Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali (www.storiaglocale.it) Direttore: Gino Massullo ([email protected]) Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Antonio Brusa, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Raffaele Colapietra, Gabriella Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano Marzillo, Gino Massullo, Giorgio Palmieri, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli, Edilio Petrocelli, Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Ilaria Zilli Segreteria di redazione: Marinangela Bellomo, Maddalena Chimisso, Michele Colitti, Antonello Nardelli, Bice Tanno Direttore responsabile: Antonio Ruggieri Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia Questa rivista è andata in stampa grazie al contributo di: Provincia di Campobasso Unioncamere Molise Unioncamere Molise Redazione e amministrazione: c/o Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Campobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Abbonamento annuo (due numeri): € 25,00. 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Lombardi / Marinaro / Martelli / Massa / Massullo / Melone / Palmieri / Pazzagli / Pesaresi / Piccoli / Pittau / Presutti / Ruggieri / Scaroina / Spina / Tarozzi / Verazzo In copertina: Berga, Gli emigranti, tecnica mista, tela, 110 x 140 cm, 2012 © 2013 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune Tutti i diritti riservati Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009 / 4 / 2011 Indice 9 Migrazioni, dal secondo dopoguerra ad oggi FACCIAMO IL PUNTO 17 L’emigrazione meridionale nel secondo dopoguerra di Andreina De Clementi 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 37 I limiti della riforma agraria Forme e tempi dell’esodo Il sorpasso meridionale I quartieri italiani Il polo europeo L’inarrestabile cataclisma Ruoli e percorsi di genere L’impiego dei risparmi e delle rimesse Il futuro nel passato Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione di Michele Colucci 1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra 2. Le sinistre 3. La Democrazia cristiana IN MOLISE 51 I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali di Norberto Lombardi 1. 2. 3. 4. 5. Cade lo steccato del Molise «ruralissimo» Esodo e spopolamento Vecchie traiettorie transoceaniche Nuovi approdi transoceanici La scoperta dell’Europa 5 / 4 / 2011 6. La svolta europea 7. Molisani nel mondo 8. Le reti associative 9. Le leggi e le Conferenze regionali 10. Studi e rappresentazioni dell’emigrazione dei molisani 11. Conclusioni: quasi un inizio 107 Appendice: Le associazioni di Molisani in Italia e nel mondo a cura di Costanza Travaglini 117 L’esodo dal Molise tra il 1952 e il 1980. Nuove destinazioni e riflessi socio-economici di Cristiano Pesaresi 1. Il quadro d’insieme 2. Le principali destinazioni nell’intervallo 1962-68 e le condizioni socioeconomiche del Molise 3. Le tendenze degli anni 1972-80 e le condizioni socio-economiche del Molise 131 La mobilità silente: i molisani nei percorsi globali di Oliviero Casacchia e Massimiliano Crisci 1. 2. 3. 4. 151 La mobilità residenziale dagli anni novanta ad oggi Concetto e fonti della mobilità temporanea di lavoro I flussi temporanei per lavoro Alcune conclusioni L’immigrazione nel Molise: presenze, aspetti sociali e occupazionali di Renato Marinaro e Franco Pittau 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 165 Il Molise nell’attuale quadro nazionale dell’immigrazione I dati principali sulle presenze Gli indicatori sociali Le statistiche occupazionali Immigrazione e integrazione L’emergenza del 2011: l’accoglienza dei flussi in provenienza dal Nord Africa Conclusioni: potenziare le politiche migratorie e la sensibilizzazione Letteratura come autobiografia: la scrittura di Rimanelli tra le due sponde dell’oceano di Sebastiano Martelli 6 Indice INTERVISTE 185 Testimonianze d’altrove: domande per alcuni giovani diplomati e laureati che hanno lasciato il Molise negli ultimi anni a cura di Norberto Lombardi IERI, OGGI E DOMANI 205 Risorse umane Tavola rotonda a cura di Antonio Ruggieri RIFLESSIONI 247 Dal globale al locale. Riflessioni sul progetto territorialista di Rossano Pazzagli 1. 2. 3. 4. 253 Ritorno al territorio Il territorio come bene comune Urbano e rurale Nuovi sentieri nell’orizzonte della crisi Territorialità, glocalità e storiografia di Gino Massullo 1. Comparazione e contestualizzazione 2. Territorialità e glocalità WORK IN PROGRESS 261 Identità, emigrazione e positivismo antropologico di Paola Melone 1. 2. 3. 4. Introduzione Considerazioni concettuali La corrente del positivismo antropologico L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: la classificazione etnica e gli stereotipi culturali 5. Conclusioni 275 Donne e corporazioni nell’Italia medievale di Jacopo Maria Argilli 7 / 4 / 2011 DIDATTICA 289 Tra “buona pratica” e teoria efficace. Quando la Storia aiuta la persona, stimola il gruppo, sostiene un popolo di Clara Chiodi e Paola De Luca 1. Primi giorni di scuola 2. Cognizione e metacognizione 3. Dal bisogno educativo all’azione didattica STORIOGRAFIA 297 Fra storiografia e bibliografia. Note sui “libri dei libri” di Giorgio Palmieri 1. Un “libro dei libri” 2. Altri “libri dei libri” 3. I “libri dei libri” MOLISANA 307 Almanacco del Molise 2011 Recensione di Antonella Presutti 313 Salvatore Mantegna, Giacinta Manzo, Bagnoli del Trigno. Ricerche per la tutela di un centro molisano Recensione di Clara Verazzo 316 I di Capua in Molise e il controllo del territorio. Note a margine della presentazione del volume curato da Daniele Ferrara, Il castello di Capua e Gambatesa. Mito, Storia e Paesaggio di Gabriella Di Rocco 321 Abstracts 327 Gli autori di questo numero 8 / 4 / 2011 / Facciamo il punto Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione di Michele Colucci Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale la questione dell’emigrazione è affrontata e dibattuta frequentemente nel mondo politico e sindacale italiano. È in realtà l’intera società che si confronta con la ripresa dell’emigrazione di massa e a prendere la parola al riguardo sono davvero in tanti, dal mondo imprenditoriale a quello cooperativo, dalla classe operaia ai contadini, dai giornali ai rotocalchi, dal cinema alla letteratura1. Rispetto alle 1 Per un quadro generale si vedano: Michele Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa, 1945-1957, Donzelli Editore, Roma 2008; Sandro Rinauro, Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi, Torino 2009; Elia Morandi, Governare l’emigrazione. Lavoratori italiani verso la Germania federale, Rosenberg & Sellier, Torino 2011; Claudio Besana, Accordi internazionali ed emigrazione della mano d’opera italiana tra ricostruzione e sviluppo, in Sergio Zaninelli, Mario Taccolini (a cura di), Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella storia economica italiana, Edizioni Vita e Pensiero, Milano 2001, pp. 3-17; Corrado Bonifazi, Dall’emigrazione assistita alla gestione dell’immigrazione: le politiche migratorie nell’Italia repubblicana dai vecchi ai nuovi scenari del fenomeno, «Popolazione e storia», 2005, 1, pp. 19-43; Vittorio Briani, La legislazione emigratoria italiana nelle successive fasi, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1978; Sarah Collinson, Le migrazioni internazionali e l’Europa: un profilo comparato, il Mulino, Bologna 1994; Andreina De Clementi, Il prezzo della ricostruzione. L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Laterza, Roma-Bari 2010; Vincenzo Grassi, Le politiche migratorie dei principali paesi dell’Europa occidentale dal secondo dopoguerra agli anni ’80, «Affari sociali internazionali», 1994, 2, pp. 57-80; Mario Marcellini, Sindacati e problemi dell’emigrazione, in Franca Assante (a cura di), Il movimento migratorio italiano dall’unità nazionale ai nostri giorni, v. II, Librairie Droz, Ginevra 1978, pp. 1-21; Rolf Petri, Dalla ricostruzione al miracolo economico, in Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto (a cura di), Storia d’Italia, vol. 5, La repubblica, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 313-439; Leonardo Rapone, L’emigrazione come problema di politica estera. La questione degli italiani in Francia nella crisi dei rapporti italofrancesi, 1938-1947, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1993, 1, pp. 151-95; Patrizia Rontini, Il governo italiano e il problema dell’emigrazione negli anni ’50, in Ennio Di Nolfo, Romain H. Rainero, Brunello Vigezzi (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa (1950-60), Marzorati, Milano 1992, pp. 521-43; Gianfausto Rosoli, Politiche sociali e problematiche istituzionali dell’emigrazione italiana dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi, in Casimira Grandi (a cura di), Emigrazione. Memorie e realtà, Provincia autonoma di Trento, Trento 1990; Giovanni Battista Sacchetti, Cento anni di “politica dell’emigrazione”. L’incerta presenza dello Stato di fronte alla realtà migratoria italiana, in Gianfausto Rosoli (a cura di), Un secolo di emigrazione italiana (1876-1976), Cser, Roma 1978, pp. 253-71. 37 / 4 / 2011 / Facciamo il punto posizioni dei partiti e dei sindacati la tradizione di intervento in materia era lunga e vantava ormai decenni di confronto. Soprattutto in età giolittiana – prima durante e dopo la legge del 1901 – erano maturate sensibilità e attenzioni nell’analisi e nelle proposte di intervento molto articolate e anche piuttosto avanzate, come testimoniano le numerosissime pubblicazioni, convegni, progetti, discussioni parlamentari che riempirono anche gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale2. In sintesi, gli approcci più significativi che si confrontavano erano due: i favorevoli a un controllo statale dei flussi e coloro che difendevano la loro diffusione vincolandola esclusivamente alle esigenze dei mercati. Tra i primi, possiamo trovare i settori riformisti del movimento operaio e una parte rilevante del movimento cattolico. Non è un caso che due tra le maggiori istituzioni assistenziali in campo migratorio (la Società Umanitaria e l’Opera Bonomelli) erano riconducibili proprio al mondo socialista e al mondo cattolico e condividevano l’esigenza riformatrice diffusa nel periodo giolittiano. Dall’altra parte troviamo invece i liberisti, gli agrari, gli armatori e i loro notevoli interessi commerciali, preoccupati che la presenza delle istituzioni potesse in qualche modo intaccare le rispettive economie. Questa dicotomia non è una peculiarità del periodo giolittiano ma è destinata a riemergere periodicamente nel dibattito politico italiano. Con il fascismo e le nuove disposizioni sull’emigrazione varate fin dalla seconda metà degli anni venti questa ricchezza di interventi e di competenze iniziò a declinare, a causa principalmente di due fattori. Da un lato la dimensione autoritaria del regime, che impediva la libera circolazione del dibattito pubblico e la libertà di espressione e di associazione, dall’altro lato lo scioglimento del Commissariato generale dell’emigrazione nel 1927 e delle istituzioni ad esso legate (quali il Consiglio superiore dell’emigrazione), strutture che avevano accentrato nel 1901 non solo le competenze istituzionali nel campo ma che erano diventate anche luoghi di elaborazione e di dibattito sulle questioni economiche, politiche e sociali legate all’emigrazione3. Ma fu 2 Si vedano al riguardo: Dora Marucco, Il Consiglio superiore dell’emigrazione. Problemi sindacali e sindacalisti nei dibattiti di un quarto di secolo, in Vanni Blengino, Emilio Franzina, Adolfo Pepe (a cura di), La riscoperta dell’America. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, Teti, Milano 1994, pp. 44-61; Fabio Grassi Orsini, Per una storia del Commissariato Generale dell’Emigrazione, «Le carte e la storia», 1997, 1, pp. 112-138; Maria Rosaria Ostuni, Momenti della “contrastata vita” del Commissariato Generale dell’Emigrazione, in Bruno Bezza (a cura di), Gli italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi di adozione, Franco Angeli, Milano1983, pp. 101-118; Id., Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista in Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana vol. I, Partenze, Donzelli, Roma 2001, pp. 309-19; Michele Colucci, Sindacato e migrazioni, in Paola Corti, Matteo Sanfilippo (a cura di), Storia d’Italia. Annali 24. Migrazioni, Einaudi, Torino 2009, pp. 592-607. 3 Si vedano al riguardo: Annunziata Nobile, Politica migratoria e vicende dell’emigrazione durante il fascismo, «Il Ponte», 1974, 11-12 pp. 1322-1341; Ercole Sori, Emigrazione all’estero 38 Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione proprio il fenomeno dell’emigrazione a declinare, anche quantitativamente, a livello internazionale, prima con la chiusura delle frontiere da parte degli stati nazionali (famosissimo il Quota Act in Usa nel 1924), poi con le conseguenze della crisi del 1929. 1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra Alla fine della seconda guerra mondiale l’apparato istituzionale che aveva competenza sulle migrazioni era diviso tra le eredità del Commissariato per le migrazioni interne e la colonizzazione e la Direzione generale italiani all’estero presso il Ministero degli affari esteri (entrambe creazioni del fascismo), con un dibattito tra gli addetti ai lavori inevitabilmente fermo da anni e molto isolato dalle trasformazioni avvenute nel frattempo nel mercato del lavoro internazionale, con un mondo politico e sindacale che è costretto a riorganizzarsi in fretta alla caduta del fascismo e che sconta anni di esilio, di clandestinità, di fratture e ricomposizioni che ne hanno inevitabilmente penalizzato l’elaborazione su molti fronti, tra cui quello della politica migratoria. Il rapporto tra emigrazione e ricostruzione è però tematizzato con insistenza e continuità da numerosi soggetti già durante la seconda guerra mondiale4. Nel dibattito politico degli ultimi anni di guerra possiamo collocare l’emigrazione in un terreno molto particolare. Ad essa veniva associata innanzitutto la necessità di individuare iniziative efficaci per combattere la disoccupazione. Inoltre, veniva individuata come risorsa per l’afflusso di capitali attraverso le rimesse. Sullo scenario internazionale, veniva poi guardata come possibile contributo che l’Italia era in grado di dare, in termini di manodopera, alla ricostruzione dell’Europa. Politica sociale, politica economica e politica estera: proprio su queste tre linee rinascerà di lì a poco la politica migratoria italiana. Nell’opuscolo Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, risalente al 1942, Alcide De Gasperi individuò l’emigrazione come condizione necessaria e prioritaria per la ricostruzione. e migrazioni interne in Italia tra le due guerre, «Quaderni storici», 1975, 29-30, pp. 579-606; Anna Treves, Le migrazioni interne nell’Italia fascista. Politica e realtà demografica, Einaudi, Torino 1976; Philip W. Cannistraro, Gianfausto Rosoli, Emigrazione Chiesa e fascismo. Lo scioglimento dell’Opera Bonomelli (1922-1928), Studium, Roma 1979; Monte S. Finkelstein, The Johnson Act, Mussolini and Fascist Emigration Policy: 1921-1930, «Journal of American Ethnic History», 1988, 1, pp. 38-55. 4 Si vedano: Sandro Rinauro, Prigionieri di guerra ed emigrazione di massa nella politica economica della ricostruzione, 1944-1948. Il caso dei prigionieri italiani della Francia, «Studi e ricerche di storia contemporanea», 1999, 51, p. 241; Id., La disoccupazione di massa e il contrastato rimpatrio dei prigionieri di guerra, «Storia in Lombardia», 1998, 2-3, pp. 591-2. 39 / 4 / 2011 / Facciamo il punto Per assicurare a tutti i popoli le condizioni indispensabili di esistenza è necessario […] stabilire la libertà di un’emigrazione, disciplinata non solo da trattati, ma anche dalla legislazione internazionale del lavoro; accordare a ogni popolo la libertà delle vie internazionali di comunicazione5. Nel 1943 Ludovico D’Aragona, dal versante socialista, sottolineò l’importanza, a guerra finita, di rilanciare l’emigrazione, consapevole delle eccedenze che avrebbe avuto il mercato del lavoro italiano e della fame di manodopera che sarebbe stata dilagante nell’Europa da ricostruire. Allo stesso tempo, D’Aragona richiamò il bisogno di proteggere e tutelare i lavoratori migranti. Questa emigrazione non può essere abbandonata a sé stessa e lo Stato ha il dovere di tutelarla in tutti i modi. Dobbiamo essere per la massima libertà di movimento […] ma emigrazione controllata e vigilata nonché protetta. Il nostro lavoratore non deve recarsi all’estero a fare abbassare i salari ma deve partire sapendo che il suo dovere è iscriversi nei sindacati del luogo ove si reca a lavorare6. Sul finire del 1944 Ugo La Malfa inserì la necessità dell’emigrazione nel quadro della cooperazione economica continentale e della “soluzione europea” alla questione meridionale: «la manodopera dovrà trasferirsi da un paese all’altro; ci saranno piani internazionali per il coordinamento economico e una nuova società umana che affronterà concretamente i suoi problemi fondamentali»7. Guido Dorso, azionista, nel marzo 1945, non esitò a inserire la ripresa dell’emigrazione come inevitabile presupposto alla risoluzione della questione meridionale: 5 Alcide De Gasperi, Le idee ricostruttive delle Democrazia Cristiana, novembre 1942. Per un’analisi del documento in chiave di politica economica si vedano: Giuseppe Barone, Stato e Mezzogiorno. Il primo tempo dell’intervento straordinario, in Storia dell’Italia repubblicana, diretta da Francesco Barbagallo, vol. I, Einaudi, Torino 1994, p. 293-409; Mario G. Rossi, La democrazia antifascista nei programmi della Democrazia Cristiana, «Italia contemporanea», 2005, 239-240, pp. 209-23. Riferimenti all’emigrazione sono presenti anche in altri contributi di Alcide De Gasperi negli anni di guerra: si veda ad esempio il paragrafo Italia democratica e pacifica del Programma della Democrazia Cristiana pubblicato su “Il Popolo” – clandestinamente – il 12 dicembre 1944: Andrea Damilano (a cura di), Atti e documenti della Democrazia Cristiana, vol. I, Cinque Lune, Roma, 1968, p. 33. 6 Vico Lodetti (Ludovico D’Aragona), Problemi di politica interna ed estera, Biblioteca Bruno Buozzi, Vigevano 1947, p. 17 (il volume rappresenta la ristampa di un documento clandestino scritto nel 1943). 7 L’intervento di La Malfa è citato in Lorenzo Mechi, Fra modernizzazione economica e integrazione europea. L’azione di Ugo La Malfa al Ministero per il commercio con l’estero, in Ugo De Siervo, Sandro Guerrieri, Antonio Varsori (a cura di), La prima legislatura repubblicana. Continuità e discontinuità nell’azione delle istituzioni, vol. II, Carocci, Roma 2004, p. 56. 40 Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione Se attraverso rinnovati contatti […], nuovi capitali torneranno ad affluire ad opera dei nostri emigranti, il progetto di trasformare metà del Mezzogiorno in un grande frutteto e di industrializzare l’agricoltura potrà essere ripreso ed il nostro paese potrà rifiorire dopo tanto evo di sgoverno8. La possibilità della ripresa dell’emigrazione venne esaminata anche negli ambienti sindacali. Ai primi segni di distensione che seguiranno alla fine della guerra, si determinerà in Italia un flusso emigratorio che occorre regolare e tutelare. Provvedimenti protettivi saranno chiesti e proposti dalla Cgil per garantire ai lavoratori italiani che si recano all’estero condizioni per lo meno uguali a quelle che la Francia e l’America domanderebbero per i loro figli in identiche situazioni. Nel quadro di queste necessità, ci sembra che nessun dirigente responsabile potrebbe volere o tanto meno favorire un’emigrazione sporadica o per unità isolate9. Oreste Lizzadri proseguiva il suo intervento – siamo nel maggio 1945 – chiedendosi se non fosse preferibile che i lavoratori italiani venissero impegnati nell’ambito della ricostruzione italiana, riconoscendo però che il loro impiego all’estero sarebbe stato strategico per la questione delle rimesse e della bilancia dei pagamenti. La Cgil precisava che ad un ipotetico piano generale che affrontasse l’intera questione «porterà il contributo della sua esperienza, ma che spetterà al governo responsabile impostare ed attuare»10. La confederazione intendeva muoversi anche sul terreno della formazione dei lavoratori e della trattativa internazionale: già nel luglio 1945 Leopoldo Rubinacci dichiarava che erano in corso trattative con la Gran Bretagna e con il Belgio finalizzate all’emigrazione di manodopera italiana. Rubinacci sottolineava nuovamente la preferenza per l’emigrazione di gruppi organizzati, che a suo parere avrebbero avuto una doppia funzione: impedire la partenza di persone utili alla ricostruzione italiana e favorire all’estero una maggiore tutela sociale e sindacale, evitando il loro isolamento11. Restando ancora nella fase finale della guerra, è importante segnalare le proposte sull’emigrazione presentate dalla Cgil al governo italiano il 22 agosto 1945, governo espressione delle forze antifasciste, in cui tra l’altro sedevano figure di spicco della storia del movimento operaio (quali Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Fausto Gullo, Emilio Lussu, Gaetano Barbareschi). 8 Guido Dorso, Relazione sulla “Questione meridionale”, quaderni del Partito d’Azione, Roma, data presunta marzo 1945, pp. 10-11. 9 Oreste Lizzadri, La Confederazione Generale del Lavoro e i lavoratori italiani all’estero, «Italiani nel mondo», 25 maggio 1945, p. 10. 10 Ibidem. 11 L’interessamento della Cgil per i problemi dell’emigrazione, «Italiani nel mondo», 10 luglio 1945, p. 16. 41 / 4 / 2011 / Facciamo il punto Il sindacato esordisce definendo l’emigrazione come una sorta di ”male necessario”, definizione condivisa da ampi settori del mondo politico e sociale. In linea di principio, la Cgil è contraria a che i lavoratori italiani siano costretti a recarsi all’estero per trovare occupazioni remunerative, proprio nel momento in cui la ricostruzione del paese richiede lo sforzo concorde di tutti gli italiani e quello dei lavoratori in modo particolare […]. Ma la Cgil ha il dovere di rimanere attaccata alla realtà anche se spiacevole; e, fermo restando il suo atteggiamento di principio essa si preoccupa di procurare ai nostri lavoratori che si recano all’estero migliori condizioni di salario, di assicurazioni, di ambiente e di tutte le altre provvidenze in genere12. Il sindacato propone che gli emigranti non partano in modo isolato ma vengano inquadrati in organismi allargati, in cui fossero presenti tutti gli attori della produzione: dirigenti, lavoratori, sindacalisti. La Cgil pensa che sia necessario costruire organismi lavorativi che comprendano dal direttore dirigente al manovale, in modo da presentare alle richieste straniere unità organiche di lavoro. Crede anche necessario aggregare a tali organismi lavorativi personale accessorio: medici, sacerdoti, infermieri, cuochi, personale di amministrazione, perché l’operaio porti con sé quanto più è possibile, del calore della patria. La Cgil ritiene anche di sommo interesse che questi lavoratori non perdano il contatto con le proprie organizzazioni sindacali e si sentano da esse tutelati e sorretti durante tutto il tempo del loro esilio volontario, dalla partenza al ritorno in patria. Chiede perciò che un fiduciario della Confederazione, scelto dagli stessi lavoratori, faccia parte di tali unità lavoratrici13. Infine, la Cgil auspica che le condizioni di reclutamento in Italia e di lavoro all’estero vengano monitorate attentamente per evitare situazioni di sfruttamento e di prevaricazione nei confronti degli emigranti e si propone come parte attiva in tal senso. È necessario stabilire subito che i lavoratori italiani partiranno solo in seguito a contratti stipulati qui in Italia, con condizioni di salario e altre provvidenze per lo meno uguali a quelle dei lavoratori bianchi della zona di lavoro, e, comunque, mai inferiori a quelle in vigore in Italia. La Cgil chiede infine che le eventuali trattative per l’ingaggio di maestranze per l’estero non siano limitate esclusivamente ai governi interessati, ma che essa sia chiamata ad intervenire fin dal principio, in modo da portare il suo contributo non solo sulla questione dei salari, ma anche su tutte le altre questioni riguardanti le condizioni che interessano il complesso della vita dei lavoratori14. 12 Proposte sul problema dell’emigrazione della Confederazione generale del lavoro, «Italiani nel mondo», 10 settembre 1945, p. 1. 13 Ibidem. 14 Ibidem. 42 Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione Come si può constatare da questi interventi, sul finire della guerra il confronto è già piuttosto fecondo e, pur tra distinguo e diverse letture, nei confronti dell’emigrazione si registra un consenso pressoché unanime tra le forze politiche e sindacali. In linea con quanto affermato fin dal 1942, il protagonista principale della politica migratoria italiana fu Alcide De Gasperi. L’emigrazione a suo avviso si inseriva strategicamente all’interno del tortuoso percorso con cui l’Italia doveva cercare di superare la pagina del regime fascista e delle sue guerre per inserirsi in modo nuovo all’interno della dialettica internazionale tra gli Stati. L’emigrazione in questa ottica era essenzialmente un’occasione eccezionale per la politica estera dell’Italia, che aveva bisogno di rafforzare la sua posizione nelle trattative legate alla chiusura del secondo conflitto mondiale. L’Italia infatti, nella lettura degasperiana, aveva ben poche risorse da poter mettere sul piatto della bilancia nel confronto con gli altri Stati se non quell’immenso serbatoio costituito dall’eccedenza di manodopera. Un serbatoio che andava assolutamente svuotato perché rappresentava un elemento di destabilizzazione sociale e politica molto pericoloso. Politica estera e politica interna, quindi, si affiancavano, ma nel progetto degasperiano le ragioni internazionali sembravano prevalere su quelle di politica interna, con sfumature differenti rispetto a quanto affermato negli stessi mesi e negli stessi anni da altri politici, intellettuali, economisti, anche di area democristiana. Il suo lavoro per favorire la ripresa dell’emigrazione raggiunse un primo obiettivo concreto il 22 febbraio 1946, quando Italia e Francia firmarono un accordo per l’emigrazione di ventimila minatori italiani, preludio al ben più rilevante accordo di emigrazione del 21 marzo 1947. L’accordo del 1947, tra l’altro, venne firmato quando le sinistre erano ancora al governo, e infatti anche tra comunisti e socialisti non mancava l’entusiasmo per il risultato ottenuto. La trattativa veniva riempita di contenuti politici ed economici: l’emigrazione italiana faceva parte del percorso di collaborazione tra i due paesi per la costruzione di istituzioni democratiche e antifasciste. «Non ci limitiamo alla ricerca di compagni che abbiano le attitudini generiche al lavoro di scavo» scriveva sull’«Unità» Jean Panico, delegato della Cgft presente alle trattative governative: Abbiamo bisogno, in Francia, di braccia perché ci difetta la mano di opera. Per l’Italia il problema è diverso: essa dispone attualmente di centinaia di disoccupati che hanno bisogno di lavoro […]. I lavoratori dei nostri due paesi, per la comune volontà di tutti, costruiranno, risorgendo dalle rovine, un’insormontabile barriera: l’amicizia e l’unità della Francia e dell’Italia15. 15 Jean Panico, La Francia ha bisogno di braccia, l’Italia di lavoro, “L’Unità”, 8 febbraio 1946, p. 1. Panico interverrà sulla stampa italiana anche negli anni successivi: si veda Id., La 43 / 4 / 2011 / Facciamo il punto L’entrata in vigore degli accordi italo-francesi venne definita dal giornale «un successo della Cgil»16. Quando Italia e Francia, nel marzo 1947, firmarono l’accordo per l’emigrazione di duecentomila italiani, il ministro del lavoro francese, il comunista Croizat, dichiarò che «è con accordi come quello che sarà firmato a Palazzo Chigi che si possono stringere tra i nostri due paesi quei rapporti di amicizia, quali occorrono fra due popoli come i nostri, che lottano oggi per gli stessi ideali di democrazia e libertà»17. La nuova classe dirigente repubblicana si fece promotrice degli accordi internazionali per rilanciare l’emigrazione addirittura prima di firmare il trattato di pace (10 febbraio 1947) con le potenze vincitrici della guerra. Il già citato accordo del 1946 con la Francia e quello ancora più famoso del giugno 1946 con il Belgio precedettero infatti la firma del trattato di Parigi, a dimostrazione di quanto fosse urgente e improcrastinabile l’esigenza di stringere relazioni bilaterali finalizzate al ricollocamento della manodopera. 2. Le sinistre La fiducia verso l’emigrazione si mantiene abbastanza salda anche nei primissimi anni del dopoguerra. La durezza della ricostruzione, la permanenza di una percentuale di disoccupazione alta e strutturale, la questione del ritorno dei reduci di guerra, i problemi di politica industriale, lo sblocco dei licenziamenti non fanno che alimentare la speranza che il ricorso all’emigrazione all’estero possa funzionare come calmiere delle tensioni sociali e come stimolo all’economia. Le prime notizie che giungono però dai paesi interessati alla ricostruzione e bisognosi di manodopera non sono buone. La volontà dei governi nazionali è quella di tenere rigidamente sotto controllo i rispettivi mercati del lavoro, la disponibilità occupazionale è limitata a incarichi prevalentemente parziali e a tempo determinato, le paghe sono basse e le condizioni di lavoro sono particolarmente dure. Nulla a che vedere con quella “manna dal cielo” che la classe dirigente post-bellica auspicava, scavando – con le inevitabili forzature – nella memoria dell’emigrazione di età liberale. Ecco quindi che il dibattito politico e sindacale si concentra non più solo sulla necessità o meno di favorire l’emigrazione ma su come riorganizzare l’emigrazione. E le differenze diventano più significative, anche prima della rottura dell’alleanza di governo del maggio 1947. Cgt francese e l’immigrazione italiana, «Bollettino quindicinale dell’emigrazione», 25 giugno 1949, pp. 123-4. 16 Lavoro per ventimila italiani, “L’Unità”, 30 aprile 1946, p. 1. 17 Il trattamento della Francia agli operai italiani che emigreranno, “L’Unità”, 21 marzo 1947, p. 1. 44 Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione Giuseppe Di Vittorio, in editoriale sull’“Unità” intitolato Politica dell’emigrazione, mette in guardia già dal gennaio 1947 dal pericolo di una emigrazione priva delle necessarie tutele. Fin quando l’Italia sarà costretta a dover contare sull’emigrazione di una parte importante dei suoi figli, è chiaro che il governo italiano dovrà avere una sua politica dell’emigrazione. Le linee direttrici di questa politica sono semplici e chiare. In primo luogo bisogna limitare la emigrazione al minimo indispensabile, considerandola come un fatto doloroso, anche se inevitabile, e non ricercare in essa la soluzione di gravi problemi nazionali. In secondo luogo, quando numerosi paesi chiedono manodopera italiana, dobbiamo tendere: a) limitare l’emigrazione di manodopera specializzata, perché essa non venga a mancare al nostro paese per la propria ricostruzione; b) favorire l’emigrazione in quei paesi che offrono le migliori condizioni ai nostri emigrati e i maggiori vantaggi alla nostra economia nazionale; c) non consentire nessuna emigrazione in quei paesi che non danno garanzie sufficienti agli emigrati anche se in cambio prospettano scambi vantaggiosi per l’Italia18. L’emigrazione insomma rappresentava una scelta grave ma inevitabile e comunque non definitiva, non solo secondo Di Vittorio ma secondo ampi settori della sinistra politica e sindacale. Col passare dei mesi e degli anni tuttavia, complice anche la rottura con De Gasperi del maggio 1947 e l’uscita delle sinistre dal governo, la polemica si fece sempre più aspra e la prudente fiducia verso lo strumento migratorio mostrata all’indomani della guerra si mutò in palese diffidenza. Naturalmente pesava su questo mutamento di giudizio l’andamento complessivo della ripresa dell’emigrazione, con la pesantissima mole di problemi e di difficoltà che i lavoratori incontravano al loro trasferimento oltre confine, la diffusione dei flussi clandestini privi di qualunque tutela e la carenza delle strutture istituzionali italiane (soprattutto all’estero, nella rete consolare) nell’assistenza ai migranti. Ecco quindi che i giudizi si fecero ancora più negativi, soprattutto quando divenne chiaro che l’emigrazione non poteva risolvere i problemi strutturali della ricostruzione italiana. Fu proprio in occasione della presentazione del Piano per il lavoro, nel febbraio 1950, che a sinistra si iniziò a mettere in discussione il presupposto centrale del nesso emigrazione-ricostruzione. Il piano proponeva infatti un programma di interventi a medio e lungo termine per il collocamento della manodopera disoccupata e lo sviluppo del paese, soprattutto delle aree più depresse. Secondo Di Vittorio il piano poteva rappresentare un’alternativa concreta all’emigrazione. A suo avviso ormai l’emigrazione era diventata uno strumento non solo doloroso ma anche impraticabile, a causa delle restrizioni internazionali alla libertà di circolazione. 18 Giuseppe Di Vittorio, Politica dell’emigrazione, “L’Unità”, 18 gennaio 1947, p. 1. 45 / 4 / 2011 / Facciamo il punto Io ho avuto la ventura o la sventura di vivere all’estero parecchi anni in vari paesi e di essere a contatto con le masse emigrate. Le cose che avvengono sono straordinarie: quando c’è scarsità di manodopera tutti riconoscono i diritti ai lavoratori stranieri; appena c’è un accenno di crisi, di riduzione di lavoro, cominciano a parlare di “ouvriers etrangers”, e sapete cosa fanno gli industriali che vogliono liberarsi il più presto possibile dei lavoratori stranieri? Denunciano i lavoratori alla polizia […]. La via dell’emigrazione riserva non soltanto delusioni ma dolori, a volte il sangue, quasi sempre umiliazioni; e noi, seppure vogliamo accettarla come il male minore (con determinate condizioni quali premesse di uguaglianza dei diritti sociali dei lavoratori italiani con il lavoratori locali) abbiamo visto che le porte dell’emigrazione sono praticamente chiuse: è inutile che facciamo della poesia sull’emigrazione19. 3. La Democrazia cristiana Ma non furono solo le sinistre a mostrare perplessità verso la politica migratoria. Anche in ambiente cattolico la macchina emigratoria allestita dai governi post-bellici suscitava dubbi e discussioni. Ecco una lettera che Luigi Sturzo inviò a De Gasperi il 13 dicembre 1947: Bisogna ridare libertà al popolo che vuole emigrare, favorire l’emigrazione familiare, evitare l’emigrazione a tipo politico e con l’ingerenza illimitata dei socialcomunisti. Libera l’assistenza degli emigrati all’estero, evitando preferenze e propaganda politica di ogni partito senza eccezione. Fo appello alla tua alta coscienza di italiano e di cattolico perché si ponga un riparo al male presente, che fra l’altro contribuisce a rallentare la stessa emigrazione. So bene delle opposizioni “professionali” del Ministero del lavoro; ma un amico quale ti è il presente ministro (e cattolico di fede e di pratica) dovrà sentire l’appello pressante che viene dai cattolici italiani per la soluzione del grave problema20. Secondo Sturzo, occorreva che De Gasperi ridimensionasse l’emigrazione a grandi scaglioni di uomini soli, perché questa limitava la possibilità che si sviluppasse una altrettanto significativa emigrazione familiare, svincolata dagli accordi bilaterali. Sturzo si faceva promotore in questo senso di una visione “personalistica” dell’emigrazione, secondo la quale occorreva tutelare non tanto i lavoratori nel percorso di assistenza quanto le famiglie, al fine di realizzare uno sviluppo più armonioso dell’esperienza migratoria e, allo stesso tempo, contenere l’influenza delle sinistre. La posizione di Sturzo si inseriva in un filone già piuttosto affermato del pensiero cattolico che cercava, anche nel secondo dopoguerra, di teorizzare le vicende migratorie all’interno di una elabo19 Conferenza nazionale di presentazione del Piano per il lavoro, 18-20 febbraio 1950, p. 479. Archivio centrale dello Stato (Acs) Presidenza del Consiglio dei ministri (Pcm), De Gasperi 1944-53, b. 24, fasc. “Emigrazione”, lettera di Sturzo a De Gasperi, 13 dicembre 1947. 20 46 Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione razione più complessa dei rapporti tra individuo, famiglia, stato e società. Al riguardo può essere interessante riportare uno stralcio di un intervento comparso su «Civiltà cattolica» nel novembre 1947, a firma di A. De Marco. Nello studio dei fenomeni sociali di massa si è generalmente portati a considerarli, a somiglianza dei grandi fenomeni del mondo fisico, come qualcosa di unico, quasi che la massa non sia altro che una somma di unità senza nome, in cui gli individui che la compongono si confondono e scompaiono a scapito della loro personalità […]. Lo stesso errore suole essere ripetuto anche nel trattare l’argomento dell’emigrazione […]. Iniziare lo studio dell’emigrazione internazionale dalla realtà vivente dell’emigrante e dei suoi familiari e porre la loro persona al centro della teoria significa dare a quest’ultima un contenuto ben più aderente alla vita21. Quelli riguardanti il Ministero del lavoro non furono gli unici consigli che Luigi Sturzo diede a De Gasperi rispetto alla politica migratoria e alla sua riorganizzazione istituzionale. Molto attento alla vita delle comunità italoamericane, Sturzo si soffermò principalmente sulle questioni dell’assistenza e della propaganda verso gli italiani all’estero, considerati nello scorcio dell’immediato dopoguerra una risorsa fondamentale negli equilibri politici della transizione dal fascismo alla democrazia. In una lettera del 29 giugno 1945, poco dopo la nascita del governo Parri (nel quale De Gasperi era ministro degli esteri), Sturzo lamentò la permanenza nelle strutture del ministero del Sottosegretariato degli italiani all’estero, ritenuto un ufficio da aggiornare e da ripensare in tempi brevissimi: Vedo che è rimasto il Sottosegretariato degli italiani all’estero. Dubito dell’utilità di tale denominazione, che ricorda il fascismo, invece di quella di Commissariato dell’emigrazione, che dovrebbe (se non lo è stato) essere riorganizzato. Quella che dovrebbe essere migliorata è la stampa e propaganda all’estero. Qui c’è una cattiva stampa per l’Italia, tranne vari esempi come gli articoli di Mrs Anne O’Hara Mc Cormick del N.Y. Times, qualche articolo sul N.Y. Post, qualche articolo di Welles e un raro di Dorothy Thompson. I corrispondenti sono spesso aspri e svalutano quasi tutto; peggio non danno notizie ovvero le poche notizie avute sono cestinate o mutilate (a meno che non si tratti di cose scandalistiche o di ex fascisti). Un tempo Sforza era in primo piano, ora non se parla più. I nomi di Scelba e Jacini come ministri non sono stati dati che solo da un giornale in due righi nascosti […]. Tutto ciò ha l’effetto sulla comunità italiana di depressione, di sfiducia dell’Italia e di risorgente ammirazione per Mussolini tradito dal re22. 21 Alberto De Marco, I fenomeni migratori sono soltanto di origine economica?, «La Civiltà Cattolica», 15 novembre 1947, pp. 303-16. 22 Luigi Sturzo – Alcide De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura di Giovanni Antonazzi, Morcelliana, Brescia, 1999, p. 144. Per un’ulteriore e più esauriente pubblicazione del carteg- 47 / 4 / 2011 / Facciamo il punto Dopo un paio di settimane (16 luglio 1945), Sturzo rincarava la dose, sottolineando ancora una volta come il settore della propaganda tra gli italiani all’estero era pressoché abbandonato, generando una situazione a suo avviso pericolosa: Qui non c’è che un solo giornale di lingua italiana che esalta non il governo ma i ministri comunisti ai quali attribuisce ogni merito di quello che fa il governo; non ci sono poi che critiche di destra (cattolici) e di sinistra (Salvemini, anarchici, socialisti di vecchia osservanza e anticomunisti). Il giornale che un po’ difende il governo è quello della Mazzini Society, in contatto con l’ambasciatore. Il «Progresso» è diretto da un ex fascista che ha poco credito. In sostanza: 1) manca un bollettino di notizie italiane esatte da distribuire alla grande stampa e anche ai giornali di lingua italiana; 2) manca il tono di una ripresa morale e politica in Italia che orienti tutti gli italiani all’estero e che dia loro speranza; 3) manca una chiara affermazione che l’Italia non vuole divenire preda dei demagoghi e rivoluzionari e che a ciò sono uniti tutti; 4) manca una costante difesa della politica italiana di fronte a tutte le accuse, e più che accuse svalutazioni e deprezzamenti che generano sconforto, sfiducia e infine disinteressamento e disprezzo. Ciononostante ambasciata, amici dell’Italia lavorano etc. Lavorerò ancora23. Sul fronte della propaganda, la macchina organizzativa sappiamo che si mosse con una certa rapidità (che raggiunse il culmine con le elezioni del 18 aprile 1948, vinte dalla Dc con il sostegno degli italoamericani), mentre possiamo dire che non con altrettanta rapidità si mosse la macchina assistenziale. Gli italiani che partivano infatti erano in genere abbandonati a loro stessi, o per meglio dire erano coperti da una tutela sociale e assistenziale nel percorso di avvicinamento e preparazione all’emigrazione ma quando si trovavano all’estero le cure e le attenzioni delle ambasciate italiane e del personale diplomatico scarseggiavano un po’ ovunque. Fu proprio in questo settore che fioccarono fin dal 1945 le polemiche politiche e le proposte di riforma. Restando all’interno della compagine democristiana, non possiamo fare a meno di accennare al ruolo svolto da Amintore Fanfani, ruolo che si distingue da quello di De Gasperi sia per la collocazione politica dell’intervento sull’emigrazione sia per il profilo istituzionale. Se De Gasperi infatti puntò al palcoscenico internazionale, alla promozione degli accordi internazionali finalizzati all’espatrio dei lavoratori e alla dimensione diplomatica della politica migratoria, Fanfani si occupò del “fronte interno”. Soprattutto quando fu a capo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Fanfani riorganizzò le strutture periferiche del ministero e si occupò di promuovere una rigio si veda Luigi Sturzo – Alcide De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura di Francesco Malgeri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2006. 23 L. Sturzo – A. De Gasperi, Carteggio (1920-1953), cit., p. 146. 48 Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione forma del collocamento finalizzata a combattere la disoccupazione utilizzando l’intera macchina amministrativa a sua disposizione. In questo progetto l’emigrazione aveva uno spazio fondamentale e le strutture del ministero aumentarono progressivamente le loro competenze in materia di selezione, reclutamento e avviamento all’emigrazione24. In conclusione, possiamo affermare che la questione migratoria rappresentò negli anni della ricostruzione un grande tema di confronto e di dibattito pubblico. Un confronto che, come abbiamo potuto notare, in alcune fasi accomunava su posizioni simili soggetti anche molto diversi tra loro e scompaginava gli schieramenti partitici, creando al loro interno non poche fratture e tensioni. L’emigrazione riprese al termine della guerra ma secondo modalità e quantità che scontentarono i governi italiani. La stessa Direzione generale dell’emigrazione presso il Ministero degli Esteri dovette riconoscere nel 1949 che le aspettative di pochi anni prima erano eccessive e annunciava per gli anni seguenti una ulteriore riduzione dei flussi25. A fronte di un dibattito così ricco e articolato però dobbiamo evidenziare che le ricadute sul piano degli interventi concreti furono poche e poco coordinate tra loro. L’emigrazione restò un fenomeno gestito da troppi soggetti pubblici diversi tra loro, a volte anche in concorrenza: il Ministero dell’interno, il Ministero degli esteri, il Ministero del lavoro in primis. I progetti di accentramento delle competenze in una struttura unica fallirono e i tentativi di razionalizzazione delle politiche di assistenza e di sostegno agli emigranti si persero tra le rigidità burocratiche e le inevitabili convenienze politiche. Ancora, alcuni provvedimenti fondamentali per snellire le procedure, limitare gli espatri clandestini e alleggerire i problemi a chi partiva vennero approvati con estremo ritardo. La nuova legge sui passaporti venne approvata soltanto il 28 marzo 1952 e perché gli emigranti potessero accedere gratuitamente al rilascio del passaporto occorrerà aspettare la legge del 9 aprile 1959. Per non parlare delle migrazioni interne: le leggi antiurbanesimo volute dal fascismo vennero abolite soltanto nel 1961. 24 Si vedano: Amintore Fanfani, Anni difficili ma non sterili, Cappelli, Bologna, 1958; Paolo Pombeni, I partiti e la politica dal 1948 al 1963, in Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto (a cura di), Storia d’Italia, La Repubblica, cit., pp. 173-4; Mariuccia Salvati, Stato e industria nella ricostruzione. Alle origini del potere democristiano, 1944-49, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 400-403. 25 Ministero degli Affari Esteri, Direzione generale dell’emigrazione, Emigrazione italiana (situazione - prospettive - problemi), Roma 1949, p. 47. 49 Finito di stampare nel mese di gennaio 2013 da Arti Grafiche Solimene s.r.l. Via Indipendenza, 23 - Casoria per conto delle Edizioni Il Bene Comune