la Repubblica DIARIO GIOVEDÌ 3 GENNAIO 2013 DI REPUBBLICA ■ 36 Un tempo c’erano i progetti da realizzare. Ora i leader parlano per elenchi di “cose da fare”: una sorta di ideologia che crede che l’agire pubblico sia neutro e non produca opere, ma manufatti AGENDA Da visione del mondo a compito a casa la politica ridotta ai minimi termini CARLO GALLI LIBRI M. MONTI S. GOULARD La democrazia in Europa Rizzoli 2012 PAUL KRUGMAN Fuori da questa crisi, adesso! Garzanti 2012 ULRICH BECK La crisi dell’Europa il Mulino 2012 JÜRGEN HABERMAS Questa Europa è in crisi Laterza 2012 FEDERICO RAMPINI Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo Mondadori 2012 GERTRUD HÖLER Sistema Merkel Castelvecchi 2012 G. BALDINI J. HOPKINS (a cura di) La Gran Bretagna di Cameron il Mulino 2011 N. ROUBINI S. MIHM La crisi non è finita Feltrinelli 2010 VERONICA DE ROMANIS Il metodo Merkel Marsilio 2009 ADOLFO BATTAGLIA Aspettando l’Europa Carocci 2007 a politica è soprattutto fare, agire. Il conoscere (la teoria) è importante, il parlare e il convincere (la retorica) lo sono altrettanto, senza un rapporto con la morale la politica è monca; ma idee e visioni restano astratte, interessi e forze sociali restano opache, la morale resta un fatto interiore, se la politica non ha capacità operativa. Benché il rapporto tra il fare e le altre dimensioni sia instabile e mutevole, benché la politica si fondi più sul senso del possibile che su quello del necessario, più sulla parzialità che sulla totalità, benché, insomma, sia più un’arte che una scienza, da essa ci si attende un prodotto, un’opera. Ma che fare? Se lo chiedeva Lenin, nel 1902, come se lo era chiesto, in carcere, Nikolaj Cernyševskij nel 1863. E in realtà la domanda chiave della politica è proprio questa: quali siano le cose da fare, e in quale rapporto stiano con le cose pensate (oltre, naturalmente, all’altra domanda, chi siano i soggetti che agiscono). In politica arrivare all’agenda — che in latino significa «le cose da fare, che devono essere fatte» — è indispensabile; tutto sta nel capire chi vi arriva, e per quale via. La modernità ha dato una grande risposta: con la teoria, con la visione del mondo, con una grande narrazione dalla quale si deducono, o si chiarificano le cose da fare. Che di solito sono grandi cose: una rivoluzione (borghese o proletaria), un oltrepassamento del presente stato del mondo verso un assetto migliore. È la politica come sintesi di pensiero e azione, di lucidità e di speranza, a individuare le cose da fare. Che in questo contesto, però, non si chiamano “agenda” — non è possibile definire così gli immortali principi dell’Ottantanove, o il Sol dell’avvenire — quanto piuttosto “manifesti”, enunciazioni di principi, dichiarazioni di guerra al mondo intero. Le cose da fare, qui, sono la prassi che fa della storia il regno della libertà. Altro che agenda! Ma le cose da fare possono avere anche un aspetto più prosaico; e ciò avviene quando la politica non mette più all’ordine del giorno l’“Uomo nuovo”, ma l’amministrazione; non più la rivoluzione ma le riforme. Quando cioè la politica si è assestata nelle istituzioni democratiche, e consiste nel- Analitici L Il programma contiene un’apertura al futuro ma la stempera e la rende, al contempo, concreta Ha infatti una dimensione analitica, minuziosa e operativa Il contratto C’è stato anche il contratto: una semplificazione fatta da chi intende il suo ruolo simile a quello di un venditore che rivendica un rapporto diretto con i cittadini l’agire dei partiti e nei loro programmi. Il programma certamente contiene — lo dice anche la sua etimologia — un’apertura al futuro, e discende da una visione del mondo; ma la stempera e la rende, al contempo, concreta; ha infatti una dimensione analitica, minuziosa, operativa (ricordiamo il programma di Prodi nel 2006, di qualche centinaio di pagine) che all’occorrenza può essere riassunta in uno slogan; questo però non è un grido di battaglia ma un brand, un marchio che deve riuscire accattivante, vincente, nella gara elettorale. Il SILLABARIO AGENDA programma è meno impegnativo del manifesto o della dichiarazione, ma è pur sempre un atto apertamente politico, che nasce da una soggettività (il partito), da un modo specifico di interrogare il mondo, da una precisa impostazione del rapporto teoria-prassi. Una potente semplificazione è intervenuta quando al programma è stato sostituito il contratto: Berlusconi, un politico-venditore dotato di molto denaro e di molta parlantina ha istituito, a suo tempo, un rapporto diretto (televisivo, in realtà) con i cittadini: chieden- ZYGMUNT BAUMAN differenza che in passato, quando a definire l’agenda erano i politici, l’agenda attuale cristallizza nella forma di effetto conseguente o collaterale delle operazioni di mercato: non è la causa che le precede, e tanto meno lo scopo deliberato o l’obiettivo dichiarato. Ha tutte le caratteristiche di un “prodotto naturale”, nonché di un prodotto contingente: né pianificato né previsto, e perciò non scelto. Pertanto, i criteri della ragione e razionalità dell’azione, adottati in passato per guidare l’attività di definizione dell’agenda svolta dalle istituzioni politiche moderne, non si applicano più all’agenda prodotta dal gioco delle forze di mercato. Quest’agenda non è né razionale né irrazionale, non risuona dei precetti della ragione né milita contro di essi. Semplicemente, essa è, così come sono le catene montuose e gli oceani. A © RIPRODUZIONE RISERVATA do voti in cambio di benefici annunciati (mirabolanti, ma concreti, misurabili). La politica, qui, ha ancora una dimensione di soggettività, ma è una soggettività privata; quel contratto è il contrario del contratto sociale: è una personalizzazione che è anche una banalizzazione (oltre che un’illusione). La politica non è un’opera, ma un’operetta. Ancora diversamente stanno le cose con l’agenda vera e propria, cioè con la forma con cui oggi da più parti (ha iniziato Monti, è venuto al seguito Grillo, altri lo faranno) si denota l’impegno pratico rivolto al futuro. E la diversità consiste nel fatto che le cose da fare, in questo caso, non sono presentate in forma soggettiva, cioè come frutto di una posizione politica, di un’interpretazione di parte; le cose da fare, qui, hanno un che di oggettivo, come se fossero dettate dalle cose stesse, come un Diktat dotato di un’intrinseca necessità: la mano che scrive sul taccuino le cose da fare è la mano delle cose stesse. In un’agenda c’è ben più imperiosità che in un manifesto o in un programma: c’è tutta l’ideologia della tecnica, dei tecnici che ignorano la parzialità della politica, che deducono meccanicamente le cose da fare dalle cose che sanno, senza riguardo alle circostanze e alla loro interpretazione, c’è l’ideologia che crede che la politica non produca opere, ma manufatti o equazioni. Ma c’è anche tutto il populismo di chi crede, o vuol far credere, che la politica è una cosa semplice, neutra, oggettiva. C’è, in realtà, il conservatorismo (anche se molti elaboratori di agende si dicono innovatori o rivoluzionari) di chi crede di sapere una volta per tutte quale sia il corso del mondo. Non è questione di avere forti convinzioni; queste sono benvenute. Nel concetto di agenda c’è piuttosto l’idea che per determinare le cose da fare non si devono avere convinzioni; far politica con le agende significa voler ignorare la complessità della politica, la sua parzialità intrinseca. Significa, a ben guardare, collocarsi in una posizione tanto ideologica da non chiedersi nemmeno Che fare? Non a caso, a differenza di Lenin — che pure di forti convinzioni ne aveva, fin troppe — chi fa politica con l’agenda quando scrive Cose da fare non si sogna nemmeno di mettere il punto interrogativo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gli autori IL SILLABARIO di Zygmunt Bauman è tratto da La solitudine del cittadino globale (Feltrinelli). Filippo Ceccarelli ha scritto tra gli altri La suburra (Feltrinelli). Carlo Galli insegna Storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna. Tra i saggi di Daria Galateria, Scritti galeotti (Sellerio). L’ebook di “Repubblica” “Diario 2012. Le parole dell'anno” è l'instant ebook di Repubblica (che raccoglie i diari del 2012) a 0,99 euro. È disponibile su ebook.repubblica.it Italo Calvino Jonathan Coe Giorgio Manganelli Adesso la situazione è diversa: ho un’agenda in cui è segnato l’orario dei miei impegni Aveva nascosto la sua agenda Letts, dove ogni giorno annotava il minimo dettaglio L’opuscolo, che ho davanti agli occhi, raffigura in copertina lucida un’agenda aperta Ti con zero, 1988 La banda dei brocchi, 2001 Improvvisi per macchina da scrivere, 2003 IL NEW DEAL IL PIANO MARSHALL IL NEW LABOUR L’AGENDA DI LISBONA OGGI Negli anni ’30 l’agenda Roosevelt per uscire dalla crisi prevede un piano di riforme ispirato alle teorie di Keynes Nel secondo dopoguerra gli Usa elaborano un piano di aiuti economici per sostenere l’Europa nell’opera di ricostruzione Tony Blair ridisegna l’agenda politica della socialdemocrazia inglese adottando l’idea della “terza via” Nel 2000 i capi di Stato e di governo della Ue lanciano un piano di riforme economiche e sociali per l’Europa L’“agenda Monti” traccia le linee politiche dei prossimi anni per cambiare l’Italia e riformare l’Europa ■ 37 Le tappe Per artisti e gente comune era uno spazio privato Craxi, Berlusconi e la fine del modello Dc-Pci L’EX TACCUINO QUANDO C’ERA DELL’INTIMITÀ IL PROGRAMMA DARIA GALATERIA FILIPPO CECCARELLI l diario è la memoria; l’agenda è il futuro. L’agenda raccoglie appunti in vista di un testo ulteriore, o di avvenimenti futuri. Numeri di telefono, gravidi di amicizie possibili; o schizzi per fissare i ricordi visivi; appunti presi dal vivo o frasi che spuntano già definitive, pronte per un libro a venire. Sono quaderni a volte più emozionanti del testo finale. Come l’appunto di Chatwin scritto in piccolo su uno dei suoi mitici quaderni Moleskine: «Vorrei dirglielo / non oso»: è andato nel villaggio più remoto della Patagonia, e ha incontrato un’infermiera dell’Ucraina a cui hanno amputato le gambe. Alma Arbusova pronunciava i nomi di Mandel’stam e Achmatova, e “gli uscivano di bocca come una litania”. Poi lei inveisce contro l’omosessualità: e Chatwin, a trentaquattro anni, usa una scrittura minuscola, quasi illeggibile, per tacere anche al suo quaderno la propria intimità. Comunque sulle sue agendine nere “scribacchiava” solo “riverberi”; le teneva “sempre in tasca”, “pronto a scattare, in un batter d’occhio”: se ti trattieni, e tieni troppo aperto l’obiettivo, la foto viene sfocata. Catherine Robbe-Grillet, molti lustri prima del recente, sadomaso Alain, appuntava le sue esperienze di “neosposa”: «Alain ha chiesto a J. se voleva vedere la mia graziosa guepière. Mi ha trascinata in un passaggio, e mi ha n bel programma, ecco cosa ci voleva. La Prima Repubblica ne confezionò a centinaia, programmi asciutti in pochi punti, programmi interminabili, programmi a medio e lungo termine, anche se nessuno si è mai preso la briga di verificarne gli esiti — e comprensibilmente. Un po’ rito, un po’ tic, un po’ specchietto elettorale per allodole di passo, un po’ vizio di promesse al vento o d’ipocriti nichilismi, un po’ molto risonante escamotage da talk-show: prima il programma e poi gli uomini, prima il programma e poi le alleanze... Ah, quanti programmi che nessuno oltretutto leggeva mai, con la scusa che venivano illustrati da esperti di serie B nelle ore morte di alcune soporifere conferenze dette appunto “programmatiche”. Anche in questo caso la scoperta, al tempo stesso salvifica e truffaldina del programma, si deve a Craxi. Ma una volta partita la moda, il giovane Fini annunciò un programma in dieci punti. E perché dieci? gli chiesero «Perché è un bel numero» rispose. Assai più colto, Spadolini scelse la stessa cifra, ma lo chiamò “il decalogo”, pure affibbiandogli un surplus di retorica: “La linea del Piave”. La Dc d’altra parte da sempre si concentrava sui programmi di governo, vedi lo scherzo poetico che già nel 1970 Nelo Risi dedicò alla loro irresistibile vacuità farcita di politichese: «Il governo che ho l’onore di presiedere,/ pur richiamandosi con interesse e globabilità al pro- I LE IMMAGINI Sopra, Jean L. G. Ferris: “Franklin, Adams e Jefferson preparano la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti”; a sinistra, Joshua Reynolds: “Samuel Johnson”; nell’altra pagina: una caricatura di Georges Clemenceau U Le confessioni I libri dei sogni Con quel termine prima si indicavano gli appunti, le confessioni. Scritture personali che hanno riguardato nomi celebri, da Cioran a Chatwin, e che sono diventate forme letterarie e testimonianze d’epoca Libri dei sogni a costo zero, enigmi senza mistero, vuoti spinti, spudorati e pure consapevoli, come si intuì dopo il crollo del 1992-93. Dopo di che apparvero a destra come a sinistra illeggibili mattoni dai nomi pomposi sollevato il vestito per mostrare a J. che non portavo slip; gli ha preso la mano e l’ha posata sul mio sesso. Ero morta di paura». Emile Cioran, il grande moralista del Novecento, ha lasciato 500 pagine di Esercizi negativi, l’agenda-laboratorio, a diciassette anni, dei suoi temi e formulazioni più lancinanti: «L’eroismo è una disperazione finita in monumento pubblico». «Quando assistiamo alla confessione di un amico, la rivelazione dei suoi segreti ci riempie di stupore; soffre per motivi la cui nullità spaventa». «L’esplorazione del nostro panico» porta Cioran a riflettere su Dio: «In ogni tragedia c’è un ultimo atto, mentre non ce n’è in nessuna religione» – diventerà: «Se Gesù avesse finito la sua carriera sulla croce, sarebbe stato un buon eroe di tragedia (la resurrezione ha rovinato tutto)». Hanno tenuto quaderni di appunti Oscar Wilde, Flaubert, Van Gogh, Picasso, Hemingway, Matisse. Sull’agenda del Capodanno del 1908, Proust appunta le “pagine già scritte” per il romanzo futuro: gli “snervati di Jumièges”, i ragazzi ribellatisi alla madre, la regina merovingia Batilde, e puniti con l’atroce supplizio dello snervamento – bruciatura dei tendini delle caviglie, che impedisce di reggersi in piedi – condensa uno dei temi della Recherche: l’affetto dei genitori (Batilde è, nel romanzo, il nome della nonna amorevole) crea figli “snervati”, smidollati; è l’ambivalenza dell’affetto parentale. «Non avere schermi», si prefigge Virginia Woolf, nella sua agenda di lavoro: «sono fatti dei nostri integumenti; vai dritta alla cosa». «Mio Dio! Che mi fa questo paese?», sospira dodici anni dopo Irène Némirovsky, in margine a Suite française, e all’Occupazione nazista («minaccia del campo di concentramento»): il tempo diventa “corto”; se i tedeschi arrivano il romanzo avrà “una o due parti in meno” – invece di scappare, manda avanti il romanzo: con questa regola: “sfiorare” la storia e le rivoluzioni, e invece “approfondire la vita affettiva, e la sua commedia”. E mai riprodurre vecchi stili – sarebbe noioso come rivivere il passato: «Almanacchi, almanacchi nuovi!», promette il Dialogo di Leopardi. gramma del governo che lo ha immediatamente preceduto,/ trova la sua ragion d’essere nell’ambito di quella consapevolezza delle responsabilità che si assunse/ allorché si presentò a chiedere la fiducia/ come governo organico,/ nel fermo convincimento di un contributo essenziale/ alla soluzione dei problemi già avviati alla soluzione,/ se non in via di soluzione…». Così come una ventina d’anni dopo, alle Botteghe Oscure, fiorì un interrogativo in versi non-sense dedicato alla smania progettuale di Occhetto: «Cantami o diva del Pelide Achille/ del partito qual è il vero dramma:/ programma di governo o governo di programma?». In realtà, già allora il Pci aveva preso l’abitudine di designare alla guida di un fantomatico Ufficio per il Programma illustri dirigenti che andavano tenuti lontani dal cuore del potere. Toccò a Lama; poi a Reichlin, la cui bozza programmatica in copia unica fu rubata dal portabagagli dell’automobile; e infine venne il turno di Bassolino, sotto la cui responsabilità venne elaborato un pastrocchio anche linguistico che contemplava addirittura «un nuovo statuto del corpo umano», e forse anche per questo fu qualificato da Cacciari: «Una declamazione da testimoni di Geova». Libri dei sogni a costo zero, enigmi senza mistero, vuoti spinti, spudorati e pure consapevoli, come s’intuì dopo il crollo del 1992-93 grazie anche al contributo dei nuovi arrivati, per cui Bossi propose la valorizzazione del bergamotto e Miglio “la Repubblica d’Etruria”. Dopo di che cominciarono ad apparire a destra come a sinistra ulteriori illeggibili mattoni, però dai nomi pomposi tipo “Dichiarazione d’intenti”, “Carta dei Valori”, “Manifesti” di questo o di quel Nulla, comunque utili almeno a segnalare il più vistoso scollamento tra la parola scritta e la realtà. Nella campagna elettorale del 2001 venne fuori che l’Ulivo e il Polo non solo si copiavano, ma pure si rinfacciavano i rispettivi programmi. E quindi, con lesta ideaccia, Berlusconi stese, propose e firmò con l’ausilio del notaio Vespa un risolutivo Contratto con gli italiani. Che poi disse di aver appeso anche nel suo bagno personale, a perenne memoria e monito, con i risultati che si sono visti e che si continuano a vedere. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA LIBRI JOHN MAYNARD KEYNES Le mie prime convinzioni Adelphi 2012 GIANFRANCO PASQUINO Le parole della politica il Mulino 2010 TONY BLAIR Un viaggio Rizzoli 2010 EDMOND DE GONCOURT JULES DE GONCOURT Journal Aragno 2009 ALBERTO MORAVIA Diario europeo Bompiani 2007 ANTHONY GIDDENS L’Europa nell’età globale Laterza 2007 CESARE PAVESE Il mestiere di vivere Einaudi 2006 EMIL CIORAN Sommario di decomposizione Adelphi 1996 ALTIERO SPINELLI Diario europeo il Mulino 1992