Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali
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4
Migrazioni
Novembre 2011
Argilli / Casacchia / Chieffo / Chiodi / Colucci / Costa / Crisci /
De Clementi / De Luca / De Martino / Di Rocco / Di Stasi / Faonte /
Izzo / N. Lombardi / T. Lombardi / Marinaro / Martelli / Massa /
Massullo / Melone / Palmieri / Pazzagli / Pesaresi / Piccoli / Pittau /
Presutti / Ruggieri / Scaroina / Spina / Tarozzi / Verazzo
In copertina:
Berga, Gli emigranti, tecnica mista, tela, 110 x 140 cm, 2012
© 2013 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune
Tutti i diritti riservati
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/ 4 / 2011
Indice
9
Migrazioni, dal secondo dopoguerra ad oggi
FACCIAMO IL PUNTO
17
L’emigrazione meridionale nel secondo dopoguerra
di Andreina De Clementi
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
37
I limiti della riforma agraria
Forme e tempi dell’esodo
Il sorpasso meridionale
I quartieri italiani
Il polo europeo
L’inarrestabile cataclisma
Ruoli e percorsi di genere
L’impiego dei risparmi e delle rimesse
Il futuro nel passato
Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
di Michele Colucci
1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra
2. Le sinistre
3. La Democrazia cristiana
IN MOLISE
51
I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali
di Norberto Lombardi
1.
2.
3.
4.
5.
Cade lo steccato del Molise «ruralissimo»
Esodo e spopolamento
Vecchie traiettorie transoceaniche
Nuovi approdi transoceanici
La scoperta dell’Europa
5
/ 4 / 2011
6. La svolta europea
7. Molisani nel mondo
8. Le reti associative
9. Le leggi e le Conferenze regionali
10. Studi e rappresentazioni dell’emigrazione dei molisani
11. Conclusioni: quasi un inizio
107
Appendice: Le associazioni di Molisani in Italia e nel mondo
a cura di Costanza Travaglini
117
L’esodo dal Molise tra il 1952 e il 1980. Nuove destinazioni e riflessi
socio-economici
di Cristiano Pesaresi
1. Il quadro d’insieme
2. Le principali destinazioni nell’intervallo 1962-68 e le condizioni socioeconomiche del Molise
3. Le tendenze degli anni 1972-80 e le condizioni socio-economiche del Molise
131
La mobilità silente: i molisani nei percorsi globali
di Oliviero Casacchia e Massimiliano Crisci
1.
2.
3.
4.
151
La mobilità residenziale dagli anni novanta ad oggi
Concetto e fonti della mobilità temporanea di lavoro
I flussi temporanei per lavoro
Alcune conclusioni
L’immigrazione nel Molise: presenze, aspetti sociali e occupazionali
di Renato Marinaro e Franco Pittau
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
165
Il Molise nell’attuale quadro nazionale dell’immigrazione
I dati principali sulle presenze
Gli indicatori sociali
Le statistiche occupazionali
Immigrazione e integrazione
L’emergenza del 2011: l’accoglienza dei flussi in provenienza dal Nord Africa
Conclusioni: potenziare le politiche migratorie e la sensibilizzazione
Letteratura come autobiografia: la scrittura di Rimanelli tra le due
sponde dell’oceano
di Sebastiano Martelli
6
Indice
INTERVISTE
185
Testimonianze d’altrove: domande per alcuni giovani diplomati e
laureati che hanno lasciato il Molise negli ultimi anni
a cura di Norberto Lombardi
IERI, OGGI E DOMANI
205
Risorse umane
Tavola rotonda a cura di Antonio Ruggieri
RIFLESSIONI
247
Dal globale al locale. Riflessioni sul progetto territorialista
di Rossano Pazzagli
1.
2.
3.
4.
253
Ritorno al territorio
Il territorio come bene comune
Urbano e rurale
Nuovi sentieri nell’orizzonte della crisi
Territorialità, glocalità e storiografia
di Gino Massullo
1. Comparazione e contestualizzazione
2. Territorialità e glocalità
WORK IN PROGRESS
261
Identità, emigrazione e positivismo antropologico
di Paola Melone
1.
2.
3.
4.
Introduzione
Considerazioni concettuali
La corrente del positivismo antropologico
L’emigrazione italiana negli Stati Uniti: la classificazione etnica e gli
stereotipi culturali
5. Conclusioni
275
Donne e corporazioni nell’Italia medievale
di Jacopo Maria Argilli
7
/ 4 / 2011
DIDATTICA
289
Tra “buona pratica” e teoria efficace. Quando la Storia aiuta la persona,
stimola il gruppo, sostiene un popolo
di Clara Chiodi e Paola De Luca
1. Primi giorni di scuola
2. Cognizione e metacognizione
3. Dal bisogno educativo all’azione didattica
STORIOGRAFIA
297
Fra storiografia e bibliografia. Note sui “libri dei libri”
di Giorgio Palmieri
1. Un “libro dei libri”
2. Altri “libri dei libri”
3. I “libri dei libri”
MOLISANA
307
Almanacco del Molise 2011
Recensione di Antonella Presutti
313
Salvatore Mantegna, Giacinta Manzo, Bagnoli del Trigno. Ricerche
per la tutela di un centro molisano
Recensione di Clara Verazzo
316
I di Capua in Molise e il controllo del territorio. Note a margine della
presentazione del volume curato da Daniele Ferrara, Il castello di Capua
e Gambatesa. Mito, Storia e Paesaggio
di Gabriella Di Rocco
321
Abstracts
327
Gli autori di questo numero
8
/ 4 / 2011 / Facciamo il punto
Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
di Michele Colucci
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale la questione dell’emigrazione è affrontata e dibattuta frequentemente nel mondo politico e sindacale italiano. È in realtà l’intera società che si confronta con la ripresa
dell’emigrazione di massa e a prendere la parola al riguardo sono davvero in
tanti, dal mondo imprenditoriale a quello cooperativo, dalla classe operaia ai
contadini, dai giornali ai rotocalchi, dal cinema alla letteratura1. Rispetto alle
1
Per un quadro generale si vedano: Michele Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa, 1945-1957, Donzelli Editore, Roma 2008; Sandro Rinauro, Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi, Torino 2009; Elia
Morandi, Governare l’emigrazione. Lavoratori italiani verso la Germania federale, Rosenberg &
Sellier, Torino 2011; Claudio Besana, Accordi internazionali ed emigrazione della mano d’opera
italiana tra ricostruzione e sviluppo, in Sergio Zaninelli, Mario Taccolini (a cura di), Il lavoro come
fattore produttivo e come risorsa nella storia economica italiana, Edizioni Vita e Pensiero, Milano
2001, pp. 3-17; Corrado Bonifazi, Dall’emigrazione assistita alla gestione dell’immigrazione: le
politiche migratorie nell’Italia repubblicana dai vecchi ai nuovi scenari del fenomeno, «Popolazione
e storia», 2005, 1, pp. 19-43; Vittorio Briani, La legislazione emigratoria italiana nelle successive
fasi, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1978; Sarah Collinson, Le migrazioni internazionali e
l’Europa: un profilo comparato, il Mulino, Bologna 1994; Andreina De Clementi, Il prezzo della
ricostruzione. L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra, Laterza, Roma-Bari 2010; Vincenzo
Grassi, Le politiche migratorie dei principali paesi dell’Europa occidentale dal secondo dopoguerra
agli anni ’80, «Affari sociali internazionali», 1994, 2, pp. 57-80; Mario Marcellini, Sindacati e problemi dell’emigrazione, in Franca Assante (a cura di), Il movimento migratorio italiano dall’unità
nazionale ai nostri giorni, v. II, Librairie Droz, Ginevra 1978, pp. 1-21; Rolf Petri, Dalla ricostruzione al miracolo economico, in Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto (a cura di), Storia d’Italia,
vol. 5, La repubblica, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 313-439; Leonardo Rapone, L’emigrazione come problema di politica estera. La questione degli italiani in Francia nella crisi dei rapporti italofrancesi, 1938-1947, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1993, 1, pp. 151-95; Patrizia
Rontini, Il governo italiano e il problema dell’emigrazione negli anni ’50, in Ennio Di Nolfo, Romain H. Rainero, Brunello Vigezzi (a cura di), L’Italia e la politica di potenza in Europa (1950-60),
Marzorati, Milano 1992, pp. 521-43; Gianfausto Rosoli, Politiche sociali e problematiche istituzionali dell’emigrazione italiana dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi, in Casimira Grandi
(a cura di), Emigrazione. Memorie e realtà, Provincia autonoma di Trento, Trento 1990; Giovanni
Battista Sacchetti, Cento anni di “politica dell’emigrazione”. L’incerta presenza dello Stato di fronte
alla realtà migratoria italiana, in Gianfausto Rosoli (a cura di), Un secolo di emigrazione italiana
(1876-1976), Cser, Roma 1978, pp. 253-71.
37
/ 4 / 2011 / Facciamo il punto
posizioni dei partiti e dei sindacati la tradizione di intervento in materia era
lunga e vantava ormai decenni di confronto. Soprattutto in età giolittiana –
prima durante e dopo la legge del 1901 – erano maturate sensibilità e attenzioni nell’analisi e nelle proposte di intervento molto articolate e anche piuttosto avanzate, come testimoniano le numerosissime pubblicazioni, convegni, progetti, discussioni parlamentari che riempirono anche gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale2.
In sintesi, gli approcci più significativi che si confrontavano erano due: i
favorevoli a un controllo statale dei flussi e coloro che difendevano la loro
diffusione vincolandola esclusivamente alle esigenze dei mercati. Tra i primi, possiamo trovare i settori riformisti del movimento operaio e una parte
rilevante del movimento cattolico. Non è un caso che due tra le maggiori istituzioni assistenziali in campo migratorio (la Società Umanitaria e l’Opera
Bonomelli) erano riconducibili proprio al mondo socialista e al mondo cattolico e condividevano l’esigenza riformatrice diffusa nel periodo giolittiano.
Dall’altra parte troviamo invece i liberisti, gli agrari, gli armatori e i loro notevoli interessi commerciali, preoccupati che la presenza delle istituzioni potesse in qualche modo intaccare le rispettive economie. Questa dicotomia
non è una peculiarità del periodo giolittiano ma è destinata a riemergere periodicamente nel dibattito politico italiano.
Con il fascismo e le nuove disposizioni sull’emigrazione varate fin dalla
seconda metà degli anni venti questa ricchezza di interventi e di competenze
iniziò a declinare, a causa principalmente di due fattori. Da un lato la dimensione autoritaria del regime, che impediva la libera circolazione del dibattito
pubblico e la libertà di espressione e di associazione, dall’altro lato lo scioglimento del Commissariato generale dell’emigrazione nel 1927 e delle istituzioni ad esso legate (quali il Consiglio superiore dell’emigrazione), strutture che avevano accentrato nel 1901 non solo le competenze istituzionali nel
campo ma che erano diventate anche luoghi di elaborazione e di dibattito
sulle questioni economiche, politiche e sociali legate all’emigrazione3. Ma fu
2
Si vedano al riguardo: Dora Marucco, Il Consiglio superiore dell’emigrazione. Problemi sindacali e
sindacalisti nei dibattiti di un quarto di secolo, in Vanni Blengino, Emilio Franzina, Adolfo Pepe (a cura
di), La riscoperta dell’America. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina
1870-1970, Teti, Milano 1994, pp. 44-61; Fabio Grassi Orsini, Per una storia del Commissariato Generale dell’Emigrazione, «Le carte e la storia», 1997, 1, pp. 112-138; Maria Rosaria Ostuni, Momenti della “contrastata vita” del Commissariato Generale dell’Emigrazione, in Bruno Bezza (a cura di), Gli
italiani fuori d’Italia. Gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi di adozione, Franco Angeli,
Milano1983, pp. 101-118; Id., Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista in Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina (a cura di), Storia dell’emigrazione italiana vol. I, Partenze, Donzelli, Roma 2001, pp. 309-19; Michele Colucci, Sindacato e migrazioni, in Paola Corti, Matteo Sanfilippo (a cura di), Storia d’Italia. Annali 24. Migrazioni, Einaudi, Torino 2009, pp. 592-607.
3
Si vedano al riguardo: Annunziata Nobile, Politica migratoria e vicende dell’emigrazione
durante il fascismo, «Il Ponte», 1974, 11-12 pp. 1322-1341; Ercole Sori, Emigrazione all’estero
38
Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
proprio il fenomeno dell’emigrazione a declinare, anche quantitativamente, a
livello internazionale, prima con la chiusura delle frontiere da parte degli stati nazionali (famosissimo il Quota Act in Usa nel 1924), poi con le conseguenze della crisi del 1929.
1. Le posizioni dei partiti e dei sindacati all’indomani della guerra
Alla fine della seconda guerra mondiale l’apparato istituzionale che aveva
competenza sulle migrazioni era diviso tra le eredità del Commissariato per le
migrazioni interne e la colonizzazione e la Direzione generale italiani
all’estero presso il Ministero degli affari esteri (entrambe creazioni del fascismo), con un dibattito tra gli addetti ai lavori inevitabilmente fermo da anni e
molto isolato dalle trasformazioni avvenute nel frattempo nel mercato del lavoro internazionale, con un mondo politico e sindacale che è costretto a riorganizzarsi in fretta alla caduta del fascismo e che sconta anni di esilio, di clandestinità, di fratture e ricomposizioni che ne hanno inevitabilmente penalizzato
l’elaborazione su molti fronti, tra cui quello della politica migratoria.
Il rapporto tra emigrazione e ricostruzione è però tematizzato con insistenza e continuità da numerosi soggetti già durante la seconda guerra mondiale4.
Nel dibattito politico degli ultimi anni di guerra possiamo collocare l’emigrazione in un terreno molto particolare. Ad essa veniva associata innanzitutto la necessità di individuare iniziative efficaci per combattere la disoccupazione. Inoltre, veniva individuata come risorsa per l’afflusso di capitali attraverso le rimesse. Sullo scenario internazionale, veniva poi guardata come
possibile contributo che l’Italia era in grado di dare, in termini di manodopera, alla ricostruzione dell’Europa. Politica sociale, politica economica e politica estera: proprio su queste tre linee rinascerà di lì a poco la politica migratoria italiana.
Nell’opuscolo Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, risalente al
1942, Alcide De Gasperi individuò l’emigrazione come condizione necessaria e prioritaria per la ricostruzione.
e migrazioni interne in Italia tra le due guerre, «Quaderni storici», 1975, 29-30, pp. 579-606;
Anna Treves, Le migrazioni interne nell’Italia fascista. Politica e realtà demografica, Einaudi,
Torino 1976; Philip W. Cannistraro, Gianfausto Rosoli, Emigrazione Chiesa e fascismo. Lo
scioglimento dell’Opera Bonomelli (1922-1928), Studium, Roma 1979; Monte S. Finkelstein,
The Johnson Act, Mussolini and Fascist Emigration Policy: 1921-1930, «Journal of American
Ethnic History», 1988, 1, pp. 38-55.
4
Si vedano: Sandro Rinauro, Prigionieri di guerra ed emigrazione di massa nella politica economica della ricostruzione, 1944-1948. Il caso dei prigionieri italiani della Francia, «Studi e
ricerche di storia contemporanea», 1999, 51, p. 241; Id., La disoccupazione di massa e il contrastato rimpatrio dei prigionieri di guerra, «Storia in Lombardia», 1998, 2-3, pp. 591-2.
39
/ 4 / 2011 / Facciamo il punto
Per assicurare a tutti i popoli le condizioni indispensabili di esistenza è necessario […] stabilire la libertà di un’emigrazione, disciplinata non solo da trattati, ma anche dalla legislazione internazionale del lavoro; accordare a ogni
popolo la libertà delle vie internazionali di comunicazione5.
Nel 1943 Ludovico D’Aragona, dal versante socialista, sottolineò l’importanza, a guerra finita, di rilanciare l’emigrazione, consapevole delle eccedenze
che avrebbe avuto il mercato del lavoro italiano e della fame di manodopera
che sarebbe stata dilagante nell’Europa da ricostruire. Allo stesso tempo,
D’Aragona richiamò il bisogno di proteggere e tutelare i lavoratori migranti.
Questa emigrazione non può essere abbandonata a sé stessa e lo Stato ha il
dovere di tutelarla in tutti i modi. Dobbiamo essere per la massima libertà di
movimento […] ma emigrazione controllata e vigilata nonché protetta. Il nostro lavoratore non deve recarsi all’estero a fare abbassare i salari ma deve
partire sapendo che il suo dovere è iscriversi nei sindacati del luogo ove si reca a lavorare6.
Sul finire del 1944 Ugo La Malfa inserì la necessità dell’emigrazione nel
quadro della cooperazione economica continentale e della “soluzione europea” alla questione meridionale: «la manodopera dovrà trasferirsi da un paese all’altro; ci saranno piani internazionali per il coordinamento economico e
una nuova società umana che affronterà concretamente i suoi problemi fondamentali»7. Guido Dorso, azionista, nel marzo 1945, non esitò a inserire la
ripresa dell’emigrazione come inevitabile presupposto alla risoluzione della
questione meridionale:
5
Alcide De Gasperi, Le idee ricostruttive delle Democrazia Cristiana, novembre 1942. Per
un’analisi del documento in chiave di politica economica si vedano: Giuseppe Barone, Stato e
Mezzogiorno. Il primo tempo dell’intervento straordinario, in Storia dell’Italia repubblicana,
diretta da Francesco Barbagallo, vol. I, Einaudi, Torino 1994, p. 293-409; Mario G. Rossi, La
democrazia antifascista nei programmi della Democrazia Cristiana, «Italia contemporanea»,
2005, 239-240, pp. 209-23. Riferimenti all’emigrazione sono presenti anche in altri contributi
di Alcide De Gasperi negli anni di guerra: si veda ad esempio il paragrafo Italia democratica
e pacifica del Programma della Democrazia Cristiana pubblicato su “Il Popolo” – clandestinamente – il 12 dicembre 1944: Andrea Damilano (a cura di), Atti e documenti della Democrazia Cristiana, vol. I, Cinque Lune, Roma, 1968, p. 33.
6
Vico Lodetti (Ludovico D’Aragona), Problemi di politica interna ed estera, Biblioteca
Bruno Buozzi, Vigevano 1947, p. 17 (il volume rappresenta la ristampa di un documento
clandestino scritto nel 1943).
7
L’intervento di La Malfa è citato in Lorenzo Mechi, Fra modernizzazione economica e integrazione europea. L’azione di Ugo La Malfa al Ministero per il commercio con l’estero, in Ugo
De Siervo, Sandro Guerrieri, Antonio Varsori (a cura di), La prima legislatura repubblicana.
Continuità e discontinuità nell’azione delle istituzioni, vol. II, Carocci, Roma 2004, p. 56.
40
Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
Se attraverso rinnovati contatti […], nuovi capitali torneranno ad affluire ad
opera dei nostri emigranti, il progetto di trasformare metà del Mezzogiorno in
un grande frutteto e di industrializzare l’agricoltura potrà essere ripreso ed il
nostro paese potrà rifiorire dopo tanto evo di sgoverno8.
La possibilità della ripresa dell’emigrazione venne esaminata anche negli
ambienti sindacali.
Ai primi segni di distensione che seguiranno alla fine della guerra, si determinerà in Italia un flusso emigratorio che occorre regolare e tutelare. Provvedimenti protettivi saranno chiesti e proposti dalla Cgil per garantire ai lavoratori
italiani che si recano all’estero condizioni per lo meno uguali a quelle che la
Francia e l’America domanderebbero per i loro figli in identiche situazioni. Nel
quadro di queste necessità, ci sembra che nessun dirigente responsabile potrebbe volere o tanto meno favorire un’emigrazione sporadica o per unità isolate9.
Oreste Lizzadri proseguiva il suo intervento – siamo nel maggio 1945 –
chiedendosi se non fosse preferibile che i lavoratori italiani venissero impegnati nell’ambito della ricostruzione italiana, riconoscendo però che il loro
impiego all’estero sarebbe stato strategico per la questione delle rimesse e
della bilancia dei pagamenti. La Cgil precisava che ad un ipotetico piano generale che affrontasse l’intera questione «porterà il contributo della sua esperienza, ma che spetterà al governo responsabile impostare ed attuare»10. La
confederazione intendeva muoversi anche sul terreno della formazione dei
lavoratori e della trattativa internazionale: già nel luglio 1945 Leopoldo Rubinacci dichiarava che erano in corso trattative con la Gran Bretagna e con il
Belgio finalizzate all’emigrazione di manodopera italiana. Rubinacci sottolineava nuovamente la preferenza per l’emigrazione di gruppi organizzati, che
a suo parere avrebbero avuto una doppia funzione: impedire la partenza di
persone utili alla ricostruzione italiana e favorire all’estero una maggiore tutela sociale e sindacale, evitando il loro isolamento11.
Restando ancora nella fase finale della guerra, è importante segnalare le
proposte sull’emigrazione presentate dalla Cgil al governo italiano il 22 agosto 1945, governo espressione delle forze antifasciste, in cui tra l’altro sedevano figure di spicco della storia del movimento operaio (quali Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Fausto Gullo, Emilio Lussu, Gaetano Barbareschi).
8
Guido Dorso, Relazione sulla “Questione meridionale”, quaderni del Partito d’Azione,
Roma, data presunta marzo 1945, pp. 10-11.
9
Oreste Lizzadri, La Confederazione Generale del Lavoro e i lavoratori italiani all’estero,
«Italiani nel mondo», 25 maggio 1945, p. 10.
10
Ibidem.
11
L’interessamento della Cgil per i problemi dell’emigrazione, «Italiani nel mondo», 10 luglio 1945, p. 16.
41
/ 4 / 2011 / Facciamo il punto
Il sindacato esordisce definendo l’emigrazione come una sorta di ”male necessario”, definizione condivisa da ampi settori del mondo politico e sociale.
In linea di principio, la Cgil è contraria a che i lavoratori italiani siano costretti a recarsi all’estero per trovare occupazioni remunerative, proprio nel
momento in cui la ricostruzione del paese richiede lo sforzo concorde di tutti
gli italiani e quello dei lavoratori in modo particolare […]. Ma la Cgil ha il
dovere di rimanere attaccata alla realtà anche se spiacevole; e, fermo restando
il suo atteggiamento di principio essa si preoccupa di procurare ai nostri lavoratori che si recano all’estero migliori condizioni di salario, di assicurazioni,
di ambiente e di tutte le altre provvidenze in genere12.
Il sindacato propone che gli emigranti non partano in modo isolato ma
vengano inquadrati in organismi allargati, in cui fossero presenti tutti gli attori della produzione: dirigenti, lavoratori, sindacalisti.
La Cgil pensa che sia necessario costruire organismi lavorativi che comprendano
dal direttore dirigente al manovale, in modo da presentare alle richieste straniere
unità organiche di lavoro. Crede anche necessario aggregare a tali organismi lavorativi personale accessorio: medici, sacerdoti, infermieri, cuochi, personale di
amministrazione, perché l’operaio porti con sé quanto più è possibile, del calore
della patria. La Cgil ritiene anche di sommo interesse che questi lavoratori non
perdano il contatto con le proprie organizzazioni sindacali e si sentano da esse tutelati e sorretti durante tutto il tempo del loro esilio volontario, dalla partenza al
ritorno in patria. Chiede perciò che un fiduciario della Confederazione, scelto dagli stessi lavoratori, faccia parte di tali unità lavoratrici13.
Infine, la Cgil auspica che le condizioni di reclutamento in Italia e di lavoro
all’estero vengano monitorate attentamente per evitare situazioni di sfruttamento e di prevaricazione nei confronti degli emigranti e si propone come
parte attiva in tal senso.
È necessario stabilire subito che i lavoratori italiani partiranno solo in seguito
a contratti stipulati qui in Italia, con condizioni di salario e altre provvidenze
per lo meno uguali a quelle dei lavoratori bianchi della zona di lavoro, e, comunque, mai inferiori a quelle in vigore in Italia. La Cgil chiede infine che le
eventuali trattative per l’ingaggio di maestranze per l’estero non siano limitate esclusivamente ai governi interessati, ma che essa sia chiamata ad intervenire fin dal principio, in modo da portare il suo contributo non solo sulla questione dei salari, ma anche su tutte le altre questioni riguardanti le condizioni
che interessano il complesso della vita dei lavoratori14.
12
Proposte sul problema dell’emigrazione della Confederazione generale del lavoro, «Italiani nel mondo», 10 settembre 1945, p. 1.
13
Ibidem.
14
Ibidem.
42
Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
Come si può constatare da questi interventi, sul finire della guerra il confronto è già piuttosto fecondo e, pur tra distinguo e diverse letture, nei confronti dell’emigrazione si registra un consenso pressoché unanime tra le forze politiche e sindacali.
In linea con quanto affermato fin dal 1942, il protagonista principale della
politica migratoria italiana fu Alcide De Gasperi. L’emigrazione a suo avviso si inseriva strategicamente all’interno del tortuoso percorso con cui
l’Italia doveva cercare di superare la pagina del regime fascista e delle sue
guerre per inserirsi in modo nuovo all’interno della dialettica internazionale
tra gli Stati. L’emigrazione in questa ottica era essenzialmente un’occasione
eccezionale per la politica estera dell’Italia, che aveva bisogno di rafforzare
la sua posizione nelle trattative legate alla chiusura del secondo conflitto
mondiale. L’Italia infatti, nella lettura degasperiana, aveva ben poche risorse
da poter mettere sul piatto della bilancia nel confronto con gli altri Stati se
non quell’immenso serbatoio costituito dall’eccedenza di manodopera. Un
serbatoio che andava assolutamente svuotato perché rappresentava un elemento di destabilizzazione sociale e politica molto pericoloso. Politica estera
e politica interna, quindi, si affiancavano, ma nel progetto degasperiano le
ragioni internazionali sembravano prevalere su quelle di politica interna, con
sfumature differenti rispetto a quanto affermato negli stessi mesi e negli stessi anni da altri politici, intellettuali, economisti, anche di area democristiana.
Il suo lavoro per favorire la ripresa dell’emigrazione raggiunse un primo obiettivo concreto il 22 febbraio 1946, quando Italia e Francia firmarono un
accordo per l’emigrazione di ventimila minatori italiani, preludio al ben più
rilevante accordo di emigrazione del 21 marzo 1947. L’accordo del 1947, tra
l’altro, venne firmato quando le sinistre erano ancora al governo, e infatti
anche tra comunisti e socialisti non mancava l’entusiasmo per il risultato ottenuto. La trattativa veniva riempita di contenuti politici ed economici:
l’emigrazione italiana faceva parte del percorso di collaborazione tra i due
paesi per la costruzione di istituzioni democratiche e antifasciste. «Non ci
limitiamo alla ricerca di compagni che abbiano le attitudini generiche al lavoro di scavo» scriveva sull’«Unità» Jean Panico, delegato della Cgft presente alle trattative governative:
Abbiamo bisogno, in Francia, di braccia perché ci difetta la mano di opera.
Per l’Italia il problema è diverso: essa dispone attualmente di centinaia di disoccupati che hanno bisogno di lavoro […]. I lavoratori dei nostri due paesi,
per la comune volontà di tutti, costruiranno, risorgendo dalle rovine,
un’insormontabile barriera: l’amicizia e l’unità della Francia e dell’Italia15.
15
Jean Panico, La Francia ha bisogno di braccia, l’Italia di lavoro, “L’Unità”, 8 febbraio
1946, p. 1. Panico interverrà sulla stampa italiana anche negli anni successivi: si veda Id., La
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L’entrata in vigore degli accordi italo-francesi venne definita dal giornale
«un successo della Cgil»16. Quando Italia e Francia, nel marzo 1947, firmarono l’accordo per l’emigrazione di duecentomila italiani, il ministro del lavoro francese, il comunista Croizat, dichiarò che «è con accordi come quello
che sarà firmato a Palazzo Chigi che si possono stringere tra i nostri due paesi quei rapporti di amicizia, quali occorrono fra due popoli come i nostri, che
lottano oggi per gli stessi ideali di democrazia e libertà»17.
La nuova classe dirigente repubblicana si fece promotrice degli accordi internazionali per rilanciare l’emigrazione addirittura prima di firmare il trattato di pace (10 febbraio 1947) con le potenze vincitrici della guerra. Il già citato accordo del 1946 con la Francia e quello ancora più famoso del giugno
1946 con il Belgio precedettero infatti la firma del trattato di Parigi, a dimostrazione di quanto fosse urgente e improcrastinabile l’esigenza di stringere
relazioni bilaterali finalizzate al ricollocamento della manodopera.
2. Le sinistre
La fiducia verso l’emigrazione si mantiene abbastanza salda anche nei primissimi anni del dopoguerra. La durezza della ricostruzione, la permanenza
di una percentuale di disoccupazione alta e strutturale, la questione del ritorno dei reduci di guerra, i problemi di politica industriale, lo sblocco dei licenziamenti non fanno che alimentare la speranza che il ricorso all’emigrazione all’estero possa funzionare come calmiere delle tensioni sociali e come
stimolo all’economia. Le prime notizie che giungono però dai paesi interessati alla ricostruzione e bisognosi di manodopera non sono buone. La volontà dei governi nazionali è quella di tenere rigidamente sotto controllo i rispettivi mercati del lavoro, la disponibilità occupazionale è limitata a incarichi prevalentemente parziali e a tempo determinato, le paghe sono basse e le
condizioni di lavoro sono particolarmente dure. Nulla a che vedere con quella “manna dal cielo” che la classe dirigente post-bellica auspicava, scavando
– con le inevitabili forzature – nella memoria dell’emigrazione di età liberale. Ecco quindi che il dibattito politico e sindacale si concentra non più solo
sulla necessità o meno di favorire l’emigrazione ma su come riorganizzare
l’emigrazione. E le differenze diventano più significative, anche prima della
rottura dell’alleanza di governo del maggio 1947.
Cgt francese e l’immigrazione italiana, «Bollettino quindicinale dell’emigrazione», 25 giugno
1949, pp. 123-4.
16
Lavoro per ventimila italiani, “L’Unità”, 30 aprile 1946, p. 1.
17
Il trattamento della Francia agli operai italiani che emigreranno, “L’Unità”, 21 marzo
1947, p. 1.
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Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
Giuseppe Di Vittorio, in editoriale sull’“Unità” intitolato Politica dell’emigrazione, mette in guardia già dal gennaio 1947 dal pericolo di una emigrazione priva delle necessarie tutele.
Fin quando l’Italia sarà costretta a dover contare sull’emigrazione di una parte importante dei suoi figli, è chiaro che il governo italiano dovrà avere una
sua politica dell’emigrazione. Le linee direttrici di questa politica sono semplici e chiare. In primo luogo bisogna limitare la emigrazione al minimo indispensabile, considerandola come un fatto doloroso, anche se inevitabile, e
non ricercare in essa la soluzione di gravi problemi nazionali. In secondo
luogo, quando numerosi paesi chiedono manodopera italiana, dobbiamo tendere: a) limitare l’emigrazione di manodopera specializzata, perché essa non
venga a mancare al nostro paese per la propria ricostruzione; b) favorire
l’emigrazione in quei paesi che offrono le migliori condizioni ai nostri emigrati e i maggiori vantaggi alla nostra economia nazionale; c) non consentire
nessuna emigrazione in quei paesi che non danno garanzie sufficienti agli
emigrati anche se in cambio prospettano scambi vantaggiosi per l’Italia18.
L’emigrazione insomma rappresentava una scelta grave ma inevitabile e
comunque non definitiva, non solo secondo Di Vittorio ma secondo ampi
settori della sinistra politica e sindacale. Col passare dei mesi e degli anni
tuttavia, complice anche la rottura con De Gasperi del maggio 1947 e
l’uscita delle sinistre dal governo, la polemica si fece sempre più aspra e la
prudente fiducia verso lo strumento migratorio mostrata all’indomani della
guerra si mutò in palese diffidenza. Naturalmente pesava su questo mutamento di giudizio l’andamento complessivo della ripresa dell’emigrazione,
con la pesantissima mole di problemi e di difficoltà che i lavoratori incontravano al loro trasferimento oltre confine, la diffusione dei flussi clandestini
privi di qualunque tutela e la carenza delle strutture istituzionali italiane (soprattutto all’estero, nella rete consolare) nell’assistenza ai migranti.
Ecco quindi che i giudizi si fecero ancora più negativi, soprattutto quando
divenne chiaro che l’emigrazione non poteva risolvere i problemi strutturali
della ricostruzione italiana. Fu proprio in occasione della presentazione del
Piano per il lavoro, nel febbraio 1950, che a sinistra si iniziò a mettere in discussione il presupposto centrale del nesso emigrazione-ricostruzione. Il piano proponeva infatti un programma di interventi a medio e lungo termine per
il collocamento della manodopera disoccupata e lo sviluppo del paese, soprattutto delle aree più depresse. Secondo Di Vittorio il piano poteva rappresentare un’alternativa concreta all’emigrazione. A suo avviso ormai l’emigrazione era diventata uno strumento non solo doloroso ma anche impraticabile, a causa delle restrizioni internazionali alla libertà di circolazione.
18
Giuseppe Di Vittorio, Politica dell’emigrazione, “L’Unità”, 18 gennaio 1947, p. 1.
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Io ho avuto la ventura o la sventura di vivere all’estero parecchi anni in vari
paesi e di essere a contatto con le masse emigrate. Le cose che avvengono
sono straordinarie: quando c’è scarsità di manodopera tutti riconoscono i diritti ai lavoratori stranieri; appena c’è un accenno di crisi, di riduzione di lavoro, cominciano a parlare di “ouvriers etrangers”, e sapete cosa fanno gli industriali che vogliono liberarsi il più presto possibile dei lavoratori stranieri?
Denunciano i lavoratori alla polizia […]. La via dell’emigrazione riserva non
soltanto delusioni ma dolori, a volte il sangue, quasi sempre umiliazioni; e
noi, seppure vogliamo accettarla come il male minore (con determinate condizioni quali premesse di uguaglianza dei diritti sociali dei lavoratori italiani
con il lavoratori locali) abbiamo visto che le porte dell’emigrazione sono praticamente chiuse: è inutile che facciamo della poesia sull’emigrazione19.
3. La Democrazia cristiana
Ma non furono solo le sinistre a mostrare perplessità verso la politica migratoria. Anche in ambiente cattolico la macchina emigratoria allestita dai
governi post-bellici suscitava dubbi e discussioni. Ecco una lettera che Luigi
Sturzo inviò a De Gasperi il 13 dicembre 1947:
Bisogna ridare libertà al popolo che vuole emigrare, favorire l’emigrazione familiare, evitare l’emigrazione a tipo politico e con l’ingerenza illimitata dei socialcomunisti. Libera l’assistenza degli emigrati all’estero, evitando preferenze
e propaganda politica di ogni partito senza eccezione. Fo appello alla tua alta
coscienza di italiano e di cattolico perché si ponga un riparo al male presente,
che fra l’altro contribuisce a rallentare la stessa emigrazione. So bene delle opposizioni “professionali” del Ministero del lavoro; ma un amico quale ti è il
presente ministro (e cattolico di fede e di pratica) dovrà sentire l’appello pressante che viene dai cattolici italiani per la soluzione del grave problema20.
Secondo Sturzo, occorreva che De Gasperi ridimensionasse l’emigrazione a
grandi scaglioni di uomini soli, perché questa limitava la possibilità che si sviluppasse una altrettanto significativa emigrazione familiare, svincolata dagli
accordi bilaterali. Sturzo si faceva promotore in questo senso di una visione
“personalistica” dell’emigrazione, secondo la quale occorreva tutelare non tanto i lavoratori nel percorso di assistenza quanto le famiglie, al fine di realizzare
uno sviluppo più armonioso dell’esperienza migratoria e, allo stesso tempo,
contenere l’influenza delle sinistre. La posizione di Sturzo si inseriva in un filone già piuttosto affermato del pensiero cattolico che cercava, anche nel secondo dopoguerra, di teorizzare le vicende migratorie all’interno di una elabo19
Conferenza nazionale di presentazione del Piano per il lavoro, 18-20 febbraio 1950, p. 479.
Archivio centrale dello Stato (Acs) Presidenza del Consiglio dei ministri (Pcm), De Gasperi 1944-53, b. 24, fasc. “Emigrazione”, lettera di Sturzo a De Gasperi, 13 dicembre 1947.
20
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Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
razione più complessa dei rapporti tra individuo, famiglia, stato e società. Al
riguardo può essere interessante riportare uno stralcio di un intervento comparso su «Civiltà cattolica» nel novembre 1947, a firma di A. De Marco.
Nello studio dei fenomeni sociali di massa si è generalmente portati a considerarli, a somiglianza dei grandi fenomeni del mondo fisico, come qualcosa
di unico, quasi che la massa non sia altro che una somma di unità senza nome, in cui gli individui che la compongono si confondono e scompaiono a
scapito della loro personalità […]. Lo stesso errore suole essere ripetuto anche nel trattare l’argomento dell’emigrazione […]. Iniziare lo studio dell’emigrazione internazionale dalla realtà vivente dell’emigrante e dei suoi
familiari e porre la loro persona al centro della teoria significa dare a
quest’ultima un contenuto ben più aderente alla vita21.
Quelli riguardanti il Ministero del lavoro non furono gli unici consigli che
Luigi Sturzo diede a De Gasperi rispetto alla politica migratoria e alla sua
riorganizzazione istituzionale. Molto attento alla vita delle comunità italoamericane, Sturzo si soffermò principalmente sulle questioni dell’assistenza
e della propaganda verso gli italiani all’estero, considerati nello scorcio
dell’immediato dopoguerra una risorsa fondamentale negli equilibri politici
della transizione dal fascismo alla democrazia. In una lettera del 29 giugno
1945, poco dopo la nascita del governo Parri (nel quale De Gasperi era ministro degli esteri), Sturzo lamentò la permanenza nelle strutture del ministero
del Sottosegretariato degli italiani all’estero, ritenuto un ufficio da aggiornare e da ripensare in tempi brevissimi:
Vedo che è rimasto il Sottosegretariato degli italiani all’estero. Dubito dell’utilità
di tale denominazione, che ricorda il fascismo, invece di quella di Commissariato
dell’emigrazione, che dovrebbe (se non lo è stato) essere riorganizzato. Quella
che dovrebbe essere migliorata è la stampa e propaganda all’estero. Qui c’è una
cattiva stampa per l’Italia, tranne vari esempi come gli articoli di Mrs Anne
O’Hara Mc Cormick del N.Y. Times, qualche articolo sul N.Y. Post, qualche articolo di Welles e un raro di Dorothy Thompson. I corrispondenti sono spesso aspri e svalutano quasi tutto; peggio non danno notizie ovvero le poche notizie avute sono cestinate o mutilate (a meno che non si tratti di cose scandalistiche o di
ex fascisti). Un tempo Sforza era in primo piano, ora non se parla più. I nomi di
Scelba e Jacini come ministri non sono stati dati che solo da un giornale in due
righi nascosti […]. Tutto ciò ha l’effetto sulla comunità italiana di depressione, di
sfiducia dell’Italia e di risorgente ammirazione per Mussolini tradito dal re22.
21
Alberto De Marco, I fenomeni migratori sono soltanto di origine economica?, «La Civiltà
Cattolica», 15 novembre 1947, pp. 303-16.
22
Luigi Sturzo – Alcide De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura di Giovanni Antonazzi,
Morcelliana, Brescia, 1999, p. 144. Per un’ulteriore e più esauriente pubblicazione del carteg-
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Dopo un paio di settimane (16 luglio 1945), Sturzo rincarava la dose, sottolineando ancora una volta come il settore della propaganda tra gli italiani
all’estero era pressoché abbandonato, generando una situazione a suo avviso
pericolosa:
Qui non c’è che un solo giornale di lingua italiana che esalta non il governo
ma i ministri comunisti ai quali attribuisce ogni merito di quello che fa il governo; non ci sono poi che critiche di destra (cattolici) e di sinistra (Salvemini, anarchici, socialisti di vecchia osservanza e anticomunisti). Il giornale che
un po’ difende il governo è quello della Mazzini Society, in contatto con
l’ambasciatore. Il «Progresso» è diretto da un ex fascista che ha poco credito.
In sostanza: 1) manca un bollettino di notizie italiane esatte da distribuire alla
grande stampa e anche ai giornali di lingua italiana; 2) manca il tono di una
ripresa morale e politica in Italia che orienti tutti gli italiani all’estero e che
dia loro speranza; 3) manca una chiara affermazione che l’Italia non vuole
divenire preda dei demagoghi e rivoluzionari e che a ciò sono uniti tutti; 4)
manca una costante difesa della politica italiana di fronte a tutte le accuse, e
più che accuse svalutazioni e deprezzamenti che generano sconforto, sfiducia
e infine disinteressamento e disprezzo. Ciononostante ambasciata, amici
dell’Italia lavorano etc. Lavorerò ancora23.
Sul fronte della propaganda, la macchina organizzativa sappiamo che si
mosse con una certa rapidità (che raggiunse il culmine con le elezioni del 18
aprile 1948, vinte dalla Dc con il sostegno degli italoamericani), mentre possiamo dire che non con altrettanta rapidità si mosse la macchina assistenziale. Gli italiani che partivano infatti erano in genere abbandonati a loro stessi,
o per meglio dire erano coperti da una tutela sociale e assistenziale nel percorso di avvicinamento e preparazione all’emigrazione ma quando si trovavano all’estero le cure e le attenzioni delle ambasciate italiane e del personale diplomatico scarseggiavano un po’ ovunque. Fu proprio in questo settore
che fioccarono fin dal 1945 le polemiche politiche e le proposte di riforma.
Restando all’interno della compagine democristiana, non possiamo fare a
meno di accennare al ruolo svolto da Amintore Fanfani, ruolo che si distingue da quello di De Gasperi sia per la collocazione politica dell’intervento
sull’emigrazione sia per il profilo istituzionale. Se De Gasperi infatti puntò
al palcoscenico internazionale, alla promozione degli accordi internazionali
finalizzati all’espatrio dei lavoratori e alla dimensione diplomatica della politica migratoria, Fanfani si occupò del “fronte interno”. Soprattutto quando fu
a capo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Fanfani riorganizzò le strutture periferiche del ministero e si occupò di promuovere una rigio si veda Luigi Sturzo – Alcide De Gasperi, Carteggio (1920-1953), a cura di Francesco
Malgeri, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2006.
23
L. Sturzo – A. De Gasperi, Carteggio (1920-1953), cit., p. 146.
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Colucci, Governi, partiti, sindacati: le politiche dell’emigrazione
forma del collocamento finalizzata a combattere la disoccupazione utilizzando l’intera macchina amministrativa a sua disposizione. In questo progetto
l’emigrazione aveva uno spazio fondamentale e le strutture del ministero
aumentarono progressivamente le loro competenze in materia di selezione,
reclutamento e avviamento all’emigrazione24.
In conclusione, possiamo affermare che la questione migratoria rappresentò
negli anni della ricostruzione un grande tema di confronto e di dibattito pubblico. Un confronto che, come abbiamo potuto notare, in alcune fasi accomunava su posizioni simili soggetti anche molto diversi tra loro e scompaginava
gli schieramenti partitici, creando al loro interno non poche fratture e tensioni.
L’emigrazione riprese al termine della guerra ma secondo modalità e quantità che scontentarono i governi italiani. La stessa Direzione generale
dell’emigrazione presso il Ministero degli Esteri dovette riconoscere nel
1949 che le aspettative di pochi anni prima erano eccessive e annunciava per
gli anni seguenti una ulteriore riduzione dei flussi25. A fronte di un dibattito
così ricco e articolato però dobbiamo evidenziare che le ricadute sul piano
degli interventi concreti furono poche e poco coordinate tra loro. L’emigrazione restò un fenomeno gestito da troppi soggetti pubblici diversi tra loro, a volte anche in concorrenza: il Ministero dell’interno, il Ministero degli
esteri, il Ministero del lavoro in primis. I progetti di accentramento delle
competenze in una struttura unica fallirono e i tentativi di razionalizzazione
delle politiche di assistenza e di sostegno agli emigranti si persero tra le rigidità burocratiche e le inevitabili convenienze politiche. Ancora, alcuni provvedimenti fondamentali per snellire le procedure, limitare gli espatri clandestini e alleggerire i problemi a chi partiva vennero approvati con estremo ritardo. La nuova legge sui passaporti venne approvata soltanto il 28 marzo
1952 e perché gli emigranti potessero accedere gratuitamente al rilascio del
passaporto occorrerà aspettare la legge del 9 aprile 1959. Per non parlare delle migrazioni interne: le leggi antiurbanesimo volute dal fascismo vennero
abolite soltanto nel 1961.
24
Si vedano: Amintore Fanfani, Anni difficili ma non sterili, Cappelli, Bologna, 1958; Paolo
Pombeni, I partiti e la politica dal 1948 al 1963, in Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto (a
cura di), Storia d’Italia, La Repubblica, cit., pp. 173-4; Mariuccia Salvati, Stato e industria
nella ricostruzione. Alle origini del potere democristiano, 1944-49, Feltrinelli, Milano 1982,
pp. 400-403.
25
Ministero degli Affari Esteri, Direzione generale dell’emigrazione, Emigrazione italiana
(situazione - prospettive - problemi), Roma 1949, p. 47.
49
Finito di stampare
nel mese di gennaio 2013
da Arti Grafiche Solimene s.r.l.
Via Indipendenza, 23 - Casoria
per conto
delle Edizioni Il Bene Comune
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Michele Colucci, Governi, partiti, sindacati