La Commedia o Divina Commedia
(originariamente Comedìa; l'aggettivo
Divina, attribuito da Boccaccio , si ritrova
solo a partire dalle edizioni a stampa del
1555 a cura di Ludovico Dolce) è un poema
di Dante Alighieri, scritto in terzine
incatenate diversi endecasillabi, in lingua
volgare fiorentina. Composta secondo la
critica tra il 1304 e il 1321, la Commedia è
l'opera più celebre di Dante, nonché una
delle più importanti testimonianze della
civiltà medievale; conosciuta e studiata in
tutto il mondo, è ritenuta uno dei capolavori
della letteratura mondiale di tutti i tempi.
Il poema è diviso in tre parti, chiamate
cantiche ognuna delle quali composta da 33
canti(tranne l'Inferno, che contiene un
ulteriore canto proemiale). Il poeta narra di
un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni
che lo condurrà fino alla visione della
Trinità. La sua rappresentazione
immaginaria e allegorica dell'oltretomba
cristiano è un culmine della visione
medioevale del mondo sviluppatasi nella
Chiesa cattolica.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
che la diritta via era smarrita…”
“Ed ecco una lonza leggiera ‘mpediva tanto il mio cammino …
La vista che m’apparve d’un leone …
Ed una lupa che sembiava cerca ne la sua magrezza …
Ch’ IO perdei la speranza de l’altezza … ! “
Giunto a metà della sua vita, Dante si allontana dalla via del bene, appesantito dal sonno
dell’indifferenza e della pigrizia spirituale; inizio una periodo di traviamento morale, paragonato allo
smarrimento in una selva insidiosa. Narrare questa triste esperienza costerà dolore e fatica, ma il poeta
si accinge a farlo per mostrare il prodigio della Grazia e della Provvidenza sempre premurosa verso di lui
come verso ogni uomo. Vedendo il colle che si eleva ai bordi della selva illuminato dai raggi del sole,
Dante riacquista la speranza, dopo una notte intera di lotta con le tenebre del peccato, come un
naufrago che intravede ormai la riva e torna a credere nelle salvezza. Tre fiere ostacolano però la sua
ascesa al colle; una lonza, allegoria della lussuria, minaccia Dante che non si abbatte, perché rincuorato
dall’alba e dalla primavera; l’arrivo di un leone ruggente, allegoria della superbia, e di una lupa di
orribile magrezza, allegoria della cupidigia e dell’avidità, convince il poeta che le sole sue forze non sono
sufficienti; non gli resta dunque che ritornare sul cammino faticosamente percorso, verso la notte del
peccato. A salvarlo giunge il poeta latino Virgilio, allegoria della ragione umana; l’incontro offre
l’occasione a Dante di manifestare con entusiasmo riverente tutta la sua riconoscenza verso il maestro di
retorica e di poesia e di chiedere aiuto contro la lupa insidiosa. Virgilio mette in guardia Dante alla
cupidigia, vizio così grave che spesso rende l’uomo schiavo, tormentato perennemente dal desiderio di
denaro e possesso. Unico ostacolo al suo dilagare nel mondo sarà il veltro, un restauratore morale e civile,
bramoso soltanto di sapienza, amore e di virtù, riuscirà a cacciarla. Inutile per Dante seguire la via che
conduce direttamente al colle: molto meglio attraversare i tre regni dell’oltretomba per liberarsi dal
peccato e raggiungere la Grazia. Virgilio si offre come guida, ma sarà Beatrice a condurlo alla
contemplazione della beatitudine del Paradiso. Dante, rassicurato, si accinge ad obbedire.
“O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.”
È la sera del venerdì santo quando Dante si accinge, solo tra i vivi, ad affrontare il viaggio
nel mondo degli Inferi; per avere aiuto nell’ardua impresa di pellegrino e di poeta, egli
invoca il sostegno delle Muse e il soccorso della memoria. Subito Dante si ferma e rivolge a
Virgilio i suoi dubbi e le sue esitazioni rispetto a un viaggio tanto pericolo e insolito, che
solo altissime personalità, come Enea e San Paolo, affrontarono in passato, giustificati dai
fini religiosi e storici che ne dovevano conseguire. Virgilio, per rimuovere l’incertezza
dall’animo del discepolo gli rivela che, mentre si trovava nel Limbo, dove la giustizia
divina lo aveva relegato, Beatrice venne a pregarlo di offrire la sua abilità a Dante
smarrito, piena di premure e mossa da amorosa trepidazione. Virgilio prosegue il racconto
dell’incontro con Beatrice, che gli ha svelato come il destino e la salvezza di Dante fossero
stati voluti dalla Vergine Maria e da Santa Lucia. Esse l’avevano convinta a soccorrere il
poeta che tanto l’aveva amata e che per questo amore si era elevato dalla mediocrità morale
ed artistica. Terminato il racconto, Virgilio sollecita Dante ad abbandonare ogni timore di
fronte alla rivelazione del disegno e dell’intervento celeste; Dante si riconforta e si
riconferma nella decisione di intraprendere il viaggio e, affidandosi alla guida, si addentra
nella selva.
Per me si va nella città dolente,
Per me si va ne l’ etterno dolore
Per me si va tra la perduta gente.
Lasciate ogne speranza, voi ch’entrate’.
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