CARI aMICI Lettori,, grandi e piccoli, giovani e meno giovani, bambini, genitori, nonni e perché no anche zii, nel tentativo di offrire una immagine viva dell’età medievale, in precedenti calendari abbiamo parlato diffusamente di uomini e donne, dei loro lavori e rapporti, delle città di terra e di mare, di castelli, di luoghi religiosi come monasteri e conventi, delle cattedrali, delle grandi mete di pellegrinaggio. Quindi abbiamo visto diversi aspetti dell’età medievale sempre nell’ottica antropocentrica… E gli animali? Non sono anch’essi parte integrante del Creato esaltato da san Francesco? Provvediamo subito! Il calendario dell’Avvento di quest’anno s’incentra sugli animali nel Medioevo, reali e immaginari, descritti nei bestiari per le loro qualità simboliche ed allegoriche, raffigurati nelle sedi più diverse. Speriamo di farvi cosa gradita offrendovi aspetti del mondo animale che ha accompagnato e condiviso il lavoro, le fatiche, l’opera dell’uomo, che ne ha anche stimolato la fantasia e l’immaginario. 2 pre me ssa U na varietà di fonti scritte che vanno dai bestiari alle enciclopedie, dai racconti di corte a quelli di viaggio, dalle favole alle narrazioni agiografiche fino ai libri di cucina passando per una quantità sterminata di fonti d’archivio (contratti, inventari, registri contabili…), rappresentazioni iconografiche, pittoriche e scultoree, cui si possono aggiungere reperti di scavi archeologici, mostrano chiaramente come gli animali fossero, nei modi e nelle forme più diverse, “compagni” anche degli uomini e delle donne medievali. Animali domestici e selvatici! Ma attenzione! Tale scontata distinzione è frutto dell’intervento dell’uomo che nel Medioevo continuò ad addomesticare, domare, addestrare alcuni animali selvatici e migliorò le tecniche di caccia, di pesca, di allevamento. Gli animali erano necessari e/o di supporto in ambiti fondamentali della vita dell’uomo: alimentazione (carni, pesci, grassi…), abbigliamento, lavoro… e talvolta perfino compagnia (gatto e cane). Come avrebbe potuto vivere l’uomo medievale (ma non solo) senza questi insostituibili compagni del Creato? L’attenzione di Francesco d’Assisi, così come ci viene narrata dalle numerose fonti francescane, è un segno di gratitudine rivolto al Creatore per la comune coesistenza. Ma attenzione ancora! L’universo dell’uomo medievale era popolato non solo di animali reali, ma anche di una folla di animali immaginati/immaginari, e rientrava nella mentalità e nella cultura dell’uomo medievale “scaricare” su di essi significati simbolici e morali. A dimostrazione di quanto egli fosse immerso in questa dimensione animalesco-simbolica, basti pensare alla ricchezza decorativa che anima i nostri edifici, sia di culto sia civili, popolati in termini di sculture, bassorilievi, mosaici e affreschi, dove gli animali che qui in breve illustreremo, reali o fantastici che siano, vivono talvolta in splendide e dinamiche raffigurazioni, insieme alle raffinate e vivacemente colorate miniature che adornano i codici conservati in archivi e biblioteche. 3 L a domesticazione è quel processo di avvicinamento tra uomini ed animali per cui questi ultimi vivono permanentemente con i primi, che li nutrono, li proteggono, ne regolano la riproduzione e li utilizzano nelle loro capacità di offrire aiuto, lavoro e prodotti vari. Circa 10.000 anni fa popolazioni del Vicino Oriente cominciarono a coltivare vegetali e ad allevare animali: era il remoto inizio dell’agricoltura e della domesticazione. Tale processo si sviluppò nel corso di millenni. Secondo alcuni studi la domesticazione del bue avrebbe avuto luogo in Asia Minore circa 8.000 anni fa, almeno 4.000 anni dopo quella del cane, 2.000 anni dopo della pecora e 2.500 anni prima del cavallo. Secondo alcuni studiosi i processi di domesticazione si sarebbero conclusi nel III millennio a.C. Nell’Alto Medioevo (secc. V-X)) l’allevamento ha svolto un ruolo di primo piano. Ad esempio fonti legislative barbariche riconoscono ad alcune categorie di lavoratori, tra queste i pastori, un ruolo socialmente rilevante: l’uccisione di un magister porcarius,, infatti, nella normativa dell’Editto di Rotari (643) prevedeva una pena molto alta. Nonostante la diffusione del pascolo suino, i costumi alimentari 4 int rod uz ion e La domesticazione degli animali e l’allevamento in epoca romana non si discostavano da quelli delle varie popolazioni mediterranee che privilegiavano l’allevamento e il consumo di ovini. Si deve alle modificazioni del paesaggio e al progressivo assorbimento dei costumi propri delle popolazioni seminomadi, tra cui principalmente i Longobardi, se nell’Alto Medioevo l’allevamento in genere, e quello dei suini in particolare, divenne una fonte economica predominante. In una società che si stava sempre più ruralizzando e che veniva a connotarsi per il binomio colto/incolto, i pascoli naturali, le brughiere e il bosco erano realtà più diffuse. Anche gli stessi campi, dopo il raccolto dei cereali, diventavano preziose fonti di sostentamento per il bestiame allo stato brado, venendosi così a creare una sorta di circolarità tra l’allevamento e il sistema produttivo a base agricola. All’allevamento, dunque, è da riconoscersi un ruolo decisivo nell’ecosistema delle società altomedievali, sia come fonte diretta di sostentamento alimentare (connessa con la produzione di carne e quindi di proteine), sia come forma di sfruttamento intensivo delle capacità di forza-lavoro o di trasporto di talune specie, come i bovini, i cavalli e gli asini. Si era soliti distinguere il bestiame in due grandi categorie: alle bestie minute, soprattutto maiali e ovini, era destinata una prevalente funzione di carattere alimentare, mentre al bestiame grosso, bovini e cavalli, veniva attribuita una funzione principale di sussidio alle attività agricole, artigianali o di trasporto. L’inventario dei beni del monastero di Santa Giulia di Brescia ribadisce questa dualità e riferisce che il numero di maiali e ovini era di gran lunga superiore a quello dei bovini e degli equini. Se suini e ovini appaiono privilegiati a fini alimentari, non si deve misconoscere che durante il Basso Medioevo si registra anche un alto consumo di carne bovina (giovane). Nelle città fiorì l’arte dei ANIMALI DOMESTICI/ macellai [cfr. Salaioli in Avvento 2006 e Mestieri ANIMALI D’AFFEZIONE alimentari in Avvento 2014] che macellavano e vendevano carni varie. Con l’allevamento è conGli animali domestici sono moltissimi – nesso il fenomeno della transumanza, in flessione in età medievale come oggi – inquadrabili nella Tarda Antichità e nell’Alto Medioevo, a monelle specie dei suini, ovini, bovini, equitivo della frammentazione politica ed amministrani, felini, canidi e pollame vario. Molti di tiva del territorio; tuttavia la grande transumanza questi ebbero una destinazione prevalennon scomparve del tutto, ma dovette sopravvivere temente alimentare, ma attenzione: degli convivendo con forme di allevamento stanziale. animali non si buttava via niente! Ogni Pastoralismo stanziale e pastoralismo transumanparte della bestia veniva utilizzata! te costituiscono anche per il Medioevo le due principali forme di allevamento. I Bestiari: che cosa erano? un bestiario, infatti, non è studiare il mondo naturale per capirne il funzionamento, ma comprenderlo per l’edificazione dell’uomo: Dio ha creato gli animali, gli uccelli e i pesci, in modo che l’uomo possa vedere il mondo dell’umanità riflesso nel regno naturale e imparare la via della redenzione dagli esempi forniti dalle diverse creature. In altre parole i bestiari rientrano nella concezione, tipica- Un bestiario è un testo che descrive gli animali, o bestie. Nel Medioevo si trattava di un’opera didattica in cui venivano raccolte brevi descrizioni di animali, reali o immaginari. Le descrizioni – anche di quelli reali – non sono che raramente basate sull’osservazione diretta, sull’esperienza di ogni giorno. Al contrario esse derivano dalle auctoritates, cioè da scrittori riconosciuti come autorità. Lo scopo di 5 mente medievale, della natura come ‘simbolo’ di verità più profonde, insegnate da Dio attraverso gli esseri che ha creato. Modello dei bestiari è un trattato redatto forse tra II e III secolo d.C. in greco, e denominato Il Fisiologo (studioso della natura), dove si prendevano in considerazione circa cinquanta animali e li si associavano a citazioni scritturali. L’opera era enormemente popolare: traduzioni de Il Fisiologo si ebbero in siriano, armeno, etiopico e naturalmente in latino. L’opera è un tentativo di definire il mondo naturale in chiave cristiana, attingendo dai filosofi greci e latini, tra cui Aristotele, da naturalisti quali Plinio il Vecchio e da autori minori, come il poeta latino Lucano. La tradizione avviata da Il Fisiologo in latino penetrò profondamente nella cultura medievale e nel corso del Duecento si diffuse una grande quantità di bestiari redatti nei vari idiomi volgari. La “zoologia immaginaria” del Medioevo non è affatto una congerie disordi- nata di fantasie: ha un suo linguaggio, una sua grammatica e una sua sintassi. Entrare nella mentalità dell’uomo medievale e tanto più nel suo immaginario allegoricosimbolico significa abbattere le barriere del reale/non-reale. Ha scritto Cardini: “Non serve a nulla osservare che i centauri e le sirene non sono esistite mentre il lupo e l’orso sì. L’uomo medievale non ragionava secondo categorie di questo tipo. In un certo senso, il centauro e la sirena gli erano altrettanto famigliari non solo del lupo e dell’orso, ma anche del cane e del cavallo: nel senso, vogliamo dire, dell’uso allegorico che egli ne faceva”. In questa dimensione i confini tra mondo del “reale” e mondo dell’ “immaginario” sono fluidi e labili. In un’ottica caricata di significati umani e religiosi anche l’animale fantastico diviene reale. In questa nostra pubblicazione facciamo riferimento a due bestiari duecenteschi di area inglese. 6 an ima li del la quo tid ian ita Il maiale omestico per indole, abituato all’uomo da una lunga coabitazione, spesso il maiale si aggirava per le case, consumava le immondizie e i cibi mal custoditi. Fu tenuto in grande considerazione nel Tardo Impero e presso i popoli germanici, e comunque, per tutto il Medioevo e non solo, il suo consumo a fini alimentari fu costante e persistente. Ne sono prova i cicli raffiguranti i lavori dei mesi: dicembre/gennaio sono rappresentati dall’uccisione del maiale, da cui si ricavavano grasso/lardo, carni salate ed essiccate… una vera riserva di cibo. Nel Medioevo i maiali avevano un aspetto assai diverso da quelli odierni: venivano infatti allevati nei boschi allo stato brado, in spazi dove 1 “Maiale” è il termine più usato in italiano; di etimologia popolare, deriverebbe dal nome della dea Maia (madre di Mercurio) alla quale il nostro maiale sarebbe stato dedicato in sacrificio. La stessa dea, associata alla fecondità e alla crescita, avrebbe dato il nome al mese centrale della primavera: maggio. potevano muoversi molto, rimanendo perciò magri e snelli, con zampe lunghe e sottili. Abbastanza simili ai loro antenati, i cinghiali, con i quali spesso si accoppiavano. Per questo, nella letteratura dell’epoca, i cinghiali venivano chiamati Porci silvestres o Porci singulares (da cui il francese sanglier e l’italiano cinghiale). Ma qual è la differenza tra i maiali medievali e quelli dei giorni nostri? Al di là del fatto che allora i porci venivano nutriti a ghiande, faggiole e frutti del sottobosco, mentre oggi sono onnivori, basta osservare i dipinti del XIII secolo per scorgere le maggiori differenze con le razze attuali: la testa era più grande e lunga, il grugno appuntito e non a tappo, le orecchie corte ed erette, le setole ritte sulla schiena. Dal muso emergevano i canini che, a differenza di quanto avviene oggi, non venivano tagliati. Le miniature e gli affreschi mostrano soprattutto bestie di colore scuro, rosso o nerastro, che sembrano prevalere accanto a quelle dal pelo chiaro. Secondo Michelangelo Tanaglia, autore nel XV secolo di un trattato sull’agricoltura, i porci migliori erano quelli rossi 7 nelle regioni miti e quelli neri dove il clima era più freddo. In ogni caso si trattava di bestie assai più piccole e leggere di quelle attuali: nel Medioevo, infatti, non si facevano incrociare tra loro i maiali e, a causa della mancanza dell’ingrassamento forzato, il peso della bestia andava da 30- 40 a 70-73 chili, inferiore di almeno tre volte alla stazza dei maiali odierni. La domesticazione del maiale seguì quella della pecora e del bue; il maiale produce cibo soltanto una volta che è stato abbattuto, mentre pecora e bue durante tutta la loro vita forniscono latte, lana, lavoro. Il maiale di sant’Antonio Abate Dal pieno Medioevo l’animale, nell’iconografia, è compagno inseparabile di sant’Antonio Abate, l’eremita egiziano all’origine del monachesimo orientale. Spesso si dice che il maialino, accucciato ai piedi del Santo, sia il simbolo delle tentazioni diaboliche che egli superò nel deserto, in realtà è l’emblema degli allevamenti intrapresi dai frati Antoniani (ordine che si ispirava alla figura del santo eremita) per mantenere i loro ospedali; il grasso di maiale, per altro, era l’ingrediente fondamentale di medicamenti per il fuoco di sant’Antonio (ergotismo). Da un bestiario duecentesco di area inglese [Oxford, Bodley 764, XII secolo, latino, d’ora in poi solo bestiario duecentesco]: Il maiale è così chiamato perché dissoda il suo cibo: cioè sradica il cibo dalla terra. Il porco è una bestia sporca; aspira immondizia, sguazza nel fango e si rotola nella melma. Orazio chiama il maiale ‘l’amante del fango’. I maiali rappresentano i peccatori, gli impuri e gli eretici: è prescritto dalla legge dei Giudei che la carne delle bestie con zoccolo fesso che non ruminano non devono essere mangiate dal fedele [...]. Gli eretici, infatti, non ruminano il cibo spirituale e sono impuri. 8 L’ ovini, ed in particolare alla pecora, le utilità si assommano! Essa fornisce tutto: in primo luogo la lana, questa era la materia prima per quella che, in specie nell’avanzato Medioevo, può essere considerata una vera e propria industria, cioè la produzione di panni di lana (in molte città l’arte della lana s’impose tra le principali [cfr. Arte della Lana in Avvento La pecora 2 2006 e Il mondo della tessitura e dell’abbigliamento in Avvento 2014]); latte (formaggi); pelle (cuoio, vello, pelliccia… pergamene per scrivere); carne; corna, ossa e budella dalle quali si potevano ricavare strumenti musicali. La pecora veniva allevata ovunque: dal Mare del Nord e dal Baltico al Mediterraneo. Nel mondo iberico, a seguito dell’espansione islamica nei secoli VIII e IX, si selezionò la celebre razza “merino” che nel Trecento raggiunse anche l’Inghilterra, già da tempo attenta all’allevamento di questo pacifico animale. inventario di S. Giulia di Brescia mostra che tra IX e X secolo l’allevamento delle pecore non era uniformemente e capillarmente diffuso come quello dei maiali. Mentre il maiale aveva un ruolo prevalentemente alimentare, quando si pensa agli Il termine “pecunia” derivava da pěcus, ossia “bestiame” (“pecora”), perché anticamente gli animali, e soprattutto il bestiame allevato, rappresentavano la ricchezza posseduta e scambiabile, tramite il baratto, dagli esseri umani. Le pecore, i polli etc., rappresentavano le banconote di un tempo, in un periodo in cui ancora non vigeva l’uso delle monete. Da un bestiario duecentesco: La pecora è un animale soffice ricoperto di lana, ha un corpo indifeso e una natura pacifica; deriva il suo nome latino ‘ovis’ dalle parole ‘oblazioni’ e ‘offerte’, perché l’uomo antico quando faceva sacrifici non macellava tori ma pecore. All’inizio dell’inverno le pecore mangiano voracemente, cogliendo l’erba insaziabilmente, in quanto sentono l’arrivo dell’inverno [...]. La pecora tra i cristiani rappresenta l’innocente e il semplice e lo stesso Signore ha mostrato la mitezza e la pazienza della pecora [...]. La pecora nei Vangeli è il fedele: ‘La pecora sente la Sua voce’ [Giovanni 10,3]. 9 3 T i Bovini ra gli animali reali di cui l’uomo ha compreso l’utilità e con i quali ha stabilito remoti contatti, addomesticandoli e allevandoli, anche i bovini, come i suini e gli ovini, rientrano tra gli animali domestici più utili all’uomo medievale e come gli ovini assom- mano una pluralità di funzioni. Il bue d’età medievale è più piccolo di quello romano: la diminuzione delle sue dimensioni, in specie durante l’Alto Medioevo, potrebbe essere diretta conseguenza di una selezione meno rigorosa negli accoppiamenti. Tuttavia era un animale di media stazza, tarchiato, vigoroso e muscoloso, perciò è stato una fondamentale forza-lavoro per il dissodamento e la messa a coltura delle terre. Diffusi ovunque in Europa, essi offrivano all’uomo latte, formaggi, burro, carne, pelle e pelo. 10 Da un bestiario duecentesco: Il giovenco deriva il suo nome dal latino ‘iuvencus’, perché aiuta (iuvat) gli uomini ad arare il terreno, o perché i giovenchi sono sempre sacrificati a Giove dai Gentili [...]. I tori hanno un duplice significato, uno buono e uno cattivo: quello buono si trova nel Vangelo: ‘Ecco io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi ed i miei animali ingrassati sono ammazzati, e tutto è pronto’ [Matteo 22,4]; quello cattivo nei Salmi: ‘Grandi tori m’han circondato’ [Salmi 22,12]. I buoi nella Scrittura possono significare molte cose: la pazzia di quelli che conducono vite sensuali; la forza e il lavoro dei predicatori; l’umiltà degli Israeliti [...]. La vacca ha talvolta un significato positivo, come nei Numeri [19,2] ‘una giovenca rossa intiera, senza difetto, la quale non abbia ancora portato giogo’ [...]. Egli [il Cristo] è chiamato giovenca rossa, perché la Sua natura umana è resa rossa dal sangue della passione. C IL Pollame 4 on il termine pollame si indica l’insieme di quegli uccelli domestici oggetto di allevamento, allo scopo di produrre carne, uova e talvolta piume, principalmente (ma non esclusivamente) gallinacei. Polli, galline, capponi razzolavano sia nei cortili delle famiglie contadine che nei terreni dei signori. Storicamente il nome pollo deriva dal latino pullus, cioè animale giovane; la sua presenza è documentata dal 4000 a.C. nella piana dell’Indo, da cui (attraverso la Persia) è giunto in Grecia e quindi in Europa. I polli erano un bene prezioso ed il loro furto veniva punito. Nella Legge salica, composta presumibilmente ai tempi del re Clodoveo (481-511), in cui vengono esaminati i vari casi della vita dei Franchi, sono elencate le ammende per ogni tipo di reato, a cominciare dal furto di un pollo fino al riscatto per l’uccisio- I polli erano sovente previsti tra i canoni in nane di una persona. tura che il sottoposto doveva al signore. 11 5 Il Cavallo e l’asino E quini! Cavalli, ma non solo! Questi animali sono stati di primaria importanza per le attività dell’uomo medievale. Se il cavallo da guerra resta il più nobile tra gli equini [vedi Cavalleria in Avvento 2014] non mancarono cavalli da soma e da tiro, atti a trainare carrette ed aratri, che cominciarono a diffondersi nei secoli XII e XIII; la loro maggiore velocità nel lavoro fece concorrenza alla lenta andatura dei buoi. Muli ed asini furono mezzi di trasporto per merci e prodotti vari. L’iconografia ce li propone sempre carichi di basti e balle, ma furono anche buone cavalcature per gli uomini. L’allevamento dei cavalli nel Medioevo è più importante che mai; i cavalli venivano classificati per le loro finalità, infatti venivano allevati per la loro destinazione piuttosto che per il patrimonio genetico: i cavalli spagnoli erano apprezzati in combattimento, mentre quelli francesi un po’ meno. I palfrey erano comunemente usati per la caccia, e il jennet (ginnetto), un cavallo più piccolo, era più comunemente usato dalle nobili 12 reggiabile per il deserto, tanto da essere normalmente impiegata dai re. Gesù sceglie proprio un asino per entrare a Gerusalemme e la sua non è una scelta di umiltà ma di continuità con i capi delle tribù antiche, i Giudici di Israele. L’asino nella cultura cristiana acquista una valenza positiva di pazienza ed umiltà: insieme al bue è presente alla Nascita; è cavalcatura di Maria per la fuga in Egitto. L’asino è anche simbolo di stoltezza e cocciutaggine nonché di indecisione, come l’asino di Buridano: Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a donne e dalla cavalleria spagnola. L’asino (e l’onagro) furono introdotti nel bacino mediterraneo in seguito alla calata dei nomadi indoeuropei dell’Asia centrale. Entrambi inizialmente servivano da cavalcatura ed in parte tali rimasero, anche se questa funzione fu loro sottratta dal cavallo. La simbologia dell’asino è varia ed ambigua. Nell’antico Egitto un asino fulvo rappresenta Seth, fratello e uccisore di Osiride; il protagonista delle Metamorfosi di Apuleio (II sec. d.C.) è trasformato in asino e dovrà passare per varie peripezie prima di riacquistare l’aspetto umano. Da Apuleio a Pinocchio l’essere trasformato in asino è segno di ostinazione, d’ignoranza e di cattivi costumi. Ma perché l’asino è arrivato ad avere questa cattiva fama? Una favola di Fedro, rivisitata nel Medioevo, ci racconta di un asino che, trovata una lira in un prato, la compiange perché lui è del tutto inadatto a suonarla. Inadeguato, ovvero ignorante. Al contrario, dovunque nel Vicino Oriente antico è cavalcatura impa- 13 Da un bestiario duecentesco: I cavalli prendono il nome latino di ‘equi’ perché quando sono imbrigliati in un gruppo di quattro essi sono equamente abbinati a seconda delle dimensioni e della falcata. Essi sono chiamati anche ‘caballus’, perché hanno il piede cavo [...] sentono l’odore della battaglia e il suono della tromba li incita a combattere [...] sono sconsolati quando sono battuti e deliziati quando vincono. Alcuni di loro sentono l’odore dei nemici e cercano di morderli. Molti riconoscono i propri padroni [...] altri si fanno cavalcare solo dal proprio padrone [...] se il proprio padrone muore, il cavallo può piangere [...]. Si dice che solo i cavalli piangono per gli uomini e solo loro provano dolore. Gli uomini che vanno a combattere possono prevedere il risultato della battaglia dall’irrequietezza dei loro cavalli. ognuno, un secchio d’acqua, ma non c’è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore. [Omaggio all’asino, Calendario Frate Indovino del 2012]. Da un bestiario duecentesco: L’asino deriva il suo nome dal fatto che l’uomo si siede su di lui (a sedendo) [...] questa creatura 14 porta pesi da ben prima che fossero addomesticati i cavalli [...] è una bestia lenta e sciocca e può essere catturata facilmente [...]. Il termine asino o asina talvolta indica l’inutilità del lascivo, talaltra la dolcezza degli umili, e anche la follia dei pagani. In termini spirituali l’asino, essendo una creatura brutale e lasciva, rappresenta il popolo pagano sul quale il Signore presiede quando entra in Gerusalemme, rendendolo soggetto a Lui e guidandolo alla patria celeste. I Il Cane e il gatto l cane e il gatto – oggi animali di affezione per eccellenza – nel Medioevo hanno sorti diversificate. Il cane è apprezzato come fedele e valido compagno di caccia; la dolce levriera riposa accanto alle dame; vi sono già cani che servono per essere accarezzati e cani da pastore atti a difendere il gregge; compariranno nuove 6 razze. Il gatto era invece tenuto più a distanza, destinato a dar la caccia ai topi; caricato di valenze negative: lubricità, notte, paganesimo, stregoneria, sabba e diavolo. Tuttavia non manca un’iconografia che ce lo mostra all’interno di ambienti domestici ed esistono documenti che attestano l’acquisto di cibo specifico per i gatti e di oggetti loro destinati: Isabella di Baviera (1370-1435), moglie di Carlo VI, re di Francia, non mancò di spendere una certa somma per far confezionare una coperta verde brillante per il suo micio. I gatti nel Medioevo: perche’ erano tanto odiati? Altro che adorabili gattini! Nel Medioevo i gatti erano tanto utili per la caccia ai topi quanto odiati: che fossero considerati manifestazioni del diavolo, streghe trasformate o animali “eretici”, per molti secoli i felini non hanno goduto di buona fama. Per quale ragione erano così disprezzati? E perché, al contrario, il mondo islamico li preferiva ai cani? I gatti hanno sempre avuto un ruolo importante nel Medioevo, dato che eliminavano una delle più diffuse minacce per la conservazione del cibo e per la salute: catturavano i topi. Eppure alcuni autori medievali davano all’attività felina per eccellenza anche una lettura negativa, equiparando il modo 15 con cui i gatti catturano i topi a quello con cui il diavolo si impadronisce delle anime. Per esempio William Caxton, il primo tipografo inglese vissuto nel XV secolo, scrisse: “Il diavolo spesso gioca con il peccatore come il gatto fa con il topo”. Nel XII secolo l’associazione gatto-diavolo era molto radicata. Intorno al 1180, Walter Map (1135-1210) sosteneva che durante i riti satanici “il diavolo scende come un gatto nero davanti ai suoi devoti. Gli adoratori spengono la luce e si avvicinano al luogo dove hanno visto il loro maestro. Lo cercano nel buio e quando lo hanno trovato lo baciano sotto la coda”. Il riferimento all’empia venerazione dei felini si ritrova anche nelle carte processuali: tra le accuse mosse a gruppi religiosi eretici come i Catari e i Valdesi vi era anche quella di adorare i gatti, mentre durante il processo ai Templari, all’inizio del XIV secolo, non mancava l’accusa di far partecipare i gatti alle cerimonie religiose e di pregare per essi. Quanto alle streghe, si credeva che tra i loro artifici vi fosse quello di assumere sembianze feline. Queste credenze erano così diffuse e radicate che papa Innocenzo VIII nel 1484 arrivò a dichiarare solennemente: “il gatto è l’animale preferito del diavolo e idolo di tutte le streghe”. All’origine di questa secolare avversione per il gatto vi potrebbe essere la natura indipendente e libera dell’animale, soprattutto se paragonata all’indole fedele del cane. 16 Non tutti, però, nel Medioevo odiavano i gatti: nel mondo islamico, ad esempio, i gatti erano molto apprezzati, basti pensare che nelle città del Medio Oriente esistevano addirittura associazioni di beneficenza per la cura dei gatti di strada. Una predilezione che affonda le sue radici nella tradizione (secondo alcuni antichi racconti Maometto amava i gatti e li trattava bene), ma che ha anche significati di carattere culturale e simbolico (un animale attento alla pulizia come il gatto non poteva che distinguersi positivamente rispetto alle altre creature). Un pellegrino europeo reduce da un viaggio nel Medio Oriente individuò nell’amore per i gatti una delle differenze più profonde tra musulmani e cristiani, affermando che “a loro piacciono i gatti, a noi piacciono i cani”. Benché le regole monastiche proibissero di far entrare gatti nei monasteri, essi erano talvolta tenuti dalle monache come animali da compagnia. Al contrario, secondo l’Ancrene Riwle (una duecentesca Regola per le recluse) l’unico animale ammesso nella cella di una reclusa era proprio il gatto [cfr. Reclusa nella celletta in Avvento 2010]. Santi e cani cani santi San Rocco, il santo protettore contro la peste, è associato al cane. Egli fu cacciato dalla città, perché malato di peste. Si ritirò a vivere in una foresta. Ormai allo stremo delle forze e affamato incontrò un cane con un pezzo di pane in bocca. Il cane gli offrì il pane e gli leccò le ferite e i bubboni. Il padrone del cane si accorse che l’animale aveva uno strano comportamento: ogni giorno, infatti, si avvicinava al tavolo, prendeva un tozzo di pane e si allontanava. Il padrone lo seguì e vide san Rocco che mangiava il pane. Gli dette dunque da mangiare e tutto ciò di cui aveva bisogno. Quando la madre di san Domenico (11701221) era incinta sognò un cane bianco e nero con in bocca una torcia ardente. La storia simboleggia l’ordine dei Domenicani che ‘fanno la guardia’ contro i pericoli dell’eresia: Domini canes. Una storia simile è raccontata per san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153): la madre quando era incinta sognò un cane bianco che abbaiava. Questo sogno prefigurava la 17 vocazione di suo figlio come predicatore contro i nemici della Chiesa. Ildegarda di Bingen (XII sec.) sosteneva che i cani erano in grado di conoscere il futuro: buono se scodinzolano; pessimo se tengono bassa la coda. Ella ne elogia la fedeltà e la lealtà ai padroni. Nel XIII secolo Stefano di Bourbon (1190/95-1261) scoprì nella diocesi di Lione il culto non ufficiale tributato a un cane di razza greyhound di nome Guinfort ritenuto santo e protettore dei bambini. Secondo la tradizione il figlio di un signore locale era stato lasciato a casa da solo. Un gigantesco serpente si avvicinò alla culla, ma Guinfort lo uccise. Quando i genitori tornarono videro la culla vuota e il cane ricoperto di sangue. Il padrone credette che il cane avesse ucciso il bambino, sguainò la spada e lo trafisse. Poco dopo, però, scoprì il bambino che stava dormendo con accanto il serpente ucciso. Tormentato dal rimorso per aver soppresso il fedele amico lo fece seppellire e fece piantare tre alberi nel luogo in cui fu sepolto. Questo luogo divenne un santuario. Da un bestiario duecentesco: Il termine deriva dal latino canis e dal greco cenos. Si crede che il nome derivi dal suono (canore) del suo abbaiare; quando abbaia si dice che canta (canere). Non esiste una creatura più intelligente di un cane: essi capiscono molto di più di ogni altra bestia. Conoscono il proprio nome e amano il loro padrone. I cani sono di vario tipo: alcuni inseguono la selvaggina nella foresta; altri fanno la guardia alle pecore dagli attacchi dei lupi; altri fanno la guardia alle case e ai loro padroni, per paura che siano svaligiati durante la notte e darebbero la vita per i loro padroni. Essi vanno volentieri a caccia [...]. In breve la loro natura è tale che non può vivere senza la compagnia umana. 18 an ima li sel vat ici la caccia Nel Medioevo delle disuguaglianze [cfr. Avvento 2014] anche la caccia non fu uguale per tutti: nella storia dell’Occidente, questa fu progressivamente limitata da una serie di divieti che ne fecero un’attività riservata ai nobili, ai signori, ai guerrieri; tutti i re erano cacciatori; in specie la caccia grossa era loro privilegio, ma per i ceti meno abbienti anche la caccia alla selvaggina minore poteva avere i suoi limiti. Due erano i tipi di caccia: quella col cane e quella con il rapace. I cacciatori si muovevano, in entrambi i casi, a cavallo. La principale differenza consisteva nel fatto che la caccia con il cane era dinamica, mentre quella con i volatili era statica. La caccia con i cani si praticava principalmente nelle foreste e prendeva di mira soprattutto cervi, daini, caprioli e cinghiali, che venivano braccati fino allo sfinimento e poi finiti con la spada o con uno spiedo. L’uso di trappole e di reti era invece riservato a lepri e conigli. Qualche volta si organizzavano vere e proprie battute di caccia grossa in cui i cacciatori, a piedi e allineati, dovevano tirare con l’arco sugli animali spinti avanti dai battitori. La caccia con i volatili, invece, si praticava in zone aperte, talvolta coltivate, dove i cani avevano solo il compito di alzare la selvaggina, in modo da permettere ai rapaci addestrati di abbatterla. Questo tipo di caccia era consentita anche alle donne. Le prime attestazioni di caccia con il rapace in Occidente risalgono al V secolo. Da quel momento in poi il falco divenne un animale molto pregiato. Si deve a Federico II uno dei più noti manuali di falconeria del Medioevo, il De arte venandi cum avibus. Il fronte degli animali selvatici nel Medioevo occidentale impone alcune “emergenze” identificabili nel lupo, nell’orso, nel cinghiale… Tutti oggetto di caccia… 19 7 Il caso del lupo! T ra gli animali selvatici, il più temuto era il lupo. Non solo assaltava greggi ed ovili, ma aggrediva direttamente l’uomo, in specie bambini, donne, malati. I lupi si aggiravano nei pressi delle città e talvolta vi entravano; uomini e lupi condividevano gli stessi gusti, mirando a uno stesso tipo di selvaggina; la pecora per il lupo era una preda facile ed abbondante; tutto ciò ingenerò rapporti di rivalità. Il lupo, che oggi è in gran parte scomparso dallo scenario ambientale, ed è addirittura un animale protetto, fu la vera belva del nostro Medioevo occidentale. Nell’813 una legge di Carlo Magno prevede per ogni contea la presenza di due uomini specializzati (luparii) nella caccia ai lupi ed ai loro cuccioli; una vasta documentazione rivela un po’ ovunque la caccia al lupo e premi per chi lo ammazzava: questo ci dà il tono di quanto l’animale fosse temuto. La celebre fiaba del lupo e dell’agnello è sì simbolica della prepotenza dei signori nei riguardi dei sottoposti, ma riflette anche la concezione che si aveva dell’animale, cattivo e spietato. Anche la bella storia di san Francesco ed il lupo di Gubbio, al di là dei tanti significati possibili, è segno dell’inveterato timore per questo predatore. Ha scritto Delort: “Non vi è paragone tra il temibile lupo e la lince o il gatto selvatico che si dileguano fra gli alberi e fra i monti; e neppure con l’orso, poco bellicoso, scarsamente prolifico, individualista, presto ricacciato indietro; né con la donnola o la volpe, sorta di sottolupi che riescono a sgraffignare qualche pollo, a spaventare gli animali da cortile, ma che, davanti al primo cagnolino, tagliano la corda”. Il lupo ha percorso insieme all’uomo buona parte del cammino evolutivo. Le sue doti di cacciatore e combattente sono state apprezzate dai popoli di cultura venatoria e guerriera. Al contrario, dai popoli agricoltori e allevatori è stato sempre visto come una minaccia per i loro armenti e, per questo motivo, combattuto con tutti i mezzi. Ma curiosamente la storia della domesticazione pare abbia avuto inizio con il lupo da cui è derivato il cane. Nell’Alto Medioevo si assiste alla nascita del “lupo cattivo”: si passa dal timore per il lupo, per i danni che poteva provocare, al terrore del lupo; si affaccia, alla ribalta della storia, il lupo antropofago, il lupo mangiatore di uomini. Ma cos’è accaduto se il lupo era sempre lo stesso animale? Quello che si era modificato, con molta probabilità, era il rapporto tra uomo e lupo. Quali le cause di questo cambiamento? Un ruolo decisivo devono averlo giocato le trasformazioni ambientali avvenute nel passaggio tra Antichità e Alto Medioevo. Al tempo delle guerre greco-gotiche, che flagellarono la Peni- 20 sola per una ventina d’anni, dal 535 al 553, la dissoluzione dell’impero romano aveva portato al decadimento delle pratiche agricole e quindi all’abbandono del territorio. Ciò comportò un processo di inselvatichimento del paesaggio naturale. Questo sconvolgimento ambientale implicò una trasformazione dell’economia agricola, con un deciso incremento dell’attività di allevamento soprattutto brado. La presenza di tanto bestiame al pascolo favorì il lupo, perché gli mise a disposizione prede facili da catturare, verso le quali veniva spinto dalla diminuzione delle sue prede naturali a seguito dell’aumentata attività venatoria da parte dell’uomo. Diventò così inevitabile lo scontro tra due divoratori di carne: il lupo e l’uomo. san Francesco e il lupo Il Cristianesimo che, da un lato, aveva fatto del lupo un nuovo demone, provvide anche a fornire i necessari antidoti, eleggendo una schiera di santi e beati per contrastare la minaccia dei lupi. Il più conosciuto, senza dubbio, è san Francesco d’Assisi, ma prima e dopo di lui ce ne sono stati molti altri, anche se meno famosi. Molti racconti vertono sul lupo ammansito che viene utilizzato come animale da lavoro in luogo di quelli che aveva divorato. Ad esempio san Guglielmo (1085-1142), fondatore dell’abbazia di Montevergine, mentre viveva da eremita sulle montagne dell’Irpinia il suo asino, unico e prezioso mezzo di trasporto, fu ucciso da un lupo che venne prodigiosamente trasformato in un mansueto animale da soma. Altri santi invece sono rimasti famosi per aver ammansito dei lupi feroci, proprio come san Francesco fece a Gubbio. Tra i più noti san Domenico di Sora che, intorno all’anno Mille, mentre cercava di raggiungere il territorio di Cocullo, assisté ad una scena straziante: gente affannata che correva gridando dietro ad un lupo che teneva un neonato tra le fauci, mentre una povera donna, sorretta da altre, piangeva disperatamente strappandosi i capelli. A quella vista san Domenico alzò gli occhi al cielo e impose al lupo di tornare indietro. Con stupore di tutti, a quel comando, la belva cessò di correre e, rifacendo la strada percorsa, si diresse umilmente verso il Santo ai piedi del quale depose sano e salvo il bambino, che fu subito restituito alla madre. 21 È sempre nel Medioevo che torna in auge il mito classico dell’uomo-lupo, della licantropia. Le leggende riguardanti gli uomini-lupo si moltiplicano in tutta Europa, in costante espansione fino al Settecento, con punte di massima tra il Trecento e il Seicento, periodo in cui si intensificarono le caccie alle streghe. I roghi dell’Inquisizione sono stati molto spesso alimentati con presunti lupi mannari. Dal XVIII secolo, il secolo dell’Illuminismo, si tenderà a sconfessare la possibilità che un essere umano possa trasformarsi fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica. Anche se questa credenza resterà invece ben radicata nel folklore locale. Gli animali hanno ispirato molti modi di dire, a loro abbiamo spesso attribuito difetti tipicamente umani e, più raramente, qualità. Ciò dimostra, in modo eloquente, quanto la nostra vita sia stata influenzata dal continuo contatto con gli animali. L’animale selvatico europeo dotato della maggiore carica simbolica è, senza alcun dubbio, il lupo. Chi di noi, da bambino, non è stato minacciato con lo spauracchio del lupo cattivo? Attento al lupo… Fai il bravo altrimenti chiamo il lupo... Una traccia evidente la ritroviamo nei proverbi, risultato della sedimentazione secolare di saperi e di esperienze. Quanti ve ne sono sul lupo!?!? Tanti. Tra proverbi e modi di dire, almeno un centinaio: dai latini homo, homini lupus, lupus in fabula, ai tradizionali il “lupo perde il pelo ma non il vizio”, “in bocca al lupo”, “chi pecora si fa, il lupo se lo mangia”, “cacciarsi nella tana del lupo”, “affidare le pecore al lupo”, “tenere il lupo per gli orecchi”, “la fame caccia il lupo dal bosco”, “chi ha il lupo per vicino, si porti il cane sotto il mantello”, “chi ha paura del lupo non entri nel bosco”, “mangiare come un lupo”, “lupo non mangia lupo”, “tempo da lupi” e così via. Da un bestiario duecentesco: La parola latina per lupo deriva dal greco; lupus in latino è likos in greco, che deriva dalla parola [dei Greci] per ‘mordace’, perché i lupi uccidono ogni cosa che trovano quando sono affamati [...]. Il lupo è una bestia famelica e assetata di sangue. La sua forza è nel petto e nella bocca, non nelle zampe [...] si dice che viva talvolta nella tormenta, talvolta sulla terra e occasionalmente nel vento [...]. Se deve andare a caccia di notte, sgattaiola nell’ovile come un cane zoppicante e per evitare che i cani sentano il suo odore e sveglino il guardiano, cammina controvento [...]. Gli occhi del lupo scintillano nella notte come lanterne; la sua natura è tale che vede un uomo prima ancora che egli lo scorga [...] il lupo è il diavolo, sempre invidioso dell’uomo e si aggira di continuo attorno agli ovili dei credenti. 22 P L’orso iù solitario, nascosto in boschi e foreste, goloso di miele, in grado di ergersi sulle zampe posteriori e di assumere una posizione eretta che lo rende simile all’uomo, temuto, ma apprezzato per la sua forza e coraggio, l’orso è l’animale verso il quale l’uomo avverte familiarità ed affinità, da un lato, estraneità ed opposizione dall’altro. Prova di apprezzamento per l’orso “guerriero” si ha nella sua raffigurazione in araldica, nel fiorire fin dall’età longobarda e carolingia, di nomi quali Orso, Ursus, Ursula, Ursicinus, ma anche Arturo ed Artù, che derivano da artos, il termine celtico usato per indicare l’orso. Dominare un orso, come il leone e il lupo, significa vincere le tentazioni e il peccato. Come 8 il leone, l’orso, per la sua forza e maestosità, è stato anche un simbolo di regalità. Secondo la concezione, tràdita dai Bestiari, per cui l’orsa plasmerebbe i suoi figli con la bocca, essa diventa il simbolo della Chiesa che forma il cristiano per mezzo del battesimo. santi e orsi San Romedio (secc. IV-V) riuscì ad adibire un orso a cavalcatura; san Cerbone (sec. VI), venerato come patrono di Massa Marittima, venne accusato di proteggere i Bizantini e il re dei Goti, Totila, comandò che Cerbone venisse condotto nel bosco e dato in pasto ad un orso. L’animale, alla sua vista, invece di assalirlo, piegò il collo e, con la testa umilmente abbassata, iniziò a leccare i piedi di Cerbone. Totila, che aveva voluto assistere personalmente all’esecuzione del suo ordine, dispose immediatamente la sua liberazione. La Vita di san Colombano (secc.VI/VII - 615), redatta attorno al VII secolo, racconta diversi episodi che pongono a contatto il santo monaco irlandese con gli orsi. Tra gli altri: scacciò, con dolcezza, un orso dalla sua tana avendola scelta come proprio eremitaggio; condivise con un orso le bacche selvatiche che erano il suo nutrimento; separò in due parti l’arbusto così che il Santo e l’orso se ne nutrivano senza sconfinare. Da un bestiario duecentesco: Il nome latino di orso è ‘ursus’, perché l’orsa dà forma (ordĭor, ordīris, orsus sum, ordīri) ai suoi cuccioli con la bocca. Si dice che alla nascita siano grumi informi di carne, che la madre modella con la lingua. Questo avviene, perché nascono im- 23 maturi: la nascita avviene, infatti, dopo trenta giorni dal concepimento. La testa dell’orso è debole; la sua grande potenza risiede nelle zampe anteriori e nei lombi. Per questo motivo essi camminano spesso in posizione eretta. Se sono gravemente feriti, si curano applicando del verbasco sulle loro piaghe, che le guarisce immediatamente [...]. Attaccano gli alveari e rubano i favi, perché non c’è niente di cui sono più golosi che il miele [...]. L’orso rappresenta il diavolo, predatore del gregge di nostro Signore. Nel Libro dei Re, i fanciulli che schernirono Eliseo furono divorati da due orse miracolosamente apparse nella foresta: esse sono il simbolo dei due imperatori romani, Vespasiano e Tito, che divorarono gli ebrei che schernirono nostro Signore e lo crocifissero sul Calvario. Così anche Samuele [17,34]: Un leone o un orso verranno a portar via una pecora di mezzo al gregge. insetti e parassiti Dagli animali dotati di una certa dimensione ci si poteva difendere e si poteva avere qualche speranza di successo, ma diversi erano gli attacchi da parte di una folla di piccoli animali… tutta la gamma degli insetti e dei parassiti. L’uomo medievale doveva difendersi da zanzare, cavallette, api, pidocchi e pulci: poteva fare ricorso, ad esempio, a fumigazioni per zanzare, vespe ed api; usuale era la prassi di spidocchiamento e spulciamento, divenuta una sorta di rito coniugale, parentale, sociale. Il caso dell’ape L’ape è un insetto, ma che “simpatico” e utile insetto! Bottinatrice e fecondatrice dei fiori, produttrice di miele e cera, essa è un animale selvatico, capace di vivere indipendentemente da qualsiasi intervento umano. Se il bosco è l’ambiente naturale delle api, l’uomo ha saputo attrarle e prendersene cura; in Occidente ciò ha inizio dall’antichità greco-romana quando cominciò a prendere forma la scienza dell’apicoltura. 24 P Il cinghiale resso Greci, Romani, Germani e Celti la caccia al cinghiale era molto apprezzata. Durante il Medioevo, la caccia al cinghiale assunse i connotati di semplice passatempo, attuabile però solo dalla nobiltà. Il signore locale era solito lasciare alla servitù ed ai cani il compito di stanare l’animale e di fiaccarlo: a questo punto, egli smontava da cavallo, si avvicinava all’animale inerme e lo finiva con un affondo di spada. Per un maggiore divertimento, la caccia si concentrava durante il periodo degli amori, sì da trovare animali più aggressivi. La caccia era tuttavia un evento assai rischioso: lo stesso re di Francia, Filippo IV (12681314), morì in seguito alle lesioni riportate a causa di una caduta da cavallo, provocata proprio dalla carica di un cinghiale inferocito durante una battuta di caccia. I cinghiali rimasero molto abbondanti nelle foreste europee del Medioevo: lo dimostra il fatto che spesso i tributi alla nobiltà ed al clero venivano pagati, in mancanza di denaro, con cinghiali interi o parti di essi. Nel 1015, il doge veneziano Ottone Orseolo stabilì che i piedi e la testa di ciascun cinghiale ucciso nella sua zona di influenza dovevano essere consegnati direttamente a lui o ai suoi successori. 9 Il cinghiale si configurò come selvaggina regale per eccellenza, ma con l’avanzare del Medioevo esso fu soppiantato dal cervo; declina cioè il prestigio della caccia al cinghiale, mentre si afferma quella al cervo. A differenza del cervo – che divenne una sorta di animale cristologico –, il cinghiale, ammirato dai cacciatori romani, dai druidi celtici, dai guerrieri germanici, divenne una bestia impura e spaventosa, nemica del Bene, immagine dell’uomo peccatore, ribelle a Dio. Il cinghiale, illustrando, con il suo modo di essere, il furore e la brutalità a cui nulla resiste, è stato da sempre utilizzato nelle armi da parte di un guerriero che era riuscito a ridurlo alla sua mercé. Il cinghiale in araldica ha però un’origine ancora più antica e mitica, perché era stato utilizzato anche sulle insegne di alcune legioni romane, per le quali rappresentava audacia unita alla ferocia. 25 Da un bestiario duecentesco: Il cinghiale è così chiamato per la sua selvatichezza: in greco ‘siagros’, selvatico. Il cinghiale rappresenta la fierezza dei governanti di questo mondo. Da qui il salmista scrive della vigna del Signore [Salmi 80,14]: Il cinghiale del bosco la devasta, e le bestie della campagna ne fanno il loro pascolo. In senso spirituale il cinghiale rappresenta il diavolo, per la sua fierezza e per la sua forza. 10 il popolo del cielo G uardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre (Matteo 6,26). Così Gesù invita i discepoli ad affidarsi alla Provvidenza, senza affannarsi per il domani. Esisteva nel Medioevo un particolare tipo di bestiario, l’aviario, che descriveva solo gli uccelli. Airone Alcione nome Aquila Chioccia Cicogna Cigno Civetta (gufo, allocco, barbagianni) Colomba Corvo (cornacchia, taccola, merlo) Falco Gallo Gazza Gru Oca (anatra) Pappagallo Passero Pavone Pellicano Pernice Rondine simbolo positivo Silenzio Chiesa Forza messa al servizio dei deboli; Cristo; santi; trionfo della luce sulle tenebre Cristo; tenerezza materna di Dio Pietà; amore filiale Cristo salvatore delle anime Gesù ha amato noi che giacevamo nelle tenebre Soffio dello Spirito Santo; pace; amore Gli ipocriti; gli orgogliosi Chi non vuol vivere nella luce del Risorto Ombra del malaugurio Uomo che comprende il Regno di Dio; rinnovamento Araldo della luce; regalità; intelligenza; ravvedimento spirituale; predicatori Eloquenza Vigilanza Rinuncia a pettegolezzi e calunnie Eloquenza; docilità Umiltà Vita eterna; speranza che non muore; rinascita; risurrezione Cristo; dono di sé; emblema eucaristico; eremiti. Speranza e peccatore penitente Struzzo Uomo saggio che si affida totalmente a Dio; sapienza Tortora Amore coniugale Lussuria; passione sfrenata Astuzia Lo stolto “sapiente”; stupidità; negligenza; pazzia Malfattori; gli uomini che continuamente si dilettano nello squallore del peccato Upupa Usignolo simbolo negativo Satana Anima santa che attende il Signore e lo accoglie con gioia; Cristo annunciatore della buona novella; Verbo divino 26 santi e uccelli Nel Castello di Alviano, in Umbria, una cappella ricorda il miracolo di san Francesco d’Assisi che predica agli uccelli. “Un giorno, recatosi ad Alviano a predicare e salito su un rialzo per essere visto da tutti, chiese silenzio. Ma, mentre tutti tacevano in riverente attesa, molte rondini garrivano, con grande strepito attorno a Francesco. Non riuscendo a farsi sentire dal popolo per quel rumore, rivolto agli uccelli, disse: «Sorelle mie rondini, ora tocca a me parlare, perché voi lo avete fatto già abbastanza; ascoltate la parola di Dio, zitte e quiete, finché il discorso sia finito». Ed ecco subito obbedirono: tacquero e non si mossero fino a predica terminata” (Vita prima di Tommaso da Celano, cap. XXI, 59). I Il cervo l cervo è animale gradito a tutte le culture che l’hanno conosciuto. Tutti hanno visto in lui un simbolo di forza positiva, vitale, benefica. Libero, ma non selvaggio, creatura dei boschi, ma non delle tenebre, un tramite tra il mondo terreno e la sfera celeste, le stesse corna frastagliate si innalzano come a toccare i raggi del sole. La celebre espressione dei Salmi “Come una cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” ne ha fatto il simbolo di chiunque è alla ricerca di Dio. Il Fisiologo afferma che il cervo è acerrimo nemico del drago/serpente così è assurto a simboleggiare lo stesso Cristo. Nell’iconografia simbolica medievale il cervo compare spesso aggredito e assaltato da vari predatori a significare che 11 l’anima del credente anela a Dio, ma la carne è debole e può cadere preda del peccato e vittima delle tentazioni. La caccia al cervo è stata praticata per tutto il Medioevo (e oltre) sia per la diffusa presenza dell’animale in gran parte d’Europa sia perché la sua mole garantiva un notevole approvvigionamento di carne. Nell’Alto Medioevo il cervo pote- 27 va essere cacciato da tutti, in seguito tale caccia venne riservata ai soli ceti aristocratici anche in virtù dell’aura di nobiltà e regalità che lo circondava. La caccia al cervo avrebbe soppiantato in prestigio quella al cinghiale. Da un bestiario duecentesco: Il nome cervo deriva dal greco ‘ceraton’, corna. I cervi sono nemici dei serpenti. Se sentono che si stanno per ammalare, attirano i serpenti fuori dalle loro tane con il respiro del loro naso, li mangiano e guariscono, essendo più forti del loro veleno [...]. I cervi per natura lasciano le terre dove sono nati e cercano nuovi pascoli e si aiutano vicendevolmente durante il viaggio [...]. Un’altra particolarità della loro natura è che dopo aver mangiato un serpente si dirigono in fretta verso una sorgente per bere: in questo modo tutti i segni della vecchiaia svaniscono. La natura del cervo è come quella dei membri della Santa Chiesa che lasciano il mondo per i pascoli del Cielo e si aiutano nel cammino. Se incontrano il peccato ritornano in fretta a Cristo, fonte di verità, si abbeverano dei suoi comandamenti, si confessano e sono rinnovati... santi e cervi Sant’Egidio (secc. VII-VIII), venuto in Gallia da Atene, dopo una breve sosta in Provenza si era ritirato a vivere come eremita, in compagnia soltanto di una cerva che gli offriva il suo latte. Secondo la tradizione agiografica, ispirata alla leggenda della conversione di sant’Eustachio (secc. I-II), sant’Uberto (secc. VII-VIII), un Venerdì Santo, durante una battuta di caccia, avrebbe avuto la visione di un crocifisso tra le corna di un cervo, che lo avrebbe invitato ad abbandonare la sua vita dissoluta e a convertirsi. Un cervo durante una caccia predisse a san Giuliano l’Ospitaliere (sec. IV) - il racconto agiografico ebbe successo nel Medioevo - che avrebbe ucciso inconsapevolmente il padre e la madre. Giuliano sbigottito, affinché non si avverasse quello che il cervo aveva predetto, lasciò tutti i suoi averi e si allontanò da casa. Giunse al castello di un principe dove si distinse nei servizi, tantoché il principe lo fece cavaliere e gli diede la castellana in sposa con il castello in dote. I genitori di Giuliano si misero in cerca del figlio perduto e una sera giunsero al castello del quale Giuliano era diventato signore. La moglie di Giuliano, quando comprese che i nuovi arrivati erano il padre e la madre del marito, in assenza di lui, li fece coricare nel proprio letto e la mattina seguente andò alla chiesa. Contemporaneamente Giuliano tornò e si avviò nella camera per svegliare la moglie. Vedendo nel suo letto dormire due persone, pensò all’adulterio della sposa, estrasse la spada e li trafisse. Di ritorno dalla chiesa la moglie disse al marito di aver messo nel proprio letto i suoi stanchi genitori. Giuliano si ricordò allora quello che il cervo gli aveva predetto, pianse amaramente. Lasciò il castello, seguito dalla fedele sposa, e fondò un ospizio in vicinanza di un fiume per ospitare i pellegrini e i malati, e si mise a traghettare da una sponda all’altra i viandanti. 28 A i topi nimali reali avvertiti come pericolosi e dannosi erano i topi, in particolare nel Medioevo il topo nero (quello grigio si diffonderà notevolmente solo dal sec. XVIII). È stata formulata l’ipotesi che il topo nero 12 sia stato introdotto in Europa a seguito delle crociate, ma non pare propriamente esatta. Forse la sua presenza fu frenata da quella dei mustelidi (faina, martora etc.), per poi riprendere vigore nell’XI secolo. Il gatto medievale se la doveva vedere con il topo nero, dannoso per le provviste alimentari e diffusore della peste provocata da batteri trasportati dalle pulci appartenenti alla specie Xenopsylla cheopis, che prospera nel pelame di questi animali. Da un bestiario duecentesco: Il topo è una debole creatura che prende il suo nome dal fatto che i topi nascono dall’umidità della terra. Il loro fegato cresce con la luna piena e diminuisce quando la luna cala [...] i topi rappresentano gli uomini avidi che cercano i beni terreni e fanno dei beni degli altri la loro preda. I I pesci e la pesca l pesce nel mondo cristiano assunse una particolare importanza; il termine greco Ἰχθύς, (ichthýs), ‘pesce’ è un acrostico formato dalle iniziali delle parole: “Gesù Cristo, figlio di Dio, Salvatore” e quindi la raffigurazione del pesce divenne emblema di riconoscimento delle prime 13 comunità cristiane. Il pesce assunse una valenza sacrale quand’anche si pensi che alcuni apostoli erano pescatori, alla pesca miracolosa, alla moltiplicazione dei pani e dei pesci; inoltre nel mondo cristiano si affermarono periodi di astinenza dalle carni (Avvento, Quaresima) e nell’ambito del monachesimo, che rifiutava la carne, il pesce ne prese il posto. Nel corso del Medioevo grande successo ottenne l’aringa, salata e/o affumicata, pescata nella Manica, nel Mare del Nord, nel Baltico. Già in epoca precristiana vi era l’usanza di rap- 29 presentare le anime umane come pesci che nuotavano tra le onde del mare e nei corsi di acqua dolce. È stato però con l’arte cristiana che questa immagine è diventata più frequente in ragione soprattutto del brano di Marco dove si dice che Gesù fa dei suoi apostoli “pescatori di uomini” (Marco 1,17-20). L’Antico Testamento, inoltre, descrive il Messia come un “pescatore” (Abacuc 1,14-16). La pittura paleocristiana, in particolare, mostra il pesce accanto a ceste di pane, con evidente riferimento al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ed è un’immagine indubbiamente eucaristica. santi e pesci Anche i santi hanno a che fare con i pesci nella letteratura medievale. San Francesco e sant’Antonio predicarono ai pesci. San Zeno (sec. IV), patrono di Verona, è spesso raffigurato con la canna in mano o mentre pesca nel fiume Adige. Di san Brendano (sec. VI) si narra che nel corso della sua navigazione s’imbatté in un mostro marino così grande al punto da essere scambiato per un’isola. Tra i grandi cetacei spicca la balena. Giona, profeta recalcitrante, che si era ribellato ai voleri divini, fuggendo in nave lontano dal Signore, fu inghiottito da una grande creatura marina (una balena o una pistrice) e rimase nel suo ventre per tre giorni e tre notti, dopo che era stato gettato in mare dai suoi stessi compagni per placare la furia della tempesta. Il Fisiologo mette in guardia dalle sue insidie. L’immonda bestia, quando ha fame, apre la bocca, lasciando uscire ogni profumo di aromi per attirare i pesci piccoli e inghiottirli. Allo stesso modo fa il demonio che con 30 la seduzione e l’inganno adesca i semplici e gli sprovveduti. Le fauci della balena sono dunque viste come la bocca dell’inferno. Spesso, infatti, nelle raffigurazioni del Giudizio Universale l’ingresso infernale è rappresentato come un’enorme mandibola che tritura i dannati o come una gola abissale che inghiotte le anime perdute. Al contrario, santa Ildegarda di Bingen (sec. XII), famosa per i suoi scritti profetici, sostiene che la balena è nemica del diavolo e degli spiriti malvagi. Bartolomeo Anglico, filosofo francescano vissuto nel Trecento e autore del trattato enciclopedico De proprietatibus rerum, ritiene la balena un cetaceo generoso che inghiotte i propri piccoli per proteggerli dalla tempesta, per risputarli quando il pericolo è passato (come accadde a Giona). Ma per l’uomo medievale il vero re della fauna marina è il delfino. Regalità determinata dalla sua intelligenza, dalla generosità d’animo e dalla sua socievolezza. La sua disinteressata amicizia nei confronti dell’uomo e la sua prontezza nel prestargli soccorso fanno di questo pesce il vero Pesce che è Cristo, salvatore di uomini nel mare del peccato. L’immagine del delfino come simbolo cristologico è però poco presente in epoca medievale. Da un bestiario duecentesco: I pesci (pisces) derivano il proprio nome, come le pecore (pecus) dal verbo pascere. Essi sono rettili che nuotano, e sono detti rettili perché hanno lo stesso aspetto e natura. Sebbene essi possano immergersi in profondità, quando nuotano essi si muovono come se strisciassero. Per questa ragione David dice: Ecco il mare, grande e spazioso, che brulica di innumerevoli creature [Salmi 104,25]. Alcuni pesci sono anfibi, cioè possono camminare sulla terra e nuotare nel mare. Poiché gli uomini hanno imparato a poco a poco i diversi tipi di pesce gli hanno dato dei nomi a seconda delle loro somiglianze con gli animali terrestri, come le rane, i vitelli, i leoni, i merli e i pavoni, i tordi [...]. Altri pesci sono stati così chiamati per il loro comportamento simile a quello delle creature sulla terra: il pescecane è stato così chiamato, perché come i cani morde [...] altri derivano il loro nome dai colori [...] altri dalla loro forma: la sogliola (solea) è così chiamata perché è simile alla suola di una scarpa (sola). 31 la pesca A partire dal pieno Medioevo (secc. XI-XV) la caccia cominciò a delinearsi come privilegio destinato ai re e agli aristocratici, un fenomeno che divenne sempre più evidente e marcato nell’età moderna. La pesca, invece, si mantenne libera da vincoli eccessivamente restrittivi per molti secoli ancora. Solamente a partire dal periodo comunale (sec. XI) si ebbero provvedimenti legislativi intesi a salvaguardare il patrimonio ittico, minacciato dall’aumento demografico, senza per questo negare ad alcuno la possibilità di cibarsi di pesce: si cercò, infatti, di regolare l’entità della cattura, di vietare la pesca durante i periodi di riproduzione e di promuovere la costruzione di peschiere per l’allevamento. Durante il Medioevo il pesce rappresentava un bene largamente diffuso e fortemente utilizzato dalla popolazione nel suo complesso. Mentre oggi il pesce maggiormente consumato è quello di mare, nel Medioevo i documenti sono ricchi di indicazioni relative al pesce d’acqua dolce, pescato in abbondanza nei fiumi, nei laghi e nelle paludi. Il pesce generalmente veniva consumato fresco oppure conservato in modi differenti: marinato, essiccato, affumicato e soprattutto salato. Le tecniche di cattura prevedevano l’impiego di reti, quali la paranza, la rete a sacco, la nassa di vimini o di giunco etc. Oltre alle reti venivano utilizzati la fiocina e il tridente, i galleggianti e le lenze. A volte si realizzavano opere complesse che prevedevano la partecipazione di più persone: si trattava di recinti posizionati sotto il bordo dell’acqua, costruiti con pali e graticci che costringevano i pesci ad entrare in un luogo chiuso per poi essere catturati con il retino o con i lacci: solitamente queste strutture non venivano realizzate direttamente nei corsi d’acqua principali, ma all’interno di canali appositamente creati, allo scopo di non intralciare la navigazione. 32 an ima li imm agi na ri LL’ L’Unicorno unicorno, o liocorno, è un animale immaginario raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Alcune descrizioni attribuiscono all’unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone e degli zoccoli bipartiti. Una delle più antiche rappresentazioni di un liocorno si trova nelle Grotte di Lascaux (Francia, Paleolitico superiore). L’animale, dotato di un corno lunghissimo sulla testa e pelame sotto il muso, è disegnato insieme ad altri animali. Nella tradizione medievale, il corno a spirale è detto alicorno e gli veniva attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. Si credeva che se il corno fosse stato rimosso, l’animale sarebbe morto. La pratica dell’uso antivenefico dei corni di unicorno avrà una certa diffusione nell’Europa medievale. Nell’inventario del tesoro papale di papa Bonifacio VIII del 1295, si ha la menzione di quattro corne di unicorni, lunghe e contorte [utilizzate per] fare l’assaggio di tutto ciò che era presentato al papa. papa Una fonte di ispirazione per la leggenda dell’unicorno può essere stato il rinoceronte. Marco Polo, per esempio, sostenne di aver visto un “unicorno” a Giava, ma la sua descrizione è chiaramente 14 quella di un rinoceronte. A supporto di questa teoria anche un bestiario duecentesco in cui è detto che il liocorno può anche essere chiamato ‘rinoceronte’. Alcuni hanno visto nell’unicorno Cristo, altri il diavolo. Nello specifico sant’Ambrogio ha scritto: “Chi è l’unicorno, se non l’unigenito figlio di Dio, l’unico Verbo di Dio, che era in principio presso il Padre?”. Il Libellus de natura animalium sentenziava “l’alicornus indica il diavolo, in quanto così terribile e malvagio da non poter essere catturato se non dall’odore della verginità, cioè dalle buone opere e dalle virtù”. L’unicorno viene spesso rappresentato nell’arte come simbolo di purezza e verginità. Celebri il ciclo di arazzi fiamminghi La dama e il liocorno (fine sec. XV) conservato a Parigi presso il Museo di Cluny, e il dipinto a olio su tela di Raffaello Sanzio La dama col liocorno (15051506), conservato presso la Galleria Borghese a Roma. 33 dove abita il liocorno e deve essere lasciata lì sola nella foresta. Non appena l’unicorno la vedrà le salterà in grembo e le dormirà accanto. Il cacciatore potrà quindi catturarlo. Nostro Signore Gesù Cristo è il liocorno spirituale. L’unico corno sulla testa del liocorno significa, in accordo con l’apostolo: Io e mio Padre siamo Uno [Giovanni 10,30]. È detto molto veloce, perché né i Principati, né le Potenze, né i Troni, né le Dominazioni possono catturarLo. Da un bestiario duecentesco: L’unicorno che è anche chiamato in greco Rhinoceros ha questa natura: è una piccola bestia, non dissimile ad una capra ed estremamente veloce. Ha un corno in mezzo al sopracciglio. Nessun cacciatore può catturarlo. Può essere catturato solo in questo modo: una fanciulla che sia vergine deve essere portata nel luogo 15 I Il grifone l grifone è una creatura leggendaria con il corpo di leone e la testa e le ali d’aquila. Il grifone è la combinazione di due nature supreme, è la somma degli attributi del re degli animali e della regina dell’aria. Fu raf- figurato fin dall’antichità in Egitto e soprattutto in Mesopotamia, presente in miti greci nonché, ad esempio, nel mondo etrusco. Nell’ambito della simbologia cristiana pervenne a significare lo stesso Cristo: “Cristo è leone perché regna e ha la forza; aquila perché dopo la resurrezione sale al cielo” (Isidoro di Siviglia secc. VI-VII). In talune raffigurazioni il grifone lotta con i serpenti e i draghi e custodisce il calice dell’Eucaristia; in altre assale le pecore ed i bovini; quindi anche il grifone ha una duplice valenza simbolica, positiva e negativa; per Rabano Mauro (secc. VIII-IX) è simbolo di coloro che perseguitano i cristiani. Per essere emblema di forze supreme, la raffigurazione del grifone ebbe successo in blasoni nobiliari e militari ed anche in stemmi civici. Da un bestiario duecentesco: Vive nel Sud e sulle montagne; odia profondamente i cavalli e se si trova faccia a faccia con un uomo, lo attacca. 34 t Il drago ra gli animali immaginari il drago a tutt’oggi ha una sua attualità: basti pensare al FortunaDrago de La Storia Infinita, al drago femmina (Saphira) di Eragon, alla Madre dei Draghi de Il Trono di Spade e al feroce drago Smaug del romanzo Lo Hobbit. Figura esito di elaborazione di una profonda mitica ancestralità, di cui era costellata già la mitologia greco-romana, Isidoro di Siviglia nella sua enciclopedia Etimologie così lo descrive: “è il più grande di tutti serpenti, e di tutti gli animali della terra”, sotterraneo ed aereo, con forza concentrata sulla coda. Ma quanti draghi!!! In epoca medievale, pur nella cornice delineata da Isidoro, non sembra esserci una descrizione uguale all’altra! La lingua biforcuta, l’alito pestilenziale, corna micidiali, occhi fiammeggianti, denti affilati, scaglie dure come pietre, artigli come d’acciaio, due o quattro zampe elefantiache, coda da serpente o da coccodrillo o da balena, ali d’aquila o di pipistrello, insomma, un essere polimorfo. Presso diversi casati nobiliari il drago fu preso a simbolo di valore militare, prevalendo in questo caso il ruolo mitologico di custodia, vigilanza e potenza. L’enorme drago che appare nell’Apocalisse (13,3-4) è Satana, incarnazione stessa del male. Lo sconfigge, a capo di una schiera di angeli, 16 l’arcangelo Michele (“chi è come Dio”); l’iconografia dell’Arcangelo guerriero che uccide il drago è notevolissima, e diffuso il suo culto ovunque in Oriente ed in Occidente [cfr. Pellegrinaggi in Avvento 2012]. Ma oltre all’Arcangelo, vari santi hanno avuto a che fare con i draghi. Celeberrimo è san Giorgio, originario della Cappadocia, di cui storicamente poco si sa, ma stando alla leggenda si narra che in una città chiamata Selem, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno, ma quando queste cominciarono a scarseggiare furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, la principessa Silene. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso lo stagno per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa Silene di non aver timore e di avvolgere la sua cintura al collo del drago, che prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi 35 per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono, il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città trascinato da quattro paia di buoi. Nel Medioevo la lotta di san Giorgio contro il drago diviene il simbolo della lotta del Bene contro il Male e per questo il mondo della cavalleria vi vide incarnati i suoi ideali. R apidamente egli divenne un santo tra i più venerati in ogni parte del mondo cristiano, protettore dei militari in genere, dei cavalieri in particolare, dei crociati, di intere nazioni come l’Inghilterra. La leggendaria uccisione del drago da parte di Giorgio e/o racconti simili racchiudono varie comunicazioni simboliche: la perenne lotta del bene contro il male; la progressiva cristianizzazione di territori ancora pagani; la “conquista” da parte del consorzio civile di zone selvagge ed ostili, guadagnate così alla coltivazione. San Giorgio non è l’unico santo che ha avuto a che fare con un drago. La leggenda di santa Marta compare solo nel XII secolo. Essa narra che Lazzaro, Marta, Maria Maddalena ed altri sarebbero stati caricati dagli infedeli su di una imbarcazione senza vele né remi, né timone, né provviste. Fu così che approdarono a Marsiglia. Santa Marta, “molto elo- quente ed amabile con tutti”, operò delle conversioni. Liberò dalla terribile Tarasca la città, che si sarebbe chiamata Tarascona, e fece molti miracoli. La leggenda racconta che nei tempi in cui santa Marta evangelizzava la Provenza, un terribile dragone, la Tarasca, devastava le fertili pianure della valle del Rodano ed impediva agli uomini di vivere tranquilli in quei luoghi. La Santa venuta a conoscenza del fatto, inseguì la bestia nelle profondità dei boschi e la domò cospargendola di acqua benedetta e segnandola col segno della croce. Infine, mansueta ed addomesticata, la legò alla sua cintura e la portò nella città di Tarascona, che dal drago aveva derivato il suo nome. 36 Da un bestiario duecentesco: Il dragone è più grande di tutti gli altri serpenti e di tutti gli altri animali del mondo. I greci lo chiamano ‘dracontam’ e da qui deriva il nome ‘draco’. Si dice che egli spesso tenta di uscire dalle caverne e che l’aria è da lui scossa. Ha una cresta, una bocca piccola da cui tira fuori la lingua e strette narici, attraverso le quali respira. La sua forza non è nei denti, ma nella coda. Fa più danni con i colpi che sferza che con la forza dell’urto. Non possiede un veleno dannoso, ma si dice che non abbia bisogno di veleni per uccidere, perché uccide qualsiasi cosa che afferra. Neppure l’elefante può stare al sicuro. Vive in Etiopia e in India dove è sempre caldo. Il dragone è come il diavolo, il più bello di tutti i serpenti [...] che si s trasforma nell’angelo della luce, ingannando gli sciocchi con speranze di vanagloria e piaceri terreni. Il dragone ha la cresta, perché il diavolo è il re della superbia; la sua forza non sta nei denti, ma nella coda, perché avendo perso il potere, il diavolo può solo ingannare con le bugie. Il basilisco 17 e il grifone può van- Mefitico e venefico, l’accezione del basilisco è ritare una duplice va- masta negativa come re degli inferi. lenza, il basilisco no! Questo rettile-uccello, sorta di drago, è il Da un bestiario duecentesco: Il nome basire dei serpenti come il lisco in greco significa piccolo re, perché egli diavolo è il re dei deè il re delle creature striscianti. Quelli che lo moni (Sant’Agostino). vedono fuggono, perché il suo odore può ucPlinio il Vecchio ne ciderli e può uccidere un uomo semplicemenparla nella Storia Nate guardandolo. Nessun uccello che lo vede turale: c’è una base repuò rimanere illeso: sarà bruciato a distanale? Poteva vivere davvero un animale del geneza dal suo fiato ardente e quindi inghiottito; re nel deserto del nord-Africa? ma può essere sconfitto da una donnola ed è Certo è che nell’ottica degli scrittori cristiani per questa ragione che gli uomini mettono le esso assunse significati assolutamente negativi. donnole nei buchi dove vive il basilisco [...] Beda (secc. VII-VIII) fu il primo ad attestare la il basilisco è lungo mezzo piede con bianche leggenda di come il basilisco nascerebbe da un macchie. Vive in luoghi asciutti, come uno uovo deposto di tanto in tanto da un gallo anziascorpione. Se vieno (altri autori hanno ne a contatto con aggiunto di sette anni l’acqua la avvelena quando la stella Sirio e quelli che la bersia ascendente). L’uoranno diverranno vo deve essere sferico idrofobi [...] il bae deve essere covato silisco significa il da un serpente o da diavolo, che uccide un rospo, processo, con il suo veleno i questo, che poteva disattenti peccatoimpiegare fino a nove ri, ma egli stesso è anni. Secondo l’encisconfitto come le clopedia di Rabano altre creature danMauro sarebbe lungo nose dai soldati di mezzo piede e striato Cristo. da macchie chiare. 37 18 L Le sirene e sirene (dal latino tardo sirēna) erano in origine delle figure mitologiche greche dalle forme ornitomorfe e caratterizzate da un seducente richiamo. Successivamente tali entità mitologico-religiose verranno trasferite nella tradizione della Roma antica. Queste sirene dell’antichità viganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo e fino all’ombelico hanno il corpo di vergine e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi». Dall’antichità greca all’epoca cristiana le sirene permangono come mortifere ammaliatrici, incantatrici subdole e corruttrici, invitanti al peccato. Data la loro duplice natura, sono simbolo d’inganno e d’impostura. Nell’ambito delle fiabe, assai famosa è La sirenetta di Hans Christian Andersen, dalla quale è stato tratto l’omonimo film Disney del 1989; la sirena protagonista della fiaba è divenuta il simbolo della città di Copenaghen, e le è stata dedicata anche una statua. classica si sovrappongono spesso, nella denominazione in lingua italiana, a differenti figure leggendarie. Figura mista, la cui iconografia medievale fu fissata in base al Liber monstrorum (sec. VIII). In esso le sirene afferenti all’antichità classica vengono descritte, per la prima volta, con la parte inferiore del corpo a forma di coda di pesce: «Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i na- 38 Da un bestiario duecentesco: Le sirene sono creature mortifere, che dalla testa fino all’ombelico sono umani, ma nelle parti basse fino ai piedi sono come pesci. La loro musica è una canzone con la più dolce delle melodie, così che se un marinaio la ode da lontano, abbandona la rotta e si dirige verso le sirene. La dolcezza del loro canto incanta le orecchie e i sensi e lo culla. Non appena si addormenta, le sirene lo attaccano e divorano la sua carne, e così il richiamo delle loro voci conduce l’uomo ignorante e imprudente alla morte. Allo stesso modo chi è attirato dalle delizie di questo mondo [...] diventerà rapidamente preda dei suoi nemici. altri animali immaginari I centauri condividono le nature di uomini e cavalli. Il centauro è un animale mitologico, con dorso umano e posteriore equino. Si credeva che i centauri vivessero sui monti della Tessaglia. Essi erano ritenuti discendenti di Centauro, nato dall’unione di Issione, re dei Lapiti, e Nefele. Da Centauro e dalle giumente dei pascoli della Magnesia nacquero i centauri. Alcuni di essi erano autori di imprese malvagie e brutali, mentre altri, come Chirone, erano saggi e benevoli, vivevano nei boschi, conoscevano le piante e le stelle ed erano considerati fedeli amici degli uomini e degli dei. Nell’antichità univano l’intelligenza dell’uomo alla forza e alla velocità del cavallo. Il cristianesimo fece del centauro il simbolo delle passioni più basse, espressione di bestialità, tanto da identificarlo con Satana. In particolare la testa umana dei centauri era simbolo di orgoglio, il busto di lussuria, le mani di cupidigia. Esso fu, invece, talvolta visto anche come l’allegoria della doppia natura di Cristo: l’umana e la divina. Il paganesimo ha fatto della pistrice un essere favoloso che presenta allo stesso tempo somiglianze e differenze essenziali con l’ippocampo (cavalluccio marino): il suo compor- 39 tamento tra i flutti è fondamentalmente lo stesso. La pistrice citata da Plinio e da Virgilio aveva testa di dragone e lunghe pinne palmate. Spesso viene confusa con l’ippocampo, ma se quest’ultimo è sempre stato visto come un genio protettore e benefattore, la pistrice, al contrario, è considerata un essere maligno e detestabile. Essa rappresenta il mostro infernale del mare e compare spesso nelle scene di naufragio, di cataclismi e di luoghi maledetti. La nostra cultura considera la chimera il simbolo dell’impossibile. La simbologia cristiana la guarda con sospetto in quanto animale mostruoso frutto dell’incrocio fra tre animali: il leone, la capra e il serpente sovente presi – specie gli ultimi due – a simbolo demoniaco. La chimera figura tra gli animali elencati nel Liber monstrorum, che così la presenta: «I Greci scrivono della chimera che essa era una belva terribile e mostruosamente ripugnante per il suo triplice corpo, in quanto dicono fosse armata di fiamme che vomitava dalle sue tre teste». A partire, dunque, dall’età carolingia la rappresentazione “classica” della chimera cede il passo a quella di un essere dalle tre teste corrispondenti ai tre animali in questione. Una delle poche immagini medievali della chimera è nel mosaico pavimentale del coro della cattedrale di Aosta (sec. XIII). La fenice è emblema e simbolo della resurrezione. 40 an ima li sim bol ici animali simbolici Da un bestiario duecentesco: Si sa che la fenice vive in qualche posto in Arabia e che vive per cinquecento anni. Quando sa che sta arrivando la fine della sua vita, costruisce un bozzolo di incenso e mirra dove si rinchiude e muore. Dalla sua carne nasce un verme che crescendo prende le forme del precedente uccello. Questo uccello con il suo esempio ci insegna a credere nella Resurrezione [...]. La fenice ha tutti i segni della Resurrezione. il leone e la pantera 19 m entre il lupo e l’orso erano le belve realmente presenti nell’Europa occidentale e con le quali l’uomo medievale poteva effettivamente misurarsi di frequente, il leone è lontano e come tale acquisì una complessità valoriale che oscillava tra una percezione negativa ed una positiva. Il leone è un simbolo ambivalente: da un lato è segno di regalità, di forza, di coraggio (RicCuor di Leone), dall’altro, per la sua ferocia cardo Cu nel catturare e divorare le vittime, è emblema del male (peccato e tentazioni) e quindi del diavolo. La criniera fulvo-dorata ne ha fatto il simbolo del sole (nello Zodiaco il leone è il segno della piena estate). Il Fisiologo ne evidenzia “tre nature” e ne fa un simbolo cristologico. Da un bestiario duecentesco: Il nome leone deriva dal greco ‘leon’. Poiché leone in greco significa ‘re’, è così chiamato, perché è il re delle bestie [...]. I naturalisti dicono che il leone ha tre caratteristiche principali. La prima è quella che ama vagare sulle cime delle montagne. Se accade che i cacciatori vanno a dargli la caccia, egli sente l’odore dei cacciatori e cancella le sue tracce con la coda per timore che lo seguano, trovino la sua tana e lo catturino. Così il nostro Redentore, il leone spirituale della tribù di Giuda, [...] ha nascosto le tracce del suo amore in paradiso fino a quando non fu mandato dal Padre. La seconda caratteristica è che sembra tenere gli occhi aperti quando dorme. Così nostro Signore, che sembrava addormentato nel corpo sulla Croce e fu seppellito, mentre la Sua divinità era vigile, come è detto nel Cantico dei Cantici [5,2]: ‘Io dormo, ma il mio cuore veglia’. La terza caratteristica è questa: quando la leonessa partorisce, i suoi cuccioli vengono al mondo morti. Essa li sorveglia per tre giorni, finché il terzo giorno non arriva il padre, che soffia sui loro musi e li riporta in vita. Nello stesso modo il Padre risvegliò nostro Signore Gesù Cristo dalla morte il terzo giorno, come dice Giacobbe [Genesi 49,9]: ‘Si accovaccia come un leone; chi lo farà levare?’. 41 santi e leoni Anche il leone ha il suo santo: san Girolamo (secc. IVV) è spesso raffigurato con un leone ai suoi piedi e ciò perché si racconta che il Santo, nel monastero di Betlemme, avrebbe accolto e curato un leone azzoppato facendoselo così amico. San Macario (sec. IV) allevò due cuccioli di leone, che liberò una volta cresciuti. Condannato ad essere dato in pasto ai leoni per la sua fede, fu invece riconosciuto proprio da quei due leoni che aveva allevato, che gli si accucciarono accanto. Il leone è il simbolo dell’evangelista Marco. un altro felino simbolo di Cristo Ne parla un bestiario duecentesco: Esiste un animale chiamato pantera, che è brillantemente colorato, molto bello e mansueto. I naturalisti dicono che è solo nemico del dragone. Quando ha mangiato ed è sazia, si nasconde nella sua tana e dorme. Dopo tre giorni si sveglia ed emette un gran ruggito e fuori dalla sua bocca esce un dolce odore che sembra contenere ogni tipo di profumo. Quando gli altri animali odono la sua voce si raccolgono da ogni parte e la seguono ovunque essa vada a causa della dolcezza del suo respiro. Solo il dragone, udendo la sua voce, si nasconde per il terrore nelle viscere della terra [...] così il nostro Signore Gesù Cristo, la vera pantera, scende dal Cielo e ci salva dal potere del diavolo [...]. Egli cade morto e rimane nella tomba e discende nell’oltretomba, dove incatena il grande dragone. Il terzo giorno resuscita, piange ad alta voce e mostra la sua dolcezza, come dice Davide [Salmi 78,65]: ‘Poi il Signore si risvegliò come uno che dormisse, come un prode che grida eccitato dal vino’ [...]. Le sue parole furono trasportate fino alla fine della terra e come il dolce alito della pantera riunisce gli animali e la seguono, così i Giudei [...] lo udirono e lo seguirono. 42 L’ l’ermellino ermellino deriva il suo nome dal latino medievale mus armerinus (topo dell’Armenia). La sua bianca pelliccia invernale venne utilizzata come fodera dei mantelli di re, principi e imperatori, nonché come risvolto del copricapo papale. Anche mestieri di prestigio quali, ad esempio, medici e giuristi potevano fregiarsi, della pelliccia di questo animale. Il candido manto dell’ermellino è simbolo di purezza e castità: la tradizione vuole che il piccolo roditore preferisca morire piuttosto che macchiare il suo pelo. Celebre in tal senso il dipinto di Leonardo La Dama con l’ermellino (1488-1490). L’ermellino nei bestiari medievali rappresenta anche l’intelligenza, la pacatezza e l’equilibrio, virtù che I fanno di questo animale l’emblema della moderazione: «L’ermellino per la sua moderanza non mangia se non una sola volta al dì». L’ordine dell’Ermellino, dedicato a San Michele Arcangelo, era la più alta onorificenza degli Aragonesi di Napoli e fu fondato da Ferrante I nel 1465, con lo scopo di autorappresentare la propria identità dinastica. il serpente l serpente è uno dei simboli più importanti dell’immaginario collettivo. È l’animale che si presta ad una vastissima gamma di interpretazioni e di ruoli. Le antiche religioni orientali considera- 20 21 vano i serpenti come divinità o come geni del bene e del male. Il cambiamento di pelle, cui è soggetto il serpente ogni anno, fu considerato presso gli antichi l’immagine simbolica delle felici trasformazioni spirituali e fisiche dell’uomo. Nel cristianesimo prevale la tendenza a considerarlo, a partire dall’interpretazione simbolica della Genesi, come personificazione di Satana e della malvagità, spesso associato al peccato di lussuria. 43 La seconda caratteristica del serpente è questa: quando si avvicina ad un fiume per bere acqua, non porta il suo veleno con sé, ma lo scarica in un pozzo. Quando ci riuniamo in chiesa, per ascoltare la parola celeste di Dio, l’acqua eterna della vita, anche noi dovremmo liberarci del nostro veleno terreno e dei desideri malvagi. La terza caratteristica del serpente è questa: se vede un uomo nudo, ne ha paura; se lo vede vestito, lo attacca. Infatti quando Adamo era nudo in Paradiso, il serpente non poteva attaccarlo, ma dopo che fu vestito il serpente lo attaccò. Da un bestiario duecentesco [Aberdeen, 24, secc. XII-XIII]: Il serpente ha tre caratteristiche. La prima è che quando invecchia se vuole riconquistare la sua giovinezza, digiuna per molti giorni fino a quando cresce sotto la vecchia la sua nuova pelle; poi cerca una stretta fessura in una roccia, vi entra, e si graffia attraversandola in modo da eliminare la vecchia pelle. Cerchiamo, anche noi, attraverso molte afflizioni e astinenze di cambiare abito in nome di Cristo, la roccia spirituale, e di trovare la stretta fessura, che è ‘la porta stretta’ [Matteo 7,13]. IL SERPENTE EMBLEMA DI SATANA PER I CRISTIANI Sin dalla nascita dell’arte cristiana il serpente, a causa del suo ruolo di seduttore, di agente del male e di istigatore al peccato nel racconto della Genesi, rappresenta Satana. Su di un vaso a vernice rossa scoperto ad Orléans, del primo millennio cristiano, si vede il Cristo in piedi con la Croce in mano che calpesta il serpente. Ritroviamo il rettile infernale ai piedi del labaro imperiale di Costantino convertitosi al cristianesimo. Le lampade cristiane di quest’epoca a Roma, a Cartagine, in Egitto, molto spesso sono decorate con lo stesso soggetto. Il Medioevo ce lo mostra mentre spira ai piedi della Croce. Nel suo ruolo di furbo seduttore, il serpente è qualche volta rappresentato attorcigliato sotto una rosa, altre volte sull’erba fiorita, da cui la frase corrente Anguis in herba (il serpente sta nascosto fra l’erba) che incita alla prudenza. I bestiari medievali di solito designano con il nome di aspide il serpente nel suo ruolo nefasto di trascinatore verso il male, a causa del testo sacro che pone il rettile sotto i piedi del Cristo vincitore: Camminerai su aspidi e vipere (Salmi 91,13), cosa che fa comprendere ai cristiani che il rettile infernale può essere vinto attraverso la grazia di colui che ne è il dominatore. 44 t l’aquila utte le culture compresa quella giudaicocristiana hanno assegnato all’aquila, regina degli uccelli, un’importanza straordinaria. Essa è considerata una creatura costantemente in contatto con la divinità, della quale appare messaggera quando non addirittura incarnazione. Gli edifici sacri medievali sono i luoghi terrestri in cui l’aquila trova una sua precisa collocazione in altari, amboni, colonne e pinnacoli. L’acutezza della vista dell’aquila, la sua rapidità nel l’att a c c o, la sua forza senza pari ne hanno fatto un simbolo perfetto da porre alla testa di un esercito. I romani usarono, infatti, l’aquila come insegna militare. Carlo Magno, quando fu incoronato imperatore (Natale dell’800), volle fregiarsi dell’aquila per ribadire la continuità del suo impero, “sacro romano”, con l’impero romano. L’aquila fu il vessillo dei ghibellini al tempo della lotta per le investiture, ma anche dei Guelfi per concessione di papa Clemente IV. Il cristianesimo ama dell’aquila soprattutto la 22 sua forza messa al servizio dei deboli, che nella Bibbia diventa la paterna sollecitudine di Dio a difesa del popolo eletto. I Padri della Chiesa vedono nell’aquila il simbolo di Cristo: «Come l’aquila abbandona i luoghi bassi, punta verso l’alto e arriva vicino al cielo, così anche il Salvatore ha abbandonato le bassezze dell’inferno, per volare verso l’alto del paradiso». Poiché l’aquila, secondo le antiche credenze, ha la possibilità di poter fissare gli occhi nel sole senza rimanere accecata, così i credenti sono chiamati a rivolgere il proprio sguardo al Sole che è Cristo. La lotta fra l’aquila e il serpente rappresenta la vittoria di Cristo su Satana, del bene sul male. L’aquila è anche l’attributo di san Giovanni evangelista. La natura dell’aquila resta comunque quella del rapace, essa è talvolta vista come simbolo di Satana che cerca di assalire la Chiesa, ma solo raramente questo aspetto negativo viene tradotto nell’arte medievale. 45 Da un bestiario duecentesco: La sua vista è così acuta che può planare sul mare, al di là dell’umana comprensione e da una così grande altezza può vedere i pesci che nuo- fontana e si immerge per tre volte: in un attimo le sue ali riacquistano la primitiva forza e i suoi occhi la precedente luminosità. Così tu uomo, i cui vestiti sono vecchi e gli occhi del cuore offuscati, dovresti cercare la fontana spirituale del Signore e alzare gli occhi della mente a Dio, che è la fonte di giustizia. tano nel mare. Si getta in picchiata come un fulmine, cattura la preda e la porta a terra. Con la vecchiaia le sue ali diventano pesanti e i suoi occhi si annebbiano. Allora cerca una fontana e poi vola in alto nell’atmosfera del sole; lì le sue ali prendono fuoco e l’ombra dai suoi occhi è bruciata. Cade quindi nella 23 L’ l’AGNELLO agnello è il simbolo cristiano per eccellenza. Di più, esso è simbolo di Cristo: «Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (GioGiovanni 1,29). Soprattutto l’idea sacrificale ha portato ad accostare il simbolo dell’agnello alla figura di Cristo. Le più antiche raffigurazioni dell’agnello cristico si trovano nelle catacombe, ma la forza di questo simbolo è tale che l’agnello-Cristo continua ad essere rappresentato per tutto il Medioevo, e oltre. Esso è rappresentato frequentemente sui timpani delle chiese romaniche. tri agnelli [...]. L’agnello è il simbolo della persona del nostro mistico Salvatore, la cui morte innocente ha salvato l’umanità [...]. L’agnello è anche ciascuno dei fedeli, la cui vita è irreprensibile e che ubbidisce alla Madre Chiesa, riconoscendo la sua voce e le sta al fianco e ubbidisce ai suoi comandamenti. Gli agnelli sono benedetti nel Vangelo: ‘Nutri i miei agnelli’ [Giovanni 21,15]. Da un bestiario duecentesco: L’agnello è chiamato in latino agnus, sia dalla parola greca per ‘pio’, sia dal latino agnoscere, riconoscere, perché è l’unico animale tra tutti che è capace di riconoscere la madre, tanto che nel mezzo del gregge, non appena la madre bela, egli riconosce la sua voce e si affretta a raggiungerla, cercando la fonte familiare del latte materno. E la madre lo trova tra migliaia di al- 46 La “sacralizzazione” 24 dell’asino e del bue nella NativitA di GesU L’ immagine del bue e dell’asino che vegliano sul Bambino Gesù è presente nella maggior parte delle raffigurazioni della Natività. Tuttavia i Vangeli canonici nulla dicono riguardo alla presenza di questi due animali. Ne parla invece un Vangelo apocrifo chiamato nel Medioevo Libro sulla nascita della beata Vergine e sull’infanzia del Salvatore (Pseudo-Matteo): «Tre giorni dopo la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, la beatissima Maria uscì dalla grotta ed entrò in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, ove il bue e l’asino l’adorarono». Sant’Agostino, nel discorso sull’Epifania del Signore, ci aiuta a capirne il profondo significato simbolico. Egli così scrive: «Il bue adombra i Giudei, l’asino i Gentili. Ambedue vennero alla mangiatoia e trovarono il cibo del Verbo». La pia tradizione del bue e dell’asino poggia sul testo biblico di Isaia 1,3: «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». L’iconogra- fia cristiana ben presto accolse questo motivo. Già in un antico sarcofago del IV secolo, ritrovato a Boville Ernica (Frosinone) si trova la raffigurazione dei due animali. Sulla linea di questa tradizione, Francesco d’Assisi, la notte di Natale del 1223, a Greccio volle «rappresentare il Bambino nato a Betlemme [...], come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello», così ricorda Tommaso da Celano nella Vita prima di san Francesco. Edizioni Frate Indovino - Via Marco Polo, 1 bis - 06125 Perugia Telefono: 075.5069369 - Fax 075.5051533 - Email: [email protected] - www.frateindovino.eu www.facebook.com/frateindovino Produzione letteraria riservata. Vietato plagio e qualsiasi riproduzione non autorizzata in maniera scritta. ISBN: 978-88-8199-081-8 - Provincia dell’Umbria dei FF.MM. CC. P. IVA e C. F.: 00478700545 - Casa Editrice del Periodico mensile “Frate Indovino”. Reg. Tribunale di Perugia, n. 257-58, n. 11 R. prov. T.I. 01/07/58. Direttore Responsabile: Mario Collarini. Direttore Tecnico-Amministrativo: Felice Rinaldo Ciliani Russo. 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