Simone Cantarini San Pietro risana lo storpio Olio su tela; 309 x 266,5 cm Fano, Pinacoteca Civica, in deposito dalla Chiesa di San Pietro in Valle Passossene a Fano, per proseguire l’istesso avanzamento sulle due tanto rinomate tavole del Duomo, del Cristo dante le chiavi a San Pietro e della Nunziata dell’istesso Guido, e da lui mirabilmente ricavate; che però gli fecero strada, dopo un lungo tempo, all’ottenimento d’uno almeno de’ due quadri laterali al detto primo nella Cappella maggiore, ove rappresentando l’indemoniato liberato dal Principe degli Apostoli, osservando il modo, e il maneggio di que’ duoi [Cristo che dà le chiavi a san Pietro; Annunciazione di Guido Reni] così imitò quel carattere, che non fu sulle prime, e non vi è anche oggidì che passando per quella città, e osservando quest’opra, non le giudichi della stessa mano, che colorì il San Pietro e la Nunziata suddetta. Ei solo non ne restò interamente appagato…111. Così il racconto di Malvasia, sempre avvolto nella sintesi aneddotica ma indubbiamente con molti fondamenti di verità. Il fatto che il pittore si recasse a Fano per continuare la palestra sui testi di Guido Reni, dopo lo studio e l’esercizio sulla Pala Olivieri (Pinacoteca Vaticana) fa parte dello schema interpretativo che inserisce ogni avanzamento dentro i modelli del maestro bolognese. Si è ampiamente discusso sopra del fatto che Cantarini doveva avere una mobilità ben più elastica su Fano, anche grazie a contatti e rapporti personali e che le pale di Reni in San Pietro in Valle dovesse conoscerle già da tempo, facilmente prima che in Duomo a Pesaro giungesse la Pala di Reni oggi alla Vaticana, attorno al 1631-’32112. Indubitabile, invece, che si esercitasse con passione su quei testi di Fano e che a poco a poco si guadagnasse la stima dei committenti, anche per la sua personalissima adesione allo stile del maestro bolognese. Infine ottenne di eseguire almeno uno dei laterali alla Consegna delle chiavi di Reni, sull’altare maggiore della famiglia Marcolini in San Pietro in Valle. Il dipinto si trovava nella parete a destra, entrando, dell’altar maggiore della chiesa dei padri filippini a Fano, San Pietro in Valle. Fiancheggiava la celebre Consegna del- le chiavi del Reni (Parigi, Louvre) e aveva di fronte il Miracolo della resurrezione di Tabita, eseguito da Matteo Loves tra 1634 e ‘35. Dietro quell’accenno di Malvasia, i risvolti complessi e ancora in parte oscuri di una commissione di grande importanza. Soprattutto quando dice che lo studio sulle opere fanesi del Reni gli fecero strada, dopo un lungo tempo, all’ottenimento d’uno almeno dei due laterali all’altar maggiore113. Da qui emergono due dati importanti: che passò molto tempo prima di giungere alla definizione della commissione e che il pittore dovette darsi da fare per riuscire ad eseguire uno almeno dei due dipinti in ballo. Che dovette trattarsi di una commissione protratta molto a lungo nel tempo lo conferma la storia stessa dei committenti, a partire dall’ideatore del progetto, Francesco Maria Marcolini senior (1599-1622). Il nobile Marcolini aveva sposato diciottenne, nel 1617, la cugina Caterina ed era morto a Pisa nel maggio 1622, dove quattro mesi dopo nasceva il figlio Francesco Maria junior114. Le scritte sotto le cornici115, che contenevano i dipinti del Loves e del Cantarini, in parte riportate nel manoscritto con la storia dell’oratorio fanese116, spiegano come la commissione, seguita successivamente da Caterina Marcolini, venne infine portata a compimento dal figlio, dunque non prima del 1640, quando questi avrebbe avuto appena diciotto anni. Il progetto della decorazione, perlomeno le indicazioni circa il soggetto del ciclo pittorico, dovevano essere stati già impostati dal primo Francesco Marcolini, se il dipinto del Reni per l’altare maggiore era già finito nel 1623117. L’imponente commissione fu indubbiamente concertata insieme al Padre Girolamo Gabrielli, fondatore e finanziatore della congregazione e della chiesa118. Non a caso ambedue si rivolgono al Reni. Dopo la morte del Marcolini i lavori dovettero subire Laterale per l’altare maggiore della Cappella Marcolini in San Pietro in Valle a Fano, che conteneva Cristo consegna le chiavi a san Pietro, del Reni, il dipinto, uno dei capolavori assoluti di Simone Cantarini, è il terreno di un confronto artistico e forse ancor più esistenziale col maestro bolognese e mette in gioco, altresì, la poliedrica cultura figurativa di Cantarini, che affiora dal manto avvolgente della lezione reniana. 57 una battuta d’arresto, se il quadro di Guido venne collocato solo nel 1626119. Più che probabile che un peso non secondario nella scelta del giovane pittore pesarese, dovette esercitarlo il nucleo fanese della famiglia Cantarini, soprattutto se si considera che Camillo Cantarini, del ramo fanese, sposò in seconde nozze Francesca Marcolini, della nobile famiglia committente120. Sulle successive decisioni per i completamenti della decorazione, oltre al fatto che coinvolsero un tempo assai più lungo di quanto inizialmente previsto, le indicazioni di Malvasia indirizzano verso una potenziale doppia commissione, perlomeno auspicata, per l’esecuzione, da parte di Cantarini, di entrambi i laterali all’altare maggiore. Una prova tangibile di un coinvolgimento, almeno inizialmente, per entrambi i laterali dell’altare maggiore, sono i due disegni per la Resurrezione di Tabita, l’uno (inv. F.N. 125646; Roma Galleria Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe)121, l’altro (inv. D. 9881900; Londra, Victoria and Albert Museum) è stato interpretato come preparatorio per il San Pietro che risana lo storpio122 ma va senz’altro connesso123 alla tematica affrontata nell’esemplare romano, per il soggetto della Resurrezione di Tabita. Nella sanguigna Guido Reni, Trionfo di san Giobbe, Parigi, Notre Dame Simone Cantarini, Studio per san Pietro che risuscita Tabita, Roma Galleria Nazionale, Gabinetto Disegni e Stampe 58 londinese, infatti, accanto ad altri studi per una Sacra Famiglia con san Giovannino, Cantarini rappresenta san Pietro, di profilo e in piedi, col braccio alzato in atto di compiere il miracolo, con atteggiamento analogo a quello che effettivamente si ritrova nel dipinto con lo storpio. Nel disegno però si rivolge chiaramente a una donna, distesa in un letto; Tabita appunto, in quella che avrebbe potuto essere la scena della sua resurrezione, se fosse toccato al pittore pesarese dipingerla. In conclusione, è più che probabile che Cantarini avesse ricevuto in una prima fase l’incarico di dipingere tutti e due i laterali della pala sull’altar maggiore con la Consegna della chiavi di Guido Reni. Più difficile indagare le ragioni che infine gli consentirono di realizzare solo uno dei due dipinti. Indubbiamente, il carattere del pittore dovette avere un peso nella delicata questione. La fonte malvasiana, tra l’altro, ci informa che la lentezza, accompagnata da un carattere assai difficile e per nulla accomodante, doveva essere una caratteristica atavica di Cantarini, che gli alienò molti protet- tori e collezionisti che, conquistati dalla sua pittura, venivano allontanati dalla sua lunghezza ed anche, ancora una volta, dalla sua arroganza124. Quando, infatti, racconta della sua situazione disperata dopo il litigio del 1637 col Reni, afferma che nessuno voleva avere a che fare con lui, a pericolo di lunghezze, e strapazzi125. Alcuni nuovi documenti, che ho rintracciato ultimamente presso l’Archivio di Stato di Pesaro, confermano le difficoltà che di frequente insorgevano nei rapporti coi clienti, con esempi di commissioni pesaresi, che vedono contestazioni di vario genere sulle opere richieste, in particolare per il fatto che non vengono consegnate e risultano irreperibili, nonostante il pittore avesse ricevuto le caparre126. Ancora una conferma, dunque, di quel temperamento orgoglioso e arrogante ma anche passionale, discontinuo, che fa scrivere a Malvasia alcune delle sue pagine più belle, in quel suo stile calibrato tra una Guido Reni, La Circoncisione, Siena, San Martino retorica enfatizzata, ricca di metafore e ridondante di aggettivazione e una mai tradita esigenza di chiarezza, di precisazione dei concetti e delle notizie127. Il dipinto fanese128 si presta meglio d’ogni altro a impostare il problema del rapporto di Cantarini col Reni, in quanto introduce i termini di un confronto immediato e inevitabile di cui Cantarini doveva essere perfettamente consapevole, quando ebbe e forse cercò con forza di ottenere un ruolo nell’impegnativa commissione. Una serie serrata di spunti da Reni, alcuni al limite del plagio, sono messi in campo da Cantarini. Il sistema di sontuosi sfondi architettonici, che si aprono con archi e balaustre sulla destra dell’opera viene senz’altro da opere quali la pala di san Giobbe di Notre Dame, a Parigi (1635) 129. Un’invenzione che piacque a Cantarini e che contrassegna, non solo il Miracolo, dove omaggia Pesaro dipingendo sullo sfondo l’arco della villa di Miralfiore, residenza suburbana dei Della Rovere e una veduta della chiesa di San Giovanni Battista130, ma anche altre opere (si vedano illustrazioni a p. 55), eseguite in apertura di quinto decennio, come il San Tommaso da Villanova della Pinacoteca Civica di Fano e le due versioni del Sogno di san Giuseppe, del Duomo di Camerino e della romana Cassa Depositi e Prestiti, nelle quali campeggia un angelo, protagonista di conturbante bellezza e di sintomatica somiglianza con il san Giovanni del nostro dipinto. Nel Miracolo, il confronto con Reni è ricercato, insistito, basti osservare la figura di vecchio sacerdote ammantata e confrontarla con quella nella Circoncisione di San Martino a Siena, del 1636131. I grandi sacerdoti tramano in disparte contro gli apostoli e Cantarini copia, in controparte, la figura del sacerdote ammantato d’azzurro. E trovo molto pertinente il giudizio di Lanzi, nelle note manoscritte assai più diffuso che nel testo a stampa, dove, accanto all’apprezzamento di un lavoro che non sfigura accanto a quello di Reni, nonostante troppo affondo negli scuri, specialmente nella figura principale, sottolinea uno sguardo a fattezze piene, tornite, che richiamano Domenichino -si veda in particolare la giovinetta dietro la donna seduta, con l’acconciatura e l’attitudine davvero domenichiniana: Ivi a’ Filippini un quadro laterale col miracolo dello storpio: San Pietro gli porge mano; San Giovanni è al di sopra in atto di orare, turba all’intorno, farisei e sacerdoti velati in vicinanza e un putto graziosissimo presso lo storpio. ‘E pittura che vicino al San Pietro di Guido non iscomparisce, meno delicata ma forse più viva e certamente di più effetto. La verità e varietà de’ volti è sorprendente. In questa pittura ha amato un colorito forte fattezze piene e che tirano alquan59 Giovan Francesco Guerrieri, Miracolo del cieco nato, Fano, Pinacoteca Civica stre certezze rispetto a un viaggio romano di Cantarini, in apertura di quinto decennio, risiedono nell’attendibile affermazione di Malvasia e in convincenti confronti stilistici, ma, va detto, che siamo di fronte a un pittore di straordinaria capacità ricettiva, che si trovava a lavorare in una città, come Bologna, dove transitavano molti artisti, anche tra quelli che lo hanno più interessato. Si tratta di un pittore onnivoro, che faceva grande uso delle incisioni135, anche se questo non pare argomento sufficiente ad escludere un suo viaggio a Roma136. Colpisce sullo sfondo del quadro una citazione precisa di due importanti monumenti pesaresi, con cui il pittore apre la finzione sulla realtà, con uno squarcio sulla storia contemporanea e indirettamente sulla sua stessa vita. Attraverso l’arco aperto sulla destra del dipinto si vede137 in primo piano, il portale poggiante su quattro colonne della villa Miralfiore a Pesaro su cui spiccano, anche oggi, le tre mete simbolo del potere ducale dei Della Rovere. Ancora più indietro emerge la parte alta della chiesa pesarese di San Giovanni Battista, trasferita dalla sua sede topografica, l’attuale via Passeri, che non sarebbe visibile dietro Miralfiore, con un assemblaggio chiaramente simbolico. Doveva trattarsi in primo luogo di un affettuoso pensiero alla sua città, che d’altra parte deve avere un’ulteriore motivazione, inserito com’è in un’opera per un’altra città, nell’ambito di un preciso progetto di to da Domenichino e ha fatto uso moderato di chiaroscuro, nel quale però ha troppo involta la figura principale se già non è effetto delle tinte alquanto scadute132. Al tempo stesso, la composizione si nutre di altre fonti, indubbiamente stimolate dalla meditazione sulle opere del Guerrieri, come il Miracolo del cieco nato, da cui la giovane madre col bambino sembra passare nel quadro di Cantarini, in una più composta attitudine133. Delle sinuose eleganze ‘femminili’ di Cantarini, si ricorderà, a Fano, proprio ripensando il San Tommaso da Villanova, Sebastiano Ceccarini, nel suo San Paterniano fa abbattere gli idoli, nella anticappella del santo patrono in San Paterniano. Guerrieri è alla base della curiosità caravaggesca di Cantarini e si può ipotizzare che in particolare le tele per la cappella Petrucci in San Pietro in Valle, entro la prima metà del quarto decennio, abbiano costituito l’avvio di una serie di meditazioni che hanno spinto alcune successive ricerche del pittore, come dimostrano almeno alcuni disegni134. Un documento importante, perché, ad oggi, le no- Sebastiano Ceccarini, San Paterniano fa abbattere gli idoli, Fano, San Paterniano 60 committenza. Per quanto riguarda Miralfiore, l’arco che lo simboleggia poteva contenere una serie di rimandi incrociati a partire dalla famiglia ducale, nella persona di Livia Della Rovere, per continuare con gli Albani-Tomasi che ne percepivano tradizionalmente le rendite, fino allo stesso cardinale Barberini, anche se quel bene resta dei Della Rovere, quindi dei Medici. Centrale dunque il riferimento alla famiglia ducale, forse con un occhio verso Firenze e la mediazione degli Albani, che infine diventeranno pieni proprietari della Villa138. Lo stemma dei Della Rovere torna peraltro quale simbolo di Pesaro in un’incisione con l’Allegoria del fiume Foglia e stemma di Pesaro, anch’essa databile tra le prime del pittore, comunque entro la fine del quarto decennio, ormai in pieno potere legatizio. Ma la presenza del tempio di San Giovanni, dove nella seconda metà del Settecento è ricordato anche un San Giovanni della Marca di Simone, fa pensare a un omaggio esteso al who’s who pesarese del tempo. La chiesa, infatti, gioiello non finito di Girolamo Genga139, era diventata nel corso del quarto decennio del Seicento la più qualificante per possedervi un altare e il sepolcro di famiglia140, tanto da avere il maggior numero di presenze tra le più nobili casate della città. Fra gli altri spiccano i Mosca, come riferisce il Bonamini141 nella sua Cronaca, committenti qui, nel 1633, del Guercino per il loro altare dedicato a san Giovanni e ornato con stupendi marmi di Verona e tra i principali sostenitori del Cantarini, insieme alla famiglia Olivieri, come delinea ancora il Bonamini142, specialmente nel suo Abecedario degli architetti e pittori pesaresi, dal quale la presenza del pittore in patria non sembra subire prolungati periodi di interruzione, come del resto la sua perfetta integrazione nel tessuto collezionistico di alto rango. Simone Cantarini, Studi per san Pietro che risana lo storpio, già mercato antiquario 61 Girolamo Ferroni, da Simone Cantarini, San Pietro risana lo storpio, incisione, collezione privata L’episodio trattato da Cantarini è tolto dagli Atti degli Apostoli (3,1-8) e riguarda la guarigione di uno storpio operata da san Pietro, assistito da san Giovanni. É per primo Malvasia a confondere sul soggetto del quadro, che descrive come l’indemoniato liberato dal Principe degli Apostoli portandosi dietro gran parte della tradizione storiografica impostata sul suo testo143. Andrea Emiliani datava l’opera attorno al 1639 per la vivida attenzione all’ esempio del maestro come un cartone raffaellesco e insieme i ripensamenti naturalistici, che collega alla coeva attività riminese di Guido Cagnacci e alla cultura marchigiana, in particolare del Guerrieri144. La critica successiva si è orientata su queste indicazioni cronologiche e di stile145. La Colombi Ferretti pensa che questa commissione fece decidere il pittore di recarsi a Bologna, viaggio intrapreso come studio propedeutico alla realizzazione di questa opera e che poi coinvolse un periodo della sua vita forse più lungo del previsto 146. Sull’importanza della lezione di verità di uno dei suoi maestri ideali, il Guerrieri, insiste Benati147, evidenziando l’uso naturalistico della luce. Disegni strettamente connessi a studi per la donna col bambino sono un foglio a penna con diversi schizzi di Brera (Milano, Pinacoteca, inv. 495)148 e soprat62 tutto una sanguigna conservata a Windsor (inv.5321; Royal Library)149, li si veda a p. 53, dove le donne coi bambini al seno in primo piano, e specialmente quella seduta riconducono al nostro modello. Le stesse poi tornano nel gruppo collocato in una strada cittadina con architetture di palazzi, che si intravede nel dipinto con La Vergine che appare a san Tommaso da Villanova, qui sopra discusso, cui si rimanda anche per questi confronti grafici. Tale sintonia va in favore di una datazione avanzata dell’opera in esame, elaborata nelle sue parti in prossimità dell’altra pala fanese, databile almeno in apertura del quinto decennio150. Elemento di contiguità inventiva con questa ideazione è anche lo sfondo che si apre di lato su architetture e vedute di città, come poi nei due Sogni di san Giuseppe. Il rapporto, in particolare con il San Tommaso da Villanova, di cui si può documentare l’esecuzione non prima della fine del quarto decennio e ancor meglio nei primi anni del quinto, consente di immaginare una data analoga anche per il dipinto in esame. Ed è forse in tal senso da riconsiderare la notizia ricavata dal libretto per nozze Giacomini-Rinalducci di Alessandro Billi151, secondo cui, mentre stava dando l’ultima mano alla tavola dello storpio... cominciava a dipingere un mediocre san Tommaso di Villanova, personalissima e contestabile opinione dell’autore, che comunque più avanti aggiunge che quest’ultima tela era ritenuta da alcuni sapienti uomini realizzata da Cantarini prima di recarsi a Mantova. Anche l’impianto naturalistico del dipinto denota una complessità nuova di riferimenti, che supera i termini di una riviviscenza connessa al ritorno in patria e alla rinnovata riflessione sul Guerrieri, per aprire la questione di una conoscenza diretta del Caravaggio, come già hanno indotto a credere152 le figure della vecchia e dello zoppetto. Davvero questa tela si può descrivere come il pantheon della qualità e della bellezza pittorica dell’intera regione metaurense a questi anni153, un complesso riassunto delle sue fonti culturali, dei suoi interessi pittorici, tra i quali, per esempio, anche l’elegante Michele Desubleo154, inseriti nel vibrante terreno del confronto-sfida col maestro bolognese e quasi giustapposti in una singolare orchestrazione compositiva, dove assume valore non secondario la bellezza di smalto appresa da Alessandro Turchi155. Eppure, non ultimo tra questi altissimi ed articolati modelli, va ricordato il capolavoro del suo primo maestro pesarese, quel Gian Giacomo Pandolfi che sullo scorcio del secondo decennio del Seicento decorava la splendida chiesa del Nome di Dio a Pesaro, con, tra le altre, una scena dove si vede un Miracolo dello storpio, di inusitata potenza, anche materica, memo- Simone Cantarini, Studio per san Pietro, Milano, Pinacoteca di Brera. Gabinetto disegni e stampe ria alla base dello svolgimento poi sempre più distillato del brillante allievo: assai diverso quel Pandolfi da certo manierismo esacerbato, quale si vede anche nelle tele eseguite proprio per San Pietro in Valle. Un Pandolfi quasi barocco, quale possiamo intravvedere nel corpus dei disegni. Per il dipinto in esame, il disegno preparatorio più completo ma in controparte e con varianti è una sanguigna conservata al Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca di Brera, a Milano (inv. 517)156, di cui è stata sottolineata l’impostazione che conserva urgente il dato immediato di realtà e propone il miracolo in chiave oltre misura naturale157, specialmente osservando san Pietro che afferra il braccio dello storpio. In relazione alla testa della vecchia e al fanciullo col bastone sono due disegni conservati agli Uffizi (inv. 20244F e 1658F; Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi; nel secondo, la figura in questione, pur denunciando palesi coincidenze con quella del nostro dipinto, è ugualmente leggibile come un pastore dentro il tema del disegno, che è appunto un’Adorazione dei pastori). Lo studio diretto dei disegni di Cantarini alla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro ha consentito di escludere (inv. A6)158 da questo progetto pittorico e dal catalogo grafico di Cantarini un disegno a penna che vi sembrava connesso, mentre si deve qui segnalare, come prova con varianti sul tema, un disegno passato in asta159, che era stato attribuito a Cantarini da Philip Pouncey. Una bella stampa, ricavata in controparte dall’opera e incisa da Gerolamo Ferroni, datata approssimativamente al 1723160, qui esposta, proprio a fianco e a confronto col dipinto porta una dedica in margine per Monsignor Fabio degli Abbati Olivieri, e l’autore si augura di far cosa gradita anche perchè questi era della stessa patria del pittore161. Nello stesso verso della stampa è una copia del dipinto in una collezione privata fanese162. Due copie si trovano a Zagabria (National Muzeum) e a Genova (San Pietro alla Foce, come Carlo Giuseppe Ratti). 63 Note 1 Malvasia in Marzocchi, 1980, p. 80. 2 Come ho fatto soprattutto in occasione della mostra monografica del 1997, soprattutto quella di Pesaro. 3 Uno schema che doveva contenere, da un lato, le doti straordinarie che fecero di Cantarini più che un allievo, quasi un rivale, del Reni, che osò emulare più che imitare e di cui non seppe accettare i consigli, al punto da giungere al celebre litigio e alla clamorosa rottura, nel 1637. 4 Malvasia 1678, ed. 1841, p. 374. L’intero e perfetto racconto veniva affidato alle perdute Vite dei pittori urbinati e pesaresi che stava proprio allora scrivendo Gioseffo Montani, purtroppo perdute. 5 Malvasia in Marzocchi, cit., p. 80. 6 Sul tema, anche per altra bibliografia, rimando al mio saggio nel catalogo della mostra Guercino a Fano…2011, pp. 26-41. 7 Brogi 2001 cit., 2voll. I, p. 222, scheda pp. 221-222, dove si rimarca l’importanza del dipinto per la svolta dell’anziano pittore, con un quasi scontroso ritorno alla sincerità espressiva della giovinezza e della prima maturità. Ma l’interesse per i Carracci, che passa anche per Ludovico è da rivalutare nella carriera del pittore pesarese come ho avuto modo di ribadire di recente, 2009b. Tra altri esempi di questa attenzione del giovane pittore verso Ludovico, il più noto resta il bel disegno con Studio di Madonna col bambino, conservato nel Gabinetto disegni e stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, tratto dalla Madonna di san Ludovico, Bologna Pinacoteca Nazionale. 8 Le tre tele rappresentano Un miracolo di san Paterniano; Un angelo avvisa san Paterniano della morte; La ricognizione della salma del santo; Emiliani 1959, p. 253 riteneva, a ragione, quest’ultima rifatta da altra mano. ‘E perlomeno molto compromessa da interventi successivi. Il richiamo, per questa fase dell’attività di Cantarini, a una significativa incidenza della visione delle tele di Carlo Bonone in San Paterniano coi Miracoli del santo, come d’altronde al modello, almeno fanese, di Ludovico, oltre che a Gentileschi e Guerrieri, è argomento dell’interpretazione fin dai primi interventi, in Maestri della pittura del Seicento emiliano, pp. 114-118, di Andrea Emiliani. Di Emiliani si veda, tra gli altri, 1962; 1992, I, pp. 207-218; 1997, pp. 13-49. 9 Inv. 98. Si veda Ambrosini Massari 2009b, p. 361. 10 Ambrosini Massari 2011, anche per altre opere di Bononi e Bolognesi nelle Marche. 11 Per la definizione di queste diverse tappe e relativi documenti rinvio, più particolareggiatamente, ai miei scritti 1997a, pp. 4863; 2009a e soprattutto 2009b, perché si tratta dell’intervento più circostanziato e monografico a largo raggio sull’attività del pittore nei suoi più diversi aspetti. Il viaggio a Venezia rientrava nei modi tradizionali della educazione pittorica del ducato, con la sua centralità dei modelli veneti e palmeschi, in questa fase, che trovavano, tra Urbino, Pesaro e poi Corinaldo, uno stimolo, un modello, più che un vero e proprio maestro, in Claudio Ridolfi. 14 Secondo Malvasia, lo stesso religioso servita che aveva introdotto il pittore presso Pandolfi, lo portò con sé a Venezia, per toglierlo dalle continue recriminazioni paterne, Malvasia, cit., p. 374. 15 Becci [Lazzarini] 1783, p. 10. Per i documenti, Erthler 1991, II, p. 586. Se ne veda una sintesi nel Regesto a cura di Cellini 1997b, p. 406. Distrutto durante la seconda guerra mondiale, resta il documento di una foto Croci, 4202, pressoché illeggibile. 16 Un dipinto di analogo soggetto, conservato nella chiesa di Sant’Egidio, di proprietà Perticari a Sant’Angelo in Lizzola, riprodotto in Mancigotti 1975, p. 68. Becci, op. cit. p. 18, non è autografo. Per il quadro del Cesari, nella Cappella Bracci in San Paterniano, si veda Röettgen 2002, p. 116, p. 332; Ugolini 2010, p. 222. 17 Bonamini 1996, op. cit., p. 104. Si ricorda anche la presenza in queste raccolte, del ritratto fatto da se stesso di Simone, che manca certamente alla Galleria Medicea. 18 Tra i disegni di Cantarini: Stuttgart, Staatliche Graphische Sammlung inv.III/412, Benati 1991a, p.160; Genova, Galleria di Palazzo Rosso; inv.1966; uno studio è conservato a New York, nella collezione Philippson e lo studio a Windsor Castle (RL 3375; Kurz 1955, p.83, n.27) che presenta ulteriori varianti nella scelta dei protagonisti, ambedue adulti. Un Angelo custode copia da Cantarini eseguita dal nipote Alessandro, è registrata tra i beni che gli eredi si dividono nel 1738 (Cellini, Da Bologna a Pesaro... in 1997, op. cit., pp.123-124) a conferma di un’esecuzione pittorica del soggetto da parte di Simone. Una copia dall’incisione B28, Ambrosini Massari 1997b, p. 319, è quella, firmata e datata 1813 dal pesarese Giovan Battista Consoli (1770-1840), allievo di Gian Andrea Lazzarini, conservata in una cappellina privata pesarese per cui fu eseguito. 19 Ho già proposto di riconoscere (2009b, p. 347) quest’ultimo dipinto, nella tela dei Musei Civici di Pesaro, la cui composizione è direttamente connessa coi beni della famiglia Mosca, che presenta lo stesso soggetto in uno stile vagamente acerbo ma che si specchia bene in quello del Cantarini, specialmente delle opere giovanili, quali la pala di santa Barbara, se volessimo anche solo confrontare la santa con Erodiade. Pubblicato come Anonimo del XVII secolo, Morselli 1993, p. 169. Il recente restauro della tela ne evidenzia ancor meglio le note cantariniane. 20 Nel 1629 il papa lo mandava a Urbino come suo legato, accanto a Francesco Maria II, col lieto annuncio del prossimo giubileo, annuncio in realtà, per il triste Duca, della fine sempre più prossima. Sul tema e le sue determinanti implicazioni nella carriera di Cantarini, rimando alla sezione del mio saggio intitolata Un giovane pittore per un giovane cardinale, in 1997a, pp. 52-54 e anche pp. 55-56 per i contatti con Livia Della Rovere. Si vedano anche le schede dei Ritratti di Antonio Barberini Junior, in 1997a, pp.71-72 e 1997b, pp. 80-82. 21 Si tratta di una minuta, Pesaro, Biblioteca Oliveriana, Ms 1009. Senza data né fascicolazione ma probabilmente prossima al 1631, come si deduce dagli argomenti di quelle che precedono e seguono, dove parla della morte del marito come di un evento piuttosto vicino, da collocare dunque non lontano dal 1631. 12 Malvasia e il suo doppio, intitolavo il paragrafo sulle ambiguità dei rapporti tra edizione a stampa e carte con appunti inediti, L’altra faccia…in 1997a, pp. 50-52. 22 Cit., p. 382. 13 Malvasia in Marzocchi, cit., p. 176. 24 Sul tema, Emiliani 1997a; Ambrosini Massari 1997a, pp. 5760; 2009b, pp. 325, 327, 346. 64 23 Ibidem. 25 Esiste una serie piuttosto articolata di documenti grafici riguardanti il soggetto dell’Annunciazione dall’esemplare di Rio de Janeiro (inv.28,17 (r.) Biblioteca Nacional; Ambrosini Massari 1995, op. cit. n.55, pp.109-110). Lo studio a sanguigna della Pinacoteca di Brera a Milano (inv. 55; Ambrosini Massari 1997a, pp.181-182, n.41), stilisticamente e progettualmente assai vicino ai due studi di Palazzo Rosso, a Genova: Studio per Annunciazione (r.) due studi di Madonna col bambino sul globo (v.), inv.1962; Studio per Annunciazione (r.) studio di testa infantile, putti e due putti che giocano con una capra (v.); inv.1963. Un altro, più debole, degli Uffizi (inv.4153S Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe). Redazioni del soggetto sono documentate dalle fonti in diverse collezioni bolognesi, elenco in Colombi Ferretti 1992, pp. 126130. Un secondo disegno brasiliano (inv.A 17, Rio de Janeiro, Biblioteca Nacional, Ambrosini Massari 1995, cit. n.54, pp.108-109) ha, a destra, uno studio per il sogno di san Giuseppe, e rimanda al dipinto del Duomo di Camerino col Sogno di san Giuseppe, mentre scompare nella bella versione sul medesimo soggetto, della Cassa Depositi e Prestiti a Roma. Strettamente connesso a questa invenzione anche un disegno (Francoforte, StádelMuseum) dove si trova, dietro la scena principale, la variante della Vergine seduta che cuce. 26 Inv. 55r/v; Studio per un’Annunciazione, recto; Studio per Allegoria della poesia e della pittura, verso, Ambrosini Massari 1995 cit., pp. 109-111. 27 Colombi Ferretti 1992, p. 110, che lega l’esecuzione del dipinto alla beatificazione di Rita, avvenuta nel 1627; Cellini 1997b, pp. 72-73, anche per l’ipotesi di una pertinenza della commissione alla famiglia Giordani. 28 Lanzi (1783), ed. 2003, p. 41. 29 Sull’argomento, Ambrosini Massari 1997a, in particolare il capitolo intitolato, I fratelli Corbelli e Fra’ Tommaso Maria, pp. 60-61. 30 Sul convento di Brettino ma anche per notizie sulle opere e sulla pala di Cantarini resta sempre importante la lettura di Billi 1866, si veda qui il saggio di Franco Battistelli. 31 Malvasia, cit., p. 374. Un’identificazione di questo riferimento con la pala per San Cassiano era di Ottino Della Chiesa 1984, I, p. 43, n. 6. Effettivamente, le notevoli dimensione della pala si prestano anche a tale identificazione ma la puntuale ripresa della pala Olivieri in quella di Brettino, che comunque era una piccolissima chiesa, induce a preferire la connessione del brano di Malvasia con la pala fanese (Colombi Ferretti 1992, pp. 111-112). 32 Verso il 1645 la pala venne trasferita nella chiesa di Sant’Antonio, situata nella corte padronale di Limone di Gavardo, sull’altare dell’Immacolata. Ma per le vicende dell’opera si veda Morselli 1997b, pp.87-89. 33 Recentemente è tornato sul problema della cronologia di questa pala, Mancigotti 2006, pp. 56-57, richiamandone una datazione precedente, in prossimità della pala coi santi Agostino e Monica, sulla base delle affermazioni del Billi, op. cit., il quale ritiene l’abbia eseguita parallelamente al Miracolo dello storpio per San Pietro in Valle, oggi alla Pinacoteca Civica. Le affermazioni del Billi, pur da valutare, per quanto di avanzato Ottocento, sarebbero più condizionanti del documento, un atto di dotazione dell’altare, del 1638, perché il dipinto poteva essere già stato eseguito. Ma, a parte il fatto che sarebbe un caso più unico che raro, nella procedura di dotazione degli altari, il problema della datazione della pala trova nel documento una conferma di dati insiti nello stile, che è ormai maturo, ricco di ricordi reniani ed effettivamente, come aveva già segnalato, proprio sull’evidenza stilistica, D. Benati 1991 cit., p. 145, ben confrontabile con l’impostazione del Miracolo, opera senza dubbio da pensare, come preciseremo ancora più avanti nel testo, almeno in apertura del quinto decennio. La prima notizia del documento è in Ambrosini Massari, in La Pinacoteca Civica di Fano, Cinisello Balsamo 1993, pp. 56-57, poi Eadem 1997a, cit., pp. 60-61 e scheda pp. 144145. 34 Regesto a cura di Cellini 1997b, p. 402 e Cellini 1997a, p. 124, per il testamento di Vincenzo Cantarini. 35 Giovanni Antonio nacque il 24 maggio 1621, come ho potuto verificare già nel corso della mia tesi di dottorato, 1996 p. 237 - sull’atto di nascita presso San Cassiano, correggendo il 1617 riportato in Mancigotti 1975, p. 37. Per il documento si veda anche il Regesto, in Cellini 1997b, cit., p. 403. Sul tema rimando al catalogo della mostra su Cantarini in corso a Pesaro (Ambrosini massari, a cura di, 2012). 36 Ritratto di novizio, Londra, Christie’s, 4, 7, 2000, lot. 99; 21x16 cm. Il fatto che il fratello agostiniano fosse così più giovane esclude che sia lui, in qualche modo, alla base delle commissioni di Simone. Sarà piuttosto una conferma di rapporti da sempre intrattenuti e mai tralasciati, con quell’ordine. Per la fitta, bellissima serie di studi di ritratti, perlopiù di giovani e fanciulli, si veda Cellini 1997a, pp. 178-179, a partire dallo Studio di testa di fanciullo, inv. 41, di Brera; e, eadem 1997b, cit. pp. 234-235, per altri esempi, tra i quali si ricordino i fogli dell’Accademia di Venezia. 37 Le notizie sul fratello e sul convento di Verona dove morì provengono da Crespi, 1769, p. 131, Simone venne sepolto nella chiesa del monastero di Sant’Eufemia e l’atto di morte poi reperito (Archivio di Stato, Ufficio di Sanità del Comune, p. 186, n.50) conferma il decesso avvenuto l’11 ottobre 1648, Gori Gandellini 1771, I, p. 178. Zanotti in una nota all’edizione del 1841 del Malvasia, cit., p. 381, annotava invece 15 ottobre. 38 Indipendemente dal volerle legare, come fa Malvasia, all’eco del modello della Pala di Reni nel Duomo di Pesaro, come sopra spiegato. Ma certo, in generale, il riconoscimento della maniera del Reni dovette conquistare i committenti. 39 E si veda, in questo stesso catalogo, il saggio di Cecilia Prete sul tema del collezionismo a Fano, per valutare l’impatto del pittore nelle quadrerie cittadine. 40 Malvasia, op. cit., p.374. 41 Per il problema della datazione della pala di Reni si veda alla scheda della Madonna della cintura di Cantarini, più avanti nel testo. 42 Ambrosini 1997a, pp. 49-63, in particolare pp. 57-60 ; 2009a, dove si pubblicano per la prima volta nuovi documenti, non solo per l’attività del pittore in commissioni di centrale importanza quale quella per la chiesa dei Filippini di Pesaro, relativa ai due dipinti del Museo Civico di Pesaro, Maddalena e San Giuseppe, ma anche altri documenti sulla bottega pesarese, poi anche in Ambrosini Massari 2009b, pp. 364-368 e Regesto a pp. 379-380. 43 Malvasia cit., passim. Il carattere inquieto e permaloso non aiutò gli obiettivi imprenditoriali. In un modo o nell’altro, si cacciava sempre in situazioni perdenti, o per i litigi, come con Reni, poi coi mecenati Locatelli e Zamboni, o perché diventava vittima di chi lo sfruttava come il marchese Manzini. 44 Oltre a gestirne eventuali contenziosi legali. Questo ruolo del padre e del fratello di Cantarini sono ben illuminati da alcuni degli ultimi documenti da me pubblicati, relativi a committenze 65 a Pesaro tra 1637 e 1644, Ambrosini Massari 2009b, pp. 364-368 e Regesto a pp. 379-380. 45 Ghelfi 1997, cit., n. 32 con annotazione e bibliografia precedente, n. 56. Il frammento è stato pubblicato, in relazione alla pala pesarese da Bisogni 1975, pp. 338-342. 46 Per primo Zampetti 1990 cit., p. 361; Ambrosini Massari 2011, p. 28. 47 Marzocchi 1980, pp. 66-67. 48 Si veda il commento di F. Battistelli sui temi dell’opuscolo. 49 Avevo raccolto questi dati fin dalla mia tesi di dottorato, cit., 1996; Ambrosini Massari 1997a, pp. 56-57. 50 Borgarucci in Deli 1994, p. 38. Non era infrequente che membri di casate nobiliari si trasferissero per esercitare la mercatura, come capita anche a un Castracane. 51 Malvasia cit., p. 374 e Billi cit., p. 23. 52 Per la disamina dei singoli documenti e dello scalarsi della genealogia dei Cantarini di Fano rimando al Regesto in Cellini cit. Documento già in Borgogelli, Fano, Biblioteca Federiciana, Ms 7, C, c.52v., che però trascrive, come pertinente, anche l’atto di battesimo di Simone Cantarini, mentre il Bertozzi, Fano, Biblioteca Federiciana, Ms Protoc. K, vol. 5, cc. 224, perdendo le tracce di Girolamo, proprio in quanto trasferitosi a Pesaro, ipotizza che si fosse fatto religioso. 53 Borgarucci cit., a nota 48. Bertozzi cit., cc. 223-225; Borgogelli cit., cc. 52-57, con disegni acquarellati degli stemmi nobiliari del nipote Francesco Borgogelli. 54 Si dirà meglio più avanti per questo aspetto. I Marcolini ebbero un ruolo di primo piano nella dotazione della chiesa di San Pietro in Valle, sia per la cappella della Natività o del Crocifisso, di loro giuspatronato, che per quella dell’altare maggiore, intrapresa, per la decorazione da Francesco Marcolini, cui devono legarsi le commissioni originarie ai pittori, probabilmente i soli Reni e Cantarini. 55 Testamento di Camillo Cantarini, Fano, Archivio di Stato, AAAA, Testamenti aperti, 1622-1638, notaio Bernardino Dudoni, novembre 1633, con un codicillo del 3 febbraio 1635. 56 Il Bertozzi, nel suo manoscritto sulle famiglie nobili di Fano, Indice di tutte le famiglie che sono descritte in questo Protocollo con gli alberi genealogici delle medesime, Fano, Biblioteca Federiciana, Ms Protoc. K, vol. 5, cc. 223-225, lo confonde col fratello Tommaso, che in realtà era un importante canonico crocifero, dunque non poteva essere sposato. L’errore può essere causato dalla presenza di Tomaso in qualità di testimone. Il nome del padre, Francesco Maria Tomasi è invece correttamente citato, a riprova della corrispondenza. 57 16 aprile 1639, notaio Federico Benamati, Archivio di Stato Pesaro. Per le notizie documentarie si veda la silloge nel Regesto in Cellini 1997b, pp. 397-418, in particolare per questo documento, p. 412. 58 Rimando al mio intervento più recente sull’argomento in 2009b, p. 264 e alla più recente scheda dell’opera, Ambrosini Massari 2003, pp. 50-53. Il dipinto sarà presente nella mostra omaggio per i 400 anni dalla nascita del pittore in corso la prossima estate a Pesaro, ai Musei Civici. Dalle nozze di Eleonora Albani con il nobile Francesco Maria Tomasi nacquero Annibale, 66 Tomaso e Camilla, sposa, quest’ultima di Flaminio Mannelli di Arcevia, altro personaggio di centrale importanza nelle dinamiche degli spostamenti e delle committenze di Simone Cantarini. 59 Billi 1866, pp. 3-4. 60 Per l’argomento della supposta parentela, si vedano le mie pagine che qui precedono. 61 Billi cit., p. 22. 62 Malvasia 1678, ed. 1841, p. 374. 63 Sta ovviamente considerando l’edizione a stampa, ed. 1809, III, p. 80. L’analisi delle note manoscritte di Lanzi 1783, ed. 2003, 39, ha rivelato anche considerazioni sull’Apparizione della Vergine in gloria a san Tommaso da Villanova, come si dirà. 64 Per altre note sulle pale fanesi si veda alle rispettive schede. 65 Tra le fonti più antiche prima di Billi, la ritroviamo citata in Pitture d’uomini eccellenti…ca. 1740, ed. 1995, p. 24; Quadri e Pitture...post 1773, ed.1995; Oretti Ms.B.165 bis, c.318r.; e, sempre con la coloritura della storiografia locale in Tomani Amiani 1853, I ed. 1981, p.199 :”colorisse questa tela, allorchè‚ rifugiato per indecoroso trascorso occorsogli in patria,” sunto degli accenni di Malvasia su una disgrazia sfuggita, dovuta alle sue licenze amorose, (1678, II, p.374) dove peraltro il fatto è riferito quale romantica motivazione del successivo trasferimento a Bologna. Dopo Billi, si trova in Francolini 1877, p. 62. 66 Selvelli 1921, p.76. Poi anche 1924, p. 101; 1943, p. 148 e Borgogelli, Inventario… (1929), c. 10r, n. XLIII. Altra bibliografia di riferimento sul dipinto si trova in Alipi p. 73; Locchi 1934, p. 505; Aliberti Gaudioso 1967, pp. 96-97; Mancigotti 1975, pp. 44, 82; Colombi Ferretti 1976, p.1532; Calegari 1986, p. 396; Mazza 1986, p. 398; Amaduzzi 1989, pp. 136-137; Battistini 1989, p. 172; Zampetti 1990, III, p. 396; Benati 1991, p. 145; Colombi Ferretti 1992, pp. 111-112; Ambrosini Massari 1993, pp. 55-57, n.34; Calegari 1994, p.110; Cellini 1996, p. 112, p. 124; Ambrosini Massari 1997b, ill.p.51, p. 61, p. 80, p. 187, 188; Cellini 1997, p. 217; Emiliani 1997, XL; Cerboni Baiardi 1997, p. 136; Mancigotti 2006, pp. 57-59; Ambrosini Massari 2009b, p. 355; Battistelli 2011, p. 64; Paolini 2011, pp. 118-124 e pp. 166-188; Ugolini 2011, p. 131. 67 Billi 1866. Su Il complesso monumentale di Sant’Agostino a Fano (2011), si veda il recente volume monografico con numerosi contributi sui vari aspetti della storia e delle vicende della chiesa ma anche del connesso eremo. 68 Il quadro è stato restaurato nel 1968 a cura di Martino Oberto. 69 Malvasia cit., p. 374, secondo l’aneddotica che confronta l’episodio con quello della visione da parte di Guercino, della pala di Cento di Ludovico Carracci. 70 Si veda nota 31. 71 Si veda sul tema la scheda dei due dipinti tratti appunto dalla Pala Olivieri del Reni, più avanti in questo catalogo. 72 Entro il 1634, secondo quanto stabilito per la prima volta da D. Mahon 1957, p. 241 e si veda Pepper 1988, n.131, cat. 141. 73 Malvasia in Marzocchi 1980, p. 80. 74 Già la Colombi Ferretti 1992, p. 111, si poneva il problema di movimentazioni verso Fano e le opere fanesi del Reni, prima del quarto decennio. 75 Benati 1991, p. 145. 76 Emiliani 1997a, p.18. 77 Colombi Ferretti cit. 78 1769, p. 131. 79 Ambrosini Massari 1996, p.237, documento n.9, si veda poi 1997a, pp. 55-57 qui nel testo che introduce alle schede, anche per altri spunti sul tema dei rapporti della famiglia Cantarini con gli agostiniani. In precedenza Mancigotti 1975, p. 37, aveva erroneamente letto la data di nascita del fratello frate del nostro pittore, come avvenuta nel 1617. Per i documenti si rimanda sempre al Regesto in Cellini 1997b, pp. 397-418. 80 Ambrosini Massari 1997a, pp. 49-61; 2009b, pp. 337-340. Cellini 1997a, p. 120; 1997b, pp. 402. Si veda nota 140. 81 Catalogo delle migliori pitture... XV, ed.1995, p.73, con un pastiche che descrive come un’unica opera, la copia del dipinto in esame e la Madonna con san Tommaso da Villanova. Tomani Amiani, cit, p.196; Selvelli 1943, p. 148, parte dalla copia per dare indicazioni sull’originale. Ugolini 2011, p. 131. 82 Inv. DES. 00047, Loisel 2006, pp.106-107. E si veda in particolare il recto del disegno a Brera, inv. 489, con Studio per Madonna con il bambino in gloria e due figure in basso. Da segnalare anche lo studio di Ottawa, National Gallery, Inv. 17182 e quello a Firenze, Museo Horne, Inv. 6209H, Cellini 1996, p. 124. 83 Ambrosini Massari 1997a, pp.187-188, nn. 45, 46, con spunti per il gruppo celeste in particolare ma più vicini all’iconografia della Madonna del rosario. Sul tema Cellini 1997a, p. 217, per composizioni che ricordano il modello. 84 Fano, Archivio di Stato, Notaio Bernardino Dudoni, AAAA, Testamenti aperti 1622-1638, testamento, 28 novembre 1633; codicillo 1 febbraio 1634, cc. 647-657. Ringrazio Maria Neve Fogliamanzillo direttrice dell’Archivio di Stato di Fano, per avermi aiutato nella difficile lettura del documento e per i suoi preziosi suggerimenti. Biblioteca Federiciana, in particolare Borgogelli e Bertozzi, che mi hanno permesso di rintracciare l’atto in questione, che Giuseppina Boiani Tombari mi ha gentilmente aiutato a leggere. Il notaio Dudoni ha una grafia davvero impenentrabile. 88 Ambrosini Massari 1997a, pp. 58-61; 1997b, pp. 145-146; 2011, pp. 29-30. Con rescritto pontificio reso esecutoriale il 4 settembre 1874 i Corbelli consegnano al capitolo tremila lire da rinvestirsi in cartelle del debito pubblico perché coi frutti venissero celebrate delle messe, rinunciando allo iuspatronato della cappella di Sant’Orso e trasformando così il loro legato. Dall’atto di morte di Ignazio, del 15 dicembre 1638 (Fano, Archivio Diocesano, Cancelleria vescovile, serie Collazioni, reg. 1637-1648, c. 139v. si evince inoltre che i Corbelli detenevano il prestigioso titolo di San Luca, riservato ai componenti più influenti del capitolo fanese. 89 Da quanto ad oggi noto, Locchi 1934, p. 488; Asioli 1975, p. 161, il Capitolo del Duomo fanese avrebbe in realtà concesso nel 1609 il patronato della cappella alla famiglia Bellocchi e in effetti Pietro Bellocchi intraprese subito i lavori, come si ricava da una visita pastorale del 1610, dove purtroppo nulla emerge relativamente alla pala, Palazzi 2010, pp. 53-54 e nota 132, per il documento della visita pastorale nell’Archivio diocesano di Fano, registro 2, c. 1 verso, visita del 1 ottobre 1610. Sappiamo peraltro che, d’abitudine, le opere che abbellivano gli altari giungevano come ultimo elemento decorativo, anche a distanza di anni dal completamento dei lavori e con interventi di altri committenti, come avviene anche nel caso della cappella promossa e avviata da Francesco Marcolini nella chiesa di San Pietro in Valle a Fano, dove, a causa della sua precocissima morte, nel 1623, l’intera commissione viene gestita dal padre Girolamo Gabrielli, Carloni 1995, ed. Milano 1995, p. 221. Un altro esempio in Ugolini 2004, pp. 35-44, dove per la cappella Amiani, detta del Sacramento, in Duomo, la famiglia, che aveva il giuspatronato non partecipa ai lavori che segue e finanzia il vescovo Lapi. 90 Dudoni cit, c.71 verso. 91 Fano, Biblioteca Federiciana, ms Bertozzi, vol. M, c.166. 92 Tomani Amiani 1853, ed.1981, p.84. 85 Ambrosini Massari 1996, Appendice documentaria; Cellini 1997b, p. 400. 93 Colombi Ferretti 1976, p. 1532; 1982, p. 24; Mazza 1986, p. 398; Colombi Ferretti 1992, p. 112, nota 15. 86 Per le principali voci che citano o studiano a vari livelli l’opera, si veda in particolare: Catalogo delle pitture...entro 1730, ed.1995, p.16; Pitture d’uomini eccellenti...entro 1740, ed.1995, p.16; Oretti Ms. B. 165, c.318r; Quadri e Pitture...dopo 1773, ed.1995, p.17; Lanzi 1783 (2003), p. 39; Tomani Amiani 1853, I ed. 1981, p. 84 et 107; Fabi-Francolini 1863, p.25; Billi 1866, p.25-28; Inv. Borgogelli c.9v, n. XXXVI; Selvelli 1909, 1921, p.76; 1924, p. 112; 1935, p. 143; ed. 1943, p. 147, 165; Battistelli 1973, p.110; Mancigotti 1975, p. 82, n.20-21; Colombi Ferretti 1976, p. 1532; Battistelli 1978, p.84; Colombi Ferretti 1982, p. 24; Mazza 1986, p.398; Amaduzzi 1989, p.85; Benati 1991, p. 145; Colombi Ferretti 1992, p.112, nota 15; Ambrosini Massari 1993, pp.56-57, n.35; Ambrosini Massari 1995, p.102; Cellini 1996, p.123; Ambrosini Massari 1997a, pp.60-61, ill.p.48; 1997b, pp. 145-146, I.39; 1997c, XVI, ad vocem; Emiliani 1997, XL; Mancigotti 2006, pp. 55-57; Ambrosini Massari 2009b, p. 360; Paolini 2011, pp. 118-124 e pp. 166-188; Prete 2011, p. 48; Battistelli 2011, p. 61; Ugolini 2011, p. 125-126. Per altre menzioni della guidistica si veda anche Cleri 2004, pp. 139-158. 94 Si veda, per esempio, il caso che ho più recentemente in luce, riguardante i dipinti dei Museo Civici di Pesaro e la loro lenta esecuzione, Ambrosini Massari 2009a. Ma gli esempi potrebbero essere molteplici, oltre a ricordare le parole di Malvasia su questo punto, molto critiche, cit., p. 378. Su esecuzioni talora anche molti protratte nel tempo, si veda Colombi Ferretti 1992, op. cit. p. ‘E probabile che anche le vicende che portarono alla realizzazione di solo uno dei dipinti laterali alla Consegna delle chiavi a san Pietro del Reni, in San Pietro in Valle a Fano, risieda in motivazioni analoghe, Ambrosini Massari 1997b, pp. 151-153, come già anche la Colombi Ferretti pensava, specialmente ipotizzando questa la commissione che lo fece decidere ad andare alla scuola del Reni (p. 113) e si confronti, sul tema, quanto sarà precisato nel testo relativo alla pala proveniente da San Pietro in Valle. 87 Fano, Archivio di Stato, Notaio Bernardino Dudoni, volume PPP, cc.70v-76v. Ho rintracciato il documento grazie alle mie ricerche a partire dai manoscritti sulle famiglie nobili di Fano della 97 Cellini 1996, p. 123. 95 Lanzi 1783, ed. 2003, p. 39, nota 438. 96 Billi 1866, pp. 25-26. 98 Di Giampaolo 1994, p.106. 67 99 Già Christie’ s 31.5.1990, New York Gordon collection; Ciammitti 1997, p.292, n.215. E si veda sempre, sul tema, Cellini 1996, p. 123. 100 Inv.479; Jaffé 1994, III, p.55. Segnalato in connessione col dipinto da Ambrosini Massari 1995, p.102. 101 Ambrosini Massari 1997a, pp. 208-209. Affine al disegno di Madrid, Museo del Prado, probabilmente per una Apparizione della Vergine a san Filippo Neri, Cellini 1997b, p. 274. 102 Inv.5321; Royal Library, Kurz 1955, n.47, p.85, fig.11. 103 Milano, Brera, gabinetto Disegni e Stampe, inv. 495; Ambrosini Massari 1997a, pp.155-156, n.12. 104 Fano, Archivio di Stato, Arch. Not. vol. B, rep.5, 14 giu.1808. 105 1853, p. 107, 84. 106 1921, 1924, p. 112. 107 Fano, Archivio di Stato, tit. XIII, rubr.11, VII, n.7. 108 P. 2 5. 109 Fano, Archivio di Stato, Arch. Not., vol. B, rep.8, 22 sett.1873. 110 Selvelli 1921, p.76. 111 Malvasia cit., p. 374. 112 Rimando alle considerazioni su questi problemi nella carriera di Cantarini condotta qui sopra, nella parte di testo introduttiva alle schede. 113 1678, II, p. 374. 114 Archivio di Stato di Fano, Notaio Bernardino Dudoni, Prot. NN, 1617, c. 314; per la nascita del figlio, Fano, Biblioteca Federiciana, Ms Bertozzi, vol. F, c. 82. 115 Ambrosini Massari 1993, p. 254, n. 471. 116 Ligi, Ms Federici 76, c. 53. 117 Mahon 1957, p. 241. 118 Malvasia cit., p. 378. Su esecuzioni talora anche molti protratte nel tempo, si veda Colombi Ferretti 1992; Carloni 1995, pp. 224-2245, anche per una probabile, originaria commissione, già a Reni, anche dei laterali: da una notizia un po’ ambigua ma non sottovalutabile del Marciano, Marciano 1693-1702; 1698, III, p. 147 e per il confronto con l’impresa per i Barberini, organizzata dal Reni, in cui Simone riceve l’incarico della Trasfigurazione per il Forte Urbano di Castelfranco Emilia. Sui contrasti impliciti nella pala col Miracolo, già Benati 1991a, p. 145. 119 Ligi cit. 120 Sul tema, più in generale, Ambrosini Massari 1997a, p. 56 e Regesto in Cellini 1997, pp. 400-401 e si veda introduzione che precede questi testi alle opere: Indizi per una utile parentela: i Cantarini di Fano. 121 Si veda anche in Ambrosini Massari 1997a, p. 153, n. I.42b, si tratta di studio già da tempo collegato a questo soggetto, Emiliani 1959, tav.186c; 1959a, p.122; Carloni 1995, p. 222, fig. 228. 68 122 Emiliani 1959, tav.186b; 1959a, p.121; Benati 1991, p.161, p.164, n.40.1. 123 Ambrosini Massari 1995, p. 231; poi 1997b, p.153. 124 Per la progressiva alienazione della protezione degli amorevoli, tra i quali Bernardino Locatelli, che di casa sua l’aveva fatto padrone, e il dottor Orazio Zamboni, che tante volte l’aveva soccorso di moneta, p. 377, 378. Con essi riallaccerà i rapporti solo dopo il 1642, quando tornato a Bologna, vi impianterà la sua fiorente bottega, Malvasia, op. cit., p. 380. Infine, solo quelli come lui, o peggio, lo avvicinavano e per motivi strumentali, sarà il caso di Giovan Battista Manzini, sul quale in particolare, per questi aspetti dei rapporti con Cantarini e per la sua personalità ambigua, avida e arrampicatrice, nonostante l’altissimo profilo intellettuale, Unglaub 1998 - 1999, pp. 31-75, in part. 31-42. Manzini era l’autore, tra l’altro, con altri letterati, come Virgilio Malvezzi, Ovidio Mariscotti, Jacopo Gaufrido e il poeta Claudio Achillini, del quale le fonti documentano un ritratto di Cantarini (Malvasia in Marzocchi 1980, op. cit., p.182, nella collezione bolognese Arnoaldi) del Trionfo del pennello, stampato a Bologna nel 1634, omaggio di Bologna a Guido Reni per il suo Ratto di Elena. Sul tema si rimanda a Raimondi 1995, in particolare, pp. 40-44, 68-71. Sui rapporti con i Locatelli e in generale sul mercato bolognese attorno a Cantarini, Morselli 1997b, pp. 50-69. 125 Malvasia cit., p. 378. 126 Per una compiuta discussione e trascrizione degli importanti documenti, che comprendono l’allogazione al pittore, lui presente, dei dipinti per la distrutta chiesa di San Filippo, oggi al Museo Civico, rimando al mio articolo specifico, 2009a, pp. 145-161. I documenti che relazionano di atti intentati contro Cantarini, rappresentato dal padre Girolamo e dal fratello Vincenzo, sono pubblicati in Ambrosini Massari 2009b, pp. 379-380. 127 Sul metodo di Malvasia, sulla sua buona attendibilità, specie per argomenti contemporanei, in particolare Perini 1988. Anche sul linguaggio di Malvasia restano imprescindibili numerosi studi di Perini, in particolare 2005(2006), pp. 142-164, 1989, pp. 175-206. Notevole attenzione al caso Cantarini anche per questi aspetti, in Emiliani 1995, pp. 257-282. 128 Per un orientamento bibliografico: Scaramuccia 1674, p. 185; Malvasia 1678, ed. 1841, II., p. 374; Baldinucci 1681-1782, v, p. 333; Ligi Ms 76, sec. XVIII, c. 53; Pitture di uomini eccellenti…1740 circa, ed. 1995, p.34; Cochin 1769, I, p.92; Lalande 1769, VII, p. 393; Quadri e Pitture… ed. 1995, p. 35; Oretti sec XVIII, ms B 128, c. 444; ms B 165 bis, c. 13; Catalogo delle pitture…1781, ed. 1995, p.31; Lazzarini 1806, I, p. 73; Lanzi 1809, III, p. 80; Zani 1819, XI, II, pp. 170-171; Bolognini Amorini 1843, p.274; Catalogo Tomani Amiani 1853, I ed. 1981, pp. 160-161; Catalogo Tomani Amiani 1856, p.18, vedi anche ed.1941; Fabi-Francolini 1863, p.20; Billi 1866, p.24; Francolini 1877, p.56; Selvelli 1909, p.12; Pollak 1911, V, ad vocem; Serra 1921 p.25; Idem 1924-25, p.393; Locchi 1934, p.508; Selvelli 1935, p. 64; Selvelli 1943, p.72; Miller 1959, p. 211; Emiliani 1959, tav.186d; 1959a, pp. 121-122, n.51; 1959b, p.39; Mancigotti 1975, pp.79-80, figg.15-18; Colombi Ferretti 1976, p. 1534; Battistelli 1978, p. 57; Colombi Ferretti 1982, p.119; Calegari 1986, p. 395-396; Thiem 1988, p.489, fig.71; Amaduzzi 1989, p.107; Calegari 1989, p. 153; Benati 1989, p. 665; Pizzorusso 1989, I, pp. 390-391; Zampetti 1990, p. 366; Benati 1991, pp. 161-162, fig.40; Colombi Ferretti 1992, p. 113, 116-117, fig.114; Emiliani 1992, p.216; Ambrosini Massari 1993, pp. 254256, n.471; Carloni 1995, pp.224-225, fig.227; Bonamini 1996, pp. 103, 105; Costanzi 1996, p.70; Mariano 1996, p.67; Ambrosini Massari 1997a, pp. 98-101, n.12; 1997b, pp. 151-153, n. I.42; 1997c, XVI, ad vocem; Emiliani 1997, XXVIII, XLI-XLII; Mancigotti 2006, pp. 53-54, ill. p. 52; Ambrosini Massari 2009b, p. 358 e passim; 2012, pp. 99-101. Il dipinto è stato restaurato nel 1990 da Isidoro Bacchiocca. Per altre menzioni della guidistica si veda anche Cleri 2004, pp. 139-158. 129 Ambrosini Massari 1993, pp. 254-256; 1997b, pp. 151-153. 130 Ambrosini Massari 1993, op. cit., pp. 254-256. Una fonte per lo scenario di arcate magniloquenti è stato richiamato anche nella pala del Duomo di Reggio Emilia, di Annibale Carracci, Carloni 1995, op. cit., p. 225. 131 Colombi Ferretti 1992, p. 113; Ambrosini Massari 2009b, p. 359. 132 Lanzi 1783 (2003), p. 39. Poi, molto più sintetico in Lanzi ed. 1809 (1968-’74), III, pp. 79-80. 141 Bonamini, Cronaca, Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms 966, IV. 142 Ed. 1996, p. 104. 143 Malvasia cit., p. 374; Baldinucci 1681-1782, v, p. 333; Oretti sec XVIII, ms B 128, c. 444; ms B 165 bis, c. 13; Lanzi 1809,v, p. 120; Bolognini Amorini 1843, p.274. 144 Emiliani 1959a, p. 121. 145 Mancigotti 1975; Colombi Ferretti 1982; Benati 1989; 1991; Colombi Ferretti 1992. 146 1992, p. 113. 147 1991, p. 161. 133 Vari i rimandi a Guerrieri, da Emiliani 1959. 148 Ambrosini Massari 1997b, pp. 155-156, n. 12. 134 Sul tema si veda sopra il confronto tra disegni di Cantarini, come per lo Studio di Madonna col bambino e due devoti, del fondo Acqua a Brera, inv. 98, impensabile senza la conoscenza della Madonna dei pellegrini di Caravaggio, attraverso la mediazione del commovente San Carlo Borromeo che accoglie i coniugi Petrucci in abito da mendicanti, del Guerrieri. Il disegno é base di importanti riflessioni di R. Roli, I disegni italiani del Seicento. Scuole emiliana, toscana, romana, marchigiana e umbra, Treviso 1969, p. 36, per l’influenza di Cantarini a Bologna nel suo secondo soggiorno, dopo Roma. 149 Kurz 1955, n.47, p.85, fig.11. 150 Si veda alla scheda precedente per le connessioni e i confronti. 151 1866, p. 25. 152 Thiem 1988. Per il versante del modello caravaggesco, si veda più sopra il mio testo introduttivo e le immagini di confronto tra disegni di Cantarini e opere del Merisi. 135 Di Giampaolo in Simone Cantarini, op. cit., p. 291, si veda nota 26. Anche se non può essere documento certo della residenza romana, va ricordato che il San Filippo Neri con due angioletti, della Galleria Pallavicini, dimostra una precisa conoscenza della statua con San Filippo e l’angelo, eseguita da Alessandro Algardi per la sacrestia di Chiesa Nuova, dove si trova collocata dal 1640, si confronti Pupillo 1995, p. 539. 153 Emiliani 1992. 136 Non necessariamente prova di un sicuro soggiorno romano ma indubbiamente della sua straordinaria capacità di captare temi e linguaggi variegati, può essere l’inequivocabile citazione della soluzione offerta da Artemisia Gentileschi, nella sua Susanna e i vecchioni, firmata e datata 1610, conservata nella collezione Graf von Schönborn di Pommersfelden, della figura di Susanna, della quale il dipinto alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, senz’altro derivante da un prototipo cantariniano, pare ricalcare pressoché in tutto la figura e la posa, mentre preferisce allo sfondo angosciante con la balaustra chiusa, una maggior ariosità e decorazione, attinti da altri esempi sullo stesso tema, quali quello del Reni (Londra, National Gallery) o quello, del 1603, di Domenichino (Roma, Galleria Doria Pamphili); forse ricavato da un prototipo perduto di Annibale Carracci che, secondo Bellori (1672, p. 86), avrebbe copiato Lanfranco. 157 Cellini 1997a, p.215. 154 Colombi Ferretti 1992, p.116. 155 Cellini 1997a, p.215. 156 Lo si veda in Ambrosini Massari 1997a, p. 153, n. I42a. 158 Ambrosini Massari 1995, pp. 229-231, n. 181. 159 Londra, Colnaghi 1950, n.20; Londra, Sotheby’s 1962, 5 febr., lot. 162; Londra, Christie’s 1978, 16 may, lot.38; Londra, Christie’s, 11 dec. 2009, lot. 330. 160 Bellini 1987, p. 104, n. 67; Ambrosini Massari 1997a, p. 153. L’esemplare esposto nella presente occasione è conservato in collezione privata a Pesaro. 161 Cellini 1996, p.120. 162 Amaduzzi 1983, p.187. 137 Ambrosini Massari 1993. 138 Ambrosini Massari 1997a, pp. 55-57 e scheda dell’opera, pp. 98-101. Importante Dini 2004, p. 37, che documenta il passaggio di Mirlafiore nei beni dei Medici, attraverso Vittoria Della Rovere. 139 Ambrosini Massari 1997a, pp. 49-61. 140 Qui viene sepolto un altro fratello di Cantarini, Francesco Maria, atto di morte 20 aprile 1649, Fondo San Cassiano a Pesaro, ma si veda Ambrosini Massari 1997a, p. 63. Il padre e il fratello Vincenzo furono sepolti in Sant’Agostino, come ho più sopra indicato e si veda, in genere per la revisione dei documenti, Cellini 199b, pp. 397-418. 69