La piccola congregazione di Scalabrini
125 anni di storia
ASCS – Piazza del Carmine 2 – 20121 Milano
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Presentazione
In occasione dell’Atto Accademico dello Scalabrini International Migration Insitute (SIMI) tenutosi
il 29 novembre presso la Pontificio Università Urbaniana di Roma, sono stato incaricato di
presentare nella sezione “Migrazioni e nuova evangelizzazione - Laboratori di evangelizzazione”
il 125° anniversario della fondazione delle Congregazione Scalabriniana.
Il testo che ora sottopongo alla vostra attenzione è un primo tentativo di una veloce carrellata
storica dell’avventura evangelizzatrice della “piccola congregazione” nata dal cuore di Scalabrini,
percorrendo le varie tappe dei suoi centocinquant’anni di storia: dalla fondazione ai primi sotto la
guida del Fondatore, alla crisi profonda che l’ha scossa dopo la sua morte, alla lenta ricostruzione
sotto la guida della Sacra Congregazione Concistoriale, alla ripresa nel secondo dopo guerra,
all’allargamento del fine ed alla internazionalizzazione della sua missione e dei suoi membri, fino
all’inizio del terzo millennio.
Questo tentativo di sintesi storica, per altro frettoloso e maldestro, si avvale della poderosa
produzione di P. Mario Francesconi relativa a Scalabrini ed alla storia della Congregazione (che
copre il periodo dalla fondazione al 1978), nonché agli apporti di P. Antonio Perotti e di P. Giovanni
Terragni. Per gli ultimi trent’anni le fonti sono i Capitoli generali ed le pubblicazioni relative ai vari
Convegni di Congregazione.
Per la stesura di una “Storia della Congregazione” sarebbe necessaria una rilettura dell’opera di
Francesconi, maggiormente inquadrata nei complessi fenomeni storici nei quali la Congregazione
si è venuta sviluppando e dai quali è stata condizionata. Nello stesso tempo qualcuno dovrebbe
impegnarsi a sviscerare e documentare l’internazionalizzazione della missione e dei suoi membri a
partire dagli anni ’70 fino ai nostri giorni: si tratta di quarant’anni tutti da leggere e da
interpretare, alla luce di un fenomeno, come quello migratorio, divenuto una realtà planetaria,
nell’epoca delle globalizzazione.
Mentre affido questa breve sintesi storica, chiedo venia della mia incoscienza ed incompetenza.
Formulo voti perché in un futuro immediato venga riesumato l’Istituto Storico Scalabriniano e
venga affidato a qualche cireneo il lavoro certosino della ricerca storica e che qualcuno abbia la
vocazione di lettore attento ed illuminato dell’avventura complessa e non sempre lineare, ma
comunque entusiasmante, vissuta dalla “piccola Congregazione”, nata dal cuore pastorale di
Scalabrini.
Milano, 16 dicembre 2012
Beniamino Rossi
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1. Il Fondatore
Giovanni Battista Scalabrini1, italiano, credente, sacerdote e vescovo, ha vissuto le evoluzioni e gli
sconvolgimenti epocali del XIX secolo, secolo meraviglioso e tremendo: la complessa e
contradditoria epopea dell’unità nazionale italiana e della Questione romana, la nascita e gli
sviluppi degli Stati-Nazione, l’organizzazione, iniziale ed a volte contradditoria, della democrazia
politica, la rivoluzione industriale che ha coinvolto l’occidente, la questione sociale e la nascita dei
movimenti contadini ed operai, gli sconvolgimenti sociali, politici e culturali a seguito della
rivoluzione francese, con i contrasti tra società civile e mondo religioso, la contrapposizione tra la
modernità solida ed il cristianesimo, l’arroccamento e la psicosi di cittadella assediata da parte
della Chiesa Cattolica, il superamento dell’emarginazione e della lotta tra lo Stato ed la Chiesa in
vista di una libera Chiesa in libero Stato, l’impegno di trasformazione della società in vista di una
democrazia sociale, attraverso le intuizioni e l’azione di quei credenti che nono stati definiti i Santi
sociali.
Di fronte alle sfide della modernità si produsse una confusione tra fede cristiana e
conservatorismo: il movimento conservatore, chiamato anche intransigente, raccoglieva
intellettuali cattolici, sacerdoti, religiosi e non pochi membri della gerarchia, con l’appoggio palese
o velato della Curia romana. Ma altri credenti, chiamati transigenti, cercavano la difficile strada di
una riconciliazione con la modernità. Si maturava la necessità di una rievangelizzazione: una vera e
propria operazione culturale, definita da Scalabrini “il gran lavoro della cristiana rigenerazione”2.
L’iniziale rinnovamento della catechesi e dei catechismi prendeva spunto proprio dal Concilio
Ecumenico Vaticano I, con il rilancio delle “Scuole e della compagnia (confraternita) della dottrina
cristiana” e Scalabrini ne fu uno dei precursori3. Così alla fine del XIX secolo rifioriva in tutte le
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Nato a Fino Mornasco (Como) l’8 luglio 1830, fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1863, e chiamato insegnare nel Seminario
Minore di Como, di cui divenne anche rettore per tre anni dal 1867 al 1870; nello stesso 1870 fu nominato parroco della
parrocchia operaia di S. Bartolomeo; il 30 gennaio 1876 a soli 36 anni fu consacrato vescovo di Piacenza, dove rimarrà quasi
30 anni, fino alla morte.
Acuto osservatore ed attento interprete della realtà umana contemporanea, fondò un Istituto per sordomuti, un organismo di
assistenza per le mondine, società di mutuo soccorso, casse rurali. Indirizzò ben 72 lettere pastorali alla Diocesi, e visitò cinque
volte le 365 parrocchie, recandosi di persona in tutte, anche le più sperdute sull’Appennino emiliano. Celebrò tre Sinodi
diocesani; fu valido sostenitore dell’Azione Cattolica; diede vita al periodico Il Catechista cattolico (prima rivista italiana per
la diffusione del catechismo) ed organizzò il primo Congresso catechistico nazionale.
La sua memoria resta legata in particolare alle sue illuminanti soluzioni pastorali per l’emigrazione: la fondazione della
Congregazione dei Missionari di San Carlo (28 novembre 1887), con l’opera di assistenza spirituale, cultura e sociale delle
comunità italiane negli Stati Uniti e in Brasile; la serie di conferenze in varie città italiane, gli interventi per la promozione di
una legislazione migratoria, la istituzione di una Società di Patronato (1889), denominata successivamente San Raffaele; visitò
le comunità italiane negli Stati Uniti (1901) e nel Brasile (1904); sollecitò Santa Francesca Saverio Cabrini ad occuparsi degli
italiani negli USA, le suore della Madre Merloni e fondò le Suore Scalabriniane. Fu un acceso anticipatore della Conciliazione
con il suo lungimirante intervento per una felice soluzione della Questione Romana; pubblicò anonimamente nel 1885, ma in
pieno accordo con il papa Leone XIII, un opuscolo sull’argomento ‘Intransigenti e transigenti’ .
Il mattino del 1° giugno 1905, morì a Piacenza. I processi per la sua beatificazione si aprirono nel 1940 ed è stato quindi
beatificato il 9 novembre 1997 da papa Giovanni Paolo II.
SCALABRINI, Giovanni Battista, Il Catechismo cattolico, p. 31.
“Mons. Scalabrini […] può essere considerato come un autentico precursore del movimento catechistico” (Giannetto, p. 202).
Mette in atto una serie di iniziative che hanno un influsso a livello nazionale ed internazionale: “una rivista (il Catechista
Cattolico), una organizzazione parrocchiale e diocesana (Scalabrini, Lettere pastorali, pp. 11-32), un appello ai catechisti
laici ed un reclutamento in così gran numero che ha pochi precedenti, un congresso catechistico nazionale (il primo del suo
genere, divenuto stimolo e modello per altre nazioni), diversi interventi a livello di studio e di esortazione (libri, lettere
pastorali, tentativi di rifarsi ai padri della Chiesa, ecc.), collegamento con altri vescovi, impegno e collaborazione incisiva nel
lavoro di unificazione del testo catechistico a livello nazionale o almeno regionale, ecc.” GIANETTO Ubaldo, Mons. G.B.
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Diocesi l’organizzazione e la diffusione capillare del Catechismo. Per Scalabrini si era di fronte al
passaggio dalla civiltà cristiana alla civiltà laica: l’educazione cristiana, che prima era impartita
dalla scuole e dalla famiglia, aveva bisogno dell’impegno da parte di tutta la realtà ecclesiale.
Anche i contenuti andavano rivisti e cambiati: oltre che mirare a combattere l’eresia e ad in
intento apologetico, si doveva procedere alla rifondazione della fede cristiana di fronte alla
ragione laica. Gli strumenti erano i catechismi per tutte le età, soprattutto per gli adulti, e le
“Scuola di catechismo”, organizzata a livello parrocchiale vicariale e diocesano ed in questa
operazione risultavano fondamentali i maestri e le maestre di catechismo, che furono organizzati
come una specie di “congregazione laicale”4.
Non bisogna dimenticare che Mons. Scalabrini collocava la sua azione e quella della sua
Congregazione nel campo delle migrazioni proprio nel contesta dell’evangelizzazione. Al 16°
congresso dell’Opera dei Congressi (Ferrara 1899) così si esprimeva: “La Chiesa di Gesù Cristo, che
ha spinto gli operai evangelici tra le nazioni più barbare e nelle più inospiti lande, non ha
dimenticato e non dimenticherà mai la missione che le venne da Dio affidata di evangelizzare i figli
della miseria e del lavoro. Essa con trepido cuore guarderà sempre a tante anime poverelle che, in
un forzato isolamento, vanno smarrendo la fede dei loro padri e, colla fede, ogni sentimento di
cristiana e civile educazione. Sì, o signori, dov’è il popolo che lavora e che soffre, ivi è la chiesa,
perché la chiesa è la madre, l’amica, la protettrice del popolo e per esso avrà sempre una parola di
conforto, un sorriso, una benedizione”5.
2. La fondazione
I Missionari di S. Carlo vennero fondati dallo Scalabrini come risposta alla sua preoccupazione di
fronte alla drammatica situazione dell’emigrazione italiana alla fine del XIX secolo. In seguito alla
rivoluzione industriale, si era sviluppato un vasto movimento migratorio all’interno dell’Europa. In
particolare verso i poli estrattivi del Galles in Inghilterra, della Lorena in Francia, del Belgio, della
Saar e delle Ruhr in Germania, nonché verso i primi poli industriali in tutta l’area europea e nei
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5
Scalabrini precursore del movimento catechistico, in Atti del Convegno Storico Internazionale: Scalabrini tra vecchio e nuovo
Mondo, CSER, Roma 1989, p. 175
Cfr. GUGLIELMONI Luigi, Chiesa e catechesi in Scalabrini. Ieri e oggi, in Atti del II Convegno Storico Internazionale:
L’ecclesiologia di Scalabrini, Urbaniana University Press, Roma 2007, p. 271-273
Conferenza di Mons. G.B. Scalabrini al XVI Congresso Cattolico Italiano di Ferrara (1899), pubblicata in Atti e documenti del
XVI Congresso Cattolico Italiano, Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici in Italia, Venezia, 1899, pp. 90-100.
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grandi lavori sulle infrastrutture (ferrovie, strade e canali)6. Gli squilibri territoriali, l’arretratezza
dell’agricoltura e le crisi agricole ed industriali che hanno contrassegnato la prima
industrializzazione selvaggia, se spingeva ad una nuova avventura coloniale, stava anche
producendo un esodo epocale dall’Europa verso le Americhe. A quest’ultimo movimento
partecipò anche l’Italia, in particolare a partire dagli anni ’70 e, dal 1876 al 1915, espatriarono
oltre 14 milioni di italiani: nel primo periodo, fino al 1900, il 48% si diresse verso l’Europa e il resto
verso le Americhe, in particolare il Brasile e l’Argentina, attratti dalla colonizzazione agricola
promossa da quegli Stati; nel secondo periodo (dal 1900 al 1915) si registrò una vera e propria
“fuga di massa” dall’Italia con quasi nove milioni di emigrati, dei quali circa tre milioni e mezzo in
Europa ed oltre cinque milioni nelle Americhe, soprattutto verso gli Stati Uniti7.
L’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti proveniva soprattutto dal meridione d’Italia, in gran
parte reclutati attraverso la filiere clientelare della società locale, esportando questi legami anche
nel nuovo mondo. Gli immigrati, in gran parte analfabeti e carenti di istruzione religiosa, portavano
con sé le tradizioni religiose meridionali e le loro devozioni (la pietà popolare), che sembrarono
scandalose e “disdicevoli” e non vennero capite ed accolte dal cattolicesimo nordico. Si creò, così,
un clima diffuso di incomprensione e di rigetto: gli italiani trovarono difficoltà a collocarsi nel
panorama cattolico, risultando di fatto emarginati, mentre nei rapporti tra i gruppi regionali di
provenienza si riscontrarono opposizioni e litigiosità: la mancanza di una pastorale specifica stava
portando conseguenze deleterie per la collettività e per la Chiesa cattolica americana, frutto delle
ondate migratorie cattoliche, in particolare dall’Irlanda e dalla Germania. In Brasile gli immigrati
italiani, provenienti in maggioranza dalle regioni del Nord e reclutati in gran parte dagli agenti
d’emigrazione (che Scalabrini definiva come sensali di carme umana), andarono a sostituire gli
schiavi nelle fazendas degli stati di S. Paulo ed Espiritu Santo, e si inoltrarono nella colonizzazione
degli Stati brasiliani del Sud8. La Chiesa brasiliana viveva una situazione di sudditanza dallo Stato,
retto dall’imperatore: se lo Stato conferiva sicurezza economica e riconoscimento giuridico alla
Chiesa, bloccava però l’evoluzione dell’organizzazione della Chiesa stessa. Solo con l’avvento della
Repubblica laica (1891) la Chiesa brasiliana conobbe una nuova stagione, grazie agli immigrati e ad
un afflusso massiccio di sacerdoti e religiosi provenienti dall’Europa, anche per l’assistenza agli
immigrati. I migranti portarono le loro tradizioni religiose, che si affiancheranno al “cattolicesimo
moreno” brasiliano, contrassegnato anch’esso dalla pietà popolare e da un sincretismo di riti e di
culture religiose degli indios e degli schiavi africani.
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La partecipazione italiana a questa emigrazione all’interno del continente europeo nel periodo 1876-1900 è valutata a 2.543.990
e nel periodo 1901-1915 a 3.593.280.
Paese di partenza
Inghilterra
Benelux
Francia
Germania
Svizzera
7
8
1876-1900
16.027
7.338
817.633
353.897
326.647
1900-1915
53.456
30.151
897.933
871.950
1.013.640
Periodo 1887-1915
69.483
37.489
1.517.566
1.225.847
1.340.287
Totale
2.543,990
3.593.280
6.137.270
Cfr. FAVERO, Luigi, TASSELLO, Graziano, Cento anni di emigrazione italiana (1876-1976), in ROSOLI, Gianfausto (a cura
di), Un secolo di emigrazione italiana (1876-1976), CSER, Roma, 1978, pp. 9-30
Cfr. FAVERO, Luigi, TASSELLO Graziano, Opera citata. pp. 9-30.
Cfr. PEROTTI Antonio, La società italiana di fronte alle prime migrazioni di massa, Studi emigrazione,. 11-12, CSER, Roma
1968, pp. 13-41
5
Mons. Scalabrini, toccato sul vivo dall’esodo migratorio, che aveva osservato nelle parrocchie della
sua diocesi che si andavano spopolando, decise di dedicarsi all’analisi del problema ed alla
sensibilizzazione della società e la Chiesa in Italia attraverso opuscoli e conferenze. Decise
soprattutto di dare una risposta specifica al pericolo della mancanza di sostegno alla fede tra gli
immigrati, come gli veniva segnalato dalle lettere degli emigrati stessi nel Sud America e dalla
corrispondenza con Don Francesco Zaboglio9 negli Stati Uniti. Pensò all’assistenza agli emigrati
soprattutto come un problema di missione: sostenere e preservare la fede degli emigrati era non
meno urgente che evangelizzare i non credenti. Per questo, portò a conoscenza della sua iniziativa
il Card. Simeoni, Prefetto di Propaganda Fide10, e pensò a un progetto in comune con
l’Associazione Nazionale per soccorrere i missionari italiani, fondata da Schiapparelli11, progetto
questo subito abbandonato perché lo Schiapparelli non era accetto negli ambienti vaticani 12. Per
Scalabrini l’iniziativa in favore dell’emigrazione transoceanica doveva avere una molteplicità di
piani d’intervento (religioso, pastorale, sociale, assistenziale e politico): per questo intravedeva
una organizzazione mista (clericale e laicale) per svolgere l’opera di assistenza e di tutela,
attribuendo ad un’aggregazione clericale l’ambito pastorale del progetto13. È quanto egli descrive
nell’opuscolo da lui pubblicato nel mese di giugno 1887, L’Emigrazione italiane nelle Americhe.
Osservazioni14.
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13
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Sacerdote comasco, che conosceva l’emigrazione perché aveva visitato i parenti negli Stati Uniti, e che fu il primo vicario
generale della Congregazione e incaricato di aprire le missioni negli Stati Uniti.
Dopo le sollecitazioni di Zaboglio (dicembre 1886), Scalabrini scrive la prima sua lettera (11 gennaio 1887) al Cardinale
Simeoni, Prefetto di Propaganda Fide, nella quale presenta una prima bozza per un’assistenza pastorale agli italiani in
America: “Si fanno tanti e generosi sforzi per la conversione degli infedeli e lasceremo perire i nostri connazionali già
cattolici? Non sarebbe il caso di pensare ad un’associazione di preti italiani che avesse per iscopo l’assistenza spirituale degli
italiani emigrati nelle Americhe? Da parte mia sarei pronto ad occuparmene e a iniziarla tosto in minimissime proporzioni,
ma iniziarla davvero”. Scalabrini sollecita il 5 febbraio la collaborazione di Zaboglio, che gli invisa alcune note. Scalabrini
elabora un “abbozzo di progetto” che spedisce al Card. Simeoni in data 16 febbraio. In esso propone una soluzione provvisoria
e di transizione: l’invio di sacerdoti, legati da un giuramento, con un anno di impegno a servizio di missioni volanti nei centri
dove vi sia una concentrazione di italiani, quali precursori di strutture pastorali più stabili e di futuri missionari stabili; il loro
compito sarebbe consistito principalmente nella catechesi e nella costituzione di nuclei comunitari missionari che poi avrebbero
dovuto auto gestirsi. Nel frattempo, vista la consistenza di giovani emigrati italiani, si sarebbe dovuto costituire seminari
specifici per formare preti italiani per l’assistenza sul luogo, alle dipendenze delle Diocesi. Scalabrini suggerisce di coinvolgere
nel reperimento di Sacerdoti le Diocesi italiane e di coinvolgere le diocesi americane per facilitare e coordinare l’azione dei
missionari. Notifica, inoltre la sua intenzione di pubblicare un breve studio sull’emigrazione italiana nelle Americhe.
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Giovanni Battista Scalabrini Vescovo di Piacenza e degli emigrati, Città Nuova Editrice, Roma
1985. p. 981.
La vicinanza di Scalabrini allo Schiapparelli era determinata anche dal fatto che, dopo le votazioni municipali del 1886,a causa
delle quali aveva subito un intervento diretto del Santo Ufficio, egli aveva maturato la convinzione che l’emigrazione poteva
diventare il terreno concreto di conciliazione e di collaborazione tra lo Stato e la Chiesa italiana: “L’arringo che io addito al
pensiero ed all’azione del clero e del laicato italiano è grande, nobile, intentato, glorioso, e possono trovare in esso un posto
condegno tanto l’obolo della vedova quanto l’offerta del ricco, l’umile attività delle anime più tranquille, come l’impeto
generoso degli spiriti più ardenti. Religione e patria, queste due supreme aspirazioni di ogni cuore bennato, si intrecciano, si
completano in quest’opera d’amore, che è la protezione dei deboli, e si fondono in un mirabile accordo. Le miserabili barriere,
elevate dall’odio e dall’ira, scompaiono; tutte le braccia si aprono ad un fraterno amplesso, le mani si stringono calde
d’affetto, le labbra si atteggiano al sorriso ed al bacio, e, tolta ogni distinzione di classe o di partito, appare in essi bella di
cristiano splendore la sentenza: homo homini frater. Possano queste povere mie parole essere il seme di opere egregie, che
ridondino a gloria di Dio e della sua Chiesa, a bene delle anime, a decoro della patria, a sollievo degli infelici e dei diseredati.
Possa l’Italia, sinceramente riconciliata con la Sede Apostolica, emulare le antiche glorie ed un’altra aggiungerne imperitura,
avviando sui luminosi sentieri della vera civiltà e del vero progresso anche i suoi figli lontani” (L’Emigrazione italiana nelle
Americhe – Osservazioni).
Cfr. PEROTTI, Antonio, Opera citata, pp. 53-54.
Come commenta Scalabrini, “i bisogni cui vanno soggetti i nostri emigranti si possono dividere in due classi: morali e materiali,
ed io vorrei che un’Associazione di patronato sorgesse in Italia, la quale fosse ad un tempo religiosa e laica, sicché a quel
duplice bisogno pienamente rispondesse. Il campo che si presenta all’azione, guardata la cosa dal lato religioso, è vasto assai;
ma non è men vasto se la si consideri dal lato economico. Compito infatti di detta Associazione vorrebbe essere, come già
indicai, quello di provvedere agli interessi spirituali e materiali dei poveretti, che abbandonano il luogo natio per attraversare
l’oceano; quindi: 1° Sottrarre gli emigranti alle speculazioni vergognose di certi agenti di emigrazione, i quali, pur di
6
Dopo varie sollecitazioni rimaste inascoltate, Scalabrini si recò personalmente a Roma. Il 13
novembre fu ricevuto dal Papa Leone XIII, che, il 14 novembre, approvò le proposte di Scalabrini
con il “Breve Apostolico” Libenter Agnovimus (25 novembre 1887)15. Il 28 novembre, nella basilica
di Sant’Antonino a Piacenza, Domenico Mantese16 (sacerdote vicentino che aveva incontrato a
15
16
guadagnare, rovinano materialmente e moralmente gli infelici che cadono nelle loro reti; 2° Istituire un ufficio che prepari
quanto occorre pel collocamento degli emigranti, sbarcati che sieno nei porti d’America, di guisa che ogniqualvolta un
italiano si indirizzasse all’Associazione, questa potesse con sicurezza promettergli un utile occupazione, ovvero dissuaderlo
dall’emigrare in caso contrario; 3° Fornire soccorsi in caso di disastri o d’infermità, sia durante il viaggio, sia dopo lo
sbarco; 4° Muovere una guerra implacabile, mi si permetta l’espressione, ai sensali di carne umana, i quali non rifuggono dal
ricorrere ai più sordidi mezzi, turpis lucri gratia; 5° Procurare l’assistenza religiosa durante la traversata, dopo lo sbarco e
nei luoghi ove gli emigranti andranno a stabilirsi.” (L’Emigrazione italiana nelle Americhe – Osservazioni).
L’anno successivo ne “Il disegno di legge sulla emigrazione italiana. Osservazioni e proposte”, Scalabrini puntualizzava: “Col
mio Istituto di patronato io cerco appunto di soddisfare a questi tre grandi bisogni umani. Tener viva ne’ cuori la fede dei
nostri padri e, colle immortali speranze d’oltre tomba ravvivate, educare ed elevare il loro sentimento morale, poiché, non
bisogna dimenticarlo, l’unico trattato di etica del nostro popolo è ancora fortunatamente il Decalogo. Coi primi rudimenti del
conteggio, insegnar nella scuola la lingua materna ed un po’ di storia nazionale e così tener accesa nei lontani fratelli la face
dell’amor patrio e ardente il desiderio di rivederla. Infine un po’ di arte salutare, dando ai missionari, ne’ mesi di noviziato,
qualche istruzione sull’uso dei medicinali più efficaci e più comuni, sul modo di prepararli e di somministrarli, e istituendo
presso ogni Casa degli stessi missionari, piccole farmacie. - È poca cosa, considerata in sé, ma ben altro quando si pensa la
impossibilità di aver medici e medicine là nelle immense pianure americane, dove spesso, avvendosene anche la possibilità
materiale, non se ne hanno i mezzi pecuniari. Trascrivo qui gli articoli dello Statuto della Società di patronato, che parlano
appunto dello scopo dell’istituzione, quali furono da me compilati e quali, dietro incarico della Santa Sede, furono approvati
da una Commissione cardinalizia. Accenno a questi particolari, perché si vegga alla prova dei fatti quanta poca verità ci sia
nelle asserzioni di certi giornali, che dipingono il Vaticano come avversario implacabile di tutto ciò che sa d’Italia e
d’influenza italiana all’estero.
Ecco gli articoli dello Statuto: 1. È istituita in Italia, con sede in Piacenza, una Società di protettorato per gli emigrati italiani.
2. Scopo di tale Istituzione si è quello di mantener viva nel cuore dei nostri connazionali emigrati la fede cattolica, e di
procurare quanto è possibile il loro benessere morale, civile ed economico. 3. Questo scopo la Società lo raggiunge: a) Collo
spedire Missionari e maestri ovunque il bisogno lo richiegga. b) Coll’erigere ne’ varii centri delle Colonie italiane, chiese ed
oratorî, e fondare Case di Missionari, donde possa diffondersi, mediante escursioni temporanee, l’azione loro civilizzatrice. c)
Coll’aprir scuole, ove coi primi rudimenti della fede s’impartiscano ai bambini de’ coloni gli elementi della nostra lingua, del
calcolo, e della storia patria. d) Coll’impiantare, ove ne sia il bisogno, piccole farmacie, mediante le quali i Missionari, a ciò
preparati, possano somministrare i rimedi per le malattie più comuni. e) Coll’avviare agli studi, preparatorî al Sacerdozio,
quei giovanetti de’ coloni che dessero indizio di essere chiamati allo stato ecclesiastico. f) Coll’organizzare Comitati nei porti
di imbarco e di sbarco, per soccorrere, dirigere e consigliare gli emigranti. g) Coll’accompagnarli durante il viaggio di mare,
per esercitare a loro vantaggio il sacro Ministero e per assisterli, specialmente in caso di malattia. h) Col favorire e
promuovere tutte quelle associazioni e quelle opere, che si giudicassero più adatte a conservare nelle colonie stesse la
Religione cattolica e la coltura italiana”.
La sera del 9 novembre Scalabrini ebbe un “congresso” con Mons. Jacobini, da cui risulta l’accordo della Santa Sede sulla
fondazione di un Istituto religioso missionario a Piacenza, ma fu confermato il differimento “per ora” dei comitati laici in Italia
e nelle Americhe. Fu sospesa anche l’ipotesi di spedire un Vescovo in America per conoscere le condizioni degli emigrati ed i
loro bisogni. Il 13 novembre Scalabrini fu ricevuto in udienza dal Papa Leone XIII e scrisse all’amico Bonomelli: “Il discorso,
benché abbastanza a lungo, si aggirò nella massima arte circa l’oggetto per il quale sono venuto: l’emigrazione. Se il diavolo
non ci mette la corna, pare che la cosa si metta bene” (Cfr. MARCORA, Carlo, Carteggio Scalabrini Bonomelli – 1868-1905,
Edizioni Studium, Roma, pp. 226-227). Il 14 novembre Mons. Jacobini presentava a Leone XIII il “Rapporto sull’emigrazione
italiana con sommario”, un testo riassuntivo di quanto era stato fatto dalla Propaganda Fide prima dell’iniziativa di Scalabrini;
nell’udienza Leone XIII approvò le proposte concordate con Scalabrini nell’incontro del 9 novembre.
Durante il soggiorno romano, Scalabrini incontrò Don Domenico Mantese, che gli esprimeva la decisione di dedicarsi alla opera
missionaria in via di fondazione e lo accettava immediatamente, dandogli appuntamento a Piacenza. A sua volta Don Domenico
accennava a Scalabrini di un suo carissimo amico, Don Pietro Colbacchini, già partito per il Brasile nel 1884, che gli aveva
proposto di fondare un gruppo di sacerdoti in Brasile per l’assistenza agli emigrati: Colbacchini aveva invitato Mantese ad
aggregarsi a lui ed aveva già preparato un centro pastorale per missioni volanti. Scalabrini suggerisce a Mantese di aggregare
anche Colbacchini al gruppo che si sarebbe costituito a Piacenza. Mantese scrisse a Colbacchini il 20 novembre e Colbacchini
rispondeva positivamente ed entusiasticamente il 26 dicembre: “Io rispondo con tutto il cuore al suo desiderio e mi faccio suo
fedele servo per la vita e per la morte in una causa che tutto corrisponde al fine per cui mi trovo qui. Anzi io ammiro le fila
della Provvidenza di Dio che disponendo il tutto con soavità mi pone in occasione di offrire a V.E. una residenza di missione
terminata appunto in questi giorni, la quale se non basterà in tutto lo scopo di una casa centrale, per certo darà comodo
alloggio ai primi sacerdoti destinati a questa santa missione” (Cfr. PEROTTI, Antonio, Scalabrini e le migrazioni, Istituto
Storico Scalabriniano, Roma 2004, p. 61).
7
Roma), Giuseppe Molinari (sacerdote di Piacenza) e Mons. Domenico Costa (preposto della
basilica e primo superiore della comunità) costituirono il primo nucleo della “piccola
congregazione” di Scalabrini17.
L’intenzione iniziale di Scalabrini non era quella di fondare una “Congregazione religiosa”, quanto
piuttosto un Istituto missionario che comprendesse anche un ramo laicale. Le remore della Curia
vaticana (in particolare di Propaganda Fide e del Santo Ufficio) in un primo momento verso
l’Associazione dello Schiapparelli e, successivamente, verso i comitati laici, ha portato Scalabrini
alla soluzione dell’Istituto missionario di sacerdoti, da reperire e formare in Italia per la specifica
missione tra gli emigrati italiani nelle Americhe, con l’eventuale fondazione di seminari per i figli
degli emigrati.
Il 3 dicembre 1887 furono pubblicate le “norme di accettazione” nell’Istituto e all’inizio di gennaio
1888 Scalabrini aggiunse al suo Istituto una sezione di “missionari laici” con il titolo di “maestri
catechisti”. Cosciente della necessità di dare unità ad un’opera nella quale stavano confluendo
elementi molto eterogenei, emanò il Regolamento della Congregazione dei Missionari per le
colonie italiane specialmente in America (6 marzo 1888): la stabilità e la continuità fu posta nei
“voti religiosi quinquennali rinnovabili”, che fecero del gruppo una comunità religiosa
“impropriamente detta”. Il Regolamento venne approvato il 19 settembre 1888 ad experimentum
per un quinquennio.
3. La Congregazione dal 1888 al 1905
In seguito a una nutrita corrispondenza con Mons. Michael A. Corrigan, arcivescovo di New York, e
con Don Pietro Colbacchini, che era arrivato in Brasile nel 1884, Mons. Scalabrini poteva
intraprendere la prima spedizione di missionari: il 12 luglio 1888 nella basilica di Sant’Antonino fu
consegnato il crocifisso a dieci missionari, sette destinati al Brasile, mentre tre andarono a
raggiungere P. Zaboglio negli USA. I primi missionari erano sacerdoti e tre “fratelli” che avevano
raccolto l’appello di Scalabrini e deciso di aggregarsi per la missione con gli emigrati. Con
l’apertura della nuova casa di formazione a Piacenza nel luglio 1892 (ex convento delle
Cappuccine, intitolato a Cristoforo Colombo) s’ingrossarono le fila dei chierici e diminuì l’afflusso di
sacerdoti.
La forma di aggregazione quinquennale si rivelò inadeguata per la missione della Congregazione.
Nella lettera del 15 marzo 1892 “Ai missionari italiani nelle Americhe”18, Scalabrini manifestava le
sue preoccupazioni, i suoi desideri, le sue speranze e progetti e dava al suo istituto missionario
come Patrono San Carlo Borromeo. L’8 dicembre 1894 Scalabrini introduceva i voti perpetui,
promulgando nel 1895 le nuove regole dell’Istituto, con approvazione vescovile ad experimentum
17
18
La storia della Congregazione Scalabriniana è stata ampiamente documentata da Mario Francesconi, nei volumi pubblicati pro
manuscripto dal CSER di Roma. Li elenchiamo: Inizi della Congregazione Scalabriniana (1886-1888), 1969; Storia della
Congregazione Scalabriniana. Organizzazione interna – Prime missioni negli Stati Uniti (1888-1895), Volume II, 1973; Storia
della Congregazione Scalabriniana. Le prime Missioni nel Brasile (1888-1905), Volume III, 1973; Storia della Congregazione
Scalabriniana. Storia interna della Congregazione (1896-1919) – Le Missioni nell’America del Nord (1895-1919) – Le
Missioni nel Brasile (1905-1919), Volume IV, 1974; Storia della Congregazione Scalabriniana. Il primo dopoguerra (19191940), Volume V, 1975; Storia delle Congregazione Scalabriniana, dal 1941 al 1978, Volume VI, 1982
G.B. SCALABRINI, Ai missionari per gl’italiani nelle Americhe, Tipografia Vescovile Giuseppe Tedeschi, Piacenza 1892, ora in
TOMASI – ROSOLI 1997, 94-101.
8
per un decennio. Queste regole non vennero immediatamente approvate da Propaganda Fide:
anzi, una commissione pontificia diede un responso negativo (15 dicembre 1900), adducendo che i
missionari non erano in condizione di vivere la “vita in comune” e che il fenomeno migratorio era
provvisorio. Di fronte al fatto che in Congregazione si trovavano a coesistere tre gruppi (quelli con i
voti quinquennali, i professi con voti perpetui ed il gruppo dei sacerdoti “aggregati”), Scalabrini,
anche in seguito alla visita ai missionari negli Stati Uniti nel 1901 e in Brasile nel 1904, si adoperò
per ottenere l’approvazione pontificia delle nuove regole alla scadenza del decennio sperimentale,
ottenendo un’intesa orale con il Prefetto di Propaganda Fide; ma l’operazione fu interrotta dalla
sua morte, avvenuta la mattina del 1 giugno 190519.
Alla sua morte Scalabrini lasciava una Congregazione con meno di cento missionari, ma con
missioni distribuite in zone geograficamente ampie: negli Stati Uniti andavano da New York aj New
England, al Midwest ed alla Louisiana; in Brasile, i missionari si trovavano negli stati di Espírito
Santo, Paraná, San Paolo e Rio Grande do Sul20. Oltre alla distanza geografica, esisteva anche una
diversità di metodologie pastorali. Uno degli aspetti più controversi consisteva nella possibilità di
svolgere una missione specifica per i migranti, con un livello sufficiente di autonomia rispetto alle
parrocchie locali. Negli Stati Uniti la questione fu risolta attraverso le parrocchie nazionali, e il
conseguente impegno per i missionari di dotare la comunità delle strutture necessarie (soprattutto
chiesa e scuola parrocchiale). In Brasile vi fu uno sviluppo diversificato nei vari Stati. Nello Espírito
Santo la forte resistenza dei parroci locali all’autonomia nella amministrazione dei sacramenti
portò a un progressivo esaurimento della missione scalabriniana, mentre nello stato del Paraná si
arrivò a un compromesso temporaneo attraverso la “portaria”, una specie di cappellania
provvisoria. A San Paolo la missione consisteva nella visita continua e periodica delle fazendas,
dove gli Italiani avevano sostituito gli schiavi, a partire dalla sede centrale dell’orfanotrofio di San
Paolo, fondato nel 1895 da P. Giuseppe Marchetti; ma proprio durante la visita di Scalabrini nel
1904 veniva affidata agli scalabriniani la parrocchia di San Bernardo do Campo. Nel Rio Grande, la
missione si sviluppò soprattutto attraverso parrocchie con un territorio molto ampio, in cui, oltre
alla chiesa principale, venivano stabilite cappelle da raggiungere periodicamente. Si può pertanto
dire che dagli inizi convissero due metodi pastorali: la missione itinerante, per raggiungere
periodicamente immigrati che si trovavano dispersi in territori vasti e senza assistenza; la
parrocchia territoriale o nazionale, in zone ad alta densità di immigrati, con giurisdizione su un
gruppo etnico particolare. Le due metodologie corrispondevano alle due esigenze della missione
con i migranti: raggiungere i lontani ed avere una sufficiente autonomia per poter attuare una cura
pastorale specifica.
19
20
Cfr. TERRAGNI Giovanni, Congregazione dei Missionari di S. Carlo, Aspetti istituzionali, Archivio Statico Scalabriniano,
Roma, 2003.
Nella conferenza tenuta a Torino nel 1898, in occasione dell’Esposizione di arte Sacra, Scalabrini ricordava i dieci anni di storia
della sua azione e di quella della Congregazione: “Dieci anni di vita, diciannove comitati disseminati nei vari centri d’Italia,
ove più numeroso è l’esodo migratorio; la Casa Madre in Piacenza con Seminario per gli aspiranti alle Missioni. La Missione
del Porto di Genova per l’assistenza agli emigranti, diretta dal mio infaticabile Don Pietro Maldotti. Missioni al NordAmerica, con chiese esclusivamente per gli italiani: due a New York, ina in Cincinnati, in New Haven, in Providence, in
Boston Mass, in Cleveland, in Kansas City, in Meriden Conn, in Buffalo, in Siracusa NY, in Detroit Mich. Nell’America
meridionale: Missione centrale in San Paolo, in Encantado, nella Nuova Bassano, in Capoeiras, tutte le Diocesi di Porto
Alegre; in Santa Felicitade, nella Diocesi di Curitiba, in Nuova Mantova e in Santa Teresa nella Diocesi di Spirito Santo;
un’altra finalmente in Nuova Helvetia nell’Argentina. Unitamente alle Missioni, parrocchie, scuole con ospedale e due
orfanotrofi. I Missionari residentyi in tutti i luoghi assistono le colonia italiane limitrofe”. (SCALABRINI, Giovanni Battista,
L’Italia all’estero – Seconda Conferenza, Tipografia Roux Frassati Torino, 1899).
9
Oltre alla pastorale diretta, alle origini della missione scalabriniana vi è anche l’attività di
protezione ed assistenza sociale dei migranti. L’espressione più diretta di questa componente
missionaria è nella istituzione da parte di Mons. Scalabrini di un’associazione laica di patronato
fondata il 27 aprile 1889 a Piacenza (Associazione di Patronato per l’Emigrazione), la Società San
Raffaele, sullo stile della St. Raphaelsverein di Peter Cahensly per i migranti tedeschi21, presieduto
dal marchese Volpelandi. L’azione della Associazione di Patronato si sviluppò soprattutto nei porti,
in particolare a Genova con P. Maldotti e a New York con P. Bandini (dove rimase attiva fino al
1923), mentre non incontrò altrettanto successo nei porti del Brasile e dell’Argentina. Il sostegno
dei Comitati dell’Associazione in Italia si esaurì con la morte di Scalabrini, che ne era stata la figura
carismatica di ispirazione. Tuttavia, l’azione di protezione e di assistenza sociale è poi continuata
nella missione degli scalabriniani in molte altre forme, in risposta ai bisogni del tempo.
4. L’eredità di Scalabrini
4.1. La preservazione delle fede
La problematica della etnicità e della identità nazionale, collegata con l’emigrazione, è stata una
costante sia dal punto di vista politico, sociale che religioso: all’epoca del “grande esodo”, nel
clima del nazionalismo degli Stati-Nazione, gli Stati praticarono la politica dell’assimilazione delle
ondate migratorie. Ma anche le Chiese cattoliche americane (Stati Uniti, Brasile ed Argentina),
hanno costantemente praticato una politica di “americanizzazione”, anche per ottenere un
riconoscimento di fronte ai rispettivi Stati. Non è stato sempre facile e scontato il cammino delle
“parrocchie nazionali” e delle “colonie italiane” ed il percorso di superamento dell’aspetto etnico
per costruire il Regno di Dio ed i nuovi “popoli” cristiani, nati dall’emigrazione. Scalabrini aveva
intuito l’importanza, per la preservazione della fede, della valorizzazione delle identità culturali e
religiose specifiche dei migranti: il suo punto di partenza antropologico e culturale era lo stretto
legame tra quella che egli chiamava “nazionalità” ( “identità culturale”) e la “conservazione della
fede”. Per “preservare la fede” era necessario mettere in atto, nei nuovi territori, strutture civili e
pastorali che, in un certo senso, ricreassero l’atmosfera culturale e religiosa del paese di partenza,
proprio perché, almeno in un primo periodo, i migranti non fossero disorientati dalla novità delle
situazioni nelle quali vengono a trovarsi22.
21
22
Con l’apporto del Marchese Volpelandi Scalabrini fondava nel 1989 la Società di Patronato. Ci si può chiedere come mai,
sebbene sollecitato fin dal 1889, Scalabrini e Volpe Landi abbiano atteso fino al 1894 prima di decidere che anche
l’Associazione Italiana venisse posta sotto la protezione della S. Raffaele e denominata sotto lo stesso nome delle altre
associazioni similari in Europa. Nella biografia di Scalabrini, Francesco Gregori scrive che Scalabrini, pur avendone
l’intenzione fin da principio, “tuttavia pensò che le condizioni ambientali d’Italia esigevano che l’Associazione si fosse ben
affermata e che i soci si fossero penetrati degli intendimenti di essa – patriottici si, ma soprattutto cristiani – prima di darle un
nome che implicava una professione di fede” GREGORI, Francesco, La vita e l’Opera di un grande Vescovo (1839-1905), Lice,
Torino, 1934, p. 364.
In un “Memoriale sulla necessità di proteggere la nazionalità dei migranti” Scalabrini annotava: “Non v’ha dubbio che l’idea di
nazionalità sia uno di quei sentimenti che sono chiamati ad esercitare larga e talvolta decisiva influenza sulla conservazione o
la perdita della fede di un popolo. […] Questo vale tanto per le nazioni generalmente prese quanto per gli individui … Finché
l’uomo vive nel proprio paese … conserva i sentimenti che hanno corso nella generalità dei suoi compatrioti … La cosa muta
per l’emigrante. Costui vive sbalzato in una terra straniera e come annegato nel mare magno di un altro popolo o, nei paesi
misti, di più popoli aventi costumi, tradizioni ed abitudini affatto diverse dalle sue… Ciò che mantiene la vita cattolica è
10
4.2. La visione provvidenziali delle migrazioni
Scalabrini intuisce che proprio i figli della miseria e del lavoro, che, dal punto di vista umano, religioso,
culturale, economico e sociologico, sembravano risultare una massa di sfruttati, di incapaci e di falliti ( i
paria della società), erano i costruttori delle nuove società: proprio dal loro lavoro, dall’apporto della
loro cultura (che sembrava una sotto cultura o una non cultura) e dalla loro presenza attiva stavano
nascendo le moderne società che risultavano marcate irrimediabilmente dai migranti; le Chiese locali
stesse potevano godere dell’apporto di questi migranti che, come gli italiani, spesso venivano definiti
dalle stesse gerarchie religiose, come irrecuperabili dal punto di vista religioso. I migranti per Scalabrini
erano il “luogo” e lo “strumento” privilegiati della costruzione del Regno: le migrazioni, secondo una
tipica espressione di Scalabrini, avevano come scopo la unione dei popoli cristiani23. La visione
provvidenziale delle migrazioni potrebbe essere vista come una definizione manzoniana della storia
(con la quale Scalabrini era estremamente in sintonia), oppure una conseguenza, nel campo della
riflessione teologica, del mito ottocentesco del progresso continuo ed inarrestabile. Ma Scalabrini
credeva che Dio scrive dritto nelle righe storte della storia delle donne e degli uomini anche del suo
tempo ed era convinto che il Regno avanzava, nonostante le aberrazioni, le frenate e le marce indietro
del progresso umano, proprio perché credeva nella buona notizia trasmessaci di Gesù, che Dio vuole
instaurare nel nostro mondo, proprio come si evolve, il suo Regno. Si trattava, quindi, di una “visione
profetica” e prospettica: leggere la storia non secondo i parametri dell’efficienza, dell’apparenza,
dell’economia e della mentalità dominante, ma secondo la “sapienza” di Dio, che si serve di ciò che
non è per confondere ciò che è24.
23
24
l’ambiente religioso … Un operaio … non è mantenuto nella religione dei padri suoi, quando trovasi sbalzato in terra
straniera che a patto di trovarvi qualche cosa che gli ricordi l’ambiente che ha lasciato abbandonando la patria e
conservando per le sue nazionali tradizioni un affetto intenso ed inalterabile. […] L’italiano … se conserva le tradizioni patrie
rimarrà cattolico, se le perde si farà protestante, insensibilmente, nei paesi protestanti, massone o indifferente nei paesi
cattolici … Ma la tradizione è l’ostacolo massimo a cotesta apostasia. Il popolo …è più tenace nelle tradizioni della persona
colta, ma viceversa quando in lui si affievoliscono questi tradizionali sentimenti, questa memoria perenne del luogo natio, che
si compendia nella casa paterna, nella chiesa, nelle sacre funzioni, nel parroco, egli si trasforma radicalmente e si assimila
all’ambiente nuovo, oppure perde ogni principio e diventa un isolato, un uomo a sé, tutto dato alla materialità, senza ideali e
senza principii sovrannaturali. […] I milioni di cattolici italiani, spagnoli, tedeschi ecc. che si sono persi nel mare magno del
protestantesimo o dell’indifferentismo dell’America del Nord, si sono persi perché fino da quando sbarcarono su quella terra
lontana e straniera si videro abbandonati ed isolati” (Cfr. SCALABRINI, Giovanni Battista, Memoriale sulla necessità di
proteggere la nazionalità degli emigrati, in TOMASI, Silvano, ROSOLI, Gianfausto (a cura di) Scalabrini e le migrazioni
moderne – Scrittii e carteggi, Società Editrice Italiana SEI, Torino, 1997, pp. 61-69)
Contro una visione tipicamente politica ed economica delle migrazioni (valvola di sfogo della sovrappopolazione, giustificazione
alla politica di colonialismo), Scalabrini insiste sul valore culturale e prospettico delle migrazioni (valore “profetico” anche sotto
l’aspetto politico) per la costruzione di un mondo più umano e solidale: “Mentre il mondo si agita affascinato dal suo progresso,
mentre l’uomo si esalta per le sue conquiste sulla materia... mentre i popoli cadono, risorgono e si rinnovellano ; attraverso il
rumore delle nostre macchine, al si sopra di tutte queste opere gigantesche, ma non senza di loro, si sta maturando un’opera
ben più vasta, ben più nobile, ben più sublime : l’unione in Dio per mezzo di Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere”
(Discorso di Scalabrini a New York 1901).
Scalabrini aveva spesso nei suoi discorsi e nei suoi scritti alcune impennate che non possono essere definite semplicemente “poetiche”,
ma sono piuttosto “profetiche”. Nella lettera pastorale per la Quaresima del 1888 Scalabrini aveva parole di un’intensità spirituale e
profetica che costituiscono, proprio in quel periodo così impegnato e fecondo della sua azione per le migrazioni, l’apice della sua fede
nella Chiesa ed i contenuti della sua cattolicità ecumenica. “Un’arcana potenza agita i popoli e li spinge verso l’unità. […] E’ certo
che le vie di Dio non sono le nostre e che anche tra le Chiese dissidenti, la Chiesa cattolica ha dei figli, se non di fatto, di desiderio
almeno; anime generose, che sarebbero degne di essere nate in seno all’unità, e che forse già vi appartengono per mezzo di legami
invisibili ed occulti cui Dio solo conosce. Quanti di coloro che si mostrano persecutori della Chiesa di Dio sono forse oggetto di
pietosi disegni agli occhi di Lui e sono destinati a diventare vasi di elezione per dilatare fra le genti la gloria del suo Nome! Separati
dal corpo della Chiesa, essi appartengono all’anima di essa, e quando la politica non sarà più interessata a conservare quel muro di
divisione, che tiene scissa la grande famiglia europea; quando gli interessi della terra scompariranno in faccia agli interessi del
Cielo; quando la gran legge della carità evangelica sarà meglio intesa e praticata da tutti, oh! Allora, non dubitiamo affermarlo con
altri, il Pastore universale vedrà con lieta sorpresa pecorelle in gran numero che gli appartengono là dove forse l’occhio umano non
scorgeva che lupi; allora l’oriente e l’occidente si abbracceranno come fratelli in un medesimo santuario e Santa Sofia di
Costantinopoli udrà echeggiare sotto le sue volte il Te Deum dell’altro tempo, mentre trasaliranno di giubilo le ossa immortali dei
11
4.3. Il superamento dell’identità nazionale
Scalabrini, soprattutto dopo le sue visite alle comunità emigrate italiana negli Stati Uniti e in
Brasile (1901 e 1904), Proponeva abbozza il superamento delle identità nazionali (le nazionalità,
secondo il linguaggio ottocentesco) in vista della funzione delle migrazioni nella costruzione delle
società future. Pur partendo dalla valorizzazione delle identità specifiche dei migranti, ha superato
la visione etnica proprio perché ha collocato le migrazioni in un quadro più ampio, dal punto di
vista sociale, culturale, politico ed ecclesiale. In ogni tappa della storia della cura ai migranti siamo
chiamati a rielaborare nuovi “quadri” di riferimento, per servire le migrazioni, nei vari contesti
zonali e mondiali. Così egli si esprimeva nel 1905“: “Non orde di popoli barbari che seminano
stragi e rovine, ma falangi di pacifici lavoratori che cercano in un paese altrui fortuna e oblio...
Non più soppressioni di popoli, ma fusioni, adattamenti, nei quali le diverse nazionalità si
incontrano, si incrociano, si ritemperano e danno origine ad altri popoli sui quali, pure nella
dissomiglianza, come a tipo di una stessa gente, predominano caratteri determinati e determinate
tendenze religiose e civili.... Questo fatto grandioso economico e politico, che ebbe principio nel
secolo XIX e che si prolunga nel secolo XX, spiega il grande interesse che i Governi europei
dimostrano nel seguire ciascuno la sua emigrazione nei diversi Stati americani e nel sussidiare
società di protezione, di previdenza, di beneficenza, di istruzione, istituti di collocamento,
osservatori commerciali, nell’incoraggiare insomma tutte quelle istituzioni che trasformano
l’emigrazione di un paese, da informe aggregato in un organismo vivente, nel quale palpita il
sentimento nazionale degli espatriati e pel quale si mantiene viva la simpatia per la patria di
origine nelle propaggini americanizzate”25.
Questo complesso processo di Grazie a queste fusioni, adattamenti, nei quali le diverse nazionalità
si incontrano, si incrociano, si ritemperano e danno origine ad altri popoli tendeva a produrre
un’apertura della loro identità etnico religiosa attraverso una rieducazione culturale, sociale e
religiosa, per offrire il contributo positivo delle peculiarità di ciascuno alla costruzione di una
società e di un Chiesa locale plurale.
Esso, come Scalabrini verificò nelle sue visite del 1901 negli Usa e del 1904 in Brasile, era il frutto
della stabilizzazione delle comunità migranti con la nascita delle seconde generazioni. Ed è proprio
in questo processo di stabilizzazione che la “preservazione della fede” si trasforma in
“comunicazione e travaso” della fede, con la formazione di sintesi nuove. La Chiesa, in questa
nuova fase, “è chiamata dal suo apostolato divino e dalla sua tradizione secolare a dare la sua
impronta a questo grande movimento sociale, che ha per fine la sistemazione economica e la
25
Crisostomi e dei Nazianzeni; […] allora (noi ne abbiamo più che il presentimento la certezza) di tutte le famiglie si formerà una sola
famiglia, di tutti i popoli un solo popolo, di tutta l’umanità un solo ovile sotto la guida di una solo Pastore”. (SCALABRINI, Giovanni
Battista, La Chiesa Cattolica. Lettera Pastorale di Monsignor Vescovo di Piacenza per la Santa Quaresima dell’anno 1888, in
SARTORI, Ottaviano, Lettere pastorali – Edizione integrale, Società Editrice Internazionale SEI, Torino, 1994, pp. 439SCALABRINI, Giovanni Battista, Memoriale per la costituzione di una commissione pontificia Pro emigratis catholicis”, in
TOMASI, Silvano, ROSOLI, Gianfausto, Opera citata, p. 227.
Siamo di fronte, secondo la terminologia di oggi, a quello che è chiamata la “teologia della morte e risurrezione delle culture”:
una cultura vive se è capace di “perdersi” e di “donarsi”. Le migrazioni producono società pluriculturali, multietniche e
plurireligiose, dove si verificano culture sempre più meticciate. Si viene man mano costruendo una coesione sociale nuova,
attraverso i meccanismi interculturali, che siamo invitati a promuovere e favorire. Le culture devono essere capaci di “donare e
ricevere”, per produrre un “quid novum” nel quale confluiscono, in modo comunionale, le diversità.
12
fusione dei popoli cristiani. Come sempre e dovunque, essa, anche in questo grande conflitto di
interessi, ha una bella e nobile missione da compiere, provvedendo prima all’incolumità della fede,
alla sua propagazione e alla salvezza delle anime, per assidersi poi, madre comune e regina, fra i
diversi gruppi, smussando gli angoli delle singole nazionalità, temperando le lotte di interessi delle
diverse patrie, armonizzando, in una parola, la varietà delle origini nella pacificatrice unità della
fede”26.
5. La crisi (1905-1924)
Alla morte di Scalabrini rimanevano molti problemi irrisolti: le regole non avevano ancora ricevuto
l’approvazione definitiva della S. Sede; nella congregazione convivevano religiosi con statuti
giuridici diversi; l’impianto economico era inesistente; l’autorità immediata all’interno della
Congregazione era formata dal Rettore della casa Madre (P. Domenico Vicentini) e dai provinciali
degli Stati Uniti e del Brasile e P. Vicentini venne eletto primo Superiore generale27. P. Vicentini,
preoccupato dell’uguaglianza di appartenenza tra i membri e non convinto dell’opportunità dei
voti religiosi, indisse una consultazione scritta dei confratelli e propose a Propaganda Fide la
trasformazione della Congregazione in Pia Società (5 ottobre 1908)28. Il 1° giugno 1909 (quarto
anniversario della morte del Fondatore), informava i confratelli dell’approvazione definitiva del
nuovo regolamento, secondo il quale i membri facevano giuramento perpetuo di perseveranza. Un
anno prima della scadenza del suo mandato, indisse, il 26 maggio 1910, il primo Capitolo generale
26
27
28
SCALABRINI, Giovanni Battista, Memoriale, pp. 227-228
P. Vicentini, pur privo di qualsiasi autorità, si sentì in dovere di agire in prima persona, contattando, il 7 giugno 1905, a pochi
giorni dalla morte di Scalabrini, sia P. Novati che P. Consoni, sottolineando alcuni nodi istituzionali che bisognava risolvere
immediatamente, in particolare la necessità di provvedere all’elezione di un “superiore” che avrebbe dovuto “fare pulizia” e
riportare una uniformità di appartenenza all’interno della congregazione. In data 9 giugno Vicentini informa il Cardinale
Girolamo Gotti, Prefetto di Propaganda fide, sulla difficile situazione della Congregazione e sulla necessità di “non lasciar
languire” l’opera scalabriniana, mentre il 16 giugno chiede al Papa, Pio X, di intervenire d’autorità per la nomina pro tempore
di un Vicario generale, fino all’elezione del nuovo Superiore generale, richiesta questa che, tramite il Segretario di Stato,
cardinale Merry del Val, viene trasmessa a Propaganda Fide. P. Vicentini, in data 27 giugno viene nominato dal Cardinale
Gotti “pro Superiore Generale” fino alla elezione canonica del Superiore generale.
Partendo dalle Regole del 1895, con lettera ai missionari indisse le votazioni il 30 giugno 1905: il 28 novembre, nella chiesa di
San Carlo della Casa Madre, dallo spoglio delle 40 schede pervenute, risultò eletto, come Superiore generale.
P, Vicentini si era mostrato contrario all’introduzione “voti perpetui” ed ora, ritenendo difficile la convivenza di religiosi con
statuti giuridici diversi, voleva trovare un sistema di appartenenza unitario e meno vincolante: era convinto della impossibilità
per i missionari di vivere in modum communitatis, notava una scarsa osservanza dei voti religiosi e pensava che i voti fossero di
ostacolo per l’adesione di nuovi candidati. Ottenuta l’autorizzazione dal Prefetto di Propaganda fide, P. Vicentini informava
della sua intenzione di “istabilire una perfetta uguaglianza tra i confratelli riguardo agli obblighi verso la Congregazione,
come giustamente fu reclamata da parecchi e riconosciuta giusta per tutti… Nella nostra Congregazione non si facciano i Voti
religiosi … I Missionari prima di partire facciano le promesse” (Cfr. Terragni G., Op. cit., pp. 54-57 - Francesconi M., Op. Cit.
vol. IV pp. 40-42).
Il lavoro di revisione risultò completato il 25 marzo 1908 e le nuove regole vennero approvate da Propaganda Fide il 3 ottobre
1908. Essendo in atto un riordinamento delle Curia romana e la cessazione della giurisdizione di Propaganda Fide sugli Stati
Uniti con il relativo passaggio degli Istituti religiosi sotto la giurisdizione della neonata Congregazione dei Religiosi, il
regolamento fu sottoposto ad un nuovo riesame e fu definitivamente promulgato nel gennaio 1909, anche se retrodatato al 5
ottobre 1908. Il Regolamento esplicitava che l’istituzione scalabriniana non era più una “congregazione religiosa propriamente
detta”, ma una “Pia Società” e che il giuramento di perseveranza era perpetuo e poteva essere dispensato solo dalla Santa Sede.
Rimaneva la questione della commutazione dei Voti in Giuramento, sollecitata da Vicentini il 27 febbraio ed accordata con
rescritto della Sacra Congregazione dei Religiosi il 12 marzo 1909.
13
nel quale egli risultò rieletto, venne confermata l’introduzione del “Giuramento perpetuo di
perseveranza”29. P. Vicentini dedicò alcuni mesi alla visita delle missioni nel Brasile, mentre il 1912
fu dedicato alle celebrazioni del venticinquesimo della fondazione, in funzione di un rilancio di
immagine della Pia Società. Il 15 agosto 1912 Papa Pio X istituiva presso la Sacra Congregazione
Concistoriale un Ufficio per l’assistenza agli emigrati cattolici latini e la Pia Società, con decreto
papale (20 febbraio 1914), passò alle dipendenze della Concistoriale, anche se, a causa della
guerra, tale dipendenza non avrà attuazione fino al 192230.
La prima guerra mondiale allentò e bloccò le attività della Pia Società31, come pure la celebrazione
del Capitolo generale, che venne indetto nel 1919 (Roma 20-29 agosto 1919) designò come
Superiore generale P. Pacifico Chenuil (21 agosto 1919)32. Si diede mandato di studiare
l’opportunità di aprire due seminari (uno in Brasile ed uno negli USA), e venne conferita ai
Superiori provinciali la facoltà di aggregare come “scalabriniani” sacerdoti che avessero dato prova
di “abilità e di bontà”. Alcune decisioni capitolari comportavano una sostanziale modifica del
Regolamento del 1908 e davano la sensazione che “l’Istituto fosse una specie di associazione
29
30
31
32
Per confermare il “principio di uniformità” è approvata l’introduzione del Giuramento perpetuo di perseveranza per tutti i
membri dell’Istituto: “Perché nell’Istituto vi sia uniformità generale per tutti i singoli membri, si è proposto che tutti coloro i
quali non sono legati dai Voti e dal Giuramento, abbiano a legarsi con il Giuramento perpetuo, secondo al formula approvata
dal Capitolo, e a questa disposizione sono tenuti anche quelli che hanno già emesso i Voti perpetui o temporanei”. A questo
scopo i Superiori provinciali sono invitati a far sottoscrivere ai loro soggetti gli appositi formulari approvati dal Capitolo: “Chi
non intende apporre la firma a detto formulario sarà ritenuto come non appartenente all’Istituto e per ciò stesso obbligato a
rivolgersi alla Sacra Congregazione per lo scioglimento dai Voti e per altre pratiche prescritte dal diritto canonico”. Il 28
settembre P. Domenico Vicentini risultò rieletto Superiore generale, con la conferma da parte della Sacra Congregazione dei
Religiosi in data 4 novembre 1910. Nel Consiglio generale fu confermato come Vicario generale il P. Paolo Novati (che alla
morte avvenuta nel 1913 verrà sostituito da P. Massimo Rinaldi) e fu eletto come Economo e Procuratore generale il P.
Massimo Rinaldi e come Consultore il P. Giuseppe Martini.
Il 15 agosto 1912 viene pubblicato da Papa Pio X il Motu Proprio “Cum omnes Catholicos”, con il quale veniva istituito presso
la Sacra Congregazione Concistoriale un Ufficio per l’assistenza agli emigrati cattolici latini, al quale dovevano fare
riferimento tutte le Opere e gli Istituti che si interessavano di emigrazione. P. Vicentini ne diede notizia ai confratelli (lettera del
18 gennaio 1913) e chiede alla Sacra Congregazione Concistoriale di passare alle dipendenze dell’Ufficio appena costituito,
illustrando al Cardinale Prefetto lo stato della Pia Società. Nella sessione dei Cardinali del 19 febbraio 1914 viene data una
riposta positiva a tale domanda, ratificata in date 20 febbraio da Papa Pio X, “riservando alla Sacra Congregazione dei Religiosi
il giudizio di sua competenza”. La Pia Società aveva, così, una duplice dipendenza: dalla S.C. Concistoriale per l’apostolato tra i
migranti e dalla S.C. dei Religiosi in ragione del giuramento (per la disciplina interna e la vita comune “more religiosorum”).
Tuttavia, a causa della guerra, la dipendenza dalla Concistoriale non avrà attuazione fino al 1922.
Nel 1916 scadeva il sessennio di governo di P. Vicentini, ma non potendosi convocare il Capitolo generale a causa della guerra,
egli chiese di poter indire le elezioni epistolari per la nomina del nuovo Superiore generale. La sua richiesta alla S.C. dei
Religiosi fu respinta e l’indizione del Capitolo generale viene prorogata fino al giorno 11 febbraio 1919, quando la Santa Sede
concede la facoltà di convocarlo. Non bisogna dimenticare che, nella difficile situazione in cui P. Vicentini si era venuto a
trovare alla morte di Scalabrini, egli si era impegnato a dare una formazione alla vita apostolica ai seminaristi e chierici della
Casa Madre di Piacenza, formazione che molti sacerdoti che erano entrati nella istituzione scalabriniana non avevano ricevuto.
Al di là dei giudizi che si possono esprimere sull’opera di P. Vicentini, l’opera di formazione e il manipolo di chierici della Casa
Madre saranno alla base della rinascita della Congregazione scalabriniana.
Il Capitolo doveva confrontarsi con le difficoltà interne: il passaggio dai Voti religiosi al Giuramento non aveva ottenuto un
aumento del numero dei missionari, anche a causa della guerra, mentre la vita comunitaria risultava sempre più sfilacciata e
continuavano le defezioni dei missionari. Il boom migratorio italiano dell’inizio del secolo, interrotto con lo scoppio della
guerra, stava riprendendo in modo massiccio (anche se ben presto la situazione migratoria sarebbe cambiata radicalmente) e si
sentiva il bisogno di forze nuove da inserire nella pastorale migratoria. Uno dei temi approdati al capitolo fu la ristrutturazione
giuridica della presenza, con il ventilato ritiro dallo Stato di San Paolo, dove i vescovi avevano proibito la visita nelle fazendas e
le posizioni missionarie si stavano trasformando in parrocchie territoriali con la cura pastorale anche dei brasiliani: fu, infatti,
decisa la riduzione delle Province da cinque a due: Una Provincia per tutte le presenze in USA (Superiore provinciale P. A.
Strazzoni) ed una per tutte le presenze in Brasile (Superiore provincia, P. Enrico Preti). Come Consiglieri furono eletti P.
Domenico Vicentini, P. Giuseppe Martini (Rettore della Casa Madre) e P. Massimo Rinaldi (Procuratore ed Economo generale).
14
destinata più a risolvere i problemi economici dei membri che quelli apostolici corrispondenti alla
finalità della Congregazione”33.
La preoccupazione di P. Pacifico Chenuil fu quella di aumentare il numero di missionari: dal
novembre 1919 all’agosto 1922, accettò nell’Istituto e mandò immediatamente in America 37
sacerdoti (32 negli USA e 5 nel Brasile), venti dei quali erano piemontesi. I nuovi missionari, ai quali
si aggiunsero alcuni presi direttamente dai Provinciali, non si adattarono alla vita comune,
aggravando la frammentazione all’interno34.
Nel frattempo (1° gennaio 1920), su sollecitazione della Congregazione Concistoriale35, doveva
entrare in vigore la fusione della Pia Società scalabriniana con l’ Associazione dei Missionari
dell’Emigrazione, fondata nel 1906 da Mons. Giangiacomo Coccolo ed impegnati in modo
particolare come cappellano delle navi e nei segretariati operai in Argentina36. Gli obiettivi previsti,
tuttavia, non si poterono realizzare, a causa dei seri problemi di riorganizzazione interna che la
stessa Pia Società dei Missionari di San Carlo dovette affrontare nel primo dopoguerra, e lo stato
di disordine organizzativo in cui versava l’Opera di Mons. Coccolo.
Non mancarono reazione forti e vivaci da parte delle vecchia guardia scalabriniana, mentre si
aggiunsero pesanti osservazioni dei Vescovi e degli ambienti vaticani al momento del passaggio
della Pia Società (inizio 1922) sotto la responsabilità della Congregazione Concistoriale37. Venne,
allora, chiesta a P. Chenuil (20 gennaio 1922) una relazione dettagliata sulla situazione e si giunse
alla decisione di sottoporre la Pia Società ad una “visita apostolica”: il giorno 11 febbraio 1923 fu
nominato come “visitatore” il francescano P. Serafino Cimino38. La visita apostolica si concluse
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36
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Cfr. TERRAGNI, Giovanni, Opera citata, pp. 79-80 . FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. V, pp. 3-5).
Come si rivela dalle sue circolari ai missionari, P. Chenuil aveva una sua visione della “missionarietà” molto legata alla sua
esperienza di “parroco” negli USA. Egli, infatti, invitava i confratelli ad “americanizzarsi” al più presto, inserendosi nella
società civile e religiosa del luogo, insistendo sulla dipendenza ai Vescovi locali. La sua visione pastorale era di tipo
manageriale americano, dimenticando i missionari del Brasile che vivevano in un contesto assai differente.
Come osserva Antonio Perotti, “gli obiettivi principali che la Santa Sede intendeva raggiungere con detta unione erano diversi:
1) maggiore stabilità del personale; 2) la possibilità, per i Missionari di bordo, di interrompere la vita snervante di bordo,
senza abbandonare l’opera di assistenza agli emigranti, potendo essere devoluti al lavoro di ministero presso le parrocchie
scalabriniane; 3) la necessario coordinazione del lavoro di assistenza al porto d’imbarco, durante il viaggio, allo sbarco,
come le opere scalabriniane esistenti nei Paesi di immigrazione; 4) maggiore possibilità di avere personale buono e adatto”
(Cfr. PEROTTI, Antonio, Il Pontificio Collegio per l’Emigrazione Italiana, 1920-1970, Roma 1971, p. 15
Cfr. BAGGIO, Fabio, La Chiesa argentina di fronte all’immigrazione italiana tra il 1870 ed il 1915, Istituto Storico
Scalabriniano, Roma 2000, p. 258.
Alla visione ottimistica di Chenuil, di fronte all’aggravarsi della situazione interna e a numerose defezioni, subentra (circolare
del 12 ottobre 1921) una reazione molto forte contro i sacerdoti diocesani aggregati alla Congregazione all’epoca di Vicentini,
che veniva chiamati gli “estranei”. Il Card. De Lai, Prefetto della Congregazione Concistoriale, al momento di assumere il
controllo dell’azione pastorale della Pia Società, il 9 maggio 1921 scriveva una nota al Cardinale Bonzano, Prefetto della
Congregazione. dei Religiosi, sottolineando la situazione anomala dei sacerdoti “aggregati”, divenuti a tutti gli effetti membri
dell’opera scalabriniana senza aver fatto un minimo periodo di prova e di formazione, e chiedendosi “se gli Scalabriniani sono
una Congregazione o meno”. La Congregazione dei Religiosi impose l’anno di noviziato per i sacerdoti che desideravano
aggregarsi all’Istituto. Ma la disgregazione in atto ormai 1908 sembrava essere diventata inarrestabile (Cfr. TERRAGNI,
Giovanni, Op. Cit., pp. 81-84 – FRANCESCONI, Mario, Op. Cit., vol. V, pp. 6-11.
Il 13 dicembre 1923 P. Cimino presentò le conclusioni della sua visita apostolica, dichiarando che “chiaro apparisce che
l’Istituto dei Missionari di San Carlo invece di progredire nel vero senso della parola, ha fatto sensibili regressi…”. Egli
osserva che “non si può assolutamente sostenere che Mons. Scalabrini fondando l’Opera dei Missionari di San Carlo per gli
emigrati italiani, abbia avuto in mente di fondare nient’altro che una Agenzia per assoldare preti e mandarli in America per
fare denari ed avere più libertà, … come purtroppo disgraziatamente si è fatto nell’ultimo quadriennio”. Da qui la proposta di
far “passare sotto la giurisdizione del Prelato dell’emigrazione il Collegio di Piacenza ed i buoni Padri che furono ricevuti da
Scalabrini e nei quali si ammira la trasfusione dello Spirito dello stesso Fondatore e di far ritornare nelle Diocesi il resto”.
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con un parere sostanzialmente negativo; il successivo esame della Congregazione plenaria dei
Cardinali (21 febbraio 1924) venne presentato a Papa Pio XI, con un “promemoria” preparato dal
Segretario Mons. Raffaello Rossi39. La crisi fu formalmente risolta, quando per decisione di Pio XI ,
la Pia Società passò alle dirette dipendenze della Sacra Congregazione Concistoriale, la quale, il 26
marzo 1924 metteva tutti gli scalabriniani a conoscenza delle decisioni della Santa Sede: “Compio
di dovere di farle conoscere, per sua norma e governo, che in una recente plenaria Congregazione,
essendosi esaminati attentamente tutti gli atti della Visita Apostolica compiuta dal R. P. Cimino
circa l’Opera ed Istituto scalabriniano, è stato deciso, ed il Santo Padre ha pienamente approvato,
che la Sacra Congregazione Concistoriale assuma direttamente la direzione di quest’Opera ed
Istituto, fermo dovendo rimanere per ora inalterato lo statuto oggi in vigore e le regole in uso”.
Così l’Opera scalabriniana non venne soppressa, ma “salvata”, anche se privata della sua
autonomia: il Cardinale Gaetano de Lai diventava de jure Superiore generale della Pia Società dei
Missionari di San Carlo.
6. La riorganizzazione (1924-1951)
Il Cardinale De Lai, in qualità di Superiore generale, volle rendersi conto della situazione della Casa
Madre di Piacenza, inviando Mons. Raffaello Rossi (7 maggio 1924) e grazie ad essa il Cardinale
autorizzò P. Enrico Preti (Rettore di Piacenza) ad accettare nuovi seminaristi ed a riprendere le
ordinazioni. Il 17 ottobre 1924 P. Francesco Tirondola veniva nominato Pro-Rettore. Incaricò
inoltre Mons. Amleto Cicognani (Sostituto della Congregazione Concistoriale) a compiere una
visita delle posizioni negli USA (dal 27 agosto al 11 ottobre 1924)40. Il Cardinale De Lai preparò
anche un nuovo statuto (19 marzo 1925)41: Il rinnovamento passò anche attraverso una
ristrutturazione giuridica interna, lo sfoltimento delle fila degli “aggregati” o “avventizi” ed
un’amministrazione centralizzata e controllata direttamente dalla Congregazione Concistoriale,
che portò i suoi frutti, il primo dei quali fu la costruzione del seminario di Bassano del Grappa nel
1930 sotto la direzione del Cardinale Perosi, Prefetto della S. C. Concistoriale dal 1928 al 1930.
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Il 21 febbraio 1924 la Congregazione plenaria dei Cardinali prese in esame il rapporto di P. Cimino: “dopo lunga discussione,
rilevati gravissimi inconvenienti di ordine morale e amministrativo occorsi nell’Opera degli Scalabriniani”, formularono il
“parere” abbastanza negativo da presentare al Papa Pio XI. Le proposte furono modificate nella decisione della Santa Sede: le
modifiche volute dal Papa Pio XI, che conosceva ed ammirava Scalabrini, lasciavano continuare nella sua esistenza il
seminario di Piacenza, la Pia Società passò alle dirette dipendenze della S. C. Concistoriale. (Cfr. TERRAGNI, Giovanni,
Opera citata, pp. 87-111 – FRANCESCONI, Mario, Opera citata., vol. V, pp. 9-36).
Il testo del “Votum” della Congregazione plenaria è il seguente: “Non sarebbe prudente sopprimere l’Opera con un atto
pubblico: la “soppressione” verrà piano piano da sé. Sarà invece da emettersi un decreto nel quale si cominci col dire che
l’Opera di Mons. Scalabrini entra a far parte delle Opere di emigrazione dipendenti dalla S, C. Concistoriale e se ne dovrà
sopprimere la menzione speciale in “Gerarchia Cattolica”. Al P. Chenuil sarà da dire e ordinare che lasci l’ufficio di
Superiore generale e invece lo assumerà il Prelato d’emigrazione...”
Mons, Cicognani fece una relazione sostanzialmente positiva, fondata sul colloquio con tutti i missionari (circa una sessantina),
con i Vescovi e con alcuni fedeli tra i più rappresentativi: “da vicino si vedono tante cose che furono male riferite… Ora vedo
che la decisione degli Em.mi Padri di conservare l’Istituto è stata saggissima: ci sono elementi buoni, ottimi e più che utili per
l’assistenza agli italiani […] L’opera di Scalabrini in America ha prodotto un gran bene”, e consigliava che “nelle case
scalabriniane ci fossero soltanto Padri dell’Istituto”.
L’Istituto scalabriniano era definito come una “Società di uomini viventi in comune e alla maniera dei religiosi, sotto il governo
di determinati superiori e in conformità a Costituzioni regolarmente approvate, senza però legarsi con i tre soliti voti
pubblici”. Il vincolo era costituito da un “Giuramento di perseveranza”.
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La nomina del Card. Rossi a prefetto della Congregazione Concistoriale portò ulteriore impulso,
che ebbe come momento chiave la reintroduzione dei voti religiosi l’8 aprile 1934, a cui aderì la
quasi totalità dei membri42. Il 28 dicembre 1935 il Vescovo di Piacenza, Mons. Menzani, apriva
canonicamente il processo informativo sulla fama delle virtù eroiche del Servo di Dio Mons.
Scalabrini: il processo diocesano si protrasse per 185 sedute e si concluse il 29 febbraio 1940,
mentre nel frattempo furono raccolti gli scritti del Fondatore.
Con la reintroduzione dei Voti religiosi era necessario riformulare il regolamento della Pia Società:
lo stesso Cardinale si assunse l’onere di compilare le nuove Costituzioni, con un lavoro laborioso
che durò due anni. L’approvazione delle Costituzioni portava la data del 15 agosto 1936 e la
promulgazione ufficiale fu fatta nel collegio di Bassano del Grappa il 18 settembre 1936.
Nuovi seminari furono aperti negli Stati Uniti e in Brasile e la Congregazione, mentre iniziava la sua
espansione missionaria. In Brasile si trattò soprattutto di una stabilizzazione delle missioni, anche
per la mancanza di nuova immigrazione dall’Italia e negli Stati Uniti, dove i nuovi arrivi di immigrati
erano diminuiti sensibilmente (leggi restrizioniste del 1921 e del 1924), vennero lasciate alcune
parrocchie nazionali ed assunte altre. In effetti, nel periodo della crisi e della fragilità istituzionale,
come pure all’inizio della riorganizzazione e del rilancio, nelle presenza scalabriniane degli Stati
Uniti e del Brasile si venne verificando l’inserimento delle Parrocchie nazionali italiane e delle
colonie italiane nel tessuto vivo e vitale delle Chiese locali: esse, dovendosi occupare delle seconde
e terze generazione inculturate nelle società locali, furono portate ad ancorarsi nelle strutture
istituzionali delle Chiese e delle società, allentando i legami etnici e politici con la madrepatria, che
nel frattempo era dominata dal nazionalismo patriottico ed imperiale fascista. A differenza delle
missioni italiane dell’Opera Bonomelli, che verrà sciolta per le palesi e pesanti influenze
ideologiche fasciste e delle colonie tedesche in Brasile, fortemente legate alle organizzazioni ed ai
finanziamenti nazisti, le presenze scalabriniane, sostanzialmente autonome anche dal punto di
vista finanziario, rimasero lontane dal clima della propaganda fascista presso i connazionali e,
quindi, furono impegnate in un’adesione sempre più profonda, dal punto strutturale e culturale,
alle Chiesa ed alla società americana e brasiliana.
Ma le aperture missionarie si realizzarono anche in Europa, dove, dopo lo scioglimento dell’Opera
Bonomelli nel 192743, il Direttore dei missionari per gli Italiani d’Europa, Mons. Costantino Babini,
si rivolse agli scalabriniani per continuare la missione tra i migranti. La prima missione in Francia fu
nel 1936 e in Svizzera nel 1939. Nel 1940 si poteva anche realizzare la prima apertura in Argentina,
che dal 1876 al 1940 aveva assorbito quasi 3 milioni di immigrati italiani e nel 1941 vennero inviati
alcuni missionari in Germania, a seguito della manodopera italiana.
Grazie all’espansione vocazionale, la Congregazione sembrava ormai pronta a riprendere la
propria autonomia e rispondere alla nuova espansione migratoria: Il Cardinale Rossi alla fine della
guerra propose una autonomia giuridica “parziale”, attraverso la nomina di un Vicario generale
scalabriniano (P. Francesco Tirondola), mentre il 16 luglio 1946 nominava il consiglio generale per
42
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Con una lettera circolare (4 novembre 1933) il Cardinale Rossi invitava tutti i missionari a manifestare liberamente per iscritto la
loro scelta se professare i Voti religiosi perpetui oppure continuare con il Giuramento. Le risposte furono positive quasi
all’unanimità e il Cardinale riferì al Papa Pio XI il risultato dell’inchiesta: il Santo Padre approvò la reintroduzione dei Voti
semplici (temporanei e perpetui) di obbedienza, castità e povertà. La celebrazione solenne della reintroduzione dei voti religiosi
si svolse a Piacenza nella chiesa di San Carlo (Casa Madre) il giorno 8 aprile 1934 (Domenica in Albis).
L’Opera Bonomelli venne fondata a Cremona dal vescovo Geremia Bonomelli il 18 maggio 1900, con il titolo “Opera di
assistenza degli operai emigranti in Europa e nel Levante”. Cfr. CANNISTRARO, Philip, ROSOLI, Gianfausto, Emigrazione,
Chiesa e Fascismo, Lo scioglimento dell’Opera Bonomelli (1922-1928), Edizioni Studium, Roma, 1979
17
il sessennio 1946 –1952. Il Cardinale Anacleto Piazza, successore di Rossi (morto il 17 settembre
1948), convocava nel 1947 una riunione alla quale parteciparono i Provinciali, i Rettori dei
Seminari ed alcuni confratelli delegati dalla varie Province44.
I Seminari erano diventati l’elemento dinamico della ripresa della Congregazione45.
Il cardinale Piazza decise di dare l’autonomia giuridica alla Pia Società ed il 22 febbraio 1951
convocava il Capitolo generale per il 5 luglio 1951. Con il Capitolo Generale il Superiore generale
tornava ad essere un missionario scalabriniano: primo generale del nuovo ciclo fu P. Francesco
Prevedello (1951-1957), al quale successe P. Raffaele Larcher (1957-1963).
7. La dimensione internazionale della Congregazione
La vigorosa ripresa dell’emigrazione italiana degli anni 1950 e 1960 si riversava, oltre ai tradizionali
paesi europei, verso la Germania e l’Inghilterra. La progressiva liberalizzazione della legislazione
americana permetteva un aumento della quota annuale di immigrati italiani, in particolare per
motivi di ricongiungimento familiare, mentre si registrava un robusto flusso di manodopera verso
tre Paesi transoceanici, quali il Canada, il Venezuela e l’Australia (che si andò esaurendo negli anni
1960)46.
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Il primo atto di gestione autonoma fu la riunione straordinaria, che si tenne dal 10 al 17 settembre del 1947 a Bassano del Grappa
con la partecipazione dei quattro Superiori provinciali e dei tre Superiori delle Missioni sui juris (Immacolata Concezione –
Francia, Belgio e Lussemburgo; San Giuseppe – Argentina; San Raffaele – Svizzera) e dei Rettori dei seminari. In questa
importante riunione, anche se di carattere consultivo, si discusse sulla formazione, sugli studi, sul noviziato, sull’opportunità di
inviare alcuni chierici dai seminari dell’Italia, degli Stati Uniti e del Brasile a Roma per accedere ai gradi accademici
ecclesiastici per l’insegnamento nei seminari. Fu progettata la costruzione dei seminari di San Paolo, di Casca RS e di un altro
seminario nel Paranà. Fu deciso di intensificare l’invio di missionari in Europa e fu deciso che la Direzione generale avesse
stabile sede a Roma. Si resero necessarie alcune modifiche alle Costituzioni: la stabilizzazione dell’emigrazione italiana
imponeva un allargamento del fine anche ai discendenti degli emigrati. Le modifiche, approvate dal Pio XII, furono pubblicate
il 17 gennaio 1949 dal Cardinale Adeodato Piazza, nuovo Superiore generale, succeduto a Rossi (). Piazza decise di dare
l’autonomia giuridica alla Pia Società ed il 22 febbraio 1951 convocava il Capitolo generale della Pia Società per il 5 luglio
1951.
La ricostruzione della Congregazione scalabriniana ebbe come centro propulsore la Casa Madre. La visita apostolica di Mons.
Rossi a Piacenza segnò la svolta della vita della Congregazione: la scuola apostolica ebbe un forte incremento, anche grazie
alla sicurezza economica, tanto da procedere nel corso del 1926 ad una sua ristrutturazione (costruzione del convento per le
suore, trasformazione dei locali del secondo cortile ed allargamento della capienza nel primo chiostro. Il 15 novembre 1930
presso la Casa Madre riprese la pubblicazione della rivista trimestrale “L’Emigrato Italiano”45.
Si procedette all’apertura di nuova scuola apostolica: alla fine del 1929 il Cardinale Perosi, dopo aver autorizzato la compera di
un terreno a Bassano del Grappa, sollecitava l’intervento economico dei missionari, che risposero con generosità, tanto che
nel giugno 1930 fu inaugurata la prima ala del grande seminario (la seconda fu inaugurata nel mese di luglio del 1934).
La Casa generalizia di Roma, costruita nel 1922, nel 1932 diventava la sede per gli studenti che frequentavano le università
pontificie al fine di acquisire i titoli accademici per permettere una “teologia interna” a Piacenza. Nel 1938 la costruzione fu
ampliata, in modo da raddoppiarne la capienza, assicurando anche la presenza delle Suore Scalabriniane.
La fondazione del Seminario di Cermenate (situato a cinque chilometri da Fino Mornasco, paese natale del Fondatore), fu
opera dell’intraprendenza di P. Tirondola ed alla munificenza di Mons. O’Brien, Vescovo ausiliare di Chicago, che promise un
suo sostanziale contributo per un seminario scalabriniano, dietro l’assicurazione che si sarebbe chiamato Scalabrini-O’Brien.
Superate le riluttanze del Cardinale Rossi, il 4 ottobre 1939 fu comperata la Villa Clerici, dove confluirono alcuni seminaristi
da Bassano del Grappa, mentre fervevano i lavori per la costruzione della cappella che fu benedetta il 6 luglio 1939.
L’idea di costruire una casa apostolica per i figli degli emigrati italiani negli USA risaliva agli inizi della presenza
scalabriniana, ma solo nel 1935, con l’appoggio del Vescovo ausiliare di Chicago, Mons. William O’Brien, incominciò a
prendere corpo il progetto: con l’approvazione del Cardinale Rossi, si arrivò alla costruzione del seminario, dedicato al “Sacro
Cuore”, a Melrose Park (Chicago), inaugurata con grande festa di popolo (20.000 persone) il 9 maggio 1937.
L’idea di un seminario scalabriniano in Brasile era già stata ventilata dallo stesso P. Colbacchini, ma solo nel 1931, vista la
possibilità di tanti candidati tra i figli degli emigrati, si incominciarono ad elaborare varie ipotesi, che si concretizzarono nel
1936, quando si optò per la regione di Guaporé, dove erano collocate varie parrocchie scalabriniane: il seminario fu aperto il
28 febbraio 1939 con 27 seminaristi. Nello stesso anno venne costruita la casa per le suore scalabriniane che accudivano il
seminario.
La politica fascista aveva bloccato l’emigrazione, perseguendo i sogni di autarchia economica e dell’avventura coloniale, mentre
la mancata industrializzazione aveva costruito una riserva di manodopera concentrata sull’agricoltura (circa il 60% degli
18
La Chiesa coglieva l’importanza dell’aumento dei flussi migratori e Pio XII emanava nel 1952 la
Costituzione Apostolica Exsul Familia, nella quale, oltre alla tradizionale parrocchia nazionale,
veniva codificata, come struttura pastorale adeguata per il lavoro con i migranti, la missio cum
cura animarum. Anche la Chiesa italiana, prima attraverso l’Ufficio Centrale dell’Emigrazione
Italiana (UCEI) e successivamente attraverso la Migrantes, inviava sacerdoti per l’assistenza degli
italiani.
La Congregazione fu impegnata, fin dall’immediato dopoguerra, a organizzare la propria presenza
in Europa: con la costituzione della Provincia Immacolata Concezione si organizzava la presenza nel
mondo francofono (Francia, Belgio e Lussemburgo)47; un altro campo importante per le giovani
leve scalabriniane fu la consistente emigrazione in Svizzera e, successivamente in Germania: le due
nazioni vennero organizzate nella Provincia San Raffaele48; la costituzione della delegazione
generalizia Regina Mundi operava le prime aperture in Inghilterra49. L’Italia, che rimaneva alle
dipendenze dirette della Direzione generale, aveva il compito della formazione dei missionari e
furono aperti nuovi seminari a Rezzato (BS) nel 1947, a Loreto (AN) nel 1964, a Siponto (FG) nel
1967 ed a Carmiano (LE) nel 1974. Nel 1953 veniva assunta la direzione dei Cappellani di bordo e la
“Stella Maris” per i marittimi a Genova. Iniziava la costruzione del Collegio San Carlo per i figli degli
emigrati ad Osimo (AN) e nel 1971 iniziò la presenza scalabriniana in Calabria, terra di
emigrazione50.
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italiani). Alla fine della guerra l’Italia divenuta una Repubblica, iniziava una fase nuova della sua storia contrassegnata da forti
flussi migratori sia esterni che interni, caratterizzati dalla urbanizzazione, dagli spostamenti verso il triangolo industriale (Est ’Ovest e Sud – Nord): un complesso fenomeno che dal 1955 al 1970 coinvolge circa 25 milioni di italiani. L’emigrazione
italiana nel secondo dopoguerra (1946-1976) coinvolse quasi 7,5 milioni di emigrati, di cui più di 5 milioni verso i Paesi
europei, contro 4,3 milioni di rimpatri, con un saldo attivo emigratorio di 3 milioni (1,6 milioni con i Paesi extraeuropei e 1,4
milioni verso i Paesi europei). Il fenomeno migratorio interessò all’inizio in modo massiccio il Nord Italia, ma durante gli anni
’50, con l’inizio del decollo economico delle Regioni del Nord, si verificò lo scollamento con le Regioni del Sud ed il
fenomeno emigratorio italiano prende le connotazioni di un fenomeno sempre più meridionale 46. In particolare, l’emigrazione
italiana verso l’Europa conobbe una vera e propria esplosione nell’immediato dopoguerra (1946-1961), con la caratteristica di
una forte rotazione: essa si venne man mano stabilizzando a partire dagli anni ’60. Tali ondate migratorie interessano la
Francia, il Belgio, soprattutto nel bacino minerario della Vallonia, la Svizzera e, successivamente l’Inghilterra e la Germania.
Francia: Parigi (1936), Hayange (1942), Agen (1944), Herserange-Longwy (1946), Chambery e Grenoble (1947), Marsiglia
(1949), St. Maur-des-Fosses (1951), Paris Jean Goujon (1953), Fontenay-Trésigny (1955), Mulhouse (1957), Carrière-surSeine e Sin-le-Noble (1962), Lione (1965), Carrière-sur-Seine Missione portoghese e Haucourt (1967) Strasbutrgo (1970),
Avignone (1976), Metz (1977); Belgio: Quaregnon e Marchienne-au-Pont (1946), La Louvière (1947), Maurage (1951),
Peronnes-les-Binche (1952), Bruxelles (1981); Lussemburgo: Esch-sur-Alzette (1946), Lussemburgo (1970), Esch-sur-Alzette
Missione portoghese (1973); Portogallo: Amora (1971), Amora seminario (1980), Teloes (1983), Pardilhò (1989).
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 181-204
Svizzera: Ginevra (1939), Basilea (1946), Berna (1947) Rorschach e San Gallo (1952), Naters-Briga (1953), Soletta (1954),
Delémnont (1955), Liestal e Losanna (1962), Grenchen (1963), Friburgo e Gernafingen (1965), Friburgo seminario teologico
(1969), ; Germania: Cappellani del Frante del lavoro (1941) , Essen (1956), Duisburg e Oberhausen (1958), Colonia (1960),
Wuppertal (1961) Monaco (1963), Stoccarda - Bad Cannsatatt (1965), Bonn – Bad Godesberg (1966), Fellbach e Monaco Nord
(1967), Solingen (1973), Ludwigsburg (1978), Reutlingen (1981), Stoccarda Centro di Spiritualità (1982), Colonia
Scalabrinihaus (1986).
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 353-376
Bedford (1954), Peterborough (1957), Londra Centro Scalabrini (1966)
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 125-220
Arco e Rezzato (1947), Roma Direzione Pontificio Collegio emigrazione (1949), Roma Parrocchia SS. Redentore (1950),
Villabassa (1952), Genova Casa S. Raffaele (1954), Osimo Istituto S. Carlo (1959), Roma CSER (1963), Manfredonia e
Siponto (1966), Siponto Seminario (1968), Carmiano (1974), Roma seminario teologico Casilina (1976), Cinisello Balsamo e
Conidoni Favelloni (1977), Milano, Parrocchia migranti lingua inglese (1979), Milano Pinzano (1980), Farfengo Seminario
(1981), Roma ASPER (1984), Manerbio BS, Parrocchia del Carmine (1989)
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 229-254
19
Le due Province nord-americane furono obbligate a coordinare i loro sforzi di promozione
vocazionale e di formazione seminaristica, mentre l’arrivo di italiani immigrati portava negli USA
un nuovo slancio con la riorganizzazioni dell’azione pastorale per i nuovi arrivati (ACIM - Comitato
Italiano per l’Immigrazione Italiana ,nato nel 1952 a New York) e si apriva la sfida delle nuove
ondate migratorie italiane in Canada con uno sforzo rinnovato per l’apostolato per gli italiani in
ambedue le Province51.
Come risposta ai forti flussi migratori italiani dell’immediato dopo guerra si moltiplicarono le
presenze scalabriniane in Argentina e nel 1959 la presenza scalabriniana raggiunse la Capitale con
il santuario di Nostra Signora dei Migranti e con l’Apostolato del Mare (1965). La provincia San
Giuseppe fu incaricata del Cile a Santiago del Cile (1954). In Uruguay gli scalabriniani oltre ad
assumere l’Apostolato del Mare, davano vita ad un’opera sociale per anziani ed al centro pastorale
per gli italiani52.
La presenza scalabriniana in Venezuela ebbe inizio nel 1958: A Caracas con la scuola e la chiesa
dedicata alla Madonna di Pompei ed altre opere (completate nel 1969), Maracy nel 1961 e a
51
52
Nel 1937, cinquantesimo della fondazione della Congregazione scalabriniana, le presenze scalabriniane negli Stati Uniti e nel
Canada, aperte dal 1888 si erano moltiplicate, ed una cinquantina si esse si erano nel frattempo chiuse (indicate con un
asterisco): USA: New York S. Gioacchino (1888), Boston Sacro Cuore (1888). New Haven San Michele (1889), Pittsburg S.
Pietro8 (1889), Providence Spirito Santo (1889), Buffalo S, Antonio (1890), Cincinnati S. Cuore (1890), New York Prezioso
Sangue* (1890), Cleveland S. Rosario (1891), Kansas City S. Rosario (1891), New York Missione al porto* (1891), New York
Madonna di Pompei (1892), East Boston S. Lorenzo (1892), Syracuse San Pietro (1895), Utica BV Monte Carmelo (1896),
Detroit S. Francesco* (1897), Boston Assistenza al porto* (1898), Chicago Angelo custode e S. Maria Incoronata (1903),
Thornton S. Rocco (1903), New Haven S. Antonio (1904), Chicago S. Maria Addolorata (1905), Fredonia S. Antonio (1905),
Melrose Park S. Maria del Carmine (1905), Framingham S. Tarcisio (1907), Providence S. Bartolomeo (1907), Chicago S.
Antonio e S. Michele (1908), New York S. Giuseppe (1908), Chicago Madonna di Pompei (1911), Somerville S. Antonio
(1915), Bristol S. Maria del Carmine (1916). East Providence N. Signora di Loreto (1920), Milwaukee Madonna di Pompei
(1925), Chicago S. Callisto ( (1931), Chicago Seminario Sacro Cuore (1935); CANADA: Winnipeg S. Rosario* (1929).
Dall’albo delle presenze risultavano chiuse le presenze di S. Luis*, Tontitown*, Columbus, Monongah*, Bridgeport*,
Norwich*, New Orleans*, Oswego*, Cleveland*,Cortland*,Fairmont*, Newark*, Wintrop*, New Jersei*, Joliet* e Hamilton
(Canada).
Nel 1937 viene aperto il Seminario a Melrose Park. Seguono altre posizioni: USA: Chicago S. Francesca Saverio Cabrini
(1940), Eveleth Immacolata concezione (1941), Kansas City S. Giovanni Battista (1942), Milwaukee S. Rita (1942), Melrose
Park S. Carlo (1943), Providence Santa Croce (1949), Northlake Casa per anziani (1951), New York ACIM (1953), North
Kingstown Villa Scalabrini (1957), Stone Park Cappellania Federazione Cattolica Italiana (1958), Washington S. Rosario
(1960), Los Angeles S. Pietro (1961), San José Santa Croce (1961); Staten Island CMS (1964), New York Cappellania di
bordo (1965), Oak Park Casa provincializia (1966), Mitchellville Villa Rosa (1967), King City S. Giovanni (1968), New York
Casa del marinaio (1970), Stone Park Centro Culturale Italiano (1970), Los Angeles Settimanale Italo-americano (1971) San
Pedro Apostolato del mare (1971), Los Angeles Casa Italia (1972), Brooklyn S. Giuseppe (1978), Jamaica Casa S. Carlo
(1978), Los Angeles Villa Scalabrini (1978), Nyack Missione per gli Haitiani (1978). Newark S. Agostino (1980), Immokalee
Missione per gli Haitiani e gli ispano-americani (1985), Northlake Casa S. Carlo (1987), Delray Beach Casa estiva (1989),
Imperial S. Antonio (1989); CANADA: Hamilton Tutte le Anime (1953), Mississagua S. Caterina da Siena (1956), New
Westminster Spirito Santo (1956), Edmonton S. Maria Goretti (1957), Thornhill S. Pasquale Baylon (1957), Atikokan S.
Patrizio (1958), Baird S. Agostino (1959), Sarnia S. Pietro (1959), Montréal Madonna di Pompei (1960), Thunder Bay S.
Antonio (1960), Windsor S. Angela Merici (1060), Vancouver Madonna addolorata (1960), Lachine Missione dell’Annunciata
(1961), Vancouver N. Signora di Fatima per i portoghesi (1961), Montréal S. Elisabetta del Portogallo (1963), Toronto
Cappellania per gli italiani (1965), Thunder Bay S. Antonio (1969), La Salle Madre dei Cristiani (1972), Burnaby S. Elena
(1973), Hamilton S. Antonio (1975), Toronto S. Antonio (1977), Windsor S. Patrizio (1978), Calgary S. Andrea (1982),
Edmonton Madonna di Fatina per i portoghesi e S. Pio X per gli spagnoli (1982), Sarnia Apostolato del mare (1982), Montréal
S. Giovanni Bosco (1988).
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 257-344
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 47-77
20
Valencia, accanto alla cura pastorale per gli italiani (1974), venne assunta la pastorale per i
portoghesi (1978)53.
L’ondata migratoria italiana del dopoguerra impegnò la Congregazione in Australia a partire dal
1952: non essendo i Vescovi australiani propensi per un’assistenza specifica, si concepì la duplice
funzione di parroci territoriali e di missionari volanti con il supporto del “centro italiano” e la
fondazione di una struttura di tipo associativo laicale, quale la “Federazione Cattolica Italiana”.
Man mano che procedeva l’invecchiamento degli emigrati, nella seconda metà degli anni ‘70 ,
sorsero i primi villaggi per anziani 54.
Le due Province del Brasile furono costrette a coordinare una strategia comune in particolare per il
noviziato e la teologia (il Seminario Joao XXIII nel 1964). Le posizioni pastorali erano costituite da
parrocchie territoriali locali (allargamento del fine ai discendenti degli emigrati). Ma i missionari
brasiliani si sentirono ben presto coinvolti nei fenomeni sociali e migratori che alla fine degli anni
’60 investirono la nazione: le migrazioni interne toccavano nel 1970 circa 30 milioni di persone. Se,
da una parte, si assisteva allo spostamento di coloni di origine italiana verso nuove terre, dall’altra,
iniziava il fenomeno dell’urbanizzazione verso le metropoli, mentre si verificava lo spostamento di
popolazioni verso le nuove frontiere della colonizzazione (Mato Grosso e Amazzonia) ed il
costituirsi di un popolo di migranti “senza terra” e di braccianti agricoli, sottoposti ad un vero e
proprio sfruttamento.
La Provincia di San Paolo, consolidate alcune posizioni, allargò la sua azione alle migrazione
interne delle seconde e terze generazioni dei coloni italiani verso lo stato del Paranà ed assunse
anche alcune posizioni a Rio de Janeiro (1957-1960), mentre collaborava con la Provincia di San
Pietro per la posizione nella nuova Capitale federale, Brasilia (1974) e nello Stato del Parà (1973).
Nel 1970 si assunse l’assistenza al porto di Santos e veniva fondato a San Paolo il Centro Studi
(1969) con il “Progetto Scalabrini” per lo studio delle migrazioni interne55.
Nella provincia San Pietro le parrocchie territoriali costituivano un serbatoio vocazionale. Le
migrazioni interne delle seconde e terne generazioni verso gli Stati di Santa Caterina e del Paranà
davano un nuovo sbocco missionario, con la costruzione di una rete di presenze. I coloni si
diressero anche nel Paraguay, seguiti dagli scalabriniani, che, a metà degli anni ’70, oltre alla
presenza pastorale, iniziarono anche la promozione vocazionale. Per l’emigrazione italiana recente
e per le nuove migrazioni fu fondato nel 1963 a Porto Alegre il CIBAI (Centro Italo Brasileiro
Assistencia Imigrantes) e la Parrocchia personale per gli italiani (1963) 56.
53
54
55
56
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 293-305
La prima presenza scalabriniana, grazie a missionari provenienti dagli Stati Uniti, fu nello Stato NSW: a Unanderra (1952) in
previsione di arrivare ad Wollongong (1955), e successivamente consolidavano la loro presenza a Newcastle (1956), Sydney
(1957), Lismore (1958 e 1960), Hamilton (1958). Impiantarono una loro presenza nel Queesland (Silkwood) ed in Tasmania
(Hobar (1957) e Lauceston (1965). Nello stato di Victoria gli scalabriniani iniziarono a Melbourne Fitzroy (1959) per poi
consolidarsi a Shepparton (1962), a Red Cliffs (1963), Dee Why (1965), Lalor (1970), Melbourne (1976), North Fitzroy
(1968), Liverpool (1976). Presenze scalabriniana sono a New Castle (1960) a ad Adelaide (1961), West Preston (1979),
Brisbane (1981). Nel 1960 viene fondata a Melbourne la Federazione Cattolica Italiana. Data la mobilità degli italiani, la
presenza scalabriniana in Australia conobbe una mobilità abbastanza accentuata a Sidney e a Morang. Tra i villaggi per anziani
si segnalano: Austral (1974), Soth Morang (1978)
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 81-102.
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 105-136
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 139-166
21
Lo sviluppo progressivo dell’economia in Italia a partire da metà degli anni 1950, accelerato dalla
appartenenza alla neonata Comunità Economia Europea (CEE), portava al progressivo esaurimento
dell’emigrazione dall’Italia. La stasi dell’emigrazione italiana generava un certo immobilismo nelle
presenze missionarie, avvertito soprattutto nelle aree di più antica presenza, come gli Stati Uniti e
il Brasile57. Di conseguenza, il Capitolo generale del 1963 eleggeva come Superiore generale P.
Giulivo Tessarollo ed avviava il processo per l’allargamento del fine della Congregazione non solo
ai migranti italiani, ma a tutti i migranti. L’allargamento del fine, che manteneva la componente
etnica, veniva approvato da quasi la totalità dei religiosi nel 196658. Contemporaneamente, veniva
avviata la preparazione del Capitolo speciale, per adeguare le regole dell’istituto allo spirito del
Concilio Vaticano II59, nel quale veniva eletto come Superiore generale P. Renato Bolzoni (19691974).
Le nuove regole emerse dal Capitolo che si concluse nel 1972 spostano definitivamente il fine della
Congregazione dal fattore “nazionalità” al fattore “migrazione”: “Il mondo al quale siamo stati
chiamati ad annunciare il mistero della salvezza è quello dei migranti” (Regole di Vita, 1),
confermando “la scelta preferenziale , fra i destinatari della nostra missione, per i migranti che più
acutamente vivono il dramma della migrazione” (Regole di Vita, 5). L’apertura del fine della
Congregazione al migrante, il rinnovamento conciliare e la globalizzazione delle migrazioni, che a
partire dagli anni 1970 vedevano coinvolte tutte le aree del mondo, portarono alla progressiva
accentuazione della dimensione internazionale della Congregazione, tanto nel servizio ai migranti
come nell’origine etnica dei suoi membri.
Con il Superiore generale P. Giovani Simonetto (1974-1980) si verifica una nuova spinta
missionaria con nuove aperture pastorali60. Alcune parrocchie, soprattutto negli USA, diventavano
57
58
59
60
Il Capitolo generale del 1957 prendeva atto di questo disagio e lanciava una timida apertura verso posizioni pastorali ed opere
“che non siano direttamente per gli italiani”.
La Congregazione, al seguito dell’emigrazione italiana, si stava espandendo geograficamente, ma, già negli anni ’50, si
incominciava a percepire un disagio crescente tra i missionari formatisi negli Stati Uniti e particolarmente in Brasile: alle nuove
leve nordamericane e brasiliane il “fine” della Congregazione (“gli italiani emigrati”) risultava stretto, anche nell’apertura ai
“discendenti” sancita nelle Costituzioni del 1948. Nelle posizioni “storiche” del Nord America e del Brasile si notava un certo
immobilismo sulle posizioni acquisite, mentre, si assisteva alle nuove emigrazioni dall’America latina verso il Nord ed alle
migrazioni andine e brasiliane nell’America del Sud. Il Capitolo generale del 1957 prendeva atto di questo disagio interno, ma
solo nel Capitolo del 1963 si è giunti ad un allargamento “etnico” del fine. Una specifica commissione post capitolare giunse
alla seguente formulazione: “Fine della Congregazione è… la santificazione dei suoi membri mediante l’osservanza dei tre voti
[...]; tale fine la Congregazione scalabriniana attua… attraverso l’apostolato diretto e indiretto a favore degli emigrati italiani,
dei loro discendenti e di tutti coloro che in qualsiasi nazione e per qualsiasi movimento migratorio presentino analoghe
esigenze apostoliche”.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II aveva aperto una nuova stagione ecclesiale, maggiormente attenta ai “segni dei tempi”, ad un
rinnovamento partecipativo dei fedeli e ad un impegno della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il Superiore generale, P.
Giulivo Tessarollo, mentre favoriva la prima timida apertura e cercava di costruire a Roma la sede per una “teologia
internazionale unica”, preparava il Capitolo speciale per adeguare la vita interna e l’azione esterna secondo lo spirito conciliare.
La nuova formulazione del “fine della Congregazione” spostava definitivamente l’attenzione dal fattore “nazionalità” al fattore
“emigrazione”: “Il mondo, al quale siamo stati chiamati ad annunciare il mistero della salvezza, è quello dei migranti. Per
compiere la nostra missione condividiamo la loro stessa vita e la vicenda migratoria […] Il mondo dell’emigrazione presenta
una grande
Il Capitolo generale del 1974, celebrato a San Paolo in Brasile, risentiva di tutte le difficoltà del momento: l’interiorizzazione del
fine “nuovo” della Congregazione e delle nuove Regole di Vita, i conflitte generazionali interni, la crisi vocazionale in atto in
Italia, le lentezza nell’adeguarsi e nel rispondere alle nuove sfide migratorie, quale le migrazioni interne in Brasile ed i flussi
migratori dei latino-americani negli USA, le innovazioni conciliari e il concitato periodo postconciliare, i nuovi approcci
teologico-pastorali della teologia della liberazione.
22
internazionali di fatto a causa dell’avvicendamento delle ondate migratorie; si aprirono posizioni
nuove per altre etnie migratorie, come i portoghesi: con l’aiuto di missionari provenienti dal
Brasile, si incominciò ad assistere l’emigrazione portoghese in Francia, in Lussemburgo ed in
Canada, e si iniziò la presenza scalabriniana in Portogallo (1971). In Argentina si intraprese una
pastorale specifica per gli immigrati della regione andina e del Cile. Negli Stati Uniti iniziò la
pastorale per i portoricani (1974), per i latinos (messicani in particolare) e per gli haitiani; iniziò la
presenza per i desplazados della Colombia (1979) ed in Italia, in piena crisi vocazionale, si
incominciò ad aprirsi al fenomeno nuovo dell’immigrazione (la pastorale per i migranti di lingua
inglese a Milano nel 1979)61.
Con i due mandati come Superiore generale di P. Sisto Caccia (1980-1992) l’internazionalizzazione
delle posizioni missionarie e del personale conobbe un’accelerazione ed un nuovo impulso, con la
presenza in Asia a partire dal 1982 ed in Africa dal 1994, con l’assunzione della pastorale dei
latinos negli Stati Uniti e nel Canada, la riorganizzazione del lavoro missionario grazie
all’abbandono di parrocchie tradizionali e l’assunzione di parrocchie multiculturali, e attraverso
formule nuove come cappellanie per migranti, le case dei i migranti che nacqueso nelle frontiere
“calde” tra Messico e Stati Uniti , accentuando la risposta scalabriniana ai migranti che più
acutamente vivono la realtà migratoria, con la presenza nelle periferie urbane, nei punti di
passaggio alle frontiere e nei poli di attrazione migratoria. In questo contesto la proposta
vocazionale trovò risposta in nuovi Paesi di emigrazione, come il Messico, la Colombia, il
Portogallo, le Filippine e, negli ultimi anni, quali l’Indonesia, il Vietnam, il Sud Africa, portando al
progressivo aumento della molteplicità di origini etniche tra i membri della Congregazione62.
La partecipazione al dibattito sulle scelte missionarie per rispondere ai bisogni dei migranti è stato
condotto attraverso centri di studio e di ricerca, con riviste specializzate, che diedero un forte
contributo anche nella riflessione sulle politiche migratorie. Dal primo centro, il CSER a Roma
(1963), si sono aggiunti nel 1964 il CMS di New York, nel 1969 il CEM di San Paolo, nel 1973 lo
CSERPE di Basilea, nel 1975 il CIEMI di Parigi, e infine il CEMLA di Buenos Aires (1985) e lo SMC di
Manila (1987). La Congregazione diventava cosciente che, mentre continuava ad esercitare una
pastorale diretta per i migranti, era chiamata ad accentuare l’opera di sensibilizzazione della
società e della Chiesa locale e iniziare una scelta di presenze sempre più esemplari, significative ed
incisive. Il lavoro di quegli anni trovò il suo momento di dibattito collettivo e di confronto nel
Convegno Pastorale di Piacenza (9-19 giugno), che concludeva i dodici anni del generalato di P.
Sisto Caccia63.
61
62
63
Cfr. FRANCESCONI, Mario, Opera citata, vol. VI, pp. 12-37.
Per questo si decise di lanciare la promozione vocazionale nei Paesi di provenienza dei nuovi flussi migratori: apertura di
seminari in Messico (1980), Filippine (1982), Colombia (1985) e Argentina (1986). Nella formazione, oltre
all’internazionalizzazione delle teologie, si insistette per formare i nuovi candidati ad uno spirito missionario che superasse le
etnie di appartenenza.
Nel Convegno di Piacenza confluirono i contributi di vari missionari scalabriniani: dalle riflessioni storiche sulla visione di
Scalabrini e dei primi missionari scalabriniani (Gianfausto Rosoli, Redovino Rizzardo, Luigi Taravella), alle linee maestre
della pastorale scalabriniana nel Nord-Americo, Centro-America, America latina, Asia ed Europa (Lidio Tomasi, Roviglio
Guizzardi, Claudio Ambrosio, Antonio Paganoni, Eliseo Marchiori), alla elaborazione scalabriniana degli anni ’80 nei suoi
ordinamenti (Velasio De Paolis, Francisco Bernardi, Adriano Pittarello, Mario Toffari), alle sfide dei diritti umani, della
liberazione, dell’inculturazione, dell’intercultura, dell’universalismo e dell’ecclesialità (Graziano Battistella, Hermilo Pretto,
Jacir Braido, Antonio Perotti, Giacomo Danesi, Luigi Canesso), ai “volti dei migrati” (Mario Tessarotto, Luis Baseggio, Luigi
23
8. All’inizio del terzo millennio: a fenomeno nuovi, organismi nuovi:
Alle soglie del terzo millennio, le migrazioni economiche e le migrazioni forzate (profughi, sfollati e
rifugiati) coinvolgono un “popolo di poveri” di quasi 250 milioni di migranti internazionali che
rendendo evidente il divario tra Nord e Sud del mondo, mentre circa 750 milioni di persone sono
coinvolte negli spostamenti interni ai continenti ed agli Stati, segno evidente degli squilibri
regionali.64.
Da parte sua, la Congregazione scalabriniana risultava sempre più plurietnica e multiculturale,
stimolata, quindi, a compiere un vero e proprio processo di comunione interculturale prima di
tutto nel suo interno.
Alla ricerca di un collante interno, nel 1966 il Superiore generale, P. Luigi Favero (1992-2000),
indiceva il “Convegno sulla spiritualità scalabriniana” (Roma-Piacenza 8-17 settembre 1996): la
riscoperta della figura e del carisma del Fondatore stava operando un ritorno alle “origini”, per
una fedeltà creativa che non si sbriciolasse nelle situazioni migratorie locali e nazionali e nelle
interpretazioni delle singole etnie65. Il Convegno vedeva riuniti 95 persone: per la prima volta,
accanto ai missionari scalabriniani delegati delle varie Province, era presente una rappresentanza
delle Suore Missionarie di San Carlo e delle Missionarie Secolari scalabriniane ed un nutrito gruppo
di Laici, i quali offrivano il “prezioso contributo della loro secolarità e del loro specifico servizio”. P.
Favero così sintetizzava questo momento kairologico: “Torna attualissima l’affermazione di
Scalabrini: ‘In Cristo (Dio Padre) abbraccia tutto, anche il corpo, anche la carne, anche l’anima. Ora
noi siamo quella carne, quelle ossa… anzi lo stesso Figliuolo di Dio che i estende in noi’. Figlie e figli
di questa passione del Fondatore per l’unica carne di Cristo, che vedeva ignuda, maltrattata,
64
65
Sabbadin, Domenico Ceresoli, Antenor Dalla Vecchia) ed alle riflessioni teologico pastorali (Innocenzo Cardellini, Angelo
Negrini, Benito Gallo, Gabriele Bortolamai). Interessante era l’Appendice, preparata da P. Graziano Tassello (pp.453-506), dal
titolo. Indagine preliminare per una bibliografia ragionata degli scritti degli scalabriniani”, che segnalava la vivace
produzione letteraria degli Scalabriniani, spesso poco pubblicizzata, che mostrava uno spaccato dell’impegno intellettuale e di
riflessione di questi anni per altro molto fecondi.
Cfr. AA.VV., Missionarietà scalabriniana – Documenti di lavoro per il Convegno pastorale - Piacenza. 9-19 giugno 1991, pp.
51-118, Direzione generale, Roma 1992.
L’America del Nord rimane il principale polo di attrazione, ma si stanno sviluppando nuove direttive migratorie in Asia (Hong
Kong, Giappone, Corea, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, i Paesi emergenti asiatici), dove si assiste ad un’emigrazione
temporanea e priva di tutele giuridiche. Grandi Paesi come la Cina e l’India conoscono un grande sviluppo economico, che
comporta migrazioni interne ed esterne, mentre si allunga la lista della “Paesi emergenti”. L’Africa, oggetto degli interessi
neocolonialisti, e marcata da un difficile processo di decolonizzazione, stenta a trovare una sua propria via allo sviluppo. Il
processo di integrazione europea ha portato i membri dell’Unione a diventare Paesi di immigrazione.
Come sottolineava la Premessa degli Atti del Convegno, esso ha costituito il punto di arrivo di un “cammino iniziata molto
tempo prima in maniera spesso silenziosa, ma estremamente proficua, e che ha visto in pochi anni il moltiplicarsi di studi su
Scalabrini, la pubblicazione di varie opere tra cui l’Opera omnia ad uso interno, l’antologia “Una voce viva” (1987) e la
raccolta delle Lettere Pastorali (1994), la diffusione capillare da parte della Postulazione generale dei Missionari Scalabriniani
di sussidi sulla vita e sugli scritti del Vescovo comasco”. Non bisogna dimenticare la poderosa documentazione sulle tematiche
inerenti la spiritualità scalabriniana, raccolta da P. Graziano Tassello e messa i disposizione dei convegnisti nel periodo
immediatamente precedente il Convegno. “Giovanni Battista Scalabrini, rimasto per tanto tempo come straniero in mezzo a
noi, è finalmente divenuto l’ispiratore e il padre di tutti ed il suo messaggio non conosce confini”. Il Convegno “non costituisce
la tappa finale di un cammino di ricerca sulla spiritualità di Giovanni Battista Scalabrini e dei primi missionari, ma una
dichiarazione di intenti a conformarsi agli ideali scalabriniani da parte di coloro che sono debitori di questa spiritualità
specifica”. Cfr. Spiritualità Scalabriniana – Atti del Convegno internazionale Roma-Piacenza (8-17 settembre 1996),
Direzione Generale dei Missionari Scalabriniani, Roma 1996.
24
sfruttata e venduta nel povero e nel migrante, chiediamo per sua intercessione quella ‘fedeltà
creativa’ che ci aiuti in questi giorni a risollevare lo sguardo dal volto sfigurato di Cristo che
vediamo e serviamo nel fratello migrante, per fissare sul Monte il volto trasfigurato di Cristo, che ci
ha chiamati e ci chiama a ‘nulla assolutamente anteporre a Lui’”66.
Se, alla ricerca di un “collante interno”, l’attualizzazione della spiritualità di Scalabrini diventava un
passaggio obbligato, la sua beatificazione (Roma, 9 novembre 1997) diede un forte contributo a
questo momento “magico” di identificazione all’interno della Congregazione67. Veniva istituito
66
67
Spiritualità Scalabriniana, Introduzione, Opera citata, pp.7-8.
Nel Convegno sono risuonate alcune testimonianze significative: Emigrazione, diversità culturale e fede (Sauro Antonelli),
Piccole stazioni di Milano (Alfredo Gonçalves), Sulle strade dell’Esodo (Christiane Lubos), Vivere a fianco degli scalabriniani
(Anrico Parolin), Scalabrini ha segnato la mia vita (Ermelinda Pettenon), Mettersi in cammino (Martha Roldan), Lo spirito del
Fondatore non conosce frontiere (Yves-Michel Touzin). Sono state proposte relazioni importanti: Al cuore della spiritualità e
della cultura: “tu sei” (Maria Campatelli), La spiritualità al tempo di Scalabrini (Don Cataldo Naro), La spiritualità di Mons.
Giovani Battista Scalabrini, Vescovo e Fondatore (Mons. Lawrence Sabatini), La spiritualità degli Scalabriniani in America del
Sud (Redovino Rizzardo), La spiritualità degli scalabriniani in Nord America (Gino Dal Piaz), La spiritualità degi scalabriniani
in Europa (Benito Gallo)La spiritualità degli scalabriniani in Australia e Asia (Giuseppe Visentin).
Il Convegno di Spiritualità scalabriniana è stato ripetuto a livello continentale. Per l’Europa esso è stato celebrato a Piacenza
(26-30 dicembre 1997) con la partecipazione di 102 partecipanti (missionari scalabriniani, suore scalabriniane, missionarie
secolari ed una folta rappresentanza di laici). Nel Convegno europeo sosta state presentate alcune testimonianze: Servir une
ethnie – rencontrer au-delà (Francesco Danese), Dal fare scalabriniano all’essere scalabriniano (Beniamino Rossi), La cultura
del cuore: da donna a donna (Etra Modica), Esperienza interculturale con gli ultimi (Beatrice Panaro), La kenosi in
emigrazione: “Tu non sei”. Dall’emarginazione alla com-mozione (Walter Schaeppi), Ho incontrato Scalabrini nella mia vita
(Kwame Osei-Sraha – Felicia Bonsu). Sono state presentate anche alcune relazioni: Dinamiche migratorie in Europa: tendenze
e prospettive (Lorenzo Prencipe), La cultura del riconoscimento (Marko Ivan Rupnik), L’esodo della fede e dell’amore (Marko
Ivan Rupnik), Spunti scalabriniani (Stelio Fongaro) ed alcune meditazioni: La comunione dell’Amore (Valentino Maraldi),
L’incarnazione di Cristo, uomo, straniero e ospite (Gabriele Bentoglio), La nuova creazione nello Spirito (Giacomo Tolfo).
Importanti sono stati i “gruppi di studio” sulle seguenti tematiche: Dalla vecchia emigrazione alle nuove migrazioni - la
spiritualità dell’esodo; L’Europa fortezza – la spiritualità dell’accoglienza; La cultura della non-relazione – la spiritualità del
riconoscimento; Chiesa e migrazioni – la comunità religiosa scalabriniana – icona della comunione. P. Luigi Favero
concludeva il Convegno con queste parole ispirate: “Sulla soglia del terzo millennio, per noi, eredi di Scalabrini. Che vedeva la
riconciliazione e, quindi, la comunione come il termine finale del grande progetto del Padre, il mondo nn può mai essere il
luogo della maledizione, della condanna: diventa, invece, l’oggetto dell’amore impaziente del Padre che, attraverso la fedeltà
e la creatività dei suoi figli, anticipa i segni del Regno proprio là dove la notte sembra prolungare le tenebre e i dolori del
parto e dove il seme del Maligno non è ancora stato vinto. Il desiderio ardente di Cristo di spezzare il pane del suo corpo per
saziare la fame dei fratelli diventa allora l’impazienza di entrare nel deserto, nelle frontiere, nelle periferie del mondo (che
oggi i flussi migratori hanno fatti convergere nei vari “centri” del mondo) per essere solidali con quanti sperimentano questo
tempo non come kairòs, come grazia, ma come esclusione, sfruttamento, condanna, morte. Lo spirito di Scalabrini, uomo senza
misura libero e obbediente senza misura, ci aiuti in questa spinta a disinstallarci e a rimetterci in marcia verso le periferie, a
non essere il ricorso facile per risolvere i problemi pastorali ordinari né a sentirci comodi in tali posizioni, ma a diventare
veramente testimonianza evangelica, denuncia, annuncio e anticipo di comunione sulle frontiere della missione” (p.182). Cfr.
Spiritualità scalabriniana – Atti del Convegno Europeo – Piacenza 26-30 dicembre 1997, CSER, Roma 1998
La figura di Scalabrini, a partire dal 1934 è stata illustrata attraverso varie pubblicazioni: GREGORI, Francesco, La vita e
l’opera di un grande Vescovo, Mons. Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), L.I.C.E. – Roberto Berruti, Torino, 1934;
FELICI, Icilio, G. B. Scalabrini, Vescovo insigne, Padre degli emigrati, Casa Editrice Nuova Massimo, Monza, 1954;
FRANCESCONI, Mario, Il servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, padre degli emigrati – Profilo biografico e spiritualità,
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25
l’Istituto Storico Scalabriniano, diretto da P. Antonio Perotti, che dava un nuovo impulso agli studi
sulla figura di Scalabrini e die primi Missionari e sull’onda di questa nuova ricerca veniva celebrato
i vari centenari scalabriniani: quello della visita di Scalabrini negli USA (2001) ed in Brasile (2004), e
quello della morte (2005)68.
La ristrutturazione interna della Congregazione è stata vista prima di tutto nelle centralità delle
comunità religiosa locale: le comunità scalabriniane multiculturali e multietniche, sono ripensate
come il “luogo” dove elaborare e vivere la “comunione delle diversità”, tipica della realtà
migratorie; la riscoperta dei dinamismi della comunicazione, condivisione, compartecipazione e
con-decisione, tipici di una “vita fraterna in comunità”, con la riaffermazione del ruolo pastorale
del superiore locale; ogni comunità è stata sollecitata a considerarsi come una “comunità
progetto”), cioè come testimonianza concreta di comunione per le comunità cristiane e per la
società, e così diventare una “comunità che progetta” il suo servizio alla Chiesa ed alla società
locali69. Il concetto di “progetto” implicava la centralità della programmazione e della
partecipazione nei vali livelli della Congregazione e, nel contempo una ristrutturazione con la
creazione di “Regioni” missionarie, più adatte alla globalizzazione dei fenomeni migratori: al
processo, iniziato nel 1996, rispondevano le tre Provincie europee, che dal Capitolo del 1998 si
costituivano un una unità giuridica. Punto di partenza in questo processo è stata la “formazione”
sia iniziale che permanente: il Capitolo lanciava il “mese di formazione permanente scalabriniana”
a Piacenza ed impegnava la Congregazione a riformulare il “Progetto Generale della Formazione
Scalabriniana”70. Come strumento privilegiato di formazione alla pastorale migratoria è stato
fondato a Roma lo Scalabrini International Migration Institute (SIMI): la sensibilizzazione ecclesiale
sulle tematiche migratorie è stata concepita principalmente per costruire ed offrire una
formazione unitaria e specificatamente carismatica ai missionari scalabriniani71.
68
69
70
71
dell’Opera di Giovanni Battista Scalabrini, People on the Move (December 1997), Vaticano 1997; BORZOMATI, Pietro,
Giovanni Battista Scalabrini, Il vescovo degli emarginati, Rubettino, Catanzaro 1997; PEROTTI, Antonio, L’Eglise et les
migrations – un précurseur, Giovanni Battista Scalabrini, CIEMI l’Harmattan, Paris, 1997; ZANINI, Roberto Italo, Della
stessa forza di Dio – Scalabrini un vescovo negli anni difficili dell’Ottocento, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano),
2011
Cfr. PAROLIN, Gaetano, LOVATIN, Agostino, L’Ecclesiologia di Scalabrini – Atti del convegno Storico Internazionale
(Piacenza 9-12 novembre 2005), Istituto Storico Scalabriniano, Urbaniana University Press, Roma, 2007.
Nel XI Capitolo generale (1998) questa nuova cosceinza viene così espressa: “È proprio nel costituirci comunità di fratelli che
diventiamo annunciatori del progetto di Dio di riunificare tutti i suoi figli dispersi. Come comunità scalabriniana inviata al
mondo della dispersione, siamo chiamati a vivere il legame della fraternità… Il carisma, così, cresce e si sviluppa all’interno
di comunità che diventano sempre più un progetto vivente… La comunità è segno profetico di fronte ai migranti nella misura
in cui è spazio di confronto, di apertura, di cambiamento” (Capitolo XI, n.6).
Nel corso del generalato di P. Isaia Birollo, succeduto nel 2001 a P. Luigi Favero, è stato approntato il “Progetto generale della
formazione scalabriniana” dal titolo “DISCEPOLI DI GESÙ SULLE ORME DI SCALABRINI”, Congregazione dei Missionari
di San Carlo – Scalabriniano, Roma, 2006. Per quanto concerne la formazione iniziale, viene ribadita l’importanza
fondamentale di uno “sguardo a Scalabrini e alla realtà della Congregazione” (pp. 20-22 – nn.3-8); nel secondo capitolo viene
presentata “l’identità dello scalabriniano: principio e fine della formazione” (pp. 37-54 – nn.39-80); nel terzo capitolo vengono
sviluppate “le dimensioni della formazione scalabriniana: valori ed atteggiamenti”, nelle varie articolazioni formative: la
“dimensione umana scalabriniana” (pp. 58-71 – nn,90-126), la “dimensione spirituale scalabriniana” (pp. 72-91 – nn.127-161),
la “dimensione della vita religiosa scalabriniana” (pp. 92-106 – nn.162-181), la “dimensione della formazione intellettuale
scalabriniana” (pp. 107-127 – nn.182-224), la “dimensione della formazione apostolica secondo il carisma scalabriniano” (pp.
128-141 – nn.228-253). La formazione permanente scalabriniana viene sviluppata nel decimo capitolo (pp. 367-391 – nn.863926). Si tratta di un “manuale” corposo, che risulta prezioso, anche perché frutto di una elaborazione pluriennale che ha
coinvolto nella sua preparazione e stesura, tanti confratelli.
Il SIMI, in quanto istituto accademico di teologia sulla mobilità umana, incorporato nella Pontificio Università Urbaniana, oltre
alla formazione, ha prodotto periodicamente i “Quaderni SIMI”: BATTISTELLA, Graziano (a cura di), Migrazioni e diritti
umani, Urbaniana University Press, Roma, 2004; DE PAOLIS, Velasio, Chiesa e migrazioni, Urbaniana University Press,
Roma, 2005; BATTISTELLA, Graziano (a cura di), La Missione viene a noi – in margine all’Istruzione Erga migrantes
caritas Christi, Urbaniana University Press, Roma, 2005; BENTOGLIO, Gabriele, Mio padre era un arameo errante – temi di
teologia biblica sulla mobilità umana, Urbaniana University Press, Roma, 2006; CAMPESE, Gioacchino, GROODY, Daniel (a
26
In questo contesto si è verificato il lancio del “laicato scalabriniano”, che diventava una
componente “scalabriniana” nuova, soprattutto nel campo dell’assistenza migratoria e della
cultura.
Il XII Capitolo generale del 2001, nel quale venne eletto come Superiore generale P. Isaia Birollo, rilevava,
“la bruciante attualità del nostro carisma” che metteva la Congregazione “al centro della missione della
Chiesa” (n. 10). Le Chiese locali stavano prendendo coscienza che i migranti erano “strutturali” alle Chiese
locali stesse: la presenza dei migranti costituiva una “provocazione alla cattolicità” e le Chiese stavano
assumendo l’attenzione verso i migranti come parte integrante e “normale” della pastorale. Nella società
civile sono sorti movimenti ed iniziative sociali, culturali e politiche in favore dei migranti, per la loro difesa
ed il loro inserimento nella società. La Congregazione era, quindi, sollecitata ad un ripensamento sul suo
inserimento e sul suo servizio nella Chiesa e nella società locali. Nel Convegno su “Migrazioni e modelli di
pastorale”, svoltosi in occasione del Centenario della morte di Scalabrini, sono emerse le sfide migratorie a
livello planetario, le migrazioni forzate e le politiche sempre più restrittive: stanno nascendo società
multietniche, multiculturali e plurireligiose, chiamate ad affrontare la sfida dell’interculturalismo e del
dialogo interreligioso. Gli scalabriniani sono portati a cogliere che “l’evangelizzazione dei migranti non può
rimanere disgiunta dal combattere e superare l’attuale ordine mondiale e rincorrere l’utopia di un nuovo
ordine mondiale” e ad affrontare il futuro con tanti “compagni di viaggio”, “donne ed uomini di buona
volontà, schierati in difesa dei migranti ed impegnati nella loro promozione”. Da qui la necessità di
“ridisegnare la mappa delle nostre posizioni pastorali, quando siano sfasate rispetto ai flussi migratori”,
rendendo flessibile le strutture di governo “per rispondere ad una migrazione sempre più mobile e
diversificata”. Come impegno specifico sono invitati a privilegiare il dramma degli immigrati irregolari ed
azioni specifiche in favorire delle donne immigrate, anche attraverso lo strumento di una ONG scalabriniana
(SIMN - Scalabrini International Migration Network) con funzione di lobbying, advocacy e fund raising. Il
Convegno individuava, infine, tre specifici aree geografiche d’azione: una presenza esemplare nell’area del
Mediterraneo, nella cordigliera delle Ande e nel Pacifico, tre punti nevralgici dei flussi migratori odierni72.
I progetti missionari locali andavano ripensati in prospettiva continentale, approntando organismi e
strumenti che incidessero sui nodi culturali e politici che ostacolano l’inserimento dei migranti. A livello
ecclesiale la Congregazione era impegnata in un’azione sensibilizzazione per il superamento della
concezione localista delle Chiese locali: esse hanno difficoltà a diventare “cattoliche”, cioè universali a tutti
gli effetti, superando i connotati etnico culturali locali della nazione e della cultura dominante. A livello di
società civile diventa urgente unire tutti gli “uomini di buon volere”, per combattere la xenofobia e
superare le identità nazionali chiuse (le “identità contro”): promuovere una rivoluzione culturale verso la
cultura della mondialità e dell’alterità e verso una prassi della partecipazione di tutti, anche dee diversi, alla
costruzione di società coese e dialoganti. Tra i “compagni di viaggio” privilegiati, insieme alle altre due
componenti della “famiglia scalabriniana” (le Suore scalabriniane e le Missionarie laiche scalabriniane) si
stava organizzando una nuova forza: i laici affascinati dal carisma di Scalabrini. Si trattava di un movimento
72
cura di), Missione con i migranti della Chiesa, Urbaniana University Press, Roma,2007; BATTISTELLA, Graziano (a cura di),
Migrazioni e questioni etiche, Urbaniana University Press, Roma, 2008; BENTOGLIO, Gabriele (a cura di), Sulle orme di
Paolo – Dall’annuncio tra le culture alla comunione tra i popoli, Urbaniana University Press, Roma, 2009; BENTOGLIO,
Gabriele (a cura di), Sfide alla Chiesa in cammino – Strutture di pastorale migratoria, Urbaniana University Press, Roma,
2010; ROSATO, Vincenzo (a cura di), Testimoni dell’Esodo – Vita consacrata e mobilità umana, Urbaniana University Press,
Roma, 2011; BAGGIO, Fabio, SKODA PASHKJA (a cura di), Mediterraneo crocevia di popoli, Urbaniana University Press,
Roma, 2012.
Da segnalare, infine, BATTISTELLA, Graziano (a cura di), Migrazioni – Dizionario socio-pastorale, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo MI, 2010.
Cfr. PAROLIN, Gaetano (a cura di), Migrazioni e modelli di pastorale – « A fenomeni nuovi, organismi nuovi » - Atti del
Convegno scalabriniano (Triuggio, 25 maggio-1° giugno 2005), Direzione generale dei Missionari Scalabriniani, Roma, 2006.
27
ancora iniziale alla ricerca della sua autonomia, sia per quanto concerne la lettura laicale del carisma, sia
per quanto concerne una specifica “missione laicale” tra e con i migranti, nelle chiese e nella società locali:
a Piacenza, in occasione del centenario della morte di Scalabrini, essi celebravano il loro primo convegno
mondiale.
Conclusione
La Congregazione scalabriniana ha potuto rinascere ed evolversi, proprio perché sospinta dal carisma
del suo Fondatore, uomo pienamente radicato nel suo tempo (il secolo “meraviglioso e tremendo”),
ma nel contempo capace di guardare e sperare nel futuro, senza nostalgie per un passato, ma proteso
verso la comprensione dei “fenomeni nuovi” che il suo tempo stava attraversando.
Scalabrini, italiano e, a suo modo profondamente “patriota”, che ha vissuto da giovane il ’48 ed ha
condiviso le speranze risorgimentali della sua patria, che ha sofferto per le divisione e contrapposizioni
tra il nascente Stato-Nazione ed il Vaticano, impegnandosi per la creazione pacificatrice di uno spirito e
di una prassi conciliatorista, non si è lasciato rinchiudere in una visione “patriottica nazionalista” e
neppure in una visione messianica di un “cattolicesimo nazionalista”. Le migrazioni sono state per lui
una provocazione a guardare “altrove”: da un approccio europeo, ad una visione globale, che le
inseriva nel futuro stesso di una umanità, che si stava creando in modo positivo con il grande esodo
migratorio europeo a differenza dell’espansione coloniale che si rivelava una costruzione politica
contradditoria che stava portando distruzioni, morti e sottosviluppo.
Scalabrini, sacerdote, che aveva superato la visione clericale propria del suo tempo e della sua “casta”,
vivendo la sua missione come “servizio” ai più poveri, proponeva una “conversione culturale” del clero
verso le masse operaie e lanciava la sfida di “evangelizzare i figli della miseria e del lavoro”, convinto
che “là dove è il popolo che soffre, la è la Chiesa”. Le migrazioni, uno dei fenomeno centrali della
“questione sociale”, diventava, così, il campo d’azione del cattolicesimo italiano, che permetteva di
superare gli steccati e le contrapposizioni interne (tra le varie anime cattoliche) ed esterne (nei
confronti dello Stato e delle forze laiche) nelle quali il cattolicesimo italiano era impegolato.
Scalabrini, Vescovo, che ha amato la diocesi come sua “sposa”, tanto da rinunciare ad una
“promozione” cardinalizia, ha visto il suo servizio episcopale aperto al mondo, non solo per i suoi
interessi culturali, ma soprattutto per la sua opera in favore degli emigrati, che lo ha fatto protagonista
di una Chiesa “cattolica” non solo dal punto di vista dell’espansione geografica, ma soprattutto perché,
grazie alle migrazioni, in ogni Chiesa locale si stava realizzando un profondo processo culturale nel
quale le diversità cattoliche, legate alle singole “nazionalità” si stavano fondendo in un quid novum,
denso di futuro e di speranze73.
Scalabrini, uomo, sacerdote, vescovo, che aveva una visione della storia umana come luogo della
realizzazione del Regno, pur restando uomo del suo tempo, superava concettualmente ed
istintivamente la visione delle contrapposizioni confessionali, ma supera anche chiaramente e
coscientemente le contrapposizioni etniche. Scalabrini aveva percepito che il grande limite dello StatoNazione era quello di identificare nell’omogeneità etnico-culturale il fondamento ed il collante politico
e sociale della società e, cosciente che questo poteva essere anche un pericolo per le Chiese locali,
puntava sulla conservazione della identità culturale delle comunità migranti in funzione della
preservazione della fede. Non si trattava di preservare identità etnico culturali, che portavano
necessariamente alla frantumazione se non al conflitto, quanto piuttosto di preservare le
73
Dal punto di vista teologico, siamo di fronte a quella che è chiamata la “teologia della morte e risurrezione delle culture”: una
cultura vive se è capace di “perdersi” e di “donarsi”. Le migrazioni producono società multiculturali, multietniche e
plurireligiose, dove si verificano culture sempre più meticciate. Si viene man mano costruendo una coesione sociale e culturale
nuova, attraverso i meccanismi interculturali, che siamo invitati a promuovere e favorire. Le culture devono essere capaci di
“donare e ricevere”, per produrre un “quid novum” nel quale confluiscono, in modo comunionale, le diversità.
28
caratteristiche culturali delle espressioni di fede: l’avventura migratoria, vista in questa visione
ecclesiologica, diventava il luogo del dialogo e dell’incontro di una ricchezza di espressioni di fede
portate dai migranti, in vista di una unità “nuova”, frutto dell’apporto di queste ricchezze.
Il superamento delle identità culturali e la visione provvidenziale delle migrazioni in prospettiva del
Regno, sono i due aspetti del carisma scalabriniano che hanno permesso alla Congregazione dei
Missionari di San Carlo di internazionalizzare la sua missione e di internazionalizzare anche la
consacrazione dei suoi figli (gli scalabriniani) diventati multietnici e multiculturali.
La crisi delle Congregazione scalabriniana, se è stata direttamente collegato con la morte del suo
Fondatore, era anche strettamente legata alle sorti dell’emigrazione italiana dagli anni ’20 fino alla
seconda guerra mondiale e, quindi ad un gruppo strettamente legato ad una etnia (italiana), e, quindi,
alle tentazioni di una deriva etnica. In effetti, all’epoca del “grande esodo” le Chiese americane (Stati
Uniti, Brasile ed Argentina), come abbiamo visto, hanno vissuto varie derive etniche e non è stato
sempre facile e scontato il superamento dell’aspetto etnico per costruire il Regno di Dio nei nuovi
“popoli” cristiani, nati dall’emigrazione, da parte delle “parrocchie nazionali” negli USA e delle “colonie
italiane” in Brasile.
Se Il ripristino dei “voti religiosi” ha ridato una consistenza istituzionale e spirituale, si è dovuto
aspettare, con gli anni ’60, l’inizio dell’esaurimento delle ondate migratorie del secondo dopoguerra
per affrontare il superamento dell’italianità, con l’allargamento del fine, sostituendo le “etnie” con la
centralità del “migrante”.
Nello spirito del Concilio, la Congregazione scalabriniana, riscopriva le intuizioni del “Memoriale”
di Scalabrini: dal punto di vista della missione si apriva a tutte le migrazioni, riaffermava la
centralità del Regno, come comunione di tutte le donne e di tutti, figlie e figli di Dio, mentre dal
punto di vista della propria composizione acquisiva un volto interculturale ed interetnico 74.
74
Questo percorso storico ed ideale veniva bene sintetizzato nel XI Capitolo generale: “La specificità delle nostre comunità
religiose proviene dalle intuizioni nate dal cuore pastorale del Beato Scalabrini e dall’evoluzione storica della Congregazione,
sotto l’azione dello Spirito. Del carisma, patrimonio del nostro Istituto, per mandato della Chiesa, noi siamo eredi e custodi.
Proprio perché non è nostro, ne dobbiamo rispondere alla Chiesa stessa che ce lo ha affidato: il carisma, che è dono a noi e
soprattutto ai migranti, deve diventare il nostro dono alla Chiesa. Il fine specifico del nostro carisma - il servizio ai migranti gode di quella dinamicità che è un carattere connaturale a tutta la mobilità umana. È vitale che esso venga continuamente
accolto e trasmesso con fedeltà creativa, in modo che lo scalabriniano di ieri ispiri quello di oggi, il quale, a sua volta,
annunci quello di domani. Scalabrini, uomo che ebbe “l’intuizione dei fatti avvenire” (Toniolo), colse l’importanza politica,
sociale e religiosa del fenomeno migratorio nelle società moderne e la sua dimensione universale. Sebbene cosciente che le
migrazioni moderne sono accompagnate da profonde ingiustizie e da sfruttamenti continui, egli intravide in esse una sfida
carica di speranza, proponendone una “visione provvidenziale”. La sua preoccupazione fu diretta principalmente alla
preservazione della fede, attraverso l’evangelizzazione e le opere che dalla fede provengono, in vista della dilatazione del
Regno di Dio. Secondo il nostro Beato Fondatore, fede e opere costituiscono un tutto inscindibile, che egli riassume nella nota
trilogia “sacerdoti, medici e maestri”. Egli intuì l’azione della Chiesa come “evangelizzare i figli della miseria e del lavoro”:
agendo sia nei luoghi di partenza (con la rimozione delle cause che provocano l’emigrazione) sia in quelli di arrivo, aiutando
il migrante a sentirsi soggetto di diritti e a difenderli, sostenendolo per mantenere la propria identità di fede e di cultura;
incoraggiandolo a costruire canali di collegamento con la Chiesa e le società locali, diventando, così, egli stesso apostolo e
missionario del Regno. La “missio ad migrantes” si trasforma così in “missio migrantium”.
Nella storia della nostra Congregazione, l’apertura verso nuove etnie e la formulazione delle Regole di Vita sono state
sostenute da un’ampia riflessione sulla centralità del migrante. Da qui la scelta preferenziale per i migranti che più
acutamente vivono il dramma dell’emigrazione, la conoscenza continuamente aggiornata dei fenomeni migratori per una
assistenza adeguata ai flussi più recenti, l’inserimento in organismi ecclesiali per una animazione coordinata della pastorale
migratoria. Consapevole delle nuove forme di ingiustizia verso i migranti, la Congregazione ha messo a fuoco la specificità
della sua azione pastorale nel Convegno sulla missionarietà (1991). In esso ha analizzato le diverse tipologie pastorali che,
con posizioni chiave, si rivolgono a situazioni di emergenza e di abbandono, sulla base del mandato missionario. Il Capitolo
generale del 1992 ha sottolineato che la Congregazione ha una missione profetica come “luogo di positivo incontro tra le
culture, religioni ed etnie e seme di nuova evangelizzazione”. Così il carisma porta gli Scalabriniani ad essere “uomini di
mediazione, capaci di accogliere e valorizzare l’alterità”. Si impone, perciò, la ricerca di un’anima, che unisca le varie
tipologie pastorali che storicamente sono state sviluppate, come pure le varie componenti etniche e culturali in Congregazione.
29
Le sfide dell’emigrazione globalizzata, sembrano indicare rinnovati campi d’azione ed esigono
organismi nuovi: la “missione cresce”, e crescono le esigenze che una missione così specifica
impone. La “mobilità umana” sollecita gli scalabriniani ad una continua mobilità di lettura dei
fenomeni, e di messa in opera di modelli pastorali, di iniziative e di strumenti sempre nuovi, alla
continua ricerca di “un supplemento d’anima” che essi possono trovare nella fedeltà creativa al
carisma di Scalabrini.
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Piazza del Carmine 2 – 20121 MILANO
31
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