1 Sommario Le Cento Città * Direttore Editoriale Mario Canti Comitato Editoriale Laura Cavasassi Ettore Franca Alberto Pellegrino Anna Maria Zallocco Direzione, redazione, amministrazione Associazione Le Cento Città [email protected] Direttore Responsabile Edoardo Danieli Prezzo a copia Euro 10,00 Abb. a tre numeri annui Euro 25,00 Spedizione in abb. post., 70%. - Filiale di Ancona Reg. del Tribunale di Ancona n. 20 del 10/7/1995 Stampa Errebi Grafiche Ripesi Falconara M.ma 3Album Ferruccio Ferroni, fotografo tra realtà e metafisica di Alberto Pellegrino 9Editoriale Costruire la memoria e progettare il futuro di Alberto Pellegrino 12 Conversazioni sull’etica Le sfide dell’etica nella cultura postmoderna di Luigi Alici 15 L’Università per la Città I segreti dell’olio d’oliva e del vino di Natale G. Frega, Antonio Benedetti 23 La mostra Raffaello, nella culla del genio di Mario Canti 26 La qualità Architettura di pregio per rilanciare il territorio di Edoardo Danieli 30 L’incontro Ando Gilardi tra arte digitale e memoria di Marcello Sparaventi Periodico quadrimestrale de Le Cento Città, Associazione per le Marche Sede, Piazza del Senato 9, 60121 Ancona. Tel. 071/2070443, fax 071/205955 [email protected] www.lecentocitta.it * Hanno collaborato a questo numero Francesca Acqua, Luigi Alici, Antonio Benedetti, Mario Canti, Edoardo Danieli, Giovanni Danieli, Natale G. Frega, Alberto Pellegrino, Marcello Sparaventi, Adrian Vasilache In copertina Raffaello, Madonna con Bambino, 1506-1508. Washington, National Gallery. 32 Musica La riscoperta di un compositore marchigiano, Giuseppe Balducci di Adrian Vasilache 35 Libri ed eventi Libri - Eventi di Alberto Pellegrino 42 Vita dell’Associazione a cura di Giovanni Danieli 45 Controcopertina Marche/Arte di Francesca Acqua Le Cento Città, n. 37 Album 3 Ferruccio Ferroni, fotografo tra realtà e metafisica di Alberto Pellegrino Ferruccio Ferroni (Mercatello sul Metauro 1920 - Senigallia 2007) è stato insignito nel 1996 del titolo di Maestro Fotografo Italiano e per anni è stato il decano della fotografia marchigiana, il continuatore più fedele di quella poetica dell’immagine coltivata e promossa da Giuseppe Cavalli, vate indiscusso della fotografia d’arte dentro e fuori i confini della nostra regione. Cavalli era un maestro molto particolare che non impartiva solo lezioni di tecnica e di linguaggio della fotografia, ma invitava i suoi discepoli a leggere i classici e i contemporanei della letteratura, a visitare i musei e a studiare la storia dell’arte, ad ascoltare i grandi della musica classica. Grazie a questa impronta multidisciplinare è nata nelle Marche una schiera di fotografi “umanisti” di notevole valore, fra i quali assurge a livelli internazionali il “grande” Mario Giacomelli. L’attività artistica 1948-1957 Ferroni inizia a fotografare al fianco di Cavalli nel 1948 e svolge un’intensa attività artistica fino al 1957, quando sospende ogni impegno fotografico per dedicarsi a tempo pieno all’avvocatura. Si tratta in ogni caso di un decennio che costituisce la prima fase di una carriera artistica che vede Ferroni affermarsi attraverso la partecipazione di sue opere al Grand Concours International de Photographie di Lucerna, alla Mostra Nazionale di fotografia di Ravenna, alla Mostra della Fotografia italiana di Venezia, alla Mostra della fotografia italiana di Firenze, alla Mostra della Subjekfive Fotografie di Saarbrucken, alla Biennale della Fotografia e del Cinema di Parigi, all’Exposition international de Photographies di Bruxelles. In quello stesso periodo Ferroni entra a far parte del Gruppo La Bussola di Venezia e Misa di Senigallia, allacciando rapporti professionali e umani con i più importanti fotografi del suo tempo. Sono anni di intenso lavoro durante i quali egli riesce a conciliare la ricerca di una perfezione tecnica con un’esigenza interiore di poesia come viene acutamente sottolineato dal suo maestro Cavalli: “Con pazienza alacre, Ferruccio Ferroni se gli accada di essere attratto da qualsiasi realtà visibile che muova, in lui fotografo, le segrete molle dell’emozione, si mette al lavoro non ha più riposo e pace finché non riesce a piegare docilmente i mezzi tecnici – che ormai controlla molto bene – ad esprimere con fedeltà quel ch’egli ha saputo, “vedendo”, intuire, e che tiene nel cuore”. A testimonianza di questa presenza attiva di Ferroni nel panorama fotografico del suo tempo anche sotto il profilo teorico, l’Istituto Superiore per la Storia della Fotografia ha pubblicato nel 2004 il Carteggio 1952-1959 intercorso tra lui e molti altri fotografi italiani che hanno operano in quegli anni particolarmente intensi per la fotografia italiana, per cui attraverso le lettere di molti autori, critici, operatori culturali (Monti, Roiter, Di Biasi, Crocenzi e altri) è possibile approfondire il dibattito culturale in corso in quel periodo storico. I connotati dell’arte fotografica di Ferroni Ferroni inizia il suo cammino inseguendo il mito della bellezza, cercando di coniugare la levità poetica di Cavalli e degli autori del gruppo La Bussola con l’espressionismo di Paolo Monti e degli aderenti al gruppo della Gondola, fra cui spiccano i nomi di Fulvio Roiter e Mario De Biasi. Sempre impegnaLe Cento Città, n. 37 to a costruire le sue immagini seguendo una costante ricerca della perfezione, egli persegue una precisa architettura formale, per cui nella sua opera non si avverte mai uno scatto improvvisato, legato alla causalità di un incontro oppure alla cronaca quotidiana. Al contrario emerge con chiarezza un continuo studio dell’inquadratura all’interno della quale la composizione assume un’importanza fondamentale e diventa il tessuto di un discorso poetico che si protrae nel tempo con una coerenza veramente straordinaria. All’astrattismo assoluto di Luigi Veronesi, punta avanzata della ricerca fotografica, Ferroni contrappone un’astrazione simbolica della realtà che viene frantumata sotto il profilo materico e “reinventata” attraverso una serie di atmosfere poetiche che si caratterizzano per le “magie” luministiche e per la costante ricerca di geometrie capaci di trasfigurare l’oggetto o di estrapolare un frammento di paesaggio, a cui l’autore sa conferire una piena dignità narrativa in una perfetta sintesi tra significato e significante. Egli riesce a raggiungere una piena intensità lirica senza arrivare mai a uno stravolgimento radicale della realtà, ma ponendosi come obiettivo di fondo una sua costante “trasfigurazione” attraverso l’uso ricorrente degli elementi fondamentali del suo linguaggio: il sapiente dosaggio della luce, la cura costante per le sfumature, l’eleganza delle composizioni, la creazione di atmosfere oniriche, la ricerca di una serenità libera da tensioni diventano le “costanti” di un autore che opera avendo alle spalle una solida cultura, una ricca personalità, una raffinata sensibilità. In questo decennio prende vita e si sviluppa quel particolare mondo di Ferroni fatto di Album 4 Le Cento Città, n. 37 Ferruccio Ferroni architetture, luminosità, atmosfere: il frammento di una facciata, di una porta, di una finestra diventano un universo che lascia intuire la presenza dell’umano; un corrimano che proietta la sua ombra contro un muro grigio o il riccio bianco di un cancello che intreccia le sue volute con i rami spogli di un albero assumono valenze metafisiche; ritratti di bambini, fanciulle e giovani donne dalla delicata luminosità vogliono rappresentare con la loro delicata luminosità un 5 ideale di innocente bellezza; le nature morte (di fronte alle quali la mente corre all’eleganza di Edward Weston e al minimalismo di Minor White) hanno per oggetto soprattutto la sinuosità intrigante delle piante grasse esaltata dal raffinato gioco delle luci, oppure una vasta tipologia di conchiglie che, estrapolate da ogni contesto realistico, assumono una propria vita poetica e astratte profondità metafisiche; infine i paesaggi apparentemente “tradizionali”, ma che rivelano Le Cento Città, n. 37 ad un secondo livello di lettura la ricerca di un superamento della realtà “apparente” per arrivare ai significati più nascosti del rapporto uomo-natura. Due sono tuttavia gli elementi più consistenti della poetica figurativa di Ferroni. Da un lato, abbiamo la rappresentazione di una realtà misteriosa e intrigante che traspare al di là di una finestra, l’agitarsi come neri fantasmi di alberi dietro i vetri appannati dalla pioggia, la raffigurazione poetica e intimistica di un’umanità minore e riservata, osservata con rispettoso pudore e filtrata attraverso lo schermo della vetrina di un negozio e del vetro di una finestra (Il cortese orologiaio, Donna con gatto). Sull’altro versante acquista un’importanza determinante il paesaggio marino, un genere in cui rivaleggia per intensità poetica con il suo maestro Cavalli: siamo di fronte a una poesia metafisica come nella “Nuvola” (1950) con la solitudine di quel moscone abbandonato sulla battigia o nella “Marina” (sempre del 1950) con le tre cabine sulla spiaggia deserta che riflettono la loro geometrica solitudine contro il cielo grigio; ancora geometrie perfette fino all’astrazione ritroviamo nella rappresentazione della palla a spicchi appoggiata contro la parete della cabina a righe verticali, mentre fanno da sfondo i tre piani della spiaggia sassosa, del mare e del cielo. Infine Ferroni conduce una serrata ricerca sul rapporto tra la materia e la luce che si riflette sui mattoni di un muro, sulle ferite di vecchie porte, sui tronchi d’albero segnati dall’uomo e dagli anni. Ancora una volta si afferma la poetica del “particolare” che va ad aggiungersi ai suoi paesaggi, dove si avverte il “respiro” della luce, a tutte le altre opere dove si avverte una simpatia umana per gli uomini e per le cose, costituendo un corpus unitario che rende l’autore uno dei protagonisti della fotografia italiana degli anni Cinquanta. L’unità stilistica di Ferroni trae origine da una ricerca poetica sempre raffinata, quasi timida e sussurrata, lontana dalle mode Album ma pur sempre attuale, perché si propone di parlare alla sensibilità più profonda dell’animo umano. “Le sue opere – dice Mario Giacomelli – sono frammenti poetici, immagini formali squisitamente composte che contengono l’essenzialità, l’essenza di una energia che porta con sé l’anima delle cose, l’espressività lirica, la partecipazione emotiva nelle sue leggi più arcane”. Il ritorno alla fotografia dopo il 1984 Dopo una lunga pausa di inattività, Ferroni si riaccosta alla fotografia ed apre un nuovo ciclo artistico che va dal 1984 alla fine del Novecento, quando l’autore ritorna sulla scena nazionale con una serie di mostre personali e con la presenza in importanti manifestazioni fotografiche: nel 1980 partecipa alla Mostra 30 anni di fotografia a Venezia – La Gondola 1948-1978 allestita 6 nel veneziano Palazzo Fortuny; quindi partecipa nel 1993 alla V Biennale internazionale di Fotografia di Torino, nel 1995 alla Mostra Gli anni de La Bussola e de La Gondola a Padova, nel 1997 alla mostra Forme di Luce – il gruppo “La Bussola” e aspetti della fotografia italiana del dopoguerra, organizzata a Firenze dal Museo di storia della fotografia Fratelli Alinari. Quando riprende a fotografare, sembra che Ferroni voglia ripartire là dove si era fermato, cioè da quella ricerca formale e luministica legata alle superfici legnose, solo che questa volta la luce scava sulle tavole corrose ferite più profonde e laceranti, disegna venature misteriose, ombre inquietanti in mezzo alla violenta luminosità che investe la composizione: lo scorrere del tempo non ha segnato solo quei legni tormentati, ma ha segnato anche la personalità dell’autore Le Cento Città, n. 37 che cerca di recuperare il suo antico senso di serenità attraverso la luce e la consueta eleganza formale. Un tema nuovo è invece costituito dalla serie dei muri urbani dove i manifesti strappati compongono forme e figure che attraggono l’interesse e la sensibilità di Ferroni che con questa sua ricerca formale si avvicina al pittore Mimmo Rotella, l’inventore del decollage cioè la rappresentazione di un mondo artistico attraverso la sottrazione-distruzione di parti di manifesti o altri tipi di immagini. Il fotografo senigalliese cerca, al contrario, di rappresentare un universo figurativo creato dal passare del tempo e dall’incuria dell’uomo, per cui questi frammenti di manifesti, modellati dal caso, diventano un mondo fantastico e personale, finiscono per assumere una loro dimensione poetica che trasuda da questi muri attraverso forme rese dinamiche dal gioco dei bianchi e dei neri, brandelli che si convertono in paesaggio o che si presentano come le tessiture di catene montuose e di cieli nebbiosi: ancora una volta in Ferroni la dimensione onirica prende il sopravvento sulla realtà del “rottame” urbano, diventa rappresentazione di stati d’animo, assume la dimensione di un racconto fantasioso di un viaggiatore che ama vivere le intime avventure dello spirito percorrendo le vie della propria città. Una tematica di tipo urbano, parallela a quella precedente, è rappresentata dalla serie delle vetrine, che diventano il doppio filtro per osservare il mondo che traspare oltre il vetro, ma anche lo specchio della realtà urbana che si riflette sul vetro destinata ad assumere, proprio perché appare distorta e frantumata, quella dimensione onirica che rappresenta una costante nell’arte di Ferroni: così vediamo uno specchio riflettere la finestra del palazzo di fronte; un mondo fantastico di burattini e anticaglie occhieggiare verso l’osservatore; vasi di fiori riflettere la tremolante realtà esterna; un abito di gran gala femminile inglobare il riflesso di una figura maschile; Ferruccio Ferroni ancora abiti femminili, manichini, lampadari, oggetti d’antiquariato popolare, il mondo statico delle vetrine contro le quali si riflette il passaggio delle figure umane, i profili delle automobili, i profili degli alberi, metafora della vita reale che scorre come in un acquario, estranea alla “vita” del sogno, imprigionata dentro una vetrina. Questa serie 7 di immagini diventa la lettura poetica di una realtà urbana che appare nello stesso tempo fantasiosa e alienata, rappresentazione metaforica di una quotidianità in cui viviamo costantemente immersi fino a diventare così abitudinaria da sfuggire ai nostri stessi sguardi, alla nostra concezione del reale: proprio per questo l’autore ci invita a riflettere Le Cento Città, n. 37 su di un mondo che, sublimato attraverso il sogno, diventa uno dei messaggi più poetici di tutta la sua produzione artistica. Editoriale 9 Costruire la memoria e progettare il futuro di Alberto Pellegrino La costruzione della memo- tare il futuro, scegliendo la via ria storica costituisce un fon- di un “apprendimento rapido” damentale collante dell’identità connesso a un “oblio altrettanto individuale e collettiva ed è per rapido”. questo che abbiamo il dovere, Forse è giunto il momento di come marchigiani, di avere una prendere atto che stiamo vivenmemoria condivisa che renda do in una società di tipo egopossibile un confronto con i centrico che non ha più modelli diversi livelli della realtà extra- di riferimento morali, culturali regionale. È evidente allora che e politici condivisi, che mira la nostra Associazione può e invece all’autorealizzazione e deve rappresentare una zona di all’autolimitazione individuafrontiera tra conoscenza storica le, al rifiuto di una dimensioe futura società civile. ne sociale dell’esistenza e, di Nonostante le scienze socia- conseguenza, al rifiuto di ogni li abbiano lanciato da anni un forma di partnership. Nello grido di allarme sui pericoli stesso tempo è entrato in crisi derivanti dalla globalizzazione il concetto di rischio come era economica, soltanto ora comin- stato elaborato dalle scienze ciamo a renderci conto che sociali: prevedere e rendere stiamo attraversando una crisi controllabili le conseguenze sia di tipo planetario che sembra dei comportamenti individuali destinata a cambiare la storia e collettivi, sia delle decisioni del nostro pianeta. Zygmunt prese da chi detiene l’autorità di Bauman, il teorico della “società governo all’interno di comunità liquida”, sostiene che sta entran- più o meno delimitate. Con il do in crisi quel tipo di società procedere del processo di glofondata sul principio “consumo balizzazione, i pericoli hanno dunque esisto”, all’interno della assunto dimensioni planetarie quale il potere ha accettato (crisi ecologiche, crisi finane digerito tutti i cambiamenti ziarie, disoccupazione, minacdella storia, anche i più dram- ce terroristiche, ecc.), per cui i matici, dichiarando uno stato rischi non vengono più “calcodi emergenza continua, inculcando un senso più o meno vago di paura, esaltando il cambiamento per il cambiamento, adottando una politica del vivere quotidiano che, a lungo andare, si è rivelata un trucco per liberarsi del passato e non proget- Il Presidente Alberto Pellegrino. Le Cento Città, n. 37 lati” e anche le conseguenze di “catastrofi annunciate” sfuggono al controllo degli Stati nazionali che si rivelano impotenti a fronteggiarle. Sulla base di questa situazione si prospetta, sul piano pratico, la necessità di superare la dimensione nazionale per arrivare a interventi di governi continentali sotto il coordinamento e il controllo di un governo mondiale capace di favorire la nascita di una democrazia planetaria che, superando il concetto di Stato nato nel Settecento, affronti i problemi del pianeta e lasci la “cura del quotidiano” alle comunità regionali e locali. Nello stesso tempo, come ha recentemente scritto Michele Serra, è necessaria “una rivoluzione contro tutte le dipendenze di ogni ordine e grado, la supina imitazione, lo spirito di gregge, la passività psicologica, la mediocrità mortificante che spinge a emulare gli altri pur di non fare la fatica di valorizzare se stessi”. Occorre pertanto stabilire un nuovo rapporto tra etica e globalizzazione per dare un “volto umano” a questo fenomeno, per coniugare sviluppo economico e crescita culturale, per costruire un cambiamento dal basso, partendo dalle realtà regionali per arrivare a livelli planetari. Si tratta di un cambiamento radicale fondato Editoriale sul superamento di una sfera economica dominata unicamente dalla logica del profitto, sul ritorno all’impresa come istituzione aperta al sociale, sul recupero del primato della politica sull’economia. Parafrasando e aggiornando Max Weber, bisognerà ritornare a coniugare l’etica individuale con l’etica collettiva, l’etica della consapevolezza nei valori e nei principi individuali con l’etica della responsabilità propria della dimensione politica. In questo quadro la nostra Associazione può assecondare la tentazione di lasciar morire il passato e di adagiarsi nel presente, oppure porsi come fine il recupero e la valorizzazione della storia e dell’identità culturale della nostra Regione senza cadere in un ottuso “conservatorismo”, senza favorire forme di “vetero campanilismo”, nel rispetto di quel sano “localismo” che ha sempre rappresentato una fonte di ricchezza spirituale, di fantasia creativa e di sviluppo economico per tutte le Marche. L’Associazione deve assumersi l’obbligo della conoscenza, della ricerca, della documentazione e della tutela di determinate realtà regionali in quei settori che costituiscono ormai tradizionalmente i nostri poli di interesse: il patrimonio storico, letterario, artistico, architettonico e paesaggistico, musicale e antropologico, il sistema scolastico e universitario, l’organizzazione sanitaria e dei servizi sociali, la condizione giovanile e i fenomeni sociali emergenti, le politiche culturali. L’Associazione deve presentarsi all’esterno come un vivace laboratorio culturale, elaborare progetti finalizzati allo sviluppo 10 culturale della regione, creando le condizioni e le occasioni perché la domanda culturale e sociale della comunità marchigiana s’incontri con l’offerta istituzionale, in modo da sviluppare un rapporto dialettico con le istituzioni pubbliche e private per mettere a confronto la natura particolarmente variegata della nostra regione così diversificata tra nord, centro e sud, tra zona costiera, collinare e montana. Il nostro compito, come ha detto lo storico Mario Bodei, è quello di “essere capaci di cogliere la voce degli altri per costruire una storia unitaria che è più simile all’intreccio di tanti fili, che non a una marcia trionfale”. Un Decalogo per l’Associazione Produrre una rivoluzione culturale per contrastare la standardizzazione dei costumi e dei consumi. Riflettere sulla complessità della globalizzazione che mette a confronto, spesso in modo conflittuale, identità culturali, etniche e religiose diverse, dando risalto a ciò che unisce l’umanità rispetto a quanto la divide. Tenere conto del peso dei mass media nella diffusione della cultura di massa che offre più vaste opportunità di conoscenza, ma favorisce anche una pericolosa omologazione culturale verso il basso. Prendere atto della proliferazione di culture e di modelli di comportamento, accompagnata da una forte richiesta di valorizzazione dell’individuo che può svilupparsi in comunità locali aperte al nuovo e al diverso. Prendere atto che è in corso Le Cento Città, n. 37 una crisi della società planetaria del consumo fondata su uno sterile materialismo e all’insegna del motto “compra, godi e getta via”. Sentire l’orgoglio di essere dei consumatori difettosi che il mercato tende a emarginare, in quanto capaci di selezione i propri bisogni e di privilegiare determinati beni. Liberarsi della tirannia del presente che porta a rifiutare e dimenticare il passato, a non riflettere e progettare il futuro, prendendo coscienza che sta perdendo credibilità la formula “più mercato, più privato, più spettacolo”.. Adottare una cultura del cambiamento liberandosi del “culto del lieto fine” e della impressione che la vita sia paragonabile ad un format televisivo. Respingere la politica del piccolo cabotaggio quotidiano e l’antipolitica per ritornare alla Politica come arte di governo della società, basata su valori e regole condivisi, su forme dialettiche improntate al rispetto reciproco, per diventare più adulti e democratici, per liberarci di una “Italietta” chiusa, qualunquista e clericale, per avere la fantasia di scoprire nuove ricette valide per una civiltà della globalizzazione. Operare nella convinzione che la nostra Associazione ha le carte in regola per partecipare a livello regionale a questa rivoluzione culturale prossimoventura, sostenendo l’esigenza di avere più scuola, più formazione permanente, più cultura, aprendosi ai soci di ambo i sessi della seconda generazione senza rinnegare il patrimonio di esperienze e di saggezza rappresentato dai soci fondatori. Conversazioni sull’etica 12 Le sfide dell’etica nella cultura postmoderna di Luigi Alici L’etica è come la salute: la si invoca soprattutto quando si sta male. Se questo ci aiuta a riaprire alcuni orizzonti valoriali che avevamo smarrito, può essere un bene; non possiamo però appellarci all’etica solo in negativo. È soprattutto l’eccellenza del bene, prima ancora che l’abisso del male, che dovrebbe aiutarci a guadagnare un’idea positiva e propositiva dell’etica, la quale di per sé indica quell’insieme di orientamenti verso il bene e di mediazioni normative che conferiscono qualità morale alla vita. Usando una metafora automobilistica, potremmo paragonare l’etica al pedale dell’acceleratore, più che a quello del freno; vivere una vita morale, infatti, significa riconoscere che ognuno di noi può essere e fare di più: più vicino al bene e quindi più felice. In questo senso, la morale è per il morale, proprio nel senso che deve aiutarci a “star su di morale”, evitando una vita “demoralizzata”. L’etica nella cultura postmoderna Il modo in cui oggi, nella cultura e nel costume, si riconosce una criticità etica dipende da una complessità di fattori, che non è facile censire in modo analitico e obiettivo. Si può cercare, in ogni caso, una chiave interpretativa interrogandoci prima di tutto intorno alla distanza dalla modernità che caratterizza, da alcuni decenni, la sensibilità contemporanea. Per modernità possiamo intendere quella straordinaria stagione culturale che nasce e si consolida in Europa nel Lettura tenuta nell’Aula del Rettorato dell’Università Politecnica delle Marche, in Ancona, il 21 novembre 2008 per la serie di Conversazioni sull’etica, in memoria di Tullio Tonnini. Seicento, con l’affermarsi della scienza moderna, e ha il suo manifesto più rappresentativo nella visione illuministica dei diritti umani. La cultura moderna si afferma con una forte connotazione antropocentrica, configurandosi come un progetto conoscitivo attraverso il quale l’uomo, in virtù della ragione, aspira a dominare la natura e ad attivare nella storia un processo di emancipazione collettiva. Rispetto a questo paradigma, nella seconda metà del Novecento matura progressivamente la consapevolezza di un “congedo” irreversibile dalla modernità, solitamente identificato come “postmodernità”. È sempre più diffusa la consapevolezza che oggi viviamo nell’epoca dei “post”: postmoderno, postmetafisica, postdemocrazia, postsecolare, postumano sono alcuni dei termini che stanno avendo grande fortuna, a volte usati per comodità storiografica come stereotipi vuoti. In ogni caso, oggi avvertiamo la difficoltà di riconoscerci eredi o figli dell’illuminismo; alla razionalità illuministica preferiamo una ragione “debole”, che rinuncia a brandire la verità come un’arma e s’accontenta di assumere un profilo narrativo, interpretativo, mentre le grandi promesse della “ragione forte” sembrano essere raccolte soprattutto dalla tecnologia. Con una conseguenza paradossale, però, che ci aiuta a capire lo spirito postmoderno: nel momento stesso in cui la riflessione razionale intorno al bene e al male, intorno al senso del vivere e dell’amare si fa incerta ed esitante, la razionalità tecnologica tende ad imporsi in forme sempre più autonome e autorefenziali. Hans Jonas, uno dei filosofi che più hanno riflettuto Le Cento Città, n. 37 su questa singolare coincidenza di onnipotenza della tecnica e impotenza della cultura, nell’opera Il principio di responsabilità ha scritto: “Ora tremiamo nella nudità di un nichilismo nel quale il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi”. La sfida delle relazioni In questo nuovo contesto, l’etica è chiamata a misurarsi con la sfida delle relazioni, almeno a tre livelli: relazione dell’uomo con i suoi simili, con la natura e con se stesso. Per quanto riguarda il primo aspetto, che investe il tema della convivenza, basterà qualche esempio, simbolicamente connesso ad alcune date: 1989, 2001, 2008. Il 1989 è l’anno del crollo del muro di Berlino, che segna la fine di una stagione iniziata due secoli prima, nel 1789, con la rivoluzione francese; termina una stagione segnata da un’alta progettualità politica e da un’ideologia “forte”, grazie alla quale si presumeva di conquistare in maniera totale e irreversibile la felicità per tutti. L’11 settembre 2001 porta la ferita dell’attacco terroristico agli Stati Uniti: nell’immaginario collettivo questa data ha ormai un valore simbolico, vissuto in maniera traumatica come sintomo inquietante di un possibile “scontro di civiltà”. Il 2008 potrebbe finire nei libri di storia come l’anno in cui cade un altro muro, il muro di Wall Street, che separava lo stato dal mercato, pretendendo di stendere intorno al mercato una specie di cordone sanitario che impedisse qualsiasi ispezione non solo da parte della politica, ma anche dell’etica. Alla luce di questi eventi, oggi L’etica nella cultura postmoderna siamo chiamati a fronteggiare la sfida del multiculturalismo senza il collante delle ideologie politiche e senza un progetto condiviso di etica pubblica, che possa mediare i conflitti tra politica ed economia. Rinasce quindi in forme nuove un’antica domanda intorno al “noi”: dove comincia il “noi”? Il “noi” è una dimensione originaria, che ci accomuna e per questo è parte integrante della nostra identità, oppure è una dimensione semplicemente estrinseca, rispetto ad un modello sociale irriducibilmente conflittuale? Si può stare insieme, nell’epoca della globalizzazione, con un modello culturale individualistico, che s’illude di arbitrare i conflitti neutralizzando l’idea di uno spazio (e quindi di un bene) comune? 13 biologico marginale, che non può rivendicare per sé nessun privilegio. Eppure non ci è difficile riconoscere una serie di incoerenze alla base di queste prese di posizione: da un lato riteniamo che l’individuo abbia un diritto assoluto sulla propria vita, ma dall’altro neghiamo la libertà di coltivare mais geneticamente modificato, in nome di un valore che deve prevalere sugli interessi individuali. Ancora: secondo alcune teorie animaliste (che oggi hanno sui giovani una presa simile a quella che qualche decennio fa avevano le opere di Marx), i primati superiori sono titolari di diritti, non riconoscibili invece agli handicappati gravi e ai cerebrolesi. Secondo alcune teorie ambientaliste, invece, esiste un diritto “biotico” di una montagna in un parco, che invece non si può riconoscere ad un animale allevato in cattività. Nella difficoltà di tracciare un confine certo tra naturale e artificiale, in qualche caso riconosciamo alla natura un valore intrinseco, in qualche altro caso no. L’articolo 9 della Costituzione italiana riconosce alla famiglia fondata sul matrimonio lo status di “società naturale”, eppure oggi facciamo fatica a riconoscere una società che non sia convenzionale. Un terzo aspetto riguarda il rapporto dell’essere umano con se stesso. Rispetto a qualsiasi altra forma di vita sulla terra, la persona ha la capacità di entrare in una relazione riflessiva con se stessa, direttamente o indirettamente. Questa attitudine riflessiva chiama in causa il valore della dimensione interiore e l’altezza metafisica della coscienza. Eppure, la cultura massmediale imperante ci spinge a credere che si possa guadagnare un’identità personale solo attraverso una visibilità esterna, soprattutto mediatica. Qualcuno l’ha chiamata “idolatria del consenso”. La difficoltà, soprattutto per i nostri ragazzi, di guardarsi dentro, di riconoscere i propri limiti, viene mascherata da una ricerca ossessiva di riconoscimento esterno. Non a caso i network pullulano di talk-show, fondati su principio dello “spogliarello psicologico”; chi ha bisogno dell’applauso per essere confermato nei suoi sentimenti evidentemente non ha un buon rapporto con se stesso. Un secondo aspetto investe il rapporto tra uomo e natura. La cultura contemporanea denuncia l’antropocentrismo come la radice di tutte le minacce alla biosfera; tali minacce, prima ancora che sul terreno tecnologico, nascerebbero sul terreno culturale. L’attualità non è avara di esempi: il dibattito sul cosiddetto “protocollo di Kyoto”, che porta in primo piano il tema del cosiddetto “effetto serra” e del riscaldamento globale, solleva il problema dell’eredità insostenibile che stiamo lasciando alle future generazioni. Si potrebbero ricordare, ancora, il dibattito sul nucleare, sugli organismi “geneticamente modificati”, le teorie dei diritti degli animali… Dietro queste sfide si va affermando un paradigma biocentrico, che invita a considerare l’equilibrio complessivo della biosfera, declassan- Luigi Alici, Ordinario di Filosofia Morale nell’Università do l’uomo a episodio di Macerata. Le Cento Città, n. 37 Coerenza difficile Non è difficile riconoscere in queste forme relazionali modelli di etica eterogenei. Nel primo caso, cerchiamo di garantire la convivenza in nome di un’etica contrattualista: l’essere insieme non è una proprietà originariamente umana, ma si fonda su un patto “artificiale”, in virtù del quale ognuno cede allo Stato una quota della propria libertà individuale in cambio della sicurezza. La grande fortuna del pensiero di John Conversazioni sull’etica Rawls nasce da qui: è possibile legittimare istituzioni pubbliche solo in nome di una visione contrattualista della giustizia, che metta tra parentesi il bene. Nel secondo caso, invece, s’invoca di solito un’etica rigidamente normativa; secondo l’ideologia ambientalista, ad esempio, la foresta amazzonica ha un valore intrinseco, è un patrimonio naturale che non può essere lasciato nelle mani degli Stati nazionali, ma si colloca al di sopra della politica e dell’economia; rispetto ad esso debbono ridursi drasticamente gli spazi dell’autonomia individuale. Nel terzo caso, infine, il soggetto rivendica una proprietà assoluta sulla propria vita, in nome di un insindacabile principio soggettivistico. Il rapporto medico-paziente, ad esempio, si trasforma in un semplice rapporto tra un cliente che compra e un tecnico che vende una prestazione; sull’etica medica della cura grava un’ipoteca insuperabile, che può arrivare persino a spingersi alla scelta della linea terapeutica e del tipo di validazione scientifica che dovrebbe accreditarla. Il dibattito di qualche anno fa (forse archiviato troppo in fretta) sulla cosiddetta “cura Di Bella” è un esempio eloquente. Ecco dunque una tripla schizofrenia: nel rapporto politico vige un’etica contrattualista, nel rapporto con la natura un’etica rigorosamente normativa, mentre nel rapporto con noi stessi invochiamo una franchigia morale assoluta. È un inutile esercizio retorico invocare l’etica, e poi di fatto appellarsi di volta in volta a modelli etici concettualmente alternativi. Logos e pathos Siamo rinviati a questo punto al nodo cruciale della relazione. Nella modernità erano stati elaborati due modi opposti di concepire la relazione: da un lato il paradigma illuministico del logos, secondo il quale “sapere è potere” e la ragione garantisce 14 un dominio conoscitivo sull’esperienza; da un altro lato il paradigma romantico del pathos, che invece invita a liberarsi dal dualismo soggetto/oggetto, prodotto da una razionalità astratta, guadagnando un’intuizione empatica con l’intero della vita. Il primo modello è freddo, oggettivo, analitico, utilitaristico, guarda al risultato; il secondo è caldo, soggettivo, sintetico, estetico, cerca la gratificazione. Nella cultura odierna quest’antitesi viene risolta con una ibridazione sincretistica dei due modelli. Nell’orizzonte dei “rapporti lunghi” tendiamo ad assumere, in maniera più o meno consapevole, il paradigma illuministico, mentre il paradigma romantico prevale nella sfera dei “rapporti corti”. La domanda di autenticità tende ad essere accolta soprattutto in questa sfera privata, dominata dall’immediatezza delle emozioni: io sto bene con te, senza alcun bisogno di un “terzo”, sia esso una terza persona, o una rete di istituzioni pubbliche, o un bene universale che ci accomuna. Senza una razionalità che ci aiuti a universalizzare le relazioni, è difficile appassionarsi all’orizzonte lontano, dominato da una logica anonima e impersonale. Per questo, spesso i nostri ragazzi sono generosi fino all’eroismo nella dedizione al volontariato, e diffidenti fino al cinismo verso il mondo delle istituzioni. Se non vogliamo continuare ad oscillare in modo ondivago, dobbiamo guadagnare un modello relazionale coerente. A questo scopo, è indispensabile aprirci ad un’idea più ricca e articolata di relazione e di reciprocità, superando secondo il modello mercantile dello scambio tra pari, negoziato sulla base di regole convenzionali e accompagnato da clausole di revocabilità. La maggior parte delle relazioni che ci costituiscono hanno una natura ben diversa: io non ho scelto il contesto sociale e culturale in cui sono nato, non ho scelto il mio Le Cento Città, n. 37 soma, non ho scelto di nascere… Dentro questo orizzonte ampio di relazioni involontarie si apre la sfera delle relazioni volontarie. Del resto, è la qualità del legame a decidere della vita buona, non il fatto che esso sia frutto di un contratto liberamente stipulato: non ogni legame involontario è cattivo, non ogni affrancamento dai legami è buono. Si può decidere liberamente di aderire ad un gruppo terroristico e, viceversa, ci si può incamminare verso la maturità personale a partire da un debito incancellabile di riconoscenza verso i nostri genitori o i nostri maestri, che pure non abbiamo scelto… È questa la grande sfida con la quale ci dobbiamo misurare: finché continueremo a giocarci la vita su tavoli troppo diversi, non riusciremo a vedere l’eclisse del bene comune, che è alla radice dell’individualismo odierno. Se l’individualismo è un sintomo, l’eclisse del bene comune potrebbe essere la malattia. Per questo una terapia sintomatica, fatta di appelli retorici alla solidarietà, non è sufficiente; occorre una strategia culturale ed educativa in favore del bene comune. L’etica è stata sempre fonte di conflitti; in passato, però, tali conflitti riguardavano per lo più la collocazione di alcuni valori nella scala del bene e del male, mentre oggi si sta affermando la tendenza a considerare l’intera scala morale come opzionale: possiamo giudicare la nostra vita adottando il paradigma etico, oppure sostituendolo con quello estetico, o etnico, o economico…. In questo modo ci poniamo al di là del bene e del male, ma nessuna società può stare in piedi se non condivide almeno un minimo etico, che vuole conservare come un’eredità indivisa per i propri figli. Siamo in grado oggi di non dilapidare almeno un piccolo paniere di valori irrinunciabili, evitando di mettere ai voti persino il nostro futuro? Ecco la sfida più grave, che non possiamo permetterci il lusso di perdere. L’Università per la Città 15 I segreti dell’olio d’oliva e del vino di Natale G. Frega Ha preso avvio lo scorso mese una serie di conferenze realizzata dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia con la collaborazione delle altre analoghe istituzioni anconitane, conferenze dedicate alla presentazione delle “nuove frontiere della Medicina” ad un pubblico anche non medico. In quattro appuntamenti, uno al mese, Medicina ha ospitato ed ospiterà successivamente le Facoltà di Agraria, di Scienze, di Ingegneria e di Economia, per dibattere insieme alcuni grandi temi della medicina ed i suoi rapporti con il territorio, la società, l’economia. Si è iniziato con una conferenza congiunta MedicinaAgraria sul tema dell’alimentazione e dei suoi riflessi sulla salute; sono stati presentati i “segreti dell’olio e del vino”, partendo dalla loro storia nei secoli sino all’odierna attualità scientifica, attraverso la citazione delle tipicità regionali. Con la moderazione del Preside Prof. Tullio Manzoni, hanno presentato il tema il Prof. Natale Giuseppe Frega, Preside della Facoltà di Agraria e noto studioso dei prodotti della terra ed il Prof. Antonio Benedetti, Professore di Epatogastroenterologia nell’Università Politecnica delle Marche. Siamo lieti di presentare una sintesi delle loro relazioni. (G. D) significa anche difendere la salute e quindi prevenire determinate patologie che, in alcuni casi, sembrano essere strettamente legate al tipo, alla qualità e alla quantità degli alimenti che quotidianamente compongono la dieta. Se tutto ciò è vero nell’età adulta lo è maggiormente nell’età evolutiva. È noto che l’organismo ha bisogno di proteine, di lipidi, di glucidi, di vitamine, di sali minerali e di acqua. Tra i nutrienti quelli a cui i nutrizionisti e i fisiopatologi attribuiscono maggiore importanza nell’epidemiologia di alcune malattie di tipo degenerativo a lenta progressione come l’aterosclerosi, l’ipertensione, l’obesità e alcuni tipi di tumore, sono proprio i lipidi. Sia quelli visibili, cioè quelli che giornalmente sono utilizzati nella tecnologia domestica e industriale per la preparazione di cibi come oli, burro, strutto, margarine ecc., che quelli invisibili, cioè quelli naturalmente presenti o aggiunti anche se in piccole quantità, che accompagnano sempre l’alimen- I segreti dell’olio La sana e corretta alimentazione, quindi l’assunzione degli alimenti sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, va assumendo sempre più importanza nelle moderne società ad economia avanzata, vale a dire nelle popolazioni con espansione di reddito medio pro-capite. Infatti, se fino al recente passato alimentarsi significava soddisfare i bisogni nutritivi, attualmente Le Cento Città, n. 37 to stesso (uova, carne, latte e derivati, prodotti da forno, frutta secca, cioccolata, ecc.). I lipidi di origine vegetale sono ricchi di acidi grassi considerati ‘essenziali’. In particolare si fa riferimento all’acido linoleico (w6) e all’acido a-linolenico (w3), che non possono essere sintetizzati dall’uomo, ma devono essere introdotti con la dieta. Agli acidi grassi essenziali competono molteplici ruoli nel mantenimento delle normali funzioni metaboliche dell’organismo in quanto vanno a costituire i fosfolipidi di membrana, regolano il flusso ematico del colesterolo, ma soprattutto sono i precursori degli acidi grassi w6, quali l’ac. arachidonico e degli acidi grassi w3, quali l’acido eicosapentaenoico e l’acido docosaesaenoico. L’acido arachidonico ed eicosapentaenoico, a loro volta, sono i substrati di partenza per la sintesi degli eicosanoidi, molecole biologicamente attive che comprendono prostaglandine, trombossani, prostacicline e leu- L’Università per la Città cotrieni e che intervengono, in modo vario e a volte antagonistico, nella regolazione di numerose ed importanti funzioni sia fisiologiche (aggregazione piastrinica, tono vascolare, pressione arteriosa, funzionalità cardiaca), sia fisiopatologiche (processi infiammatori). 16 dovute all’interazione tra più costituenti endogeni (reazione di Maillard), sono l’idrolisi dei triacilgliceroli (trigliceridi) e l’ossidazione. La reazione di idrolisi produce acidi grassi liberi per rottura chimica o enzimatica dei legami esterei dei triacilgliceroli. La concentrazione degli acidi grassi liberi presenti in un olio o in un grasso rappresenta uno dei più importanti parametri di qualità per la commercializzazione degli oli di semi, ed è alla base della valutazione merceologica degli oli provenienti dalla lavorazione delle olive. La reazione di ossidazione invece dà origine ad una serie di prodotti di neoformazione che, oltre a modificare le caratteristiche olfattive e quindi organolettiche del substrato, pongono seri interrogativi di carattere sanitario. Questo tipo di alterazione è dovuta all’interazione tra l’ossigeno atmosferico e i doppi legami delle catene idrocarburiche degli acidi grassi insaturi, e qualunque sia l’aspetto meccanicistico dell’innesco (autossidativo, fotossidativo o termossidativo), la reazione prevede un meccanismo autocatalitico e procede, attraverso la formazione di radicali liberi, in un tipico processo a catena. Ossidazione dei grassi La resistenza di un olio o di un Oltre al tipo e alla quantità grasso all’ossidazione dipende degli alimenti che compongono molto dal grado di insaturazione, la dieta bisogna non sottovalucioè dalla composizione qualitare i problemi connessi con la quantitativa in acidi grassi. sicurezza sanitaria e in particoGli oli ad elevato contenuto lare quelli legati alle alterazioni di acidi grassi polinsaturi, a paridei prodotti alimentari. È opità di altri parametri, si ossidano nione ormai diffusa che la sicupiù velocemente rispetto a quelli rezza sanitaria dovrebbe essere in cui gli acidi grassi polinsatula prima preoccupazione di tutti ri sono meno rappresentati. È gli operatori che a qualsiasi titolo altrettanto vero però che gli oli intervengono nella produzione, della stessa origine botanica o di nella trasformazione e nella comorigine botanica diversa, ma con mercializzazione di un prodotto una simile composizione in acidi alimentare. grassi, mostraTutti gli alino un diverso menti nel tempo comportamento vanno incontro verso l’ossidaad alteraziozione accelerata. ni, alcune sono Questo diverfacilmente perso comportacettibili, come il mento è dovuto cambiamento del al fatto che i colore, il mutasubstrati lipidici mento delle caratvegetali, in funteristiche orgazione della loro nolettiche ecc., origine botanialtre invece sono ca, contengono meno percettibili dei componenti perché sfuggodi natura chino agli organi di mica diversa, senso, ma non chiamati antiosper questo sono sidanti, che meno importanesplicano un’atti. In ogni caso tività protettiva le alterazioni nei confronti dei comportano, nei grassi insaturi, casi migliori, una ostacolando o diminuzione del comunque ralvalore nutrizionalentando il prole dell’alimento. cesso ossidativo. Le principali La quantità alterazioni a cui di antiossidanti vanno incontro naturali che si gli oli, i grassi riscontra negli e gli alimenti oli e nei grassi ricchi di lipivegetali edibili di, escludendo più diffusi è in n a t u r a l mente funzione non le alterazioni di solo del tipo e tipo microbio- Aachen Hans von: Bacco, Cerere e Cupido, Kunsthistorisches qualità della logico e quelle Museo, Vienna. matrice botaniLe Cento Città, n. 37 I segreti dell’olio d’oliva e del vino ca da cui l’olio è stato estratto, ma mazioni biologiche degli acidi anche dalla natura ed intensità grassi essenziali negli omologhi dei trattamenti chimici e chimico- superiori. fisici a cui gli oli e i grassi vengono sottoposti (raffinazione). Oli ottenuti dalla lavoraDurante il processo di raffina- zione delle olive zione, previsto per tutti gli oli e Gli oli ottenuti dalle olive, in i grassi, con esclusione degli oli vergini di oliva, il contenuto di funzione del sistema tecnologico composti a carattere antiossidan- di produzione, vengono suddivisi te viene ridotto, nei casi migliori, in due diverse categorie: oli di oliva vergini e oli di oliva raffinati. del 40-50%. Fanno parte degli oli di oliva Forse non è secondario ricordare che durante il processo di vergini, l’olio extravergine e l’olio raffinazione si formano, anche vergine. In questi il tenore in acidi se in piccola quantità in funzio- grassi liberi, oltre ad altri paramene dell’intensità del trattamen- tri previsti dal Regolamento CEE, to, acidi grassi in configurazione deve essere inferiore o uguale rispettrans. Questi acidi sono tipici dei tivamente allo 0.8 % e al 2%. Tra gli oli di oliva raffinati grassi idrogenati in quanto si formano principalmente durante il ammessi al consumo troviamo processo di idrogenazione. I gras- l’olio di oliva e l’olio di sansa di si idrogenati in qualche modo oliva. Questi risultano costituiti entrano nella dieta quotidiana, da una miscela di olio di oliva rafsia come lipidi visibili, in quanto finato con olio vergine il primo e costituiscono la materia prima da una miscela di olio di sansa di per la fabbricazione delle margarine, sia come lipidi invisibili, in quanto fanno parte degli ingredienti di alcuni prodotti da forno. Da recenti ricerche sembra che gli acidi grassi in configurazione trans costituiscono fattore di rischio nella aterosclerosi e da studi epidiemologici sembra esservi un’associazione positiva tra assunzione di acidi grassi trans e cancro. Inoltre gli acidi grassi trans inibiscono la D-6desaturasi nelle trasfor- Caravaggio: Bacchino malato, Galleria Borghese, Roma. Le Cento Città, n. 37 17 oliva con olio vergine il secondo. In entrambi i casi l’acidità massima deve essere inferiore o uguale all’1,5%. In generale gli oli vegetali sono costituiti per il 96-97% da triacilgliceroli accompagnati da piccole quantità di mono- e diacilgliceroli (mono- e digliceridi). Accanto a queste molecole di natura gliceridica sono presenti (per l’1-3%) altri composti di varia natura, comunemente chiamati, in relazione alla loro quantità, “componenti minori”. Tra i componenti minori degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive, oltre ai tocoferoli, sono presenti molecole di natura fenolica con caratteristiche antiossidanti presenti solo negli oli di oliva vergini. Questi (extravergini e vergini) sono ottenuti per semplice frantumazione e “spremitura” delle olive e, a differenza degli oli di semi e degli oli di oliva raffinati (olio di oliva o di sansa di oliva), non subiscono il processo di raffinazione. La presenza di molecole a carattere fenolico negli oli vergini di oliva riveste un’importanza che va oltre rispetto alle caratteristiche antiossidanti. Alcune di queste sembra che abbiano un effetto sia autoprotettivo che nutrizionale e terapeutico nei riguardi della steatosi epatica, dell’invecchiamento della cute e della formazione di lipoproteine aterogene. L’Università per la Città Alcuni polifenoli svolgono inoltre un ruolo protettivo nella difesa da numerosi agenti patogeni. Recentemente ad alcune di queste molecole è stata attribuita la capacità di interferire con i processi coinvolti nell’aggregazione delle piastrine e nella trombosi. 18 che lo “stress” termico sia di breve durata e che il bagno di frittura non sia riutilizzato. Problemi differenti si hanno invece nella tecnologia industriale o semi industriale e nelle friggitorie ambulanti. In questi casi infatti la mancanza di rinnovo del bagno di frittura e il consumo non immediato del prodotto, vanificano l’eventuale scelta dell’olio più resistente all’ossidazione. periodo permettevano di evidenziare un’aspettativa di vita più lunga nei soggetti che preferivano consumare moderate quantità di vino, rispetto ad altre bevande alcoliche: il rischio di morte per malattie cardiovascolari diminuisce infatti della metà nei modesti bevitori, rispetto agli astemi, mentre tali vantaggi non si risconOli di semi trano fra i bevitori di superalGli oli di semi hanno una comcolici. E’ importante comunque posizione in acidi grassi molto sottolineare che i vantaggi per la diversa rispetto all’olio prodotto salute sono riconducibili solo ad I segreti del vino dalle olive. Generalmente risulun ‘modesto’ consumo di vino. tano più ricchi di acidi grassi Già dalla fine degli anni ’70 il La ricerca, nei decenni sucpolinsaturi, acido linoleico e acido vino è stato rivalutato dagli studio- cessivi ed a tutt’oggi, ha riguarlinolenico, mentre negli oli otte- si della nutrizione, nonostante, sia dato lo studio delle componenti nuti dalle olive predominano i sul piano sanitario che sociopoliti- che influenzano positivamente monoinsaturi, in particolare l’a- co, le bevande alcoliche erano state la salute dei modesti bevitori cido oleico. Inoltre gli oli di semi bandite da chi scambiava l’uso di vino. Evidentemente devono vengono commercializzati solo moderato per l’abuso di alcol. essere sostanze presenti nel vino, dopo aver subito il processo di Se è pur innegabile che l’ap- ma non nei superalcolici. Fra raffinazione. Per queste ragioni gli porto eccessivo di alcol etilico queste, era già noto da tempo oli di semi sono meno stabili verso ha conseguenze acute e croniche che l’uva apporta al vino sostanze l’ossidazione, quindi si ossidano negative, studi francesi di quel classificate in origine come ‘polie irrancidiscono fenoli’, prodotti molto più velocedalla pianta per mente. difendersi dai La minore staparassiti, dalle bilità degli oli aggressioni degli di semi va tenuanimali, dagli ta presente non effetti nocivi dei solo per quanto raggi solari, e riguarda la loro probabilmente conservabilità nel con altre finalità, tempo ma anche ancora in corso per l’impiego di studio. nella tecnoloSi è scoperto gia industriale e successivamente domestica di fritche i polifenotura e cottura. li sono in realIn linea generale tà una classe di è possibile affersostanze molto mare che, anche eterogenee, che, se nella tecnoper motivi di logia domestistruttura chimica ca di frittura la sarebbe meglio scelta del bagno indicare come d’olio dovrebbe ‘biofenoli’, cioè ricadere su oli sostanze a strutmeno insaturi tura fenolica di quindi con un origine naturale. minor contenuIl vino rosso e to di acidi grassi numerosi cibi di polinsaturi, come origine vegetale ad esempio quel(frutta, verdura) li ottenuti dalla ne sono particolavorazione delle larmente ricchi. I olive, l’utilizzo biofenoli si sono di altri tipi di oli rivelati impornon porta ad tanti coadiuvanti eccessivi incon- Berckheyde Job Adriaensz: Il Fornaio, Worcester Art Museum, dietetici attivi nel venienti a patto Worcester. contrastare molte Le Cento Città, n. 37 I segreti dell’olio d’oliva e del vino 19 patologie. Il loro ruolo, ricondu- razioni, è stato dimostrato che possibile attività anticarcinogenicibile fondamentalmente ad una i composti polifenolici del vino ca, antimutagenica, antimicrobiforte capacità antiossidante, trova esplicano un effetto neuropro- ca ed altro ancora. riscontro in una riduzione delle tettivo: contribuiscono infatti a Certo, gli effetti benefici di malattie cardiovascolari e cerebro- ridurre lo stress ossidativo che un queste sostanze hanno più valore vascolari, in attività antistamini- consumo cronico di etanolo può quando il prodotto ‘vino’ che che, antivirali e antinfiammato- indurre a livello cerebrale. si sta consumando viene ottenurie, nonché nella soppressione Le antocianine sono biofenoli to con una tecnologia ‘mite’ nel delle cellule cancerogene ed altro responsabili del colore dei frut- suo complesso, ovvero rispettosa ancora. ti e del vino rosso ed esercitano delle esigenze nutrizionali; questo Numerosi studi hanno richia- anch’esse un ruolo positivo. Le significa, l’utilizzo, ad esempio, mato l’attenzione sul cosiddetto proprietà antiossidanti delle anto- di dosi strettamente necessarie di paradosso francese che descrive cianine fanno supporre che siano additivi permessi, come ad esemuna condizione molto particolare, coinvolte in un possibile mecca- pio l’anidride solforosa, per citare tipica dei paesi in cui viene con- nismo di protezione del materia- il più importante. sumato quotidianamente il vino: le genetico delle cellule contro i Questo risultato si può otteanche se il notevole consumo di danni ossidativi. nere, sia migliorando la qualità grassi saturi nella dieta francese Anche i tannini rientrano nella della materia prima impiegata, sia (dovuto alla dieta ricca di grassi classe dei polifenoli, ed il vino ne agendo sulle varie fasi della tecnoanimali, come carne, burro, for- contiene quantità apprezzabili. logia di produzione. maggi) potrebbe far prevedere un Sebbene l’introduzione, con la La ricerca che si svolge nella aumento dell’incidenza di malat- dieta, di elevati quantitativi di Sezione di Scienze e Tecnologie tie coronariche (come avviene nei tannini possa comportare effetti Alimentari della Facoltà di paesi nordamericani e nordeuro- svantaggiosi per la salute, mode- Agraria ad Ancona si inserisce in pei), tali disagi si attenuano se alla ste dosi, simili a quelle che si un respiro ampio, che ha come dieta viene associato un moderato riscontrano nel vino, risultano tema la qualità nutrizionale e mira consumo di vino rosso. Sembra benefiche in virtù di una loro alla caratterizzazione delle peculiache ciò sia essenzialmente rità dei prodotti tipici e/o dovuto alla presenza, nel di nicchia delle Marche. I vino rosso, proprio di comrisultati ottenuti costituiposti biofenolici. scono la base di partenza Nonostante i numeper la verifica dell’autentirosi studi affrontanti, sia cità dei vini, dal punto di in vivo che in vitro, pervista della difesa del conmangono ancora numerosumatore, in modo diretto si dubbi sui meccanismi e sperimentale. In secondo di evoluzione chimica e luogo, con questi studi è fisiologica di tali composti possibile evidenziare le nel corpo umano. In ogni peculiarità dei prodotti, caso, l’attività cardioproda cui si possono trarre tettiva sembra esplicarsi indicazioni per miglioraattraverso l’abbassamento re la tecnologia, in colladella concentrazione plaborazione con le aziende smatica delle lipoproteine produttrici. Lacrima di a bassa densità (LDL), che Morro d’Alba, Rosso notoriamente trasportano Conero, Rosso Piceno, il colesterolo ‘cattivo’, l’inRosso Piceno Superiore e cremento delle lipoproteiVernaccia di Serrapetrona ne ad alta densità (HDL), sono vini rossi DOC proassociate al colesterolo dotti nelle Marche, che ‘buono’, la diminuzione sono stati oggetto di studio dell’aggregazione e dell’arecente dal nostro gruppo desione endoteliale delle di lavoro, con metodiche piastrine del sangue, fatanalitiche sofisticate e ad tori, questi, che riducono alta risoluzione. Si tratta la predisposizione all’atedi vini, la cui produzione rosclerosi. Per ciò che conè notevolmente aumentata cerne il meccanismo d’anegli ultimi dieci anni, ma zione, i biofenoli potrebche avevano ricevuto una bero essere concentrati in scarsa attenzione dal punto prossimità della superficie di vista della ricerca comdelle LDL, pronti a protegpositiva. gerle dall’ossidazione. Gian Lorenzo Bernini: Il Fauno che scherza con gli Oltre a queste conside- Amorini, Metropolitan Museum of Art, New York. Le Cento Città, n. 37 L’Università per la Città 20 I segreti dell’olio d’oliva e del vino di Antonio Benedetti L’olio d’oliva ed il vino sono tosto interessante: l’acido oleico ma a doppio taglio. Infatti il vino due alimenti tipici che contrad- contenuto nell’olio sembra esse- per il suo contenuto alcolico può distinguono l’alimentazione degli re il meglio tollerato dallo stoma- essere dannoso per l’organismo, italiani. È oramai dimostrato co, riducendo il reflusso acido in in particolare per il fegato. L’alcol che il nostro organismo, scientificamente che la dieta e esofago; l’olio d’oliva ha inoltre le abitudini alimentari svolgono un effetto nella formazione della in primis il fegato, è in grado di un ruolo di fondamentale impor- massa fecale e nella facilitazione metabolizzare in maniera fisiotanza nel regolare molti aspetti dell’evacuazione; stimola la libe- logica, senza apportare danni, della salute umana: per esempio, razione di colecistochinina, che a è rappresentato da circa 30 g è stato dimostrato ampiamente sua volta determina contrazione per l’uomo e 20 g per la donna. che l’obesità presenta una stret- della colecisti ed apertura dello Nonostante tale precisazione, se ta correlazione con il rischio di sfintere di Oddi. L’olio d’oliva utilizzato in maniera adeguata, il malattie vascolari, cardiache ed è in grado inoltre di stimolare vino è un prodotto che possiede la produzione di elevate quanti- numerose ed importanti proprieepatiche. In questa relazione saranno tà di colesterolo-HDL. Tutte le tà benefiche: aumento di colestepresi in considerazione gli effetti caratteristiche sopraelencate per- rolo HDL, riduzione dei rischi di che olio e vino svolgono nell’or- mettono di capire il motivo per malatie cardiovascolari, ecc. Quindì se si vuole godere degli ganismo umano, con particolare cui l’olio d’oliva sia diventato un effetti benefici apportati dal prodotto di interesse scientifico. interesse per il fegato. Prendendo in esame il primo Oltre all’olio d’oliva, anche vino, è necessario prima di tutto prodotto, ossia l’olio d’oliva, è il vino possiede effetti benefi- non abusarne (non superare la bene presentarne una breve defi- ci nell’organismo. Il vino è una quantità consigliata) L’elemento di primaria impornizione. L’olio di oliva è un pro- bevanda alcolica ottenuta escludotto alimentare caratterizzato sivamente dalla fermentazio- tanza negli effetti benefici del da un contenuto molto elevato di ne (totale o parziale) del frutto vino è rappresentato dall’attigrassi monoinsaturi; la tipologia della vite, l’uva (sia essa pigiata vità antiossidante; infatti, come vergine si ricava dalla spremitura o meno), o del mosto. Il termi- nell’olio di oliva, anche nel vino meccanica dell’oliva, frutto della ne “vino” ha origine dal verbo ci sono elementi in grado di svolspecie “Olea europaea”. sanscrito vena (“amare”), da gere attività antiossidante. Per Oltre al gusto e alla loro bontà, cui deriva anche il nome latino capire l’importanza dell’attività antiossidante, è necessario però deve anche essere tenuto in con- Venus della dea Venere. siderazione il contributo di tali Tuttavia, nel considerare gli capire che cosa sono i radicaprodotti a livello medico e gli effetti del vino, è necessario li liberi e cosa genera lo stress effetti fisiopatologici di olio e porre l’attenzione sul fatto che ossidativo nella patogenesi delle vino nell’organismo. tale alimento risulta essere un’ar- malattie epatiche e nell’organismo in generale. Come è stato L’olio d’oliva possidede numedimostrato in rose sostanze letteratura, lo anti-ossidanti stress ossidati(tocoferoli, vo rappresenta composti fenoun fattore fonlici, steroli, damentale in idrocarburi, tutti i processi alcoli terpenifisiopatogeneci) che sono tici, nel fegato in grado di e in generale in mantenere la tutti gli organi. stabilità del Nello specifico prodotto, rala livello epatilentando in co, la totalità maniera signidelle patologie ficativa il prorisulta carattecesso di ossidaStress ossidativo e fibrosi epatica: lo stress ossidativo è un meccanismo zione. L’effetto di danno molto importante nel processo fisiopatogenetico della fibrosi rizzata dal mecdell’olio d’o- epatica; esso è infatti coinvolto in tutte le patologie croniche del fegato. canismo dello liva nei vari Gli antiossidanti rappresentano quindì componenti importanti per stress ossidativo: come ad organi è piut- contrastare la progressione della fibrosi epatica. Le Cento Città, n. 37 I segreti dell’olio d’oliva e del vino esempio la NASH, il morbo di Wilson, l’emocromatosi, e fattori di danno come alcol o HCV/ HBV. Parlando di stress ossidativo, è bene però definire con precisione gli elementi responsabili di questa condizione patologica: ossia i radicali liberi. patologia epatica possiamo dire che le caratteristiche fisiopatologiche del parenchima epatico soggetto a stress ossidativo di varia natura, possono evolvere nel seguente modo: dalla steatosi, all’infiammazione NASH, alla fibrosi ed infine alla cirrosi vera e propria. La cirrosi inoltre può portare a morte il paziente oppure evolvere anche in carcinoma. Da un punto di vista puramente scientifico, la produzione di stress ossidativo coinvolge differenti popolazioni cellulari del fegato. Le cellule stellate, le principali responabili della produzione di matrice extracellulare, rispondono infatti allo stress ossidativo sia direttamente (con produzione diretta di radicali liberi) sia indirettamente, attraverso radicali liberi prodotti da altri tipi cellulari, come epatociti, neutrofili o cellule di Kupffer. Proprio sulla base di queste osservazioni, uno studio in vitro, condotto dal nostro gruppo, ha identificato nel resveratrolo (un flavonoide comunemente presente in diversi alimenti tra cui il vino rosso), una sostanza antiossidante capace di ridurre la proliferazione delle cellule stellate epatiche e la produzione di collagene normalmente indotta dallo stress ossidativo. Inoltre, uno studio recente condotto nel nostro laboratorio in collaborazione con il Prof. Natale Frega, ha dimostrato 21 come l’ethilcaffeoato (derivato idrossicinnamico presente in gran quantità nel vino bianco) sia dotato di notevole capacità antiossidante. In conclusione questi dati sembrano confermare la correlazione fra alimentazione, sostanze I radicali liberi sono molecole antiossidanti ed il loro ruolo instabili e reattive, caratterizzaepatoprotettivo, suggerendo la te dalla presenza di un numero necessità di promuovere regimi dispari di elettroni, che si formaalimentari in cui tali principi no naturalmente all’ interno di siano presenti. ogni cellula vivente. Quindi, riassumendo, le cellule Data la continua produzione in stellate epatiche, per un danno natura, la formazione di radicali cronico del fegato di varia origiliberi non è un processo esclusivamente negativo. Una delle ne vanno incontro ad un procesfunzioni fisiologiche mediate dai so di attivazione. Tale attivazione radicali liberi è rappresentata dal è mediata dallo stress ossidativo. meccanismo difensivo antibatteIn relazione a tale fenomeno, le rico. Negli ultimi anni si è però cellule stellate epatiche acquivisto che i radicali liberi possono stano tutte le caratteristiche di anche regolare la funzione cellucellule miofibroblastiche, produlare agendo come messaggeri trasduttori del segnale: regolando l’ cendo collagene, e promuovendo espressione di geni e l’ apoptosi pertanto la fibrosi epatica. cellulare; quindi, se da un lato i Gli agenti antiossidanti, ed in radicali liberi, a basse concentraquesto caso anche le sostanze zioni, svolgono un ruolo protetcontenute nel vino e nell’olio tivo per l’organismo, una perdita d’oliva, sono in grado di agire di controllo nella formazione dei proprio a questo livello, quindi radicali liberi comporterebbe lo direttamente sulle cellule stellasviluppo di reazioni dannose a carico di biomolecole, cellule, te, determinando una riduzione tessuti ed infine organi. dei radicali liberi prodotti, che A questo punto risulta chiaro risulterà quindi in una riduzione come il ruolo di alimenti che dell’entità del danno epatico e hanno proprietà antiossidandella fibrosi. ti, quali il vino e l’olio d’oliva, Pertanto, se contribuiscano questi sono i al benessere prodotti della dell’individuo. Gli antiossinostra terra, danti contrabuoni, genuini stano i radicali e soprattutliberi e cercano to efficaci per di pareggiare lo la salute del sbilaniamento nostro orgache si può crenismo, non ci are tra agenti proossidanti e resta che managenti antiossitenere salde le danti a favore nostre tradiziodi questi ultini, pensando mi, bloccando che in questo Etil-Caffeoato e proliferazione delle cellule stellate epatiche (HSC): l’ani meccanismi di tiossdante contenuto in grandi quantità nel vino bianco (etil-caffeoato) è in caso ciò che è danno. grado di ridurre l’attività proliferativa delle cellule stellate epatiche indotta buono, se usato Q u i n d i , della stimolazione con un agente ossidante (FeNTA). Tale fenomeno dimo- con moderadovendo riperstra l’effetto degli antiossidanti nel ridurre i meccanismi di progressione correre la storia della fibrosi epatica. (E. Bendia, et al. Anal Chim Acta, 2005) zione, è anche naturale della salutare. Le Cento Città, n. 37 La mostra 23 Raffaello, nella culla del genio di Mario Canti Da qualche tempo è in atto nelle Marche una sorta di “operazione riacquisizione” degli artisti che hanno operato nelle regione e delle loro opere, almeno a livello culturale e sociale; una operazione di grande rilevanza per le definizione della identità regionale che, a nostro avviso, trova il suo primo sostenitore e promotore in Pietro Zampetti, ma che oggi viene portata avanti da molteplici soggetti e, per la verità, con strumenti assai diversi. Sul piano delle conoscenze critiche abbiamo avuto la pubblicazione, o la riedizione, di testi fondamentali per la storia dell’arte marchigiana: I taccuini del Morelli, gli scritti di Amico Ricci e prima ancora, l’edizione anastatica dell’Archeologia Picena del Colucci; a queste fonti, per così dire storiche, si sono aggiunti in tempi recenti le pubblicazione relative a studi e ricerche di approfondimento, quale ad esempio, la raccolta sulle Marche disperse prodotta a cura della Regione Marche. Questo recupero delle fonti è stato accompagnato da una lunga serie di mostre ed iniziative di valorizzazione rivolte a promuovere la conoscenza degli artisti e delle scuole che negli anni hanno operato nella nostra regione; un serie inesausta ed inesauribile di eventi che hanno riguardato l’arte marchigiana dalla protostoria, vedi “Piceni” alla soglia del XX secolo, vedi De Carolis, passando attraverso i riminesi del cappelone di Tolentino, il gotico nelle Marche, il quattrocento a Camerino ed ad Ancona, ed interessando la produzione di singoli artisti: da Crivelli a Podesti, da Ridolfi a De Magistris, da Lotto a Peruzzini, e tanti altri ancora. Su questo cospicuo volume di iniziative, condotte con risorse di volta in volta disomogenee sul piano culturale, organizzativo e finanziario spicca la mostra organizzata a Fabriano su Gentile per almeno due ragioni: la scarsità di opere di questo artista ancora presenti in Italia (con la assoluta mancanza di suoi dipinti nelle Marche ) e l’ampiezza delle opere di altri artisti che accompagnavano il visitatore nella approccio alla produzione di Gentile, testimoniando in modo esemplare i fattori della sua formazione come gli influssi prodotti dalla sua opera. Lorenza Mochi Onori, Soprintendente ai Beni Storici Raffaello: Quattro cavalieri e un nudo maschile a piedi, Firenze, Galleria degli Uffizi. Le Cento Città, n. 37 La mostra 24 Raffaello: Sacra Famiglia con Agnello. Madrid, Museo Nazionale del Prado. Le Cento Città, n. 37 Raffaello, nella culla del genio 25 Raffaello: Sogno del cavaliere, National Gallery Londra. Artistici delle Marche, che curò con grande capacità e con risultati splendidi quella mostra affronta oggi un alro “gigante “ della arte nato nelle Marche, Raffaello, con l’intento precipuo di far riconoscere gli influssi che nella formazione di questo grande personaggio dell’arte del Rinascimento ebbero l’ambiente culturale urbinate e, segnatamente, quello del padre Giovanni Sanzio pittore ducale. Un approccio quanto mai significativo per la storia della cultura marchigiana, che verrà valorizzata dall’importanza dell’evento e che vedrà ricostruito un rapporto tra l’artista ed il territorio che fino ad oggi è risultato sottovalutato; un altro tassello per la costruzione di una corretta genesi dell’identità culturale marchigiana. L’importanza dell’evento è testimoniata dal numero delle opere esposte: venti dipinti e diciannove disegni del giovane Raffaello ai quali si accompagnano trentadue dipinti e dieci disegni di Giovanni Sanzio e di altri artisti operanti in Urbino Le Cento Città, n. 37 negli anni della sua formazione; e dalla, partecipazione ai lavori del Comitato Scientifico dei maggiori conoscitori della pittura di Raffaello. La mostra, che è programmata dal 4 aprile al 12 luglio sarà accolta nelle sale del Palazzo Ducale di Urbino e costituirà sicuramente uno degli eventi espositivi di maggiore importanza del 2009, ma anche per quello che qui interessa soprattutto, un apporto nuovo e fondamentale per l’identità storica della nostra regione. La qualità 26 Edifici residenziali di Via Annibal Caro a Senigallia premiati dall’Inarc: un corretto rapporto forma-funzione unito alla capacità di integrare i materiali tradizionali con materiali nuovi. Le Cento Città, n. 37 La qualità 27 Architettura di pregio per rilanciare il territorio di Edoardo Danieli “Questo tipo di premi mette in evidenza come sia possibile riscontrare maggiormente qualità e innovazione nel cosiddetto territorio locale, piuttosto che nei grandi contesti urbani”. La considerazione è di Fulvio Irace, editorialista e storico dell’architettura, ed è stata espressa in occasione della premiazione della prima edizione del Premio regionale di architettura, promosso dalla sezione Marche dell’Istituto Nazionale di Architettura (Inarch) con l’Associazione Nazionale Costruttori Edili Marche (Ance), e il patrocinio della Regione. Un importante momento di riflessione tra progettisti, costruttori e professionisti sulla necessità di elevare la qualità architettonica dell’edilizia, pubblica e privata, nella nostra regione ma anche nel resto del paese. D’altro canto, come fa notare Maria Luisa Polichetti, presidente dell’Inarch Marche, “anche se ci sono stati illustri eccezioni che hanno prodotto realizzazioni splendide, nelle Marche negli ultimi cinquanta anni non ci sono stati esempi significativi di architettura di qualità”. Non vuol essere un’accusa, ma è un’affermazione che sottolinea la necessità di contribuire a creare un clima fecondo tra i vari attori interessati per invertire questa tendenza. Proprio in questa direzione opera l’Inarch grazie anche alla collaborazione che si è realizzata con l’associazione costruttori. Il Premio diventa così il momento in cui questa volontà di puntare alla qualità affiora in maniera più evidente: il segno di un lavoro da portare avanti con ancora più determinazione ad ogni livello. “La provincia - ha sottolineato Fulvio Irace editorialista de Il Sole 24 Ore e Storico dell’Architettura - consente di sprigionare creatività, innovazione, partecipazione al progetto dei L’Istituto Professionale per Servizi Alberghieri di San Benedetto del Tronto. soggetti protagonisti (progettista, committente e impresa edilizia) poiché spesso sono vicini e rappresentano la cultura socio economica della zona dove l’opera edilizia viene realizzata. Qui infatti consistenti fenomeni di trasformazione ed innovazione sono possibili. L’architetto Santiago Calatrava Valls non ha avuto problemi a realizzare, in tempi assai accelerati il ponte di Reggio Emilia; contrariamente a quanto accaduto per il ponte di Venezia”. Polichetti, invece, ribadisce la necessità di una qualità complessiva dell’architettura. “La qualità si stabilisce con l’impatto che l’opera ha sul territorio, sulla vita delle persone che per motivi di lavoro o di svago vivranno quel luogo, in una parola sulla sostenibilità dell’intervento”. Non più scuole o capannoni, ma anche semplici abitazioni, che siano invasive del territorio ma buone pratiche di Le Cento Città, n. 37 vivibilità sostenibile. Tra l’altro, nel suo intervento, l’architetto Polichetti ha ribadito la necessità di favorire l’istituto del concorso, incentivato anche dalla legislazione, per la committenza: si tratta di uno strumento che favorisce l’innalzamento della qualità. Dunque il premio, dunque la cerimonia di premiazione. Una serata dedicata alla cultura della qualità: qualità della vita, qualità dell’architettura, qualità del territorio che recupera e rilancia, innovandole, storia e tradizione. Architettura che aggrega, crea punti di socializzazione, riverbera benessere e amplifica la comunicazione e l’incontro. L’evento si è svolto all’interno di una delle opere premiate: la biblioteca La Fornace di Moie. A ritirare il premio l’architetto progettista Nazzareno Petrini, che insieme ad Anna Serretti ha realizzato il progetto, il sindaco Giancarlo Carbini quale com- La qualità 28 Le Cento Città, n. 37 Architettura di pregio 29 I vincitori del Premio Regionale di Architettura promosso dall’Inarc in collaborazione con Ance e Regione. A fianco la Biblioteca “La fornace” di Moie di Maiolati, uno degli interventi premiati. mittente. Premiata anche l’impresa che ha eseguito i lavori, la Edil Atellana di Caserta. La qualità architettonica dell’intervento è data sia dal rispetto per la storia del luogo sia dall’uso all’interno dei fabbricati di materiali contemporanei, compatibili con l’ambiente e capaci di creare spazi che rispondano alle esigenze del nuovo modo di lavorare e studiare, anche di un pubblico giovane. Come ha ricordato il sindaco Carbini, in un anno sono stati concessi circa 13.000 prestiti librari. A premiare e ad intervenire sono stati Adolfo Guzzini, presidente Inarch nazionale, Maria Luisa Polichetti, Giovanni Cecere per l’Ance e Fulvio Irace. Tra i pre- senti rappresentanti della cultura e dell’imprenditoria tra i quali Armando Ginesi e Gennaro Pieralisi. Ha portato il suo saluto e rimarcato l’importanza dell’incontro il vice presidente della Provincia Sagramola. Premiate anche opere di Senigallia e San Benedetto del Tronto. A Senigallia un intervento realizzato da un giovane progettista, (under 40), Marco Maria Ceccarelli: gli edifici residenziali di via A. Caro. Vincitori anche il comittente Sema Costruzioni snc di Senigallia e l’impresa Globo costruzioni di Senigallia. Edifici esemplarmente integrati nel contesto urbano della città, attraverso una attenta lettura della storia e Le Cento Città, n. 37 dell’attuale situazione. Un corretto rapporto forma-funzione unito alla capacità di integrare i materiali tradizionali con materiali nuovi. Assai felice l’uso del mattone faccia-vista e l’uso del colore. A San Benedetto del Tronto, premiato l’istituto professionale statale per i servizi alberghieri e la ristorazione di San Benedetto del Tronto. Vincitori: progettista Enzo Eusebi-Nothing Studio di Martinsicuro; committente la Provincia di Ascoli Piceno; impresa: Edil Steel srl- Atessa. Si tratta di un validissimo esempio di collaborazione e di integrazione dei soggetti coinvolti nel progetto, specialmente con la committenza pubblica. L’incontro 30 Ando Gilardi tra arte digitale e memoria di Marcello Sparaventi La vasta produzione di immagini “numeriche” attraverso le tecnologie digitali, credo abbia sviluppato la diffusione e di conseguenza l’eccessivo consumo visivo delle immagini fotografiche in ogni settore sociale; particolarmente sensibili in tal senso sono le nuove generazioni, geneticamente predisposte all’uso e abuso dei nuovi sistemi. La fruizione visiva che avviene sulla “rete”, ed in particolare in alcuni siti Internet visitati da milioni di “naviganti” come Flickr, You Tube e recentemente anche il social network Facebook, permette uno scambio globale delle proprie fotografie anche di carattere privato, da condividere con altri internauti. Questo fenomeno tecnologico rapido ha determinato un altro processo culturale, quello delle riviste e libri che trattano solo la “rivoluzione” digitale, corsi di fotografia digitale o di fotoritocco allegati ai giornali quotidiani, ma in particolare la nascita di festival dove i “nuovi” media sono protagonisti. Alcuni eventi legati alla cultura fotografica sono stati recentemente realizzati anche a Fano; mi limiterò a parlare per ovvie ragioni solo di iniziative dove sono stato uno dei promotori: mi riferisco alla prima retrospettiva sull’Arte digitale di Ando Gilardi, che si è svolta alla saletta Nolfi nel gennaio di due anni fa. Una mostra frequentata da quasi settecento visitatori, i quali sono rimasti sbalorditi e anche coinvolti dalle sue cento immagini esposte. “L’arte che nasce dall’arte che nasce dall’arte che nasce dall’arte” è la mostra di Gilardi a Fano, che ha coinciso con l’uscita del suo libro a carattere biografico “Meglio ladro che fotografo – Tutto quello che Le Cento Città, n. 37 dovreste sapere sulla fotografia ma preferirete non aver mai saputo” edito da Bruno Mondadori e scritto in collaborazione con Patrizia Piccini della Fototeca Gilardi di Milano. Nel giugno del 2007 sempre nella saletta Nolfi, si sono invece ammirate cinquanta fotografie in bianco e nero di Ferruccio Ferroni; stampe originali realizzate dallo stesso autore con tecniche analogiche. Molti giovani hanno potuto conoscere personalmente Ferruccio Ferroni, un autore importante nella storia della fotografia italiana fino dagli anni cinquanta. La retrospettiva precedette di qualche mese la sua scomparsa, avvenuta il 5 settembre del 2007 a Senigallia. Due eventi molto diversi, due personaggi straordinari che avevano in comune l’età anagrafica, perché Gilardi è nato nel 1921 ad Arquata Scrivia Ando Gilardi in provincia di Alessandria e Ferroni nel 1920, a Mercatello sul Metauro in provincia di Pesaro e Urbino. Ora questo ultimo significativo appuntamento che si è svolto alla fine di gennaio: la presentazione nella Sala di Rappresentanza della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, dell’ultimo libro di Ando Gilardi, edito sempre da Bruno Mondadori; “Lo specchio della memoria – la fotografia spontanea dalla Shoah a You Tube”, dove il nostro importante studioso analizza la forza morale delle fotografie “spontanee”, realizzate in parte dagli stessi internati nei ghetti e in parte dai loro aguzzini; immagini che nel primo caso sono state realizzate segretamente con l’in- 31 tento di documentare la tragedia umana che stavano vivendo (i racconti non sarebbero stati una prova certa dell’accaduto) e nel secondo un ricordo o un “trofeo” delle azioni compiute. Le immagini spontanee, oggi sono testimonianze conservate in diversi musei dedicati alla Shoah; ma sono facilmente reperibili anche in rete, rielaborate in sequenze video con l’aggiunta di testi e musica. Il capitolo più originale del libro, è proprio quello dove alcuni Youtuber, creatori tecnologici di video sull’Olocausto, vengono intervistati da Ando Gilardi. È lo stesso Gilardi che ha deciso il giorno per la presentazione del suo libro, quello della Giornata della Memoria; Le Cento Città, n. 37 questo assume un valore particolare se si considera che egli è di origine ebraica e che all’inizio della sua attività di fotografo e storico della fotografia, nel 1945 a Genova, c’è la sua partecipazione alla campagna di riproduzione delle immagini dell’Olocausto nell’agenzia interalleata incaricata di raccogliere prove documentarie per i processi ai crimini di guerra. L’Olocausto è un argomento molto trattato in rete, e molti youtuber condividono e “taggano” le proprie opinioni; la rete internet è un vasto universo dove coesistono cose ed espressioni di ogni tipo, basta avere la coscienza di “cercarsi” bene. Musica 32 La riscoperta di un compositore marchigiano, Giuseppe Balducci di Adrian Vasilache Giuseppe Balducci (Jesi 1796-Malaga 1845) è un compositore della prima metà dell’Ottocento, in cui mi sono imbattuto grazie agli studi di un musicologo neozelandese e questo incontro mi ha spinto a compiere una ricerca musicografica e ad effettuare degli studi propriamente musicali su alcuni lavori vocali e strumentali che ritengo particolarmente rappresentativi di questo autore quasi del tutto dimenticato e che ritengo debba essere riportato alla luce. In un’epoca particolarmente ricca di validi compositori e dominata dalla personalità di Rossini, Spontini, Bellini e Donizetti, anche la personalità artistica di Giuseppe Balducci si rivela particolarmente interessante per la sua autentica originalità stilistica che arricchisce il panorama musicale del suo tempo già di per sé sfolgorante. Cresciuto a Jesi in un ambiente familiare che era solito coltivare la passione per la musica, Balducci viene avviato agli studi musicali dal cantante jesino Giovanni Ripa (1748-1816) e, successivamente, diviene allievo di Pietro Morandi (1750-1815), l’illustre musicista bolognese che ha insegnato la tecnica del contrappunto a intere generazioni di musicisti di ogni Paese. Morandi, che era stato discepolo di Gian Battista Martini (1706-1784) e che si era trasferito nelle Marche, trasmise al Balducci, oltre ai mezzi tecnici, la passione per determinati virtuosismi contrappuntistici; si tratta soprattutto di alcuni elementi di stile e di gusto estetico che hanno sotterraneamente determinato certe scelte non solo stilisticamente originali, ma anche “stravaganti” per quella età musicale: infatti il Balducci, grazie agli insegnamenti del Morandi, riesce a maturare una originalissima sintesi tra la tecnica del contrappunto e la tradizione del bel canto romantico proprio della più pura e preziosa melodia italiana. Balducci “eredita” dal suo maestro bolognese una tendenza alla cura particolare della strumentazione, delle frequenti arditezze armoniche e un certo modo “cameristico” di trattare il canto: in altre parole, l’ala dello spirito musicale mitteleuropeo sfiorò il cuore del canto mediterraneo, imbrigliandolo in un nuovo tessuto sonoro che, dopo una lunga “gestazione”, arriva a produrre un genere melodrammatico unico: l’opera da camera o “da salotto” di cui Balducci è il solitario creatore in tutta la storia della musica. La formazione musicale di Balducci si completa, come aveva fatto Pergolesi quasi un secolo prima di lui, in quella grande capitale della musica e del teatro musicale che è Napoli, dove frequenta la scuola di perfezionamento diretta da Giacomo Tritto (1733-1824) e successivamente da Nicola Antonio Zingarelli (1752-1837), compositore di successo di opere serie e buffe, nonché Maestro di Cappella della S. Casa di Loreto (1794-1804). Dal primo, Balducci impara a introdurre il concertato finale nei lavori operistici e ad affinare progressivamente il disegno melodico, ingegnosamente intrecciato ad un accompagnamento sempre più ricco. Dallo Zingarelli, questo singolare “studente”, già abilissimo nell’arte della composizione, “eredita” una certa spigliatezza teatrale e un modo squisitamente “napoletano” di trattare la voce come se fosse uno strumento e gli strumenti come se fossero voci in una sintesi che sfocia nel “bel canto” strumentale. La forte personalità creativa di Balducci riesce tuttavia a superare tutte queste “influenze”, arrivando a una originale e nuova sintesi stilistica che rappresenta non solo un interessante lascito artistico, testimonianza del ruolo giocato nella trasformazione Le Cento Città, n. 37 del teatro musicale napoletano in opera lirica, ma il raggiungimento di momenti di autentica e struggente grande arte addirittura anticipatrice, per alcune invenzioni, dello stesso Verdi, al quale Balducci si avvicina per il temperamento e per la rara maestria nel rendere, pur inserendola in tessuto ricco e raffinato, molto leggera la voce anche nei momenti musicali più drammatici. Terminati gli studi, Balducci si inserisce facilmente nella grande vita musicale di Napoli e Roma, producendo una serie di opere che vengono rappresentate con notevole successo nel Teatro San Carlo e nel Teatro Capranica di Roma, reggendo la “concorrenza” di tanti straordinari compositori del suo tempo. Tra le sue molte opere vanno ricordati in particolare alcuni titoli: L’amante virtuoso (Napoli, 1823), Le nozze di Don Desiderio (Napoli, 1823), Riccardo l’intrepido (Roma, 1824), Boabdil re di Granata (Napoli, 1824), Tazia (Napoli, 1826), I Gelosi (Napoli, 1834), Le streghe di Benevento (Napoli, 1837), Bianca Turenga (Napoli, 1838), Il Conte di Marsico (Napoli, 1839). Egli inoltre compone romanze, duetti, quartetti vocali con accompagnamento pianistico, brani strumentali, corali e composizioni religiose, una vasta raccolta di canoni; egli scrive anche un metodo di canto e di solfeggio, rinnova la pedagogia musicale italiana, lo studio di autori come Haydn, Beethoven e Schubert, allora quasi del tutto sconosciuti presso il pubblico italiano. Nel ricco panorama operistico del primo Ottocento, Balducci interpreta con originalità le tendenze operistiche dell’epoca, riuscendo a fondere in maniera elegante fluidità melodica e contrappunto in una scrittura vocale e strumentale, dove si mescolano gli stilemi musicali Giuseppe Balducci del teatro napoletano settecentesco con le novità dirompenti del Romanticismo non ancora consacrato: una grande sapienza armonica unita ad uno spirito cameristico quasi mitteleuropeo nella trattazione delle parti e dell’accompagnamento, drammaticità e spirito “eroico” dei duetti, terzetti o quartetti solistici, salti e interruzioni improvvise del canto, un evidente stile belcantistico esteso anche agli strumenti. Nel suo insieme, la musica di Balducci stupisce per il “coraggio” delle innovazioni, tanto da non essere probabilmente di facile comprensione per i suoi contemporanei. Dopo aver messo alle spalle e aver superato, con grande determinazione intuitiva, il Settecento, Balducci cavalca l’onda delle “novità” espressive e strutturali con una evidente e progressiva conquista di un percorso artistico teso verso il pieno sviluppo romantico dell’opera, partecipando alla nascita del grande melodramma italiano, che arriverà al massimo del suo fulgore con il “colosso” Verdi. Tuttavia Balducci ha diritto di cittadinanza in questa 33 sorte di Olimpo musicale, perché in alcune sue ispiratissime opera, come Bianca Turenga o Il Conte di Marsico, raggiunge una intensità lirica e drammatica quasi verdiana, anticipando in modo assolutamente geniale alcune delle strade percorse dal Maestro di Busseto. Oltre a melodrammi con un organico tradizionale (orchestra, solisti e coro), la produzione di Balducci comprende delle composizioni che costituiscono un’autentica sorpresa, in quanto rappresentano un genere assolutamente nuovo e mai più ripetuto: l’opera da camera. Infatti il compositore jesino “inventa” sei opere per sole voci femminili con accompagnamento di due pianoforti che sono le uniche nella storia della musica. La scelta di un organico così singolare (solo voci femminile e due pianoforti) deve essere collegato al lungo e profondo rapporto che Balducci stabilisce con la Famiglia Capece Minutolo, una delle più in vista dell’aristocrazia napoletana. Il compositore ricopre per qualche tempo il ruolo di insegnante di musica delle tra Le Cento Città, n. 37 figlie della famiglia e per diversi anni il palazzo Capece Minutolo a Posillipo accoglie uno dei più attivi e frequentati salotti musicali della Napoli degli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Egli riesce in questa “versione intima” dell’opera, con grande maestria e abilità funambolesca e grazie alle basi contrappuntistiche ricevute nei primi insegnamenti marchigiani, a non far sentire la mancanza delle voci maschili, nonostante la durata dell’esecuzione e la compiuta drammaticità del soggetto. Si tratta infatti di opere assolutamente intere e perfettamente realizzate “in scala” (come masse sonore), che non devono essere confuse con le romanze o le varie composizioni per canto e pianoforte che erano composte da ogni autore di successo. Siamo, al contrario, di fronte al più strano e incredibile incontro tra due mondi molto lontani come tipo di sensibilità: il lied mitteleuropeo e la nascente opera italiana. Libri ed eventi 35 di Alberto Pellegrino Libri L’Accademia Filelfica e il artistiche della maturità presso Comune di Tolentino, dopo il la corte di Parma, al fianco del tragico incendio del luglio 2008, Bodoni, alle opere pittoriche e hanno deciso di pubblicare architettoniche realizzate nelle un volume intitolato Il Teatro Marche. Il secondo saggio, intiVaccai. Spettacolo e socie- tolato Un teatro ai tempi della tà a Tolentino tra Settecento Rivoluzione. Il pittore Giuseppe e Ottocento a cura del prof. Lucatelli e l’esordio di Tolentino Giorgio Semmoloni, presidente come architetto teatrale è dello dell’Accademia, che nel giro di storico dell’architettura Cristiaquattro mesi è riuscito a riunire no Marchegiani che analizza il una imponente documentazione Teatro di Tolentino come oristorica in parte già esistente e in ginale prodotto dell’architettura parte del tutto nuova, raccolta neoclassica tanto da rimanere in un libro di 317 pagine, molto come un prototipo nel panoracurato sotto il profilo grafico e ma architettonico nazionale, un dotato di un interessante appa- edificio realizzato in modo comrato iconografico. È lo stesso pleto dalla facciata monumentaSemmoloni a curare la riedizione le all’interno con l’affascinante di un celebre (ma ormai introva- volta a velario e tutti gli arredi bile) opuscolo del 1883 sulla sto- pittorici realizzati dallo stesso ria del teatro a Tolentino, edito progettista. Fra i nuovi apporti dal tipografo Filippo Guidoni, storiografici risalta per imporche si pensa possa essere anche tanza il lavoro fatto da Laura l’autore della pubblicazione Mocchegiani che ha riportato visto che nella copertina del ne La fabbrica teatrale. Fonti volumetto, intitolato Il Teatro documentali e cronologia degli in Tolentino - Memorie stori- avvenimenti tutti gli atti conteche, sono riportate le iniziali “F. nuti nell’archivio comunale di G.”. I due saggi seguenti sono Tolentino e fedelmente trascritti, stati già pubblicati su Quaderni che riguardano la costruzione del del Bicentenario (n. 7-8, 2001- teatro dal 1763 al 1797 con l’ag2002). Il primo è dell’eminente giunta di due documenti del 1812 storico Nicola Raponi e s’intitola e 1816. Si tratta di un materiale Biografia ed opera del pittore e architetto Giuseppe Lucatelli, il primo saggio completo sulla vita e sulla attività artistica di questo autore, dai primi studi romani alla scuola di Anton Raphael Mengs e di Tommaso Conca, dalle esperienze Il Teatro Vaccaj, subito dopo l’incendio del luglio 2008. Le Cento Città, n. 37 particolarmente importante per la storia del teatro nelle Marche, finora di difficile consultazione per la sua mole e per la grafia non sempre facile da decifrare e che è ora a disposizione degli studiosi. Altro contributo originale, anche nella sua concezione, è quello dell’architetto Luca Maria Cristini che affronta il percorso fatto dai due architetti neoclassici Lucatelli e Aleandri per quanto riguarda la progettazione del teatro all’antica. Infine Alberto Pellegrino traccia un quadro della storia teatrale in quella zona della regione compresa tra Fermo, Ancona, Jesi e il Maceratese nel saggio La civiltà teatrale della Marca centrale; oltre a un’analisi sociologica della fioritura teatrale marchigiana, l’autore analizza lo sviluppo storico dello spettacolo con un particolare approfondimento per il teatro di prosa. Il volume si chiude con un contributo di straordinario valore storico, perchè per la prima volta è stato possibile pubblicare un repertorio teatrale, riguardante la prosa, la lirica e altre forme di spettacolo proveniente da un fondo privato e contenente ben 964 titoli dal 1797 al 1857, a cui se ne aggiungono altri 212 del periodo 18641973 per un totale di 1176 titoli, che rappresentano lo spunto per ulteriori studi e approfondimenti. Il Centro Studi e Libri ed eventi Attività Teatrali Valeria Moriconi di Jesi ha recentemente pubblicato, nella collana “Quaderni delle Memoria” delle Edizioni Quattroventi, il volume Valeria Moriconi. Come in uno specchio a cura di Franco Cecchini, autore di diverse pubblicazioni teatrali e direttore del Centro, nonché delle attività teatrali della Fondazione Pergolesi Spontini. L’opera si propone di tracciare un profilo quanto il più possibile completo della personalità umana e dell’attività artistica della Moriconi, una delle più grandi attrici italiane del secondo Novecento, nata a Jesi nel 1931 e qui scomparsa nel 2005. Oltre ai due saggi introduttivi, di cui parleremo, il volume risulta importante per la storia del teatro italiano, perché contiene una forma di biografia postuma intitolata Valeria Moriconi. “Il teatro è vita”, si tratta di 180 tra interviste e interventi compresi tra il 1957 (anno in cui l’attrice comincia ad affermarsi) e il 2004 quando praticamente conclude la sua attività artistica, accuratamente selezionati da Cecchini tra i 550 documenti raccolti nel fondo archivistico del Centro e adattati in modo tale da costituire un’autobiografia da cui si può venire a conoscenza delle vicende umane e del percorso artistico della grande attrice marchigiana. Gli apparati comprendono la cronologia della vita e dell’attività cinematografica e teatrale dell’attrice, l’elenco delle interviste raccolte nel Fondo Archivistico del Centro, una vasta raccolta di immagini fotografiche riguardanti la vita privata e gli spettacoli della Moriconi. Il primo saggio, intitolato Sguardi, intrecci, segni. Valeria Moriconi nel teatro italiano del Novecento, è di Anna T. Ossidani che insegna Letteratura italiana e Letteratura teatrale italiana presso l’Università di Urbino. La studiosa riper- 36 corre il cammino artistico della Moriconi a partire dagli esordi nel cinema nel 1953, quando approda a Roma avendo alle spalle solo alcune esperienze fatte a Jesi con il teatro amatoriale. Le innate qualità della Moriconi la portano nel 1957 all’incontro fondamentale con Eduardo De Filippo con il quale fa il suo esordi teatrale nel 1958 con De Pretore Vincenzo. Si tratta di una vera scuola in cui Valeria apprende la grammatica recitativa, gli elementi fondamentali per interpretare un personaggio e dominare la scena; sono i primi passi di un “animale da palcoscenico” che si avvia a raggiungere risultati di altissimo livello fino a quella Filumena Maturano (1986) che rappresenta una tappa fondamentale della sua carriera. In mezzo l’incontro con Visconti (L’Arialda di Testori) e quello decisivo con Franco Enriquez, dal quale nasce un sodalizio esistenziale, culturale e teatrale con la creazione della Compagnia dei Quattro (Enriquez, Moriconi, Glauco Mauri e Mario Scaccia), un laboratorio teatrale dove si vive “l’eterna gioia e l’eterna follia del teatro”. Si rappresentano Shakespeare e Goldoni (La locandiera), ma anche Cecov, Pasolini, Codignola, Max Frish. e Stoppard, inoltre la Moriconi interpreta una splendida Medea. Le Cento Città, n. 37 Nel 1978 si scioglie il sodalizio con Enriquez e la Moriconi sperimenta nuove strade con registi di valore come Castri, Ronconi, Corbelli, Marcucci, Missiroli, Sequi. Porta con successo sulla scena testi di Miller e Bernhard, l’impegnativo monologo di Alberto Savinio Emma B. vedova Giocasta, affronta da mattatrice della scena La nemica di Niccodemi, un popolare testo del 1917, rivitato da Missiroli. Con la sua applicazione, il suo coraggio, la sua sensibilità e il suo fascino innato la Moriconi lascia un segno indelebile nella storia del teatro italiano. Franco Cecchini, nella sua introduzione alle interviste biografiche, punta soprattutto a mettere in evidenza la strenna connessione che sentiva Valeria tra il teatro e la vita, la sua appassionata sensibilità, la sua voglia di “dialogare con il mondo”. L’attrice sente il bisogno per prima cosa di comunicare con il pubblico, sfruttando anche la sua forza di seduzione; nello stesso non si accontenta della routine, ma vuole continuamente innovare e sperimentare fino alla provocazione. Nello stesso la Moriconi coltiva il “mito delle radici”: la sua famiglia e in particolare suo padre; Jesi e la casa natale di Via Mura Orientali, dove si ritirerà negli ultimi mesi di vita; le Marche (“Sono e rimarrò sempre una marchigiana”), la terra che ha amato, alla quale avrebbe voluto dare un Teatro Stabile con un progetto che ebbe però breve durata. Infine il “mito del teatro” come grande amore e centro dell’esistenza, come professionismo e passione assoluta: “Il teatro – ha lasciato impresso su un manoscritto – è vita, è parola, è finzione, è realtà, è luce, è gioco, è catarsi, è idea, è passione, è poesia, è lo specchio, è illusione, è il Libri tempo…Il teatro è casa mia… l’ambiente naturale…come il pesce nell’acqua, l’uccello nel cielo, il fuoco nelle viscere della terra”. La Fondazione Carima ha pubblicato come strenna nata- lizia un interessante volume curata da Luigi Ricci e intitolato Saluti e Baci. Cartoline dal Maceratese, che presenta in apertura alcuni saggi brevi sulla natura della cartolina e sullo spirito del collezionismo (Goffredo Binni, Siriano Evangelisti, Ermanno Arslan), mentre Evio Hermas Ercoli disegna un quadro storico e sociologico di questo mezzo di comunicazione inventato nel 1865 dal tedesco Henrich von Stephan (1831-1897) che ha riscosso un enorme successo fino alla fine del Novecento e che sta ora entrando in crisi a causa dei 37 nuovi strumenti di comunicazione elettronica. La cartolina è stata usata per illustrare il paesaggio urbano e naturale, per la propaganda politica e militare, per rappresentare mode e costumi, come veicolo delle arti figurative, come forma espressiva della fotografia professionale anche con ambizioni artistiche. Infine Luigi Ricci analizza l’importanza che la cartolina ha avuto nella nostra società, procedendo anche ad una classificazione tematica: mercati, militari, fabbriche, costume, corsi d’acqua, pescatori, trasporti, commemorative, pubblicitarie, saluti da…. Il volume si chiude con un’ampia selezione di cartoline riguardanti i 57 comuni della Provincia di Macerata, tracciando la mappa geografica, urbanistica e antropologica di un mondo che ormai resta documentato soprattutto da questi piccoli rettangoli di cartoncino. Nella convinzione che la cartolina, da strumento di comunicazione molto diffuso e popolare si stia trasformando in un prezioso mezzo di documentazione storica, la Fondazione Carima con la collaborazione di numerosi collezionisti ha istituito un sito internet www.cartoline macerata.it che contiene una raccolta di ottomila cartoline, che potrà essere ancora incrementata e arricchita, ma che costituisce già una preziosa fonte di documentazione storica per gli studiosi di storia e sociologia, ma anche per coloro che vogliono Le Cento Città, n. 37 “sfogliare” questo ideale album elettronico per sapere “come eravamo” per quanto riguarda il costume e l’abbigliamento, l’architettura e l’urbanistica, i mezzi di trasporto e le ricorrenze civili e religiose, il paesaggio montano, collinare e marino. Il Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile e l’Ufficio Scuola della Diocesi di Macerata hanno promosso un’Indagine conoscitiva sulla realtà giovanile diocesana, condotta su un campione di giovani del Biennio e Triennio superiore (563 maschi e 382 femmine), estrapolato da una popolazione studentesca di 5524 unità. L’indagine è stata affidata a Stefano Cacciamani, ricercatore in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso l’Università della Valle d’Aosta. Essa rappresenta uno strumento offerto alla Scuola e altre Agenzie educative del territorio diocesano e agli stessi giovani, affinché possano aprire un costruttivo dialogo, partendo dai risultati emersi dall’indagine. La prima dimensione indagata (Io con me stesso) ha messo in evidenza che oltre il 53% degli intervistati si dichiara moderatamente soddisfatto o insoddisfatto del periodo di vita che sta vivendo per mancanza di sicurezza interiore, per paura della solitudine dell’assunzione di responsabilità, mentre la maggioranza esprime fiducia verso il futuro pur senza avere un progetto personale; il 72% si dichiara credente e di appartenere a un’esperienza religiosa, soprattutto cattolica, e la stessa fede viene percepita come una dimensione non solo privata. Per quanto riguarda la seconda dimensione (Relazionarsi), la stragrande maggioranza (88%) colloca al primo posto la famiglia, seguita dal gruppo degli amici (97%), mentre si nutre una certa sfiducia nei confronti della scuola, dato che il 56,4% giudica la scuola poco o per nulla piacevole, anche se il 72,5% si dichiara molto o abbastanza interessato a ciò che si fa a scuola. Circa gli adulti di Libri ed eventi riferimento la quasi totalità ha indicato il bisogno di confidarsi e consigliarsi; per quanto riguarda le associazioni le più frequentate sono nell’ordine: sportive, parrocchiali, gruppi religiosi, di volontariato, culturali, politiche. Infine circa i mezzi di comunicazione/informazione, quelli più utilizzati sono il cellulare, la televisione, Internet con l’uso della chat, dei siti web e l’e-mail. Il nostro socio Fabio Mariano, che è stato insignito del premio “Benemerito per la Storia delle Marche 2008” promosso dall’Associazione Marchigiana Rievocazioni Storiche, ha recentemente pubblicato sui Quaderni dell’Accademia Fanestre (7/2008) un importante saggio intitolato Piero della Francesca architetto e prospettico ed il disegno della città ideale del primo Rinascimento, nel quale affronta il tema dell’architettura quattrocentesca che si propone di “travasare” all’interno delle strutture urbane la nuova concezione umanistica dell’uomo attraverso nuuove città appositamente progettate, ma solo in minima parte realizzate (Pienza, Urbino, Sabbioneta, Palmanova, ecc.). Un impulso a questi studi è dato dalla riscoperta e pubblicazione nel 1486 del De Architettura di Vitruvio, nel quale si persegue l’armonia tra microcosmo e macrocosmo, tra corpo umano e arti figurative nel loro complesso compresa l’architettura. 38 Nel quattrocento quindi gli architetti ipotizzato un tessuto urbano dove convivano razionalità, equilibrio e simmetria, dove s’incontrino gli ideali umanistici e le necessità del sistema di governo che deve assolvere la perfetta città principesca: le esigenze di rappresentanza (il palazzo signorile), la difesa e le strategie territoriali (le fortificazioni), la vita cortese e lo spettacolo (il teatro e la scenografia), le strutture abitative che formato il tessuto residenziale. I teorici della “città ideale” portano i nomi dell’Alberti, di Filerete, Brunelleschi e Palladio. Francesco di Giorgio, alla fine del Quattrocento nel suo Trattato di architettura, dedicato a Federico da Montefeltro, scrive: “avendo la città ragione, misura e forma del corpo umano…è da considerare come el corpo ha tutte le partizioni e membri con perfetta misura e circonferenza, el medesimo in nelle città e altri difizi osservare si debba”. Sempre in ambiente urbinate Baldassarre Castiglione nel Cortigiano dice che il Palazzo Ducale di Urbino “non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva”, per cui certifica la monumetalizzazione e la spettacolarizzazione della corte che diventa centro del tessuto urbano e sede di un’architettura dell’effimero, sofisticata e ricca di simbologie anche politiche. In questa sta- La città ideale (attribuito a Piero della Francesca). Le Cento Città, n. 37 gione si colloca non solo l’opera pittorica, ma anche teorica di Pietro della Francesca che nella sua opera De Prospectiva pingendi (1472-75) riassume in forma organica tutti gli studi prospettici del Rinascimento. Collocato alle origini presso la prestigiosa biblioteca federiciana, il trattato è attualmente custodito nella Biblioteca Palatina di Parma e si suddivide in tre libri: sulla geometria piana, sulla geometria solida e sulla rappresentazione prospettica delle figure complesse. La concezione antropocentrica del primo Rinascimento, teatro e scenario delle azioni umane, trova la propria rappresentazione in quella Città ideale ormai attribuita quasi univocamente a Piero, anzi ne costituisce un prototipo profetico nel raffigurare un ambiente nitido e asettico, quasi fuori del tempo e dello spazio, senza presenze umane, formalmente perfetto nella sua immobilità come se stesse in attesa di animarsi con l’ingresso di protagonisti umani, tanto che qualcuno ha ipotizzato con un certo fondamento che possa trattarsi di un “bozzetto” per la scena di una commedia. L’appassionato di storia Leonardo Bruni ha recentemente pubblicato un volume intitolato Cronistoria del movimento operaio e proletario in Italia (1840-1900), Pensiero e Azione Editore, Senigallia, Eventi 2007, che rappresenta un’agile ma esaustiva analisi storica di oltre sessant’anni della nostra storia nazionale vista secondo l’ottica del movimento operaio che nella seconda metà dell’Ottocento cerca il proprio riscatto politico e la conquista di quei diritti sociali (diritto di voto, partecipazione alla vita pubblica, diritto all’istruzione, sicurezza e tutela del lavoro, tutela della salute, giusto salario, ecc.), contrapponendosi alla borghesia liberale che si limitava a tutelare le libertà e i diritti individuali. Il movimento operaio (gli addetti all’industria nel 1861 rappresentano l’8% dei lavoratori contro il 62% dei contadini, mentre il resto era costituito da artigiani e lavoratori domestici) trova nel periodo 18481870 il proprio punto di riferimento nel partito “mazziniano” e nelle prime Società Operaie di Mutuo Soccorso. Altra formazione presente sulla scena politica è il partito radicale di estrazione garibaldina e soprattutto il movimento anarchico che si afferma in Italia dopo la nascita dell’Internazionale anarchica, esprimendo forti personalità politiche come Bakunin, Cafiero, Costa, Pietro Gori e Malatesta. A partire dal 1875 comincia a formarsi il movimento socialista che fra mille difficoltà arriva alla costituzione della Federazione Socialista Alta Italia e del Partito socialista rivoluzionario guidato da Andrea Costa; nel 1885 nasce il Partito operaio italiano che gode di breve vita perché viene messo fuori legge nel 1889. mentre comincia a delinearsi la formazione di un partito repubblicano e delle prime formazioni cattoliche dopo la pubblicazione nel 1891 dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, sempre nel 1891 alcuni politici italiani partecipano al II Congresso dell’Internazionale socialista e nell’agosto 1892 si svolge a Genova il primo Congresso del partito dei lavoratori italiani, che nell’agosto 1893 prende la denominazione di Partito socia- 39 lista dei lavoratori italiani (Psli), si separa definitivamente dal movimento anarchico ed assume la guida politica del movimento operaio italiano. Eventi Ha avuto luogo a Jesi la prima edizione del Premio Internazionale Valeria Moriconi indetto dalla Fondazione Pergolesi Spontini e organizzato dal “Centro Studi e Attività Teatrali Valeria Morioni”. In un Teatro Pergolesi gremito di spettatori e alla presenza del Sottosegretario ai Beni Culturali on. Giro, il premio Protagonista della scena è stato assegnato alla grande attrice di teatro e del cinema Isabelle Huppert che ha lavorato con registi importanti come Blier, Tavernier, Goretta, Cimino (I cancelli del cielo), Godard, Losey, Marco Ferreri (La storia di Piera), Wajda, i Taviani (Le affinità elettive), Haneke (La pianista), Ozon (Otto donne e un mistero); in particolare è stata l’interprete preferita di Chabrol per il quale ha interpretato Violette Nozière, Un affare di donne, Madame Bovary, Il buio nella mente, Grazie per la cioccolata, Rien va plus. In teatro è stata diretta da grandi registi come Patrice Chereau e Bob Wilson. Nel 2005 ha ricevuto Valeria Moriconi. Le Cento Città, n. 37 un Leone speciale per la carriera alla Mostra del Cinema di Venezia e nel 2009 sarà presidente della Giuria nel Festival di Cannes. Alla Huppert per il Premio “Protagonista della scena” è stata consegnata una scultura appositamente ideata dall’artista marchigiano Eliseo Mattiacci intitolata Frammento di stelle 2009. Nel corso della manifestazione è stato assegnato anche il Premio Futuro della scena ad una giovane personalità emergente del teatro italiano che si sia già distinta per impegno e qualità nell’attività scenica e nella regia. Per l’edizione 2009 è stata premiata Claudia Sorace, nata a Roma nel 1980, già assistente di Gabriele Vacis, la quale ha fondato la compagnia teatrale Muta Imago, dove svolge la sua attività di drammaturga, regista ed attrice, portando avanti un interessante lavoro di ricerca tra uso dello spazio, della luce e dell’immagine per cercare di evocare infiniti mondi possibili: un teatro ancora di nicchia, ma che aspira ad aprirsi ad un pubblico più vasto con nuove proposte nate da un lavoro in continuo movimento. A Claudia Sorace e alla sua compagnia il “Centro Studi e Attività Teatrale Valeria Moriconi” ha affidato un progetto teatrale da realizzare a Jesi. La Galleria di Franca Mancini, Libri ed eventi Claudia Sorace. che rappresenta a Pesaro un prestigioso luogo d’incontro con le arti figurative, ha allestito dal 16 al 28 febbraio 2009 una mostra del fotografo Gianfranco Gorgoni intitolata Ritratti. Di qua e di là dell’Atlantico. Si tratta di una serie di opere fra le più rappresentative nella vasta produzione di questo fotografo abruzzese che per oltre venti anni ha vissuto a New York riuscendo ad essere il testimone di quanto stava accadendo in quella città nel mondo delle arti figurative ad opera di una intera generazione di artisti americani o europei ma operanti per un certo periodo negli Stati Uniti. Egli riusciva in questo modo a coniugare e documentare quali erano gli sviluppi della produzione americana e il nascere della nuova sperimentazione europea. Introdotto nel mondo newyorchese da Leo Castelli, certamente uno dei più importanti galleristi operanti negli Stati Uniti, Gorgoni ha potuto conoscere, frequentare e fotografare grandi artisti come Bob Rauschenberg, Roy Lichtenstein, 40 Jannis Kunellis, Richard Serra e Arnaldo Pomodoro durante il suo soggiorno americano. Nello stesso tempo ha fotografato alcuni dei nostri autori più prestigiosi come Mario Merz, Enzo Cucchi, Eliseo Mattiacci, Mario Schifano. La strada delle fotografia legata alle arti figurative è stata aperta tra il 1950 e il 1970 da Ugo Mulas che ha fotografato tutta una serie di artisti mentre erano all’opera nei loro studi (Duchamp e Fontana, Johans e Warhol, Lichtenstein e Calder, Rauschenberg e Nolan), ma anche la nostra avanguardia di allora (Burri e Consagra, Pistoletto e Ceroli, Alviani e Melotti); la stessa strada percorsa nel 2003 dalla fotografa marchigiana Emanuela Sforza che ha raccontato nel volume Face to face l’avventura creativa di dodici artisti marchigiani tutti colti al lavoro nei loro rispettivi studi. Gianfranco Gorgoni fa un percorso diverso nella rappresentazione del mondo delle arti figurative, perchè ferma la sua attenzione non tanto sull’opera d’arte quanto sulla persona dell’artista come uomo. Per raffigurare soprattutto l’umanità dell’artista attraverso il suo ritratto, Gorgoni ha voluto conoscere questi autori attraverso una serie d’incontri, ha visitato i loro studi e le loro case, ha viaggiato con Isabelle Huppert. Le Cento Città, n. 37 loro in macchina o in nave, in treno o in aereo, ha partecipato alle loro mostre e ha conosciuto le loro famiglie; ha cioè condiviso una parte della loro vita. In questo modo egli è riuscito ha stabilire una sorta di complicità tra la macchina fotografica, l’artista e la sua opera, per cui i ritratti nascono spontanei e nello stesso tempo rituali, in una rappresentazione interiore che si sviluppa all’interno di un contesto dove solitamente l’artista agisce, oppure attraverso una metafora visiva che in qualche modo sintetizza la sua complessa personalità. Vita dell’Associazione a cura di Giovanni Danieli Jesi, 14 dicembre 2008 Assemblea dei Soci Con la presenza di un numero elevato di Soci si è svolta presso l’Hotel Federico II di Jesi, come è tradizione, l’Assemblea invernale dell’Associazione, dedicata principalmente alla presentazione dei risultati ottenuti nel secondo semestre dell’anno, all’approvazione del bilancio finanziario 2008 e alla elezione per il rinnovo del Consiglio di presidenza. Nella sua relazione, densa di appunti, il Presidente Alberto Pellegrino ha ricordato sia l’avanzamento registrato nei progetti strategici, sia i numerosi eventi culturali organizzati con coerenza, successione razionale ed adesione ai fini istituzionali; il livello delle manifestazioni è stato sempre elevato e ha sempre portato ad un dialogo culturale costruttivo. Dal Segretario Generale Giovanni Danieli è stato presentato il movimento dei Soci nel corso del 2008 ed illustrata una integrazione dell’art. 5 dello Statuto, finalizzata ad assicurare all’Associazione la costante partecipazione di cento soci, presenti e motivati. Il testo dell’integrazione, approvato all’unanimità, è il seguente: Il Socio Ordinario, assente per un anno e non in regola con la quota sociale, viene trasferito dalla categoria dei Soci Ordinari a quella dei Corrispondenti. I Soci Corrispondenti, assenti per due anni, perdono la qualifica di Socio. La decadenza non esclude la possibilità del rientro, previa nuova domanda di ammissione. Il Tesoriere Anna Maria Zallocco ha quindi presentato il bilancio finanziario, che è stato approvato all’unanimità. Si è quindi passati all’elezione del Presidente ed alla nomina del Consiglio di Presidenza e del Comitato editoriale. All’unanimità Walter Scotucci è stato eletto presidente per il periodo 1° agosto 2009 - 31 luglio 2010 ed avrà come collaboratori Mario Luni (PesaroUrbino), Mara Silvestrini (Ancona), Giuseppe Oresti (Macerata), Giovanni Martinelli (Ascoli Piceno). 42 Dal Presidente neo eletto sono stati confermati Giovanni Danieli Segretario generale, Anna Maria Zallocco Tesoriere, Mario Canti Direttore Editoriale, Edoardo Danieli Direttore Responsabile della rivista. Mario Canti ha quindi scelto il Comitato editoriale che lo affiancherà nel prossimo anno societario: Gianfranco Polidori (PesaroUrbino), Fabio Brisighelli (Ancona), Giuseppe Oresti (Macerata), Romano Folicaldi (Ascoli Piceno). L’assemblea si è conclusa con la discussione generale, nella quale numerosi Soci sono intervenuti avanzando al nuovo Consiglio proposte di nuove iniziative. Macerata, 30 gennaio 2009 I cento anni del Manifesto futurista L’Associazione ha festeggiato i cento anni del Manifesto futurista a Macerata presso l’Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, con un convegno promosso e organizzato da Evio Hermas Ercoli. In apertura il Prof. Nino Ricci ha Le Cento Città, n. 37 tracciato in una rapida ma limpida sintesi il percorso artistico del Futurismo dalle prime espressioni pittoriche all’aeropittura maceratese degli anni Quaranta. Si è avuto poi l’intervento del prof. Alfredo Luzi, docente di letteratura contemporanea dell’Università di Macerata, che ha messo in evidenza gli aspetti “rivoluzionari” del Manifesto futurista del 1909 nelle sue componenti sociologiche, politiche e letterarie, dal fondatore Filippo Marinetti fino a Palazzeschi. Il prof. Hermas Ercoli ha presentato con un interessante supporto di immagini la figura di Depero, soffermandosi in particolare sulla sua produzione pubblicitaria che tocca il suo vertice nella campagna per il Campari. Dopo la pausa-aperitivo il prof. Alberto Pellegrino ha presentato la fotografia futurista dei Fratelli Bragaglia e il manifesto del Teatro Futurista, mettendo soprattutto in evidenza l’opera di Ruggero Vasari con il suo “teatro delle macchine” e dello scenografo maceratese Ivo Pannaggi. Altissima la percentuale dei Soci presenti. Vita dell’Associazione 43 30 gennaio 2009 a Macerata, Auditorium CARIMA per “I cento anni del Manifesto futurista”. Dopo l’introduzione di Nino Ricci che ha inquadrato, anche sotto il profilo cronologico il movimento futurista in rapporto alla situazione culturale e politica del momento, Alfredo Luzi ha svolto la relazione su “La letteratura Futurista” ed Hermas E.Ercoli e Alberto Pellegrino, a cui si riferiscono le fotografie 1 e 2, rispettivamente quelle sulla complessa figura di Fortunato Depero e su “I manifesti futuristi del teatro e la fotografia”, con particolare attenzione all’opera di Anton Giulio Bragaglia. Nella foto 3, il momento dell’aperitivo con il Campari Soda al centro dell’immagine, nella caratteristica bottiglietta di vetro disegnata da Fortunato Depero. Nella foto 4, la visita alla sezione dei futuristi a Palazzo Ricci, Hevio H.Ercoli si sofferma sull’opera pittorica di Fortunato Depero, mentre (foto 5) Marco Pannaggi commenta una delle opere del padre, Ivo Pannaggi, presenti nella Galleria di Palazzo Ricci. Nelle foto 6 e 7 infine, la riunione conviviale nella trattoria “da Ezio”, dove il calore e la spontaneità di Mirella, l’anima del locale, ha rappresentato il migliore complemento allo spirito di cordialità che anima il sodalizio de Le Cento Città (Testo ed immagini di Romano Folicaldi). Le Cento Città, n. 37 Vita dell’Associazione 44 Monterado, 15 febbraio 2009 Il carnevale de Le Cento Città Ideato e realizzato da Folco Di Santo, con la collaborazione di Anna Pelamatti, nella suggestiva sede del castello di Monterado, Le Cento Città hanno voluto festeggiare il carnevale, con l’intento di inserire un momento ludico nel programma annuale di impegno socio-culturale. Non sono mancati nè il menu tipico nè le danze caratteristiche ed ampio rilievo hanno avuto due brevi relazioni di Alberto Berardi e di Ettore Franca concernenti rispettivamente la storia e la gastronomia del carnevale. Ospiti graditi sono stati il Sindaco di Monterado, Dott. Orlando Rodano e la Dott.ssa Luana Angeloni, Sindaco di Senigallia. Il castello di Monterado. Nelle fotografie 1 e 2 Alberto Berardi, Presidente a livello nazionale di tutte le manifestazioni che vengono indette per Carnevale, ed Ettore Franca che ha grande esperienza e conoscenza dell’evoluzione dei cibi e delle bevande nel corso della storia,in due “siparietti”, rispettivamente sul significato del Carnevale e sulla enogastronomia legata a questo ciclo di festeggiamenti. Le fotografie 3 e 4 mostrano il presidente Alberto Pellegrino con la Consorte Paola e, ospite d’onore, Luana Angeloni, Sindaco di Senigallia (Testo ed immagini di Sandra Casadio Folicaldi e di Franca Zambotto Fedeli). Le Cento Città, n. 37 Controcopertina 45 Marche/Arte di Francesca Acqua Carlo Crivelli Il Beato Gentile Ferretti in estasi (particolare) Londra, National Gallery. Sullo sfondo appare probabilmente la via di accesso alla città di Ancona, oggi via Astagno, lungo la quale era posto il convento di San Francesco “ad alto” (attuale sede del distretto militare), nel quale il Beato Ferretti risiedeva. Il tema del “paesaggio” ha rappresentato in questi anni un interesse costante de Le Cento Città, sia per quanto riguarda le attività di ricerca e approfondimento svolte dall’associazione che quelle di diffusione e divulgazione proprie della rivista. Nello sforzo di individuare metodi e atteggiamenti che favorissero la conservazione del paesaggio “storicizzato” e la qualificazione di quello ancora oggi “in divenire”, si sono proposti strumenti conoscitivi quanto più possibile “oggettivi”, capaci, in quanto tali, di aiutare la crescita di sensibilità e di conoscenze omogenee e condivise all’interno della società regionale. Conseguentemente la individuazione dei possibili elementi componenti del paesaggio: geomorfologci, vegetazionali, agricoli, storici ed economici, ecc., e delle modalità con le quali questi elementi si sono tra loro composti sul territorio e nel tempo, generando ambiti territoriali diversi e differenziati, ha assorbito gran parte della nostra attenzione. Oggi possiamo riscontrare che lo studio e la progettazione del paesaggio sta divenendo anche in Italia una attività disciplinare costante, oggetto di una sempre più sviluppata ricerca scientifica, i cui risultati cominciano a riversarsi anche nell’ambito amministrativo attraverso l’adozione sempre più diffusa di piani paesaggistici redatti a scale diverse: regionali, comprensoriali, comunali. Le Cento Città, n. 37 Controcopertina 46 In relazione a questa comprovata evoluzione della tematica “paesaggio” ci sembra opportuno tornare a riflettere sulle ragioni che ci avevano indotto a ritenere la stessa un argomento fondamentale per una associazione che intendeva interessarsi del significato e del valore del termine “identità” a livello locale; più volte abbiamo affermato che il paesaggio in quanto “testimonianza materiale di civiltà” unica ed irripetibile per ogni sito, pur nella costanza dei fenomeni fisici e storici formativi, conferiva “identità” al sito stesso e, per suo tramite, agli abitanti. La percezione del valore del paesaggio, quello dei luoghi natii come di quelli comunque vissuti, la relazione al proprio essere e alla propria capacità di esprimersi di ogni artista, rappresenta una costante tale che non v’è, a nostro modo di sentire, poeta, romanziere o pittore che non abbia fatto riferimento nelle sue opere alla forma fisica del territorio, al “paesaggio”, anche se talvolta questo possa essere stato “mascherato” o espresso per “contrasto”. Questa considerazione ci sembra essere particolarmente vera per le Marche e particolarmente significativa per quanti siano interessati a recuperare la sua identità, anche storica, come ancoraggio alla realtà Le Cento Città, n. 37 Marche/Arte 47 sopra: Vittore Carpaccio Veduta di Ancona (particolare) Londra, British Museum. a sinistra: Vittore Carpaccio Predica di Santo Stefano (particolare) Parigi, Museo del Louvre. del presente e del territorio nel quale vive, ma soprattutto come fondamento culturale di nuove e diverse realizzazioni economiche e sociali, di nuovi sostenibili assetti anche formali del territorio. Ovviamente la citazione dell’artista viene mediata dalla sua sensibilità, dal periodo storico nel quale vive, dall’ambiente culturale nel quale si trova ad operare, dai particolari condizionamenti sociali od economici ai quali è sottoposto, e così via. Di conseguenza il paesaggio “raccontato” da un artista, sia esso un poeta o un pittore, è “sempre vero e sempre inventato”; pure ci è sembrato che fosse importante utilizzarlo come strumento per comprendere meglio l’ambiente al quale fa riferimento e, forse, amarlo di più. Da queste considerazioni è nata la controcopertina “Marche/Arte che a partire da questo numero proponiamo ai nostri lettori e che contiamo di sviluppare nel tempo, con l’aiuto di esperti e studiosi, ma anche di tutti quei nostri lettori che vorranno fornirci indicazioni e segnalazioni in merito. Le Cento Città, n. 37 Controcopertina 48 Tiziano Vecellio: Noli me tangere (particolare), Londra, National Gallery. A destra sullo sfondo appaiono nitidamente rappresentate la Porta di Capodimonte, attraverso la quale si accedeva in Ancona provenendo dal nord, e la soprastante Cittadella realizzata su progetto di Giuliano da San Gallo; a sinistra il tratto di costa compreso tra Ancona e Senigallia. La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di Banca Marche, Carifano, Fox Petroli, Gruppo Pieralisi, Proel, Banca dell’Adriatico, Santoni, TVS Le Cento Città, n. 37