I progressi nella lotta contro il cancro e il nuovo ruolo della comunicazione Cos’è il tumore • La riabilitazione dei pazienti • Le cure • • I big killer • La prevenzione Innovazione e sostenibilità • Le storie I media. Parlano 15 Direttori: ecco come i giornalisti oggi devono affrontare il tema cancro insieme contro il cancro • Progetto Editoriale Intermedia per la comunicazione integrata Via Malta 12/B, Brescia 030 226105 Autori Mauro Boldrini, Sabrina Smerrieri Coordinamento scientifico Fondazione “Insieme contro il Cancro” Presidente prof. Francesco Cognetti Via Domenico Cimarosa 18, Roma 06 8553259 Hanno collaborato Alessandro Andriolo, Davide Antonioli, Antonella Boraso, Paolo Cabra, Fabrizio Fiorelli Si ringraziano Paolo Carlini, Anna Ceribelli, Alessandra Fabi, Alessandra Felici, Virginia Ferraresi, Carlo Garufi, Paola Malaguti, Michele Milella, Carmen Nuzzo, Antonella Savarese, Massimo Zeuli Grafica Luisa Goglio © 2014 Intermedia srl Il male incurabile I progressi nella lotta contro il cancro e il nuovo ruolo della comunicazione insieme contro il cancro Prefazione È un onore scrivere questa prefazione per il volume “Il Male In curabile”, prodotto dalla iniziativa della Fondazione “Insieme contro il Cancro” ad un anno dalla sua nascita. Il volume contiene, nella prima parte, un sommario dell’evoluzione della lotta contro il cancro e dell’oncologia durante gli ultimi 40 anni, mentre la seconda parte è dedicata al ruolo della comunicazione nell’aumentare la conoscenza e comprensione delle problematiche oncologiche nel pubblico, con interviste ai direttori delle più importanti testate giornalistiche italiane. Il progresso della ricerca contro il cancro durante questi ultimi 40 anni è stato incredibile e si sta muovendo oggi con ancor maggiore celerità. Quarant’anni fa non sapevamo praticamente nulla della base molecolare dei tumori. Questo è stato possibile dopo che si è visto che il cancro è causato da alterazioni genetiche somatiche che si verificano durante la nostra vita. L’identificazione di queste alterazioni ha permesso lo sviluppo di nuovi farmaci mirati (target therapy), a cui le cellule tumorali sono molto sensibili, mentre quelle normali non lo sono. In altre parole le cellule tumorali sono dipendenti, per la loro crescita e sopravvivenza, da queste alterazioni. Sviluppando farmaci diretti alle conseguenze di queste alterazioni si possono uccidere specificatamente le cellule tumorali, lasciando per lo più indenni le cellule normali. Quindi si possono ottenere remissioni durature con modesti effetti collaterali. Al contrario, la cosiddetta chemioterapia, che ancora ha spazio nella terapia antitumorale, è solitamente caratterizzata da considerevole tossicità. Quindi, durante questi ultimi anni, si è riusciti a scoprire per molti tumori, anche i più comuni, le cause genetiche della malattia e si è riusciti a sviluppare farmaci “intelligenti”. Il problema è che molti tumori sono causati da alterazioni per le quali è difficilissimo oggi sviluppare tali farmaci (untargetable targets) e che, anche se la terapia funziona, nel tumore si possono sviluppare varianti genetiche resistenti alla terapia. Anche in questo campo si stanno facendo molti progressi. 5 Prefazione 6 Il volume contiene contributi, sia concernenti la chemioterapia che la target therapy, espressi in un modo molto leggibile e comprensibile anche per i non addetti ai lavori, che lo rendono ancora più utile, essendo anche divulgativo. Il contributo delle maggiori testate giornalistiche mostra il grande interesse della stampa per questo importantissimo argomento. Voglio congratularmi con il prof. Cognetti e i suoi valenti collaboratori per questa opera intelligente ed estremamente aggiornata. carlo maria croce* * Director of Human Cancer Genetics, Chairman of Molecular Virology, Immunology and Medical Genetics, and Director of the Institute of Genetics at The Ohio State University Comprehensive Cancer Center Professore di Oncologia Medica presso l’Università di Ferrara Top Italian Scientist della VIA-Academy (1st in the ranking) Introduzione Il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, nel dicembre 1971, firmò il National Cancer Act, una vera e propria dichiarazione di guerra al cancro. Con quella legge, il Presidente destinò ingenti finanziamenti alla ricerca medico-scientifica e trasformò il National Cancer Institute in un ente indipendente, con un solo obiettivo: rendere il tumore una malattia curabile. Oggi, a più di 40 anni di distanza, possiamo dire di averlo raggiunto. Più della metà dei pazienti guarisce e, in alcuni casi, i tempi di sopravvivenza sono molto cresciuti, tanto che possiamo parlare di cronicizzazione della malattia. Con terapie di combinazione, come è stato fatto con l’HIV o il diabete, siamo in grado di rendere il cancro una malattia cronica, con cui il paziente può convivere. Per effetto dei progressi nel campo della diagnosi precoce, dell’aumento dei nuovi casi, della diminuzione della mortalità e del prolungamento della sopravvivenza, abbiamo assistito negli ultimi decenni a un incremento costante dei pazienti con storia di cancro in Italia: erano meno di un milione e mezzo all’inizio degli anni Novanta, due milioni e mezzo nel 2012, circa tre milioni nel 2013. Nel 2020 saranno 4 milioni e mezzo. Lo scenario dell’oncologia è in rapida evoluzione: i tumori sono soprattutto una malattia dell’età avanzata e il numero di nuovi casi cresce in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione. Nel 2030 circa il 30% degli italiani avrà più di 65 anni. è chiaro quindi che assisteremo a un aumento significativo del numero di neoplasie. Siamo di fronte a una sfida difficile, soprattutto per tumori che, nella fase metastatica, fanno registrare talvolta alti tassi di mortalità e che, negli ultimi decenni, non hanno beneficiato di significativi progressi terapeutici, a fronte di un costante aumento di casi. Ma una sfida possibile, anche attraverso il progresso della biologia e della genetica nel campo dei tumori. Vi sono elementi che, in un prossimo futuro, produrranno ulteriori risultati favorevoli nel campo, affascinante e molto delicato, dell’epidemiologia molecolare che prevede l’utilizzo di tecnologie estremamente innovative. Basti pensare all’identificazione della suscettibilità di una singola persona ad ammalarsi di cancro, cioè 7 Introduzione 8 alla misurazione del livello di rischio individuale e alla valutazione dell’interazione dei fattori genetici che predispongono alla malattia con quelli ambientali e con le abitudini di vita. Si potrà sempre più frequentemente, attraverso l’identificazione di nuovi bersagli molecolari (quelli potenzialmente disponibili sono già circa 600), dare applicazione alla medicina personalizzata, con tutte le implicazioni di sviluppo delle conoscenze scientifiche, di ricerca, etiche, legali e sociali. Sarà quindi possibile usare nuovi trattamenti personalizzati e combinarli insieme. Si tratta di risultati impensabili fino a pochi anni fa. Grazie anche all’introduzione di farmaci mirati, cioè le terapie biologiche, le percentuali di sopravvivenza continuano ulteriormente a migliorare. L’esempio è offerto da due neoplasie a forte incidenza, come quelle del colon retto e del seno. Non solo è possibile individuarle con lo screening in fase precoce e guarirle grazie a terapie innovative, ma anche la sopravvivenza nella fase metastatica è migliorata in modo significativo per effetto di trattamenti sempre più efficaci. Nel colon-retto in 15 anni è passata dai 6-9 mesi agli attuali 30-36 e, nel tumore al seno, l’effetto combinato di screening e terapia adiuvante ha contribuito a ridurre la mortalità di più del 30%. Un ulteriore passo in avanti, per il nostro Paese, sarà costituito dal necessario potenziamento delle nostre strutture, soprattutto nel campo dell’istopatologia molecolare: l’obiettivo è un sistema integrato nazionale di sviluppo di approcci di diagnostica molecolare innovativi, con l’istituzione di biobanche per la raccolta del materiale e delle informazioni cliniche. Sulla scia di quanto realizzato alcuni anni fa dall’Agenzia nazionale per la ricerca e dall’Organizzazione oncologica della ricerca integrata francesi, che, sotto l’egida del Governo d’Oltralpe, hanno finanziato e reso possibile l’avvio del primo grande programma clinico di medicina molecolare, condotto dalla rete degli Istituti oncologici nazionali francesi. Nonostante i decisivi passi in avanti, testimoniati nei diversi capitoli di questo volume, la guerra al cancro non è finita e, purtroppo, ancora molti pazienti non riescono a sconfiggere la malattia. La Fondazione “Insieme contro il Cancro”, nata nel luglio 2013, vuole dare un contributo fondamentale in questa battaglia. E unisce, per la prima volta al mondo, clinici e pazienti. La Fondazione intende, attraverso azioni coese e un dialogo proficuo tra Istituzioni, associazioni, opinion leader e industria, porre l’attenzione sul problema della ricerca innovativa, della necessaria uniformità di accesso alle cure, alla diagnosi e ai trattamenti di alta qualità per tutti i pazienti oncologici in Italia, con uno sguardo rivolto anche all’Europa. Il 25 febbraio 2014 abbiamo presentato al Senato il Position Paper sul “Sistema della prevenzione, dell’assistenza e della ricerca oncologica in Italia”, un documento fondamentale sullo stato dell’oncologia nel nostro Paese, che segna le linee entro cui “Insieme contro il Cancro” intende muoversi nei prossimi anni. Come evidenziato nel Position Paper, è necessaria una radicale riorganizzazione nel campo dell’oncologia, per rispondere alle innumerevoli necessità dei malati di cancro e di coloro che sono guariti. Questi ultimi, talvolta, devono affrontare gli effetti a lungo termine della patologia o delle terapie utilizzate per curarla. I tumori rappresentano un’enorme realtà multidimensionale, non solo confinata agli aspetti clinico-assistenziali e di ricerca, ma anche ed inevitabilmente gravata da rilevanti ricadute sui malati e i loro familiari (nella sfera affettiva, psicologica, familiare, sociale, lavorativa, assicurativa, etc...). Questo libro celebra il primo anno di attività della nostra Fondazione. In dodici mesi abbiamo realizzato iniziative importanti. Oltre al Position Paper, ricordiamo il convegno nazionale sull’“Innovazione e la ricerca farmaceutica in oncologia”, alla Camera dei Deputati (25 marzo 2014), che ha approfondito il dibattito sui ritardi nell’accesso alle terapie innovative in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Al tema dell’innovazione è strettamente legato quella della sostenibilità. I sistemi sanitari potranno garantire i farmaci innovativi a tutti i pazienti solo trovando nuove forme di risparmio per liberare risorse. E la prevenzione rappresenta la via principale, dove però l’Italia è ultima in Europa. In queste iniziative investiamo solo lo 0,5% della spesa sanitaria complessiva, contro una media Ue del 2,9%. Ben al di sopra si collocano Paesi come Germania (3,2), Svezia (3,6), Olanda (4,8) e Romania (6,2). 9 Introduzione 10 Con “La lotta al cancro non ha colore”, la Fondazione ha lanciato lo scorso aprile la prima campagna nazionale per la prevenzione oncologica indirizzata ai cittadini più disagiati, in particolare agli immigrati che abitano nel nostro Paese. E il 12 maggio abbiamo presentato “Pro Job”, un progetto dell’AIMaC, realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, “Insieme contro il Cancro” e l’Istituto Nazionale Tumori del capoluogo lombardo, per promuovere l’inclusione dei pazienti oncologici nel mondo delle imprese. Questo libro si divide in due parti. Nella prima abbiamo approfondito l’evoluzione della lotta alla malattia negli ultimi decenni, rispondendo a domande su sono cambiate le cure, quali sono le differenze fra chemioterapia, immunoterapia, farmaci intelligenti e altri quesiti sulle armi oggi a disposizione del clinico. Poi abbiamo dedicato spazio a chi, sconfitta la malattia, affronta la riabilitazione, che può essere fisica, sociale e psicologica. E abbiamo raccolto le preziose testimonianze dei pazienti, persone che, in alcuni casi, convivono con la malattia da molti anni. Oggi le neoplasie non sono ancora state inserite fra le patologie croniche, ma credo che nei prossimi anni vi entreranno di diritto. Se si considera l’impatto dei tumori nell’Unione Europea e nel resto del mondo, è difficile pensare che il “problema cancro” sia poco rilevante, sia in termini epidemiologici che finanziari. I media dovrebbero essere fedeli testimoni non solo dei cambiamenti in atto e dei progressi della ricerca, ma anche del livello di percezione della malattia da parte dei cittadini. Per questo, nella seconda parte del volume, ci siamo rivolti ai direttori delle principali testate giornalistiche italiane, per capire come il tema cancro oggi venga affrontato dai media. Serve, ora, un patto fra clinici, giornalisti e Istituzioni per trasmettere a tutti i cittadini informazioni e messaggi corretti, con un’attenzione particolare anche alla prevenzione. Perché il 40% dei tumori può essere prevenuto seguendo uno stile di vita sano. Francesco Cognetti Presidente Fondazione “Insieme contro il Cancro” Nota degli Autori L’idea di realizzare questo libro è nata – a vent’anni dall’inizio dell’attività della nostra agenzia giornalistica, Intermedia – mentre riflettevamo su come celebrare il primo compleanno della Fondazione “Insieme contro il Cancro”. Così abbiamo pensato di offrire un’istantanea il più attuale possibile sull’argomento cancro nelle sue varie sfaccettature, ottenuta sovrapponendo i ritagli di decenni di cambiamenti nel modo di trattare un argomento quasi sempre considerato tabù. Partendo dall’analisi di come sono cambiate la percezione e la comunicazione della malattia. Attraverso un osservatorio particolare: dal 1998, infatti, abbiamo il privilegio di guidare la comunicazione dell’AIOM, la società scientifica che raggruppa gli oncologi medici italiani e, dalla sua nascita, di “Insieme contro il Cancro”. Ci siamo chiesti come si è evoluto il modo di parlare di tumore e se dal linguaggio quotidiano stia finalmente scomparendo il concetto di “male incurabile”. Ma per meglio comprendere la realtà italiana, era importante partire da dati oggettivi, dalle cifre. E così, ecco i primi capitoli con i numeri di casi, tumore per tumore, dai big killer a quelli più diffusi per capire come si sta evolvendo la lotta al cancro, grazie alla ricerca, alla diagnosi precoce, ai progressi terapeutici. Senza trionfalismi, ma con la consapevolezza che si è percorsa molta strada. Poi, a seguire, spazio alla prevenzione, che va adottata “senza se e senza ma” e a tutte le età. Numeri, certo, statistiche, cifre, tabelle, ma che diventano vita vissuta nelle storie degli amici che ce l’hanno fatta, con le testimonianze di personaggi famosi ma tanto simili a quelle dei circa tre milioni di persone che continuiamo, con un termine bruttissimo, a chiamare “lungosopravviventi”. E che, invece, dovremmo chiamare persone guarite che si trovano a convivere con una malattia cronica e che rivendicano il diritto a tornare a condurre un’esistenza normale. E che chiedono il rispetto di diritti impensabili fino a pochi anni fa, come diventare genitori o tornare al lavoro, lontano da ogni discriminazione. Ma volevamo qualcosa in più. E questo qualcosa era un approfondimento diretto su come i media trattano oggi questo argomento. Ambiziosamente, ci siamo rivolti 11 Nota degli Autori 12 ai direttori delle maggiori testate nazionali. Abbiamo rivolto loro tante domande, tutti sono stati disponibili e pazienti nelle risposte. L’idea di chiedere un contributo di chi dirige testate importanti, con milioni di lettori, ci è sembrata vincente. Le testimonianze dei quindici direttori sono state determinanti, a nostro avviso, per mettere a fuoco la nostra fotografia. Li ringraziamo per questo e crediamo che, oltre a permetterci di inserire interviste prestigiose nel volume, abbiano svolto un servizio di grandissimo valore per la collettività. Il ruolo della comunicazione, infatti, è fondamentale in questo delicato settore. Le notizie diffuse al pubblico devono avere seguire criteri di grande professionalità ed equilibrio. Il concetto di “male incurabile” deve scomparire una volta per tutte. In primo luogo, perché è un termine che non risponde più al vero. La sopravvivenza non è più una chimera e la mortalità si va fortunatamente abbassando. I progressi terapeutici hanno portato in quarant’anni a raddoppiare le percentuali di sopravvivenza. E poi perché si deve dare speranza, essere di aiuto nella conoscenza, senza alimentare facili illusioni. Perché, purtroppo, ancora molti cittadini non ce la fanno, nonostante l’impegno e la professionalità di medici e di tutto il personale sanitario. A loro e ai loro familiari va il nostro impegno, anche nel difendere un sistema sanitario nazionale che, pur fra mille problemi, è ancora uno dei migliori al mondo. Un sistema sanitario che va difeso e valorizzato. Senza dubbio avremo dimenticato qualcosa: la selezione impone alcune scelte. Speriamo, però, di aver raggiunto l’obiettivo che ci eravamo posti: iniziare un dibattito su un argomento in qualche modo “figlio dei tempi”, affrontando i vari aspetti che rendono oggi il cancro un male curabile. Mauro Boldrini, Sabrina Smerrieri La Fondazione “Insieme contro il Cancro” insieme contro il cancro “Insieme contro il Cancro” (insiemecontroilcancro.net) è una Fondazione, istituita nel 2013 con decreto del Prefetto di Roma e voluta dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), Società scientifica che riunisce la quasi totalità degli specialisti del nostro Paese, e dall’Associazione Italiana Malati di Cancro, Parenti e Amici (AIMaC), riconosciuta nel 2010 dal Ministero del Lavoro come “organizzazione che svolge un’attività di evidente funzione sociale sul territorio nazionale”. La Fondazione è presieduta dal prof. Francesco Cognetti, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma. Forte dell’esperienza sul campo delle due associazioni, impegnate da sempre in campagne d’informazione, “Insieme contro il Cancro” si propone di attuare una lotta globale contro i tumori al fine di ridurre il carico di malattia, realizzando attività di ricerca, impegnandosi per la riabilitazione e il reinserimento sociale dei malati oncologici e avviando campagne di comunicazione e di educazione della popolazione su prevenzione (tra cui: stili di vita sani, screening), diagnosi e cura. Intende promuovere e realizzare la migliore tutela del paziente, sia dal punto di vista delle possibilità terapeutiche, che dell’assistenza personale, sanitaria, psicologica, informativa, e giuridica. Si propone inoltre di favorire e realizzare: ·l’informazione dei pazienti oncologici e delle loro famiglie sulla possibilità di accesso alle cure, con realizzazione e diffusione di documentazione e opuscoli ·l’innovazione nella diagnosi e cura dei tumori e la diffusione di informazione e ricerca ·l’uguale accesso di tutti i pazienti oncologici agli approcci diagnostici, terapeutici e riabilitativi e ai sistemi più innovativi e avanzati di prevenzione, diagnosi e cura personalizzate, nonché alle sperimentazioni ·l’integrazione sociale e la difesa dei diritti civili rispetto al lavoro, alla pensione, alle cure e all’assistenza socio-sanitaria di chi è o è stato malato di tumore e dei loro familiari. L’informazione e il sostegno psicologico riguardo a tale stato di disagio individuale e sociale e la formazione dei pazienti, dei professionisti e dei 13 La Fondazione “Insieme contro il Cancro” volontari che operano nei settori sanitari, sociali e lavorativi interessati ·l’attività di prevenzione fra la popolazione, anche tramite i corretti stili di vita, e la realizzazione di screening ·la diffusione della cultura dell’alleanza terapeutica per il miglioramento del rapporto tra pazienti, familiari e operatori sanitari ·il coordinamento e lo scambio di informazioni scientifiche e cliniche fra l’AIOM e le associazioni, istituzioni, strutture o enti che supportano, assistono o curano i malati, ex malati, lungo-viventi oncologici e loro familiari · la raccolta fondi da destinare agli scopi istituzionali. 14 CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE COMITATO SCIENTIFICO Presidente Francesco Cognetti Vicepresidente Giancarlo Vecchio Segretario Elisabetta Iannelli Membri Salvatore Maria Aloj, Corrado Boni, Stefano Presidente Francesco Cognetti, Direttore del Dip. di Oncologia Cascinu, Saverio Cinieri, Carmelo Iacono, Silvia Novello Direttore Comunicazione Mauro Boldrini COMITATO D’ONORE Giancarlo Abete, Imprenditore Luigi Abete, Presidente BNL Giulio Anselmi, Presidente ANSA Margherita Buy, Attrice Francesco Gaetano Caltagirone, Imprenditore Antonio Catricalà, Presidente di sezione del Consiglio di Stato Virman Cusenza, Direttore “Il Messaggero” Luigi Frati, Rettore “La Sapienza” Antonio Golini, Presidente ISTAT Margherita Granbassi, Campionessa olimpica di scherma Roberto Iadicicco, Direttore AGI Gianni Letta, Giornalista Beatrice Lorenzin, Ministro della Salute Giovanni Malagò, Presidente CONI Giuseppe Marra, Presidente AdnKronos Mauro Mazza, Direttore Rai Sport Mario Orfeo, Direttore Tg1 Giuseppe Pecoraro, Prefetto di Roma Giuseppe Tornatore, Regista Francesco Totti, Calciatore Luca Vago, Rettore Università degli Studi di Milano Sarah Varetto, Direttore Sky Tg 24 Antonello Venditti, Cantante Carlo Verdone, Attore/Regista Valentina Vezzali, Campionessa olimpica di scherma Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Roma) Dino Amadori, Direttore Scientifico dell’Istituto Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) Meldola (Forlì) Claudio Cricelli, Presidente SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) Maria Grazia De Marinis, Professore Associato, Scienze Infermieristiche Generali, Cliniche e Pediatriche, Presidente Corso di Laurea in Infermieristica Università Campus Bio Medico di Roma Guido Fanelli, Direttore della struttura complessa 2a Anestesia, rianimazione e terapia antalgica (Dipartimento chirurgico) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma Marco Pierotti, Direttore Scientifico IRCCS - Istituto Nazionale Tumori Milano Gabriella Pravettoni, Professore Ordinario di Psicologia Cognitiva presso il Dipartimento di Studi Sociali e Politici dell’Università degli Studi di Milano Walter Ricciardi, Professore Ordinario di Igiene presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma Michele Tiraboschi, Professore Ordinario di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Direttore del Centro Studi internazionali e comparati “Marco Biagi” SEDE LEGALE Roma, via Domenico Cimarosa 18 Tel 06 8553259 - Fax 06 8553221 www.insiemecontroilcancro.net [email protected] Facebook: www.facebook.com/FondazioneInsiemeControIlCancro Twitter: https://twitter.com/InsControCancro L’Ufficio Stampa e la comunicazione sono affidati all’agenzia giornalistica Intermedia - [email protected] Il cancro L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce con la parola “cancro” (o carcinoma) “un gruppo di malattie che possono colpire qualsiasi parte del corpo. Una sua caratteristica distintiva è la rapida creazione di cellule anormali che crescono oltre i loro confini abituali e che, quindi, invadono parti adiacenti del corpo e si diffondo in altri organi”. Il cancro non è una singola patologia per la quale esiste un’unica terapia. Gli oncologi hanno studiato e classificato oltre 200 diversi tipi di carcinoma, che possono essere curati in vario modo. Quasi tutte le cellule che compongono il nostro organismo si riproducono seguendo uno schema simile. Di solito, la loro moltiplicazione avviene in modo ordinato e controllato. Però, a volte può capitare che qualcosa non funzioni. Un tumore si sviluppa quando le cellule sane vivono più a lungo del loro ciclo vitale medio, continuando a suddividersi senza controllo. La riproduzione anormale dà così origine a una massa chiamata neoplasia. Alcuni tipi di cancro, come quelli del sangue, non determinano lo sviluppo di masse tumorali. Il carcinoma è, comunque, un processo lento e progressivo, combattuto nella grande maggioranza dei casi con successo dai sistemi di difesa dell’organismo (meccanismi di riparazione del genoma e di difesa immunitaria). Dal suo inizio biologico può impiegare molto tempo a manifestarsi, anche decine di anni. Nonostante sia stato definito “il Male del secolo” nel Novecento, il cancro accompagna da sempre il cammino dell’umanità. Le prime testimonianze storiche risalgono a papiri egizi del 1600 a.C., in cui veniva chiamato “nemsu”, fino al termine “carcinoma” coniato dal medico greco Ippocrate. Personaggi storici di varie epoche come l’imperatore romano Ottaviano Augusto, San Francesco d’Assisi o il compositore Gioacchino Rossini sono deceduti a causa di una neoplasia. L’oncologia medica nasce nel corso del 1700, quando gli scienziati iniziarono a studiare, per la prima volta, gli effetti cancerogeni di alcune sostanze come il tabacco o la fuliggine. Nell’ultimo secolo, il cancro è diventata una delle malattie più diffuse in tutto il mondo. Le cause di questo fenomeno sono il costante aumento della vita media, 15 Il cancro il sempre maggiore inquinamento ambientale e la tendenza tra la popolazione ad adottare stili di vita non salutari (fumo, abuso di alcol, sedentarietà e dieta scorretta). Le differenze tra benigni e maligni 16 Le cellule dei tumori benigni si sviluppano lentamente e non hanno la capacità di diffondersi ad altre parti dell’organismo, anche se possono creare problemi alla salute. Se, infatti, continuano a crescere, esercitano pressione contro gli organi sani limitrofi. I tumori maligni, invece, sono composti da cellule che, senza un adeguato trattamento, possono invadere i tessuti circostanti. Inoltre, hanno la capacità di espandersi a distanza, ovvero al di fuori della sede di insorgenza del tumore primitivo. Le vie di diffusione principali sono il sangue e il sistema linfatico. Quando raggiungono una nuova sede, le cellule possono continuare a dividersi, dando così origine a una metastasi. Quando un cancro maligno si diffonde, viene ancora denominato in base alla parte del corpo da cui ha avuto origine. Ad esempio, se un cancro della mammella metastatizza ai polmoni, continua ad essere chiamato cancro della mammella, non del polmone. La biopsia è un esame che consente di accertare l’eventuale presenza di cellule atipiche. Viene svolto per verificare se il tumore è benigno o maligno. L’esame consiste nel prelievo di un campione di cellule o di tessuto esaminato poi al microscopio. Le principali cause I motivi per cui una persona si può ammalare sono ancora largamente sconosciuti. Solo in alcuni casi il cancro ha una componente genetica. Sono riconosciute due cause, imputabili a fattori esterni e interni. I primi includono il fumo di sigaretta, l’abuso di alcol, l’esposizione a radiazioni (compresi i raggi ultravioletti del sole) e ad agenti chimici. I fattori interni comprendono invece elevati livelli ormonali, mutazioni genetiche e alterate condizioni del sistema immunitario. Alcune neoplasie possono essere causate da infezioni virali. L’esempio più noto è il Papilloma virus umano (HPV), che può provocare il cancro della cervice uterina, della testa e del collo e dell’ano. Chi è a rischio di sviluppare la malattia Tutte le persone possono essere considerate a rischio. Il fattore più importante è l’età. In Italia oltre il 50% delle neoplasie solide (mammella, prostata, polmone, colon) è diagnosticato in pazienti over 65. Anche i tumori del sangue (linfomi nonHodgkin, la malattia di Hodgkin e tutte le leucemie) presentano un andamento simile. La prevenzione resta però un’arma vincente: il 40% delle neoplasie si potrebbe evitare con uno stile di vita sano (no al fumo di sigaretta, dieta corretta e attività fisica costante). Circa il 5-10% dei tumori è ereditario. Le persone che hanno avuto casi familiari presentano quindi un rischio maggiore. Ad esempio, una donna con madre o sorella malata di cancro della mammella ha il doppio delle probabilità di sviluppare la patologia rispetto a chi ha parenti sane. La frequenza dei tumori si può esprimere anche come probabilità teorica individuale di ammalarsi nel corso della vita (per convenzione, le statistiche sono limitate all’intervallo di tempo che va dalla nascita agli 84 anni, 0-84). Questa misura si chiama “rischio cumulativo”: il numero di persone che è necessario seguire, nel corso della loro vita, perché una di queste abbia la probabilità di ammalarsi di cancro. Questa probabilità riguarda ad oggi un uomo ogni due e una donna ogni tre. Se si analizzano i dati nel dettaglio, si scopre che ogni 8 donne una si ammalerà di un tumore alla mammella; un uomo ogni 9 e una donna ogni 36 svilupperanno invece un carcinoma polmonare; 1 maschio ogni 7 un tumore della prostata; un uomo ogni 10 e una donna ogni 17 una neoplasia del colon-retto. 17 18 Tabella 1. Numero totale di nuovi casi di tumore stimati per il 2013 (Popolazione italiana residente da previsioni ISTAT) Sede Vie aerodigestive superiori Esofago Stomaco Colon-retto Colon Retto Fegato Colecisti e vie biliari Pancreas Polmone Osso Cute (melanomi) Cute (non melanomi) Mesotelioma Sarcoma di Kaposi Tessuti molli Mammella Utero cervice Utero corpo Ovaio Prostata Testicolo Rene, vie urinarie (rene, pelvi e uretere) Parenchima Pelvi e vie urinarie Vescica (tumori infiltranti e non infiltranti) Sistema nervoso centrale Tiroide Linfoma di Hodgkin Linfoma non-Hodgkin Mieloma Leucemie Tutti i tumori, esclusi carcinomi della cute Maschi 7.200 1.400 7.900 31.400 21.900 9.500 8.900 2.100 5.800 27.000 400 5.300 38.500 1.300 500 1.100 1.100 35.800 2.200 8.400 7.000 1.400 22.100 3.200 4.100 1.300 6.900 2.700 4.400 199.500 Femmine 2.300 600 5.300 23.200 17.000 6.200 4.300 2.400 6.400 11.200 200 5.100 32.900 400 200 700 46.900 2.000 8.200 4.800 4.300 3.600 700 5.100 2.500 12.200 1.000 5.900 2.500 3.500 166.500 I numeri del cancro in Italia Nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati circa 366.000 nuovi casi di tumore (quasi 1.000 al giorno), di cui 200.000 (55%) negli uomini e 166.000 (45%) nelle donne1. [Tabella 1, nella pagina a sinistra] I tumori più frequenti Il cancro più diffuso (escludendo le neoplasie della pelle) è quello del colon-retto, con oltre 54.000 nuove diagnosi l’anno. Seguono il carcinoma della mammella (48.000 casi, di cui il 98% nelle donne), del polmone (38.000, quasi il 30% nel sesso femminile), della prostata (36.000 diagnosi) e della vescica con 27.000 casi (22.000 tra gli uomini, 5.000 tra le donne)1. [Tabella 2] In Italia il cancro colpisce più nelle regioni settentrionali rispetto a quelle meridionali. I motivi di questo fenomeno possono essere legati alla minore esposizione a elementi cancerogeni al Sud (fumo di tabacco, inquinamento ambientale) e allo stile di vita alimentare (dieta mediterranea) e riproduttivo (maggior numero di figli). Tabella 2. Prime cinque neoplasie più frequentemente diagnosticate e proporzione sul totale dei tumori (esclusi i carcinomi della cute) per sesso. Pool Airtum 2006-2009 Rango Maschi Femmine Tutta la popolazione 1° 2° 3° 4° 5° Prostata (20%) Polmone (15%) Colon-retto (14%) Vescica (10%) Stomaco (5%) Mammella (29%) Colon-retto (14%) Polmone (6%) Utero corpo (5%) Tiroide (5%) Colon-retto (14%) Mammella (13%) Prostata (11%) Polmone (11%) Vescica (7%) 1 A questi si dovrebbero aggiungere i carcinomi della cute. Per le loro peculiarità biologiche e cliniche e per la difficoltà di stimarne esattamente il numero (orientativamente circa 71.000 casi, 38.000 nei maschi e 33.000 nelle femmine) vengono conteggiati separatamente. 19 I numeri del cancro in Italia La sopravvivenza La possibilità di sopravvivere a un tumore dipende soprattutto da due fattori: la prevenzione secondaria (adesione a programmi di screening) e le terapie. Più precoce è la diagnosi, maggiore è la probabilità di essere efficacemente curati. La sopravvivenza a 5 anni è aumentata notevolmente nell’ultimo quarantennio. Alla fine degli anni ’70 era stimata al 33% ed è salita al 47% nei primi anni ’90. Dal 2004 al 2007 la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 57% tra gli uomini e del 63% per le donne. 20 Le cure contro il cancro Esistono diversi approcci nel trattamento delle neoplasie. Sono rappresentati dalla chirurgia, dalla chemioterapia, dalla radioterapia, dall’immunoterapia e dalle terapie biologiche. Queste armi possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione. Nel corso degli anni la ricerca ha portato a terapie sempre più efficaci, in grado di ridurre la mortalità, con effetti collaterali minori. Dopo la fine di ogni tipo di trattamento, sono necessari esami periodici di controllo. Questa pratica clinica si chiama follow-up e ha come obiettivo la gestione di possibili complicanze, legate al trattamento utilizzato e all’eventuale ricomparsa di cellule tumorali. Il programma di follow-up deve tenere conto della storia naturale della neoplasia (velocità di crescita del tumore, sede, modalità e rischio di ripresa, tossicità tardive, beneficio della diagnosi precoce). Chirurgia Il ricorso al bisturi è, salvo alcune eccezioni, il primo passo nel trattamento dei tumori. Quando la diagnosi è precoce e la massa ha dimensioni ridotte, può costituire l’unica terapia necessaria. In altri casi, la chirurgia va affiancata alla chemioterapia o ad altre tipologie di cura. I clinici possono sconsigliare l’intervento se il cancro è molto esteso e la malattia è in fase avanzata. Quando il tumore è situato in una posizione molto delicata, il ricorso al bisturi potrebbe provocare danni a organi e tessuti adiacenti. In questo caso è preferibile ricorrere ad altre terapie. Dopo l’operazione chirurgica il paziente può sentire freddo, nausea, sonnolenza, confusione e debolezza. Il livello del malessere varia in base alla tipologia dell’intervento e di anestesia. Alcuni problemi continuano anche dopo il rientro a casa. In seguito a un’operazione al seno o al torace il dolore può persistere ed è quindi necessario assumere antidolorifici. Altre conseguenze a lungo termine di molti interventi chirurgici oncologici sono le cicatrici cutanee e il linfedema, un rigonfiamento del braccio o della 21 Le cure contro il cancro 22 gamba che può verificarsi dopo l’asportazione dei linfonodi ascellari o dell’inguine. Anche la chirurgia è stata investita in maniera notevole dal progresso tecnologico, soprattutto dal punto di vista strumentale. Ad esempio, l’arresto delle emorragie (emostasi) è possibile con una precisione prima impensabile, grazie a nuovi dispositivi di elettrocoagulazione bipolare o a ultrasuoni. Vengono utilizzate con successo anche una serie di sostanze o supporti adesivi a base di collagene o fibrina, applicabili sotto forma di spray, tessuto o materiale spugnoso. I fili di sutura riassorbibili di nuova generazione riducono le infezioni e garantiscono un migliore risultato estetico. Le suturatrici meccaniche lineari e circolari con punti in titanio, proposte già dai chirurghi russi negli anni ’70, sono oggi disponibili in un’estrema varietà di forme e misure e trovano ormai ampio utilizzo le tecnologie laser di ultima generazione. Così come la chirurgia laparoscopica, che ha reso le procedure meno traumatiche per il paziente (cicatrici minime, dolore ridotto, dimissioni anche entro 48 ore, rapida ripresa delle normali attività lavorative). Infine, l’asportazione totale dell’organo è stata sostituita progressivamente da interventi individualizzati dove la resezione completa, ma il più possibile conservativa, si inserisce in un programma multidisciplinare. Questo può variare in relazione alle caratteristiche cliniche e biologiche della malattia, ma anche alle diverse esigenze sociali, culturali e allo stato di benessere del paziente. Chemioterapia La chemioterapia si basa sulla somministrazione di specifici farmaci (chiamati citotossici o antiblastici), che distruggono le cellule tumorali e interferiscono con la loro crescita, prevenendone la riproduzione. Un trattamento chemioterapico può essere costituito da una o più molecole. La decisione su quale terapia utilizzare deve tenere conto di una serie di fattori: tipo e stadio del tumore, condizioni biologiche, età, sesso, stato e condizioni generali del malato, ecc. I chemioterapici vengono di solito somministrati per via: ·endovenosa, in strutture ospedaliere ·orale, generalmente sotto forma di compresse. La chemioterapia rappresenta tuttora il trattamento cardine dei tumori. Si basa su farmaci più efficaci e meno tossici rispetto a quelli utilizzati fino ad alcuni anni fa. Sono disponibili terapie che non provocano caduta dei capelli, altre ancora che rispettano la produzione di globuli bianchi e rossi e piastrine da parte del midollo osseo. Alcuni trattamenti aumentano ulteriormente la tollerabilità della chemioterapia. Ad esempio, è possibile combattere nausea e vomito, debellare stanchezza e fatigue, ridurre il rischio di infezioni, in modo da affrontare meglio il percorso di cura. La chemioterapia può essere: · adiuvante, quando viene eseguita dopo il trattamento chirurgico, con lo scopo di eliminare eventuali cellule tumorali non visibili. In questo modo si riduce il rischio di recidiva della malattia · neoadiuvante, se eseguita prima di un’operazione, per diminuire le dimensioni del tumore e facilitarne l’asportazione. Quando la neoplasia non può essere eliminata, perché le metastasi sono già diffuse nell’organismo, i chemioterapici possono prolungare la sopravvivenza del paziente. Il trattamento può anche migliorare alcuni sintomi causati dalla massa tumorale. L’uso di grandi quantità di farmaci chemioterapici può preparare l’organismo a un trapianto di midollo osseo o di cellule staminali. 23 Come funziona e gli effetti collaterali I farmaci chemioterapici raggiungono le cellule tumorali attraverso il sangue, impedendone la divisione e riproduzione. Un trattamento chemioterapico è costituito da più cicli, composti a loro volta da un numero variabile di sedute, intervallati da Gli effetti collaterali più frequenti Caduta dei capelli è uno degli effetti più temuti, ma non riguarda tutti i farmaci. Solitamente ricrescono nell’arco di 3-6 mesi dopo la conclusione del ciclo di terapia Nausea e vomito le sedute di chemioterapia, in alcuni casi, provocano conati di vomito e forte senso di nausea. Esistono farmaci specifici (antiemetici) efficaci nella stragrande maggioranza dei casi Stanchezza è una normale reazione del corpo alla malattia e ai farmaci. Questa sensazione a volte prosegue anche dopo la fine del trattamento Infezioni la distruzione delle cellule sane tende a indebolire la capacità dell’organismo di rispondere alle infezioni. In particolare, si presentano con facilità irritazione e ulcere alla bocca. Generalmente sono curate con antibiotici e sciacqui periodici Anemia i trattamenti (o la malattia stessa) possono generare perdita di emoglobina e/o globuli rossi, diminuendo così la capacità di trasportare ossigeno nel sangue. Ne derivano varie conseguenze, tra cui la stanchezza cronica. Anche in questo caso esistono farmaci specifici Piccole emorragie alcune molecole possono compromettere l’azione delle piastrine e rallentare così la coagulazione del sangue. Durante i cicli possono sopraggiungere emorragie nasali, lividi o abbondanti perdite ematiche a fronte di piccoli tagli o graffi. A volte è quindi necessaria una trasfusione di piastrine Dolore può essere causato direttamente dal tumore, oppure dagli effetti collaterali delle terapie. È importante che il paziente riferisca sempre al medico i sintomi riscontrati. A seconda dell’intensità vengono utilizzati diversi medicinali (antinfiammatori non steroidei, codeina, morfina, metadone) Le cure contro il cancro 24 un periodo di pausa. Quindi, nei tre/sei mesi che costituiscono la fase di trattamento, si effettuano in genere da tre/quattro a sei/otto cicli. Ognuno dura alcuni giorni ed è seguito da un periodo di riposo. Il numero totale di sedute dipende dalla risposta del tumore alla terapia. Durante la pausa dalle cure, le cellule e i tessuti normali si riprendono dai danni causati dai farmaci. I chemioterapici possono, infatti, agire anche sulle cellule sane provocando effetti collaterali. Le parti sane dell’organismo più esposte alle controindicazioni sono l’apparato digerente, la mucosa della bocca, il midollo osseo e i follicoli piliferi. Gli effetti collaterali variano in base alla tipologia di trattamento e alle condizioni generali di salute del paziente. Molti disturbi sono temporanei e diminuiscono, fino a scomparire, alla conclusione della terapia. Radioterapia L’uso di radiazioni ad alta energia permette di colpire e distruggere le cellule tumorali, con l’ulteriore obiettivo di danneggiare il meno possibile quelle sane. La radioterapia è utilizzata da sola oppure dopo l’intervento chirurgico. Ogni anno in Italia sono sottoposti a questo trattamento oltre 110.000 pazienti. La radioterapia può essere impiegata a scopo: · curativo: elimina le cellule tumorali e cura così la malattia · p rofilattico: impedisce che i nuclei di cellule tumorali microscopiche possano di nuovo proliferare nel tessuto sano. Di solito viene impiegata con questa finalità dopo un intervento chirurgico · p alliativo: allevia i sintomi quando la patologia non può essere curata. La dose totale di radiazioni è più bassa di quella usata per scopo curativo, la durata complessiva del trattamento minore. I possibili effetti collaterali della radioterapia sono paragonabili a quelli provocati dai farmaci chemioterapici: vomito, nausea, diarrea, stanchezza cronica, tosse e dolore a livello toracico. Durante le sedute possono comparire sulla pelle forti arrossamenti, simili a quelli provocati da un eritema solare. Questa irritazione cutanea si chiama radiodermite, che può a volte far sospendere il trattamento. I medici consigliano ai pazienti di portare vestiti non aderenti ed evitare camicie dal collo stretto e cravatte. Le donne sottoposte a irradiazione della mammella non devono indossare il reggiseno, perché lo sfregamento delle spalline e delle bretelle può irritare la pelle. Al termine dei trattamenti si può avere difficoltà a deglutire o a bere bevande molto calde o fredde. La brachiterapia La brachiterapia è una forma particolare di radioterapia, praticata soltanto in alcuni ospedali: la sorgente radioattiva viene introdotta, in forma sigillata, direttamente nel tessuto malato o nelle immediate vicinanze. Le modalità di irradiazione sono due: · i nterna (o endocavitaria), la fonte radioattiva è inserita in organi cavi (cervice uterina, esofago, trachea e bronchi) · interstiziale, in cui piccole sorgenti radioattive sono impiantate all’interno del tessuto tumorale con tecniche chirurgiche mini-invasive Vista la sua particolarità, questo trattamento comporta il rischio di esposizione alle radiazioni per il personale ospedaliero, i familiari e gli amici che vanno a trovare il paziente. Quindi, durante il tempo in cui la terapia è in corso, è necessario adottare le dovute precauzioni per proteggere tutte le persone nelle vicinanze. Sono misure di sicurezza che prevedono anche limitazioni alle visite e possono, a volte, far sentire soli. È importante parlarne con il medico. Il timore di emettere radioattività anche al termine del trattamento è però infondato perché ogni pericolo scompare una volta rimossa la sorgente. Immunoterapia L’immunoterapia è la quarta arma per sconfiggere il tumore, che si aggiunge a chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Questo tipo di trattamento stimola le cellule del sistema immunitario a combattere la malattia e persegue una strategia opposta a quella delle terapie “classiche”. Non colpisce direttamente le cellule tumorali, ma attiva i linfociti T del paziente (potenti globuli bianchi capaci di eliminare o neutralizzare le cellule infette o anormali), che diventano in grado di distruggere il tumore. Diversi studi hanno valutato farmaci immunoterapici nel trattamento di vari tipi di neoplasie, tra cui soprattutto il carcinoma renale e il melanoma, ma anche il cancro della prostata e del polmone. Anche se non tutti i pazienti rispondono all’immunoterapia, vari studi evidenziano una riduzione della massa tumorale di lunga durata e un aumento della sopravvivenza, che possono essere superiori a quanto generalmente osservato con la chemioterapia, quando questa risulta efficace. Come funziona e gli effetti collaterali L’immunoterapia funziona stimolando le cellule del sistema immunitario a combattere il tumore, per esempio alcuni anticorpi colpiscono componenti specifici che regolano il sistema immunitario del paziente. La maggior parte delle immunoterapie oncologiche agisce specificamente sui linfociti, modificandone o influenzandone la funzione nel sistema immunitario. L’effetto clinico dell’immunoterapia (ritardato) è diverso rispetto a quello delle 25 Le cure contro il cancro Immunoterapia, cenni storici 26 L’idea che il sistema immunitario potesse essere in grado di proteggere l’organismo dallo sviluppo di tumori risale addirittura agli inizi del Novecento. Ma furono solo i primi esperimenti scientifici, svolti nella seconda metà del secolo scorso, a generare evidenze sperimentali che definirono chiaramente il ruolo del ‘network di sorveglianza’ dell’organismo in questo ambito. In seguito, grazie all’identificazione di determinate categorie di antigeni associati al cancro, si sono potuti ipotizzare per la prima volta trattamenti mirati esclusivamente alle cellule tumorali. Basandosi su queste rivoluzionarie scoperte, i ricercatori hanno potuto successivamente sviluppare vaccini terapeutici per certi tipi di tumori. L’identificazione degli antigeni ha permesso anche di formulare l’ipotesi dell’immunosorveglianza: il sistema immunitario riuscirebbe a controllare la crescita incontrollata delle cellule tumorali tramite i linfociti T. Nelle persone immunodepresse aumenterebbe quindi il rischio di sviluppare un tumore. Ipilimumab è il primo farmaco immunoterapico ad essere stato approvato (nel 2011, dall’FDA, l’autorità regolatoria statunitense) per il trattamento del melanoma metastatico. altre terapie convenzionali (immediato), perché le risposte immunologiche possono richiedere un po’ di tempo prima di tradursi in evidenza clinica. Quindi un beneficio può essere visto solo dopo alcuni mesi dall’inizio del trattamento. Gli eventi avversi osservati con l’immunoterapia sono diversi da quelli che si manifestano con la chemioterapia tradizionale, che non è selettiva e colpisce quindi anche le cellule sane. Con l’immunoterapia, invece, il potenziamento della “sorveglianza” può portare a un aumento delle “difese” in altre parti del corpo, in cui lo stimolo non è necessario. Si possono verificare, ad esempio, infiammazioni temporanee a livello gastrointestinale o sulla pelle, sotto forma di eruzioni cutanee. Non si tratta comunque di una gestione particolarmente complessa: gli effetti collaterali sono generalmente inferiori rispetto ai trattamenti “classici”. L’altro aspetto fondamentale è legato ancora al meccanismo d’azione del farmaco immunoterapico e riguarda il tempo di insorgenza degli effetti collaterali: non si tratta di poche ore o qualche giorno ma, anche in questo caso, esiste una latenza decisamente più lunga. Possono trascorrere anche 6-7 settimane dall’inizio della terapia prima che si verifichi il picco di eventi avversi. Rispetto al trattamento con le terapie target, il tempo di latenza del farmaco immuno-oncologico non genera risultati visibili nell’immediato. Proprio perché non colpisce direttamente le cellule tumorali ma attiva prima il sistema immunitario per ottenere la risposta. In certi casi non si è quindi in grado nemmeno di valutare il reale beneficio clinico nei tempi standard della terapia oncologica. È possibile notare anche un iniziale aumento della massa tumorale, seguito solo in un secondo tempo dalla regressione. In generale, comunque, possono trascorrere anche 16-20 settimane perché si verifichi la risposta immunitaria. Terapie biologiche Le terapie biologiche, dette anche target therapy, sono rivolte contro quei meccanismi che controllano la crescita e la diffusione del cancro (bersagli molecolari). Possono includere: ·anticorpi monoclonali ·fattori di crescita ·vaccini ·terapie genetiche Sono trattamenti mirati ai processi specifici del tumore e si differenziano notevolmente da altri tipi di intervento, come la chemioterapia o la radioterapia. L’obiettivo è realizzare l’antico sogno della “pallottola magica”, capace di eliminare il cancro senza alcun danno per i tessuti sani. I risultati ottenuti in questi ultimi anni sono entusiasmanti. L’era delle terapie biologiche è iniziata negli anni ’90 del secolo scorso. Imatinib, capostipite degli inibitori della tirosin-chinasi, ha cambiato radicalmente le prospettive di cura per i pazienti colpiti da leucemia mieloide cronica: il farmaco si è addirittura guadagnato la copertina di Time Magazine il 28 maggio 2001. I primi progressi portarono alla scoperta di numerose molecole, che hanno determinato significativi miglioramenti nei tassi di sopravvivenza e nella riduzione della tossicità. In questo modo è stato possibile identificare i pazienti con specifiche anomalie cellulari e prescrivere loro il trattamento potenzialmente più efficace. Da allora, come diretta conseguenza, alle persone non idonee vengono risparmiate cure non necessarie e relativi effetti collaterali. Si è così entrati nell’era della medicina personalizzata. Cosa sono le terapie mirate Questi nuovi concetti farmacologici sono alla base delle target therapy, cioè dei farmaci – cosiddetti “biologici” o “intelligenti” – che agiscono selettivamente su recettori cellulari specifici. Questa azione selettiva influenza il risultato terapeutico e risparmia le cellule sane dall’azione degli altri agenti terapeutici, con un miglioramento quindi della tollerabilità del trattamento. A tutto vantaggio del paziente e della sua qualità di vita. Altro punto a favore delle target therapy è la possibile sinergia con chemio e radioterapia. Inoltre, dati della ricerca clinica sostengono la possibilità di impiegare un’ampia gamma di farmaci, indirizzati su differenti bersagli molecolari. La restrizione maggiore al loro impiego è lo spettro d’azione limitato a quelle particolari neoplasie che dipendono da alterazioni molecolari specifiche. Senza dimenticare i loro costi molto elevati, che implicano una selezione attenta dei pazienti. 27 Le cure contro il cancro Come funzionano Le terapie mirate possono agire su uno o più fronti, in particolare l’anti-angiogenesi è la via che oggi appare più promettente. Si cerca di ostacolare lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni, fondamentali per nutrire il cancro. Basti pensare che, con queste molecole, è possibile aumentare la sopravvivenza in pazienti colpiti da tumori del colon-retto, della mammella, del polmone e del rene in stadio anche molto avanzato, risultati impensabili con la sola chemioterapia. I mediatori più studiati sono i fattori di crescita, in particolare il Vascular Endo- 28 La psiconcologia Tra i malati di cancro esiste un forte disagio emozionale inquadrabile come distress. I principali studi effettuati in questi anni dimostrano infatti che il 30-35% delle persone con tumore presenta sintomi di sofferenza psicologica (es. ansia, depressione). Un punto chiave, ampiamente dibattuto, riguarda la necessità di cogliere in maniera precoce questo disagio, inserendo anche strumenti di controllo nelle cartelle cliniche (es. termometro del distress). Come sottolineato dalla Società Italiana di Psiconcologia (SIPO) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), in Italia è forte l’esigenza di affrontare queste sofferenze con programmi di screening e con l’attuazione di percorsi integrati. Tenendo conto del ruolo del supporto psicologico al paziente, ai familiari e anche all’équipe curante. Sono oggi disponibili diversi interventi specifici e di provata efficacia, che impattano in modo positivo sul benessere del paziente. Nonostante questa vasta serie di dati a favore del supporto psiconcologico, in Italia la situazione risulta precaria. Rispetto al primo censimento effettuato nel 2005 da SIPO e FAVO, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, la realtà nel nostro Paese è certamente migliorata. Sono aumentati ad esempio i servizi, ma lo scenario resta assai difforme sul territorio. Ad oggi sono oltre 300 i centri, nelle diverse Regioni, in cui è disponibile un’assistenza in senso psiconcologico. Ma: ·la maggior parte (56%) delle strutture è al Nord; ·quasi la metà dei servizi risulta attiva in centri non pubblici; ·la continuità assistenziale non è sempre garantita; ·il rapporto tra personale strutturato e precario è in favore di quest’ultimo (62%); ·un terzo (30%) della forza lavoro impiegata è costituito da specializzandi in tirocinio e frequentatori volontari. Un ulteriore terzo (34%) è formato da personale a contratto; ·la maggior parte del carico assistenziale (57%) ricade su una singola figura professionale piuttosto che su un’équipe. Ulteriori criticità riguardano, in particolare, l’insufficienza di risorse economiche dedicate all’area, la mancanza di spazi adeguati, la precarietà della figura dello psiconcologo. Mentre in altri Paesi esiste infatti un suo riconoscimento come parte integrante dell’équipe multidisciplinare, in Italia questo non si è mai verificato, malgrado la psiconcologia sia stata inserita nelle aree programmatiche del Piano Oncologico Nazionale 2011-2013. thelial Growth Factor (VEGF). Negli ultimi anni molti trattamenti chemioterapici sono risultati sempre meno efficaci a causa della resistenza stessa della malattia. Gli anti-angiogenici aggirano questo ostacolo, perché i loro target non sono le cellule neoplastiche ma i vasi che le alimentano. Questi vantaggi hanno portato a un nuovo paradigma nel trattamento antitumorale, non più diretto a distruggere le cellule cancerose ma a colpirle, tenendole sotto controllo. Come ha scritto Moses Judas Folkman, uno dei padri di questa nuova branca della medicina: “Arrestare la crescita tumorale potrebbe portare i pazienti a convivere per anni con il tumore come con una malattia cronica quale il diabete”. Verso una nuova classificazione dei tumori La possibilità di conoscere il profilo genetico e molecolare di ogni singolo tumore ha determinato quindi una rivoluzione nell’affrontare queste malattie, dal punto di vista diagnostico, prognostico e terapeutico. In un futuro non lontano, un cancro del colon e uno della mammella che condividono alterazioni genetiche identiche potranno essere classificati in uno stesso gruppo, pur nascendo da tessuti diversi. Invece, due neoplasie che originano dallo stesso organo potranno essere incluse in categorie completamente differenti. Gli oncologi oggi tendono a scegliere le terapie in base alla biologia del tumore e alle mutazioni genetiche che trasformano le cellule sane in cancerose. La chemioterapia rappresenta, ancora oggi, l’unica scelta per affrontare alcuni tipi di neoplasie. Ma nei tumori in cui è possibile identificare specifici bersagli molecolari le opportunità offerte dai nuovi farmaci sono, in determinati casi, straordinarie. 29 I big killer Tumore del polmone Nel 2013 ha colpito in Italia oltre 38.000 persone (70% uomini e 30% donne) e ha causato 34.000 decessi. Rappresenta l’11% di tutte le nuove diagnosi di cancro nel nostro Paese. è la prima causa di morte per tumore nei maschi (26%) e la terza nelle donne (11%). Si calcola che un uomo su 9 e una femmina su 36 possano sviluppare un cancro al polmone nel corso della vita. Negli ultimi anni si è registrato un progressivo e preoccupante aumento di casi nelle donne, dovuto al diffondersi del vizio del fumo. È infatti statisticamente dimostrato che il consumo di prodotti a base di tabacco sia responsabile dell’85-90% dei casi di neoplasie polmonari. La probabilità di sviluppare la malattia aumenta di 14 volte nei tabagisti rispetto ai non fumatori (e fino a 20 volte nelle persone che consumano oltre 20 sigarette al giorno). è una patologia subdola che, spesso, non presenta sintomi fino allo stadio avanzato. Non vi è accordo fra gli esperti sull’opportunità di sottoporre a esami periodici le persone a rischio (perché fumatrici o ex fumatrici). Si distinguono due tipi principali di cancro del polmone, a seconda dell’aspetto delle cellule all’esame microscopico: non a piccole cellule (la forma più comune); a piccole cellule (meno frequente, ma con maggiori probabilità di diffondersi ad altri organi). I progressi La percentuale di persone che hanno superato la malattia da almeno 5 anni è moderatamente aumentata tra i primi anni ’90 e la fine del primo decennio del 2000: dal 10 al 14% nei maschi e dal 12 al 18% nelle femmine. La chemioterapia è il trattamento di prima scelta per la maggior parte dei casi di tumore del polmone a piccole cellule e non a piccole cellule. Un’opzione terapeutica sempre più efficace è costituita dalle terapie biologiche. In particolare, l’uso di test genetici consente la selezione dei pazienti in cui queste terapie possono funzionare. L’operazione chirurgica invece varia in relazione alle dimensioni e alla posizione 31 I big killer del cancro: la pneumonectomia si esegue quando le dimensioni del tumore sono importanti e consiste nell’asportazione dell’intero polmone. La radioterapia, infine, è uno dei trattamenti che possono essere impiegati nella variante non a piccole cellule, in particolare quando il cancro non è ancora diffuso. Può essere utilizzata anche per alleviare sintomi legati alla malattia, come mancanza di respiro, tosse e dolore. 32 Tumore del seno Nel 2013 nel nostro Paese sono stati diagnosticati circa 48.000 nuovi casi di cancro al seno e 12.500 decessi. Si stima che una donna su 8 si ammalerà nel corso della vita. Il tumore alla mammella rappresenta la neoplasia femminile più diagnosticata: circa un tumore maligno ogni tre è un carcinoma mammario. In totale, nel nostro Paese vivono 522.235 donne (stima per il 2006) con una diagnosi di questa malattia. Il suo sviluppo avviene nelle ghiandole dove si produce il latte oppure nei dotti, da dove il latte arriva al capezzolo. Anche se non è possibile indicare una causa precisa, i fattori di rischio più probabili sono: l’età (prima dei 30 anni è raro, dopo i 40 si assiste a un graduale aumento dell’incidenza); l’assenza di gravidanze (la gestazione svolge un’influenza protettiva); precedenti patologie benigne al seno; familiarità (il 5-10% di tutte le neoplasie sono da imputare a questa predisposizione); sovrappeso e obesità; stile di vita sedentario; fumo; abuso di alcol e alimentazione scorretta. I progressi La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è in moderato e costante aumento da molti anni (78% per le donne ammalate dal 1990 al 1992, 87% dal 2005 al 2007), in relazione a diverse variabili, tra cui l’anticipazione diagnostica attraverso lo screening radiologico e il miglioramento delle terapie. Per l’individuazione precoce del tumore, i medici raccomandano l’autopalpazione del seno una volta al mese e altri esami clinici più approfonditi. La mammografia può indicare un carcinoma mammario in uno stadio precoce, quando la neoplasia si evidenzia con dimensioni piccole e sviluppo minore, pertanto il trattamento può essere più efficace e la possibilità di guarigione molto elevata. La diffusione su larga scala in Italia della mammografia, dalla seconda metà degli anni ’90, ha ridotto il numero di decessi e ha notevolmente ridotto gli interventi di mastectomia. È indicata in tutte le donne, dai 50 anni ai 69 anni, con cadenza biennale. Nella fascia di età tra i 40 e 50 anni andrebbe eseguita personalizzando la cadenza dell’esame sulla base di alcuni fattori di rischio cui la paziente è portatrice, quali la storia familiare e la densità del tessuto mammario. Le attuali opzioni terapeutiche comprendono la chirurgia (possibile solo negli stadi iniziali della patologia e in alcuni casi di metastasi singole), la radioterapia, la chemioterapia, le terapie biologiche e l’ormonoterapia (o terapia ormonale). Queste armi si possono usare da sole o in combinazione, in base allo stadio della malattia, alle sue catteristiche biologiche e ad alcune peculiarità del paziente (età, patologie preesistenti, ecc.). In particolare, la chirurgia nel tumore della mammella ha compiuto progressi notevolissimi, passando dai primi interventi mutilanti a quelli cosiddetti “conservativi”, che mirano cioè a eliminare solo la massa tumorale e il tessuto immediatamente adiacente al tumore e preservando il più possibile il muscolo. Fu Umberto Veronesi, all’Istituto Nazionale Tumori di Milano, il primo a parlare di quadrantectomia, cioè di asportazione di un solo “quadrante” della mammella. I progressi in questo campo consentono inoltre di ricostruire il seno già durante la mastectomia, evitando alla paziente il distress psicologico dovuto ad un radicale cambiamento dell’immagine corporea, un nuovo intervento chirurgico e garantendo un miglior recupero. La quadrantectomia è l’opzione terapeutica principale nei casi in cui il tumore non presenta dimensioni importanti ed è rimasto confinato all’organo. È stato un oncologo italiano, Gianni Bonadonna, il primo a introdurre la chemioterapia, cioè la cura attraverso i farmaci, per il tumore del seno. Il contributo delle ricerche di Bonadonna è stato decisivo. Infatti l’American Society of Clinical Oncology (ASCO) ha istituito nel 2007 il “Gianni Bonadonna Breast Cancer Award and Lecture”, che viene assegnato ogni anno ad un ricercatore che si sia distinto in questo campo. Di recente, nei casi operati ma ad alto rischio di recidiva per l’interessamento dei linfonodi ascellari, la somministrazione di regimi accelerati (più ravvicinati) di chemioterapia ha prodotto un tasso minore di ricaduta rispetto a trattamenti più convenzionali. Questo risultato è dovuto a studi di un gruppo cooperativo italiano (GIM-Gruppo Italiano Mammella) coordinati dagli Istituti di Roma, Genova e Napoli che coinvolge 150 Istituzioni italiane. La recente introduzione di nuove molecole biologiche ha rivoluzionato le aspettative terapeutiche e incrementato le possibilità di guarigione nelle pazienti colpite da una forma particolarmente aggressiva, il tumore al seno HER2 positivo (sigla che indica la proteina prodotta da un gene specifico) e che si trova espressa in una donna su 4 con tumore al seno. In questi casi, l’uso di test genetici consente la selezione delle pazienti in cui queste terapie possono funzionare. Nella lotta contro questa neoplasia gli oncologi hanno a disposizione un’ulteriore arma, l’ormonoterapia. Consiste nella somministrazione di farmaci che bloccano 33 I big killer l’attività degli ormoni estrogeni, coinvolti nello sviluppo di almeno un terzo dei tumori mammari. La possibilità di ricorrere a questo tipo di terapia dipende dalla presenza di recettori estrogenici (e/o progestinici) sulle cellule tumorali. Tumore del colon-retto 34 è in assoluto il tumore più frequente nella popolazione italiana, con quasi 55.000 diagnosi stimate nel 2013 (oltre 20.000 i decessi). Rappresenta la quarta neoplasia più diffusa a livello mondiale. È abbastanza rara prima dei 40 anni, sempre più frequente a partire dai 60. I fattori di rischio più importanti sono costituiti da stili di vita scorretti e familiarità. Numerose ricerche hanno dimostrato come un consumo eccessivo di carni rosse, insaccati, farine e zuccheri raffinati, unito a una dieta povera di frutta e verdura, possa favorire lo sviluppo della patologia. Senza dimenticare altre condizioni e abitudini errate come: sovrappeso, scarsa attività fisica, fumo e abuso di alcol. Circa un terzo dei tumori del colon-retto dipende da fattori ereditari. Il rischio infatti aumenta di 2-3 volte in chi ha un familiare di primo grado (padre, madre o fratello) già colpito dalla malattia. Questo tumore spesso non manifesta particolari sintomi, almeno nelle prime fasi. Nella maggior parte dei casi deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi: piccole escrescenze, di per sé benigne, dovute alla riproduzione incontrollata delle cellule della mucosa intestinale. Il programma di screening del colon-retto è indirizzato a uomini e donne dai 50 ai 69 anni di età. È un intervento di prevenzione attiva, mediante il test di ricerca di sangue occulto nelle feci e successiva colonscopia nei casi positivi, con ripetizione regolare ogni 2 anni. Lo screening può consentire il riscontro e la rimozione di adenomi prima della trasformazione in carcinoma e l’eventuale diagnosi di neoplasia in stadio iniziale. La prevenzione è fondamentale: il tumore del colon-retto si può evitare seguendo uno stile di vita sano. Infatti, un consumo regolare di frutta e verdura, l’assunzione di vitamina D e calcio e un esercizio fisico costante possono ridurre il rischio di ammalarsi. I progressi La malattia presenta una prognosi sostanzialmente favorevole e in progressivo aumento: dal 50% a 5 anni dei primi anni ’90 al 64% del 2005-2007 nei maschi, a rispettivamente 51% e 63% nelle donne. La terapia di prima scelta è costituita dalla chirurgia. Anche in questa forma di tumore (come nel seno), gli interventi ormai non sono demolitivi, ma sempre più conservativi. La chemioterapia è utilizzata sia nella malattia operabile sia in quella avanzata, non operabile. Diversi studi hanno evidenziato l’efficacia della chemioterapia adiuvante, cioè effettuata dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di recidiva. La radioterapia è indicata nella fase postoperatoria insieme alla chemioterapia, ma trova indicazione anche nella fase preoperatoria, da sola o in associazione alla chemioterapia. Negli ultimi anni l’introduzione di farmaci biologici sempre più efficaci ha contribuito a migliorare le percentuali di sopravvivenza. In particolare, l’uso di test genetici consente la selezione dei pazienti in cui queste terapie possono funzionare. Tumore della prostata Nell’ultimo decennio è diventata la forma di cancro più frequente fra gli uomini nei Paesi occidentali. Il carcinoma prostatico rappresenta il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età. Nel 2013, si sono stimati nel nostro Paese circa 36.000 nuovi casi e 9.000 decessi. La neoplasia non presenta sintomi specifici. I disturbi che si possono riscontrare sono gli stessi dell’iperplasia prostatica benigna, una patologia molto frequente negli over 50, che si manifesta attraverso frequente e incontenibile necessità di urinare (sia di giorno che di notte), possibile dolore alla minzione e presenza di sangue nelle urine. Le cause del cancro alla prostata rimangono, quindi, ancora sconosciute. È scientificamente provato come alcuni fattori dietetici e comportamentali, oltre all’età, possano essere associati alla malattia. Tra questi, alimentazione (una dieta ricca di grassi), sedentarietà, sostanze chimiche (cadmio, alcuni fertilizzanti e coloranti) e alti livelli di androgeni nel sangue. Per diagnosticare la neoplasia esiste l’esame del PSA. Si tratta di una semplice analisi del sangue che misura la quantità di Prostate Specific Antigene, una proteina secreta dalla ghiandola e normalmente presente nell’organismo in piccole quantità. È dimostrato, infatti, che il livello aumenta in presenza di un tumore. Non tutti gli specialisti però sono d’accordo sulla affidabilità di questo esame. Secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), non è stabilita una soglia standard che indichi con certezza il cancro alla prostata. I valori elevati di PSA possono essere dovuti anche ad altri fattori come infiammazioni o infezioni. In questi casi sono 35 I big killer necessari ulteriori accertamenti, in particolare attraverso la biopsia, per arrivare a una diagnosi più precisa. Al tradizionale test del livello di PSA si possono affiancare due nuovi marcatori (PHI e PCA3). In questo modo è possibile ottenere risultati più specifici e quindi di maggiore affidabilità. I progressi 36 La sopravvivenza dei pazienti con carcinoma prostatico è attualmente attestata al 91% a 5 anni dalla diagnosi, in costante e sensibile crescita. Le principali armi a disposizione sono rappresentate da chirurgia, radioterapia e ormonoterapia. Il ricorso al bisturi è spesso inevitabile per rimuovere la parte del tumore che ostruisce l’uretra, il canale che trasporta l’urina dalla vescica al pene. La radioterapia prevede di solito l’irradiazione esterna, ma in alcuni casi si può procedere anche a quella interna. Il tumore della prostata dipende dagli ormoni maschili, gli androgeni. Può quindi essere curato con l’ormonoterapia, che ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone. Negli ultimi 5 anni vi sono stati cambiamenti decisivi nel trattamento. La sopravvivenza media, infatti, è decisamente migliorata. Un tempo la malattia poteva essere contrastata solo con la terapia antiormonale. Oggi nuovi farmaci chemioterapici hanno cambiato radicalmente le prospettive, anche per la fase metastatica. In alcuni casi (pazienti anziani o con tumori di piccole dimensioni e a basso rischio) si può scegliere di non procedere con nessuna terapia (cosiddetta “attesa vigile”) e di aspettare. Diverse forme di tumore della prostata sono infatti poco aggressive, tendono a rimanere localizzate e a crescere poco. In questi casi, anche in considerazione dell’età, può risultare preferibile mantenere il quadro clinico sotto controllo piuttosto che intervenire e aumentare così il rischio di effetti collaterali. Tumore dello stomaco In Italia nel 2013 si sono stimati circa 13.200 nuovi casi di carcinoma gastrico e 10.000 decessi (il 58% nei maschi). Rappresenta la quinta causa di morte per tumore in Occidente, anche se in Europa e negli Stati Uniti la sua incidenza è in calo. L’Italia si colloca tra i Paesi con livelli di mortalità e incidenza intermedi. Nel nostro Paese i decessi sono minori al Sud e maggiori al Centro-Nord, soprattutto in aree geografiche tradizionalmente a rischio elevato (Appennino tosco-romagnolo e marchigiano). Numerosi studi confermano che il cancro gastrico viene favorito dall’infezione da Helicobacter pylori; dal forte consumo di carni rosse, cibi affumicati e conservati ricchi di nitrati; da un’alimentazione povera di frutta e verdura; dal consumo di sigarette e di alcol. Anche se non si può parlare di tumori ereditari dello stomaco, si è però visto che è più facile ammalarsi in alcuni gruppi familiari. Purtroppo è difficile diagnosticare il cancro gastrico in fase iniziale. I sintomi sono molto generici, possono essere confusi con quelli di una gastrite e spesso compaiono quando la malattia è avanzata. Per scoprirla precocemente e curarla tempestivamente, è importante conoscere i segnali, cioè le “spie” del tumore. I campanelli d’allarme possono essere: cattiva digestione, nausea, mancanza di appetito, dolore dopo aver mangiato (localizzato soprattutto nella parte alta dello stomaco), presenza di ulcera gastrica (può portare la mucosa gastrica a uno stato di progressivo deterioramento e, alla fine, al tumore). I progressi Nel periodo 2005-2007 la sopravvivenza per questa malattia si conferma bassa (34% a 5 anni nei maschi, 36% nelle femmine) e in modesto aumento rispetto ai periodi precedenti. Negli ultimi anni, però, sono stati introdotti in terapia anche alcuni farmaci biologici. In particolare, l’uso di test genetici consente la selezione dei pazienti in cui queste terapie possono funzionare. L’individuazione di bersagli cellulari porterà allo sviluppo di trattamenti sempre più efficaci. L’intervento chirurgico di asportazione dello stomaco (molto spesso totale) rappresenta la tappa fondamentale nel trattamento della neoplasia. In questo caso la cavità gastrica viene rimpiazzata, nel corso dell’intervento, da un’ansa intestinale che, nell’arco di pochi mesi, “impara” a svolgere quelle funzioni di serbatoio che costituiscono il principale ruolo fisiologico dello stomaco. L’approccio polichemioterapico (utilizzo di diversi farmaci chemioterapici) è quello più diffuso. Viene utilizzato soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. La radioterapia è invece un’opzione poco impiegata. Tumore del pancreas Il delicato funzionamento di questo organo può essere messo in discussione da alcune malattie. Infiammazioni più o meno gravi (pancreatiti) sono in grado di danneggiarlo seriamente e, come tutti gli altri organi del nostro corpo, anche il 37 I big killer 38 pancreas può subire l’attacco di un tumore. La sua testa è la sede colpita con maggior frequenza, anche a causa del suo grande volume. Circa il 95% di tutte le neoplasie che lo interessano riguarda la componente “esocrina”, la porzione che produce i succhi pancreatici. Il tumore del pancreas colpisce ogni anno in Italia circa 12.200 persone (la maggior parte di età compresa tra i 60 e gli 80 anni). Si tratta di un nemico insidioso, perché in fase precoce non dà sintomi particolari. Segnali chiari compaiono quando ha ormai iniziato a diffondersi agli organi circostanti o ha bloccato i dotti biliari. Proprio per questi motivi il carcinoma pancreatico è una delle neoplasie a prognosi più infausta: solo il 7% degli uomini e il 9% delle donne risultano vivi a 5 anni. La malattia ha un grande nemico: un corretto stile di vita. In particolare, è dimostrato che le sigarette aumentano del 70% la probabilità di svilupparla. I progressi Non si sono verificati sensibili scostamenti nella sopravvivenza nell’ultimo ventennio. Fino a oggi. Per lunghi anni l’unico trattamento si è basato su un solo farmaco chemioterapico. Recentemente, una combinazione di tre molecole ha determinato un significativo vantaggio, raddoppiando quasi la sopravvivenza dei malati. Purtroppo, solo una piccola frazione di loro può giovarsi di questo trattamento, che è aggressivo e va riservato a persone in buone condizioni generali. Gli ultimi progressi nel campo della ricerca hanno però permesso di compiere ulteriori e promettenti passi avanti. Le protagoniste assolute di questa rivoluzione sono le nanotecnologie, che aprono nuovi orizzonti nella personalizzazione della terapia. Nel caso del tumore del pancreas, un nuovo trattamento sta dando per la prima volta risultati incoraggianti, con un aumento della sopravvivenza del 27%. Il farmaco è in grado di arrivare alla radice del tumore, arrestandone così la crescita. Le altre forme di tumore Tumore del fegato Nel 2013 si sono stimati nel nostro Paese circa 13.200 nuovi casi di tumore del fegato, il 3% di tutte le nuove diagnosi di cancro (con un rapporto di circa 2:1 tra maschi e femmine), e 5.000 decessi. Nei Paesi occidentali, lo sviluppo della malattia è strettamente correlato alla presenza di cirrosi epatica. Circa l’80% dei tumori ha origine da un fegato colpito da cirrosi o da epatite cronica (virus dell’epatite B o dell’epatite C). Altri fattori di rischio includono: abuso di alcol, esposizione ad aflatossine (prodotte da una muffa che cresce in noci, semi e legumi), malattie dovute ad accumulo di ferro, obesità e diabete. Nelle persone affette da epatite B cronica, la malattia di solito progredisce dopo molti anni fino alla fibrosi, alla cirrosi e al cancro del fegato. Nello stesso modo, i pazienti con epatite C cronica rischiano di sviluppare la cirrosi, che aumenta le probabilità di carcinoma epatico. La vaccinazione è il miglior metodo di prevenzione dell’epatite B, ma è efficace solo in chi non è mai stato esposto al virus. Non è ancora disponibile, invece, il vaccino per l’epatite C. I progressi Il 17% degli uomini e il 16% delle donne che hanno sviluppato questa neoplasia risultano ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi. Rispetto ai quinquenni precedenti la speranza di vita appare proporzionalmente migliorata, sia pure nel contesto di una malattia comunque a prognosi infausta. Fino a circa 20 anni fa l’unica opzione terapeutica era rappresentata dalla chirurgia (resettiva e trapianto), ma dagli inizi degli anni Novanta sono state introdotte nella pratica clinica procedure mini-invasive quali la termoablazione, l’alcolizzazione e la chemioembolizzazione. Ulteriori alternative sono rappresentate dalla chemioterapia e dalla radioterapia. La chirurgia è indicata quando il tumore è localizzato, cioè non si è esteso al di fuori 39 Le altre forme di tumore del fegato. Tuttavia solo una piccola quota di pazienti rientra in questi criteri e può beneficiarne. Lo stesso discorso vale per il trapianto, che non può essere considerato una soluzione, anche per il ridotto numero di organi a disposizione. La termoablazione si è dimostrata negli anni molto efficace per il controllo della malattia, con percentuali di recidive locali e di sopravvivenza sovrapponibili a quelle della chirurgia resettiva. Questa tecnica presenta, inoltre, minori complicanze e ha il vantaggio di poter essere ripetuta più volte nel caso in cui compaiano ulteriori lesioni epatiche. Sono in corso sperimentazioni con farmaci biologici e terapie target, capaci di colpire un bersaglio specifico espresso dalle cellule tumorali. 40 Melanoma Il melanoma è il tumore che, nel mondo, ha registrato il maggior incremento negli ultimi 60 anni. Attualmente in Italia è la terza neoplasia più frequente, in entrambi i sessi, al di sotto dei 50 anni. Nel 2013 nel nostro Paese si sono registrati circa 10.500 nuovi casi, con 1.500 decessi. Va sottolineato che l’età dei malati si sta abbassando progressivamente. Dieci anni fa i giovani rappresentavano solo il 5% dei casi e questo tumore della pelle riguardava soprattutto gli over 50. Oggi il 20% delle nuove diagnosi viene formulato in pazienti di età compresa tra 15 e 39 anni. Tra i fattori di rischio ricordiamo: carnagione chiara, precedenti casi in famiglia, la presenza di numerosi nevi congeniti o acquisiti di dimensioni crescenti. Il maggiore fattore di rischio ambientale è stato identificato nelle radiazioni UV: influiscono nella patogenesi le dosi assorbite, il tipo di esposizione (intermittente più che cronica) e l’età (a maggior rischio i bambini e gli adolescenti). Il sole va preso nei tempi e nei modi giusti e non devono essere utilizzati i lettini solari (vietati in Italia agli under 18). Uno studio dello IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha dimostrato che l’esposizione a queste apparecchiature, se avviene in età inferiore ai 30 anni, comporta un aumento di rischio di melanoma del 75%. Una visitata dermatologica annuale permette di identificare le lesioni sospette. Il melanoma, se individuato in fase iniziale, può essere asportato chirurgicamente ed è guaribile nel 90% dei casi. In stadio avanzato, quando si è diffuso ad altre parti del corpo, è più difficile da trattare. Per questo la prevenzione è fondamentale. I progressi Il melanoma se viene riconosciuto in tempo presenta una buona prognosi. Gra- zie alle campagne pubbliche di sensibilizzazione volte ad incoraggiare la diagnosi precoce, la sopravvivenza a 5 anni è aumentata nel corso degli ultimi 20 anni di circa il 15% nei maschi e del 6% delle femmine. Se non viene individuato in fase iniziale, può diffondersi ad altre parti dell’organismo, come fegato, polmoni, ossa e cervello con prognosi sfavorevole nella maggior parte dei casi. Nello stadio avanzato, difficile da trattare con le terapie convenzionali, non si registravano progressi significativi da decenni. Il melanoma si è rivelato il “candidato ideale” nell’applicazione dei principi dell’immunoterapia: un farmaco immunoterapico, con un meccanismo d’azione innovativo, ha rappresentato il primo significativo avanzamento nel trattamento della malattia metastatica negli ultimi trent’anni, con una potenziale sopravvivenza a lungo termine in alcuni pazienti. Inoltre, una nuova terapia mirata si è dimostrata efficace nel migliorare la sopravvivenza nelle persone con melanoma avanzato positive alla mutazione di un gene (presente in circa la metà di tutti i casi). Per individuare i pazienti candidati a questo trattamento è necessario effettuare un test molecolare per verificare la presenza della mutazione genetica. Tumore del rene In Italia nel 2013 si sono registrati circa 12.700 nuovi casi di tumore del rene (e delle vie urinarie), con circa 3.200 decessi. Si tratta di una malattia difficile da diagnosticare perché, soprattutto nelle fasi iniziali, dà pochi segni. Prevale nei maschi (con un rapporto di 2 a 1 fra uomini e donne) e colpisce soprattutto gli over 60. Questa malattia sembra verificarsi più frequentemente nelle aree urbane rispetto a quelle rurali: le cause precise non sono ancora note, ma si conoscono alcuni possibili fattori di rischio, in particolare il fumo di sigaretta. Secondo alcune stime, l’abolizione di questo vizio potrebbe ridurre del 20% la probabilità di sviluppare la malattia. Anche l’obesità e l’ipertensione arteriosa sono stati identificati come fattori favorenti. Inoltre, l’elevato consumo di grassi animali (carni, latticini) può essere una concausa, mentre una dieta ricca di vegetali può svolgere un ruolo protettivo. Esiste inoltre una componente di rischio legata a fattori genetici. I sintomi caratteristici del tumore renale sono tre: presenza di sangue nelle urine (ematuria); dolore al fianco, dorso, addome; massa palpabile. Nel 30% dei casi il riscontro è occasionale: un paziente si sottopone a un accertamento radiologico a livello addominale (ecografia, TAC, RMN) per altri motivi e casualmente viene individuata una massa renale. Questa “accidentalità” è in realtà un evento fortunato perché con- 41 Le altre forme di tumore sente spesso di riscontrare la patologia in uno stadio precoce, guaribile più facilmente in maniera definitiva con l’intervento chirurgico. I progressi 42 Il 69% degli uomini che ha contratto un tumore del rene (e il 65% con diagnosi di tumore a pelvi e vie urinarie) nella seconda metà degli anni 2000 risulta ancora in vita a 5 anni dalla diagnosi. Nello stesso periodo, nelle donne, la sopravvivenza per tumori renali è del 73% a 5 anni. I fondamenti del trattamento del cancro del rene sono oggi costituiti dalla chirurgia e dalla terapia mirata, mentre radioterapia e chemioterapia hanno dato scarsi risultati e rappresentano una scelta secondaria. Il trattamento chirurgico standard consiste nella nefrectomia, cioè nell’asportazione del rene e della parte adiposa che lo avvolge. Se la lesione non è estesa, si può eseguire una nefrectomia parziale, asportando solo il tumore e una parte di rene sano adiacente. La tecnica della laparoscopia consente di asportare il rene attraverso una piccola incisione. Questa operazione ha il grande vantaggio di lasciare una cicatrice molto piccola e, quindi, di avere tempi di recupero più brevi. Inoltre ha evidenziato gli stessi risultati della chirurgia tradizionale. Recentemente sono stati sviluppati nuovi farmaci mirati, promettenti per il trattamento di pazienti con malattia avanzata e metastatica. Questi farmaci svolgono un’azione “anti-angiogenica” (anticorpi monoclonali anti-VEGF), hanno cioè la capacità di inibire la formazione di nuovi vasi sanguigni. Questo meccanismo interferisce con lo sviluppo del tumore che, per crescere, ha bisogno di ossigeno e di sangue e dunque di nuovi vasi sanguigni che lo irrorino. Tumore del testicolo Nel 2013 in Italia si sono registrati circa 2.200 nuovi casi di cancro del testicolo. È la forma di tumore più frequente nei giovani uomini (0-49 anni): rappresenta infatti l’11% del totale delle diagnosi oncologiche in questa fascia di età. La malattia esordisce, solitamente, con alcuni segni che non devono essere sottovalutati: rigonfiamento del testicolo, perdita di volume, sensazione di pesantezza e/o improvvisa formazione di liquido nello scroto, dolore sordo nella parte inferiore dell’addome o all’inguine, dolore o senso di disagio al testicolo, sangue nelle urine. Le cause di questa neoplasia restano sconosciute. È dimostrato che i pazienti con criptorchidismo (testicolo che non discende nello scroto durante lo sviluppo) hanno una probabilità da 10 a 40 volte superiore di sviluppare la malattia. Un altro importante fattore di rischio è la sindrome di Klinefelter, un difetto dei cromosomi. I progressi Il dato di sopravvivenza a 5 anni relativo a questa forma di cancro, già elevato se confrontato con altri tumori, è aumentato costantemente negli ultimi due decenni. Si è passati dall’86% del periodo 1990-92 al 94% del 2005-2007. Se il raffronto viene esteso agli ultimi 40 anni, i dati sono ancora più evidenti: nel 1970 il 90% dei pazienti con cancro testicolare moriva. Dagli anni Novanta, grazie all’introduzione di nuovi farmaci, la situazione si è invertita: oggi il 90% dei malati può essere trattato con successo. Se la malattia è individuata in fase iniziale ed è limitata al testicolo, la chirurgia, con o senza radioterapia, rappresenta la prima scelta. Nelle forme più avanzate, invece, è necessario utilizzare la chemioterapia. Questa neoplasia è estremamente sensibile agli effetti dei farmaci, con cui si raggiungono ottimi risultati. Si tratta quindi di un tumore curabile nella maggioranza dei casi. Soprattutto se viene trattato in centri con esperienza specifica, dove sono presenti tutte le competenze necessarie anche per la gestione delle problematiche correlate ai trattamenti. Prima fra tutte, la preservazione della fertilità. Tumore dell’utero Nel 2013 in Italia 10.200 donne si sono ammalate di tumore dell’utero: 8.200 sono state colpite al corpo dell’utero e 2.000 alla cervice. Quasi tutte le neoplasie del corpo dell’utero originano dalle cellule dell’endometrio e sono chiamate carcinomi endometriali: costituiscono il quarto tumore più frequente nelle donne (4% del totale). Le forme cervicali occupano il quinto posto nelle under 50 (5% di tutte le neoplasie di questa fascia d’età). Per quanto riguarda il cancro dell’endometrio, l’età rappresenta il principale fattore di rischio. Anche obesità (legata a una dieta troppo ricca di calorie e grassi) e diabete possono favorirne lo sviluppo. In una percentuale limitata di casi, il tumore dell’endometrio è associato a una forma eredofamiliare quale la sindrome di Lynch, che predispone soprattutto al tumore del colon ma anche a quello della mammella. La principale causa di sviluppo di un tumore della cervice è invece l’infezione da Papilloma virus (HPV), che si trasmette per via sessuale. Il tumore della cervice uterina può essere prevenuto se si riconosce e si cura l’infezione da HPV oppure 43 Le altre forme di tumore può essere diagnosticato in fase molto iniziale se viene effettuato regolarmente lo screening con il Pap-test. I progressi 44 La mortalità per questi due tumori (cervice uterina e corpo dell’utero) è stabilmente in calo negli ultimi due decenni (–2,1%/anno). La sopravvivenza a 5 anni per i carcinomi cervicali è aumentata negli ultimi 20 anni dal 63% al 71%, mentre per la patologia endometriale è passata dal 73% al 77%. Questi successi indiscutibili sono dovuti in larga parte anche al miglioramento delle procedure diagnostiche e, per il tumore della cervice, all’estensione dello screening con il Pap-test e il test HPV-DNA. Il 98% delle donne con un tumore alla cervice uterina scoperto precocemente è vivo a cinque anni. Se la diagnosi è invece tardiva si scende al 30%. Le opzioni terapeutiche sono costituite da chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Un’arma che si sta rivelando fondamentale per la prevenzione primaria del cancro della cervice uterina è la vaccinazione contro il Papilloma virus (HPV). In Italia, tutte le Regioni hanno avviato questa misura di profilassi contro l’infezione da HPV dalla fine del 2008. L’offerta vaccinale gratuita (come stabilito dal Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale) è limitata alle sole dodicenni, nonostante vi sia la possibilità di estendere la protezione anche alle donne fino ai 45 anni e agli uomini fino ai 26, dal momento che uno dei due vaccini, il quadrivalente, è indicato per entrambi i generi. La profilassi è molto efficace se effettuata prima dell’inizio dell’attività sessuale, perché determina una protezione prima di un eventuale contagio con l’HPV. Tumore della vescica In Italia si sono stimate circa 27.000 nuove diagnosi di tumore della vescica nel 2013 (il 7,4% dei nuovi casi di cancro): 22.000 tra gli uomini e 5.000 tra le donne. Questa neoplasia rappresenta il 3,6% del totale dei decessi per cancro (4,9% tra i maschi, 1,8% tra le femmine). Il principale fattore di rischio è costituito dal fumo di sigaretta. La probabilità di sviluppare la malattia nei tabagisti è da 4 a 5 volte superiore rispetto ai non fumatori. Va sottolineato che circa il 25% dei casi è attribuibile a esposizioni lavorative, in particolare alle amine aromatiche e nitrosamine (frequente nell’industria tessile, dei coloranti, della gomma e del cuoio). Non esistono segni specifici che permettono una diagnosi precoce. Il più frequente, la presenza di sangue nelle urine (ematuria), è infatti comune anche alle infezioni urinarie. Oltre all’ematuria, i principali sintomi iniziali possono essere: la necessità più frequente di minzione, l’urgenza, il dolore o la difficoltà all’atto di urinare. I progressi L’80% dei maschi e delle femmine che ha contratto un tumore della vescica nella seconda metà degli anni 2000 risulta ancora vivo a 5 anni dalla diagnosi. Rispetto ai periodi precedenti, la speranza di vita appare moderatamente migliorata, soprattutto grazie alla tendenza a diagnosticare lesioni in stadio sempre più precoce. In caso di neoplasie superficiali e di piccole dimensioni il trattamento chirurgico consiste in una resezione endoscopica transuretrale che, in alcuni casi, può essere risolutiva. Questa tecnica consiste nell’introduzione nella vescica di un sottile endoscopio, dotato anche di illuminazione, attraverso l’uretra, con cui si asporta il tumore, la sua base di impianto ed i margini circostanti. In caso di neoplasie di dimensioni maggiori o che interessano più in profondità la parete della vescica, il trattamento standard è la cistectomia radicale, l’asportazione cioè dell’intera vescica, della prostata, e delle vescichette seminali negli uomini e dell’utero e degli annessi nelle donne; vengono inoltre asportati i linfonodi regionali. L’approccio terapeutico prevede oggi interventi combinati che possono includere, in combinazioni diverse: chirurgia, chemioterapia e radioterapia. 45 46 Le principali norme di prevenzione 1 No al fumo il 25-30% di tutte le neoplasie è collegato al consumo di tabacco. Ogni anno, nel mondo, tre milioni di persone perdono la vita per questa causa. Numerose ricerche confermano la pericolosità anche del fumo passivo. 2 Modera il consumo di alcol le bevande alcoliche aumentano il rischio di cancro del cavo orale, della faringe, dell’esofago e della laringe. Sono inoltre fortemente correlate anche all’insorgenza di tumore del fegato, dell’intestino e della mammella. L’assunzione è assolutamente sconsigliata prima dei 15 anni. 3 Segui la dieta mediterranea è dimostrato che il maggior consumo di frutta e verdura (specialmente se crude) ha un forte effetto protettivo sul rischio di numerose forme tumorali, in particolare a carico degli apparati digerente e respiratorio. 4 Controlla il peso l’obesità e l’elevata assunzione di grassi sono importanti fattori di pericolo. Le persone in sovrappeso presentano tassi maggiori di mortalità per cancro del colon-retto, della prostata, dell’utero, della cistifellea e della mammella. 5 Pratica attività fisica lo sport riduce in modo notevole le possibilità di sviluppare una neoplasia. I sedentari hanno una probabilità del 20-40% superiore di ammalarsi. L’effetto protettivo dell’attività fisica praticata da giovani dura nel tempo, ma è buona norma restare in movimento a tutte le età. 6 No alle lampade solari e attenzione a nei e noduli le lampade abbronzanti sono considerate cancerogene al pari delle sigarette. Un’esposizione precoce, in particolare prima dei 30 anni, incrementa del 75% il rischio di sviluppare il melanoma. La presenza di nei indica inoltre una maggiore predisposizione allo sviluppo di neoplasie della pelle. 7 Proteggiti dalle malattie sessualmente trasmissibili il 15-20% dei tumori deriva da infezioni che possono essere prevenute. Alcune di queste, come l’epatite o il Papilloma virus, si trasmettono anche con i rapporti sessuali con persone infette. 8 No all’uso di sostanze dopanti gli steroidi anabolizzanti aumentano il rischio di tumori, in particolare a fegato, prostata e reni. L’importanza della prevenzione La prevenzione è l’arma più efficace per sconfiggere sul tempo il cancro. Il 40% dei tumori, infatti, si può prevenire con l’adozione di stili di vita sani (vedi tabella nella pagina a sinistra), affiancata dall’abitudine a sottoporsi a visite ed esami di controllo per la diagnosi precoce. Il concetto di prevenzione del cancro ha assunto maggiore importanza negli ultimi decenni, in seguito all’incremento dei nuovi casi. Si è passati da un approccio solamente curativo a uno preventivo. Risale al 1981 la pubblicazione, da parte di due importanti epidemiologi (Richard Doll e Richard Peto), del primo elenco scientificamente controllato dei principali fattori di rischio che determinano la comparsa di un cancro. Tra gli elementi individuati in questo studio compaiono il fumo di sigaretta, l’alimentazione e altre cause come virus, ormoni e radiazioni. Oggi l’approccio è di tipo multifattoriale, cioè la probabilità reale di contrarre la malattia è data dalla combinazione dei diversi fattori di rischio. Inoltre, si è capito che le misure “cautelative” non sono limitate solo alle fasi che precedono l’insorgenza della malattia (prevenzione primaria), ma possono essere applicate anche quando la patologia è già presente (prevenzione secondaria e terziaria). La prevenzione primaria Consiste nell’individuazione dei fattori di rischio che possono generare lo sviluppo della malattia, nella loro riduzione o eliminazione. Le strategie di prevenzione primaria possono essere dirette a tutta la popolazione (per esempio quelle che riguardano il modo corretto di alimentarsi o di praticare attività fisica) o a categorie di persone considerate “a rischio” (per esempio chi ha un particolare “corredo genetico” o i fumatori). Rientrano nella categoria anche i vaccini contro specifici agenti infettivi, quali il virus dell’epatite B (legato allo sviluppo di tumori del fegato) o il Papilloma virus umano (HPV, responsabile del cancro della cervice uterina). 47 L’importanza della prevenzione Una corretta prevenzione primaria non si basa però soltanto sull’identificazione dei fattori di rischio, ma anche e soprattutto sulla valutazione di quanto l’intera popolazione o il singolo individuo sono esposti a tali elementi. Ecco perché si attua principalmente attraverso l’educazione sanitaria e una corretta informazione e sensibilizzazione. L’autopalpazione 48 È un esame che la donna può effettuare a casa. Permette di scoprire il tumore del seno quando è ancora molto piccolo. Questo gesto molto semplice può essere salva-vita: basta posizionarsi davanti allo specchio ed esaminare le mammelle. Prima con le braccia sopra la testa, poi spingendo le mani sui fianchi, inclinandosi in avanti. È necessario controllare se ci sono cambiamenti di forma o di grandezza del seno, lievi depressioni o retrazioni della pelle o dei capezzoli, rossore, dolore localizzato e secrezioni mai notate prima. L’autopalpazione è un primo strumento di prevenzione del tumore del seno, ma da sola non è sufficiente. Deve essere abbinata, a partire dai 50 anni (o anche prima in caso di familiarità o alterazioni), ad esami strumentali più precisi come la mammografia. Numerosi progetti educazionali sono stati negli anni promossi e realizzati da Istituzioni come il Ministero della Salute e da associazioni come AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro), Healthy Foundation, Fondazione Veronesi, LILT (Lega Italiana Lotta Tumori), FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), ANT (Associazione Nazionale Tumori) ed enti locali. Ecco le principali campagne di informazione per la prevenzione oncologica promosse dalla Fondazione “Insieme contro il Cancro”, con AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) e AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro): Nato nel 2010, il progetto “Non fare autogol” (nonfareautogol.it) è dedicato alla formazione e sensibilizzazione degli studenti delle scuole superiori di tutta Italia, rispetto ai principali fattori di rischio oncologico. In cinque anni la campagna ha raggiunto oltre un milione di ragazzi. Per rendere più incisivo il messaggio vengono coin- volti i calciatori di tutte le squadre di serie A che, a fianco degli oncologi, incontrano i giovani per un progetto nazionale itinerante di educazione a corretti stili di vita: lotta al fumo, all’alcol, alla dieta scorretta, alla sedentarietà, alla scorretta esposizione al sole, all’utilizzo delle lampade abbronzanti, al sesso non protetto e al consumo di sostanze dopanti. Per ribadire questo concetto, al fianco di AIOM e Fondazione “Insieme contro il Cancro” si sono schierati la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il CONI, la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e la Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI). Per massimizzare la ricaduta educazionale, inoltre, sono stati attivati un sito internet, un canale Youtube, una pagina Facebook e un profilo Twitter. “Fai il tifo per la tua salute” è il progetto che ha sensibilizzato i tifosi negli salute stadi italiani sull’importanza degli stili di vita sani. Sono stati distribuiti opuscoli informativi su come si possa e si debba praticare esercizio tutti i giorni, in qualsiasi stagione dell’anno. Inoltre, è stato somministrato un sondaggio su attività fisica, fumo e alimentazione per indagare il livello di conoscenza dei tifosi sulla prevenzione oncologica. Il progetto è partito allo Stadio Olimpico di Roma durante il campionato di calcio di Serie A 2013/2014. Ha raggiunto finora oltre 100mila persone e, nella stagione 2014/2015, si allargherà ad altri stadi di calcio. Fai il tifo per la tua I benefici dell’attività fisica nella prevenzione dei tumori insieme insieme contro il cancro contro il cancro c o l o re ha l a l o tt a al “La lotta al cancro non ha colore” (lalottaalcancrononhacolore.org) è la prima la lotta al cancro per la prevenzione dei tumori, lanciata ad aprile campagna nazionale non ha colore 2014, indirizzata ai cittadini più disagiati. In particolare agli immigrati can che abitano nel nostro Paese. In Italia vivono oltre 4,5 milioni di stracro non nieri (il 7,5% della popolazione). Meno della metà di questi aderisce agli esami di screening contro il cancro: percentuali inferiori, in media, del 50% rispetto agli italiani. Con la conseguenza che si arriva tardi alla diagnosi, fino a 12 mesi dopo, quando la malattia diventa difficile da trattare e fa registrare un maggior numero di decessi, superiore del 20%. Uno degli obiettivi della campagna è che, entro tre anni, le percentuali di adesione ai controlli preventivi tra gli stranieri raggiungano quelle degli italiani. Durante la settimana che ha preceduto la finale di TIM Cup di calcio tra Napoli e Fiorentina del 3 maggio 2014, i cittadini hanno potuto supportare il progetto con gli “SMS Solidali” al numero 45594. Il ricavato della raccolta fondi è utilizzato 49 L’importanza della prevenzione per numerose iniziative di sensibilizzazione e informazione, indirizzate anche alle regioni del Sud Italia dove le percentuali di adesione agli screening sono inferiori rispetto al Settentrione. La campagna ha il sostegno della Presidenza della Repubblica e il patrocinio della Camera dei Deputati e del Senato. CANCRO? Sul modello delle “giornate della letteratura”, nasce il festival itinerante della prevenzione e dell’innovazione oncologica: “Cancro? No grazie” (cancronograzie.org). È una manifestazione che elegge ogni anno una città italiana come punto di riferimento per gli stili di vita sani, oltre a sottolineare il valore dell’innovazione nei farmaci. L’obiettivo è andare direttamente nelle piazze per raggiungere tutte le fasce della popolazione, ad ogni età. La prima edizione si terrà a Torino dal 19 al 21 settembre 2014: il capoluogo piemontese è stato nominato capitale europea dello sport. È prevista una serie di eventi, in stretta sinergia con l’amministrazione comunale, con oncologi, testimonial sportivi, rappresentanti delle Istituzioni. Verranno distribuiti opuscoli informativi, questionari di valutazione del rischio oncologico e sondaggi conoscitivi. L’obiettivo è rendere la prevenzione primaria parte integrante della vita quotidiana per tutti i cittadini, di ogni strato sociale e far comprendere che adottare uno stile di vita sano a qualunque età comporta grandi benefici. 50 IL ritratto DELLA Nato nel 2011, “Il Ritratto della Salute” (ilritrattodellasalute.org) è il primo progetto italiano dedicato esclusivamente alla “medicina dei sani”. Cosa significa? Vuol dire seguire comportamenti salutari e stili di vita equilibrati per prevenire moltissime malattie, tra cui i tumori. Il progetto gode del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del CONI e ha, come partner, le principali società medico-scientifiche del Paese. I messaggi lanciati da “Il Ritratto della Salute” hanno raggiunto finora oltre cinque milioni di persone. sa ute Il tumore del pancreas è un nemico insidioso, perché in fase precoce non dà sintomi particolari, ma risente in modo significativo di uno stile di vita sano. Per questo è nata nel 2014 “PanCrea: creiamo informazione” (tumorepancreas.org), la prima campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione su questo tipo di cancro. Un progetto articolato, che comprende la distribuzione di opuscoli informativi, un sondaggio fra gli oncologi, uno fra i cittadini, un sito web dedicato a questa patologia e un tour in sette Regioni, che coinvolge associazioni di pazienti, amministratori, oncologi, medici di famiglia, personale sanitario. Tutti i pericoli del fumo passivo (e attivo) “Tumore del polmone, tutti i pericoli del fumo passivo (e attivo)”. Il tumore del polmone è particolarmente aggressivo, purtroppo però troppi italiani ignorano le regole fondamentali per prevenirlo. Il fumo di sigaretta è tuttora il più importante fattore di rischio per questa patologia: è responsabile dell’85-90% di tutti i casi. Ma non vanno sottovalutati anche i danni del fumo passivo, che triplica le possibilità di sviluppare la malattia nei non tabagisti, oltre ad aumentare il rischio di patologie polmonari di natura non cancerogena. Per questo nasce nell’estate del 2014 un progetto per sensibilizzare sui rischi anche del fumo passivo (ilritrattodellasalute.org), con momenti di confronto fra cittadini, oncologi e Istituzioni in otto Regioni italiane. La campagna ha il patrocinio di WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe). Prevenzione secondaria La prevenzione secondaria ha l’obiettivo di individuare il tumore in uno stadio precoce, così da poterlo trattare in maniera efficace e ottenere un maggior numero di guarigioni. Può essere effettuata con l’individuazione dei sintomi iniziali della malattia (diagnosi precoce) o con indagini diagnostiche sulla popolazione che non presenta sintomi (screening). Diagnosi precoce Diagnosi precoce vuol dire tempestività, con la possibilità di individuare la malattia (o una lesione che ne precede la comparsa) nella sua fase iniziale. Questo offre il vantaggio di garantire cure efficaci, terapie poco aggressive e un’elevatissima probabilità di completa guarigione. Di solito è molto più semplice trattare un tumore in stadio iniziale: spesso si ottengono ottimi risultati in termini di cura con interventi chirurgici o farmacologici non particolarmente invasivi e, di conseguenza, migliora anche la qualità di vita del paziente. La diagnosi precoce può essere frutto del caso, quando, per esempio, il tumore viene individuato grazie a un esame effettuato per altri motivi. Molto più spesso, però, il merito della sco- 51 L’importanza della prevenzione 52 perta precoce di alcuni tra i tumori più diffusi (come seno, collo dell’utero, colon) deve essere attribuito a programmi di screening appositamente studiati. In Italia, secondo le indicazioni del Ministero della Salute, il servizio sanitario nazionale fornisce gratuitamente accertamenti per la diagnosi precoce oncologica e in particolare: · tumore del seno: mammografia ogni 2 anni per le donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni; · cancro del collo dell’utero: Pap-test ogni 3 anni per le donne tra i 25 e i 64 anni; · tumore del colon-retto: per uomini e donne ricerca del sangue occulto nelle feci ogni anno tra i 50 e i 75 anni. Se il primo esame risulta positivo, si esegue una colonscopia; in caso di familiarità per questo tumore si consiglia una colonscopia ogni 5 anni dopo i 50 anni. Le modalità e l’adesione delle autorità sanitarie a queste campagne di screening possono poi variare a livello regionale. Per merito di un’attenta strategia di diagnosi precoce, ogni anno in Italia vengono individuati allo stadio iniziale 35.000 nuovi casi di tumore del seno e 36.000 del colon-retto. La maggior parte di queste neoplasie può essere curata con successo. Esami di screening Screening è un termine inglese che significa “selezione”. Si tratta di analisi condotte a tappeto su una fascia più o meno ampia della popolazione allo scopo di individuare una patologia o i suoi precursori (anomalie da cui la malattia si sviluppa) prima che si manifesti con sintomi. In particolare, gli screening oncologici servono a individuare precocemente i tumori o i loro precursori, quando non hanno ancora dato segno di sé. Questi programmi hanno l’obiettivo di scoprire la malattia quando è più facilmente curabile. Nello stadio iniziale, infatti, il cancro è normalmente circoscritto a una ristretta area dell’organismo e, il più delle volte, non dà sintomi. In questa fase il tumore può essere affrontato con maggiore efficacia e le probabilità di guarigione sono più alte. Oggi esistono 3 programmi di screening oncologici rivolti alle fasce di popolazione considerate a rischio: per il tumore della mammella, della cervice uterina e del colon retto. Come si legge nel Position Paper (“Il sistema della prevenzione, dell’assistenza e della ricerca oncologica in Italia”) che la Fondazione “Insieme contro il Cancro” ha presentato il 25 febbraio 2014 al Senato, “secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), pubblicato a fine 2012 (in base ai dati rilevati nel 2010) emergono differenze preoccupanti: nel Sud-Isole l’estensione globale e reale degli screening (percentuale di donne che ricevono regolarmente la lettera di invito) è inferiore al 50% (più precisamente, mammella meno del 40%; colonretto circa 8%; cervice uterina circa il 59%) rispetto all’80-90% del Centro-Nord Italia. Per quanto riguarda l’adesione ai programmi di screening istituzionali, nel Sud-Isole si registra un’adesione globalmente inferiore al 40% rispetto a una percentuale decisamente superiore al 50% del Nord-Centro Italia”. Secondo il Position Paper “è necessario promuovere progetti rivolti all’implementazione sia dei programmi sia dell’adesione agli screening, in particolare nelle Regioni meridionali. È essenziale sensibilizzare da un lato le Istituzioni preposte, dall’altro la popolazione target”. 1.Screening del tumore della mammella Il cancro al seno è una delle neoplasie più frequenti nel sesso femminile: nel 2013 ha colpito in Italia 48.000 donne. Ma è anche una forma di tumore che può essere scoperta precocemente, grazie alla mammografia. Si prevede che l’esame venga eseguito ogni 2 anni, a partire dai 50 anni (sino a 69), e consiste in una radiografia alle mammelle. L’analisi dura pochi minuti, può essere fastidiosa e leggermente invasiva, ma presenta il vantaggio di diagnosticare il tumore quando è ancora di piccole dimensioni. Il regolare ricorso a questo screening riduce del 30% il tasso di mortalità della neoplasia. Oltre alla mammografia, eventualmente associata a un’ecografia, è importante che ogni donna, a partire dai 25 anni, effettui almeno una volta l’anno l’autoesame del seno. 2.Screening del tumore della cervice uterina Questa forma di tumore è in netto calo negli ultimi anni, sia per frequenza sia per mortalità (–75%), grazie soprattutto alla diagnosi precoce. Colpisce comunque ogni anno circa 2.000 donne. Lo screening oncologico riguarda le italiane tra i 25 e i 64 anni di età e consiste in un esame semplice e non doloroso da effettuare anche ogni 3 anni (a giudizio del medico): il Pap-test. Prevede il prelievo, con una spatola e un particolare spazzolino, di un campione di poche cellule dal collo dell’utero, che viene in seguito analizzato in laboratorio. Per assicurare risultati attendibili, il test va eseguito: ·ad almeno 3 giorni dalla fine delle mestruazioni e in assenza di perdite di sangue ·astenendosi da rapporti sessuali nei 2 giorni prima dell’esame ·evitando ovuli, creme o lavande vaginali nei 3 giorni precedenti il test. Il Pap-test può essere accompagnato dai test molecolari per l’individuazione dell’HPV. In donne gravate da maggior rischio (familiarità, genetica, etc.) sia il programma che i metodi di screening possono cambiare. 53 L’importanza della prevenzione 3.Screening del tumore del colon-retto È una neoplasia che colpisce, ogni anno, in Italia, circa 55.000 persone e interessa l’ultima parte dell’intestino (colon-retto). Non presenta particolari sintomi, per questo la prevenzione è estremamente importante. Grazie alla diagnosi precoce si può guarire in un’altissima percentuale di casi. Lo screening consiste in un esame volto alla ricerca di sangue occulto nelle feci, cioè non visibile ad occhio nudo, e nell’esecuzione di un esame endoscopico (al colon, a partire dai 50 anni). La prevenzione terziaria 54 Con prevenzione terziaria si intende la prevenzione delle cosiddette recidive (ricadute) o di eventuali metastasi dopo che la malattia è stata curata. Si fa carico delle problematiche insorte durante il percorso terapeutico dei pazienti, con pratiche quali l’assistenza domiciliare, la riabilitazione fisica e psichica e il reinserimento sociale e occupazionale del malato oncologico. Ha inoltre come obiettivo la prevenzione o il controllo dei sintomi della neoplasia o delle complicazioni causate dalla terapia. Aiuta a: migliorare la qualità di vita, aumentare la sopravvivenza e ridurre la mortalità. Gli approcci terziari non coinvolgono la prevenzione o il trattamento del cancro alla sua insorgenza, ma è importante notare che la prevenzione delle recidive di una neoplasia già diagnosticata e trattata, o la protezione da un secondo differente tumore, dopo l’intervento su una prima patologia possono essere incluse nella definizione di prevenzione oncologica terziaria. Coinvolge quindi le cure di sostegno, la riabilitazione fisica, psicologica, sociale e occupazionale e il sollievo dal dolore del malato. La riabilitazione e il reinserimento Sono circa due milioni gli italiani che hanno sconfitto il tumore. Ma, mentre molto si è fatto e si fa per la prevenzione e la ricerca, minore è l’attenzione per la situazione e le necessità di queste persone. I malati oncologici cronicizzati possono vivere ormai come i diabetici, gli ipertesi, i cardiopatici: gestiscono la loro condizione ma richiedono, anche attraverso le Associazioni che li rappresentano, forti tutele giuridiche. Compiuta la delicata fase della riabilitazione fisica, parte integrante del piano di trattamento, con il recupero delle funzioni eventualmente compromesse, come deglutizione, respirazione, movimento, si passa alla fase di rientro alla vita sociale. La riabilitazione, che comprende anche un supporto psicologico, consente maggiori probabilità di reinserimento delle persone colpite dal cancro, permettendo loro un ritorno più precoce nel modo del lavoro, nella famiglia e nella società civile. Il ritorno al lavoro La legge italiana tutela il paziente con misure che favoriscono il reinserimento lavorativo. Alcuni “strumenti” pratici sono: ·pensione o assegno di invalidità civile, classificati in maniera diversa a seconda della gravità della situazione; ·attivazione di rapporti lavorativi part-time, per persone assunte a tempo pieno ma con ridotte capacità causate dalle terapie. Questa norma è inserita nella Legge Biagi, che riconosce al malato il diritto di diminuire l’orario senza rinunciare del tutto all’impiego, con uno stipendio proporzionalmente ridotto. Un processo reversibile, nel momento in cui le condizioni di salute consentiranno al paziente di tornare agli standard precedenti la diagnosi; ·indennità di accompagnamento. Questi vantaggi non sono ancora molto noti ai malati e ai loro familiari e spesso non sono sfruttati al meglio. Anche le discriminazioni, purtroppo, esistono. Uno 55 La riabilitazione e il reinserimento studio pubblicato nel 2009 sulla prestigiosa rivista internazionale Jama ha dimostrato che chi sopravvive a un tumore ha il 37% in meno di possibilità di trovare lavoro quando finisce le cure. Sono soprattutto le donne a incontrare maggiori difficoltà, in particolar modo quelle colpite da cancro al seno. Secondo dati italiani, il 40% delle pazienti con un tumore mammario ricomincia a lavorare a due mesi dalla diagnosi, soprattutto in mansioni d’ufficio. A due anni la percentuale si alza al 74%, ma il 35% si sente discriminato. Molte tornano alla stessa attività che svolgevano prima di assentarsi, ma altre preferirebbero invece ottenere un part-time. Non sempre però ci riescono: il 25% deve adattarsi a impieghi diversi. 56 Diventare genitori Quando la malattia colpisce in giovane età, i temi della maternità e della paternità sono fra i più delicati. Nel 2006 la Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) precisò che tutti i giovani pazienti sottoposti a trattamenti anticancro avrebbero dovuto essere informati sui possibili effetti collaterali delle terapie, anche in termini di fertilità. Pensare alla nascita di un bimbo, una volta superata la patologia, comporta, infatti, un effetto positivo sull’equilibrio emotivo e diventa un modo per riprendere i progetti di vita. Come sottolineato nel VI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, presentato il 15 maggio 2014 al Senato dalla Federazione delle Associazioni di Volontariato Oncologico (FAVO), entro due anni nel nostro Paese nessun paziente con diagnosi di cancro in età riproduttiva dovrà essere escluso da una consultazione sulla preservazione della fertilità. Oggi purtroppo non è così: molti malati infatti non vengono informati sulle tecniche esistenti e perdono la possibilità di diventare genitori. Ogni anno nel nostro Paese 2.500 donne under 40 sono colpite da tumore al seno: oltre un terzo di loro non ha ancora avuto figli. Però solo il 10% ricorre alle tecniche disponibili per la preservazione della fertilità e il 90% perde l’opportunità di diventare madre. È stato coniato il termine “oncofertilità” per definire una nuova disciplina, frutto dell’incontro tra Oncologia e Medicina della Riproduzione. Riprendere l’attività sessuale Dopo la malattia, è possibile anche tornare ad avere rapporti sessuali. Quasi tutte le disfunzioni di questa sfera, connesse con il trattamento del tumore, sono infatti temporanee. Ma anche le problematiche permanenti possono essere affrontate e migliorate. Uno degli elementi fondamentali è l’informazione, che non deve mai essere lacunosa: i pazienti hanno il diritto di sapere quali disturbi sessuali potrebbero colpirli in seguito alle terapie. Una corretta comunicazione sfata anche quei falsi miti che ancora circondano il cancro e soprattutto i trattamenti, come la paura di trasmettere al partner la malattia, di nuocergli, durante o dopo le cure, se sottoposti a radiazioni. I diritti del paziente oncologico Il paziente colpito da cancro gode degli stessi diritti degli altri cittadini, ma troppo spesso accade che non ne sia sufficientemente a conoscenza. Per colmare questo gap informativo, nel 2003 AIMaC pubblicò, per la prima volta in Italia, il libretto I diritti del malato di cancro (giunto alla decima edizione nel 2013). Nel 2013, inoltre, un’indagine Censis-FAVO ha evidenziato, dati alla mano, che la malattia ha un forte impatto sulla situazione economica dei pazienti: il 78% dei malati oncologici, infatti, ha subito un cambiamento nel lavoro in seguito alla diagnosi, il 36,8% ha dovuto fare assenze, il 20,5% è stato costretto a lasciare l’impiego e il 10,2% si è dimesso o ha cessato l’attività (in caso di lavoratore autonomo). Pochi conoscono e utilizzano le tutele previste dalle leggi per facilitare il mantenimento e il reinserimento: solo il 7,8% ha chiesto il passaggio al part-time, un diritto di cui è possibile avvalersi con la Legge Biagi, poco meno del 12% ha beneficiato di permessi retribuiti (previsti dalla Legge 104/1992), solamente il 7,5% ha utilizzato i giorni di assenza per terapia salvavita e il 2,1% i congedi lavorativi. Secondo il sondaggio Piepoli-AIMaC, il 91% delle persone malate vuole continuare a lavorare ed essere parte attiva della società. I dati dell’indagine sottolineano però che le forme di gestione flessibile per conciliare lavoro e cure oncologiche sono ancora poco note e non influiscono in modo significativo sulla vita dei molti pazienti coinvolti. Ciò spiega la grande difficoltà di conformare le esigenze produttive con quelle legate alla cura. Questa situazione interessa anche i cosiddetti “caregiver”, cioè familiari o amici che assistono i malati in modo continuativo. Per colmare questo vuoto, è nato Pro Job: lavorare durante e dopo il cancro – Una risorsa per l’mpresa e per il lavoratore, un progetto dell’AIMaC in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, la Fondazione “Insieme contro il Cancro” e l’Istituto Nazionale Tumori del capoluogo lombardo. Il progetto è stato presentato nel maggio 2014 all’Università degli Studi di Milano in occasione del Convegno “Lavorare durante e dopo il cancro”. Pro Job mira a promuovere l’inclusione dei pazienti oncologici nel mondo delle imprese, a sensibilizzare i dirigenti perché creino 57 I diritti del paziente oncologico 58 per i malati condizioni ottimali nell’ambiente di lavoro, ad agevolare i dipendenti che hanno parenti colpiti da tumore a conservare l’impiego grazie alle tutele giuridiche vigenti e a disincentivare il ricorso inadeguato a procedure per fronteggiare le difficoltà determinate dalla patologia. “Oggi, con il progresso della ricerca e delle cure oncologiche, l’attenzione è rivolta non solo agli aspetti medici, ma anche alla qualità della vita del malato e alla sua inclusione sociale, a partire dal diritto al lavoro – spiega Michele Tiraboschi, professore di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia, membro del Comitato Scientifico della Fondazione “Insieme contro il Cancro” –. La legge Biagi consente al lavoratore e ai suoi familiari, che prestano assistenza, il diritto al part-time che, assieme ai congedi e ai permessi, può favorire una migliore conciliazione tra lavoro e cure mediche. Eppure, dopo un congruo periodo di applicazione, risulta che questo diritto sia utilizzato da pochi. Il problema va affrontato con determinazione se è vero che, in futuro, una persona su due si ammalerà di tumore e che già oggi in Italia sono ben 700.000 le persone con diagnosi di cancro in età lavorativa. Non si tratta di scrivere nuove leggi, è urgente applicare quelle buone già esistenti. Per questo appaiono preziose iniziative come Pro Job. L’azienda in grado di sviluppare il progetto Pro Job potrà valorizzare il proprio capitale umano permettendo, da un lato, ai dipendenti malati di cancro di recuperare parte del proprio benessere attraverso il reinserimento occupazionale e di ritrovare velocemente motivazione, impegno e capacità produttiva, dall’altro ai lavoratori familiari di un paziente di continuare il proprio lavoro, senza rinunciare all’assistenza del malato, avvalendosi del part time. Tutto ciò a beneficio sia del lavoratore che dell’azienda”. AIMaC, FAVO e ECPC L’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) è nata nel 1997 e dal 2010 è stata riconosciuta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali come “organizzazione che svolge un’attività di evidente funzione sociale sul territorio nazionale”. È costituita da malati, parenti, docenti universitari, ricercatori, medici, psicologi, psicoterapeuti, imprenditori e giornalisti. Il suo scopo è offrire informazioni sul cancro e sulle terapie ai malati, alle loro famiglie e amici; assicurare sostegno psicologico ai malati; promuovere iniziative per diffondere il più capillarmente possibile le informazioni sul cancro. L’AIMaC è una delle 500 associazioni che formano la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO). La Federazione raggruppa oltre 25.000 volontari (nella maggior parte dei casi malati o ex malati) per un totale di 700.000 iscritti. L’European Cancer Patient Coalition (ECPC) riunisce oltre 300 associazioni di malati di cancro provenienti da 42 Paesi europei. Il Presidente di ECPC è l’italiano Francesco De Lorenzo. L’innovazione in oncologia Dal 1990 a oggi il tasso di mortalità per tumori è sceso del 20%. Tra i motivi di questo successo rientra anche l’innovazione prodotta dalla ricerca medica, che ha permesso di raggiungere risultati straordinari nella lotta contro moltissime neoplasie. Innovare in oncologia significa innanzitutto comprendere meglio la malattia. Il cancro non è più un male incurabile perché oggi, rispetto al passato, gli scienziati lo conoscono in modo più approfondito. Una volta, ad esempio, si parlava di tumore del polmone: adesso gli oncologi possono distinguere almeno quattro o cinque situazioni diverse, caratterizzate da altrettante alterazioni molecolari. Più informazioni si possiedono su una neoplasia, maggiore è la possibilità di sviluppare nuovi farmaci, sempre più mirati ed efficaci. Il cancro al seno è stato l’apripista di questo rivoluzionario approccio. Oggi i clinici, accanto alle target therapy, hanno a disposizione test genetici (in particolare nei tumori del seno, stomaco, colon-retto, polmone e melanoma) che permettono di selezionare i pazienti e utilizzare al meglio le terapie. E sempre di più la ricerca si indirizza verso l’individuazione di questi test, fondamentali per somministrare le terapie solo a quei pazienti che possono davvero beneficiarne e dove sono realmente necessarie. L’innovazione in oncologia, quindi, ha portato al riconoscimento di “nuovi” tumori. Si tratta in realtà di forme di neoplasie già conosciute (e studiate) da tempo, per le quali, però, oggi esistono altre terapie. È il caso del melanoma. L’innovazione può concentrarsi sul perfezionamento di trattamenti già esistenti: grazie alle nuove tecnologie, è possibile migliorare vecchi farmaci sia dal punto di vista della risposta terapeutica che della loro sicurezza. Questo vale soprattutto per gli effetti collaterali. Nel corso degli anni, la ricerca ha portato a terapie efficaci, più tollerabili per l’organismo e in grado di ridurre la mortalità. La sfida per il futuro è contenere ulteriormente gli effetti collaterali e garantire una qualità di vita sempre migliore al malato. I ricercatori stanno mettendo a punto nuovi trattamenti e terapie. Nei prossimi anni i farmaci oncologici saranno in grado di superare con maggiore facilità le barriere biologiche. Uno dei problemi che caratterizzavano le vecchie molecole 59 L’innovazione in oncologia anti-cancro era, infatti, il loro difficile trasferimento dai vasi sanguigni al tessuto tumorale. Migliorare questo trasporto è stato uno dei principali obiettivi dell’innovazione in oncologia. Il futuro della lotta alle neoplasie passerà anche attraverso le nanoparticelle: entro pochi anni i nanofarmaci diventeranno terapie sempre più importanti. La sfida della sostenibilità 60 I risultati ottenuti in questi ultimi anni nella ricerca e nelle cure contro il cancro sono “senza precedenti” ma, a fronte dei progressi della scienza, ci si pone sempre di più il “nodo” dei costi e della sostenibilità economica delle nuove terapie. Un problema mondiale, che coinvolge tutti i sistemi sanitari dei vari Paesi. È questo il quadro in cui si è aperto a Chicago il 50° Congresso dell’American Society of Cli- Breve storia dell’innovazione in oncologia 1970 Viene scoperto il primo oncogene. Si tratta di un gene in grado di indurre una trasformazione neoplastica nelle cellule che lo contengono (o dove viene introdotto) e quindi può provocare il cancro. La sua scoperta è da attribuire agli scienziati Peter Duesberg e Hidesaburo Hanafusa, che riescono a isolare un oncogene che causava tumori nei polli. 1973 Inizia la prima sperimentazione della quadrantectomia per il carcinoma della mammella. Si tratta di una tecnica innovativa: l’asportazione di un ampio quadrante di tessuto mammario con un margine di tessuto circostante. Questo intervento conservativo viene svolto per la prima volta nella scuola del prof. Umberto Veronesi. La sperimentazione si concluderà con successo nel 1981 e nel 2002 riceverà il pieno riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale. Gli scienziati Frederick Sanger, Walter Gilbert e Allan Maxam creano due tecniche per sequenziare il DNA. Si tratta di una scoperta importantissima anche per la lotta contro il cancro, poiché conoscere il DNA dei tumori può permettere di scegliere la cura più adeguata in base alla mutazione (o alle mutazioni) che ha causato la neoplasia. Seconda metà degli anni Settanta (e decennio successivo). L’informatica fa passi da gigante e in ambito oncologico queste tecnologie permettono la messa a punto di nuovi strumenti per la diagnosi del cancro. L’accertamento delle neoplasie diventa via via sempre più precoce. Nel frattempo, anche in ambito farmacologico, vengono messe a punto cure sempre più efficaci e meno invasive. I nuovi medicinali sono basati sul principio dei “bersagli terapeutici”: il farmaco è creato “su misura” ed quindi in grado di distinguere tra tessuti sani e malati e colpire solo le cellule cancerogene. Anni Ottanta Iniziano importanti ricerche, biologiche ed epidemiologiche, che dimostrano in modo inequivocabile il legame tra tumori e condizioni ambientali. nical Oncology (ASCO). Al più importante appuntamento mondiale del settore nel 2014, è stato presentato un criterio di valutazione per “classificare” i nuovi farmaci contro il cancro, innovativi ma dai costi sempre maggiori, sulla base di tre parametri precisi: benefici, effetti collaterali e prezzo. L’obiettivo di questo algoritmo è ridurre e tenere sotto controllo il costo complessivo delle terapie oncologiche, divenuto quasi insostenibile per i sistemi sanitari. Tutto ciò attraverso un approccio più attento alla prescrizione dei farmaci. L’introduzione dei test genetici non solo facilita l’appropriatezza terapeutica, ma, grazie alla migliore selezione dei pazienti, consente di utilizzare queste terapie, spesso costose, solo nelle persone che possono beneficiarne. Il messaggio lanciato dall’ASCO ai medici è quello di considerare non solo l’impatto medico di un trattamento, ma anche quello finanziario, a fronte di una situazione complessiva mondiale di insostenibilità economica, che minaccia l’accesso Fumo, alimentazione, abuso di alcol, inquinamento, diverse sostanze chimiche sono tutti fattori che favoriscono l’insorgenza del cancro. Nasce quindi un nuovo strumento in grado di contrastare le neoplasie: la prevenzione. Vengono lanciate in tutto il mondo campagne informative per sensibilizzare le popolazioni a sottoporsi a test di screening e ad adottare stili di vita sani. 1986 I tre ricercatori Thaddeus Dryja, Stephen Friend e Robert Weinberg riescono ad isolare il primo gene oncosoppressore umano. Si tratta di un particella cromosomica che frena la proliferazione cellulare. La sua mutazione o inattivazione determina una crescita sregolata delle cellule, che può portare alla trasformazione neoplastica. 1990 Prende il via il Progetto Genoma Umano (Human Genome Project): gli scienziati si prefiggono l’obiettivo di determinare la sequenza completa di basi azotate (A, C, T e G) che compongono il DNA, mappando i geni del genoma. Il progetto sarà completato nel 2000. 1992 Ira Pastan lega un anticorpo monoclonale a una tossina. Il risultato è un vero e proprio proiettile guidato, che mira al tessuto malato risparmiando quello sano. 2000-2010 Si moltiplicano i farmaci intelligenti, progettati sulla base delle nuove e continue conoscenze dell’oncologia molecolare, per colpire target precisi, presenti solo nelle cellule malate. La concomitante rivoluzione genetica contribuisce anche a una migliore determinazione della prognosi del singolo tumore, grazie alla caratterizzazione genetica di ogni paziente. Alla personalizzazione delle terapie biologiche, si accompagna la caratterizzazione bio-molecolare dei tumori grazie all’introduzione dei test genetici, una reale innovazione che permette la selezione dei pazienti e il miglior uso dei farmaci. La medicina si fa sempre più personalizzata e facilita le diagnosi precoci. 61 L’innovazione in oncologia 62 alle cure oncologiche per le più ampie fasce di pazienti. Una svolta, anche culturale, che nasce da una considerazione pragmatica: nel 2013 la spesa globale per i farmaci anticancro ha toccato quota 91 miliardi di dollari e cresce al ritmo del 5% annuo. Dall’altro lato, va considerato che la storia naturale di alcune patologie oncologiche è radicalmente cambiata, proprio grazie alle conoscenze biologiche acquisite nel corso degli anni e ai nuovi trattamenti. Il rischio, però, è che i sistemi sanitari non reggano. Inseguire miglioramenti che possono sembrare talvolta minimi, su larga scala e a costi enormi, potrebbe privare alcuni pazienti di terapie davvero efficaci. La Fondazione “Insieme contro il Cancro”, il 25 febbraio 2014, ha presentato al Senato il Position Paper sul “Sistema della prevenzione, dell’assistenza e della ricerca oncologica in Italia”. Uno dei punti centrali di questo documento ufficiale riguarda proprio la sostenibilità. “I prossimi anni – si legge nel Position Paper – saranno caratterizzati in tutto il mondo occidentale da un forte impulso verso la personalizzazione dei sistemi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie oncologiche sulla base della costituzione genetica dei singoli individui. Sarà così possibile identificare la suscettibilità alla malattia di ogni persona e misurare il rischio individuale di ammalarsi. Sarà possibile, inoltre, personalizzare le terapie in base alla costituzione genetica del paziente, offrire nuove opzioni di trattamento basate sull’interazione dei farmaci con nuovi bersagli molecolari e, in ultima analisi, assicurare il miglior esito possibile in termini di abbattimento della mortalità e durata della sopravvivenza, con interventi sempre più mirati e specifici nella singola persona. Questa rivoluzione è già in atto, si realizza con un ritmo frenetico e noi non potremo sottrarci. È evidente, quindi, come l’assistenza continua ai malati di cancro comporti costi economici sempre maggiori ed anche come il sistema ospedaliero debba subire una sostanziale e radicale riorganizzazione nel campo dell’oncologia, che lo renda più efficiente, contenendo anche i costi relativi a questi cambiamenti”. Le campagne di prevenzione Come evidenziato dall’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), grazie a campagne di prevenzione oncologica potrebbero essere realizzati ingenti risparmi nel nostro Paese, pari a sei miliardi di euro in cinque anni. Una cifra che raggiungerebbe 50 miliardi complessivamente in Europa, se queste iniziative fossero estese a tutti gli Stati membri. Il costo totale del cancro nel Vecchio Continente è pari, ogni anno, a 126 miliardi di euro, in Italia a circa 16. Il tumore più costoso in UE è quello al polmone (18,8 miliardi ogni anno), seguito dal seno (15 miliardi), dal colon-retto (13,1 miliardi) e dalla prostata (8,43 miliardi). La sopravvivenza dei pazienti oncologici in Italia è pari e, per alcuni tipi di tumore, superiore alla media europea. Lo scenario è chiaro. Nei prossimi anni assisteremo a un incremento co- stante della popolazione anziana, nel 2030 il 30% degli italiani sarà costituito da over 65. Ma le risorse a disposizione diminuiscono. E il carico dell’assistenza sanitaria e sociale in campo oncologico diventerà più pesante: nel 2013 in Italia erano 2.800.000 i pazienti con storia di cancro, nel 2020 saranno circa 4.500.000. Per rispondere alle loro richieste di salute, serve un patto sull’appropriatezza prescrittiva che riunisca tutti gli attori coinvolti: l’accademia, i clinici, gli enti regolatori, l’industria farmaceutica e i pazienti. Le reti oncologiche regionali Un altro punto critico è rappresentato dalle reti oncologiche regionali. Finora questi progetti hanno visto la luce solo in alcune Regioni. Questi network sono fondamentali, perché garantiscono equità di accesso ai farmaci e garanzia di ricevere le cure migliori indipendentemente dalla residenza. Come sottolineato nel Position Paper della Fondazione “Insieme contro il Cancro”, la realizzazione delle reti oncologiche regionali è “condizione essenziale per la presa in cura complessiva del malato di cancro, la continuità di cura ed il sostegno psicologico. Al fine di assicurare l’omogeneità dell’assistenza oncologica su tutto il territorio nazionale dovrebbe essere istituito a cura degli IRCCS oncologici un organismo tecnico di coordinamento che vigili su questi aspetti (la Rete delle Reti), formato da professionisti clinici che appartengono alle principali aree che insistono nel settore dell’oncologia clinica”. È necessario definire i requisiti minimi che possano essere seguiti da tutte le Regioni, cui spetta l’organizzazione sanitaria, al fine di dotarsi di network omogenei sul territorio nazionale. “È chiaro – afferma il prof. Stefano Cascinu, presidente nazionale AIOM – che le realtà locali sono diverse, ma bisogna evitare discrepanze eccessive, altrimenti rischiamo di aggiungere disparità e iniquità nell’accesso alle terapie. Ogni struttura, all’interno della rete, deve essere in grado di garantire uno standard assistenziale adeguato per la gestione della maggioranza dei casi. Solo i pazienti che presentano particolari complessità vanno indirizzati all’ospedale di riferimento regionale per patologia (tumore della mammella, del polmone ecc.): così si risparmiano risorse e si offrono cure ottimali. Se non garantiamo un’assistenza omogenea su tutto il territorio, i pazienti sono costretti a migrare e a cercare soluzioni altrove. E questo rappresenta una sconfitta dell’intero sistema”. 63 64 Le testimonianze dei pazienti Roberto Gervaso: “Il tumore? Mi ha reso più saggio!” Roberto Gervaso è giornalista, storico e scrittore, commentatore politico e di costume. Laureato in Lettere Moderne, ha studiato in Italia e negli Stati Uniti presso la Michigan University. È stato inviato speciale e articolista per il Corriere della Sera, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno e altri quotidiani. Ha collaborato anche con L’Europeo, Oggi, Gente e Panorama. Attualmente tiene una rubrica quotidiana su Il Messaggero (“A tu per tu”), una domenicale su Il Mattino (“Fumo e arrosto”) e su Il Giornale di Sicilia (“Pensierini e Pensieracci”). Dal 1981 è inviato speciale e opinionista per Mediaset, dove è stato a lungo titolare di una rubrica quotidiana di storia e costume, “Peste e corna”. Convivo da quattordici anni con la mia diagnosi di tumore alla prostata. Uno che vive per tutto questo tempo dopo un cancro, non può far altro che smentire quelle affermazioni, frutto dell’ignoranza, che etichettano le neoplasie come “male incurabile”. Conosco persone che sono incappate nella mia situazione anche trent’anni fa, ma sono poi venute a mancare per ben altre cause, come il diabete o un infarto. Mi sono sempre sottoposto a controlli periodici, prostata compresa: ho iniziato quando avevo ventitré anni, perché amo il mondo della medicina e sono scrupoloso. Ho eseguito il famoso test del PSA per circa un decennio. Nel 1999 il valore era 1,5, quindi nella norma. Un anno dopo schizzò a 3,04, su un massimo di 4. Al momento ovviamente mi preoccupai, ma il medico mi rassicurò perché ben tre ecografie erano negative, così come l’esplorazione rettale. Nei tre mesi seguenti mi sottoposi ad altri controlli e il PSA non ne voleva sapere di stabilizzarsi: continuava a oscillare. Ai primi di luglio, dopo l’ennesima ecografia, tagliai la testa al toro e decisi di fare una biopsia. Risultò positiva. Non persi tempo, mi recai al San Raffaele di Mila- 65 Le testimonianze 66 no e fui operato. Fu così che dissi addio alla mia cara ma ormai malandata ghiandola. Però non era finita qui. Passai attraverso 42 sedute di radioterapia in quattro mesi, oltre all’ormonoterapia. Come affrontai tutto questo? Psicologicamente, meglio del matrimonio! Ho reagito come se avessi avuto una polmonite o un altro malanno comune. Sapevo che mi sarei dovuto sottoporre a certi trattamenti, alcuni impegnativi ma, senza scoraggiarmi, ho indossato i panni del paziente. Anche perché il prezzo da pagare, in caso contrario, sarebbe stato ben più alto. A una certa età si mettono nel conto acciacchi e malattie di qualsiasi genere. Il cancro rientrava semplicemente nella lista delle possibilità. Con un tocco di ironia direi che, dopo avere “abusato” della prostata, Dio mi punì facendomi raggiungere “la pace dei sensi”. Ne ho approfittato per intensificare la mia attività di scrittore, partecipando a trasmissioni televisive con i necessari ausili, come il catetere. Ma rifarei tutto, dall’inizio alla fine. Posso dire, senza esagerare, che il tumore mi ha reso più saggio e meno libertino. Non sono mai stato così prolifico da quando mi hanno privato di quella “gloriosa e marziale ghiandola”. Il consiglio principe che darei a una persona con una diagnosi di tumore è “fare quello che viene indicato dal medico”. È l’unico modo per sopravvivere. Oltre a non piangersi mai addosso, perché altrimenti si contribuisce a creare il clima di sfiducia anche in amici e parenti. Si deve scegliere sempre la reazione più efficace, che fa meno soffrire. In una parola, affrontare il cancro stoicamente, perché nella vita i guai capitano a tutti, in particolar modo quelli di salute. Inoltre, sottolineo ancora una volta il valore della prevenzione. Disponiamo di test efficaci, molti sono gratuiti: sarebbe da sciocchi non effettuarli. L’esperienza con la malattia mi ha fatto capire ancora meglio di quale straordinario patrimonio disponiamo: il nostro Servizio Sanitario. Malgrado le difficoltà, si mantiene su livelli eccellenti. Certo, le storture e i problemi esistono, inutile negarlo. Ma, per quanto riguarda il mio caso, l’operazione al San Raffaele è andata benissimo. Oggi eseguo i controlli a Tor Vergata, un altro fior di ospedale. E tutto è sempre perfetto. Non ho mai avuto nessun turbamento. Probabilmente, in tutto questo la persona che si è spaventata di più è stata mia moglie. Elisabetta Iannelli: “Il cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita con il cancro” Elisabetta Iannelli, Avvocato civilista con esperienza prevalente nel diritto del lavoro e della previdenza sociale e nella tutela dei diritti del malato. È Vice Presidente dell’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC) e Segretario della Fondazione “Insieme contro il Cancro”. Avevo 24 anni e stavo completando i miei studi di giurisprudenza all’Università quando ho scoperto di avere il cancro. Un giorno, per caso, ho notato un piccolo nodulo al seno ed il medico di famiglia mi ha subito consigliato di fare un’ecografia di controllo. In meno di due settimane sono stata sottoposta ad un intervento chirurgico per asportare il nodulo. Il successivo referto dell’esame istologico non ha lasciato dubbi: si trattava di un carcinoma mammario. È bastato un solo istante per vedere infranti i miei sogni, speranze e progetti di giovane donna. Ma sono una persona molto combattiva. Dopo un iniziale momento di sconforto, dovevo reagire. Il motto è diventato “Il cancro ha cambiato la mia vita, io cambierò la vita con il cancro”. E su questo obiettivo ho deciso di concentrare tutte le mie energie. La malattia ti fa scoprire risorse che mai avresti creduto di avere. Per sconfiggere il tumore ho dovuto effettuare terapie che mi hanno provocato fastidiosi effetti collaterali. Ma avevo vinto solo la prima battaglia, purtroppo, non la guerra. Dopo sette anni, la malattia si è ripresentata più violenta ed invasiva di prima. Ho dovuto quindi ricominciare con la radio e la chemioterapia. Di nuovo, ho affrontato il peso delle cure, con le relative conseguenze: nausea, vomito, febbre, difficoltà di concentrazione e problemi neurologici, solo per ricordarne alcune. Tra tutti gli effetti collaterali, forse il più pesante da sopportare per una donna è la perdita dei capelli. È un evento traumatico che colpisce nel profondo l’immagine corporea. L’alopecia diventa il simbolo stesso della malattia e della sofferenza. È impossibile da ignorare perché sempre ben visibile. Foulard, parrucca, trucco possono aiutare ma lo shock è difficile da gestire anche quando si è veterani dell’alopecia da chemioterapia. Senza alcun dubbio, le terapie innovative e personalizzate hanno cambiato la storia dell’oncologia. La ricerca ha reso disponibili trattamenti sempre più efficaci e mirati al bersaglio e nel mio caso, probabilmente, sono stati gli anticorpi monoclonali a far la differenza. Il tumore deve incutere meno paura perché, anche quando non è possibile guarire definitivamente, 67 Le testimonianze 68 in molti casi la malattia può essere tenuta sotto controllo diventando una patologia cronica. Da oltre venti anni vivo con questo scomodo “compagno di viaggio”. Dopo la prima diagnosi, ho deciso di completare il mio percorso di studi universitari. Nonostante cure, esami e ricoveri sono riuscita a laurearmi e a superare l’esame di Stato per diventare avvocato. Ho subito pensato che la mia esperienza personale e il mio ruolo professionale potessero essere utili per migliorare la qualità della vita degli altri malati. Così mi sono così avvicinata, circa tre lustri or sono, all’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC): un ente no profit che offre consulenza, assistenza psicologica e informazioni, ai malati oncologici ed alle loro famiglie. Da allora, il mio impegno nel volontariato oncologico è cresciuto sempre più. Per un malato è importante non sentirsi solo e poter contare sul sostegno morale e materiale dei volontari. Dopo la diagnosi shock, durante le faticose cure antitumorali e nella fase di follow up, è di grande aiuto sapere di poter essere indirizzati, affiancati o addirittura sollevati nell’individuare le giuste informazioni e nel mettere in pratica le indicazioni di tipo sociale, previdenziale, lavorativo per gestire i tempi di cura conservando quelli della vita, che continua nonostante il cancro. I volontari sono preparati e motivati ad accogliere le richieste di aiuto dei malati che vivono una condizione di fragilità e di difficoltà. Con le giuste informazioni, oggi le persone che si ammalano di cancro in Italia possono accedere ad un’assistenza sanitaria di alto livello, ad una rete di centri di eccellenza. Ma al paziente tutto questo non basta. Vuole trovare il conforto e la condivisione della sua esperienza con altri che l’abbiano già vissuta. Le associazioni rispondono a questo bisogno. Sono formate in gran parte da ex pazienti o loro familiari, persone che possono comprendere nel profondo la complessità dei sentimenti di chi si trova ad affrontare il tumore. L’AIMaC si pone come obiettivo il miglioramento della condizione dei malati oncologici italiani. Nella mia esperienza professionale, ho trovato grande solidarietà anche da parte dei miei colleghi, ai quali non ho mai nascosto il mio passato. E ho sempre avuto al mio fianco la mia famiglia, per primi i miei genitori e mio fratello. In questi 20 anni, dopo la diagnosi, mi sono sposata e sono diventata mamma e con la mia bellissima famiglia condividiamo gioie e preoccupazioni, difficoltà e speranze. Credo di essere una veterana fra le malate oncologiche croniche in Italia. Oggi questa categoria, purtroppo e per fortuna (aumentando la sopravvivenza), è sempre più numerosa. Ciò significa, da un lato, che sempre più persone si ammalano di cancro; dall’altro, che le cure sono più efficaci e permettono di sopravvivere al tumore. I pazienti oncologici italiani vivono più a lungo rispetto alla media europea e tutte queste persone non devono essere lasciate sole, hanno bisogno dell’aiuto e del sostegno di tutti per vincere insieme la vita, ogni giorno! Sebino Nela: “Così ho vinto la mia partita più importante” Sebastiano Nela, detto Sebino, è un ex calciatore. Dopo gli esordi con il Genoa, debutta in serie A con la Roma nel 1981. Con i giallorossi vince lo scudetto del 1983 e nel periodo successivo colleziona anche cinque presenze in Nazionale. Lascia la capitale nel 1992, dopo aver vinto anche tre Coppe Italia, per approdare al Napoli, con cui chiude la carriera nel 1994. Il cantautore Antonello Venditti gli ha dedicato la canzone “Correndo correndo”. Oggi lavora come commentatore tecnico in televisione. Il tumore l’ho preso di petto, con grande coraggio, senza paura. Non mi sono mai tirato indietro, come ho fatto in tutte le partite che ho giocato da calciatore. Nessuna vergogna, la mia storia può servire a tanti che hanno avuto la stessa malattia. A quelli che stanno lottando come ho fatto io. Quando ho saputo il verdetto del male è stata una brutta botta, anzi posso proprio dire una mazzata tremenda. Purtroppo è capitato a me. Fu mia moglie a spingermi a farmi visitare. Feci bene a darle retta. Era autunno, mi dissero che dovevo essere operato al colon. Non c’era tempo da perdere, perché gli esami avevano evidenziato alcune metastasi. È stato necessario l’intervento chirurgico e a novembre era già tutto fatto. A quel punto ero pronto per iniziare la chemioterapia. Giorni duri in cui devi convincerti che sei più forte dell’avversario. Io, d’altronde, sono sempre sceso in campo per vincere. Ma il calcio è un gioco, un divertimento, la partita vera è stata questa e ora posso dire che l’ho vinta io. Anche mettendo in pratica qualche “tattica calcistica”. Prima di tutto ho studiato l’avversario, come si fa prima degli incontri. Volevo capire i suoi movimenti. Anche con il cancro si deve giocare d’anticipo. E poi mi sono imposto di non mollare, ho utilizzato la forza che mi è sempre venuta dal gruppo: ex compagni di squadra, amici, ma soprattutto la famiglia. E il sostegno dei medici, con quell’immenso aiuto che ho trovato all’Istituto Regina Elena e in particolare nel prof. Francesco Cognetti. Il sostegno, però, che ho ricevuto da mia moglie e dalle mie due figlie è stato fondamentale. Senza il loro aiuto, forse avrei chiesto il cambio alla fine del primo tempo. Invece ho trovato la forza di reagire. Una feroce forza di reagire. Che cresceva giorno dopo giorno. Perché non accettavo l’idea di far soffrire le mie figlie facendo vedere loro che stavo male. Quel pensiero mi ha spinto a mettercela tutta, a cercare ogni energia dentro me stesso. A non mollare, a crederci. Il fisico ha reagito bene. Ora voglio dirlo a tutte le persone che soffrono: la famiglia è fondamentale. Non bisogna chiudersi in se stessi. 69 Le testimonianze 70 Di paura ne ho avuta tanta, perché non dirlo? Ma poi, come ho imparato a fare con la squadra, ho trasformato l’ansia in rabbia, tenacia, forza. Ho spinto finché ho potuto. Le prove da superare sono molte. Ti serve tanta determinazione, soprattutto nel momento in cui ti comunicano che c’è qualcosa che non va, che hai quel male lì…non riuscivo a crederci. Perché, come molti sportivi, mi sentivo invincibile. Ho sempre evitato di farmi vedere troppo giù da chi mi stava attorno. Ci ho provato ma, forse, non sempre ci sono riuscito. Ho cercato di nascondere. Ho dovuto lavorare molto con la mente, la concentrazione. E ho cercato di trascurare il meno possibile il lavoro. Le telecronache, per esempio, cui ho continuato a dedicare tutta la mia passione. E adesso ho tanta voglia di ricominciare. Ho fatto la Tac poco tempo fa: i valori sono tutti tornati normali. Sono stato operato a novembre 2013 e lo scorso aprile ho affrontato l’ultimo ciclo di chemioterapia. Questa è la vita, ma non mi sono mai perso d’animo. Adesso posso dire che è andato tutto bene. È stata la partita più importante, in gioco c’era la vita. Ora voglio riposare un po’, la sfida è stata lunga e faticosa. Ho deciso di scendere in campo al fianco della Fondazione “Insieme contro il Cancro” perché chi è caduto nella trappola del tumore sa raccontarla meglio, sa spiegare e far capire. Per questo ho voluto sostenere la campagna “La lotta al cancro non ha colore” in favore delle fasce più deboli della popolazione. Ma tutti devono acquisire consapevolezza sull’importanza della prevenzione, degli screening e delle visite, a cui bisogna sottoporsi regolarmente con coraggio, mettendo da parte la paura, pronti a fronteggiare, se necessario, una dura realtà. Ma questa è la vita. E alla fine si può davvero dire “ho vinto io!”. Nicola Pietrangeli: “Ho affrontato la malattia senza nascondermi” Nicola Pietrangeli è considerato il più forte tennista italiano di tutti i tempi. Ha vinto due Roland Garros e due Internazionali d’Italia. Anche a Wimbledon i suoi risultati restano i migliori tra i giocatori del nostro Paese: in diciotto partecipazioni ha raggiunto una semifinale nel 1960, quando fu sconfitto da Rod Laver in 5 set. È uno dei due italiani, insieme a Gianni Clerici, a essere membro dell’International Tennis Hall of Fame. La mia partita contro il cancro al colon è iniziata nel 1996. Ed è stata vincente. Anche se non avrei mai pensato di poter soffrire di una malattia del genere. Soprattutto dopo una vita passata sui campi da gioco, allenandomi ogni giorno. Ero, in sostanza, “il ritratto della salute”. Tutto iniziò in un pomeriggio di giugno, mentre sfidavo a carte un mio amico fraterno: il prof. Renato De Angelis. Gli riferii semplicemente che dal dicembre precedente notavo delle perdite di sangue. Mi portò senza indugi in ospedale per una visita di controllo. Mi trovarono un polipo nell’intestino: una parola che, nella mia ignoranza, avevo associato sempre e solo al regno animale. Mi sottoposi poi a un ulteriore esame e mi dissero: operiamo. Non avevo ancora capito bene la situazione e proposi di spostare tutto dopo l’estate. Ovviamente, non mi presero in considerazione e due giorni dopo ero “sotto i ferri”. Sei ore di intervento e della malattia mi rimanevano addosso soltanto i punti di sutura. Il mio segreto fu quello di affrontare il tumore con il mio solito modo allegro di vivere, senza timore e senza nascondermi. A partire dal nome: io dico ‘cancro’, perché non ho paura a chiamarlo con il suo vero nome. Purtroppo, ancora oggi si tende a etichettarlo come “male incurabile”: sono una delle tante testimonianze che vanno proprio nella direzione opposta, così come molte altre persone che conosco. Ovviamente, un’esperienza del genere non la auguro a nessuno. Ma, se dovesse succedere, è importante affrontarla di petto. Se dovessi consigliare qualcuno, direi di fare affidamento sulla forza di volontà e sulla determinazione, perché sono aspetti fondamentali. Piangersi addosso è inutile, soprattutto nei momenti peggiori. Dopo l’operazione non ero sicuramente al massimo delle forze, persi otto chili e sembravo invecchiato di dieci anni, anche perché la mia degenza fu complicata da una bronchite. Ma non ebbi mai paura di morire. Nemmeno per un istante. Utilizzando una metafora, sapevo che dall’altra parte della rete c’era un avversario temibile, ma non volevo perdere quella partita. Ho lottato con le unghie e con i denti, fino all’ultimo set: e la volée vincente è stata la mia. Sicuramente sono stato fortunato, perché soltanto in seguito compresi il reale pericolo. Ma anche la vicinanza delle altre persone contò molto. La malattia fa capire quanto siamo piccoli, finiti e in che modo possiamo dipendere da tutti quelli che conosciamo, compresi i medici. La mia grande amicizia con il prof. De Angelis è stata fondamentale, sia nella scoperta del cancro sia nel decorso post-operatorio. Mi colpì una sorta di “sindrome di Stoccolma”, ma in senso positivo: ogni volta che vedevo i medici ero contento, perché sapevo che erano lì per me. Ormai sono passati quasi due decenni dalla diagnosi, ma io sono tornato alla vita di tutti i giorni già da molto tempo. In qualche senso, è come rinascere. Dopo 5-6 anni che mi sottoponevo agli esami periodici di controllo, il prof. De Angelis mi disse, ancora una volta scherzando: “Non ti voglio più vedere!”. Ero completamente guarito. Nell’ultimo periodo ho avuto poi altre esperienze con gli ospedali. Ad 71 Le testimonianze 72 esempio, ho dovuto accompagnare un mio “ex collega” australiano in visita a Roma: era incappato in un “infartino”, niente di così grave. Una volta ritornato al suo Paese, mi telefonò per dirmi che i suoi medici erano impressionati dall’eccellenza dell’intervento effettuato in Italia. Ma anch’io sono sempre rimasto piacevolmente stupito dall’assistenza sanitaria del nostro Paese. Un sistema da difendere a tutti i costi, che assicura cure di altissimo livello senza guardare in faccia o nelle tasche a nessuno. Ovviamente i problemi e gli incidenti possono capitare, ma come accadono in tutte le parti del mondo. Per nostra fortuna, le persone che si ammalano in Italia hanno una speranza in più: anche se incontrano il cancro sulla loro strada, sappiano che troveranno professionisti competenti e pronti ad ascoltarli con pazienza. Perché oggi il match contro la malattia si può e si deve vincere. Marina Ripa di Meana: “La mia vanità mi ha salvata dal cancro” Marina Ripa di Meana è scrittrice, stilista e personaggio televisivo. Autrice di numerosi libri biografici e autobiografici, ha fondato negli anni Sessanta a Roma un atelier di alta moda. È impegnata da anni in battaglie contro l’uso delle pellicce, il nucleare e per la prevenzione precoce dei tumori. Due ‘v’ mi hanno salvato la vita: la volontà e la vanità. Quando nel 2001 mi diagnosticarono un cancro al rene era mancata da pochi giorni mia sorella Paola, per un tumore al pancreas. Fu uno shock tremendo, associato all’enorme dolore per la perdita familiare. Soprattutto perché ero nel pieno delle forze e non avevo alcun sintomo. Uscita dall’ospedale mi balenò immediatamente un’idea malsana: farla finita. Ero su un ponte del lungotevere e guardai l’acqua, quasi decisa a saltare. Ma l’immagine del mio corpo gonfio che galleggiava sul fiume mi parve insopportabile. L’amore che provo per me stessa mi convinse a combattere, fu la mia àncora di salvezza. Ovviamente, il percorso che affrontai in seguito non fu tutto rose e fiori, anzi. Di momenti duri ce ne furono tanti, forse i peggiori di tutta la mia vita. Soprattutto a causa dei numerosi interventi chirurgici e delle terapie. Mi asportarono subito il rene malato, presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). Cinque anni dopo, nel 2009, fui sottoposta ad altre quattro operazioni, di cui tre ai polmoni, a distanza di un mese una dall’altra. Ma ho sempre pensato che ce l’avrei fatta, che questa sfida l’avrei vinta io. Non ne ho dubitato neanche per un istante. La forza di volontà mi ha fatto superare anche gli effetti collaterali della chemioterapia, molto pesanti. Ancora oggi, quando la malinconia mi assale all’improvviso, esco e gambe in spalla vado a camminare, perché ho sempre amato fare lunghe passeggiate. Questo persino nei giorni più bui. Mi sento, come per magia, subito meglio. Non posso dire di essere guarita in senso tradizionale perché, ad esempio, mi sono sottoposta all’ultimo ciclo di radioterapia tra pancreas e fegato nel 2013, a dodici anni dalla prima diagnosi. Credo sia stata questa la grande trasformazione che ha investito la parola “cancro” negli ultimi anni. Oggi posso dire a gran voce che non si tratta più di un “male incurabile”, ma di una malattia curabile che nel tempo, come nel mio caso, può diventare cronica. Io ne sono la testimonianza vivente. In più, sono fortunata perché sono sempre stata molto attenta al cibo, all’esercizio fisico e a uno stile di vita sano in generale. In poche parole, ho sempre amato tenermi in forma. Questo ha sicuramente aiutato. Adesso effettuo TAC ed esami di controllo ogni 4-5 mesi e i valori delle mie analisi sono talmente buoni che il medico mi ha detto: “Lei la prossima volta la mandiamo dal pediatra!”. Alle donne che ogni giorno si trovano a fare i conti con quello che ho passato io, potrei dire: “Guardatemi, sono ancora qui a condurre le mie battaglie di sempre”. Con una battuta, sono una “tumorata di Dio”. Vivo con un rene in meno e con i polmoni operati, venite a trovarmi e vi darò i consigli necessari. Ma il segreto rimane la forza di volontà, e la ricerca, per quanto possibile, di un po’ di buonumore: due elementi che non dovrebbero mai mancare. Oltre a seguire le indicazioni dei medici. Ho conosciuto persone che iniziavano con le terapie, si sentivano meglio e poi smettevano. Lancio un appello: affidatevi ciecamente ai medici in cui avete fiducia e non mollate mai. Non saltate gli appuntamenti di controllo e i test di screening. Abbiamo la fortuna di vivere in un Paese con un Servizio Sanitario eccellente, gratuito, con grandi professionisti che ogni giorno lavorano sodo per curare i pazienti. Ogni volta che mi recavo allo IEO quasi non mi rendevo conto di essere in ospedale: è più cupa l’atmosfera della RAI! Posso dire di avere lottato contro il cancro per vivere fino in fondo, perché la vita è sicuramente il dono più bello di cui disponiamo. Come dice Susan Sontag, noi malati abbiamo soltanto una “tassa in più da pagare”, ma tutto il resto è uguale. 73 I media: come va affrontato oggi il tema cancro La parola ai Direttori La parola ai Direttori | Giulio Anselmi 76 Ligure, classe 1945, Giulio Anselmi comincia ad interessarsi al giornalismo da studente al Corriere Mercantile. Passa nel 1969 a Stampa Sera e poi a La Stampa. Successivamente è inviato speciale per il settimanale Panorama. Dal 1977 al 1984 ha lavorato a Il Secolo XIX. È stato direttore del settimanale Il Mondo. Il 1987 è l’anno del passaggio al Corriere della Sera come vicedirettore dove diventa condirettore nel 1992. Nel novembre 1993 prende la guida del Il Messaggero, dove rimane fino al giugno 1996. Dopo un breve periodo in cui è editorialista del Corriere della Sera, dal 1997 al 1999 è direttore responsabile dell’ANSA. A capo de l’Espresso dal 1999 al 2002, dal 2005 al 2009 dirige La Stampa di Torino. Subito dopo assume la presidenza dell’ANSA, confermata nel 2012, ed infine assume la presidenza della Fieg. giulio Anselmi Presidente dell’ANSA “Diamo spazio ai progressi, ma denunciamo anche i ritardi nella ricerca e nell’assistenza” L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni? È un dato di fatto: la richiesta di informazioni sulla salute cresce, come è in crescita tutta l’informazione “verticale”, quella di approfondimento. Non solo la carta stampata ma soprattutto i siti on line offrono notizie ogni giorno su cosa succede nei laboratori di ricerca e nelle corsie di tutto il mondo. Non c’è testata che non abbia uno spazio dedicato a questi argomenti, con ampie sezioni a volte settimanali. Ma i grandi temi di salute che hanno una ricaduta sulle coscienze (dall’eutanasia all’aborto, dalla fecondazione a tutte le tematiche bioetiche) tengono banco sulle prime pagine. E i lettori sono affamati anche di risposte a problemi che gli esperti possono giudicare “banali”, chiedono più informazioni attraverso la rete. Purtroppo il dolore dei pazienti è diventato anche spunto per servizi “spettacolari” o “sensazionalici” (più frequentemente in televisione). E i giornalisti che credono nei principi etici della professione condividono le stesse preoccupazioni dei medici sugli effetti perversi di certi approcci. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? È colpa o merito dell’invecchiamento della popolazione ma anche degli ottimi risultati della medicina. I media guardano ai temi della salute con attenzione ma in realtà le notizie sui tumori, per riuscire a conquistare spazio sulle pagine dei giornali (altro discorso è quello dell’informazione on line), debbono vincere la diffidenza di quanti temono che certi argomenti appesantiscano troppo l’umore dei lettori, facendo prediligere i cosiddetti alleggerimenti. Una preoccupazione che sembra riguardare di meno la stampa internazionale. La stessa identica notizia sui tumori può avere sorti molto differenti sui giornali italiani e su quelli stranieri, in particolare quelli anglosassoni, dove la parola “cancer” ricorre quasi ogni giorno nei titoli delle grandi testate, dalla BBC al New York Times. Ma bisogna ammettere che molti passi in avanti sono stati fatti: grazie anche alla forza comunicativa di grandi scienziati, come Umberto Veronesi per citarne solo 77 La parola ai Direttori | Giulio Anselmi uno, e alla volontà divulgativa di associazioni come l’AIOM, anno dopo anno si è diffusa una cultura della salute e della prevenzione che si stima possa avere salvato già milioni di vite solo nel nostro Paese. 78 Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? La notizia è tutto ciò che può avere un interesse e un impatto sul paziente, sulla struttura che offre la cura ma anche sul sistema in generale. Il giornalismo sanitario è un complesso mix di cronaca, informazioni di servizio e divulgazione scientifica. I media debbono essere liberi di raccontare i passi in avanti, denunciare i ritardi nella ricerca e nell’assistenza, puntare i riflettori sulle aree in ombra che hanno bisogno di essere sostenute. Ma anche fare conoscere le storie dei pazienti e dei protagonisti scientifici. È difficile stabilire a priori come raggiungere il punto di equilibrio fra la correttezza, l’appeal narrativo ma allo stesso tempo il rigore scientifico. Si tratta di un lavoro che non può essere realizzato con una formula fissa regolata da un immaginario bilancino giornalistico. Ed ogni notizia è una storia unica, che deve essere compresa, tradotta e offerta con sensibilità (perché il lettore può essere un malato o un suo familiare). Il nostro lavoro è questo e comprende anche la capacità di ascoltare e riconoscere le fonti più autorevoli e competenti. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Non vorrei appuntare sul petto dell’ANSA una medaglia per uno scoop. Il merito maggiore è quello, meno visibile, del controllo e del rigore. L’ANSA può vantare una squadra di giornalisti specializzati che da 25 anni cura un notiziario dedicato proprio alla salute e politica sanitaria con news che vengono dall’Italia e dal mondo. Oggi le pagine web specializzate dentro ANSA.IT hanno completato questo percorso e nell’ultimo anno si sono aggiunti due figli “nobili”: il sito Salute e Benessere Bambini in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria e il sito +65 dedicato alla Salute nelle terza età in collaborazione con la Società Italiana di Geriatria, di prossimo avvio. Di tumori si parla, ovviamente, anche in queste pagine, ma sono le stesse società scientifiche la garanzia ulteriore della più alta attendibilità delle nostre fonti. Notizie con il bollino blu di cui i lettori hanno sempre più bisogno, come dimostrano i numeri dei contatti. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? Ogni settore ha il proprio gergo. I giornalisti sono accusati spesso di semplificare, ma questo è il loro merito se la “traduzione” dei tecnicismi medici e scientifici non diventa un impoverimento dei concetti. Del resto non è un caso che i grandi medici, quelli peraltro più amati dai propri pazienti, siano proprio coloro che sono capaci di parlare con più chiarezza, in modo diretto e semplice. E la chiarezza è una parte della stessa cura perché solo così i malati possono “aderire alla terapia”, favorendo la guarigione. Per rispondere alla domanda, il compromesso non solo è possibile ma è anche indispensabile. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Ha un grande valore. Ma la malattia è anche solitudine, c’è un momento (come quando viene comunicata una diagnosi) nel quale ognuno è solo con se stesso, e bisogna fare i conti con le proprie paure e con la propria forza di reagire. Gli esempi positivi di chi è famoso aiutano ovviamente a sperare. Ora però sono sempre di più gli esempi che possiamo trovare nel nostro vissuto, fra i tanti familiari e amici che non hanno avuto bisogno di andare nei templi internazionali dell’oncologia per riuscire a guarire. In Italia, infatti, ci sono molte strutture altamente qualificate e riconosciute come tali anche a livello internazionale. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Ognuno deve fare il proprio lavoro: è solo compito del medico stabilire un percorso e proporlo al malato mentre l’informazione può rendere più consapevoli le persone riguardo ai rischi e alle possibilità di cura. In questo caso sono state molte le donne a chiedere informazioni ed è probabile che siano state molte a farsi anche solo delle domande. Vedremo se c’è stato un effettivo rischio di emulazione. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Ancora non a sufficienza. L’informazione predilige le notizie sulle scoperte scientifiche o la cronaca. Ora siamo pronti a passare ad una “fase 2”: il passaggio dallo “sdoganamento” del tema a quello della piena consapevolezza che la vita continua. Ma questo comporta anche nuovi problemi organizzativi e di tutela dei malati visto che sono in molti a perdere il lavoro a causa della malattia. 79 La parola ai Direttori | Giulio Anselmi 80 Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Si muore ancora di tumore perché in alcuni casi non si riesce a curarlo. Ma è la storia personale del paziente a dirlo, il termine male incurabile non può essere certo usato come un generico sinonimo della parola tumore. L’espressione è nata per garantire la privacy del malato perché non è affatto detto che la famiglia voglia far conoscere i dettagli della malattia di un proprio caro. È comunque certamente una espressione superata, nel linguaggio comune e anche in quello giornalistico. Oltre ad avere rappresentato uno stigma che molti giornalisti del settore hanno combattuto al fianco dei medici. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? La ricostruzione del fatto può essere difficile anche per un giornalista che lavori seriamente. Può dipendere da un problema di limiti culturali di chi scrive o da una carenza deontologica che si traduce in mancanza di scrupoli e di attenzione. Ma può anche capitare che un giornalista, o la sua testata, sposi una tesi, magari per ragioni politiche o di audience. Questo è cattivo giornalismo e lo è ancora di più quando si parla di salute perché i rischi sono anche maggiori e diretti. Ci sono stati pazienti che hanno rifiutato le trasfusioni o le terapie mediche scientificamente provate a causa di notizie scorrette. L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Anche in questo caso la verità è piena di sfumature. Esistono strutture e medici ad altissimo livello scientifico e capaci di offrire una eccellente assistenza. Ma non è così in tutte le regioni, ed è giusto denunciarlo. Sono gli stessi dati di confronto dell’Agenas (l’agenzia per i servizi regionali) a dimostrarlo. La prova del nove sulla qualità delle nostre cure potrà arrivare con l’apertura delle frontiere ai pazienti europei, partita proprio in questi mesi. Saranno questi viaggi dei malati a dimostrare se siamo veramente all’altezza della situazione. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? La sanità italiana sta cominciando ad affrontare solo ora il percorso della vera spending review. Il patto per la salute ha stabilito una serie di percorsi virtuosi ma la crisi non fa sconti a nessuno e i pazienti sono i primi a sentire il disagio della situazione. I tempi potrebbero essere ancora lunghi, troppo per chi sta male e spera di avere sempre le cure e i farmaci migliori per salvarsi la vita. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Posso solo raccontare l’esperienza di una grande paura che è stata temperata con la razionalità scattata per riuscire a fare le cose necessarie. 81 La parola ai Direttori | Bianca Berlinguer 82 Bianca Berlinguer è nata a Roma il 9 dicembre 1959. Le sue prime collaborazioni sono con Il Messaggero, poi nel 1985 l’incontro con Giovanni Minoli che la chiama a lavorare a Mixer, quattro anni in cui impara la tecnica televisiva: riprese montaggio, video, poi il passaggio al Radiocorriere TV dove diventa giornalista professionista e nel 1991 l’ingresso nel TG3 di Sandro Curzi dove ha ricoperto molti ruoli, prima inviata di cronaca, poi di politica, conduttrice dell’edizione delle 19.00 e di Primo Piano approfondimento notturno del telegiornale. “Sereno e solido il suo rapporto con la diretta”, ha scritto il Corriere della Sera. Negli stessi anni collabora con Michele Santoro per i programmi: Il Rosso e il Nero e Tempo Reale. Il primo ottobre del 2009 viene nominata all’unanimità dal Consiglio di Amministrazione della Rai direttrice del TG3. bianca berlinguer Direttore del TG3 “La salute dei cittadini non è il territorio per inseguire gli scoop” L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? Fino a pochi anni fa, soprattutto per malattie come il cancro, la comunicazione praticamente non esisteva, forse perché l’argomento veniva considerato troppo doloroso e perché c’era una concezione diversa della medicina e del rapporto medico-paziente. Negli ultimi anni, direi nell’ultimo decennio, grazie anche alla sensibilità dei medici e al coraggio dei pazienti l’informazione è cresciuta per quantità ma soprattutto per qualità. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? C’è sempre più necessità da parte dei pazienti, ma naturalmente anche dei cittadini, di tutti noi, di avere il massimo possibile di informazioni. E questo non solo perché è cresciuta l’attenzione alla propria salute, ma soprattutto perché è cresciuta la consapevolezza che il paziente deve partecipare in maniera attiva alla cura e alla conoscenza della propria malattia. In questi anni il quadro sta cambiando a beneficio di una migliore comunicazione che favorisce i malati e i loro familiari. Non dimentichiamo che prima i medici a volte non parlavano nemmeno direttamente con i pazienti. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate” e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Questa è la questione più delicata e importante perché investe il difficile equilibrio su cui devono muoversi i media tra la necessità di dare informazioni che 83 La parola ai Direttori | Bianca Berlinguer siano il più nuove possibile per tutti i lettori e la giusta valutazione dei fatti. Per quanto riguarda l’importanza da dare alle notizie che riguardano la salute, credo che si debbano tenere presenti diverse valutazioni. La prima è senz’altro l’impatto sociale: se – ad esempio – una certa cura è determinante nella sconfitta di una malattia è ovvio che avrà il giusto spazio sulla stampa. Se viene scoperto un vaccino contro una malattia rara, anche questo ha per noi un grande interesse. Infatti, ogni volta che riceviamo queste notizie, una volta verificate, le presentiamo ai telespettatori perché è giusto fornire un’informazione completa. 84 Ma quanto è forte il rischio di alimentare illusioni, soprattutto nei malati? Bisogna stare molto attenti a come si dà la notizia. Il rischio di creare false aspettative è molto alto e per questo bisogna essere prudenti e non enfatizzare le informazioni. Riceviamo spesso telefonate di persone che denunciano il crollo di speranze che avevano riposto in una data cura. La salute dei cittadini non è il territorio per inseguire gli scoop. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Naturalmente, quando parliamo di questi argomenti cerchiamo anche di far passare messaggi positivi, di speranza. Messaggi che possano testimoniare come i progressi della ricerca possano produrre una ricaduta rilevante sulla salute delle persone. Ma siamo anche attenti a descrivere esperienze di solidarietà, di vicinanza. Qualche esempio: mi piace ricordare i servizi che facciamo ogni anno su quel gruppo di donne malate di cancro al seno che si mettono in gioco, anche in modo sereno, facendo un loro calendario. Recentemente abbiamo fatto un servizio che riguardava ancora delle donne. Una di loro per la chemioterapia aveva perso i capelli, così tutte le sue amiche si sono rapate a zero anche loro, per solidarietà. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? È necessario trovare un compromesso nel linguaggio che consenta di dare informazioni scientificamente corrette ma allo stesso tempo comprensibili al grande pubblico. Diciamo che i medici e i giornalisti devono fare entrambi un passo avanti: i giornalisti cercando di essere meno superficiali ma i medici cercando di farsi capire meglio, perché a volte usano un linguaggio troppo tecnico e compren- sibile solo agli addetti ai lavori. Anche qui registriamo piccoli progressi con esperti che riescono a farsi capire da un pubblico sempre più vasto. Ma, lo ripeto, tutti dobbiamo fare passi in avanti. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Penso che vadano apprezzati perché aiutano anche i cittadini non conosciuti a non vergognarsi della propria malattia. A dichiararla in famiglia o tra gli amici. In definitiva a sentirsi meno soli. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Non mi stupisce che alcuni giornali abbiano dato la notizia in modo incompleto e sbagliato, cogliendone solo gli aspetti di gossip. In realtà Angelina Jolie, secondo me, era animata dalla volontà di far conoscere la sua storia e i rischi che correva per la familiarità con il cancro. La sua è stata una scelta radicale ed è ovvio che non deve produrre fenomeni di imitazione. Ma io credo che, proprio per la popolarità dell’attrice, possa aver fatto riflettere molte donne sulla necessità, ad esempio, di avere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione. Di prevenzione, invece, si parla ancora troppo poco, mentre rappresenta la prima vera arma vincente che va seguita a tutte le età adottando stili di vita corretti. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Nel nostro telegiornale abbiamo raccontato molto volte storie di questo tipo. Il singolo magari non fa notizia, ma se si creano delle associazioni, dei momenti di socialità e di incontro è chiaro che i protagonisti possono trovare più spazio sui media. Proprio perché allora la malattia non è più una storia singola (che naturalmente ha tutta la sua importanza) ma diventa l’occasione per un’informazione positiva che può essere di sostegno e di incoraggiamento per altri malati. E ben sap- 85 La parola ai Direttori | Bianca Berlinguer piamo quanto ascoltare storie di persone che hanno superato la malattia possa davvero contribuire a raggiungere risultati importanti e combattere i momenti di depressione che colpiscono chi quotidianamente si trova a combattere con un male così importante. Ma, se mi è concesso, vorrei dire qualcosa in più su questo argomento. Nella nostra redazione abbiamo avuto diversi colleghi – donne e uomini – colpiti dalla malattia. E tutti, una volta sconfitto il cancro, hanno chiesto di tornare al lavoro a pieno regime, come tutti gli altri. E sono tornati con ancora maggiore determinazione. 86 Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Ma noi onestamente non usiamo più già da molto tempo questo termine... Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Questo è un argomento delicatissimo, perché investe la tragedia che vivono alcune famiglie che devono confrontarsi quotidianamente con malattie gravissime e rare che hanno colpito le persone che amano. È chiaro che queste famiglie possono cadere vittime di false speranze. Detto questo, la testata che dirigo ha sempre cercato di attenersi al massimo della sobrietà nell’informare i suoi telespettatori. Abbiamo riferito le risposte che ha dato la scienza, ma abbiamo sempre voluto far parlare anche le famiglie, i genitori dei bambini affetti da queste patologie così severe. Perché il dolore di una famiglia colpita da una grave e incurabile malattia va sempre rispettato e non va confuso, né con le parole di chi vende false speranze, ma nemmeno con le risposte che danno le istituzioni e la scienza. L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione dagli italiani o questi dati trovano ancora troppo poco spazio sui media? Io non so se ci sia davvero una sottovalutazione dei risultati che ha ottenuto in questi anni l’oncologia italiana. Ma non mi risulta che ci siano dei criteri, delle classifiche ufficiali a cui attingere per valutare la qualità dell’offerta oncologica di un Paese o dell’altro. Se così fosse, comunque, penso che questo dipenda dalla generale e ingiusta sottovalutazione di tutta la sanità italiana. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Segnali positivi per ora non ci sono. Ma è troppo presto per dire se la fase negativa dell’economia italiana è davvero alle nostre spalle. 87 La parola ai Direttori | Mario Calabresi 88 Mario Calabresi, scrittore e giornalista, nato nel 1970 a Milano, è direttore del quotidiano La Stampa dal 2009. Ha lavorato come cronista parlamentare all’Ansa e alla redazione romana de La Stampa. È stato caporedattore centrale de La Repubblica, e nel 2007-2008 come corrispondente da New York per lo stesso quotidiano ha seguito tutta la campagna presidenziale americana e l’elezione di Barack Obama. Ha scritto Spingendo la notte più in là. Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo (2007); La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di rialzarsi (2009); Cosa tiene accese le stelle. Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro (2011), tutti pubblicati con Mondadori. Il suo ultimo libro si intitola A occhi aperti e contiene le interviste a dieci grandi fotografi che raccontano i momenti in cui la Storia si è fermata in una fotografia (Contrasto, 2013). Nel 2011 ha condotto su Rai 3 il programma “Hotel Patria”. mario calabresi Direttore de La Stampa “Le notizie che fanno troppo rumore possono penalizzare sia i lettori che i giornali” Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? È cambiato molto. I giornali di 30 anni fa non utilizzavano neppure il termine “tumore”. Si usava un terribile eufemismo, “male incurabile”, che toglieva ogni speranza di guarigione e seminava il panico. Chi si ammalava pensava di ricevere una sentenza di condanna a morte. In questi anni sono state realizzate molte campagne di comunicazione e sensibilizzazione che hanno modificato radicalmente le prospettive. E sui media oggi trovano spazio anche le possibilità di guarigione. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? I cittadini hanno sete di notizie, vogliono essere informati e capire. Oggi nessun paziente va dal medico e accetta una cura senza ulteriori spiegazioni. E, fortunatamente, anche da parte dei clinici è cambiato il rapporto con i malati. Nessun medico prescrive un farmaco senza fornire chiarimenti. I camici bianchi sentono il dovere di contestualizzare le terapie. Quindi, in una società con un livello di condivisione e trasparenza molto alto, anche i media hanno capito che è importante dedicare spazio ai temi legati alla salute. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Da parte dei media talvolta sono stati commessi errori, con eccessi di sensazionalismo. Basti pensare ad alcuni titoli, “Trovata la cura per …” oppure “Entro 10 anni sconfiggeremo…”. Sono estremamente scettico su questo tipo di annunci. Chiedo sempre alla mia redazione di verificare in profondità la fonte di una notizia: ad esempio, chi ha condotto uno studio clinico, quando e dove e con quali risultati. Un tempo si credeva che le notizie che facevano rumore garantissero un maggior numero di vendite del giornale. Forse questo 89 La parola ai Direttori | Mario Calabresi atteggiamento può funzionare nel breve periodo. Ma, a lungo termine, il sensazionalismo penalizza sia i lettori che i giornali. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? È un passaggio indispensabile. Il linguaggio strettamente scientifico sui giornali non funziona. Rendere questi messaggi comprensibili da parte della maggioranza dei lettori non significa gonfiarli o stravolgerli. Si può cambiare il linguaggio, rispettando però la sostanza. 90 Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore e di averlo sconfitto. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? È fondamentale. I pazienti e, più in generale, i cittadini hanno bisogno di esempi di persone che hanno vinto la malattia. In questo modo possono avere più forza per affrontare il percorso di cura. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? La notizia era di grande impatto, con un rischio reale di trasmettere un messaggio che arrivasse solo alla “pancia” dei lettori. Il giorno in cui l’attrice americana rivelò la sua esperienza, il nostro giornale fece un notevole sforzo per inserire la notizia nel giusto contesto, con tutto quello che era necessario far sapere ai lettori. Nello specifico, abbiamo approfondito vari aspetti: il ruolo del fattore genetico nello sviluppo del tumore del seno, l’opportunità di un intervento così radicale, le modalità e i tempi in cui è possibile effettuarlo. Sempre intervistando diversi esperti. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Credo che a queste notizie sia dato il giusto peso. Però, probabilmente, possiamo impegnarci di più per dare maggior risalto a tutti gli aspetti legati al ritorno alla normalità. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Nei grandi giornali non si usa più l’espressione “male incurabile”, è ormai su- perata. È ancora utilizzata in ambienti caratterizzati da ignoranza scientifica, ma è chiara la tendenza ad abbandonarla. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Non è un problema se una questione medico-scientifica diventa un caso di cronaca, lo è se viene trattata in modo sbagliato. Il caso Stamina rappresenta un esempio scandaloso di spettacolarizzazione e sfruttamento di una vicenda medica. Trasmissioni televisive hanno cavalcato questa notizia per fare ascolti, creando devastazione su storie personali drammatiche. In questo modo non è stata data una speranza a pazienti colpiti da malattie gravi, ritenute non curabili. Si sono in realtà create false aspettative, sfruttando la disperazione delle famiglie dei bambini malati. È emerso come il caso Stamina non avesse alcun fondamento scientifico, per questo La Stampa si è impegnata in una campagna di comunicazione dei retroscena del metodo Stamina, intervistando gli esperti per offrire un panorama completo della vicenda. Abbiamo voluto allontanare i lettori da una pericolosa deriva emozionale, mettendo a disposizione gli strumenti per capire i risvolti della notizia. L’oncologia italiana e – più in generale – il sistema sanitario del nostro Paese, risulta tra i migliori al mondo. Lo evidenziano i tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Purtroppo a questi dati non è dedicato sufficiente risalto. Dobbiamo impegnarci di più. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Finalmente assistiamo a segnali di ripresa e di miglioramento. La direzione mi sembra quella giusta, difficile però capire i tempi. Rispetto alla mancanza di speranza di due o tre anni fa, oggi assistiamo a piccoli cambiamenti incoraggianti. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Purtroppo, tra i miei parenti, ci sono stati più casi di tumore, alcuni risolti positivamente. Queste guarigioni mi hanno insegnato che il cancro non è un male incurabile. La prevenzione è fondamentale, così come la fiducia nei medici e nelle terapie. 91 La parola ai Direttori | Virman Cusenza 92 Virman Cusenza nasce a Palermo nel 1964. Inizia la carriera giornalistica nel 1984 collaborando con Il Giornale di Sicilia. Nel 1987 entra al quotidiano Il Giornale di Indro Montanelli (cinque anni a Milano, poi il passaggio a Roma), occupandosi di cronaca giudiziaria, mafia e politica interna. Nel 1998, cura per RaiUno il programma di inchieste “Uno di notte” di Andrea Purgatori. Dal 1998 al 2007 è a Il Messaggero come editorialista e capo del servizio politico. Nel gennaio 2008 viene nominato vice direttore de Il Mattino di Napoli di cui, dal 5 agosto 2009, assume la direzione. Nel luglio 2011 viene insignito del Premio Ischia Internazionale di giornalismo e del Premio Capri, sezione direttori. È direttore de Il Messaggero dal 10 dicembre 2012. virman cusenza Direttore de Il Messaggero “La prevenzione è fondamentale: non può essere ignorata dai media” L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni? Negli ultimi decenni i temi medico scientifici, complice l’invecchiamento della popolazione e l’aumento esponenziale dei big killer, escono dalla nicchia e dagli spazi destinati agli addetti ai lavori ed entrano di diritto tra le notizie principali ed irrinunciabili di qualsiasi testata. La comunicazione cambia perché è cambiato il target: si fa più diretta, comprensibile a tutti, cerca un linguaggio semplice, preciso ma accattivante, punta sui messaggi di prevenzione e approfondisce i “corollari” della salute come gli stili di vita, le buone abitudini, la medicina alternativa, le strategie quotidiane per restare in forma. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Non vorrei ripetermi ma credo, purtroppo, che l’aumento tra la popolazione dell’incidenza di melanomi e tumori accresca l’interesse e la necessità di trattare certi argomenti. A livello giornalistico, sociale ed etico. Oggi sappiamo che la prevenzione, che non costa nulla, può giocare un ruolo fondamentale: un messaggio di utilità sociale che non può essere ignorato dai media. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? La notizia di salute e di sanità è tra le più delicate da trattare, si ha a che fare con la vita delle persone e con una reazione X che la notizia può scatenare, dal sollievo al terrore, dalla speranza alla depressione. Una responsabilità grandissima che vieta di gonfiare e di minimizzare storie. La notizia esiste soltanto se il fatto è verificato, corredato di carte, dati o pareri autorevoli, la sensibilità guida il movimento della penna e la serietà del giornalista gli impone toni cauti, al riparo da titoli sensazionali. 93 La parola ai Direttori | Virman Cusenza Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Tutte le settimane trattiamo il tema su Macro, l’allegato a Il Messaggero del mercoledì dedicato alla medicina e da poche settimane abbiamo raddoppiato, al sabato, con un approfondimento sulla bellezza e il benessere. 94 Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre spesso emergono nuovi dubbi e domande. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? Sì è necessario, e per questo è fondamentale che non ci si improvvisi giornalisti scientifici. Il collega che tratta temi medici, in tv e sulla carta stampata, deve vantare una formazione specifica ed aggiornarsi continuamente. L’autorevolezza se la conquista ogni giorno e basta un errore per scalfirne la reputazione, sono temi troppo sensibili che riguardano la vita delle persone. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Il valore immenso è il messaggio positivo che parte da uno e arriva a tutti infondendo speranza, quello che “ce la si può fare”. La prima fu la campionessa di tennis Lea Pericoli, scelse la tv per raccontare una verità che appartiene a tanti e che a lungo era stata celata: la malattia. Fu la prima “testimonial” della storia, campionessa sul campo e nella vita, tante donne si riconobbero in lei sentendosi più forti perché meno sole. Nel 2005 invece, i riflettori puntati su Kylie Minogue, l’icona del pop, si spensero per accendersi su un dramma personale: un tumore al seno, maligno. La cantante, fino a quel momento icona di bellezza e successo, si rivolse alle donne alle quali confidò di aver perso tutto, seno, capelli, peso e vitalità, non si nascose, anzi di quel periodo restano dichiarazioni coraggiose e foto con il foulard sul capo. Poi Kylie ha vinto ed è tornata sul palco, spendendosi senza riserve per la prevenzione. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Certo, il rischio di emulazione è reale e cresce in maniera direttamente proporzionale ai titoloni che fanno gola a direttori e giornalisti. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Abbiamo raggiunto importanti traguardi grazie agli screening e alle terapie biologiche mirate e ora stiamo assistendo a una vera e propria cronicizzazione della malattia: con il cancro si vive meglio e più a lungo e dai dati emerge che proprio l’Italia è tra i Paesi europei con il migliore tasso di guarigioni e sopravvivenza. L’informazione al malato oncologico, quindi, deve essere a tutto tondo, rivolta con uguale impegno sia agli aspetti di efficacia che a quelli di umanità e attenzione. Penso ad esempio alla sfera della sessualità, spesso arginata tra i bisogni inespressi del malato, in quel “non detto” che il medico deve cercare di cogliere e che proprio il giornalista può intuire e sviluppare. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora il termine “male incurabile”? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? La speranza nasce dalla consapevolezza che dal male si può guarire. Nel 1990, in Italia, morivano 40 donne ogni 100 mila colpite dal tumore alla mammella, oggi sono la metà, circa 20, un risultato che fa ben sperare per il futuro. I farmaci molecolari e le terapie personalizzate oggi sono una possibilità, trent’anni fa non esistevano. Come si può utilizzare ancora un termine così superato? Non credo che Il Messaggero sia caduto nell’errore, se così non fosse mi impegno personalmente. Negli ultimi mesi i media hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Sul filone della sanità e della ricerca si muovono gli interessi più disparati, alcuni affatto nobili, e il rischio di una commistione tra profitti sociali e privati è sempre alto. Il ruolo dell’informazione è tanto quello di smascherare fatti di cronaca vergognosi quanto quello di dar luce a nuove scoperte che faticano ad emergere, magari perché non sostenute da gruppi di potere. L’oncologia italiana e, più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur tra mille problemi, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo indicano i tassi di guarigione oncologica, tra i più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Dando per scontato che si può sempre fare di più, credo che il nostro Paese sia 95 La parola ai Direttori | Virman Cusenza maturato sotto questo punto di vista, che si sia evoluto negli ultimi anni e che oggi presti la giusta attenzione all’oncologia e ai successi dei nostri ricercatori nel mondo. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? La prima a risentire della crisi è la dieta mediterranea, sacrificata in nome del risparmio, e poi l’investimento in cure e prevenzione o nello sport. Mi auguro che la ripresa arrivi e che segni un miglioramento delle condizioni di vita di tutti. 96 Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Fortunata. Perché il cancro non è inguaribile. ferruccio de bortoli Direttore del Corriere della Sera “I nostri lettori lo sanno: il cancro non è più incurabile, per questo chiedono più notizie” Ferruccio de Bortoli nasce a Milano il 20 maggio 1953. Nel 1973 è redattore all’Editoriale Corriere della Sera. Cronista al Corriere d’informazione dal 1975, nel 1979 torna al Corriere della Sera, prima come cronista per poi passare alle pagine economiche. Caporedattore de L’Europeo e de Il Sole 24 Ore, nell’aprile 1987 torna al Corriere con la qualifica di caporedattore dell’economia e commentatore economico. Nel dicembre 1993 viene nominato vice direttore del Corriere della Sera, diventando poi direttore nel maggio 1997. Lascia l’incarico nel 2003 e diventa Amministratore Delegato di Rcs Libri. Nel gennaio 2005 diventa direttore Responsabile de Il Sole 24 Ore e Direttore Editoriale del Gruppo Sole 24-Ore. È direttore del Corriere della Sera dall’aprile 2009. L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni? È maturata la consapevolezza che nei confronti delle notizie scientifiche, e mediche in particolare, vanno adottati criteri di scelta precisi, per esempio nella selezione delle fonti e nella modalità di presentazione, per rendere possibile una corretta comprensione di argomenti a volte complessi, senza rinunciare al 97 La parola ai Direttori | Ferruccio de Bortoli rigore. Va detto tuttavia che, per contro, soprattutto attraverso la televisione e i nuovi media stanno trovando sempre maggior spazio anche espressioni che, al contrario, puntano soprattutto sull’effetto, sul clamore e su affermazioni non di rado prive di solidità scientifica. 98 I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Una notizia di salute in prima pagina nel 1973 era una rarità, mentre oggi non sorprende nessuno. I motivi sono diversi. Uno è rappresentato dall’aumento dell’età media della popolazione. Con il trascorrere degli anni cresce in genere l’attenzione alla propria salute, tanto più in un contesto socio-economico in cui l’assistenza medica è meno gratuita e “scontata” rispetto ad anni anche recenti. Se si vuole guardare all’oncologia in particolare si possono individuare due ragioni molto precise che giustificano il maggior spazio sui media. La prima è una maggior diffusione della patologia, legata proprio all’aumento dell’età media (in passato era più facile non “avere il tempo” di sviluppare un tumore). La seconda è che il cancro oggi non è più incurabile: può essere guarito, cronicizzato, prevenuto con comportamenti precisi. In questo contesto i lettori si aspettano indicazioni su un problema che riguarda prima o poi quasi ogni famiglia e vogliono sapere dove andare in caso di diagnosi ed essere informati sulle novità nelle cure. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Come già detto bisogna fare una distinzione fra media dotati di maggiore o minore responsabilità. Nel caso che riguarda il Corriere della Sera, in generale le notizie di salute vengono selezionate prima di tutto in base alla fonte di provenienza. Si cerca soprattutto di attenersi alle indicazioni, dirette o indirette, delle riviste scientifiche più accreditate che, essendo dotate di comitati di revisori, garantiscono già un filtro tecnico e operano una pre-selezione delle novità scientifiche più attendibili e importanti. È chiaro però che si opera comunque un vaglio critico di tipo giornalistico anche su queste fonti. Per il resto i giudizi sulla “notiziabilità”, fatti salvi gli specifici criteri di verifica, non sono molto diversi da quelli che valgono per altri settori: eventuali casi di tubercolosi in una scuola di Milano o di Roma, per esempio, rappresentano ovviamente una notizia. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Ce ne potrebbero essere diversi. Preferisco citare un’iniziativa, Sportello Cancro su corriere.it. È stata la prima reale pagina di servizio su questo tema creata da un grande giornale in Italia. Una scelta coraggiosa fatta nel 2003. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? La mediazione fra rigore e divulgazione è un obiettivo costante e si cerca di perseguirlo con lo studio, la preparazione e la prudenza. Ma dobbiamo avere anche il coraggio di dire chiaramente ai lettori che oggi la medicina può dare sempre meno spesso risposte chiare e certe, bensì, più spesso, opzioni, possibilità di scelta. È il prezzo che si deve pagare per la tanto invocata “partecipazione responsabile alla cura” e per il superamento del ruolo paternalistico del medico. Un ruolo che non si può, a maggior ragione, assumere nemmeno un giornale. Che impatto ha sul cittadino colpito da cancro l’outing di artisti e personaggi famosi che hanno rivelato di essere malati o di avere sconfitto la malattia? Possono essere dei buoni veicoli per incoraggiare alla prevenzione e alla cura. A patto che anche i loro casi vengano trattati, almeno in queste circostanze, con taglio rigoroso, sacrificando gli aspetti tipici del gossip. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Il rischio di emulazione in questo caso mi sembra sia stato documentato. È il risultato della mancanza di rigore. È chiaro che questa era una notizia. Proprio per l’impatto che avrebbe potuto avere, andava trattata con senso di responsabilità, che non vuol dire censura né cesura, bensì esplorazione e documentazione di ogni aspetto del problema. In Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? La sensibilità dei media in questo senso è cresciuta molto rispetto al passato, anche se magari non è ancora sufficiente. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Gli esempi positivi e negativi sono sotto gli occhi di tutti. L’insistenza nel di- 99 La parola ai Direttori | Ferruccio de Bortoli fendere la validità di trattamenti privi di prove scientifiche, l’adozione di linee editoriali chiaramente preconcette, la mancanza di contraddittorio, la ridicolizzazione sistematica di chi non è omogeneo alla tesi adottata, la cosciente rinuncia a chiedere trasparenza ai protagonisti della vicenda, sono i criteri fondamentali con cui si può identificare chi non fa, o non ha fatto, un buon lavoro giornalistico in questi casi. 100 L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Questa opinione credo sia condivisa fra i giornalisti che si occupano del settore e anche in generale. E questi dati credo trovino spazio sui media. Certamente vale sempre l’adagio “fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”, quindi non c’è da sorprendersi se un caso di malasanità fa più rumore degli ottimi risultati complessivi di un intero settore. Ma sarebbe peggio se fosse il contrario: un mondo in cui il bene, e non il male, fosse la notizia, l’eccezione, sarebbe poco desiderabile. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Io credo che vedremo nei prossimi mesi segnali crescenti di fiducia e di ripresa dell’economia. Ma una nuova fase di sviluppo non sarà possibile senza un ripristino di una maggiore legalità e fedeltà fiscale nel rispetto dell’equità e del merito. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Preferirei non farlo perché avrebbe un valore riduttivo, riaprirebbe antiche ferite e non aggiungerebbe nulla di utile al lettore. Quando Tiziano Terzani scrisse Un ultimo giro di giostra, il libro in cui racconta la sua esperienza di malato di cancro e anche le delusioni verso la medicina orientale e una rivalutazione dell’eccellenza medico-scientifica occidentale, disse una frase che mi porto in mente: “ricordati che dentro di te c’è anche un grande medico e il paziente lo deve aiutare a vincere una battaglia comune”. Belle parole di speranza e di determinazione, senza le quali la vita perde sostanza e colore. roberto iadicicCo Direttore dell’AGI “I lettori sono ‘affamati’ di notizie, ma non dobbiamo cedere al sensazionalismo” Nato a Roma il 18 ottobre 1961, nei primi anni ’90 Roberto Iadicicco è responsabile del settore medicina e sanità dell’AdnKronos, diventando poi nel 1997 direttore di AdnKronos Salute. Dal 2000 è responsabile della comunicazione della ricerca scientifica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, mentre dal 2002 al 2005 è Capo ufficio stampa e portavoce del Ministro della Salute Girolamo Sirchia e direttore generale della comunicazione e relazioni istituzionali del dicastero. Il 1° marzo 2007 viene nominato vice direttore dell’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) con delega per le nuove iniziative editoriali. Nel 2009 riceve il premio “Giovanni Maria Pace” per la divulgazione medico-scientifica promosso dall’AIOM. È direttore dell’AGI dal novembre 2010. L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? Certo che è cambiato. Potremmo dire che c’è stata una vera rivoluzione copernicana. I temi medico-scientifici erano, fino a una ventina di anni fa, confinati nelle riviste specialistiche, nelle pagine di salute (se c’erano) dei quotidiani, nelle rubriche specializzate della Rai. Erano temi per definizione di nicchia: si pensava che parlare di malattie fosse poco “accattivante”, che allontanasse il 101 La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco 102 grande pubblico ansioso, piuttosto, di conoscere le ultime notizie di politica, di cronaca, nera e rosa, e ovviamente di sport. Poi qualcosa è cambiato. E i manuali di giornalismo hanno dovuto aggiungere alle proverbiali tre “S” considerate i capisaldi dell’informazione, cioè sangue, sesso e soldi, una quarta “S”, forse la più importante: Salute. La vita media si allunga, gli italiani sono un popolo di malati cronici: 25 milioni, oltre il 45% della popolazione. Artrosi, ipertensione, allergie, cefalee. Ogni giorno riceviamo telefonate alla redazione salute. Sono persone di tutte le età e tutti i ceti sociali, cercano risposte per il Parkinson della nonna, l’influenza della bambina, ma anche tentano di districarsi nel ginepraio di informazioni confuse che ricevono soprattutto via web, per capire se fidarsi o no della scienza ufficiale. C’è un’enorme “sete” di notizie sulla salute. Secondo una recente rilevazione, addirittura il 32% degli articoli pubblicati nei principali quotidiani toccano, in qualche modo, temi medico-scientifici. Una quota impensabile fino a venti anni fa. Non per niente, stando a un’indagine Censis, la salute è schizzata al primo posto tra gli argomenti più interessanti scelti dai lettori dei settimanali (con il 26,8% delle preferenze contro il 20 di 5 anni prima), seguita a distanza da “argomenti femminili” (22%) e dall’immancabile cucina/ gastronomia (21%). E in questo senso il tumore è uno dei temi di cui più si scrive, in un modo o nell’altro: il 45,3% degli articoli di salute nel 2010, secondo l’Eco della Stampa, riguardava il cancro, contro il 20% circa dedicato alle malattie cardiocircolatorie, sebbene queste ultime siano il vero “big killer”, la principale causa di morte in Italia e in genere nel mondo industrializzato. Questo scossone ha inevitabilmente cambiato l’approccio dei mass media: anche il giornalista “generalista” ormai è chiamato a confrontarsi con questi temi. Il che presenta ovviamente due facce di una medaglia: da un lato una maggiore chiarezza espositiva, un maggior “brio” stilistico, articoli in definitiva più accattivanti, più snelli, fruibili perfettamente dal lettore medio, che aborre termini tecnici e spiegazioni astruse. Dall’altro, una inevitabile semplificazione che scivola spesso nella banalizzazione, o peggio nel travisamento del messaggio originale che si intende dare, che sia una ricerca scientifica, lo studio su un farmaco, nuovi dati epidemiologici e quant’altro. Scienza e medicina sono uscite dal ghetto, ma rischiano di trovarsi spaesate in un’enorme piazza globale dove i messaggi si rincorrono rapidi e superficiali, due aggettivi che poco hanno a che fare con una corretta informazione medico-scientifica. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Difficile dirlo in sintesi, anche perché la questione è ancora relativamente recente per essere pienamente compresa. Di certo, come accennato sopra, c’è il fatto che gli italiani sono invecchiati, che quattro su dieci hanno una o più malattie croniche, e che quindi tutti, i malati e i loro familiari, hanno letteralmente bisogno di informazioni. Quanto al cancro, è evidente che il termine stesso è uscito dal novero dei tabù, si è imposto nel pubblico dibattito anche a causa della sua diffusione, che fa sì che ognuno di noi inevitabilmente sia stato nel corso della vita a contatto con questa malattia. In definitiva, non credo sia una direzione imboccata volontariamente e ponderatamente dai media: piuttosto si tratta della conseguenza di un mero meccanismo di domanda/offerta. D’altra parte in questo senso l’esplosione del web ha letteralmente capovolto il sistema: siamo noi mezzi di informazione chiamati ad adeguarci continuamente alle richieste del lettore, ai “topic” di volta in volta più in vista. Il lettore vuole saperne sempre di più su questioni medico-scientifiche, e noi cerchiamo di assolvere a questo compito improbo, cercando di ripetere a noi stessi che non siamo medici, che il nostro mestiere prevede l’informazione, non la diagnosi o peggio la dispensazione di una terapia. Ma il fenomeno c’è, ed è inutile nascondersi: 15 milioni di persone cercano aiuto online, e solo uno su tre si rivolge al medico quando accusa un malessere. Da un sondaggio Codacons del 2010 emerge per esempio che il 48% delle persone con problemi sessuali cerca di risolvere o almeno capire la cosa via internet, e solo il 18% chiede consiglio al medico. I media, soprattutto online, sono diventati anche i “confessori” di dubbi e questioni che non sempre si è disponibili a rivelare o a chiedere a un medico in carne e ossa. I dati di accesso sul nostro sito AGI dicono chiaramente quali sono le parole più ricercate: insieme agli argomenti trend del giorno, compare in inverno inevitabilmente la parola “influenza”, insieme a “raffreddore”, “febbre”, d’estate “caldo”, “punture”, “zanzare”, e tutto l’anno le fatidiche parole “sesso”, “problemi erettili”, e via di questo passo. Ma non è solo una questione meramente utilitaristica: il lettore vuole sapere, anche se il tema non lo riguarda personalmente. È il caso di Stamina, che trovo emblematico al di là delle considerazioni specifiche che faremo più avanti. Stamina promette di curare patologie rare, rarissime. Eppure gli articoli che pubblichiamo sull’argomento sono i più letti. Perché il tema interessa così tanto lettori che non hanno niente a che fare con la Sma, la Sla, la sclerosi multipla? Credo che sia un discorso che dovrebbe scavare nel profondo di questo momento storico, in cui la fiducia nelle istituzioni è crollata, trascinando con sé anche la fiducia nella scienza e nella medicina “ufficiali”. Per questo anche i temi di salute, una volta così asettici e ipertecnici, finiscono per essere arruolati nella contesa tra “conservatori” e “innovatori”, termini che non a caso metto tra mille virgolette, per essere branditi da una fazione o dall’altra a seconda delle circostanze. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Questa credo sia la questione cruciale. I principali quotidiani sportivi, soprattutto d’estate, aprono con titoli a nove colonne, che più o meno recitano sempre “Colpo della Juve, arriva Tizio”, o “La Roma vicina a Caio”. Sparano indiscrezioni di calciomercato che poi al 90% non si concretizzano, perché così il lettore ac- 103 La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco 104 quista il giornale in edicola. Il giornalista che si occupa di salute si trova in una posizione radicalmente diversa. Noi sul sito salute.agi.it diamo conto degli studi clinici più interessanti pubblicati nel mondo, e sono davvero centinaia al giorno. Si va dalle amenità, dal te verde che fa bene contro il cancro a dormire otto ore per notte evita l’obesità, a cose più serie, tipo nuove scoperte contro il diabete, o il cancro. Ora, sarebbe facile titolare “più vicina la cura contro il cancro”, o una malattia x, ma bisogna sempre pensare che là fuori c’è gente malata che ci legge, a cui dobbiamo dire onestamente che quegli studi, quei progressi, sono quasi sempre sperimentazioni sui topi, che ci vorranno anni prima di passare alla sperimentazione umana, e da allora almeno dieci anni per trovare, se ci si riesce (solo un farmaco su 1.000 sperimentati vede la luce) il farmaco. A volte dobbiamo scegliere tra un bel titolo forte e uno più debole, ma che si avvicina alla realtà. L’ottimismo esagerato ha conseguenze se possibile ancora peggiori dell’allarmismo. Molti nostri lettori ci scrivono chiedendo chiarimenti, e noi cerchiamo sempre di dire come stanno le cose in realtà. Un ruolo di servizio che deve conciliare notiziabilità e interesse dei lettori-pazienti, due cose spesso in contraddizione. La “notiziabilità” è il sacro Graal del nostro mestiere: è un obiettivo, un obbligo, un ideale, ma nessuno sa esattamente dov’è, e come raggiungerla. L’influenza A, scoppiata (si fa per dire) nel 2009, era “notizia”? Certo che sì. Alcuni esperti, anche celebri, avevano profetizzato fino a 95.000 morti solo in Italia. Ne sono morti 259, mentre ogni anno l’influenza stagionale fa circa 8.000 vittime. Si è scoperto solo dopo che la “suina” è stata una grande fortuna: ha un tasso di mortalità 10 volte inferiore alla stagionale. Tutta l’informazione ha cominciato a dare un bollettino di guerra, un morto, due morti, tre morti, sempre con titoloni. Il cittadino in buona fede pensa: oddio, stavolta ci siamo, verrà da me prima o poi. Noi AGI abbiamo cercato sempre di dare “i numeri” in senso buono, perché a volte è l’unica cosa che conta: ossia: è vero, ci sono stati già dieci morti per il nuovo virus, ma con l’influenza stagionale ce ne sarebbero stati 50, 70, 100. Di cui nessuno ha mai scritto sui giornali. Molti media fanno finta di niente: dicono “io ho solo detto che c’è un morto, non ho mica mentito”. Certo, il morto c’è. Come muoiono centinaia di persone al giorno. Ma se su quel morto, e solo su quello, i media danno notizie, automaticamente quella morte diventa messaggio di qualcos’altro, qualcosa di allarmante, l’inizio di un’epidemia che toccherà me, i miei cari, mio figlio, mio nonno. Perché, come diceva Mac Luhan, il mezzo “fa” il messaggio. Se un giornale titola “100 morti per l’influenza A”, diventa nella percezione comune una strage, un numero enorme. Se dicessimo “900 morti in meno della stagionale” sarebbe forse più corretto, ma è la classica “non notizia”. Un caso come l’influenza A è il delitto perfetto: il lettore è affamato di notizie perché è spaventato, e un po’ gli piace anche spaventarsi, noi le scriviamo con dovizia di particolari truculenti, e spesso non sono estranei neanche gli interessi delle case farmaceutiche. Ma il risultato finale è persino più grave del semplice allarmismo, che poi si rivela una bolla di sapone. Si rischia di saturare il tema, finendo per banalizzarlo, svilirlo, e in definitiva di espellerlo dal pubblico dibattito. Ora, finita la “febbre”, è il caso di dire, dell’influenza A, sembra che il problema sia precipitato a zero. Zero interesse, zero percezione del rischio. Invece migliaia di italiani continuano a morire di influenza, e chi sono? Malati cronici, anziani, bambini piccoli. Forse di questo, e noi cerchiamo di farlo, bisognerebbe parlare, mantenere l’attenzione tutto l’anno. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Di episodi ce ne sono tanti: consultando il nostro notiziario storico, alla ricerca per titolo con la parola “tumori” escono 7.880 notizie. Molte sono nuove scoperte farmacologiche o terapeutiche in genere, spesso sono la voce dei pazienti, o degli oncologi. Ma per restare al tema del rapporto tra malattia e informazione, da un punto di vista sociologico, ricordo un’intervista a un esperto dell’Airc, che fu molto istruttiva per noi e spero anche per i lettori. Elencava i luoghi comuni legati al cancro e li sfatava uno a uno. Emerse che una persona su quattro pensa che non è necessario modificare il proprio stile di vita per prevenire la malattia, e che molti sono convinti che operarsi non faccia altro che disseminare le cellule maligne, che il forno a microonde sia cancerogeno, così come la carne alla griglia, i traumi sportivi, e via di questo passo. Senza contare le varie “teorie del complotto”: da chi pensa che una cura definitiva c’è, ma per qualche ragione viene tenuta nascosta, a chi è convinto che le case farmaceutiche speculino sui pazienti con farmaci inutili e dannosi. Ecco, credo che nell’epoca attuale ci sia non tanto e non più una carenza di informazione ma paradossalmente un sovraffollamento, che ingenera solo confusione e dubbi. Per questo sfatare i “falsi miti”, sul cancro come su tutto il resto dello scibile umano, dovrebbe essere oggi una delle principali preoccupazioni della nostra professione. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? È difficile, ma possibile. È una sfida quotidiana. Quando interpelliamo una fonte, che sia scritta (uno studio clinico, un articolo in una rivista scientifica) o “umana” (un medico, un ricercatore, l’esponente di un’associazione di medici o di pazienti) instauriamo subito, inconsapevolmente, un benevolo braccio di ferro. La fonte, quasi sempre, cerca di relativizzare, sminuire, riportare dati e nozioni in modo concreto e razionale. Noi abbiamo bisogno dell’opposto, cerchiamo la “notizia”, e quando uno scienziato ci parla di “farmaco che ha ottenuto in fase III un indice di sopravvivenza libera da malattia di X rispetto a Y” noi abbiamo già elaborato mentalmente il fatidico titolo “funziona il farmaco contro la malattia X”. Credo che la soluzione di questo braccio di ferro sia di incontrarsi a metà strada: il giornalista scientifico non può sbracare verso una comunicazione facile e ad effetto, perché, è bene ribadirlo, non si occupa di sport o di cinema, con tutto 105 La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco il rispetto per questi argomenti. Si occupa della vita delle persone. Ma anche la medicina, nel momento in cui vuole divulgare i propri progressi, dovrebbe sforzarsi di chiarire e semplificare il messaggio, non per banalizzarlo ma per evitare pericolosi fraintendimenti. In definitiva, dovrebbe rafforzarsi la consapevolezza che medicina e informazione sono due facce della stessa medaglia, e con un comune obiettivo: l’interesse del paziente/lettore. 106 Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Chiaramente un grande valore. Soprattutto perché questi personaggi hanno vinto la battaglia, e sono tornati al loro lavoro con successo. In questo caso la stampa ha un ruolo positivo, amplificando queste vicende personali per trasformarle in modelli collettivi. Il messaggio è che dal cancro si può guarire, ci si deve provare, si deve lottare. Ma il successo di questi modelli è anche un altro: il tumore è definitivamente sdoganato, anzi: fino a pochi anni fa ammettere di avere il cancro (in questo senso trovo corretto il termine “outing”, la rivelazione di qualcosa che si riteneva inconfessabile) avrebbe probabilmente significato la fine della carriera per un uomo di spettacolo, che anche se fosse riuscito a guarire avrebbe subito una ripercussione negativa, lugubre, cupa sulla sua immagine pubblica. Oggi anzi questo dà forza alla sua immagine, lo rende un “vincente”. Anche questo è comunicazione: avere il cancro, combatterlo, possibilmente batterlo, non è più uno stigma, ma un elemento di orgoglio, di rivendicazione della propria debolezza di essere umano ma anche della propria forza. E questo è importantissimo per le persone comuni con il cancro: anche loro possono ora dirlo a testa alta, affrontare l’immane battaglia con orgoglio e non con vergogna. Tanto da diventare a volte, complice la rete, loro stessi “eroi” di questa lotta alla malattia. Si moltiplicano i blog di malati di cancro, alcuni davvero ben scritti. È il caso del blog di Anna Lisa Russo, pubblicato per mesi sul sito della Stampa, dove una ragazza toscana colpita dal cancro al seno ha raccontato le paure, il dolore, la speranza, la gioia delle piccole conquiste quotidiane, in definitiva l’orgoglio di ingaggiare giorno per giorno una battaglia senza mai darsi per vinta. Anche lei, che purtroppo non ce l’ha fatta, come Michael Douglas o Kylie Minogue è diventata per migliaia di lettori un faro, una voce nella notte per ripetersi che non si è soli. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Il caso di Angelina Jolie indica chiaramente come non sempre l’outing di un personaggio pubblico sia un fatto positivo. Perché anche il personaggio pubblico è un essere umano, può sbagliare. Ora, non so se lei personalmente ha fatto bene a prendere una decisione, d’intesa con i medici, così radicale. Ma prendiamo un altro esempio, quello di Steve Jobs. Convinto, come purtroppo tantissimi ormai, che chemioterapia, radioterapia, farmaci, la stessa chirurgia siano inutili o dannose per la cura del cancro, che può guarire per vie naturali. Secondo me è simbolico, e anche un po’ inquietante, che proprio il “guru” del nuovo mondo hi-tech e iperconnesso, il creatore di questo villaggio globale dove le informazioni viaggiano senza verifiche e senza approfondimenti, sia morto di tumore al pancreas proprio perché non curato per un lungo, fatale anno passato a nutrirsi di mele e arance. Simbolico del fatto che nell’oceano delle informazioni che viaggiano in rete non si distingue più il buono dal cattivo esempio, lo scienziato dal ciarlatano, le scoperte scientifiche frutto di decenni o di secoli di studi e di fatica dagli elisir improvvisati. Ed è un fenomeno pericolosissimo. Tornando alla bella attrice americana, il pericolo anche qui c’è stato e c’è: farsi operare per asportare gli organi non vitali che potrebbero essere a rischio cancro non è uno scherzo. Specialmente per una donna ancora in età fertile. Il rischio emulazione c’è, e i mass media avrebbero dovuto, e non l’hanno fatto anche perché, come dicevo prima, non tutti i giornalisti che ne hanno scritto hanno le nozioni adeguate, chiarire che è una decisione che va assolutamente presa caso per caso, che ognuno è diverso, e che comunque la comunità scientifica, almeno la grande maggioranza, è fortemente perplessa su questo tipo di scelte. Per fortuna in questo però ci soccorre la liquidità ormai esasperata delle notizie, e la loro vita brevissima. Dopo la notizia della Jolie ci affannammo tutti a sentire gli oncologi per capire se in effetti c’era stato un boom di richieste di mastectomia o isterectomia totali. E in effetti qualcosa si era mosso: secondo una organizzazione no profit inglese, nei giorni immediatamente successivi a quell’annuncio choc le richieste di informazioni sulle mastectomie preventive si erano quadruplicate. Ma dal telefonare al farsi asportare il seno il passo è lungo, e oggi che la notizia è stata soppiantata da mille altre (e che la stessa Jolie è tornata al cinema senza più accennare alla cosa) dubito che si registrerebbero significative variazioni nel numero di interventi di questo tipo. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Lo spazio riservato non è molto. Indubbiamente il tema non “tira”. È vero che, nell’ambito di una generale amplificazione dell’attenzione sul tema cancro anche la questione del “dopo” viene trattata, ma in proporzioni molto minori rispetto ad altre questioni. Secondo un’indagine del Cipomo, gli argomenti più trattati nei media quando si parla di cancro sono le nuove scoperte scientifiche (25,5%), 107 La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco 108 la sperimentazione clinica (19,5) e la prevenzione (16,8). Di quello che viene dopo il cancro si parla poco: effetti positivi delle terapie (9,2) e guarigione (8,8) sono ancora argomenti di nicchia. Le cattive notizie, si sa, sono più stimolanti di quelle buone. E una persona che è guarita dal cancro, anche se durante la sua battaglia per qualche motivo ha avuto una visibilità mediatica, scivola subito nuovamente nell’anonimato. E con lei le problematiche enormi che la sua nuova situazione pone, che sono per l’appunto il tornare al lavoro, a una vita sessuale e affettiva, alla maternità o paternità. Un bel manuale elaborato dal Centro di riferimento oncologico di Aviano, intitolato “Dopo il cancro, aspetti psicosociali e qualità di vita”, tratta nel dettaglio diverse questioni che devono affrontare i “lungo sopravviventi”, da quelle cliniche (le visite di controllo, il dolore, i farmaci) a quelle psicologiche (il senso di colpa, la depressione, l’ansia e la paura di un ritorno della malattia, e così via). Tutte questioni che ancora non hanno “sfondato” nei mass media generalisti, sulle quali tutti dovremmo impegnarci di più. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Francamente il termine “male incurabile” non è più così diffuso come fino a pochi anni fa. È vero, allora si diceva “male incurabile” per dire cancro, erano sostanzialmente sinonimi. Oggi si usano altri eufemismi: “è morto dopo una lunga malattia”, ad esempio, o “da lungo tempo malato”. Quando si leggono frasi del genere, tutti capiscono al volo che, al 99% dei casi, la persona in questione aveva un cancro. “Male incurabile” è superato, e trovo personalmente che sia anche una formula polverosa e antiquata, che dà un immediato sentore di “vecchio” all’articolo. Se ancora compare in qualche occasione, certo che ci impegneremo ad eliminarlo, per tutte le buone ragioni di cui sopra. Quanto alle altre perifrasi che si usano per non dire esplicitamente la parola “cancro”, va riconosciuto che entra in gioco anche una questione di privacy. In linea di massima i mass media non hanno più paura a pronunciare quella parola, ma non è detto che l’individuo di cui si sta scrivendo abbia piacere a che le sue esatte condizioni cliniche siano rese di pubblico dominio, e ancora, malgrado i progressi culturali e sociali su cui ci siamo soffermati in precedenza, c’è una sacca di resistenza sulla questione cancro che lo rende radicalmente diverso da altre patologie. È difficile che si legga, di uno colpito da infarto, che è stato colpito da “un male al cuore”, tanto per fare un esempio. Un infarto è un infarto. Per il tumore c’è ancora un pezzo di strada da fare, ma credo che sia la dirittura finale verso un giusto approccio anche lessicale al problema. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? I casi Di Bella e Stamina sono simili e diversissimi allo stesso tempo. Simili, è inutile dirlo, perché entrambi hanno fatto leva sulla credulità e sulla disperazione dei malati o dei loro parenti. E anche, purtroppo, per il ruolo dell’informazione, che li ha amplificati, cadendo nel vizio tutto italiano di dividersi immediatamente in guelfi e ghibellini, e ingaggiare una battaglia a suon di trasmissioni televisive e articoli di stampa a difesa o contro le due sedicenti terapie. Ma sono diversissimi, perché dal 1998 a oggi il mondo è cambiato. È quella rivoluzione copernicana cui accennavo prima, che si manifesta nel boom della medicina nell’interesse dell’opinione pubblica e, contemporaneamente e con un enorme effetto-eco, nella diffusione di Internet. Stamina è “figlia” di Internet, indubbiamente. Anche se il fenomeno nasce da una trasmissione televisiva di grande successo, che a più riprese ha intervistato Vannoni e i genitori dei piccoli pazienti, creando un’immediata empatia nel pubblico meno smaliziato, si è amplificato e riverberato attraverso migliaia di pagine internet, i social network, i forum e i blog. Credo che Stamina soprattutto abbia poi tratto profitto, volutamente e consapevolmente, dalla strategia mediatica del “guru” Vannoni – che non per niente non è affatto un medico ma un professore associato in psicologia generale – e dalla generale sfiducia nelle istituzioni, comprese quelle scientifiche. I nuovi media soprattutto, ma anche la trattazione superficiale di questi temi, quando, per l’appunto, fuoriescono dall’ambito medico-scientifico e diventano casi di cronaca e questioni politiche, ingenerano in milioni di persone la convinzione che le aziende farmaceutiche costringano la politica a negare a Stamina di operare solo per interesse, o che la chemioterapia è solo un bluff, mentre dal cancro si guarisce con le vitamine, naturalmente osteggiate dalla solita “mafia” del farmaco. Lo schema del messaggio così veicolato è semplice: “finora vi hanno detto che le cose stanno così, ora che l’informazione (almeno su Internet) è libera, noi vi diciamo che le cose invece stanno in un altro modo. La bambina Tizia infatti è guarita facendo questo, il bambino Caio ha avuto netti miglioramenti facendo quest’altro”. Il tutto senza controlli, senza verifiche di nessun tipo, senza contraddittorio. Un fenomeno di una gravità ancora sottovalutata, che porta migliaia di italiani a non fidarsi più dei vaccini, o a credere che l’Aids sia un’invenzione del Pentagono americano, o che per sconfiggere il cancro, appunto, basti mangiare frutta. L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che 109 La parola ai Direttori | Roberto Iadicicco 110 indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Penso che ci siano due livelli: quello dell’opinione pubblica più informata, che è la punta dell’iceberg e in cui questo messaggio è passato. E quello della massa meno informata, su cui indubbiamente il messaggio fatica a passare. D’altra parte, anche in questo la responsabilità dell’informazione è enorme, così come enorme è lo spazio che negli ultimi anni viene dato al tema della malasanità. Un dato su tutti: dal 2001 al 2010, lo spazio dedicato dai tg alla malasanità è aumentato di oltre 20 volte. Perché? Accadono più casi? Può darsi, ma evidentemente c’è una scelta editoriale di fondo. Che porta poi a ingenerare un clima di sfiducia verso un sistema sanitario, per l’appunto, che è all’avanguardia nel mondo. La buona sanità, siamo costretti a ripeterci, fa molto meno notizia della cattiva sanità. E ormai siamo così abituati a sentirci dire che tutto va male, che nulla funziona nel nostro Paese, che chi si ostina a dire che abbiamo dati di mortalità generale e di sopravvivenza oncologica che ci pongono al top in Europa viene visto con sospetto. Su questo indubbiamente bisognerebbe investire di più in campagne di comunicazione, anche da parte del Ministero della Salute. Tenendo conto della grande vetrina che ci offre la presidenza del semestre europeo, e che oggi finalmente esiste una “Schengen della salute”, per cui i cittadini europei possono spostarsi liberamente per le cure: se non riusciamo a dircelo da soli, forse domani saranno i concittadini europei a riconoscerci i nostri primati in materia di salute, e rendercene finalmente consapevoli. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Qui ci vorrebbe ben più di qualche riga. È vero, intanto, che la crisi ha colpito anche la salute: basta vedere quanti italiani hanno rinunciato alle cure perché troppo costose, a partire da quelle dentarie. La luce in fondo al tunnel si vede, è lì. Si vede nei dati macroeconomici di altri paesi, degli Stati Uniti in primis ma anche di alcuni Paesi europei che iniziano a rialzare la testa. La luce è lì, e l’Italia è ancora nel tunnel: per stabilire quando ne uscirà bisognerebbe capire se si sta muovendo nella direzione giusta, a che velocità, con quali mezzi. Diciamo solo che rimaniamo un grande Paese, con un grande risparmio privato, grandi risorse, grande appeal internazionale. Certo, l’industria, soprattutto quella pesante, è in grandissima difficoltà, ma credo che, anche grazie al traino del resto del Continente, seppure con tempi forse più lunghi rispetto a quanto viene troppo spesso annunciato, usciremo dal tunnel. bruno manfellotto Direttore de l’Espresso “Raccontiamo gli uomini e le donne che fanno ricerca e sfidano la malattia” Bruno Manfellotto nasce a Napoli il 22 marzo 1949. Muove i primi passi nel quotidiano romano Paese Sera. Chiamato a Panorama, s’è diviso negli anni Ottanta tra i temi dell’economia e della politica per poi assumere la guida della Redazione romana e, più tardi, trasferirsi a Milano come capo redattore centrale. A l’Espresso è arrivato una prima volta nel 1992, dal 1995 al 2000 ne è stato vice direttore per poi diventare direttore della Gazzetta di Mantova, il più antico quotidiano italiano. Dal 4 maggio 2003 al giugno 2009 ha diretto Il Tirreno per poi assumere la Direzione editoriale dei sedici quotidiani locali del Gruppo Espresso. Dal 15 luglio del 2010 è direttore de l’Espresso. Ha collaborato con Il Mattino di Napoli e con la Rai; nel maggio 2003 ha dato alle stampe S-Profondo Nord – Viaggio nella Padania che non ti aspetti. Nel luglio 2007 gli è stato assegnato il Premio Ischia di giornalismo. Nel 2011 ha ricevuto il Premio Arrigo Benedetti e il Premio Casalegno. Com’è cambiato il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? C’è molta più attenzione per i temi legati all’individuo in genere e, in particolare, a quelli che riguardano la salute e le patologie più gravi. E c’è una maggiore preparazione dei giornalisti che se ne occupano. Alla maggiore completezza dell’informazione hanno contribuito inoltre l’accesso a molti database e a fonti attendibili e certificate messe a disposizione rapidissimamente da Internet. 111 La parola ai Direttori | Bruno Manfellotto I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? La salute – lo abbiamo appena detto – è uno dei temi di maggiore interesse per i lettori. Inoltre le sempre più raffinate capacità diagnostiche; la più diffusa abitudine ad analisi periodiche; la consapevolezza del nesso inscindibile tra malattia e stili di vita; l’enorme e tragica diffusione delle patologie oncologiche alimentano una richiesta di informazione attendibile su una materia che, comunque, colpisce la gran parte delle famiglie italiane. 112 Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, per troppo ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? L’importanza di una notizia è direttamente proporzionale alla diffusione della patologia cui si riferiscono le informazioni raccolte e alle preoccupazioni dei lettori. Ma non è l’unico criterio. Il mondo della ricerca medica è ricco di personaggi di altissimo livello protagonisti di avventure scientifiche appassionanti. A differenza di un quotidiano o di un tg, un moderno settimanale non può limitarsi a dare le notizie che giudica interessanti per la vita dei lettori oggi e in prospettiva; il suo dovere è anche quello di raccontare il mondo della scienza e della medicina. Quindi, sì alle notizie e ai fatti che cambiano o cambieranno nel concreto le nostre abitudini sanitarie e la nostra vita, ma anche massimo spazio al racconto degli uomini e delle donne che fanno ricerca, che coraggiosamente sfidano la malattia. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Ricordo bene la posizione ferma, il rigore e la sobrietà con la quale abbiamo analizzato e raccontato, ormai molti anni fa, la dolorosa vicenda Di Bella: un esempio di buon giornalismo, come ci fu riconosciuto da più parti. Ma siamo stati anche i primi a dare conto della grande rivoluzione della terapia personalizzata in oncologia. Una costante attenzione diamo inoltre ai temi bioetici e sanitari relativi a pazienti oncologici: l’Espresso, per esempio, ha trattato il dilemma bioetico del prezzo dei farmaci oncologici, e denunciato le discriminazioni legate al ritardo col quale in Italia le medicine anticancro vengono approvate e autorizzate. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, ma spesso la scienza produce altri dubbi e domande. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? È la nostra sfida costante, l’essenza del nostro mestiere. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno rivelato di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? È molto importante che grandi protagonisti della scena pubblica raccontino la verità sul loro cancro e diventino così testimonial della battaglia contro la malattia. La loro testimonianza aiuta a vincere le ultime omertà, a cancellare lo stigma che ancora circonda i tumori, a dare un esempio concreto delle possibilità di vivere con e oltre il cancro. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Generalmente i media più accreditati non vanno alla ricerca di notizie di questo genere che appartengono ai cosiddetti “dati sensibili”, cioè alla sfera intima e privata di una persona. Ma in questo caso è stata la stessa Jolie a svelare la sua scelta, a farsi testimonial di una singolarissima quanto assurda forma di prevenzione: in questo caso i media non possono fare finta di niente. L’emulazione? Certamente un rischio c’è, ma il problema riguarda più i medici, chiamati a informare correttamente i loro pazienti e a non piegarsi a pratiche inspiegabili, che non i giornalisti. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore”: sono titoli di alcuni articoli recenti. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Forse lo spazio per queste belle notizie non è mai abbastanza ma, specie negli ultimi anni, storie come queste sono emerse e si sono imposte, anche perché sono state raccontate da molti giornali con attenzione e sensibilità. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali, ma parallelamente crescono anche le guarigioni. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché si usa ancora questo termine? La testata che dirige continua a usarla? Da molti anni abbiamo cancellato quella stanca definizione dal nostro vocabolario professionale e dalle nostre pagine, in piena coerenza con il nostro modo di fare informazione medica e scientifica. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Forse in alcuni casi i media hanno commesso errori, o forse no. Non sta a me giudicarlo. Ma rischi che certe malattie tragiche, dagli esiti il più delle volte in- 113 La parola ai Direttori | Bruno Manfellotto fausti, abbiano delle code politiche e diventino “casi” sono inevitabili. Le persone si trovano a fare i conti con diagnosi senza speranza e urlano il loro dolore. Noi possiamo solo render loro giustizia sul piano umano senza con questo alimentare speranze che la scienza – l’unica a cui possiamo credere – non dà. La politica spesso strumentalizza il dolore dei malati, noi dobbiamo cercare di non farlo e di mettere in guardia i lettori da questi rischi. 114 L’oncologia italiana e, più in generale, il nostro sistema sanitario, pur tra mille difficoltà, si conferma uno dei migliori al mondo con tassi di guarigione oncologica tra i più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Purtroppo in Italia persiste il miraggio dei viaggi della speranza. E molti non credono – o addirittura non sanno – che ci siano nel nostro Paese medici e centri del tutto adeguati a curare i malati. Forse per questo dobbiamo parlarne ancora di più. Il Paese sta cercando di uscire da una pesante crisi economica, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Il rischio che il servizio sanitario nazionale imploda, che non riesca a sopravvivere come l’abbiamo tutti voluto e vissuto, c’è. Dobbiamo impegnarci a eliminare sprechi e malagestione, che certamente ancora persistono qua e là, e a salvarne gli aspetti migliori, che comunque ne costituiscono la cifra più consistente. Facendo sì che il sistema tuteli la salute di tutti, soprattutto dei più deboli. Nel rispetto della Costituzione. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Ho avuto finora la fortuna di non dovermi misurare direttamente con la vicinanza del male. Ma quando mi è successo di doverne parlare con amici o conoscenti, mi sono speso perché in loro la speranza fosse più forte del dolore. GIUSEPPE MARRA Direttore dell’AdnKronos “I cittadini che lottano contro il tumore hanno bisogno di storie positive” Giuseppe Pasquale Marra nasce a Castelsilano (Crotone) il 21 novembre 1936. Tra il 1967 e il 1968 realizza documentari giornalistici sulle grandi questioni interne e internazionali. Dopo una breve esperienza all’estero, nel 1970 viene nominato direttore amministrativo ed editoriale dell’agenzia stampa AdnKronos. Nel 1978, acquista il 50% del pacchetto azionario dell’agenzia. Agli inizi degli anni ‘80 stringe forti partnership con grandi gruppi internazionali di informazione. Nel 1982 fonda la AdnKronos Libri che inizia a pubblicare instant-book sui principali temi di politica interna e internazionale, arrivando poi a produrre una trentina di volumi l’anno e il best seller Il Libro dei Fatti, diretto dallo stesso Marra. Nel 1986 fonda la AdnKronos Comunicazione per le strategie di comunicazione d’impresa e da quel momento in poi nascono a pioggia le altre società del Gruppo AdnKronos. Nel 1995 fonda la AdnKronos Salute Srl, agenzia quotidiana specializzata nell’informazione medico-scientifica sanitaria e della salute di genere. Nel 1999 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferisce il titolo di Cavaliere del Lavoro. L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni? È cambiato, e molto. Trent’anni fa i temi medico-scientifici erano confinati nelle riviste di settore, per la gran parte rivolte ai medici, e in trasmissioni televisive 115 La parola ai Direttori | Giuseppe Marra 116 specializzate. Oggi la salute fa notizia, come lo sport, la politica e la cronaca. Lo spazio che i media vi dedicano è aumentato progressivamente e ormai non di rado queste notizie finiscono in prima pagina o in apertura dei Tg. Il modo di comunicare la scienza e la medicina è diventato, giocoforza, più didascalico e d’appeal, per interessare un pubblico non specialistico. Poi c’è stato l’avvento di Internet, che ha rivoluzionato la comunicazione e anche il giornalismo. Negli ultimi anni la Rete ha dato voce anche ai malati, che attraverso i blog e i principali social network hanno deciso di rompere il silenzio sulla malattia che gli ha sconvolto la vita e raccontare la propria storia. I cancer-blog sono i più numerosi. Parlano in prima persona, e in presa diretta, del cancro, pubblicano diagnosi e risultati degli esami, e non nascondono alla loro comunity di lettori virtuali nemmeno gli aspetti più intimi della patologia, come la perdita dei capelli dopo la chemio. Scrivere di sé e della convivenza forzata con la malattia aiuta ad affrontarla meglio, tanto che si parla di ‘Blog terapia’. Il web ‘2.0’ sta dunque cambiando la comunicazione, ma anche la vita dei pazienti, il lavoro dei medici e il rapporto fra i due. Ovviamente, l’informazione medico-scientifica non può non tenerne conto. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Fino a qualche decennio fa si pensava che parlare di malattie allontanasse il grande pubblico. L’intuizione che invece la salute sarebbe diventata un tema di grande interesse mi ha portato nel ’95 a fondare l’AdnKronos Salute, la prima agenzia di stampa esclusivamente dedicata a temi medico-scientifici e di benessere. Oggi il pubblico ha fame di notizie di salute e, d’altra parte, i servizi sanitari e la medicina hanno bisogno di comunicare per rendere i cittadini i principali protagonisti della propria salute, in un sistema in cui l’assistenzialismo non regge più. Per questi motivi lo spazio dedicato dai media a questi temi è andato aumentando. Anche scrivere di cancro non è più un tabù, sicuramente per la crescente diffusione della patologia, per l’outing di personaggi pubblici, per l’importanza di diffondere la cultura della prevenzione e sostenere la ricerca. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? L’alchimia di elementi che fanno di un evento o di una dichiarazione una notizia è difficile da spiegare. Un giornalista la riconosce “a naso”. I criteri di notiziabilità per il giornalismo scientifico non sono diversi da quelli che valgono per altri settori. Un focolaio di tubercolosi in una scuola o in un ospedale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità che dichiara una pandemia, un farmaco particolarmente innovativo, uno scambio di embrioni durante una procedura di fecondazione assistita, sono tutte notizie. E gli esempi potrebbero continuare. Altrettanto, se non più importante che in altri campi del giornalismo, è la verifica delle fonti e la selezione delle notizie in base all’autorevolezza, affidabilità e trasparenza delle fonti, come la pubblicazione su riviste scientifiche accreditate nel caso di ricerche o della scoperta di sedicenti nuove terapie. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? A ottobre del 2013 l’AdnKronos Salute racconta, per prima, la storia di Federica Cardia, appena 30 anni, malata di un tumore al colon al quarto stadio, e del suo blog, che la ragazza ha battezzato “Tanto vinco io”. Dalla rete la ragazza, di origine sarda, lancia la sua sfida alla malattia e una richiesta d’aiuto per trovare una cura. La notizia viene molto ripresa, online e non solo. Federica viene invitata a partecipare a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche per portare la sua testimonianza, le viene affidato un blog sulla versione italiana di un famoso sito americano. Non è stato uno scoop, ma Federica scrisse alla redazione per dire che averle dedicato del tempo per ascoltare la sua storia e raccontarla era stata per lei un’iniezione di fiducia, che aveva rafforzato il coraggio e la determinazione ad andare avanti nella sua battaglia. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? Questa è una domanda da un milione di dollari. L’agenzia che dirigo è specializzata nel trattare temi di carattere medico-scientifico. Si lavora quotidianamente con l’obiettivo di conciliare un linguaggio rigoroso e corretto con la necessità di rendere queste notizie digeribili a un pubblico che non mastica di medicina. Senza intaccare la fiducia nella scienza o nella medicina, ma facendo capire ai lettori che non sempre esistono certezze o risposte chiare. “Spingere” il giusto sulla notizia, senza perdere in correttezza e credibilità è una sfida difficile, ma possibile. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Senz’altro positivo. I tanti personaggi pubblici che, in questi anni, hanno deciso di fare outing, hanno contribuito a rendere il cancro un argomento meno tabù per i media. I cittadini che a loro volta lottano con un tumore, hanno bisogno di storie positive. Vogliono l’happy end. E questi personaggi, con le loro storie pubbliche spesso a lieto fine, diffondono il messaggio che la malattia si può vincere, che non bisogna nascondersi né arrendersi. I Vip 117 La parola ai Direttori | Giuseppe Marra che rivelano di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta, possono anche essere buoni testimonial dell’importanza della prevenzione e della ricerca. A patto che il racconto delle loro esperienze non sia solo gossip. 118 Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Il rischio di emulazione può essere alto. E in effetti, secondo genetisti e chirurghi, la richiesta di test genetici da parte delle donne preoccupate di aver ereditato i ‘geni del cancro’ come la Jolie, sarebbe aumentata dopo la confessione dell’attrice. Così come la domanda di informazioni sull’intervento chirurgico in questione. Detto questo, il simbolo sexy e trasgressivo di Hollywood che racconta al mondo di essersi sottoposta a una mastectomia per evitare il rischio di ammalarsi di tumore del seno, come era accaduto alla madre, è senza dubbio una notizia. E non è censurandola che si risolve il problema dell’emulazione, ma trattandola con serietà e senso di responsabilità, interpellando i medici e dando uguale spazio ai pro e ai contro. Così il lettore, attraverso i diversi punti di vista, può formarsi la sua idea. Se aver raccontato la storia della Jolie, senza indulgere nel gossip o banalizzare un tema così delicato, ha acceso l’attenzione dell’opinione pubblica, ha alimentato il dibattito e ha spinto le donne con casi di tumori femminili in famiglia a non nascondere la testa sotto la sabbia e a parlarne con il medico, allora i media hanno reso un buon servizio. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? La sensibilità nei confronti di questi temi è molto cresciuta, ma lo spazio riservato è ancora insufficiente. Le tante persone che hanno giocato la loro partita con il cancro, e ne sono uscite vincitrici, rinascono a nuova vita, ma sono anche piene di domande e di paure nel ritorno alla quotidianità, al lavoro, a una vita affettiva e sessuale piena. Tutti questi aspetti del ‘dopo la malattia’ sono ancora poco presenti sui media, che dedicano più spazio alla ricerca, alle terapie anticancro, alla prevenzione. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Nei pezzi di AdnKronos Salute che si occupano di oncologia, il sinonimo “male incurabile” non viene più usato da molto tempo, se mai lo è stato. È vero però che si ricorre oggi ad altre espressioni, soprattutto nel dare notizia di decessi, come “era malato da molto tempo” oppure “è morto dopo una lunga malattia”: la parola cancro non viene pronunciata, ma immediatamente tutti capiscono qual è la malattia. Non è soltanto di una questione di privacy. La parola cancro pesa ancora come un macigno, è la patologia che fa più paura, evoca sofferenza e lutto. Oggi però si può guarire, tante storie lo dimostrano, e i medici sono più attenti alla qualità di vita dei pazienti. Mi impegno, a nome della testa che dirigo, a contribuire a cancellare l’alone negativo che ancora circonda il termine cancro. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Il rischio di strumentalizzazioni, confusione e false speranze, in poche parole di cattiva informazione, è insito in tutti e due i casi e nel modo in cui sono stati trattati dai media. L’affaire Stamina e, quasi vent’anni fa, il caso Di Bella – simili, eppure così diversi – sono entrambi l’espressione di un conflitto strisciante tra scienza e società italiana, destinato probabilmente a crescere ancora. In entrambi ci sono tutti gli elementi per una miscela esplosiva: la disperazione dei malati o dei familiari di malati con patologie molto gravi, come i piccoli protagonisti loro malgrado della vicenda Stamina; l’uso di terapie non riconosciute dalla scienza, non sottoposte ad alcuna sperimentazione e somministrate a dosi variabili scarsamente verificabili; l’ingerenza della magistratura che ordina le cure sostituendosi al medico; la strumentalizzazione della politica. Elementi perfetti per far diventare entrambi dei fenomeni mediatici. Il caso Di Bella resta una delle pagine buie della medicina contemporanea, eppure alla fine degli anni ’90 spinse gli oncologi a un profondo, e scomodo, esame di coscienza, portandoli a essere più umani con i loro malati. Più difficile ipotizzare un’eredità – se vogliamo – positiva della vicenda Stamina, per certi versi più inquietante, visto che il metodo è riuscito a entrare in un ospedale pubblico, dove per lungo tempo è stato somministrato. L’agenzia che dirigo ha trattato questa vicenda verificando sempre le storie e le notizie, cercando i documenti e facendo parlare le carte, assicurando una pluralità di voci e di punti di vista, cercando di non farsi tirare da una parte o dall’altra. 119 La parola ai Direttori | Giuseppe Marra 120 L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Al di là del clamore mediatico dei casi cosiddetti di malasanità, la percezione del buon livello dell’oncologia italiana, e del Ssn seppur tra mille difficoltà, credo sia condivisa fra i giornalisti, soprattutto del settore. Diversa, però, è spesso la percezione dei cittadini, che dipende dal luogo di residenza. Non si va più all’estero a farsi curare dopo la diagnosi di un tumore, è vero, ma ancora in troppi casi si fa la spola da una regione all’altra, da una città all’altra, da un medico all’altro. Le informazioni sono spesso troppo frammentate, come i percorsi di diagnosi e cura, e in questo i media potrebbero rendere un miglior servizio ai cittadini. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Forse, proprio come nel caso dell’espressione “male incurabile”, anche riguardo ai problemi di natura economica che il nostro Paese (e non solo) soffre, sarebbe utile iniziare a guardare avanti, al futuro, senza più trasmettere un senso di paura e instabilità con parole come “tunnel”. Non è mia intenzione minimizzare: disoccupazione e stagnazione sono dati di fatto. La mia cultura, però, mi porta ad avere fiducia nelle Istituzioni e sono certo che presto, complice il necessario cambio culturale di cui noi italiani necessitiamo, torneremo ad essere il “Belpaese”. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? È qualcosa che ancora, a distanza di molti anni, mi tocca molto da vicino. Preferirei davvero non parlarne. ezio mauro Direttore de La Repubblica “La parola ‘cancro’ va messa nel titolo, non è giusto mimetizzare la realtà” Ezio Mauro, nato a Dronero (CN) il 24 ottobre 1948, ha iniziato la professione di giornalista nel 1972 alla Gazzetta del Popolo di Torino, seguendo, tra l’altro, le vicende legate al terrorismo politico. È poi passato a La Stampa, a Roma, come inviato di politica interna. Sempre per La Stampa ha svolto servizi ed inchieste all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Nel 1988 ha iniziato la sua collaborazione con La Repubblica, come corrispondente dall’Urss, con base a Mosca. Per tre anni ha seguito la grande trasformazione di quel Paese nel periodo della Perestrojka, viaggiando nelle Repubbliche dell’Unione Sovietica. Il 26 giugno 1990 è tornato a La Stampa come condirettore, per poi assumere la carica di direttore il 6 settembre 1992. Nel 1994 ha ricevuto il Premio Internazionale Ischia per il giornalismo. Dal 6 maggio 1996 è direttore de La Repubblica. Nel 1997 ha ricevuto il Premio Internazionale Alfio Russo per il suo contributo al giornalismo. L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni? è cambiato completamente il rapporto tra il giornalismo e la medicina, tra il giornalismo e la scienza. Nello stesso tempo, il mondo della medicina e della scienza ha imparato a comunicare se stesso, al di là dei rapporti annuali, dei dati, dei risultati numerici. La medicina è diventata oggetto d’informazione e di conoscenza, e addirittura di narrazione. Dunque, è cambiato tutto. 121 La parola ai Direttori | Ezio Mauro I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Perché contemporaneamente è cambiato il rapporto delle persone col loro corpo, degli uomini e delle donne con l’informazione scientifica e medica, del cittadino con i suoi diritti. Fondamentalmente, la salute è diventata un diritto, prima veniva affrontata al contrario, con notizie sulle patologie. Direi che è una presa di coscienza collettiva, di massa, che ha determinato un cambio radicale nei giornali. 122 Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Le notizie nascono sempre da fonti. Se sono gonfiate, la fonte non era attendibile, e il giornalismo non era attento. Il criterio di selezione che raccomando alla mia redazione è di incrociare la notiziabilità con la responsabilità. Soprattutto quando le notizie, o supposte tali, parlano di “rimedi” o “scoperte”. In questi casi, bisogna pensare alle famiglie dei malati, alle false speranze che si possono indurre, alle scelte spettacolari che la disperazione può portare a compiere. Dunque, responsabilità prima di tutto. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Me lo ha ricordato in un convegno il professor Veronesi: tutte le volte che mettiamo la parola “cancro” nel titolo, senza nascondere la realtà o edulcorarla mimetizzandola. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? Il giornalismo dei quotidiani è per definizione generalista, non specialistico. Ma sempre più ha sviluppato al suo interno competenze e vocazioni che portano a una valutazione accurata, a un vocabolario proprio, a una comprensione compiuta. Lo stesso lettore è molto più acculturato e pretende precisione. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Diventano notizia da prima pagina, trend-setter, rompighiaccio. Creano un costume, fanno cadere barriere mentali e comportamentali. E aiutano anche noi a dismettere le nostre barriere create da falsi pudori e vecchie consuetudini. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Nel caso specifico, la notizia ha avuto sul nostro giornale un grande spazio, unito però ai contrappesi necessari, nei commenti e nelle opinioni raccolte. Il giornale cioè usa il personaggio come veicolo per rompere un muro e dare una notizia. Poi la completa e l’approfondisce con altri servizi, confidando nella capacità del lettore di combinare i vari pezzi, usando pesi e contrappesi, fino a formarsi un’opinione propria che è il risultato di un’informazione articolata e non gregaria o spettacolare. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Sempre più persone, intervistate dai giornali per il loro specifico ruolo professionale o artistico o sportivo o letterario, fanno riferimento ad una malattia affrontata, vinta, combattuta, come ad un punto decisivo della loro esperienza di vita, capace di segnare un prima e un dopo, e di trasmettere un insegnamento che va oltre l’aspetto clinico. Cosa che fino a qualche tempo fa non accadeva. Sta accadendo, invece, in modo naturale, senza che ci poniamo il problema artificiale di quanto spazio sia opportuno dare al tema. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Non lo usiamo più, almeno non come riflesso automatico. Non è nel linguaggio comune giornalistico, o lo è sempre meno. Questo non significa che la parola non faccia ancora paura. Ma la speranza la accompagna sempre più. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Si possono confrontare le due vicende per coglierne le differenze, è il segno di 123 La parola ai Direttori | Ezio Mauro un’evoluzione della società, perché i giornali sono parte della vita di un Paese, non della sua rappresentazione. Il caso Di Bella turbò l’opinione pubblica e parte della stampa dette credito al miracolo. Nel caso Stamina le riserve sono state immediate, e generali. I rischi sono comunque alti, legati al contagio che queste notizie miracolistiche possono allargare nel Paese. I media hanno una forte responsabilità. Ma la comunità medica e scientifica ancor più, e ancor prima. È la scienza che deve dare ai media giudizi, criteri, analisi e valutazioni che aiutino a gestire questi casi, tra l’emotività e la responsabilità. 124 L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? È condivisa per le eccellenze, che ci sono, ma non sul sistema generale. E io credo che sia una giusta valutazione. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? La crisi non è mai neutrale. Quando salta il lavoro, saltano ancor di più i diritti cosiddetti post-materialistici. Si comprime il welfare, come se non facesse parte della cifra complessiva della nostra società, o addirittura della nostra democrazia. La tutela pubblica della salute viene compressa nei costi e negli investimenti, la ricerca è ridimensionata, tutto il sistema dei diritti soffre. Non usciremo dalla crisi come ci siamo entrati, ma diversi. Bisognerà ricostruire le condizioni complessive di “civiltà” a cui eravamo abituati. Ce la faremo, ma ci vorrà tempo e condivisione dell’obiettivo. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Colleghi, anno dopo anno. Sandro, che era appena arrivato da noi e se n’è andato prima di mostrarci quant’era bravo. Giorgio, che mi assicurava di aver detto al chirurgo prima dell’intervento che lui voleva vivere, perché aveva molto ancora da fare. Alfredo, che ha disposto ogni cosa, come faceva sempre, anche riguardo al modo di ricordarlo. Paolo, che sedeva accanto a me ogni mattina in riunione, parlava di lavoro e di politica con la passione di sempre mentre il corpo cedeva, e ringraziava per quell’amicizia che sentiva crescergli intorno. Ho sentito l’ingiustizia, poi il vuoto, la mancanza. E nei mesi della malattia, ho condiviso quel che potevo. Ecco, per me è una malattia che apre dei vuoti, porta via i compagni. Anche quelli che vogliono combattere. Ma qualcuno ha combattuto, e ce l’ha fatta. mauro mazza Direttore di Rai Sport “Per comunicare bene è necessario sporcarsi un po’ le mani” Mauro Mazza è nato a Roma nel 1955. In Rai dal 1990. Ha lavorato al Gr1 e al Tg1 (vice direttore fino al 2002). Per sette anni ha diretto il Tg2 (2002-2009) prima di assumere la direzione di RaiUno (2009-2012). Dal giugno 2013 è direttore di Rai Sport. Ricordiamo alcuni suoi saggi: Giovanni Papini, l’inquietudine di un secolo (Volpe 1981); I ragazzi di via Milano. Cronache e ricordi di un secolo fa ( Fergen 2006); con Biagio Agnes, Tv. Moglie, amante, compagna (Rai-Eri 2004); con Adolfo Urso; Vent’anni e una notte (Castelvecchi 2013). Nel 2012, con il suo romanzo L’Albero del Mondo (Fazi) ha vinto il premio Acqui Storia. Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? La comunicazione evolve continuamente. È specchio dei mutamenti sempre più veloci del nostro tempo. È figlia dei media – vecchi e nuovi – che sono divenuti compagni quotidiani di viaggio e di vita. Anche la comunicazione sui temi medici e scientifici muta continuamente – cresciuta, decisamente migliorata – con il medesimo passo. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Lo spazio aumenta a fronte dell’interesse diffuso per queste tematiche, che han- 125 La parola ai Direttori | Mauro Mazza no a che fare con la vita dei singoli. La chiave di volta, storicamente, è stata l’affermazione della conoscenza come valore. Il diritto-dovere di conoscere consente la prevenzione o l’immediato accertamento. La cura di sé e la ricerca di una migliore qualità della vita (ai primi posti della scala valoriale del nostro tempo) hanno contribuito certamente alla crescita d’interesse per la medicina. Prioritaria, ovviamente, è la speranza di scongiurare il rischio di malattie gravi, il cancro su tutte. E proprio su questo si sono compiuti i passi più significativi col contributo di tutti. 126 Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Notiziabile è una parola bruttissima. Ma rende benissimo l’idea. È notiziabile qualcosa che susciti interesse, attenzione o semplice curiosità. Vicende di cronaca, scoperte scientifiche, storie emblematiche diventano notizie quando ci sembrano esemplari – meglio se in positivo – di una battaglia vinta o di una nuova speranza da trasmettere. Certo, quando questa scelta si traduce in facile sensazionalismo, ecco, la medaglia è rovesciata: si alimentano illusioni o ingiustificati allarmi. Si tratta di pessimo giornalismo, talvolta spalleggiato da medici a caccia di facile pubblicità. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? La domanda mi riporta alla mente un episodio del 2006, quando dirigevo il Tg2. Luciano Onder aveva intervistato un oncologo su una innovativa terapia. Nel pomeriggio mi telefonò il grande Giacinto Facchetti, che conoscevo bene e stimavo molto. Mi chiese un contatto col professore. Lo richiamai poco dopo e, con discrezione, gli chiesi chi avesse quel problema. “è un amico”, mi rispose ringraziandomi. Come seppi pochi giorni dopo da un amico comune, che mi chiamò allarmato, quel contatto serviva a lui. Ma il cancro si era manifestato troppo tardi. E in pochissimo tempo, Giacinto ci lasciò. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? Scienza e giornalismo si sposano necessariamente. E devono integrarsi per raggiungere il comune obiettivo: informare, divulgare, comunicare. L’incontro tra il rigore della scienza e il linguaggio giornalistico è una strada obbligata. Purismo concettuale e precisione terminologica sono riservati agli esami universitari. Per comunicare bene, e a tutti, è necessario sporcarsi un po’ le mani o, almeno, togliersi i guanti da chirurgo. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno rivelato di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Anche qui, bene la testimonianza, che può essere di monito su “cosa fare” e su cosa “non fare”. Meno bene il sensazionalismo di chi – forse senza volerlo davvero – cerca di spettacolarizzare anche la propria malattia, come se tutta la vita fosse una commedia da recitare. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Ecco, questo è un altro caso-tipo di spettacolarizzazione. Colpa della protagonista, che conquista facilmente titoloni sui giornali di tutto il mondo col suo annuncio-choc. Ma non sono esenti da colpa quei chirurghi che accontentano pazienti capricciose, più o meno famose, per avidità o per altre ragioni comunque estranee al giuramento di Ippocrate. In Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società, riprendere a lavorare, diventare genitori. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Si può fare di più e meglio. Ma a me pare che lo spazio e il rilievo dato dai media a simili esperienze e testimonianze sia adeguato alla lezione di vita che quelle vicende raccontano. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali e, parallelamente, cresce anche il numero delle guarigioni. Però il cancro è ancora troppo spesso unito al concetto di “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Impegno preso! Ma ricordiamo anche la fatica fatta per imporre l’uso del termine “cancro” anche nell’informazione, tra mille timori e inconcepibili, piccole scaramanzie. E ricordiamo anche i risultati eccellenti di molte campagne di informazione e di sensibilizzazione che ci accompagnano per tutto l’arco dell’anno. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? È colpa di una relazione, non sempre corretta, tra le diverse componenti. Quelle 127 La parola ai Direttori | Mauro Mazza “illusioni” si sono alimentate della miopia di taluni politici, della spregiudicatezza di certi medici e, soprattutto, della “disperata speranza” dei malati. Il ruolo dell’informazione ci ha messo del suo, ma com’era possibile prendere posizione immediatamente, senza avere i necessari elementi in quel caos generale, con tanto di manifestazioni drammatiche davanti al Parlamento? 128 L’oncologia italiana e, più in generale, il sistema sanitario del nostro Paese, pur tra mille problemi e continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano i tassi di guarigione oncologica, tra i più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? È ormai un dato consolidato che la sanità pubblica italiana sia di livello medioalto, con diffuse punte di eccellenza. Sarebbe ancora più bello vivere in un Paese che, dopo aver superato la triste stagione dei viaggi della speranza all’estero, consenta assistenza e cure in tutte le regioni italiane. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Magari avessi una risposta, e positiva. Speriamo che sia così e che ci si metta alle spalle la crisi economica più lunga e peggiore degli ultimi cento anni. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Nel 1980 mia madre si ammalò di tumore al colon. Al primo segnale, fece subito un esame, il medico di famiglia le mise le ali ai piedi. Fu operata d’urgenza e andò bene. Mi ricordo che, per mesi, l’accompagnavo in ospedale per la terapia (allora sperimentale) e l’aspettavo in auto, studiando i testi universitari. Mia madre è rimasta con noi altri trent’anni, con molti acciacchi, ma felice di vivere e di darci ancora a lungo il suo amore. clemente mimun Direttore del TG5 “L’informazione sia chiara: facciamo parlare anche i malati” Clemente Mimun nasce a Roma nel 1953, da genitori di religione ebraica: madre italiana e padre libico. Emigrati in Tunisia, tornano in Italia per sfuggire alle persecuzioni anti-ebraiche quando Clemente ha cinque anni. Comincia la sua carriera giornalistica come fattorino presso l’agenzia Asca di Roma, per poi iscriversi all’Albo nel 1976. Viene assunto dalla Rai nel dicembre del 1983. Al Tg1 da redattore ordinario, passa alla qualifica di giornalista parlamentare, quindi caposervizio interni e successivamente capo della redazione degli speciali. Nel 1991 è tra i fondatori del Tg5, del quale diviene vice direttore. Nel 1994 torna alla Rai come direttore del Tg2. L’11 ottobre 2006 viene nominato direttore della Testata Servizi Parlamentari della RAI. È membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA. Il 3 luglio 2007 torna al Tg5 nelle vesti di direttore, diventando così l’unico giornalista italiano ad aver diretto 4 diverse testate televisive: Tg2, Tg1, Raiparlamento e Tg5. L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medicoscientifici negli ultimi decenni? La comunicazione medico-scientifica è sicuramente cambiata, soprattutto nell’ultimo decennio: lo si deve agli enormi progressi che la medicina ha conseguito; ai traguardi raggiunti, soprattutto in alcuni settori, inimmaginabili nel secolo scorso. Di conseguenza l’attenzione e lo spazio che vengono dedicati a 129 La parola ai Direttori | Clemente Mimun questo settore sono considerevolmente aumentati; in particolare la televisione ha la peculiarità di documentare, e rispondere, attraverso le immagini, anche in breve tempo, alle tante domande che ognuno di noi pone, o si pone, sulla nostra salute. 130 I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? La salute, in particolare il tema “cancro” nelle sue diverse forme, interessa ognuno di noi. Non a caso è stato soprannominato, da sempre, “il male del secolo”. Nello spazio dedicato alla salute parlare di diagnosi precoce, di terapie sempre più mirate rispetto ad un passato anche recente, di centri di riferimento, dell’opinione di specialisti del settore, è certamente un’informazione utile a tutti ma soprattutto a chi ne ha bisogno. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Il rischio di diffondere notizie che possano alimentare, specie per alcune patologie, false speranze, e illudere il malato con aspettative infondate va tassativamente evitato. Così come va altrettanto evitato un allarmismo inutile e dannoso. Le notizie vanno date secondo precisi criteri: con la verifica, attraverso fonti “autorevoli”, con l’aiuto di professionisti esperti in materia ritenuti seri e dunque affidabili; la notizia va poi data se interessa un numero rilevante di persone. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? A chi si occupa di informazione non raccomando di essere virtuoso: un professionista deve svolgere sempre al meglio il proprio lavoro; pretendo chiarezza e correttezza nell’informazione. Sull’oncologia il Tg5 cerca di dare un’informazione completa in tutti i suoi aspetti: facendo parlare anche i malati. Sono purtroppo loro i protagonisti: non certo noi. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? In medicina non esistono certezze: inutile cercarle ed altrettanto inutile fare una mediazione. Per questo il linguaggio deve essere appropriato: sentiamo ancora dire “è morto di un male incurabile” e questo è inaccettabile! Il cancro è una malattia sicuramente curabile ed anche a volte guaribile. Oppure “è morto di un brutto male” come se esistessero belle malattie, per di più mortali… Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? La spettacolarizzazione della malattia ritengo sia non sempre appropriata; spesso utile solo a chi è sotto i riflettori dello spettacolo, della politica, dello sport. Tra l’altro ogni caso è a sé: ed ogni malato sa benissimo che è solo a lottare contro il cancro, che può essere vinto o rivelarsi fatale. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Il Tg5 ha dato la notizia correttamente riportando le parole della stessa Angelina Jolie; poi abbiamo sentito alcuni specialisti per un parere su questa scelta. Nessuna enfasi e nessuna presa di posizione. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Sono storie drammatiche a lieto fine di chi ha perso qualche battaglia ma vinto la guerra. Parlarne non è solo un fatto di cronaca: è una conquista della moderna medicina e, indirettamente, una solidarietà verso chi ancora non può conseguire questi traguardi. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Parlare di cancro come “male incurabile” o “brutto male” è anzitutto un fenomeno di ignoranza, di non cultura e, nel nostro settore, di pessima informazione. Nel mio telegiornale queste espressioni non devono esistere. Punto. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi 131 La parola ai Direttori | Clemente Mimun in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Il caso Di Bella prima e recentemente la vicenda Stamina hanno messo in evidenza come di fronte alla disperazione per una malattia il malato, i suoi cari, si aggrappano a tutto; finendo per dare retta a ciarlatani, imbonitori, imbroglioni che lucrano su questi sentimenti. Non vedo alcun aspetto positivo nelle due vicende se non quello di aver riportato le dichiarazioni di un mondo politico che è intervenuto con appositi decreti a far finire la vicenda e quelle di un mondo scientifico che ha da sempre stroncato queste iniziative. Lo abbiamo fatto per il rispetto che dobbiamo ai malati. 132 L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Il Servizio Sanitario Nazionale pur tra mille difficoltà ritengo sia uno dei migliori al mondo, anche se, tra continui tagli di spesa, mi chiedo quanto ancora potrà conservare questa caratteristica. L’oncologia italiana è ai vertici nel panorama internazionale: lo dimostrano gli studi e le scoperte dei nostri ricercatori; le comunicazioni effettuate nei Congressi internazionali; ma soprattutto la fine, ormai da anni, dei mortificanti “viaggi della speranza” dove un malato doveva andare all’estero per curarsi. Oggi assistiamo a molti malati provenienti da tanti Paesi che vengono in Italia a curarsi. Di questo ne diamo regolarmente conto. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? Con il passare degli anni ognuno di noi chiede sempre maggiori risposte in termini di salute. Nuovi farmaci, nuovi strumenti diagnostici, nuove strutture ospedaliere richiedono un impegno di spesa non indifferente. E la gestione della salute è sicuramente una delle sfide più importanti dei prossimi anni. L’uscita dal tunnel è ovviamente auspicabile: per il nostro futuro. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Un mio parente: è stata un’esperienza devastante, che mi ha segnato profondamente. andrea monti Direttore de La Gazzetta dello Sport “ ‘Male incurabile’? Un ritardo culturale: l’outing degli sportivi aiuta…” Andrea Monti è nato a Milano nel 1955. Inizia la sua carriera di giornalista a Epoca nel 1975. Si trasferisce negli Stati Uniti per una lunga esperienza di studio e di lavoro e al ritorno in Italia approda all’Europeo come vice direttore. Nel 1990 gli viene affidata la direzione di Panorama che tiene per quasi sette anni. Passato al Corriere della Sera nel 1997 come inviato editorialista, viene destinato alla direzione di Sette di cui rinnova la formula giornalistica e grafica. Nel 1999 fonda una società di consulenza e progettazione editoriale che contribuisce alla nascita di SportWeek. Per la Condé Nast lancia GQ, il primo magazine maschile italiano che dirige fino al dicembre 2002. Negli anni 2003/2005 conduce per La7 la trasmissione televisiva di attualità e cultura scientifica Sfera. Nel 2007 rientra in Rcs come direttore di Max. Nel novembre 2008 diventa direttore di Oggi. Dal febbraio 2010 dirige La Gazzetta dello Sport. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica nasce nel 1973: com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici in questi quarant’anni? La scienza e la medicina sono diventate materie di comunicazione sempre più popolari. Un tempo queste notizie riguardavano solo gli addetti ai lavori e trovavano spazio esclusivamente sulle riviste specializzate. Erano quindi destinate a un pubblico ristretto, selezionato, di lettori. Oggi tutte le testate giornalistiche si 133 La parola ai Direttori | Andrea Monti occupano quotidianamente di temi legati alla medicina, alla salute e al benessere. Anche su un quotidiano come La Gazzetta dello Sport è possibile trovare articoli dedicati a questi argomenti. Possiamo dire che il cambiamento è stato radicale. 134 I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? I motivi sono molteplici. La lotta ai tumori interessa, direttamente o indirettamente, milioni di persone, con profondi riflessi sulla vita quotidiana e sugli interessi di ognuno. Può quindi essere affrontato da vari punti di vista. Ad esempio il problema del costo dei farmaci si lega alla crisi economica e non può non essere approfondito, ad esempio, da una testata che si occupa di economia. La Gazzetta dello Sport spesso riserva spazio al tema cancro, perché lo sport è legato a doppio filo con la prevenzione e, quindi, con l’importanza dell’attività fisica. Inoltre diversi sportivi, più o meno famosi, hanno dovuto affrontare la malattia. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Novità, singolarità e verificabilità sono i principali criteri che presiedono alla selezione delle notizie. Dedichiamo sempre spazio a uno sportivo che rivela la sua difficile battaglia contro la malattia oppure si impegna in un’iniziativa di sensibilizzazione. Un esempio recente riguarda Cristiano Ronaldo. Durante i Mondiali di Brasile 2014 il campione ha sfoggiato uno strano taglio di capelli per ricordare le cicatrici di un suo piccolo fan malato di cancro al cervello. Quella del fuoriclasse portoghese è stata un’iniziativa sicuramente lodevole. Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? La Gazzetta dello Sport ogni anno organizza il Premio intitolato a Giacinto Facchetti. Il riconoscimento va a un personaggio del mondo del calcio che si è distinto per correttezza e lealtà. Nel 2013 è stato vinto dal giocatore francese Eric Abidal, che è stato colpito da un tumore al fegato da cui è riuscito a guarire. Dopo la malattia il terzino è tornato a giocare ai massimi livelli e ha pure ritrovato la maglia della Nazionale. La giura ha deciso di premiarlo, oltre che per la passione e fair play che ha sempre mostrato in campo, anche per la sua straordinaria vicenda umana. Durante la cerimonia Abidal ha infatti parlato della sua malattia dicendo chiaramente “non ho paura”. È stato un momento molto intenso e commovente. Le sue parole e il suo esempio possono diventare uno stimolo per tutti coloro che stanno soffrendo e lottando contro il cancro. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre spesso la scienza produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? La vera sfida della comunicazione medico-scientifica è proprio questa: riuscire a coniugare semplicità divulgativa e rigore scientifico. Questo principio vale ancora di più quando una testata sportiva deve affrontare un argomento delicato come il cancro. Penso che comunque non sia una sfida impossibile, si può parlare di questi temi anche su un quotidiano non letto solo da esperti. Uno dei criteri per mediare i due aspetti si può trovare proprio nella carta dei doveri del giornalista, che è tenuto a “non diffondere notizie sanitarie che non possano essere controllate con autorevoli fonti scientifiche”. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno rivelato di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? I loro esempi hanno un grandissimo valore ed è nostro compito raccontare le loro storie. Uno sportivo che combatte la sua battaglia contro il cancro o che raccomanda ad un giovane di non fumare sono armi efficaci contro i tumori. Soprattutto per i teenager che spesso hanno come idoli calciatori o campioni di altri sport. Pato o Acerbi, per esempio, sono due giovani calciatori che sono riusciti a combattere il cancro e non hanno avuto paura di rendere pubblica la loro esperienza. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? L’esempio fornito dai personaggi famosi può rappresentare un’arma a doppio taglio. Da un lato l’esperienza, resa pubblica, di sportivi che hanno vinto la loro battaglia contro il cancro è sicuramente positiva per tutti, compresi coloro che stanno combattendo la stessa battaglia. Dall’altro lato, talvolta, atleti famosi sono stati immortalati in fotografie con la sigaretta in bocca o alla guida in stato d’ebbrezza, in questi casi il rischio di emulazione è alto e le conseguenze possono essere negative. Il caso che ha interessato Angelina Jolie è diverso. L’attrice ha fatto una scelta personale, magari discutibile, ma che deve comunque essere rispettata. Successivamente, forte della sua notorietà internazionale, ha deciso di fare outing. Il rischio di emulazione da parte di altre donne è sicuramente reale e concreto. Credo che la notizia dovesse essere trattata con maggiore sensibilità e cautela da parte di tutti, non solo dei media. Grazie ai progressi dell’oncologia, oggi in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? I media riservano abbastanza spazio su questi aspetti legati ai tumori. Bisogna 135 La parola ai Direttori | Andrea Monti cercare il più possibile di lanciare messaggi positivi, senza però illudere i lettori. Se sempre più persone riescono a sconfiggere il proprio male è giusto darne notizia. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali, ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Però il cancro è ancora percepito come “male incurabile”. Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? L’impegno, in realtà, c’è già. Da tempo, nei giornali che dirigo il termine “male incurabile” è bandito. E se talvolta scivola negli articoli, più che una distrazione, è un ritardo culturale. 136 Si è molto parlato negli ultimi mesi della vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione ancora una volta si è rivelato centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Che rischi corre il paziente quando situazioni medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Il caso Stamina ha trovato spazio anche sulla testata che dirigo, per cui l’impatto della notizia è stato forte e trasversale. La vicenda sta alimentando opinioni discordanti, polemiche e preoccupanti retroscena, così come a fine anni Novanta la cura Di Bella. Come cittadino, prima ancora che giornalista, vorrei che decisioni delicate, come quelle che riguardano i trattamenti medici, fossero adottate solo in seguito a rigorosi studi scientifici. Mi pare che nel caso Stamina le risultanze negative siano univoche. Resta da chiedersi perché una cura poi risultata inefficace sia stata somministrata talvolta a caro prezzo e per tanto tempo. L’oncologia italiana e – più in generale – il sistema sanitario del nostro Paese, pur con mille difficoltà, si conferma uno dei migliori al mondo, con tassi di guarigione oncologica tra i più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Nella mia carriera professionale non mi sono occupato solo di sport. La sanità è un tema che riscuote maggiore interesse da parte dei cittadini. I dati relativi alle eccellenze dovrebbero avere maggiore spazio sui media: è quanto ho cercato di fare per anni con Sfera, una trasmissione scientifica che conducevo su La7. Troppo spesso invece si parla solo delle inefficienze o degli episodi di malasanità. Intendiamoci, questi aspetti negativi sono reali, influiscono sulla nostra vita, è doveroso parlarne. Ma c’è anche un’altra faccia della sanità italiana che andrebbe maggiormente illuminata. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? La crisi dura ormai da molti anni e si riflette pesantemente anche nella sanità. Non so dire quando finirà la recessione, anche se qualche spiraglio mi pare di vederlo, ma una cosa è certa: se vogliamo ricominciare a crescere servono misure concrete e il coraggio di adottarle rapidamente. Dobbiamo investire di più sui giovani, una risorsa poco utilizzata nel nostro Paese. E puntare dritto alle rifor- me. Il settore della sanità è uno dei primi a cui bisogna metter mano. Non tanto per tagliare, quanto per razionalizzare gli investimenti e preparare un futuro di servizi migliori. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Purtroppo la mia esperienza, come quella di tanti, è quotidiana… Certo è dura, ma ti insegna che alle persone care devi trasparenza e verità. Sono armi potenti contro la disperazione che non porta a nulla. Grazie ai progressi della medicina, anche quando non si può guarire, il tumore si può combattere. Al tempo non si devono chiedere certezze. Ma speranze sì. Ogni giorno trascorso con una buona qualità di vita è un giorno che vale la pena di essere vissuto. 137 La parola ai Direttori | Roberto Napoletano 138 Roberto Napoletano è direttore de Il Sole 24 Ore (dal 24 marzo 2011), dell’agenzia di stampa Radiocor, dell’emittente Radio24 e di tutte le testate professionali (dal 19 giugno 2013). È inoltre Direttore Editoriale del Gruppo 24 ORE (dal 1° marzo 2012). La sua scommessa editoriale è valorizzare l’identità storica del quotidiano come strumento di servizio per offrire un orientamento autorevole a famiglie, imprese e professionisti sui fatti dell’economia, della finanza e delle norme. Una formula premiata dal mercato anche nella nuova era dell’informazione multimediale: Il Sole 24 Ore è oggi il primo quotidiano digitale in Italia con oltre 170mila copie vendute ogni giorno e, per la prima volta nella sua storia, terzo quotidiano nazionale per diffusione media carta+digital con oltre 362mila copie (dati Ads marzo 2014). Saggista, scrittore e autore di bestseller dell’economia (Padroni d’Italia – Può il nostro capitalismo salvare se stesso e il Paese?, Fardelli d’Italia – Storie inedite e retroscena: uomini e fatti di un racconto amaro) e di longseller della saggistica (Promemoria Italiano), ha appena pubblicato per Rizzoli Viaggio in Italia. Roberto Napoletano è stato anche direttore de Il Messaggero dal 2006 al 2011. ROBERTO NAPOLETANO Direttore de Il Sole 24 Ore “È indispensabile parlare al malato con rispetto e cognizione scientifica” L’oncologia medica italiana è ufficialmente nata nel 1973 con la fondazione dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? La comunicazione dei temi medico-scientifici è cambiata in modo molto significativo sotto la spinta di quattro grandi fattori di innovazione. In primo luogo, il rapporto medico-paziente si è evoluto su basi nuove: consapevolezza, partecipazione alle decisioni, necessità di essere informati e sapere diffuso sono oggi imprescindibili valori di riferimento. In secondo luogo, le nuove tecnologie, da Internet alla informatizzazione dei servizi sanitari, favoriscono l’accesso alle informazioni da parte del pubblico. Inoltre, i risultati raggiunti dalla ricerca scientifica hanno superato l’accezione di “inguaribile” che gravava su molte malattie. Infine, si è acquisita la coscienza che le malattie e il benessere sono in relazione agli stili di vita e alla qualità dell’ambiente. Di fronte a queste trasformazioni la natura stessa della ricerca e il modo di fare scienza hanno iniziato a confrontarsi con esigenze e sensibilità inedite. E, di conseguenza, anche l’informazione scientifica ha assunto un ruolo diverso. I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? Oggi gli scienziati sono molto più aperti verso la comunicazione perché consapevoli della necessità di coinvolgere i cittadini. Le loro ricerche devono essere conosciute sia in funzione del supporto finanziario indispensabile per poter andare avanti, sia perché la società deve sapere quanto possano essere importanti la ricerca, la scienza e soprattutto le applicazioni tecnologiche. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? Autorevolezza scientifica e interesse pubblico sono i criteri guida. Il rigore 139 La parola ai Direttori | Roberto Napoletano professionale è lo stesso con cui si seleziona una qualunque “notizia”, tenendo presente, tuttavia, che la salute ha una notevole importanza sociale, economica e per la vita delle persone. Le scoperte e le ricerche, rigorose, validate e pubblicate che vanno nella direzione del progresso scientifico, con ricadute sulla società e l’individuo sono “notiziabili”. Per le notizie medico-scientifiche, è fondamentale la verifica della fonte. Un compito su cui i miei redattori sono impegnati in prima linea. 140 Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista/testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Nelle pagine e nel sito del nostro supplemento Nòva 24 dedichiamo un’attenzione costante all’innovazione anche in tema di salute. Più che di casi singoli vorrei parlare di temi di frontiera: dalla medicina personalizzata alle biotecnologie e nanotecnologie vengono disegnate le future strategie per combattere il cancro. Questi temi aiutano a far capire al pubblico l’importanza di investire nella ricerca. È importante utilizzare sempre un linguaggio accessibile, per farci capire da un pubblico più ampio. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? L’approccio è: acquisire i contenuti da parte degli scienziati qualificati e trasferirli con un linguaggio comprensibile, e quindi divulgativo, al pubblico. La mediazione non può prescindere dalla correttezza e dalla trasparenza. Non si tratta solo di spiegare o informare, ma di rendere partecipi i lettori su quelli che sono gli obiettivi e le implicazioni della ricerca scientifica. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minogue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Il cancro non è più un tabù, il medico stesso ne discute apertamente con i pazienti, che oggi sono informati e consapevoli. Il fatto che i personaggi famosi parlino delle loro malattie – purché non avvenga in una pura dinamica da star system – è una conferma che la salute e le malattie sono una materia di interesse collettivo. Talvolta può risultare addirittura positivo perché sono casi di persone guarite che possono aiutare i pazienti nella lotta quotidiana contro la malattia. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche, non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? La premessa è che la scienza non deve fare spettacolo. La divulgazione seria si basa sulla competenza, cioè capire le cose, e sull’onestà in quello che si riferisce. Se si rispettano queste qualità non c’è il rischio di passare un messaggio fuorviante. Certo, ogni rischio di malattia fa i conti con la paura ad essa legata. Il cancro è la malattia per eccellenza, in cui il rapporto tra rischio, probabilità di ammalare e il senso del pericolo è molto personale e, talvolta, sproporzionato. La risonanza mediatica non deve far paura: l’importante è essere rispettosi della sensibilità personale e, allo stesso tempo, non accreditare una visione prometeica della medicina. Ad esempio, è fondamentale essere tutti più consapevoli non solo delle potenzialità ma anche dei limiti delle biotecnologie. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Diamo spazio alle associazioni di malati (nel nostro Paese stanno per fortuna acquistando una capacità di interlocuzione sempre più forte e costruttiva), non solo agli addetti ai lavori, e a tutto quello che favorisce una rete di relazioni solidali e di sostegno post-malattia. Questo è in linea con il coinvolgimento della società sul tema salute e cure e stili di vita. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Per quanto riguarda Il Sole 24 Ore, il termine “incurabile” è già scomparso. Quando parliamo di cancro non usiamo il termine male incurabile, ma lo affrontiamo come le altre malattie da cui è anche possibile guarire o con cui convivere, chiamando a raccolta le risorse della comunità medico-scientifica e dei progressi della ricerca. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? I mezzi di comunicazione, ma talvolta gli stessi medici, cadono nell’errore di 141 La parola ai Direttori | Roberto Napoletano alimentare su basi miracolistiche la speranza e il desiderio di guarigione, ma poco discutono delle conseguenze negative legate a pratiche mediche tutte da verificare. Invece che curare la sofferenza, si corre il rischio di generare l’inganno. Un giornalista o un programma televisivo hanno certo il dovere di raccontare le storie, ma avrebbero anche quello di documentarsi, informarsi, indagare, approfondire, a maggior ragione su temi delicati e seri, chiedendo a chi ci lavora. Noi abbiamo dato voce in più occasioni alla comunità scientifica proprio per evitare annunci sensazionalistici. 142 L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Il nostro sistema sanitario presenta una diffusa rete di eccellenze, ed è stato citato anche da altri Paesi, tra cui gli Usa. Ma abbiamo una casistica pesante anche di malasanità. Contraddizioni che il pubblico conosce. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? L’ottimismo su una svolta economica nel corso del 2014 si è ormai rivelato una fragile aspettativa, duramente smentita dalla realtà dei fatti: l’ulteriore frenata della produzione industriale, il ristagno dei consumi interni, il tasso di disoccupazione giovanile che ha superato da tempo la soglia della sostenibilità e il divario tra le due Italie che ha assunto dimensioni strutturali mai raggiunte in passato. Il peso della tassazione su imprese e banche, frutto di un’eredità abnorme, e il peso, altrettanto abnorme, di una burocrazia ossessiva, chiudono spazi vitali di crescita, in casa, sia per le forze sane della produzione (ci sono e lottano nel mondo) sia per quelle giovanili di talento (ci sono e si affermano nel mondo). Questa è la realtà italiana, figlia di colpe nostre, evidenti, e di colpe europee, che hanno la loro origine in un eccesso di rigore. In un contesto sempre più restrittivo per i conti dello Stato e delle autonomie locali, la gestione della salute e l’investimento in ricerca sono priorità assolute per l’Italia e per il bene dei cittadini: proprio per questo, non dovranno essere più tollerati compromessi con i vizi di una spesa pubblica improduttiva che corrode alle radici le fondamenta di una comunità e ci ha caricato sulle spalle un debito pubblico abnorme. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Dall’esperienza di persone care colpite da un tumore ho imparato che la “giusta conoscenza” diventa un fattore essenziale per combattere con equilibrio queste patologie. Una nuova cultura della malattia che non sia segnata dalla rimozione e dalla sola paura del “male incurabile” coinvolge due aspetti chiave. Innanzitutto, è decisiva la dimensione della prevenzione: consente di intervenire quando c’è ancora tempo, prima che il quadro risulti compromesso, salvando la vita delle persone ed evitando una spirale di terapie, interventi chirurgici e sofferenze. Da questo punto di vista, abbiamo compiuto negli ultimi decenni straordinari passi in avanti, con risultati importanti, ma molto resta ancora da fare. In secondo luogo, è fondamentale la capacità di saper parlare al malato, con rispetto umano e anche con cognizione scientifica, di argomenti che toccano la vita stessa delle persone e delle famiglie: poiché la prima leva della cura è la stessa persona malata, è indispensabile una sapiente combinazione di delicatezza umana e rigore medico. 143 La parola ai Direttori | Luciano Onder 144 Luciano Onder nasce a Roma l’11 luglio 1943. Insegna per anni all’Università La Sapienza e inizia a lavorare in RAI per realizzare, con Sergio Zavoli, la serie di trasmissioni Nascita di una dittatura sulle origini del fascismo. Il 1° marzo 1981 va in onda la prima puntata di Tg2 Medicina Trentatrè, il programma di approfondimento che ha registrato i migliori giudizi da parte dei telespettatori in tema di qualità e valore pubblico. Trentatré, inoltre, è la trasmissione più longeva della RAI. Dal 2002 al 2008 è responsabile del canale di divulgazione scientifica Explora, realizzato da Rai Educazione in collaborazione con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e il MIUR (Ministero Università Ricerca). Il 31 marzo 2014 l’Università di Parma gli conferisce la Laurea ad honorem in Medicina e Chirurgia. Vice direttore del TG2, si occupa di divulgazione medico-scientifica in Rai da più di 30 anni. luciano onder Vice direttore del TG2 “L’informazione corretta fa guadagnare salute ai cittadini” Com’è cambiato, se è cambiato, il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? Io mi occupo di informazione medico-scientifica da più di trent’anni. Sono convinto che questo tipo di informazione non sia solo una specializzazione del giornalismo, ma un settore vero e proprio della medicina, perché anche da questa informazione dipendono i comportamenti, lo stile di vita, le scelte di ciascuno di noi. Prima di tutto la prevenzione e la diagnosi precoce, poi il nostro benessere, spesso il modo di curare per la buona riuscita della terapia. Gli effetti positivi di questo modo di fare televisione sono grandissimi, entrano nella medicina; posso forse dire che tocchino aspetti etici e sociali come nessun’altra specializzazione del giornalismo. La buona informazione contribuisce, nel suo piccolo, a fare della buona medicina. Cattiva informazione aggrava i problemi e danneggia chi ci ascolta. Ciò che il pubblico comprende e sa, spesso, è conseguenza di quanto viene scritto sui giornali e ascoltato in televisione. L’informazione medico–scientifica può servire alla salute oppure danneggiarla. I medici e i giornalisti che si occupano di medicina lo sanno bene. Nel 1985 ad Atlanta, nel primo congresso sull’AIDS, Robert Gallo, che parlava un abruzzese antico e confuso, e che allora era il punto di riferimento nella ricerca, disse a noi giornalisti che per frenare quella che già allora si delineava come un’epidemia virale, per tenerla sotto controllo, sarebbero stati necessari metodi non soltanto medici e clinici, non solo la ricerca, ma informazioni corrette date dai media. “Dipenderà da voi, – disse – il risultato ci sarà se farete un’informazione corretta, utile e non scandalistica”. Robert Gallo aveva ragione: l’epidemia è stata frenata grazie a tanta ricerca, ma anche grazie a un’informazione che ha svolto un ruolo educativo e di prevenzione. “Se lo conosci lo eviti”, “Non morire per ignoranza” sono stati gli slogan delle campagne di prevenzione, risultato di una alleanza tra mondo scientifico e media. L’ignoranza e la non conoscenza come fattori di rischio, causa di malattia. In sostanza più il cittadino è informato, più è in grado di controllare ciò che influenza la sua salute. “Se siete informatori responsabili, siete anche educatori” aveva detto Karl Popper dei giornalisti, sottolineando che l’informazione deve sempre diventare uno strumento di educazione e produrre effetti pedagogici. E 145 La parola ai Direttori | Luciano Onder 146 questo perché i cittadini non cadano vittime di false speranze per ignoranza e per colpa di quella “cattiva televisione” di cui tanto Popper ha scritto. È un diritto del cittadino essere informato sui problemi che riguardano la salute, ed è un dovere di me giornalista trasmettere, far conoscere in modo documentato, serio tutto ciò che serve a far guadagnare salute alle persone che ci ascoltano. Guadagnare salute attraverso l’informazione corretta. È questo l’obiettivo che ogni giornalista deve porsi quando scrive di medicina. È questo lo scopo del mio lavoro: FAR CAPIRE, fare divulgazione corretta. E che l’informazione medico scientifica debba avere una dimensione etica e un ruolo pedagogico è un’esigenza sentita in tutto il mondo. In Francia il Comitato di Bioetica nel 1996 ha inviato una “Raccomandazione” ai giornalisti, una sorta di decalogo sul modo di comportarsi. Tutti i punti sottolineano la dimensione etica della formazione professionale e la competenza e il ruolo pedagogico del giornalista scientifico. Inizia con un dato, con una frase, che può essere riportata, riferita pari pari in Italia. “Il numero limitato di giornalisti scientifici – dice il Comitato Bioetico Francese – preoccupa circa l’efficacia dell’informazione stessa: in Francia ci sono 28.000 giornalisti, 3000 sono sportivi, solo 180 sono medico-scientifici. E queste cifre spiegano la superficialità e la confusione delle notizie biomediche – dice ancora il Comitato di Bioetica Francese”. Non è solo il comitato di Bioetica Francese a occuparsi di questo problema. Il Codice della Stampa Tedesco dice: “è opportuno evitare quanto potrebbe suscitare nei malati speranze non fondate, non corrispondenti allo stato della ricerca medica, e la stampa non ha il diritto di provocare incertezze nei malati e di farli dubitare delle terapie consolidate”. Anche in Italia la Carta di Perugia, siglata da medici, giornalisti e psicologi nel 1995, fissa alcune regole dell’informazione medico scientifica. «Spesso i giornalisti presi dall’ansia della notizia – dice la Carta di Perugia – dimenticano ad esempio che la parola “imminente” in medicina può significare anche 5 o 10 anni. Una notizia di scoperte di cure, “forse” efficaci, potrebbe produrre speranze prive di fondamento, false e spingere a spese irrazionali per i cosiddetti “viaggi della speranza”». I media, in generale, riservano sempre più spazio a temi legati al cancro e alla salute. Secondo lei, perché? La salute è un argomento che “tira”, usando un termine giornalistico, ma dovrebbe essere utilizzato al meglio. È indispensabile che le notizie non vengano manipolate o distorte suscitando speranze e illusioni, oppure allarmismi pericolosi. Troppo spesso scienziati serissimi, per l’ansia di comunicare una nuova linea di ricerca che (forse) darà frutti solo nell’arco di uno o più decenni, enfatizzano le loro scoperte. E spesso i giornalisti, presi dall’ansia della notizia, dimenticano le loro lacune in campo medico e scientifico, ad esempio che la parola “imminente” in medicina può significare dieci o venti o più anni. Il lettore o l’ascoltatore hanno la certezza che ci sia il risultato subito pronto in farmacia sotto casa. In questo teatrino in cui il medico si fa bello di sé e il giornalista cerca di portare in redazione un articolo da prima pagina c’è purtroppo una sola vittima: è la persona malata, o parente di un malato, disposta a credere tutto, perché ha un figlio pieno di metastasi che sta morendo di cancro, o di AIDS, o di qualsiasi altra malattia. Pensando a queste persone medici e giornalisti dovrebbero seguire una regola “sacra, assoluta, inderogabile”: il rispetto della sofferenza. Lo dice già la Carta di Perugia firmata nel 1995 da medici, giornalisti e psicologi. In sostanza una corretta informazione deve essere nelle mani di giornalisti con una competenza specifica nel settore biomedico, per evitare articoli illusori o terrorizzanti. È poi frequente la non corrispondenza tra titolo e contenuto della notizia: leggendo il testo ci si rende conto che è diverso dal titolo, scelto per attirare l’attenzione e aumentare la tiratura del giornale. È proprio sulle notizie che riguardano scoperte “forse” efficaci nei tumori che si hanno reazioni nei pazienti e nei loro familiari che vengono spinti a spese irrazionali per quelli che chiamiamo “viaggi della speranza”. Compito del giornalista che si occupa di medicina non è la ricerca della notizia-bomba, della ricerca più avanzata, che si pratica solo in un luogo lontano, costoso, irraggiungibile. Compito del giornalista, e mio in particolare che lavoro nella RAI Servizio Pubblico, è spingere i cittadini verso la prevenzione per tante malattie, con la diminuzione dei fattori di rischio. Ricordo che negli anni ’80 cardiologi finlandesi fecero uno studio epidemiologico sulle malattie di cuore tra i finlandesi e gli abitanti dell’isola di Creta. Il numero di infarti era in Finlandia tre volte superiore a quello dell’isola greca. Lo studio mise sotto accusa l’alimentazione finlandese basata allora sul burro e lodava l’alimentazione mediterranea greca che aveva come alimento fondamentale l’olio di oliva. Da quello studio è partita una campagna di educazione alimentare in Finlandia che ha modificato i consumi e portato il numero di infarti tra i finlandesi a ridursi e ad essere inferiore a quelli greci. Talvolta vengono diffuse notizie che poi risultano “gonfiate”, e che eccedono per ottimismo o allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? L’informazione nel settore medico, nonostante la sua importanza, alcune volte è portata a fare sensazionalismo, scoop. È un po’ la vocazione di tutti noi giornalisti: è nella nostra natura. La notizia, purtroppo, spesso viene presentata con titoli a sensazione e rischia in questo modo di creare illusioni o false speranze. Finisce in prima pagina soprattutto quando promette o descrive un miracolo. Spesso ha successo se è sensazionale, se promette una cura istantanea che scavalca tutto ciò che la medicina ha riconosciuto come valido fino a quel momento. Il giornalista, per fretta, perché non ha tempo, perché non preparato su quell’argomento specifico, non è in grado di capire le origini e le ragioni di quella notizia e prende per buono ciò che gli viene raccontato, non ha tempo di verificare. In questi casi la notizia viene trasformata, distorta al punto di fare spettacolo. La realtà viene così dimenticata e viene fuori un talk-show. Gli esempi sono innumerevoli e non 147 La parola ai Direttori | Luciano Onder 148 solo da noi. Lo scorso 23 giugno la copertina di Times ha suscitato meraviglia, una noce di burro arricciata ed il titolo: “Mangiate il burro. Gli scienziati hanno bollato i grassi come nemici. Ecco perché si sbagliano”. E l’articolo sostiene che assumere i grassi contenuti nei formaggi, nel latte, nel burro, nella carne, ha un effetto benefico sulle arterie, contrariamente a ciò che si è sostenuto fino ad oggi. È inutile dire che la copertina e l’articolo sono eccessivi, ignorano tutti i dati delle ricerche precedenti che spingono a consumare più frutta, verdura, cereali integrali e a contenere i grassi. In poche parole la copertina e l’articolo sono pericolosi e diseducativi. Quanti articoli, commenti sono stati scritti sulla gravidanza e sulla nascita di un bel bambino di una famosa donna dello spettacolo di 54 anni? Tante le lodi, le interviste, pagine e pagine, ma non un articolo ha avanzato la possibilità che la gravidanza fosse dovuta alla donazione dei gameti, ad una fecondazione medicalmente assistita eterologa. Questa è un’informazione che disinforma, che non aiuta il cittadino a farsi una cultura, a capire realmente i problemi, non è al servizio del cittadino, non gli fa guadagnare salute, ma lo spinge a cercare comunque, a qualunque costo, soluzioni non possibili, a seguire illusioni. Nella Raccomandazione del Comitato di Bioetica Francese ai giornalisti si legge: “è importante considerare che il pubblico destinatario dell’informazione scientifica non è una massa indistinta e amorfa. Si tratta dei malati, delle loro famiglie, delle loro associazioni, dei loro medici curanti; ancora tutti i giovani in età scolare, di fronte ai pericoli dell’AIDS o della droga, con i loro genitori e i loro insegnanti; infine, gli animatori della grande solidarietà sociale, come le associazioni di volontariato o i donatori di sangue e di organi. Si tratta, in definitiva, di tutti coloro che vivono lo sviluppo impetuoso del sapere e del potere biomedico. Ed è a tutti costoro che deve pensare chi crea o diffonde l’informazione.” Può ricordarci un esempio virtuoso, un episodio o un’intervista / testimonianza sull’argomento cancro in cui la testata giornalistica che dirige si è distinta per il particolare impatto della notizia? Nella mia scrivania conservo la lettera di una telespettatrice che anni fa mi diceva di essere stata dal dermatologo dopo aver visto un servizio di “Medicina Trentatré” sui nei a rischio. La signora ringraziava perché era stato in questo modo possibile fare diagnosi molto precoce di melanoma. “Grazie a ciò che avete detto ho evitato tanti problemi, magari un intervento chirurgico più drammatico e, perché no?, ho avuto salva anche la vita.” La lettera di questa telespettatrice è un grande riconoscimento per la mia rubrica, che ha il merito di non aver mai seguito la tendenza di molta stampa a presentare la nostra sanità sempre come malasanità. Al contrario vuole essere un servizio utile per chi ascolta, vuole dare cioè delle informazioni che contribuiscono a fare cultura. È un diritto del cittadino essere informato sui problemi che riguardano la salute, ed è un dovere di me giornalista trasmettere, far conoscere in modo documentato, serio, tutto ciò che serve a far guadagnare salute. Guadagnare salute attraverso l’informazione corretta, in poche parole. Nel nostro Paese troppo spesso questo non avviene: noi giornalisti parliamo di malasanità in continuazione e spesso esageriamo; ne parliamo a sproposito. Certo le cose che non vanno in sanità sono tante, ma noi giornalisti tutto ciò che non va bene in sanità, che non ottiene il risultato sperato, lo inquadriamo, lo presentiamo come cattiva medicina. Un po’ per tutti noi giornalisti, l’insuccesso non può esistere, se le cose vanno male è un errore, la colpa è del medico. L’informazione, in questi casi, crea una frattura tra una medicina descritta spesso come onnipotente, e una sanità non in grado di mettere queste possibilità al servizio del cittadino. Questo messaggio si traduce in un clima di accusa, di caccia all’untore di fronte a ogni insuccesso. Noi giornalisti dobbiamo uscire da questa logica colpevolista, dobbiamo creare nuova cultura. Certo dobbiamo denunciare i casi di inefficienza e di errore, ma anche capire come e perché si è creata una complicanza, se c’è stato un evento improvviso, oppure se, come accade spesso purtroppo, le strutture sono inadeguate, o se c’è una componente umana di ignoranza, di disattenzione, di disorganizzazione. Solo così è possibile capire l’origine dell’evento avverso, della complicanza, e organizzarsi perché non si ripeta. Il giornalista si aspetta dalla medicina risposte chiare e certezze, mentre la medicina spesso produce dubbi e domande alle quali tenta di rispondere. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? È importante che i medici, le strutture sanitarie, la medicina in generale siano in grado di comunicare con i pazienti, oltre che con noi giornalisti. Qual è il livello della comunicazione in medicina? La comunicazione viene utilizzata bene per agevolare il cittadino, per stimolare il dialogo tra pazienti, medici e servizi sanitari? Forse no! Una buona informazione è fondamentale per una sanità che funzioni. La comunicazione è strategica per la precocità della diagnosi e la terapia. Il malato ha bisogno di informazioni ben fatte. Attraverso la comunicazione si costruisce il rapporto tra medico e malato. Nella comunicazione tutti devono fare la loro parte: non solo il singolo medico, ma anche gli ospedali, i centri di ricerca, le Università, in pratica l’intero Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Tra le competenze richieste al medico c’è dunque anche il saper comunicare, il medico deve essere un buon comunicatore e questo vale nei confronti del paziente e di tutti i cittadini. È necessario dare ai medici gli strumenti affinché apprendano alcune regole base della comunicazione, per esempio su come scrivere un referto, su come comunicare ai pazienti e ai familiari con il loro stesso linguaggio. E anche, perché no, su come comunicare con i media. Un medico non deve temere di essere considerato poco professionale se parla alla gente con un linguaggio semplice e chiaro, semplificando le informazioni affinché possano venire comprese meglio dal pubblico. Se ci si nasconde dietro il “latinorum” non si svolge un buon servizio. Tanto più che oggi tutti ripetono che una buona comunicazione potrebbe evitare parte del contenzioso. Del resto, rispetto al passato, a quando ho iniziato a occuparmi di medicina e sanità, sono stati fatti grandi passi avanti in questo senso, ma si può migliorare. 149 La parola ai Direttori | Luciano Onder 150 Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo (ad esempio l’attore Michael Douglas, il calciatore Sebastiano Nela, la cantante Kylie Minougue) hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Incontro spesso persone con tumore: tutte chiedono un medico competente, che lavori in un centro specializzato, che sia aggiornato, in grado di fare le cure più efficaci. Le richieste sono sempre: “Questo professore che mi consigli lavora abitualmente sul mio problema?”, “è in grado di seguirmi, o mi lascerà nelle mani di un assistente?”, “è preparato? Si aggiorna in continuazione?”, “Il centro in cui lavora ha i macchinari moderni a disposizione?”, “I farmaci di nuova generazione, efficaci e costosi, vengono usati in questo centro?”. Ma prima di tutto queste persone chiedono se quel medico è in grado di prendersi cura del malato, di gestirlo, di accompagnarlo nei vari momenti e nelle varie fasi della malattia, in parole povere chiedono un medico che sappia instaurare un rapporto vero, professionale, ma anche umano. Al malato sapere che un personaggio famoso ha avuto un tumore non interessa. “Quel personaggio – mi sento dire – grazie ai soldi, al potere, alle conoscenze ha avuto tutto a disposizione”. Il Segretariato Sociale della RAI ha confrontato i risultati delle Campagne di Sensibilizzazione e di Raccolte Fondi messe in onda sui canali RAI. Quelle che si basano su spot e presenze televisive di uomini di spettacolo o di sportivi non hanno successo: le raccolte fondi sono irrisorie. Diversa è la situazione quando gli spot e le presenze televisive sono di professionisti medici e ricercatori che si “prendono cura” del malato, che vivono passo passo la malattia a fianco del malato. In parole povere la faccia di un grande attore o di un grande calciatore non serve. Serve invece un’azione continua di educazione, ripetuta ogni giorno, con semplici concetti. In un recente congresso a Parigi sull’Educazione Sanitaria i giornalisti francesi hanno presentato i risultati positivi della campagna contro l’obesità promossa dal loro Ministero della Salute. Durante la pubblicità di prodotti alimentari che invade le televisioni anche francesi scorre sul televisore in basso una scritta educativa: “Per la tua salute mangia frutta e verdura 5 volte al giorno”, “Per la tua salute fai attività fisica 20 minuti tutti i giorni”, “Per la tua salute non mangiucchiare in continuazione durante tutta la giornata”, ecc. Nel maggio 2013, l’attrice Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, ma, da parte di alcune testate giornalistiche non è stata data in modo completo. Qual è la responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione di questi casi? L’attrice Angelina Jolie ha raccontato, in un articolo scritto di suo pugno sul New York Times, di aver scelto la forma più estrema di prevenzione: l’asportazione totale di entrambe le mammelle prima che il tumore si sviluppasse. Era l’unica scelta? No di certo. La situazione poteva essere affrontata, come lei ha fatto, sotto- ponendosi all’intervento, ma l’altra possibilità era di tenere il seno sotto controllo per individuare un tumore impalpabile precocemente. Certo, una volta saputo di avere una predisposizione ogni donna è libera e quindi la decisione della Jolie è comprensibile, ma testimonianze come quella della Jolie riprese dalla stampa possono scatenare paure e reazioni anormali. Personaggi noti non dovrebbero cedere alla tentazione di raccontare la loro esperienza se c’è il rischio che venga mal recepita e possa dare origine a reazioni ingiustificate. “Centinaia di donne italiane – ha scritto Margherita De Bac sul Corriere della Sera il 16 maggio 2013 – hanno tempestato di telefonate i centralini di laboratori specializzati in genetica per chiedere di effettuare il test che permette di identificare la predisposizione a sviluppare il tumore al seno. Hanno chiamato anche donne che in famiglia non hanno nessun precedente di malattia e quindi non dovrebbero avere nessuna ragione per allarmarsi.” Quella dell’errata percezione dei messaggi riguardanti la salute è un pericolo reale quando personaggi noti come Angelina Jolie decidono di fare outing. In pratica l’attrice americana non ha fatto un buon servizio ai cittadini. Proporre una mastectomia preventiva con troppa leggerezza, come se fosse facile, è un errore, si tratta in realtà di una scelta delicatissima da prendere con grande attenzione. Il rischio è di esagerare con test genetici che hanno sempre una grande percentuale di errore e con mastectomie, cioè con interventi chirurgici inutili. Il rischio è un boom di autodiagnosi, o peggio di autocure che la gente fa da sola, dopo aver letto i giornali o Internet, che nella stragrande maggioranza dei casi è pieno di informazioni sballate, se non pericolose, vere e proprie trappole di ciarlatani in cui è facile cadere. Internet sta diventando un vero pericolo per la salute e anche i siti “seri”, per esempio quelli istituzionali di strutture sanitarie pubbliche o di società scientifiche, non possono essere strumento di consultazione per chi non è attrezzato per farlo, perché le informazioni in essi contenute non trovano la mediazione del medico o del giornalista preparato. Quello di Internet è un altro pericolo dal quale guardarsi e che rende ancora più importante il ruolo dell’informazione corretta. “Diventare madre dopo il cancro”, “Tornare al lavoro dopo il tumore” sono titoli di alcuni articoli recenti. Una possibilità impensabile 10 anni fa. Con riflessi sociali ed economici rilevanti. Basti pensare che in Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Perché le notizie positive della nostra sanità, del nostro Servizio Sanitario Nazionale non trovano giusto spazio sui giornali e in televisione? Perché finiscono in prima pagina solo casi di malasanità che poi nella stragrande maggioranza dei casi non risultano tali? Sono domande che mi sono sempre posto. La responsabilità è dei giornalisti, dei mass-media, oppure della stessa sanità che non sa e non riesce a comunicare? La comunicazione è usata dalla sanità per presentare se stessa? Qual è il suo livello? Come comunicano i servizi sanitari con i propri 151 La parola ai Direttori | Luciano Onder 152 utenti oltre che con i giornalisti? La comunicazione, per quanto riguarda la salute, è molto scadente tranne alcune eccezioni. Eppure una buona comunicazione è fondamentale per una sanità che funzioni. Solo negli ultimi anni questo concetto è stato capito. E la comunicazione serve non solo per la prevenzione, ma anche per la precocità della diagnosi e per la terapia. Attraverso la comunicazione si crea il rapporto tra il medico e il malato. Purtroppo, nella nostra sanità, non tutti sono attenti alla comunicazione. Quanti sono gli ospedali, le Università, gli Istituti di ricerca che hanno un ufficio stampa degno di questo nome? Quante sono le regioni che hanno un piano di comunicazione in sanità? Perché le informazioni sono frammentarie, spesso discontinue e magari non utili per i cittadini? Perché molti risultati dei centri di eccellenza vengono scoperti casualmente dai giornalisti? Un buon medico deve essere un buon comunicatore. Il numero delle persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, le guarigioni sono in costante crescita. Da male incurabile fino a pochi anni fa, oggi siamo di fronte a una malattia che si può sconfiggere, tornando a una vita normale, agli affetti della famiglia, al reinserimento nel mondo del lavoro. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine scientificamente superato, dalla testata che dirige? Nei mesi scorsi gli oncologi del National Cancer Institute americano hanno aperto un dibattito: “Le parole sono importanti, – hanno scritto – allora aboliamo la parola cancro”. Questa in sintesi la loro provocazione. Per un giornalista come me è stato un vero shock. Quando ho iniziato a occuparmi di medicina, 35 anni fa, ricordo che uno dei primi impegni è stato proprio il contrario. Avevo deciso, nella mia rubrica, di usare la parola “cancro” che nessuno aveva il coraggio di pronunciare o di scrivere e di non dire più “male incurabile”, “brutto male”, “male del secolo”, “lunga malattia”. Ricordo che Umberto Veronesi mi fece i complimenti per questo e allora perché oggi gli oncologi riflettono sulla parola cancro e la sostituiscono con altre espressioni? Cosa è accaduto? La parola cancro oggi nell’opinione pubblica e sui media è ancora il male per antonomasia, incute timore, è la rappresentazione della maledizione di un male inspiegabile; è usata anche fuori dalla medicina come degenerazione sociale, come spettro, come entità simbolica di fronte alla quale siamo tutti impotenti. In medicina, al contrario, il cancro non ha più il significato di spettro, e il suo volto è cambiato. Oggi si può guarire, le cure sono rispettose della qualità di vita. Insomma il cancro non ha più quel significato negativo totale, non è più dolore e morte. Per questo gli oncologi americani propongono di cambiare nome a molti casi della malattia per non trasmettere ai malati quel significato di morte che la parola cancro ha in sé e mantiene. Insomma il mondo scientifico, gli oncologi vedono la malattia cancro, il più delle volte, senza paura, con razionalità. Al contrario l’opinione pubblica è ancora indietro, ha un timore senza speranza quando sente la diagnosi. Nell’opinione pubblica c’è ancora l’idea che ogni cancro sia inattaccabile, sia la morte. Ricordo il grande spazio dato alla dichiarazione di Vasco Rossi su tutti i giornali che nel 2011 disse su Vanity Fair che in caso di tumore non solo non si sarebbe curato, ma sarebbe andato dritto ai Caraibi. La sua opinione riflette un’idea vecchia, del passato, diffusa, che non risponde ai fatti. L’impegno di giornalisti, e mio in particolare, è far capire che di cancro si guarisce, forse quanto e più di altre malattie. Abolire la parola cancro non è come ha scritto Marcello Veneziani sul Giornale un’ipocrisia del “clinicamente corretto”, come quando si dice “non vedente” al posto di cieco, o “diversamente abile” al posto di invalido. È, al contrario, un aiuto al malato per evitargli uno shock che drammatizza e scoraggia. È far capire che di cancro si guarisce. Vedi quanto accade per la tiroide, la mammella, la prostata. I progressi della medicina permettono di non usare più la parola e di restituire al malato il diritto alla speranza. È responsabilità dei media, non solo dei medici, far passare nella cultura dei cittadini ciò che la scienza ha ormai conquistato: di molti tumori si guarisce. Ed è responsabilità dei giornalisti prendere l’impegno di abolire la parola cancro con la prevenzione e la diagnosi precoce, in pratica far capire che la malattia può essere abolita con uno stile di vita salutare, con la diagnosi precoce, vedi il tumore della cervice uterina che sparirebbe con il Pap-test e il vaccino HPV. La responsabilità della salute è certo dei medici, della classe medica, ma deve essere condivisa dai media. L’evoluzione culturale di fare diagnosi e di adottare stili di vita non può avvenire senza la partecipazione dei media. Le prime pagine di tutti i quotidiani negli ultimi mesi hanno riportato con enfasi le notizie relative alla vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella nel biennio 1997-98. Il ruolo dell’informazione è centrale, per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Rispondere a questa domanda è difficile per un giornalista che ha vissuto in primissima linea gli anni della terapia Di Bella. Ricordo i titoli dei giornali: “Una vita per la ricerca. Ecco la mia strada contro il cancro”, “Vinco il cancro, ma non mi credono”. Articoli di sopportazione e di astio contro la medicina ufficiale che si ostinava a non riconoscere gli straordinari risultati della terapia Di Bella. Quello che colpiva era la totale non conoscenza, da parte dei giornalisti, di una realtà: i tumori anche nel ’96-’97 erano curati e vinti dalla medicina in centinaia di ospedali e laboratori in Italia. I malati non erano condannati a morte senza appello. Perché tutto questo era ignorato? Perché in tutta l’opinione pubblica si era affermata l’idea che senza un mago non si poteva guarire dal tumore e che i casi guariti dalla medicina ufficiale non esistevano? Ricordo la conferenza stampa del Prof. Di Bella al Senato di fronte a giornalisti, deputati e senatori. Di Bella era osannato e, tra le tante cose, disse che la sua terapia guariva non solo tutti i tumori, ma anche l’alzheimer e la sclerosi multipla. Mi rivolsi a un depu- 153 La parola ai Direttori | Luciano Onder 154 tato medico che mi rispose secco: “Loro hanno Di Pietro, noi abbiamo Di Bella”. La responsabilità della stampa è stata enorme in quegli anni, è arrivata a creare una vera e propria emergenza sanitaria con danni per i malati. In quei giorni la rivista scientifica Lancet fece uno studio in Italia e scrisse in un articolo che tutte le informazioni sulla cura Di Bella erano arrivate al pubblico esclusivamente attraverso la televisione. Non da altri mezzi, non dal medico di famiglia, non da ricerche scientifiche documentate. Tra i pochi esempi positivi che conosco con cui i media hanno affrontato la vicenda Di Bella ricordo la lettera che il Prof. Giuseppe Leone, ematologo dell’Università Cattolica, inviò al quotidiano romano Il Tempo e che venne pubblicata il 17 agosto 1997: “Per affidarsi alle terapie del Prof. Di Bella ho visto pazienti rinunciare a terapie sicuramente valide. Malati che potevano essere curati e guariti sono morti o stanno per morire, perché influenzati da cattivi consiglieri, cattivi medici e da cattiva stampa. A queste persone vorrei che lei e i suoi giornalisti pensassero quando scrivono del Prof. Di Bella. Della sorte di queste persone vorrei che il Prof. Di Bella e i colleghi che gli danno una mano fossero chiamati a rispondere”. L’oncologia italiana e più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille problemi e a continui tagli, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano come nel Belpaese si registrino tassi di guarigione oncologica più lati d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Lo spazio per parlare della nostra sanità e del nostro Servizio Sanitario Nazionale si trova sempre e subito quando si tratta di malasanità (vera o presunta che sia). Ricordo gli articoli pubblicati il 19 maggio 2010, il giorno dopo la morte di Sanguineti in un ospedale di Genova. Una serie di accuse contro i medici e di dichiarazioni virgolettate di accusa: “Lo hanno lasciato morire”, “Ore e ore per fare una tac”, “Omicidio colposo”. Il giorno dopo i giornali modificavano gli articoli. Sanguineti era stato portato in ospedale dal suo medico curante, era già presente la rottura della aorta addominale, i medici avevano tentato il tutto e per tutto. Tantissimi sono gli articoli sulla malasanità che non rispondono ai fatti. La nostra sanità è ottima: una delle migliori al mondo. Guarigioni per tumori maggiori che in altri Paesi. Siamo, dopo il Giappone, il Paese al mondo con maggiore speranza di vita. La mortalità infantile più bassa o una tra le più basse. Consultiamo l’Atlante De Agostini pubblicato ogni anno e confrontiamo i nostri dati con quelli del Nord Europa. 10 milioni di ricoveri l’anno, 4 milioni di interventi, 600 milioni di ricette rosse, cioè di visite dai medici di famiglia. Medici di famiglia e pediatri di famiglia a disposizione di ogni singolo cittadino. Il quotidiano Le Monde ha dedicato una pagina alla pediatria francese. Il titolo poneva una domanda: “Perché in Italia il Servizio Sanitario mette a disposizione un pediatra ogni 800 bambini e in Francia uno ogni 2000?”. Certo le carenze, i buchi ci sono in questa sanità. Ci sono grandi diversità, diseguaglianze. Le file d’attesa sono un problema, ma non ci sono per i grandi interventi, vedi la cardiochirurgia. E le fila di attesa dipendono spesso da cattiva organizzazione, da cattiva comunicazione: il paziente spesso gira e fa file lunghe perché non ha strumenti per conoscere la strada giusta, la porta giusta cui rivolgersi. Non è solo una questione etica, ma anche di cultura scientifica. Spesso il mondo dell’informazione non conosce i limiti della medicina e le possibilità reali che ha per curare certe malattie. È un problema più vasto che tocca anche altri settori della vita civile, visto che oggi anche un giudice ha la facoltà di decidere se eseguire certe sperimentazioni di terapie che scientificamente non hanno alcuna validazione. È la conseguenza di una carenza di conoscenze scientifiche che a partire dalla scuola si registra nel nostro Paese. E noi giornalisti dobbiamo rispondere a questo, al diritto all’informazione dei cittadini. Dobbiamo lavorare secondo una logica di servizio e tanto più lo dobbiamo fare noi giornalisti RAI. Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? I cittadini italiani sono frastornati per quello che sta accadendo nella nostra sanità. Prima di tutto per il contenimento delle spese, per i tagli che comportano una ristrutturazione con limiti e regole difficili da capire. Continua insomma una serie di trasformazioni che presenta la sanità come un cantiere a cielo aperto, in cui non si fa in tempo a stare dietro ai cambiamenti, alle trasformazioni: spese da frenare, nuovi LEA, farmaci generici, fondi integrativi, spese da razionalizzare, ticket messi e tolti, regionalizzazione, ospedali da chiudere, farmaci troppo costosi, ecc, ecc. Ma i cittadini sono frastornati soprattutto per la regionalizzazione che ha fatto vestire via via abiti a colori diversi alle varie regioni, tanto che noi giornalisti abbiamo coniato l’espressione di una sanità in Italia con il vestito da Arlecchino, a colori diversi tra una regione e l’altra. Il cittadino da una parte si sente dire che la nostra sanità è una delle migliori al mondo, dall’altra, sui giornali, ogni giorno vengono presentati episodi di malasanità. Poi in televisione, sulle reti RAI, il cittadino ascolta la pubblicità di avvocati che invitano a denunciare i medici per la non guarigione o per risultati insoddisfacenti nelle cure, anche dopo anni, e senza spese. Ma soprattutto la sanità è certo sempre più costosa: oggi dobbiamo porci il problema dei rapporti tra etica ed economia in sanità. È il problema principale sul futuro e sul presente del nostro Servizio Sanitario Nazionale, anzi di ogni Servizio Sanitario, in ogni Paese. Stiamo già vivendo e sempre più vivremo in futuro lo squilibrio tra una domanda di salute sempre più ampia e costosa e la disponibilità di risorse economiche inevitabilmente limitate ed insufficienti. È un tema questo che deve essere affrontato oggi per permettere al sistema sanitario di non rischiare la sostenibilità e di curare al meglio, con i mezzi migliori, con etica. Pensiamo a quello che accadrà tra poche settimane quando verrà introdotto il nuovo farmaco contro l’Epatite C. Per quali pazienti dovrà essere prescritto? Cosa dire ai malati che non lo avranno? Dove trovare i soldi per pagarlo? È possibile conciliare, far in modo che vadano d’accordo una 155 La parola ai Direttori | Luciano Onder gestione sempre più manageriale delle strutture sanitarie e il diritto alla salute di ogni paziente? Come coniugare la domanda di salute dei cittadini da una parte, e la limitatezza delle risorse economiche dall’altra? Qual è il rapporto tra etica ed economia nella sanità nei progetti di salute? In poche parole riusciremo a fare scelte difficili, impopolari? Possiamo continuare a dire che la sanità deve dare tutto a tutti anche se sappiamo che questo non sarà possibile? Di cosa si deve caricare la sanità? Cosa lasciare ai servizi sociali? Cosa dire agli anziani? E ai malati cronici? 156 Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci la sua esperienza con la malattia? Conosco tantissime persone che hanno affrontato un tumore. Le ho seguite dalla prima diagnosi, alle discussioni sulla cura, alle terapie, all’intervento chirurgico. Per molte di loro non mi sembra possibile avere usato la parola “cancro”, che suscita tanto terrore. La guarigione è stata completa, le cure sopportabili, il ritorno alla vita normale sereno. È giusto parlare di carcinoma alla tiroide o di cancro alla mammella o di carcinoma alla prostata quando l’intervento chirurgico risolve completamente il problema? Oppure quando la terapia medica non ha effetti collaterali e la guarigione è totale? In tutti questi casi compito del medico e (perché no?) dell’amico che consiglia è di rassicurare, guidare la persona malata per farle superare lo smarrimento, il panico, l’ansia. Molto diversa è la situazione per tumori contro i quali poco può fare la medicina. Ricordo il giovane corrispondente RAI, 36 anni, che viene da me per dire di avere perso improvvisamente la sensibilità in una parte delle mani. L’ho visto per anni sfidare come un gigante una malattia sempre più drammatica. Ricordo il mio collega dell’agenzia ANSA, con un tumore inesorabile, affrontato con equilibrio e serenità: un esempio per ciascuno di noi. Fra tutti ricordo un giovane militare, 30 anni, di ritorno da una missione di pace. I genitori, contadini, mi dicono che fa sangue dalla bocca e che prende tanti antibiotici per un’infiammazione e un gonfiore in basso, tra i testicoli. Penso subito al tumore al testicolo con metastasi polmonare. Vedo questo giovane seguire una cura faticosa tra Livorno, Bologna, Treviso, Milano, Roma. Fino alla guarigione. Un ragazzo timido e incerto a prima vista, ma capace di affrontare le terapie, grazie all’aiuto della sua famiglia, della fidanzata, dei commilitoni, ma soprattutto alla professionalità dei medici che dei suoi problemi si sono fatti carico, e che fanno della cura del malato la ragione delle loro vite. alessandro sallusti Direttore de Il Giornale “Parlare di cancro significa sfidarlo: la verità non va mascherata” Alessandro Sallusti nasce a Como il 2 febbraio 1957. Nel 1982 si trasferisce a Milano come caporedattore de L’Avvenire e nel 1985 passa a Il Giornale diretto da Indro Montanelli. Successivamente è responsabile delle cronache italiane de Il Messaggero di Roma. Nel 1991 diventa capocronista del Corriere della Sera. Sotto la direzione di Paolo Mieli diventa caporedattore centrale fino al 1996. Nel 2000 assume la condirezione al fianco di Vittorio Feltri di Giorno, Carlino e Nazione. Nel 2001 viene nominato direttore responsabile di Libero. Dall’agosto 2009 affianca Feltri a Il Giornale con la qualifica di condirettore. Da dicembre 2010 è il direttore de Il Giornale. Com’è cambiato il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni? Direi che l’informazione medico scientifica ha fatto passi da gigante. È nata una generazione di giornalisti specializzati che ha saputo fondere la competenza con la tecnica di divulgazione classica dei mezzi di informazione generalisti. Il che ha incontrato il grande favore di un pubblico sempre più attento alla qualità della vita e alla prevenzione di malattie. 157 La parola ai Direttori | Alessandro Sallusti Perché, secondo Lei, gli organi di stampa riservano sempre più spazio a temi legati al cancro? Rompere il tabù della parola “cancro” non è stato facile e ancora oggi c’è un certo timore, tanto che spesso viene usata la frase “morto di un male incurabile”. Penso che si debba e possa fare ancora di più, anche per incoraggiare il lavoro di una categoria di eroi del nostro tempo quali sono i medici oncologi. 158 Capita a volte di leggere o ascoltare notizie “eccessive” sull’argomento salute, sia per ottimismo che per allarmismo, con il rischio di determinare nei cittadini false aspettative o infondate preoccupazioni. Con quali criteri seleziona le notizie che meritano visibilità? Secondo lei, da cosa dipende la “notiziabilità” di un fatto legato alla salute? L’informazione generalista necessita di due caratteristiche: la semplificazione dei problemi che tratta e l’attrazione sui lettori. Salvo casi particolarmente gravi di scarsa professionalità, credo che il mondo scientifico tragga comunque più vantaggio da una informazione un po’ gonfiata che da una appiattita o eccessivamente tecnica. Tutti, compresi i giornalisti, si aspettano dalla medicina risposte chiare e certezze, ma a volte la scienza produce dubbi e domande a cui vanno date risposte. È possibile trovare una mediazione tra il rigore del linguaggio scientifico e il carattere necessariamente divulgativo di quello giornalistico? La storia recente dice che sì, è possibile. Il difficile è districarsi tra le mille offerte che le lobby scientifiche offrono in pasto all’informazione. Ci sono ricerche che dicono una cosa e altre l’opposto. Fare sport fa bene, no fa male. Mangiare formaggio fa male, no fa bene e cose simili. Sarebbe più onesto dire: vivere fa male e porta inevitabilmente alla morte, ecco qualche consiglio su come fare per tirare la vita più a lungo possibile. Molti artisti e personaggi famosi del mondo dello sport, del cinema e dello spettacolo hanno fatto outing, rivelando di essere stati colpiti da un tumore, di lottare contro la malattia o di averla sconfitta. Qual è il valore di questi esempi per i cittadini colpiti dal cancro? Molto positivi, sicuramente. Per prima cosa la gente comune si sente meno sola, nel personaggio famoso ci si tende a identificare sia nel bene che nel male. Il senso di solitudine e di abbandono credo sia un male nel male. Sconfiggere il primo è sicuramente propedeutico a battere il secondo. Lo scorso anno Angelina Jolie rivelò di essersi fatta asportare e ricostruire entrambi i seni per il rischio di sviluppare un tumore alla mammella. La notizia ebbe una grandissima eco in tutto il mondo, con differenze notevoli, per completezza di informazione, tra le testate giornalistiche. C’è una responsabilità dei media nel comunicare notizie di questo tipo? È reale il rischio di emulazione in questi casi? Sì, esiste un rischio emulazione, ma sarebbe sbagliato addossare le colpe ai mezzi di informazione. Non è certo un giornalista che autorizza ed esegue un in- tervento chirurgico. Non assecondare iniziative dannose è compito dei medici, non dell’informazione. In Italia vivono quasi tre milioni di persone con precedente diagnosi di tumore che richiedono di tornare ad essere parte attiva della società. Secondo lei, a questi aspetti, fondamentali per i malati, è riservato spazio sufficiente nei media? Forse non abbastanza, ma l’informazione generalista risponde a logiche di mercato a volte ciniche. Fa notizia il caso clamoroso, non un generico percorso post operatorio. Il numero di persone colpite da un tumore è in aumento in tutti i Paesi occidentali. Ma, per fortuna, anche le guarigioni sono in costante crescita. Però il cancro è ancora troppo spesso accompagnato dal sinonimo “male incurabile”. Perché, anche da parte dei media, si usa ancora questo termine? Si può impegnare a far scomparire questo termine, scientificamente superato, dalla testata che dirige? Per quello che ci riguarda, già fatto. Siamo contro le ipocrisie e un “politicamente corretto” che salva la coscienza di chi scrive ma non aiuta il soggetto dello scritto. Chiamare il cancro con il suo nome è un atto di sfida al male: ti riconosco, voglio vincerti. Come su questo giornale non si parla di “diversamente abili” ma di “handicappati”. Mascherare la verità non serve a nessuno. Negli ultimi mesi si è molto parlato della vicenda Stamina, che richiama, sotto alcuni aspetti, le polemiche che hanno caratterizzato il caso Di Bella. Il ruolo dell’informazione è centrale per non alimentare false speranze nei malati. Secondo lei, ci sono stati esempi particolarmente negativi o positivi in cui i media hanno affrontato le due vicende? E quali sono i rischi quando situazioni più strettamente medico-scientifiche diventano casi di cronaca, addirittura con riflessi politici? Separiamo i problemi. Un malato, o un suo famigliare, ha il diritto ad aggrapparsi a qualsiasi speranza, anche agli stregoni se questo gli provoca sensazioni positive. Così come la medicina tradizionale dovrebbe avere meno pregiudizi su tutto ciò che esula dal suo controllo (molte scoperte rivelatesi efficaci sono nate casualmente fuori dalle sedi ufficiali). Detto questo, lo Stato e la politica hanno un unico compito: tutelare i cittadini da truffatori o medici che mettono a rischio la vita della gente. E questo è anche il compito dell’informazione: rispettare il dolore, non uccidere la speranza, smascherare i truffatori. L’oncologia italiana, più in generale il sistema sanitario del nostro Paese, pur in mezzo a mille difficoltà, si conferma uno dei migliori al mondo. Lo evidenziano le statistiche che indicano tassi di guarigione oncologica più alti d’Europa. Secondo lei, è condivisa questa opinione o questi dati trovano poco spazio sui media? Noi italiani siamo specialisti nell’amplificare ciò che non va e non vedere le nostre eccellenze. L’immagine della sanità italiana che esce dai giornali è pessima: scandali, tangenti, costi fuori dalla norma, malasanità. C’è del vero, ovviamen- 159 La parola ai Direttori | Alessandro Sallusti te, ma sono convinto che si tratti di una parte non rilevante di quel mondo. E ci mancherebbe altro, visto che la sanità assorbe fino al 70 per cento dei bilanci delle regioni. Probabilmente noi non evidenziamo abbastanza le nostre eccellenze, ma non vedo perché solo in Italia dovrebbe fare notizia una cosa che funziona. Semmai manca una informazione di servizio, cioè aiutare la gente a capire dove bussare per essere meglio ascoltata e curata. 160 Il Paese faticosamente sta cercando di uscire da una crisi economica terribile, che si riflette, purtroppo, anche sulla gestione della salute di ciascuno: secondo lei, è prossima l’uscita dal tunnel? I tunnel prima o poi finiscono, ma dubito che all’uscita di questo la luce e il panorama siano gli stessi dell’entrata. Troppo lunga è stata questa crisi, troppi sconquassi ha creato per pensare che un giorno o l’altro tutto possa tornare come prima. Il che non è necessariamente un male assoluto. Mischiare le carte è anche ripulire la società e il Paese da incrostazioni che lo avevano portato alla paralisi. Nel vissuto di ogni persona, il cancro purtroppo ha colpito un familiare o un amico. Può raccontarci una sua esperienza con la malattia? Ne ho avute, ma non penso siano diverse da quelle di altri milioni di persone. Ho imparato che il dolore unisce e cambia le persone, non solo quelle direttamente colpite. Guarire è un po’ purificarsi, risorgere a nuova e diversa vita. Non guarire è lasciare a chi ti è vicino il compito di andare avanti più forte e determinato di prima. Glossario Adiuvante, terapia: chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia o terapia biologica abbinata alla chirurgia e/o alla radioterapia per il trattamento del tumore primario, che mira a ridurre il rischio di recidiva e a prolungare la sopravvivenza del malato. Biopsia: rimozione di un campione di tessuto che viene poi esaminato al microscopio per controllare la presenza o meno di cellule cancerose. Cancro: termine generico che raggruppa oltre duecento malattie diverse caratterizzate da una crescita anomala, incontrollabile di cellule. Cellula: costituente fondamentale dei tessuti dell’organismo. Il corpo umano ne ha più di 200 tipi diversi. Chemioterapia: tecnica che prevede l’utilizzo di farmaci per distruggere le cellule tumorali, interferire con la loro crescita e/o impedire la loro riproduzione. Effetti collaterali: effetti o azioni di un farmaco diversi da quelli desiderati, inclusi gli effetti avversi o tossicità come nausea, diarrea, perdita dei capelli. Epidemiologia: studio dell’incidenza e della distribuzione di una malattia nella popolazione e del rapporto tra la malattia e fattori come l’età, lo stile di vita, l’ambiente, ecc. Ereditarietà: caratteristiche genetiche trasferite da un genitore alla sua discendenza. Fattore di crescita: sostanza che influenza la crescita regolando la divisione cellulare. Fattore di rischio: attività, condizione o agente ambientale che aumenta le probabilità di sviluppo di cancro. Ad esempio: fumo, obesità, età, mutazione genetica. Fumo passivo: esposizione a fumo di tabacco nell’ambiente. Può essere di seconda o terza mano. Incidenza: la proporzione di popolazione affetta da una patologia in un preciso periodo di tempo. Leucemia: cancro dei globuli bianchi del sangue che origina nel midollo. Si divide in 2 tipi: acuta (a crescita veloce), che include la leucemia acuta linfoblastica e la leucemia acuta non linfoblastica, e cronica, che comprende la leucemia linfatica cronica e la leucemia mieloide cronica. Linfoma: termine generale per un gruppo di tumori dei linfociti che origina nel sistema linfatico, composto da linfonodi, milza e timo. Se ne distinguono due tipi principali: linfoma di Hodgkin, caratterizzato dalla presenza di globuli bianchi anomali, e linfoma non-Hodgkin, in cui la malattia è data da linfociti maligni. I due tipi di linfoma hanno modelli distinti di crescita, diffusione e risposta alla cura. Marker tumorali: proteine, ormoni o altre sostanze chimiche riscontrate nel sangue di alcuni malati di cancro. La misurazione dei marker 161 Glossario tumorali può essere utilizzata come strumento prognostico o come metodo di monitoraggio progressivo del trattamento. Metastasi: diffusione del cancro da una parte dell’organismo ad un’altra. Le cellule tumorali possono staccarsi dal tumore originario e, attraverso il sangue o il sistema linfatico, arrivare ad altre zone del corpo, in particolare a linfonodi, cervello, polmoni, fegato, ossa. 162 Micrometastasi: agglomerati microscopici di cellule tumorali diffuse dal tumore originario ad un linfonodo o ad altre aree dell’organismo. Si sviluppano e crescono fino a diventare tumori metastatici. Oncogene: un gene normale che quando muta svolge un ruolo significativo nel causare il cancro. Oncologia: studio dei tumori. Ormone: sostanza prodotta da un organo o ghiandola e condotta dal sangue che produce effetti specifici su altri organi e ghiandole. Prevalenza: indica il numero di persone che, nella popolazione generale, ha ricevuto una precedente diagnosi di tumore. È condizionata sia dalla frequenza con cui ci si ammala che dalla durata della patologia (sopravvivenza). Prevenzione: può essere primaria, secondaria o terziaria. La prevenzione primaria comprende le misure di ridotta esposizione ad elementi che causano il cancro. La secondaria riguarda l’individuazione precoce del tumore. La terziaria si riferisce al trattamento medico della malattia operata e al follow up. Radioterapia: trattamento con raggi X ad energia elevata che uccidono o danneggiano le cellule tumorali. La radioterapia esterna utilizza una macchina per indirizzare precisamente i raggi al tumore. La radioterapia interna (detta brachiterapia) utilizza materiale radioattivo inserito nell’organismo il più possibile vicino al cancro e poi rimosso dopo un determinato periodo di tempo. Recidiva: ricomparsa del cancro dopo il miglioramento o la remissione. Screening: controllo in assenza di sintomi o manifestazioni di malattia. Esempi di screening sono la mammografia (per il cancro della mammella), il Pap-test (cancro della cervice) e il sangue occulto nelle feci (cancro del colon-retto). Test genetico: utilizzo di diverse tecniche di laboratorio per verificare se una persona ha qualche mutazione genetica portatrice di rischio o predisposizione al cancro. Esistono test che identificano alcuni geni associati al cancro della mammella, dell’ovaio, della tiroide e altre patologie neoplastiche maligne. Tumore: massa distinta di cellule che crescono più rapidamente rispetto alla norma e mostrano parziale o completa mancanza di organizzazione strutturale. Può essere benigno o maligno. Vaccini: agenti terapeutici che stimolano il sistema immunitario a riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Soluzione che contiene virus o batteri indeboliti o morti – o parti di essi – che inducono il sistema immunitario a riconoscere e combattere le cellule di una determinata patologia. Link e fonti AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) www.agenziafarmaco.gov.it AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro, parenti e amici) www.aimac.it AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) www.aiom.it AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori) www.registri-tumori.it ANT (Associazione Nazionale Tumori) www.ant.it ASCO (American Society of Clinical Oncology) www.asco.org BIODRUGS www.biodrugsnews.net EMA (European Medicines Agency) www.ema.europa.eu ESMO (European Society for Medical Oncology) www.esmo.org FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) www.favo.it FONDAZIONE AIOM www.fondazioneaiom.it FONDAZIONE INSIEME CONTRO IL CANCRO www.insiemecontroilcancro.net FONDAZIONE MELANOMA www.fondazionemelanoma.org FONDAZIONE VERONESI www.fondazioneveronesi.it HEALTHY FOUNDATION www.healthyfoundation.org IL RITRATTO DELLA SALUTE www.ilritrattodellasalute.org ISTAT www.istat.it ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ www.iss.it LA LOTTA AL CANCRO NON HA COLORE www.lalottaalcancrononhacolore.org LILT (Lega Italiana Lotta Tumori) www.lilt.it MINISTERO DELLA SALUTE www.salute.gov.it NON FARE AUTOGOL www.nonfareautogol.it Fonti VI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici (Osservatorio sulla condizione assistenziale dei malati oncologici) Health at a Glance: Europe 2012, OECD www.oecd.org/ health/healthataglanceeurope.htm I numeri del cancro in Italia 2013, AIOM-AIRTUM Il sistema della prevenzione, dell’assistenza e della ricerca oncologica in Italia (Position Paper della Fondazione “Insieme contro il Cancro”) www.aimac.it www.aiom.it www.iss.it www.airc.it www.fondazioneveronesi.it www.info.asl2abruzzo.it/tumorifegato/attivit%C3%A0clinica.html http://progettooncologia.cnr.it/strategici/polmone/05po.html www.salute.gov.it www.who.int/en/ 163 Indice 5Prefazione 7Introduzione 11Nota degli Autori 13 La Fondazione “Insieme contro il Cancro” 15 Il cancro 19 I numeri del cancro in Italia 21 Le cure contro il cancro 31 I big killer 39 Le altre forme di tumore 47 L’importanza della prevenzione 55 La riabilitazione e il reinserimento 57 I diritti del paziente oncologico 59 L’innovazione in oncologia 65 Le testimonianze dei pazienti 65 67 69 70 72 Roberto Gervaso Elisabetta Iannelli Sebino Nela Nicola Pietrangeli Marina Ripa di Meana 165 75 I media: come va affrontato oggi il tema cancro La parola ai Direttori 76 82 88 92 97 101 111 115 121 125 129 133 138 144 157 Giulio Anselmi Bianca Berlinguer Mario Calabresi Virman Cusenza Ferruccio de Bortoli Roberto Iadicicco Bruno Manfellotto Giuseppe Marra Ezio Mauro Mauro Mazza Clemente Mimun Andrea Monti Roberto Napoletano Luciano Onder Alessandro Sallusti 161Glossario 163 Link e fonti Finito di stampare nel luglio 2014 da Colorart, Rodengo Saiano (Bs) insieme contro il cancro Roma, via Domenico Cimarosa 18 Tel 06 8553259 - Fax 06 8553221 www.insiemecontroilcancro.net [email protected] Nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati 366.000 nuovi casi di tumore (1.000 al giorno). Il cancro diventa una malattia sempre più frequente, ma la sopravvivenza è aumentata notevolmente nell’ultimo quarantennio. Alla fine degli anni ’70 era del 33%, è salita al 47% nei primi anni ’90. Ed ora oltre un paziente su due riesce a guarire. La Fondazione “Insieme contro il Cancro” con questo libro vuole fotografare la guerra al tumore oggi in Italia. Le conquiste della ricerca, l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce, con numeri e dati ma anche attraverso le storie di personaggi famosi che ce l’hanno fatta, da Nicola Pietrangeli, a Roberto Gervaso, da Elisabetta Iannelli, a Marina Ripa di Meana, a Sebino Nela. Testimonianze forti che ci obbligano ad un ripensamento perché oggi è ancora troppo diffuso l’utilizzo del termine “male incurabile”. Ma come deve essere oggi una corretta comunicazione al pubblico su questo tema? Quali messaggi vanno dati? Quali rischi si corrono nel trattare queste notizie? E quale ruolo devono svolgere i media per offrire la giusta lettura e contribuire a sconfiggere il cancro? Parlano quindici direttori delle principali testate giornalistiche italiane: Giulio Anselmi (ANSA), Bianca Berlinguer (Tg3), Mario Calabresi (La Stampa), Virman Cusenza (Il Messaggero), Ferruccio de Bortoli (Corriere della Sera), Roberto Iadicicco (AGI), Bruno Manfellotto (L’Espresso), Pippo Marra (AdnKronos), Ezio Mauro (La Repubblica), Mauro Mazza (Rai Sport), Clemente Mimun (Tg5), Andrea Monti (La Gazzetta dello Sport), Roberto Napoletano (Il Sole 24 Ore), Luciano Onder (Tg2), Alessandro Sallusti (Il Giornale). Un progetto di via Malta 12/b, 25124 Brescia [email protected] www.medinews.it www.intermedianews.it