Estratto del testo ROM CITTADINANZA DI CARTA Metodologie di ricerca e di intervento sociale per parola e rappresentanza A cura di Marina Galati Presidente della cooperativa sociale “Ciarapanì” Membro dell’Associazione Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme Docente Unical Facoltà Scienze Politiche – Corso di laurea in Scienze del Servizio Sociale Email [email protected] 348/7913897 L’estratto è stato tratto dal testo “Rom cittadinanza di carta” ed. Rubettino ed a cura di Marina Galati Introduzione di Marina Galati Cittadini negati: la questione rom in Europa, in Italia, in Calabria a Lamezia Terme Conviviamo insieme al popolo rom da diversi secoli. Da più di 600 anni in Europa vi è la presenza di gruppi di persone appartenenti a questo popolo designati spesso con termini quali zingari, nomadi, camminanti, gitani. Originari del nord dell’India il popolo Rom e Sinti arrivò e si diffuse in tutta l’Europa intorno al XIV-XV secolo. Per diversi decenni è una storia di peregrinazioni, di continui spostamenti suddivisi in tanti piccoli gruppi e caratterizzati dal fenomeno di dispersione e distribuzione nello spazio “gli zingari si disperdono tra popolazioni sedentarie in seno alle quali praticano un nomadismo circoscritto girando in tondo”1. Pur essendo connotato come popolo nomade, in realtà in alcuni territori europei dei gruppi si sono insediati ed hanno assunto una cosidetta “sedentarizzazione adattata”2. Pur rimanendo il nomadismo una caratteristica identitaria del popolo rom, oggi molti sono stanziali. Il nomadismo odierno3 del popolo rom viene denominato “strutturale” riguardo alle forme di organizzazione sociale ed economica o afferente al desiderio di viaggiare, mentre viene definito “congiunturale” relativamente agli accadimenti esterni di intolleranza o alle politiche locali che impongono sgomberi ed allontanamenti impedendone quindi la stanzialità. Altro tratto distintivo dell’identità rom è la capacità di adattamento ai diversi contesti sociali che però nella società attuale trova sempre più difficoltà, trasformando la condizione degli zingari in uno stato di perenne mendicità dato il non senso a praticare un nomadismo giustificato finora anche dalla necessità di scambi economici con le popolazioni rurali (rottamai, piccolo artigianato del ferro e del rame) e relegandoli ad occupare spazi alle periferie delle città, in aree marginali e degradate che diventano le nuove bidonvilles. Nei venticinque paesi dell’unione europea oggi si stima che vi siano circa 10 milioni di rom, di cui 8 abitano nelle dieci nazioni di più recente ingresso. In Italia, dai dati dichiarati dal Ministero dell’Interno (2005)4, attualmente vivono 120.000 mila persone, e di questi la gran parte, intorno ai 70.000, ha la cittadinanza italiana. L’incidenza percentuale è dello 0,20-0,25% sulla popolazione totale. Il 60% della popolazione rom presente in Italia non è nomade, vivono quindi in una situazione di sedentarietà. Il restante 40% è metà seminomade e l’altra metà è costituita dai sinti che sono per lo più giostrai o circensi, artisti che viaggiano continuamente impegnati nel loro lavoro itinerante. I primi insediamenti dei rom/sinti in Italia risale alla prima metà del quattrocento, e quasi tutti i discendenti di questi migranti sono ormai sedentarizzati in diverse regioni italiane e si parla di circa 30.000 rom (per lo più in territori meridionali) e di altri 30.000 sinti (giostrai e circensi presenti nell’italia centro-setterntrionale). Un secondo flusso migratorio risale a dopo la prima guerra mondiale, mentre le migrazioni più recenti hanno riguardato la Jugoslavia negli anni 70-80 e tutta l’Europa orientale a partire dal 1989. Negli anni successivi al 2000 vi è un forte esodo continuo dalla Romania, da dove arrivano gruppi di persone in estrema povertà e con forti vissuti di 1 F. Cozannet “Gli zingari” ed. Jaca Book 2000, pag.33 ibidem 3 Caritas/Migrantes dossier “Immigrazione 2006”ed. Nuova Anterem, 2006 4 Organizzazioni che operano con i Rom (Opera nomadi, Cnca) stimano cifre intorno ai 140.000-150.000 presenze in Italia 2 discriminazione e dall’altra parte poco conosciuti dai servizi sociali data anche l’alta caratterizzazione alla mobilità su tutto il territorio italiano. In Italia, come del resto in diversi paesi dell’Europa, la presenza dei rom è divenuta oggetto di discussioni pubbliche e di polemiche politiche. La convivenza con i rom nelle comunità locali è sempre più conflittuale, dovuto sia alla presenza di pregiudizi e vissuti discriminatori nei confronti di questo popolo, che a fenomeni e forme di accattonaggio, attività criminali che vedono coinvolti alcuni soggetti e gruppi rom. La condizione dei rom nel nostro paese presenta tutta una serie di problematiche spesso complesse e non di facili soluzioni come la cittadinanza, l’abitazione, il lavoro, l’istruzione scolastica dei bambini, la tutela della salute, la fruibilità culturale dei servizi. Una delle questioni più evidenti è la mancanza di dati ed informazioni chiare che aiutino a orientare le scelte politiche dei decisori ed ad attivare percorsi di convivenza e corresponsabilità tra tutti i soggetti appartenenti alla comunità locale. Difatti l’assenza di dati ed informazioni precise alimenta spesso immaginari e paure che portano a perpetuare forme discriminatorie. La vita reale di tanti di questi gruppi è relegata e rinchiusa in spazi segregati quali sono appunto i “campi nomadi”. Si continua a considerarli tutti nomadi, anche se molti di loro sono presenti nei nostri territori da più generazioni, ed a pensare che è una loro scelta vivere in accampamenti e quindi in containers, roulotte e baracche. Ciò ovviamente non aiuta a promuovere e sostenere politiche serie sull’alloggio, specie per chi è da tempo cittadino italiano. E oltretutto in molti di questi accampamenti si continua a vivere in situazione di assenza di beni che nella nostra società sono considerati primari come la rete fognaria, l’illuminazione, l’energia elettrica, ecc. Molti bambini ancora sono privi di una istruzione scolastica, e tanti di coloro che la frequentano raramente raggiungono le scuole superiori. Dai dati ministeriali si evince che circa 13.000 bambini sono iscritti a scuola ma dai dati stimati da organizzazioni della società civile circa 20.000 bambini non sono iscritti al sistema scolastico obbligatorio. Ovviamente l’assenza di una istruzione va fortemente ad incidere sugli sbocchi professionali e le opportunità lavorative, nonché sulla capacità di fruire degli ulteriori servizi che il nostro paese offre. Dalle cronache giornaliere continuiamo ad assistere alle morti in questi campi di tanti bambini, sia causa di fattori legati alla sicurezza (bruciati da roghi ed incendi, ed altri fattori similari) che per le condizioni malsane dei campi. Difatti tra i bisogni prioritari emerge il tema della salute: dalle campagne per le vaccinazioni alle informazioni sui servizi sociosanitari e sugli stili di vita sani. La vita del popolo rom è mediamente molto più bassa , alcune stime statistiche ci dicono che le aspettative di vita ruotano intorno ai 45 anni di vita. Di certo il popolo rom è un popolo giovane, circa il 70% è composto da giovani al di sotto dei 21 anni e vi è poca presenza di anziani. Il tasso di mortalità in età infantile e quello per gli adulti causa di specifiche patologie permane alto. L’Italia è stata più volte ripresa da organismi europei per l’assenza di una politica globale che sia di garanzia e tutela dei diritti umani e sociali del popolo rom e sinti. Nel 2005 il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Alvaro Gil-Robles5 sottolineava che “le autorità italiane hanno tendenza a considerare che i Rom siano dei nomadi che desiderano vivere negli accampamenti. Secondo un pregiudizio corrente sono considerati stranieri, mentre una gran parte della comunità rom è italiana” e sempre secondo il commissario europeo la questione dell’istruzione scolastica non è solo frutto della povertà o in alcuni casi delle tradizioni degli stessi rom. ma un forte impedimento è dovuto alle pratiche discriminatorie e al pregiudizio che generano segregazione nella vita sociale e a scuola. Nel rapporto presentato a Strasburgo è stato inserito tra le 35 raccomandazioni quello di istituire un programma nazionale per offrire condizioni di vita dignitose ai rom. 5 le principali fonti sono state tratte dal sito www.RedattoreSociale.it e dal Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2006 Il Comitato Europeo per i Diritti sociali (CEDS), il 24 aprile 2006, ha condannato l’Italia perché sistematicamente viola, con politiche e prassi, il diritto di rom e sinti ad un alloggio adeguato. In particolare sottolineava la violazione dell’articolo 31 della Carta Sociale Europea dove si evidenzia il diritto all’abitazione ed i firmatari della Carta si impegnano a “- favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente; -prevenire e ridurre lo status di “senza tetto” in vista di eliminarlo gradualmente;- rendere il costo dell’abitazione accessibile alle persone che non dispongono di risorse sufficienti” ed all’articolo E che esplicita “il godimento dei diritti riconosciuti nella presente Carta deve essere garantito senza qualsiasi distinzione basata sulla razza, il colore della pelle, il sesso, la lingua, la religione, le opinioni politiche , l’ascendenza nazionale o l’origine sociale, la salute, l’appartenebza ad una minoranza nazionale, la nascita o ogni altra situazione” In particolare il CEDS rileva che costituisce violazione dei suddetti articoli “…l’inadeguatezza dei campi rom…- ..gli sgomberi forzati e le altre sanzioni ad essi associati..-.. la mancanza di soluzioni abitative stabili..”6 La Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), nel Terzo Rapporto sull’Italia 2005, raccomandava alle autorità italiane di intervenire con mezzi giuridici adeguati sul fronte della regolarizzazione ed in particolare di affrontare il problema del riconoscimento e della titolarità dei diritti di cittadinanza.7 Pur essendo i rom ed i sinti stanziali in Italia sin dal xv secolo a loro non è stato riconosciuto lo “status” di minoranza nazionale. La legge 482 del 1999 sul riconoscimento delle minoranze linguistiche e culturali non include rom e sinti, mentre tutela la cultura delle minoranze albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Ai rom e sinti non è stato riconosciuto perché non hanno un territorio definito, pur avendo una lingua in comune (il romanes). Alcune regioni si sono dotate di apposite leggi a tutela dei gruppi rom e sinti, riconoscendoli come minoranza etnica e disponendo specifici finanziamenti. Oggi in molte città italiane si stanno stipulando patti per la legalità, patti per la cittadinanza, patti per la sicurezza, che hanno come oggetto la questione rom e le soluzioni possibili per fronteggiare la convivenza sociale in quei territori. Se alcuni di questi patti si individuano percorsi di inclusione sociale altri stanno però suscitando diverse reazioni da parte delle organizzazioni che lavorano con i rom e del Centro europeo per i diritti dei rom (Errc), in quanto prevedono l’allontanamento forzato di migliaia di rom. Da questo anno presso il Ministero della Solidarietà Sociale è stato istituito un tavolo informale a cui partecipano i rappresentanti delle associazioni rom che operano in Italia, le associazioni che si occupano di questo tema e quelli dell’Anci. Il tavolo nasce anche per rispondere alle raccomandazioni fatte dalla Commissione Europea alle autorità italiane. Tra le priorità enucleate vi sono l’abitazione, l’inserimento sociale e quello scolastico, nonché le questioni inerenti la cittadinanza e le regolarizzazioni. Uno dei temi che richiede una forte attenzione e sta ponendo domande anche all’interno degli organismi deputati alla partecipazione politica è quello della rappresentanza. I rom sono la minoranza etnica più numerosa in Europa eppure il loro livello di rappresentaza è bassa in qualsiasi organismo politico. Le cause sono da attribuire a diversi fattori che vanno dai pregiudizi, alla povertà ed ignoranza di queste popolazioni, nonché l’assenza di uno status civico per molti di loro. Uno delle difficoltà per il nostro paese come sottolinea un rappresentate di una organizzazione che opera per i rom è che la minoranza rom non è considerata “una protagonista sociale pensante”.8 6 www.errc.org N. De Capite, C.Neglia “Quel popolo di “liberi” ostaggio dei pregiudizi” Italia Caritas, aprile 2007 8 www. Redattore sociale.it sezione nomadi 7 Permane che la rappresentanza di molti di loro è abdicata ad altri, e uno degli obiettivi che riteniamo debbano essere oggetto di riflessione è appunto come costruire percorsi reali che vadano a sviluppare processi di empowerment e di promozione di leadership all’interno delle comunità rom. La presenza dei Rom in Calabria ci perviene fin dalla metà del xv secolo attraverso alcuni scritti e testi che ci furono lasciati da scrittori italiani e stranieri, dove ci descrivono gruppi di zingari, incontrati a Caulonia- Rossano-Cosenza, e ne delineano tratti e caratteristiche “…si riconoscono tutti gli stereotipi che gli zingari hanno conservato immutati fino a cinquanta anni fa: l’amore per la libertà, la propensione al furto, l’arte della divinazione, il mestiere di fabbro o allevatore di cavalli, la libertà per i costumi sessuali.”9 L’esistenza, quindi, nella nostra regione è riconducibile fin dall’inizio del loro arrivo in Italia. Gruppi ormai sedentari, sparsi in diversi paesi della Calabria, di cui la maggior parte si ritrova da più generazioni nella stessa comunità locale. Sono essenzialmente Rom e la loro lingua è il Romanes, oggi praticamente solo pochi anziani lo parlano. Pierluigi Grottola in un interessante studio10 a partire dalla raccolta di materiale linguistico dei rom di Cosenza si prefigge di analizzare l’interazione tra la comunità rom e il resto della città di Cosenza “studiare il romanes di Cosenza vorrà dire pertanto studiare l’interazione delle due comunità, il reciproco modo di viversi, e il modo dei rom di rielaborare il proprio disagio sociale e la propria identità.” E dalla relazione, dal rapporto che i rom hanno con l’altro, con chi è non rom (o meglio detto i gaggè o gli italiani) che possiamo comprendere come possano vivere la propria identità in relazione alla comunità dominante. Alcuni vivono un’adesione totale ai valori della comunità rom e quindi qualsiasi rifiuto con il mondo dei gaggè, rifiutando la scuola, il lavoro, diffidenza e spesso inserito in attività criminali; altri vivono un rifiuto della propria cultura ed identità avendone vergogna ed assumono una adesione totale della cultura dominante; un terzo gruppo invece assume un comportamento di ripensamento e di vaglio critico nei confronti sia dei valori propri che di quelli dominanti, e quindi tende a studiare le proprie origini e la propria cultura anche a valorizzarla. Quest’ultimo percorso richiede processi di mediazione culturale che aiutino a sviluppare e sostenerne la valorizzazione dell’identità, ma spesso invece assistiamo ad interventi di assimilazione che tendono a che i rom debbano adattarsi e conformarsi al modello culturale dominante, interiorizzandone i comportamenti e gli orientamenti valoriali. L’interazione culturale che implicherebbe scambio e reciprocità, basato sul dialogo, è difficile che si attui se non vi sia riconoscimento della propria identità da parte di entrambi. Eppure riteniamo che la presenza di un gruppo etnico all’interno di una comunità locale non può non avere delle implicazioni culturali, sociali e politiche. Cosi come sostiene Mantovani11 le separazioni fisiche che avvengono negli spazi geografici come le frontiere sono allo stesso modo difficili mantenerle tra culture in quanto “le culture sono sistemi porosi, spazi di scambio, sistemi di risorse disponibili agli attori sociali per la loro interazione con l’ambiente”. Non vi sono purtroppo studi sufficienti per comprendere quanto ed in che modo la presenza di rom in tutti questi anni in Calabria abbia apportato relazioni comunicative e di scambio tra i due gruppi etnici (rom ed italiani) e quanto ciò abbia modificato le entrambe culture. 9 Antonio Cicala “Una antica descrizione degli zingari in Calabria (1540)” in “RubBina” pag. 70 ed. cittacalabria , 2006 10 Pierluigi Grottola “ La lingua della comunità rom a Cosenza” in “RubBina” ed. cittacalabria , 2006 11 G. Mantovani “Intercultura. È possibile evitare le guerre culturali?” pag. 19ed. Il Mulino, 2004 Tra i cittadini di Lamezia Terme vi sono rom abitanti di questo territorio da più di sessant’anni, per la maggior parte nati in questa città, solo alcuni in altri paesi della Calabria. Ovviamente parliamo di Rom stanziali, residenti da sempre nella nostra comunità. Anche nella nostra città la popolazione di etnia Rom è vissuta tra ostilità ed emarginazione. I primi insediamenti sono stati baraccopoli messe insieme alla meglio e autorizzate anche grazie al numero ridotto di Rom ospitati. Relegata in un campo dal 1982, indicato inizialmente come “sistemazione provvisoria”, la popolazione Rom si è trovata ad essere confinata – circondata materialmente da un muro di cinta alto circa 3 metri – ed esclusa dalla vita della città. La questione Rom anche a Lamezia Terme viene affrontata con le stesse modalità: cittadini che protestano per la loro vicinanza e amministratori che si trovano stretti tra il bisogno di garantire l’ordine pubblico e il non scontentare i propri elettori. Ogni volta che viene individuato un rione in cui trasferire il campo nomadi, la popolazione insorge e tutto ricomincia. La maggior parte dei Rom ancora oggi vive nel campo. Le istituzioni che fino ad oggi si sono “interessate” ai Rom hanno affrontato il problema come se fosse temporaneo, senza accorgersi che ormai questo popolo è definitivamente stanziale nel territorio lametino e che ogni Rom è, a pieno titolo, cittadino italiano. A Lamezia Terme, tra le discussioni della gente e sulla stampa locale, è diffusa l’opinione che i Rom rimangano “sempre uguali”, sostanzialmente un problema. Eppure in questi anni tantissime vicende dimostrano i significativi cambiamenti avvenuti e l’avvio di processi che hanno apportato profonde trasformazioni nella comunità stessa. Il lavoro costante dell’Associazione “La strada” per l’inserimento dei Rom a scuola e l’educazione sanitaria; le attività della cooperativa sociale “Ciarapanì” per la creazione di lavoro per e con i Rom hanno innescato visibili processi di integrazione. A differenza di prima, oggi bambini e bambine Rom vanno a scuola, giovani Rom lavorano in cooperativa, ragazzi e ragazze Rom crescendo hanno messo su famiglia e diversi altri di loro hanno trovato casa fuori dal campo andando ad abitare in case popolari o in affitto. Tanti bambini e bambine lametini hanno avuto per compagni di classe un Rom. Nelle vie della città di Lamezia si vedono lavorare i Rom della cooperativa “Ciarapanì” mentre svolgono il servizio di raccolta differenziata “porta a porta”. Ed altri giovani Rom lavorano nel comparto ortofrutticolo; alcune ragazze lavorano presso bar e ristoranti. Nella vita quotidiana Rom e “italiani” si ritrovano insieme in tante attività ed esperienze comuni: dalla spesa nei supermercati e nei negozi alle file in posta, nei ricoveri in ospedale. Al matrimonio di uno dei soci Rom della cooperativa “Ciarapanì” eravamo in tanti: i parenti venuti da tutta la regione, i compagni del circolo sportivo, gli amici della squadra di calcio, i vicini di “campo”, i colleghi di lavoro e tante altre persone, “chi Rom e chi no”. Un matrimonio come tanti altri, un evento normale tra mille eventi normali. Allora ci siamo chiesti: ma bastano la scuola, la casa, il lavoro per riconoscersi ed essere riconosciuti cittadini? La cittadinanza la si ottiene soltanto quando si gode dell’accesso ai diritti essenziali come quelli civili e sociali? La sedentarietà di questi cittadini Rom non vuol dire automaticamente cittadinanza, perché forse la cittadinanza è un portato culturale molto più complesso. Crediamo che si è cittadini e si è integrati non solo quando si gode dell’accesso ai diritti essenziali (come la scuola, la sanità) ma anche quando si può partecipare attivamente alla produzione di cultura e di senso. Lo spazio per la parola, la possibilità di negoziare il proprio ruolo sociale, la propria identità culturale, i propri progetti, sono fondamentali per una convivenza reale tra culture ed identità plurime. L’integrazione è un processo, non può essere uno schema, un principio generico, e va quindi continuamente nutrita di fatti concreti. Le domande che ci siamo posti all’interno di un gruppo di persone, tra cui alcuni di etnia Rom12, ci ha condotto ad avviare un percorso nella città e con la città. Le domande, le ipotesi e le ragioni di questo lavoro Le domande chiavi che hanno mosso il lavoro che presentiamo in questo testo ruotano intorno ai temi della cittadinanza: Come mai cittadini che vivono da tre generazioni in questa città non sono considerati parte di questa comunità? Cosa fa essere cittadino? Come si diventa cittadini? Si può sentirsi stranieri nella città alla quale apparteniamo? Quale cittadinanza nella mente abbiamo dei rom a Lamezia Terme? Paragonando la città ad un sistema organizzativo, utilizziamo questa definizione di P.Turquet e G. Lawrence13, per indicare quel complesso di immagini, fantasie inconsce che gli individui (i cittadini) si formano del contesto comunitario in cui operano e delle relazioni tra individui e tra gruppi in cui sono coinvolti (tra rom e gaggè/italiani). Quali immagini, fantasie inconsce abbiamo dei cittadini rom? Quali tipi di relazioni sussistono? Di paura? Di ostilità? Cosa ci ostacola nel rinnegare nei fatti la cittadinanza al gruppo dei rom che abitano da tempo nel nostro paese? E dei bambini rom figli di bambini che abbiamo visto crescere? E cosa ostacola i rom di Lamezia Terme ad esercitare la propria cittadinanza? Ci basta la spiegazione che “tanto loro vogliono stare solo tra loro”, “hanno abitudini che sono incompatibili con le nostre regole sociali”. Ricordo una giovane donna in un incontro con l’etnopsichiatra che sosteneva di aver paura di uscire dal campo ed andare da sola per le vie della città “chi sa cosa mi può succedere”. Ma queste paure non sono vicine a quelle di altre ragazze italiane nel pensarsi di entrare nel campo rom? In tante città italiane assistiamo all’incapacità ad affrontare la questione rom da parte dei decisori politici (a prescindere dal colore delle amministrazioni) perché spesso non interessa loro affrontare il problema seriamente, ma al massimo tenerlo vivo (e ciò in politica permette di recuperare consensi). Nella nostra città si lavora per far pervenire finanziamenti che potrebbero essere una risposta a precisi bisogni come quello della casa , ma che puntualmente non si è in grado poi di spendere e con ciò parliamo di milioni di euro che ritornano indietro e non si è in grado di usarli. E ci siamo chiesti: “E se provassimo a leggere da un altro punto di vista tutto ciò? E ci chiedessimo se anche loro sono imbrigliati in mappe mentali, in visioni o pregiudizi bloccati che rendono loro impossibile apportare cambiamenti?” Esprimendo e rappresentando con le loro scelte (o meglio non scelte) difese sociali e resistenze al cambiamento. 12 Il gruppo base è essenzialmente composto da soci rom e non della Cooperativa sociale “Ciarapanì” , che ha avviato il percorso di lavoro sociale e ricerca-azione che presentiamo all’interno di questo testo. La cooperativa sociale “Ciarapanì” opera a Lamezia Terme dal 1997; nasce per dare risposte concrete ai bisogni di inserimento lavorativo di cittadini e cittadine che vivono alcune condizioni di svantaggio personale e sociale. Tra i soci vi sono appunto anche giovani Rom, i quali hanno dato il nome alla cooperativa: “Ciarapanì” proviene dalla loro lingua e significa “tenda che protegge dalla bufera”, per indicare il desiderio di sicurezza di fronte alle difficoltà e alle vulnerabilità sociali e culturali cui vanno quotidianamente incontro. Lavorare in una cooperativa sociale significa acquisire un posto di lavoro e uno stipendio, ed inoltre conquistare un ruolo sociale attivo riconoscibile dalla comunità locale. Tra gli obiettivi principali vi è quello dell’occupazione ed altresì quello dell’impegno a promuovere cultura solidale e iniziative di inclusione sociale a Lamezia Terme. 13 Mario Perini “L’organizzazione nascosta” ed. Franco Angeli, 2007 L’ ipotesi “congetturale”14di lavoro sulla quale ci siamo soffermati “E se le persone rom di questa città prendessero la parola e aprissero spazi di dialogo con la città chissà se muterebbero le mappe mentali15 dei diversi soggetti che vivono questa città? E ciò potrebbe portare a produrre nuova cultura e senso di comunità nella città?. Dicevamo che la cittadinanza non è solo accedere ai diritti essenziali ma anche poter partecipare attivamente nel produrre cultura e senso. La visione politica sui diritti di cittadinanza dei rom è consistita in interventi spesso improntati sull’assimilazione di questo popolo ai valori della comunità dominante; in pochi casi ad una concezione di integrazione basata sul mantenere una netta divisione: negli spazi pubblici l’adesione ai valori universali della società di accoglienza, negli spazi privati tollerare il mantenimento delle specificità culturali. Una concezione basata sullo scambio interculturale è molto più difficile sostenerlo, anche nell’immaginario, avendo dei rom una visone di un popolo retrogrado, ignorante, delinquente ….Dall’altra la perdita di cultura e spesso della propria identità da parte di tanti giovani rom (in particolare in quei gruppi sedentari da tempo come quello di lamezia Terme) contemporaneamente ad un vissuto di insicurezza, di vergogna e di poca stima di sé non facilita lo sviluppo di relazioni di reciprocità e dialogo alla pari. I rom non sono abituati a partecipare alla vita politica della città, né tanto meno a prendere la parola sulle questioni che li riguardano direttamente e dall’altra parte raramente viene chiesto loro di esprimere il loro punto di vista, nonostante in città e sulla stampa si è tempestati di notizie sui rom. Ma la partecipazione evidenzia Bruna Zani16”…occorre evitarla di ideologizzarla come forma di omogeneizzazione e di livellamento delle differenze. La partecipazione non significa cioè consenso generalizzato, ma deve prevedere anche il conflitto: è importante allora anche acquisire quelle life skills di base, che sono la capacità di gestione dei conflitti, di soluzione dei problemi, di comunicazione efficace, di ascolto. La partecipazione cosi intesa, anche se non è un obbligo, rappresenta certamente un’esigenza etica connessa alla cittadinanza e al senso di responsabilità sociale..” E se quindi, come dicevamo, per diventare cittadino ci fosse bisogno di prendere la parola come è possibile che questo avvenga quando non si hanno gli strumenti e le abilità per sostenerne il confronto? L’obiettivo prioritario sul quale e si è incentrato il nostro percorso di ricerca e di azione è stato quello di attivare processi di conoscenza della propria comunità rom ed apprendere ad esercitare forme di partecipazione alla vita della città creando spazi dove giovani rom potessero prendere la parola. La ricerca azione che abbiamo ipotizzato si è caratterizzata attraverso quattro percorsi costituiti da processi circolari non definiti dalla linearità ma piuttosto da forme a spirale. Ogni percorso è composto da fasi di pianificazione, di messa in atto delle azioni, di riflessione e valutazione, e di costruzione del percorso successivo, in base anche all’individuazione di risorse o criticità emerse. 14 Franca Olivetti Mnoukian, sostiene che “…la conoscenza alimentata dalla ricerca-azione aiuta a vedere l’importanza delle ipotesi che potremmo chiamare congetturali, ipotesi che mettono insieme ambiti e livelli diversi, collegati molto più al paradosso e alle multidimensioni immaginarie ed inconsce che alla dimostrazione..” “Il circolo virtuoso conoscenza-azione” in Spunti n° 9 pag. 160, 2007 15 Per mappe mentali intendiamo 16 Burna Zani “Quali possibili basi per “comunità possibili”? Occupiamoci di identità, reciprocità e fiducia” in Pisicologia di Comunità, n° 1/2005 Rendere visibile (ascoltare, assumere informazioni) (Dare strumenti) Conoscere Prendere la parola (Costruire nuove rappresentazioni) (Creare spazi pubblici di confronto) Ri- conoscersi Il primo percorso è caratterizzato dalla necessità di Conoscere La conoscenza nella ricerca azione parte dalle relazioni con le quali si entra in contatto. “La conoscenza-azione è prima di tutto conoscenza dei soggetti che entrano in campo”17 In questo percorso i soggetti non sono previsti a priori, alcuni sono stati individuati fin dall’inizio altri invece sono stati contattati perché ritenuti importanti da coinvolgere alla luce di quanto emerso dalle relazioni e dai soggetti con cui si è entrati in contatto. L’attivazione dei soggetti è avvenuta in base anche al fatto di averli riconosciuti come portatori di interesse in relazione al problema trattato. Ovviamente tra i principali soggetti coinvolti vi sono giovani rom che hanno accompagnato l’intero processo, mentre altri si sono soffermati ad alcuni percorsi o azioni messi in atto. L’approccio conoscitivo ha assunto due dimensioni quella dell’ascolto e la raccolta di dati sulla popolazione rom a Lamezia Terme. L’ascolto dei diversi punti di vista rappresentati dai portatori di interesse, e di coloro che sono in possesso di informazioni e di saperi dovuti alla vicinanza alla questione rom, o perché da anni sono impegnati in attività di mediazione o perché ricoprono ruoli istituzionali riguardanti le tematiche dei rom. La raccolta dati sulla popolazione rom permetteva da un lato di assumere dati reali di conoscenza di questa comunità che potessero modificare delle rappresentazioni basate su immaginari e presunte conoscenze e dall’altra delineare e costruire itinerari futuri. Il secondo percorso è focalizzato sul Rendere visibile Questo percorso ci ha visti impegnati in attività che potessero meglio rendere visibile ciò che pian piano venivamo a conoscenza, e le riflessioni ed interpretazioni che si andavano formulando tra il gruppo di lavoro18 ed i diversi soggetti con cui ci si ritrovava a confrontarsi. Una delle difficoltà maggiori per chi lavora nel sociale sta appunto nel rendere visibile, tangibile, qualcosa che ha a che fare con l’immateriale. Spesso vanno dispersi patrimoni di conoscenze e preziose riflessioni proprio per le difficoltà di tempo, di costi, ma anche per non aver dato il peso ed il valore giusto a ciò che 17 F. Olivetto Manoukian” Il circolo-virtuoso” in Spunti n° 9/2007pag. 157 Il gruppo di lavoro è composto da soggetti con competenze differenti chi ha esperienza nel campo della ricercaazione, altri hanno saperi sulla mediazione sociale ed altri come i giovani rom portatori di esperienza diretta della comunità rom. 18 si è fatto, o solamente per le difficoltà di fare un passaggio: come comunicarlo, come renderlo prodotto visibile. Rendere visibile per noi ha significato anche fa vedere cosa si è fatto, sostenere processi che aiutassero la comprensione dei diversi giovani rom con i quali eravamo in contatto. Far capire dove eravamo, riformulare il tragitto e rivederne la rotta prendendo ulteriori decisioni su come procedere. Ulteriore questione su cui abbiamo dedicato parte del nostro lavoro è stata la scelta degli strumenti di comunicazione e la costruzione degli stessi. Oltretutto per noi gli strumenti erano anche considerati mezzi di sostegno e di facilitazione alla possibilità dei giovani rom di prendere la parola. Infatti i prodotti come la costruzione del libretto, della lettera ai giovani coetanei lametini, le video proiezioni dei dati statistici, il cd musicale, il documentario sul lavoro, la festa, le sintesi per i laboratori hanno richiesto attività di lavoro insieme ai giovani rom che contemporaneamente diveniva presa di consapevolezza, acquisizione di strumenti di comunicazione, esercitazione alla presa di parola. Il terzo percorso è incentrato sul Prendere la Parola Prendere la parola non è ovvia e scontata per le persone appartenenti a gruppi esclusi dai contesti sociali e culturali dove vivono. I processi di empowerment per sviluppare potenzialità di giovani rom sono stati al centro del lavoro di questo percorso. Sono processi che vanno da un lato a rafforzare la fiducia e la stima di sé dei singoli soggetti e dall’altra a facilitare l’elaborazione del pensiero, la trasformazione in parole di emozioni, sentimenti, memorie e la produzione di concetti che esprimano le proprie idee ed opinioni. Per confrontarsi con gli altri della città a cui appartengono hanno i rom hanno bisogno dell’uso dell’italiano o almeno del dialetto del contesto sociale dove abitano. Ciò non è automatico anche perché il livello scolastico è basso, ed al massimo siamo in possesso della terza media, rari casi hanno frequentato uno o due anni di scuola superiore. Chi ha avuto possibilità di socializzazione con esperienze in attività associative o lavorative ha acquisito maggiore capacità di esprimersi, ma non sempre ciò è affiancato a sentimenti di fiducia, sicurezza e fierezza di sé che aiutano a sostenerne l’esposizione in pubblico. “Per questo motivo è necessario dar vita ad occasioni in cui i soggetti meno inclusi possano partecipare attivamente attraverso la creazione di gruppi o di coalizioni impegnate su problemi da loro portati”19. In questo percorso si è tenuto conto di processi graduali che potessero aiutare a prendere confidenza in contesti gruppali e meglio esercitarsi a prendere la parola. Sono state costruite situazioni dove è stato possibile prendere la parola, iniziando da incontri con piccoli gruppi: le riunioni nelle scuole insieme a classi scolastiche singole, incontri con gruppi associativi come gli scout o gruppi parrocchiali, incontri con diversi soggetti istituzionali e non nei laboratori attivati, incontri con i giornalisti. Per arrivare a prendere la parola in incontri più allargati come il convegno pubblico, gli incontri con le circoscrizioni, il meeting. sull’Open space strategy. La partecipazione agli spazi pubblici, in quanto spazi discorsivi e di incontro, hanno introdotto nuove rappresentazioni, nuove immagini “potenti” che crediamo abbiano apportato mutamenti, tra diversi cittadini lametini, in quella che definiamo “la cittadinanza nella mente” dei rom a Lamezia 19 E. Ripamonti-S.Carbone “La periferia che cambia pelle: sviluppo di comunità e dinamiche interculturali in un progetto di rigenerazione urbana e sociale” in Politiche sociali e Servizi, n°1/2006 terme. Cosi come sottolinea la Francescato20 “Gli spazi pubblici sono il luogo dove può generarsi il capitale sociale di tipo “bridging”, cioè possono svilupparsi contatto, relazioni, fiducia e senso di reciprocità tra persone che provengono da ambienti sociali ed etnie diverse…”. Il quarto percorso ha intrapreso la strada del Ri-conoscersi Ri-conoscersi insieme cittadini è il percorso che riteniamo un punto di arrivo del lavoro ma contemporaneamente un punto di partenza per la creazione di nuovi ponti, ravvicinamenti e riconoscimenti in quanto cittadini che abitano la stessa città. Questo processo di riconoscimento reciproco ha significato da un lato il riconoscere l’altro-rom come cittadino lamentino e quindi appartenente alla mia stessa comunità e soprattutto guardarlo con occhi nuovi (giovani che riconoscono nei coetanei rom “abbiamo gli stessi sogni”; adulti che vedono “per la prima volta” che “si può ragionare insieme”); dall’altra l’emergere di sentimenti e percezioni nei giovani rom di valorizzazione della propria persona negli spazi di vita della città. Amerio21evidenzia quanto sia necessario nel promuovere delle comunità attive e pluraliste l’attenzione alla soggettualità “…una comunità può realmente garantire sia la tutela del singolo individuo nella pienezza sia la propria coesione interna solo facendosi carico dell’intera espressione della soggettività. Solo cosi infatti può avvantaggiarsi di un tessuto umano-sociale più ricco e partecipativo.” Riteniamo che il percorso sia andato a costruire nuove rappresentazioni nelle menti di coloro che si sono incontrati negli spazi pubblici promossi o colti. I confronti e le discussioni aperte dopo gli incontri con insegnati durante la proiezioni dei video; l’impatto emotivo tra i partecipanti al convegno nel percepire i sentimenti di giovani rom che per la prima volta in città erano loro a parla re di sé senza nessuna delega ad altri; il gruppo numeroso al meeting promosso dal Comune sull’open space tecnology dove giovani rom si assumevano il diritto di parola e di governo del microfono per proporre temi legati alla comunità rom della città. “Pensarsi in modo nuovo per poter pensare il nuovo”22, la pensabilità per il cambiamento è cruciale. Spesso le relazioni di incontro aprono all’inedito a ciò che minimamente era pensato precedentemente possibile. Abbiamo forse tolto qualche mattone al quel muro di cinta che circuisce, intrappola persone e gruppi di persone, menti ed immaginari, visioni e futuro. Speriamo di aver potuto mettere in moto dinamiche intercultuali che possano nel tempo rigenerare la città. Il percorso è tracciato, circoli virtuosi sono stati innescati, si è visto che queste relazioni tra rom e “italiani” sono sostenibili dalla comunità locale. Piccoli successi visibili dove è stato possibile esprimere capacità e non distruttività. È la sfida aperta all’incontro ed al ri-conoscimento di persone e gruppi che abitano la stessa città 20 Nuove sfide per la psicologia di comunità. Costruire capitale sociale ed empowerment nelle comunità locali e virtuali” in Psicologia di Comunità N° 1/2005, pag. 65 21 P. Amerio “Una comunità aperta e pluralistica e un compito per la psicologia di comunità”, in Psicologia di Comunità, 1/2005, pag. 23 22 U. Morelli-C.Weber “Apprendimento come attraversamento di confini” in Animazione Sociale n° 1/2006, pag. 19 Quadri metodologici di riferimento Empowerment Ricerca azione Mediazione sociale Lavoro sociale di comunità (Psicologia di comunità) Mappa dei processi attivati, degli interventi realizzati e della resa di visibilità dei prodotti Quadro riassuntivo dei processi attivati, degli interventi realizzati e della resa di visibilità dei prodotti Fasi Processi, Interventi, prodotti cronologiche Processi attivati - Coinvolgere soggetti intorno al problema Maggio- Creare le condizioni per l’avvio dei percorsi ottobre 2005 - Rilevare ciò che è stato fatto finora a Lamezia sulla questione rom ed individuare le risorse ed i vincoli in atto - Indagare le percezioni dei rom sui processi di inclusione Interventi realizzati - incontri a piccoli gruppetti circolari tra giovani rom, mediatori sociali, soci della cooperativa intorno al problema - stesura dei temi su cui lavorare/traccia delle interviste - interviste a testimoni privilegiati per raccogliere i punti di vista - raccolta documentazione Prodotti visibili - Materiale documentale grigio - Interviste e primi quadri di lettura su come è stata affrontata la questione rom a Lamezia Terme NovembreProcessi attivati Gennaio2006 - Promuovere processi di empowerment - Dotarsi di strumenti per dare visibilità Interventi realizzati - costruzione di strumenti per la rilevazione della popolazione rom - rilevazione dati quantitativi - circoli di incontri per la verifica e la riflessione sui dati - attività di orientamento al lavoro rivolte a giovani rom - attività di mediazione sociale - gruppi di approfondimento con adolescenti e giovani per l’emersione di vissuti relativi al loro sentirsi cittadini e nel contempo esclusi dalla comunità locale - attività di scrittura collettiva per la produzione della lettera rivolta ai giovani coetanei Prodotti visibili - lettera ai giovani di Lamezia Terme “Per riscoprirsi insieme cittadini” - stampa opuscolo FebbraioProcessi attivati Settembre 2006 - Elaborare e riflettere sui dati emersi - Condividere con altri le riflessioni e sviluppare comprensioni e significati comuni - dare visibilità ai processi di empowerment nella città Interventi realizzati - 3 laboratori con rappresentati istituzionali e soggetti della società civile - gruppi di incontro per l’elaborazione e la riflessione sui dati - incontri con i giornalisti - interviste ai medici e pediatri - rilevazione dati sull’inserimento scolastico dei bambini rom - richiesta all’Uepe sul numero dei detenuti rom lametini - tirocini formativi al lavoro ed inserimenti in aziende e contesti lavorativi della città - preparazione e realizzazione della festa “Abbiamo gli stessi sogni”con altre associazioni giovanili - incontri con scuole, parrocchie e associazioni di presentazione e discussione sulla lettera ai giovani coetanei - inchiesta sociale per la costruzione del video documentario - 3 gruppi di parola di etnopsichiatria con donne adulte e giovani rom - la “notte” a Riace per la festa di San Cosma e Damiano Prodotti visibili - Festa - Articoli su quotidiani e riviste settimanali - Video documentario “Dal campo al lavoro” Ottobremaggio 2007 Processi attivati - Assumere la responsabilità (in prima persona) di dare visibilità alle conoscenze ed alle questioni emerse - Partecipare in contesti della vita cittadina per apportare contributi e altri punti di vista Interventi realizzati - Organizzazione e realizzazione del Convegno “ - Incontri insieme all’Amministrazione Comunale e le Circoscrizioni - Presentazione del video al seminario nazionale “Inchiesta sociale”, presso scuole ed associazioni - Partecipazione all’Open Space Tecnology - Articoli su agenzie nazionali - Avvio del lavoro di pubblicazione del testo Prodotti visibili - Articoli e manifesti sul convegno - Articoli sugli incontri - Report sul lavoro di gruppo nell’Open Space tecnology - Materiale grigio per la pubblicazione del presente testo. Il coinvolgimento intorno al problema e l’avvio dei percorsi di ricerca Erano mesi che assistevamo per una ennesima volta ad una passerella di voci e di opinioni sui giornali di cronaca lametina. Quasi tutti proponevano interventi di pubblica sicurezza, richiedendo interventi della polizia, smantellamenti del campo, qualche voce invocava il bisogno di assistenza sociale. Ovviamente nessun rom era interpellato. E così che nella rete sociale della nostra Cooperativa23, insofferenti alla miopia con cui si elargivano giudizi ed interpretazioni, incominciamo a entrare dentro la questione rom con una prospettiva diversa e non solo come abbiamo fatto in questi anni dando riposte specifiche a delle persone e costruendo insieme a loro opportunità lavorative e sostegno ai progetti individuali. Avviamo una serie incontri circolari, a piccoli gruppetti tra i nostri soci rom, gli operatori socioculturali dell’Associazione La Strada ed altri soggetti a noi vicini. La domanda con la quale ci interrogavamo era appunto: da che punto di vista affrontare la questione? I problemi connessi al tema dei rom sono per loro natura complessi, la cui conoscenza è spesso inficiata dai soliti pregiudizi ma dall’altra sarebbe banale da parte nostra non riconoscere che vi è una molteplicità di problemi intorno a i rom, vissuti in modo conflittuale da una pluralità di soggetti della nostra città. Insieme a chi affrontarlo è stata la domanda conseguente, avendo chiaro che molti dei portatori di interesse assumevano un ruolo di oppositori. Non ci era chiara l’influenza ed il potere nel prendere decisioni da parte dei diversi soggetti che in questi anni avevano assunto dei ruoli nelle “vicende rom”. Né tanto meno avevamo le idee chiare su quanto e cosa si era fatto in questi anni per affrontare tali problemi. Mentre erano in circolo tali interlocuzioni tra noi, un giovane laureando in psicologia di comunità mi chiede di poterlo seguire in una tesi sui processi comunitari di inclusione sociale. Gli proposi se era interessato a lavorare su una ricerca azione al fine di attivare processi reali di inclusione del popolo rom nella comunità lametina. Costituimmo un primo staff24 di lavoro. Nella prima fase della Ricerca-Azione si è esaminato, attraverso interviste a testimoni “privilegiati” ciò che negli ultimi cinque anni è stato fatto a favore dei rom. Utilizzando un questionario semistrutturato sono state intervistate persone, che ricoprono ruoli istituzionali o di accompagnamento sociale presso enti pubblici ed organizzazioni sociali ed hanno avuto delle relazioni dirette con la popolazione rom. 23 La Cooperativa Sociale di tipo B”Ciarapanì” è stata promossa dall’Associazione Comunità Progetto Sud - Onlus con la collaborazione propositiva dell’Associazione di Volontariato “ La Strada”. L’Associazione “La Strada” è impegnata da diversi anni in percorsi di integrazione scolastica e sociale di bambini e ragazzi appartenenti al campo Rom di contrada Scordovillo a Lamezia Terme, riconosciuto uno dei più grandi del sud Italia . L’Associazione Comunità Progetto Sud si occupa da più di 30 anni di emarginazione e di esclusione sociale, attraverso la promozione di servizi sociali e sanitari e lo sviluppo di processi culturali e comunitari che favoriscano l’inclusione sociale dei soggetti più vulnerabili. 24 Lo staff era composto dalla sottoscritta, Massimo Bevilacqua, Damiano Bevilacqua, Massimo Berlingeri, Luigi Bevilacqua, Sabrina Cretella, Antonio Rocca, Andrea Tucci (per la prima fase); nella seconda fase di lavoro hanno contribuito 2 operatori della Strada……., Maria elena Godino (attività di mediazione sociale), Nicola Emanuele (tirocini formativi di orientamento al lavoro), Salvo Inglese ed Angela Muraca (gruppi di etnopsichiatria), Cristina Lio (inchiesta sociale-video documentario). Si ringraziano inoltre per i loro contributi Mariteresa Turla, Lorena …. Scopo delle interviste è stato quello di verificare quali sono stati: i risultati raggiunti dei programmi d’inserimento attuati a favore dei Rom; la stabilità della loro identità; l’individuazione dei principali punti critici o di forza dai quali partire nell’esaminare la problematica. Ed infine quello di esplorare le motivazioni e la disponibilità dei rom ad inserirsi nella comunità lametina e quanto questa sia disponibile ad includerli. A conclusione del lavoro di raccolta delle informazioni è stata realizzata un’analisi per stabilire quali i punti favorevoli e critici e quali le opportunità ed i vincoli che il territorio e i servizi offrono rispetto al problema in esame. La seconda parte delle interviste sono state rivolte a due gruppi target di persone romper indagare e comparare le percezioni sui processi di inclusione sociale dei Rom a Lamezia Terme. I due gruppi target erano composti da rom che hanno usufruito di processi d’inserimento, cioè opportunità lavorative, abitative, e scolastiche, l’altro da coloro che non hanno colto o a cui non sono state offerti questi tre tipi di opportunità. La ricerca voleva individuare sia la percezione che i due gruppi target hanno del problema rom generale che entrare sempre più nello specifico nei vari aspetti dell’inclusione dei rom nella comunità lametina. Inoltre si intendeva rilevare se c’erano concezioni diverse di intendere il problema tra i rom che hanno usufruito di processi di inserimento e coloro non ne avevano usufruito. Precisamente questo secondo gruppo era composto da coloro che ancora oggi vivono nel campo nomadi. Oltre alle interviste, in questa fase viene raccolta documentazione sul popolo rom a Lamezia. Gli strumenti ed i processi per la consapevolezza Durante le attività di questa fase ci viene affidato dal Comune di Lamezia Terme un progetto per la realizzazione dell’Azione Integrazione Fasce Emarginate, del P.O.N Sicurezza25con lo scopo di attivare un circuito virtuoso di azioni di più soggetti tendenti ad integrare la comunità rom nel tessuto sociale e cittadino. Questa opportunità ci ha permesso di avere dei finanziamenti e quindi di ampliare e potenziare gli interventi che avevamo in cantiere. Gli interventi si sono strutturati seguendo due itinerari: il primo è stato una rilevazione di dati quantitativi sulla popolazione rom, l’altro itinerario ha mirato a costruire processi di empowerment con adolescenti e giovani rom. I dati Il bisogno di raccogliere dati nasce dalla necessità di conoscere ed avere informazioni reali su quanti sono i rom a Lamezia Terme, quanti anni hanno, dove sono nati e dove ufficialmente risiedono. Quanti vivono ancora nel campo, quanto hanno trovato casa fuori dall’accampamento? 25 Il P.O.N. Sicurezza Comuni Sciolti per Mafia è un progetto complesso di interventi relativamente al campo rom di Scordovillo a Lamezia Terme, articolato in più azioni, a noi ne è stata affidata una, che ad oggi è l’unica ad essere stata realizzata. L’assessore ai servizi sociali avv. Francesco Carnevale ha promosso e seguito la realizzazione di questa azione progettuale fino al luglio 2006. Dopodiché c’è stato un cambio all’interno della giunta ed è stato sostituito con la dott.ssa Elvira Falvo. Tutte informazioni che ci avrebbero permesso di assumere una chiara cognizione sulla popolazione rom, ma anche ci permettevano di riflettere su possibili programmi di inclusione sociale a medio e lungo termine. Da nessuna sede istituzionale ci era pervenuta documentazione sui dati quantitativi, solo presso l’Associazione “La strada” esisteva del materiale grigio su una vecchia indagine svolta da loro nel 1996 relativamente ai soli rom che vivevano nel campo. Difatti finora si era lavorato su dati approssimati. L’indagine da noi promossa è stata svolta con il coinvolgimento diretto di persone Rom nel lavoro di rilevazione, elaborazione ed interpretazione dei dati. Ciò ci ha permesso innanzitutto di conoscere dati e fenomeni concreti su questa popolazione che aiutano a modificare delle rappresentazioni costruite a volte sui pregiudizi e sulla non conoscenza. Dati che sfatano anche alcuni immaginari. Ad esempio, in questi mesi più volte abbiamo posto a persone diverse la domanda: “quante persone ritenete che vivano al campo Rom?”. Nessuno mai si è avvicinato al dato reale, quasi tutti hanno sovradimensionato la presenza dei Rom nella nostra comunità. Raccogliere i dati della popolazione rom non è cosa facile, contributi preziosi sono stati dati dagli operatori di mediazione dell’Ass. La strada che di fatto possiedono la memoria storica di questa popolazione, lavorando da vent’anni con loro, nonché i nostri soci rom ed i loro parenti e amici che hanno contributo alla rilevazione. Sono stati approntati degli strumenti per la rilevazione dei dati e per la loro elaborazione statistica, dopo aver nel gruppo di lavoro stabilito quali informazioni erano utili rilevare tenendo conto anche delle difficoltà di accedere ad alcuni dati dovuti all’incertezza delle fonti o di quanto era stato dichiarato. Proprio perciò si è utilizzato l’incrocio di più fonti per determinare la veridicità di alcuni dati. Questo lavoro è stato accompagnato da continui incontri dello staff per la verifica e la riflessione sui dati. Abbiamo conservato uno stile di cooperazione conoscitiva nel trattare i dati e nel processo di interpretazione e valutazione degli stessi. Man mano che i dati rilevavano e venivano in nostro possesso sono stati effettuati diversi incontri non solo tra lo staff, ma a volte abbiamo incontrato altri soggetti che potevano aiutarci nell’identificare delle incongruenze dovute appunto a ciò che dicevamo sulle incertezze ed incongruenze di alcuni dati. Il riconoscimento del valore e del potere dei dati in nostro possesso ci ha dato la consapevolezza, come vedremo successivamente, che andavano utilizzati in due direzioni: da una parte per la presa di parola dei giovani rom, che avevano partecipato alla ricerca, da protagonisti nell’offrire informazioni e conoscenze in spazi pubblici e con gli altri soggetti (anche istituzionali) che ricoprono ruoli di responsabilità politica e sociale; dall’altra tali dati mettono veramente in grado di poter co-costruire insieme una programmazione di interventi di inclusione di questi nostri cittadini nella comunità lametina. Gli interventi di empowerment I processi di empowement si sono sviluppati attraverso interventi di orientamento al lavoro ed attività di mediazione sociale. Gli interventi di orientamento al lavoro si sono rivolti ad una ventina di adolescenti e giovani rom in possesso alcuni di strumenti scolastici altri totalmente analfabeti. L’intento era di sviluppare processi di conoscenza e di orientamento verso il mondo del lavoro e le sue varie opportunità. Nello specifico si mirava a favorire una presa di consapevolezza delle proprie capacità e competenze lavorative, fornire strumenti di lettura del mercato del lavoro ed acquisire strumenti per “sapersi presentare” al mercato del lavoro. Questi interventi avevano il compito anche di facilitare la fase successiva che prevedeva inserimenti al lavoro attraverso tirocini formativi presso aziende ed imprese lametine. L’attività di mediazione sociale si è articolata attraverso seminari di lavoro e studio e gruppi di approfondimento che hanno facilitato l’emersione di vissuti relativi al loro sentirsi cittadini e nel contempo esclusi dalla comunità locale. Da questi interventi nasce nei giovani l’esigenza di farsi conoscere dal resto della cittadinanza in quanto ragazzi e cittadini che vivono, studiano, lavorano a Lamezia Terme. Lo strumento di comunicazione scelto dai giovani è una lettera, scritta in seguito ad un processo di scrittura collettiva. La metodologia della scrittura collettiva utilizzata è stata mutuata da Don Milani, resa famosa con la Lettera ad una professoressa Sono stati realizzati, al tal fine, una serie di incontri il risultato dei quali è stato la stesura della lettera. Il percorso per la scrittura è stato anticipato da un lavoro di approfondimento della metodologia e dalla presentazione di testi in cui è stata utilizzata tale metodologia. Attraverso un processo di brainstorming sono stati scelti i tem della lettera e i destinatari e negli incontri successivi, attraverso lavori in sottogruppi e lavori individuali vengono raccolte le idee di tutti, approfondite in plenaria. Il materiale così prodotto viene elaborato in un testo unico, letto in plenaria e risistematizzato. La versione finale della lettera è stata stampata sotto forma di libretto che contiene alcune foto dei ragazzi scattate durante i momenti formativi. Da questa prima esperienza nasce l’esigenza e la voglia di incontrare i giovani di Lamezia Terme. A tal fine insieme ai ragazzi si stila un elenco di gruppi giovanili da contattare a cui viene proposto in incontro per diffondere il lavoro realizzato. Attraverso la LETTERA «Per Riscoprirsi Insieme Cittadini» rivolta ad altri giovani di Lamezia Terme, si è potuto rendere possibile ai giovani Rom di parlare in prima persona, di realizzare un testo scritto a più mani, di condividere passo dopo passo le idee personali, di valorizzare i pensieri e le riflessioni di ciascun componente del gruppo anche nella fatica di parlare l’italiano corretto e di non avere padronanza della scrittura. Si è così realizzata la possibilità di assumere maggiore consapevolezza delle parole pronunciate e del significato che ognuno voleva dare ad esse. Le parole espresse hanno man mano acquisito senso e “potere” di comunicazione. Il dialogo, le emozioni e i vissuti in comunanza, hanno rivelato meglio esistenze e vicinanze, similitudini e prossimità tra i giovani autori della lettera. La lettera è stata un’occasione di incontro con piccoli gruppi di coetanei, nelle scuole, nelle associazioni, nelle parrocchie per discutere insieme i contenuti della lettera ed aprire confronti alla pari, nonché nuove percezioni e rappresentazioni l’uno degli altri. Le riflessioni, le condivisioni, le visibilità I laboratori Negli incontri di elaborazione e riflessione dei dati e man mano che si veniva a conoscenza dei fenomeni concreti, si è materializzata l’idea che le riflessioni andavano condivise con altri. Una delle opzioni metodologiche fatte è che la condivisione con altri venisse realizzata attraverso gruppi di incontro che non fossero inizialmente numerosi. Questo avrebbe facilitato l’assunzione di parola da parte dei giovani rom: da una parte restii a dire la loro in pubblico dall’altra incerti nell’utilizzo della parola. E cosi che abbiamo sperimentato dei laboratori coinvolgendo diversi soggetti della comunità locale, tra cui rappresentanti delle circoscrizioni dei quartieri in cui risiedono i Rom, alcuni gruppi scout, le parrocchie, la Caritas, associazioni giovanili, presidi delle scuole, rappresentanti di associazioni di categoria. E soprattutto abbiamo dato inizio ad un percorso in cui siano le persone Rom a prendere la parola e raccontarsi in prima persona in quanto cittadini di Lamezia. I laboratori hanno dato inizio a quel processo di visibilizzazione e di auto-rappresentazione dei giovani rom in quanto protagonisti della storia e delle vicende della comunità rom, e sulle possibili proposte di lavoro con la comunità locale per l’inclusione del popolo rom lamentino. I laboratori venivano preparati prima in modo tale da rassicurare le esposizioni ma anche individuare gli oggetti di lavoro su cui prioritariamente era meglio soffermarsi. I laboratori hanno dato la possibilità di sviluppare insieme ad altri significati comuni, aprendo nuove strade di rappresentazioni e comprensione dei fenomeni e dei fatti sui rom a Lamezia. Nell’ambito di tali incontri emergevano anche la necessità di ulteriori approfondimenti a partire dai dati, ad esempio: “ma come mai ci sono pochi anziani nel campo?” “Ma sono veramente tutti delinquenti, quanti sono i rom lametini detenuti?” Ciò ha comportato l’avvio della ricerca di ulteriori informazioni e dati richiesti a medici e pediatri, alle scuole, al dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – Provveditorato Regionale per la Calabria. Le aziende e le visibilità L’intervento di inserimento lavorativo di adolescenti e giovani rom di Lamezia Terme consisteva nell’attivazione di percorsi di addestramento professionale tramite esperienze attive in settori produttivi, con l’obiettivo di far emergere le attitudini, i comportamenti e gli apprendimenti in campo lavorativo e di acquisire competenze ed abilità attraverso esperienze attive in aziende profit e non profit. Inoltre, attraverso questa iniziativa, si è inteso anche creare opportunità di relazioni positive tra i cittadini in generale della comunità locale con quelli di etnia rom. Infatti l’individuazione delle aziende è avvenuta tenendo conto di criteri utilizzati in interventi similari, ma in questo oltre alla disponibilità delle aziende ad accogliere in tirocinio formativo un giovane rom si è tenuto conto della “visibilità” stessa dell’azienda e del tipo di attività in città. Si è molto perciò optato per bar, negozi, attività commerciali posizionati al centro della città e in contatto diretto con cittadini. Il video documentario Il video documentario “Dal campo al lavoro” è nato come lavoro di inchiesta sociale volta ad indagare la situazione socio-lavorativa all’interno della comunità Rom a Lamezia. L’inchiesta è stata costruita attorno alla raccolta di alcune video-testimonianze significative fatte a persone Rom, sia giovani che anziane, sia uomini che donne, residenti all’interno del campo o al di fuori di esso. Le interviste hanno permesso di ricostruire soprattutto dei percorsi individuali di vita lavorativa ed esperenziale. Il video è divenuto anch’esso strumento per interloquire con gli altri cittadini non Rom della città. I gruppi parola e l’etnopsichiatria Insieme ad un esperto di etnopsichiatria abbiamo creato un gruppo di parola con donne e giovani Rom ed i mediatori sociali che operano con loro. L’intento è stato proprio quello di ascoltare ed interrogarsi sulle dimensioni dell’esistenza e cogliere quegli aspetti culturali ed identitari che provengono da altri territori di esperienza e da altri contesti culturali. Il gruppo-parola si fonda sulla narrazione e sugli aspetti dialogici tesi a comprendere più che spiegare. Il gruppo nel suo parlare liberamente evoca aspetti del passato che hanno peso nel presente ed apportano forti vissuti emotivi. Il ruolo dell’etnopsichiatria è di facilitazione. Agli incontri del gruppo di parola hanno partecipato donne con i loro figli in età differenti. La presenza femminile rom accompagnata dalla presenza di altre donne operatrici della mediazione che da tempo lavorano nel campo rom si è soffermata molto su alcune dimensioni e vissuti femminili dalla relazione con l’uomo, al rapporto con figli e con le altre donne di famiglia o sulla rete di legami presenti nel campo. Altra dimensione è stata quella di ripercorrere e ricomprendere aspetti linguistici persi ma pur presenti nella struttura del linguaggio corrente. I giornalisti ed i mass media I mass media sui rom spesso abbracciano visioni distorte, unilaterali e propense ad elargire immagini di cui il popolo rom ne esce costantemente stigmatizzato, ovviamente compiacenti alle idee ed immagini che maggiormente attirano l’opinione pubblica. Incontrare i giornalisti ha rappresentato un inedito. Il rapporto è stato ricercato innanzitutto da noi, chiamando alcune giornaliste che lavorano in quotidiani locali. Gli incontri sono avvenuti in presenza sia delle persone rom parte dello staff che con altri giovani rom che ci hanno accompagnato in alcune delle attività, in particolare coloro che hanno partecipato al lavoro di ricerca ed alla scrittura collettiva. Le giornaliste sono state incontrate in più momenti, dagli incontri sono scaturiti articoli pubblicati in più quotidiani locali, ma anche in settimanali nazionali. Far emergere altri punti di vista a quelli che comunemente si ritrovano scritti era uno degli obiettivi, ma senz’altro ciò di cui l’interesse era forte era “prendere la parola” e comunicare ciò di cui si conosce e che spesso glia altri ignorano. La festa “Abbiamo gli stessi sogni” è stata la festa di piazza organizzata con altre associazioni e gruppi giovanili in una delle piazze del centro di lamezia durante il mese di giugno che rappresenta per la città il periodo in cui si collocano le attività musicali e gli eventi organizzati all’esterno nelle vie cittadine. L’evento è stato curato da giovani, tra cui anche alcuni dei nostri giovani “rom”. Molti di loro si erano conosciuti negli appuntamenti dove era stata presentata la lettera ai giovani. La notte a Riace E’stato un appuntamento non programmato, ma è nato dall’interesse di incontrare i luoghi simbolici e comprendere quegli aspetti culturali ed identitari del popolo rom. Riace rappresenta il raduno annuale dove tutti i gruppi rom della Calabria si incontrano per festeggiare i loro santi protettori san Cosma e Damiano, è anche un appuntamento di ritrovo, di incontro tra gente che ha una appartenenza culturale e di etnia. La notte è stata vissuta all’aperto intorno ai falò, tra tarantelle e musiche, dove alcuni di noi, ospiti delle famiglie dei nostri soci rom, abbiamo vissuto l’ospitalità e l’accoglienza di quel popolo. La responsabilità della Parola e la partecipazione a spazi pubblici L’evento pubblico in città che ha segnato l’emersione della visibilità dei giovani rom in quanto cittadini e l’assunzione da parte loro di responsabilità pubblica è stato il convegno “Riscoprirsi Insieme Cittadini – Spazi di parola di giovani Rom”, svoltosi nel teatro comunale nel cuore della città. Un evento è sempre preceduto da un serie di altri momenti significativi: fare la lista degli invitati, affiggere i manifesti nei luoghi pubblici, stilare il comunicato stampa, assicurarsi degli strumenti tecnici, approntare le cartelline dare ai partecipanti. Se ciò lo fa uno o due persone “addetti ai lavori” è un conto, se invece diventa anche ciò un momento di apprendimento e di acquisizione di strumenti di governo della partecipazione, cosi come era nostra intenzione. Un tempo significativo è stato per noi dedicato alla scelta degli strumenti di comunicazione: come presentare i dati sulla comunità rom di Lamezia? Quali difficoltà a parlare con un microfono davanti ad una platea? E se il mio parlare è misto tra italiano e dialetto, e se le mie frasi le articolo contorte, e se l’emozione ha il sopravvento? E poi cosa scegliamo di dire per primo, durante, alla fine del convegno. Tutte domande che hanno richiesto delle risposte. Abbiamo scelto quindi di sostenere le relazioni utilizzando anche strumenti che potessero facilitarne l’esposizione e contemporaneamente mantenerne l’attenzione. Abbiamo cosi strutturato interventi e relazioni accompagnati da strumentazioni con musiche, video, power point, immagini, ed ovviamente tante prove per rassicurarci degli strumenti e dispositivi messi in atto e sperimentarci per sentirci sicuri di ciò che andavamo a fare. Accanto alle relazioni dei giovani rom, erano stati invitati ad intervenire rappresentanti delle istituzioni e relatori su contenuti inerenti alle dinamiche della convivenza delle culture tra identità plurime. L’impatto emotivo è stato forte, non sono mancati momenti in cui le emozioni ed i vissuti emersi hanno tracciato sentieri di vicinanza e prossimità tra quei giovani che parlavano, pur emozionati, ed una città che li ascoltava per la prima volta. E cosi qualche giornalista commentava “Sono stati presentati i dati di una ricerca, condotta da un gruppo di giovani rom, sulla loro comunità di Lamezia Terme. È come se un velo cadesse e, grazie a numeri, statistiche e percentuali, ci sia permesso di “entrare” in una comunità sconosciuta e temuta, sebbene sia presente nel nostro territorio ormai da decenni”. E ancora:“abbiamo sempre sentito tante parole sui Rom… oggi sono gli stessi Rom a dire, a prendere uno spazio di parola per raccontarsi”. Il convegno si conclude con interventi basati sulll’impegno condiviso di crescere nella partecipazione attiva e responsabile alla vita della città. Infine la proposta che si è lanciata è stata quella di poter promuovere insieme cittadini, organizzazioni sociali impegnate con i rom, gruppi rappresentati dai rom stessi, amministrazione comunale, forme progettuali a breve, a medio ed a lungo termine per un reale percorso di inclusione sociale dei rom nella comunità lametina. Il convegno26 rappresenta la chiusura di una fase e l’inizio di un’altra. A seguito vengono organizzati insieme al Comune di Lamezia ed alle circoscrizioni comunali degli appuntamenti denominati “spazi di parola” dove si ripresentano sia i dati della ricerca che il video documentario ma soprattutto si aprono spazi di discussione insieme ai cittadini. In questi incontri vi sono stati momenti caratterizzati anche da dibattiti dove emergono in modo chiaro conflitti e tensioni. Questa dimensione dl conflitto è stata indicativa di come questi temi vadano aggrediti, sapendo che il conflitto non lo si può evitare ma bisogna impararlo a fronteggiare. Si impara a farci i conti ed ad attrezzarsi sia in termini psicologici, che ad argomentarli su un piano culturale. Spesso è stata una palestra per quei giovani rom che si sono trovati a dibattere per sostenere il proprio punto di vista, l’interazione ed il confronto. Dall’altra ne sono scaturite relazioni e conoscenze che hanno arricchito, dichiarandolo apertamente durante l’incontro, le persone e le relazioni tra le persone che vi hanno partecipato. Tali incontri sono stati anche occasione per far emergere proposte e possibilità di interventi futuri. Altri incontri sono stati richiesti ed organizzati utilizzando anche il video documentario. In questi incontri rimangono emblematiche alcune frasi, scaturite da alcuni insegnanti “è grave constatare quanto siamo ignoranti e quanti credenze e preconcetti ci ostacolano a non vedere”. Il video è stato anche presentato come lavoro di inchiesta nel seminario nazionale “Inchiesta sociale”, ed anche questa è stata occasione per ragionare con altri di come dare visibilità a temi attraverso l’utilizzo di strumenti partecipativi che coinvolgono direttamente gli “inchiestati” e mira a renderli più coscienti delle proprie condizioni. 27 Tra altri incontri pubblici a cui si è partecipato uno di rilievo è stato quello promosso dal Comune di Lamezia terme “Cosa serve a Lamezia per crescere?” L’incontro era caratterizzato dal metodo di lavoro definito open space tecnology. È un incontro pubblico organizzato con una metodologia partecipativa che offre di lavorare in maniera circolare all’interno di uno spazio aperto dove avvengono gruppi di discussione. A Lamezia è stato un incontro pubblico per decidere insieme lo sviluppo di Lamezia Terme e l’avvio del processo di costruzione del Piano strategico della città. Durante il meeting si sono realizzati su proposta di almeno un partecipante 36 gruppi tematici ai quali gli altri potevano scegliere a quale partecipare. Uno di questi gruppi è stato proposto da uno dei giovani rom e poi coordinato insieme ad un altro rom. E’ stato il gruppo più partecipato ed ha riscosso un forte interesse tra i presenti. Per noi è stata una ulteriore opportunità nel costruire nuove rappresentazioni tra i cittadini di lamezia e dall’altra ha significato l’assunzione in prima persona di alcune persone rom a partecipare alla vita cittadina apportando contributi alla pari di tanti altri cittadini. Crediamo che le cose che stiamo vivendo vadano comunicate, ci siamo cimentati nell’inventarci più strumenti possibili per far circolare ciò di cui siamo a conoscenza, e ciò di cui abbiamo parole per dire. Il libro che presentiamo è pensato in linea con quanto abbiamo affermato. 26 27 Con il convegno si conclude il progetto finanziato dal Pon Sicurezza. Goffredo Fofi, atti del materiale del seminario “Inchiesta Sociale” gennaio 2007 Lasciare tracce e tracciare piste Era difficile per noi a priori prevedere i risultati di questo lavoro per una molteplicità di fattori. Anche se c’eravamo dati degli obiettivi, immaginarne i risultati dipendeva da una serie di variabili che non potevamo prefigurarci all’inizio. Nel lavoro sociale si va spesso un po’ a tentoni, per prove ed errori. Proprio perché abbiamo a che fare con le persone e con relazioni umane abbiamo bisogno di operare lontani da forme standardizzate o prassi consolidate che poi rischiano di divenire rigide ed anacronistiche. Ovviamente mantenendoci dentro un contesto di ricerca e sperimentazione che non voglia dire pressapochismo o incompetenza. In particolare vi sono ambiti e contesti, nei quali il lavoro sociale si implementa, che richiedono capacità di sperimentare e di essere aperti all’innovazione. La stessa metodologia della ricerca azione non si basa su procedure standardizzate che se messe in atto correttamente e secondo sequenze logiche rassicurano il raggiungimento di risultati che ci si era prefissi. In questo lavoro siamo consapevoli di essere stati in un processo di apprendimento aperto dovuto alla complessità inerente il contesto ambientale su cui stavamo operando ed ai processi mentali degli attori sociali coinvolti. C’è stata la necessità di andare a co-costruire di volta in volta il significato e le azioni da intraprendere ed il bisogno di attivare costantemente un processo di riflessione sulle azioni realizzate. Nel procedere prendevamo consapevolezza che stava avvenendo qualcosa di inedito per la nostra città, con esiti ed impatti spesso inattesi, non deducibili solo dalle attività intraprese. Nel soffermarci a valutare tale percorso vorremmo evidenziare e dare valore agli esiti considerandoli come tracce di cambiamenti avvenuti. E da queste proveremo ad individuare ambiti ed azioni che permettano di tracciare piste di sviluppo su lavori ed impegni futuri a cui tutti possiamo dare il nostro contributo. Rom: prima persone Un primo valore dato agli esiti di questo percorso è l’essersi “incontrati” tra persone, riconoscendosi in quanto persone. Le persone sono state sottratte da quella categoria, specie, etnia che ne fanno “i rom” “gli italiani”. Per una volta non si è discusso dei rom o con i rom, ma si è discusso nel convegno con Massimo, nella circoscrizione con Damiano, a scuola con Monica, agli incontri scout con Immacolata, alla festa in piazza con Giovanni, nel bar con Romina, ecc. Vi sono stati spazi relazionali e sociali dentro i quali Massimo, Damiano, Romina, Immacolata, Giovanni hanno potuto esercitare delle funzioni che li ha resi in grado di essere riconosciuti dai loro concittadini. L’aver estratto la persona dalla categoria la si è resa libera di incontrarla con la sua storia, il suo vissuto, la sua esperienza. Le rappresentazioni nella mente, gli immaginari lasciati sono legati a persone e non a categorie. Come sottolinea Martha C. Nussbaum28 “..tutti i cittadini hanno bisogno di sviluppare l’immaginazione e la capacità di riconoscere in ciascuno l’umanità dell’altro…” 28 Martha C. Nussbaum “Giustizia sociale e dignità umana” , ed. Il Mulino, 2002, pag. 41 È questo un cambiamento generativo che crediamo di avere apportato come esito degli interventi sviluppati. Prima di leggere gli esiti come tracce lasciate dalle quali trarre delle piste di lavoro futuro ci sembra di dover soffermarci su due concetti: 1- La persona non è solo cultura L’antropologo Marco Aime29 entrando nel dibattito attuale sul multiculturalismo e discutendo sulle differenze culturali sostiene la necessità di non fissare le persone ad una solo cultura: “un individuo non è mai solo la ‹sua cultura›, né è mai solo ‹una cultura›. …..Dietro ogni individuo, al di là della cultura di appartenenza, esistono strategie, aspettative, progetti di vita molto diversi.” Inoltre l’identità e la cultura sono “un cantiere sempre aperto” in un continuo divenire. L’identità la si costruisce nella relazionalità attraverso un continuo processo in divenire, le persone rom ed italiane che vivono e si relazionano insieme non possono che reciprocamente essere interdipendenti nei processi di crescita identitaria. Questo ci indirizza ad orientarci verso politiche e pratiche di integrazione che sappiano promuovere interventi attenti alle persone e non solo alle culture. Prima di appartenere alla comunità rom o a quella italiana, ci sono le singole persone con il diritto di scegliere di essere quello che si vuole. 2- Lo sviluppo delle capacità Nel dibattito sui diritti umani e sui temi di giustizia sociale Amarthya Sen e Martha Nussbaum hanno introdotto il concetto di capacitazione. Sen30 sostiene che la povertà vada considerata come incapacitazione fondamentale e non solo come scarsità di reddito. Sull’incapacitazione influiscono vari fattori e non solo il basso reddito. La Nussbaum31 sostiene l’approccio delle capacità inteso come possibilità per le persone, nella vita concreta, di essere messe in grado di sviluppare le proprie capacità e di contare su di esse per poter realizzare la propria vita. “..Alcune funzioni umane sono particolarmente essenziali per la vita umana, nel senso che la loro presenza o assenza è contrassegno caratteristico della presenza o assenza delle vita umana”32. Molte persone rom vivono in condizioni tali in cui non è permesso loro sviluppare ed esercitare le proprie capacità, in altro modo non sono messe in grado di essere e di fare ciò a cui aspirano. Politiche pubbliche che garantiscono i diritti sociali come l’istruzione, una casa decente, l’assistenza sanitaria, diventano cosi “abilitanti” anche per esercitare il loro diritto di cittadinanza. Per poter andare a votare consapevolmente è necessario essere informati e quindi avere risorse conoscitive; l’istruzione ti permette di partecipare alla vita ed alla risorse ed opportunità della città con senso di adeguatezza e proprietà; la ricerca del lavoro oggi implica poter accedere ad una serie di informazioni, nonché essere in possesso di quei prerequisiti minimali (scrivere il curriculum e presentarlo al centro per l’impiego, avere un linguaggio appropriato da poter entrare in comunicazione, ecc.). Indicazioni dalle piste tracciate Vorremmo delineare delle indicazioni pratiche, alla luce della ricerca azione e dalle esperienze emerse in questo lavoro, su cui riteniamo che sia possibile investire in programmi e progetti futuri. 29 Marco Aime “Se le persone non sono solo la loro cultura” in Animazione Sociale 2/2007 pag. 3 e 6 Amartya Sen “Lo sviluppo è libertà” ed. Mondatori, 2000 31 Martha C. Nussbaum “Giustizia sociale e dignità umana” , ed. Il Mulino, 2002 32 Martha C. Nussbaum “Giustizia sociale e dignità umana” , ed. Il Mulino, 2002, pag. 73 30 Scommettere sui bambini e gli adolescenti rom Abbiamo visto che la comunità rom di Lamezia Terme è essenzialmente composta da persone giovani, circa il 68% è sotto i 29 anni. Tra questi il 37,8 è minorenne. Scommettere sui bambini e gli adolescenti rom è una strada prioritaria per la realizzazione di concreti programmi di inclusione sociale. Proveremo di seguito ad individuare dei percorsi di empowerment possibili in ambiti e contesti privilegiati per bambini ed adolescenti. Percorsi di empowerment Prima infanzia I bambini rom che frequentino la scuola dell’infanzia sono pochissimi. Mentre esistono interventi da tempo per favorire l’inserimento nella scuola dell’obbligo, riguardo alla primissima infanzia non ci sono specifici interventi di sostegno e mediazione. Riteniamo che sia importante poter intraprendere un processo “graduale” di integrazione dei bambini rom anche nella scuola dell’infanzia, con il sostegno di interventi di mediazione sociale ed interculturale. Se i bambini frequentano la scuola dell’infanzia potranno arrivare alle scuole elementari socialmente inseriti riducendo di fatto quello stato di inadeguatezza tipico di chi si trova a vivere in contesti socialmente e culturalmente differenti dai propri. Un indirizzo su cui orientare degli interventi futuri è quindi favorire l’inserimento scolastico nella prima infanzia promuovendo cosi nei bambini lo sviluppo e i processi di costruzione della conoscenza. Oltretutto gli interventi educativi previsti nella primissima età favoriranno l’apprendimento di quei prerequisiti cognitivi, percettivi e psicomotori, espressivi comunicativi, della socialità, dell’autonomia, del senso morale, che faciliteranno il passaggio di continuità educativa nella scuola elementare. Tali interventi consentiranno al bambino rom di sviluppare e potenziare la fiducia nei confronti dell’ambiente esterno alle mura del campo di contrada Scordovillo, di favorire i processi di costruzione della conoscenza che lo aiuteranno ad acquisire quegli strumenti necessari per sviluppare stima di se. Sarà necessario anche introdurre, rivolto ai genitori dei bambini, un lavoro di accompagnamento motivazionale e di sostegno nel processo di inserimento scolastico dei propri figli nonché facilitarli nella loro funzione genitoriale in relazione all’educazione sanitaria, all’acquisizione di strumenti di sostegno all’apprendimento linguistico e comunicativo, alle attività socio relazionali. La scuola ed i progetti individuali Dalla ricerca effettuata sono emerse le difficoltà dei bambini a “rimanere” nella scuola, ci si iscrive in tanti ma pochissimi riescono a concludere la scuola dell’obbligo. Oltretutto, cosi come esplicitato da insegnanti della scuola media superiore, chi arriva in prima superiore spesso non è in possesso di quegli apprendimenti che avrebbero dovuto essere stati acquisiti negli anni precedenti. Altro elemento emerso è la necessità di riflettere con gli insegnanti sulla didattica. Spesso questa non tiene conto delle esperienze culturali dei bambini ed anche del loro bisogno di offerte educative diversificate che possano permettere lo sviluppo delle diverse forme di intelligenza, analitica, creativa e pratica cosi come le definisce Sternberg. Ciascun bambino ne è in possesso in partenza di almeno una. In termini operativi e didattici ciò significa programmare percorsi di crescita nei vari campi. Spesso però con i bambini rom vi sono pregiudizi culturali insiti anche nelle menti degli stessi insegnati che non aiutano a sostenerne lo sviluppo e gli apprendimenti. Riteniamo inoltre che vada dato valore ai progetti individuali. I bambini rom non vanno considerati come un tutto uno, o con letture che ne identificano le stesse difficoltà e qualità per tutti. Un ulteriore orientamento emerso è l’opportunità di introdurre nelle scuole lametine dei programmi culturali che favoriscano la valorizzazione di alcuni aspetti della cultura e della storia dei rom. Ciò aiuterebbe a darne una rappresentazione diversa che aiuterebbe i bambini rom ad acquisire una maggiore stima di se ed agli altri bambini ad apprendere conoscenze e valori non solo negativi sui rom. Alcune insegnanti ad esempio negli incontri effettuati proponevano percorsi ad esempio sullo studio dei modelli che valorizzano la moda gitana, sulla cultura del viaggio, o sulle storie dei circhi e delle giostre. Altro indirizzo su cui operare è la promozione di attività di doposcuola che possono essere di affiancamento ai percorsi curriculari, sperimentando anche nuove didattiche per nuove strategie di apprendimento. La formazione professionale Molti degli adolescenti rom non finiscono la scuola dell’obbligo e non accedono ad offerte formative professionalizzanti. I mestieri a cui vengono avviati dalle famiglie sono per lo più legate alla raccolta del ferro, ormai il lavoro di artigianato è quasi scomparso solo qualche anziano è in grado di continuare a lavorare il rame ed il ferro. Mentre le ragazze vengono indirizzate nei lavori di casa o al massimo in attività stagionali in agricoltura. Per sviluppare un reale qualificazione professionale andrebbero promossi programmi di formazione professionale in grado di facilitare i processi di autonomia di questi adolescenti e giovani e ad abilitare delle loro competenze che potranno favorire occupazione e quindi integrazione sociale nella comunità lametina. La formazione professionale andrebbe pensata con l’attenzione da una parte ad individuare e valorizzare alcune loro capacità e dall’altra acquisire abilità e competenze realmente spendibili nel mercato del lavoro. Andrebbero pensati inoltre servizi formativi di sostegno all’autoimprenditorialità di alcuni giovani che già operano nel settore della raccolta del ferro, ma in forma irregolare ed in nero, aiutandoli ad acquisire strumenti per regolarizzare le loro attività e metterli sul mercato fuoriuscendo cosi da una condizione di indigenza. Alcune ipotesi di percorsi realizzabili: Percorsi di sostegno per l’autonomia e l’apprendimento di prerequisiti lavorativi L’obiettivo è di potenziare le autonomie sociali e lavorative di adolescenti e giovani rom affiancandoli attraverso percorsi di sostegno di orientamento e di apprendimento di prerequisiti lavorativi che li aiutino ad acquisire quella autonomia in grado di poter ricercare opportunità lavorative ma anche affrontare i contesti ed i luoghi di lavoro ed integrarsi nel mondo del lavoro. Si potrebbero avviare percorsi strutturati in attività di orientamento e di acquisizione di prerequisiti al lavoro attraverso modalità differenti. Il percorso dovrebbe aiutare il soggetto a maturare decisioni consapevoli, attraverso una presa di coscienza di sé e una conoscenza del contesto sociale e lavorativo per sviluppare un percorso formativo e/o lavorativo congruente alle proprie aspirazioni e caratteristiche e realistico rispetto alle possibilità offerte dal mercato del lavoro. Il percorso orientativo proporrebbe moduli di orientamento formativi finalizzati all’individuazione di un percorso professionale individuale. Percorsi di sostegno per l’autonomia e l’avvio di piccole attività imprenditoriali L’intento è di offrire percorsi di sostegno per l’autonomia lavorativa, aiutando ad acquisire conoscenze e competenze di base per lo sviluppo di attività lavorative autonome e l’avvio di eventuali piccole attività imprenditoriali. Tutto ciò andrebbe a favorire oltretutto l’emersione di attività di lavoro nero in settori quali la raccolta di materiali ferrosi (occupazione prevalente tra i rom lametini) ed attraverso forme di tutoraggio accompagnarli a regolarizzare la propria occupazione ed avviare quindi piccole attività di impresa autonoma o in cooperazione. I percorsi potrebbero proporre interventi di: sperimentazione di modalità formative "in situazione" individualizzati basati sulle attitudini ed aspettative dei destinatari nel settore ambientale; • sperimentazione di strategie di inserimento occupazionale regolare, individuazione di progetti di lavoro autonomo "sostenibili" attraverso sinergie con i partners del mondo produttivo; • individuazione e formazione, all'interno delle comunità, di facilitatori, che affianchino il lavoro dei formatori e operatori coinvolti nel progetto al fine di favorire un modello di integrazione aperto e dialogico. • Sperimentazione del libretto formativo del cittadino Uno strumento che si potrebbe pensare di attivare potrebbe essere il libretto formativo del cittadino (già previsto dalla legge Biagi ed inserito nei programmi di formazione al lavoro regionali). Il libretto ha la funzione di raccogliere le esperienze formative e lavorative che vengono effettuate dalla persona lungo l’arco della vita. Il libretto può avere una sua utilità in quanto attribuisce valore di scambio al patrimonio di competenze che man mano la persona acquisisce. E’ uno strumento quindi di valorizzazione della persona, e di riconoscibilità di competenze anche da altri soggetti e dalle istituzioni. Inoltre ci si può valere di esso in relazione alla mobilità lavorativa o geografica. Spesso non si ha nemmeno la consapevolezza che vi sono alcuni soggetti rom che hanno acquisito delle competenze, anche in altre città italiane, molto spendibili sul mercato del lavoro. Fare esperienza anche in contesti nazionali ed internazionali Anni fa furono implementati dei percorsi formativi in città che hanno visto tra l’altro realizzato uno dei parchi giochi per bambini più frequentato dalle famiglie lametine. Il parco giochi “Lilliput è stato realizzato all’interno di un percorso formativo “on the Job” con la partecipazione ed il coinvolgimento anche di adolescenti e giovani rom. Il percorso era in rete con esperienze nazionali ed internazionali. In tale occasione alcuni giovani rom insieme ad altri giovani lametini andarono pure in Inghilterra per svolgere degli stage. Tali esperienze hanno apportato anche dei cambiamenti nei loro progetti di vita. Alcuni di loro sono poi partiti per città del nord a fare esperienze lavorative da soli, cosa ovviamente non ovvia per chi proviene dalla comunità rom. Qualcuno è oggi affermato professionista nel campo del settore alberghiero. E’ stato utilizzato il termine di “erasmizzare” per indicare esperienze di lavoro da compiere all’estero (come il famoso programma erasmus per gli studenti che intendono svolgere periodi di studio in altri paesi europei) e rivolte a giovani che provengono da situazioni di disagio. Tali esperienze sono pensate per potenziare il sistema di opportunità verso lo sviluppo di progetti di vita autonoma e per accrescere le potenzialità e le competenze nell’immaginare realizzare il proprio futuro. Sistemi associativi per la crescita culturale ed educativa Gli incontri effettuati con i gruppi associativi e la realizzazione insieme tra gli adolescenti rom e gli altri adolescenti di Lamezia di alcune attività di animazione e socializzazione hanno visto l’interesse di alcuni a continuare a frequentarsi ed ad approfondire la conoscenza tra loro. Questo ci dispone a proporre alle associazioni educative, sportive, culturali un loro coinvolgimento ed interessamento a progettare, a partire dalle loro finalità associative, dei percorsi possibili d inclusione dei bambini e degli adolescenti rom nelle loro attività. Crediamo che l’inclusione sociale si concretizza anche a partire da piccoli interventi e sperimentazioni. In particolare si potrebbero predisporre interventi con: I gruppi associativi Nella nostra città abbiamo diverse associazioni educative e culturali. Una proposta di corresponsabilizzazione verso i bambini e gli adolescenti rom potrebbe essere quella di impegnarsi a progettare come coinvolgerli nelle proprie attività. E magari anche creare percorsi innovativi, a partire dalle proprie specificità, che sappiano rivolgersi a tutti i bambini compresi quelli rom. Processi in tal senso aiuterebbero la crescita di cittadinanza nella comunità lametina. I gruppi organizzati difatti hanno un ruolo strategico nelle comunità e potrebbero facilitarne lo star bene insieme di tutti i bambini. Nell’avviare tali percorsi potrebbero essere di aiuto quelle realtà che operano da tempo con i rom e che potrebbero assumere un ruolo di mediatori culturali, offrendo un sostegno alle associazioni che intendessero avviare iniziative in tal senso. Le associazioni sportive Lo sport è una delle attività che aiuta e favorisce l’espressione e le potenzialità dei bambini e dei giovani. Ci sono alcuni giovani rom che fin da piccoli hanno avuto opportunità di inserimento in qualche gruppo sportivo, trovando anche lo spazio di esprimere le proprie potenzialità. Inoltre lo sport privilegia il rapporto all’aperto confacente con le abitudini ed i contesti di vita nei quali sono cresciuti i bambini rom. In alcune attività realizzate giovani rom si proponevano di essere disponibili ad impegnarsi in prima persona ad organizzare attività ed eventi sportivi. Le associazioni e i gruppi sportivi potrebbero coinvolgersi in tal senso e promuovere iniziative anche con la collaborazione di alcuni rom giovani. Sostenere il protagonismo dei giovani rom Questo percorso ha visto l’esporsi in prima persona di alcuni giovani rom e l’emergere di soggettualità e protagonismo in spazi pubblici della città. Il processo di valorizzazione della persona ha reso visibile la sua capacità di gestire autonomamente se stessa, il proprio pensare ed agire. Amerio afferma che i diritti sociali rappresentano “non solo il raggiungimento di un maggiore benessere, ma anche un diverso modo di guardare a sé come persone.” Questi giovani legittimati e riconosciuti come persone e come soggetti di diritti e doveri avviano anche dentro di sé un nuovo modo di pensare se stessi e di aver cura di sé e del proprio avvenire. Nel delineare chi è stato in grado di esporsi in prima persona emerge che sono per lo più giovani rom che hanno avuto l’opportunità di frequentare la scuola dell’obbligo ed hanno vissuto esperienze in contesti gruppali insieme ad altri coetanei non rom. Prendere la parola ed assumere una posizione in pubblico implica darsi un’autonomia dal proprio contesto familiare. Le reti familiari tra i rom sono molto chiuse e difficilmente, in contesti fuori dalla rete familiare, una persona si espone a dire la propria opinione se non per esprimere un’esigenza a nome della rete familiare. Esporsi, quindi, è un atto di coraggio e di rottura con degli schemi culturali insiti nella storia del popolo rom. Fatto questo salto di autonomia e di espressione di sé vanno in questo processo di indipendenza affiancati e sostenuti. Sono giovani che possono diventare mediatori culturali e fare da “ponte” tra i gruppi di etnia rom e quella italiana. Ma anche questo deve essere vissuto come un processo in divenire in cui acquisire consapevolezza e competenza nel gestire tale ruolo. Questo passaggio va garantito e tutelato rispettandone i tempi per non rischiare di essere strumentalizzati o messi in una condizione di assunzione di un ruolo oltre le proprie possibilità. E’ comunque un processo di crescita e di sviluppo che potrà essere sostenuto da azioni di empowerment e di advocacy. Fare comunità La comunità ha bisogno di visioni future Ogni sistema che sia una organizzazione o una città ha bisogno di immaginare il proprio futuro per aumentare il senso di appartenenza, per comprenderne la crescita e lo sviluppo possibile. Prefigurarsi scenari futuri orienta una comunità e ne delinea i passi da compiere. Quale visione allora possiamo trarre da questa esperienza per fare comunità a Lamezia insieme ai rom? Le immagini lasciate in città sono delle rappresentazioni possibili. Le interazioni che hanno messo in gioco esperienze, emozioni, vissuti, desideri hanno non solo da un punto di vista razionale contribuito ad avere dati ed elaborazioni differenti sulla questione rom, ma si è innescata una mobilitazione emotiva e degli investimenti anche affettivi tra le persone. Chi ha partecipato nei contesti dialogici attivati durante questo percorso o chi è stato coinvolto nei processi di vicinanza tra giovani rom ed altri cittadini ha costruito nuovi significati che hanno apportato cambiamenti nelle proprie mappe cognitive. Ne è un esempio nel dibattito in una circoscrizione, un componente della circoscrizione afferma “ci ha fatto comodo anche a noi trattarli tutti allo stesso modo i rom, ma adesso che conosco Massimo non posso più pensare che tutti sono delinquenti. Dobbiamo anche noi sapere che ci sono italiani mafiosi ed italiani buoni, rom delinquenti e rom civili”. O nella scuola dopo la proiezione del video documentario una insegnante (solitamente con forti prevenzioni riguardo ai rom) sottolinea “però con i giovani è possibile fare qualcosa”. Un comitato promosso per sostenere che i rom vanno sistemati nei campi, da poco è intervenuto sostenendo che forse i tempi sono cambiati e per alcuni rom è possibile che stiano in case ed appartamenti. Immagini e visioni di cambiamento sono state introdotte, eppure vero che vanno sostenuti da percorsi per incrementare il senso di comunità. Per promuovere ed attivare il senso di comunità tra gruppi di individui e l’intera comunità, in un processo graduale alcuni studiosi di psicologia di comunità33 sottolineano l’importanza di condividere eventi significati e di rintracciare terreni comuni tra singoli o gruppi di persone. Condividere eventi significativi genera connessioni emotive, legami di interdipendenza che aiutano a creare quel senso di comunità e di appartenenza ad una città. Rileggendo gli appunti degli incontri fatti tra i giovani si riscoprono tracce cui è possibile rafforzare per delineare piste future: “…Alla fine alcune ragazze si sono avvicinate. Sono state carine, ci hanno detto i loro nomi e ci hanno chiesto se c’è un posto che noi frequentiamo dove ci si può incontrare. Non abbiamo saputo rispondere.” (dal diario di una adolescente rom sugli incontri con coetanei nelle scuole) Ed ancora un’altra ragazza alla fine di un incontro con giovani scout:“..prima di andarcene abbiamo fatto un gioco e ci hanno chiesto se ci andava di organizzare un campeggio insieme.” Individuare terreni comuni cui impegnarsi può essere una opportunità per investire in relazioni di reciprocità ed avvalorare la costruzione di legami. Strategie di attivazione dal basso e politiche di supporto dall’alto Per fare comunità e perché si creano le condizioni di reali cambiamenti è necessario mettere in campo una molteplicità di azioni che vanno dalla singola persona, al lavoro con i piccoli gruppi, ad interventi di sistema sulla comunità ed atti istituzionali. Riteniamo che oggi più che mai abbiamo bisogno che nelle comunità locali la questione rom o quella degli immigrati venga affrontata attraverso azioni sinergiche che vedano a più livelli impegnati la società civile e le istituzioni. 33 Comunità Possibili, rivista di Psicologia di Comunità, n° 1/2005 ed. Franco Angeli, Milano Va sollecitato il senso di responsabilità favorendo circuiti di responsabilità dove soggetti e gruppi possano esprimere la capacità di risponderne. La politica smetti di fare dei rom l’oggetto di controversia tra partiti e la modalità per attirare consensi, ma si impegni a costruire e produrre risultati significativi di cambiamento. I soggetti della società civile diventano interlocutori autorevoli e si assumano il compito di definire le politiche a partire dagli impegni concreti, dal tessere relazioni ed occasioni di incontro che possano favorire gli interessi di tutti coloro che abitano la città. Potremmo allora consentire che in città si creino le condizioni di una vita di qualità per tutti. Città che imparano Ci sembra che da questa esperienza significativa abbiamo imparato un po’ tutti: singole persone, gruppi e comunità ne sono usciti rafforzati. Spesso siamo dentro circuiti distruttivi che portano a comportamenti di rifiuto e ci arroccano in chiusure dentro le quali non stiamo bene nessuno. Gridiamo sicurezza, invocando misure, prese di posizione. In Italia il tema della sicurezza sembra che sia divenuto il tema vincente per chiunque ricerca consenso politico. Non vogliamo ignorare i problemi, sapendo che a volte è difficile affrontarli. Riteniamo però che nelle nostre città sia possibile indicare soluzioni per una reale inclusione sociale dei rom nella comunità. Vanno però sostenuti e valorizzati i comportamenti costruttivi che, da esperienze come queste, emergono da parte di tanti, senza distruggere o disperdere le risorse messe in campo. Città che imparano da questi piccoli successi visibili e sanno innescare modalità per mantenere e far evolvere questi processi virtuosi, potranno avere più fiducia e capacità nell’orientare la propria azione di cambiamento verso interventi sempre più complessi.