TAMBURELLO ROSSELLA Tecnologie e Didattica delle Lingue Letteratura inglese a.a. 2007/2008 1 Introduzione Il mio lavoro, a cui ho dato il titolo dell’opera in questione “Robinson Crusoe”, vuole richiamare l’attenzione sulla figura del protagonista, come rappresentante della crescente middle class, ampliandone i temi che maggiormente mi hanno colpito. La scelta dell’argomento trattato non è stata casuale, ma è nata dalla curiosità di scoprire come un viaggiatore del XVII secolo possa avere come unica vocazione il profitto economico. Ho suddiviso il lavoro in tre parti, all’interno delle quali ho cercato di dare maggior rilievo agli aspetti principali del naufrago Robinson. Nella prima, ho fornito un quadro del personaggio, visto come espressione della nuova middle class e manifestazione dell’inquietudine borghese, segno caratteristico della nuova classe. Nella seconda parte, ho messo in evidenza il tema della solitudine che ha come diretta conseguenza quello dell’autosufficienza, vissuta da Robinson come conservazione delle abitudini della sua vita quotidiana, quella precedente il naufragio. Nella terza e ultima parte, ho tentato di spiegare i caratteri che hanno da sempre portato a considerare Robinson il simbolo dell’individualismo economico, l’homo economicus per eccellenza. Nell’approfondire questa sua caratteristica ho inserito un altro aspetto importantissimo nel romanzo, quello del rapporto tra Robinson e il suo “servo” Venerdì. Infine, ho concluso il mio elaborato con alcune considerazioni personali sul protagonista, relativamente al contesto storico dell’epoca. Ho, inoltre, ritenuto opportuno inserire di seguito un riassunto del romanzo in questione, seguito da una breve presentazione della vita dell’autore, per una maggiore comprensione del mio lavoro, anche da parte di chi non ha mai avuto il piacere di leggere il romanzo o di conoscerne l’autore. 2 La storia, come tutti ben sanno, è quella di un uomo alla ricerca di avventura e libertà che, dopo aver abbandonato la famiglia, cerca fortuna navigando per mari tropicali. Ma la sorte gli rimarrà avversa: esposto a tormente e cicloni di inusitata potenza, rischia costantemente la vita; viene ridotto in schiavitù per alcuni anni da una banda di pirati africani, e, quando finalmente riesce a stabilirsi in Brasile, con un’onesta vita di proprietario terriero all’orizzonte, il suo desiderio di avventura lo costringe ad imbarcarsi nuovamente, immemore delle precedenti esperienze. Questa volta la disgrazia sarà immane: un naufragio incaglia la nave su un fondale sabbioso ed è la morte per tutto l’equipaggio e i passeggeri, tutti periti tranne lui. Robinson Crusoe, infatti, trova scampo, dalla forza del mare agitato, in una remota isola, abbandonata e sconosciuta al mondo intero. Qui il protagonista dovrà ricostruirsi una vita, potendo contare solo su alcuni oggetti e cibi racimolati sulla nave incagliata, affrontando i pericoli dell’isola. Dopo diversi anni, Crusoe scopre che l’isola non è completamente disabitata: occasionalmente dei nativi vengono dal continente sull’isola per compiere dei riti cannibalistici. Un giorno, Crusoe, salva un giovane cannibale dall’essere sacrificato ed egli, in cambio, promette di essergli servo fedele per sempre. Crusoe chiama il cannibale Venerdì, dal nome del giorno in cui l’ha salvato, e gli insegna ad essere un bravo cristiano. Alla fine, ventotto anni dopo il naufragio, si verifica un ammutinamento su una nave vicino all’isola e il capitano spodestato e altri due marinai vengono trasportati sull’isola per essere ivi abbandonati. Crusoe e Venerdì intervengono a favore del capitano recuperandogli la nave. Il capitano li ringrazia e gli offre un passaggio fino all’Inghilterra. Là, Crusoe trova la salute, il matrimonio e una famiglia, ma, nonostante questo, in ultimo ritorna in mare. Daniel Defoe autore inglese di romanzi, giornalista e scrittore di numerosi pamphlet, nacque circa nel 1660 e morì il 24 aprile 1731, dopo una vita particolarmente ricca di avvenimenti e segnata da numerose esperienze. Nato in 3 una famiglia di dissenzienti1, passò l’infanzia in un ambiente familiare profondamente religioso ed intriso di puritanesimo. Quando all’età di cinquantotto anni iniziò la stesura del suo romanzo più noto, Defoe aveva già diverse esperienze alle spalle. Fu mercante, fabbricante, assicuratore di navi e vascelli, condannato e carcerato a più riprese, soldato, spia, fuggitivo e fervente politico. Scrisse articoli e pamphlet di materia economica dimostrando una notevole avanguardia di pensiero rispetto all’epoca, altri trattati riguardavano la materia familiare, riprovando l’ampiezza e l’eterogeneità dei suoi interessi. Otto figli e quarantasette anni di matrimonio nascondono la realtà di un’unione difficile. L’anno seguente le nozze (1685), Daniel prese le armi, schierandosi con il duca di Monmouth (difensore della causa protestante), nella fallimentare rivolta condotta contro il re cattolico Giacomo II. Defoe riesce a ritirarsi in tempo dall’avventura, che si conclude con la decapitazione del duca, e, dopo un periodo trascorso fuori Londra, può riprendere la sua attività. La bancarotta ed i debiti, che lo videro nuovamente incarcerato, lo accompagneranno per il resto della sua vita. La ricerca della verità e le sue accese posizioni politiche gli procurarono fama e rispetto, ma anche numerose avversioni, che lo costringeranno a restare nascosto ed in disparte per molto tempo. L’amnistia concessa dalla regina Anna ed alcuni prestiti da parte del conte di Oxford permisero a Defoe di fondare un settimanale, “The Review” (in seguito bisettimanale e poi trisettimanale) e le sue idee non mancarono di procurargli altri guai. Dopo un nuovo arresto per diffamazione nel 1715, Defoe si dedicò alla stesura dei romanzi che lo resero celebre: Robinson Crusoe e Moll Flanders. Poco sappiamo degli ultimi anni di Defoe, oltre quello che ci dicono le opere da lui pubblicate. Certo è che egli continua a produrre, nonostante l’età, un numero incredibile di scritti nei generi più diversi. 1 Protestanti che non appartengono alla Chiesa Anglicana. 4 LA NUOVA MIDDLE CLASS E L’INQUIETUDINE The Life and Strange Surprising Adventures of Robinson Crusoe of York, Mariner (1719), da sempre noto con il solo nome dell’eroe eponimo Robinson Crusoe, è ritenuto uno dei più famosi romanzi della cultura occidentale. Nello scrivere la sua celeberrima opera, Daniel Defoe si è ispirato ad una storia vera: il resoconto, apparso l’anno precedente, del naufragio di un marinaio di nome Alexandre Selkirk, che, abbandonato nel 1705 nell’isola di Juan Fernandez, al largo del Cile, viene ritrovato quattro anni più tardi allo stato quasi selvaggio. Per raccontare le vicissitudini di Robinson Crusoe, Defoe si è servito di uno stile prosaico in prima persona che è straordinariamente realistico e intensamente particolareggiato. I meticolosi problemi del lavoro giornaliero e della sopravvivenza che costituiscono la maggior parte del racconto sono ovviamente un prodotto della sensibilità della classe borghese a cui Defoe apparteneva. Robinson non è un qualsiasi marinaio, ma il prototipo dell’English merchant settecentesco, il commerciante opportunista e privo di emotività, che naviga attraverso tutti i mari, spingendosi fino alle terre più lontane, per procacciarsi nuovi affari. E’ questa la figura di un uomo in costante trasformazione che, non essendo mai contento della propria posizione sociale ed economica, aspira sempre a qualcosa di più profittevole. Defoe dichiara di rifarsi a documenti originali per rendere più credibile l’invenzione, scrivendo, sottoforma di diario, una serie di episodi autobiografici, in cui presta la propria voce al personaggio. Questo stile dettagliato in prima persona permette, inoltre, a Defoe di descrivere il mondo come visto attraverso gli occhi di un particolare individuo circoscritto. In questo modo, Robinson Crusoe, pone le fondamenta per un nuovo genere letterario, il romanzo. 5 “Robinson rappresenta l’antieroe: in lui sono simbolicamente espresse le caratteristiche della nuova classe borghese e puritana del secolo XVIII”2. Questa affermazione di Trisciuzzi è riscontrabile nel fatto che la solitudine di un tale naufrago trova nel lavoro il punto su cui far leva per sollevarsi da una condizione miserabile e disperata. Innumerevoli, infatti, sono le occasioni in cui egli fa mostra di questa mentalità borghese; una di queste è l’unica volta in tutto il romanzo in cui Robinson viene sopraffatto dall’emozione, cioè quando viene a conoscere l’ammontare del proprio patrimonio: «E’ impossibile descrivere il turbamento del mio cuore mentre leggevo queste lettere, e a maggior motivo quando mi ritrovai padrone di tutte le mie ricchezze … In breve, impallidii e mi sentii venir meno; e se il vecchio capitano non fosse corso a prendermi un cordiale, credo che l’improvviso impeto della mia gioia avrebbe sopraffatto la Natura ed io sarei morto sul colpo»3. Defoe scrive, quindi, per la crescente middle class - commercianti, artigiani… che andava acquistando potere e prestigio e di cui Defoe stesso, commerciante e giornalista, conosceva bene interessi e valori. Questo tema della middle class è presente in forma esplicita nel Robinson, nelle pagine iniziali che precedono la partenza del protagonista, quando il padre rivendica alla nuova classe, indicata come middle state, la condizione più felice del mondo, al riparo dai pericoli che insidiano le classi superiori e quelle inferiori: «Mi disse ... che la mia condizione si poneva a un livello intermedio, cioè al gradino più basso fra quelli elevati, ed egli per lunga esperienza lo aveva considerato la miglior condizione di questo mondo, la più idonea a garantire la felicità dell’uomo, non esposta alle miserie e ai sacrifici, alle fatiche e alle angustie di quello strato di umanità che deve adattarsi al lavoro manuale, e al tempo stesso libera dalla schiavitù dell’orgoglio, dello sfarzo, dell’ambizione e dell’invidia cui soggiace la classe più abbiente»4. Il discorso 2 L. Trisciuzzi, Cultura e mito nel «Robinson Crusoe», La Nuova Italia Editrice, 1970, p. 16. D. Defoe, Robinson Crusoe, Garzanti, Bergamo, 2005, p. 303-304. 4 D. Defoe, op. cit., p. 3. 3 6 del padre di Robinson è l’elogio di una condizione sociale nuova, invidiata (dice Defoe) perfino dai re: «… persino i monarchi si erano lamentati delle costrizioni dovute a una nascita che destina a grandi gesta e avevano deplorato di non trovarsi in situazione intermedia, tra i due punti estremi: il più piccolo e il più grande»5. Nonostante gli allettamenti del padre, Robinson decide di partire, aprendo così la porta al nuovo e all’imprevisto. Su questa contrapposizione la critica ha molto discusso, interpretandola come una differenza tra vecchie e nuove generazioni all’interno della middle class, e vedendo il dissidio e le vicende successive come un’allegoria del ciclo disubbidienza-punizione-pentimento-perdono.6 Io preferisco, piuttosto, appoggiare il mio pensiero alla critica di coloro i quali abbiano invece interpretato la decisione di Robinson come manifestazione dell’“inquietudine” borghese, come segno caratteristico della nuova classe ormai cosciente di sé stessa e volta alla conquista del mondo. Questo termine è reperibile anche in Locke: «L’inquietudine che l’uomo prova per la mancanza di una cosa che, se fosse presente, gli procurerebbe piacere, è quel che si chiama desiderio, che è più o meno intenso a seconda che tale inquietudine è più o meno ardente»7. Si può, dunque, affermare che l’inquietudine non consisteva tanto in uno stato d’animo individuale, quanto piuttosto era il problema di una situazione sociale, che era a sua volta il risultato della trasformazione dello status economico della nuova classe mercantile. E’ un’inquietudine che precede e accompagna l’avventura individuale nel mondo, che stimola alla costruzione e al recupero della propria identità attraverso l’azione e la determinazione del proprio ruolo8. Il mondo che si apre davanti all’individuo della middle class è un mondo aperto alla conoscenza e alla trasformazione, è un mondo che esige uomini industriosi. 5 D. Defoe, op. cit., p. 3. Su questa tipologia di critica troviamo basarsi Shinagel, che interpreta il conflitto come manifestazione del dissidio tra due generazioni di protestanti; per il padre la salvezza deve essere attesa, per il figlio ricercata. Cfr. D. Defoe, op. cit., Prefazione, p. XXVIII-XXIX. 7 J. Locke, An Essay Concernine Human Understanding, London, 1910, cap. XX, p. 161. 8 Cfr. Trisciuzzi, op. cit., cap. II. 6 7 Sono pienamente d’accordo con Locke, quando osserva che l’inquietudine è uno stato di desiderio inappagato: quel che ci fa agire non è la presenza di un determinato bene, ma la sua mancanza. Ed è così anche per Robinson; a lui l’inquietudine appare come una febbre che lo spinge a viaggiare per estendere la propria conoscenza e che aveva già pervaso l’Europa più progredita per tutto il secolo precedente. L’inquietudine è il primo elemento che ha contribuito a creare il mito di Robinson e che, nel mito stesso, è divenuto desiderio all’azione e di nuove esperienze. 8 DALLA SOLITUDINE ALL’AUTOSUFFICIENZA L’inquietudine che agita Robinson, quella propensione naturale ad uscire fuori dalle strade battute e dalle tradizioni alla quale egli stesso accenna, si lega strettamente ad un altro elemento essenziale del personaggio: la solitudine e, di conseguenza, l’autosufficienza. Il naufragio sull’isola deserta toglie a Robinson ogni possibilità di contatto con il mondo civile. Per sopravvivere, egli deve adattarsi all’ambiente naturale dell’isola, cercando di trasformarlo. A differenza di tutti gli altri naufraghi solitari che, a causa della mancanza di esercizio mentale, perdono l’uso della parola, impazziscono o muoiono, nel Robinson accade esattamente il contrario; il personaggio prosegue il proprio cammino, con tenacia incrollabile e pazienza, anche nelle circostanze più scoraggianti. Ed è questa la qualità eroica che accomuna Robinson a Defoe. Questo rapporto segreto, che lega l’autore alla sua creatura artistica, lo ritroviamo nell’amore per la solitudine, le cui ragioni vanno ricercate nell’incapacità di sentirsi in armonia con le altre persone, con le cose, a volte anche con sé stesso. E’ Defoe stesso che afferma di godere la solitudine più «in mezzo al maggiore agglomerato di umanità che sia al mondo (Londra)… di quanto possa dire di averla mai goduta in ventott’anni di reclusione in un’isola deserta». La solitudine è una conquista realizzabile anche «in mezzo alla folla». Egli da testimonianza del suo isolamento, della sua solitudine, ma anche della sua autosufficienza, nella prefazione ad un opuscolo del 1706, A Reply to a Pamphlet, Entitled The Lord Haversham’s Vindication of His Speech…, in cui scrive: «Come sono solo al mondo, abbandonato perfino da coloro a cui ho reso servizi… come, con il… solo aiuto della mia industriosità, ho superato la 9 sfortuna…; come, in carcere, in ristrettezze, e in ogni genere di difficoltà, mi sono sostenuto da solo senza l’aiuto di amici o parenti»9. Ma la solitudine che prova Robinson non è ripudio incondizionato per la società; anzi, egli si sente un solitario soltanto quando si trova in mezzo alla gente, ma quando è sull’isola anela solo il momento di potersene andare. Egli sa di non essere sincero anche quando alla fine del secondo anno di permanenza sull’isola esclama: «Resi umili e fervide grazie al Signore per essersi compiaciuto di rivelarmi che era perfino possibile essere più felice di questo mio stato di assoluta solitudine di quanto lo sarei stato nella libertà della vita sociale e comunitaria, circondato da tutti i piaceri del mondo»10. E continua: «Ora, infatti, cominciavo a rendermi conto di quanto la mia vita attuale, pur con tutte le sue miserie, fosse più felice dell’esistenza sordida, dannata, abominevole che avevo condotto in passato»11. Ma in realtà la pensa diversamente e ciò è riscontrabile dal senso di turbamento che prova subito dopo e che gli impedisce di pronunciare queste parole: «Come puoi essere tanto ipocrita - mi dissi ad alta voce – per fingerti grato di una condizione dalla quale, per quanto tu ti sforzi di accettarla, pregheresti con tutto il cuore di essere liberato?»12. Ci troviamo qui davanti ad una contraddizione presente solo nella mente di Robinson; subito dopo quel pensiero, infatti, egli comincia a ringraziare Dio per avergli «aperto gli occhi»13, inducendolo a considerare in altra luce la sua esistenza precedente, a dolersi e pentirsi della sua empietà. Defoe afferma che è nella meditazione personale e nella solitudine etica che va ricercata la risposta ai problemi di ciascun individuo. In ciò sta la vera autosufficienza dell’uomo moderno; egli non ha bisogno del suo prossimo per quanto riguarda la parte «nobile» della sua persona, ma solo per le necessità. Per 9 Cfr. Ian Watt, Le origini del romanzo borghese, Bompiani, Bergamo, 2002, p. 85. D. Defoe, op. cit., p. 120. 11 D. Defoe, op. cit., p. 121. 12 D. Defoe, op. cit., p. 122. 13 D. Defoe, op. cit., p. 122. 10 10 Defoe, sono queste ultime ad unire gli uomini, ma solo per quel tanto che può essere di vantaggio per il loro superamento14. Nella solitudine dello stato di natura, Robinson sopravvive grazie ai suoi utensili e grazie alla creazione di oggetti. Caratteristica eccezionale di Robinson è proprio l’autosufficienza; egli, infatti, se la sa cavare benissimo da solo. La base della sua prosperità è costituita dagli strumenti che recupera dal rottame della nave e che costituiscono, egli dice, «il più grosso magazzino di ogni genere di mercanzie che fosse mai stato creato (o almeno credo) ad uso e beneficio di un solo uomo»15. Comincia, così, fin da subito a fabbricare alcuni oggetti che gli sarebbero stati necessari e di cui sentiva maggiormente il bisogno; per primi costruisce una sedia e un tavolo, senza i quali non avrebbe potuto «né scrivere né mangiare, né fare qualsiasi altra cosa con lo stesso piacere»16. In questo modo continua a preservare le abitudini di casa, della sua vita precedente il naufragio. E, così, comincia la costruzione di tutti gli oggetti che per lui rappresentavano i pochi agi che aveva al mondo. Mettendosi a lavoro, Robinson afferma che «… col tempo ogni uomo può diventare padrone di qualsiasi arte meccanica. Io non avevo mai maneggiato un utensile in tutta la mia vita, eppure col tempo, a costo di molta fatica, perseveranza e ingegnosità, mi resi conto che non c’era cosa, fra quante mi mancavano, che non sarei riuscito a fabbricarmi da solo»17. Con questa affermazione, vuole evidenziare che, con la volontà, ogni uomo può essere in grado di fare qualsiasi cosa, pur non avendo gli strumenti adatti. Così, Robinson riuscì a fabbricarsi qualunque cosa gli servisse, senza disporre degli arnesi appropriati, ma avendo a disposizione solo l’ascia e l’accetta. Robinson dimostrata, dunque, di essere autosufficiente e responsabile di tutti i suoi ruoli. 14 Questo argomento verrà ripreso e approfondito successivamente. D. Defoe, op. cit., p. 58. 16 D. Defoe, op. cit., p. 71. 17 D. Defoe, op. cit., p. 71. 15 11 L’HOMO ECONOMICUS Robinson Crusoe è il simbolo dell’homo economicus. Incarnazione dell’individualismo18, dal punto di vista economico, egli, come tutti gli altri eroi di Defoe, rincorre il denaro, definito, dall’autore stesso, «il denominatore comune del mondo»19. E’ interessante notare l’impatto che Robinson ha con esso, nel momento in cui, tornato per la diciottesima volta alla nave, trovò, all’interno di un cassetto di una cabina, monete, oro e argento. La sua prima reazione fu di disprezzo: «La vista di quel denaro mi fece sorridere: “Spazzatura!” esclamai ad alta voce. “Non vali più nulla per me, nulla di nulla, non fa conto nemmeno raccoglierti da terra; uno solo di questi coltelli mi è molto più utile di tutto questo mucchio di quattrini. Non so proprio che farmene di voi, quindi restate dove siete, come una creatura indigena di salvezza”»20. Ma subito dopo ci fu un ripensamento: «Tuttavia finii per ripensarci: presi il denaro, lo avvolsi in un pezzo di tela insieme con tutto il resto …»21. E’ già da queste poche righe che esce fuori l’homo economicus che è in lui e che lo porta a prendere il denaro e conservarlo, perché un giorno avrebbe potuto fargli comodo, forse più di tutti gli altri oggetti. Il nostro Homo economicus, ricostruisce sull’isola la realtà che si è lasciato alle spalle, facendo attenzione, oltre a queste minuzie della quotidianità borghese, anche alle dinamiche della lotta di classe. Questo aspetto è riscontrabile nella scelta di fare di Venerdì il suo servo, autentico rappresentante del proletariato, 18 Il termine “individualismo” apparve verso la metà del XIX secolo e il suo concetto implica un’intera società retta principalmente dall’idea dell’intrinseca indipendenza di ogni individuo dagli altri e da quel complesso di modelli di pensiero e di azione che si denota col termine “tradizione”, una forza che è sempre sociale e non individuale. L’esigenza di una tale società presuppone un’organizzazione economica e politica, che permetta ai suoi membri un ampio ventaglio di scelte per le loro azioni e un’ideologia basata sull’autonomia dell’individuo. La principale causa storica dell’individualismo sta nel moderno capitalismo industriale. Questo, produsse un grande incremento della specializzazione economica che, insieme ad una struttura sociale meno rigida e omogenea e ad un sistema politico meno assolutistico, aumentò la libertà di scelta dell’individuo. Cfr. I. Watt, op. cit., p. 56. E’ opportuno ricordare che fu proprio Daniel Defoe ad esprimere, in particolare nel suo Robinson Crusoe e in modo più completo di qualunque altro scrittore precedente, i vari elementi dell’individualismo. 19 In Review, III (1706), n. 3. 20 D. Defoe, op. cit., p. 61. 21 D. Defoe, op. cit, p. 62. 12 che il mercante borghese sfrutterà a suo piacere. Crusoe, il “colonizzatore”, strappa a Venerdì, il “colonizzato”, le sue credenze e la sua lingua, obbligandolo ad imparare l’inglese, ad inchinarsi di fronte al Dio degli anglicani e a farsi chiamare “padrone”. Da ciò si può evincere che le relazioni tra i due personaggi sono completamente egocentriche. Crusoe non chiede a Venerdì quale sia il suo nome, ma gliene impone uno. Dice Robinson: «… per prima cosa gli spiegai che il suo nome sarebbe stato Venerdì, perché venerdì era appunto il giorno in cui gli avevo salvato la vita. Lo chiamai così a ricordo dell’avvenimento»22. L’imposizione del nome è per Robinson qualcosa di normale ed egli non ne chiede minimamente l’approvazione da parte del suo “servo”. Notiamo, quindi, che l’autarchia personale di Robinson persiste anche quando egli non è più da solo nell’isola, anzi ne è accresciuta. Venerdì, non richiesto, giura di essere suo schiavo per sempre e, senza richiedere alcun salario, aiuta il suo “padrone”, alleviandogli la fatica del lavoro quotidiano23. Quindi, anche la divisione del lavoro24 tra Robinson e Venerdì si basa su un rapporto di forza “padrone-servo”, in cui emerge il panorama della situazione coloniale dell’Inghilterra. L’incontro con l’altro viene, quindi, messo in scena a partire da un ben determinato contesto storico-ideologico. Da una parte c’è l’Inghilterra, dall’altra i popoli da essa conquistati e colonizzati. Come ho precedentemente accennato, nel romanzo in questione, l’importanza delle relazioni personali e di gruppo è diminuita dal primato del vantaggio economico individuale. Ricordiamo, infatti, che Robinson lascia la casa e la famiglia, per la classica ragione dell’homo economicus: il miglioramento della sua condizione economica e non il mantenimento del proprio status quo. 22 Defoe D., op. cit, p. 219. Crusoe, infatti, si concede pochissimo tempo per il riposo e, perfino con l’arrivo di nuova manodopera (Venerdì), anziché cominciare un periodo di rilassamento, ne inizia uno di espansione della produzione. 24 Ricordiamo che, secondo Defoe, è solo la divisione del lavoro a legare l’uomo alla società. 23 13 Queste sono considerate le caratteristiche vitali di un modo di vita individualistico, manifestazione economica e sociale di quell’inquietudine che smuove l’uomo e lo porta ad agire. Anche da vecchio Crusoe dice: «Non avendo altro da fare e trovando che, in realtà darsi da fare e commerciare dà un profitto grande e, posso dire, sicuro e dà più piacere e soddisfazione di sedere tranquilli, occupazione che per me fu la parte più infelice della mia vita …»25. Per Robinson, lo star seduto tranquillo e le occupazioni del tempo libero erano la “parte più infelice della vita”. Un chiaro esempio può essere dato dal disinteresse, che esprime il personaggio, verso le bellezze del paesaggio, che offre un’isola deserta. La scena naturale sull’isola attrae Crusoe, non per essere adorata ma per essere sfruttata; quando, infatti, osserva le sue terre, esse richiedono troppo evidenti migliorie, perché si abbia anche il tempo di osservare che compongono un paesaggio. In questo troviamo una forte rassomiglianza del personaggio con l’autore, che sembra essersi concesso pochissime volte ai divertimenti. Defoe fu, per questo motivo, considerato un esempio unico di grande scrittore pochissimo interessato alla letteratura e sul quale molto è stato commentato riguardo la sua scarsità di amicizie letterarie26. Questa tendenza fondamentale dell’individualismo economico, dunque, impedisce a Robinson di dare molta importanza ai legami sociali. Egli non è legato sentimentalmente a nessuno, ma gli unici rapporti che ha con gli altri individui, sono quelli che gli consentono di fare buoni affari. Perfino l’amore e la soddisfazione sessuale, nel romanzo, tendono ad essere minimizzate. Infatti, quando Crusoe si accorge della mancanza di società nell’isola, non prega di avere la compagnia di una donna, bensì quella di uno schiavo. Ed anche quando torna alla civiltà, il sesso resta, per lui, subordinato agli affari. Decide di sposarsi 25 26 Farther Adventures of Robinson Crusoe, a cura di Aitken, Londra, 1902, p. 214. Cfr. Watt I., op. cit., p. 66. 14 solo quando la sua posizione finanziaria non viene rafforzata da un altro viaggio27. Quindi, per quanto riguarda le relazioni personali di Robinson, egli tratta gli altri in termini del loro valore d’uso. Questo è sostanzialmente un rapporto di mercato: vendere e comprare. Per questo motivo, come ha affermato Ian Watt, ritengo che nel Robinson, come in molti altri romanzi di Defoe, un ruolo rilevante sia giocato dal “contratto”. Esso è l’unica forma d’intesa che può essere stabilita tra gli uomini. Appena Robinson, dopo anni di segregazione, ha occasione di incontrare un uomo bianco, comincia subito a riflettere sulle clausole contrattuali che gli deve imporre, prima di aiutarlo; per occuparsi poi dei compagni di quest’uomo, esige che il contratto venga messo nero su bianco e sia firmato da tutti gli interessati. La stessa cosa avviene quando Robinson affida la sua isola ai nuovi coloni prima di partire; e, allo stesso modo, in tutte le occasioni nelle quali si troverà nella necessità di avere rapporti con il suo prossimo. Gli unici esseri umani con i quali Robinson non stipula contratti sono i selvaggi, con i quali non è possibile stringere dei patti che presuppongono diritti dei quali essi non sono titolari. Con essi i rapporti possono essere di ostilità o di proprietà. Il tipico esempio è quello di Venerdì; egli non ha i requisiti per stipulare un contratto con Robinson, suo “padrone”. 27 Defoe D., op. cit., pp. 324-325. 15 Conclusione Prima di passare alle mie considerazioni personali, ho voluto in breve accennare ad alcune delle ragioni che hanno portato a fare del “Robinson Crusoe” un’opera d’arte letteraria. La caratteristica principale è quella di rinviare a qualcosa che sta fuori dal testo. Il romanzo esprime, infatti, in sé stesso la mentalità propria di un’epoca e rappresenta le tematiche e le problematiche del dibattito intellettuale ad esso contemporaneo, tra cui la middle class. Anche la storia personale dell’autore può essere considerata un’interessante informazione contestuale per una giusta interpretazione dell’opera. Il carattere autobiografico dell’opera è, infatti, riscontrabile oltre che nell’appartenenza di Robinson al ceto medio, anche, in un certo modo, nel godimento della solitudine, presente anche nella realtà di Defoe. Altra interpretazione del “Robinson” come testo letterario è il fatto che l’opera rinvia a motivi che compaiono in altre opere dello stesso autore. E’ possibile notare, ad esempio, come tutti gli eroi delle sue opere siano delle incarnazioni dell’individualismo economico, peculiarità riscontrabile nella corsa al denaro28; opinione condivisa degli eroi di Defoe è la caratteristica hybris29 dell’uomo economico, grazie alla quale riescono a mantenere la stima di sè: essi preferirebbero rubare che chiedere la carità. Per quanto riguarda l’intreccio dei suoi personaggi, essi si possono considerare legati dall’individualismo economico. Un esempio di ciò è dato dalla relazione che sussiste tra la protagonista del romanzo “Moll Flanders” e Robinson: i crimini della prima e i viaggi di Crusoe sono entrambi radicati nel raggiungimento dei più alti risultati economici, usando ogni metodo disponibile 28 Vedi p. 12. Defoe definì il denaro: “denominatore comune del mondo”. Cfr. Watt, op. cit. p. 81. Hybris: parola greca utilizzata per esprimere arroganza, insolenza ed indica eccessivo orgoglio e confidenza in sé. 29 16 per attuare i loro propositi. Un ulteriore legame tra questi due romanzi si può trovare sotto la forma di quella pseudobiografia, in cui Defoe presta la propria voce al personaggio; egli dichiara, inoltre, di rifarsi a documenti originali per rendere più credibile l’invenzione. CONSIDERAZIONI PERSONALI SUL ROMANZO Quando lessi per la prima volta questo romanzo ne fui subito attratta, credendo che appartenesse alla categoria di “viaggi e avventure”. Ma, dopo averlo riletto una seconda volta, mi resi conto che Crusoe non è un semplice avventuriero e i suoi viaggi, come la sua libertà da legami sociali, sono manifestazioni di quell’individualismo economico, che aveva accresciuto enormemente la mobilità dell’individuo ai tempi di Defoe. L’originalità dell’autore sta nel presentare un tipico uomo della middle class del suo tempo sia nelle qualità che nei difetti; egli è un uomo individualistico, egocentrico, ambizioso, egoista, ma intraprendente, capace di costruire un impero, anche in circostanze sfavorevoli, piegando la natura alle proprie esigenze. Abbiamo visto come Robinson, da solo, su un’isola deserta, tenta di conservare la sua vita e le comodità a cui era abituato a casa, prefiggendosi, come scopo principale dei suoi viaggi, il profitto. Da ciò che il romanzo mi ha trasmesso, posso dedurre che il tema, presente in ogni pagina dell’opera, è quello della fiducia di sé; particolarità quest’ultima dell’uomo medio e razionale che, trovandosi di fronte a situazioni di difficoltà, riesce a vincerle, per mezzo del suo pratico senso comune e del suo potere di osservazione e deduzione. 17 Credo che ciò che rimanga impresso a tutti coloro che si accingono a leggere questa avventura sia proprio la fede in sé stessi e nella propria essenza d’uomini, in quella avventura quotidiana che è la vita. Oggi, come all’epoca di Defoe, tutti ci troviamo, come Robinson, di fronte a situazioni difficili ed ostacoli che sembrano insormontabili, ma con un pò di fiducia di sé e spirito si iniziativa, riusciamo a risolvere i problemi di fronte ai quali la vita di ogni giorno ci pone. Questa è la lezione che il Robinson Crusoe mi ha trasmesso e che credo offra ancora oggi al giovane lettore. E’, inoltre, affascinante notare come il romanzo continui ad essere letto come documento storico tanto da fare discutere di Robinson e Venerdì come se fossero persone realmente esistite; questa è la prova dello straordinario genio narrativo dell’autore: Defoe è stato capace di rendere verosimili ambienti e animali fantastici grazie allo stile giornalistico, farcito com’è di particolari descrittivi, che danno una resa molto concreta al tessuto del racconto; così facendo quel mondo che esiste solo all’interno delle pagine sembra saltarne fuori. 18 Bibliografia Daniel Defoe, Robinson Crusoe, Garzanti, Bergamo, 2005; Ian Watt, Le origini del romanzo borghese, Bompiani, Bergamo, 2002; P. Bertinetti (a cura di), Breve storia della letteratura inglese, Einaudi, Torino, 2000; Leonardo Trisciuzzi, Cultura e mito nel «Robinson Crusoe», La Nuova Italia Editrice, 1970; De Luca B., Grillo U., Pace P., Ranzoli S., Literature and beyond. Film, Music and Art. From the Beginning to the Augustan Age. VOL. II, Loescher Editore, 1997; Frank H. Ellis, Twentieth century interpretations of Robinson Crusoe (A collection of Critical Essays), Prentice-Hall International, Inc., Englewood Cliffs, New Jersey, 1969. 19