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SETTEMBRE 2012 ANNO 9 N 8
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
“un giornale indispensabile per chi voglia conoscere l’Italia che si oppone agli scempi: la fonte –
periodico dei terremotati o di resistenza umana”.
(Barbara Spinelli, La repubblica 25 giugno 2012)
la sovranità torni ai cittadini
La crisi economico-sociale e la crisi di credibilità della politica possono compromettere le ragioni stesse della democrazia. Mentre la partecipazione dei cittadini alla vita democratica è condizione fondamentale per costruire un destino comune.
Le prossime elezioni sono una grande opportunità per rigenerare il sistema politico, per questo è decisivo che cessi
l’occupazione delle istituzioni da parte dei vertici dei partiti.
Proponiamo
che i candidati al parlamento, alla presidenza della regione,
a sindaci dei principali centri e i nominativi del “listino
maggioritario regionale” siano tutti scelti con le primarie
dai cittadini.
Chiediamo
Istituzioni trasparenti e al servizio dei cittadini;
la fine della stagione
dell’illegalità, del clientelismo e del sottogoverno;
il rispetto del territorio e dei “beni comuni”
come grande investimento nel futuro e nelle
nuove generazioni.
Prime adesioni
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Libertà e Giustizia
Libera Molise
Il tuo sostegno ci consente di esistere
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ABBONAMENTI PER IL 2012
ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
E-mail
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Quaderno n. 87
Chiuso in tipografia il
26/08/12
Stampato da
Grafiche Sales s.r.l.
via S. Marco zona cip.
71016 S. Severo (FG)
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Larino n. 6/2004
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intestato a:
la fonte molise
via Fiorentini, 10
86040 Ripabottoni (CB)
camminare domandando
Antonio Di Lalla
Dal secolo scorso, che purtroppo
ha visto due guerre mondiali, l’affermarsi
di feroci dittature, i campi di sterminio per
gli oppositori dei regimi, l’invenzione e
l’uso della bomba atomica, le stragi causate dalla fame dovuta alla cattiva distribuzione della ricchezza, l’imporsi di un capitalismo onnivoro, il predominio di multinazionali, borse e mercati, per non citare che
alcune delle tante nefandezze, da quel secolo abbiamo ereditato in positivo tre stelle
polari, niente affatto divergenti, che segnano il nostro cammino e alle quali si rifà
anche il nostro periodico: la Costituzione,
il Concilio Vaticano II e il ’68.
Della carta costituzionale, felice
sintesi del pensiero liberale, comunista e
cattolico, più volte abbiamo parlato per
difenderla strenuamente dagli insani attacchi di arrivisti e qualunquisti che tentano di
piegarla ai loro sporchi giochi di potere e il
farci - oggi - promotori e sostenitori del
movimento Libertà e Giustizia nel nostro
Molise non è che la prova testimoniale del
nostro attaccamento a quella carta.
Il Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 - 8 dicembre 1965), grazie alla
felice intuizione di papa Giovanni XXIII
che non temette di ritrovarsi ostacolato
dalla curia e dai benpensanti, dai profeti di
sciagura e dai difensori dello status quo, è
stato un evento eccezionale che ha avviato
un cambiamento irreversibile (è da idioti
tentare di negarlo!) nella chiesa non più
descritta come società perfetta ma lievito,
sale di questo nostro mondo, avvertito fino
ad allora piuttosto come nemico che come
realtà da amare e fecondare proprio perché
voluto dal Creatore. Per la prima volta
nella storia un concilio non si riunisce per
condannare, ma per svecchiare la comunità
e farla camminare al passo con la storia.
Senza di esso non è immaginabile cosa
sarebbe oggi la chiesa cattolica né la società civile, data l’influenza che anche su essa
ha avuto.
A cinquanta anni dal suo inizio
ne trattiamo esplicitamente perché noi
siamo stati modellati da quelle istanze che
oggi ci portano sulle barricate a difendere
poveri e impoveriti, naturalmente sempre
pronti a contestare ritardi e lungaggini, ma
riconoscenti per l’impulso senza il quale
non saremmo piromani ma pompieri. La
riscoperta della laicità delle cose temporali
restituì i cristiani alla società e la società
all’impegno dei credenti. I non credenti ci
perdoneranno questa irruzione, che non
vuole essere puramente celebrativa, ma
anch’essi sono chiamati a confrontarsi con
un evento non certo secondario e senza il
quale non ci si ritroverebbe compagni di
strada con molti di noi.
Fu una finestra aperta in una stanza che odorava di stantio, una boccata d’aria fresca e nuova destinata a far sì che
niente fosse più come prima. Il fuoco che
covava sotto la cenere tornava ad infiammare e riscaldare: i movimenti di pensiero a
lungo perseguitati e repressi, anche con
inusitata violenza, diventavano di dominio
pubblico e molto apprezzati. Si fece di tutto, già mentre si svolgeva, per evitare che la
bomba deflagrasse, ma la miccia oramai era
accesa. Certo si dovette sovente scendere a
compromesso e così idee nuove vennero
giustapposte a quelle vecchie e fuori dalla
storia, e se oggi tutti citano il concilio è
proprio perché conservatori e progressisti
possono trovarvi espressioni che supportano le loro idee, ma non è difficile cogliere la
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differenza fra
chi si rifà alla
lettera e chi ne coglie lo spirito, fra chi
cammina guardando indietro e chi cerca di
andare oltre, perché un concilio è un punto
di ripartenza. Già Paolo VI aveva sottratto
al dibattito temi scomodi come il celibato
dei preti, il ruolo della donna nella chiesa,
il controllo della natalità. Con Giovanni
Paolo II ha ripreso potere la curia vaticana
e così veniva condannata la teologia della
liberazione nata per dare voce e dignità al
popolo crocifisso e i vescovi venivano
scelti per fedeltà alle istituzioni più che al
concilio. Con Benedetto XVI si è restaurata la messa preconciliare in latino e oggi si
cerca nella traduzione italiana di cambiare
il concetto di salvezza “per tutti” in “per
molti”, nonostante che su 187 vescovi
italiani solo 11 votarono a favore di questa
traduzione (e questo ci fa capire quanto
conta anche il parere dei vescovi in Vaticano!).
Dopo la primavera siamo tornati
all’inverno? Il rischio è grosso, perciò
lottiamo e ne parliamo perché i fermenti
conciliari ancora in atto in tutte le parti del
mondo tornino a far fiorire quella primavera dalla quale prese alimento anche il
nostro ’68. Il rinnovamento religioso non
poteva non contagiare anche la società.
E proprio dalle istanze del ’68
nasce la nostra passione per una politica al
servizio della persona, la voglia del rinnovamento costante, l’abbattimento di schemi e pregiudizi, il rifiuto del “si è fatto
sempre così”, la lotta accanto ai terremotati - intendendo con questo termine tutti
coloro che vedono minacciati o non riconosciuti i loro diritti: dalle donne ai lavoratori, dagli immigrati ai nomadi, dagli omosessuali alle coppie di fatto, dai precari
agli esodati -. Un frutto è questo modesto
strumento che tutti i mesi avete fra le mani
Con questi chiari e precisi punti
di riferimento il nostro cammino, fatto di
ascolto e di domande anche scomode, pur
tra mille difficoltà, prosegue gioiosamente
il suo corso, dandoci l’energia necessaria
per batterci per una società a misura di
persone. ☺
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spiritualità
seguire la rotta
Michele Tartaglia
Leggendo in modo affrettato la
storia del popolo di Israele nella bibbia, si ha
l’impressione che, nonostante le molte infedeltà, la forma religiosa istituita sul Sinai sia
stata quella dominante. In realtà la bibbia ci
fa capire che l’applicazione della Torah non
è avvenuta se non a causa dell’esilio. C’è un
evento, tuttavia, che segna un vero e proprio
spartiacque nella storia religiosa di Israele: il
ritrovamento del libro della Legge ai tempi
del re Giosia (fine VII secolo a.C.), poco
prima della fine del regno di Giuda, raccontato in 2 Re 22-23, come l’evento che ha
caratterizzato il regno di uno dei pochi re
fedeli a Dio. Il fatto è questo: il re ordina di
restaurare il tempio e, durante i lavori, viene
ritrovato un rotolo della Legge di Mosè di
cui non si sapeva l’esistenza e che riportava
le norme originarie date sul Sinai e mai
attuate. Il re capisce che tutte le vicende
negative del popolo sono causate dalla non
applicazione di quelle leggi. Il re Giosia,
quindi, rinnova l’alleanza con Dio a nome
del popolo e attua tutti i comandi scritti nella
Legge, soprattutto quelli contro l’idolatria,
vero peccato costante nella storia del popolo. Il racconto termina dicendo che ormai la
riforma è tardiva e il popolo non scamperà
all’esilio; tuttavia proprio questa riforma
sarà la base per la rinascita dopo l’esilio,
lutto in famiglia
Interpreti anche dei sentimenti
dei lettori che lo seguono con
passione nelle sue denunce,
formuliamo a Domenico D’Adamo le condoglianze per la
morte della cara mamma.
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quando la Legge di Mosè sarà l’unico riferimento identitario costitutivo di Israele il
quale potrà sopravvivere nei secoli anche
senza terra ed è in questo clima religioso più
etico e spirituale che si innesterà la fede di
Gesù e dei suoi discepoli che porterà alla
nascita del cristianesimo.
Il racconto ci dice due cose importanti anche per la nostra situazione ecclesiale
attuale: innanzitutto ci ricorda che l’identità
di una comunità non necessariamente significa fedeltà ai valori fondanti, come il popolo
di Israele ha potuto per secoli ignorare la
Legge di Mosè pur ritenendosi, come spesso
hanno ironizzato i profeti, depositario della
benedizione di Dio. Di conseguenza, e questa è l’altra cosa importante, la fedeltà autentica può richiedere un cambio radicale di rotta
per essere conformi all’ideale originario.
Un evento del genere, nella storia
del cristianesimo, è avvenuto recentemente
con il Concilio Vaticano II, durante il quale
la chiesa cattolica ha avuto modo di riscoprire quella Tradizione sepolta sotto le incrostazioni del pensiero teologico del II millennio e
soprattutto ha respirato una libertà di spirito
che mancava dai tempi della cosiddetta conversione dell’impero romano, ai tempi di
Costantino. Come Giosia si rese conto che
dall’inizio della monarchia era stato tradito
l’ideale originario del popolo, basato sulla
giustizia, così la chiesa si è resa conto che
lungo la storia ha troppo ceduto ai compromessi e ha cercato troppo spesso di assicurarsi il potere anziché vivere quello spirito di
servizio a cui l’aveva consegnata Gesù Cristo. È vero, c’è stata una storia di santità in
questo lungo tempo, come c’è stata durante
la storia della monarchia di Israele quando
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alcuni re santi e molti profeti hanno istintivamente vissuto lo spirito della Torah e
denunciato i capi che lo tradivano, ma una
comunità che tutta insieme e istituzionalmente si considerasse in ascolto obbediente
della Parola di Dio, senza distinzione tra
popolo e gerarchia e che sentisse l’urgenza
di mettere sullo stesso piano la verità e la
carità, l’insegnamento e la testimonianza,
non si era mai data con questa consapevolezza, come è avvenuto nei documenti del
Concilio. Possiamo quindi considerare
proprio quest’ultimo Concilio, come il
momento in cui la Chiesa rilegge un Vangelo ritrovato nel suo significato originario,
quando un papa straordinario come Giovanni XXIII mette mano al restauro del
Tempio di Dio, cioè la chiesa che stipula di
nuovo l’alleanza con Gesù Cristo, impegnandosi a vivere fino in fondo quel comandamento nuovo che Gesù le ha affidato.
La riforma è avvenuta troppo
tardi, come ci ricorda il racconto biblico,
per potere evitare l’esilio (la secolarizzazione e la fine dell’egemonia cristiana nella
società) ma questo esilio non è stato sterile
per la rinascita di un nuovo modo di essere
fedeli a Dio, anche senza la terra della gestione del potere e dell’economia. Anche il
Concilio, purtroppo, ha rischiato di essere
rimesso nella soffitta del tempio e oggi, a
cinquanta anni dal suo inizio forse si ha la
possibilità di rileggerlo per seguire la rotta
che esso ci ha indicato oppure può esserci
la tentazione di seppellirlo definitivamente
sotto una colata di parole inutili di commento e di distinguo che servono a rimandare quella riforma reale della chiesa che il
Concilio auspicava. Non dimentichiamo,
infatti, che appena l’anno prossimo un altro
anniversario, molto ambiguo ci attende: i
1700 anni dall’editto di Costantino: quale
di questi eventi segnerà il prossimo futuro
della chiesa?☺
[email protected]
glossario
DON’T BE A MAYBE [pronuncia:
donbì a meibì]. La scritta a caratteri neri
campeggiava sul fondo bianco dei grandi
tabelloni pubblicitari che costeggiano le
strade delle città europee: in Svizzera come
in Germania, nazioni in cui l’inglese si
parla abitualmente, l’“asciutto comando”
attirava l’attenzione dei pedoni e degli
automobilisti. La perplessità non durava
che una frazione di secondo: a seguire, un
secondo candido tabellone riportava BE
[pronuncia: bì] accanto alla gigantesca
immagine di un pacchetto di sigarette di
una notissima multinazionale. Terminava
così, per un non fumatore quale lo scrivente, l’attesa di un messaggio che dalle premesse sembrava carico di aspettative.
A tutti è noto che l’espressione citata
è costruita su uno dei verbi essenziali
della grammatica di tutte le lingue, il
verbo essere, che in inglese è appunto
be.
“Non essere un può essere…
sii…”: questa la traduzione letterale
dello slogan pubblicitario, dove don’t
introduce un comando negativo e may
[pronuncia: mei] traduce il verbo
“potere” nel senso di avere la possibilità; per completezza d’informazione
faccio notare che la voce maybe
[pronuncia: meibì], diffusissima sul
piano colloquiale, è proprio la versione inglese del nostro “forse”.
Nel messaggio pubblicitario la lingua
inglese consente, a livello sia fonico sia
grafico, un gioco di rime che nella versione
italiana non si potrebbe rendere allo stesso
modo in quanto be traduce i modi infinito
(essere) e imperativo (sii), resi dall’identico
suono.
Non essere un “forse”!
Confesso che il messaggio sotteso
alla trovata pubblicitaria non mi ha lasciato
indifferente: come mai, in maniera assertiva, ad un anonimo passante debba giunge-
scelte meditate
Dario Carlone
re un ordine così congegnato?
Al di là del mero contenuto di offerta
di un prodotto di consumo, mi è sembrato
di ritrovare in questa affermazione una
delle direttrici (ahimè) che caratterizzano
questo nostro tempo. La frenesia e la corsa
sono dominanti e una delle qualità neglette
sembra essere proprio l’indecisione.
Siamo bombardati ormai da continue
proposte commerciali che ci invitano, ad
esempio, a cambiare la compagnia telefonica di cui ci serviamo entro un limite di tempo stabilito, pena la perdita di numerosi
vantaggi tariffari; ci consigliano di stipulare
contratti per la fornitura di energia con gestori diversi, nel giro di pochi giorni o addirittura ore; siamo spinti ad acquistare prodotti in offerta senza pensarci un solo minuto… Tante volte rifiutiamo perché non
abbiamo il tempo di riflettere; non ci è consentita l’indecisione! Per non parlare delle
offerte last minute, antidoto a pause e ripensamenti, che nel volgere di pochi secondi
vorrebbero vederci schizzare, bagaglio
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pronto, da un luogo ad un altro, noncuranti delle stagioni, dei climi, delle latitudini…
“Forse”, parola che sembra scomparsa dal vocabolario degli anni 2000!
Sono convinto che molti, come me,
non sopportino i rinvii, i tentennamenti, i
continui ripensamenti, e ancora le deroghe
e le pause di certa politica nostrana, il
ritardare qualsiasi tentativo di rinnovamento, il non assumere responsabilità
chiare; credo però che una giusta dose di
cautela, sia personale che collettiva, non
possa che fare del bene. Dibattere,
confrontarsi, scambiarsi pareri, fare
previsioni, non sono tutte azioni ascrivibili alla categoria del “forse”, della
riflessione pacata che alla fine partorisce la scelta?
“Forse”: nella nostra lingua può
significare poca cosa, ma nella lingua
di Shakespeare maybe rievoca proprio
il famoso e mai risolto enigma: to be
or not to be [pronuncia: tubì or not
tubì], essere o non essere!
Amleto non rimane fermo, imprigionato dal “suo” dubbio. La sua è stata
una scelta drammatica, motore della
tragedia che ha reso immortale il principe
di Danimarca, accostandolo simbolicamente ad ognuno di noi.
Indecisi, incerti, perplessi come lui,
ma umani, con tanti “forse” che dobbiamo
accettare e comprendere senza restarne
schiavi.
Guardare però all’obiettivo è l’unica
strada possibile… forse!☺
[email protected]
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xx regione
il pd nel pantano basso
Si è molto scritto, in queste ultime
settimane, del baldo Gianfranco Vitagliano,
alter ego di Michele Iorio e autorevole interprete delle principali tresche del potere di
centrodestra in Molise. E tuttavia La Gazzetta
del Molise, che in quell'area politica vive e
prospera, è riuscita a sorprenderci dedicando
la sua terza pagina di sabato 4 agosto alla
“galassia Vitagliano” e alle recenti gesta da
lui compiute prevalentemente presso il Nucleo Industriale di Termoli, sito in Contrada
Pantano Basso.
Vitagliano viene posto al centro di
un cosmo in cui brillano sei “stelle” della
politica molisana, tre delle quali appartenenti
inopinatamente al centrosinistra, che sarebbero
state conquistate da Vitagliano con motivazioni
ideali e programmatiche
che vengono puntualmente esplicitate. In
particolare, i tre eroi di
centrosinistra risucchiati
nell'orbita di Vitagliano
vengono così dipinti:
- “Vittorino Facciolla,
sindaco PD di San Martino in Pensilis, contratto
Co.co.co al Nucleo Industriale di Termoli di
100.000 euro lordi”;
- “Francesco Totaro,
consigliere regionale del PD, sponsor della
manovra fatta al Nucleo Industriale di Termoli”;
-“Paolo Frattura, candidato presidente del
centrosinistra, che corre col pensiero tra la
centrale a biomasse a Campochiaro e le nomine del PD”.
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L'articolo della Gazzetta ci ha sorpreso, mentre la mancata reazione dei tre
interessati, a tutela della loro onorabilità, ci ha
indignati e ci spinge a porre qualche domanda.
Il sindaco di San Martino pensa
davvero che i suoi concittadini lo abbiano
eletto per consentirgli di contrattare con Vitagliano, re di “Pantano Basso”, un posto al
sole lautamente retribuito? Il consigliere regionale Francesco Totaro non teme che i suoi
elettori possano reagire male al suo interesse
a “sistemare” Vittorino Facciolla presso il
nucleo industriale di Termoli perché vuole
evitare che quest'ultimo possa candidarsi alla
regione e porre fine alla
saga familiare dei Totaro?
Paolo Frattura non ritiene
di dover fugare il sospetto
che la sua legittima passione per le centrali a
biomasse possa creare dei
legami pericolosi con chi
detiene il potere oggi
(Vitagliano), ma anche un
inaccettabile conflitto di
interessi allorquando al
potere ci dovesse andare
lui?
L'ultima domanda, la più
importante, vorremmo
porla al segretario regionale del PD, Danilo Leva:
perché non convoca i giornalisti e, insieme ai
tre personaggi della “galassia Vitagliano”,
non smentisce le affermazioni della Gazzetta
del Molise?
Ovviamente i tre potrebbero non
essere disponibili a smentire alcunché ma, in
tal caso, a Danilo Leva non rimarrebbe che
una soluzione: prendere una ramazza e fare
un po’ di pulizia per
evitare che il tanfo,
generato da un intreccio trasversale fatto di
interessi
personali,
familistici e aziendali,
possa oltrepassare i
confini del PD e del
centrosinistra e am-
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morbare tutta la regione.
Ma, com'è ovvio, Leva può rimanere inattivo se quello che per noi è tanfo per
lui, e per i tre della “galassia Vitagliano”,
dovesse essere un inebriante profumo di potere. ☺
Scipio
olimpiadi
Ogni quattro anni il gran raduno
dei campioni dello sport:
le Olimpiadi!
Quest’anno nel cuore dell’estate
sciami di atleti di ogni paese
sono approdati una sera a Londra
nello stadio sfavillante di luci,
un gioiello incastonato di perle,
un braciere di energie
multietniche, giovani.
La sfilata solerte dei campioni
A portar competizione e pace.
La fiaccola di Olimpia
ha acceso i cuori.
Kermesse di gare, sfide, abilità.
Sul podio inni e bandiere
per medaglie d ’oro, argento, bronzo.
Attimi di gloria: la vittoria!
Poi la fiamma olimpica spenta,
i campioni son tornati
ai loro allenamenti,
mai stanchi di coltivar
le loro passioni.
L’eco resta delle loro imprese
di un mondo speciale
dove vince chi vale.
Offrono guizzi di arditezza
lo slancio di un gioco
inebriante, creativo.
Loro volano alto:
gli aquiloni
portatori di sogni.
Lina D’Incecco
politica
Colpito in un occhio
colpito nel cervello
colpito nel culo
colpito come un fiore che sta danzando
Meravigliandomi per come la morte vinca
senza fatica
meravigliandomi per come si presti fede a
stupide forme di vita
Meravigliandomi per come il riso venga
soffocato
meravigliandomi per come il vizio sia così
una costante
Presto dovrò dichiarare la mia guerra alla
loro guerra
devo aggrapparmi al mio ultimo pezzo di
suolo
devo proteggere il piccolo spazio che ho
creato e che
mi ha permesso di vivere
La mia vita non la loro morte
la mia morte non la loro morte
Questo posto, questo tempo, adesso
faccio voto al sole/che ancora una volta
riderò di cuore
nel luogo a me perfetto
per sempre
la loro morte non la mia vita.
Non so in che anno Bukowski
scrisse questa. Una sfida alle tenebre, per
me è un manifesto, un proclama, la sintesi di
ciò che stiamo vivendo.
Non credo di essere la sola a sentire questo spaventoso ruggire, mugghiare del
potere.
Gli assassinii del Sud Africa, la
condanna delle ragazze russe, le accanite
manovre degli americani per consumare la
propria vendetta su chi è riuscito a gabbarli,
sono le macroscopiche manifestazioni di un
esercizio assoluto dell'autorità, una regressione medioevale, la visione aberrante del
vassallaggio di una intera popolazione mondiale.
...meravigliandomi per come la
morte vinca senza fatica...
Si è spostato un asse sul nostro
pianeta, sono cambiati gli equilibri, non è
più necessario nascondersi dietro finti incidenti, la polizia spara nel mucchio e basta, e
spara per uccidere. E i minatori del Sud
Africa muoiono perché non possono sopportare oltre lo sfruttamento, perché non
vogliono abitare dentro baracche fatiscenti,
perché hanno voglia di vivere da uomini.
La grande finanza, i potentati
economici del pianeta, hanno necessità di
il signor c.
Cristina Muccilli
riaggiustare le maglie della loro rete strappata dalla crisi e praticano tutti gli “aggiusta menti” necessari all'uopo senza remora al cuna.
Il capitale, che per comodità chiameremo signor C., attua questa strategia
“evolutiva” in vari modi e con mezzi diversi, da noi, per esempio, si serve di un governo composto da uomini strettamente legati
al mondo dell'economia e si ammanta di
un’aura di grande prestigio e competenza.
E perché da noi non si usa violenza (questo è vero solo in parte)? Perché il
Signor C. può ancora ottenere da noi risorse
economiche, che altrove ottiene con lo sfruttamento brutale del lavoro, con metodi affatto trasparenti e di fatto ricattatorii.
Ma in questo modo il signor C.
produrrà un impoverimento troppo esteso,
allora come farà a trarre altre risorse da noi?
Semplicemente spostando altrove (terzo e
quarto mondo) le sue attività ed i suoi mercati, ricominciando da una nuova, crudele
ed innovativa, rivoluzione industriale.
Il signor C. sa benissimo di avere
ancora molto suolo da occupare e colonizzare e non sarà certo una (immortale) teoria
ottocentesca a fermarlo.
...meravigliandomi per come il riso venga
soffocato..
Per viaggiare indisturbato, il signor C. ha bisogno di una politica debole,
incapace e collusa (a volte è lo stesso signor
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C.) ma quando c'è di mezzo la tutela del suo
spropositato pancione, la figura di riferimento politico non può che essere forte e rigida.
E non può che partorire misfatti e leggi
contro il dissenso. Quando ho sentito parlare
per la prima volta della vicenda delle pussy
riot e di tutto il (giusto) risalto che ha avuto
sui nostri giornali e tv ho fatto uno strano
accostamento con le carriere dei vari Guzzanti, Luttazzi, Grillo ecc. .
...meravigliandomi per come il
vizio sia così una costante...
"Per tutta la nostra carriera di
cineasti abbiamo sostenuto la
tesi che i mezzi di informazione
americani spesso non raccontano ai cittadini le azioni più turpi
commesse dal nostro governo.
Ecco perché siamo profondamente grati a WikiLeaks per
quello che ha fatto e applaudiamo la decisione dell'Ecuador di
concedere asilo politico al suo
fondatore, Julian Assange, rifugiato in questo momento nella
sede diplomatica del Paese sudamericano a Londra" (comunicato stampa
di Oliver Stone e Michael Moore).
...Presto dovrò dichiarare la mia
guerra alla loro guerra... ☺
[email protected]
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nel palazzo
un nuovo assetto
Michele Petraroia
La conversione in legge del Decreto sulla revisione della spesa pubblica obbliga
le regioni ad approntare una proposta di riordino amministrativo per le province entro il 2
ottobre, altrimenti sarà la Conferenza Unificata Stato - Città - Autonomie Locali a decidere in nome e per conto dei territori inadempienti. Contestualmente la legge n. 148/2011
ha sancito un nuovo assetto per il sistema
delle autonomie locali col definitivo superamento delle comunità montane, il taglio degli
amministratori comunali e la prefigurazione
di gestioni associate dei servizi attraverso
Unioni dei Comuni o forme consortili intercomunali. Per il Molise si impone l’apertura
di una nuova fase istituzionale con la definizione di un modello amministrativo in linea
con le leggi nazionali appena approvate e con
la drastica contrazione dei trasferimenti nazionali. Se non si intende peggiorare ulteriormente la vita dei cittadini con soppressione di
servizi essenziali e aumento vertiginoso delle
tasse locali, serve approntare con immediatezza e pragmatismo, un assetto amministrativo innovativo, efficiente e partecipato.
Sul punto ho protocollato una Mozione urgente che, prendendo atto del superamento della provincia di Isernia, pone fine
all’esperienza delle Comunità Montane,
scioglie consorzi e società provinciali non
indispensabili, e individua in 17 Unioni dei
Comuni, di cui n. 6 sul territorio di Isernia e
n. 11 su quello di Campobasso, gli enti intermedi a cui delegare poteri, funzioni, personale e risorse. In aggiunta prospetto una cooperazione istituzionale rafforzata tra le Regioni
Marche, Abruzzo e Molise, finalizzata ad una
programmazione coordinata che candidi la
Macro - Regione Adriatica ai finanziamenti
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specifici previsti nel nuovo quadro di aiuti
comunitari per il periodo 2014 - 2020. Con
una simile opportunità si aumenterebbe il
peso negoziale del Molise con i relativi vantaggi e non si rinuncerebbe all’autonomia
regionale, fermo restando il mio convincimento che il nostro territorio avrebbe tutto da
guadagnare e nulla da perdere in caso di confluenza in una Macro - Regione Adriatica già
ipotizzata nel 1992 dagli uffici studi della
Fondazione Agnelli. Approntare un nuovo
assetto del sistema delle autonomie locali ci
consentirebbe di non perdere tempo e soldi,
in inutili impugnative della legge nazionale
innanzi alla Corte Costituzionale, agevolerebbe il ridisegno di ambiti territoriali ottimali in
cui garantire anche i servizi sanitari, scolastici, di trasporto pubblico locale e di funzioni di
polizia locale, di pianificazione urbanistica e
sviluppo.
Con un riordino dell’unica provincia in 17 comprensori si potrebbe sperimentare una configurazione istituzionale valida
anche in caso di costituzione di una sola re-
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gione tra Marche, Abruzzo e Molise, anticipando gli eventi ed evitando di sperperare le
scarse risorse pubbliche nel tenere in piedi da
anni Comunità Montane commissariate a cui
non sono più demandate funzioni amministrative e prerogative gestionali. È evidente
che alcune delle Unioni dei Comuni dovrebbero conservare le specificità previste per le
aree montane così che le diverse condizioni
orografiche ed i maggiori disagi dei residenti
possano essere compensate dai flussi finanziari nazionali per la montagna, che oggi, per
assurdo, in base a criteri ingiusti sanciti in
Molise, avvantaggiano i territori più popolosi
e più estesi che non sono quelli di montagna
dove notoriamente risiedono meno persone.
Sciogliere consorzi provinciali o società non
indispensabili consentirebbe di risparmiare in
spesa pubblica con la facoltà di non tagliare
sui servizi essenziali di cittadinanza e orientare parte dei fondi verso investimenti produttivi o per la manutenzione della viabilità provinciale, comunale o delle tante strade interpoderali dissestate, di cui si avverte un gran
bisogno.
La fase di transizione istituzionale
che stiamo attraversando vede tramontare il
ventennio berlusconiano, finisce la Seconda
Repubblica e si apre ad un doppio sbocco, da
una parte la crisi della democrazia con una
progressiva deriva autoritaria e dall’altra,
quella auspicabile e per la quale ci battiamo,
il ritorno alla partecipazione diretta dei cittadini all’amministrazione del bene comune
perseguendo i valori della reciprocità, della
coesione sociale, della solidarietà e della
mutualità. Insieme possiamo uscire dalla crisi
con una società in difficoltà ma più equa,
accogliente, giusta, multiculturale e armoniosa. Per vincere una simile sfida non si può
giocare in difesa dell’esistente, perché si è
condannati a perdere, ma si deve osare, con
proposte credibili di cambiamento improntate
alla giustizia sociale.☺
[email protected]
società
la sfida del cambiamento
Famiano Crucianelli
La Fonte ha inteso aprire una
riflessione sul concilio, meglio sul
“concilio mancato”. In questi nostri tempi
dominati dal chiacchiericcio politico e da
una discussione sull’Europa tanto solenne
quanto impotente, la scelta del giornale
potrebbe sembrare una stravaganza. Ma
così non è, quella straordinaria occasione
di rinnovamento che la Chiesa rapidamente negò, molto ha influenzato il corso degli
eventi e intreccia in profondità i problemi
dell’oggi. In primo luogo penso alla decadenza e alla crisi della Chiesa medesima,
sempre più un guscio vuoto, un sistema
burocratico senza comunità, senza partecipazione, senza nuove idee e sempre in
armonia con i poteri vecchi e nuovi. Ovviamente mi riferisco alla chiesa di Roma e
alla gerarchia ecclesiastica, perché continua ad esistere, anche se con difficoltà,
un’altra Chiesa, quella che vive nelle missioni, fra i diseredati e che non solo predica, ma opera nella solidarietà e nell’amore
per il prossimo. Ma la grande difficoltà
della chiesa evoca la crisi di un’altra potenza che è stata fondamentale, nel bene e nel
male, per tutto il ‘900 e che nella sua faccia
buona è stata decisiva nella civilizzazione
del secolo che abbiamo alle spalle.
La Politica è l’altro malato grave
di questi nostri tempi. Giornali e televisioni
sono strapieni di giochi, manovre, dichiarazioni, interviste dei tanti politicanti, ma ciò
che si è perso è il cuore nobile della Politica, ovvero la Politica del progetto, dei programmi, dei valori e soprattutto la coerenza
morale nei comportamenti. Si è disperso
un patrimonio di idee e militanza che ha
costruito la comunità e l’unità nazionale,
che ha fondato i partiti democratici del
primo dopoguerra e ha nutrito la nostra
democrazia. La crisi della Chiesa e della
Politica sono avanzate in parallelo, è così
nella forma, nella rappresentazione scenica
come nella sostanza. La chiesa non ha
raccolto lo spirito innovatore e riformatore
del concilio dei primi anni ‘60, non è stata
capace di abbandonare i suoi riti, i suoi
dogmi e ha così disperso la comunità, si è
separata dalle nuove contraddizioni dell’individuo e della società. Non diversamente
quei partiti di sinistra che dalla Politica
avevano tratto la loro legittimità, hanno
buttato alla fine degli anni ‘60 una grande
opportunità per cambiare se stessi e la politica. Quelli furono anni di grandi movimenti nelle università, nei luoghi di lavoro
e nella società, anni nei quali emerse un
potente desiderio di libertà, di uguaglianza,
di giustizia e di democrazia. I partiti chiusero gli occhi e restarono chiusi nei loro
recinti e, quando Enrico Berlinguer nei
primi anni ‘80 si avvide dell’errore e dei
guasti, ormai era troppo tardi.
Perché ciò è accaduto? Quali le
ragioni che hanno impedito alla Chiesa,
alla Politica, ai grandi Partiti di sinistra di
accettare la sfida del cambiamento? Perché
tanto miope conservatorismo? In realtà vi
fu dapprima un’incomprensione di fondo,
quando nei primi anni ‘50 né il Vaticano,
né il grosso della sinistra si avvidero dei
cambiamenti profondi nell’economia e
nella società. Gli uni e gli altri ignorarono
la forza pervasiva e totalizzante del nuovo
capitalismo, non ebbero né l’intelligenza,
né la volontà critica per affrontare le nuove
contraddizioni di una società ipnotizzata
dal consumo di massa. Quando poi i problemi, i bisogni per la loro evidenza e per i
movimenti nella società si manifestarono e
al mondo cattolico e alla sinistra e quando
poi i gruppi dirigenti colsero la radicalità
della sfida aperta e la necessità di un cambiamento profondo, essi scelsero di chiudere gli occhi e persero la sfida per rinnovare
Chiesa e Politica, persero la guerra senza
neppure aver iniziato la battaglia. Oggi
paghiamo duramente gli errori di allora e
degli anni che seguirono e la sensazione
che troppa acqua sia passata sotto i ponti è
forte, anche perché molti e radicali sono
stati i mutamenti. La crisi economica che
con la fine degli anni ‘70 iniziò come malattia endemica è, ormai, divenuta esplosiva e la crisi di certezze ha ormai investito
tutte le cellule fondamentali del nostro
vivere: dalla famiglia alla cultura del lavoro, dalla sfera sentimentale alle relazioni
sessuali.
Da qui l’importanza di riflettere
sulla radice lontana dei nostri problemi,
ripartire da quegli errori è fondamentale
per guardare al futuro e per dare un senso
all’incontro fra cultura cattolica e mondo
della sinistra, diversamente come la storia
lontana e recente dimostrano questi incontri si risolvono in inutili e dannosi compromessi di potere. ☺
[email protected]
CAMPOBASSO
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chiese
il concilio è vivo
Antonio Di Lalla
A cinquant’anni dall’inizio del
Concilio Vaticano II è bene interrogarsi su
come è stato recepito, soprattutto oggi che “la
chiesa ha ripreso ad avere paura del proprio
coraggio” (card. Kasper).
Si sentono affermazioni che vanno
da “il concilio non è stato ancora attuato” a “il
concilio è superato”; da “il concilio è da cancellare perché non in linea con la tradizione” (lefebvriani) alla “necessità di un nuovo
concilio” per affrontare i problemi sorti nel
frattempo o semplicemente evitati allora.
Giovanni XXIII voleva un aggiornamento
della Chiesa, per Paolo VI fu un rinnovamento, certo è che è stato un avvenimento provvidenziale, probabilmente da accostare alle
uniche due grandi riforme che ha conosciuto
la Chiesa (Gregorio VII e Lutero). Non ha
prodotto “definizioni”, non ha limitato gli
orizzonti della verità inseguendo errori e
pronunciando anatemi, ma ha scelto la strada
propositiva spingendo in avanti.
Il papa Giovanni Paolo II nella
lettera apostolica in preparazione al terzo
millennio (Tertio millennio adveniente), dopo
aver ricordato che “la migliore preparazione
alla scadenza bimillenaria, non potrà che
esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione dell’insegnamento del Vaticano II alla
vita di ciascuno e di tutta la Chiesa” (n. 20),
invita a un serio esame di coscienza sulla
ricezione del concilio per vedere in che misura la Parola di Dio è divenuta ispiratrice dell’esistenza cristiana e la liturgia fonte e culmine
della vita della Chiesa, se l’ecclesiologia di
comunione si consolida a tutti i livelli e se la
Chiesa e il mondo sono veramente entrati in
un dialogo aperto, rispettoso e cordiale (n.
36).
Ricezione
La Chiesa di oggi è certamente ben
diversa da quella preconciliare, è di gran
lunga più accogliente e amica, e i meno giovani sono stati chiamati a vivere un salto
qualitativo. La Bibbia è sempre più letta e
meditata, divenendo punto di riferimento
nelle scelte quotidiane; la nozione di “popolo
di Dio” come vero soggetto storico e quella
di “Chiesa come mistero” sono passate anche
se non hanno avuto ancora adeguato sviluppo; alla liturgia vi è una partecipazione attiva
10
e consapevole; nelle comunità si ha la possibilità di esercitare il diritto-dovere di critica,
una libertà prima quasi sconosciuta; la collegialità episcopale ha preso piede e la Chiesa è
avvertita come comunità di chiese per cui
faticosamente ma realmente assume forma
autonoma nei vari continenti; si è superata la
netta separazione tra chiesa docente che impartiva ordini e chiesa discente che aveva
l’unico compito di eseguire; cresce la corresponsabilità di ognuno all’interno della comunità dei credenti; le altre confessioni cristiane, come le altre religioni, non sono più
viste come depositarie di errori e pericolose
per la fede, ma come arricchimento nella
ricerca della verità; la gerarchia delle verità
per cui non tutto all’interno del mistero cristiano sta sullo stesso piano è diventata un
dato di fatto; è stata riabilitata la libertà di
coscienza dentro e fuori la Chiesa; la Chiesa
non è più percepita in forma piramidale con
al vertice il papa, ma come una circonferenza
il cui centro è Cristo; si va concretizzando la
scelta preferenziale dei poveri rinunciando a
ricchezza, potenza e privilegi.
Limiti
Ma è altrettanto indubbio che la
Chiesa non riesce più a scaldare i cuori perché il primitivo slancio si è affievolito, la
stanchezza nel cammino di rinnovamento si
avverte forte, le resistenze alla piena attuazio-
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ne del concilio non mancano: la paura della
modernità; l’istituzione che cerca di soffocare
il carisma e la profezia; si è accentuato il
primato papale proprio quando si avverte
come una necessità la sinodalità; la curia
romana che con le sue congregazioni non
riesce a leggere sempre correttamente il mondo d’oggi; l’uniformità dei riti liturgici; la
reintroduzione del rito antico; la collegialità
che per i vescovi nelle diocesi non è vincolante ma discrezionale per cui tutto dipende
dalla loro personalità; la revisione è più di
facciata anziché ripensamento della sostanza.
Attese
La riforma del primato papale,
chiesta nell’enciclica Ut unum sint, perché il
vescovo di Roma non può governare da solo
la Chiesa; la nomina dei vescovi, per evitare
“sorprese” al cammino delle chiese locali,
non può essere decisa all’insaputa delle comunità; un impegno attivo e dinamico del
laicato; il celibato dei preti, meraviglioso e
irrinunciabile, non può continuare ad essere
impedimento per l’ordinazione di uomini
sposati; il ruolo della donna nella Chiesa, dato
che le è preclusa ogni ministerialità, è da
ripensare; i divorziati risposati non possono
rimanere per il resto della vita esclusi dai
sacramenti; la contraccezione andrebbe finalmente discussa, ecc. Occorre un nuovo concilio per queste e altre questioni che emergono? “In questo grigio panorama ecclesiastico, un nuovo concilio rischierebbe di essere
un Vaticano I bis anziché un Vaticano III.
Quindi meglio impegnarsi a resistere per
mantenere desto lo spirito del Vaticano
II” (R. Giacomelli).
Va preso sul serio, allora, l’esame
di coscienza cui invitava papa Giovanni Paolo II per ripartire con nuovo entusiasmo e
offrire al terzo millennio una Chiesa credibile
al servizio del mondo. La buona o cattiva
volontà di tradurre in pratica la fede cristiana
e gli insegnamenti del concilio oggi dipendono anche da noi. Un fatto in ogni modo è
certo: “Lo spirito del concilio non è spento annota Ortensio da Spinetoli - È vivo. Non
cammina forse a fior d’acqua, avanza di
nascosto, come il vento che non si sa donde
viene e dove va, ma procede inarrestabilmente”. Non è questione di ottimismo, è consapevolezza che la speranza, anche se non poche
volte indignata, è nostra compagna di strada
in quest’avventura meravigliosa di testimoni
del Crocifisso Risorto.☺
report
A chi chiede, all’ottantasettesimo
numero del nostro periodico, che cosa
motivi la diffusione di queste pagine possiamo rispondere che la fonte ha la pretesa
di segnalare “bisogni primari” negati,
inevasi, insoluti: riassumerei così anche
quanto emerso nell’annuale verifica di
luglio, nel luogo simbolo del bisogno negato: la schiera dei prefabbricati dove vivono ancora, a Bonefro come in altri paesi
con ostinata caparbietà
Annamaria Mastropietro
Ci rivolgiamo a lettori che bandiscono la politica marketing: candidati ridotti alla caricatura di se stessi, preoccupati
di agghindarsi come prodotti di largo consumo, che banalizzano il linguaggio e i
to e all’etica. Ce n’è per la chiesa cattolica,
perché approfitti dei tempi che cambiano
per abbandonare un linguaggio troppo
spesso autoreferenziale, e per quegli intellettuali troppo codini e poco disposti a
mettere da parte il loro narcisismo.
Di fronte a cambiamenti epocali,
quali quelli che stiamo sperimentando a
livello sociale, culturale, religioso, cosa
può un periodico di periferia? Impedire la
formattazione del pensiero e favorire il
dialogo ed il ragionamento.
Per tutto ciò: si ricomincia! ☺
[email protected]
ferragosto
alcuni volti di coloro che fanno sì che questa rivista esista (Bonefro, 8 luglio 2012)
del cratere, i terremotati del 2002.
Nell’Italia ferita in quest’ultimo
decennio da ricorrenti fenomeni sismici,
per i molisani come per gli aquilani e gli
emiliani, possedere una casa, sia essa più o
meno modesta, è esigenza di autoaffermazione, oltre che risposta ad un bisogno
primario; per costruirsene una o per conservarla molti sono emigrati, in passato.
Perderla equivale a vedersi sottrarre l’universo dei valori faticosamente perseguiti
nel tempo, rinunciare ad angoli di vita che
rinviano ciascuno alla propria storia familiare, in una parola perdere la propria identità.
Perciò ogni anno, con ostinata caparbietà, ci ripetiamo che la fonte risponde
innanzitutto al bisogno, atteso con dignità
ma ormai anche con rassegnazione, da
dieci anni, dai terremotati del 2002 di riappropriarsi della propria casa.
Ciò che muove tutti i collaboratori
è la necessità di una informazione corretta;
non si predilige un settore a scapito di un
altro, perché la denuncia riguarda l’ordine
dell’antropologia come quello della politica e anche della spiritualità.
problemi.
Ci rivolgiamo a giovani, e sono
tanti, disposti a resistere al tentativo di
essere omologati e anestetizzati da idee
precotte.
La fonte assume così - come è stato
per altro rilevato - una funzione pedagogica di non poca importanza: vuole informare ma contemporaneamente formare, ha la
pretesa di svolgere un ruolo educativo che
ponga i lettori in condizione di confrontarsi
con la realtà sociale e culturale del proprio
territorio: leggerla criticamente, non subirla
in modo acquiescente.
Non si può essere neutrali di fronte
ai cambiamenti profondi che investono
ciascuno di noi, a partire dalla salute, dall’ambiente, dal lavoro, né tantomeno lasciarsi affascinare dall'industria culturale che
"compra" i giornalisti di maggior grido
perché scrivano articoli in favore della
propria linea politica.
Anche il superamento della separazione tra politica e religione è auspicato,
perché l’obiettivo è il recupero di una laicità e il desiderio di una politica capaci entrambe di collegarsi organicamente al dirit-
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Anche oggi il sole tocca con dita
bollenti uomini e cose. Gli zampilli che
dissetano il mio giardino, già di prima
mattina, sbriciolano l’acqua in un pulviscolo diafano che ruba i colori alla luce per
farsene arcobaleni. Annuso questo alito di
vento e questo pezzo di cielo che mi resta
tra il bosco e le case lasciandomi avviluppare da nastri di silenzio, un silenzio sonoro fatto di gocce, foglie, grilli e voli leggeri.
Il silenzio!… scelta necessaria di
una comunicazione apparentemente negata, ma che intreccia dialoghi profondissimi
alla ricerca mai compiuta di un senso.
Non provo più rabbia per gli
accadimenti che hanno travolto le nostre
vite, ma dolore sì, sebbene ormai dolce
come un canto di preghiera.
Torna come un’onda che lambisce spiagge di ricordi, il cammino percorso
insieme, le confidenze, i segreti, le cose per
orgoglio non dette… Torna come un’onda
senza riflusso che viene avanti, si dilata,
cresce a dismisura annullando lo spazio e il
tempo; ti percepisco nel tuo nonluogo dove
non c’è passato né futuro, ma solo un istante eterno, un presente infinito.
In fondo cos’è la morte se non
rincontrare l’Infinito?
Noemi
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il calabrone
siamo circondati
Loredana Alberti
Questo forse è l’ultimo scritto
che mando, che potrò mandare: sono
cambiate tante cose intorno a me, non so
più a cosa e a chi credere e ciò incrina la
mia identità, le mie facoltà di scelta. Non
so se vale continuare questo “gioco” che
da tempo è iniziato ma che solo negli
ultimi due mesi mi è apparso nella sua
totalità. So che siamo rimasti in pochi, in
pochissimi e non so neppure se voi, amici lontani, siete come me o come gli Altri. Ecco, già mi sta prendendo la gola un
senso di affanno e di inutilità, devo farmi
forza e appellarmi ai tanti che non ho
più, Nick, Flo, Simo. Voi che avevate
capito, dove siete? Insegnatemi voi, tu
Nick con il tuo sorriso complice ed arrendevole, tu Simo con la tua calma malinconica e tu Flo con l’ironia suadente.
Devo essere il più normale
possibile.
Ma davvero questo è l’ultimo
messaggio in bottiglia.
Qualcuno di voi capirà? Qualcuno di voi borbotterà: le solite sciocchezze facendo spallucce? Qualcuno
penserà ad uno scherzo banale di un’estate violenta e torrida?
Vi prego, non ridete, non ignorate le mie parole, credetemi!
Siamo circondati: sono arrivati
silenziosamente, senza che ce ne accorgessimo, hanno divorato le nostre anime,
si sono impossessati dei nostri corpi,
facendone delle copie, vivono al nostro
posto, in nostra vece ma non siamo noi;
non abbiamo più passioni, sentimenti,
siamo denervati. Ricordate il film di Don
Siegel dove strani invasori dello spazio
atterrano sotto forma di baccelli in una
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tranquilla cittadina e a poco a poco occupano i corpi dei suoi abitanti? Fu considerato un film contro il maccartismo,
asciutto, essenziale, senza effetti speciali, sottile nella sua ambiguità.
Ebbene è successo, non so dirvi
come, non so dire esattamene quando è
cominciato altrove, ma qui da noi so
bene quando ho avuto la sensazione di
essere circondata da non umani, da alieni
che ci dominano spinti, con freddo distacco, solo dal Potere. È così, non so se
ci replicano nel sonno come i baccelloni
di Siegel, so che i replicanti sono oramai
ovunque: distratti, gelidi, privi di umana
pietas, di vera amicizia, di vero amore.
Usano parole stantie, formali: sono fra
noi, sono il capoufficio, la persona che ci
abita di fronte, il politico che ci parla di
spread e non di come soffriamo e patiamo nella miseria.
Possono anche piangere, cioè emettere
liquido simile alle
lacrime, ma non soffrono, non amano,
non sono felici o
infelici, sono solo
altri da noi. E sono
ovunque, anche fra i
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nostri familiari, e la cosa si fa più inquietante. Per questo mi sono sottoposta ad
una prova estrema, definitiva, che potesse smascherarli, per questo da due mesi
sono qui rannicchiata in una casa che
non mi appartiene, non ha alcun mio
odore, nessun oggetto che sia mio, nessuna mia storia, non dormo oramai da
molti giorni perché ho paura che si impossessino anche di me e che anche io
mi possa svegliare senza passioni, senza
amore, senza il calore di amicizia e altro:
sentimento che ti spinge a vivere, ad
essere insieme agli altri, a scegliere della
tua vita.
Ma non vedete, non sentite
anche voi come tutto è cambiato? Accusiamo la crisi, la povertà, ma in realtà
siamo circondati dall’indifferenza, dal
disinteresse di finti umani che cercano di
omologarci nella paura e quindi nella
sottomissione, per obbedire a questa vita
senza dignità e sentimenti, per potere
dominare tutto il mondo umano. Sono
rassicuranti ma gelidi, comprensivi nel
dire, ma duri nell’agire e noi ci sentiamo
frastornati, non più noi stessi. Per questo
due mesi fa ho annunciato che stavo
perdendo la casa in cui vivo, l’ho detto
pubblicamente, la petite maison sarebbe
scomparsa nel giro di un anno e sapevo
che chiedendo aiuto pubblico e privato i
veri amici, quelli che sapevano e sanno
che il primo ottobre devo essere in tribunale e che un giudice dirà se avrò o no lo
sfratto entro un anno, mi avrebbero
riempito di cure, amore e sostegno.
Molti diranno ma che vuoi che
sia una casa? A parte il piccolo particolare che non ho i soldi per averne un’altra in affitto a Bologna, che non posso
permettermi altro, la poesia e l’arte non
pagano e non danno sicurezza, ma la
casa per me, e voi amici miei lo sapevate
e lo sapete, è pezzi, carne di vita, di amori, di passioni, di liti furibonde.
I miei 56 mq hanno in ogni
angolo la mia vita dal ‘73 ad oggi.
Lì vicino al tappeto Ale ha
compiuto i suoi diciotto anni e abbiamo
festeggiato insieme alle sue amiche. Lì a
sinistra, al tavolo giocavamo a Natale a
mercante in fiera o mangiavamo la cicerchiata: finalmente insieme, finalmente
felici facevamo festa, sulla parete di
fronte dominava ancora un collage enor-
il calabrone
me con visi di attori che Alessandro, un
amico di Campobasso, aveva composto.
Lì Luigi, mio figlio, ha studiato, ha ripetuto alcune volte con me le lezioni; arrivava la notte verso le tre, sapendo che io
vado a letto tardi, a portarmi i bomboloni
che uscivano in strada Maggiore, i primi
della mattina, da un forno preso d’assalto da giovani e meno giovani. Lì ho baciato, ho fatto l’amore, mi sono distrutta,
ho pianto, ho voluto morire ed ho voluto
vivere; è nella stanzina lunga e stretta
che ho guardato i tetti e le stelle e i miei
gatti andare per tetti sconosciuti; è sul
soppalco che chiamo nido d’upupa o
nido di ferro, dove passo le mie notti
scrivendo e leggendo, lì ho lottato, parlato, portato avanti incontri, serate con
poeti… con Gil soprattutto. Dove sei
ora? Tu non saresti mai diventato un
replicante. Lì dove si spalanca il primo
raggio del sole arrivasti per farmi un’intervista borbottando: - Da te, quando
vengo piove sempre -. Tuonò e subito
dopo arrivò il sole.
Sempre lì annichilita, rannicchiata in una poltrona chiamai Roberto
perché mantenesse la sua promessa di
parlarmi di poesia prima che cedessi alla
morte. Salì con la sua barba candida, mi
parlò e poi non mantenne la promessa,
quando venne in ospedale lo chiamai nel
dormiveglia traditore, mi carezzò. Lì ho
scritto sceneggiature, spettacoli, ho visto
uscire dagli angoli scene, personaggi, ho
visto piangere e sorridere, vive, le mie
parole, le mie poesie, le mie creazioni.
Via de’ chiari era ed è il nido
della mia vita.
Ho chiesto sostegno, lettere
pubbliche, appelli, certamente tutti i miei
amici avrebbero risposto.
Ed invece già tutto era stato
trasformato, altrimenti perche la pasionaria amica che aveva scritto su di me
parole bellissime, avrebbe risposto un
vago dimmi dove devo firmare, e perché
Cinzia, la bella, giovane esuberante poeta che mi ha sempre seguito, ha risposto
dimmi, Ninì, che fare, stop. E il mio vecchio amico di Roma, quello che si era
invaghito per un bel po’di tempo e che
mi scriveva ogni giorno e si preoccupava
di ogni mio colpo di tosse e che mi scrisse una volta - ho dedicato a te più tempo
che a tutte le altre donne ed io e Prima
(è lei l’unica di cui sono sicura oggi, ci
no presi.
sentiamo e ci diciamo come prima paroQueste sono le mie ultime parola - siamo circondate -, anzi è lei che mi
le. Ieri sera tardi, per cellulare Prima mi
diceva ridacchiando: - Non c’è speranza,
ci ha fatto pensare a questo dominio di
alieni) gli rispondemmo verso le tre di
stiamo cambiando tutti con questa crisi
notte “ma le altre erano tisiche?” dato
di merda e questa povertà -. Ho taciuto,
che a me forse aveva dedicato due o tre
ho cercato di sentire fra i fili se qualcosa
ore.
di lei mi desse un segnale. No, Prima, la
E il tenero Corteccia, (così lo
sciamana, colei che ha riso e pianto con
chiamo per scherzo) il mio amico dagli
me, che ha scritto con me pezzi per un
anni ‘80, quello che mi abbracciava sulle
web giornale da ridere all’infinito mendune di Termoli per farmi capire quanto
tre facevamo le inviate speciali per l’eera fraterno, quanto capisse il mio dolore
state e parlavamo sempre dal “BARdi allora, risponde: mi dispiace, ci senATRO”! Prima no! Non voglio che dotiamo, a presto, lo sai che qui è aperto.
mani mi dica per telefono con voce neutra, come mia sorella o altri familiari: Non è lui. Corteccia non è più lui!
E l’amore di sempre, quello
Non sai quanto mi d-i-s-p-i-a-c-e!con cui ho lottato una vita di spettacoli,
Stanotte sono stata con gli ocsperimentazioni, con cui abbiamo messo
chi aperti, ho guardato le stelle, ma mi
soldi e speranze e pezzi di vita appassiosembravano tutte oramai occhi pronti a
nata e artistica insieme? Dalla Grecia mi
spiare.
chiama dicendo, qui c’è vento, non c’è
Vi prego, non dormite, credetecampo, come va?
mi. Gli alieni sono fra noi, ci stanno
Urlerei: ho il cuore a pezzi, sto
divorando. E non avremo più, mai più
andando in tilt e invece, sapendo che gli
alcuna possibilità di sognare, amare,
altri mi ascoltano, rispondo - bene, tutto
ridere, piangere, soffrire. Non dormite
bene -. Anche perché non so se i suoi
mai più. Aiuto! ☺
[email protected]
occhi hanno già quel puntino grigio ferro
al centro della pupilla.
Ve l’ho scritto? Un punto di ferro
che brilla da solo ti fa
capire se sono Loro.
Ieri è arrivata
mia figlia, aveva un bel
vestito bianco e rosso,
un bel rossetto; mi ha
sorriso da lontano,
quando mi sono avvicinata per baciarla si è
ritirata. Lo fa spesso,
non è abituata ai miei
baci, ma ieri ho avuto
paura, l’ho guardata nel
fondo degli occhi, per
fortuna ha sorriso e
poco dopo ha avuto la
sua bella risata che
chiamiamo di gallinella.
Oggi ci saranno lei e Luigi e temo di
guardarli e di sentire Carla Llobeta
come va? Ti stai abi“territorio de sueños” (territorio di sogni)
tuando a vivere in colli2011 1,20 x 1 m
na?- Capirò che li han-
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molisecinema
dieci anni di qualità
Federico Pommier Vincelli
E dieci. Dal 7 al 12 agosto 2012
MoliseCinema ha tagliato il traguardo della
decima edizione con un programma intensissimo di proiezioni, eventi e incontri che
oltre al cinema ha dato spazio anche alla
letteratura, alla musica, al teatro, alla videoarte. Non è facile di questi tempi fare iniziative culturali in Italia, forse quasi impossibile. Le risorse pubbliche si riducono drasticamente, quelle private sono carenti e sono
tante le manifestazioni di qualità che non
riescono più ad andare avanti.
L’incertezza sui tempi e sui criteri
di assegnazione rende ancora più arduo il
lavoro di organizzazione e programmazione. In una situazione di oggettiva difficoltà il
successo di MoliseCinema, che ha avuto il
sostegno e la partecipazione della gente di
Casacalenda e del Molise, è un piccolo esempio di come la società civile abbia le
capacità per reagire alla crisi, anche se i
“miracoli” non sono sempre possibili ed è
assolutamente necessario che le istituzioni
diano maggiore stabilità a progetti come
questo.
MoliseCinema ha consolidato la
sua identità di festival dedicato ai nuovi
autori e alle produzioni indipendenti e per
tanti giovani registi e produttori è ormai
diventato un punto di riferimento ineludibile. Anche quest’anno ha offerto al suo pubblico, sempre più ampio e appassionato, la
possibilità di conoscere opere “nascoste” e
poco distribuite e di discuterne da vicino
con gli autori.
Le 4 sezioni in concorso di corti,
documentari e lungometraggi hanno mostrato una grande articolazione di linguaggi
e tematiche. Si pensi ad esempio al bellissimo documentario vincitore della sezione
“Frontiere”, Mare chiuso di Andrea Segre e
Stefano Liberti, un film di grande spessore
civile e artistico che racconta il dramma
dell’immigrazione e denuncia quella aberrazione giuridica dei respingimenti in mare di
cui purtroppo l’Italia è stata protagonista.
Oppure a Giusva, il documentario di Francesco Patierno sul terrorista Valerio Fioravanti che ripercorre la storia della violenza
politica degli anni ‘70. Al festival c’è stato
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spazio però anche per la leggerezza di Mi
manca Riva, la docufiction ironica e nostalgica di Giuseppe Gagliardi sul mondo delle
figurine, e di alcune deliziose opere prime
come I primi della lista, di Roan Johnson, Il
paese delle spose infelici di Pippo Mezzapesa, Il mundial dimenticato di Filippo Macelloni e Lorenzo Garzella, e Qualche nuvola
di Saverio Di Biagio, quest’ultimo film
vincitore del premio del pubblico per la
sezione “Paesi in lungo”.
I due concorsi per cortometraggi
(“Paesi in corto” e “Percorsi”) sono un punto di forza del festival potendo contare su un
enorme numero di iscrizioni (quest’anno
oltre 800 da più di 50 paesi del mondo) e su
diverse anteprime mondiali, europee e italiane. Nel campo del cinema breve MoliseCinema “dialoga” con i più grandi festival
internazionali con opere che arrivano direttamente da Cannes, Berlino, Sundance,
Tribeca e Clermont Ferrand. Ha vinto il
premio come miglior corto per la sezione
internazionale l’ungherese Finale di Balazs
Simony, con menzioni speciali al francese
Les meutes e allo spagnolo Tabolulè. Tra gli
italiani si è affermato Mobi di Michele Cadei, uno dei 5 titoli del Centro sperimentale
di cinematografia presenti in concorso a
Casacalenda.
Inoltre una sezione del festival è
stata dedicata al tema “cinema e calcio”, una
all’animazione, una ai corti delle scuole, e
una ai corti molisani proiettati in occasione
della presentazione della Film Commission
regionale alla cui nascita MoliseCinema ha
dato un contributo fondamentale.
Come eventi speciali del
festival vanno segnalati l’emozionante
proiezione di Cesare deve morire, con
un affettuosissimo intervento di Paolo
Taviani, l’incontro con Giorgio Capitani, maestro del cinema e della
fiction, che ha ripercorso con umiltà e
disincanto la sua grande carriera, il
“film partecipato” girato durante i
giorni del festival e che ha visto come
protagonisti gli abitanti del paese che
si sono espressi sul tema eterno dell’amore. E poi gli incontri con registi
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importanti del cinema d’autore italiano come Antonietta De Lillo, Alessandro Piva,
Francesco Paterno e con attori di qualità
come Valentina Carnelutti, Salvatore Striano, Angelo Pisani, Katia Folesa, Lino Guanciale.
Oltre i film, che sono i protagonisti principali del festival, MoliseCinema è
un’arena di incontro e dibattito culturale
dove le immagini si incrociano con i suoni e
le parole. Ci sono stati concerti, spettacoli,
mostre, rassegne di videoarte ed è stato per
la prima volta aperto uno “spazio libri” dove
sono stati presentati titoli di grande interesse
come ad esempio Pane e pace di Antonio
Pascale e Ritorno in Italia di Mary Melfi.
Il festival diventa così un aggregatore di eventi e tendenze artistiche che crea
valore per il territorio e rappresenta per il
Molise, una regione storicamente affetta da
isolamento culturale, uno stimolo al dialogo
e all’innovazione.
La decima edizione ha segnato
anche un rinnovamento dell’associazione
Molisecinema e della struttura organizzativa
del festival, che è stata rafforzata da giovani
competenti e motivati che hanno contribuito
in maniera determinante alla riuscita della
manifestazione e che saranno sempre di più
i protagonisti di questa attività di volontariato civico e culturale.
Un augurio di buon lavoro va
anche all’associazione “Nuovo Cinema
Roma” che curerà autonomamente la programmazione invernale dell’omonima sala
di Casacalenda.
A dieci anni dalla sua nascita la
realtà di MoliseCinema ha già un bel pezzo
di storia alle sue spalle e tanta strada da
percorrere davanti a sé, come sempre all’insegna del motto “piccoli paesi, grande
schermo”. ☺
[email protected]
cultura
San Lorenzo. Notte delle Pleiadi,
grappoli di speranze infrante e sogni incipienti. Esco con un’amica che, pur tra le
sue attuali difficoltà, mi presta un volto
accogliente, ascolta e mi parla con una
levità che è il sorriso dell’anima, mi sorprende con un regalo, un profumo dall’essenza floreale, quasi per dirmi che nei fiori
è il colore della vita e che il colore della
vita è prezioso e irrinunciabile. In modi
diversi me lo hanno ripetuto gli amici cari
che ultimamente mi sono stati vicini e mi
hanno sollevato dal grigio della sfiducia,
offrendomi tempo e cura e parole gravi o
burlone alla bisogna e silenzi vivificati
dalla condivisione di uno sguardo. Vero
che ogni amico è un tesoro.
Lo cantavano nel loro rock urlato
e trash, così usano definirlo i critici esperti,
i Queen, icone della musica leggera anni
ottanta: “Friends will be friends, when
you’re in need of love they give you care
and attention. Friends will be friends,
when you’re through with life and all hope
is lost, hold out your hands cos’ friends
will be friends right till the end”. Gli amici
sono e saranno amici, perciò, quando ogni
speranza è perduta stendi loro la mano,
perché gli amici saranno amici fino alla
fine.
Mutatis mutandis, è proprio
quanto affermava in tempi da noi ben più
lontani Cicerone che nell’opuscolo di filosofia morale dedicato all’amicizia, riprendendo le parole del poeta Ennio, nega che
la vita possa essere vitalis se essa non riposi nel mutuo affetto di un amico; prosegue
quindi Cicerone nel suo consueto ritmo di
prosa in cui si rincorrono simmetrie intrecciate di analogie e contrasti et secundas res
splendidiores facit amicitia et adversas
partiens communicansque leviores, cioè
che l’amicizia fa più luminosa la buona
fortuna e più lieve l’avversa, condividendola e così facendola anche propria.
Partecipazione, riconoscimento,
simpatia ed empatia soprattutto, questo è
l’amicizia, e sacrificio spesso e tanta pazienza, sempre. Lo ricordava la volpe al
piccolo principe biondo sceso sulla terra da
un pianeta lontano mentre gli chiedeva di
diventarle amico, avvertendolo che è quella dell’amicizia un’opera umana faticosa
quanto mai, e quanto mai felice, però, perché, dice la volpe al piccolo principe: “Io
non mangio il pane, e il grano, per me, è
non voltarti amore
Luciana Zingaro
inutile. I campi di grano non mi ricordano
nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticata. Il
grano, che è dorato, mi farà pensare a te.
E amerò il rumore del vento nel grano…”.
Ci guadagna il colore del grano l’amicizia,
e il sapore del vento, anche se l’amico è
lontano o non è più con noi.
Quando penso all’amicizia le
esperienze personali si confondono con gli
ideali coltivati tramite la poesia, il cinema,
la musica. Così mi vengono in mente gli
incontri coi miei amici, le discussioni interminabili su una passione, dal libro alla
politica all’amore, il segreto che non vede
l’ora di farsi pubblico, il riso che sfuma in
malinconia, il pianto che si traduce in battute mordaci, l’ineluttabile noia da spartirsi, almeno diminuisce, il mordi e fuggi di
occasioni quotidiane che si declinano in
attimi di bellezza dello spirito.
E mi viene in mente
Dante, l’“incantamento” che egli
sospirava per sé e per i suoi amici
Guido Cavalcanti e Lapo Gianni,
tale che quasi irretiti in una solidarietà fuori dal tempo potessero
vivere sempre in un talento e in
loro di stare insieme crescesse ‘l
disio. Penso naturalmente alla
cieca fiducia di Patroclo in Achille
e all’energia furiosa di Achille al
momento di vendicare la morte
dell’amico diletto o ancora alla
dolcezza di Eurialo e Niso, amici
di un’amicizia tanto giovane quanto perfetta per simbiosi di sentimento e volontà. E mi canto in
assolo De André, in nulla scontato,
come suole, sospeso
tra i “Come stai?”
dei conoscenti di una
serata leggera e
“meravigliato
da
luoghi meno comuni
e più feroci tipo
“Come ti senti amico, amico fragile, se
vuoi potrò occuparmi un’ora al mese di
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te”.
E ricordo le zingarate dei quattro
bischeri di Amici miei, belli di allegria e
gioia, “perché nella rugiada delle piccole
cose il cuore trova il suo mattino”, come
scriveva Gibran.
Stelle cadenti stasera non ne ho
viste, capiterà nei prossimi giorni forse, ma
poco importa, perché un pensiero da covare, un desiderio io ce l’ho: che gli amici,
l’amicizia, siano sempre saldamente presenti nella mia vita, come fin ora è stato.
Amicizia è la parola che assocerei per assonanza emotiva all’eternità, alla tenerezza, al tepore che non scivola via, al sentimento della certezza che liquida la precarietà e la vischiosità dell’esistenza.
Dunque ti prego non voltarti
amore e tu resta e difendici amicizia era
l’appello sobrio e accorato di Vittorio Sereni ed è, credo, preghiera di noi tutti.☺
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arte
l’arte di giacomo colombo
Gaetano Jacobucci
L’arte di Giacomo Colombo nel
1718 incontra la spiritualità di Francesco
Antonio Fasani, Il Padre Maestro, come lo
chiamavano i suoi concittadini di Lucera
(Fg). Seguendo le indicazioni del Santo
lucerino Colombo espresse nell’Immacolata quanto di più alto uno scultore devozionale potesse imprimere.
L’Immacolata di Lucera racchiude in prototipo la teologia francescana
della Vergine dell’Apocalisse e della
“Senza Peccato Originale”. L’impianto
scultoreo, di grandioso effetto, sfocerà
successivamente in rappresentazioni dello
stesso soggetto addolcito dalla leggerezza
del panneggio, da mappamondi e puttini
svolazzanti, serpenti attorcigliati, come
l’Immacolata degli Osservanti del Convento di Gesù e Maria a Foggia. È una
sacra rappresentazione quella che inventa il
Colombo tanto da sortire in un rinnovato
gusto del sacro, che gli scultori successivi,
specie nell’area molisana, imposteranno
con un gusto raffinato di spaziale leggerezza e aerea vaporosità di linee e torsioni dei
corpi.
È più bella che mai
Da un recente restauro la statua
dell’Immacolata è ritornata dalla foschia
del passato, nella resa cromatica del volto,
che esprime al meglio dolcezza e stupore
della Vergine. La testa dolcemente reclinata all’indietro e gli occhi fissi al cielo, rapita da visione celeste, accompagna dolcemente chi la contempla alla quiete e all’affidamento. La tradizione rimanda all’estasi
del Santo di Lucera in preghiera davanti a
questa immagine. Ricco è il panneggio,
ripreso dalla foggia degli abiti d’epoca. I
consueti colori delle vesti dai toni rosati e
dal manto stellato di azzurro, secondo l’iconografia canonica, vengono esaltati dall’effetto della sopraveste fiorata, che in
seguito sarà una guisa di dalmatica, leggera
e avvolgente, serica e fluida quasi creata
per esaltare il privilegio che racchiude. Il
leggero e lezioso ancheggiare pare animato
dallo spirito tardo barocco che lega quest’-
opera alla migliore lezione di dinamismo
declinante verso il rococò partenopeo.
Il Colore simbolico
Il simulacro si presenta come una
maestà vestita di sole, posizione eretta su
un corno di luna d’argento, tipico dello
schema iconografico dei francescani. Il
colore vivace, pieno, ricco, coinvolgente
sul piano emozionale, viene usato in modi
diversi, anche in funzione simbolica. La
Vergine raffigurata con la mano destra sul
seno e la sinistra implorante, atteggiamento
di preghiera, si eleva su un globo appena
accennato, schiacciando la testa dell’antico
serpente, puttini riccioluti sorreggono giocondi l’aereo peso. I tratti somatici, la delicata bellezza e il morbido incarnato, uniti
all’aristocratica gestualità e alla flessuosa
impostazione formale, rimandano a tanti
dipinti dei pittori contemporanei come
Solimena, De Matteis e Vaccaro. L’effetto
plastico di grande suggestione, con vibranti
sbattimenti di luce e ombre, dei pieni e dei
vuoti, messi in risalto anche dalla tremula
luce delle candele accese, dovevano impressionare non poco il pio fedele.
Il segreto di un successo
Le sculture del Colombo hanno
una chiara sensibilità e sottolineano la sua
conoscenza della scultura in legno spagnola, dal gusto spiccatamente teatrale, dove il
protagonista principale, il Santo o la Vergine, si protende verso il fedele implorante
grazie e protezione. Hanno la medesima
espressione declamante degli esperti oratori, come si evince dalle bocche semiaperte.
Questo è un carattere stilistico ed espressivo abbastanza ricorrente nei personaggi del
Colombo, e non solo. Nella composizione
delle opere colombiane ritroviamo la persistenza del gusto della teatralità barocca,
pur incastonato in un composto classicismo di fondo; si tratta di una teatralità vicina alla pietà e alla sensibilità del popolo,
finalizzata a mettere in evidenza il prestigio dell’insegnamento della fede per raggiungere la salvezza. Colombo dimostra di
conoscere la statuaria antica dell’arte classica; e lo fa nella riproposizione della tecnica scultorea tesa alla vibrante resa plastica del panneggio, della trama senza posa
delle linee che descrivono le increspature
dei tessuti colorati e febbrilmente mossi,
quasi a porsi in gara con la stessa pittura.☺
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BONEFRO
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mondoscuola
ventaglio di intelligenze
Gabriella de Lisio
L’intelligenza non esiste. E Howard Gardner è lo psicologo statunitense,
vivente, famoso in tutto il mondo per aver
affermato che le intelligenze sono più d’una e meritano - specialmente tra i banchi di
scuola, o meglio dietro alle cattedre - un
trattamento assai diverso da quello fin ora
ad esse riservato dalla maggioranza degli
insegnanti.
La teoria delle intelligenze multiple è infatti, senza essere nata con questo
scopo, una critica serrata alla tesi secondo
la quale gli uomini possiedono una sola
intelligenza, per di più misurabile con strumenti psicometrici standard come quelli
elaborati all’inizio del ‘900 negli Usa per
prevedere il successo o l’insuccesso scolastico, nella convinzione che il potenziale
intellettivo umano fosse determinato alla
nascita, con poche o nulle possibilità di
evolvere o incrementare nel corso dell’esistenza.
La posizione di Gardner (ben
sintetizzata in Educazione e sviluppo della
mente, Erickson 2005) ammette la
“convivialità delle differenze” di almeno
sette intelligenze o facoltà (versate chi alla
lingua, chi alla logica, chi alla musica, chi
allo spazio, chi ai rapporti interpersonali e
così via) che, compresenti in ciascuno di
noi, si sviluppano in modo talvolta molto
diverso l’una rispetto all’altra, a seconda
degli stimoli circostanti, e collaborano alla
risoluzione dei vari problemi quotidiani di
fronte ai quali ci troviamo.
Il difettaccio della scuola italiana
(e non solo, se lo stesso Gardner tira le
orecchie anche ai docenti americani) è di
privilegiare le sole intelligenze linguistica e
logico-matematica, che sono le uniche
valutate nell’ambito dei test di verifica
scolastica, ritenendo poco dotati quegli
allievi che manifestano intelligenze ed
inclinazioni diverse, alternative.
Ammettere un ventaglio di intelligenze ha di per sé una ricaduta didattica e
pedagogica immediata, poiché invita a
riflettere su un modo diverso di impostare
l’insegnamento, più attento a valorizzare le
capacità proprie, peculiari, di ciascuno,
senza mortificare quelle poco “allineate”
perché non le si conosce nemmeno, non le
si riconosce, non le si apprezza.
Invita a riflettere sul modo balordo, e spesso poco limpido, con cui gestiamo il famigerato “orientamento in uscita”
dalla scuola media verso quella superiore,
quando badiamo più ai numeri che formano le sezioni e meno ai cervelli e alle sensibilità che riempiranno quei banchi; quando
discriminiamo in modo razzista i “bravi”
che spediamo al liceo e i “modesti” o i
“fannulloni” che, con sufficienza, destiniamo a un professionale o, ben che vada, ad
un tecnico. Ma quand’è che inizieremo a
capire che ogni scuola ha la sua dignità
purché sia presa sul serio? Quando ci decideremo ad ammettere che l’avanguardia di
un laboratorio meccanico attrezzato non ha
nulla da invidiare a un glorioso
liceo classico? E che il sapere è
sapere, non c’è un sapere di serie
A (fatto per i figli di buona famiglia di certe nostre province) e
uno di serie B?
Invita anche a riflettere,
tornando al ventaglio di intelligenze, sul modo in cui sono
costruiti i nostri test di verifica
delle conoscenze, delle abilità,
delle competenze: un talento
musicale non potrà dare il meglio di sé in un banale test a domanda, bensì nell’ascolto di un
brano o nell’esecuzione dello
stesso. Persino una competenza
linguistica - così abituati come
siamo a verificarla con carta e
penna - ha bisogno di stimoli e
problemi da risolvere in situazioni comunicative reali,
ben simulate.
Insomma,
gli allievi devono
essere messi in grado
di affrontare problemi concreti e di mettere in moto - a seconda delle esigenze
- questa o quella
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“intelligenza”, questa o quella inclinazione,
per allenarsi a risolvere problemi con il
concorso di tutte le facoltà.
La vedo male. E la vedo lontana,
la nostra scuola, da questa impostazione
dell’apprendimento come palestra che
deve aiutare i ragazzi a muoversi con creatività e spirito d’iniziativa nel mondo, riuscendo a leggerlo con occhi competenti e
preparati all’imprevisto.
Però… è settembre. E ogni settembre è un ripartire con nuove energie,
nuova progettualità, nuova fiducia che si
può fare di più e meglio, che si può seminare il nuovo e crescere.
L’augurio che quest’anno faccio
ai miei colleghi è di rileggere o leggere
Gardner, sicuro, partiamo da qui, anche per
gustare la piacevolezza di una prosa svelta,
garbata. E poi di tornare in classe con occhi e occhiali diversi, di tanti colori… almeno tanti quanti sono gli infiniti, nascosti
potenziali dei nostri ragazzi. Intravedo un
arcobaleno favoloso. Buon lavoro. ☺
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società
comunicazione e comunità
Antonio De Lellis
A cosa serve comunicare se la
parola non è viva? La parola, infatti, non è
soltanto strumento di comunicazione, ma
spirito portatore di vita. La parola costruisce
comunicazione e questa genera relazioni
sane, fatte di confronto aperto, base di una
comunità viva.
Occorrono però alcune condizioni.
La comunicazione dovrebbe essere sobria.
Se il linguaggio è fondamentale per una corretta comunicazione bisogna subito dire che
vi è un linguaggio sobrio, ma vi è anche un
linguaggio invadente che supera i propri
confini.
La comunicazione dovrebbe essere
in grado di generare. Il linguaggio può essere
anche scorretto, sconnesso e parziale: non
genera, ma distrugge. Per edificare occorre
però una parola chiara, pulita, senza tentennamenti, che guidi l’ascoltatore al centro del
messaggio da trasmettere. In qualunque comunità umana o famiglia, che goda di buona
salute, si potranno notare l’impegno per una
diretta, onesta e corretta comunicazione che
genera comunione.
Altro aspetto è il rapporto tra comunicazione e falsificazione. La parola menzognera, addomesticata, asservita agli interessi dei potenti è uno dei “sette vizi capitali”
come riportato dal profeta Isaia: Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in
tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il
dolce in amaro (Is 5,20). In una società–
mercato, come la nostra, anche il linguaggio è
“sistema” e si rischia, adeguandosi, di diventarne parte acritica. Ogni sistema di potere
genera il suo linguaggio e attraverso di esso
soggioga le culture. La manomissione delle
parole è l’arte del potere e chi lotta per ristabilire i giusti significati svolge la prima vera
battaglia. Occorre una “bonifica” del linguaggio per scongiurare la manomissione
Via Marconi, 62/64
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delle parole. Anche attraverso le parole di
questo giornale, allora, si può svolgere il
compito fondamentale di “svelare” le parole
a se stesse ed ai lettori perché ci sia chiarezza,
trasparenza e le finalità siano chiare.
Molto spesso la frammentazione
della comunità è il risultato di una errata comunicazione che ovviamente non genera
comunione. Questa disgregazione si compie
attraverso, ad esempio, una strategia di semplificazione della realtà ed una strategia di
spostamento del locus e del focus del problema. Esempio: quando fu lanciato l’allarme
“zingarelli, lavavetri e bambini che chiedono
l’elemosina ai semafori” era stato presentato
pubblicamente il rapporto 2006 di SOS Impresa che stimava in 77,8 miliardi di euro
all’anno il fatturato della mafia italiana: il
doppio di FIAT ed ENEL, dieci volte TELECOM. Conseguenza: la lotta ai “fastidiosi” ha
disgregato, mentre la lotta alla “mafia dalla
faccia pulita” o alla “borghesia mafiosa”
avrebbe unito. Con condizioni simili per una
comunicazione “ecologica”, dovremmo tener
presente che non si può prescindere da ciò
che siamo!
Dovremmo imparare un linguaggio coerente con la nostra natura o con le
nostre scelte di vita. Faccio un esempio: da
cosa si può notare la scelta cristiana? “I nostri
linguaggi si sono normalizzati, le nostre azioni non hanno nulla di eccentrico, le nostre
decisioni non hanno il soprassalto dell’ estro”. Agli apostoli, nel giorno di Pentecoste,
la gente sbalordita diceva, beffandoli: “Sono
ubriachi di mosto dolce”. Nessuno ferma per
strada i cristiani di oggi per rimproverarli di
essere “sbronzi”. Sempre Tonino Bello, diceva: “Occorrerebbe poi pensare al tema dei
nostri compromessi col potere: quante volte
la paura di perdere i privilegi ci blocca la
profezia sulle labbra, se pur non ci rende
complici di tante ingiustizie consumate sulla
pelle dei poveri!”. E
Ignazio Silone scriveva: “T’immagini tu il
Battista offrire un
concordato a Erode
per sfuggire alla decapitazione? Ti imma-
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gini Gesù offrire un concordato a Ponzio
Pilato, per evitare la crocifissione?”.
Non c’è più il brivido della passione. Lo stesso capita ai militanti dei partiti
politici anche di sinistra. Già Gramsci, in una
delle lettere, scrivendo ai suoi compagni
diceva: “Manca il brivido della passione”. E
questa osservazione ci porta dritto ad una
altro concetto, quello della parresia, l’essere
diretti senza spirito di rivalsa o di gelosia o di
invidia, ma per la passione della verità e della
reciproca correzione fraterna. La parresia
comporta anche l’essere necessariamente
capaci di denunciare ciò che non va. Non
siamo più una comunità perché la comunicazione rasenta il balbettio rispetto a temi fondamentali quali le ingiustizie che generano
nuovi processi di impoverimento.
Ci sta abbandonando il desiderio
della costruzione del bene comune, che è
prima di tutto una comunità viva, in grado
di respingere i cancri della società quali la
pigrizia e passività, miopia, assenza di
senso critico, ingiustizie ed assenza di orizzonti di eutopia. Questi orizzonti comportano alcune linee direttrici “in comune”: il
lavoro è una meta per tutti, ma non lo è la
ricchezza; è possibile una vita per tutti
rispettosa degli ecosistemi, beni comuni
dell’intera umanità; la sofferenza va ascoltata e che non è una fragilità, ma senso
profondo della vita; che la legittima ricerca
della felicità è ciò che muove l’umanità
verso spiagge aperte e pulite; le uniche
armi che possiamo usare sono quelle delle
parole e delle azioni nonviolente; la sicurezza non si ottiene con i manganelli, ma
dando opportunità; una società sotto assedio è l’humus ideale per l’egoismo dell’opulenza; le vittime dei misteri delle stragi
italiane hanno sete di verità e giustizia;
l’apparire ad ogni costo è uno dei segni del
potere e non potere dei segni; le logiche di
potere devono essere sostituite da logiche
di servizio; gli apparenti fallimenti, frutto
spesso di umiliazioni, sono il lievito di una
nuova umanità; la lotta non deve spaventarci, ma deve costarci; il sangue innocente
farà rifiorire il deserto; la pace è opera di
Dio e, insieme, azione dell’uomo.
Non si ha comunità senza comunione e non si ha comunione senza comunicazione. È questo il nesso di unificazione
della società umana.☺
[email protected]
libera molise
Intorno alla prima metà del mese
di luglio scorso, alcuni cacciabombardieri
Amx del 51° stormo, dispiegato ad Herat,
in Afganistan, hanno bombardato massicciamente il “nemico” talebano. La conferma di tale attacco militare di guerra è venuta dalle dichiarazioni del comandante del
contingente italiano nonché dagli inviati
delle testate giornalistiche non solo italiane.
Ebbene, quale la reazione dell’opinione pubblica nel suo insieme? Quasi
nessuna, forse perché distratta dalle fatue e
sciocche trasmissioni radio-televisive o
perché indirizzata, senza che ne possa
comprendere il filo interpretativo, sull’onda delle notizie ogni giorno più scioccanti
e pessimistiche dello spread, del default,
della crisi economica, questa, sì, in carne
ed ossa! Sulla guerra, dunque, soltanto una
silente indifferenza ed una colpevole ipocrisia, che l’uso distorto o illecito delle
comunicazioni alimenta. Prendiamo un
esempio, quello del falso massacro di Racak, in Albania - 15 gennaio 1999 - durante il conflitto fra i kosovari e i serbi - 26
aprile 1996/10 giugno 1999 -, dove sono
stati trovati una cinquantina di cadaveri,
che non erano affatto i tragici resti di una
esecuzione di massa di civili innocenti - ad
opera dei serbi belgradesi -, ma il frutto di
una sceneggiata allestita dall’Uck, che in
quel periodo godeva di un ampio sostegno
internazionale, delle diplomazie di molti
paesi e dei loro servizi segreti. Incolpare i
serbi di gratuito “eccidio” e invalidare i
colloqui di Rambouillet (presso Parigi, 6
febbraio 1999, i serbi e i kosovari si sono
incontrati per raggiungere un accordo che
mettesse fine al conflitto civile e indicasse
la strada della soluzione che prevedeva la
concessione dell’autonomia amministrativa del Kosovo e non l’indipendenza dalla
madrepatria Serbia), colloqui grazie ai
quali si poteva immaginare una soluzione
pacifica dei conflitti fra i kosovari e la madrepatria serba - Belgrado -, è stato non
solo facile ma è apparso come uno strumento che ha giustificato l’atteggiamento
ostile delle diplomazie occidentali verso
Belgrado e la sua politica di mantenimento
del Kosovo in seno alla “piccola” Jugoslavia, ossia la Serbia. In una notte una cinquantina di corpi di combattenti e di civili
uccisi negli scontri con le milizie serbe
sono stati messi nelle fosse di Racak ed è
ipocrisia e guerra
Franco Novelli
stato fatto credere che quei cadaveri fossero stati uccisi dai serbi.
In effetti, è molto difficile frenare la deriva civile che si fonda sull’ipocrisia: ipocriti sono gli stati e i loro governi, che mentono sulle vere ragioni dei
conflitti armati e ipocrita è la gran parte
della società civile (la “massa grigia”!),
che, pur di essere in pace con se stessa,
mente accettando le varie argomentazioni
ufficiali che predispongono gli animi
all’inerzia, all’accettazione passiva di
quanto viene dichiarato dai mass media
(ricordiamoci della provetta - con l’urina
- e delle bustine - con il borotalco - di
Colin Powell, segretario di stato sotto
Bush, in occasione dello scatenamento
del feroce conflitto bellico contro l’Afganistan e Saddam Hussein). L’ipocrisia è
la ricerca della normalità e oggi, in una
situazione così particolarmente delicata
dal punto di vista economico, le persone
pretendono la normalità della vita, non
vogliono pensieri o preoccupazioni, e la
guerra, purtroppo, fa parte di questa quotidianità nella quale si fanno strada la
deroga e l’abbandono di qualsiasi altra
idea, pur eticamente elevata e civilmente
necessaria. Questa normalità è segno di
grande smarrimento civile ed etico e così
ci rendiamo conto che l’ethos e il pathos
politico-ideologico di qualche decennio
fa sono soltanto ricordi. Altro esempio
rilevante potrebbe essere quello relativo
alla figura del “soldato”, utilizzato non
più soltanto nelle missioni di guerra nel
mondo ma anche per l’ordine pubblico in
Italia, cosa che ce lo fa apparire come un
soggetto che ormai fa parte della quotidianità di una città né più né meno che
come un vigile, come il tram che ci porta
allo stadio, quindi come parte di un arredo cittadino che abbiamo accettato quasi
subito soltanto con
qualche sporadica
contrapposizione,
diciamolo pure, ad
opera dei soliti
“rompi-coglioni”
civilmente impegna-
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ti a riflettere sulle modificazioni economiche, giuridiche e comportamentali che
riguardano la nostra società. In questo modo finiamo di comportarci - e non ce ne
rendiamo conto nemmeno! - come quell’animale kafkiano che si scava la tana, pensando di difendersi dagli altri che lo molestano, cementandola dall’interno con il suo
stesso sangue e finendo in questo modo
con il rifiutare ogni contatto con gli altri,
con il mondo esterno.☺
[email protected]
È in uscita un'edizione più moderna della Bibbia, edita Mondadori.
Talmente moderna che...
… la ricostruzione del tempio di Gerusalemme è affidata a Bertolaso.
... i Re Magi seguono il TomTom.
... Adamo ed Eva si son conosciuti su
Facebook.
... i Romani comprano la croce all'IKEA.
... i 30 denari saranno intascati da Anemone.
... non convince la casa di Giuda a Montecarlo.
... nelle tavole della legge c'è il processo
breve.
... il peccato non è originale, ma un tarocco fatto a Prato.
... Mosè ha i 10 comandamenti scritti sull'iPad.
... la terra promessa è tutta edificabile.
... Barabba è difeso da Ghedini.
... Maria dice di esser rimasta incinta a sua
insaputa.
... Gesù intesta i suoi miracoli al fratello
per non finire sulla croce.
... le crune degli aghi sono allargate con
una legge ad personam.
... la torre di Babele è la sede del PD.
e non finisce qui
19
economia
fiducia e incertezza
Marco Ianniello
E’ l’incertezza il male che attanaglia l’economia nella sua globalità internazionale e che ha prodotto una rallentamento
nei consumi e negli investimenti, una paralisi nelle transazioni finanziarie e nei sistemi
creditizi, una recessione in termini di economia reale e disoccupazione. Non è stata,
però, l’incertezza ad aver innescato l’attuale
Crisi ma è stata l’incertezza ad averne prolungato gli effetti dal 2008 ad oggi, sia in
termini di profondità sia di durata. Ora tutti
possiamo renderci conto del prezzo che
stiamo pagando per questa prolungata incertezza e, di converso, dobbiamo attribuire
altrettanto valore alla fiducia come elemento
essenziale per un fluido funzionamento dei
sistemi economici.
Nel passaggio dall’economia reale a quella finanziaria
sono stati fatti molti “atti di fede”.
La finanza è stata l’acceleratore
dell’economia reale sostenendola
con nuova moneta per nuovi investimenti, proteggendola con contratti specifici per controllare inflazione e prezzi di materie prime
essenziali, avvicinandola ai mercati
regolamentati per raccogliere fondi
necessari per il proprio sviluppo.
Quando si parla di leva finanziaria (o leverage) si vuole sintetizzare proprio quel
“potere magico” della finanza di creare
liquidità immediata (debiti) a fronte di valori
statici ed immobilizzati (garanzie). A chiudere il cerchio dei debiti e delle garanzie, per
ben dire, è imprescindibile la redditività
ossia quella capacità di creare utili e futuri
flussi di liquidità in entrata, tali da remunerare i capitali investiti, sia propri che a debito, ed estinguere progressivamente i debiti
20
stessi. Così tutto funziona, e gode sia l’economia reale sia l’economia finanziaria.
Ma cosa succede quando viene
meno la redditività? L’impresa non è più in
grado di creare quegli utili, perde quella
liquidità in entrata, e non è più in condizione
di rimborsare neanche i propri debiti che
sebbene prima l’avevano tanto aiutata ora
vengono rinnegati e maledetti. In questo
primo stadio, la finanza non ha più fiducia
dell’economia reale e successivamente si
arriva al punto (pericoloso) in cui la finanza
non si fida nemmeno più di se stessa. Da
acceleratore benefico, ora la finanza è un
nemico in casa e per molti è anche il capro
espiatorio soprattutto quando non si sa a chi
dare la colpa.
Semplificando, tutto si regge su
pochi pilastri che non sempre sono sufficientemente solidi e quando viene intaccata
quella fiducia necessaria, la fiducia stessa li
fa presto crollare. Allora nessuno più si fida
dell’altro e tutti cercano di detenere i soldi in
forme liquide o a breve scadenza per stare
tranquilli ma senza pensare, o sapere, che
anche i soldi sono i primi veri figli legittimi
della finanza. Tutto nasceva nel 1959 con il
sistema monetario del
Gold Exchange Standard (Bretton Woods)
che stabiliva la convertibilità di tutte le
monete (divise) internazionali con i dollari
statunitensi che a loro
volta avrebbero mantenuto una convertibi-
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lità prestabilita con l’oro (cambio fisso di 35
dollari per 1 oncia d’oro). Quando poi nel
1971 fu abbandonato questo cambio fisso
dollaro/oro per favorire l’economia e la
liquidità in circolazione, allora si era già
entrati in un sistema completamente basato
sulla fiducia. E anche per l’Euro il rapporto
tra circolante e riserve auree - detenute dalla
BCE e dalle Banche Centrali dei paesi dell’Eurozona - non è a pareggio. Insomma la finanza, con il suo
potere magico e moltiplicativo, non è solo
quella di cui si sente parlare in TV che può
sembrare distante da noi e dalla nostra quotidianità: la finanza parte proprio da quei
soldi (sempre di meno…) che abbiamo in
tasca, i quali valgono solo se convertibili in
once d’oro, altrimenti rimangono dei semplici pezzi di carta disegnati con ponti colorati o con facce del passato, privi di valore
intrinseco. Con ciò non si vuole creare panico o diffondere ulteriori preoccupazioni, perché anche se nel mondo intero ci fossero tante riserve
auree a copertura di tutte le divise
in circolazione, quell’oro non
riuscirebbe mai a rimborsare tutti i
debiti creati dalla bacchetta magica della finanza. Quindi a preoccuparsi davvero dovrebbe essere
soprattutto la finanza stessa.
E’ bene concludere, però, osservando che la finanza ed i mercati
sono solo degli strumenti a nostra
disposizione, sono un mezzo e non un fine
da utilizzare con misura ed equilibrio e pertanto non sono i colpevoli di niente. I veri
responsabili sono sempre coloro che li usano in modo distorto e chi glielo consente.
☺
www.trendintime.com
leggo
la fonte
perché
è meglio
l'erba del vicino
che i vicini di Erba
lotta e contemplazione
un filo di vento
la bellezza del creato
Giulia D’Ambrosio
Rosalba Manes
“Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oUna soluzione alla crisi che non tiene conto del cuore, temo proriente,
e
vi
collocò l’uomo che aveva plasmato… lo pose nel
prio che non possa arrivare. “Così come un insieme di foglie in una foresta
giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen
non trasmettono movimento finché non arriva la brezza che le sfoglia. Cioè
2,8.15).
Il secondo racconto della creazione ci presenta l’uol’anima, lo stato del sentimento” - come dice Roberto Mussapi, poeta e
mo
come
coltivatore e custode del giardino di Dio. Il giardiscrittore - le foglie non sono percepibili se non mosse da un “filo di vento”
no
è
l’immagine
della vita che l’uomo riceve come dono,
così come le idee, senza una relazione col cuore, con la passione non riescocome
dono
è
la
terra
che il Signore promette a Israele dopo
no a farsi vive.
il
peccato.
Il
dono
di
Dio
è quindi lo scenario in cui l’uomo
Quante parole di economisti, uomini di governo, rappresentanti
vive e respira: il creato.
dello Stato sono foglie ferme di una foresta inerme. Se davvero ci fosse un
Questa realtà affidata da Dio in custodia al suo
grande ideale da raggiungere, non un solo filo di vento ma un uragano muopartner
nell’alleanza
appare però - soprattutto nei mesi estivi
verebbe le coscienze sradicando il primato dell’economia per restituire
in
cui
assistiamo
al
moltiplicarsi
degli incendi dolosi - deturall’uomo i diritti umani ottenuti a fatica.
pata,
sfruttata,
esanime.
Non
viene
custodita. I reati ambienIl successo di tante imprese è nato su un sogno, perseguito con
tali
si
sono
moltiplicati
a
dismisura
perché
i reati contro l’uocaparbietà e dedizione. Spesso con l’orgoglio di chi non chiede allo Stato,
mo sono aumentati.
ma contribuisce al benessere del Paese con la forza delle idee, con la passioTra i martiri del Vangelo oggi contempliamo i
ne per il lavoro. L’Italia è il paese delle microimprese ed oggi questo viene
“martiri
del
creato”, uomini e donne sedotti dalla Bellezza
visto come un tratto negativo. A mio avviso è vero solo in parte, perché
che
lottano
contro
la cattiveria di chi vuol cancellare dal cocaratteristico di una realtà economica estremamente variegata e ricca di
smo
ogni
traccia
di
bellezza per sete di denaro.
spunti originali. Piuttosto, per ripartire avremmo bisogno di un sistema fiNon
rubateci
la bellezza, non sbarrate ai figli una
scale sopportabile dove tutti pagano le tasse e in cui le volpi delle grandi
via
d’accesso
al
Padre!
Un tempo gli uomini conoscevano
imprese non possano ogni volta organizzare i loro blitz attraverso furbi e
questa verità: “dalla grandezza e bellezza delle creature si
quotati commercialisti senza scrupoli, o concordati con le banche. Alla fine
contempla
il loro autore” (Sap 13,5) e, chiamando la terra
a pagare siamo proprio noi “i piccoli”, i portatori d’acqua. Il dramma vero
“madre”,
si
ricordavano di non essere orfani e di essere tra
però arriva quando competere col mercato “libero” diventa frustrante, perloro
fratelli.
☺
ché nessuno si sofferma sul vero problema di questa catastrofe.
[email protected]
IL LAVORO RUBATO, sì rubato a tutti noi, che è stato spostato
dove un essere umano non ha nessun tipo di diritto se non quello di vivere
come una bestia. Molti di noi si ritroveranno
inghiottiti da questa assurda spirale inarrestabile.
Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
Chi potrà dovrà pensare ad una scialuppa di salvataggio dove rifugiarsi, perché la grande onda
arriverà. Coloro che avranno la forza di resistere,
quando tutto riprenderà, avranno grandissime
opportunità, ma non sarà facile e lì dovremo puntare i nostri sforzi. Perché, non so tra quanto ma...
il sole ritornerà anche se nulla sarà più come prima.
Intanto vorremmo gentilmente riprenderci il diritto di essere cittadini che scelgono il
loro governo. Fissiamo noi le regole, una volta
per tutte, mandando all’aria la mediocrità degli
incapaci prestati alla politica. ☺
Lo scopo del lavoro
è quello di guadagnarsi
il tempo libero.
Palo eolico morto.
Possibile che del creato continuiamo a non capire un tubo?
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21
spazio giovani
il viandante
Mara Mancini
Le parole di quel libro gli fanno
eco nella mente: sarebbe bello poter scivolare sulla superficie del mondo per tutta la
vita, volteggiarci sopra senza mai rompere
il ghiaccio… ma così ti perdi il meglio.
Bisogna rompere il ghiaccio. Bisogna
sprofondare, immergersi. Non ci si può
limitare a pattinare in superficie, andare e
venire, come se niente fosse (Emily St.
John Mandel, La musica delle parole).
Immergersi nel mondo, sprofondarci dentro… sente brividi solo se ci pensa.
Ha paura del mondo, del tempo
che passa, della realtà instabile, mutevole e
sfuggente in cui vive. Ma Seneca, filosofo
latino, sosteneva che la vita non è breve:
siamo noi a renderla tale. Conviene accettare il consiglio di un certo Lorenzo de
Medici: chi vuol esser lieto sia, di doman
non c’è certezza! Una realtà come quella
rappresentata dal barocco attraverso le
immagini che lo rattristano di più: il vento,
l’acqua che scorre, le ombre, le rovine, le
catastrofi, i teschi, i fiori appassiti, gli orologi.
Triste ha un’etimologia ignota,
da qualcuno collegata al ceppo anglosassone threostru che significa tenebre: sarà
perché chi è triste non riesce a vedere la
luce? Don Tonino Bello ha scritto che la
vera tristezza non è quando, la sera, non
sei atteso da nessuno dal tuo rientro in
casa, ma quando tu non attendi più nulla
dalla vita. E la solitudine più vera la soffri
non quando trovi il focolare spento, ma
quando non lo vuoi accendere più: neppure per un eventuale ospite di passaggio.
Quando pensi, insomma, che per te la
musica è finita. E ormai i giochi sono fatti.
22
E nessun’anima viva verrà a bussare alla
tua porta.
Vittorio Alfieri nella seconda
metà del ‘700 rievoca la tragedia di Saul,
un uomo completamente solo, abbandonato anche da Dio. Il peccato di Saul è il suo
rifiuto di accettare la propria “umanità”,
il proprio destino di uomo consegnato al
trascorrere del tempo e della morte. Si ha
paura della morte quando non si vive al
massimo, quando la vita non va come si
vuole. E allora si desidera che il tempo
raddoppi, triplichi, sperando che le cose col
tempo miglioreranno. L’unico rilancio è di
cambiare la vita prima che sia lei a cambiare lui! In lui si sta plasmando lo stesso
peccato di Saul. Si sente un viandante, uno
di quelli che viaggiano, visitano e cambiano strada per poi ripartire di nuovo. Uno
straniero, un forestiero. E non solo. Ti sei
mai sentito come una busta di plastica
trasportata dal vento, che vuole ricominciare tutto da capo? Ti sei mai sentito sottile come un foglio di carta, e come un
castello di carte, ad un soffio dal cadere?
(Traduzione di Firework, Katy Perry).
Ecco, lui si sente così. Ciò nonostante è un
idealista e crede nelle cose vere, nel lieto
fine, nei miracoli, o forse ci spera soltanto.
Associa alla parola vivere un significato
profondo, ma non sa metterlo in pratica:
non vede solo persone che lavorano, che
fanno sacrifici, che studiano, appena licenziate. Immagina anche chi decide di mettere da parte la sua vita per un po’, di non
pensare alle lancette dell’orologio che corrono veloce. Immagina chi si sdraia sull’erba a guardare le stelle, chi resta sveglio a
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guardare l’alba. Immagina chi si gode la
vista del tramonto dal mare, chi si diverte a
giocare a palle di neve, chi ama le improvvisate. Immagina chi corre sui prati, si
ferma a raccogliere fiori, chi torna per un
po’ bambino o chi in fondo non ha mai
smesso di esserlo.
Nella vita, quella vera, c’è sempre tanto traffico: rabbia, emozioni, tristezza, gioia, dolore, angoscia, delusione, gelosia, piacere. E fra le strade della vita, quella
vera, il semaforo manca sempre. Ecco
anche il motivo per cui non bisogna essere
da soli! Anche se la vita non è un film,
dobbiamo cercare di vivere al meglio, e poi
certe cose succedono nei film perché qualcuno le fa nella realtà (Alessandro D’Avenia, Cose che nessuno sa)!
L’impatto con il mondo è sempre
forte per chi vorrebbe solo farne parte: un
conto è la vita che imposta il suo gioco, un
conto è averlo capito. È dura non essere al
sicuro per avere tutto quel bisogno di futuro. A mia volta mi fido del mondo, non ti
dico le botte che prendo: non c’è modo di
starsene fuori da ciò che lo rende tremendo e stupendo! A mia volta non smetto di
andare, anche se non si sa ancora dove:
quello che conta è sentire che vai. A parte
che gli anni passano per non ripassare
più, c’han concesso solo una vita, soddisfatti o no qua non rimborsano mai e se ti
accontenti godi così così. Ogni passo è
una scelta, ogni passo fa l’impronta... Cosa pensi di fare, da che parte vuoi stare?
Niente paura, il meglio deve ancora venire! (Luciano Ligabue)
E lui, proponendosi di cambiare,
di fare di più per se stesso e per gli altri,
ogni tanto se lo ripete come formula incoraggiante… ma sì, il meglio deve ancora
venire.☺
[email protected]
ambiente
Leggendo alcune delle notizie
pubblicate di recente su alcuni quotidiani
che riportano informazioni/visioni superficiali e/o distorte della realtà non possiamo
fare a meno di parlare di uno degli amici
dell’uomo che è entrato nel profondo della
nostra cultura, è conosciuto da tutti e rappresenta l’uccello cittadino per eccellenza: il
Piccione o Colombo.
Il rapporto uomo-piccione si perde nella notte dei tempi, a circa ottomila
anni fa, essendo uno dei primi uccelli ad
essere stato addomesticato ed è da sempre
stato simbolo di amore, di fedeltà, dalla
colomba della pace allo Spirito Santo. Esiste
quindi una nostra predisposizione quasi
innata a essere benevoli verso di lui anche se
oggi è ritenuta una specie “problematica”
essendo molto prolifica e confidente.
I media che parlano di Piccioni
tendono, di solito, a sottolinearne la pericolosità per la salute umana, con toni troppo
spesso apocalittici. Occorre invece essere
obiettivi, attingendo alle pubblicazioni
scientifiche e ai dati medici. Questi ultimi
affermano che i piccioni possono ospitare
70 organismi patogeni di cui solo 7 sono
stati in grado di trasmettersi agli esseri umani. Inoltre dal 1941 al 2004 (63 anni) i casi
documentati in tutto il mondo sono stati
207, e gran parte dei pazienti è stata curata
con successo. Se pensiamo alla sua vicinanza con l’uomo, alla sua condivisione degli
spazi e degli ambienti cittadini, alla sua
popolazione nel mondo, dobbiamo davvero
ridimensionare il problema sanitario che
potrebbe essere ridotto a 3 casi mondiali
l’anno dei quali però dovrebbero essere
analizzati a fondo anche tutte le circostanze
dell’avvenuta trasmissione (stato sanitario e
di nutrizione della persona, stato dell’ambiente, vie di trasmissione, ecc.).
I Piccioni, insieme ad altri uccelli,
diventano per l’uomo anche un facile caproespiatorio per i danni ai monumenti o ad
amici dell’uomo
Marco Dinetti e Angela Damiano
edifici dimenticando che, sebbene non siano
affatto voluti dall’ignaro uccello, questi si
possano prevenire ed impedire. Mentre non
sempre è invece possibile prevenire quelli
provocati da incivili atti vandalici attuati
dalla nostra stessa specie, se non con una
seria e costosa campagna di educazione e
sensibilizzazione, oppure quelli causati da
un responsabile “meno visibile” e più subdolo: l’inquinamento, che richiede un radicale cambiamento delle nostre attuali abitudini ed alla rinuncia di qualche consolidata
“comodità”.
Per tentare di limitare le popolazioni di piccioni vengono sovente utilizzati
in Italia improbabili sistemi di gestione:
- Falconeria: ma se i piccioni non scappano
dalle città dove si sono insediati spontaneamente e stabilmente i Falchi Pellegrino,
pensate davvero che fuggiranno alla vista
dei rapaci dei falconieri?
- Antifecondativi: La “pillola contraccettiva” potrebbe apparire un buon sistema.
Peccato che la nicarbazina, il farmaco attualmente utilizzato, riduca la produttività al
massimo del 59%. Quindi, dalle femmine
che assumono il cibo medicato, nasceranno
figli da 4 uova su 10 deposte. E inoltre occorre un trattamento continuo, altrimenti
tutti i piccioni torneranno fertili in pochi
giorni.
- Abbattimenti: non parliamo poi delle ordinanze con cui Province e Comuni ne autorizzano l’abbattimento. Di sicuro questa
misura non ha nessun effetto sulle popolazioni poiché i piccioni sono molto prolifici e
bastano poche settimane perché il loro numero torni ad essere quello che era prima.
Si tratta di tempo e denaro pubblico
sprecato!!!
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marzo 2005
Occorre quindi superare l’approccio
dell’emergenza individuando, invece,
vere e proprie politiche di gestione per
non ripetere gli errori del passato e attingendo alle migliori esperienze sviluppate
in Italia ed in altri Paesi. Le parole d’ordine di una vera strategia per contenere
le popolazioni sono:
- Integrata: usare più metodi (realmente
efficaci) in combinazione
- Selettiva: non deve interferire con le
altre specie
- Condivisa e partecipata dalla gente
- Durevole nel tempo e sostenibile economicamente
- Orientata al riequilibrio ambientale,
tramite la riduzione delle risorse sovrabbondanti di origine antropica (abbassamento della “capacità portante dell’ ambiente”).
La LIPU ha redatto un Documento ufficiale approvato dal Consiglio nazionale che non solo si basa su quanto emerge
dalla più recente letteratura scientifica e dai
convegni tecnici internazionali ma anche su
un approccio ecologico e incruento poiché
crediamo che per migliorare la convivenza
tra uomo e “altri” animali vi debba essere
una corretta informazione dei cittadini e la
loro condivisione e partecipazione per stabilire un corretto equilibrio che duri nel tempo
(scaricabile al link: www.lipu.it/pdf/LIPU
Colombo.pdf ). Per i privati ed enti pubblici
che desiderano collaborazione e suggerimenti possono rivolgersi alla LIPU scrivendo a: [email protected][email protected]
23
la nostra fauna
piccione o colombo? francia batte italia
Angela Damiano
Uno studio dei ricercatori Battisti e Zapparoli ha individuato oltre 20 denominazioni per questa specie. Piccione o Colombo
sono termini entrambi corretti mentre dal punto di vista della tassonomia stiamo parlando del Piccione di città (Columba livia var.
domestica). L’habitat originario di nidificazione di questa specie è
rappresentato dalle falesie o pareti di grotta in ambienti aperti o poco
alberati ed è quindi molto simile alle caratteristiche presenti nei centri
urbani, oggi utilizzati dalle popolazioni più o meno inselvatichite che
sono state determinate da individui sfuggiti o liberati di diverse razze
domestiche che hanno soppiantato progressivamente i nuclei originari. Residui di nuclei selvatici di Piccione selvatico (Columba livia
livia) sono presenti in modo molto frammentato soprattutto nelle
zone costiere (il 70% in Sardegna) e sono in decremento costante.
Nel XIX secolo erano presenti ancora nuclei selvatici in
alcune città italiane come Firenze che deve l’attuale popolamento
urbano alla liberazione nel 1887 di piccioni “viaggiatori” che erano
stati allevati per l’invio di messaggi o per sport. Generalmente sia il
maschio che la
femmina
possiedono
una colorazione simile a
quella selvatica: complessivamente grigio-bluastra,
due strisce
trasversali
nere che attraversano le ali
ed una al
termine della
coda,
una
tacca bianca
sul groppone
mentre
sul
petto
sono
presenti iridescenze purpureo-verdi che
risultano molto ridotte negli individui giovani. Le forme semi-domestiche però
possono avere anche colorazioni che variano di molto la loro estensione e gradazione oltre che avere dimensioni diverse.
Si stima che in Italia ci siano dalle 3000 alle 7000 coppie di
Piccione selvatico che sono attualmente confinate alla Sardegna poiché nel resto del territorio sono state “sfrattate” dalle forme domestiche allevate dall’uomo, lo stesso che oggi vorrebbe poter risolvere il
“problema” piccioni rapidamente così come ha creduto di fare molti
anni fa aprendo le sue gabbie.☺
[email protected]
24
Ecco cosa ha fatto Hollande (non parole ma fatti) appena si è insediato:
- ha abolito il 100% delle auto blu e le ha messe all’asta; il ricavato
va al fondo welfare da distribuire alle regioni con il più alto numero
di centri urbani con periferie dissestate. Ha fatto inviare un documento (di dodici righe) a tutti gli enti statali dipendenti dall’amministrazione in cui comunicava l’abolizione delle “vetture aziendali”
sfidando ed insultando provocatoriamente gli alti funzionari con
frasi del tipo “un dirigente che guadagna 650.000 euro all’anno, se
non può permettersi il lusso di acquistare una bella vettura con il
proprio guadagno meritato, vuol dire che troppo avaro, o è stupido, o
è disonesto. La nazione non ha bisogno di nessuna di queste tre
figure”. 345 milioni di euro risparmiati subito, spostati per creare
(apertura 15/8/2012) 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta
tecnologia assumendo 2.560 giovani ricercatori disoccupati “per
aumentare la competitività e la produttività della nazione”.
- Ha abolito il concetto di scudo fiscale (definito socialmente immorale) e ha emanato un urgente decreto presidenziale stabilendo un’aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che,
al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all’anno. Con questi
soldi senza intaccare il bilanci odi un euro ha assunto 59.870 laureati
disoccupati, di cui 6.900 dal 1/7/2012, e poi altri 12.500 dal 1/9/2012
come insegnanti nella pubblica istruzione.
- Ha sottratto alla Chiesa sovvenzioni statali per il valore di 2,3 miliardi di euro che finanziavano scuole private ed esclusive e con i
soldi risparmiati ha varato un piano che costruirà 4.500 asili nido e
3.700 scuole elementari, avviando così gli investimenti nelle infrastrutture nazionali.
- Ha abolito tutti i sussidi governativi a riviste, quotidiani, fondazioni
e case editrici, sostituite da comitati di “imprenditori statali” che
finanziano aziende culturali sulla base di presentazione di piani business legati a strategie di mercato avanzate.
- Ha decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi,
del 32% di quello dei parlamentari e del 40% di tutti gli alti dirigenti
statali che guadagnano più di 800.000 euro l’anno. Con quella cifra
(circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo di garanzia welfare che
attribuisce a “donne mamme singole” in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di 5 anni. Il tutto
senza toccare il pareggio di bilancio.
- Forti agevolazioni fiscali alle banche che agevolano le aziende che
producono merci francesi attraverso crediti agevolati. Chi offre invece offre strumenti finanziari paga invece una tassa supplementare.
Prendere o lasciare.
Risultato: Lo spread con i bund tedeschi è sceso come
per magia. E’ arrivato a 101 (da noi intorno ai 470).
L’inflazione non è salita. La competitività e la produttività nazionale è aumentata nel mese di giugno per la
prima volta da tre anni a questa parte.
Da noi? BLA,BLA, BLA E TUTTI ATTACCATI A
CARICHE E POLTRONE.
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le nostre erbe
una pianta dai mille usi
Gildo Giannotti
La melissa (Melissa officinalis),
pianta appartenente alla famiglia delle
Labiate, è un’erbacea perenne. Il nome
sembra derivare dal greco mèlinon, la cui
radice mèli, mèlitos significa “miele”. Ciò
probabilmente è dovuto al fatto che questa
profumata pianticella attira le api e incrementa la produzione di miele.
Si può trovare lungo le siepi e
nelle zone ombrose oppure coltivata nei
giardini. Cresce spontanea in tutta Italia
fino ad un’altitudine di 1.500 metri sul
livello del mare. Essendo una pianta rustica, la melissa, più che l’ombra e il freddo
(sopporta bene anche l’inverno al Nord),
teme il caldo e l’aridità: per questo occorrono annaffiature regolari specie durante
l’estate.
La melissa può raggiungere anche il metro di altezza e il suo apparato
radicale rizomatoso ne favorisce l’espansione. Le foglie, di un colore verde intenso
in superficie e verde chiaro nella pagina
inferiore, sono cosparse di cellule oleifere.
Il loro aspetto ricorda molto la pianta dell’ortica, ma, nonostante tale somiglianza,
esse non pungono, anzi, se strofinate fra le
dita, emanano un gradito profumo di limone. Infatti l’olio essenziale della melissa
contiene diverse sostanze aromatiche presenti nelle essenze degli agrumi e per questo viene chiamata anche erba cedrina,
cedronella o citronella, proprio per l’intenso profumo di limone che emana al contatto, ma non va confusa con l’omonima
pianta (Cymbopogon nardus) efficacemente impiegata contro le zanzare. Alcune
varietà (Melissa aurea) presentano le foglie maculate di giallo e, pur essendo utilizzabili come piante decorative, mantengono intatte le proprietà aromatiche della
specie. I fiori - come si diceva assai graditi
alle api - sono piccoli, di colore bianco con
leggere sfumature rosa pallido. La fioritura
si protrae dall’inizio dell’estate fino a tutto
il mese di luglio.
La raccolta si effettua mediante
falciatura prima della fioritura. Nell’anno
dell’impianto si esegue un solo taglio,
negli anni successivi due, ad inizio e a fine
estate. Il materiale raccolto va immediatamente essiccato all’ombra in ambienti
ventilati. La produzione di melissa fresca,
nei due tagli, può raggiungere 200 Kg
complessivi per 100 metri quadrati.
Probabilmente non c’è pianta
officinale che abbia più usi della melissa: è
nota infatti per le sue proprietà medicamentose ed è molto apprezzata per la sua
componente aromatica, che ben si sposa
con insalate, bibite e liquori. Ma la sua
fama
deriva
dall’essere stata
in auge, fino a
poco tempo fa,
come principale
componente
dell’«acqua di
melissa dei Carmelitani scalzi»,
una sorta di panacea, che era in
uso per le più
svariate forme nervose, quali l’isterismo,
l’epilessia e gli svenimenti. La melissa ha
proprietà antispasmodiche che possono
essere utilizzate per combattere sia le emicranie e le nevralgie sia i dolori intestinali.
Possiede, inoltre, proprietà stomachiche
(attiva la produzione e la secrezione della
bile) ed antifermentative. Per uso esterno
presenta proprietà cicatrizzanti, astringenti
e antisettiche; frizionata sulla pelle allevia i
dolori reumatici e nevralgici. L’estratto di
foglie fresche può fungere da antivirale
contro l'Herpes simplex, per cui viene
usato anche nel trattamento dell’Herpes
labiale.
Di seguito si riportano
alcune preparazioni
casalinghe e i loro usi:
infuso: da bere come digestivo e sedativo dopo i pasti princi-
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pali, oppure per purificare e decongestionare la pelle con lavaggi e impacchi;
tintura: contro i dolori reumatici e nevralgici, frizionando le parti interessate;
vino alla melissa: un bicchierino dopo
i pasti principali svolge una discreta azione
sedativa contro gli spasmi gastrici e le
digestioni difficili e può essere utile negli
stati ansiosi;
acqua di melissa: un cucchiaino diluito
in una tazzina di acqua all’occorrenza contro bruciori di stomaco, vomiti nervosi,
insonnia, palpitazioni di origine nervosa,
vertigini;
bagno di melissa: quale piacevole
sedativo del sistema nervoso.
E per gustarla al
meglio, si consigliano i pasticcini alla melissa, che si
preparano nel
modo seguente:
tritare due manciate di foglie
fresche di melissa, aggiungere
200 g di buccia
di limone grattugiata, ricoprire con 50 g di
zucchero e lasciar riposare per 10-15 minuti. Impastare 350 g di farina con un bicchiere di latte, 3 uova, un pizzico di sale,
50 g di zucchero e aggiungere il trito preparato in precedenza. Impastare il tutto,
aggiungere una bustina di lievito, distribuire la pasta negli stampini e mettere in forno
a 180-200°C fino a completa cottura.☺
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un film, un libro, una canzone ...
sull’11 settembre
Alessia Mendozzi
Un film: Molto forte, incredibilmente vicino
regia:
Stephen
Daldry;
titolo
originale:
Extremely loud and
incredibly close,
con:
Thomas
Horn, Tom Hanks,
Sandra Bullock,
anno:
2011,
origine: USA
Tratto dall'omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer, il
film racconta la storia di Alex, un ragazzino introverso ma curioso, che perde suo
padre l'11 settembre in una delle torri del
World Trade Center. Un giorno, mentre
fruga nel suo guardaroba, trova una chiave
con un cognome scritto su un bigliettino
vicino. Decide di scoprire a chi appartenga
e inizia una ricerca che lo porta a girare per
tutti i distretti di New York, ad affrontare
le sue paure, a fare importanti scoperte sul
passato della sua famiglia e ad elaborare il
lutto. Il film riprende in parte l'atmosfera
poetica dello splendido libro di Safran
Foer, ma ha il merito di raccontare una
storia emozionante, dolce e carica della
sensibilità del suo giovane protagonista.
Un libro: Non usate il nostro nome
di: David Potorti, anno: 2004, casa editrice:
Terre di Mezzo Editore
Il libro racconta la nascita e l'attività dell'
associazione "Peaceful Tomorrow" (trad.:
Pacifico domani), nata dopo gli attacchi
dell'11 settembre, grazie alla volontà di
alcuni parenti delle vittime di rispondere in
maniera nonviolenta a quanto stava acca-
dendo e al
lutto che li ha
colpiti direttamente. Convinti dell'inutilità di qualsiasi rappresaglia
da parte del
governo Bush
contro l'Afghanistan
prima e l'Iraq
dopo, desiderosi di fare qualcosa di concreto contro il
clima di odio che alimentava sempre più gli
animi del loro Paese, i membri di Peaceful
Tomorrow hanno dato vita all'associazione
che, con i suoi progetti sociali e con la promozione di una cultura non violenta, rappresenta un concreto strumento di pace.
Una canzone: Self evident
di: Ani DiFranco, anno: 2001, album: So
much
shouting, so
much
laughter
Più che una
canzone,
questo testo
della cantautrice
statunitense
Ani DiFranco è una poesia, pubblicata pochi giorni dopo l'attacco alle Torri Gemelle.
Una lucida analisi di ciò che è accaduto,
dello shock provato, della stupidità della
successiva propaganda di ritorsione bellica
e delle colpe della politica estera americana.
Un brano da ascoltare in silenzio, verso
dopo verso, impossibile da sintetizzare in
poche righe e di cui
esiste anche una versione 'italiana', recitata
magistralmente
dall'attrice Lella Costa, con il titolo
"Lampante".☺
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Ciò che forse rimane come icona
dello straordinario evento del Concilio
ecumenico Vaticano II è l’immagine di
quella sera dell’11 ottobre 1962, quando
Giovanni XXIII, il Papa buono, dalla finestra del palazzo apostolico inviò una carezza a tutti i bambini della terra, suscitando
un’ondata di tenerezza commossa, che, al
suo sguardo, sembrava coinvolgere anche
la luna. Enormi trasformazioni sono avvenute nella vita della chiesa: i processi della
storia della Chiesa e della vicenda dell’umanità intera si sono avvicinati e intrecciati
come forse mai prima era avvenuto, tanto
da poter dire che il Vaticano II sia stato il
“Concilio della storia”. Mai un’assise conciliare aveva prestato tanta attenzione alle
sfide del tempo e mai la storia era entrata
con tanta consapevolezza nell’autocomprensione della chiesa; mai gli stessi vescovi avevano avuto coscienza di essere essi
stessi protagonisti di una svolta dalle conseguenze epocali.
La struttura fondamentale della
riflessione conciliare, nella sua triplice articolazione, in rapporto al passato, al presente e al futuro della fede indica lo spessore di
quanto avvenuto ma anche di quanto non
ancora compiuto.
In rapporto al passato fontale
della fede ha promosso una rinnovata coscienza del primato della Parola di Dio
sulla Chiesa e sull’esistenza del credente.
La Scrittura è colta come forza agente nel
vivo delle mediazioni della storia; è da
accostare con il profondo rispetto della sua
sovranità, ma anche con tutta la verità delle
nostre domande perché essa sia attualizzata
nell’oggi. Il processo di ricezione della
Parola di Dio nella vita e nella storia, a cui
il concilio ha dato impulso, prospettava una
comunità di cristiani adulti e responsabili,
formata dall’ascolto della Parola; una comunità continuamente evangelizzata e,
perciò, capace di evangelizzare.
In rapporto al presente, la vigorosa attenzione a quel “frattempo” o tempo
intermedio tra il già della prima venuta di
Cristo e il non ancora del suo ritorno, la
coscienza dell’oggi, quindi, ispira l’istanza
pastorale a fondamento di tutto ciò che il
concilio ha detto, in una tensione spesso
evidente fra mentalità legate al passato e
alla sua conservazione e sensibilità aperte
all’oggi di Dio nel tempo e nel futuro della
Sua promessa. Qui alla chiesa conciliare si
etica
in mezzo al guado
Silvio Malic
proponeva la maggiore scommessa, nelle
parole di Giovanni XXIII, nel discorso di
apertura: “Quanto al tempo presente, la
Sposa di Cristo preferisce usare la medicina
della misericordia invece che imbracciare
le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.
Il Vaticano II, sotto molti profili,
appare come un nuovo inizio, più che un
compimento; lo dimostra in particolare la
netta differenza tra i testi preparatori (che i
padri avrebbero dovuto approvare con qualche ritocco ma che furono tutti rifiutati) e
quelli definitivi prodotti dal concilio, a partire dalla seconda sessione. Il processo di
novità che si delineava soprattutto nella
“prassi pastorale” delle chiese non è stato
privo di difficoltà. Al tempo del
“rinnovamento”, sognato nel primo dopo
concilio, ha fatto seguito una nuova condizione di “spiazzamento” a causa dei repentini cambiamenti delle società e del mondo
dagli anni sessanta ad oggi, in particolare: il
pluralismo delle culture, le nuove urgenze
storico-politiche, l’urgenza del valore della
prassi (ortoprassi) in continuità con una
teologia (ortodossia) liberata però dal tradizionale monopolio culturale europeo, la
regionalizzazione delle teologie in altri luoghi geografici di elaborazione (Africa, America Latina, Asia), la globalizzazione
dirompente e l’urgenza di una nuova inculturazione della fede per la recezione delle
sfide dei contesti e l’assunzione di nuovi
linguaggi; la necessità, infine, di mantenere
reali legami di unità e di reciproca intesa tra
teologie e prassi cristiane variamente contestualizzate.
In terzo luogo il concilio riscopre
la tensione al futuro ultimo (escatologia)
come dimensione costitutiva e qualificante
di tutta l’esistenza del popolo di Dio. L’avvenire della promessa tocca la chiesa in tutte
le sue fibre come “l’aurora dell’atteso nuovo giorno che colora di sé tutte le cose” (J.
Moltmann). La vocazione cristiana è tesa al
futuro, come S. Paolo sottolinea costantemente e come l’uomo moderno sente nel
profondo della sua fibra spirituale. Ma il
tendere al futuro, storicamente non più promessa e compimento, è da tempo vissuto
come paura, incapacità, smarrimento.
I profili teologici e i modelli di
approccio con la storia provenienti dal lavo-
i padri conciliari hanno scritto
Il rinnovamento prodotto, di cui noi cominciamo a sperimentare i frutti, nonostante la fatica dell’attuazione e i tentativi nostalgici di ritorno al passato, ci impegna ad approfondire i 16 documenti
scritti dai padri conciliari (4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni).
Schematicamente possiamo dire che il Concilio ha riflettuto:
1) sulla comprensione che la Chiesa ha di se stessa nella costituzione Lumen Gentium;
2) sulla vita interna della Chiesa: a) la sua missione salvifica attraverso la liturgia, nella costituzione Sacrosantum Concilium; b) la sua funzione direttiva, nel decreto sui vescovi Christus Dominus e nel decreto sulle chiese cattoliche orientali Orientalium Ecclesiarum; c) il suo magistero,
nella costituzione sulla rivelazione Dei Verbum e nella dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educazionis; d) i suoi diversi stati: sacerdoti, nei decreti Presbiterorum Ordinis e Optatam Totius; la vita religiosa,
nel decreto Perfectae Caritatis; i laici, nel decreto Apostolicam Actuositatem;
3) sulla missione della Chiesa nel mondo: a) i suoi rapporti con la cristianità
non cattolica, nel decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio; b) i suoi
rapporti con i non cristiani, nel decreto Ad Gentes e nella diciarazione Nostra Aetate; c) i suoi rapporti con il mondo contemporaneo, nella costituzione Gaudium et Spes, nel decreto sui mezzi di comunicazione sociale Inter
Mirifica e nella dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis Humanae.
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ro del concilio, generarono al suo interno la
nascita della quarta costituzione conciliare
La Chiesa nel mondo contemporaneo
(Gaudium et spes), che assumeva l’intento
di Giovanni XXIII per un nuovo rapporto
fiducioso con il mondo, fedele al suo metodo della “lettura dei segni dei tempi” e che
Paolo VI, nella sua prima sua Enciclica
Eccelsiam suam sul tema dl dialogo, riprendeva e riproponeva come tipico del rapporto
e della presenza della chiesa nel tempo.
Nota anche Raniero La Valle:
“Gli anni seguiti al Concilio non sono stati
pari alle speranze che esso aveva suscitato.
A non permetterlo è stato il tumulto della
storia; però bisogna anche vedere in che
cosa il Concilio aveva mancato il suo scopo, o almeno era rimasto indietro; non
aveva sviluppato le potenzialità insite nella
occasione che pure aveva colto. … Il primo
cammino rimasto incompiuto è proprio
quello dell’incontro con il mondo. Il Concilio in qualche modo è rimasto in mezzo al
guado” (cfr. Se questo è un Dio, p. 236). Di
questo specifico tema ci occuperemo nei
prossimi numeri. ☺
27
sisma
l’intruglio di iorio
Domenico D’Adamo
Tra gli atti urgenti che gli zombi
della Regione hanno approvato nell’ultimo
Zombi consiglio, c’è il ripristino per intero
del vitalizio agli ex consiglieri regionali.
Mentre le aziende falliscono - vedi zuccherificio del Molise - gli agricoltori svendono
le loro produzioni, i servizi pubblici si
riducono, la disoccupazione aumenta, Iorio
non trova altro da fare che ridare ai suoi
amici di destra e di sinistra quello che per
“sbaglio” aveva tolto solo pochi mesi fa. I
poveri consiglieri regionali, con due o tre
pensioni oltre al vitalizio, hanno scongiurato il pericolo di finire in mezzo a una strada. I nostri parlamentari sia regionali che
nazionali, ce lo ricorda ogni tanto l’indigente di San Giuliano, non riescono purtroppo a tirare avanti con meno di 300 euro
al giorno. A tale proposito è stata allertata
la Caritas ed anche noi, scimmiottando i
grandi giornali, ci attiveremo nei prossimi
mesi per una raccolta di fondi o in alternativa di alimenti in favore di questi disgraziati che stanno tirando la cinghia ma non
le cuoia, come suole ogni defunto.
Dieci anni fa il consiglio regionale approvò una legge per resuscitare i morti
e nessuno, né allora né oggi, ha protestato.
Non hanno protestato i cattolici che riconoscono solo al loro Signore questo potere,
non lo hanno fatto neanche i laici che a
queste cose, per formazione culturale e
politica, non credono. La formula predisposta da qualche brillante giurista è la
seguente: “nelle more dell’approvazione
dello Statuto regionale ai sensi dell’art.
123 della Costituzione, nei casi di annullamento delle elezioni del Presidente della
Giunta e del Consiglio regionale, gli stessi
organi e la Giunta regionale in carica
continuano ad esercitare le loro funzioni
fino alla proclamazione del nuovo Presidente e dei nuovi Consiglieri regionali (la
sentenza non produce effetti, ndr.), relativamente agli atti aventi carattere d’urgenza”. Ora trattandosi di modifica statutaria,
questa “formula magica” per diventare
legge ha bisogno di due deliberazioni successive, adottate ad intervallo non minore
di due mesi, perché in mancanza della
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doppia lettura, come nel caso che ci riguarda, questa “legge” formalmente non esiste,
peccato che, pur conoscendo i fatti, non la
pensi così il Prefetto di Campobasso, subito corso al capezzale del moribondo.
Cosa è invece accaduto il 16
febbraio del 2002? Il mago Michele, vero
talento naturale nelle pratiche illusioniste,
dopo aver preparato questa pozione, come
se si trattasse di una vera legge, ne ha anche disposto la pubblicazione “urbi et orbi”, per la verità più orbi, visto che in questo paese secondo i dati forniti dalla guardia di finanza i ciechi sembrano essere
ormai la maggioranza e tra questi tutte le
istituzioni di garanzia che dovrebbero in
questi casi vigilare senza invece incoraggiare pratiche illecite. Comunque, anche
non volendo entrare nel merito di una disposizione normativa che sterilizzando la
decisione del giudice crea una contrapposizione tra poteri dello Stato, è addirittura
banale rilevare che lo stesso mago Michele
ha posto dei limiti al suo intruglio magico,
efficace solo per gli atti aventi carattere
d’urgenza e non credo che vi siano soggetti
indigenti tra gli ex consiglieri regionali per
giustificare il ripristino del 25% del vitalizio. Se i soggetti preposti al controllo degli
atti compiuti dal consiglio regionale esercitassero i loro poteri con scrupolo ed equilibrio, oggi quei consiglieri che vagano per i
corridoi di palazzo Moffa,
al solo scopo di dividersi
le spoglie di ciò che è rimasto, starebbero a casa a
spese loro e non a carico
nostro.
Ad evitare che ci
si organizzi con i forconi,
sarebbe il caso che chi
ancora crede nella funzione positiva della politica,
sollevi la questione davanti alla Corte Costituzionale
affinché la stessa dichiari
la non costituzionalità
della norma citata, così
come avvenuto per casi
simili, e costringa gli zom-
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bi consiglieri a restituire i lauti stipendi
percepiti dopo lo scioglimento del consiglio. Il sedicente capo dell’opposizione,
invece di occuparsi di biomasse oltre che
di nomine negli enti regionali insieme alla
famiglia Totaro, padre, figlio e… spirito
santo, farebbe bene a non stare ficcato
sempre dentro al cesso quando si assumono decisioni su questi argomenti, anche a
costo di litigare con il papà. Ed anche il
consigliere Leva, invece di occuparsi della
campagna acquisti nel campo avversario,
farebbe bene a impegnare l’opposizione, se
ancora esiste, sui temi che riguardano il
lavoro, lo sviluppo e la riduzione degli
sprechi a cominciare dai propri, senza
strizzare l’occhio alla maggioranza sulla
difesa della provincia di Isernia. Se Iorio e
compagni hanno deciso di sollecitare la
protesta nella difesa della defunta provincia si sappia che lo fanno, non per difendere i diritti dei cittadini ma gli interessi della
casta. Chi oggi si lega a questa protesta, è
bene che lo sappia, lo fa per difendere la
poltrona di quelli che alla crisi non hanno
dato un solo scudo.
È bene pertanto che i politici che
si candidino ad assumere ruoli di governo,
dimostrino innanzitutto di conoscere la
gravità della situazione in cui versa tutto il
Paese, a cominciare dal Molise, e poi offrano soluzioni compatibili con gli impegni
assunti assieme a tutti i partner europei. Si
sappia anche che se gli Europei non si
fidano di noi è solo perché conoscono i
politici della razza di Iorio. ☺
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