I l Seicento aveva rappresentato il punto più alto del modello assolutistico monarchico e di quell’assetto particolare della società e dei poteri che gli storici chiamano Ancien régime. Il suo crollo sarebbe avvenuto alla fine del Settecento. L’età delle rivoluzioni si aprì, paradossalmente, a spese dell’Inghilterra, la nazione che aveva anticipato tutte le altre nel cercare e trovare la sua strada verso la modernità. La ribellione delle sue colonie nell’America del Nord non fu solo la nascita di una nazione destinata, nei secoli successivi, a diventare la più grande potenza mondiale, ma anche il trionfo degli ideali illuministici. La Francia, il paese che invece aveva negato ogni ipotesi di riforma, conobbe direttamente l’esplosione della furia rivoluzionaria. La grande paura scaturita dalle esaltanti giornate del 1789 si sarebbe trasformata presto in un incubo per altri gli Stati assoluti europei. Specialmente quando Napoleone, il figlio prediletto della Rivoluzione francese, la esportò con la forza dei suoi cannoni. Nel giro di un quarto di secolo il mondo non fu mai più uguale a quello che era stato in precedenza. Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Per orientarti 1750 1800 1756-1763 1756-1763 C3 Guerra dei Sette Anni C3 C 4 fase popolare Guerra dei Sette Anni 1789-1792 Da ricordare C 3 70 1789-1796 1775-1783 C 3 Guerra di indipendenza americana 1764-1765 C 3 La madrepatria impone nuove tasse ai coloni americani © Loescher Editore – Torino 1776 Dichiarazione di indipendenza delle colonie americane 1770-1789 1774 C 4 Primo Congresso respinge i Ripetute carestie e aumento dei prezzi 1773 provvedimenti del Parlamento inglese in Francia C 3 Protesta del Boston Tea Party C 4 C 3 C 3 1789-1799 C4 Washington primo presidente degli Stati Uniti C4 C 5 Rivoluzione francese 1799-1815 fase 1792- 1795-1799 borghese 1794 C4 Direttorio C4 C 5 1787 1793-1794 ostituzione degli C C4 Terrore giacobino Stati Uniti 1789 1792 C 4 5 maggio: si aprono C4 Colpo di Stato giacobino gli Stati Generali 14 luglio: presa della Bastiglia 1789 17 giugno: si apre l’Assemblea nazionale C 4 C 4 1793 E secuzione di Luigi XVI 1797 C 5 1799-1804 C 5 Età napoleonica C 5 Napoleone primo Console 1804-1815 Trattato di Campoformio 1796-1799 C 5 C 5 Impero napoleonico 1808-1815 C 5 Declino del predominio napoleonico in Europa 1804 1815 C 5 Battaglia di C 5 Napoleone imperatore Waterloo 1804 C 5 odice C napoleonico R epubbliche giacobine Costituzione: la Francia diventa una monarchia costituzionale 1791 C 4 1815 C 3 1812 ampagna di Russia C di Napoleone © Loescher Editore – Torino 71 L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti 3.1 Le colonie inglesi a d in America a Lago Michigan Lago Huron L. Ontario Boston New York L. Erie Détroit Sa Vermont New Hampshire nL ore Montréal Lago Superiore nzo Québec tts n sach use a New York Pennsylvania Filadelfia Baltimora Washington Le prime fasi della colonizzazione in America settentrionale M as C Rhode Island Connecticut New Jersey Delaware Maryland Virginia io Oh North Carolina South Carolina Georgia Oceano Atlantico Charleston Florida Le tredici colonie inglesi in America settentrionale Esploratori inglesi di fronte a un villaggio indiano dell’Illinois, XVII secolo. All’inizio del Seicento, l’America settentrionale era abitata da circa un milione di quelli che gli europei chiamavano «indiani» o «pellirosse». Essi erano divisi in diverse tribù, in prevalenza nomadi: a seconda del territorio in cui erano insediate, traevano il loro sostentamento dalla pesca (soprattutto del salmone) nei fiumi e nei laghi settentrionali, dalla caccia al bisonte nelle immense praterie centrali e dalla coltivazione del mais nelle aree meridionali. Agli occhi degli europei lo stile di vita di queste popolazioni era piuttosto primitivo: non conoscevano la scrittura, non costruivano città e adoravano gli spiriti della natura e degli antenati. Se già gli spagnoli e i portoghesi non avevano esitato a impadronirsi delle ricchezze e delle terre delle evolute civiltà del Centro e Sud America, a maggior ragione mercanti e coloni francesi, spagnoli, olandesi e inglesi consideravano un loro diritto naturale fondare basi mercantili e avamposti militari lungo le coste atlantiche del continente. E, a differenza di quanto era accaduto per l’America meridionale, spartita tra Spagna e Portogallo con il trattato di Tordesillas del 1494, per tutto il XVI secolo queste terre non furono dichiarate proprietà esclusiva di nessuno Stato europeo. Tra 1590 e 1620 europei di diverse nazionalità si insediarono sulle coste nordamericane e ampliarono i loro possedimenti nell’entroterra. Nel 1607 alcuni mercanti inglesi fondarono una colonia che prese il nome di Virginia (in onore della regina Elisabetta I, conosciuta anche con il soprannome di Regina Vergine). Nel 1626 gli olandesi fon- darono sul fiume Hudson la città di Nuova Amsterdam: presto conquistata dagli inglesi, in onore di Carlo Stuart – duca di York e re d’Inghilterra dal 1685 – venne ribattezzata New York. In quegli anni i francesi occuparono territori sempre più vasti del Canada, mentre gli spagnoli, risalendo dal Messico, si impadronirono di alcune regioni interne. La nascita delle tredici colonie inglesi Per un lungo periodo gli europei cercarono semplicemente di incrementare i propri scambi con gli indiani: si trattava di un commercio molto vantaggioso per i mercanti, che in cambio di semplici prodotti delle industrie del nostro continente ricevevano pellicce, legname, oro e argento. Nel corso del Seicento, invece, francesi e inglesi cominciarono a emigrare in America in gruppi sempre più numerosi in cerca di terre in cui trasferirsi e iniziare una nuova vita. Dall’Inghilterra partirono intere famiglie di contadini o borghesi che fuggivano verso il Nuovo Mondo per sottrarsi alla povertà o alle tormentate vicende politiche del loro paese. L’11 novembre 1620 sbarcarono sul suolo americano dalla nave Mayflower 102 cittadini inglesi: sono considerati i primi veri coloni americani (chiamati per questo i Padri Pellegrini), poiché fino a quel momento si erano creati solamente avamposti governativi e militari o puramente commerciali. Tra 1620 e 1630 giunsero in America settentrionale dall’Inghilterra molti puritani, cioè protestanti calvinisti che in patria avevano sofferto la supremazia della Chiesa anglicana e volevano ora creare in America delle comunità basate sulla propria fede religiosa. Costoro erano alla ricerca di una terra di completa libertà dove costruire un mondo nuovo basato sulla giustizia e sull’autentico spirito religioso. L’emigrazione crebbe nel periodo del dominio di Cromwell sull’Inghilterra (cioè verso la metà del secolo): ai puritani e agli esponenti più estremisti della contestazione anti-episcopaliana (spesso animati da sentimenti antimonarchici e repubblicani) si unirono infatti molti cavalieri filomonarchici sconfitti nella guerra civile. Questa umanità composita, organizzata inizialmente in comunità chiuse, ciascuna delle quali caratterizzata dall’appartenenza a un movimento Il predicatore quacchero inglese William Penn firma con gli indiani irochesi il trattato che sancisce la nascita della colonia della Pennsylvania, seconda metà del XVII secolo. religioso o a una comune ideologia politica, fondò le colonie del cosiddetto New England («Nuova Inghilterra»): Massachusetts, New Hampshire, Connecticut e Rhode Island. [Testimonianze documento 1, p. 148] Non si trattava dunque di coloni guidati e assistiti nei loro nuovi insediamenti dalle Compagnie commerciali o dalle autorità dello Stato inglese: anzi, l’interesse del governo nei confronti di queste colonie crebbe solo in un secondo tempo, cioè man mano che esse si strutturarono. Solo nella seconda metà del XVII secolo Londra fece davvero valere la propria autorità su queste comunità. Da allora altri immigrati si insediarono più a sud e sorsero altre colonie abitate in grande prevalenza da inglesi. Alla metà del Settecento esse erano diventate tredici: a quelle del New England si erano aggiunte New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware, Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina e Georgia. I rapporti con la madrepatria I sovrani inglesi si limitarono a riconoscere di volta in volta la nascita delle diverse colonie. Essi concessero agli abitanti il privilegio © Loescher Editore – Torino 72 1750 pp. 60, 218 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 73 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni notabile: termine che indica una persona importante e autorevole, generalmente benestante. dell’appartenenza alla comunità dei sudditi sottoposti alla corona. Perciò, almeno formalmente, i cittadini inglesi che vivevano in America erano titolari degli stessi diritti giuridici dei sudditi che continuavano a vivere nelle isole britanniche. A rappresentare gli interessi della corona e del Parlamento inglese in ciascuna colonia era un governatore, nominato da Londra. Ciascun governatore nominava propri consiglieri e formava con uomini di sua scelta un’assemblea di notabili in rappresentanza dei coloni. Non si poteva, tuttavia, ignorare l’autonoma organizzazione che gli emigranti si erano dati nel fondare le loro nuove comunità. Essi, infatti, si ispiravano allo stesso principio che trionfò in patria con la Gloriosa rivoluzione del 1689: la giusta forma dello Stato deve essere stabilita attraverso un accordo tra i cittadini e un «contratto» con i loro governanti, che esercitano i propri poteri con il consenso dei governati. Perciò le colonie si erano date, sul modello parlamentare, delle autonome assemblee rappresentative (dette «Camere basse» per distinguerle dalle «Camere alte», quelle composte da notabili scelti dal governatore). Queste assemblee, di gran lunga le più influenti, erano elette democraticamente dai coloni stessi. Qui si esercitava il vero potere legislativo: i rappresentanti che vi sedevano venivano eletti dai coloni più ricchi, come avveniva per la Camera dei Comuni del Parlamento inglese. La percentuale di abitanti che avevano diritto di voto nelle colonie era tuttavia più ampia di quella prevista in patria: costituivano, infatti, nelle diverse colonie, tra il 50 e il 70% della popolazione adulta maschile. Ogni colonia si dava quindi le proprie leggi e godeva di una certa libertà politica. Questa veniva rispettata da Londra, dove tuttavia non era prevista l’elezione di rappresentanti dei coloni americani nel Parlamento inglese. La maggiore democraticità e la più intensa partecipazione politica che si registrava nelle colonie americane si basavano su modelli che risalivano ai tempi della prima fase delle emigrazioni dalla madrepatria. I Padri Pellegrini, per esempio, avevano stipulato tra loro un libero patto tra eguali detto Mayflower Compact («accordo del Mayflower»), nel quale dichiaravano la loro unione per motivi religiosi, la loro fedele appartenenza al regno inglese, la loro volontà di creare (nella colonia che fu poi detta Massachusetts) una società libera fondata sull’accordo e sulla partecipazione di tutti al bene comune. Un analogo patto era fissato nei Fundamental Orders («Ordinamenti fondamentali») sottoscritti dagli emigranti che nel 1639 avevano fondato la colonia del Connecticut. Questi liberi patti federativi erano l’anima ispiratrice delle istituzioni e delle tradizioni politiche delle colonie americane. E Londra non poteva che riconoscere le libere istituzioni che traevano ispirazione da questi principi. Nel corso del Settecento, quindi, l’America settentrionale sottoposta alla corona inglese era una società quasi del tutto priva della divisione in classi tipica dell’Ancien régime : ordinamenti e consuetudini riconoscevano pari diritti e doveri a tutti i cittadini, ciascuno dei quali doveva a se stesso la pro- pria fortuna (una concezione fortemente motivata dall’etica del lavoro calvinista ) e si vedeva riconosciuta dalle autorità locali pari dignità con qualsiasi altro cittadino della colonia. Dinamismo sociale e demografico Sfruttando le straordinarie risorse naturali del territorio e facendo leva sullo spirito di intraprendenza degli abitanti, l’economia delle tredici colonie inglesi registrò un costante progresso. Basti pensare che all’inizio del Settecento gli abitanti erano circa 250.000, mentre intorno al 1775 erano diventati quasi due milioni e mezzo. Questa crescita impressionante era in parte dovuta al costante flusso di immigrazione proveniente dall’Europa (ancora inglesi, ma anche irlandesi, tedeschi e ugonotti francesi, e non bisogna dimenticare i circa 500.000 schiavi deportati dall’Africa, concentrati quasi esclusivamente nelle colonie più meridionali), ma era ormai sostenuta soprattutto dall’incremento naturale della popolazione residente. L’economia della regione, insomma, poteva sostenere una popolazione in continuo aumento, e garantire alla classe sociale più agiata, cioè ai medi e grandi proprietari di terre e di aziende, livelli di benessere molto elevati. Numerosi erano gli individui di più recente immigrazione, spesso molto poveri e disposti a ogni impiego, che in America occupavano nuovi appezzamenti negli sconfinati territori ancora da conquistare Colonia inglese di Jamestown con costruzioni che richiamano il modello inglese, Jamestown, National Historic Park. L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti o trovavano lavoro salariato nelle città, per poi cominciare a salire una scala sociale ben più mobile di quella che si erano lasciati alle spalle in Europa. All’élite dei grandi proprietari e imprenditori si affiancava inoltre un’attiva classe media cittadina di artigiani, mercanti e professionisti e una orgogliosa classe media di contadini liberi che con il loro lavoro avevano conquistato la proprietà della terra che lavoravano. Nelle città vi erano poi i ceti più poveri (dai salariati a chi viveva ancora di espedienti), ma anche chi apparteneva a questa classe poteva aspirare ad arrivare con il proprio lavoro a un miglioramento e persino alla completa trasformazione della propria posizione sociale. Non era raro che persone di umile nascita e senza mezzi riuscissero a risparmiare, ad avviare una propria attività, a sviluppare una propria idea per diventare protagonisti nella produzione di beni, nel commercio, nel mondo della cultura e nella politica. Nella mentalità americana, il merito personale e l’etica del lavoro costituivano la vera fonte della dignità di ogni persona. L’economia delle colonie Mentre la particolare storia delle colonie giustificava il rispetto dell’Inghilterra per la loro autonomia politica, la madrepatria interveniva con molta più decisione in campo economico: i coloni potevano vendere le merci più preziose (tabacco, pelli, legname, cotone, ferro) solo alla madre patria e non potevano sviluppare industrie che facessero Una piantagione di tabacco, XVIII secolo. © Loescher Editore – Torino 74 1750 etica del lavoro calvinista: per i calvinisti il lavoro ha un valore religioso e il successo in questo campo è indicazione della grazia divina. © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 75 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni p. 60 concorrenza a quelle inglesi. D3 Tuttavia, i coloni non pagavano tasse e potevano incrementare liberamente le proprie attività. L’economia della regione era suddivisa grosso modo in tre diverse aree: 3.2 La guerra • al Nord (New Hampshire, Massachusetts, Connecticut, Rhode Island) si coltivavano cereali e legumi in aziende agricole piccole e medie – di proprietà di agricoltori liberi – dove la maggioranza della popolazione produceva soprattutto per il proprio sostentamento. Vi era tuttavia una grande disponibilità di pelli e soprattutto di legname, che aveva permesso di sviluppare nelle città della costa numerosi cantieri navali. I commerci con l’Inghilterra (pelli, metalli, legname) erano molto sviluppati e davano lavoro a una classe di attivi mercanti; Nel corso del Seicento in Inghilterra era stata combattuta una guerra civile tra Parlamento e monarchia. Successivamente si era svolta la Gloriosa rivoluzione, che nel 1689 aveva definitivamente stabilito in quel paese una monarchia parlamentare. I sovrani inglesi, in conseguenza di ciò, non potevano stabilire leggi e imporre tasse senza il consenso dei rappresentanti del popolo. I coloni inglesi dell’America settentrionale erano considerati sudditi della corona inglese, ma, mentre eleggevano i propri rappresentanti nelle Camere basse di ciascuna colonia, non eleggevano nessun rappresentante nel Parlamento di Londra. Questa situazione tuttavia non creava problemi, perché l’Inghilterra non imponeva tasse ai sudditi delle colonie. La situazione cambiò improvvisamente nel 1763, al termine della Guerra dei Sette Anni. Infatti, per sconfiggere la Francia, l’Inghilterra aveva utilizzato tutte le proprie risorse e le casse dello Stato erano ormai vuote. Per risolvere la situazione il Parlamento inglese fu costretto a introdurre nuove tasse, ma per la prima volta le impose anche ai coloni che vivevano oltre oceano. Nel 1764 fu imposto il così detto Sugar Act, che prevedeva il pagamento di tasse su prodotti che le colonie importavano dall’estero, come zucchero, caffè, vino • al Centro (New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware) l’agricoltura poteva essere ancor più sviluppata in grandi aree coltivabili, divise tra un gran numero di piccoli e medi proprietari e un certo numero di aziende più vaste e organizzate con criteri industriali, dove si producevano ed esportavano cereali, frutta e verdura in partenza dai porti della costa; • a Sud (Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia) erano diffuse le grandi piantagioni di tabacco e cotone. Per coltivarle si importavano in gran numero schiavi provenienti dall’Africa, che nel 1775 costituivano un quinto della popolazione complessiva delle colonie. D4 per l’indipendenza I motivi della ribellione P.A. Basset, La distruzione della statua del re britannico Giorgio III a New York, 1776 circa, Washington, Library of Congress. e tessuti lavorati. Nel 1765 fu introdotto lo Stamp Act , con tasse sui documenti legali e sui giornali. Di fronte a queste imposizioni, i coloni cominciarono a protestare proprio nel nome del principio che aveva ispirato le ribellioni del Parlamento inglese contro i sovrani: «no taxation without representation» (nessuna tassa se non approvata dai propri rappresentanti). Non avendo propri rappresentanti nel Parlamento di Londra, i coloni americani, che ora si voleva trattare come sudditi anche dal punto di vista fiscale, non potevano godere dello stesso diritto fondamentale conquistato dai sudditi inglesi: approvare preventivamente, o respingere, in Parlamento, le tasse che poi avrebbero dovuto pagare. I coloni, dunque, reagivano in nome di una acquisita libertà inglese. Le prime azioni contro l’Inghilterra Di fronte alle prime proteste, nel marzo 1766 il Parlamento di Londra sospese l’applicazione dello Stamp Act, ma i contrasti con i coloni proseguirono, perché la madrepatria non intendeva rinunciare al proprio diritto di ricavare dalle stesse colonie i fondi che si riteneva dovesse spendere per garantire la loro sicurezza. Negli anni successivi una nuova serie di imposizioni toccarono sia l’aspetto fiscale sia l’amministrazione delle colonie. Per esempio fu imposta l’autorità di giudici inglesi, che avrebbero dovuto sostituire nei principali tribunali i giudici americani, furono aumentati i poteri dei gover- Dossier 3 p. 332 Dossier 4 p. 334 L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti Protestanti del Boston Tea Party versano casse di tè nel mare. natori e dei funzionari nominati da Londra e diverse città americane dovettero ospitare a proprie spese guarnigioni di truppe al comando degli inglesi. Inoltre, con il Tea Act del 10 marzo 1773 si conferì alla Compagnia delle Indie Orientali il monopolio del commercio del tè con le colonie nordamericane, danneggiando sia i commercianti sia la popolazione (dato il conseguente rincaro del prezzo del tè). Inoltre il porto di Boston fu sottoposto a rigidi controlli per limitarne il volume dei commerci, che facevano concorrenza a quelli gestiti dalle Compagnie inglesi. Il 16 dicembre 1773, a Boston, alcuni coloni ribelli protestarono contro questo provvedimento gettando in mare il carico di tè di una nave della Compagnia inglese delle Indie Orientali. Questo episodio, passato alla storia come il Boston Tea Party, segnò l’inizio di uno scontro sempre più aperto tra coloni e madrepatria. Il governo inglese non volle trattare con i coloni e cancellare tasse e leggi che essi rifiutavano perché non avevano propri rappresentanti in Parlamento. A quel punto i coloni cominciarono ad armarsi. Il fronte dei ribelli comprendeva diverse posizioni. Alcuni di essi erano molto radicali: sostenevano che le assemblee rappresentative elette dai coloni dovevano essere considerate la loro unica legittima autorità, perciò concludevano che le colonie dovevano affermare al più presto e con pieno diritto la propria totale indipendenza. Una decisione, questa, che alcuni ritenevano affidata da Dio agli americani come una missione. Nel 1776, © Loescher Editore – Torino 76 1750 Tweet Storia p. 358 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 77 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Nell’aprile del 1775, nei pressi di Boston, centro simbolo della rivolta, si verificarono i primi scontri armati tra esercito inglese e milizie di volontari americani. Per l’intransigenza di Londra, che decise di inviare nelle colonie un forte esercito e una flotta, lo scontro aperto sembrava ormai inevitabile e il fronte degli indipendentisti si andava di conseguenza imponendo. La Dichiarazione d’indipendenza Il massacro di Boston, stampa popolare settecentesca. In un clima di tensione esasperata i soldati inglesi uccisero cinque coloni. pp. 146, 316 lealista: colui che ha un atteggiamento di lealtà politica nei confronti del potere costituito. Tweet Storia p. 358 quando già lo scontro con l’Inghilterra era avviato, Thomas Paine, un pastore quacchero, scrittore e attivista politico, pubblicò un opuscolo, dal titolo Common Sense, nel quale sosteneva che l’America doveva diventare indipendente per essere il «rifugio naturale» della libertà, che soffriva in Europa violenza e soprusi da parte dei governi assolutistici. Le posizioni a favore dell’indipendenza non erano tutte espresse con altrettanto fervore: personaggi in vista e stimati come Thomas Jefferson, figlio di un coltivatore della Virginia, e Benjamin Franklin , uomo di umili origini che aveva avuto successo come giornalista, scrittore, scienziato e uomo politico (sedeva come rappresentante nell’assemblea della Pennsylvania), sostenevano il diritto all’indipendenza ricorrendo ad argomenti legali fondati sui diritti universali e naturali dell’uomo. Accanto a questi ribelli indipendentisti, vi era anche un buon numero di «lealisti », cioè coloro che non volevano rompere con la madrepatria. I più moderati tra essi concordavano con i motivi della protesta, ma ritenevano possibile e doveroso cercare un accordo con Londra. Mentre la posizione di Londra si faceva sempre più rigida, nel settembre del 1774, a Filadelfia, si riunì il primo Congresso continentale: un’assemblea dei rappresentanti delle tredici colonie che respinse, dichiarandoli illeciti, tutti i provvedimenti del Parlamento di Londra. Mentre cominciava la guerra, i coloni americani avevano ormai raggiunto nella loro maggioranza la convinzione che il proprio futuro passava attraverso la piena indipendenza. Nel maggio del 1775 a Filadelfia si riunì il secondo Congresso continentale. Si decise anzitutto di formare un esercito che riunisse tutte le milizie di volontari delle diverse colonie. Il comando delle truppe fu affidato a George Washington, un ricco proprietario terriero della Virginia. Egli dovette affrontare prima di tutto un enorme sforzo organizzativo, perché i soldati disposti a combattere per la libertà erano spesso privi di esperienza militare e divisi in gruppi che era difficile coordinare tra loro. Sul fronte opposto, invece, gli inglesi misero in campo truppe disciplinate e addestrate (arrivarono a schierare circa 50.000 effettivi), rafforzate da un contingente di mercenari tedeschi. La nascita di un vero Continental Army, cioè di una forza armata ordinata e unita, schierata a difesa non di una singola colonia, ma di tutte insieme, rappresentò per Washington e per il Congresso nello stesso tempo un successo militare e un vero atto politico, anche perché fu necessario sostenere questo nuovo esercito comune con fondi e rifornimenti assicurati con una apposita tassazione su ciascuna colonia. Mentre le prime fasi della guerra facevano registrare inevitabili vittorie inglesi, il Congresso incaricò una commissione, presieduta da Thomas Jefferson, di stendere una Dichiarazione di indipendenza che fu poi votata e approvata da tutti i rappresentanti delle colonie il 4 luglio 1776. Questa data è considerata la data di nascita degli Stati Uniti d’America (e ancora oggi negli Stati Uniti il 4 luglio è giorno di festa nazionale, l’Independence Day) anche se la definizione della struttura politica del nuovo Stato era rimandata al termine del conflitto. La Dichiarazione di indipendenza costituisce un documento di grande interesse non tanto perché esprimeva la contestazione nei confronti dell’Inghilterra dei coloni americani, ma per i principi in nome dei quali questa contestazione veniva avanzata. Nel documento, infatti, erano espressi con fermezza i diritti fondamentali dell’uomo , a cominciare da quello alla libertà e all’uguaglianza civile e politica, che sono «fondamentali» proprio perché nessun governo ha diritto a esercitare i suoi poteri se tenta di negarli. La libertà, dunque, veniva proclamata non come una conquista da parte di cittadini disobbedienti, ma come parte integrante della dignità di ogni essere umano. Nella Dichiarazione diventavano evidenti per i ribelli americani gli obiettivi della loro lotta e questi erano espressi in frasi di questo tipo: «tutti gli uomini sono stati creati uguali e sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, fra questi ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità». Inoltre, il documento fondava l’idea L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti dello Stato al servizio della libertà dei cittadini su una visione contrattualistica del potere politico: «[…] allo scopo di garantire questi diritti sono creati fra gli uomini i governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati». Gli stessi principi che nel corso del Seicento avevano trionfato nella ribellione del Parlamento inglese contro i progetti assolutistici della monarchia venivano ora posti al centro della nascita e della costruzione di un nuovo Stato, non più basato su un difficile equilibrio tra potere monarchico e potere rappresentativo, ma interamente fondato sui principi giusnaturalistici e illuministici della politica. Con la Dichiarazione di indipendenza il conflitto tra coloni e madrepatria non era più un confronto per giungere a un accordo sulle questioni fiscali, ma diventava una vera rivoluzione in difesa della propria visione della libertà e del diritto. [ I NODI DELLA STORIA p. 84] La vittoria degli americani Dopo che gli inglesi ebbero messo a segno una serie di successi, le colonie riuscirono J. Trumbull, La Dichiarazione d’indipendenza, 1817 circa, Yale University Art Gallery. Tweet Storia p. 358 © Loescher Editore – Torino 78 1750 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 79 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Gli Stati Uniti dopo la pace di Parigi (1783) n a d a ts a Montréal Mis en Lago Superiore zo Québec Lago Huron Ma Sa nL or Vermont ssachuset C New Hampshire Boston Lago Ontario Rhode Island Connecticut N ew York Lago Michigan Lago Erie New York Fort Pontchartrain Pennsylvania New Jersey (Détroit) Filadelfia Fort Duquesne Baltimora T e r r i t o r i d i (Pittsburgh) sis s ip pi Mis sou Washington ri Nord-Ovest Virginia io Oh S T A T I St.-Louis e se es nn Te i ipp Richmond U N I T I Fort Chiswell North Carolina L o u i s i a n a Mississ Delaware Maryland South Carolina Nashville Territori del Mississippi Georgia Charleston Oceano Atlantico Savannah St. Augustine Nuova Spagna New Orleans Florida Gli Stati Uniti dopo il trattato di Versailles (1783) Territori inglesi Territori spagnoli L. Couder, La resa di Yorktown, 1836 circa, Parigi, Galerie des Batailles, Château de Versailles. a cambiare lentamente le sorti della guerra grazie alla migliore organizzazione del Continental Army e a importanti aiuti provenienti dall’Europa. Il paese che si schierò più apertamente con i ribelli fu la Francia, che vedeva in una sconfitta dell’Inghilterra in America la possibilità di riequilibrare i rapporti di forza in quell’area dopo le perdite territoriali subite con la Guerra dei Sette Anni. Nel 1777 gli americani ottennero la loro prima vittoria a Saratoga. Nel 1778 la Francia riconobbe l’indipendenza delle colonie e firmò con i ribelli un’alleanza militare. L’anno successivo anche la Spagna si schierò a favore degli insorti. Il conflitto assumeva quindi una dimensione internazionale sfavorevole agli inglesi, che videro schierata contro di loro anche la maggioranza dell’opinione pubblica europea (ci furono persino voci di dissenso dalla linea del Parlamento nella stessa Inghilterra). I piani di guerra di Londra fallirono l’uno dopo l’altro. Dapprima gli inglesi cercarono di occupare le colonie del Nord per staccarle dal resto del fronte dei ribelli e rafforzare con i propri successi i lealisti che indebolivano lo schieramento della rivoluzione. In seguito dovettero concentrare i propri sforzi a Sud, anche per bloccare l’arrivo di aiuti dall’Europa. Nel frattempo, tuttavia, l’unione di diversi Stati rendeva impossibile sferrare contro di essi un colpo decisivo: per esempio l’importante occupazione di New York o di una colonia del Sud non rappresentavano per i ribelli una perdita irreparabile né dal punto di vista simbolico né dal punto di vista organizzativo. Costretti a combattere su più fronti e indeboliti non solo dalle azioni dell’esercito di Washington, ma anche dal sostegno popolare alla rivoluzione in quasi tutto il territorio, gli inglesi furono sconfitti nel 1781 a Yorktown, in Virginia, dove una parte importante delle loro truppe fu accerchiata da americani e francesi sia sulla terra che sul mare. La guerra era ormai a una svolta. Essa proseguì ancora, ma il Parlamento inglese si trovò sempre più diviso al suo interno sull’opportunità di proseguirla ad oltranza e furono quindi avviate delle trattative che portarono, nel 1783, alla pace di Parigi. L’Inghilterra riconobbe la piena indipendenza delle sue tredici colonie, che ora potevano essere considerate tutte come Stati riconosciuti nella loro autonomia e nelle loro istituzioni. L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti H.C. Christy, George Washington presiede alla firma della Costituzione, 1789, Washington, US Capitol Historical Society. 3.3 La Costituzione degli «Stati Uniti d’America» La Convenzione costituzionale: federalisti e antifederalisti Appena divenute indipendenti, le ex colonie dovettero decidere del proprio futuro. Nel 1777, dunque, mentre era in corso la Guerra d’indipendenza, i diversi Stati avevano approvato una Costituzione provvisoria, gli Articoli di confederazione, che prevedeva che decisioni del Congresso continentale, per esempio in materia fiscale, dovessero essere approvate dalle assemblee di ciascuno Stato. Una volta raggiunta l’indipendenza, il dibattito sulla forma da dare alla confederazione tra i tredici Stati fu molto acceso. Esso si sviluppò in tutto il paese e portò a intensi confronti nella Convenzione costituzionale – costituita da 55 delegati provenienti dai tredici Stati americani e presieduta da Washington – convocata a Filadelfia nel 1787 per dare una Costituzione definitiva al paese. Da una parte vi erano i federalisti, che sostenevano la necessità di rafforzare la confederazione con un forte governo centrale, al quale i diversi Stati dovevano cedere ampi poteri in materia di politica estera, di difesa, di accordi commerciali con l’estero e di dazi doganali per i commerci tra gli Stati americani. All’indomani della vittoria sugli inglesi, infatti, si erano subito manifestate differenze e conflitti tra gli Stati americani: in alcuni di essi (come la Pennsylvania) la partecipazione popolare alla guerra aveva fatto sì che le Camere basse venissero elette da un numero di cittadini ancora più ampio di quello previsto prima del conflitto. Di conseguenza, nelle Camere basse si discuteva di ogni aspetto della politica dello Stato: dalle tasse da imporre alle merci provenienti da un altro Stato ad accordi separati con Stati stranieri fino alle concessioni per l’occupazione di nuovi territori a ovest sui quali anche gli altri Stati avevano delle rivendicazioni. In altri Stati, in genere tutti quelli del Sud, il potere era rimasto fondamentalmente in mano ai grandi proprietari terrieri, che dominavano le Camere basse e imponevano leggi a difesa dei loro privilegi, oltre che stringere accordi commerciali autonomi con l’estero per vendere i prodotti delle loro piantagioni. A difesa di questo forte spirito di autonomia e delle forme di «democrazia diretta» che si andavano diffondendo in alcuni Stati si schierarono gli antifederalisti. Essi non vedevano nelle differenze tra Stato e Stato un motivo di disordine, o almeno ritenevano tollerabile questa situazione perché, affermavano, un governo centrale troppo forte avrebbe privato i cittadini delle proprie © Loescher Editore – Torino 80 1750 © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 81 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni The Federalist (frontespizio), il più importante commentario alla Costituzione americana scritto da A. Hamilton e J. Madison. Ritratto di Alexander Hamilton. pp. 62, 144 libertà. Tra i federalisti c’erano soprattutto i borghesi impegnati nell’industria e nel commercio, per i quali un governo centrale forte avrebbe garantito stabilità e forza del nuovo Stato nel commercio mondiale. Tuttavia non mancavano esponenti federalisti anche tra i grandi proprietari terrieri, che non amavano le spinte democratiche troppo radicali e pensavano di poter meglio resistere alle pressioni della base popolare con un governo centrale autorevole. Antifederalisti erano soprattutto i ceti più deboli e i piccoli proprietari terrieri, che avrebbero mantenuto maggior rappresentanza se i poteri più importanti fossero rimasti a livello delle assemblee locali. A Il contributo di due autorevoli federalisti: Hamilton e Madison Album p. 86 Alexander Hamilton, un convinto federalista, sostenne la necessità di dare vita a uno Stato federale forte, in cui le decisioni più importanti per il bene comune fossero affidate a assemblee di rappresentanti qualificati scelti tra le loro personalità più eminenti e rispettate dai diversi Stati. Non il disordine delle autonomie locali, né l’improvvisazione cui andavano soggette le assemblee democratiche alla continua ricerca del consenso popolare potevano, secondo lui, dare stabilità, pace e prosperità alla confederazione. James Madison, un influente delegato della Virginia, sostenne invece con successo la tesi che i cittadini dovevano comunque sentirsi rappresentati nelle nuove istituzioni e in particolare nel potere legislativo centrale. Egli fu dunque il fautore di un compromesso che definì l’importante questione della rappresentanza: la confederazione avrebbe avuto, sì, un forte potere centrale, ma all’interno di esso ci sarebbero state due Camere che avrebbero avuto insieme il potere legislativo: una Camera «alta», con delegati scelti dagli Stati, e una «bassa», con delegati eletti direttamente dal popolo. In questo modo si potevano convincere tutti gli Stati a entrare a far parte di una vera «unione» (e non una semplice e quasi solo simbolica federazione, come chiedevano gli antifederalisti), garantita da un forte potere centrale, senza che per questo i cittadini si sentissero tenuti a distanza ed esclusi da un vero controllo su questo potere. A I principi della Costituzione americana Nel 1787 i lavori della Convenzione costituzionale ebbero termine con la stesura di una Costituzione che fu poi approvata da ogni Stato ed è ancora oggi in vigore. Con questa legge fondamentale nascevano gli «Stati Uniti d’America». Il paese strutturato dalla Costituzione, infatti, era una forte federazione (meglio indicata con il termine «unione») di Stati: essi conservavano una certa autonomia amministrativa (erano guidati da un governatore eletto dal popolo e le loro assemblee di rappresentanti legiferavano in materia di ordine pubblico, di istruzione, di organizzazione interna dei commerci), ma delegavano importanti poteri a un sistema di autorità centrali. Queste avrebbero esercitato – con un sistema di divisione dei poteri e quindi di controllo ed equilibrio tra di essi – le supreme funzioni legislative, esecutive e giudiziarie indispensabili alla stabilità e alla forza in campo internazionale del nuovo Stato. Ancora oggi, dunque: • il potere legislativo è affidato a un’assemblea di rappresentanti (il Congresso) unica e superiore a quelle statali. Il Congresso è diviso in due Camere: una Camera dei rappresentanti e un Senato. Nella prima siedono rappresentanti eletti ogni due anni dal popolo in ciascuno Stato (il numero dei rappresentanti di ogni Stato è fissato in base alla popolazione). Essa è competente in particolare per le questioni interne (per esempio in materia fiscale). Nel Senato, invece, siedono due rappresentanti per Stato, eletti ogni sei anni. Il Senato ha piena competenza sulla politica estera; • il potere esecutivo, e quindi il governo dell’unione, è affidato a un Presidente della Repubblica eletto ogni quattro anni da un’assemblea di «elettori» eletti a loro volta dai cittadini. Il Presidente ha dunque l’autorevolezza di una carica eletta dal popolo e il mandato può essergli rinnovato per un secondo mandato. Egli ha la facoltà di proporre leggi al Congresso e può opporre il veto a una legge approvata dal Congresso. Quando questo accade, la legge può essere riapprovata dal Congresso, ma ha bisogno dei due terzi dei voti dei rappresentanti. Il Presidente è anche il capo supremo delle forze armate e rappresenta l’unione nei rapporti con gli Stati esteri; • il potere giudiziario è affidato a una Corte suprema federale. I membri della Corte sono scelti e nominati a vita dai presidenti e vigilano sul rispetto della Costituzione: se una legge appena approvata non è conforme alla Costituzione la Corte la dichiara incostituzionale e la respinge. Lo stesso controllo viene esercitato sugli atti del potere esecutivo. Ciascuno dei tre poteri ha le sue competenze e nello stesso tempo controlla ed è controllato dagli altri due: L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti • il Congresso può annullare il veto del Presidente su una sua legge, conferma le sue nomine (di ministri del governo e di giudici della Corte suprema), ratifica i trattati internazionali e può porre in stato di accusa il presidente che si sia macchiato di gravi reati contro lo Stato. • Il Presidente ha diritto di veto nei confronti delle leggi del Congresso e propone leggi e nomina i giudici della Corte suprema. • La Corte suprema è formata da membri eletti dal Presidente e confermati dal Congresso, e può dichiarare incostituzionali i provvedimenti del Presidente o le leggi del Congresso. Nel 1789, a seguito dello svolgimento delle prime elezioni presidenziali, George Washington divenne il primo Presidente degli Stati Uniti (carica che mantenne per due mandati, fino al 1796). Gli «emendamenti» della Costituzione, la Corte suprema e i diritti fondamentali 1750 pp. 146, 314, 316 Fondato sulla Costituzione e obbligato per sua natura a rispettarla e farla rispettare, il nuovo Stato nasceva come «Repubblica costituzionale» al servizio dei diritti e doveri dei cittadini. La centralità della Costituzione nella vita pubblica degli Stati Uniti è tale che i difensori delle libertà individuali – a partire dai molti antifederalisti, che avevano temuto che un governo troppo forte avrebbe oppresso i cittadini – vollero assicurarsi che essa fosse da una parte rigida e immutabile (per essere davvero autorevole), ma dall’altra che fosse possibile emendarla, cioè arricchirla di nuove norme quando le circostanze La Costituzione americana del 1787 Potere esecutivo Potere legislativo Potere giudiziario Governo centrale, guidato da un Presidente degli Stati Uniti Congresso, formato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato Corte suprema, composta da giudici nominati a vita dal presidente © Loescher Editore – Torino 82 Alexander Hamilton. © Loescher Editore – Torino XVII-XVIII sec. Colonie nordamericane al centro della tratta degli schiavi XVIII sec. Finanze francesi in grave difficoltà 1773 Thomas Paine pubblica Common Sense 1796 Jenner scopre il vaccino contro il vaiolo 1815 83 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Riproduzione della prima copia a stampa della Costituzione degli Stati Uniti d’America. storiche o i cambiamenti della società nel tempo avessero reso necessario affermare e difendere nuove libertà individuali. Il potere di integrare, quando necessario, la Costituzione fu attribuito alla Corte suprema. Essa, come abbiamo visto, vigila sulla costituzionalità delle leggi (e quindi difende la rigidità del testo), ma può anche pronunciarsi su casi legali sollevati dai cittadini arricchendo con le sue sentenze e con degli «emendamenti» la stessa Costituzione in difesa dei diritti civili. I primi dieci emendamenti della Costituzione furono tuttavia introdotti già dal primo Congresso nel 1789, cioè poco dopo la sua entrata in vigore. Questi dieci articoli aggiuntivi costituivano la Carta americana dei diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla libertà religiosa, alla libertà di parola e alla libertà di stampa. Tra i diritti fondamentali vi era poi quello al giusto processo, alla detenzione di armi per la difesa personale, alla proibizione di pene crudeli (anche se non si escludeva la pena di morte). Altri emendamenti alla Costituzione furono introdotti dalla Corte suprema in epoche successive. Celebre fu il XIII emendamento, del 1865, che abolì la schiavitù. 1620 I Padri Pellegrini stipulano il Mayflower Compact, libero patto federativo 1626 Gli olandesi fondano Nuova Amsterdam, poi chiamata New York 1764-1773 L’Inghilterra impone gravose tasse ai coloni 1774 Il primo Congresso continentale respinge le imposizioni fiscali 1775-1783 Guerra d’indipendenza I NODI DELLA STORIA Quali sono le radici teoriche della Dichiarazione di indipendenza americana? La nascita degli Stati Uniti d’America ha rappresentato, per certi versi, il trionfo dell’Illuminismo e l’inizio della crisi irreversibile dell’Ancien régime. Anche se questo può sembrare un paradosso, la Gran Bretagna era l’unica nazione europea che aveva da tempo scelto la strada del costituzionalismo. Tuttavia, la politica inglese era stata di assoluta chiusura a qualsiasi rivendicazione dei coloni americani. I personaggi che la tradizione patriottica americana chiama Padri Pellegrini erano profondamente legati alla cultura dei Lumi. Il loro pragmatismo di uomini di affari, di proprietari terrieri aperti alle prospettive della nuova trasformazione dei modelli produttivi, di scienziati, di giornalisti e liberi professionisti, li aveva spinti a simpatizzare per le idee veicolate dall’Encyclopédie e dagli scritti di Voltaire e Montesquieu. La stessa Dichiarazione d’indipendenza, votata dai delegati del secondo Congresso continentale a Filadelfia, il 4 luglio 1776, specificava i fondamenti universali dei diritti degli uomini e dei popoli, partendo dal principio, tipicamente illuministico, «che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili». Tra questi c’era la libertà, il diritto alla salvaguardia della propria vita, quello a ribellarsi contro un potere sovrano ingiusto e non più condiviso. Ma, aggiungevano gli estensori della Dichiarazione, tra i diritti fondamentali c’era anche quello della ricerca della felicità. Era la prima 84 © Loescher Editore – Torino volta che questo era specificato così chiaramente. Per secoli il diritto individuale ad aspirare alla felicità era stato subordinato all’esigenze dei rapporti sociali e giuridici verticali tra governati e governanti. I primi, avendo garantita la propria sicurezza dai secondi, dovevano rinunciare a molti dei loro diritti naturali e accettare gli assetti tradizionali del potere. Eppure era stata propria la Gran Bretagna, nel corso delle sue tumultuose rivoluzioni seicentesche, a codificare per prima il principio del governo costituzionale, espressione della volontà della nazione e non dell’assolutismo monarchico. Come si ricorderà, proprio nel Parlamento controllato dai puritani era nata quella rivolta che ebbe come primo atto il rifiuto di votare le leggi di spesa richieste dal sovrano inglese per finanziare le proprie guerre. Ora, come in una sorta di nemesi storica, i coloni americani si ribellarono innanzitutto alla pressione fiscale del governo di Londra. Lo fecero in nome di un principio che alle orecchie dei governanti inglesi non avrebbe dovuto suonare estraneo: «no taxation without representation», secondo cui non ci può essere tassazione senza una legittima rappresentanza politica. Per i delegati del Congresso di Filadelfia questo diritto alla rappresentanza doveva necessariamente passare dalla riappropriazione del proprio destino e dalla nascita di una nazione che sapesse farsi garante del desiderio di ciascuno di progredire, di fare fortuna e di sviluppare i propri talenti. 1775 Formazione di un esercito di coloni agli ordini di Washington 1776 Dichiarazione d’indipendenza 1783 Pace di Parigi: l’Inghilterra riconosce l’indipendenza delle colonie americane 1787 La Costituzione di Filadelfia definisce la forma istituzionale degli Stati Uniti d’America 1789-1796 Washington primo Presidente degli Stati Uniti d’America L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti 1 A metà del Settecento le tredici colonie inglesi in America hanno un particolare spirito pubblico e autonome istituzioni rappresentative. Intorno alla metà del Settecento, in America settentrionale si erano sviluppate tredici colonie abitate in prevalenza da inglesi. Esse si basavano su diverse attività economiche: agricoltura, commerci e cantieri navali a Nord, piantagioni estensive (coltivate da schiavi) a Sud. Ciascuna colonia aveva un governatore nominato dall’Inghilterra, ma godeva di forte autonomia amministrativa; considerevole era il livello di partecipazione politica della numerosa classe media e alta, che eleggevano propri rappresentanti nelle Camere basse di ciascuna colonia. La convivenza era basata sugli ideali che avevano animato i primi coloni: libertà personale, tolleranza religiosa, etica del lavoro e del merito, dignità della persona indipendentemente dal lignaggio familiare. L’Inghilterra imponeva una forte tutela economica: le colonie non potevano fare concorrenza alle industrie della madrepatria e potevano commerciare solo con essa; tuttavia, esse erano esentate dal pagamento delle tasse. 2 Quando l’Inghilterra cerca di imporre tasse ai coloni senza garantire loro la possibilità di discuterle in Parlamento comincia la ribellione. Al termine della Guerra dei Sette Anni (1763) il Parlamento inglese tentò di imporre alcune tasse alle colonie americane. I coloni le contestarono, sostenendo che non era possibile imporre tasse a chi non aveva rappresentanti in Parlamento (il principio del «no taxation without representation»). Londra reagì con forza ai primi atti di ribellione e inviò in America un esercito. Nel 1775 i rappresentanti delle colonie, riuniti in un Congresso, affidarono il comando delle loro truppe a George Washington. Il 4 luglio 1776 il Congresso approvò la Dichiarazione di indipendenza, con la quale nascevano gli Stati Uniti d’America, basati sui diritti umani naturali e inalienabili. 3 Le colonie americane raggiungono l’indipendenza con una guerra difficile ma vittoriosa. La guerra tra Inghilterra e coloni americani durò otto anni, dal 1775 al 1783. Dopo una serie di successi inglesi, a fianco dei ribelli si schierò anche la Francia, desiderosa di indebolire la potenza rivale. Gli inglesi non riuscirono a imporsi: la rivolta fu sempre sostenuta da ampio consenso popolare e nessuna conquista territoriale riuscì mai a piegare la resistenza degli avversari. Alla fine l’Inghilterra dovette arrendersi e riconoscere, con la pace di Parigi, l’indipendenza delle colonie. 4 Da un acceso dibattito tra federalisti e antifederalisti prende corpo la Costituzione degli Stati Uniti d’America, unione di Stati con un forte ed equilibrato potere centrale. Raggiunta l’indipendenza, i rappresentanti delle colonie discussero a lungo su che forma dare al nuovo Stato. I «federalisti» ritenevano necessario creare autorevoli istituzioni centrali e limitare l’esercizio della democrazia popolare. Gli «antifederalisti» erano invece sostenitori della piena autonomia dei singoli Stati e della difesa delle libertà individuali. Nel 1787 venne approvata la Costituzione: nasceva uno Stato federale, composto da diversi Stati autonomi nelle loro politiche interne ma uniti e rappresentati da un governo centrale legittimato dal consenso popolare. Il potere esecutivo faceva capo a un Presidente della Repubblica, eletto ogni quattro anni; il potere legislativo fu affidato a un Parlamento con due Camere, chiamato Congresso. Infine, il supremo potere legislativo risiedeva nelle mani della Corte Suprema. La Costituzione, in vigore ancora oggi, fissava anche una serie di diritti e doveri dei cittadini. Anche se non veniva ancora data la libertà agli schiavi neri, gli Stati Uniti nacquero quindi come una grande democrazia, dove il diritto di voto era più ampio di quello al tempo stabilito in Inghilterra. © Loescher Editore – Torino 85 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Uno Stato, molti Stati: gli USA L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti Le carte costituzionali L’unità istituzionale e politica degli Stati Uniti d’America fu realizzata attraverso la Costituzione federale, il documento fondativo entrato in vigore nel 1789 con l’elezione presidenziale di George Washington. La Costituzione federale, in realtà, si sovrappose, senza cancellarle, alle carte costituzionali locali che i tredici Stati originari avevano precedentemente adottato, attorno al 1776, per regolare la vita delle loro istituzioni. Le ex colonie avevano tutte scelto di diventare delle repubbliche dotate di assemblee parlamentari. Vi erano, tuttavia, delle differenze perché alcuni Stati avevano preferito un sistema bicamerale e altri quello monocamerale, oppure alcuni Stati avevano voluto il suffragio universale maschile mentre altri il suffragio maschile ristretto in base al reddito. La Repubblica degli Stati Uniti d’America nacque dall’unione di tredici Stati che presentavano molte differenze dal punto di vista politico, sociale, economico, religioso e culturale. Proprio per rispettare le specificità di ogni realtà locale, i Padri fondatori elaborarono un nuovo modello di convivenza istituzionale: la federazione. In questo sistema di governo due o più Stati (gli Stati federati) si fondono in un unico Stato (lo Stato federale) senza però rinunciare completamente alle loro particolarità e a una parte della loro sovranità. La differenza tra i due livelli risiede nelle competenze: gli Stati federati si occupano di alcune materie (per esempio l’istruzione, le strade, la giustizia per i reati locali), mentre lo Stato federale è sovrano su altre materie (difesa, politica estera, commercio internazionale, poste). Prima pagina della Costituzione americana. Una moneta unica La prima bandiera degli Stati Uniti d’America. A differenza dei sigilli di Stato, delle bandiere o delle carte costituzionali, tutti simboli presenti tanto a livello locale quanto a livello federale, l’unità indivisibile dello Stato americano trovò massima espressione nel dollaro, unica moneta valida per tutto il territorio nazionale e per tutti gli scambi con i paesi esteri. Proprio per questo motivo è tradizione ritrarre sulle banconote i volti dei presidenti della Repubblica federale. I simboli istituzionali Il principio fondamentale alla base di una federazione, ossia l’unione e la collaborazione fra Stati diversi, trovò chiara rappresentazione nei due simboli fondamentali della nuova Repubblica degli Stati Uniti d’America, il sigillo e la bandiera. Nel primo è presente un’aquila, simbolo della federazione, che stringe tredici frecce e un ramo d’ulivo con tredici foglie; nella parte superiore vi è inoltre un cerchio con tredici stelle e il motto latino che sintetizza il progetto federalista: e pluribus unum, da molti uno. In base allo stesso criterio, la prima bandiera statunitense fu costruita, in omaggio ai tredici Stati federati, con un corrispondente numero di bande orizzontali e di stelle bianche in campo blu. Accanto a questi due fondamentali simboli della Repubblica federale, ognuno degli Stati federati mantenne però il diritto di conservare un proprio sigillo e una propria bandiera, per dimostrare il profondo rispetto della sovranità e della singolarità di ognuno di loro. 86 © Loescher Editore – Torino Il sigillo degli Stati Uniti d’America. Banconote con le effigi dei presidenti degli Stati Uniti: George Washington (1 dollaro), Abraham Lincoln (5 dollari), Alexander Hamilton (10 dollari), Andrew Jackson (20 dollari), Ulysses S. Grant (50 dollari) e Benjamin Franklin (100 dollari). © Loescher Editore – Torino 87 2 3 Il Settecento: l’età delle rivoluzioni Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 2 Osserva le cartine alle pp. 72 e 80 e descrivi il cambiamento avvenuto tra i due assetti territoriali. ATTIVITÀ 1 XVII secolo 2 XVIII secolo 3 XIX secolo a b c d e f g h i l m n L’11 novembre i Padri Pellegrini sbarcano sul suolo americano dalla nave Mayflower Il 16 dicembre alcuni coloni ribelli protestano contro il Tea Act rovesciando in mare il carico di tè di una nave inglese; questo episodio è passato alla storia come il «Boston Tea Party» Il 4 luglio i rappresentanti delle colonie votano unanime la «Dichiarazione di indipendenza» Nel l’Inghilterra impone alle colonie il Sugar Act Nel il XIII emendamento introdotto dalla Corte Suprema abolisce la schiavitù Nel alcuni mercanti inglesi fondano una colonia che prende il nome di Virginia Nel si riunisce a Filadelfia il secondo Congresso continentale, nel quale si decide di formare un esercito che raccoglie tutte le milizie di volontari delle diverse colonie Nel viene introdotto lo Stamp Act, che impone tasse su documenti legali e giornali Nel gli olandesi fondano sul fiume Hudson la città di Nuova Amsterdam, successivamente ribattezzata dagli inglesi con il nome di New York Nel George Washington diventa il primo presidente degli Stati Uniti Nel la Convenzione costituzionale stila la Costituzione degli Stati Uniti d’America, tuttora in vigore Nel la pace di Parigi sancisce la fine della guerra d’indipendenza e il riconoscimento da parte dell’Inghilterra dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel Settecento. 1 2 3 4 5 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento, poi collega ciascun fatto al secolo in cui avviene. 5 L’indipendenza americana e la nascita degli Stati Uniti Diritto naturale Umanità composita Etica del lavoro Quacchero Vivere di espedienti Prova a riflettere sui significati di «federazione» e «confederazione»: a volte questi due concetti sono usati come sinonimi, sapresti spiegare la loro differenza? Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Poi rispondi alle domande. Le caratteristiche fondamentali della Costituzione degli Stati Uniti d’America 1 Cos’è uno Stato federale? 2 Perché la Costituzione prevede gli emendamenti? 3 Quali sono le libertà individuali fondamentali? Esplora il macrotema 3 Completa il testo. Nel corso del Settecento le tredici colonie inglesi sono oggetto di una pesante tassazione da parte della madrepatria, che ha bisogno di rimpinguare le (1) statali svuotate dalla Guerra dei Sette anni. Di fronte a queste imposizioni, quali il Sugar Act, lo Stamp Act e soprattutto il Tea Act (che conferisce alla compagnia delle Indie Orientali il (2) del commercio del tè), i coloni cominciano a protestare proprio nel nome del principio che aveva ispirato le ribellioni del Parlamento (3) contro i sovrani: «no taxation without representation»; le colonie americane, infatti, non avevano alcun rappresentante al Parlamento di Londra. La questione fiscale, dunque, si trasforma in una questione politica: di fronte al rifiuto del governo di cancellare le nuove leggi, gli abitanti delle (4) cominciano ad armarsi, rivendicando la totale autonomia dall’Inghilterra. Scoppia così la Guerra di indipendenza che, grazie all’aiuto degli Stati europei e soprattutto della (5) , si conclude con la vittoria delle colonie. La Dichiarazione di Indipendenza, approvata dal Congresso di Filadelfia, fonda il nuovo Stato sui principi giusnaturalistici e illuministici della politica e ribadisce i (6) fondamentali dell’uomo. Ben presto, però, si presenta il problema della forma da dare alla confederazione: da una parte vi sono i federalisti (borghesia e grandi proprietari terrieri), che sostengono la necessità di (7) il potere centrale per garantire stabilità e forza al nuovo Stato; dall’altra gli (8) (ceti più deboli e piccoli proprietari terrieri), secondo i quali un governo centrale troppo forte avrebbe privato i cittadini delle proprie libertà. I lavori della Convenzione si concludono nel 1787 con la stesura di una che fa degli Stati Uniti una federazione: gli Stati conservano una certa autonomia (9) amministrativa, ma delegano importanti poteri a un sistema di autorità centrali, le quali esercitano le supreme funzioni legislative, esecutive e giudiziarie attraverso un sistema di (10) dei poteri e quindi di controllo ed equilibrio tra di essi. 88 © Loescher Editore – Torino Mostra quello che sai 7 Osserva le immagini alle pp. 76 e 77 e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, contestualizza gli episodi che sono raffigurati. © Loescher Editore – Torino 89