la fonte SETTEMBRE 2012 ANNO 9 N 8 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 “un giornale indispensabile per chi voglia conoscere l’Italia che si oppone agli scempi: la fonte – periodico dei terremotati o di resistenza umana”. (Barbara Spinelli, La repubblica 25 giugno 2012) la sovranità torni ai cittadini La crisi economico-sociale e la crisi di credibilità della politica possono compromettere le ragioni stesse della democrazia. Mentre la partecipazione dei cittadini alla vita democratica è condizione fondamentale per costruire un destino comune. Le prossime elezioni sono una grande opportunità per rigenerare il sistema politico, per questo è decisivo che cessi l’occupazione delle istituzioni da parte dei vertici dei partiti. Proponiamo che i candidati al parlamento, alla presidenza della regione, a sindaci dei principali centri e i nominativi del “listino maggioritario regionale” siano tutti scelti con le primarie dai cittadini. Chiediamo Istituzioni trasparenti e al servizio dei cittadini; la fine della stagione dell’illegalità, del clientelismo e del sottogoverno; il rispetto del territorio e dei “beni comuni” come grande investimento nel futuro e nelle nuove generazioni. Prime adesioni La fonte Libertà e Giustizia Libera Molise Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2012 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 la fonte Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 Redazione Dario Carlone Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone Web master Pino Di Lalla www.lafonte2004.it E-mail [email protected] Quaderno n. 87 Chiuso in tipografia il 26/08/12 Stampato da Grafiche Sales s.r.l. via S. Marco zona cip. 71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 40,00 ccp n. 4487558 intestato a: la fonte molise via Fiorentini, 10 86040 Ripabottoni (CB) camminare domandando Antonio Di Lalla Dal secolo scorso, che purtroppo ha visto due guerre mondiali, l’affermarsi di feroci dittature, i campi di sterminio per gli oppositori dei regimi, l’invenzione e l’uso della bomba atomica, le stragi causate dalla fame dovuta alla cattiva distribuzione della ricchezza, l’imporsi di un capitalismo onnivoro, il predominio di multinazionali, borse e mercati, per non citare che alcune delle tante nefandezze, da quel secolo abbiamo ereditato in positivo tre stelle polari, niente affatto divergenti, che segnano il nostro cammino e alle quali si rifà anche il nostro periodico: la Costituzione, il Concilio Vaticano II e il ’68. Della carta costituzionale, felice sintesi del pensiero liberale, comunista e cattolico, più volte abbiamo parlato per difenderla strenuamente dagli insani attacchi di arrivisti e qualunquisti che tentano di piegarla ai loro sporchi giochi di potere e il farci - oggi - promotori e sostenitori del movimento Libertà e Giustizia nel nostro Molise non è che la prova testimoniale del nostro attaccamento a quella carta. Il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 - 8 dicembre 1965), grazie alla felice intuizione di papa Giovanni XXIII che non temette di ritrovarsi ostacolato dalla curia e dai benpensanti, dai profeti di sciagura e dai difensori dello status quo, è stato un evento eccezionale che ha avviato un cambiamento irreversibile (è da idioti tentare di negarlo!) nella chiesa non più descritta come società perfetta ma lievito, sale di questo nostro mondo, avvertito fino ad allora piuttosto come nemico che come realtà da amare e fecondare proprio perché voluto dal Creatore. Per la prima volta nella storia un concilio non si riunisce per condannare, ma per svecchiare la comunità e farla camminare al passo con la storia. Senza di esso non è immaginabile cosa sarebbe oggi la chiesa cattolica né la società civile, data l’influenza che anche su essa ha avuto. A cinquanta anni dal suo inizio ne trattiamo esplicitamente perché noi siamo stati modellati da quelle istanze che oggi ci portano sulle barricate a difendere poveri e impoveriti, naturalmente sempre pronti a contestare ritardi e lungaggini, ma riconoscenti per l’impulso senza il quale non saremmo piromani ma pompieri. La riscoperta della laicità delle cose temporali restituì i cristiani alla società e la società all’impegno dei credenti. I non credenti ci perdoneranno questa irruzione, che non vuole essere puramente celebrativa, ma anch’essi sono chiamati a confrontarsi con un evento non certo secondario e senza il quale non ci si ritroverebbe compagni di strada con molti di noi. Fu una finestra aperta in una stanza che odorava di stantio, una boccata d’aria fresca e nuova destinata a far sì che niente fosse più come prima. Il fuoco che covava sotto la cenere tornava ad infiammare e riscaldare: i movimenti di pensiero a lungo perseguitati e repressi, anche con inusitata violenza, diventavano di dominio pubblico e molto apprezzati. Si fece di tutto, già mentre si svolgeva, per evitare che la bomba deflagrasse, ma la miccia oramai era accesa. Certo si dovette sovente scendere a compromesso e così idee nuove vennero giustapposte a quelle vecchie e fuori dalla storia, e se oggi tutti citano il concilio è proprio perché conservatori e progressisti possono trovarvi espressioni che supportano le loro idee, ma non è difficile cogliere la fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 differenza fra chi si rifà alla lettera e chi ne coglie lo spirito, fra chi cammina guardando indietro e chi cerca di andare oltre, perché un concilio è un punto di ripartenza. Già Paolo VI aveva sottratto al dibattito temi scomodi come il celibato dei preti, il ruolo della donna nella chiesa, il controllo della natalità. Con Giovanni Paolo II ha ripreso potere la curia vaticana e così veniva condannata la teologia della liberazione nata per dare voce e dignità al popolo crocifisso e i vescovi venivano scelti per fedeltà alle istituzioni più che al concilio. Con Benedetto XVI si è restaurata la messa preconciliare in latino e oggi si cerca nella traduzione italiana di cambiare il concetto di salvezza “per tutti” in “per molti”, nonostante che su 187 vescovi italiani solo 11 votarono a favore di questa traduzione (e questo ci fa capire quanto conta anche il parere dei vescovi in Vaticano!). Dopo la primavera siamo tornati all’inverno? Il rischio è grosso, perciò lottiamo e ne parliamo perché i fermenti conciliari ancora in atto in tutte le parti del mondo tornino a far fiorire quella primavera dalla quale prese alimento anche il nostro ’68. Il rinnovamento religioso non poteva non contagiare anche la società. E proprio dalle istanze del ’68 nasce la nostra passione per una politica al servizio della persona, la voglia del rinnovamento costante, l’abbattimento di schemi e pregiudizi, il rifiuto del “si è fatto sempre così”, la lotta accanto ai terremotati - intendendo con questo termine tutti coloro che vedono minacciati o non riconosciuti i loro diritti: dalle donne ai lavoratori, dagli immigrati ai nomadi, dagli omosessuali alle coppie di fatto, dai precari agli esodati -. Un frutto è questo modesto strumento che tutti i mesi avete fra le mani Con questi chiari e precisi punti di riferimento il nostro cammino, fatto di ascolto e di domande anche scomode, pur tra mille difficoltà, prosegue gioiosamente il suo corso, dandoci l’energia necessaria per batterci per una società a misura di persone. ☺ 20 3 spiritualità seguire la rotta Michele Tartaglia Leggendo in modo affrettato la storia del popolo di Israele nella bibbia, si ha l’impressione che, nonostante le molte infedeltà, la forma religiosa istituita sul Sinai sia stata quella dominante. In realtà la bibbia ci fa capire che l’applicazione della Torah non è avvenuta se non a causa dell’esilio. C’è un evento, tuttavia, che segna un vero e proprio spartiacque nella storia religiosa di Israele: il ritrovamento del libro della Legge ai tempi del re Giosia (fine VII secolo a.C.), poco prima della fine del regno di Giuda, raccontato in 2 Re 22-23, come l’evento che ha caratterizzato il regno di uno dei pochi re fedeli a Dio. Il fatto è questo: il re ordina di restaurare il tempio e, durante i lavori, viene ritrovato un rotolo della Legge di Mosè di cui non si sapeva l’esistenza e che riportava le norme originarie date sul Sinai e mai attuate. Il re capisce che tutte le vicende negative del popolo sono causate dalla non applicazione di quelle leggi. Il re Giosia, quindi, rinnova l’alleanza con Dio a nome del popolo e attua tutti i comandi scritti nella Legge, soprattutto quelli contro l’idolatria, vero peccato costante nella storia del popolo. Il racconto termina dicendo che ormai la riforma è tardiva e il popolo non scamperà all’esilio; tuttavia proprio questa riforma sarà la base per la rinascita dopo l’esilio, lutto in famiglia Interpreti anche dei sentimenti dei lettori che lo seguono con passione nelle sue denunce, formuliamo a Domenico D’Adamo le condoglianze per la morte della cara mamma. 4 quando la Legge di Mosè sarà l’unico riferimento identitario costitutivo di Israele il quale potrà sopravvivere nei secoli anche senza terra ed è in questo clima religioso più etico e spirituale che si innesterà la fede di Gesù e dei suoi discepoli che porterà alla nascita del cristianesimo. Il racconto ci dice due cose importanti anche per la nostra situazione ecclesiale attuale: innanzitutto ci ricorda che l’identità di una comunità non necessariamente significa fedeltà ai valori fondanti, come il popolo di Israele ha potuto per secoli ignorare la Legge di Mosè pur ritenendosi, come spesso hanno ironizzato i profeti, depositario della benedizione di Dio. Di conseguenza, e questa è l’altra cosa importante, la fedeltà autentica può richiedere un cambio radicale di rotta per essere conformi all’ideale originario. Un evento del genere, nella storia del cristianesimo, è avvenuto recentemente con il Concilio Vaticano II, durante il quale la chiesa cattolica ha avuto modo di riscoprire quella Tradizione sepolta sotto le incrostazioni del pensiero teologico del II millennio e soprattutto ha respirato una libertà di spirito che mancava dai tempi della cosiddetta conversione dell’impero romano, ai tempi di Costantino. Come Giosia si rese conto che dall’inizio della monarchia era stato tradito l’ideale originario del popolo, basato sulla giustizia, così la chiesa si è resa conto che lungo la storia ha troppo ceduto ai compromessi e ha cercato troppo spesso di assicurarsi il potere anziché vivere quello spirito di servizio a cui l’aveva consegnata Gesù Cristo. È vero, c’è stata una storia di santità in questo lungo tempo, come c’è stata durante la storia della monarchia di Israele quando fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 alcuni re santi e molti profeti hanno istintivamente vissuto lo spirito della Torah e denunciato i capi che lo tradivano, ma una comunità che tutta insieme e istituzionalmente si considerasse in ascolto obbediente della Parola di Dio, senza distinzione tra popolo e gerarchia e che sentisse l’urgenza di mettere sullo stesso piano la verità e la carità, l’insegnamento e la testimonianza, non si era mai data con questa consapevolezza, come è avvenuto nei documenti del Concilio. Possiamo quindi considerare proprio quest’ultimo Concilio, come il momento in cui la Chiesa rilegge un Vangelo ritrovato nel suo significato originario, quando un papa straordinario come Giovanni XXIII mette mano al restauro del Tempio di Dio, cioè la chiesa che stipula di nuovo l’alleanza con Gesù Cristo, impegnandosi a vivere fino in fondo quel comandamento nuovo che Gesù le ha affidato. La riforma è avvenuta troppo tardi, come ci ricorda il racconto biblico, per potere evitare l’esilio (la secolarizzazione e la fine dell’egemonia cristiana nella società) ma questo esilio non è stato sterile per la rinascita di un nuovo modo di essere fedeli a Dio, anche senza la terra della gestione del potere e dell’economia. Anche il Concilio, purtroppo, ha rischiato di essere rimesso nella soffitta del tempio e oggi, a cinquanta anni dal suo inizio forse si ha la possibilità di rileggerlo per seguire la rotta che esso ci ha indicato oppure può esserci la tentazione di seppellirlo definitivamente sotto una colata di parole inutili di commento e di distinguo che servono a rimandare quella riforma reale della chiesa che il Concilio auspicava. Non dimentichiamo, infatti, che appena l’anno prossimo un altro anniversario, molto ambiguo ci attende: i 1700 anni dall’editto di Costantino: quale di questi eventi segnerà il prossimo futuro della chiesa?☺ [email protected] glossario DON’T BE A MAYBE [pronuncia: donbì a meibì]. La scritta a caratteri neri campeggiava sul fondo bianco dei grandi tabelloni pubblicitari che costeggiano le strade delle città europee: in Svizzera come in Germania, nazioni in cui l’inglese si parla abitualmente, l’“asciutto comando” attirava l’attenzione dei pedoni e degli automobilisti. La perplessità non durava che una frazione di secondo: a seguire, un secondo candido tabellone riportava BE [pronuncia: bì] accanto alla gigantesca immagine di un pacchetto di sigarette di una notissima multinazionale. Terminava così, per un non fumatore quale lo scrivente, l’attesa di un messaggio che dalle premesse sembrava carico di aspettative. A tutti è noto che l’espressione citata è costruita su uno dei verbi essenziali della grammatica di tutte le lingue, il verbo essere, che in inglese è appunto be. “Non essere un può essere… sii…”: questa la traduzione letterale dello slogan pubblicitario, dove don’t introduce un comando negativo e may [pronuncia: mei] traduce il verbo “potere” nel senso di avere la possibilità; per completezza d’informazione faccio notare che la voce maybe [pronuncia: meibì], diffusissima sul piano colloquiale, è proprio la versione inglese del nostro “forse”. Nel messaggio pubblicitario la lingua inglese consente, a livello sia fonico sia grafico, un gioco di rime che nella versione italiana non si potrebbe rendere allo stesso modo in quanto be traduce i modi infinito (essere) e imperativo (sii), resi dall’identico suono. Non essere un “forse”! Confesso che il messaggio sotteso alla trovata pubblicitaria non mi ha lasciato indifferente: come mai, in maniera assertiva, ad un anonimo passante debba giunge- scelte meditate Dario Carlone re un ordine così congegnato? Al di là del mero contenuto di offerta di un prodotto di consumo, mi è sembrato di ritrovare in questa affermazione una delle direttrici (ahimè) che caratterizzano questo nostro tempo. La frenesia e la corsa sono dominanti e una delle qualità neglette sembra essere proprio l’indecisione. Siamo bombardati ormai da continue proposte commerciali che ci invitano, ad esempio, a cambiare la compagnia telefonica di cui ci serviamo entro un limite di tempo stabilito, pena la perdita di numerosi vantaggi tariffari; ci consigliano di stipulare contratti per la fornitura di energia con gestori diversi, nel giro di pochi giorni o addirittura ore; siamo spinti ad acquistare prodotti in offerta senza pensarci un solo minuto… Tante volte rifiutiamo perché non abbiamo il tempo di riflettere; non ci è consentita l’indecisione! Per non parlare delle offerte last minute, antidoto a pause e ripensamenti, che nel volgere di pochi secondi vorrebbero vederci schizzare, bagaglio fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 pronto, da un luogo ad un altro, noncuranti delle stagioni, dei climi, delle latitudini… “Forse”, parola che sembra scomparsa dal vocabolario degli anni 2000! Sono convinto che molti, come me, non sopportino i rinvii, i tentennamenti, i continui ripensamenti, e ancora le deroghe e le pause di certa politica nostrana, il ritardare qualsiasi tentativo di rinnovamento, il non assumere responsabilità chiare; credo però che una giusta dose di cautela, sia personale che collettiva, non possa che fare del bene. Dibattere, confrontarsi, scambiarsi pareri, fare previsioni, non sono tutte azioni ascrivibili alla categoria del “forse”, della riflessione pacata che alla fine partorisce la scelta? “Forse”: nella nostra lingua può significare poca cosa, ma nella lingua di Shakespeare maybe rievoca proprio il famoso e mai risolto enigma: to be or not to be [pronuncia: tubì or not tubì], essere o non essere! Amleto non rimane fermo, imprigionato dal “suo” dubbio. La sua è stata una scelta drammatica, motore della tragedia che ha reso immortale il principe di Danimarca, accostandolo simbolicamente ad ognuno di noi. Indecisi, incerti, perplessi come lui, ma umani, con tanti “forse” che dobbiamo accettare e comprendere senza restarne schiavi. Guardare però all’obiettivo è l’unica strada possibile… forse!☺ [email protected] 5 xx regione il pd nel pantano basso Si è molto scritto, in queste ultime settimane, del baldo Gianfranco Vitagliano, alter ego di Michele Iorio e autorevole interprete delle principali tresche del potere di centrodestra in Molise. E tuttavia La Gazzetta del Molise, che in quell'area politica vive e prospera, è riuscita a sorprenderci dedicando la sua terza pagina di sabato 4 agosto alla “galassia Vitagliano” e alle recenti gesta da lui compiute prevalentemente presso il Nucleo Industriale di Termoli, sito in Contrada Pantano Basso. Vitagliano viene posto al centro di un cosmo in cui brillano sei “stelle” della politica molisana, tre delle quali appartenenti inopinatamente al centrosinistra, che sarebbero state conquistate da Vitagliano con motivazioni ideali e programmatiche che vengono puntualmente esplicitate. In particolare, i tre eroi di centrosinistra risucchiati nell'orbita di Vitagliano vengono così dipinti: - “Vittorino Facciolla, sindaco PD di San Martino in Pensilis, contratto Co.co.co al Nucleo Industriale di Termoli di 100.000 euro lordi”; - “Francesco Totaro, consigliere regionale del PD, sponsor della manovra fatta al Nucleo Industriale di Termoli”; -“Paolo Frattura, candidato presidente del centrosinistra, che corre col pensiero tra la centrale a biomasse a Campochiaro e le nomine del PD”. 6 L'articolo della Gazzetta ci ha sorpreso, mentre la mancata reazione dei tre interessati, a tutela della loro onorabilità, ci ha indignati e ci spinge a porre qualche domanda. Il sindaco di San Martino pensa davvero che i suoi concittadini lo abbiano eletto per consentirgli di contrattare con Vitagliano, re di “Pantano Basso”, un posto al sole lautamente retribuito? Il consigliere regionale Francesco Totaro non teme che i suoi elettori possano reagire male al suo interesse a “sistemare” Vittorino Facciolla presso il nucleo industriale di Termoli perché vuole evitare che quest'ultimo possa candidarsi alla regione e porre fine alla saga familiare dei Totaro? Paolo Frattura non ritiene di dover fugare il sospetto che la sua legittima passione per le centrali a biomasse possa creare dei legami pericolosi con chi detiene il potere oggi (Vitagliano), ma anche un inaccettabile conflitto di interessi allorquando al potere ci dovesse andare lui? L'ultima domanda, la più importante, vorremmo porla al segretario regionale del PD, Danilo Leva: perché non convoca i giornalisti e, insieme ai tre personaggi della “galassia Vitagliano”, non smentisce le affermazioni della Gazzetta del Molise? Ovviamente i tre potrebbero non essere disponibili a smentire alcunché ma, in tal caso, a Danilo Leva non rimarrebbe che una soluzione: prendere una ramazza e fare un po’ di pulizia per evitare che il tanfo, generato da un intreccio trasversale fatto di interessi personali, familistici e aziendali, possa oltrepassare i confini del PD e del centrosinistra e am- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 morbare tutta la regione. Ma, com'è ovvio, Leva può rimanere inattivo se quello che per noi è tanfo per lui, e per i tre della “galassia Vitagliano”, dovesse essere un inebriante profumo di potere. ☺ Scipio olimpiadi Ogni quattro anni il gran raduno dei campioni dello sport: le Olimpiadi! Quest’anno nel cuore dell’estate sciami di atleti di ogni paese sono approdati una sera a Londra nello stadio sfavillante di luci, un gioiello incastonato di perle, un braciere di energie multietniche, giovani. La sfilata solerte dei campioni A portar competizione e pace. La fiaccola di Olimpia ha acceso i cuori. Kermesse di gare, sfide, abilità. Sul podio inni e bandiere per medaglie d ’oro, argento, bronzo. Attimi di gloria: la vittoria! Poi la fiamma olimpica spenta, i campioni son tornati ai loro allenamenti, mai stanchi di coltivar le loro passioni. L’eco resta delle loro imprese di un mondo speciale dove vince chi vale. Offrono guizzi di arditezza lo slancio di un gioco inebriante, creativo. Loro volano alto: gli aquiloni portatori di sogni. Lina D’Incecco politica Colpito in un occhio colpito nel cervello colpito nel culo colpito come un fiore che sta danzando Meravigliandomi per come la morte vinca senza fatica meravigliandomi per come si presti fede a stupide forme di vita Meravigliandomi per come il riso venga soffocato meravigliandomi per come il vizio sia così una costante Presto dovrò dichiarare la mia guerra alla loro guerra devo aggrapparmi al mio ultimo pezzo di suolo devo proteggere il piccolo spazio che ho creato e che mi ha permesso di vivere La mia vita non la loro morte la mia morte non la loro morte Questo posto, questo tempo, adesso faccio voto al sole/che ancora una volta riderò di cuore nel luogo a me perfetto per sempre la loro morte non la mia vita. Non so in che anno Bukowski scrisse questa. Una sfida alle tenebre, per me è un manifesto, un proclama, la sintesi di ciò che stiamo vivendo. Non credo di essere la sola a sentire questo spaventoso ruggire, mugghiare del potere. Gli assassinii del Sud Africa, la condanna delle ragazze russe, le accanite manovre degli americani per consumare la propria vendetta su chi è riuscito a gabbarli, sono le macroscopiche manifestazioni di un esercizio assoluto dell'autorità, una regressione medioevale, la visione aberrante del vassallaggio di una intera popolazione mondiale. ...meravigliandomi per come la morte vinca senza fatica... Si è spostato un asse sul nostro pianeta, sono cambiati gli equilibri, non è più necessario nascondersi dietro finti incidenti, la polizia spara nel mucchio e basta, e spara per uccidere. E i minatori del Sud Africa muoiono perché non possono sopportare oltre lo sfruttamento, perché non vogliono abitare dentro baracche fatiscenti, perché hanno voglia di vivere da uomini. La grande finanza, i potentati economici del pianeta, hanno necessità di il signor c. Cristina Muccilli riaggiustare le maglie della loro rete strappata dalla crisi e praticano tutti gli “aggiusta menti” necessari all'uopo senza remora al cuna. Il capitale, che per comodità chiameremo signor C., attua questa strategia “evolutiva” in vari modi e con mezzi diversi, da noi, per esempio, si serve di un governo composto da uomini strettamente legati al mondo dell'economia e si ammanta di un’aura di grande prestigio e competenza. E perché da noi non si usa violenza (questo è vero solo in parte)? Perché il Signor C. può ancora ottenere da noi risorse economiche, che altrove ottiene con lo sfruttamento brutale del lavoro, con metodi affatto trasparenti e di fatto ricattatorii. Ma in questo modo il signor C. produrrà un impoverimento troppo esteso, allora come farà a trarre altre risorse da noi? Semplicemente spostando altrove (terzo e quarto mondo) le sue attività ed i suoi mercati, ricominciando da una nuova, crudele ed innovativa, rivoluzione industriale. Il signor C. sa benissimo di avere ancora molto suolo da occupare e colonizzare e non sarà certo una (immortale) teoria ottocentesca a fermarlo. ...meravigliandomi per come il riso venga soffocato.. Per viaggiare indisturbato, il signor C. ha bisogno di una politica debole, incapace e collusa (a volte è lo stesso signor fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 C.) ma quando c'è di mezzo la tutela del suo spropositato pancione, la figura di riferimento politico non può che essere forte e rigida. E non può che partorire misfatti e leggi contro il dissenso. Quando ho sentito parlare per la prima volta della vicenda delle pussy riot e di tutto il (giusto) risalto che ha avuto sui nostri giornali e tv ho fatto uno strano accostamento con le carriere dei vari Guzzanti, Luttazzi, Grillo ecc. . ...meravigliandomi per come il vizio sia così una costante... "Per tutta la nostra carriera di cineasti abbiamo sostenuto la tesi che i mezzi di informazione americani spesso non raccontano ai cittadini le azioni più turpi commesse dal nostro governo. Ecco perché siamo profondamente grati a WikiLeaks per quello che ha fatto e applaudiamo la decisione dell'Ecuador di concedere asilo politico al suo fondatore, Julian Assange, rifugiato in questo momento nella sede diplomatica del Paese sudamericano a Londra" (comunicato stampa di Oliver Stone e Michael Moore). ...Presto dovrò dichiarare la mia guerra alla loro guerra... ☺ [email protected] 7 nel palazzo un nuovo assetto Michele Petraroia La conversione in legge del Decreto sulla revisione della spesa pubblica obbliga le regioni ad approntare una proposta di riordino amministrativo per le province entro il 2 ottobre, altrimenti sarà la Conferenza Unificata Stato - Città - Autonomie Locali a decidere in nome e per conto dei territori inadempienti. Contestualmente la legge n. 148/2011 ha sancito un nuovo assetto per il sistema delle autonomie locali col definitivo superamento delle comunità montane, il taglio degli amministratori comunali e la prefigurazione di gestioni associate dei servizi attraverso Unioni dei Comuni o forme consortili intercomunali. Per il Molise si impone l’apertura di una nuova fase istituzionale con la definizione di un modello amministrativo in linea con le leggi nazionali appena approvate e con la drastica contrazione dei trasferimenti nazionali. Se non si intende peggiorare ulteriormente la vita dei cittadini con soppressione di servizi essenziali e aumento vertiginoso delle tasse locali, serve approntare con immediatezza e pragmatismo, un assetto amministrativo innovativo, efficiente e partecipato. Sul punto ho protocollato una Mozione urgente che, prendendo atto del superamento della provincia di Isernia, pone fine all’esperienza delle Comunità Montane, scioglie consorzi e società provinciali non indispensabili, e individua in 17 Unioni dei Comuni, di cui n. 6 sul territorio di Isernia e n. 11 su quello di Campobasso, gli enti intermedi a cui delegare poteri, funzioni, personale e risorse. In aggiunta prospetto una cooperazione istituzionale rafforzata tra le Regioni Marche, Abruzzo e Molise, finalizzata ad una programmazione coordinata che candidi la Macro - Regione Adriatica ai finanziamenti 8 specifici previsti nel nuovo quadro di aiuti comunitari per il periodo 2014 - 2020. Con una simile opportunità si aumenterebbe il peso negoziale del Molise con i relativi vantaggi e non si rinuncerebbe all’autonomia regionale, fermo restando il mio convincimento che il nostro territorio avrebbe tutto da guadagnare e nulla da perdere in caso di confluenza in una Macro - Regione Adriatica già ipotizzata nel 1992 dagli uffici studi della Fondazione Agnelli. Approntare un nuovo assetto del sistema delle autonomie locali ci consentirebbe di non perdere tempo e soldi, in inutili impugnative della legge nazionale innanzi alla Corte Costituzionale, agevolerebbe il ridisegno di ambiti territoriali ottimali in cui garantire anche i servizi sanitari, scolastici, di trasporto pubblico locale e di funzioni di polizia locale, di pianificazione urbanistica e sviluppo. Con un riordino dell’unica provincia in 17 comprensori si potrebbe sperimentare una configurazione istituzionale valida anche in caso di costituzione di una sola re- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 gione tra Marche, Abruzzo e Molise, anticipando gli eventi ed evitando di sperperare le scarse risorse pubbliche nel tenere in piedi da anni Comunità Montane commissariate a cui non sono più demandate funzioni amministrative e prerogative gestionali. È evidente che alcune delle Unioni dei Comuni dovrebbero conservare le specificità previste per le aree montane così che le diverse condizioni orografiche ed i maggiori disagi dei residenti possano essere compensate dai flussi finanziari nazionali per la montagna, che oggi, per assurdo, in base a criteri ingiusti sanciti in Molise, avvantaggiano i territori più popolosi e più estesi che non sono quelli di montagna dove notoriamente risiedono meno persone. Sciogliere consorzi provinciali o società non indispensabili consentirebbe di risparmiare in spesa pubblica con la facoltà di non tagliare sui servizi essenziali di cittadinanza e orientare parte dei fondi verso investimenti produttivi o per la manutenzione della viabilità provinciale, comunale o delle tante strade interpoderali dissestate, di cui si avverte un gran bisogno. La fase di transizione istituzionale che stiamo attraversando vede tramontare il ventennio berlusconiano, finisce la Seconda Repubblica e si apre ad un doppio sbocco, da una parte la crisi della democrazia con una progressiva deriva autoritaria e dall’altra, quella auspicabile e per la quale ci battiamo, il ritorno alla partecipazione diretta dei cittadini all’amministrazione del bene comune perseguendo i valori della reciprocità, della coesione sociale, della solidarietà e della mutualità. Insieme possiamo uscire dalla crisi con una società in difficoltà ma più equa, accogliente, giusta, multiculturale e armoniosa. Per vincere una simile sfida non si può giocare in difesa dell’esistente, perché si è condannati a perdere, ma si deve osare, con proposte credibili di cambiamento improntate alla giustizia sociale.☺ [email protected] società la sfida del cambiamento Famiano Crucianelli La Fonte ha inteso aprire una riflessione sul concilio, meglio sul “concilio mancato”. In questi nostri tempi dominati dal chiacchiericcio politico e da una discussione sull’Europa tanto solenne quanto impotente, la scelta del giornale potrebbe sembrare una stravaganza. Ma così non è, quella straordinaria occasione di rinnovamento che la Chiesa rapidamente negò, molto ha influenzato il corso degli eventi e intreccia in profondità i problemi dell’oggi. In primo luogo penso alla decadenza e alla crisi della Chiesa medesima, sempre più un guscio vuoto, un sistema burocratico senza comunità, senza partecipazione, senza nuove idee e sempre in armonia con i poteri vecchi e nuovi. Ovviamente mi riferisco alla chiesa di Roma e alla gerarchia ecclesiastica, perché continua ad esistere, anche se con difficoltà, un’altra Chiesa, quella che vive nelle missioni, fra i diseredati e che non solo predica, ma opera nella solidarietà e nell’amore per il prossimo. Ma la grande difficoltà della chiesa evoca la crisi di un’altra potenza che è stata fondamentale, nel bene e nel male, per tutto il ‘900 e che nella sua faccia buona è stata decisiva nella civilizzazione del secolo che abbiamo alle spalle. La Politica è l’altro malato grave di questi nostri tempi. Giornali e televisioni sono strapieni di giochi, manovre, dichiarazioni, interviste dei tanti politicanti, ma ciò che si è perso è il cuore nobile della Politica, ovvero la Politica del progetto, dei programmi, dei valori e soprattutto la coerenza morale nei comportamenti. Si è disperso un patrimonio di idee e militanza che ha costruito la comunità e l’unità nazionale, che ha fondato i partiti democratici del primo dopoguerra e ha nutrito la nostra democrazia. La crisi della Chiesa e della Politica sono avanzate in parallelo, è così nella forma, nella rappresentazione scenica come nella sostanza. La chiesa non ha raccolto lo spirito innovatore e riformatore del concilio dei primi anni ‘60, non è stata capace di abbandonare i suoi riti, i suoi dogmi e ha così disperso la comunità, si è separata dalle nuove contraddizioni dell’individuo e della società. Non diversamente quei partiti di sinistra che dalla Politica avevano tratto la loro legittimità, hanno buttato alla fine degli anni ‘60 una grande opportunità per cambiare se stessi e la politica. Quelli furono anni di grandi movimenti nelle università, nei luoghi di lavoro e nella società, anni nei quali emerse un potente desiderio di libertà, di uguaglianza, di giustizia e di democrazia. I partiti chiusero gli occhi e restarono chiusi nei loro recinti e, quando Enrico Berlinguer nei primi anni ‘80 si avvide dell’errore e dei guasti, ormai era troppo tardi. Perché ciò è accaduto? Quali le ragioni che hanno impedito alla Chiesa, alla Politica, ai grandi Partiti di sinistra di accettare la sfida del cambiamento? Perché tanto miope conservatorismo? In realtà vi fu dapprima un’incomprensione di fondo, quando nei primi anni ‘50 né il Vaticano, né il grosso della sinistra si avvidero dei cambiamenti profondi nell’economia e nella società. Gli uni e gli altri ignorarono la forza pervasiva e totalizzante del nuovo capitalismo, non ebbero né l’intelligenza, né la volontà critica per affrontare le nuove contraddizioni di una società ipnotizzata dal consumo di massa. Quando poi i problemi, i bisogni per la loro evidenza e per i movimenti nella società si manifestarono e al mondo cattolico e alla sinistra e quando poi i gruppi dirigenti colsero la radicalità della sfida aperta e la necessità di un cambiamento profondo, essi scelsero di chiudere gli occhi e persero la sfida per rinnovare Chiesa e Politica, persero la guerra senza neppure aver iniziato la battaglia. Oggi paghiamo duramente gli errori di allora e degli anni che seguirono e la sensazione che troppa acqua sia passata sotto i ponti è forte, anche perché molti e radicali sono stati i mutamenti. La crisi economica che con la fine degli anni ‘70 iniziò come malattia endemica è, ormai, divenuta esplosiva e la crisi di certezze ha ormai investito tutte le cellule fondamentali del nostro vivere: dalla famiglia alla cultura del lavoro, dalla sfera sentimentale alle relazioni sessuali. Da qui l’importanza di riflettere sulla radice lontana dei nostri problemi, ripartire da quegli errori è fondamentale per guardare al futuro e per dare un senso all’incontro fra cultura cattolica e mondo della sinistra, diversamente come la storia lontana e recente dimostrano questi incontri si risolvono in inutili e dannosi compromessi di potere. ☺ [email protected] CAMPOBASSO fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 9 chiese il concilio è vivo Antonio Di Lalla A cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II è bene interrogarsi su come è stato recepito, soprattutto oggi che “la chiesa ha ripreso ad avere paura del proprio coraggio” (card. Kasper). Si sentono affermazioni che vanno da “il concilio non è stato ancora attuato” a “il concilio è superato”; da “il concilio è da cancellare perché non in linea con la tradizione” (lefebvriani) alla “necessità di un nuovo concilio” per affrontare i problemi sorti nel frattempo o semplicemente evitati allora. Giovanni XXIII voleva un aggiornamento della Chiesa, per Paolo VI fu un rinnovamento, certo è che è stato un avvenimento provvidenziale, probabilmente da accostare alle uniche due grandi riforme che ha conosciuto la Chiesa (Gregorio VII e Lutero). Non ha prodotto “definizioni”, non ha limitato gli orizzonti della verità inseguendo errori e pronunciando anatemi, ma ha scelto la strada propositiva spingendo in avanti. Il papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica in preparazione al terzo millennio (Tertio millennio adveniente), dopo aver ricordato che “la migliore preparazione alla scadenza bimillenaria, non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione dell’insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa” (n. 20), invita a un serio esame di coscienza sulla ricezione del concilio per vedere in che misura la Parola di Dio è divenuta ispiratrice dell’esistenza cristiana e la liturgia fonte e culmine della vita della Chiesa, se l’ecclesiologia di comunione si consolida a tutti i livelli e se la Chiesa e il mondo sono veramente entrati in un dialogo aperto, rispettoso e cordiale (n. 36). Ricezione La Chiesa di oggi è certamente ben diversa da quella preconciliare, è di gran lunga più accogliente e amica, e i meno giovani sono stati chiamati a vivere un salto qualitativo. La Bibbia è sempre più letta e meditata, divenendo punto di riferimento nelle scelte quotidiane; la nozione di “popolo di Dio” come vero soggetto storico e quella di “Chiesa come mistero” sono passate anche se non hanno avuto ancora adeguato sviluppo; alla liturgia vi è una partecipazione attiva 10 e consapevole; nelle comunità si ha la possibilità di esercitare il diritto-dovere di critica, una libertà prima quasi sconosciuta; la collegialità episcopale ha preso piede e la Chiesa è avvertita come comunità di chiese per cui faticosamente ma realmente assume forma autonoma nei vari continenti; si è superata la netta separazione tra chiesa docente che impartiva ordini e chiesa discente che aveva l’unico compito di eseguire; cresce la corresponsabilità di ognuno all’interno della comunità dei credenti; le altre confessioni cristiane, come le altre religioni, non sono più viste come depositarie di errori e pericolose per la fede, ma come arricchimento nella ricerca della verità; la gerarchia delle verità per cui non tutto all’interno del mistero cristiano sta sullo stesso piano è diventata un dato di fatto; è stata riabilitata la libertà di coscienza dentro e fuori la Chiesa; la Chiesa non è più percepita in forma piramidale con al vertice il papa, ma come una circonferenza il cui centro è Cristo; si va concretizzando la scelta preferenziale dei poveri rinunciando a ricchezza, potenza e privilegi. Limiti Ma è altrettanto indubbio che la Chiesa non riesce più a scaldare i cuori perché il primitivo slancio si è affievolito, la stanchezza nel cammino di rinnovamento si avverte forte, le resistenze alla piena attuazio- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 ne del concilio non mancano: la paura della modernità; l’istituzione che cerca di soffocare il carisma e la profezia; si è accentuato il primato papale proprio quando si avverte come una necessità la sinodalità; la curia romana che con le sue congregazioni non riesce a leggere sempre correttamente il mondo d’oggi; l’uniformità dei riti liturgici; la reintroduzione del rito antico; la collegialità che per i vescovi nelle diocesi non è vincolante ma discrezionale per cui tutto dipende dalla loro personalità; la revisione è più di facciata anziché ripensamento della sostanza. Attese La riforma del primato papale, chiesta nell’enciclica Ut unum sint, perché il vescovo di Roma non può governare da solo la Chiesa; la nomina dei vescovi, per evitare “sorprese” al cammino delle chiese locali, non può essere decisa all’insaputa delle comunità; un impegno attivo e dinamico del laicato; il celibato dei preti, meraviglioso e irrinunciabile, non può continuare ad essere impedimento per l’ordinazione di uomini sposati; il ruolo della donna nella Chiesa, dato che le è preclusa ogni ministerialità, è da ripensare; i divorziati risposati non possono rimanere per il resto della vita esclusi dai sacramenti; la contraccezione andrebbe finalmente discussa, ecc. Occorre un nuovo concilio per queste e altre questioni che emergono? “In questo grigio panorama ecclesiastico, un nuovo concilio rischierebbe di essere un Vaticano I bis anziché un Vaticano III. Quindi meglio impegnarsi a resistere per mantenere desto lo spirito del Vaticano II” (R. Giacomelli). Va preso sul serio, allora, l’esame di coscienza cui invitava papa Giovanni Paolo II per ripartire con nuovo entusiasmo e offrire al terzo millennio una Chiesa credibile al servizio del mondo. La buona o cattiva volontà di tradurre in pratica la fede cristiana e gli insegnamenti del concilio oggi dipendono anche da noi. Un fatto in ogni modo è certo: “Lo spirito del concilio non è spento annota Ortensio da Spinetoli - È vivo. Non cammina forse a fior d’acqua, avanza di nascosto, come il vento che non si sa donde viene e dove va, ma procede inarrestabilmente”. Non è questione di ottimismo, è consapevolezza che la speranza, anche se non poche volte indignata, è nostra compagna di strada in quest’avventura meravigliosa di testimoni del Crocifisso Risorto.☺ report A chi chiede, all’ottantasettesimo numero del nostro periodico, che cosa motivi la diffusione di queste pagine possiamo rispondere che la fonte ha la pretesa di segnalare “bisogni primari” negati, inevasi, insoluti: riassumerei così anche quanto emerso nell’annuale verifica di luglio, nel luogo simbolo del bisogno negato: la schiera dei prefabbricati dove vivono ancora, a Bonefro come in altri paesi con ostinata caparbietà Annamaria Mastropietro Ci rivolgiamo a lettori che bandiscono la politica marketing: candidati ridotti alla caricatura di se stessi, preoccupati di agghindarsi come prodotti di largo consumo, che banalizzano il linguaggio e i to e all’etica. Ce n’è per la chiesa cattolica, perché approfitti dei tempi che cambiano per abbandonare un linguaggio troppo spesso autoreferenziale, e per quegli intellettuali troppo codini e poco disposti a mettere da parte il loro narcisismo. Di fronte a cambiamenti epocali, quali quelli che stiamo sperimentando a livello sociale, culturale, religioso, cosa può un periodico di periferia? Impedire la formattazione del pensiero e favorire il dialogo ed il ragionamento. Per tutto ciò: si ricomincia! ☺ [email protected] ferragosto alcuni volti di coloro che fanno sì che questa rivista esista (Bonefro, 8 luglio 2012) del cratere, i terremotati del 2002. Nell’Italia ferita in quest’ultimo decennio da ricorrenti fenomeni sismici, per i molisani come per gli aquilani e gli emiliani, possedere una casa, sia essa più o meno modesta, è esigenza di autoaffermazione, oltre che risposta ad un bisogno primario; per costruirsene una o per conservarla molti sono emigrati, in passato. Perderla equivale a vedersi sottrarre l’universo dei valori faticosamente perseguiti nel tempo, rinunciare ad angoli di vita che rinviano ciascuno alla propria storia familiare, in una parola perdere la propria identità. Perciò ogni anno, con ostinata caparbietà, ci ripetiamo che la fonte risponde innanzitutto al bisogno, atteso con dignità ma ormai anche con rassegnazione, da dieci anni, dai terremotati del 2002 di riappropriarsi della propria casa. Ciò che muove tutti i collaboratori è la necessità di una informazione corretta; non si predilige un settore a scapito di un altro, perché la denuncia riguarda l’ordine dell’antropologia come quello della politica e anche della spiritualità. problemi. Ci rivolgiamo a giovani, e sono tanti, disposti a resistere al tentativo di essere omologati e anestetizzati da idee precotte. La fonte assume così - come è stato per altro rilevato - una funzione pedagogica di non poca importanza: vuole informare ma contemporaneamente formare, ha la pretesa di svolgere un ruolo educativo che ponga i lettori in condizione di confrontarsi con la realtà sociale e culturale del proprio territorio: leggerla criticamente, non subirla in modo acquiescente. Non si può essere neutrali di fronte ai cambiamenti profondi che investono ciascuno di noi, a partire dalla salute, dall’ambiente, dal lavoro, né tantomeno lasciarsi affascinare dall'industria culturale che "compra" i giornalisti di maggior grido perché scrivano articoli in favore della propria linea politica. Anche il superamento della separazione tra politica e religione è auspicato, perché l’obiettivo è il recupero di una laicità e il desiderio di una politica capaci entrambe di collegarsi organicamente al dirit- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 Anche oggi il sole tocca con dita bollenti uomini e cose. Gli zampilli che dissetano il mio giardino, già di prima mattina, sbriciolano l’acqua in un pulviscolo diafano che ruba i colori alla luce per farsene arcobaleni. Annuso questo alito di vento e questo pezzo di cielo che mi resta tra il bosco e le case lasciandomi avviluppare da nastri di silenzio, un silenzio sonoro fatto di gocce, foglie, grilli e voli leggeri. Il silenzio!… scelta necessaria di una comunicazione apparentemente negata, ma che intreccia dialoghi profondissimi alla ricerca mai compiuta di un senso. Non provo più rabbia per gli accadimenti che hanno travolto le nostre vite, ma dolore sì, sebbene ormai dolce come un canto di preghiera. Torna come un’onda che lambisce spiagge di ricordi, il cammino percorso insieme, le confidenze, i segreti, le cose per orgoglio non dette… Torna come un’onda senza riflusso che viene avanti, si dilata, cresce a dismisura annullando lo spazio e il tempo; ti percepisco nel tuo nonluogo dove non c’è passato né futuro, ma solo un istante eterno, un presente infinito. In fondo cos’è la morte se non rincontrare l’Infinito? Noemi 11 il calabrone siamo circondati Loredana Alberti Questo forse è l’ultimo scritto che mando, che potrò mandare: sono cambiate tante cose intorno a me, non so più a cosa e a chi credere e ciò incrina la mia identità, le mie facoltà di scelta. Non so se vale continuare questo “gioco” che da tempo è iniziato ma che solo negli ultimi due mesi mi è apparso nella sua totalità. So che siamo rimasti in pochi, in pochissimi e non so neppure se voi, amici lontani, siete come me o come gli Altri. Ecco, già mi sta prendendo la gola un senso di affanno e di inutilità, devo farmi forza e appellarmi ai tanti che non ho più, Nick, Flo, Simo. Voi che avevate capito, dove siete? Insegnatemi voi, tu Nick con il tuo sorriso complice ed arrendevole, tu Simo con la tua calma malinconica e tu Flo con l’ironia suadente. Devo essere il più normale possibile. Ma davvero questo è l’ultimo messaggio in bottiglia. Qualcuno di voi capirà? Qualcuno di voi borbotterà: le solite sciocchezze facendo spallucce? Qualcuno penserà ad uno scherzo banale di un’estate violenta e torrida? Vi prego, non ridete, non ignorate le mie parole, credetemi! Siamo circondati: sono arrivati silenziosamente, senza che ce ne accorgessimo, hanno divorato le nostre anime, si sono impossessati dei nostri corpi, facendone delle copie, vivono al nostro posto, in nostra vece ma non siamo noi; non abbiamo più passioni, sentimenti, siamo denervati. Ricordate il film di Don Siegel dove strani invasori dello spazio atterrano sotto forma di baccelli in una 12 tranquilla cittadina e a poco a poco occupano i corpi dei suoi abitanti? Fu considerato un film contro il maccartismo, asciutto, essenziale, senza effetti speciali, sottile nella sua ambiguità. Ebbene è successo, non so dirvi come, non so dire esattamene quando è cominciato altrove, ma qui da noi so bene quando ho avuto la sensazione di essere circondata da non umani, da alieni che ci dominano spinti, con freddo distacco, solo dal Potere. È così, non so se ci replicano nel sonno come i baccelloni di Siegel, so che i replicanti sono oramai ovunque: distratti, gelidi, privi di umana pietas, di vera amicizia, di vero amore. Usano parole stantie, formali: sono fra noi, sono il capoufficio, la persona che ci abita di fronte, il politico che ci parla di spread e non di come soffriamo e patiamo nella miseria. Possono anche piangere, cioè emettere liquido simile alle lacrime, ma non soffrono, non amano, non sono felici o infelici, sono solo altri da noi. E sono ovunque, anche fra i fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 nostri familiari, e la cosa si fa più inquietante. Per questo mi sono sottoposta ad una prova estrema, definitiva, che potesse smascherarli, per questo da due mesi sono qui rannicchiata in una casa che non mi appartiene, non ha alcun mio odore, nessun oggetto che sia mio, nessuna mia storia, non dormo oramai da molti giorni perché ho paura che si impossessino anche di me e che anche io mi possa svegliare senza passioni, senza amore, senza il calore di amicizia e altro: sentimento che ti spinge a vivere, ad essere insieme agli altri, a scegliere della tua vita. Ma non vedete, non sentite anche voi come tutto è cambiato? Accusiamo la crisi, la povertà, ma in realtà siamo circondati dall’indifferenza, dal disinteresse di finti umani che cercano di omologarci nella paura e quindi nella sottomissione, per obbedire a questa vita senza dignità e sentimenti, per potere dominare tutto il mondo umano. Sono rassicuranti ma gelidi, comprensivi nel dire, ma duri nell’agire e noi ci sentiamo frastornati, non più noi stessi. Per questo due mesi fa ho annunciato che stavo perdendo la casa in cui vivo, l’ho detto pubblicamente, la petite maison sarebbe scomparsa nel giro di un anno e sapevo che chiedendo aiuto pubblico e privato i veri amici, quelli che sapevano e sanno che il primo ottobre devo essere in tribunale e che un giudice dirà se avrò o no lo sfratto entro un anno, mi avrebbero riempito di cure, amore e sostegno. Molti diranno ma che vuoi che sia una casa? A parte il piccolo particolare che non ho i soldi per averne un’altra in affitto a Bologna, che non posso permettermi altro, la poesia e l’arte non pagano e non danno sicurezza, ma la casa per me, e voi amici miei lo sapevate e lo sapete, è pezzi, carne di vita, di amori, di passioni, di liti furibonde. I miei 56 mq hanno in ogni angolo la mia vita dal ‘73 ad oggi. Lì vicino al tappeto Ale ha compiuto i suoi diciotto anni e abbiamo festeggiato insieme alle sue amiche. Lì a sinistra, al tavolo giocavamo a Natale a mercante in fiera o mangiavamo la cicerchiata: finalmente insieme, finalmente felici facevamo festa, sulla parete di fronte dominava ancora un collage enor- il calabrone me con visi di attori che Alessandro, un amico di Campobasso, aveva composto. Lì Luigi, mio figlio, ha studiato, ha ripetuto alcune volte con me le lezioni; arrivava la notte verso le tre, sapendo che io vado a letto tardi, a portarmi i bomboloni che uscivano in strada Maggiore, i primi della mattina, da un forno preso d’assalto da giovani e meno giovani. Lì ho baciato, ho fatto l’amore, mi sono distrutta, ho pianto, ho voluto morire ed ho voluto vivere; è nella stanzina lunga e stretta che ho guardato i tetti e le stelle e i miei gatti andare per tetti sconosciuti; è sul soppalco che chiamo nido d’upupa o nido di ferro, dove passo le mie notti scrivendo e leggendo, lì ho lottato, parlato, portato avanti incontri, serate con poeti… con Gil soprattutto. Dove sei ora? Tu non saresti mai diventato un replicante. Lì dove si spalanca il primo raggio del sole arrivasti per farmi un’intervista borbottando: - Da te, quando vengo piove sempre -. Tuonò e subito dopo arrivò il sole. Sempre lì annichilita, rannicchiata in una poltrona chiamai Roberto perché mantenesse la sua promessa di parlarmi di poesia prima che cedessi alla morte. Salì con la sua barba candida, mi parlò e poi non mantenne la promessa, quando venne in ospedale lo chiamai nel dormiveglia traditore, mi carezzò. Lì ho scritto sceneggiature, spettacoli, ho visto uscire dagli angoli scene, personaggi, ho visto piangere e sorridere, vive, le mie parole, le mie poesie, le mie creazioni. Via de’ chiari era ed è il nido della mia vita. Ho chiesto sostegno, lettere pubbliche, appelli, certamente tutti i miei amici avrebbero risposto. Ed invece già tutto era stato trasformato, altrimenti perche la pasionaria amica che aveva scritto su di me parole bellissime, avrebbe risposto un vago dimmi dove devo firmare, e perché Cinzia, la bella, giovane esuberante poeta che mi ha sempre seguito, ha risposto dimmi, Ninì, che fare, stop. E il mio vecchio amico di Roma, quello che si era invaghito per un bel po’di tempo e che mi scriveva ogni giorno e si preoccupava di ogni mio colpo di tosse e che mi scrisse una volta - ho dedicato a te più tempo che a tutte le altre donne ed io e Prima (è lei l’unica di cui sono sicura oggi, ci no presi. sentiamo e ci diciamo come prima paroQueste sono le mie ultime parola - siamo circondate -, anzi è lei che mi le. Ieri sera tardi, per cellulare Prima mi diceva ridacchiando: - Non c’è speranza, ci ha fatto pensare a questo dominio di alieni) gli rispondemmo verso le tre di stiamo cambiando tutti con questa crisi notte “ma le altre erano tisiche?” dato di merda e questa povertà -. Ho taciuto, che a me forse aveva dedicato due o tre ho cercato di sentire fra i fili se qualcosa ore. di lei mi desse un segnale. No, Prima, la E il tenero Corteccia, (così lo sciamana, colei che ha riso e pianto con chiamo per scherzo) il mio amico dagli me, che ha scritto con me pezzi per un anni ‘80, quello che mi abbracciava sulle web giornale da ridere all’infinito mendune di Termoli per farmi capire quanto tre facevamo le inviate speciali per l’eera fraterno, quanto capisse il mio dolore state e parlavamo sempre dal “BARdi allora, risponde: mi dispiace, ci senATRO”! Prima no! Non voglio che dotiamo, a presto, lo sai che qui è aperto. mani mi dica per telefono con voce neutra, come mia sorella o altri familiari: Non è lui. Corteccia non è più lui! E l’amore di sempre, quello Non sai quanto mi d-i-s-p-i-a-c-e!con cui ho lottato una vita di spettacoli, Stanotte sono stata con gli ocsperimentazioni, con cui abbiamo messo chi aperti, ho guardato le stelle, ma mi soldi e speranze e pezzi di vita appassiosembravano tutte oramai occhi pronti a nata e artistica insieme? Dalla Grecia mi spiare. chiama dicendo, qui c’è vento, non c’è Vi prego, non dormite, credetecampo, come va? mi. Gli alieni sono fra noi, ci stanno Urlerei: ho il cuore a pezzi, sto divorando. E non avremo più, mai più andando in tilt e invece, sapendo che gli alcuna possibilità di sognare, amare, altri mi ascoltano, rispondo - bene, tutto ridere, piangere, soffrire. Non dormite bene -. Anche perché non so se i suoi mai più. Aiuto! ☺ [email protected] occhi hanno già quel puntino grigio ferro al centro della pupilla. Ve l’ho scritto? Un punto di ferro che brilla da solo ti fa capire se sono Loro. Ieri è arrivata mia figlia, aveva un bel vestito bianco e rosso, un bel rossetto; mi ha sorriso da lontano, quando mi sono avvicinata per baciarla si è ritirata. Lo fa spesso, non è abituata ai miei baci, ma ieri ho avuto paura, l’ho guardata nel fondo degli occhi, per fortuna ha sorriso e poco dopo ha avuto la sua bella risata che chiamiamo di gallinella. Oggi ci saranno lei e Luigi e temo di guardarli e di sentire Carla Llobeta come va? Ti stai abi“territorio de sueños” (territorio di sogni) tuando a vivere in colli2011 1,20 x 1 m na?- Capirò che li han- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 13 molisecinema dieci anni di qualità Federico Pommier Vincelli E dieci. Dal 7 al 12 agosto 2012 MoliseCinema ha tagliato il traguardo della decima edizione con un programma intensissimo di proiezioni, eventi e incontri che oltre al cinema ha dato spazio anche alla letteratura, alla musica, al teatro, alla videoarte. Non è facile di questi tempi fare iniziative culturali in Italia, forse quasi impossibile. Le risorse pubbliche si riducono drasticamente, quelle private sono carenti e sono tante le manifestazioni di qualità che non riescono più ad andare avanti. L’incertezza sui tempi e sui criteri di assegnazione rende ancora più arduo il lavoro di organizzazione e programmazione. In una situazione di oggettiva difficoltà il successo di MoliseCinema, che ha avuto il sostegno e la partecipazione della gente di Casacalenda e del Molise, è un piccolo esempio di come la società civile abbia le capacità per reagire alla crisi, anche se i “miracoli” non sono sempre possibili ed è assolutamente necessario che le istituzioni diano maggiore stabilità a progetti come questo. MoliseCinema ha consolidato la sua identità di festival dedicato ai nuovi autori e alle produzioni indipendenti e per tanti giovani registi e produttori è ormai diventato un punto di riferimento ineludibile. Anche quest’anno ha offerto al suo pubblico, sempre più ampio e appassionato, la possibilità di conoscere opere “nascoste” e poco distribuite e di discuterne da vicino con gli autori. Le 4 sezioni in concorso di corti, documentari e lungometraggi hanno mostrato una grande articolazione di linguaggi e tematiche. Si pensi ad esempio al bellissimo documentario vincitore della sezione “Frontiere”, Mare chiuso di Andrea Segre e Stefano Liberti, un film di grande spessore civile e artistico che racconta il dramma dell’immigrazione e denuncia quella aberrazione giuridica dei respingimenti in mare di cui purtroppo l’Italia è stata protagonista. Oppure a Giusva, il documentario di Francesco Patierno sul terrorista Valerio Fioravanti che ripercorre la storia della violenza politica degli anni ‘70. Al festival c’è stato 14 spazio però anche per la leggerezza di Mi manca Riva, la docufiction ironica e nostalgica di Giuseppe Gagliardi sul mondo delle figurine, e di alcune deliziose opere prime come I primi della lista, di Roan Johnson, Il paese delle spose infelici di Pippo Mezzapesa, Il mundial dimenticato di Filippo Macelloni e Lorenzo Garzella, e Qualche nuvola di Saverio Di Biagio, quest’ultimo film vincitore del premio del pubblico per la sezione “Paesi in lungo”. I due concorsi per cortometraggi (“Paesi in corto” e “Percorsi”) sono un punto di forza del festival potendo contare su un enorme numero di iscrizioni (quest’anno oltre 800 da più di 50 paesi del mondo) e su diverse anteprime mondiali, europee e italiane. Nel campo del cinema breve MoliseCinema “dialoga” con i più grandi festival internazionali con opere che arrivano direttamente da Cannes, Berlino, Sundance, Tribeca e Clermont Ferrand. Ha vinto il premio come miglior corto per la sezione internazionale l’ungherese Finale di Balazs Simony, con menzioni speciali al francese Les meutes e allo spagnolo Tabolulè. Tra gli italiani si è affermato Mobi di Michele Cadei, uno dei 5 titoli del Centro sperimentale di cinematografia presenti in concorso a Casacalenda. Inoltre una sezione del festival è stata dedicata al tema “cinema e calcio”, una all’animazione, una ai corti delle scuole, e una ai corti molisani proiettati in occasione della presentazione della Film Commission regionale alla cui nascita MoliseCinema ha dato un contributo fondamentale. Come eventi speciali del festival vanno segnalati l’emozionante proiezione di Cesare deve morire, con un affettuosissimo intervento di Paolo Taviani, l’incontro con Giorgio Capitani, maestro del cinema e della fiction, che ha ripercorso con umiltà e disincanto la sua grande carriera, il “film partecipato” girato durante i giorni del festival e che ha visto come protagonisti gli abitanti del paese che si sono espressi sul tema eterno dell’amore. E poi gli incontri con registi fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 importanti del cinema d’autore italiano come Antonietta De Lillo, Alessandro Piva, Francesco Paterno e con attori di qualità come Valentina Carnelutti, Salvatore Striano, Angelo Pisani, Katia Folesa, Lino Guanciale. Oltre i film, che sono i protagonisti principali del festival, MoliseCinema è un’arena di incontro e dibattito culturale dove le immagini si incrociano con i suoni e le parole. Ci sono stati concerti, spettacoli, mostre, rassegne di videoarte ed è stato per la prima volta aperto uno “spazio libri” dove sono stati presentati titoli di grande interesse come ad esempio Pane e pace di Antonio Pascale e Ritorno in Italia di Mary Melfi. Il festival diventa così un aggregatore di eventi e tendenze artistiche che crea valore per il territorio e rappresenta per il Molise, una regione storicamente affetta da isolamento culturale, uno stimolo al dialogo e all’innovazione. La decima edizione ha segnato anche un rinnovamento dell’associazione Molisecinema e della struttura organizzativa del festival, che è stata rafforzata da giovani competenti e motivati che hanno contribuito in maniera determinante alla riuscita della manifestazione e che saranno sempre di più i protagonisti di questa attività di volontariato civico e culturale. Un augurio di buon lavoro va anche all’associazione “Nuovo Cinema Roma” che curerà autonomamente la programmazione invernale dell’omonima sala di Casacalenda. A dieci anni dalla sua nascita la realtà di MoliseCinema ha già un bel pezzo di storia alle sue spalle e tanta strada da percorrere davanti a sé, come sempre all’insegna del motto “piccoli paesi, grande schermo”. ☺ [email protected] cultura San Lorenzo. Notte delle Pleiadi, grappoli di speranze infrante e sogni incipienti. Esco con un’amica che, pur tra le sue attuali difficoltà, mi presta un volto accogliente, ascolta e mi parla con una levità che è il sorriso dell’anima, mi sorprende con un regalo, un profumo dall’essenza floreale, quasi per dirmi che nei fiori è il colore della vita e che il colore della vita è prezioso e irrinunciabile. In modi diversi me lo hanno ripetuto gli amici cari che ultimamente mi sono stati vicini e mi hanno sollevato dal grigio della sfiducia, offrendomi tempo e cura e parole gravi o burlone alla bisogna e silenzi vivificati dalla condivisione di uno sguardo. Vero che ogni amico è un tesoro. Lo cantavano nel loro rock urlato e trash, così usano definirlo i critici esperti, i Queen, icone della musica leggera anni ottanta: “Friends will be friends, when you’re in need of love they give you care and attention. Friends will be friends, when you’re through with life and all hope is lost, hold out your hands cos’ friends will be friends right till the end”. Gli amici sono e saranno amici, perciò, quando ogni speranza è perduta stendi loro la mano, perché gli amici saranno amici fino alla fine. Mutatis mutandis, è proprio quanto affermava in tempi da noi ben più lontani Cicerone che nell’opuscolo di filosofia morale dedicato all’amicizia, riprendendo le parole del poeta Ennio, nega che la vita possa essere vitalis se essa non riposi nel mutuo affetto di un amico; prosegue quindi Cicerone nel suo consueto ritmo di prosa in cui si rincorrono simmetrie intrecciate di analogie e contrasti et secundas res splendidiores facit amicitia et adversas partiens communicansque leviores, cioè che l’amicizia fa più luminosa la buona fortuna e più lieve l’avversa, condividendola e così facendola anche propria. Partecipazione, riconoscimento, simpatia ed empatia soprattutto, questo è l’amicizia, e sacrificio spesso e tanta pazienza, sempre. Lo ricordava la volpe al piccolo principe biondo sceso sulla terra da un pianeta lontano mentre gli chiedeva di diventarle amico, avvertendolo che è quella dell’amicizia un’opera umana faticosa quanto mai, e quanto mai felice, però, perché, dice la volpe al piccolo principe: “Io non mangio il pane, e il grano, per me, è non voltarti amore Luciana Zingaro inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”. Ci guadagna il colore del grano l’amicizia, e il sapore del vento, anche se l’amico è lontano o non è più con noi. Quando penso all’amicizia le esperienze personali si confondono con gli ideali coltivati tramite la poesia, il cinema, la musica. Così mi vengono in mente gli incontri coi miei amici, le discussioni interminabili su una passione, dal libro alla politica all’amore, il segreto che non vede l’ora di farsi pubblico, il riso che sfuma in malinconia, il pianto che si traduce in battute mordaci, l’ineluttabile noia da spartirsi, almeno diminuisce, il mordi e fuggi di occasioni quotidiane che si declinano in attimi di bellezza dello spirito. E mi viene in mente Dante, l’“incantamento” che egli sospirava per sé e per i suoi amici Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, tale che quasi irretiti in una solidarietà fuori dal tempo potessero vivere sempre in un talento e in loro di stare insieme crescesse ‘l disio. Penso naturalmente alla cieca fiducia di Patroclo in Achille e all’energia furiosa di Achille al momento di vendicare la morte dell’amico diletto o ancora alla dolcezza di Eurialo e Niso, amici di un’amicizia tanto giovane quanto perfetta per simbiosi di sentimento e volontà. E mi canto in assolo De André, in nulla scontato, come suole, sospeso tra i “Come stai?” dei conoscenti di una serata leggera e “meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci tipo “Come ti senti amico, amico fragile, se vuoi potrò occuparmi un’ora al mese di fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 te”. E ricordo le zingarate dei quattro bischeri di Amici miei, belli di allegria e gioia, “perché nella rugiada delle piccole cose il cuore trova il suo mattino”, come scriveva Gibran. Stelle cadenti stasera non ne ho viste, capiterà nei prossimi giorni forse, ma poco importa, perché un pensiero da covare, un desiderio io ce l’ho: che gli amici, l’amicizia, siano sempre saldamente presenti nella mia vita, come fin ora è stato. Amicizia è la parola che assocerei per assonanza emotiva all’eternità, alla tenerezza, al tepore che non scivola via, al sentimento della certezza che liquida la precarietà e la vischiosità dell’esistenza. Dunque ti prego non voltarti amore e tu resta e difendici amicizia era l’appello sobrio e accorato di Vittorio Sereni ed è, credo, preghiera di noi tutti.☺ [email protected] 15 arte l’arte di giacomo colombo Gaetano Jacobucci L’arte di Giacomo Colombo nel 1718 incontra la spiritualità di Francesco Antonio Fasani, Il Padre Maestro, come lo chiamavano i suoi concittadini di Lucera (Fg). Seguendo le indicazioni del Santo lucerino Colombo espresse nell’Immacolata quanto di più alto uno scultore devozionale potesse imprimere. L’Immacolata di Lucera racchiude in prototipo la teologia francescana della Vergine dell’Apocalisse e della “Senza Peccato Originale”. L’impianto scultoreo, di grandioso effetto, sfocerà successivamente in rappresentazioni dello stesso soggetto addolcito dalla leggerezza del panneggio, da mappamondi e puttini svolazzanti, serpenti attorcigliati, come l’Immacolata degli Osservanti del Convento di Gesù e Maria a Foggia. È una sacra rappresentazione quella che inventa il Colombo tanto da sortire in un rinnovato gusto del sacro, che gli scultori successivi, specie nell’area molisana, imposteranno con un gusto raffinato di spaziale leggerezza e aerea vaporosità di linee e torsioni dei corpi. È più bella che mai Da un recente restauro la statua dell’Immacolata è ritornata dalla foschia del passato, nella resa cromatica del volto, che esprime al meglio dolcezza e stupore della Vergine. La testa dolcemente reclinata all’indietro e gli occhi fissi al cielo, rapita da visione celeste, accompagna dolcemente chi la contempla alla quiete e all’affidamento. La tradizione rimanda all’estasi del Santo di Lucera in preghiera davanti a questa immagine. Ricco è il panneggio, ripreso dalla foggia degli abiti d’epoca. I consueti colori delle vesti dai toni rosati e dal manto stellato di azzurro, secondo l’iconografia canonica, vengono esaltati dall’effetto della sopraveste fiorata, che in seguito sarà una guisa di dalmatica, leggera e avvolgente, serica e fluida quasi creata per esaltare il privilegio che racchiude. Il leggero e lezioso ancheggiare pare animato dallo spirito tardo barocco che lega quest’- opera alla migliore lezione di dinamismo declinante verso il rococò partenopeo. Il Colore simbolico Il simulacro si presenta come una maestà vestita di sole, posizione eretta su un corno di luna d’argento, tipico dello schema iconografico dei francescani. Il colore vivace, pieno, ricco, coinvolgente sul piano emozionale, viene usato in modi diversi, anche in funzione simbolica. La Vergine raffigurata con la mano destra sul seno e la sinistra implorante, atteggiamento di preghiera, si eleva su un globo appena accennato, schiacciando la testa dell’antico serpente, puttini riccioluti sorreggono giocondi l’aereo peso. I tratti somatici, la delicata bellezza e il morbido incarnato, uniti all’aristocratica gestualità e alla flessuosa impostazione formale, rimandano a tanti dipinti dei pittori contemporanei come Solimena, De Matteis e Vaccaro. L’effetto plastico di grande suggestione, con vibranti sbattimenti di luce e ombre, dei pieni e dei vuoti, messi in risalto anche dalla tremula luce delle candele accese, dovevano impressionare non poco il pio fedele. Il segreto di un successo Le sculture del Colombo hanno una chiara sensibilità e sottolineano la sua conoscenza della scultura in legno spagnola, dal gusto spiccatamente teatrale, dove il protagonista principale, il Santo o la Vergine, si protende verso il fedele implorante grazie e protezione. Hanno la medesima espressione declamante degli esperti oratori, come si evince dalle bocche semiaperte. Questo è un carattere stilistico ed espressivo abbastanza ricorrente nei personaggi del Colombo, e non solo. Nella composizione delle opere colombiane ritroviamo la persistenza del gusto della teatralità barocca, pur incastonato in un composto classicismo di fondo; si tratta di una teatralità vicina alla pietà e alla sensibilità del popolo, finalizzata a mettere in evidenza il prestigio dell’insegnamento della fede per raggiungere la salvezza. Colombo dimostra di conoscere la statuaria antica dell’arte classica; e lo fa nella riproposizione della tecnica scultorea tesa alla vibrante resa plastica del panneggio, della trama senza posa delle linee che descrivono le increspature dei tessuti colorati e febbrilmente mossi, quasi a porsi in gara con la stessa pittura.☺ [email protected] Ferramenta - casalinghi di Salvatore Angela tel. 0874 732384 Via XX settembre 185 BONEFRO 16 fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 mondoscuola ventaglio di intelligenze Gabriella de Lisio L’intelligenza non esiste. E Howard Gardner è lo psicologo statunitense, vivente, famoso in tutto il mondo per aver affermato che le intelligenze sono più d’una e meritano - specialmente tra i banchi di scuola, o meglio dietro alle cattedre - un trattamento assai diverso da quello fin ora ad esse riservato dalla maggioranza degli insegnanti. La teoria delle intelligenze multiple è infatti, senza essere nata con questo scopo, una critica serrata alla tesi secondo la quale gli uomini possiedono una sola intelligenza, per di più misurabile con strumenti psicometrici standard come quelli elaborati all’inizio del ‘900 negli Usa per prevedere il successo o l’insuccesso scolastico, nella convinzione che il potenziale intellettivo umano fosse determinato alla nascita, con poche o nulle possibilità di evolvere o incrementare nel corso dell’esistenza. La posizione di Gardner (ben sintetizzata in Educazione e sviluppo della mente, Erickson 2005) ammette la “convivialità delle differenze” di almeno sette intelligenze o facoltà (versate chi alla lingua, chi alla logica, chi alla musica, chi allo spazio, chi ai rapporti interpersonali e così via) che, compresenti in ciascuno di noi, si sviluppano in modo talvolta molto diverso l’una rispetto all’altra, a seconda degli stimoli circostanti, e collaborano alla risoluzione dei vari problemi quotidiani di fronte ai quali ci troviamo. Il difettaccio della scuola italiana (e non solo, se lo stesso Gardner tira le orecchie anche ai docenti americani) è di privilegiare le sole intelligenze linguistica e logico-matematica, che sono le uniche valutate nell’ambito dei test di verifica scolastica, ritenendo poco dotati quegli allievi che manifestano intelligenze ed inclinazioni diverse, alternative. Ammettere un ventaglio di intelligenze ha di per sé una ricaduta didattica e pedagogica immediata, poiché invita a riflettere su un modo diverso di impostare l’insegnamento, più attento a valorizzare le capacità proprie, peculiari, di ciascuno, senza mortificare quelle poco “allineate” perché non le si conosce nemmeno, non le si riconosce, non le si apprezza. Invita a riflettere sul modo balordo, e spesso poco limpido, con cui gestiamo il famigerato “orientamento in uscita” dalla scuola media verso quella superiore, quando badiamo più ai numeri che formano le sezioni e meno ai cervelli e alle sensibilità che riempiranno quei banchi; quando discriminiamo in modo razzista i “bravi” che spediamo al liceo e i “modesti” o i “fannulloni” che, con sufficienza, destiniamo a un professionale o, ben che vada, ad un tecnico. Ma quand’è che inizieremo a capire che ogni scuola ha la sua dignità purché sia presa sul serio? Quando ci decideremo ad ammettere che l’avanguardia di un laboratorio meccanico attrezzato non ha nulla da invidiare a un glorioso liceo classico? E che il sapere è sapere, non c’è un sapere di serie A (fatto per i figli di buona famiglia di certe nostre province) e uno di serie B? Invita anche a riflettere, tornando al ventaglio di intelligenze, sul modo in cui sono costruiti i nostri test di verifica delle conoscenze, delle abilità, delle competenze: un talento musicale non potrà dare il meglio di sé in un banale test a domanda, bensì nell’ascolto di un brano o nell’esecuzione dello stesso. Persino una competenza linguistica - così abituati come siamo a verificarla con carta e penna - ha bisogno di stimoli e problemi da risolvere in situazioni comunicative reali, ben simulate. Insomma, gli allievi devono essere messi in grado di affrontare problemi concreti e di mettere in moto - a seconda delle esigenze - questa o quella fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 “intelligenza”, questa o quella inclinazione, per allenarsi a risolvere problemi con il concorso di tutte le facoltà. La vedo male. E la vedo lontana, la nostra scuola, da questa impostazione dell’apprendimento come palestra che deve aiutare i ragazzi a muoversi con creatività e spirito d’iniziativa nel mondo, riuscendo a leggerlo con occhi competenti e preparati all’imprevisto. Però… è settembre. E ogni settembre è un ripartire con nuove energie, nuova progettualità, nuova fiducia che si può fare di più e meglio, che si può seminare il nuovo e crescere. L’augurio che quest’anno faccio ai miei colleghi è di rileggere o leggere Gardner, sicuro, partiamo da qui, anche per gustare la piacevolezza di una prosa svelta, garbata. E poi di tornare in classe con occhi e occhiali diversi, di tanti colori… almeno tanti quanti sono gli infiniti, nascosti potenziali dei nostri ragazzi. Intravedo un arcobaleno favoloso. Buon lavoro. ☺ [email protected] 17 società comunicazione e comunità Antonio De Lellis A cosa serve comunicare se la parola non è viva? La parola, infatti, non è soltanto strumento di comunicazione, ma spirito portatore di vita. La parola costruisce comunicazione e questa genera relazioni sane, fatte di confronto aperto, base di una comunità viva. Occorrono però alcune condizioni. La comunicazione dovrebbe essere sobria. Se il linguaggio è fondamentale per una corretta comunicazione bisogna subito dire che vi è un linguaggio sobrio, ma vi è anche un linguaggio invadente che supera i propri confini. La comunicazione dovrebbe essere in grado di generare. Il linguaggio può essere anche scorretto, sconnesso e parziale: non genera, ma distrugge. Per edificare occorre però una parola chiara, pulita, senza tentennamenti, che guidi l’ascoltatore al centro del messaggio da trasmettere. In qualunque comunità umana o famiglia, che goda di buona salute, si potranno notare l’impegno per una diretta, onesta e corretta comunicazione che genera comunione. Altro aspetto è il rapporto tra comunicazione e falsificazione. La parola menzognera, addomesticata, asservita agli interessi dei potenti è uno dei “sette vizi capitali” come riportato dal profeta Isaia: Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro (Is 5,20). In una società– mercato, come la nostra, anche il linguaggio è “sistema” e si rischia, adeguandosi, di diventarne parte acritica. Ogni sistema di potere genera il suo linguaggio e attraverso di esso soggioga le culture. La manomissione delle parole è l’arte del potere e chi lotta per ristabilire i giusti significati svolge la prima vera battaglia. Occorre una “bonifica” del linguaggio per scongiurare la manomissione Via Marconi, 62/64 18 delle parole. Anche attraverso le parole di questo giornale, allora, si può svolgere il compito fondamentale di “svelare” le parole a se stesse ed ai lettori perché ci sia chiarezza, trasparenza e le finalità siano chiare. Molto spesso la frammentazione della comunità è il risultato di una errata comunicazione che ovviamente non genera comunione. Questa disgregazione si compie attraverso, ad esempio, una strategia di semplificazione della realtà ed una strategia di spostamento del locus e del focus del problema. Esempio: quando fu lanciato l’allarme “zingarelli, lavavetri e bambini che chiedono l’elemosina ai semafori” era stato presentato pubblicamente il rapporto 2006 di SOS Impresa che stimava in 77,8 miliardi di euro all’anno il fatturato della mafia italiana: il doppio di FIAT ed ENEL, dieci volte TELECOM. Conseguenza: la lotta ai “fastidiosi” ha disgregato, mentre la lotta alla “mafia dalla faccia pulita” o alla “borghesia mafiosa” avrebbe unito. Con condizioni simili per una comunicazione “ecologica”, dovremmo tener presente che non si può prescindere da ciò che siamo! Dovremmo imparare un linguaggio coerente con la nostra natura o con le nostre scelte di vita. Faccio un esempio: da cosa si può notare la scelta cristiana? “I nostri linguaggi si sono normalizzati, le nostre azioni non hanno nulla di eccentrico, le nostre decisioni non hanno il soprassalto dell’ estro”. Agli apostoli, nel giorno di Pentecoste, la gente sbalordita diceva, beffandoli: “Sono ubriachi di mosto dolce”. Nessuno ferma per strada i cristiani di oggi per rimproverarli di essere “sbronzi”. Sempre Tonino Bello, diceva: “Occorrerebbe poi pensare al tema dei nostri compromessi col potere: quante volte la paura di perdere i privilegi ci blocca la profezia sulle labbra, se pur non ci rende complici di tante ingiustizie consumate sulla pelle dei poveri!”. E Ignazio Silone scriveva: “T’immagini tu il Battista offrire un concordato a Erode per sfuggire alla decapitazione? Ti imma- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 gini Gesù offrire un concordato a Ponzio Pilato, per evitare la crocifissione?”. Non c’è più il brivido della passione. Lo stesso capita ai militanti dei partiti politici anche di sinistra. Già Gramsci, in una delle lettere, scrivendo ai suoi compagni diceva: “Manca il brivido della passione”. E questa osservazione ci porta dritto ad una altro concetto, quello della parresia, l’essere diretti senza spirito di rivalsa o di gelosia o di invidia, ma per la passione della verità e della reciproca correzione fraterna. La parresia comporta anche l’essere necessariamente capaci di denunciare ciò che non va. Non siamo più una comunità perché la comunicazione rasenta il balbettio rispetto a temi fondamentali quali le ingiustizie che generano nuovi processi di impoverimento. Ci sta abbandonando il desiderio della costruzione del bene comune, che è prima di tutto una comunità viva, in grado di respingere i cancri della società quali la pigrizia e passività, miopia, assenza di senso critico, ingiustizie ed assenza di orizzonti di eutopia. Questi orizzonti comportano alcune linee direttrici “in comune”: il lavoro è una meta per tutti, ma non lo è la ricchezza; è possibile una vita per tutti rispettosa degli ecosistemi, beni comuni dell’intera umanità; la sofferenza va ascoltata e che non è una fragilità, ma senso profondo della vita; che la legittima ricerca della felicità è ciò che muove l’umanità verso spiagge aperte e pulite; le uniche armi che possiamo usare sono quelle delle parole e delle azioni nonviolente; la sicurezza non si ottiene con i manganelli, ma dando opportunità; una società sotto assedio è l’humus ideale per l’egoismo dell’opulenza; le vittime dei misteri delle stragi italiane hanno sete di verità e giustizia; l’apparire ad ogni costo è uno dei segni del potere e non potere dei segni; le logiche di potere devono essere sostituite da logiche di servizio; gli apparenti fallimenti, frutto spesso di umiliazioni, sono il lievito di una nuova umanità; la lotta non deve spaventarci, ma deve costarci; il sangue innocente farà rifiorire il deserto; la pace è opera di Dio e, insieme, azione dell’uomo. Non si ha comunità senza comunione e non si ha comunione senza comunicazione. È questo il nesso di unificazione della società umana.☺ [email protected] libera molise Intorno alla prima metà del mese di luglio scorso, alcuni cacciabombardieri Amx del 51° stormo, dispiegato ad Herat, in Afganistan, hanno bombardato massicciamente il “nemico” talebano. La conferma di tale attacco militare di guerra è venuta dalle dichiarazioni del comandante del contingente italiano nonché dagli inviati delle testate giornalistiche non solo italiane. Ebbene, quale la reazione dell’opinione pubblica nel suo insieme? Quasi nessuna, forse perché distratta dalle fatue e sciocche trasmissioni radio-televisive o perché indirizzata, senza che ne possa comprendere il filo interpretativo, sull’onda delle notizie ogni giorno più scioccanti e pessimistiche dello spread, del default, della crisi economica, questa, sì, in carne ed ossa! Sulla guerra, dunque, soltanto una silente indifferenza ed una colpevole ipocrisia, che l’uso distorto o illecito delle comunicazioni alimenta. Prendiamo un esempio, quello del falso massacro di Racak, in Albania - 15 gennaio 1999 - durante il conflitto fra i kosovari e i serbi - 26 aprile 1996/10 giugno 1999 -, dove sono stati trovati una cinquantina di cadaveri, che non erano affatto i tragici resti di una esecuzione di massa di civili innocenti - ad opera dei serbi belgradesi -, ma il frutto di una sceneggiata allestita dall’Uck, che in quel periodo godeva di un ampio sostegno internazionale, delle diplomazie di molti paesi e dei loro servizi segreti. Incolpare i serbi di gratuito “eccidio” e invalidare i colloqui di Rambouillet (presso Parigi, 6 febbraio 1999, i serbi e i kosovari si sono incontrati per raggiungere un accordo che mettesse fine al conflitto civile e indicasse la strada della soluzione che prevedeva la concessione dell’autonomia amministrativa del Kosovo e non l’indipendenza dalla madrepatria Serbia), colloqui grazie ai quali si poteva immaginare una soluzione pacifica dei conflitti fra i kosovari e la madrepatria serba - Belgrado -, è stato non solo facile ma è apparso come uno strumento che ha giustificato l’atteggiamento ostile delle diplomazie occidentali verso Belgrado e la sua politica di mantenimento del Kosovo in seno alla “piccola” Jugoslavia, ossia la Serbia. In una notte una cinquantina di corpi di combattenti e di civili uccisi negli scontri con le milizie serbe sono stati messi nelle fosse di Racak ed è ipocrisia e guerra Franco Novelli stato fatto credere che quei cadaveri fossero stati uccisi dai serbi. In effetti, è molto difficile frenare la deriva civile che si fonda sull’ipocrisia: ipocriti sono gli stati e i loro governi, che mentono sulle vere ragioni dei conflitti armati e ipocrita è la gran parte della società civile (la “massa grigia”!), che, pur di essere in pace con se stessa, mente accettando le varie argomentazioni ufficiali che predispongono gli animi all’inerzia, all’accettazione passiva di quanto viene dichiarato dai mass media (ricordiamoci della provetta - con l’urina - e delle bustine - con il borotalco - di Colin Powell, segretario di stato sotto Bush, in occasione dello scatenamento del feroce conflitto bellico contro l’Afganistan e Saddam Hussein). L’ipocrisia è la ricerca della normalità e oggi, in una situazione così particolarmente delicata dal punto di vista economico, le persone pretendono la normalità della vita, non vogliono pensieri o preoccupazioni, e la guerra, purtroppo, fa parte di questa quotidianità nella quale si fanno strada la deroga e l’abbandono di qualsiasi altra idea, pur eticamente elevata e civilmente necessaria. Questa normalità è segno di grande smarrimento civile ed etico e così ci rendiamo conto che l’ethos e il pathos politico-ideologico di qualche decennio fa sono soltanto ricordi. Altro esempio rilevante potrebbe essere quello relativo alla figura del “soldato”, utilizzato non più soltanto nelle missioni di guerra nel mondo ma anche per l’ordine pubblico in Italia, cosa che ce lo fa apparire come un soggetto che ormai fa parte della quotidianità di una città né più né meno che come un vigile, come il tram che ci porta allo stadio, quindi come parte di un arredo cittadino che abbiamo accettato quasi subito soltanto con qualche sporadica contrapposizione, diciamolo pure, ad opera dei soliti “rompi-coglioni” civilmente impegna- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 ti a riflettere sulle modificazioni economiche, giuridiche e comportamentali che riguardano la nostra società. In questo modo finiamo di comportarci - e non ce ne rendiamo conto nemmeno! - come quell’animale kafkiano che si scava la tana, pensando di difendersi dagli altri che lo molestano, cementandola dall’interno con il suo stesso sangue e finendo in questo modo con il rifiutare ogni contatto con gli altri, con il mondo esterno.☺ [email protected] È in uscita un'edizione più moderna della Bibbia, edita Mondadori. Talmente moderna che... … la ricostruzione del tempio di Gerusalemme è affidata a Bertolaso. ... i Re Magi seguono il TomTom. ... Adamo ed Eva si son conosciuti su Facebook. ... i Romani comprano la croce all'IKEA. ... i 30 denari saranno intascati da Anemone. ... non convince la casa di Giuda a Montecarlo. ... nelle tavole della legge c'è il processo breve. ... il peccato non è originale, ma un tarocco fatto a Prato. ... Mosè ha i 10 comandamenti scritti sull'iPad. ... la terra promessa è tutta edificabile. ... Barabba è difeso da Ghedini. ... Maria dice di esser rimasta incinta a sua insaputa. ... Gesù intesta i suoi miracoli al fratello per non finire sulla croce. ... le crune degli aghi sono allargate con una legge ad personam. ... la torre di Babele è la sede del PD. e non finisce qui 19 economia fiducia e incertezza Marco Ianniello E’ l’incertezza il male che attanaglia l’economia nella sua globalità internazionale e che ha prodotto una rallentamento nei consumi e negli investimenti, una paralisi nelle transazioni finanziarie e nei sistemi creditizi, una recessione in termini di economia reale e disoccupazione. Non è stata, però, l’incertezza ad aver innescato l’attuale Crisi ma è stata l’incertezza ad averne prolungato gli effetti dal 2008 ad oggi, sia in termini di profondità sia di durata. Ora tutti possiamo renderci conto del prezzo che stiamo pagando per questa prolungata incertezza e, di converso, dobbiamo attribuire altrettanto valore alla fiducia come elemento essenziale per un fluido funzionamento dei sistemi economici. Nel passaggio dall’economia reale a quella finanziaria sono stati fatti molti “atti di fede”. La finanza è stata l’acceleratore dell’economia reale sostenendola con nuova moneta per nuovi investimenti, proteggendola con contratti specifici per controllare inflazione e prezzi di materie prime essenziali, avvicinandola ai mercati regolamentati per raccogliere fondi necessari per il proprio sviluppo. Quando si parla di leva finanziaria (o leverage) si vuole sintetizzare proprio quel “potere magico” della finanza di creare liquidità immediata (debiti) a fronte di valori statici ed immobilizzati (garanzie). A chiudere il cerchio dei debiti e delle garanzie, per ben dire, è imprescindibile la redditività ossia quella capacità di creare utili e futuri flussi di liquidità in entrata, tali da remunerare i capitali investiti, sia propri che a debito, ed estinguere progressivamente i debiti 20 stessi. Così tutto funziona, e gode sia l’economia reale sia l’economia finanziaria. Ma cosa succede quando viene meno la redditività? L’impresa non è più in grado di creare quegli utili, perde quella liquidità in entrata, e non è più in condizione di rimborsare neanche i propri debiti che sebbene prima l’avevano tanto aiutata ora vengono rinnegati e maledetti. In questo primo stadio, la finanza non ha più fiducia dell’economia reale e successivamente si arriva al punto (pericoloso) in cui la finanza non si fida nemmeno più di se stessa. Da acceleratore benefico, ora la finanza è un nemico in casa e per molti è anche il capro espiatorio soprattutto quando non si sa a chi dare la colpa. Semplificando, tutto si regge su pochi pilastri che non sempre sono sufficientemente solidi e quando viene intaccata quella fiducia necessaria, la fiducia stessa li fa presto crollare. Allora nessuno più si fida dell’altro e tutti cercano di detenere i soldi in forme liquide o a breve scadenza per stare tranquilli ma senza pensare, o sapere, che anche i soldi sono i primi veri figli legittimi della finanza. Tutto nasceva nel 1959 con il sistema monetario del Gold Exchange Standard (Bretton Woods) che stabiliva la convertibilità di tutte le monete (divise) internazionali con i dollari statunitensi che a loro volta avrebbero mantenuto una convertibi- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 lità prestabilita con l’oro (cambio fisso di 35 dollari per 1 oncia d’oro). Quando poi nel 1971 fu abbandonato questo cambio fisso dollaro/oro per favorire l’economia e la liquidità in circolazione, allora si era già entrati in un sistema completamente basato sulla fiducia. E anche per l’Euro il rapporto tra circolante e riserve auree - detenute dalla BCE e dalle Banche Centrali dei paesi dell’Eurozona - non è a pareggio. Insomma la finanza, con il suo potere magico e moltiplicativo, non è solo quella di cui si sente parlare in TV che può sembrare distante da noi e dalla nostra quotidianità: la finanza parte proprio da quei soldi (sempre di meno…) che abbiamo in tasca, i quali valgono solo se convertibili in once d’oro, altrimenti rimangono dei semplici pezzi di carta disegnati con ponti colorati o con facce del passato, privi di valore intrinseco. Con ciò non si vuole creare panico o diffondere ulteriori preoccupazioni, perché anche se nel mondo intero ci fossero tante riserve auree a copertura di tutte le divise in circolazione, quell’oro non riuscirebbe mai a rimborsare tutti i debiti creati dalla bacchetta magica della finanza. Quindi a preoccuparsi davvero dovrebbe essere soprattutto la finanza stessa. E’ bene concludere, però, osservando che la finanza ed i mercati sono solo degli strumenti a nostra disposizione, sono un mezzo e non un fine da utilizzare con misura ed equilibrio e pertanto non sono i colpevoli di niente. I veri responsabili sono sempre coloro che li usano in modo distorto e chi glielo consente. ☺ www.trendintime.com leggo la fonte perché è meglio l'erba del vicino che i vicini di Erba lotta e contemplazione un filo di vento la bellezza del creato Giulia D’Ambrosio Rosalba Manes “Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oUna soluzione alla crisi che non tiene conto del cuore, temo proriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato… lo pose nel prio che non possa arrivare. “Così come un insieme di foglie in una foresta giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen non trasmettono movimento finché non arriva la brezza che le sfoglia. Cioè 2,8.15). Il secondo racconto della creazione ci presenta l’uol’anima, lo stato del sentimento” - come dice Roberto Mussapi, poeta e mo come coltivatore e custode del giardino di Dio. Il giardiscrittore - le foglie non sono percepibili se non mosse da un “filo di vento” no è l’immagine della vita che l’uomo riceve come dono, così come le idee, senza una relazione col cuore, con la passione non riescocome dono è la terra che il Signore promette a Israele dopo no a farsi vive. il peccato. Il dono di Dio è quindi lo scenario in cui l’uomo Quante parole di economisti, uomini di governo, rappresentanti vive e respira: il creato. dello Stato sono foglie ferme di una foresta inerme. Se davvero ci fosse un Questa realtà affidata da Dio in custodia al suo grande ideale da raggiungere, non un solo filo di vento ma un uragano muopartner nell’alleanza appare però - soprattutto nei mesi estivi verebbe le coscienze sradicando il primato dell’economia per restituire in cui assistiamo al moltiplicarsi degli incendi dolosi - deturall’uomo i diritti umani ottenuti a fatica. pata, sfruttata, esanime. Non viene custodita. I reati ambienIl successo di tante imprese è nato su un sogno, perseguito con tali si sono moltiplicati a dismisura perché i reati contro l’uocaparbietà e dedizione. Spesso con l’orgoglio di chi non chiede allo Stato, mo sono aumentati. ma contribuisce al benessere del Paese con la forza delle idee, con la passioTra i martiri del Vangelo oggi contempliamo i ne per il lavoro. L’Italia è il paese delle microimprese ed oggi questo viene “martiri del creato”, uomini e donne sedotti dalla Bellezza visto come un tratto negativo. A mio avviso è vero solo in parte, perché che lottano contro la cattiveria di chi vuol cancellare dal cocaratteristico di una realtà economica estremamente variegata e ricca di smo ogni traccia di bellezza per sete di denaro. spunti originali. Piuttosto, per ripartire avremmo bisogno di un sistema fiNon rubateci la bellezza, non sbarrate ai figli una scale sopportabile dove tutti pagano le tasse e in cui le volpi delle grandi via d’accesso al Padre! Un tempo gli uomini conoscevano imprese non possano ogni volta organizzare i loro blitz attraverso furbi e questa verità: “dalla grandezza e bellezza delle creature si quotati commercialisti senza scrupoli, o concordati con le banche. Alla fine contempla il loro autore” (Sap 13,5) e, chiamando la terra a pagare siamo proprio noi “i piccoli”, i portatori d’acqua. Il dramma vero “madre”, si ricordavano di non essere orfani e di essere tra però arriva quando competere col mercato “libero” diventa frustrante, perloro fratelli. ☺ ché nessuno si sofferma sul vero problema di questa catastrofe. [email protected] IL LAVORO RUBATO, sì rubato a tutti noi, che è stato spostato dove un essere umano non ha nessun tipo di diritto se non quello di vivere come una bestia. Molti di noi si ritroveranno inghiottiti da questa assurda spirale inarrestabile. Scatto d’autore di Guerino Trivisonno Chi potrà dovrà pensare ad una scialuppa di salvataggio dove rifugiarsi, perché la grande onda arriverà. Coloro che avranno la forza di resistere, quando tutto riprenderà, avranno grandissime opportunità, ma non sarà facile e lì dovremo puntare i nostri sforzi. Perché, non so tra quanto ma... il sole ritornerà anche se nulla sarà più come prima. Intanto vorremmo gentilmente riprenderci il diritto di essere cittadini che scelgono il loro governo. Fissiamo noi le regole, una volta per tutte, mandando all’aria la mediocrità degli incapaci prestati alla politica. ☺ Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero. Palo eolico morto. Possibile che del creato continuiamo a non capire un tubo? fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 21 spazio giovani il viandante Mara Mancini Le parole di quel libro gli fanno eco nella mente: sarebbe bello poter scivolare sulla superficie del mondo per tutta la vita, volteggiarci sopra senza mai rompere il ghiaccio… ma così ti perdi il meglio. Bisogna rompere il ghiaccio. Bisogna sprofondare, immergersi. Non ci si può limitare a pattinare in superficie, andare e venire, come se niente fosse (Emily St. John Mandel, La musica delle parole). Immergersi nel mondo, sprofondarci dentro… sente brividi solo se ci pensa. Ha paura del mondo, del tempo che passa, della realtà instabile, mutevole e sfuggente in cui vive. Ma Seneca, filosofo latino, sosteneva che la vita non è breve: siamo noi a renderla tale. Conviene accettare il consiglio di un certo Lorenzo de Medici: chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza! Una realtà come quella rappresentata dal barocco attraverso le immagini che lo rattristano di più: il vento, l’acqua che scorre, le ombre, le rovine, le catastrofi, i teschi, i fiori appassiti, gli orologi. Triste ha un’etimologia ignota, da qualcuno collegata al ceppo anglosassone threostru che significa tenebre: sarà perché chi è triste non riesce a vedere la luce? Don Tonino Bello ha scritto che la vera tristezza non è quando, la sera, non sei atteso da nessuno dal tuo rientro in casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più vera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio. Quando pensi, insomma, che per te la musica è finita. E ormai i giochi sono fatti. 22 E nessun’anima viva verrà a bussare alla tua porta. Vittorio Alfieri nella seconda metà del ‘700 rievoca la tragedia di Saul, un uomo completamente solo, abbandonato anche da Dio. Il peccato di Saul è il suo rifiuto di accettare la propria “umanità”, il proprio destino di uomo consegnato al trascorrere del tempo e della morte. Si ha paura della morte quando non si vive al massimo, quando la vita non va come si vuole. E allora si desidera che il tempo raddoppi, triplichi, sperando che le cose col tempo miglioreranno. L’unico rilancio è di cambiare la vita prima che sia lei a cambiare lui! In lui si sta plasmando lo stesso peccato di Saul. Si sente un viandante, uno di quelli che viaggiano, visitano e cambiano strada per poi ripartire di nuovo. Uno straniero, un forestiero. E non solo. Ti sei mai sentito come una busta di plastica trasportata dal vento, che vuole ricominciare tutto da capo? Ti sei mai sentito sottile come un foglio di carta, e come un castello di carte, ad un soffio dal cadere? (Traduzione di Firework, Katy Perry). Ecco, lui si sente così. Ciò nonostante è un idealista e crede nelle cose vere, nel lieto fine, nei miracoli, o forse ci spera soltanto. Associa alla parola vivere un significato profondo, ma non sa metterlo in pratica: non vede solo persone che lavorano, che fanno sacrifici, che studiano, appena licenziate. Immagina anche chi decide di mettere da parte la sua vita per un po’, di non pensare alle lancette dell’orologio che corrono veloce. Immagina chi si sdraia sull’erba a guardare le stelle, chi resta sveglio a fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 guardare l’alba. Immagina chi si gode la vista del tramonto dal mare, chi si diverte a giocare a palle di neve, chi ama le improvvisate. Immagina chi corre sui prati, si ferma a raccogliere fiori, chi torna per un po’ bambino o chi in fondo non ha mai smesso di esserlo. Nella vita, quella vera, c’è sempre tanto traffico: rabbia, emozioni, tristezza, gioia, dolore, angoscia, delusione, gelosia, piacere. E fra le strade della vita, quella vera, il semaforo manca sempre. Ecco anche il motivo per cui non bisogna essere da soli! Anche se la vita non è un film, dobbiamo cercare di vivere al meglio, e poi certe cose succedono nei film perché qualcuno le fa nella realtà (Alessandro D’Avenia, Cose che nessuno sa)! L’impatto con il mondo è sempre forte per chi vorrebbe solo farne parte: un conto è la vita che imposta il suo gioco, un conto è averlo capito. È dura non essere al sicuro per avere tutto quel bisogno di futuro. A mia volta mi fido del mondo, non ti dico le botte che prendo: non c’è modo di starsene fuori da ciò che lo rende tremendo e stupendo! A mia volta non smetto di andare, anche se non si sa ancora dove: quello che conta è sentire che vai. A parte che gli anni passano per non ripassare più, c’han concesso solo una vita, soddisfatti o no qua non rimborsano mai e se ti accontenti godi così così. Ogni passo è una scelta, ogni passo fa l’impronta... Cosa pensi di fare, da che parte vuoi stare? Niente paura, il meglio deve ancora venire! (Luciano Ligabue) E lui, proponendosi di cambiare, di fare di più per se stesso e per gli altri, ogni tanto se lo ripete come formula incoraggiante… ma sì, il meglio deve ancora venire.☺ [email protected] ambiente Leggendo alcune delle notizie pubblicate di recente su alcuni quotidiani che riportano informazioni/visioni superficiali e/o distorte della realtà non possiamo fare a meno di parlare di uno degli amici dell’uomo che è entrato nel profondo della nostra cultura, è conosciuto da tutti e rappresenta l’uccello cittadino per eccellenza: il Piccione o Colombo. Il rapporto uomo-piccione si perde nella notte dei tempi, a circa ottomila anni fa, essendo uno dei primi uccelli ad essere stato addomesticato ed è da sempre stato simbolo di amore, di fedeltà, dalla colomba della pace allo Spirito Santo. Esiste quindi una nostra predisposizione quasi innata a essere benevoli verso di lui anche se oggi è ritenuta una specie “problematica” essendo molto prolifica e confidente. I media che parlano di Piccioni tendono, di solito, a sottolinearne la pericolosità per la salute umana, con toni troppo spesso apocalittici. Occorre invece essere obiettivi, attingendo alle pubblicazioni scientifiche e ai dati medici. Questi ultimi affermano che i piccioni possono ospitare 70 organismi patogeni di cui solo 7 sono stati in grado di trasmettersi agli esseri umani. Inoltre dal 1941 al 2004 (63 anni) i casi documentati in tutto il mondo sono stati 207, e gran parte dei pazienti è stata curata con successo. Se pensiamo alla sua vicinanza con l’uomo, alla sua condivisione degli spazi e degli ambienti cittadini, alla sua popolazione nel mondo, dobbiamo davvero ridimensionare il problema sanitario che potrebbe essere ridotto a 3 casi mondiali l’anno dei quali però dovrebbero essere analizzati a fondo anche tutte le circostanze dell’avvenuta trasmissione (stato sanitario e di nutrizione della persona, stato dell’ambiente, vie di trasmissione, ecc.). I Piccioni, insieme ad altri uccelli, diventano per l’uomo anche un facile caproespiatorio per i danni ai monumenti o ad amici dell’uomo Marco Dinetti e Angela Damiano edifici dimenticando che, sebbene non siano affatto voluti dall’ignaro uccello, questi si possano prevenire ed impedire. Mentre non sempre è invece possibile prevenire quelli provocati da incivili atti vandalici attuati dalla nostra stessa specie, se non con una seria e costosa campagna di educazione e sensibilizzazione, oppure quelli causati da un responsabile “meno visibile” e più subdolo: l’inquinamento, che richiede un radicale cambiamento delle nostre attuali abitudini ed alla rinuncia di qualche consolidata “comodità”. Per tentare di limitare le popolazioni di piccioni vengono sovente utilizzati in Italia improbabili sistemi di gestione: - Falconeria: ma se i piccioni non scappano dalle città dove si sono insediati spontaneamente e stabilmente i Falchi Pellegrino, pensate davvero che fuggiranno alla vista dei rapaci dei falconieri? - Antifecondativi: La “pillola contraccettiva” potrebbe apparire un buon sistema. Peccato che la nicarbazina, il farmaco attualmente utilizzato, riduca la produttività al massimo del 59%. Quindi, dalle femmine che assumono il cibo medicato, nasceranno figli da 4 uova su 10 deposte. E inoltre occorre un trattamento continuo, altrimenti tutti i piccioni torneranno fertili in pochi giorni. - Abbattimenti: non parliamo poi delle ordinanze con cui Province e Comuni ne autorizzano l’abbattimento. Di sicuro questa misura non ha nessun effetto sulle popolazioni poiché i piccioni sono molto prolifici e bastano poche settimane perché il loro numero torni ad essere quello che era prima. Si tratta di tempo e denaro pubblico sprecato!!! fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 Occorre quindi superare l’approccio dell’emergenza individuando, invece, vere e proprie politiche di gestione per non ripetere gli errori del passato e attingendo alle migliori esperienze sviluppate in Italia ed in altri Paesi. Le parole d’ordine di una vera strategia per contenere le popolazioni sono: - Integrata: usare più metodi (realmente efficaci) in combinazione - Selettiva: non deve interferire con le altre specie - Condivisa e partecipata dalla gente - Durevole nel tempo e sostenibile economicamente - Orientata al riequilibrio ambientale, tramite la riduzione delle risorse sovrabbondanti di origine antropica (abbassamento della “capacità portante dell’ ambiente”). La LIPU ha redatto un Documento ufficiale approvato dal Consiglio nazionale che non solo si basa su quanto emerge dalla più recente letteratura scientifica e dai convegni tecnici internazionali ma anche su un approccio ecologico e incruento poiché crediamo che per migliorare la convivenza tra uomo e “altri” animali vi debba essere una corretta informazione dei cittadini e la loro condivisione e partecipazione per stabilire un corretto equilibrio che duri nel tempo (scaricabile al link: www.lipu.it/pdf/LIPU Colombo.pdf ). Per i privati ed enti pubblici che desiderano collaborazione e suggerimenti possono rivolgersi alla LIPU scrivendo a: [email protected] ☺ [email protected] 23 la nostra fauna piccione o colombo? francia batte italia Angela Damiano Uno studio dei ricercatori Battisti e Zapparoli ha individuato oltre 20 denominazioni per questa specie. Piccione o Colombo sono termini entrambi corretti mentre dal punto di vista della tassonomia stiamo parlando del Piccione di città (Columba livia var. domestica). L’habitat originario di nidificazione di questa specie è rappresentato dalle falesie o pareti di grotta in ambienti aperti o poco alberati ed è quindi molto simile alle caratteristiche presenti nei centri urbani, oggi utilizzati dalle popolazioni più o meno inselvatichite che sono state determinate da individui sfuggiti o liberati di diverse razze domestiche che hanno soppiantato progressivamente i nuclei originari. Residui di nuclei selvatici di Piccione selvatico (Columba livia livia) sono presenti in modo molto frammentato soprattutto nelle zone costiere (il 70% in Sardegna) e sono in decremento costante. Nel XIX secolo erano presenti ancora nuclei selvatici in alcune città italiane come Firenze che deve l’attuale popolamento urbano alla liberazione nel 1887 di piccioni “viaggiatori” che erano stati allevati per l’invio di messaggi o per sport. Generalmente sia il maschio che la femmina possiedono una colorazione simile a quella selvatica: complessivamente grigio-bluastra, due strisce trasversali nere che attraversano le ali ed una al termine della coda, una tacca bianca sul groppone mentre sul petto sono presenti iridescenze purpureo-verdi che risultano molto ridotte negli individui giovani. Le forme semi-domestiche però possono avere anche colorazioni che variano di molto la loro estensione e gradazione oltre che avere dimensioni diverse. Si stima che in Italia ci siano dalle 3000 alle 7000 coppie di Piccione selvatico che sono attualmente confinate alla Sardegna poiché nel resto del territorio sono state “sfrattate” dalle forme domestiche allevate dall’uomo, lo stesso che oggi vorrebbe poter risolvere il “problema” piccioni rapidamente così come ha creduto di fare molti anni fa aprendo le sue gabbie.☺ [email protected] 24 Ecco cosa ha fatto Hollande (non parole ma fatti) appena si è insediato: - ha abolito il 100% delle auto blu e le ha messe all’asta; il ricavato va al fondo welfare da distribuire alle regioni con il più alto numero di centri urbani con periferie dissestate. Ha fatto inviare un documento (di dodici righe) a tutti gli enti statali dipendenti dall’amministrazione in cui comunicava l’abolizione delle “vetture aziendali” sfidando ed insultando provocatoriamente gli alti funzionari con frasi del tipo “un dirigente che guadagna 650.000 euro all’anno, se non può permettersi il lusso di acquistare una bella vettura con il proprio guadagno meritato, vuol dire che troppo avaro, o è stupido, o è disonesto. La nazione non ha bisogno di nessuna di queste tre figure”. 345 milioni di euro risparmiati subito, spostati per creare (apertura 15/8/2012) 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta tecnologia assumendo 2.560 giovani ricercatori disoccupati “per aumentare la competitività e la produttività della nazione”. - Ha abolito il concetto di scudo fiscale (definito socialmente immorale) e ha emanato un urgente decreto presidenziale stabilendo un’aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che, al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all’anno. Con questi soldi senza intaccare il bilanci odi un euro ha assunto 59.870 laureati disoccupati, di cui 6.900 dal 1/7/2012, e poi altri 12.500 dal 1/9/2012 come insegnanti nella pubblica istruzione. - Ha sottratto alla Chiesa sovvenzioni statali per il valore di 2,3 miliardi di euro che finanziavano scuole private ed esclusive e con i soldi risparmiati ha varato un piano che costruirà 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari, avviando così gli investimenti nelle infrastrutture nazionali. - Ha abolito tutti i sussidi governativi a riviste, quotidiani, fondazioni e case editrici, sostituite da comitati di “imprenditori statali” che finanziano aziende culturali sulla base di presentazione di piani business legati a strategie di mercato avanzate. - Ha decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di quello dei parlamentari e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800.000 euro l’anno. Con quella cifra (circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo di garanzia welfare che attribuisce a “donne mamme singole” in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di 5 anni. Il tutto senza toccare il pareggio di bilancio. - Forti agevolazioni fiscali alle banche che agevolano le aziende che producono merci francesi attraverso crediti agevolati. Chi offre invece offre strumenti finanziari paga invece una tassa supplementare. Prendere o lasciare. Risultato: Lo spread con i bund tedeschi è sceso come per magia. E’ arrivato a 101 (da noi intorno ai 470). L’inflazione non è salita. La competitività e la produttività nazionale è aumentata nel mese di giugno per la prima volta da tre anni a questa parte. Da noi? BLA,BLA, BLA E TUTTI ATTACCATI A CARICHE E POLTRONE. fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 le nostre erbe una pianta dai mille usi Gildo Giannotti La melissa (Melissa officinalis), pianta appartenente alla famiglia delle Labiate, è un’erbacea perenne. Il nome sembra derivare dal greco mèlinon, la cui radice mèli, mèlitos significa “miele”. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che questa profumata pianticella attira le api e incrementa la produzione di miele. Si può trovare lungo le siepi e nelle zone ombrose oppure coltivata nei giardini. Cresce spontanea in tutta Italia fino ad un’altitudine di 1.500 metri sul livello del mare. Essendo una pianta rustica, la melissa, più che l’ombra e il freddo (sopporta bene anche l’inverno al Nord), teme il caldo e l’aridità: per questo occorrono annaffiature regolari specie durante l’estate. La melissa può raggiungere anche il metro di altezza e il suo apparato radicale rizomatoso ne favorisce l’espansione. Le foglie, di un colore verde intenso in superficie e verde chiaro nella pagina inferiore, sono cosparse di cellule oleifere. Il loro aspetto ricorda molto la pianta dell’ortica, ma, nonostante tale somiglianza, esse non pungono, anzi, se strofinate fra le dita, emanano un gradito profumo di limone. Infatti l’olio essenziale della melissa contiene diverse sostanze aromatiche presenti nelle essenze degli agrumi e per questo viene chiamata anche erba cedrina, cedronella o citronella, proprio per l’intenso profumo di limone che emana al contatto, ma non va confusa con l’omonima pianta (Cymbopogon nardus) efficacemente impiegata contro le zanzare. Alcune varietà (Melissa aurea) presentano le foglie maculate di giallo e, pur essendo utilizzabili come piante decorative, mantengono intatte le proprietà aromatiche della specie. I fiori - come si diceva assai graditi alle api - sono piccoli, di colore bianco con leggere sfumature rosa pallido. La fioritura si protrae dall’inizio dell’estate fino a tutto il mese di luglio. La raccolta si effettua mediante falciatura prima della fioritura. Nell’anno dell’impianto si esegue un solo taglio, negli anni successivi due, ad inizio e a fine estate. Il materiale raccolto va immediatamente essiccato all’ombra in ambienti ventilati. La produzione di melissa fresca, nei due tagli, può raggiungere 200 Kg complessivi per 100 metri quadrati. Probabilmente non c’è pianta officinale che abbia più usi della melissa: è nota infatti per le sue proprietà medicamentose ed è molto apprezzata per la sua componente aromatica, che ben si sposa con insalate, bibite e liquori. Ma la sua fama deriva dall’essere stata in auge, fino a poco tempo fa, come principale componente dell’«acqua di melissa dei Carmelitani scalzi», una sorta di panacea, che era in uso per le più svariate forme nervose, quali l’isterismo, l’epilessia e gli svenimenti. La melissa ha proprietà antispasmodiche che possono essere utilizzate per combattere sia le emicranie e le nevralgie sia i dolori intestinali. Possiede, inoltre, proprietà stomachiche (attiva la produzione e la secrezione della bile) ed antifermentative. Per uso esterno presenta proprietà cicatrizzanti, astringenti e antisettiche; frizionata sulla pelle allevia i dolori reumatici e nevralgici. L’estratto di foglie fresche può fungere da antivirale contro l'Herpes simplex, per cui viene usato anche nel trattamento dell’Herpes labiale. Di seguito si riportano alcune preparazioni casalinghe e i loro usi: infuso: da bere come digestivo e sedativo dopo i pasti princi- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 pali, oppure per purificare e decongestionare la pelle con lavaggi e impacchi; tintura: contro i dolori reumatici e nevralgici, frizionando le parti interessate; vino alla melissa: un bicchierino dopo i pasti principali svolge una discreta azione sedativa contro gli spasmi gastrici e le digestioni difficili e può essere utile negli stati ansiosi; acqua di melissa: un cucchiaino diluito in una tazzina di acqua all’occorrenza contro bruciori di stomaco, vomiti nervosi, insonnia, palpitazioni di origine nervosa, vertigini; bagno di melissa: quale piacevole sedativo del sistema nervoso. E per gustarla al meglio, si consigliano i pasticcini alla melissa, che si preparano nel modo seguente: tritare due manciate di foglie fresche di melissa, aggiungere 200 g di buccia di limone grattugiata, ricoprire con 50 g di zucchero e lasciar riposare per 10-15 minuti. Impastare 350 g di farina con un bicchiere di latte, 3 uova, un pizzico di sale, 50 g di zucchero e aggiungere il trito preparato in precedenza. Impastare il tutto, aggiungere una bustina di lievito, distribuire la pasta negli stampini e mettere in forno a 180-200°C fino a completa cottura.☺ [email protected] 25 un film, un libro, una canzone ... sull’11 settembre Alessia Mendozzi Un film: Molto forte, incredibilmente vicino regia: Stephen Daldry; titolo originale: Extremely loud and incredibly close, con: Thomas Horn, Tom Hanks, Sandra Bullock, anno: 2011, origine: USA Tratto dall'omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, il film racconta la storia di Alex, un ragazzino introverso ma curioso, che perde suo padre l'11 settembre in una delle torri del World Trade Center. Un giorno, mentre fruga nel suo guardaroba, trova una chiave con un cognome scritto su un bigliettino vicino. Decide di scoprire a chi appartenga e inizia una ricerca che lo porta a girare per tutti i distretti di New York, ad affrontare le sue paure, a fare importanti scoperte sul passato della sua famiglia e ad elaborare il lutto. Il film riprende in parte l'atmosfera poetica dello splendido libro di Safran Foer, ma ha il merito di raccontare una storia emozionante, dolce e carica della sensibilità del suo giovane protagonista. Un libro: Non usate il nostro nome di: David Potorti, anno: 2004, casa editrice: Terre di Mezzo Editore Il libro racconta la nascita e l'attività dell' associazione "Peaceful Tomorrow" (trad.: Pacifico domani), nata dopo gli attacchi dell'11 settembre, grazie alla volontà di alcuni parenti delle vittime di rispondere in maniera nonviolenta a quanto stava acca- dendo e al lutto che li ha colpiti direttamente. Convinti dell'inutilità di qualsiasi rappresaglia da parte del governo Bush contro l'Afghanistan prima e l'Iraq dopo, desiderosi di fare qualcosa di concreto contro il clima di odio che alimentava sempre più gli animi del loro Paese, i membri di Peaceful Tomorrow hanno dato vita all'associazione che, con i suoi progetti sociali e con la promozione di una cultura non violenta, rappresenta un concreto strumento di pace. Una canzone: Self evident di: Ani DiFranco, anno: 2001, album: So much shouting, so much laughter Più che una canzone, questo testo della cantautrice statunitense Ani DiFranco è una poesia, pubblicata pochi giorni dopo l'attacco alle Torri Gemelle. Una lucida analisi di ciò che è accaduto, dello shock provato, della stupidità della successiva propaganda di ritorsione bellica e delle colpe della politica estera americana. Un brano da ascoltare in silenzio, verso dopo verso, impossibile da sintetizzare in poche righe e di cui esiste anche una versione 'italiana', recitata magistralmente dall'attrice Lella Costa, con il titolo "Lampante".☺ [email protected] 26 fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 Ciò che forse rimane come icona dello straordinario evento del Concilio ecumenico Vaticano II è l’immagine di quella sera dell’11 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII, il Papa buono, dalla finestra del palazzo apostolico inviò una carezza a tutti i bambini della terra, suscitando un’ondata di tenerezza commossa, che, al suo sguardo, sembrava coinvolgere anche la luna. Enormi trasformazioni sono avvenute nella vita della chiesa: i processi della storia della Chiesa e della vicenda dell’umanità intera si sono avvicinati e intrecciati come forse mai prima era avvenuto, tanto da poter dire che il Vaticano II sia stato il “Concilio della storia”. Mai un’assise conciliare aveva prestato tanta attenzione alle sfide del tempo e mai la storia era entrata con tanta consapevolezza nell’autocomprensione della chiesa; mai gli stessi vescovi avevano avuto coscienza di essere essi stessi protagonisti di una svolta dalle conseguenze epocali. La struttura fondamentale della riflessione conciliare, nella sua triplice articolazione, in rapporto al passato, al presente e al futuro della fede indica lo spessore di quanto avvenuto ma anche di quanto non ancora compiuto. In rapporto al passato fontale della fede ha promosso una rinnovata coscienza del primato della Parola di Dio sulla Chiesa e sull’esistenza del credente. La Scrittura è colta come forza agente nel vivo delle mediazioni della storia; è da accostare con il profondo rispetto della sua sovranità, ma anche con tutta la verità delle nostre domande perché essa sia attualizzata nell’oggi. Il processo di ricezione della Parola di Dio nella vita e nella storia, a cui il concilio ha dato impulso, prospettava una comunità di cristiani adulti e responsabili, formata dall’ascolto della Parola; una comunità continuamente evangelizzata e, perciò, capace di evangelizzare. In rapporto al presente, la vigorosa attenzione a quel “frattempo” o tempo intermedio tra il già della prima venuta di Cristo e il non ancora del suo ritorno, la coscienza dell’oggi, quindi, ispira l’istanza pastorale a fondamento di tutto ciò che il concilio ha detto, in una tensione spesso evidente fra mentalità legate al passato e alla sua conservazione e sensibilità aperte all’oggi di Dio nel tempo e nel futuro della Sua promessa. Qui alla chiesa conciliare si etica in mezzo al guado Silvio Malic proponeva la maggiore scommessa, nelle parole di Giovanni XXIII, nel discorso di apertura: “Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”. Il Vaticano II, sotto molti profili, appare come un nuovo inizio, più che un compimento; lo dimostra in particolare la netta differenza tra i testi preparatori (che i padri avrebbero dovuto approvare con qualche ritocco ma che furono tutti rifiutati) e quelli definitivi prodotti dal concilio, a partire dalla seconda sessione. Il processo di novità che si delineava soprattutto nella “prassi pastorale” delle chiese non è stato privo di difficoltà. Al tempo del “rinnovamento”, sognato nel primo dopo concilio, ha fatto seguito una nuova condizione di “spiazzamento” a causa dei repentini cambiamenti delle società e del mondo dagli anni sessanta ad oggi, in particolare: il pluralismo delle culture, le nuove urgenze storico-politiche, l’urgenza del valore della prassi (ortoprassi) in continuità con una teologia (ortodossia) liberata però dal tradizionale monopolio culturale europeo, la regionalizzazione delle teologie in altri luoghi geografici di elaborazione (Africa, America Latina, Asia), la globalizzazione dirompente e l’urgenza di una nuova inculturazione della fede per la recezione delle sfide dei contesti e l’assunzione di nuovi linguaggi; la necessità, infine, di mantenere reali legami di unità e di reciproca intesa tra teologie e prassi cristiane variamente contestualizzate. In terzo luogo il concilio riscopre la tensione al futuro ultimo (escatologia) come dimensione costitutiva e qualificante di tutta l’esistenza del popolo di Dio. L’avvenire della promessa tocca la chiesa in tutte le sue fibre come “l’aurora dell’atteso nuovo giorno che colora di sé tutte le cose” (J. Moltmann). La vocazione cristiana è tesa al futuro, come S. Paolo sottolinea costantemente e come l’uomo moderno sente nel profondo della sua fibra spirituale. Ma il tendere al futuro, storicamente non più promessa e compimento, è da tempo vissuto come paura, incapacità, smarrimento. I profili teologici e i modelli di approccio con la storia provenienti dal lavo- i padri conciliari hanno scritto Il rinnovamento prodotto, di cui noi cominciamo a sperimentare i frutti, nonostante la fatica dell’attuazione e i tentativi nostalgici di ritorno al passato, ci impegna ad approfondire i 16 documenti scritti dai padri conciliari (4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni). Schematicamente possiamo dire che il Concilio ha riflettuto: 1) sulla comprensione che la Chiesa ha di se stessa nella costituzione Lumen Gentium; 2) sulla vita interna della Chiesa: a) la sua missione salvifica attraverso la liturgia, nella costituzione Sacrosantum Concilium; b) la sua funzione direttiva, nel decreto sui vescovi Christus Dominus e nel decreto sulle chiese cattoliche orientali Orientalium Ecclesiarum; c) il suo magistero, nella costituzione sulla rivelazione Dei Verbum e nella dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educazionis; d) i suoi diversi stati: sacerdoti, nei decreti Presbiterorum Ordinis e Optatam Totius; la vita religiosa, nel decreto Perfectae Caritatis; i laici, nel decreto Apostolicam Actuositatem; 3) sulla missione della Chiesa nel mondo: a) i suoi rapporti con la cristianità non cattolica, nel decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio; b) i suoi rapporti con i non cristiani, nel decreto Ad Gentes e nella diciarazione Nostra Aetate; c) i suoi rapporti con il mondo contemporaneo, nella costituzione Gaudium et Spes, nel decreto sui mezzi di comunicazione sociale Inter Mirifica e nella dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae. fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 ro del concilio, generarono al suo interno la nascita della quarta costituzione conciliare La Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes), che assumeva l’intento di Giovanni XXIII per un nuovo rapporto fiducioso con il mondo, fedele al suo metodo della “lettura dei segni dei tempi” e che Paolo VI, nella sua prima sua Enciclica Eccelsiam suam sul tema dl dialogo, riprendeva e riproponeva come tipico del rapporto e della presenza della chiesa nel tempo. Nota anche Raniero La Valle: “Gli anni seguiti al Concilio non sono stati pari alle speranze che esso aveva suscitato. A non permetterlo è stato il tumulto della storia; però bisogna anche vedere in che cosa il Concilio aveva mancato il suo scopo, o almeno era rimasto indietro; non aveva sviluppato le potenzialità insite nella occasione che pure aveva colto. … Il primo cammino rimasto incompiuto è proprio quello dell’incontro con il mondo. Il Concilio in qualche modo è rimasto in mezzo al guado” (cfr. Se questo è un Dio, p. 236). Di questo specifico tema ci occuperemo nei prossimi numeri. ☺ 27 sisma l’intruglio di iorio Domenico D’Adamo Tra gli atti urgenti che gli zombi della Regione hanno approvato nell’ultimo Zombi consiglio, c’è il ripristino per intero del vitalizio agli ex consiglieri regionali. Mentre le aziende falliscono - vedi zuccherificio del Molise - gli agricoltori svendono le loro produzioni, i servizi pubblici si riducono, la disoccupazione aumenta, Iorio non trova altro da fare che ridare ai suoi amici di destra e di sinistra quello che per “sbaglio” aveva tolto solo pochi mesi fa. I poveri consiglieri regionali, con due o tre pensioni oltre al vitalizio, hanno scongiurato il pericolo di finire in mezzo a una strada. I nostri parlamentari sia regionali che nazionali, ce lo ricorda ogni tanto l’indigente di San Giuliano, non riescono purtroppo a tirare avanti con meno di 300 euro al giorno. A tale proposito è stata allertata la Caritas ed anche noi, scimmiottando i grandi giornali, ci attiveremo nei prossimi mesi per una raccolta di fondi o in alternativa di alimenti in favore di questi disgraziati che stanno tirando la cinghia ma non le cuoia, come suole ogni defunto. Dieci anni fa il consiglio regionale approvò una legge per resuscitare i morti e nessuno, né allora né oggi, ha protestato. Non hanno protestato i cattolici che riconoscono solo al loro Signore questo potere, non lo hanno fatto neanche i laici che a queste cose, per formazione culturale e politica, non credono. La formula predisposta da qualche brillante giurista è la seguente: “nelle more dell’approvazione dello Statuto regionale ai sensi dell’art. 123 della Costituzione, nei casi di annullamento delle elezioni del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale, gli stessi organi e la Giunta regionale in carica continuano ad esercitare le loro funzioni fino alla proclamazione del nuovo Presidente e dei nuovi Consiglieri regionali (la sentenza non produce effetti, ndr.), relativamente agli atti aventi carattere d’urgenza”. Ora trattandosi di modifica statutaria, questa “formula magica” per diventare legge ha bisogno di due deliberazioni successive, adottate ad intervallo non minore di due mesi, perché in mancanza della 28 doppia lettura, come nel caso che ci riguarda, questa “legge” formalmente non esiste, peccato che, pur conoscendo i fatti, non la pensi così il Prefetto di Campobasso, subito corso al capezzale del moribondo. Cosa è invece accaduto il 16 febbraio del 2002? Il mago Michele, vero talento naturale nelle pratiche illusioniste, dopo aver preparato questa pozione, come se si trattasse di una vera legge, ne ha anche disposto la pubblicazione “urbi et orbi”, per la verità più orbi, visto che in questo paese secondo i dati forniti dalla guardia di finanza i ciechi sembrano essere ormai la maggioranza e tra questi tutte le istituzioni di garanzia che dovrebbero in questi casi vigilare senza invece incoraggiare pratiche illecite. Comunque, anche non volendo entrare nel merito di una disposizione normativa che sterilizzando la decisione del giudice crea una contrapposizione tra poteri dello Stato, è addirittura banale rilevare che lo stesso mago Michele ha posto dei limiti al suo intruglio magico, efficace solo per gli atti aventi carattere d’urgenza e non credo che vi siano soggetti indigenti tra gli ex consiglieri regionali per giustificare il ripristino del 25% del vitalizio. Se i soggetti preposti al controllo degli atti compiuti dal consiglio regionale esercitassero i loro poteri con scrupolo ed equilibrio, oggi quei consiglieri che vagano per i corridoi di palazzo Moffa, al solo scopo di dividersi le spoglie di ciò che è rimasto, starebbero a casa a spese loro e non a carico nostro. Ad evitare che ci si organizzi con i forconi, sarebbe il caso che chi ancora crede nella funzione positiva della politica, sollevi la questione davanti alla Corte Costituzionale affinché la stessa dichiari la non costituzionalità della norma citata, così come avvenuto per casi simili, e costringa gli zom- fonte febbraio gennaio 2005 la fonte settembre 2012 la la la fonte fontegennaio marzo 2005 bi consiglieri a restituire i lauti stipendi percepiti dopo lo scioglimento del consiglio. Il sedicente capo dell’opposizione, invece di occuparsi di biomasse oltre che di nomine negli enti regionali insieme alla famiglia Totaro, padre, figlio e… spirito santo, farebbe bene a non stare ficcato sempre dentro al cesso quando si assumono decisioni su questi argomenti, anche a costo di litigare con il papà. Ed anche il consigliere Leva, invece di occuparsi della campagna acquisti nel campo avversario, farebbe bene a impegnare l’opposizione, se ancora esiste, sui temi che riguardano il lavoro, lo sviluppo e la riduzione degli sprechi a cominciare dai propri, senza strizzare l’occhio alla maggioranza sulla difesa della provincia di Isernia. Se Iorio e compagni hanno deciso di sollecitare la protesta nella difesa della defunta provincia si sappia che lo fanno, non per difendere i diritti dei cittadini ma gli interessi della casta. Chi oggi si lega a questa protesta, è bene che lo sappia, lo fa per difendere la poltrona di quelli che alla crisi non hanno dato un solo scudo. È bene pertanto che i politici che si candidino ad assumere ruoli di governo, dimostrino innanzitutto di conoscere la gravità della situazione in cui versa tutto il Paese, a cominciare dal Molise, e poi offrano soluzioni compatibili con gli impegni assunti assieme a tutti i partner europei. Si sappia anche che se gli Europei non si fidano di noi è solo perché conoscono i politici della razza di Iorio. ☺ [email protected]