi, che condizionavano e determinavano lo svolgimento dei corsi, alla fine del 1968 venne istituito il Consiglio direttivo dei
Cpa. L’organo si sarebbe occupato della consulenza e della vigilanza dei corsi. Per il suo
primo mandato il Consiglio era composto dal presidente Plinio Cioccari, Luigi Furger,
Guido Locarnini, Eros Bellinelli e da Vincenzo Snider375. Il segretario del DPE e il
direttore dei corsi ne avrebbero fatto parte di diritto. Per la sezione dei corsi di perfezionamento dei docenti il Consiglio poteva invece avvalersi della collaborazione di
Francesco Bertola, capo della sezione per la formazione professionale, e di Armando
Giaccardi, capo della sezione pedagogica376.
Al termine di questi tre anni scolastici, durante i quali si consolidarono
ulteriormente i propositi espressi da Marazzi nei primi due anni di attività, quest’ultimo lasciò il posto al professor Elzio Pelloni che divenne così nuovo direttore dei
Cpa377. Il passaggio di testimone non suscitò praticamente alcuna reazione nella stampa
che si limitò a darne la notizia in modo conciso378. Conscio di aver avviato un’attività
che funzionava e di averle dato un’impronta sufficientemente marcata da permetterle
di continuare sulla stessa retta, ovvero nella direzione di un’istituzione sempre più presente sul territorio per intervenire in ambito culturale e professionale dove ve ne fosse
stato bisogno, Marazzi intraprese una nuova sfida. Fu infatti chiamato, come nuovo
direttore, a dare un volto fresco alla Magistrale di Locarno, teatro nel 1968 della contestazione giovanile in Ticino379.
375. ACpa, scat. Risoluzioni Consiglio di Stato Corsi per adulti dal 63 all’87, risoluzione del
10.12.1968.
376. Ibidem.
377. Elzio Pelloni (1911-1995): docente, licenziato in scienze naturali all’Università di Neuchâtel nel 1933, tre anni più tardi conseguì il dottorato in scienze naturali. Dal 1939 al
1962 insegnò alla Scuola cantonale di commercio di Bellinzona, dove diviene titolare della cattedra di fisica e chimica applicata. Pedagogo, studioso di innato temperamento matematico e umanistico, fu anche commissario di vigilanza per le materie scientifiche nei
ginnasi e nei licei e presidente della Commissione cantonale del Parco botanico delle Isole di Brissago. Le informazioni biografiche sono tratte dal sito della Società ticinese di
scienze naturali di cui Pelloni fu presidente dal 1959 al 1961 (http://www.stsn.ch,
21.7.2013)
378. Si veda ad esempio l’art. «Pelloni nuovo presidente», Corriere del Ticino, 7.8.1968, p. 3.
379. Par maggiori informazioni riguardo l’entità delle riforme che avrebbero dovuto interessare la Magistrale si veda l’art. «Il nuovo anno alla Magistrale segna l’incontro con il direttore», Popolo e Libertà, 17.9.1968, pp. 5, 7» nel quale tra le altre cose viene riportato
il discorso del neo direttore agli allievi della scuola. Per Marazzi si trattava di un obiettivo dichiarato come ci racconta l’amico di gioventù Armando Giaccardi, in: GIACCARDI,
Armando, «Ricordo di Guido», Progresso sociale, settembre 2012, pp. 7,8.
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4.
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4.2.
I Corsi per adulti al servizio dell’individuo (1969-72)
4.2.1.
Elzio Pelloni parte col botto (1969)
4.2.1.1.
«La droga anche fra noi…»
95
L’anno scolastico 1968-69 fu particolare per i Cpa in quanto si può considerare il punto d’incontro tra l’impostazione dettata nei primi anni dalla direzione Marazzi, e quella che i corsi avrebbero assunto negli anni successivi sotto la guida di Pelloni. Fu un anno importante, durante il quale si cercò di fare il punto della situazione
sull’educazione degli adulti a livello cantonale, ma anche nazionale, e fu proprio lì che
s’impose il discorso sull’educazione permanente.
Dal punto di vista dell’offerta furono realizzati 85 corsi, ovvero 35 in più
rispetto all’anno precedente e vi parteciparono 4’398 persone380. All’aumento corrispose
la diffusione dei corsi nei centri minori, dove ora se ne tenevano addirittura 65, quindi
più del doppio rispetto al 1968. Vista la crescita del numero di materie, l’offerta fu strutturata diversamente anche se in generale v’era sempre una sezione legata alla formazione
professionale e un’altra, più eterogenea, che comprendeva quelli che fino ad allora erano stati considerati i corsi culturali381. Il primo gruppo contava 29 corsi, mentre il secondo 56.
Il corso che forse più di tutti fece notizia durante il 1968-69 fu il ciclo di
conferenze tenuto da Renato Lutz, docente alla Magistrale di Locarno, che sottopose a
un pubblico molto folto, costituito in gran parte da giovani, il problema delle sostanze
stupefacenti e allucinogene382. Si trattava di un’iniziativa culturale volta alla divulgazione
scientifica di un tema d’attualità scottante383. Le lezioni volevano chiarire un argomento
ch’era divenuto ricorrente e del quale si discuteva sui giornali, in radio, nell’ambiente
dei medici e in altre sedi ancora. L’attenzione era rivolta a quanto accadeva in quegli anni
in Europa e negli Stati Uniti.
Come si è visto nel capitolo precedente, alla fine degli anni Sessanta la
situazione di benessere nella quale si erano venuti a trovare gli Stati Uniti e l’Europa,
frutto di uno sviluppo economico stupefacente, generò una crisi sul piano politico, sociale e culturale esplosa nel maggio del 1968 che coinvolse anche la Svizzera. La contestazione si articolò in due poli: da una parte nella denuncia del controllo crescente dello Stato a scapito dell’autonomia individuale, dall’altra nei rischi che comportava la so380. RCS,.cit., 1969, (6) p. 41.
381. Nel 1968-69 le categorie erano le seguenti: Educazione sanitaria, Economia, istituzioni, Scienza e tecnica, Psicologia e sociologia, Arti e lettere, Storia e Corsi agricoli e falegnameria. Questa almeno era la suddivisione che si presentava nel Rendiconto del Consiglio di Stato del 1969. Ricordiamo che per gli anni dal 1966 al 1970 non abbiamo trovato i programmi dei corsi. Per quanto concerne i Corsi agricoli e falegnameria non li
abbiamo considerati tra i corsi professionali poiché come per i primi corsi pratici sulla
manutenzione delle macchine agricole e sulla lavorazione del legno il loro scopo sembrava piuttosto legato alla socializzazione tra partecipanti e insegnanti che a ragioni di
tipo professionale.
382. Addirittura sulla prima pagina del Dovere si scrisse di non aver mai visto un numero così alto di partecipati, in: «Lezioni sulla droga a Bellinzona. Mai visto così tanto pubblico», Il Dovere, 18.11.1969, p. 1.
383. «Concluso il ciclo di lezioni su «Stupefacenti e allucinogeni»», Corriere del Ticino,
20.3.1965, p. 5.
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cietà moderna, quali ad esempio il deterioramento dell’ambiente, l’armamento atomico e l’energia nucleare384. Fu avviato un processo di trasformazione nella scala dei valori sociali, dove la sicurezza materiale e fisica non rappresentava più la priorità principale. I figli del progresso economico e del consumismo cominciarono a rivendicare
valori come la libertà d’espressione, l’autonomia, la partecipazione del cittadino alla vita
politica, lo sviluppo individuale e la qualità della vita. Fu in questo contesto che si formarono nuovi movimenti di protesta come quello ecologista, pacifista, antinucleare, gay,
hippie e femminista, che si fecero portavoce degli aspetti negativi della crescita e dei
nuovi valori sociali, ponendo così le basi per una contestazione politica. Il consumo di
droghe fu una delle caratteristiche del repertorio d’azione di parte di queste mobilitazioni, in particolare di quella hippie. I media di tutto il mondo diedero ampio spazio al
fenomeno. In Ticino, dove si ricorda la vicenda dell’occupazione dell’aula numero 20
alla Magistrale di Locarno, la contestazione fu contenuta e non assunse i tratti caratteristici di quella che scosse le fondamenta del sistema capitalista385. L’episodio più significativo fu probabilmente quello che riguardò la politica del Cantone con la creazione
del PSA. Tuttavia in un contesto sempre più globale l’influenza culturale avrebbe avuto ripercussioni anche sulla società ticinese e le sue istituzioni, a partire dalla scuola.
Tornando al corso di Lutz, nella stampa ticinese si affermava che viste le
circostanze non si poteva più fare della droga un discorso tabù386. Il professor Lutz si
assunse dunque il compito di presentare i pericoli e le conseguenze dell’uso di sostanze allucinogene e in particolare della droga sintetica più in voga, LSD387. Dopo aver tracciato il quadro «allarmante» della diffusione della droga in America e in Europa, Lutz
si soffermò sul caso ticinese insistendo sulla necessità di fare opera di propaganda per
allontanare i giovani ticinesi dai pericoli del consumo di droga. Bisognava però farlo in
modo cauto, tenendo conto della particolare mentalità dei giovani, poiché non si voleva in alcun modo ottenere l’effetto contrario. Nel capoverso dal titolo preoccupante «La
droga anche fra noi…» si citava l’episodio che aveva portato al ricovero una decina di
giovani in preda a psicosi da intossicamento dovuta a marijuana e hashish, consumata
in compagnia di un complesso jazz britannico388. Il successo del corso fu l’ennesima conferma del fatto che ogni qualvolta i Cpa si facevano interpreti di una problematica sociale ottenevano dal pubblico una risposta positiva. Non era un caso dunque se la categoria dei corsi di psicologia e sociologia fosse una delle più sviluppate con ben 17 corsi in 17 regioni, seconda solo ai corsi di economia domestica (24)389 .
384. CATTACIN, Sandro et alii, op. cit., p. 63.
385. Si veda il servizio del Regionale alla TSI del 12.3.1968, in: http://www.ideesuisse.ch
(10.7.2013).
386. «Lezioni sulla droga a Bellinzona. Mai visto così tanto pubblico», Il Dovere, 18.11.1969,
p. 1.
387. «Concluso il ciclo di lezioni su «Stupefacenti e allucinogeni»», Corriere del Ticino,
20.3.1965, p. 5. Solo l’elenco delle droghe trattate rende l’idea della serietà e della precisione dei propositi del corso: belladonna, mandragora, giusquiamo, cava-cava delle
Isole del Pacifico, amanita muscaria usata in Siberia, betol, mescalina, LSD.
388. Ibidem, p. 5.
389. Anche in quest’ambito nel programma del gennaio del 1969 si trova un corso particolarmente interessante in rapporto al contesto dei Trenta gloriosi, caratterizzato tra le altre cose da un boom del mercato dei beni di lunga durata tra i quali gli elettrodomestici.
Si trattava del corso «Usi e pericoli degli apparecchi elettrodomestici», in: Corriere del
Ticino, 14.1.1969, p. 5.
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4.2.1.2.
I desideri della popolazione: il sondaggio d’opinione nel maggio 1969
97
Nel suo primo anno Pelloni s’impegnò a portare avanti quanto ereditato
da Marazzi, ma ancora prima del termine dei corsi, insistette affinché venisse realizzata
un’inchiesta presso la popolazione ticinese con lo scopo di tracciare un quadro preciso
dell’educazione degli adulti in Ticino. Con questa iniziativa il nuovo direttore voleva
capire quali fossero di preciso i desideri della popolazione, in modo da procedere a una
ristrutturazione adeguata dei corsi390. Il Corriere del Ticino riportò che un sondaggio
d’opinione sull’educazione degli adulti s’imponeva da tempo poiché il DPE voleva evitare a tutti i costi di giungere ad una cultura imposta e monopolizzata391.
Nel mese di maggio furono dunque inviate a tutti i fuochi 91’000 cartoline e allo stesso tempo si cercò di pubblicizzare l’indagine il più possibile392. Il Giornale del popolo affermò addirittura che il successo futuro dei Cpa sarebbe dipeso da
quello dell’indagine393. Il sondaggio d’opinione voluto da Pelloni ruppe quindi quel
silenzio mediatico che aveva caratterizzato gli ultimi tre anni della direzione Marazzi394.
Le domande poste alla popolazione riguardavano il profilo sociale delle
persone interpellate (sesso, età, scuole frequentate, professione e tempo a disposizione
da dedicare a corsi serali), le motivazioni della partecipazione (per soddisfazione personale, nella funzione di cittadino, di padre, di madre, nel campo della professione o per
una promozione sul lavoro), le preferenze tra i corsi proposti (educazione sanitaria,
scienza e tecnica, storia, storia del cinema, storia del teatro, della musica, pensiero politico, letteratura, arti figurative, arti applicate, economia, diritto, sociologia, psicologia,
problemi scolastici, riqualificazione professionale di operai e impiegati, agricoltura,
lingue, economia domestica, cucito, prevenzione infortuni, sport e medicina sportiva)
e le tematiche che si volevano eventualmente proporre, quelle per le quali si sentiva
un’esigenza. Si chiedeva infine se fosse stata gradita la diffusione di corsi per mezzo
della radio o della televisione, se si era disposti a seguire corsi brevi di carattere naturalistico, artistico, geografico o economico e se vi era un interesse a frequentare corsi
semestrali in vista dell’ottenimento, a seguito di esami, di certificati qualificanti395.
Considerate le aspettative che la direzione dei Cpa ripose nel sondaggio
effettuato, il risultato fu modesto dal punto di vista della partecipazione. Delle 91’000
schede ne tornarono 5’780, di cui 5‘225 utili, con una partecipazione femminile del
37%396. Calcolando che nel 1968-69 4‘398 persone parteciparono ai Cpa, si potrebbe
390. «Una preziosissima cartolina – inchiesta raggiungerà tutti i fuochi del Cantone», Il Dovere, 24.5.1969, p.15.
391. «Si vuole stabilire ciò che la popolazione desidera imparare. Un sondaggio d’opinione
sui Corsi per adulti», Corriere del Ticino, 24.5.1969, p. 15.
392. Il 1969 fu infatti un anno particolarmente denso per quanto riguarda la pubblicazione da
parte della stampa ticinese di articoli inerenti ai Cpa, si veda la tabella allegata (I) a p 127.
393. «Per l’istruzione permanente nel cantone. Si attendono i risultati dell’inchiesta per fissare la continuazione e lo sviluppo dei Corsi per adulti», Giornale del Popolo, 24.5.1969,
p. 9.
394. «Una preziosissima cartolina – inchiesta raggiungerà tutti i fuochi del Cantone», Il Dovere, 24.5.1969, p.15.
395. «Per l’istruzione permanente nel cantone. Si attendono i risultati dell’inchiesta per fissare la continuazione e lo sviluppo dei Corsi per adulti», Giornale del Popolo, 24.5.1969,
p. 9.
396. RCS, cit., 1969, (6) p. 41.
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pensare che gran parte delle risposte all’inchiesta giunsero proprio da coloro che avevano frequentato i corsi quell’anno.
I corsi che raccolsero i maggiori suffragi furono le lingue, l’educazione
sanitaria, i problemi di psicologia e sociologia e quelli di scienza e tecnica, seguiti dai
corsi sul pensiero politico, le arti, le lettere e la storia. L’analisi per classi di età dava gli
stessi risultati. Alcuni dei dati più interessanti erano legati alla principale motivazione
a partecipare ai corsi che, un po’ a sorpresa, non riguardava l’interesse professionale,
ma bensì la soddisfazione personale, con 3’611 risposte, date in prevalenza dal gruppo
femminile397. La motivazione di tipo professionale, dove invece si riscontrava una maggioranza maschile, era comunque la seconda ragione più importante (2’358), seguita da
chi li aveva seguiti «come cittadino e genitore» (2‘098) e da chi auspicava una promozione sul lavoro, soprattutto giovani adulti (872). Per quanto riguardava le richieste del
pubblico, spiccavano quelle per i corsi di lingue, specialmente dal pubblico femminile,
e quelle di corsi aventi un interesse professionale, con ben 3’230 voti. In risalto poi la
partecipazione di persone aventi frequentato scuole professionali, con il 57%398. L’altra metà si suddivideva tra chi aveva terminato gli studi con le scuole dell’obbligo (16%)
e chi invece li aveva proseguiti nelle scuole medie e superiori (22%), con una minima
parte di universitari (5%). Per quanto concerneva i gruppi professionali, la percentuale
più alta era quella degli studenti e degli apprendisti, con il 29%, seguiti dagli impiegati
(28%) e dalle casalinghe (19%)399.
Nonostante si trattasse delle risposte di una modesta fetta di popolazione,
questa era ben rappresentata da gruppi sociali precedentemente rimasti in ombra. Spiccavano infatti le percentuali degli studenti e apprendisti, e delle donne. Se i primi, e gli
uomini in generale, seguivano i Cpa soprattutto per motivi professionali, le seconde, in
buona parte casalinghe, erano piuttosto orientate verso l’appagamento di interessi particolari. Per Pelloni era un’indicazione molto importante poiché significava che andava
rivalutata l’importanza dei corsi cosiddetti culturali. In un certo senso il sondaggio
rispecchiava le tendenze che aveva assunto l’offerta, soprattutto con lo sviluppo massiccio dei corsi sociologici e di psicologia. Pur non avendo nessuna implicazione nella
vita professionale, queste lezioni toccavano, in un momento di «crisi sociale», dei punti
sensibili al pubblico, focalizzando l’attenzione soprattutto sui rapporti sociali tra genitori e figli, tra individuo e società, tra famiglie e società o semplicemente tra individui,
rapporti che cominciavano a subire degli strappi. In parole povere aiutavano il pubblico
ad orientarsi nella società moderna da un punto di vista umano. Tuttavia, gli interessi
personali potevano riguardare anche corsi meno impegnativi che offrivano semplicemente una possibilità di svago intelligente nel tempo libero, sull’esempio di quelli promossi dalle ScM.
Il 1969 non fu un anno di svolta solo per il cambio di direzione dunque,
ma anche perché si pensava di aver raggiunto un primo traguardo e ora bisognava guar397. RCS, cit., 1969, (6) p. 42.
398. Ibidem, p. 43.
399. Ibidem, p.43. Gli Altri dati erano i seguenti: settore primario 1%, settore secondario 7%,
liberi professionisti 4%, pensionati 2%. Sorprendeva in un certo senso il 9% di servizi
culturali e docenti più volete sollecitati e in alcuni casi obbligati a seguire i corsi, ma non
bisognava dimenticarsi che vista la modesta partecipazione i dati non rispecchiavano necessariamente la realtà.
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dare oltre. In questo senso il sondaggio diede delle indicazioni interessanti anche se gli
argomenti da valutare erano diversi. Nel primo rendiconto della direzione Pelloni, si
affermava che i dati dell’indagine ponevano il Paese di fronte a delle grandi responsabilità «in quanto questo rappresenterà il primo passo verso l’introduzione dell’educazione permanente, ormai sollecitata da più parti»400.
4.2.1.3.
L’educazione degli adulti come parte integrante
di un sistema di educazione permanente
Nel maggio 1969 fu indetta una conferenza stampa per informare il pubblico sulle intenzioni dell’inchiesta dei Cpa. Quest’incontro con i media rappresentò una
delle prime occasioni per Pelloni di esprimersi a proposito degli scopi dei Cpa e della
direzione che s’intendeva seguire per il futuro401. In questo senso non vi furono particolari rivelazioni, gli argomenti principali ricalcavano quelli già sollevati e ripetuti
durante il periodo di Marazzi. S’insisteva però maggiormente sull’istituzione di un
sistema efficiente di educazione permanente, in quanto obiettivo ultimo dell’educazione degli adulti.
Il concetto di educazione permanente prese forma e si sviluppò a cavallo
tra gli anni Sessanta e Settanta in relazione alla problematica dell’educazione degli
adulti. Fu un periodo durante il quale a livello internazionale i sistemi educativi furono
rimessi in questione e subirono riforme importanti, a partire dalla democratizzazione
degli studi. I primi studi sull’argomento uscirono a metà degli anni Sessanta. L’educazione permanente s’impose quindi a livello internazionale come nuovo modello scientifico sorretto da organizzazioni quali l’UNESCO, e fu applicata a livello nazionale o
regionale per mezzo di politiche educative che si mossero in questa direzione. In Svizzera questo concetto divenne centrale a partire dagli anni Settanta. L’inchiesta nazionale
realizzata dal Dipartimento dell’interno sullo stato dell’educazione degli adulti nei vari
cantoni, alla quale in qualità di membro dell’AUPS i Cpa parteciparono, fu la prova
dell’importanza che stava assumendo questo discorso.
All’inizio degli anni Settanta le pubblicazioni in Svizzera si moltiplicarono anche in funzione dell’interesse politico che suscitava l’argomento. Nel 1970 ad
esempio la FSEA portò alle stampe un opuscolo dal titolo significativo Oui à la réforme
de l’éducation – mais aussi pour les adultes402. Un anno più tardi uscì uno studio fondamentale condotto dal GRETI: La Suisse au-devant de l’éducation permanente403. Il
rapporto dava una visione d’insieme della problematica e il direttore del Dipartimento
degli interni, Hans Peter Tschudi, che ne firmò la prefazione, lo ritenne un valido contributo alla causa404. Come era successo con l’educazione degli adulti nel dopoguerra,
anche l’educazione permanente nasceva per permettere agli individui di seguire i mutamenti repentini della società.
400. Ibidem, p. 42.
401. «Conferenza stampa a Palazzo. S’interroga la popolazione sui «Corsi per adulti»», Popolo e Libertà, 24.5.1969, p. 7.
402. Oui à la réforme de l’éducation […] cit., 26 p.
403. GRETLER, Armin et alii, op. cit., 178 p.
404. Ibidem, p. 7.
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Nello studio del GRETI si considerava l’educazione come un sottosistema della società in relazione permanente con altri sottosistemi della vita sociale,
economica e culturale, dai quali era determinata e che determinava al tempo stesso405.
L’educazione dunque rifletteva i valori della società e contribuiva a trasmetterli, a conservarli o a forgiarne di nuovi406. Tuttavia, a causa dell’accelerazione dei ritmi di vita e
di altri fenomeni della società moderna, divenne problematico fissare degli obiettivi
nel campo dell’educazione407. La FSEA, che si batté per il riconoscimento costituzionale di questo fenomeno, lo spiegava in questi termini:
«Il fut un temps où les suisses pouvaient se déclarer satisfaits de leur système éducatif
pour enfants et jeunes gens, lequel système convenait à la société statique du siècle et servait même
d’exemple à d’autres pays. Mais pour la société mouvante d’aujourd’hui et celles des prochaines décennies, il s’agit d’élaborer un vaste système éducatif englobant aussi bien les enfants, les jeunes gens que
les adultes. […] De l’éducation permanente relèvent [donc] les écoles (dont le temps d’étude est obligatoire, imposé par la loi), les écoles supérieures, la formation professionnelle tant de base que para professionnelle, l’éducation des adultes, les organisations de loisirs, la préparation au troisième âge»408.
Il concetto comprendeva dunque l’insieme di tutte le possibilità educative e faceva riferimento a una realtà più vasta di quella dell’educazione degli adulti. Tuttavia gli argomenti presentati erano molto simili. Secondo Jean Le Veugle i compiti
dell’educazione permanente erano i seguenti:
«prolonger, entretenir et compléter la culture générale donnée à l’école; favoriser le perfectionnement professionnel et technique à tous les niveaux; protéger et développer l’homme contre les
effets déshumanisants de la technique et des propagandes; assurer une promotion du travail et un reclassement de certains adultes»409.
Dal canto suo Paul Lengrand insisteva sulla doppia dimensione dell’educazione, allo stesso tempo utile e personale, poiché doveva permettere una grande efficacia professionale, ma anche di essere solo nella conoscenza di se stesso e della vita:
«L’éducation est l’action d’un homme sur d’autres hommes, qui se permet l’acquisition
de connaissances nouvelles, mais aussi le développement d’un comportement neuf en vue de réaliser un
travail extérieur bien défini, ou de rechercher un épanouissement intérieur, donc personnel»410 .
A sua volta il GRETI rilevava come l’educazione permanente non
dovesse definirsi unicamente in termini d’accumulazione di sapere, ovvero come una
corsa fatale dove chi non imparava veniva escluso dalla società, ma anche e soprattutto
come strumento al servizio della crescita spirituale individuale411.
405. Ibidem, p. 21.
406. Ibidem, p. 21.
407. Questa la lista dei fenomeni ai quali s’intendeva rispondere con l’educazione permanente: «la complexification proliférante des activités humaines, un processus accéléré
de cérébralisation (les ordinateurs), le gonflement exponentiel de l’information; les loisirs; et aussi, l’angoisse montée des périls», in: GRETLER, Armin et alii, op. cit,, p. 18.
408. Oui à la réforme de l’éducation […] cit., 26 p.
409. BOURGOZ, René, e alii, op. cit., p. 8.
410. Ibidem, p. 6.
411. GRETLER, Armin et alii, op. cit., p. 19.
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In questo senso, accostando l’educazione permanente alla nozione di
tempo libero, la prima poteva diventare quello che il GRETI definiva il tempo della
creazione di se stessi attraverso se stessi:
«Temps de l’esprit présent, jugeant le monde et reconstruisant sans cesse ce monde
selon une échelle de valeurs toujours repensée, source et principe d’engagements neufs, d’actes de liberté
inédits. Temps aussi où l’homme, lucide et courageux, oserait ouvrir les yeux sur tous les périls et toutes
les souffrances du monde et reconnaîtrait que, l’ère de la consommation étant révolue, c’est à la répartition qu’il faut songer, comme au soulagement des souffrances (les physiques et les morales) et à la promotion de tous les hommes. L’éduction permanente ne courrait plus le risque d’être confisquée par l’avoir
(avoir plus de richesses, plus d’informations); elle serait désormais mise au service de l’être. Apprenant
tous les jours à progresser en humanité, l’homme parcourrait les âges de sa vie avec, unies en lui, la grâce
de l’enfant, l’ardeur de l’adolescent, la fermeté de l’adulte et la sagesse lumineuse du vieillard»412.
La riflessione sull’educazione permanente, come quella sull’educazione
degli adulti, si articolò quindi intorno alla duplice questione dei bisogni della società e dell’individuo. Per evitare di perdere terreno collettivamente e individualmente rispetto all’evoluzione della società, in termini locali e globali, e per rispondere alle nuove esigenze
che questa presentava, bisognava intervenire sull’insieme del percorso educativo di una
persona che, nel quadro dell’educazione permanente, coincideva con quello della vita.
Il termine non era nuovo in Ticino, come si è visto Marazzi tenne una conferenza al riguardo nell’aprile del 1965 e diversi degli argomenti sollevati dall’allora direttore dei Cpa erano simili a quelli appena visti, ma fu a cavallo tra gli anni Sessanta
e Settanta che il discorso sull’educazione degli adulti e quello sull’educazione permanente divennero praticamente indissociabili.
Nei primi anni Settanta l’offerta dei Cpa subì un’impennata, sia dal punto
di vista numerico che da quello delle materie trattate. Vi furono diverse novità tra le
quali i cosiddetti «Corsi hobby» che, sul modello di quelli delle ScM, proponevano
delle attività piacevoli e intelligenti da svolgere nel proprio tempo libero.
In quel periodo cominciarono però anche le prime critiche nei confronti
dei Cpa. Nel prossimo capitolo proporremo innanzitutto una riflessione sulla nuova
direzione intrapresa dai Cpa, tenendo presente gli elementi emersi dal sondaggio d’opinione condotto nel maggio 1969, quelli più generali sul quadro teorico dell’educazione permanente, di cui si sono abbozzati i tratti principali, con particolare riferimento
all’educazione degli adulti, e quelli relativi alla presunta concorrenza con le ScM di
cui si è parlato in precedenza. In seguito cercheremo di capire in quale contesto nacquero le critiche all’organo pubblico di educazione degli adulti.
4.2.2.
L’espansione dei Corsi per adulti (1970-1972)
4.2.2.1.
L’educazione permanente come risposta alla domanda sociale del paese
All’inizio degli anni Settanta s’impose il paradigma dell’educazione permanente e l’educazione degli adulti divenne un argomento politico d’interesse nazionale. Per l’importanza che stava assumendo questo fenomeno la FSEA, come si è visto,
auspicò l’intervento da parte del governo centrale al fine di porre le basi normative
412. GRETLER, Armin et alii, op. cit., p. 19.
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necessarie a mettere in atto una riforma in quella direzione sul piano nazionale413. Nel
1969 il Dipartimento dell’interno si mosse e condusse un’inchiesta nel Paese al fine di
conoscere le basi legali dell’educazione degli adulti nei Cantoni, lo stato attuale dei
corsi e le prospettive future414. Dal canto suo il direttore del DPE faceva sapere che in
Ticino era in atto una riorganizzazione con l’intento di potenziare l’attività e di estenderla a tutte le regioni del territorio cantonale415. A questo proposito si stava elaborando
un progetto di decreto in applicazione degli articoli 188 e seguenti della nuova legge
della scuola del 1958.
L’estensione del dibattito a livello nazionale fu l’occasione per i Cpa di
mostrare quanto già si era fatto nel Cantone e su queste basi chiedere alla Confederazione un aiuto per proseguire nella direzione giusta. Nel caso preciso Bixio Celio si
riferì ai corsi di lingue dei quali si sentiva grande necessità, ma per i quali servivano
attrezzature didattiche particolari e soprattutto costose416. Visto che nella legge scolastica del 1958 era prevista anche l’organizzazione di corsi di lingua italiana per confederati, il sussidio federale avrebbe potuto aggiungersi a quello già previsto per la difesa
della lingua e della cultura italiana. Più in generale il Ticino, uno dei pochi Cantoni ad
aver inserito l’educazione degli adulti in un quadro legislativo417, si aspettava da parte
del Consiglio Federale delle direttive politiche in materia di educazione permanente418.
Nel frattempo nel Cantone questa problematica si era affermata nel
discorso scolastico e in quello sull’educazione degli adulti. Agli inizi di settembre del
1969 il direttore del DPE dichiarava:
«Ancora pochi anni or sono la fine dei corsi scolastici segnava praticamente la fine di
ogni sforzo sistematico di elevazione della personalità. Oggi la situazione è cambiata e il processo educativo è diventato permanente»419.
413. A questo porposito si veda l’opuscolo della FSEA: Oui à la réforme de l’éducation […]
cit, 26 p. Solo la formazione professionale era promossa in applicazione del art. 44 della L.F.P. che prevedeva l’organizzazione e il sussidio di corsi di tale natura. La formazione non professionale era assicurata da enti o istituzioni private, dalla FSEA e dall’AUPS, finanziata per il 95% da organi privati e 5% da quelli pubblici, in: RCS, cit.,
1969, (6) p. 43.
414. Ibidem, p. 43.
415. ACpa, scat. Direzione dal 72 al 76, sezione F, lettera 2.10.1969.
416. Ibidem. I nuovi metodi d’insegnamento nelle lingue facevano capo ai mezzi audiovisivi,
in particolare ai cosiddetti laboratori linguistici. A questo proposito si veda l’art. pubblicato nel 1972 dalla rivista Scuola ticinese: FLÜGEL, Christoph, «Il laboratorio linguistico», Scuola ticinese, n. 10, 1972. Questo contributo è stato ripreso recentemente dalla
consulente per le lingue della Divisione della scuola: JÖRIMANN VANCHERI, Brigitte, «Il
laboratorio linguistico agli albori della moderna concezione dell’insegnamento», Scuola ticinese, n. 310, 2012, pp. 2-4.
417. Nel 1971 erano sei i Cantoni ad aver legiferato in materia di educazione degli adulti: Argovia, Grigioni, Soletta, Ticino, Vallese, Zurigo, in: GRETLER, Armin et alii, op. cit., pp.
88, 89.
418. Intervento di Speziali al Nazionale chiese quale linea voleva dare il Consiglio federale.
Disse che in Ticino per i Cpa nel 1967 si erano spesi 40’000 franchi e nel 1971 400’000
e che da 400 iscritti si era passati a 7200. A suo modo di vedere questi dati indicavano
una volontà politica della quale Confederazione avrebbe dovuto tener conto, in: «Necessità
di incrementare l’educazione degli adulti», Corriere del Ticino, 21.6.1972, p. 5.
419. «Lezioni per tutti ai Corsi per adulti 1970-71: dalle lingue all’infortunistica e alla radiotecnica», Giornale del popolo, 3.9.1970, p. 7.
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Nel rendiconto dipartimentale del 1970, oltre che a ricordare il fermento
che stava vivendo l’ambito dell’educazione permanente, per la prima volta si mise in
rapporto l’istruzione post-scolastica con l’insieme del movimento educativo del Cantone420. Sollecitato in Gran Consiglio nel 1971 circa i compiti dello Stato nel settore culturale, Celio indicava il settore della formazione post-scolastica come l’esempio
dell’intervento statale nell’attività extra-scolastica, e ricordava che il DPE stava lavorando a un decreto per potenziare l’efficacia dell’educazione permanente421. A poco
più di due mesi dall’entrata in carica, il suo successore e collega di partito Ugo Sadis
citava l’educazione permanente tra gli obiettivi politici della scuola ticinese, in quanto
poteva offrire molteplici vie all’istruzione422. Il direttore dei Cpa affermava nel 1971 che
se il periodo tra gli anni Cinquanta e i Settanta era stato caratterizzato in Svizzera dal
potenziamento delle strutture universitarie, dalla democratizzazione degli studi e dalle
nuove infrastrutture pedagogiche, quello che seguiva lo sarebbe stato dall’educazione
permanente423. Come nel caso dell’educazione degli adulti la questione dell’educazione
permanente emerse in relazione ai nuovi bisogni socio-economici. A questo proposito
Pelloni ribadiva che il cammino della società proseguiva imperterrito, mutandone le
forme sotto tutti gli aspetti. In queste circostanze orientarsi richiedeva uno sforzo
d’informazione continuo, direttamente proporzionale all’evoluzione che conosceva la
società:
«Nella vita professionale tutto è in evoluzione, cambiano metodi e tecnica di produzione, terminologia, mercato del lavoro. Nella vita famigliare le dimensioni aumentano ( rapporti figligenitori; genitori-scuola; giovani-adulti); nella vita civile e intellettuale nulla è in stasi e ci si deve sforzare
per equilibrare gli aspetti disumanizzanti della civiltà tecnologica. Anche privatamente le scelte che
ognuno deve fare nell’abbondanza della produzione, e non solo di quella materiale, richiedono uno sforzo
costante d’informazione e formazione».424
Tuttavia il momento d’entusiasmo che stava vivendo l’educazione degli
adulti all’interno del discorso sull’educazione permanente fu controbilanciato dalla
420. La formazione scolastica contava nel 1970 38’000 allievi, quella professionale 6’000 tra
studenti e apprendisti, 1’000 gli studenti universitari e 6’000 gli adulti coinvolti nel settore post-scolastico, RCS, cit., 1970, (6) p. 57. Nella stessa pagina si citava lo studio del
GRETI di cui il DPE sarebbe presto venuto conoscenza visto che in una lettera a marzo
1971 si parlava del suo acquisto presso il Dipartimento,ACpa, scat. Risoluzioni CDS CPA
dal 63 all’87, lettera 30.3.1971.
421. VGC, Sessione ordinaria primaverile 1970, Seduta VII, 25.6.1970, p. 134, 137. A partire dagli anni Settanta fino alla seconda metà degli anni Ottanta l’educazione degli adulti veniva designata con il termine d’istruzione post-scolastica dalla quale prese il nome
il nuovo ufficio dei Cpa istituito come vedremo nel novembre del 1971.
422. VGC, Sessione ordinaria primaverile 1971, Seduta V, 22.10.1971, p. 103.
423. «I corsi per adulti del Dipartimento educazione anche sulle onde di Radio Monteceneri», Gazzetta Ticinese, 24.11.1971, p. 3. Anche durante l’assemblea annuale dei delegati FSEA si sottolineò che l’educazione permanente era la struttura scolastica dell’avvenire. «La Federazione svizzera per l’educazione degli adulti», Corriere del Ticino,
21.7.1970, p. 5.
424. «I corsi per adulti del Dipartimento educazione anche sulle onde di Radio Monteceneri», Gazzetta Ticinese, 24.11.1971, p. 3. In seguito con particolare riferimento alla formazione professionale delle alte cariche Pelloni affermava: «Ieri il valore dei quadri direttivi poteva corrispondere all’uguaglianza: formazione di base più esperienza professionale; oggi è diventata alquanto più complessa: formazione di base più esperienza professionale più perfezionamento professionale, più formazione psico-sociale».
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situazione della scuola ticinese, per la quale erano anni difficili nel travagliato processo
verso la democratizzazione degli studi425. Quest’ultima era oggetto di critiche e di strumentalizzazione nel dibattito politico, soprattutto da parte di forze d’opposizione sorte
a seguito della crisi politica e sociale della fine degli anni Sessanta. Tuttavia, nel contempo, per il ruolo fondamentale che le era stato affidato, la scuola era chiamata a traghettare verso rive più tranquille una società che per certi versi stava affrontando una
crisi d’identità, i cui tratti venivano riflessi proprio dalle istituzioni scolastiche. Fu una
situazione che caratterizzò le discussioni parlamentari di quegli anni come dimostrano
le parole di Fabio Vassalli nel 1970:
«Mai come di questi tempi il Gran Consiglio è stato consapevole del fatto che quello
della scuola costituisce uno dei problemi politici più gravi e più urgenti, se non il problema politico per
eccellenza che il Ticino si trova ad affrontare»426.
Il Giornale del popolo nel marzo del 1971 riferiva che tutti i partiti individuavano nella politica scolastica la vera forma della promozione umana427. L’educazione degli adulti inizialmente non fu toccata da una situazione sociale e scolastica che
l’opinione pubblica definiva in termini di crisi428. Sorti anche come strumento per colmare le lacune della scuola i Cpa assumevano in questo contesto un’importanza sociale
e politica maggiore. Tuttavia a partire dagli anni Settanta, sebbene la funzione di complemento alla formazione scolastica e professionale rappresentasse sempre una questione centrale per Pelloni, e lo divenne a maggior ragione con l’introduzione dei corsi
di lingue, l’accento fu posto in maniera particolare sull’altra funzione che caratterizzava
i Cpa e più in generale l’educazione degli adulti, ovvero quella di permettere ai cittadini di perfezionarsi anche nelle loro qualità personali dando un senso intelligente al
tempo libero. Questo aspetto, che da sempre aveva accompagnato l’educazione degli
adulti, come si è visto fu messo in risalto dal discorso dell’educazione permanente.
Durante la conferenza annuale dei delegati cantonali della FSEA si ricordava che:
«Imparare non è più considerato soltanto mero apprendimento nozionistico, ma come
sviluppo e arricchimento delle proprie doti spirituali, delle proprie capacità manuali e artigianali, della
propria coscienza sociale. Elaborazione continua e diuturna del profilo culturale, esercizio delle capacità
psicologiche di giudizio e di critica, intima partecipazione alla vita altrui, consapevole agire individuale
e sociale: tutto ciò è educazione permanente»429.
Attraverso il concetto di educazione permanente si ritornò a insistere
sulla nozione di tempo libero, non solo come tempo da sfruttare per aggiornare o
approfondire le proprie competenze, ma anche e soprattutto come tempo ricreativo e
creativo dove riaffermare o ritrovare la propria umanità. Questa tendenza era il riflesso
dei nuovi orientamenti della società, nella quale come si è visto stavano penetrando
nuovi valori sociali. Si trattava di argomenti già visti nel discorso proposto dal movi425. ZAPPA, Giorgio, «La rivoluzione silenziosa dei ginnasi del decennio 1964-1974», in: SAVOLDELLI, Agostino e alii, op. cit., p. 238.
426. VGC, Sessione ordinaria primaverile 1970, Seduta V, 24.10.1970, p. 110.
427. «Problemi della scuola ticinese», Giornale del Popolo, 27.3.1971, p. 3.
428. ZAPPA, Giorgio, art. cit., p. 238.
429. «La Federazione svizzera per l’educazione degli adulti», Corriere del Ticino, 21.7.1970,
p. 5.
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mento delle ScM nell’immediato dopoguerra. Argomenti che si riproponevano dunque,
ma in questo caso all’interno di un quadro riconosciuto e di un discorso culturale e politico ufficiale. Alla fine dell’edizione 1968-69 Il Dovere affermava che nella società
moderna l’accento si era spostato dal lavoro al tempo libero, «in cui la personalità del
singolo si esplica in modo creativo ed autonomo oltre a tutti gli scopi utilitari»430. In un
articolo pubblicato nel novembre del 1971 nella Gazzetta ticinese, Pelloni qualificava
il tempo libero come «tempo di calma, di svago, di viaggi, di lettura e tempo di
hobby»431. L’affermazione della dimensione creativa del tempo libero fu anche un modo
per arginare il pericolo costituito dall’invasione degli svaghi di massa privi di sforzi
inventivi. Lo sviluppo economico dava più prosperità, quello sociale più autonomia e
partecipazione, e quello personale implicava più creazione e meno conformismo. La
direzione verso la quale doveva muoversi la formazione post-scolastica era quella indicata dal presidente dell’AUPS: «l’uomo contemporaneo deve avere la possibilità d’essere ampiamente informato e di cimentarsi artisticamente»432. Pelloni concludeva il suo
contributo manifestando il fine ultimo che si prefiggevano i Cpa, ovvero quello di «sviluppare […] il proprio volume delle conoscenze e la tendenza alla socializzazione, mantenendo intatti i propri valori spirituali»433.
Questi argomenti assumevano maggiore valore se si teneva conto dei
risultati del sondaggio d’opinione svolto nel maggio del 1969 dalla direzione dei Cpa.
Nonostante la partecipazione non fosse stata al livello dell’inchiesta, Pelloni era convinto che dall’indagine fossero emersi dati sicuri, a testimonianza della predisposizione
della popolazione ticinese all’educazione permanente434. Nella presentazione del programma dei corsi 1970-71 scriveva che era confortante sapere che, in un epoca di generale benessere economico, esistevano in tutti i ceti sociali delle aspirazioni nei confronti
dei problemi della cultura, in tutte le sue graduazioni, o del perfezionamento professionale435. Secondo il loro direttore i Cpa potevano dunque dire di aver superato una
prima fase iniziale e si apprestavano a entrare in una fase di realizzazione completa. Nell’aprile del 1970 Sadis dichiarò che la diversificazione delle materie culturali, scientifiche e pratiche, dimostrava che i Cpa erano intenzionati ad agire in ogni direzione e a
favore di un’istruzione per tutti. Pelloni lo considerava uno sviluppo qualitativo e quantitativo che teneva conto dei rapporti tra l’individuo e la società, il mondo del lavoro e
il tempo libero436. Le novità furono molte, ma dopo un quadro generale dell’evoluzione
dell’offerta, concentreremo l’attenzione sulla sezione dei corsi brevi nella quale si tradussero in pratica gli argomenti in favore di uno sviluppo spirituale attraverso un percorso artistico.
430. «I corsi per adulti rispondono a una precisa esigenza della nostra popolazione», Il Dovere, 27.5.1969, p. 15.
431. «I corsi per adulti del Dipartimento educazione anche sulle onde di Radio Monteceneri», Gazzetta Ticinese, 24.11.1971, p. 3.
432. Ibidem, p. 3.
433. Ibidem, p. 3.
434. «Brillante successo dell’iniziativa Corsi per adulti. Sono oltre 900 gli iscritti ai corsi di
lingue che danno diritto al diploma internazionale», Il Dovere, 31.1.1970, p. 4.
435. «Lezioni per tutti ai Corsi per adulti 1970-71: dalle lingue all’infortunistica e alla radiotecnica», Giornale del popolo, 3.9.1970, p. 7.
436. «Prossimo l’inizio anche nelle nostre regioni di Corsi per adulti su più svariati argomenti», Il Dovere, 2.4.1971, p. 19.
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4.2.2.2.
È tempo di hobby: il boom dei corsi brevi
Nelle prime tre edizioni degli anni Settanta l’offerta dei Cpa si sviluppò
notevolmente, proponendo un’ampia scelta di tematiche. L’offerta si strutturò secondo
due direzioni generali, i corsi di lunga durata, detti anche corsi annuali, riservati alle lingue e alle materie professionali, e i corsi brevi. Nel 1969-70 i primi furono 42 e i secondi 87, per un totale di 129 corsi, ovvero 44 in più dell’anno scolastico precedente e
addirittura 79 in più dall’ultima edizione di Marazzi nel 1967-68437. Nell’anno seguente,
1970-71, il numero dei corsi brevi salì sorprendentemente a 177, con ben 72 materie diverse proposte, mentre quello dei corsi annuali a 51438. Nel novembre di quell’anno gli
articoli 188 e seguenti della legge sulla scuola del 1958 trovarono finalmente la loro applicazione nel decreto esecutivo che istituì l’Ufficio dell’insegnamento post-scolastico
(UIPS), rafforzando in questo modo le basi legali e logistiche dell’educazione degli adulti in Ticino439. Dell’edizione 1971-72 non conosciamo il numero totale di corsi, ma solo
quello dei corsi di lunga durata, che aumentarono ancora leggermente raggiungendo le
54 classi, 41 delle quali di lingue. Dei corsi brevi si sa che raggiunsero 120 località e
che in totale vennero trattate 82 materie440. Anche se la nostra analisi porta principalmente su questi tre anni scolastici, i dati del 1972-73 rivelano dei cambiamenti importanti: nel caso dei corsi di lunga durata il volume esplose, si toccarono le 70 unità, soprattutto grazie all’incremento dei corsi di lingue, con 30 classi di tedesco e 28 d’inglese;
per quanto concerneva i corsi brevi se ne tennero 105, dunque 72 in meno rispetto al dato
del 1970-71441. Sul piano della partecipazione si registrò dapprima una crescita e in seguito, tra il 1970-71 e il 1971-72, per la prima volta dalla loro istituzione, i Cpa subirono una diminuzione del pubblico, da 7’026 a 6’245 unità442.
Siccome lo sviluppo quantitativo e qualitativo riguardò principalmente i
corsi brevi, andiamo a vedere più da vicino questa sezione durante i tre anni presi in esame. Gran parte delle categorie generali era rimasta invariata rispetto agli anni precedenti.
Le materie sulle quali la direzione dei Cpa continuava a puntare molto, erano l’educazione sanitaria e le lezioni di psicologia e di orientamento scolastico e professionale. Insieme coprivano più della metà del programma dei corsi brevi del 1969-70 e buona parte di quello del 1970-71443. Dal punto di vista dei partecipanti erano di gran lunga i corsi più seguiti con i primi intorno alle mille presenze totali all’anno e i secondi che addirittura superavano le duemila444.
Tra le novità in quest’ambito figuravano innanzitutto i corsi di economia
domestica che ora venivano considerati corsi brevi e non più lezioni di perfezionamento
o riqualifica professionale445. Accanto ai corsi sull’economia e sulle istituzioni furono
437. RCS, cit., 1970, (6) p. 54.
438. Per uno schema delle materie trattate nel 1970-71 si veda l’allegato XVII a p. 138.
439. ASB, DPE/900, scatola 297, fasc. Corsi per adulti 1969-74, Decreto esecutivo concernente la formazione post-scolastica 12.11.1971
440. Per uno schema delle materie trattate nel 1971-72 si veda l’allegato XVIII a p. 139.
441. RCS, cit., 1973, (6) p. 51
442. RCS, cit., 1971, p. 88; 1972, pp. 52-53.
443. Si veda gli allegati XIX e XX a p. 143.
444. Ibidem, p. 143.
445. Le materie trattate nei corsi di economia domestica nel programma del 1972 erano le seguenti: Economia famigliare, Mangiare bene per vivere meglio, La moda nelle proprie
mani, Programma Corsi per adulti dicembre 1971-72, 1971.
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introdotte nel 1969-70 delle lezioni sulla geografia mondiale e sulle esperienze di viaggio, come quella di Pietro Salati che tenne dei corsi sugli usi e i costumi dell’Asia centrale446. Visti i molti argomenti d’attualità, 13 nel 1971 e 17 nel 1972, questi furono riuniti nella rubrica Problemi di attualità. Segnaliamo a questo proposito la comparsa della tematica ambientale, dalla pianificazione alla difesa del territorio447, e quella di lezioni dedicate all’educazione della donna. Al termine del 1969, tra le osservazioni relative all’elaborazione del decreto esecutivo sulla formazione post-scolastica, la direzione segnalava l’intenzione di introdurre dei corsi specifici per le donne, che ricordiamo
in quell’anno avevano ottenuto il diritto di voto e di eleggibilità, sugli argomenti seguenti:
«la casa, l’arredamento, il bello nella casa, la cosmesi e la femminilità, l’economia famigliare, l’abbigliamento, l’ospitalità e l’educazione politica delle donne»448. Sempre
nell’ambito di questi corsi si parlò anche della questione relativa alla riqualifica professionale delle donne che per motivi famigliari avevano abbandonato l’impiego, un problema che secondo Libera Stampa si sarebbe posto con maggiore insistenza negli anni
a venire449. Anche categorie già collaudate come quella dell’educazione sanitaria fecero prova di innovazione, nel caso specifico nel 1970-71 affrontando il problema scottante della sessualità e dell’educazione sessuale450.
Tuttavia la novità più rilevante a proposito dei corsi brevi, soprattutto in
rapporto a quanto visto nel discorso sull’educazione permanente e il tempo libero, concerneva l’organizzazione dei cosiddetti «corsi hobby». Nel 1969-70 ne vennero organizzati solamente due, dal titolo Tempo libero e educazione artistica, ma vista la grande
soddisfazione dei 25 partecipanti si decise di sviluppare la categoria451. Nell’edizione
successiva se ne contavano già venti e riscossero presso il pubblico un successo che
superò le aspettative in quanto vi parteciparono più di 650 persone, con una frequenza
media di 33 allievi per classe rispetto ai 12 dell’anno precedente452. Tra le materie del
1970-71 vi erano: Educazione artistica per tutti, Pittura su stoffe-vetro-ceramica, Lavori
pratici con il legno, Tempo libero e fotografia, Prepariamo le decorazioni di Natale453.
Nell’anno successivo segnaliamo tra le novità: Avviamento all’uso della cinepresa,
Tempo libero e regali e Esecuzione di «piatti sgorbiati a mano», dove con l’espressione
446. Nel 1970 tenne Nel cuore dell’Asia (“Nel cuore dell’Asia», Il Dovere, 14.3.1970, p. 11),
l’anno successivo Arte e costumi dell’Asia centrale (Programma Corsi per adulti dicembre 1970-71, 1970). L’esperienza però sembrò terminare sul nascere poiché nei programmi successivi al 1970-71 non ve n’è più traccia.
447. Nel dibattito pubblico organizzato a marzo 1971 nell’imminenza del rinnovo dei poteri
si parlò prevalentemente dei problemi della scuola e del tema dell’inquinamento a dimostrazione dell’importanza che stava assumendo questa nuova problematica, in: «Problemi della scuola ticinese», Giornale del Popolo, 27.3.1971, p. 3.
448. ASTi, DPE 900, scat. 297, fasc. Corsi per adulti 1969-74, documento 1.12.1969. Nell’edizione del 1970-71 venne proposto Le donne: oggi e domani, mentre che in quella
successiva L’educazione della donna e La donna nella società dei consumi.
449. «1260 partecipanti ai Corsi per adulti», Libera Stampa, 23.10.1972, p. 3. Anche Il Dovere mise in luce la questione in quell’anno, affermando che sarebbe stato necessario preparare, formare e riavviare le donne verso lavori più redditizi e questo compito a livello
nazionale sarebbe toccato proprio alle istituzioni nate nel quadro dell’educazione degli
adulti, «Recyclage delle donne di casa in Svezia Istituzioni apposite per il recupero», Il
Dovere, 24.8.1972, p. 14.
450. «Iniziato il corso per adulti sulle malattie nervose», Il Dovere, 24.11.71, p. 2.
451. RCS, cit., 1970, (6) p. 54.
452. RCS, cit., 1971, (6) p. 88.
453. Si veda l’allegato XVII a p. 138.
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singolare s’intendeva la creazione di porta frutta, porta pane, vassoi, schiaccianoci e
altro ancora454. Erano considerati dei corsi di prima informazione, utili per stare al passo
con l’evoluzione delle conoscenze pratiche e per esprimere la propria creatività455. Per
il corso di lavorazione del legno per esempio, si diceva che non vi era nessuno che non
vedesse l’importanza di un tale insegnamento pratico che portava il partecipante a saper
maneggiare utensili per cui avrebbe saputo rendersi utile in casa, nelle piccole «faccenduole» che capitava di dover svolgere nella quotidianità, come piallare, segare o
costruire un armadietto456. Tra gli oggetti realizzati al corso tenuto da Marino Tami vi
furono dunque: «armadietti da cucina con le portine scorrevoli in legno colorato, una
mensola a due piani con una fantastica sgommatura, due tavoli massicci per una casa
di campagna, un portafiori» e altro ancora457.
Da un punto di vista della definizione culturale le scelte della direzione
dei Cpa a questo punto rientravano a maggior ragione in una concezione ampia che
teneva conto del più vasto interesse. Questa posizione era stata sicuramente rafforzata
dagli argomenti emersi dal discorso ufficiale dell’educazione permanente a favore di un
insegnamento che, dopo aver assicurato i primi risultati in gioventù, doveva poter entrare
a far parte della vita quotidiana degli adulti458. La cultura, una tra le possibilità formative dell’educazione permanente, allo stesso modo poteva considerarsi oggetto della
quotidianità che un gruppo di persone, in un dato contesto, erano tenute a esercitare in
continuazione attraverso la scelta, l’acquisizione e l’interpretazione di informazioni
sempre più indispensabili per potersi situare nei confronti del mondo, ma anche attraverso la ricerca di se stessi e, in quanto esseri umani, delle proprie potenzialità intellettuali e creative. Da questo punto di vista l’esercizio era valido indipendentemente
dalla posizione che occupava nella graduatoria per il raggiungimento della cultura nella
sua forma più pura. Inoltre, in un paese democratico l’educazione doveva essere accessibile a tutti attraverso forme diverse, ma tutte rivolte alla crescita intellettuale e spirituale individuale e collettiva.
La scelta di rendere ancor più «popolare» una parte dell’offerta dei Cpa
era dunque da mettere in relazione alla problematica nazionale e internazionale dell’educazione permanente e all’affermazione di nuovi valori sociali, durante una fase che
Dominicé e Fringer avevano considerato il terzo stadio nell’evoluzione storica dell’educazione degli adulti, nel quale le ScM s’imposero sin dal 1944 come i rappresentanti
più tipici459. Bisognava dunque dare credito alla figura di Gottlieb Duttweiler che, al di
là di qualsiasi discussione sugli scopi dell’iniziativa delle ScM, si fece interprete sensibile di nuovi bisogni sociali nati in un contesto prospero, ma allo stesso tempo artificiale, dove i sentimenti umani più semplici, ma anche più profondi, rischiavano di
smarrirsi.
Con l’introduzione nel programma dell’organo pubblico dei corsi hobby
e anche quelli di lingue, la somiglianza con l’attività culturale delle ScM fu lampante
454. Si veda l’allegato XVIII a p. 139.
455. «Il nuovo programma dei Corsi per adulti per l’anno scolastico 1971-72», Gazzetta ticinese, 20.9.1971, p. 3.
456. «Il secondo corso sul legno è stato seguito con vivo interesse», Gazzetta Ticinese,
29.4.1972, p. 2.
457. Ibidem, p. 2.
458. BOURGOZ, René e alii, op. cit., p. 8.
459. DOMINICÉ, Pierre, FINGER, Matthias, op. cit., 13 p.
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e in alcuni casi il richiamo a corsi svolti magari qualche anno prima dalle ScM era esplicito460. Evidentemente i Cpa continuarono a sentirsi gli interpreti ufficiali e il punto di
riferimento dell’educazione degli adulti in un Cantone che magari ne aveva bisogno
più di altri. Un’offerta simile, se non uguale in certi casi, poteva giustificarsi da un
punto di vista teorico per il fatto che i due organi erano investiti da una missione differente. Intervistato nel 1971 a questo proposito dalla rivista Cooperazione, Pelloni rispose
che tra i Cpa e le ScM non vi era nessuna concorrenza e che secondo lui si trattava piuttosto di offrire al cittadino la possibilità di scegliere tra il servizio pubblico e quello
privato, evitando in questo modo un monopolio di una delle due parti. Tuttavia nella pratica, malgrado le smentite di Pelloni461, era chiaro che si ponevano in una situazione di
concorrenza dove però, proprio per il mandato diverso, erano i Cpa ad essere soggetti
a maggiori critiche. Gli episodi negativi intercorsi tra i due enti ne erano la dimostrazione.
Tra le altre novità del programma dei primi anni Settanta è doveroso
segnalare i corsi di lingue e i corsi radiofonici. Entrambe le categorie meriterebbero un
approfondimento a sé, ma per ragioni di spazio ci limiteremo a segnalarne gli elementi
principali.
L’introduzione dei corsi di lingue coincise con l’accordo fra l’AUPS e
l’Istituto di pedagogia degli adulti di Francoforte circa l’introduzione in Svizzera di
corsi di lingue, matematica, fisica, chimica e materie professionali che prevedevano
l’ottenimento di certificati d’esame riconosciuti a livello internazionale. Questa possibilità rappresentò un’innovazione fondamentale per quella che l’educazione permanente considerava la seconda via agli studi462. L’insegnamento delle lingue doveva
prescindere da preoccupazioni di ordine letterario463. Si trattava di imparare a parlare e
scrivere correttamente sulla base della lingua parlata, intesa come strumento di comunicazione. Le lingue s’imposero da subito come la principale categoria dei corsi di lunga
durata. Introdotte dopo la grande richiesta del pubblico come corsi di aggiornamento
professionale, le lingue riscossero un successo immediato: nel 1969-70 per l’inglese
gli iscritti furono 365, per il tedesco a 535, dunque 900 iscrizioni su un totale di 5’893464.
A partire dal primo semestre dell’edizione 1971-72, grazie alla concessione di un credito supplementare, vennero inaugurati i corsi di interesse culturale e
pratico sulle onde di Radio Monteceneri465. Pelloni ricordava che una delle difficoltà
incontrate da sempre dai Cpa era la decentralizzazione del Paese, che rendeva necessario trovare docenti disposti non solo a svolgere la propria funzione nel proprio tempo
libero, ma anche ad accumulare un gran numero chilometri466. Questa fu una delle
460. Pensiamo ad esempio al corso nel 1971 Prepariamo le decorazioni di natale o a quello
nell’anno successivo Tempo libero e regali che facevano venire in mente l’attività Prepariamo i regali di Natale proposta dalle ScM ticinesi nel 1958 (vedi allegato XI a p. 134).
461. ASTi, DPE/900, scat. 297, fasc. Corsi per adulti 1969-74, lettera 13.12.1971.
462. RCS, cit., 1969, (6) p. 43.
463. «Brillante successo dell’iniziativa Corsi per adulti. Sono oltre 900 gli iscritti ai corsi di
lingue che danno diritto al diploma internazionale», Il Dovere, 31.1.1970, p. 4.
464. «Brillante successo dell’iniziativa Corsi per adulti. Sono oltre 900 gli iscritti ai corsi di
lingue che danno diritto al diploma internazionale», Il Dovere, 31.1.1970, p. 4. Per il totale della partecipazione nell’edizione 1969-70, RCS, cit., 1970, (6) p. 95.
465. «I corsi per adulti del Dipartimento educazione anche sulle onde di Radio Monteceneri», Gazzetta Ticinese, 24.11.1971, p. 3.
466. Ibidem, p. 3.
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ragioni che spinsero a considerare la diffusione dei corsi per mezzo della radio. Quest’azione avrebbe inoltre permesso di concentrare gli sforzi sulla qualità dato che il problema materiale anche finanziario della percorrenza cadeva467. Più in generale la
trasmissione di emissioni culturali attraverso i mass media era un fenomeno già sperimentato altrove e che rientrava anch’esso nel discorso delle possibilità formative dell’educazione permanente. Durante la prima edizione furono organizzate 189 lezioni
suddivise nelle categorie seguenti: Lingue, Diritto, Politica e Storia, Arte, Letteratura
e Linguistica, Psicologia, Educazione sanitaria, Corsi pratici e informativi468. Tuttavia
nel 1985, a causa di dati d’ascolto catastrofici, furono soppressi469.
4.2.2.3.
I Corsi per adulti chiamati al banco degli imputati470
La crescita importante del programma dei Cpa, soprattutto dei corsi brevi,
non fece però l’unanimità nell’opinione pubblica fin lì sempre molto lusinghiera nei
confronti dell’ente cantonale. Non tutti condivisero infatti l’estensione dell’offerta, chi
perché trovava che questa avveniva all’indirizzo di corsi di cui altri enti già si occupavano, chi per i costi che questo sviluppo stava comportando. Finora non abbiamo menzionato la questione poiché fino al 1974 non vi sono dati sicuri al riguardo, ma
dall’inizio degli anni Settanta se ne cominciò a parlare. In un contesto nel quale l’azione
dello Stato nell’istituzione scolastica era costantemente rimessa in questione dalle forze
d’opposizione, l’Ufficio dell’insegnamento post-scolastico subì le prime vere critiche
dall’istituzione dei Cpa.
Il Dovere fu il primo, nell’aprile 1971, a interrogarsi sugli sviluppi dell’offerta dell’organo cantonale di educazione degli adulti. Nel quotidiano ci si limitava
a muovere ai responsabili un appunto riguardo l’aumento quantitativo voluto secondo
loro a tutti i costi dai Cpa, ma che forse era andato a scapito della qualità, contrariamente
a quanto affermava Pelloni471. Senza mettere in discussione la preparazione dei conferenzieri si sottolineava come alcuni degli argomenti fossero poco consistenti e meglio
si addicevano al programma «di qualche istruzione ricreativa privata»472.
Alcuni giorni dopo veniva pubblicata sul Corriere del Ticino l’opinione
del giovane avvocato Alberto Agustoni all’interno dell’inchiesta lanciata dal giornale
riguardo lo stato della cultura nella Capitale473. Secondo lui vi era bisogno di un aggiornamento del settore e a questo proposito non risparmiò critiche a un certo tipo di manifestazioni dove diceva che il livello era stato portato tanto basso da permettere a tutti di
accedervi. Agustoni era convinto che questa non fosse la soluzione per il futuro della
467. ASTi, DPE 900, scat. 297, fasc. I corsi per adulti 1969-74, lettera 13.12.1971.
468. RCS, cit., 1972, (6) p. 54. Le materie più trattate furono quelle relative alle lingue (35),
al trinomio diritto, politica, storia (47) e a quello arte, letteratura, linguistica (47).
469. RCS, cit., 1985, p. 646.
470. Fu grossomodo con questo titolo che Il Dovere descrisse la situazione nella quale vennero a trovarsi i Cpa nella prima metà degli anni Settanta, «Anche i corsi per adulti sul
banco degli imputati», Il Dovere, 21,10.1972, p. 7.
471. «Prossimo l’inizio anche nelle nostre regioni di Corsi per adulti su più svariati argomenti», Il Dovere, 2.4.1971, p. 19.
472. Ibidem, p. 19.
473. «Alberto Agustoni: la cultura richiede l’aggiornamento», Corriere del Ticino, 6.4.1971,
p. 11.
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società e che anzi queste manifestazioni erano d’intralcio a iniziative più valide, in
quanto costituivano una sorta di alibi per non marciare avanti.
Al termine del 1971, nell’intervista di Cooperazione sulla questione culturale, Pelloni ammetteva che i Cpa non sempre facevano della cultura, intesa in senso
stretto474. Tuttavia, rilevava come vi fosse oramai una partecipazione ubiquitaria alla cultura e che si poteva parlare di un mercato culturale nel quale bisognava sapersi muovere e dal quale non ci si poteva isolare. Il direttore dei Cpa metteva poi l’accento sull’attitudine cooperativa che contraddistingueva la società e implicava una nuova socialità.
Quest’ultima poteva crescere pure attraverso un incremento culturale, anche se elementare.
Sollecitato a proposito della vasta gamma di proposte ricordava che per definizione l’educazione dell’adulto era il dominio della diversità, e che un servizio statale al beneficio della comunità quali erano i Cpa, doveva tener conto di una gamma molto variata di
richieste senza determinare una cultura di Stato. Inoltre, con lo sviluppo del terziario e
quello dei mass-media, cresceva anche l’influenza internazionale che, oltre alla pratica
delle lingue, presentava situazioni inconsuete alle quali bisognava far fronte.
I chiarimenti di Pelloni però non bastarono ai più scettici e nel febbraio
del 1972 i Cpa furono oggetto di una critica molto dura all’interno di un discorso che
prendeva di mira il sistema scolastico. Secondo l’autore dell’articolo, apparso ancora
una volta sull’organo del partito conservatore Popolo e Libertà, il programma dei Cpa
era l’ennesima conferma di come la scuola, in ogni suo settore, meritava di essere rinnovata475. Nel caso specifico si trovava necessaria una «salutare iniezione di serietà»,
poiché l’organizzazione dell’offerta non soddisfaceva l’obiettivo ultimo dei corsi, i quali
dovevano segnare il primo passo per la «realizzazione di un sistema organico di istruzione permanente, di formazione e di riqualificazione post-scolastica»:
«il piano proposto, invece, senza scendere a troppe esemplificazioni, è tutt’altro che
organico: è una gamma di manifestazioni e di serate messe assieme con la pretesa di interessare tutto lo
scibile umano ma che solo raramente denotano il chiaro impegno di soddisfare le vere carenze ed esigenze
culturali dei ticinesi. Di fronte ad una simile impostazione, dove la quantità prevale sulla qualità, si ha persino l’impressione che si voglia soddisfare, con buoni oratori, solo il tempo libero di molti docenti e professionisti o, peggio ancora, rivaleggiare con enti privati che pure si occupano di questo tipo di formazione
post-scolastica»476.
Secondo l’autore in questo modo i Cpa evitavano di suscitare quella giusta coscienza critica nei confronti del paese e delle proprie istituzioni, coscienza necessaria anche per riavvicinare le giovani generazioni piene di tensioni a quelle degli adulti.
In conclusione le critiche si concentrarono in particolar modo sul ruolo dell’ispettore
delle scuole professionali e docente dei Cpa Francesco Bertola, che fu accusato senza
mezzi termini di occuparsi prevalentemente delle lezioni dei Cpa a scapito della sua
carica principale477.
L’intervento non fu senza conseguenze, poiché il professor Bertola decise
di presentare le sue dimissioni, accolte con rammarico da più parti478. Nel Corriere del
474.
475.
476.
477.
478.
ASTi, DPE/900, scat. 297, fasc. Corsi per adulti 1969-74, lettera 13.12.1971.
«Serietà per la scuola e nella scuola ticinese», Popolo e Libertà, 8.2.1972, pp. 1, 8.
Ibidem, pp. 1, 8.
Ibidem, pp. 1, 8.
«In merito a un polemico art. del «Popolo e libertà». Chiara presa di posizione dell’ispettore Francesco Bertola», Gazzetta Ticinese, 9.2.1972, p. 1.
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Ticino, che si mostrava dispiaciuto per l’accaduto, lo si definì un attacco politico nei
confronti della scuola, utilizzata come campo di battaglia nelle dispute tra partiti da chi
ancora non aveva capito l’entità di un problema serio che andava esaminato come tale:
«Ancora non ci si è accorti – o si finge di non accorgersi- in taluni ambienti politicamente impegnati del nostro Cantone che il problema [in relazione alla questione della scuola] non è problema soltanto nostro – nostrano per intenderci – ma è problema generale: non problema di partito,
dunque, ma problema politico di fondo. Problema che va pertanto affrontato e soltanto potrà essere risolto
nella sua complessità e totalità, al di là e al di sopra di qualsiasi anacronistico velleitarismo di miopi
rivalse di parte»479.
Anche nelle pagine del Dovere si reagì alla presa di posizione di quell’intervento, ricordando il contesto nel quale si produceva lo sforzo dei Cpa: un Paese
di poco più di duecento mila anime e con una scarsa disponibilità di «materiale
umano»480. In queste circostanze poteva capitare che un docente sacrificasse il proprio
tempo libero per andare a parlare di psicologia agli abitanti di paesini periferici. L’articolo terminava rivolgendosi al collega che aveva manifestato il suo disappunto verso
l’attività dei Cpa i quali, come emergeva dalle sue affermazioni, sembravano non rendere alcun servizio al Paese: «È mai possibile che nessuna delle migliaia e migliaia di
persone che hanno finora frequentato questi corsi non se ne sia ancora accorta?»481.
L’articolo dal titolo emblematico «Frenare l’escalation dei corsi» apparso
a marzo del 1974 tra le pagine del Giornale del popolo, a sua volta di stampo conservatore, fu il primo a mettere in risalto la problematica della questione finanziaria, anche
in relazione all’offerta promossa482. Secondo l’autore dell’articolo i responsabili dei
Cpa avevano inondato il Cantone con una «marea» di corsi spesso poco seguiti e culturalmente irrilevanti, aumentando però gli oneri dello Stato, mentre la fantasia dei programmatori non sembrava avere limiti. La sensazione di un docente delle scuole medie,
condivisa dal giornale, era che da qualche anno il settore era stato pervaso da una frenesia organizzativa spinta da manie di grandezza che oltrepassavano la giusta interpretazione del testo di legge. L’attività era divenuta intensissima quasi fosse un compito
dello Stato gareggiare con altre organizzazioni private o commerciali all’insegna del
motto «fare molto per fare vedere che si fa». A questo proposito, nonostante la riduzione
nel 1972-73 del volume dei corsi brevi, questi si citavano quale esempio della tendenza
negativa che avevano assunto i Cpa:
«per accorgersi delle forzature e delle stonature esistenti basta sfogliare il programma:
una buona metà dei corsi non ci sembra abbia ragione di esistere in un programma costruttivo e soprattutto orchestrato dallo Stato. Si lascino semmai ai privati o ai diversi enti culturali o ricreativi semi-privati l’onore e gli oneri dell’organizzazione di serate troppo specialistiche o troppo futili»483.
Ostinarsi a proporre corsi simili a quelli di altri enti avrebbe solo danneggiato l’immagine dell’organo pubblico poiché «costituiscono spesso un inutile (e
479.
480.
481.
482.
483.
«Dimissiona il prof. Bertola dai corsi per adulti», Corriere del Ticino, 9.2.1972, p. 7.
«Anche i corsi per adulti sul banco degli imputati», Il Dovere, 21,10.1972, p. 7.
Ibidem, p. 7.
«Frenare l’escalation dei corsi per adulti», Giornale del Popolo, 2.3.1974, p. 9.
«Frenare l’escalation dei corsi per adulti», Giornale del Popolo, 2.3.1974, p. 9.
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qualitativamente inferiore) doppione di quelli dei circoli privati»484. In seguito venivano manifestati dubbi riguardo la partecipazione popolare. In tal senso si notava che
questa era da mettere in relazione con il numero di ore di lezione che dal 1969 al 1972
era aumentato di più del doppio malgrado l’aumento più modesto di quello dei partecipanti. Per ultimo s’era tenuto l’esame dell’aspetto finanziario dove prima di tutto bisognava fare chiarezza in quanto nel consuntivo figuravano unicamente i compensi ai
docenti. Mancava dunque una serie di spese comunque onerose come le indennità di trasferta agli insegnanti, i compensi degli incaricati locali, le spese per il materiale d’insegnamento e gli stipendi dei dipendenti dell’Ufficio485. Dei costi importanti che
rischiavano di lievitare se non si fosse frenata l’escalation «contro producente culturalmente e onerosissima economicamente»486.
In quell’occasione la direzione dei Cpa ritenne opportuno inviare alla
redazione del quotidiano delle precisazioni che invitavano a pubblicare487. Per prima
cosa si affermava che la scelta dei corsi dipendeva dal numero d’iscrizioni o dalle segnalazioni degli incaricati locali a proposito dei desideri della popolazione. In seguito si
faceva notare che l’articolo aveva omesso di prendere in considerazione i corsi annuali,
la sezione alla quale era dedicato il maggiore impegno e che incideva in modo più evidente sul bilancio. Si ricordava che l’insegnamento di questi corsi era omologato dalle
università popolari e dava la possibilità di conseguire un certificato riconosciuto a livello
internazionale. Infine non era ritenuto corretto esaminare il movimento contabile senza
tener conto delle tasse d’iscrizione che pure figuravano a bilancio.
Fu una delle prime, se non la prima volta, che si menzionarono le tasse
d’iscrizione. Pensati come corsi gratuiti, ci si rese conto che solo attraverso una partecipazione, anche se minima, del pubblico si sarebbe potuto sviluppare un settore che
richiedeva sempre maggiori risorse, sia umane che materiali.
4.2.2.4.
«Una correzione nella direzione di rotta»
Nei primi anni Settanta si chiuse dunque un primo ciclo di vita dei Cpa,
ma anche la fase straordinaria dei Trenta gloriosi. Dopo un periodo di consolidamento
e di espansione i Cpa incontrarono le prime difficoltà in un contesto dove si stavano
manifestando i primi segnali della crisi economica internazionale. Con l’avvento di
quest’ultima il ruolo dello Stato venne messo in discussione nella speranza di superare
il periodo di recessione attraverso una terapia di austerità488. Ne conseguì la richiesta di
un ridimensionamento dello Stato sociale, soprattutto nei settori che avevano beneficiato
maggiormente del sostegno pubblico, come quello scolastico. Le spese dell’educazione,
destinate in precedenza a sostenere la crescita economica, diminuirono con il rallentamento di quest’ultima. Dopo anni di interventi diretti nell’educazione da parte del settore pubblico, si tornò a sottolineare l’importanza dell’autonomia finanziaria dei comuni
e nel caso dei Cpa dell’UIPS. L’argomento finanziario, trascurato inizialmente dall’o484. Ibidem, p. 9.
485. Ibidem, p. 9. Si riferiva che nel 1973 le spese erano state pari a 335’000 franchi e che il
prevenivo per l’anno seguente era di 450’000.
486. Ibidem, p. 9.
487. ASTi, DPE/900, scat. 297, fasc. Prof. Pelloni 1973-74, lettera 5.3.1974.
488. ROSSI, Martino, art. cit., p. 201.
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pinione pubblica, divenne di fondamentale importanza nella questione della sopravvivenza dei Cpa, sia dal punto di vista della legittimazione del servizio, sia da quello più
pratico dell’organizzazione. La rappresentazione sociale dei Cpa cambiò con l’evoluzione della società, e il sostegno finanziario pubblico non sempre venne giustificato in
un contesto dove emersero nuove preoccupazioni.
In questo breve capitolo conclusivo cercheremo di dare un’idea di cosa
successe nel periodo seguente a quello trattato in questa ricerca, ovvero dagli anni Settanta in poi, con l’ausilio di alcuni grafici prodotti a partire dai dati statistici raccolti
negli archivi consultati489. Evidentemente questi non bastano per tracciare un quadro
completo degli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni, ma non è questa
l’intenzione. A questo punto ci preme maggiormente mettere in risalto le tendenze principali nell’evoluzione Cpa, rilanciando in questo modo un tema tutt’ora di attualità che
merita a nostro avviso ulteriori approfondimenti.
Nel 1973-74 il Consiglio di Stato decise per la prima volta di limitare la
disponibilità finanziaria dell’UIPS. Questo fu il primo di molti accorgimenti e in questo senso le tasse d’iscrizione, che inizialmente ricoprivano un ruolo simbolico, divennero un elemento centrale. La soluzione che s’impose all’UIPS fu dunque quella di un
graduale autofinanziamento mediante un aumento progressivo delle tasse d’iscrizione490. Il grafico sull’Evoluzione della spesa pubblica e delle entrate dei Cpa in rapporto al costo totale dell’attività (1974-2006) (Grafico 4) mostra come il consuntivo sia
aumentato progressivamente, con un picco nella prima metà degli anni Novanta dopo
il quale la spesa si stabilizzò tra i 2 e i 2,5 milioni di franchi. La curva dell’autofinanziamento (G. 3) segue anch’essa una tendenza al rialzo, ma aumenta più velocemente
del costo dell’attività, soprattutto a partire dal periodo di crisi economica della seconda
metà degli anni Settanta dove passò dal 26,4% del 1974 al 55,9% nel 1977. Un aumento
quindi di più del 111%, contro un aumento del costo dei Cpa del 55,5%. Non a caso nel
1977 il saldo dei ricavi da tasse superò per la prima volta la quota cantonale (G. 4). Tra
il 1994 e il 1997 la curva dell’autofinanziamento segue quasi parallelamente quella del
costo dell’attività che come detto lievitò in quegli anni (G. 3). In quel caso si potrebbe
pensare che l’aumento dei costi fu giustificato e di fatto coperto da un maggiore autofinanziamento e che quindi ci sia stato un legame direttamente proporzionale. Ciò nonostante, se si considera l’intero lasso di tempo, l’argomento dell’autofinanziamento, una
volta imposto, rimase costante, come dimostra l’anno tra il 1999 e il 2000 dove a una
diminuzione del consuntivo corrispose un aumento dell’autofinanziamento. Più probabile che su quest’ultimo si sia fatto leva in caso di bisogno congiunturale. Infatti alla
fine degli anni Novanta, quando le spese dei corsi e l’importo del Cantone diminuirono a causa di un nuovo rallentamento economico, l’autofinanziamento aumentò e,
malgrado manchino alcuni dati, lo stesso avrebbe dovuto valere anche per le entrate
delle iscrizioni (G. 3 e G. 4). Il Grafico 4 indica chiaramente che la crescita del servizio fu possibile grazie all’entrate percepite dalle tasse d’iscrizione, garantendo in questo modo l’autofinanziamento dell’attività. Come detto, nel 1977 le entrate superarono
per la prima volta i costi assunti dallo Stato che dal quel momento in poi furono sem489. Per delle precisazioni riguardo la natura di questi dati si veda la descrizione delle fonti
nell’introduzione a pp. 16-19.
490. A questo proposito si vedano i grafici 3 e 4 in appendice, a p. 124.
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4.
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pre inferiori. Nel 1977 si segnò pure lo scarto inferiore tra i due valori. Vent’anni più
tardi si censì il valore più alto d’entrate, anno che ricordiamo rientrava in un periodo
economicamente difficile, ma lo scarto più ampio tra le entrate e il sussidio cantonale
si verificò nel 2005, con un autofinanziamento pari al 92%. Nel maggio di quell’anno
il Consiglio di Stato avrebbe fissato per i Cpa l’obiettivo dell’autofinanziamento totale.
Sempre il Grafico 4 mostra come le spese effettive del Cantone siano rimaste invece
bene o male stabili, argomento che dà ancora più peso all’importanza delle tasse d’iscrizione. Ammoniti agli inizi degli anni Settanta dai partiti all’opposizione e da parte
dell’opinione pubblica i quali reclamavano un ridimensionamento, i Cpa sembrano a
prima vista aver gestito bene la spesa pubblica malgrado la crescita importante del servizio. Se si tralasciano i tre anni dal 1993 al 1995, periodo di forte crescita come attestano i dati relativi ai partecipanti, partecipanti-ora (G. 1), i costi dell’attività (G. 3 e 4)
e l’evoluzione dell’offerta (G. 5, 6, 7), il totale dei costi imputabili allo Stato non superò
mai il mezzo milione e a differenza degli altri dati statistici rimase come detto tendenzialmente costante. Così che tra il dato del 1974 e quello del 2006, dunque tra il primo
e l’ultimo rilevato, vi è una differenza di neanche 3’500 franchi.
Tornando agli anni Settanta in generale si può affermare che le difficoltà
d’ordine economico e alcune scelte nello sviluppo dell’attività non gradite da tutti,
determinarono una prima fase di assestamento. Purtroppo non disponiamo di alcun dato
finanziario per i primi anni, ma tra il 1970-71 e il 1973-74 il numero di partecipanti
scese da 7’026 a 3’324 e quello dei corsi da 232 a 160 (G. 1 e G. 5)491. Si avrebbe
dovuto aspettare il 1992 per ritrovare un numero di iscritti superiore alle le 7’000 unità.
Come aveva affermato a suo tempo il promotore del movimento delle
università popolari in Svizzera Hermann Weilenmann, queste nacquero in funzione di
una realtà storica precisa la cui evoluzione avrebbe determinato quella di un’istituzione
al servizio del paese. I Cpa istituiti nel contesto eccezionale dei Trenta gloriosi, durante
i quali si svilupparono notevolmente, stavano varcando la soglia di un nuovo scenario
all’interno del quale, per continuare a coprire un ruolo da protagonisti nella formazione
culturale e professionale degli adulti nel Cantone, avrebbero dovuto riorientarsi in base
alle nuove esigenze della società. Fu quanto chiese Alma Bacciarini nell’intervento in
Gran Consiglio del 16 febbraio del 1978, che invitava il DPE a una «correzione della
direzione di rotta» ai fini di rendere il settore dell’educazione post-scolastica «più aderente alla mutevole e rapida evoluzione delle condizioni economiche e tecniche del
paese»492.
Nonostante alcune flessioni nella partecipazione tra un anno e l’altro, dal
1978 i Cpa sembrarono reagire bene al nuovo contesto e la tendenza generale fu positiva. Come indicano i Grafici 5, 6 e 7 l’offerta si allargò, soprattutto nel settore delle lingue e tecnica, contabilità e informatica e in quello dei corsi pratici, artigianato e artistici
con un aumento di quest’ultimi tra il 1978 e il 1979 pari al 72,9%493. Questo dato non
491. Facciamo riferimento ai dati dei grafici che per ragioni di spazio non abbiamo incluso
nell’appendice.
492. VGC, Seduta XII, 16.2.1978, intervento di Alma Bacciarini, p. 437, 438.
493. Per quanto concerne l’evoluzione dell’offerta si vedano i grafici 5, 6 e 7 in appendice, a
p. 124. A differenza degli altri grafici quelli sull’offerta coprono un periodo minore, dal
1977 al 1994/1996. Si tratta di una scelta scaturita dai limiti nell’omogeneità dell’offerta, requisito essenziale per poter costituire dei gruppi di materie coerenti negli anni.
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sorprende, al contrario conferma una delle caratteristiche principali dei Cpa emerse in
questa ricerca: la combinazione di corsi più professionalizzanti con corsi del tipo hobby,
entrambi parte integrante di una nuova definizione di cultura. Anche se nel presente
lavoro non si è avuto modo di approfondire a dovere il settore delle lingue, soprattutto
poiché la sua importanza fu più evidente negli anni seguenti la periodizzazione scelta,
l’introduzione dei corsi di lingue fu probabilmente il cambiamento più importante avvenuto a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. Diventarono da subito il settore più importante, non solo in termini di volume, e riaccesero la concorrenza con le ScM. Nei tre
grafici sull’evoluzione dell’offerta (G. 5, 6 e 7) la rilevanza di questa categoria, unita
ai corsi tecnici e d’informatica, è inconfutabile. La supremazia è ancora più evidente se
si considera il dato dei partecipanti-ora, dove il divario è enorme. Evidentemente questo si spiega in quanto si mettono a confronto corsi annuali e corsi di breve durata, ma
il dato dei partecipanti-ora indica pure la frequenza nella partecipazione, a dimostrazione del fatto che anche il pubblico in un certo senso li considerava più importanti.
Ricordiamo inoltre la possibilità di ottenere diplomi internazionali mediante esami di
fine corso che influì certamente sul successo di tali materie. Tuttavia i Cpa puntarono
molto anche sui cosiddetti corsi hobby, dei quali invece abbiamo discusso maggiormente, anche in prospettiva delle reazioni che suscitarono in parte dell’opinione pubblica. Lo dimostra l’aumento esponenziale del numero di classi e quindi di corsi del
1994 che raggiunse quota 310, quasi il doppio di quelli del 1971 durante il quale come
si è visto la categoria esplose. Nei tre grafici è l’unico valore superiore al suo corrispondente nelle lingue. Le critiche relative a questa categoria incisero solo in un primo
tempo in modo evidente sulla rotta che intrapresero i Cpa sotto la direzione Pelloni.
Passato il periodo di assestamento, nel quale a partire dal 1977 si rinominarono i corsi
brevi che divennero corsi pratici – nel 1978 quest’ultimi erano 43, contro i 177 corsi
brevi del 1971 – il settore hobby si riprese, si stabilizzò intorno a una media di un’ottantina di corsi annui e s’incrementò ulteriormente dalla prima metà degli anni Novanta.
Può darsi che le reticenze nei confronti dello sviluppo di questa categoria furono dovute all’estensione del concetto classico di cultura come mezzo privilegiato
di un’ascesa sociale tanto caro ai ticinesi494. Tuttavia sembrerebbe che su questo punto
l’immaginario collettivo dei ticinesi sia mutato con l’evolversi della società e con esso
del sistema di valori, e abbia accolto in seno ai Cpa un tipo di formazione diverso, forse
non socialmente performante quanto una cultura accademica – alla quale bisogna dirlo
mai ambirono gli stessi corsi – ma altrettanto gratificante per la propria persona. Fu
intatti questa la tendenza, rilevata anche dallo studio di Dominicé e Finger495, di quello
che si può definire un welfare culturale.
Tornando ai grafici sull’evoluzione dell’offerta si può aggiungere che i
corsi di economia domestica fecero prova di costanza e addirittura lievitarono negli
anni Novanta, anche se in modo meno chiaro dal punto di vista della frequenza dei partecipanti (G. 7). Questo dimostra come nonostante le trasformazioni sociali, all’interno
delle quali il senso dei corsi di economia domestica cambiò e pure lo sguardo che vi si
portava, i Cpa fecero prova di adattamento, reinventando i propri settori cardine come
494. Questa è la tesi che sostiene Ghisla e che spiega la vocazione culturale della società ticinese, più propensa a valorizzare prestigiose prospettive accademiche che formazioni professionalizzanti, in: GHISLA, Gianni, art. cit., p. 227.
495. Se ne parla a p. 24.
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appunto quello dell’economia domestica. Introdotto nel 1967 in qualità di sostegno formativo professionale alle giovani casalinghe, nel programma della primavera del 2013,
anche se la categoria era sparita, vi si trovava un diretto discendente, ma con tratti opposti: L’uomo (single) e la casa, si proponeva infatti di dare un «corso pratico di aiuto a
quegli uomini single che si trovano in difficoltà con le mansioni casalinghe e non
vogliono perdere troppo tempo. Temi: spesa senza sprechi, cucinare buono e salutare,
organizzarsi senza perdere denaro»496. Altre questioni invece si ripresentarono tali quali,
come la problematica relativa al futuro dei giovani ticinesi. Inserita nel programma nell’edizione 1964-65 – Cosa faranno i nostri figli? – nel 2013 si riproponeva sotto le
stesse vesti: Cosa farò da grande? Corso per genitori con figli che cominciano a porsi
questa importante domanda nel quale si volevano dare gli «strumenti per aiutare i genitori ad accompagnare i figli nel loro percorso di scelta dopo la scuola dell’obbligo»497.
Da segnalare infine che nella prima parte degli anni Novanta si registrò,
come già accennato, una seconda crescita importante – salta all’occhio in tutti i grafici
elaborati – giunta in un momento di congiuntura economica favorevole. Tra il 1993 e
il 1994 i partecipanti passarono addirittura da 8’119 a 10’561. Tuttavia, come successe
negli Settanta, a una crescita repentina corrispose un periodo di decrescita. Infatti dal
1996 un nuovo rallentamento economico costrinse i Cpa a un ulteriore periodo di assestamento. Nel rendiconto di quell’anno si tornò a sottolineare l’aspetto ambivalente dei
Cpa: «il carattere dell’offerta, che per alcuni assume i caratteri della vera e propria formazione e per altri asseconda una diffusa richiesta di acquisizione di competenze da
sfruttare nel tempo libero, rappresenta un aspetto originale dei Cpa che trova larga
rispondenza del pubblico»498. In generale il Grafico 2 indica come la tendenza della
partecipazione rispetto alla crescita della popolazione fu positiva. Partecipazione che
possiamo considerare effettiva vista il percorso, quasi parallelo, della linea di partecipanti e di quella dei partecipanti-ora, che ha il vantaggio appunto di misurare la frequenza ai corsi (G. 1).
A partire dal 2005 il servizio venne riorientato dal punto di vista strutturale. I Cpa furono trasferiti dalla Divisione della cultura alla Divisione della formazione professionale e quindi integrati nella visione più ampia di formazione continua
definita nella Legge sull’orientamento scolastico e professionale e sulla formazione
professionale e continua del 1998 (L-orform). L’offerta di formazione continua detta ad
«orientamento generale» (dei Cpa) fu separata da quella ad orientamento professionale
(proposta dalle Scuole professionali), alla quale fu dedicata una specifica sezione all’interno del programma. Nello stesso anno come detto pocanzi il Cantone impose alla
direzione dei Cpa l’obiettivo dell’autofinanziamento totale.
Come nota conclusiva sull’evoluzione generale dei Cpa si può affermare
che lanciarono e frenarono l’attività, questi abbiano trovato le giuste strategie per adattarsi in modo elastico alla congiuntura, reinventandosi e cercando di rispondere al
meglio alle esigenze del pubblico e della società. D’altronde spesso la modernità non
è che la reinvenzione della tradizione.
496. Programma Corsi per adulti primavera ‘13, 2013, p. 47.
497. Ibidem, p. 46.
498. RCS, cit., 1996, p. 583,584.
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5.
Conclusione
A metà degli anni Settanta l’avventura dei Cpa era ben lungi dall’essere
terminata e visto lo stato attuale dell’attività lo è tuttora. A noi però tocca dare un epilogo al termine di un primo capitolo nelle vicende di un’istituzione pubblica che dopo
cinquant’anni di attività può considerarsi parte integrante della vita quotidiana del Canton Ticino.
Per comprendere al meglio le ragioni che spiegano la nascita nel 1963 dei
Cpa si è deciso di partire da lontano, dalla problematica dell’identità culturale e politica emersa in particolar modo nella prima metà del Novecento. Il contesto di quegli
anni fu determinante per il ruolo che assunse lo Stato nella vita culturale del Cantone,
promuovendo, dapprima con la STCI e in seguito con i Circoli di cultura, una cultura
ufficiale. Durante il periodo bellico, dal rapporto privilegiato tra mondo politico e
mondo culturale, scaturì una prima riflessione sulla possibile funzione sociale e politica di un’attività eminentemente culturale.
Questo aspetto in seguito si rivelò centrale nella riflessione sulla problematica dell’educazione degli adulti che s’impose a livello internazionale nel nuovo contesto del dopoguerra. La suddivisione della giornata tra tempo lavorativo e tempo libero,
i progressi tecnologici nei processi di produzione e più in generale nella vita di tutti i
giorni, un volume d’informazioni sempre più ampio nel quale diventava difficile orientarsi, gli aspetti disumani della modernità, i ritmi vertiginosi, furono tutti elementi presi
in causa nel discorso legato alla necessità di offrire alla collettività e agli individui la
possibilità di approfondire le proprie conoscenze professionali e intellettuali o di acquisirne di nuove, di accedere insomma al capitale intellettuale necessario per affrontare
la modernità anche dal punto di vista spirituale.
In Ticino i primi progetti concreti per la creazione di un organo di educazione degli adulti trovarono una prima espressione nella nuova legge della scuola del
1958. Gli articoli 188 e seguenti furono il preludio per la realizzazione di un progetto
che in definitiva il DPE, sotto la guida di Brenno Galli, aveva già praticamente delineato.
Con i futuri Corsi di cultura popolare previsti dal testo di legge si volevano offrire alla
popolazione ticinese maggiori possibilità di partecipazione ad una formazione culturale
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
a più ampio respiro, nella quale sarebbero state introdotte nuove materie e forme diverse
di colloquio tra l’interlocutore e il suo pubblico rispetto a quelle dei Circoli di cultura.
Non si trattava più di soddisfare semplicemente un interesse culturale, bensì l’offerta
andava orientata in base alle esigenze della società moderna. L’unico freno era rappresentato da un presunto dirigismo culturale da parte dell’ente pubblico, in parte scongiurato dal nuovo ruolo dello Stato sociale che, forte delle risorse economiche generate
durante un periodo congiunturale straordinario, fu legittimato ad allargare la propria
sfera d’intervento a numerosi ambiti, tra i quali quello educativo.
I Cpa sorsero come strumento al servizio di una società proiettata verso
un progresso economico e sociale dei quali però non aveva esperienza. Toccò dunque
alla scuola indicare la via all’interno di un percorso di democratizzazione degli studi con
il quale s’intendeva riformare l’intera società. Nel settore scolastico s’investì molto, ma
in un certo senso fu come regalare un bici da corsa a un bambino. Ben presto ci si rese
conto dei limiti di un’istituzione che pure si ritrovò disorientata nel contesto del dopoguerra e alla quale bisognava concedere tempo se si volevano ottenere risultati. In quello
che Venturelli definisce un processo di democratizzazione forzata499, i Cpa assunsero
da subito una funzione complementare per cercare di colmare le lacune più evidenti di
cui soffriva la sorella maggiore. Le più urgenti sembravano riguardare la formazione
professionale, dimenticata dalla società civile e sulla quale Guido Marazzi mise in particolar modo l’accento a partire dal 1965. Grazie a una struttura decentralizzata, ereditata dai Circoli di cultura, e a una libertà di manovra maggiore, i Cpa poterono
intervenire laddove se ne presentava il bisogno, raggiungendo anche le zone più discoste del Cantone.
Pensati come corsi culturali i Cpa assunsero dai primi anni una definizione più articolata all’interno della quale il concetto di cultura venne modellato
secondo le nuove esigenze della società. Cos’era la cultura se non un percorso individuale e collettivo verso la conquista dell’autonomia e della padronanza critica, il punto
più alto di consapevolezza che pochi raggiungevano ma al quale tutti dovevano poter
mirare attraverso percorsi diversi, ma tutti validi? Nell’interesse della società la cultura
divenne quindi un bene di consumo comune del quale un pubblico sempre più vasto e
eterogeneo era invitato a fruire gratuitamente. Nell’idea di Marazzi lo Stato doveva
svolgere una funzione attiva cercando di orientare gli interessi individuali verso quelli
della società giovando in questo modo a entrambi, ma allo stesso tempo in qualità di
Stato democratico doveva mostrarsi aperto ai suggerimenti del pubblico, anche se questi non sempre rientravano in un piano sociale.
Il contesto della fine degli anni Sessanta nel quale subentrò Pelloni fu
scosso da una crisi sociale, politica e culturale internazionale che coinvolse anche la
Svizzera e il Ticino. Emersero gli aspetti negativi del progresso economico che per i
nuovi movimenti di protesta si era rivelato una chimera dietro la quale si celavano delle
problematiche sociali importanti alle quali diedero voce, dando vita a una contestazione politica. La presenza dello Stato fu messa in discussione da chi rivendicava maggiore autonomia e libertà individuali. In quegli anni l’educazione degli adulti visse un
momento di fervore in relazione al discorso sull’educazione permanente che s’impose
ai governi come l’obiettivo ultimo di ogni sistema educativo moderno, nel quale ora
499. VENTURELLI, Elio, art. cit., p. 266.
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5.
Conclusione
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rientrava ufficialmente anche l’educazione degli adulti. Per rispondere a nuovi bisogni
sociali si mise l’accento sulla nozione di tempo libero come tempo di creazione artistica,
durante il quale si poteva entrare in contatto con se stessi avviando un percorso interiore
volto a esaltare le proprie qualità personali.
Pelloni si mostrò sensibile nei confronti di questa tendenza della quale
aveva ricevuto conferma dai risultati del sondaggio svolto nel maggio del 1969. Dal
punto di vista dell’offerta questa nuova aspirazione si tradusse in un «corteo variopinto
di passatempi» con il quale si mirava piuttosto a un progresso espresso in termini spirituali. All’interno di una società che stava vivendo una crisi di identità, si riaffermarono
valori più semplici ma anche più profondi poiché legati all’esperienza umana. In una
società dove s’imparava molto, ma dove andava persa una conoscenza più famigliare,
la cultura poteva non significare esclusivamente guardare avanti, ma anche ritornare a
svolgere delle attività che un tempo facevano parte della vita di tutti i giorni delle persone e che ora si erano perse. Cultura dunque come esercizio quotidiano delle proprie
facoltà intellettuali e spirituali.
Le reazioni dell’opinione pubblica riguardo gli sviluppi di un settore di
attività dei Cpa intervennero in un momento nel quale la definizione culturale dell’offerta stava in un certo senso sfuggendo al controllo dello Stato, sempre meno legittimato
nella sua funzione e sempre più impegnato a cercare dei compromessi con un mercato
globale della cultura, dando vita a un dibattito tuttora di stretta attualità.
Quest’ultimo è un aspetto confortante poiché in fondo dimostra la presenza di uno spirito critico che gli stessi Cpa si dissero intenzionati a sviluppare. C’è
chi non vedrà l’utilità, soprattutto culturale, di alcuni corsi bizzarri, chi invece attraverso quest’ultimi scopre una nuova parte di se, chi segue i corsi per un diploma, chi
per socializzare. Se per alcuni la democratizzazione della cultura comporta un indebolimento della «forza liberatrice del sapere», evocata in occasione della nascita dei corsi
da parte dell’onorevole Cioccari500, per altri quest’evoluzione rappresenta nuove possibilità di formazione e di svago. La nostra impressione è che in una società moderna
la cultura sia diventata un’esperienza sempre più personale della quale è difficile dare
una definizione, ma sulla quale l’uomo non dovrà mai smettere di interrogarsi. Come
disse a suo tempo Guido Marazzi: «più dubbi e più discussioni suscitiamo, più siam
certi di contribuire a risaldare la nostra democrazia»501. Speriamo con questa ricerca di
avere a nostra volta suscitato una riflessione generale sul ruolo sociale, politico, economico e culturale di un’istituzione attraverso la quale è stato possibile tracciare l’evoluzione di alcuni tratti caratteristici della società ticinese, e quella dell’apporto dello
Stato al territorio durante i Trenta gloriosi. Si tratta però, lo abbiamo detto, di un primo
capitolo di una storia molto ricca che resta in parte ancora da scrivere.
500. CIOCCARI, Plinio, Programma Corsi per adulti marzo-giugno 1963, 1963, p. 1.
501. «Un problema avviato a soluzione. L’educazione permanente degli adulti nella conferenza
Marazzi al Lyceum», Corriere del Ticino, 26.4.1965, p. 2.
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6.
Appendice
I dati dei grafici sono stati reperiti soprattutto presso l’ACpa e nei RCS.
16000
300000
14000
N. partecipanti
10000
200000
8000
150000
6000
100000
4000
50000
2000
0
0
1963 1965 1967 1969 1971 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011
Partecipanti
Partecipanti-ora
16
400
14
350
12
300
10
250
8
200
6
150
4
100
2
50
0
0
1963 1965 1967 1969 1971 1973 1975 1977 1979 1981 1983 1985 1987 1989 1991 1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011
Partecipanti
Popolazione
Linea di tendenza part.
Grafico 2. Evoluzione del n. di part. ai Corsi per adulti rispetto alla popolazione (1963-2011)
Valori in migliaia di abitanti
N. partecipanti (in migliaia)
Grafico 1. Evoluzione della partecipazione ai Corsi per adulti (1963-2011)
N. partecipanti-ora
250000
12000
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100
3000
2700
2400
2100
60
1800
1500
40
1200
900
20
600
0
1974
300
1976
1978
Autofinanziamento
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
Costo attività
Grafico 3. Evoluzione dell'autofinanziamento dei Corsi per adulti (1974-2006)
3000
Valori in migliaia di CHF
2500
2000
1500
1000
500
0
1974
1976
Cantone
1978
1980
1982
Entrate (tasse)
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
Consuntivo
Grafico 4. Evoluzione della spesa pubblica e delle entrate dei Cpa in rapporto al costo totale
dell'attività (1974-2006)
320
280
240
N. classi
200
160
120
80
40
0
1977
1978
1979
1980
1981
Lingue, tecnica, contabilità, informatica
1982
1983
1984
Pratici, artigianato e artistici
Grafico 5. Evoluzione dell'offerta (classi)
1985
1986
1987
1988
1989
Economia famigliare, cucina e sartoria
1990
1991
Speciali, vacanza
1992
1993
1994
Valori in migliia di CHF
Valori in percentuale
80
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6.
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Appendice
125
12000
10000
N. ore lezioni
8000
6000
4000
2000
0
1977
1978
1979
1980
1981
Lingue e tecnica, contabilità, informatica
1982
1983
1984
1985
Pratici, artigianato e artistici
1986
1987
1988
1989
1990
Economia famigliare, cucina e sartoria
1991
1992
1993
1994
Speciali, vacanza
Grafico 6. Evoluzione dell'offerta (lezioni)
200000
180000
160000
N. ore partecipazione
140000
120000
100000
80000
60000
40000
20000
0
1977
1978
1979
1980
1981
Lingue e tecnica, contabilità, informatica
1982
1983
1984
1985
Pratici, artigianato e artistici
1986
1987
1988
1989
1990
1991
Economia famigliare, cucina e sartoria
Grafico 7. Evoluzione dell'offerta (partecipanti-ora)
1992
1993
1994
Speciali, vacanza
1995
1996
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
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7.
Allegati
Corriere
del Ticino
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
Totale
8
22
35
20
20
30
44
71
62
57
21
23
413
Gazzetta
Giornale
Ticinese del Popolo
4
21
24
12
9
12
24
38
26
17
5
31
223
5
7
16
8
10
22
35
37
30
17
7
10
204
Il Dovere
Libera
Stampa
Popolo
e Libertà
Totale
5
16
13
8
14
14
39
62
62
34
12
15
294
14
24
29
23
28
26
34
63
48
25
14
18
346
12
24
26
21
15
21
28
39
43
32
17
16
294
48
114
143
92
96
125
204
310
271
182
76
113
1774
I. I Corsi per adulti nella stampa ticinese 1963-1974
(dati reperiti presso l’archivio digitale dell’ASTi)
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
Domaines de culture
Formes et méthodes
Objectifs
éducation de base
éducation dans la famille
école primaire obligatoire
culture generale
éducation des adultes
au sens étroit
ecoles secondaires et hautes
ecoles, ecoles professionnelles
choisies librement
base de la profession
activités librement choisies
contacts occasionnels
rencontres fortuites
activités en associations
organisations de jeunesse
libres, revues, journaux
concert et théàtre
radio et télévision
groupes spontanés
formation continue
generale dans le domaine
tout entier de l’expérience humaine,
dans les loisirs et la profession.
éducation generale des adultes
cours suivis volontairement
suite de conférences
voyage culturels et autres manifestations
formation continue organisée
dans tous les domaines de la connaissance et
dans toutes les spécialisations, des plus simples
aux plus exigeantes scientifiquement, comme
but en soi ou comme tremplin vers d’autres buts
éducation des adultes
au senslarge
formation paraprofessionnelle et recyclage
méme chose que pour l'éducation generale,
cependant non seulement selon libre choix
et pendant les loisirs, maisaussien partie par
décision supérieure, à l'intérieur de l'entreprise
II. Rappresentazione schematica dei diversi ambiti educativi
in: Oui à la réforme de l’éducation – mais aussi pour les adultes: contribution de
la Fédération suisse pour l’éducation des adultes aux problèmes de cette réforme,
MALHERBE, Rémy W. (trad.), Zurich; Lausanne: FSEA, [1970], p. 21.
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7.
Allegati
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129
III. Concetti di educazione degli adulti
in: Oui à la réforme de l’éducation – mais aussi pour les adultes: contribution de
la Fédération suisse pour l’éducation des adultes aux problèmes de cette réforme,
MALHERBE, Rémy W. (trad.), Zurich; Lausanne: FSEA, [1970], p. 20.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
IV. L’organizzazione dell’educazione degli adulti in Svizzera
in: NESTLER, Monica, L’éducation des adultes en Suisse, Zurich: Pro Helvetia éd., 1984,
p. 24.
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7.
Allegati
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131
V. Evoluzione del numero di conferenze per tema tenute alla STCI 1918-1939
in: VALSANGIACOMO, Nelly, «Una politica dell’apolitica? Francesco Chiesa e gli invitati
italiani alla Scuola ticinese di coltura italiana (1918-1939)», Archivio storico ticinese,
2011, p. 29.
VI. Le conferenze e i conferenzieri italiani alla STCI 1918-1939, in: VALSANGIACOMO,
Nelly, «Una politica dell’apolitica? Francesco Chiesa e gli invitati italiani alla Scuola
ticinese di coltura italiana (1918-1939)», Archivio storico ticinese, 2011, p. 25.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
VII. I Corsi di cultura popolare nella nuova legge della scuola del 1958
in: Bollettino ufficiale delle leggi e degli atti esecutivi, Bellinzona: Arti grafiche Grassi,
1958, pp.139-140.
VIII. «Popolazione, posti di lavoro, reddito cantonale, spesa cantonale
e comunale nel ticino, 1950-1980»
in: ROSSI, Martino, «Dal più al meno Stato. Politica economica e finanze pubbliche nel
Ticino del dopoguerra», in: BIUCCHI, Basilio (dir.), Un paese che cambia, Locarno:
Armando Dadò Editore, 1985, p. 185.
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Allegati
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IX. I primi corsi di lingue nel 1944 della ScM di Zurigo
in MUNZ, Hans, Le phénomène Migros: l’histoire de la communauté Migros, PLAUT,
Alec (trad.), Zurich; Lausanne: Ex Libris, 1974, p. 146.
X. Evoluzione delle Scuole club Migros in Svizzera 1944-1970
in: BOURGOZ, René, e alii, Quelques aspects de l’éducation permanente en Suisse.
Enquête sur les motivations de fréquentation des cours para-professionnels chez les
adultes, effectuée dans un centre-test de formation: l’Ecole-club Migros de Lausanne,
Genève: Institut d’études sociales, 1971, p. 33.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
XI. Programma 1958 delle Scuole club Migros in Ticino
in: Popolo e Libertà, 20.9.1958, p. 4.
XII. Elenco dei corsi 1963-1964
in: Programma Corsi per adulti dicembre 1963–aprile 1964, 1963, p. 6.
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Allegati
XIII. Elenco dei corsi 1964-1965
in: Programma Corsi per adulti dicembre 1964–maggio 1965, 1964, p. 6.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
XIV. Elenco dei corsi 1965-1966
in: Programma Corsi per adulti novembre 1965–giugno 1966, 1965, p. 6.
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Allegati
XV. Programma 1963 delle Scuole club Migros in Ticino
in: Libera Stampa, 7.1.1963, p. 3.
XVI. Evoluzione delle sedi e dei corsi in relazione al numero di iscritti 1963-67
in: Giornale del Popolo, 30.1.1968, p. 7.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
XVII. Elenco delle materie dei corsi brevi 1970-1971
(dati reperiti nel programma dei Corsi per adulti di quell’anno)
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Allegati
XVIII. Elenco delle materie dei corsi brevi 1971-1972
(dati reperiti nel programma dei Corsi per adulti di quell’anno)
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
XIX. Dati statistici dell’edizione 1969-1970
in: RCS, 1970, pp. 94-95.
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7.
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Allegati
XX. Dati statistici dell’edizione 1970-1971
in: RCS, 1971, pp. 88-89
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8.
Bibliografia
8.1.
Fonti
Manoscritte
•
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
–
Archivio di Stato del Cantone Ticino (ASTi), Bellinzona:
Fondo Dipartimento Pubblica Educazione (1912-1983), scatole:
23, Sussidi federali per l’aumento della cultura 1932
40bis, Progetti nuova legge scolastica 1931-1943
117, Cultura operai 1945; Scuola popolare di cultura 1945
102, Università popolare 1947-1951
126, Nuova legge della scuola, commenti della stampa 1957
133, Educazione degli adulti 1955-59
228-230, Legge scuola, nuova legge, verbali sedute commissioni speciali 1957-1959
132, Difesa della cultura in caso di guerre 1964
172, Circoli di cultura; Difesa della lingua e cultura
297, Corsi per adulti 1969-1974
347, Politica culturale 1974
394, Corsi per adulti 1974
A14, Corsi per adulti 1975
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Archivio Corsi per adulti (ACpa), Bellinzona:
scat. Risoluzioni CDS CPA dal 63 all’87
scat. Direzione dal 72 al 76
scat. Direzione dal 76 al 78
scat. Direzione dal 78 al 80
scat. Direzione dal 78 al 80 [1]
scat. Documentazione anno scolastico dal 63 al 71
scat. Documentazione anno scolastico dal 71-72 al 74-75
scat. Documentazione anno scolastico dal 75-76 al 77-78
scat. Documentazione anno scolastico dal 78-79 all’80-81
scat. Documentazione anno scolastico dal 81-81 all’83-84
scat. Programmi 63-66; 70; 71; 78-79; 81-86; 89-97
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
Stampate
•
•
•
–
–
–
–
–
–
–
ASTi:
Rendiconto del Consiglio di Stato (1962-2011)
Verbali del Gran Consiglio (1962-1974)
Quotidiani (1962-1974):
Il Dovere
L’Eco di Locarno
Corriere del Ticino
Giornale del popolo
Libera Stampa
Popolo e Libertà
Gazzetta Ticinese
• Periodici:
– L’Educatore della Svizzera italiana: giornale pubblicato per cura della Società degli
amici dell’educazione del popolo (1900-1972)
– Rapport d’activité de l’administration de la Fédération des coopératives Migros pour
l’année [...] à l’ intention de l’Assemblée des délégués, Zurich (1950 – 1975)
Concept pour le développement de l’éducation en Suisse, Zürich; Lausanne: FSEA, 1977, 15 p.
Consiglio di Stato del Ticino, Le nuove rivendicazioni ticinesi, Lugano, Bellinzona: Arti grafiche Grassi,
1938, 81 p.
Consiglio di Stato del Ticino, Le rivendicazioni ticinesi: memorie e documenti, Bellinzona: Tipo-Litografia Grassi, 1925, 356 p.
Dipartimento pubblica educazione, Per la difesa della cultura e della lingua del Cantone Ticino. Documentazione relativa alla richiesta di adeguamento del sussidio federale previsto dal decreto federale del 21.9.1942,
Bellinzona: [s.n.], 1976, 103 p.
Dipartimento pubblica educazione, Sussidio federale straordinari all’istruzione pubblica del Cantone Ticino. Gli ultimi atti ufficiali, Bellinzona: Tipo-Litografia Grassi, 1931, 129 p.
Dipartimento pubblica educazione, Sussidio federale straordinari all’istruzione pubblica del Cantone Ticino. Nuovi atti ufficiali, Bellinzona: Tipo-Litografia Grassi, 1929, 151 p.
Dipartimento pubblica educazione, Sussidio federale straordinari all’istruzione pubblica del Cantone Ticino. Gli atti ufficiali, Bellinzona: Tipo-Litografia Grassi, 1927, 115 p.
Erwachsenenbildung in der Schweiz, FSEA (éd.), Frauenfeld: Huber, cop. 1976, 292 p.
Federazione goliardica ticinese, Politica e cultura: atti del Convegno di studio, Lugano 6 ottobre 1962, Lugano: Federazione goliardica ticinese, 1963, 62 p.
Kulturpolitik in der Schweiz. Förderung der Kultur durch Kantone und Gemeinden, «Fondation Pro Helvetia», Zürich: Schweizer Spiegel Verlag, 1954, 302 p.
La formation, une réponse au chômage ? Fribourg, le 10 février 1994: actes du colloque/ une journée romande organisée par la Fédération suisse pour l’éducation des adultes; en collab. avec l’Ofiamt et Perspectiva, Lausanne: FSEA, 1994, 59 p.
Les Universités populaires en Suisse, AUPS, [Zürich]: [s.n.], 1962, 22 p.
Les Universités populaires suisses en 1956/57, Zürich: Artemis, 1957, 183 p.
«Message du Conseil fédéral à l’Assemblée fédérale concernant l’allocation d’une subvention annuelle au
canton du Tessin pour la défense de sa culture et de sa langue (du 29 septembre 1930)», Foglio federale,
vol. 2, n. 40, 1930, pp. 419-439.
Oui à la réforme de l’éducation – mais aussi pour les adultes: contribution de la Fédération suisse pour
l’éducation des adultes aux problèmes de cette réforme, MALHERBE, Rémy W. (trad.), Zurich; Lausanne:
FSEA, [1970], 26 p.
Proposition de lois pour le développement de l’éducation des adultes, Zurich; Lausanne: FSEA, 1975, 25 p.
Rapport annuel 2010 de l’Institut de l’UNESCO pour l’apprentissage tout au long de la vie, Hamburg:
UNESCO, 2011, 36 p.
Regolamento e Programma per la scuola ticinese di coltura italiana presso il liceo cantonale, Bellinzona:
Tipo-Litografia Grassi, 1917, [s.p.]
Répertoire international de l’éducation des adultes, Paris: UNESCO; Lausanne: Impr. Centrale, 1953, 372 p.
Université populaire de Lausanne. Dixième anniversaire: 1951–1961, [s.l.]: [s.n.], [1961] (Lausanne: Impr. Centrale), 24 p.
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8.
Bibliografia
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Pagina 145
145
ARCARI, Paolo, «La Scuola ticinese di cultura italiana», La lettura, rivista mensile del corriere della sera,
n. 3, 1 marzo 1919, pp. 201-204.
BÄHLER, Ruedi, Formateur d’adultes/ formatrice d’adultes/ Association suisse pour l’orientation scolaire et professionnelle ASOSP; Fédération suisse pour l’éducation des adultes FSEA, Lausanne: Association suisse pour l’orientation scolaire et professionnelle ASOSP; FSEA, 1999, 19 p.
BERNIER, Gaetan e alii, Participation à la formation continue en Suisse: premiers résultats du module
«Formation continue» de l’enquête suisse sur la population active 2009, Neuchâtel: Office fédéral de la
statistique, 2010, 28 p.
BLUM, Emil, Ziele der Arbeiterbildung, Olten: Hauenstein-Verlag, 1946, 27 p.
BOURGOZ, René, e alii, Quelques aspects de l’éducation permanente en Suisse. Enquête sur les motivations de fréquentation des cours para-professionnels chez les adultes, effectuée dans un centre-test de formation: l’Ecole-club Migros de Lausanne, Genève: Institut d’études sociales, 1971, 87 p.
CALÒ, Giovanni, L’educazione popolare: dieci anni di attività, Bologna: Cappelli editore, 1958, 245 p.
CAMPA, André, «Comment concilier, par l’éducation, la culture et la technique», Revue Internationale de
l’Éducation, Vol. 3, n. 4, 1957, pp. 423-443.
CELIO, Franco, GABUTTI, Barbara, Le rivendicazioni ticinesi, 1924, Locarno: [s.n], 1977, 289 p.
CHESSEX, Pierre, L’éducation des adultes et l’Université populaire de Lausanne, Lausanne: Payot, 1952,
20 p.
DENT, H. C., «The role of the press in awakening public interest in education», International Review of
Education, vol. 1, n. 3, 1955, pp. 313-325.
DUMAZEDIER, Joffre, «Aspects de la promotion culturelle et sociologique de l’éducation populaire», Revue Internationale de l’Éducation, vol. 3, n. 1, 1957, pp. 33-44.
DUMAZEDIER, Joffre, «Loisirs et pédagogie», Revue Internationale de l’Éducation, vol. 1, n. 1, 1955, pp.
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DUVANEL, Blaise, Population salariée et loisirs, Zurich: Fédération suisse pour l’éducation des adultes,
1968, 31 p.
EYFORD, G., «Unesco’s International Seminar on Adult Education in Rural Areas (Hillerød 1954)», International Review of Education, vol. 1, n. 2, 1955, pp. 242-243.
FLÜGEL, Christoph, «Il laboratorio linguistico», Scuola ticinese, n. 10, 1972.
FRITSCH, Philippe, «Formateurs d’adultes et formation des adultes», Revue française de sociologie, vol.
10, n. 4, 1969, pp. 427-447.
GALLI, Antonio, Notizie sul Canton Ticino. Studio storico-politico e statistico, Bellinzona: Istituto editoriale ticinese, 3 vol., 1937, 28 p.
GALLI, Antonio, La crisi ticinese. Studio sulle condizioni politico-economiche del Cantone Ticino, Lugano: Tip. Luganese Sanvito, 1924, 122 p.
GRETLER,Armin et alii, La Suisse au-devant de l’éducation permanente, Collection Greti infomation, Lausanne: Payot, 1971, 178 p.
GUIEYSSE, Charles, Les universités populaires et le mouvement ouvrier, Paris: [s.n.], 1901, 71 p.
HENNION, Robert, «Loisirs et éducation. Deux rencontres internationales d’experts (Gautin/Allemagne et
Annecy/France, juin 1957)», Revue Internationale de l’Éducation, vol. 4, n. 1, 1958, pp. 113-114.
HENNION, Robert, «Une rencontre internationale sur les «Moyens audio-visuels et l’éducation populaire»
(Hambourg 7-13 novembre 1954) «, Revue Internationale de l’Éducation, vol. 1, n. 2, 1955, pp. 244-245.
HOULE, Cyril O., «The Changing Goals of Education in the Perspective of Lifelong Learning», International Review of Education, Vol. 20, n. 4, 1974, pp. 430-446.
JEANGROS, Erwin, «Forderung des Berufserziehung in der Schweiz», International Review of Education,
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JEANGROS, Erwin, «Strukturformen der Berufserziehung in der Schweiz», International Review of Education, vol. 2, n. 4, 1956, pp. 458-467.
KANDEL, Isaac Leon, «Equalizing Educational Opportunities and Its Problems», International Review of
Education, vol. 3, n. 1, 1957, pp. 1-12.
KANDEL, Isaac Leon, «National and International Aspects of Education», International Review of Education, vol. 1, n. 1, 1955, pp. 5-17.
KING, Edmund. J., «Education for adults today: an international survey», International Review of Education, vol. 3, n. 1, 1957, pp. 13-26.
LABORDE, H., «L’importance des colonies de vacances», Revue Internationale de l’Éducation, vol. 4, n. 3,
1958, pp. 346-359.
MALHERBE, Rémy W. (trad.), Oui à la réforme de l’éducation – mais aussi pour les adultes: contribution
de la Fédération suisse pour l’éducation des adultes aux problèmes de cette réforme, Zurich; Lausanne:
FSEA, [1970], 26 p.
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti
MARAZZI, Guido, «Les Cours pour adultes organisés par le Département de l’instruction publique du canton Tessin», Études pédagogique: annuaire de l’instruction publique en Suisse, n. 57, 1966, pp. 39-49.
MARAZZI, Guido, «L’Università popolare o Scuola popolare superiore», L’educatore della Svizzera italiana, fasc. 3 e 4-5, 1960, pp. 22-42.
NEUMANN, Hans, Hundert Jahre Schweizerischer Arbeiterbildung, Bern: [s.n], 1949, 15 p.
OSTERMAYER, Josef, «Das Schweizerische Schulwesen: Wirkkräfte, Aufbau und Reformtendenzen», International Review of Education, vol. 3, n. 3, 1957, pp. 322-334.
ROSSELLO, Pedro, «Les principaux courants éducatifs en 1958-1859: Essai d’éducation comparée dynamique», Revue Internationale de l’Éducation, Vol. 6, n. 4, 1960, pp. 385-398.
WARTENWEILER, Fritz, Erwachsenenbildung gestern – heute – morgen, Zürich: Freunde Schweizerischer
Volksbildungsheime, 1949, [s.p.]
WEILENMANN, Herman, L’université populaire. Principes et réalisations, Genève: [s.n.], 1944, 31 p.
Dizionari
Dictionnaire d’histoire culturelle de la France contemporaine, DELPORTE, Christian, MOLLIER, Jean-Yves,
SIRINELLI, Jean-François (dir.); BLANDIN, Claire (coor. scient.), «Quadrige. Dicos poche», Paris: PUF, 2010.
Dictionnaire des sciences humaines, MESURE, Sylvie, SAVIDAN, Patrick (dir.), «Quadrige. Dicos poche»,
Paris: PUF, 2006.
Dictionnaire historique de la Suisse (éd. elettronica: www.dhs.ch),JORIO, Marco (dir.), 2005.
8.2.
Letteratura secondaria
Opere
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L’Università popolare della Svizzera italiana: dai primi progetti ai Corsi per adulti 151
Ringraziamenti
Innanzitutto ringrazio la mia direttrice di mémoire Nelly Valsangiacomo
che pazientemente mi ha seguito lasciandomi il tempo di maturare un lavoro di ricerca
impegnativo quanto appagante. Grazie a Marco Marcacci che in qualità di esperto si è
messo a disposizione nella valutazione della ricerca e nella sua successiva revisione in
vista di una pubblicazione.
Ringrazio anche il direttore dei Corsi per adulti, Vincenzo Born, e il personale del segretariato, i quali mi hanno dato libero accesso ai loro archivi aiutandomi
nella ricerca d’informazioni. Allo stesso modo ringrazio il personale dell’Archivio di Stato a Bellinzona. Grazie a Prestampa Taiana per il prezioso lavoro d’impaginazione.
Un particolare ringraziamento va alla mia famiglia che mi ha permesso
durante questi anni straordinari di crescere e coltivarmi secondo le mie scelte e le mie
esigenze, sempre pronta ad offrimi aiuto e sostegno qualora ce ne fosse stato bisogno.
Devo inoltre un grazie speciale a mia sorella Linda e a alla mia ragazza
Fanya che abbraccio e alle quali dedico con tutto il cuore questo lavoro.
Un pensiero infine alla mia cara nonna e ai suoi racconti di vita quotidiana con i quali riusciva a trasmette valori e emozioni di altri tempi. Come dimenticare quel famoso dattero che un giorno da bambina custodì gelosamente nelle sue tasche
e che, arrivata la ricreazione, a turno, lei e i suoi compagni di scuola assaggiarono con
la sola punta della lingua per paura che questo si sciupasse.
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Progetto grafico:
Bruno Monguzzi
Impaginazione:
Prestampa Taiana
Stampa:
Lineagrafica
©
Divisione della formazione professionale
6932 Breganzona
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Christian Ball
L’Università popolare della Svizzera italiana:
dai primi progetti ai Corsi per adulti (1945-1975)
Questione che si pose in epoca moderna quando il popolo
divenne sovrano. Questione che riemerse, anche se in termini diversi, nel dopoguerra durante la fase dei Trenta gloriosi. Questione d’estrema attualità nella società odierna,
dove l’educazione degli adulti si è affermata quale elemento
imprescindibile nel percorso di vita di ogni uomo e cittadino. Questo lavoro s’interroga sulla nascita, gli sviluppi e
il ruolo dell’educazione degli adulti in Ticino, in particolar
modo dei Corsi per adulti, l’Università popolare del Cantone. Vi si ripercorre la maturazione di un progetto sorto
nella prima metà del Novecento, affinato all’indomani della
Seconda guerra mondiale e realizzato negli anni Sessanta,
varcata la soglia di una modernità caratterizzata da trasformazioni socio-culturali e da progressi in ambito tecnicoscientifico senza precedenti, ma nel cui grembo già erano
presenti i tratti di una crisi sociale, economica e politica.
Nato a Locarno nel novembre 1987 Christian Ball è cresciuto e ha frequentato le scuole dell’obbligo a Losone.
Nel 2006 ha conseguito la maturità bilingue (it-fr) presso
la SCC di Bellinzona. Nello stesso anno si è trasferito a
Losanna, dove ha intrapreso gli studi accademici in Storia, Italiano e Scienze politiche, conseguendo un Master
of Arts nella prima materia. Attualmente è in procinto di
cominciare l’abilitazione all’insegnamento e insieme è intenzionato a portare avanti la ricerca nell’ambito della storia contemporanea socio-culturale.
Repubblica e Cantone
Ticino
Dipartimento dell’educazione,
della cultura e dello sport
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L`Università popolaredella Svizzeraitaliana