A.G. Nietzsche 1. 2. 3. 4. 5. 6. Vita ............................................................................................................................................................................................................................. 2 Edizioni delle opere ................................................................................................................................................................................................... 3 Modalità di scrittura ................................................................................................................................................................................................... 4 Modalità di pensiero .................................................................................................................................................................................................. 4 Le fasi del pensiero .................................................................................................................................................................................................... 5 Il periodo giovanile .................................................................................................................................................................................................... 5 6.2. Accettazione della vita........................................................................................................................................................................................ 7 6.3. Rinascita della cultura tragica............................................................................................................................................................................. 8 6.4. Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874) – la seconda delle Considerazioni inattuali ..................................................................... 9 7. Periodo “illuministico” ............................................................................................................................................................................................ 10 7.2. Il metodo storico-genealogico (critica della cultura) ........................................................................................................................................ 10 1 di 23 A.G. Nietzsche 7.3. La morte di Dio: la fine delle illusioni metafisiche .......................................................................................................................................... 11 8. Il periodo di Zarathustra........................................................................................................................................................................................... 13 8.2. Il superuomo ..................................................................................................................................................................................................... 14 8.3. L’eterno ritorno................................................................................................................................................................................................. 15 8.4. La volontà di potenza ....................................................................................................................................................................................... 19 9. Scritti del tramonto .................................................................................................................................................................................................. 20 9.2. La morale, il cristianesimo e la trasvalutazione dei valori ............................................................................................................................... 20 9.3. Il nichilismo ...................................................................................................................................................................................................... 22 9.4. Il prospettivismo ............................................................................................................................................................................................... 23 1. Vita Nasce a Röcken presso Lipsia il 15 ottobre 1844. Nel 1849 muore il padre. 1864: studente di teologia a Bonn. 1865: a Lipsia, dove segue le lezioni di Friedrich Ritschl, studioso di filologia classica. Inverno 1865-66: a Lipsia legge IL MONDO COME VOLONTÀ E RAPPRESENTAZIONE, ne rimane colpito. 1867: amicizia con il filologo tedesco Erwin Rohde. 1869: ottiene la cattedra di Lingua e letteratura greca a Basilea. Tra i colleghi c’è lo storico Jacob Burckhardt (autore dell’opera storica Il rinascimento in Italia). Diventa amico di Franz Overbeck, teologo, che gli rimarrà vicino fino alla fine. Conosce anche Wagner e Cosima Bülow (figlia di Liszt e seconda moglie di W.). Durante la guerra franco-prussiana è infermiere volontario, si ammala di difterite e viene congedato. 1872: pubblicazione de La nascita della tragedia. Opera criticata da Wilamowitz, importante filologo del tempo. 1873-76: quattro Considerazioni inattuali. Stringe amicizia con il filosofo tedesco Paul Rée e con il musicista Heinrich Köselitz (noto come Peter Gast). 1878: prima parte di Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi. distacco da Wagner e Schopenhauer. A causa di problemi di salute nel 1876 interrompe e nel 1879 lascia definitivamente l’insegnamento. Minato nella salute, Nietzsche conduce una vita errabonda e solitaria tra la Svizzera, l’Italia e la Francia meridionale. 1880: seconda parte di Umano, troppo umano con le appendici Opinioni e sentenze diverse (del 1879) e Il viandante e la sua ombra (1880). 1881: Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali in cui compare la didascalia: «Vi sono tante aurore che ancora devono risplendere» (passo tratto dai Rigveda, antichi libri indiani) 2 di 23 A.G. Nietzsche 1882: La gaia scienza. Nello stesso anno conosce Lou Salomé, una giovane russa, con cui ha una relazione, ma alla fine Lou rifiuta di sposarlo perché sceglie l’amico di Nietzsche Paul Réè con cui andrà a vivere per qualche tempo, in libera unione, a Berlino, provocando uno scandalo per la morale del tempo. A causa di Salomé, Nietzsche entra in conflitto con la madre e la sorella. 1883: prima e seconda parte di Così parlò Zarathustra. 1884: terza parte di Così parlò Zarathustra. 1885: esce la quarta parte a spese di Nietzsche. 1886: Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire. 1887: Genealogia della morale. Uno scritto polemico. 1888: pubblica una serie di opuscoli: Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa col martello, L’Anticristo, Maledizione del cristianesimo, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Nietzsche contra Wagner. Si stabilisce a Torino, agli inizi di gennaio del 1889 esplode la pazzia. L’amico Overbeck lo conduce a Basilea, dove lo fa ricoverare in una clinica, ma non si riprenderà più. 1897: muore la madre e Nietzsche viene preso in custodia dalla sorella, la quale, dopo il suicidio del marito, fonda un archivio a Weimar per gestire le opere del fratello. 25 agosto 1900: Nietzsche muore a Weimar. 2. Edizioni delle opere La prima edizione è quella pubblicata dall’Archivio Nietzsche di Weimar1; comprende in 19 volumi, oltre alle opere nietzscheane, una serie imponente di appunti. L'ultimo volume è del 1913, ma l'Indice è del 1926. L'accostamento di Nietzsche al nazismo è stato facilitato dal comportamento della sorella Elisabeth che ha agevolato la formazione di un'immagine del fratello come sostenitore di una palingenesi reazionaria dell'umanità, operando falsificazioni nell'epistolario e pubblicando in modo arbitrario con Peter Gast una parte dei frammenti postumi sotto il titolo di Volontà di potenza [prima edizione è del 1901 e comprende 483 aforismi2]. Tuttavia non va dimenticato che Nietzsche offre degli spunti antidemocratici e antiegualitari, che la sua filosofia non è solo novità e rottura ma anche idee reazionarie che potevano prestarsi a una nazificazione del suo pensiero. 1 2 Di cui era custode Elisabeth Nietzsche-Förster. La seconda è del 1906 e comprende 1067 aforismi, la terza, definitiva, con poche variazioni rispetto alla precedente, è del 1911. 3 di 23 A.G. Nietzsche Tralasciando altre edizioni, non si può non menzionare l’edizione critica condotta nel secondo dopoguerra dagli studiosi italiani Giorgio Colli e Mazzino Montanari, i quali propongono gli scritti di Nietzsche in rigoroso ordine cronologico. 3. Modalità di scrittura Negli scritti giovanili Nietzsche è ancora legato alle forme tradizionali della comunicazione filosofica accademica: il saggio e il trattato. Ma a partire da Umano, troppo umano adotta la forma breve dell’aforisma: un testo che non richiede una semplice comprensione logica da parte del lettore, perché è un abbozzo di pensiero, è paragonabile, come dice Nietzsche, a delle figure in rilievo, incomplete perché non sono a tuttotondo; il testo esige quindi un intervento attivo, un’interazione da parte di chi l’osserva per giungere a una sua interpretazione. Con Così parlò Zarathustra realizza un testo che si ispira alla scrittura in versetti dei vangeli ed espone i pensieri attraverso il ricorso a simboli, allegorie e parabole seguendo il modello della poesia in prosa e dell'annuncio profetico. Negli ultimi scritti la scrittura assume un tono autobiografico o quello dell’invettiva polemica. Incipit Ecce homo: Poiché prevedo che fra breve dovrò presentarmi all'umanità per metterla di fronte alla più grave esigenza che mai le sia stata posta, mi sembra indispensabile dire chi io sono. In fondo potrebbe essere già noto: perché non ho mancato di «dare prove» della mia esistenza. Ma la sproporzione fra la grandezza del mio compito e la piccolezza dei miei contemporanei si è dimostrata nel fatto che questi non mi ascoltano, e neppure mi vedono. Vivo a mio proprio credito, o forse è un pregiudizio, che io viva? ... Mi basta solamente parlare con certe «persone colte», che vengono d'estate in Engadina, per convincermi che non vivo ... In queste circostanze io ho un dovere, contro cui si rivoltano, in fondo, le mie abitudini, e ancor più la fierezza dei miei istinti, e cioè quello di dire: Ascoltatemi! Perché sono questo e questo. E soprattutto non scambiatemi per altro! 4. Modalità di pensiero Il pensiero di Nietzsche rimette in discussione in modo radicale la civiltà e la filosofia dell'Occidente, mette in atto una distruzione programmatica delle certezze del passato. Conosco la mia sorte. Un giorno sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme - una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono dinamite. [Ecce homo] Il filosofare nietzscheano non è solo distruttivo, è anche propositivo: la figura del superuomo che egli propone rappresenta un nuovo tipo di umanità. 4 di 23 A.G. Nietzsche Io vengo a contraddire, come mai si è contraddetto, e nondimeno sono l'opposto di uno spirito negatore. Io sono un lieto messaggero quale mai si è visto, conosco compiti di una altezza tale che finora è mancato il concetto per definirli; solo a partire da me ci sono nuove speranze. [Ecce homo] Contro la tradizione filosofica sistematica il pensiero di Nietzsche è asistematico, volutamente. Egli ritiene che la costruzione di un sistema nasconda la volontà di impadronirsi della totalità del reale. Desiderio destinato allo scacco in quanto fondato sull’illusione di una realtà ordinata e ordinabile, quando invece a farla da padrone è il caos (l’ordine della realtà è illusorio; creato dall’uomo per evitare la disperazione) e il caso (ciò che avviene non ha uno scopo, non possiede un senso in sé, se non quello dato ad esso dall’uomo). La forza creatrice e distruttrice delle cose è quella di un bimbo che gioca in modo innocente. Per questo carattere asistematico il pensiero di Nietzsche è multidimensionale e può offrire letture diverse. 5. Le fasi del pensiero Fase giovanile Scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano - 1872-1876 Fase intermedia Scritti del periodo “illuministico” o “genealogico” – 1878-1882 Fase di Zarathustra Scritti “del meriggio” o “di Zarathustra” – 1883-1885 Fase finale Scritti degli ultimi anni o “del tramonto” – 1886-1889 6. Il periodo giovanile La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecità e pessimismo (1872) è un’opera che coniuga la filologia con la filosofia (di qui le critiche dei filologi puri) e individua i due impulsi di base dello spirito e dell’arte greci: l’apollineo e il dionisiaco. Una coppia di opposti che racchiude una serie di sottocoppie come rappresentato nella figura sottostante. 5 di 23 A.G. Apollo Nietzsche [in figura il famoso Apollo Belvedere] Forma Stasi Finito Sogno3 Luce Serenità Dioniso [in figura il Dioniso di Michelangelo] Caos Divenire Infinito Ebbrezza Oscurità Inquietudine Nietzsche sostiene, rovesciando il punto di vista tradizionale, che la cifra originaria della grecità non sia l’armonia, la serenità, l’equilibrio, ma il caos, la forza vitale con il suo volto gioioso, istintuale ma anche orribile, doloroso. Il dionisiaco, che trova espressione nella musica e nella poesia lirica, esprime questo spirito originario dei Greci. L’apollineo, che si identifica con la scultura greca e con la poesia epica, rappresenta il tentativo di dominare e “nascondere” questo sfondo oscuro attraverso la luce abbagliante della forma, della bellezza. 3 Scrive Nietzsche: La bella parvenza dei mondi di sogno, nella cui produzione ogni uomo è un perfetto artista, è il presupposto di tutta l’arte figurativa, e anzi, come vedremo, di una essenziale metà della poesia. Nascita della tragedia, Newton Compton, pag. 36. 6 di 23 A.G. Nietzsche Forza vitale, partecipazione al divenire Impulso alla forma, fuga di fronte al divenire Il Greco conobbe e sentì i terrori e le atrocità dell'esistenza: per poter comunque vivere, egli dovette porre davanti a tutto ciò la splendida nascita sognata degli dei olimpici. [La nascita della tragedia] In età presocratica i due impulsi rimangono separati, per poi congiungersi e armonizzarsi nell’esperienza della tragedia attica di Sofocle e Eschilo. Nell’arte successiva la sintesi tra dionisiaco e apollineo viene meno con la tendenza dell’apollineo a prevalere sul dionisiaco. Ne è un’esemplificazione la tragedia di Euripide, in cui il protagonista è l’uomo quotidiano e gli eventi non rientrano più nell'orizzonte tragico del mito ma in quello ordinario e razionale della realtà normale. Il corrispettivo di questa nuova impostazione è la filosofia di Socrate, il filosofo che secondo Nietzsche ha ucciso nell’uomo le profondità istintuali. Socrate rappresenta infatti lo spirito di riflessione, cioè la volontà della ragione umana di voler spiegare e giustificare tutto. Non vi è più quindi un'adesione immediata alla vita, ma la ricerca di valori per i quali valga la pena di vivere. Nella storia della tragedia greca Nietzsche vede il destino decadente della civiltà occidentale segnata dalla contrapposizione tra l’uomo tragico che dice sì alla vita e l’uomo teoretico (della conoscenza teorica, astratta, che vuole dare un ordine alla realtà tramite il rigore logico) che la soffoca con i suoi ragionamenti. La vita viene sottoposta così sotto accusa, con i suoi istinti, e si crea il terreno fertile per la formazione delle morali, delle religioni, del pensiero razionale che mira alla verità. 6.2. Accettazione della vita Per Nietzsche la vita similmente a Schopenhauer è dolore, ma egli non condivide il pessimismo schopenhaueriano perché la vita va accettata, non respinta attraverso la fuga ascetica. 7 di 23 A.G. Nietzsche Egli si colloca al di là del pessimismo e dell’ottimismo positivista. Accettare la vita così com’è significa comprendere che essa non ha ordine e non è finalizzata al raggiungimento di qualcosa, perché essa è dominata dal caso; significa riconoscere che i valori dell’uomo sono arbitrari, non hanno un fondamento sicuro nella vita stessa e non è possibile individuarne un’origine “nobile”. Per dire di sì alla vita bisogna assumere un atteggiamento dionisiaco-estetico, proprio dell’artista che non deprime le passioni e gli istinti (“metafisica da artista”). 6.3. Rinascita della cultura tragica La tirannia dello spirito antitragico impersonato dalla filosofia di Socrate e Platone che ha condotto la civiltà alla decadenza, può essere vinta dalla rinascita dello spirito tragico-dionisiaco, di cui Nietzsche in questo periodo vede l’emblema nella musica di Wagner e l’ispirazione filosofica in Schopenhauer. Egli così scrive nella Tragedia. Mentre il male sonnecchiante in grembo alla cultura teoretica comincia lentamente ad angustiare l'uomo moderno, ed egli, inquieto, tenta d’afferrare dal tesoro delle sue esperienze i mezzi per scongiurare il pericolo, senza neppur credere veramente all'efficacia di tali mezzi; mentre dunque egli comincia a presentire le sue proprie conseguenze: grandi nature con doti universali hanno saputo, con tatto incredibile, utilizzare lo strumento della stessa scienza per mostrare i limiti e la condizionatezza della conoscenza in genere e per negare così decisamente la pretesa della scienza ad una validità universale e a universali: con questa dimostrazione è stata riconosciuta per la prima volta come tale quell'illusione che presume di poter scrutare, in base alla causalità, l’intima essenza delle cose. Alla prodigiosa valentía e saggezza di Kant e Schopenhauer è riuscito di cogliere la vittoria più difficile, la vittoria sulI'ottimismo che si nasconde nell'essenza della logica, che è poi il fondamento della nostra cultura. Se tale ottimismo, basandosi sulle aeternae veritates, per lui insospettabili, aveva creduto alla conoscibilità e alla penetrabilità di tutti gli enigmi del mondo, e aveva considerato come leggi assolutamente incondizionate e di universalissima validità lo spazio, il tempo e la causalità, Kant rivelò come questi servissero propriamente solo ad elevare la mera apparenza, l'opera di Maia ad unica e suprema realtà, ponendola al posto dell'intima e vera essenza delle cose, e quindi a rendere impossibile l’effettiva conoscenza di quest'ultima, vale a dire, secondo l'espressione di Schopenhauer, ad addormentare ancor di più il sognatore (Mondo come volontà e rappresentazione l, p. 498). Con questa concezione è introdotta. una cultura che io oso definire tragica: la sua caratteristica più importante è che essa, al posto della scienza, eleva a meta suprema la sapienza che, non ingannata dalle seducenti divagazioni delle scienze, si volge con sguardo fermo all'immagine totale del mondo, tentando di afferrare in essa, con simpatetico sentimento d'amore, l'eterna sofferenza come propria sofferenza. Immaginiamo una generazione che cresca con questa intrepidezza di sguardo, con questo eroico impeto verso l'immenso, immaginiamo il passo ardito di questi uccisori di draghi, la superba temerarietà con cui volgono le spalle a tutte le debolezze dottrinali di quell'ottimismo, per «vivere risolutamente» in tutto e per tutto: non sarebbe forse necessario che l'uomo tragico di questa civiltà aspirasse, nella sua autoeducazione alla serietà e al terrore, ad un'arte nuova, l'arte della consolazione metafisica, la tragedia, 4 come l'Elena a lui dovuta? ed esclamasse con Faust: E non dovrei con la più smaniosa violenza, trarre in vita l'unica tra le forme? 4 Elena, l’idea della pura bellezza, viene invocata da Faust. 8 di 23 A.G. Nietzsche [Nascita – 18] 6.4. Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874) – la seconda delle Considerazioni inattuali Nietzsche attacca lo storicismo e lo storiografismo perché deprime la vitalità dell’uomo, ridotto ad epigono (dal greco epígonoi, i nati – gonói – dopo – epí), cioè, in quanto successore, discendente, è condizionato da un passato che deprime le sue potenzialità creatrici, perché è convinto che non possa accadere niente di nuovo sotto il sole5. La storia, inoltre, come il positivismo favorisce l’«idolatria del fatto», che schiaccia l’uomo con l’imponenza dei costrutti razionali che intendono spiegare il divenire processuale delle società e dell’uomo stesso. In altre parole, l’uomo per lo storicismo è il risultato di un processo necessario. Soffocato dal passato, l’uomo è incapace di creare qualcosa di nuovo nel presente e finisce così per non vivere più, accontentandosi di consumare la vita attraverso la sua traduzione in carta stampata da parte degli storici: Ancora non è finita la guerra, e già essa è convertita in carta stampata in centomila copie, già viene presentata come nuovissimo stimolante al palato estenuato dei bramosi di storia. Contro la storia, il peso del ricordo, Nietzsche propone l’antidoto dell’oblio. L’oblio è necessario perché solo chi è privo di senso storico, di consapevolezza può essere felice (Leopardi, il caso degli animali che vivono in un eterno presente) e solo dimenticando il passato si può agire in modo efficace nel presente. Tuttavia, la storia è ugualmente dannosa e utile alla vita; è utile se si pone al servizio della vita stessa. Nietzsche indica tre tipi di rapporto con la storia che se non vengono utilizzati in modo esclusivo possono stimolare l’azione dell’uomo nel presente: il rapporto dell’uomo che è attivo e ha aspirazioni e cerca nella storia modelli e maestri per realizzare qualcosa di grande nel presente; il rapporto dell'uomo che preserva e venera che guarda il passato per riconoscersi come il frutto di una tradizione; il rapporto dell’uomo che soffre e ha bisogno di liberazione che guarda al passato come a un peso da cui liberarsi. Ad ogni tipologia di rapporto corrisponde una specie di storia e storiografia: la storia monumentale, la storia antiquaria e la storia critica. Quindi, la storia monumentale rende consapevole l'uomo d'azione che la grandezza fu una volta possibile e lo può essere un'altra volta (l'azione può essere dettata da ambizioni personali o da scelte politiche di parte). La storia antiquaria è necessaria a coloro che desiderano conservare con venerazione e riconoscenza il mondo dal quale provengono, magari per trasmetterne il ricordo al domani (la loro azione consiste nella 5 Lo studio della storia presuppone uno sviluppo lineare e successivo degli eventi, per cui quello che siamo oggi è il risultato di quello che è accaduto prima. 9 di 23 A.G. Nietzsche salvaguardia del passato nel presente attraverso il ricordo, le feste, i musei). La storia critica è utile all'uomo che per vivere il presente e costruire nuova storia sente il bisogno di infrangere il passato e solo con essa l'azione è motivata da una vera e propria volontà di trasformazione6. In ogni caso la conoscenza del passato deve avvenire in vista dei compiti che la vita e l'azione impongono, altrimenti esse svolgono un ruolo negativo. Il nesso fra conoscenza, azione e fondazione di nuova storia si esprime soprattutto nel concetto di una storia critica, la quale ha la capacità di cogliere quanto di ingiusto o arbitrario vi sia nei rapporti esistenti rendendo così possibile il nuovo. 7. Periodo “illuministico” Si apre con Umano, troppo umano e coincide con la svolta aforistica. Nietzsche prende le distanze dai maestri di un tempo: Schopenhauer di cui contesta la metafisica, Wagner considerato un maestro decadente, ammalato. Inaugura una nuova prospettiva: quella della scienza, accantonando quella dell’arte e della metafisica, abbandono della «metafisica da artista». La prima edizione di Umano, troppo umano è dedicata a Voltaire, Nietzsche quindi diventa illuminista, nel senso che inaugura un’opera di critica della cultura tramite la scienza, intesa come metodo con cui svelare gli errori e smascherare le illusioni che coltivano gli uomini. 7.2. Il metodo storico-genealogico (critica della cultura) La cultura viene esaminata con un procedimento critico di tipo storico-genealogico: critico per il sospetto che deve accompagnare l'indagine, storico-genealogico per la necessità di ricostruire l'origine di ciò che appare eterno, come i valori morali, ecc. Il metodo nietzcheano si articola in due momenti: Analisi storico-concettuale che evidenzia la contingenza storica e quindi la relatività dei valori e dei concetti, in quanto sono il risultato di un divenire, di uno sviluppo; mentre sono ritenuti verità eterne dai sistemi filosofici e culturali che hanno la pretesa di affermare la verità assoluta delle cose. Critica demistificante che smaschera la presunta assolutezza di quei valori e concetti, svelando la loro origine umana (genealogia umana), i bisogni e gli interessi umani che vi sottostanno. 6 pag. 281 Geymonat. 10 di 23 A.G. Nietzsche Nietzsche definisce il proprio metodo una «chimica delle idee e dei sentimenti», non solo per l’aspetto demistificante ( scomposizione dei valori, delle idee e dei sentimenti nei loro elementi costitutivi: bisogni e interessi umani), ma anche per il suo carattere “dialettico”, perché ricostruisce il loro sviluppo facendo scaturire quello che viene considerato un valore dal suo opposto. Ad esempio il valore dell’altruismo viene ricondotto all’opposto che è l’egoismo, la verità alla menzogna. In sintesi, il sapere genealogico studia i valori, le idee e i sentimenti nell’ottica della genesi e del loro sviluppo, in cui svolge un ruolo dinamico il negativo. Allora si comprende il senso del titolo Umano, troppo umano, che suggerisce come la nobiltà della cultura e dei suoi sviluppi sia una maschera che nasconde vizi ed istinti troppo umani. In positivo la filosofia illuministica di Nietzsche approda alla figura dello spirito libero che è come un viandante il quale grazie alla “gaia” scienza7 riesce a liberarsi dai vincoli del passato, sviluppando una filosofia del mattino, che consiste nell’accettare la transitorietà della vita e nel considerarla come un libero esperimento senza certezze precostituite. La filosofia del mattino si contrappone alle tenebre del passato i cui errori principali sono la morale e la metafisica. La critica della morale verrà approfondita da Nietzsche negli ultimi scritti, quella della metafisica avviene nella Gaia scienza con l'annuncio della morte di Dio. 7.3. Figura 1: Il viandante sul mare di nebbia - Caspar David Friedrich La morte di Dio: la fine delle illusioni metafisiche Dio s’identifica con la metafisica, per due ragioni principali: Dio è il simbolo di ogni costruzione filosofica o religiosa che pone il senso dell’essere al di là dell’essere, ovvero in un altro mondo. Dio è la personificazione delle certezze ultime dell’umanità; ossia delle credenze metafisiche e religiose elaborate dall’umanità nel tentativo di imbrigliare la vita in un reticolo di senso. Dio in quanto simbolo dell’oltremondo rappresenta quindi una fuga dalla vita, a cui Nietzsche contrappone lo spirito dionisiaco di accettazione della vita. 7 Nel senso che è una scienza che libera. 11 di 23 A.G. Nietzsche Dio in quanto personificazione delle certezze rimanda alla costruzione di un cosmo ordinato e benefico a cui l’uomo si affida per nascondere la verità di un mondo che è l’opposto: senza senso e crudele. La metafisica e la religione sono allora delle menzogne di cui l’uomo si serve per credere nella vita. C'è un solo mondo ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso [...]. Un mondo così fatto è il vero mondo[...]. Noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa «verità», cioè per vivere[...]. La metafisica, la morale, la religione, la scienza[...] vengono prese in considerazione solo come diverse forme di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita. [Frammenti postumi, 1887-1888] Da tutto ciò consegue che Dio è la più antica delle bugie vitali, e la conseguenza è che non ha senso dimostrare che non esiste, perché è la realtà stessa - con il suo caos, la sua crudeltà - a smentire la sua esistenza. Dinanzi allo sguardo disincantato del filosofo, Dio è morto. A questo punto, gli uomini stessi devono diventare dei, per vivere. Racconto dell’«uomo folle» [Gaia scienza]: Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare «Cerco Dio! Cerco Dio!» - E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. «Si è forse perduto?» disse uno. «Si è smarrito come un bambino? fece un altro». «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato»? gridavano e ridevano in una gran confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Dove se n'è andato Dio»? gridò «ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare v ia l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? - Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non ci è giunto ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli - chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali riti espiatori, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dei, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un'azione più grande - e tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, a una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!». A questo punto l'uomo folle tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch'essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo presto», proseguì «non è ancora il mio tempo. Questo enorme evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, la luce delle stelle vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano viste e ascoltate. Quest'azione è ancor sempre più lontana dagli uomini delle stelle più lontane - eppure son loro che l'hanno compiuta!». - Si racconta ancora che l'uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio»? Questo passo come il mito della caverna di Platone contiene molti simboli: L’uomo folle è il filosofo-profeta; Gli uomini del mercato rappresentano i filosofi dell’Ottocento con il loro ateismo ottimistico e superficiale; Il riferimento alla difficoltà di bere il mare, ecc. allude al carattere arduo e sovrumano dell’uccisione di Dio; 12 di 23 A.G. Nietzsche Il riferimento allo spazio vuoto, ecc. significa che con la morte di Dio l’uomo ha perso ogni certezza, ogni ubi consistam (punto d’appoggio) ed è preso da un senso di vertigine, di smarrimento; La necessità di diventare dei significa che per reggere la morte di Dio, l’uomo deve oltrepassare se stesso ( superuomo); L’affermazione di essere giunto troppo presto, indica che la coscienza della morte di Dio non è ancora diffusa; Le chiese-sepolcri di Dio suggeriscono la crisi moderna delle religioni. Il trauma della morte di Dio è il preludio all'atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è pronto per varcare l'abisso che divide l'uomo dal superuomo. Il superuomo (o il suo predecessore che è lo spirito libero) ha dietro di sé come condizione necessaria del suo essere la morte di Dio e la vertigine da essa provocata, davanti a sé il mare aperto delle possibilità, la libera costruzione della propria esistenza senza il riferimento a qualsiasi tipo di metafisica. 8. Il periodo di Zarathustra8 Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1883-1885) apre la terza fase della filosofia di Nietzsche. La filosofia del mattino lascia il posto alla filosofia del meriggio, che esprime la consapevolezza dell'eliminazione non solo del mondo vero dell'aldilà, ma anche del mondo apparente dell'aldiquà, quindi di ogni scissione dualistica della realtà; c’è un solo mondo, questo. Dal punto di vista stilistico l’opera è una sorta di poema in prosa, ricca di immagini, di parabole e dal tono profetico. Dal punto di vista concettuale tre sono i nuclei: il superuomo l’eterno ritorno la volontà di potenza Perché Nietzsche ha scelto come annunciatore della sua filosofia Zarathustra? Nessuno mi ha domandato, e avrebbero dovuto domandarmelo, che cosa significhi, proprio sulla mia bocca, sulla bocca del primo immoralista, il nome Zarathustra: perché ciò che costituisce l’enorme unicità di quel persiano nella storia è proprio l'opposto. Zarathustra fu il primo a vedere nella lotta tra il bene e il male la vera ruota che spinge le cose - è opera sua la traduzione della morale in termini metafisici, in quanto forza, causa, fine in sé. Ma questa domanda, in fondo, varrebbe già da risposta. Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere 8 Zarathustra o Zoroastro, è il profeta persiano, vissuto probabilmente tra il 1000 e il 600 a.C., al quale la tradizione attribuisce la fondazione della religione omonima, lo “zoroastrismo”. 13 di 23 A.G. Nietzsche quell'errore. Non solo perché a questo proposito egli ha una esperienza più grande e più lunga di qualunque altro pensatore - la storia intera è addirittura la confutazione sperimentale del principio del cosiddetto «ordinamento morale del mondo» -: la cosa più importante è che Zarathustra è veritiero più di ogni altro pensatore. La sua dottrina, ed essa sola, pone la veracità a virtù suprema – cioè l’opposto della viltà dell'«idealista», che di fronte alla realtà fugge; Zarathustra da solo ha più coraggio in corpo di tutti gli altri pensatori messi insieme. Dire la verità e tirare bene con l'arco, questa è la virtù persiana. - C'è qualcuno che mi capisce? … La morale che supera se stessa per veracità, i moralisti che superano se stessi diventando il loro opposto - me stesso - questo significa il nome di Zarathustra sulla mia bocca. [Ecce homo, Perché io sono un destino, 3] Zarathustra è stato il primo a tradurre la morale in termini metafisici, ed è anche il primo ad accorgersi dell'errore della morale. 8.2. Il superuomo Zarathustra non è il superuomo, ma soltanto il suo profeta: io sono un messaggero del fulmine e [...] il fulmine si chiama superuomo [Così parlò Zarathustra, Prefazione] Il superuomo è un concetto filosofico che indica un modello di uomo in cui si concretizzano i temi di fondo della filosofia di Nietzsche. Egli con spirito dionisiaco e tragico accetta la vita, sopporta la morte di Dio e la fine delle certezze, accoglie la prospettiva dell’eterno ritorno, si emancipa dalla morale e dal cristianesimo, si pone come volontà di potenza, procede oltre il nichilismo, forgia nuovi valori e prospettive. Il superuomo è altro rispetto all’uomo attuale, quindi si può tradurre la parola tedesca Übermensch non con superuomo ma con oltreuomo, al di là dell’uomo idealista, pessimista, ottimista, nichilista, moralista, dotto o altro che ora si dà. Il superamento della scissione tra apparenza ed essenza ( filosofia del meriggio: c’è una sola realtà) avviene nell’uomo stesso con la tesi che l’uomo è sostanzialmente corpo. «Corpo io sono in tutto e per tutto, e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo», esclama Zarathustra. Nel primo discorso che Zarathustra tiene, Delle tre metamorfosi, egli si sofferma sulla genesi del superuomo. Le tre metamorfosi sono quelle del cammello, del leone e del fanciullo, e suggeriscono un percorso di liberazione: Cammello: è l’uomo che porta i pesi della tradizione, che si piega a Dio e alla morale accettando l’imposizione del tu devi. Non è libero, è schiavo. Leone: è l’uomo che si ribella alla tradizione, ma la sua libertà è ancora una libertà negativa, è libero da non libero di. Non è ancora del tutto libero. Fanciullo: è l’oltreuomo, una figura innocente, ludica che dice sì alla vita e inventa se stesso al di là del bene e del male. 14 di 23 A.G. Nietzsche Questa liberazione, come si desume dai frammenti postumi, non riguarda tutta l’umanità ma soltanto una parte di essa, un'élite. Un'élite che nella sua qualità di «razza dominatrice» ha «bisogno della schiavitù» delle masse «come della sua base e condizione» [Frammenti postumi, 1885-1887]. La filosofia di Nietzsche appare così antidemocratica e antiegualitaria, ma qualsiasi interpretazione politica viene in qualche misura vanificata dallo stesso Nietzsche perché è vero che egli critica la democrazia parlamentare, il socialismo. Ma è anche vero che la critica degli idoli politici comprende pure lo statalismo e il nazionalismo militarista. Quindi, il messaggio nietzscheano ha un carattere prevalentemente filosofico e non politico. Forse si comprende il senso delle affermazioni di Nietzsche ricorrendo alla figura del saggio delle filosofie antiche, il quale è sempre un uomo d’eccezione. 8.3. L’eterno ritorno IL PESO PIÙ GRANDE Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita; come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! ». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina?». Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello? (Gaia scienza aforisma 341) In questo passo abbiamo la prima formulazione della teoria dell’eterno ritorno dell’eguale. Nelle ultime frasi è implicito il riferimento al superuomo, come l’unico in grado di accettare la terribile verità dell’eterno ritorno perché ha detto sì alla vita. L’argomento viene ripreso in Così parlò Zarathustra con il discorso intitolato Della visione e dell’enigma. LA VISIONE E L’ENIGMA 1 Quando tra gli uomini dell'equipaggio si sparse la voce che sulla nave c'era Zarathustra - poiché insieme con lui era salito a bordo un uomo che veniva dalle isole beate - ne nacque grande curiosità e aspettazione. Ma Zarathustra tacque per due giorni ed era freddo e sordo dalla tristezza, così che non rispondeva né agli sguardi né alle domande. Ma la sera del secondo giorno riaprì le orecchie, sebbene tacesse ancora: giacché si potevano sentire molte cose strane e pericolose su quella nave, che veniva di lontano e andava ancora più lontano. Zarathustra poi era amico di tutti coloro che fanno lunghi viaggi e non amano vivere senza pericolo. Ed ecco che, a forza di ascoltare alla fine si sciolse anche la sua lingua e si ruppe il ghiaccio del suo cuore. E così egli allora cominciò a parlare: A voi arditi cercatori e sperimentatori, e a quanti si siano mai imbarcati con vele astute su mari terribili; a voi, ebbri di enigmi e amanti del crepuscolo, la cui anima è attratta dai flauti verso abissi labirintici: - giacché non volete con mano vile seguire un filo a tentoni; e dove potete indovinare odiate di dedurre - 15 di 23 A.G. Nietzsche a voi soltanto racconterò l'enigma che vidi, la visione del più solitario. Fosco me ne andavo di recente nel mortale livore del crepuscolo - fosco e duro, con le labbra serrate. Non un sole soltanto era tramontato per me. Un sentiero, che protervamente si inerpicava attraverso il pietrame, un sentiero cattivo, solitario, cui non si addiceva più né erba né cespuglio: un sentiero di montagna scricchiolava sotto la rabbia del mio piede. Camminando muto sul ghignante crepitio dei ciottoli, calpestando il pietrisco che lo faceva scivolare: così il mio piede si faceva strada verso l'alto. Verso l'alto: a dispetto dello spirito che lo traeva in basso, che lo traeva verso l'abisso, lo spirito di gravità, mio demonio e arcinemico. Verso l'alto: sebbene sedesse su di me, mezzo nano, mezzo talpa; paralizzato, paralizzante; stillando piombo nel mio orecchio, pensieri-gocce di piombo nel mio cervello. «O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillaba per sillaba, pietra fiIosofale, ti sei lanciato in alto, ma ogni pietra lanciata deve ricadere! O Zarathustra, pietra filosofale, pietra lanciata con la fionda, frantumatore di stelle, te stesso hai lanciato così in alto, ma ogni pietra lanciata deve ricadere! Condannato a te stesso e alla tua stessa lapidazione: o Zarathustra, tu hai gettato la pietra lontano, ma essa ricadrà, su di te!» Dopo di che il nano tacque; e ciò durò a lungo. Ma il suo tacere mi opprimeva; e ad essere in tal modo in due si è in verità più soli che ad essere in uno! lo salivo, salivo, sognavo, pensavo - ma tutto mi opprimeva. Ero simile a un malato che è stremato dal suo lungo martirio e che è risvegliato da un sogno ancora peggiore mentre si stava addormentando. Ma c'è in me qualcosa che io chiamo coraggio: ciò ha ammazzato finora in me ogni scoramento. Questo coraggio mi ingiunse alfine di fermarmi e di dire: «Nano, o tu o io!». Il coraggio infatti è la mazza migliore - il coraggio che attacca: giacché in ogni attacco c'è uno squillo di fanfara. E l'uomo è l'animale più coraggioso: col coraggio sgominò ogni animale. Con uno squillo di fanfara sgominò anche ogni dolore; e il dolore dell'uomo è il dolore più profondo. Il coraggio ammazza anche la vertigine degli abissi: e dove mai l'uomo non sarebbe vicino agli abissi? Non è il vedere stesso un vedere abissi? Il coraggio è la mazza migliore: il coraggio ammazza anche la pietà. E la pietà è l'abisso più profondo: quanto più profondamente l'uomo guarda nella vita, tanto più profondamente anche guarda nel dolore. Ma il coraggio è la mazza migliore, il coraggio che attacca: esso ammazza anche la morte, giacché dice: «Era questa la vita? Ebbene, ancora una volta!». E in tale detto ci sono molti squilli di fanfara. Chi ha orecchie per intendere intenda. 2 «Alt, nano! dissi. O io o tu! Ma di noi due il più forte sono io: tu non conosci il mio pensiero abissale! Quello, tu non potresti sopportarlo!» E qui accadde qualcosa che mi rese più leggero: giacché il nano saltò giù dalla mia spalla, il curiosone! E andò ad accovacciarsi su un sasso davanti a me. Proprio lì, dove ci eravamo fermati, c'era una porta carraia. «Guarda questa porta carraia, nano» continuai: «essa ha due fronti. Due strade si congiungono qui: nessuno finora le ha percorse fino in fondo. Questa lunga strada all'indietro: essa dura un'eternità. E quella lunga strada in avanti: quella è un'altra eternità . Esse si contraddicono, queste strade; cozzano con la testa l'una contro l'altra: e qui, sotto questa porta, è il punto in cui esse si congiungono. Il nome della porta sta scritto sopra di essa: "attimo". Ma chi si inoltrasse su una di esse - e andasse sempre più oltre, sempre più lontano: credi tu, nano, che queste strade si contraddirebbero in eterno?» 16 di 23 A.G. Nietzsche «Tutto ciò che è diritto mente» borbottò sprezzantemente il nano. «Ogni verità è curva, il tempo stesso è un circolo.» «Spirito di gravità» dissi adirato, «non farti le cose troppo facili! O ti lascio accovacciato là dove sei accovacciato, sciancato - io che ti ho portato in alto! «Guarda» dissi ancora «questo attimo! Da questa porta attimo si snoda all'indietro una strada lunga, eterna: dietro di noi giace un'eternità. Non deve, ciò che di tutte le cose può camminare, aver già percorso questa strada? Non deve, ciò che di tutte le cose può accadere, essere già una volta accaduto, fatto, trascorso? E se tutto è già esistito: che cosa pensi, nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia essere già esistita? E non sono tutte le cose così saldamente annodate che questo attimo si trae dietro tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? Giacché, ciò che di tutte le cose può camminare: anche su questa lunga strada in avanti deve camminare ancora una volta! E questo ragno lento che striscia nel chiaro di luna, e questo stesso chiaro di luna, e io e tu sotto la porta, che bisbigliamo insieme di cose eterne - non dobbiamo tutti essere già esistiti? - e ritornare e camminare su quell'altra strada in avanti, di fronte a noi, su questa strada lunga, orribile – non dobbiamo eternamente ritornare?» Così dissi, e sempre più piano: giacché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei pensieri che vi stavano dietro. Allora, improvvisamente, sentii ululare un cane in vicinanza. Avevo mai sentito ululare così un cane? Il mio pensiero saettò all'indietro. Sì! Quand'ero fanciullo nella lontanissima infanzia: - allora sentii un cane ululare così. E lo vidi anche, col pelo ritto, con la testa in su, che tremava nel silenzio profondo della mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri: - tanto che mi fece pietà. Proprio allora infatti la luna piena saliva in un silenzio di morte sopra la casa, proprio allora si fermò, un disco incandescente - si fermò sul tetto piatto come su una proprietà altrui: perciò si spaventò allora il cane: perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E quando lo sentii di nuovo ululare a quel modo, ne ebbi ancora pietà. Dov'era mai finito il nano? E la porta carraia? E il ragno? E tutto il bisbigliare? Stavo forse sognando? O mi stavo svegliando? Mi trovavo improvvisamente fra scogli selvaggi, solo e desolato nel più desolato chiaro di luna. Ma lì a terra c'era un uomo! Ed ecco che il cane, saltando arruffando il pelo, guaiolando - ora mi aveva visto venire - ululò di nuovo, urlò: - avevo mai sentito un cane urlare aiuto così? E, in verità, quello che vidi, una cosa simile non l'avevo mai vista. Vidi un giovane pastore che si contorceva convulsamente, come se stesse per soffocare, con la faccia stravolta, mentre dalla bocca gli pendeva un greve serpente nero. Avevo mai visto tanto schifo e pallido orrore dipinto su un volto? Si era egli forse addormentato e il serpente gli era penetrato nella gola, attaccandovisi coi denti? La mia mano afferrò il serpente e tirò, tirò: invano! Non riuscì a strapparlo dalla gola. Allora eruppe da me un grido:«Mordilo, mordilo! Staccagli la testa, mordilo!» - così gridava in me il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà; tutto il mio bene e male gridò in me con un grido solo. Voi uomini ardimentosi che mi attorniate, voi, cercatori e sperimentatori, e chiunque di voi si sia mai avventurato con vele astute su mari inesplorati; voi che amate gli enigmi: Scioglietemi l'enigma che allora contemplai, interpretatemi dunque la visione che ebbe il più solo tra gli uomini! Giacché una visione essa fu e una previsione: che cosa vidi allora in simbolo? E chi è colui che un giorno dovrà venire? Chi è il pastore nella cui gola era così penetrato il serpente? Chi è l'uomo a cui penetrerà così in gola tutto quanto c'è di più nero e pesante? Ma il pastore diede un morso, come il mio grido gli ingiungeva di fare; e diede un buon morso! Sputò lontano la testa staccata del serpente: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo - un essere trasformato, circonfuso di luce, che rideva! Mai prima sulla terra aveva riso un uomo come rideva lui! O fratelli, sentii un riso che non era il riso di nessun essere umano, - e ora mi consuma una sete, una nostalgia, che non si placa mai. Mi consuma la nostalgia di quel riso: oh, come sopporterò più di vivere? E come sopporterei di morire adesso? Così parlò Zarathustra. 17 di 23 A.G. Nietzsche [Così parlò Zarathustra, pp.178-184, Rizzoli editore] Spiegazione schematica del brano: la visione del più solitario (tra gli uomini) = Zarathustra, il filosofo autentico (dionisiaco); Un sentiero, che protervamente si inerpicava attraverso il pietrame = faticoso innalzarsi del pensiero; difficoltà nel superare se stessi, nel liberarsi dal peso di gravità che spinge verso il basso (peso rappresentato dall’uomo teoretico..): spirito che lo traeva in basso / mezzo nano, mezzo talpa / Spirito di gravità = spirito teorico, teoretico che vive la scissione tra conoscenza e vita, e tradisce la vita ritirandosi nelle stanze sicure delle proprie certezze o incertezze; Il coraggio infatti è la mazza migliore = bisogna vivere, non limitarsi a costruire teorie; porta carraia = porta del tempo (attimo = presente; il sentiero che porta all’indietro = passato; sentiero che porta in avanti = futuro); attimo / E non sono tutte le cose così saldamente annodate che questo attimo si trae dietro tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? = nell’attimo convergono eventi e pensieri passati e futuri, ma l’attimo non è in sé un punto privilegiato perché esso stesso diviene. Il tempo non è più suddiviso in passato presente futuro, non è più concepito in una forma lineare come successione di istanti, in cui ogni istante è solo un anello in una catena di eventi irripetibili e irredimibili, con la conseguenza che o la coscienza del passato, di ciò che si è fatto o non fatto pesa come un macigno, condiziona il presente; o l'istante di per sé è privo di senso, solo in relazione a un fine ultimo della storia acquista un significato, ma con la morte della metafisica questo senso ultimo è stato demolito, allora il tempo diventa una vuota successione di istanti e l'agire non ha più senso. Il tempo nella visione nietzcheana è cancellato dall'adesione al divenire, che è essere che comprende ogni aspetto del reale, ogni sua ripetizione, è sostituito in qualche misura dall'eternità dell'attimo; cane ululare = il terrore suscitato nell’uomo da ciò che non si conosce o non si comprende; giovane pastore = uomo; un essere trasformato, circonfuso di luce, che rideva! = superuomo; un greve serpente nero = circolo, rappresentazione circolare dell’eterno ritorno sostenuta dal nano (dalle bestie e dall’indovino) e respinta da Zarathustra perché l’idea della circolarità del tempo rende indifferente e vano il singolo momento, lo soffoca in una prospettiva deterministica. La svalutazione dell’evento coincide con il nichilismo, un atteggiamento che priva le cose di valore e indirettamente apre la strada alla ricerca di un valore esterno alle cose stesse (una realtà trascendente, un principio assoluto in Hegel, ad esempio, lo scetticismo è il passaggio necessario verso l’idea dell’Assoluto). A ritornare allora non sono le stesse cose ma il divenire come principio d’incessante trasformazione, divenire che coincide con l’essere (Nietzsche tenta di conciliare Parmenide ed Eraclito: “ciò che è” è con “tutto diviene”). L’essere è nel divenire: 18 di 23 A.G. Nietzsche in quanto tutto diviene, il divenire è. Ciò che è eterno, ossia incessante, è dunque il divenire: non il divenire di qualcosa, della Materia o dell’Idea, di una cosa o di una forma, di una sostanza o di un principio [Pasqualotto, Commento a Così parlò Zarathustra], ma il divenire stesso in quanto incessante polemos (conflitto) che genera le cose. Divenire che non si arresta mai, perché ciò che genera non è qualcosa di definitivo, un’armonia statica, stabile ma qualcosa che continua a trasformarsi, a ricostituirsi di continuo, è un’armonia contrastante (per usare le parole di Eraclito); Staccagli la testa, mordilo! = accettare la vita, l’eterno ritorno un essere trasformato, circonfuso di luce, che rideva! = superuomo La teoria dell’eterno ritorno per la sua problematicità e complessità ha suscitato diverse interpretazioni. Una delle tante: accettare l’eterno ritorno significa accettare la vita nella sua pienezza ora, non nutrirsi del passato, non cibarsi di speranze, ma vivere l’attimo come un eterno presente. Risulta chiaro, comunque, che questa dottrina ha una pars destruens e una pars construens: pars destruens: rifiuto della concezione lineare del tempo, per cui nessun momento ha in sé un significato pieno perché esiste solo in funzione degli altri; in tal modo, la felicità è impossibile. pars construens: il senso dell’essere sta nel divenire «innocente» e «dionisiaco» delle cose; ogni attimo va vissuto nella sua pienezza e coincidenza di essere e senso. Non esiste un al di là metafisico delle cose, una profondità che cela e custodisce la verità, un apparire che si contrappone all’essenza, essenza ed apparire sono superati dalla coincidenza tra senso ed esistenza. 8.4. La volontà di potenza La volontà di potenza s’identifica con l’«intima essenza dell'ESSERE»; più in particolare si identifica con la VITA stessa e trova l’espressione più alta nel SUPERUOMO: ESSERE: la volontà di potenza s’identifica con l’essere nel senso che costituisce il carattere fondamentale dell’esistente: volete un nome per questo mondo? Una soluzione per i suoi enigmi? Una luce anche per voi? [...] Questo mondo è la volontà di potenza - e nient'altro! E anche voi stessi siete questa volontà di potenza - e nient'altro! [Frammenti postumi, 1884-1885] VITA: la volontà di potenza è la vita stessa intesa come forza espansiva, tendente all’autosuperamento: Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato la volontà di potenza […]. E la vita stessa mi ha confidato questo segreto: «Vedi, disse, io sono il continuo, necessario superamento di me stessa». [Così parlò Zarathustra, Della vittoria su se stessi] Ciò che caratterizza la vita non è la ricerca del piacere né il principio dell’autoconservazione ma la spinta all’autoaffermazione: 19 di 23 A.G. Nietzsche Volontà di vita? Al suo posto ho sempre soltanto trovato volontà di potenza. [Frammenti postumi, 1882-1884] Avere e voler avere di più, in una parola la crescita - ciò è la vita stessa. [Frammenti postumi, 1882-1884] L'autosuperamento implica quindi la tendenza opposta a quella della conservazione e che consiste nella trasformazione incessante di sé, in una sorta di autocreazione continua, cioè la vita è libera produzione di se medesima al di là di ogni piano prestabilito. SUPERUOMO: la volontà di potenza trova la sua espressione più alta in tale figura, perché il superuomo è il continuo oltrepassamento di sé. In questa fase del pensiero nietzscheano l’arte viene rivalutata, perché se la vita va intesa come autocreazione ne segue che l’arte, in quanto forza creatrice, è la forma suprema della vita. L’artista può essere definito, quindi, come la «prima visibile figura dell’oltreuomo» [Vattimo]. L'essenza creativa della volontà di potenza si manifesta nella produzione dei valori, ma di quali valori si tratta? Nietzsche non è contro i valori? i valori in questione non sono realtà eterne, entità metafisiche, proprietà delle cose ma interpretazioni, valutazioni, proiezioni della vita con cui l'uomo («colui che valuta» Così parlò Zarathustra, Della redenzione) dà forma all'informe divenire dell'esistenza. Nel superuomo tale capacità è al massimo grado: egli crea nuovi valori con cui interpretare, attribuire un senso all'insensatezza caotica del mondo. E questo avviene innanzitutto vivendo l’attimo come eterno ritorno, in cui ogni evento è legato agli altri, nel senso che la propria volontà creatrice li fa propri. Ogni “così fu” è un frammento, un enigma, una casualità orrida – finché la volontà che crea non dica anche:«ma così volli che fosse!». Finché la volontà che crea non dica anche: «ma così voglio! Così vorrò!». [Così parlò Zarathustra, Della redenzione] 9. Scritti del tramonto Nelle opere dell’ultimo periodo domina il tema della critica della morale e del cristianesimo. Nei frammenti inediti sono presenti i temi della volontà di potenza (di cui abbiamo già parlato), del nichilismo e del prospettivismo. 9.2. La morale, il cristianesimo e la trasvalutazione dei valori 20 di 23 A.G. Nietzsche Il primo passo da compiere è mettere in discussione la morale stessa, chiedersi quale sia il valore degli stessi valori morali, a ciò si può rispondere realizzando un'analisi genealogica della morale per svelarne l'origine psicologica. È quanto avviene nell'opera Genealogia della morale, in cui Nietzsche scrive tra l'altro: abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori. In altre parole, bisogna chiedersi qual è l’origine della morale? Come si costruiscono i valori morali? L’origine, secondo Nietzsche, non è trascendente, è umana, fin troppo umana; i valori si costruiscono attraverso dei meccanismi che la psicologia, la «signora delle scienze», ha il compito di svelare. Ad esempio, la cosiddetta voce della coscienza non sarebbe altro che la presenza in noi delle autorità sociali dalle quali siamo stati educati; più che essere «la voce di Dio nel petto dell’uomo», la coscienza è allora «la voce di alcuni uomini nell’uomo». La moralità è «l’istinto del gregge nel singolo», essa non ha che fare con realtà ontologiche autonome, ma con l’asservimento alle direttive fissate dalla società. I valori etici sono «il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano; e solo falsamente sono proiettati nell'essenza delle cose». La morale del mondo classico proponeva valori vitali (forza, salute, fierezza, ecc.), perché forgiata da un’aristocrazia cavalleresca che amava la vita. Questa è la morale dei signori, ma essa non comprende solo l’etica dei guerrieri ma anche quella dei sacerdoti, i quali, invidiosi dei guerrieri finirono per elaborare uno schema morale antitetico a quello dei cavalieri: contrapponendo ai valori del corpo quelli opposti dello spirito. Questo rovesciamento dei valori è avvenuto soprattutto con il popolo sacerdotale per eccellenza, quello ebraico. Il cristianesimo storico ha fatto diventare la morale sacerdotale una morale di massa. Il cristianesimo rappresenta, infatti, la morale degli schiavi, i cui valori sono quelli antitetici alla vita: spirito di abnegazione, sacrificio di sé, disinteresse, ecc. In questo modo l’uomo si è ammalato, la sua esistenza è avvelenata dai sensi di colpa generati dalla nozione di peccato, che inibisce tutto ciò che è vitale nell'uomo, i suoi impulsi primari, le sorgenti naturali della gioia e del piacere. Questo avvelenamento non lasciando scaricare gli istinti produce un’aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta contro il prossimo. Contro tutto questo Nietzsche propone una trasvalutazione di tutti i valori, che non significa un nuovo rovesciamento per ritornare ai valori vitali della morale antica, ma un nuovo modo di rapportarsi ai valori, concependoli come proprie creazioni, libere proiezioni. 21 di 23 A.G. 9.3. Nietzsche Il nichilismo Nei Frammenti postumi del 1887-1888 si trova scritto:«che cos’è il nichilismo?», a cui Nietzsche risponde: «manca il fine; manca la risposta al “perché?”» e «i valori supremi si svalorizzano». A un certo punto della storia l’uomo sostiene che non c’è un fine, che tutto è niente. Ma come si è arrivati a sostenere questo, che può essere riassunto dall’affermazione nietzscheana Dio è morto? Il nichilismo è la conseguenza, secondo Nietzsche, delle metafisiche (filosofiche o religiose) precedenti. Queste, infatti, hanno illuso l’uomo con l’esistenza di fini assoluti e di realtà trascendenti (oltremondi). Quando l’uomo ha scoperto che tutto questo è un inganno, è piombato nell’angoscia nichilistica. Egli ha compreso che l’essere non è uno (principio assoluto presente nella realtà, considerata come totalità razionale ordinata); non è vero (le cose non celano una verità assoluta) e non è buono (il bene non appartiene di per sé alle cose, alla realtà, in quanto è un valore creato dall’uomo). L'equivoco del nichilismo moderno consiste nel dire che il mondo non ha più senso, non possiede alcun significato, perché avendo perso i significati forti delle metafisiche rimane deserto, non riuscendo a comprendere che i significati non sono nelle cose ma proiettati in esse dalla nostra volontà di potenza. D'altronde il nichilista moderno paga la forte illusione di cui è stato vittima: il cristianesimo innanzitutto che garantiva delle certezze assolute (un aldilà, una giustizia divina, un Dio-provvidenza, un senso..) e la prima reazione non può essere che quella della disperazione, del sentirsi perduti, del vedere spegnersi ogni stella di riferimento. In questo nichilismo vi è ancora la nostalgia del senso perduto, di un’autorità esterna che innervi la realtà di significato, la credenza che i significati provengano dall'esterno, appartengano originariamente alle cose. Si è lontani dal capire che è l'uomo che impone i propri fini e significati al caos dell'essere. Il rischio allora è quello di cercare nuove metafisiche che riempiano il vuoto lasciato dalla morte di Dio (il nazionalismo, il socialismo, l’anarchismo, lo storicismo, il positivismo, il naturalismo, l’estetismo, tutte forme di nichilismo incompleto). Il nichilismo in questa forma è per Nietzsche una fase intermedia, il suo no alla vita deve essere superato attraverso la volontà di potenza che esprime un sì alla vita. Bisogna porsi al di là della vecchia impostazione metafisica che ricerca il senso al di fuori dell’uomo, in «un’altra autorità in grado di parlare un linguaggio assoluto e di imporre fini e compiti». «Si vorrebbe», continua Nietzsche, «aggirare la necessità di avere una volontà, di volere uno scopo, il rischio di dare a se stessi un fine» [Frammenti postumi, 1887-1888]. 22 di 23 A.G. Nietzsche Nietzsche si definisce nichilista radicale, ma intende quindi con quest’espressione la necessità del superamento del nichilismo stesso. In breve l'uomo deve accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo, perché il senso non è ontologicamente dato, è l’uomo che lo deve inventare (nichilismo completo). 9.4. Il prospettivismo Prospettivismo: non esistono cose o fatti, ma solo interpretazioni. Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto fatti”, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé”. [Frammenti postumi, 1885-1887] Il mondo non possiede un unico senso, ma innumerevoli sensi perché sono possibili molte interpretazioni formulate da angoli prospettici diversi. Non solo il cosiddetto oggetto è interpretazione, ma lo stesso soggetto che interpreta lo è. L’idea dell’io o del soggetto come sostanza unitaria e causa ultima dei nostri atti è soltanto una finzione. Alla base di ogni interpretazione si pongono bisogni e interessi, espressione dell’istinto di conservazione e della volontà di potenza. Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro [Frammenti postumi, 1887-1888]. Se applichiamo il prospettivismo alla scienza, la lettura matematica e quantitativa della realtà che essa propone non è la decodificazione della struttura della realtà stessa, ma un’interpretazione che crea la realtà stessa: ad esempio per un fisico moderno la realtà è una configurazione di forze e moti, per un fisico aristotelico la realtà è composta da luoghi naturali. Il prospettivismo non significa un’equivalenza delle interpretazioni, sono preferibili le interpretazioni che esprimono salute e forza (coraggio). Caratteristiche queste del superuomo, che sa vivere senza certezze né fedi assolute, che accetta la tragicità dell’esistenza. La suprema misura di vigore è data da quanto uno può continuare a vivere sulla base di ipotesi, lanciandosi per così dire su di un mare infinito, invece che sulla base di “una fede”. Tutti gli spiriti inferiori periscono. [Frammenti postumi, 1884] 23 di 23