C ORRIERE 11 FEBBRAIO 2005 DEL M EZZOGIORNO 11 Bollettino dell’Osservatorio sulla camorra e sull’illegalità Le cause che spingono i giovani verso il crimine non derivano dai consumi intellettuali. O almeno non del tutto. Il ruolo dei mass media La cultura è un’arma spuntata? di AMATO LAMBERTI Non c’è bisogno di grandi ricerche per conoscere che il rapporto con la produzione culturale, nel suo complesso, da parte dei giovani e degli adulti affiliati alla camorra, è non solo povero in termini quantitativi ma tutto affidato ai cascami della cultura di massa, dalla televisione spazzatura alla «trivial literatur», dai neomelodici, al repertorio più trito e consunto della canzone napoletana. Non c’è neppure da meravigliarsi nello scoprire che l’aggiornamento informativo si gioca tutto sulle pagine sportive e sulla cronaca nera di quotidiani e televisioni private di ambito cittadino e metropolitano. In realtà, i loro consumi culturali sono indipendenti dalla scelta di vita criminale perché sono gli stessi dei loro coetanei, giovani o adulti che siano, che vivono, lavorano, si arrangiano nei contesti marginali delle periferie o dei centri storici di Napoli o delle tante città dell’area metropolitana. Vivere a Napoli o a Casavatore, Caivano, Ercolano, Casoria, Qualiano, Pozzuoli e via dicendo per tutti e 93 Comuni della Provincia di Napoli, non fa alcuna differenza per quanto riguarda i consumi culturali di giovani e adulti accomunati dalla comune appartenenza a ceti sociali segnati da un basso livello di scolarizzazione, da una cultura — in senso antropologico — che è una poltiglia di familismo, di violenza, di maschilismo, di religiosità e superstizione, di malinteso senso dell’onore e del rispetto, da attività economiche che, nonostante tutti gli sforzi, non riescono a dare una certezza al futuro, dall’ossessione del consumo come misura, visibile e misurabile, delle proprie capacità di azione e di intelligenza. Il dramma vero è che questa area sociale è molto vasta e arriva a comprendere anche persone che a scuola hanno soggiornato a lungo a livello di materne, elementari, medie, in molti casi anche di Istituti superiori, senza ricavarne grande profitto soprattutto per quanto riguarda mentalità, modelli di comportamento, orientamenti di valore. L’impressione è che la scuola sia del tutto incapace se non di cambiare, di intaccare la cultura profonda — quella che regola il modo di pensare e di agire — trasmessa per assorbimento dal «mondo della vita» — famiglia, parenti, amici, conoscenti coetanei e adulti importanti — di cui si fa parte. Può molto di più la televisione, in quanto è visibile la sua opera di trasformazione dei giovani e degli adulti, in condizione di marginalità e di penuria di mezzi, in «macchine desideranti», in «consumatori ingordi» che del possesso e del consumo di «merci» fanno l’unica ragione della pro- ALL’INTERNO pria vita. Appare evidente che nei ceti marginali, più che negli altri ceti sociali, i mezzi di comunicazione di massa, che oggi sono gli unici produttori di cultura di massa, stanno producendo personalità sempre più totalmente «mercificate», ridotte cioè ad essere quello che posseggono e che ostentano e consumano e che, per procurarsi quegli oggetti e per assicurarsi quello stile di vita che è diventato la ragione stessa della loro esistenza, sono disponibili a tutto, anche ad uccidere, anche ad entrare stabilmente in una organizzazione criminale. Come si può fermare questa produzione di massa di personalità completamente mercificate? Questa è la domanda che mi sento di fare a chi con tanta leggerezza produce spettacolo, cultura, pubblicità, guardando, spesso in modo altrettanto maniacale, solo all'audience e agli indici di incremento delle vendite. Forse a difendere il cittadino-spettatore-lettore-ascoltatore-consumatore onnivoro dovrebbe pensarci la scuola. Ma non certo questa scuola che ancora non ha capito che il suo compito principale, la sua mission, dovrebbe essere quella di dare strumenti per una elaborazione consapevole e costruttiva della valanga di informazioni, conoscenze, modelli di valore, schemi d’azione e di comportamento, riversata su tutti, ventiquattro ore al giorno, dalla cosiddetta industria culturale. Nei luoghi della camorra — come il «Terzo mondo» o le «case azzurre» — una selva di antenne e di paraboliche testimonia ampiamente di consumi televisivi spesso esasperati, da parte dei giovani come delle loro famiglie. Naturalmente consumano soprattutto prodotti segnati dalla napoletanità più retriva che non fanno che rinforzare l’universo valoriale già profondamente interiorizzato, senza mai mettere in discussione quella che potremmo definire la cultura camorristica. Quando si trasmettono film, spettacoli teatrali o di varietà, canzoni, nei quali il camorrista assume i connotati di un eroe positivo nel contesto di marginalità in cui opera; quando si fa informazione romanzando le gesta e la figura di camorristi violenti e sanguinari, non solo non si fa opera educativa ma si fa promozione della cultura e delle azioni della camorra. In nessun paese questo sarebbe consentito: nel nostro, queste emittenti, sono addirittura sovvenzionate dall’Ente pubblico oltre che sostenute dagli investimenti pubblicitari. La lotta alla camorra passa per la scuola e la formazione, ma passa anche per gli organi di informazione e per la televisione. MAESTRI DI STRADA Rossi Doria: «Tutti uguali» L’esperienza dei «Maestri di strada» nel racconto di Marco Rossi Doria che organizza una «scuola per i ragazzi che non vanno a scuola». I ragazzi che vengono seguiti sono del tutto uguali a quelli di estrazione borghese. U A pagina 12 Mosca CINEMA E MALAVITA I clan napoletani a 35 millimetri La canorra è stata raccontata attraverso numerosi film. Dalle pellicole degli anni cinquanta alle realizzazioni più recenti come è cambiata la visione della malavita partenopea sul grande schermo. U A pagina 12 Alison I BAMBINI E LA CAMORRA I disegni: da tigri a vermi o insetti Com’è cambiato nell’immaginario dei bambini nella individuazione della malavita organizzata della Campania. Nei disegni realizzati anni fa e in quelli di oggi la percezione del cambiamento avvenuto negli alunni di una scuola elementare. U A pagina 13 Anna La Rocca PUGLIA E CRIMINALITA’ La quarta mafia quella poco nota È la più giovane tra le organizzazioni criminali, nata attorno agli anni ’80. Per questo è quella meno conosciuta. I riti, l’organizzazione, come agisce raccontati per far conoscere questa organizzazione nata da Camorra, ’ndrangheta e mafia. U A pagina 14 Castellaneta Un camorrista con il chiodo fisso della morte. È l’opera originale realizzata da Ernesto Tatafiore per l’Osservatorio sulla Camorra LE T TER A TUR A Apparirà strano che menti spietate come quelle dei boss della camorra, capaci di dare ordini di morte, di gestire rigorosamente economie del narcotraffico e pronte a concedere attenzione solo agli affari, agli spostamenti internazionali di danaro, ai patti più sibillini con i politici, ai sentieri più complessi per infiltrarsi negli appalti, possano lasciarsi fascinare dalla poesia e tentino anzi di raggiungere una capacità di verso la più alta possibile. Eppure non è cosa rara né singolare. Del resto Saddam Hussein redigeva versi e romanzi sulle orme di Sheherazade e «Le mille e una notte», Adolf Hitler stilò pagine di narrativa, accumulò scartafacci di versi, Kim Il Sung il satrapo del regime socialista nordcoreano prima di morire fece stampare migliaia di opuscoli con i suoi racconti mitologici a metà tra novelle confuciane e materialismo dialettico nella vulgata staliniana. In tal senso ha forse ragione quindi lo scrittore Vincenzo Consolo quando ironicamente afferma: «Bisogna diffidare d’ogni scrittore, Da Cutolo a Lubrano, i boss che sono anche poeti dentro la sua anima si cela misteriosamente un tiranno!». I camorristi però sembrano confortarsi con le loro poesie, usarle come antidoto alla solitudine del loro mestiere, come rifugio di una presunta umanità costretta al letargo dalla necessità di spietatezza che il loro destino di padrini pretende. Una sorta di voce dell'anima a cui solo nel verso possono dare cittadinanza siccome nella vita quotidiana questa risulterebbe debolezza e quindi sconfitta. Tra i camorristi-poeti sicuramente il più noto è Raffaele Cutolo, vecchio boss della Nuova camorra organizzata, uno dei detenuti con più anni di carcere d’Europa, che da oltre vent’anni coltiva l'amore per il verso. Ha raccolto le sue poesie in un unico volume dal titolo «La voce della solitudine», per ora inedito (il primo «Pensieri e parole» edito da Berisio e sequestrato nel 1980 subito di ROBERTO SAVIANO dopo la pubblicazione) e alla ricerca di un editore. Raffaele Cutolo adora scrivere versi sciolti, liberi da qualsiasi gabbia metrica, le sue paiono essere piuttosto confessioni poetiche fatte alla carta bianca, nel silenzio del 41bis, il carcere du- ro. I temi dell’ergastolo, della sofferenza, della lontananza dalla sua amata moglie Tina sono gli assi portanti dei suoi versi anche se c’è qualche poesia che traccia ancora echi sinistri, forme che rivendicano ancora la vecchia anima del CUTOLO Polvere bianca. Ti odio! Sei dolce, sei amara come una donna. Sei luce e buio. Giovani odiate la polvere bianca. Vi fa volare per farvi ritornare nel buio boss: «Il freddo degli uomini è più terribile del freddo della notte./Te ne sei già accorto, Amico mio, e le persone più caritatevoli in definitiva/ sono ancora quelle che riposano nel cimitero/ perché almeno non fanno male a nessuno». Fabri- LUBRANO Quello che rimane di te è una cartolina dove non c'è scritto niente. Mi rimane il ricordo antico di quel tempo nostro amico zio De Andrè dopo la canzone «Don Raffaè» che si ispirava al boss di Ottaviano ed alla sua capacità magnetica, ricevette al suo indirizzo sardo il malloppo di poesie dal carcere. De Andrè le lesse a fondo definendole «non prive di qualità». Non solo poesie rivolte ai dolori della propria anima ma anche versi di critica sociale contro la droga, mercato che pure Cutolo ha contribuito ad alimentare. «Polvere bianca. Ti odio! Sei dolce, sei amara come una donna… Sei luce e buio. Giovani odiatela la polvere bianca. Sì vi fa volare per poi farvi ritornare nel buio più cupo. […]Polvere bianca…ti odio». Questi versi furono musicati e resi celebri da Gigi d'Alessio. D’altra parte i camorristi si dilettano spesso a divenire parolieri: anche Luigi Giuliano, il boss di Forcella, vide le proprie parole di «Chill'va pazz' pe'te» musicate da Ciro Ricci, che lo rese un tormentone dei quartieri popolari napoletani. Nel 2000 una poesia di Cutolo vinse il Premio di poesia Guido Giustiniano nato in memoria del frate francescano. Don Raffaele Cutolo non è l’unico camorrista ad esser stato premiato ad un concorso di poesia a sfondo religioso: anche il boss di Pignataro Maggiore, Raffaele Lubrano, ucciso nel 2002, vinse nel 1998 il Premio Papa Giovanni XXIII. La religiosità è parte integrante e fondante delle coordinate poetiche dei poeti camorristi: del resto, Raffaele Lubrano fece restaurare a sue spese l’affresco della Madonna nella sala Moscati della chiesa madre di Pignataro Maggiore, la «Madonna della camorra», detta così perché sarebbe l’icona religiosa a cui i grandi latitanti di Cosa nostra, tutti passati per Pignataro Maggiore (Luciano Liggio, Michele Greco detto «il Papa», Totò Riina, Nitto Santapaola, Leoluca Bagarella e a quanto pare anche Bernanrdo Provenzano) si sono appellati per avere una serena latitanza. CONTINUA A PAGINA 14