$QQR 1XPHUR 1RYHPEUH Immigrati, salute e sanità PROVINCIA DI BOLOGNA COMUNE DI BOLOGNA Seconda parte: Punti di vista e offerta di servizi La seconda parte del Dossier è dedicata alla presentazione dei punti di vista di due dei molti soggetti del sistema sanitario: gli operatori e gli immigrati-utenti. Per quanto riguarda gli operatori, l’Osservatorio delle Immigrazioni ha organizzato, nel mese di settembre, quattro focus group suddivisi per ambito di afferenza: servizi territoriali, servizi ospedalieri, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, servizi specifici per utenza immigrata in condizione di irregolarità. Nelle pagine successive sono presentati i risultati delle discussioni di gruppo, riorganizzati per concetti. I temi trattati trasversalmente da più di un focus group sono stati accorpati nel paragrafo “Argomenti trasversali”. Per quanto riguarda gli immigrati-utenti, abbiamo deciso di dare spazio e valorizzare due esperienze di indagine ed intervento, di rilievo locale: l’una a cura, tra gli altri, di Trama di Terre di Imola e l’altra realizzata da Cidis-Alisei. Le opinioni qui descritte non sono necessariamente rappresentative dell’universo di riferimento: vi possono essere, infatti, esperienze e considerazioni che si discostano da quelle presentate nelle prossime pagine. L’indagine non si è, inoltre, posta l’obiettivo di valutare la distribuzione delle posizioni (quale è maggioritaria, quale minoritaria), bensì di rilevarne il maggior numero, al fine di ricostruire, per quanto possibile, l’intero spettro delle interpretazioni soggettive esistenti. 1 - Il punto di vista degli operatori Il punto di vista degli operatori dei servizi sanitari territoriali Il focus group dedicato alla situazione dei servizi territoriali ha visto la partecipazione di 9 operatori sociosanitari di 6 diverse realtà (poliambulatorio, consultorio, pediatria di comunità, SERT, servizio AIDS, handicap adulto), delle quattro Aziende USL della provincia. Le esperienze del SERT e del servizio AIDS, data la loro specificità di intervento e di utenza di immigrati (in parte in condizione di irregolarità), sono invece trattate nei capitoli “Malattie infettive ed immigrati” e “Le tossicodipendenze tra gli immigrati” (vedi Prima parte del Dossier); l’analisi qui condotta si fonda quindi sostan- zialmente solo sui servizi rivolti alle donne ed ai bambini. L’impressione generale è che in quest’ambito molti investimenti siano già stati realizzati, negli anni, per migliorare l’accessibilità, la comunicazione e l’efficacia dei servizi. Vari interventi formativi e di aggiornamento professionale, inserimento diffuso dei mediatori culturali, anche in zone periferiche della provincia, particolare attenzione delle Aziende sanitarie nonché degli Enti locali su questa fascia della popolazione: sono queste alcune delle caratteristiche positive che contraddistin- Sommario 1. Il punto di vista degli operatori I problemi sanitari dal punto di vista dell’immigrato e del paese ospitante 2. Il punto di vista degli utenti Le condizioni di vita e di accesso alla salute delle donne migranti Salute per tutti, tutti in salute Il dialogo transculturale in medicina 3. L’offerta di servizi sanitari per immigrati Il diritto alla salute degli immigrati, Italia ed Emilia-Romagna Il numero verde per i cittadini stranieri dei servizi sanitari bolognesi Raccomandazioni di medicina delle migrazioni Dieci regole per l’assistenza sanitaria agli immigrati I servizi sanitari per immigrati “irregolari” in provincia di Bologna 1 13 13 13 15 18 22 22 24 25 26 28 guono, secondo gli intervistati, l’area maternoinfantile. Non mancano i problemi e le fonti di preoccupazione, anche alla luce dei cambiamenti in corso a livello macro, i cui operatori, con professionalità e creatività, cercano di far fronte nella quotidianità e attraverso progetti di intervento innovativi. È questo il caso, ad esempio, del “Percorso Nascita e donne migranti. Proposta di intervento nel distretto di Casalecchio di Reno”, curato dallo stesso distretto, dalla Commissione Pari Opportunità Mosaico Zona Bazzanese nonché dal Tavolo di Mediazione Culturale sostenuto da tutti i comuni del distretto, in cui si legge: “Riorganizzare l’offerta non può limitarsi al potenziamento di qualche attività o punto di erogazione, con la mera riproduzione di modelli più consoni alle abitudini della nostra popolazione che adatti e flessibili ad un mondo di richieste variegato e complesso. La nostra attenzione non deve puntare solamente alla soluzione di urgenze cliniche o a rispondere discretamente alle contingenze, dovrà invece concentrarsi anche sull’occasione, concreta, di trasformare prima di tutto il nostro modo di essere operatori: noi stessi, prima di tutto, attori di ogni miglioramento, a prescindere cioè da qualsiasi ristrutturazione organizzativa”. $UJRPHQWLGLGLVFXVVLRQH • La salute dei bambini La salute dei minori è il riflesso delle condizioni di vita dell’intero nucleo familiare: essa è ottimale nei casi in cui l’integrazione socioeconomica è soddisfacente mentre desta maggiore preoccupazione nei casi di emarginazione ed indigenza. In tutte le culture la cura della prole è del resto un aspetto importante, come si denota dall’‘attaccamento’ ai servizi territoriali ed ai pediatri di libera scelta che hanno molte famiglie immigrate in condizione di regolarità. Molti rilevano, inoltre, una particolare attenzione nei confronti della copertura vaccinale dei propri figli, “anche perché non possono permettersi di abbandonare l’unico lavoro trovato o di avere problemi di inserimento nella comunità”. • Le difficoltà della prevenzione Quella della prevenzione nella popolazione immigrata – specie in età adulta, non soggetta quindi ai richiami obbligatori – è una questione di difficile soluzione, anche perché diverse sono le variabili che intervengono in questo campo: variabili più propriamente culturali (in molte culture vige soltanto il concetto di cura, del resto anche nella nostra il tema della prevenzione è recente), variabili epidemiologiche e demografiche (patologie acute vs. patologie cronico-invalidanti, patologie dell’infanzia e dell’età adulta vs. patologie dell’anzianità), differenze dei sistemi sanitari (universali vs. a pagamento). Rimane il fatto che le campagne di screening, rivolte ad esempio alle donne, sono attualmente per lo più disattese dagli immigrati; allo stesso tempo, i medici di base e dei servizi territoriali scontano ancora alcuni ritardi nell’esercizio della propria funzione di educazione alla salute, in parte anche a causa dei problemi di lingua. C’è chi peraltro afferma che la sanità italiana sta arretrando su questi aspetti anche rispetto alla popolazione autoctona, le cui condizioni abitative sono comunque in media migliori di quelle degli immigrati. Vincoli strutturali, quali l’instabilità abitativa o il sovraffollamento in case insalubri talvolta situate in zone segregate e particolarmente inquinate, rendono del resto vani i percorsi di promozione della salute attivati; in queste condizioni è anche difficile debellare patologie infettive relativamente semplici da trattare (scabbia, pediculosi… ). Il punto di vista degli operatori delle aziende ospedaliere Anche il focus group con gli operatori ospedalieri, che ha coinvolto 8 persone di cinque Aziende, ha evidenziato una serie di esperienze di interesse. L’eterogeneità dei reparti rappresentati nell’indagine “Più del 10% degli accessi al nostro pronto soccorso è costituito da immigrati”. ANNO 2002, NUMERO 3 (pediatria, medicina d’urgenza, pneumotisiatria, cardiologia pediatrica, ostetricia e medicina) permette, più che nel caso dei servizi territoriali, una visione allargata delle problematiche e delle risorse esisten- Punto nascite di Porretta Terme, nati di nazionalità extracomunitaria sul totale dei nati: • secondo semestre 2000: 28% • anno 2001: 28% • primo semestre 2002: 35% (più di un bambino su tre) PAGINA 2 “Nel nostro reparto di pneumotisiatria il 90% dei pazienti lungodegenti per TBC è extracomunitario”. ti. Differenziati sono infatti i contesti presi a riferimento: quelli ad accesso diretto e quelli filtrati all’entrata, le lungodegenze ed i reparti a dimissione rapida, quelli altamente specialistici e quelli di base, quelli afferenti ad Aziende molto grandi e quelli più periferici. Anche le Aziende ospedaliere in questi anni hanno sostenuto una serie di investimenti, simili per contenuto a quelli descritti in precedenza, ri- “In Emilia-Romagna, ogni 1.000 ricoveri, 17,7 sono di cittadini extracomunitari (media italiana 16,7‰). Il 42% di questi ricoveri sono ad opera di cittadini extracomunitari non residenti (media italiana 30,9%)” (“Rapporto nazionale sui ricoveri ospedalieri degli stranieri in Italia. Dati SDO 1998). spetto all’utenza immigrata. Del resto, ovunque la presenza di pazienti immigrati diviene sempre più visibile. Particolarmente interessati a questi fenomeno sono il pronto soccorso, la pneumotisiatria (TBC), l’ostetricia e la pediatria. Non siamo in possesso di statistiche complessive sul carico di utenza extracomunitaria di ogni servizio, alcuni spunti confermano tuttavia questo scenario. $UJRPHQWLGLGLVFXVVLRQH • Cura e controllo “Dobbiamo stare attenti, perché se insistiamo troppo a chiedere i loro dati anagrafici, anche se sono auto-dichiarati, se ne vanno via, anche in condizione di gravità”, “[…] anche gli infettivi”. Le problematiche conseguenti al doppio ruolo della sanità pubblica, di cura e – di fatto – controllo per l’appunto, sono ben presenti nei racconti di alcuni intervistati. Il problema si pone ovviamente nei casi di registrazione di pazienti in condizione di irregolarità e/o di rischio (v. le prostitute) ed è di difficile soluzione – al contrario delle questioni relative alle dinamiche interpersonali tra operatori e utenti, su cui più numerosi sono gli spazi possibili di incontro. • I ricoveri ‘sociali’ Per far fronte ad evidenti situazioni di disagio o solitudine (condizioni di vita malsane, mancanza di reti sociali di supporto), molti operatori raccontano che i propri reparti hanno reso flessibili in parte i propri criteri di ricovero (accoglienza anche di parenti, tipicamente la madre assieme al bambino malato) e di dimissibilità (allungamento del periodo di ospedalizzazione). Non si tratta di un fenomeno totalmente inedito, visto che qualcuno lo trova similare al trattamento spesso richiesto e accordato, ad esempio, alle persone senza fissa dimora. • La flessibilità ed il bene di tutti L’afflusso di cittadini extracomunitari negli ospedali italiani ha comportato, in certi casi, la messa in crisi di alcune regole e procedure pre-vigenti. Molti ANNO 2002, NUMERO 3 sono i racconti disponibili al riguardo, spesso riguardanti le visite (“Vengono in dieci a trovare un parente ricoverato… ”, “Non rispettano gli orari di visita”), il cibo (“Non mangiava niente, anche se aveva appena partorito”, “Gli portano il cibo da casa”, “Dice che non può mangiare la carne macellata come la macelliamo noi“), le abitudini (v. le preghiere). Le reazioni dell’organizzazione, a sentire gli operatori, sono state di diverso tipo, lungo il continuum che va dalla conferma e difesa della situazione esistente alla riforma vera e propria. Nel primo caso l’impegno assunto è stato però in molti casi quello di esplicitare i motivi alla base dei regolamenti; nel secondo caso l’atteggiamento di alcuni è di avere invece scoperto che il cambiamento risulta positivo per tutti, italiani compresi. “Ho cambiato qualcosa in funzione della loro cultura”, racconta un’operatrice, “una volta ero molto rigida rispetto alla ‘specificità’ dell’ospedale (orari di visita, ad esempio), ma gli immigrati hanno sconvolto le nostre regole… d’altronde fermarli è impossibile, sono abituati ad andare a vivere dentro l’ospedale. In un certo senso ci hanno imposto un cambiamento, ma ho visto che va bene anche per gli italiani. La nostra soluzione è: non orari di visita, ma rispetto di un numero massimo di visitatori per volta. Un po’ di disponibilità nei loro confronti è quindi vincente”. Mediazione (“Facciamo loro portare il cibo da casa, ma lo controlliamo”, “Concordiamo con loro cosa è opportuno che una puerpera si alimenti”, menù personalizzati tradotti in più lingue, ampliamento e diversificazione dell’offerta), occasione di miglioramento, di verifica, di apprendimento, di “svecchiamento e di umanizzazione” come commenta un operatore. Gli immigrati, in conclusione, percepiti non solo come PAGINA 3 fonte di problemi, ma anche come risorsa (“Quella degli immigrati è stata per me un’occasione per capire e migliorare nei confronti di tutti”). • I pazienti italiani, quali difficoltà? Così come nella società generale, anche in ospedale si verificano talvolta situazioni problematiche nei rapporti inter-etnici, che gli operatori si trovano a mediare, riorganizzando per quanto possibile le modalità di servizio per cercare di venire incontro alle richieste dei singoli cittadini. L’esempio più menzionato è quello relativo alla attribuzione dei posti-letto: da un lato vi sono donne italiane che chiedono di essere spostate se in camera si ritrovano con una donna extracomunitaria, dall’altro vi sono talvolta mariti maghrebini che non vogliono la presenza in stanza di altri uomini mentre la propria moglie-compagna sta allattando il neonato. • I pazienti stranieri, quali difficoltà? Alcuni operatori trovano che, rispetto ad un tem- po, al giorno d’oggi sia aumentato il livello di ostilità, prepotenza ed aggressività di alcuni pazienti verso gli operatori – operatrici, in particolare – e l’organizzazione. Danno forse conto di questa evoluzione l’attrito venutosi a creare sui temi dell’immigrazione a livello nazionale nonché le questioni geopolitiche e religiose in quello internazionale. In alcune di queste persone – maschi, specie se in gruppo, sradicati dalla propria comunità e in condizione di deprivazione relativa – c’è la pretesa di scavalcare le regole; in altri vi è invece il timore – infondato – di essere trattati diversamente, di essere discriminati rispetto agli italiani (v. gestione delle liste di attesa); altri ancora reagiscono malamente ai comportamenti ritenuti inopportuni ma spesso dettati da equivoci interculturali degli operatori, creando un clima di tensione ed irrigidimento. Va detto che parte di queste difficoltà viene col tempo risolta, grazie alla disponibilità personale ed allo spirito di adattamento di entrambe le parti; rimane il fatto che la convivenza può divenire faticosa, specie nei reparti di lungodegenza. Il punto di vista dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta A questo focus group hanno partecipato otto medici di medicina generale (i cosiddetti ‘medici di base’ o ‘di famiglia’) e tre pediatri di libera scelta, provenienti da tutte e quattro le Aziende USL della provincia di Bologna. Piuttosto nutrita la rappresentanza dei comuni montani, vista la rilevante quota relativa di immigrati là residenti. I partecipanti hanno particolarmente apprezzato l’iniziativa di indagine, che per molti ha rappresentato la prima occasione per discutere, in gruppo ed assieme ai propri colleghi, delle problematiche in oggetto. La presenza e la composizione etnica degli utenti immigrati – tutti regolari – tra i propri mutuati variano, come atteso, considerevolmente di zona in zona, coerentemente con la distribuzione territoriale delle residenze; in alcuni casi, specie per i pediatri di base, la parte di extracomunitari approssima persino il 18% del totale. A Bologna città si registrano anche casi di ‘scelte in deroga’, persone cioè residenti altrove – solitamente in area montana – ma domiciliate stabilmente in città. “È un’utenza relativamente ‘nuova’ per noi” commenta un medico, “non ci siamo abituati, per cui forse interpretiamo male alcuni loro atteggiamenti e comportamenti”. $UJRPHQWLGLGLVFXVVLRQH • Immigrati e migranti • Miglioramenti In alcuni comuni di area montana i medici di medicina generale rilevano un elevato turnover tra i propri mutuati extracomunitari. Si tratta, per lo più, di persone che si spostano piuttosto di frequente sul territorio, alla ricerca di lavoro e soluzioni abitative più rispondenti alle proprie aspirazioni ed aspettative. Con loro è relativamente difficile consolidare un rapporto interpersonale. Altrove gli immigrati sono invece oramai stanziali, sono solamente aumentati numericamente nel tempo (ricongiungimenti familiari, nuove coppie, nascita di figli). Tutti i pediatri condividono l’idea che il rapporto con la maggior parte dei propri assistiti va migliorando nel tempo. L’integrazione, intesa come apprendimento e rispetto delle procedure (tipico è il caso della necessità di prendere appuntamento per avere la visita), è abbastanza soddisfacente, al punto che molti riconoscono che “si danno molto da fare”, “riescono ad imparare subito e si attengono in modo disciplinato alle regole”, “sono più disinvolti di qualche anno fa”. Alcune difficoltà rimangono, al contrario, rispetto al ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 4 primo orientamento nei servizi, complice anche una non sempre ottimale informazione da parte delle Aziende sanitarie, ed in merito ai trattamenti protratti nel tempo (visite di controllo). L’opinione dei medici di medicina generale è ugualmente positiva, ma più rilevanti paiono le aree di criticità. • Le visite domiciliari Pare che le visite domiciliari siano molto meno frequenti tra gli assistiti immigrati rispetto che tra gli italiani. Anche le visite domiciliari cosiddette ‘improprie’ sono minori. Le ragioni sono di due tipi: o vanno al pronto soccorso – “di sera o la notte così non perdono la giornata di lavoro” – oppure “si presentano in ambulatorio anche con 40 di febbre”. • Che fare con gli irregolari? Talvolta si presentano in ambulatorio persone immigrate in condizione di irregolarità, accompagnati da un amico o un parente in regola. Sarebbe utile avere a disposizione una scheda riassuntiva ed aggiornata dei centri salute specifici per questo tipo di persone, a cui inviarli, anche perché, in alcuni casi, i problemi sono di difficile soluzione amministrativa e burocratica. • Campagne informative È necessario, secondo alcuni, informare capillarmente le famiglie immigrate sul sistema dei servizi sanitari esistente, perché, come si è visto, se le persone sono informate, poi accettano e seguono con attenzione i percorsi previsti. “Il passaparola funziona se le informazioni iniziali sono adeguate ed aggiornate” viene sottolineato. Varie sono le iniziative già realizzate in questo campo nel recente passato, molti medici hanno peraltro prodotto delle brochure per i propri assistiti in tal senso; due idee, emerse dalla discussione di gruppo, per migliorare questo tipo di comunicazione sono: coinvolgere sin dall’inizio del progetto i leader delle comunità etniche e prestare cura al linguaggio utilizzato (talvolta le traduzioni sono imprecise). • Aggiornamento professionale Infine, alcuni richiedono dei corsi di aggiornamento professionale obbligatorio per medici di medicina generale sui temi della medicina delle migrazioni e dei migranti – “Sulla pelle di una persona di colore faccio fatica a capire un eritema”, “… pruriti che non si riescono a definire, verminosi che non appaiono ai laboratori di analisi”. Anche in questo ambito già diverse sono le esperienze di formazione realizzate, di cui andrebbe forse curata con maggiore attenzione la promozione e diffusione sul territorio. Servizi sanitari per immigrati in condizione di irregolarità Tre soggetti hanno partecipato al focus group rivolto ai servizi sanitari per gli immigrati in condizione di irregolarità: Sokos, Ambulatorio Biavati e Salute senza margini. L’assenza di entrambe le realtà imolesi, Caritas di Imola e Azienda USL, consiglia prudenza nel generalizzare i risultati dell’indagine anche per quell’area territoriale. Diverse sono risultate le esperienze coinvolte ed i punti di partenza, in parte differenti le cornici di riferimento valoriale, varie le forme di committenza da parte della sanità pubblica, diversificate anche le soluzioni adottate localmente, dalle singole Aziende sanitarie, per implementare il dettato legislativo che garantisce il diritto alla salute, per quanto possibile, anche agli immigrati irregolari (convenzione con privato sociale vs. assunzione in proprio di questo compito). In comune vi è, da un lato, la consapevolezza di fungere da ‘servizio pubblico’ (da qui l’invito, di alcuni, a sciogliere quella “riverenza ingiustificata” che talvolta permea i rapporti con l’ente pubblico), e, dall’altro, la globalità del proprio impegno, che spesso travalica infatti i confini dell’ambulatorio medico vero e proprio per trovare anche altre forme di intervento sul territorio (accordi con centri di accoglienza, partecipazione a progetti “di frontiera” – v. con le prostitute). $UJRPHQWLGLGLVFXVVLRQH • Caratteristiche dell’utenza Il numero di utenti è costantemente in aumento in tutti i servizi, che hanno dovuto, nel tempo, riorganizzarsi di conseguenza. Il flusso di immigrati è spesso per “ondate” conno- ANNO 2002, NUMERO 3 tate etnicamente, dovute ai flussi migratori contingenti ed al ‘tam-tam’ interno alle singole comunità: se recentemente c’è stato un periodo di forte presenza di pakistani, ora sono invece le donne dell’Europa dell’Est ad essere maggioritarie. Correlato a ciò, si nota un mutamento nella composizione di genere (gli immigrati dall’Est sono in gran parte donne – PAGINA 5 Sokos Anno Ambulatorio Biavati presenze 1999: 1.760 2000: 1.357 (+ 420 visite fuori sede) 2001: 3.733 (+ 570 visite fuori sede) 2002*: 2.314 (+ 465 visite fuori sede) * (al 17 luglio) anno 1999 2000 2001 Moldavia, Romania, Bulgaria, Ucraina), al punto che le donne rappresentano il 36% dell’utenza del 2001 al Biavati e sono già la maggioranza a Sokos. Relativamente pochi i minori e gli anziani: i primi in quanto sono tutelati in altro modo (“Hanno diritto ad essere assistiti dalla clinica pediatrica”), i secondi per le peculiarità demografiche della popolazione immigrata attuale (sostanzialmente giovane e giovane-adulta) e perché “gli anziani tornano al loro paese”. Va inoltre citata la presenza di utenti nomadi e di persone, residenti nei paesi di origine, in visita ai parenti in Italia (“turismo sanitario”). • Soglie di ingresso Solo i servizi di più recente costituzione rilevano la presenza, tuttora, di barriere di accesso – “Quelli che afferiscono al nostro servizio sono ad un livello di integrazione superiore agli altri immigrati clandestini. Conoscono ad esempio qualcuno di cui si fidano, le donne spesso sono accompagnate dalle anziane badate italiane o da altre pazienti. Abbiamo ancora qualche problema a raggiungere chi non ha nessuno”. Nelle realtà più consolidate e conosciute (Biavati e Sokos, in primis), questo problema, secondo gli intervistati, è invece venuto meno: non c’è paura né diffidenza, “sanno che non controlliamo i documenti”, “non hanno timore a mostrarci il passaporto se non sappiamo come scrivere il loro nome”. La conclusione è che più informazione e più integrazione agevolano la presenza degli stranieri nei servizi. • Le richieste Relativamente poco frequenti sono le richieste di trattamenti preventivi, come ad esempio i controlli ecografici, effettuati spesso per la prima volta malgrado la gestazione abbia già superato i 3-4 mesi – in questo caso, racconta un operatore, “la nostra scelta è di rendere possibile l’‘aggancio’ ai consultori per la prosecuzione delle gravidanze”. All’opposto, solitamente le persone “si rivolgono a noi già in condizioni drammatiche”, per lo più rispetto alle seguenti cinque aree di intervento: a) problemi ginecologici, gravidanze, IVG – particolarmente problematici con le – molte – assistite prostitute; ANNO 2002, NUMERO 3 totale visite 7.532 8.883 8.692 totale di cui nuovi % nuovi pazienti pazienti sul tot 2.360 1.662 70.4 2.542 1.792 70.4 2.658 1.803 67.8 b) disturbi psicosomatici, che sono in netto aumento, fino a delle vere e proprie forme di malattia mentale – non si sa se contratta in Italia o già presente, magari solo allo stadio latente, nel paese di origine; c) patologie connesse con il lavoro (“Donne che devono sollevare pazienti ammalati”, “giovani che si trovano per la prima volta nella vita a dover fare i muratori, un lavoro estremamente pesante rispetto al quale non hanno alcuna preparazione”); d) patologie connesse con il cambiamento di abitudini (v. clima, cibo) o con il tentativo, non sempre riuscito, di mantenere le proprie usanze (“I filippini, ad esempio, cercano di non abbandonare la propria cucina, ma qui non trovano gli ingredienti adeguati; mangiano cose che paiono simili alle loro, ma che di fatto sono molto diverse… usano ad esempio moltissime spezie”); e) affezioni legate alla vita di strada o all’estrema difficoltà abitativa. Per venire incontro a questa mole di richieste, i servizi interpellati offrono sempre e gratuitamente personale di medicina di base e, per quanto possibile, farmaci di fascia C, visite specialistiche in sede o altrove (vi è una rete di medici disponibili ad accogliere, presso i propri ambulatori, queste persone in difficoltà). • Periodo di ‘latenza’ e valore della tessera ‘STP’ (Straniero Temporaneamente Presente) La ‘latenza’ viene definita, in questo contesto, come l’arco di tempo che intercorre tra l’arrivo in Italia ed il primo contatto con il servizio sanitario. Le realtà maggiormente consolidate affermano, in base ai dati a propria disposizione, che tale periodo è in molti casi relativamente breve, “solo qualche giorno”, al punto che i servizi sanitari diventano, per gli irregolari, “il primo ufficio riconosciuto a cui rivolgersi una volta arrivati nel nostro Paese”. Ciò non significa che le persone migranti hanno un profilo di salute già notevolmente compromesso alla partenza (la situazione è invece ben diversa, come si è detto discutendo di ‘effetto migrante sano’). La spiegazione, secondo gli intervistati, va invece PAGINA 6 cercata altrove, in elementi extra-sanitari. Innanzitutto nel fatto che queste realtà spesso rappresentano “uno dei pochi ambienti in cui si è accolti con rispetto. Siamo dalla loro parte, cerchiamo di essere di aiuto, non siamo degli impiegati dietro uno sportello”. In secondo luogo, per il valore che la tessera ‘STP’, rilasciata indirettamente da questi servizi, ha in sé per queste persone: spesso in mancanza di altri riscontri, essa infatti funge di fatto da documento di identità nonché da certificato di presenza in Italia. La tessera ‘STP’ viene dunque percepita come un documento assolutamente prezioso, da conservare con estrema cura, che crea ansia alla sua scadenza – “La tessera ‘STP’ non è rinnovata automaticamente, il rinnovo è invece legato alla richiesta di una visita specialistica o alla somministrazione di medicinali... Alcuni vengono da noi e dicono di stare male pur di averla di nuovo”. • Scenari futuri È difficile prevedere il prossimo futuro, interconnesso com’è ad imponderabili equilibri politici internazionali, aree di crisi locali e processi di globalizzazione. È comunque probabile che l’afflusso continui ad essere caratterizzato per ‘ondate’ successive. Parte degli irregolari, inoltre, intende rimanere in Italia solo per un periodo limitato di tempo: c’è chi è di passaggio in direzione di altre destinazioni e chi invece ha in progetto di tornare al proprio paese di origine dopo aver raccolto sufficienti risorse economiche (v. parte delle badanti). Molti immigrati vanno peraltro stanzializzandosi in un contesto sempre più “normalmente multietnico”: è probabile che le nuove generazioni si integrino meglio delle attuali e che quindi il profilo prevalente di salute diventi sovrapponibile a quello degli italiani. L’immigrazione, comunque, sarà sempre di più una componente strutturale della nostra società, nonostante alcuni tentativi di bloccare gli afflussi. C’è chi si augura, a questo riguardo, che in futuro non esistano più servizi sanitari specifici per gli immigrati irregolari, ma che i percorsi di salute siano uguali per tutti. Un altro auspicio è che al volontariato vengano garantite risorse (spazi più adeguati e gestibili con maggiore autonomia, fondi non vincolati annualmente) tali da potersi strutturare meglio e secondo una logica di più lungo termine, così da non dover contare solo sulla disponibilità personale dei propri soci e poter di conseguenza interagire con il pubblico in un contesto maggiormente equilibrato (“C’è il rischio che le Aziende USL abbiano convenienza a delegare in toto al privato sociale questa importante ma difficile funzione pubblica”). Argomenti trasversali In questo paragrafo presentiamo le questioni emerse, in modo trasversale, in più di un focus group con gli operatori sociosanitari bolognesi. Tra sanitario e sociale Guadagnata la loro fiducia, molti operatori sociosanitari si ritrovano spesso ad interagire con i propri assistiti immigrati su tematiche che varcano i confini di ciò che è prettamente sanitario. “Dopo un po’ ti raccontano la loro vita”, racconta infatti un medico, “si sfogano anche… le loro tristezze, la voglia di tornare a casa... le loro difficoltà, fuori da qui, dall’ambulatorio… alla fine sai tutta la loro vita”. È anche in questo modo che gli operatori si trovano coinvolti nella complessità delle vite altrui, ricercando soluzioni possibili a sintomi sanitari che hanno però quasi sempre origine in problemi e carenze di altra natura (casa e lavoro soprattutto). Aldilà di questi aspetti micro, la ‘globalità degli interventi’ è un approccio esplicitamente ricercato da tutti gli operatori, motivati da quella che qualcuno definisce la “responsabilità sociale della medicina” nonché dalla consapevolezza che i trattamenti sanitari risultano di per sé inutili se l’ambiente di vita ANNO 2002, NUMERO 3 rimane deleterio (“Che senso ha guarire qualcuno dalla polmonite se questo, quando viene dimesso, torna a vivere in roulotte?”, “Anche una camera riscaldata è terapia”, “Noi mettiamo solo delle ‘toppe’ e molte volte non sono sufficienti”, “Se ad un immigrati dai una casa ed un lavoro, si ammala molto di meno e si paga le medicine quando è malato… viene a costare meno alla società e rende molto di più”). La qualità dell’integrazione socioeconomica è del resto il principale determinante dello stato di salute, così come lo è la continuità assistenziale. Il collegamento tra sociale e sanitario è dunque per tutti, ma ancor di più per le persone – quali gli immigrati – in condizione di difficoltà, una risorsa strategica. È con queste convinzioni e con la pressione imposta dall’urgenza di tipo sanitario (“L’ospedale impatta con realtà sociali drammatiche, che spesso non sono visibili nella società normale… la violenza fami- PAGINA 7 liare, ad esempio […] Ci sono situazioni che non hanno lettura, prima ancora di non avere risposta”) che molti sanitari raccontano di cercare, in prima persona, dei contatti con il territorio, nelle sue diverse componenti (Enti locali, servizi sociali, privato sociale, comunità etniche, medici di medicina generale, scuola… ). I risultati ottenuti non vengono però ritenuti soddisfacenti, con particolare riguardo al problema dell’alloggio. Inesperienza, lentezze buro- cratiche e mancanza di flessibilità, centralizzazione dei servizi alla persona, mancanza di risorse: sono tutte possibili ragioni di quello che in molti definiscono un fallimento. Comunicare tra servizi rimane dunque un obiettivo condiviso. L’auspicio di un operatore è che anche questo Dossier contribuisca ad avvicinare le diverse risorse, informando gli Enti locali sulla realtà della salute degli immigrati anche irregolari. Lingua, cultura e sistema sanitario Gli intervistati non riferiscono rilevanti problemi di lingua nel rapporto con i propri utenti. Solo con gli immigrati cinesi, che paiono più restii ad imparare e “che a volte non vogliono capire”, o con alcune donne arabe la comunicazione incontra talvolta dei veri e propri blocchi. Adattamenti ed accorgimenti di vario tipo, sia da parte del medico che da parte dell’assistito (v. essere accompagnato da un parente più abile nell’italiano, spesso il figlio), permettono di interagire ad un livello ritenuto apprezzabile (di “salute immediata”). Più problematiche rimangono invece le situazioni in cui è necessario orientare ai servizi, ottenere il consenso informato su un certo trattamento oppure quando viene richiesto di leggere della documentazione sanitaria proveniente dal paese di origine. Più che di interpretariato, comunque, sarebbero necessari degli interventi di mediazione culturale, atti anche a comprendere correttamente alcuni comportamenti che, percepiti come ‘inopportuni’, ‘disturbanti’, ‘opportunistici’ o irrazionali (v. scarso accesso alle opportunità di prevenzione, sovrastima delle urgenze e della gravità degli eventi, attesa di risoluzione immediata del proprio mal-essere, “scarsa tolleran- za della malattia”, “qui è tutto pronto e gratis, là ne hanno poco e a pagamento: è una pacchia!”), sono in buona parte interpretabili alla luce delle specificità nel sistema di idee (concezione di salute e malattia) e delle differenze nel sistema sanitario del paese di origine rispetto a quello italiano. “Nel loro paese — conferma un medico — non c’è il medico di base di riferimento. Qui, quando sanno che possono accedervi, lo cominciano ad utilizzare”, ed altri rilanciano: “In Africa non c’è sistema sanitario, si va dal medico solo quando si sta molto male; in genere il medico viene pagato, fa, fa subito e fa in prima persona tutto quello che c’è da fare”, “Nei paesi del Sud del mondo i farmaci sono solitamente a pagamento”, “Gli immigrati europei dell’Est hanno un atteggiamento nei miei confronti molto diverso dai maghrebini, sembrano più consapevoli, sanno cosa chiedere ai servizi sanitari”. Per migliorare la qualità della relazione terapeutica è quindi necessaria una acculturazione all’altro, sia del medico e degli operatori sociosanitari nei confronti dell’immigrato e del suo mondo, che dell’ immigrato nei confronti del medico e dei paramedici e del loro mondo. Eccesso di richieste? Le riflessioni di cui sopra rispondono in parte a questo interrogativo, che mette peraltro sullo stesso piano, come raccontano alcuni, gli immigrati e parte della popolazione anziana italiana (“Quelli che sono sempre dal medico”). Per valutare adeguatamente questi comportamenti (“Vengono dal medico anche solo per un eritema”), gli intervistati propongono comunque anche un’altra serie di spiegazioni possibili: il timore di trovarsi in condizione di debolezza in un paese straniero, “l’assunzione dell’ansia generalizzata tra gli italiani per la propria salute”, l’innalzamento — viste le risorse disponibili — delle aspettative di benessere (“Cercano di stare meglio di come stanno, ma la perfezione non ce l’ha nessuno, vogliono una cosa ANNO 2002, NUMERO 3 che non esiste”), l’esplicitarsi della domanda di sanità anche rispetto ad una serie di patologie che nel paese di origine non vengono solitamente curate (v. il caso dell’ ipertensione). “Arrivano da noi persone con delle ulcere mai trattate, oppure trattate in forma blanda, non sanitaria. È probabile che i disturbi fossero presenti anche nel loro paese di origine, ma solo qui hanno deciso di rivolgersi ad un medico […] Emergono problemi di lunga data”. Quanto ai possibili abusi, spetta comunque al medico, come commenta qualcuno, la scelta di prescrivere o meno i trattamenti. A questo riguardo, va poi considerata la capacità di spesa delle persone: piuttosto numerosi sono infatti gli assistiti che riferiscono di non essere in grado di pagare i medicinali prescritti. PAGINA 8 La nuova legge sull’immigrazione Il tema della nuova legge nazionale sull’immigrazione, approvata di recente, è stato toccato in tutti i gruppi. La discussione si è incentrata, in alcuni casi, sul suo impatto, che in molti ritengono di difficile previsione: emersione e regolarizzazione delle situazioni di clandestinità esistenti oppure incremento dell’irregolarità? Aldilà di ciò, si registra soprattutto timore, legato all’incertezza, rispetto agli effetti di questa normativa sui servizi sanitari per gli immigrati, specie per quelli in condizione di irregolarità (“Saranno tutti rimpatriati? Vengono da noi una sera e li caricano tutti su una camionetta? Siamo appesi ad un filo con questa legge e siamo anche molto preoccupati… ”). Qualcuno chiede della formazione professionale ad hoc, anche per sapere come fare con le strutture di accoglienza (“La magistratura ha inquisito i marinai siciliani che hanno prestato soccorso in mare ai clandestini… e noi, cosa dobbiamo fare, quali criteri seguire?”). Sanità, politica e burocrazia Sollecitati a ripensare agli ultimi anni di attività con gli utenti immigrati e ad esprimere un giudizio complessivo, quasi tutti gli operatori si sono dichiarati sostanzialmente soddisfatti. Nonostante le risorse istituzionali non siano sempre state adeguate l’esperienza è maturata (“Ci sono oramai operatori ‘specializzati’, non hanno neanche più bisogno di un mediatore”), nel momento del bisogno sono spesso “venute fuori le migliori risorse personali”, gli operatori hanno creduto nella valenza del proprio servizio e c’è effettivamente stata accoglienza e presa in carico senza alcuna discriminazione (“indipendentemente dall’etnia e dal possesso o meno del permesso di soggiorno”), vi è ora consapevolezza in merito ai problemi sul tappeto nonché sulla necessità di risolverli, senza demagogia. In alcuni casi si è anche riusciti a cambiare le strutture, adattandole al nuovo contesto. Il limite che, secondo alcuni, ora si pone in tutta evidenza è la distanza creatasi con la politica e l’alta dirigenza, che vengono percepite in ritardo rispetto alla velocità di maturazione della cultura dei servizi di base: meno disponibili, meno visibilmente impegnate su questi temi, “disinteressate”, impegnate per lo più sui temi del solo amministrare – al punto che “la mano destra [i responsabili] finge di non sapere o non sa quello che fa la mano sinistra [gli operatori]”. “Quello che si è fatto”, commenta qualcuno, accentuando in parte il tono della discussione, “lo si è fatto loro malgrado”. Ai legislatori qualcuno poi suggerisce di valutare con maggiore attenzione l’influenza a largo raggio delle proprie decisioni, con particolare attenzione alla garanzia di continuità di trattamento (“Per un breve periodo in EmiliaRomagna gli anticoncezionali sono stati a pagamento. Alcune donne immigrate, impossibilitate a pa- ANNO 2002, NUMERO 3 garli, ne avevano sospeso l’assunzione”). Anche all’amministrazione è richiesto un salto di qualità. A questo riguardo, molti sono i riferimenti raccolti in merito alla tessera sanitaria la cui validità è strettamente vincolata alla scadenza del permesso di soggiorno (contrariamente a quanto avviene in altri paesi, secondo gli intervistati): a) al rinnovo della tessera è necessario anche reiscriversi al medico di medicina generale. Il problema si pone quando questi “è un ‘massimale’ e si rischia di ‘rimanere fuori’” (N.B.: ‘massimale’ è il medico di base che ha raggiunto il numero massimo di assistiti); b) c’è spesso una sorta di ‘limbo’ (una ventina di giorni) tra la scadenza del permesso di soggiorno ed il suo rinnovo, a causa di ritardi amministrativi. “Il primo gennaio sono formalmente tutti clandestini, formalmente impossibilitati ad utilizzare i servizi sanitari”. Che fare se proprio in questo periodo devono accedere alla sanità? c) più in generale: che fare con i “bambini immigrati che perdono il diritto all’assistenza sanitaria per il fatto che, avendo il padre perso momentaneamente il lavoro e non riuscendo quindi a rinnovare il proprio permesso di soggiorno, non riescono ad essere formalmente iscritti in tale documento?” La soluzione di questi casi ‘problematici’ dal punto di vita amministrativo pone in seria difficoltà i servizi, il cui carico di lavoro aumenta a dismisura (“Basta avere due casi di irregolari con acuzie che il carico di lavoro scoppia”, “… la maggior parte del tempo viene speso per trovare la via burocratica di soluzione del problema”). PAGINA 9 Quale diversità? Agli operatori sanitari è richiesto, se intendono utilizzare una relazione di aiuto efficace, di essere sensibili alle diverse culture di appartenenza dei propri pazienti: diverse sono le idee sul corpo, ad esempio, oppure sulla gravidanza (“Per noi è un passo in avanti non medicalizzare il parto, per le donne maghrebine è invece il contrario”) e l’IVG. Piuttosto che di ‘utenza immigrata’, suggerisce qualcuno, è in ogni caso più opportuno parlare di ‘utenti immigrati’, visto che “vi sono delle differenze molto nette anche all’interno della popolazione extracomunitaria” (di ambiente di origine, di cultura, di religione, di genere, di generazione, di ceto sociale, di ondata migratoria… ). Non bisogna “’etnicizzare’ troppo”, suggerisce qualcuno, “anche perché gli atteggiamenti sono individuali”. È peraltro utile esercitarsi a trovare somiglianze oltre che differenze con la nostra cultura (“I Nordafricani sono in fin dei conti molto più simili a noi di quanto si pensi, il Mediterraneo ci unisce”), realizzando peraltro che la nostra stessa comunità è differenziata al proprio interno – “Tutti parlano dei veli delle donne arabe… ma le nostre anziane di un tempo erano uguali”, “Gli immigrati di adesso sono i meridionali di 30 anni fa”. Il pronto soccorso Più volte nel corso delle discussioni di gruppo è emerso il tema del pronto soccorso. I servizi sanitari per immigrati in condizione di irregolarità criticano negli operatori di questo servizio l’atteggiamento talvolta discriminatorio adottato nei confronti dei propri assistiti, anche di quelli inviati in ospedale perché troppo gravi per essere trattati ambulatorialmente (”Dimettono e rimandano indietro persone in condizioni gravissime”). Il problema non è del resto specifico né a questo tipo di utenza (“Ci sono somiglianze con il trattamento ospedaliero riservato qualche volta alle persone tossicodipendenti”) né a questo particolare servizio sanitario (“La discriminazione contro gli immigrati non è solo in pronto soccorso, può essere ovunque, però in pronto soccorso emerge maggiormente perché lì ne passano di più, si concentrano. Va poi detto che esistono anche dei medici meravigliosi”). Un altro argomento largamente dibattuto è stato quello relativo ai c.d. ‘accessi impropri’ degli immigrati al pronto soccorso ospedaliero, che è per molti aspetti speculare ad un altro tema di rilievo: l’efficacia della funzione di ‘filtro’ dei servizi territoriali. Alcune analisi disponibili in letteratura indicano che l’accesso improprio degli immigrati a questo servizio è tendenzialmente superiore a quello degli italiani (v. box sull’indagine realizzata ad hoc, su questi temi, a Reggio Emilia). Azienda sanitaria di Bologna città, dati relativi al 1998: % di accessi al Pronto Soccorso (esclusi ricoveri pediatrici e ginecologici) da parte di extracomunitari: 17,5% (primo semestre 1999: 16,9%) Azienda ospedaliera di Reggio Emilia, dati sugli accessi al proprio pronto soccorso nel 2000: • • Accessi totali al PS: 64.675 % di accessi al PS da parte di extracomunitari: 9,6% ‘Triage’: attribuzione di priorità di intervento: bianco: bassa priorità (ovvero: accesso ‘improprio’), rosso: altissima priorità codici bianchi codici verdi codici gialli codici rossi extracomunitari 17,8% extracomunitari 77,6% extracomunitari 4,1% extracomunitari 0,5% ANNO 2002, NUMERO 3 media totale 10,7% media totale 77,4 % media totale 10,1% media totale 1,8% Gli intervistati non sono a conoscenza di dati dettagliati sugli accessi impropri al pronto soccorso in provincia di Bologna, che andrebbero in ogni modo raccolti ed analizzati con avvedutezza, includendo almeno le variabili della fascia d’età e della condizione giuridica degli immigrati: per quelli in condizione di irregolarità, infatti, il pronto soccorso rappresenta molto spesso l’unica soluzione possibile ai propri problemi sanitari (aldilà degli ambulatori medici di cui al paragrafo precedente). PAGINA 10 Con queste premesse, e con l’annotazione che il più delle volte i medici territoriali e di medicina generale non sono in grado di conoscere la frequenza e le modalità di accesso al pronto soccorso da parte dei propri assistiti, la discussione di gruppo ha tratteggiato alcune possibili cause a questo fenomeno. L’impressione che se ne trae è che l’accesso improprio al pronto soccorso, quando c’è, sia di fatto l’effetto ultimo di una serie di cause interagenti tra di loro – non solo spiegabili in termini di ‘astuzie in mala-fede’ (“passare davanti nelle liste d’attesa”). Gli interventi migliorativi dovrebbero quindi prendere a riferimento più campi contemporaneamente (dimensionamento e risorse, promozione della salute e informazione sul sistema italiano, forme di incentivazione e disincentivazione… ): a) il costo della prestazione. Il fatto che il pronto soccorso, fino a poco tempo fa, fosse completamente gratuito ha sicuramente incoraggiato il suo utilizzo, in una popolazione peraltro mediamente più povera di quella italiana. “Il ticket”, quindi, pare “l’unico deterrente”. Lo stesso fattore spiegherebbe, almeno in parte, l’utilizzo più frequente, una volta avviato, anche del medico di medicina generale (“Io conosco tutti i miei pazienti extracomunitari. Ci sono invece italiani che non ho mai visto. Forse però gli immigrati si iscrivono proprio nel momento del bisogno… ”); b) la carenza di informazioni e di altri servizi. Secondo alcuni, gli immigrati, trovando maggiori difficoltà ad orientarsi nel sistema sanitario, in un contesto peraltro che vede la riduzione dei servizi periferici (“La riduzione dei punti nascita va di pari passo con l’aumento dei parti in pronto soccorso”, secondo un’ostetrica) e la riorganizzazione territoriale dell’offerta, finiscono per rivolgersi al pronto soccorso, che non prevede tra l’altro regole di accesso né richiede competenze burocratiche di rilievo (l’impegnativa del medico, il CUP, l’appuntamento… ); c) garanzia universale di trattamento (“L’immigrato sa che in pronto soccorso viene comunque trattato, anche se non adeguatamente”, “almeno d’urgenza mi faranno tutto sicuramente”); d) le differenze rispetto alla sanità del paese di origine (“In Africa non ci sono servizi sanitari intermedi”); e) orari e logistica. L’apertura dei servizi territoriali è talvolta incompatibile con gli orari vincolati delle famiglie immigrate, in cui solitamente solo il marito lavora ed è necessario attendere il suo rientro per recarsi, con l’unica macchina disponibile, al punto salute (“Continua di sera e nel week-end anche se in misura minore di un tempo, l’accesso indiscriminato al pronto soccorso ostetrico-ginecologico, anche solo per fare la diagnosi di gravidanza […] Le donne maghrebine non hanno la patente e quindi devono aspettare il marito, la sera; oppure vengono in ambulanza”). Il problema dei trasporti è considerevole, specie se si tengono a mente le zone di insediamento – periferico, di frequente in area montana – delle famiglie extracomunitarie in provincia di Bologna. Un’operatrice commenta a questo riguardo: “È necessario risolvere questo problema di accesso ai servizi, tenendo anche a mente le esigenze degli operatori. È necessario andare oltre l’idea tradizionale che identifica il paziente, sia italiano che immigrato, come un lavoratore dipendente con lavoro fisso. È necessario riorganizzare i servizi, per tutti”; f) diversità di trattamento (“In pronto soccorso hanno spesso un approccio aggressivo sul sintomo, danno l’antidolorifico… e la puntura fa felici! Noi medici di base, invece, li ‘curiamo’, ed i tempi sono più lunghi”). La ‘compliance’ (adesione al trattamento) Il problema della compliance è indubbiamente un problema comune: casi di non adesione completa al trattamento, specie se prolungato nel tempo, si verificano in tutta la popolazione, autoctona ed extracomunitaria. Dal racconto degli intervistati emerge che in alcuni pazienti immigrati vi sono comunque delle specificità di rilievo. “Nel nostro reparto ‘perdiamo’ parte dei nostri pazienti extracomunitari che dovrebbero venire a fare i controlli periodici dopo il ricovero vero e proprio”, conferma una capo-sala. Diverse le ragioni addotte al riguardo: mancata integrazione con la sanità di base, costi (“Alcuni cessano di assu- ANNO 2002, NUMERO 3 mere farmaci perché devono pagarli”, “abbandonano, anche di nascosto, il reparto perché, in quanto irregolari, dovrebbero pagare”), difficoltà a comprendere a pieno il concetto di ‘patologia cronica’ e le caratteristiche della terapia conseguente (aspetto culturale). Le soluzioni adottate, in sede locale, sono altrettanto differenziate: vi sono, ad esempio, servizi che chiamano a casa i propri pazienti “per sapere come va e per sollecitarli”, altri che cercano di rendere i propri orari maggiormente flessibili; l’intervento del mediatore culturale pare essere particolarmente utile anche in questi casi. PAGINA 11 Questioni di genere Ripetutamente i focus group hanno trattato del rapporto tra il genere dell’operatore sociosanitario ed il genere del paziente. Mentre in alcuni servizi pare non esistano rilevanti questioni di sorta (“Ci sono, più semplicemente, delle preferenze: alcuni assistiti preferiscono andare dal medico, maschio o femmina che sia, che li segue fin dall’inizio e che li conosce da più tempo”), in quelli più specificamente rivolti alle donne si sono verificati, più o meno spesso, dei problemi. Il caso tipico è quello delle visite ginecologiche e dell’assistenza al parto (“Le donne, specie quelle di cultura araba, chiedono l’operatrice donna”, “i mariti non vogliono il ginecologo maschio”), rispetto al quale, del resto, il comportamento di parte delle immigrate è sostanzialmente simile a quello di alcune italiane. A fronte di alcuni casi tuttora ‘limite’(“Aspettano un anno per tornare a casa e farsi visitare là”), la situazione complessiva pare significativamente migliorata rispetto ad alcuni anni fa, come riportano gli intervistati, grazie alla disponibilità degli operatori e dei pazienti, al conoscersi reciprocamente (“Con i Testimoni di Geova, che conosciamo da tempo, non ci sono più grossi problemi”), ai processi di integrazione in atto (“Le donne sono più emancipate”), agli adattamenti realizzati nell’organizzazione (“Prima della visita, durante l’accoglienza, viene spiegato tutto”) e nei turni del personale (“Che ci sia sempre anche un’infermiera”) in base all’esperienza, alla flessibilità (“Mariti presenti durante la visita”). Molto si può ancora fare in questo settore, al fine di rispettare tutti, verificando ad esempio la validità e la tenuta delle soluzioni fatte proprie (“Abbiamo cercato di risolvere i problemi in modo creativo, per quanto possibile, anche se spesso siamo stati sostenuti solo dal buon senso, e non da delle conoscenze vere e proprie… qualche volta siamo stati dei ‘pasticcioni’”). Più complessa e di difficile soluzione è un’altra serie di problemi che attiene, più da vicino, ai pregiudizi di genere. Gli esempi citati sono due: la “scarsa considerazione di alcuni pazienti immigrati, specie di cultura araba, nei confronti delle operatrici sanitarie” e, nel mondo della scuola, il disconoscimento di autorevolezza alle insegnanti donne da parte di alcuni giovani immigrati di seconda generazione. Quest’ultimo punto rileva la contrapposizione in atto tra due modelli di riferimento: quello della società di accoglienza vs. quello impostato dalla propria famiglia e dal padre. L’esperienza dei paesi di più lunga storia immigratoria insegna che è opportuno, in prospettiva, considerare attentamente ed intervenire su questi aspetti, in quanto da essi possono poi svilupparsi difficoltà esistenziali di maggiore gravità se non persino vere e proprie forme di integrazione in contesti della devianza. Socializzare le esperienze Un invito, infine, ad organizzare altre iniziative come questa indagine dell’Osservatorio delle Immigrazioni, al fine di mettere in rete le esperienze, informare i vari attori della sanità su quanto avviene negli altri ambiti di intervento e rendere così possibile la condivisione delle conoscenze e delle abilità, in un sistema che fatica, in molte occasioni, a comunicare al proprio interno. Ringraziamo tutti i partecipanti ai focus group per la collaborazione: Salvatore Giancane, Elda Caldari, Maria Rosa Brunini, Paola Matteini, Paola Lenzi, Gavina Piscitello, Marco Minarelli, Claudio Veronesi, Anna Morena Mesini, Patrizia Lanzoni, Tiziana Zucchi, Vianella Gnan, Teresa Alberti, Marinella Muru, Barbara Cacciari, Patrizia Preti, Giusi Dallolio, Licia Gaggioli, Caterina Alonge, Arnaldo Vitelli, Munira Mohamed Alamin, Alberto Palazzi Trivelli, Claudio Servadei, Corrado Cobianchi, Antonella Errico, Enrico Lonardo, Stefano Alboresi, Marcello Zanna, Stefano Mellini, Natalia Ciccarello, Noemi Tommasini. ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 12 I problemi sanitari dal punto di vista dell’immigrato e del paese ospitante Riportiamo il tentativo, realizzato per altro alcuni anni fa, di rappresentare le percezioni ed i timori esistenti tra gli immigrati e nella società di accoglienza sul tema oggetto del Dossier. Il punto di vista dell’immigrato • • • Il punto di vista del paese ospitante Una quotidiana difficoltà di integrazione • Il paese ospitante lamenta un peso supplecon la comunità ospitante può produrre mentare sulle strutture sanitarie e sociali conseguenze anche gravi sull’equilibrio (ospedali, ambulatori territoriali, asili per psicofisico dell’immigrato e provocare l’infanzia, scuole, etc.), che devono essere l’insorgenza di vere e proprie malattie psiritarate sul nuovo carico di utenza e che, in cosomatiche e/o comportamenti devianti. qualche modo, sono tenute a fornire anche assistenza ai clandestini, agli irregolari e a immigrati disoccupati, divenuti indigenti. Le condizioni igienico-sanitarie degli ambienti in cui gli immigrati vivono e lavora- • Si paventa un aumento del rischio di conno sono perlopiù scarse; ciò può essere trarre malattie contagiose, soprattutto TBC e facilmente causa di trasmissione di malatmalattie a trasmissione sessuale, ma anche tie provocate dalla promiscuità, dai bassi parassitosi intestinali, malattie dermatologilivelli di igiene e di conforto delle abitache, etc.; d’altro canto è possibile anche prezioni e talvolta dei luoghi di lavoro. vedere l’introduzione di nuove patologie, poco note o sconosciute ai medici italiani. D’altro canto le difficoltà di accesso ed • Le notevoli distanze culturali che talvolta utilizzo delle strutture sanitarie pubbliche separano medici e pazienti possono rendere e di volontariato, legate a motivi legali, difficile effettuare diagnosi corrette, produrculturali, linguistici, burocratici, economire medicalizzazione o persino spostamenti ci, etc., limitano notevolmente le possibilidi qualche malattia verso l’ambito psichiatà di cura. trico. Tratto da: “Immigrazione e salute: dall’emergenza al diritto. Un’esperienza di integrazione fra pubblico e volontariato”, di Anna Bai, Tiziano Carradori, Giovanna Vittoria Dallari, Carmine Petio (AUSL Città di Bologna) e di Franco De Santis (Ambulatorio Biavati – Confraternita della Misericordia). Articolo pubblicato su Mecosan, anno VI, n. 24 ott.-dic. 1997). 2 - Il punto di vista degli utenti Le condizioni di vita e di accesso alla salute delle donne migranti di Ruba Salih, Università di Bologna Il progetto Il progetto “Immigrant Women Health Access” è promosso dal Comune di Forlì e finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma europeo di lotta all’esclusione sociale. Il progetto ha l’obiettivo di indagare e comprendere le cause dell’esclusione e/o delle difficoltà di accesso delle donne migranti ai servizi socio-sanitari in alcune città della Romagna. Tra i partner del progetto rientrano l’Associazione di donne – native e migranti – ‘Trama ANNO 2002, NUMERO 3 di Terre’ di Imola e alcune ricercatrici dell’ Università di Bologna. Numerose ricerche effettuate a livello locale e nazionale in questo ambito hanno spesso analizzato alcuni aspetti, come il riconoscimento della ‘differenza culturale’ o, più nello specifico, le diverse concezioni del corpo, del concetto di salute, della maternità, quali cause prevalenti di difficoltà di accesso delle donne migranti ai servizi sociali e sanitari. L’ipotesi di partenza del nostro progetto, invece, è che l’equazione esclusione/non riconoscimento culturale sia spesso PAGINA 13 responsabile o comunque contribuisca ad accentuare la marginalizzazione delle donne migranti nelle società in cui vivono e lavorano. Molte indagini hanno privilegiato una lettura esclusivamente ‘culturale’ delle dinamiche di esclusione, negando il complesso intreccio tra appartenenze di classe, di genere e culturali nel determinare le diverse forme di esclusione cui donne e uomini migranti sono soggetti. Inoltre, non si sottolinea mai abbastanza come il ‘riconoscimento’ avvenga spesso in parallelo all’esclusione dai diritti di cittadinanza (in particolare quelli politici) e a spese di un più equo accesso alla redistribuzione delle risorse. In un contesto, quello dei paesi occidentali, che vede processi di ristrutturazione economica globale e declino demografico come sfondo ad una crisi crescente del welfare state, si assiste ad una nuova gerarchizzazione della differenziazione socio-economica, dove le donne migranti si trovano ad occupare gli spazi e i ruoli più marginali ed invisibili come manodopera sottopagata e flessibile nei lavori di cura e riproduzione. A questo proposito, chiunque lavori o faccia ricerca nell’ambito della migrazione è consapevole che oggi in Italia si sta verificando una grave situazione nell’ambito del lavoro domestico e di cura. Questa sfera si va sempre più definendo come dominio delle donne migranti le quali si trovano a sopperire le lacune di uno stato sociale sempre più dissanguato, senza avere in cambio reali diritti di cittadinanza. Anzi, spesso i costi sociali della loro presenza e di quella dei loro figli sono o scaricati sulle spalle dei paesi di origine, in cui sempre più frequentemente sono costrette a lasciare figli e mariti, o su organizzazioni di volontariato che operano secondo criteri arbitrari. Questo, per esempio, è il tipico caso delle donne dell’Europa orientale, protagoniste di una migrazione tanto più flessibile quanto precaria e che, per la stragrande maggioranza, sono prive di qualsiasi tipo di diritti. I primi risultati della ricerca Paradossalmente, se la ricerca era inizialmente diretta a far luce sulle modalità che producono l’esclusione o rendono difficile l’accesso ai servizi socio-sanitari, ciò di cui le donne vogliono parlare è la discriminazione che esse si vivono come donne e migranti, e- scluse dalla redistribuzione di risorse e sempre più lontane dal raggiungimento di uno status di soggetti di diritto, ma anche vittime di dinamiche discriminatorie in quanto donne non tanto e non solo nelle loro ‘culture’, ma secondo una logica dell’oppressione che è assolutamente transnazionale e transculturale. Le donne migranti che abbiamo intervistato non commentano i servizi perché sempre meno esse si percepiscono come soggetti di diritto, con il diritto, appunto a pieno titolo, di richiedere che le prestazioni che ricevono siano anche adeguate ai loro bisogni più specifici e complessi quali quelli culturali, nelle loro dimensioni soggettiva e comunitaria. I veri grandi problemi rimangono la difficoltà a trovare un alloggio, la precarietà ed invisibilità legale e la marginalizzazione socio-economica. Dai nostri dati preliminari, emerge chiaro e netto che l’individuazione delle dinamiche di esclusione delle donne migranti nelle società in cui vivono passa attraverso la comprensione della loro collocazione in un sistema complesso e globale di oppressione. L’origine dei problemi delle donne migranti è meno riconducibile alla carenza di riconoscimento culturale quanto piuttosto ad un intreccio tra varie dimensioni che includono in primo luogo la loro marginalizzazione socio-economica e culturale secondo logiche di genere e la discriminazione sul piano dei diritti. L’esclusione (ed anche le strategie che le donne migranti mettono in atto per contrastarla), inoltre, ha natura globale e transnazionale, nel senso che ha cause ed effetti che non sono riferibili solo al contesto locale in cui le donne vivono, ma anche a quello che hanno fisicamente lasciato. Per esempio, alcune donne subiscono le conseguenze di essere cittadine di serie B nei loro paesi di origine, condizione che si portano dietro in emigrazione; altre donne hanno lasciato dietro di sé figli e famiglie che non hanno altro sostentamento se non le loro rimesse; altre ancora si sono viste costrette a separarsi dai propri figli, mandandoli al paese di origine, sgravando lo Stato italiano dal peso economico di soggetti inattivi e scaricandolo su un altro contesto. La nuova legge sull’immigrazione del governo Berlusconi, in questo senso, non farà che istituzionalizzare ciò che già è una realtà per molte donne, soprattutto se straniere e sole. INFO: Associazione Trama di Terre, Imola (BO); tel. 0542.287.05; e-mail: [email protected] Sugli stessi temi, saranno prossimamente disponibili gli atti del convegno “Nel segno dell’Emancipazione: un incontro tra donne native e migranti” promosso lo scorso 14 giugno dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Bologna con la collaborazione di: Coordinamento Donne ANPI FIAP, Associazione Trama di Terre, Forum metropolitano delle associazioni di cittadini non comunitari di Bologna e provincia. INFO: Rita Paradisi, ANNO 2002, NUMERO 3 tel. 051.659.86.26 e-mail: [email protected] PAGINA 14 Salute per tutti, tutti in salute di Marzia Casolari, Associazione Cidis/Alisei Nel 1999 ha avuto inizio il progetto europeo “Salute per Tutti, Tutti in Salute”. Coordinato dall’associazione Cidis/Alisei, il progetto ha visto la partecipazione di altri cinque partners, distribuiti, oltre che in Italia, in altri due paesi. Volto a verificare l’accesso degli immigrati ai servizi sanitari dei paesi coinvolti, questo primo progetto, attraverso una serie di interviste e di rilevamenti realizzati presso le strutture sanitarie dei paesi partner, si è proposto di cogliere i problemi e le esigenze riscontrate da operatori medici e paramedici di fronte alle massicce ondate migratorie che hanno ridefinito i contorni delle società locali in chiave multiculturale. Il lavoro ha consentito di registrare il fatto che molti operatori siano oramai consapevoli delle mutate necessità dei servizi sanitari, sempre più rivolti alla risoluzione di emergenze e richieste provenienti da persone portatrici di altri sistemi di valori, di distinte percezioni del sintomo, della malattia, delle soluzioni terapeutiche. Una seconda linea di indagine del progetto è stata quella di valorizzare esperienze e proposte metodologiche di intervento in ambito sanitario sperimentate in alcuni paesi europei e particolarmente adeguate culturalmente alle esigenze delle popolazioni immigrate. In questa fase sono state realizzate altre iniziative, come la raccolta e l’analisi documentaria delle proposte metodologiche avviate in questi ambiti a livello europeo; un censimento dei principali servizi sanitari rivolti all’utenza immigrata; la creazione di un gruppo europeo di ricercatori e operatori sanitari; corsi di formazione sulle esperienze raccolte all’interno del gruppo di lavoro; la gestione di una mailing list per mettere in rete informazioni e riflessioni accessibili a tutti gli operatori sanitari; la stesura di un volume e la realizzazione di un Convegno internazionale volto a promuovere un Forum europeo per la salute dell’immigrato. Il problema delle barriere Rispetto alla questione del rapporto tra salute e servizi, le indagini effettuate sulle politiche sanitarie di diversi paesi hanno portato a riscontrare diverse tipologie di barriere che si frappongono tra l’utenza immigrata e i servizi sanitari. Queste barriere sono di tipo economico, amministrativo e linguistico. Quest’ultimo punto risulta essere particolarmente significativo, dal momento che riveste un’importanza ‘strategica’ nel rapporto medico-paziente o strutturautente. In alcuni paesi o zone di paesi, il servizio di interpretariato per gli immigrati o è inesistente, oppure è ancora troppo poco diffuso. Le barriere di tipo linguistico vanno poi affiancate a quelle di tipo culturale. E’ infatti ancora diffusa presANNO 2002, NUMERO 3 so le strutture sanitarie di molti paesi l’incapacità di trattare pazienti portatori di specificità culturali diverse da quelle della popolazione locale. In molti casi, inoltre, le strutture sanitarie non sono in grado di rilevare la maggiore diffusione di alcune patologie presso la popolazione immigrata, contratte nel paese di residenza. Un secondo dato che emerge con regolarità dalle inchieste effettuate riguarda il tipo di patologie che colpiscono gli immigrati. Per molti versi gli immigrati sono più esposti della popolazione locale a specifiche patologie. Quel che occorre sottolineare è che non si tratta, in prevalenza, di patologie legate al luogo di provenienza, quanto piuttosto di malattie che sono originate dalle cattive condizioni di esistenza e da un più generale disagio socioeconomico. La risposta dei servizi sanitari deve dunque assumere questo dato. Infatti non bisogna tanto attrezzarsi per rispondere a patologie esotiche, quanto invece riuscire a dare una risposta complessa che riguarda un problema legato alle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati. Ciò impone che questa risposta non possa essere ridotta solamente ad una azione di tipo biomedico, ma che comprenda un più vasto intervento di tipo sociale. La riduzione e l’auspicabile eliminazione delle barriere esistenti non può avvenire senza un adeguamento dei servizi sanitari alle esigenze di un’utenza diversificata e non omogenea, che non comprende solo la popolazione immigrata, ma anche quella locale. La prima indicazione è di andare oltre i servizi, oltre il sanitario. La risposta sanitaria è importante nelle prestazioni d’urgenza, ma non basta a risolvere il resto dei problemi che gli stranieri, come molti cittadini locali hanno. Spesso si ricorre al servizio sanitario per ragioni esterne ad esso, rappresentate, per esempio, da problemi d’ordine sociale, piuttosto che medico. Il primo riferimento cui ispirarsi per organizzare i servizi è la carta di Ottawa: introdurre una cultura della salute accanto a quella della malattia, che ancora domina l’orizzonte della sanità. Imporre questo concetto significa modificare profondamente vaste aree della cultura medica ufficiale, basate principalmente sulla terapia. E’ inoltre necessaria la formazione di tutto il personale sanitario. E’ di fondamentale importanza il fatto che, da un lato, la salute divenga obiettivo della politica, dell’economia e dell’organizzazione dei servizi, dall’altro che si attui il passaggio da un modello biomedico a un modello bio-psicosociale. Un altro tipo di ostacolo è rappresentato dalle variabili materiali, strutturali, dalle culture organizzative sanitarie, dalle loro normative, dalle opportunità socioeconomiche per l'utenza, di una discriminazione più o meno latente nei confronti della diversità culturale e della non adesione ai paradigmi della biomedicina. Altri ostacoli sono determinati dall’eventuale diffiPAGINA 15 denza ed ostilità dell'immigrato nei confronti dei servizi, o dall'adesione a modelli, comportamenti e pratiche terapeutiche distinte, dalla difficoltà ad aderire a ruoli e pratiche comunicative e comportamentali, dalla sottovalutazione personale del proprio stato di salute. Si tratta di variabili che vicendevolmente alimentano l'esclusione dai servizi sanitari in un circuito complesso. Così lo straniero, emigrato in un paese ricco che basa la produttività economica e l'integrazione sociale sul buono stato di salute personale, è destinato a vivere una doppia realtà di esclusione e discriminazione sociale, sia in quanto portatore di un'altra cultura, che in quanto affetto da una patologia che mette a rischio il suo benessere fisico, ma anche, metaforicamente, il benessere della comunità che lo ha accolto e di fatto rifiutato. Pertanto, paradossalmente, la società di accoglienza permette l'integrazione allo straniero che gode di buona salute e di fatto gliela nega nel momento in cui non è in grado di garantirgli una adeguata offerta sanitaria. Nuove sfide I problemi della sanità sono un esempio tipico di come si esplica l’interfaccia fra istituzioni e pluralità di culture. I servizi in questo settore devono essere in grado di soddisfare al più alto livello i bisogni e le attese di una società multietnica, tenendo conto del fatto che mentre le aspettative sono eterogenee, le risposte devono essere unitarie. Il fenomeno dell’immigrazione porta la massima sfida anche in questo settore e introduce forti problemi di eterogeneità, obbligando i servizi a una revisione complessiva della loro politica. L’immigrazione pone certamente problemi di gravi o modificate situazioni di patologia, ma il vero problema si pone sul versante dell'interpretazione delle patologie, delle modalità di risposta cui i cittadini sono abituati, dei percorsi terapeutici. La classificazione della malattia e la stessa articolazione dei servizi professionali sono molto diverse nei paesi extraeuropei rispetto a quelle dei paesi dell’Europa. Il confronto tra fruitori immigrati e servizi sanitari dei paesi europei si traduce quindi in molti casi nel confronto tra sistemi medici profondamente diversi e tra diverse concezioni del rapporto sintomomalattia-terapia. Non tenere conto di questo fattore da parte dei servizi significherebbe curare il corpo ignorando l’orizzonte culturale in cui la malattia viene vissuta. Questo comporta il fatto che i nostri servizi rischino di proporsi all’utenza immigrata in termini di estraneità, di ripulsa e quindi di inefficienza. Il punto di vista degli immigrati Nel 2000 il progetto “Salute per tutti, tutti in salute” è continuato, con la rilevazione del punto di vista degli immigrati, complementare a quello degli operatori sanitari. Sono state quindi realizzate alcune interviste ANNO 2002, NUMERO 3 a vari gruppi di immigrati in diverse parti d’Italia. Sono stati selezionati gruppi differenziati per origine (Pakistan, Nord Africa, America latina, Albania), età, sesso, status legale. Dalla ricerca effettuata sono emersi diversi risultati interessanti. Circa la metà degli immigrati intervistati ha riferito di aver sviluppato problemi di salute dopo il suo arrivo in Italia. La gran parte di questi problemi sono collegati al cambiamento di clima (disturbi reumatici), o da cambiamenti nella dieta e nelle condizioni di vita (disturbi all’apparato digerente, disturbi psicosomatici, insonnia, emicrania). Significativa l’affermazione di una donna immigrata: "Da quando sono in Italia sono invecchiata di dieci anni". Questi elementi dimostrano quanto studiosi e professionisti sostengono da anni: gli immigrati partono sani dai loro paesi d’origine e tendono ad ammalarsi quando si stabiliscono nei nostri. Gli immigrati riportano frequentemente l’esistenza di difficoltà burocratiche, specialmente rispetto ai lunghi tempi di attesa, per appuntamenti, visite, esami. Molti immigrati sostengono che il loro sistema sanitario sia più efficiente perché non implica tempi di attesa prolungati. Questa è l’opinione diffusa tra gli immigrati che provengono da paesi dove esistono numerosi piccoli ambulatori di quartiere. Rispetto al rapporto medico-paziente, viene di frequente rilevato un atteggiamento ‘freddo’ da parte dei medici, che in molti casi non visitano i pazienti con la necessaria attenzione e non sono partecipi dei loro problemi. Molti dottori prescrivono le medicine senza nemmeno visitare il paziente. Una notazione frequente è "i dottori non ci toccano nemmeno". Alcuni immigrati riferiscono che, nei loro paesi d’origine, i medici esaminano il palmo delle mani dei pazienti, l’interno degli occhi, il colore della lingua. Questi medici sono in grado di effettuare diagnosi rapide ed esatte. I medici italiani, invece, confrontano i sintomi descritti dal paziente con quanto scritto nei libri e impiegano molto tempo a scoprire le cause delle malattie. Sono stati inoltre riportati numerosi casi di negligenza, alcuni dei quali molto rischiosi per i pazienti. E’ importante notare che queste critiche sono condivise dalla gran parte dei pazienti italiani. Gli immigrati che risiedono in Italia da più tempo sembrano essere più esigenti e più consapevoli dei loro diritti, rispetto a quelli appena arrivati. I primi sono anche normalmente più critici nei confronti delle disfunzioni del sistema sanitario. Si potrebbe concludere che questo sia un segnale di maggiore integrazione, se non sussistesse un rischio di errore di interpretazione. E’ infatti frequente il caso di immigrati appena arrivati che hanno già sperimentato i medici e gli ospedali italiani e sono critici nei loro confronti. D’altra parte è altrettanto frequente il caso di immigrati che risiedono in Italia da diversi anni, hanno un buon livello di integrazione, e sono PAGINA 16 consapevoli del fatto che molti dei loro problemi sono condivisi dagli italiani. Sembra quindi difficile concludere che gli immigrati maggiormente ‘integrati’ sono anche quelli più consapevoli. Non sarebbe meglio affermare che sono semplicemente più consapevoli dell’esistenza di problemi per tutti i cittadini? Sembra necessario esaminare e discutere più a fondo questo aspetto. La gran parte degli immigrati mostra la tendenza ad evitare i medici di base e di rivolgersi direttamente al pronto soccorso e ai servizi d’emergenza. In questo modo non solo la prevenzione ma anche la terapia vengono totalmente trascurate. Il risultato è che le patologie peggiorano fino al punto da rendere necessario il ricovero, oppure fino alla cronicizzazione del disturbo. Per problemi di minore gravità, molti immigrati preferiscono comprare le medicine direttamente dalle farmacie e curarsi da soli. La gran quantità di medicine per tosse, raffreddore e febbre disponibile nelle farmacie italiane li favorisce in questo senso. Queste tendenze sono dovute a diverse ragioni: insoddisfazione per i medici di base, rifiuto di attendere ore per essere visitati e, meno di frequente, un diverso atteggiamento culturale nei confronti della malattia e della cura. La carenza di terapia e di prevenzione tra gli immigrati è un fattore particolarmente frequente e allarmante. I più colpiti sono gli immigrati irregolari. Una legge ad hoc garantisce loro le cure di base, ma non quelle specialistiche. Gli immigrati irregolari hanno lavori irregolari e, nella maggior parte dei casi, pesanti. Queste persone soffrono di disturbi legati al loro lavoro. Hanno il denaro per pagare le visite specialistiche, ma i dottori non suggeriscono loro di procedere per questo tipo di terapia. Gli immigrati irregolari possono ricevere cure specialistiche solo se, più o meno per caso, entrano in contatto con strutture specializzate nella cura degli immigrati senza permesso di soggiorno. Anche gli immigrati regolari hanno questo tipo di problema. Normalmente, infatti, i dottori non suggeriscono loro di farsi curare dagli specialisti. In alcuni casi i pazienti richiedono spontaneamente questo tipo di cure perché, essendo meno esclusi degli immigrati irregolari, sono anche meglio informati. La maggior parte degli immigrati senza permesso di soggiorno sostiene che i propri problemi di salute sono legati alle condizioni di vita precarie e allo stress psicologico rappresentato dal fatto di dover sopravvivere in un paese straniero senza documenti. Queste persone normalmente affermano che i loro problemi di salute sono meno gravi dei loro problemi legali e delle condizioni di disagio e pericolo in cui devono vivere. Un altro elemento rilevato di frequente è rappresentato dai problemi di comunicazione dovuti alla differenza linguistica. In molti casi i pazienti con problemi linguistici sembrano non essere consapevoli ANNO 2002, NUMERO 3 del problema. Negano di aver mai avuto difficoltà di comprensione con i medici. Quando però si chiede loro quale fosse il disturbo, rispondono che non lo sanno. Quasi sempre dicono di non essere stati informati. Sarebbe interessante stabilire se semplicemente non capiscono cosa dicono i medici, o se i medici non fanno lo sforzo di comunicare con i pazienti. Molti immigrati, appartenenti a gruppi etnici diversi fra loro, fanno poi uso di rimedi tradizionali e naturali (spesso fatti in casa). Un’abitudine, questa, particolarmente diffusa fra i nord africani, i pakistani e i latino-americani. Gli immigrati che fanno uso di questi rimedi sarebbero felici di avere la possibilità di essere curati da medici tradizionali qualificati, a costi accessibili, come avviene per i trattamenti allopatici. Note conclusive In generale, in ogni caso, gli immigrati sono soddisfatti del sistema sanitario italiano, soprattutto perché offre loro la possibilità di essere curati gratuitamente. Un altro motivo è che la qualità della cura è migliore che nel loro paese. L’incapacità di comprensione e di avvicinamento dell’operatore sanitario alle esigenze del paziente immigrato si esprimono in un rifiuto dei criteri culturali d’interpretazione del sintomo o dell’evento patologico dell’utente sotto forma di rifiuto al dialogo o attraverso forme di sottile discriminazione che hanno l’effetto di allontanare l’immigrato dal servizio sanitario, con tutti i rischi che tale scelta può comportare per la salute del paziente e della collettività. Da parte sua, il cittadino immigrato subisce puntualmente tali discriminazioni per la sua relativa disinformazione in materia socio-sanitaria e per la non conoscenza dei suoi diritti fondamentali. Va aggiunto che nel 2001, sempre nell’ambito della medesima linea di finanziamento, la Commissione Europea ha lanciato un grande programma volto a combattere la discriminazione a diversi livelli della società. I gruppi di lavoro che avevano realizzato i precedenti progetti finanziati dalla Commissione sono stati invitati a formulare proposte, attraverso progetti volti a combattere concretamente la discriminazione. E’ stato erogato un primo finanziamento, per soli 6 mesi, finalizzato a mettere i gruppi di lavoro nelle condizioni di elaborare nuovi progetti, della durata biennale. E’ nato così il progetto “Partners for Health – A Pilot Action to Fight Discrimination Against Immigrants in Health Care Services”. Dalle osservazioni effettuate negli anni precedenti è emerso che il terreno sul quale si realizza la discriminazione nei confronti degli immigrati in campo sanitario è quello dell’interazione tra i servizi sanitari (intesi come un sistema composto da personale medico, paramedico, amministrativo, strutture, burocrazia, sistema terapeutico, ecc.) e pazienti. Il nuovo progetto sarà quindi volto ad individuare le modalità della discriminazione in campo sanitario e a misurarne la frequenza PAGINA 17 e l’impatto. Verrà quindi elaborato un tool kit contenente non solo gli strumenti per identificare e misurare la discriminazione, ma anche strumenti concreti per combatterla. Tra questi ultimi, si prevede che la formazione del personale sanitario giocherà un ruolo fondamentale. Per saperne di più si può visitare il sito continuamente aggiornato sugli sviluppi del progetto www.salutepertutti.org Il dialogo transculturale in medicina di Eugenio Gentile, Osservatorio delle Immigrazioni Sostanzialmente cinque sono i livelli potenziali di incomprensione tra medico e paziente straniero: 1. 2. 3. 4. 5. Prelinguistico (non ostensibilità delle sensazioni interiori) Linguistico (arbitrarietà del significato e del valore semantico) Metalinguistica (arbitrarietà dei valori simbolici) Culturale (imprinting ed elementi culturali inconsci) Metaculturale (differenze ideologiche, filosofiche e religiose) all’interpretazione più o meno corretta, per i motivi più vari (censura, incompetenza o disaccordo da parte dell’interprete). Del resto le difficoltà linguistiche non portano soltanto problemi, ma possono anche offrire l’opportunità di ampliare il ventaglio dei comportamenti e degli atteggiamenti del medico, in modo che possa farsi capire a chiunque con maggior semplicità e tenti di empatizzare anche in maniera non verbale. 1. Livello prelinguistico: nasce dalla difficoltà a comunicare le proprie sensazioni interiori. Si può descrivere con la differenza che corre tra il significato dei termini disease e illness dalla letteratura anglosassone: il primo indica la malattia secondo la conoscenza medica, mentre con illness si intende l’insieme di sensazioni, emozioni, pensieri e comportamenti correlati, propri della percezione soggettiva dell’essere ammalato del paziente. Nella medicina tradizionale occidentale l’attenzione è tutta concentrata sulla disease, cosicché la illness del paziente viene generalmente trascurata. La censura effettuata dal paziente per comunicare il più possibile a livello medico può essere ancora maggiore in ambito transculturale, sia perché diverso può essere l’approccio, la considerazione e la comunicazione con la propria interiorità, sia per il tentativo di adattare le parole a un mondo poco conosciuto, spesso ritenuto più avanzato, onde evitare il rischio di apparire arretrato o selvaggio. 3. Livello metalinguistico: è il livello simbolico al quale non necessariamente corrispondono nelle diverse lingue e culture gli stessi termini equivalenti; questi possono avere significati astratti differenti, oltre che un riferimento individuale nell’universo mentale proprio di ciascuna persona. Bisogna tenere conto che esperienze di malattia spesso possono incidere anche fortemente sull’equilibrio del singolo specialmente a livello simbolico. 2. Livello linguistico: questo livello di incomprensione tende a ridursi nel tempo, con la permanenza nel territorio di chi è appena arrivato dall’estero e con la stabilizzazione dei processi di immigrazione in Italia. Alcuni problemi però permangono sempre, causa la non completa sovrapposizione semantica delle parole nelle diverse lingue e dato il rischio di interpretazione errata di termini che pur avendo il corrispettivo etimologico indicano oggetti diversi. Altri inconvenienti si presentano quando si cerca di aggirare la difficoltà della incomprensione linguistica mediante interpreti, che possono essere occasionali (quali parenti o amici del paziente) o dei mediatori culturali adeguatamente formati, se presenti nel servizio sanitario. In questo caso il rischio maggiore è quello della distorsione dei messaggi originali, dovuta 4. Livello culturale: se con il termine ‘cultura’ si indica l’insieme dei valori spirituali e ideologici di un individuo, oltre che l’insieme delle sue conoscenze, allora possiamo considerare quello culturale come il livello in cui si esprime quella sorta di imprinting con cui una persona ha definito la sua identità in un momento della sua vita, per capire chi sia e che posto occupi nel mondo. Le informazioni principali ci derivano dall’ambiente in cui siamo cresciuti ed educati. Nella relazione transculturale entrano indubbiamente in gioco nel processo di educazione fattori assai diversificati al loro interno, quali l’ambiente familiare, le norme sociali, i riferimenti religiosi e storici. Spesso alcune regole non-verbali vengono assorbite in modo inconsapevole, come ad esempio la distanza da un interlocutore, e possono variare molto da cultura a ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 18 cultura. Può essere utile quindi approfondire la conoscenza delle altre culture, anche se questo compito è reso ancor più difficoltoso dallo scenario così variegato dei flussi migratori in Italia. Ma soprattutto bisogna tener presente che la cultura e l’identità di un individuo sono componenti in progressiva trasformazione, duttili e dinamici e la salute psichica deriva anche dalla capacità di saper trascendere i limiti della propria identità di origine. Ne è testimone il fatto che al paese d’origine abbiamo ben netta la percezione del cambiamento che la migrazione induce e non è corretto considerare l’identità di un individuo qualcosa di definito e stabilizzato per sempre. 5. Livello metaculturale: è stato definito come ‘il piano dove gli uomini affermano consciamente e con lucidità la loro visione della vita, che a livello culturale appare implicita e, in definitiva, inconscia’; non è facile quindi distinguerlo netta- mente dal livello culturale, essendoci ampie zone di sovrapposizione, distinte più che altro dal carattere di consapevolezza del livello metaculturale. Anche qui però può esserci un livello dissimulato: il comportamento di una persona può variare solamente per il fatto di trovarsi in terra straniera piuttosto che a casa e sentire quindi più forte il bisogno di ancoraggio alle proprie origini religioso-culturali. Nel seguire le regole del Ramadan, ad esempio, ci si può trovare in situazioni particolari che richiederebbero una deroga dall’obbligo religioso per assumere farmaci o per seguire una dieta specifica nel trattamento di una malattia che vanno contro i principi fondamentali dell’Islam; il soggetto che sarebbe disposto a farlo in terra d’origine, ma non lo è nel paese d’immigrazione, denuncia il bisogno di appartenenza e di rassicurazione sulla propria identità in un momento in cui, forse proprio a causa della malattia, si sente in crisi. Percorsi paralleli Medico Paziente 1^ Fase Esotismo ‘Sindrome di Salgari’ ‘Sindrome da General Hospital’ 2^ Fase Scetticismo “Questo non ha niente”; “mi fa solo perdere tempo” “Questo medico non vale molto”; “mi curano male perché sono straniero” 3^ Fase Criticismo superare i pregiudizi; porre attenzione alla relazione medico-paziente La tabella mette a confronto le specularità tra operatore e paziente, formando due percorsi paralleli che tendono a non incontrersi mai. Il tanto citato incontro tra culture è qualcosa di astratto, se non si tiene conto che a incontrarsi sono persone provenienti da culture differenti. Lo spazio di unione è dato dal dialogo transculturale, il quale si trova al di fuori di ognuna delle culture che si vengono a contatto, è qualcosa di nuovo, che bisogna costruire superando i preconcetti e il fascino che possono suscitare simili incontri lontani dalle situazioni ordinarie a cui siamo abituati. I rischi verso cui siamo tutti quanti portati a confrontarci sono principalmente quello di sopravvalutare da un lato e sottovalutare dall’altro le differenze culturali con cui si ha a che fare con il mondo esotico e lontano, che spesso suscitano un misto di fascino e timore. La cosiddetta ‘Sindrome di Salgari’ descrive l’ atteggiamento di esotismo sanitario che coinvolge gli operatori sanitari quando, spinti dal desiderio di incontrare misteriose malattie tropicali semisconosciute o rarissime, sono portati a prestare servizio con un iniziale eccessivo entusiasmo che va via via scompaANNO 2002, NUMERO 3 accettare i limiti di medico e medicina; comprendere cosa è realisticamente possibile avere rendo quando emerge la delusione di non incontrare nulla di ciò che era nelle loro esotiche aspettative. Il rischio di enfatizzare l’attenzione verso la diversità dell’altro può condurre, dopo qualche esperienza di fallimento, alla demotivazione, tale da determinare anche l’abbandono di servizi volontari. Questa fase è stata definita ‘scetticismo sanitario’ e descrive la reazione alla delusione di non trovare nulla di così strano e diverso nei pazienti di altri paesi, tanto da considerare l’altro come uguale a sé. Da qui il medico può trovare lo spunto per superare i limiti imposti dalle proprie aspettative, onde evitare ulteriori frustrazioni, ponendosi in termini critici verso i propri pregiudizi e analizzando in modo costruttivo le sue attuali possibilità operative. Il fatto di mettersi in discussione pone il medico non più come il soggetto che opera, ma anche lui, quanto il paziente, diventa l’oggetto in discussione capace di trasformarsi e imparare dall’incontro con una persona che gli può aprire le barriere preconcette formatesi con l’abitudine. Il criticismo sanitario permette quindi l’interazione necessaria con la risorsa più preziosa, il paziente straniero, che può far trascendere i limiti PAGINA 19 dell’operatore in direzione di un dialogo transculturale, realizzando che il paziente stesso sta attraversando le medesime fasi per avvicinarsi allo spazio culturale di incontro. Come il fascino dell’esotico agisce sull’operatore, altrettanto succede a chi vive in paesi o continenti lontani dal nostro e viene in Italia carico di tutte le nozioni e i preconcetti formati magari sentendo parlare dell’Italia sin dall’infanzia, il più delle volte attraverso lo strumento con il quale anche noi ci siamo fatti una idea grossolana del mondo: la televisione. Anche gli stranieri hanno uno sguardo esotico verso di noi e l’immagine occidentale che prima di tutto appare è quella di un mondo ricco, efficiente, progredito in cui la sanità sembra possa curare ogni tipo di malattia, definitivamente, rapidamente e con le tecnologie e competenze migliori. Quando l’ immigrato si trova a essere paziente si aspetta dunque, inizialmente, un trattamento simile a quello che si è costruito nelle proprie fantasie. E’ facile quindi intuire come possa rimanere deluso, la sua logica crolla di fronte a trattamenti che non sono all’altezza delle sue aspettative, se non guarisce immediatamente e definitivamente può accusare il medico di discriminazione o incompetenza. L’accusa di razzismo risulta talvolta l’unica soluzione ad un percorso che vede la persona in un continuo viaggio di acculturazione a nuove realtà. In conclusione medico e paziente stanno percorrendo contemporaneamente due percorsi paralleli impegnandosi entrambi a negoziare la loro relazione con l’altro all’interno del nuovo spazio interculturale, attraverso una esplorazione del loro mondo comune, in un cammino di pari dignità alla ricerca della salute, collaborando tra di loro. Il paziente straniero, infatti, pone il medico di fronte ai suoi limiti se si creano difficoltà culturali specifiche, ma questi può superarle traendo indicazioni sia dalle competenze del paziente, sia dalle proprie ‘risorse terapeutiche’. Entrambi assumono il ruolo di soggetto-oggetto dell’analisi della relazione attraverso i percorsi paralleli, uscendo dai pregiudizi che vedono gli stranieri pietrificati nella diversità o omo- logati come isoculturali. Per questo è necessaria una medicina transculturale, i cui operatori sono come in mezzo a un guado, disposti a riformulare la propria identità professionale, permettendo ai propri parametri di divenire duttili, così da non rimanere arroccati nel sapere acquisito, né di rinunciarvi, ma capaci di aprirsi a ‘nuove prospettive’ rispecchiandosi in qualche modo nel paziente che li ha messi più in difficoltà. L’incontro può avvenire se si riconoscono queste dinamiche, ponendo l’attenzione su quanto accade qui e adesso nel dialogo, al di là delle differenze culturali, e portando alla consapevolezza quanto avviene in modo implicito nel percorso parallelo, per superare momenti di stallo. Se ad esempio il medico può dichiarare: “Mi sento deluso di non vederla stare bene e mi pare che anche lei non sia soddisfatto” è possibile aprire nuove strade al dialogo, superando un blocco nella fase di scetticismo. Un punto di equilibrio può essere raggiunto quando il medico presta attenzione a ciò che il paziente continua a dirgli, ma che egli ritiene irrilevante per la propria cultura. Questo è più evidente nel caso delle donne musulmane che non vogliono o non riescono a farsi visitare da un medico uomo, specialmente dal ginecologo, e piuttosto evitano la visita, manifestando apertamente il disagio che una simile intrusione comporta nel corpo di ogni donna, ma che in genere in occidente si cerca di reprimere per facilitare la funzionalità della visita. Questa situazione può rendere il medico più attento ad agire con maggiore rispetto della dignità della paziente, prestando più attenzione verso i bisogni emotivi anche di chi si trattiene dall’esprimerli, ma richiede lo stesso tipo di trattamento. Non vale quindi il solo paradigma :”Come ci si comporta con questo paziente se fosse italiano?”, ma ci si può accorgere grazie alle risorse del paziente straniero che la cura nasce anche da altri elementi oltre a quelli che già si conoscono, quali la percezione soggettiva della malattia, i riferimenti culturali, le emozioni, i bisogni e le risorse del paziente. Percorsi paralleli nella riformulazione dell’identità Mettere in discussione il proprio operato professionale non è cosa semplice da parte di un medico, né tanto meno per un paziente che deve ambientarsi a una società diversa da quella di provenienza, con valori che non possono coincidere come priorità. Molti popoli hanno una percezione di sé molto diversa dalla nostra, con una percezione del corpo molto più fisico e con un concetto di anima spesso riferito più al gruppo che alla psiche personale, come sono invece abituati gli occidentali. ANNO 2002, NUMERO 3 Chi migra è sempre coinvolto in un processo di ricerca e di trasformazione della propria identità. Non è questa una componente che deve necessariamente rimanere fissa, anzi il benessere psico-fisico della persona migrante dipende molto dall’arricchimento del proprio bagaglio culturale che aumenta la capacità di adattamento e di acculturazione, potendo superare le condizioni più difficili, senza invece farsi imprigionare dal sapere preconcetto. Spesso si ondeggia da reazioni di arroccamento per PAGINA 20 rassicurarsi in ciò che già si sa, a fasi di iperadattamento per amalgamarsi il più possibile rinunciando alle proprie origini, senza trovare la strada per costruire un’identità. Ma se consideriamo l’identità per quello che è allora è possibile trovare alcuni percorsi indicativi. ♦ Abbandonare il pensiero che l’incontro con un paziente straniero sia l’incontro con una cultura: prima di tutto l’incontro è invece con una persona, con la sua individualità e i suoi bisogni specifici. Se si riesce a dedicare l’attenzione alla persona più che alla cultura probabilmente si possono evitare i rischi di cadere nella sopravvalutazione delle differenze culturali. ♦ Bisogna ricordare tuttavia che uno straniero viene da un altro mondo ed è forse abituato a pensa- re con sistemi di riferimento differenti dai nostri. Rinunciare alla pretesa di capire fino in fondo la sua cultura non significa rinunciare però a seguirlo sul suo terreno, a lasciare che ci aiuti e ci guidi nel percorso a capirlo, valorizzandone le risorse in modo da collaborare insieme all’obiettivo di promuovere la sua salute. ♦ Così come un paziente non è una cultura, egli non è neppure un’identità rigida; piuttosto è una ‘storia di vita’ in evoluzione, duttile, che sta gestendo e metabolizzando i cambiamenti necessari al suo processo di transculturazione. Si può riconoscere questo suo percorso e magari agevolarlo, comprendendolo e dandogli il tempo di cui necessita per sviluppare, con calma, i propri adattamenti. Medico Paziente Crisi dell’identità professionale Crisi dell’identità personale 1^ Fase Arroccamento “cosa vuole questo ? le cose sono così come le conosco io” “non diventerò mai come loro, li userò solo finché mi servono” 2^ Fase Iperadattamento “se voglio essere efficace, devo adattarmi del tutto a lui” “se voglio farcela qui, devo diventare proprio come loro” 3^ Fase Riformulazione e moltiplicazione della propria identità “Quali possono essere i miei nuovi modi di essere professionista con gli stranieri ?” “Quali possono essere i miei nuovi modi di essere qui ?” Utilizzo di una gamma più ampia di informazioni Crescita dell’identità (Liberamente tratto da: Il dialogo transculturale in medicina”, di Marco Mazzetti; opuscolo facente parte della collana “Percorsi di donne” realizzato da Organon – edizione fuori commercio riservata ai medici, disponibile presso l’Osservatorio delle Immigrazioni) ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 21 3. L’offerta di servizi sanitari per immigrati Com’è cambiata l’offerta di servizi sanitari per immigrati in provincia di Bologna, aldilà degli adattamenti e degli accorgimenti descritti dagli operatori in riferimento al proprio specifico contesto lavorativo? Quali politiche e quali progetti sono stati realizzati? Il diritto alla salute degli immigrati, Italia ed Emilia-Romagna “Oggi disponiamo di un corpo legislativo che consente a tutti i cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale una concreta protezione della loro salute, garantendo, almeno teoricamente, l’accesso ai servizi sanitari in gran parte dei casi alle stesse condizioni dei cittadini italiani. Quasi tutti coloro che sono presenti regolarmente in Italia devono (è un diritto/ dovere) essere iscritti al Servizio Sanitario Nazionale ed anche coloro che sono presenti temporaneamente, sebbene in condizioni di irregolarità giuridica, hanno garantite le prestazioni urgenti, essenziali, continuative e preventive in una logica di tutela del singolo che diventa tutela della collettività. È a livello locale, considerato anche l’avanzato federalismo proprio in sanità, che bisogna guardare perché delle buone norme nazionali diventino prassi e il diritto dalla carta si realizzi anche nell’accessibilità e fruibilità delle prestazioni […] L’Emilia-Romagna si è rivelata una Regione che ha dato una risposta ad ampio raggio sui temi della salute degli immigrati, con delibere, circolari regionali e con il Piano sanitario regionale 1999-2001: “L’obiettivo prioritario è di creare le condizioni per un tempestivo accesso ai servizi da parte dei cittadini e delle cittadine stranieri immigrati, regolari e non, tramite azioni concertate dei soggetti pubblici (in primo luogo delle Aziende sanitarie), del privato sociale e del volontariato, che nel settore ha una presenza determinante ed una funzione non surrogabile”. In attuazione degli “Obiettivi di salute” previsti dal Piano, risulta interessante segnalare il materiale prodotto dal “Gruppo di lavoro esclusione sociale”, che ha svolto il suo mandato in tappe successive che hanno visto: 1. la descrizione del fenomeno dell’esclusione sociale, delle sue diverse cause e componenti, della situazione attuale dei servizi e degli interventi offerti; 2. la rilevazione dei bisogni emergenti e dei relativi fattori determinanti; 3. la formulazione degli obiettivi di salute; 4. la strutturazione di possibili soluzioni mirate. Pur consapevoli che immigrazione ed esclusione sociale non è un binomio necessario, è stata colta l’occasione del lavoro di gruppo per individuare percorsi ed obiettivi di salute per l’intera popolazione straniera sia in condizione di marginalità che integrata nel tessuto sociale e produttivo”. (Tratto da: “Il diritto alla salute degli immigrati. Scenario nazionale e politiche locali”, Caritas romana, 2002, Nuova Anterem – volume richiedibile presso la Direzione dell’Area Sanitaria Caritas, fax 06.445.70.95, E-mail: [email protected]. Il materiale prodotto dal citato “Gruppo di lavoro esclusione sociale” è invece liberamente scaricabile sul sito Web della Regione al seguente indirizzo: www.regione.emilia-romagna.it/agenziasan/colldoss Dossier n. 57). Il “Progetto Speciale Immigrati” dell’Azienda USL “Città di Bologna” Attivo dall’ottobre 2001, il “Progetto Speciale Immigrati” è una struttura innovativa che l’Azienda USL “Città di Bologna” ha creato nel proprio assetto per rispondere in modo più organico ai bisogni di salute della popolazione immigrata, con i seguenti obiettivi: → migliorare l’accessibilità ai servizi sanitari secondo principi di equità, appropriatezza, efficacia ed efficienza; → applicare e rispettare le normative specifiche; → promuovere e mantenere la salute della popolazione di riferimento; → riorganizzare i servizi sanitari in un’ottica multiculturale; ANNO 2002, NUMERO 3 → concorrere a formare una cultura multietnica e multirazziale di tutti i professionisti dei servizi sanitari; → semplificare i percorsi assistenziali e promuovere la massima integrazione organizzativa; → promuovere il lavoro in rete con gli Enti locali, le istituzioni, il terzo settore, il volontariato e la rappresentanza dei cittadini stranieri immigrati. La responsabile del progetto, dott.ssa Dallari, commenta che questa importante soluzione organizzativa è il punto di arrivo di un processo che, da più di un decennio, vede la sanità bolognese impegnata in prima persona nella sperimentazione di risposte innovaPAGINA 22 Istituzione “G.F. Minguzzi” Provincia di Bologna Iniziative di diffusione, sensibilizzazione e formazione sui temi dell’interculturalità (settembre 1998-ottobre 2001) Totale ore di corso: 332 Totale partecipanti: 322 Corsi: - “Percorso nascita: un approccio interculturale nella relazione con utenti immigrate” (3 edizioni) - “Il bambino e la bambina nel rapporto con servizi socio-sanitari. Un approccio interculturale al percorso di Pediatria di comunità e Servizio sociale” (3 edizioni) - “Percorso di accoglienza nella struttura ospedaliera” Seminari: - “Strategie formative per riorientare i servizi in un’ottica interculturale” - “Strategie formative per riorientare i servizi in un’ottica interculturale. Laboratorio del futuro” - “Formazione ed intercultura” Convegni: - “Il nascere e il crescere nella cultura araba” tive alle esigenze di una società multietnica. A questo riguardo va tra l’altro ricordato che la c.d. tessera ‘STP’ (Straniero Temporaneamente Presente), prevista dalla legge nazionale 40/1998 per gli immigrati in condizione di irregolarità, è stata inizialmente ideata proprio a Bologna con la denominazione di “tesserino di soccorso”. L’unità operativa della dott.ssa Dallari è, nel tempo, divenuto un importante punto di riferimento per tutta l’area metropolitana: alcuni dei suoi progetti sono infatti stati avviati di concerto tra l’Azienda “Città di Bologna”, la “Bologna Nord” e la “Bologna Sud”. Tra le molte azioni intraprese, vanno ricordate: • Collaborazione alla formazione di operatori sociosanitari. Una serie di corsi è stata organizzata, a suo tempo, dall’Istituzione “G.F. Minguzzi”, con la partecipazione congiunta della sanità e degli Enti locali (Comune e Provincia). Per molti operatori è stata quella l’occasione per cominciare a trattare di questi temi, anche attraverso il lavoro di gruppo, che in qualche caso è proseguito pure in seguito. Conclusa l’esperienza al “Minguzzi”, gli interventi formativi si sviluppano ora internamente alle singole aziende sanitarie; • progetto “Ospedale multiculturale”. Si tratta di un gruppo regionale di lavoro coordinato dalla dott.ssa Dallari che dal 1998 si propone di sperimentare, realizzare ed offrire alle persone un’ampia gamma di iniziative per rendere gli ospedali accessibili, appropriati ed attenti a tutti i suoi utilizzatori, cittadini stranieri immigrati e non. Attraverso una metodologia composita (benchmarking, rete di buone pratiche, formazione del personale ed educazione all’autotutela della salute della popolazione target, mediazione, centri o spazi dedicati, ar- ANNO 2002, NUMERO 3 chivio informativo e costituzione di un folder che raccolga tutti i progetti in essere nelle aziende sanitarie partecipanti, gli strumenti formativi ed informativi prodotti), il progetto ha finora promosso alcuni servizi di rilievo per l’area bolognese, tra cui: numero verde informativo sui servizi sanitari provinciali, counselling telefonico in 6 lingue e sportello informativo di orientamento (v. oltre), - materiale in distribuzione (schede informative, procedurali e di tipo amministrativo, opuscoli e foglietti informativi per l’accesso al pronto soccorso in 4 lingue), segnaletica e cartellonistica per l’orientamento dei pazienti in ospedale, mediazione culturale, maternità sicura; • “Alò” - counseling telefonico e sportello informativo. Il servizio informativo plurilingue sui servizi sanitari è stato costituito nel maggio 2002, all’interno della cornice dei Piani Territoriali Immigrazione coordinati dalla Provincia di Bologna e grazie alla collaborazione delle tre Aziende USL dell’area metropolitana (capofila: Azienda USL “Città di Bologna”). Sviluppando ulteriormente l’esperienza di mediazione e informazione telefonica già esistente ed ampliandola a livello provinciale, “Alò” si propone di: - facilitare e migliorare l’accesso ai servizi sanitari da parte dell’utenza straniera, - facilitare il lavoro degli operatori sanitari che sono quotidianamente a contatto con l’utenza straniera, - individuare, attraverso una osservazione costante, gli ostacoli che l’utenza straniera incontra nell’accesso ai servizi, - migliorare la qualità dei servizi sanitari territoriali, proponendo percorsi ottimali; Ω Ω Ω Ω PAGINA 23 Alò 800.66.33.66 Il numero verde per i cittadini stranieri dei servizi sanitari bolognesi In seguito alle numerose e specifiche richieste da parte degli utenti, il front-office del numero verde si è aggiunto all’assistenza telefonica, . E’ quindi possibile presentarsi allo sportello sanitario per parlare con i mediatori. Va sottolineato che il servizio telefonico e di sportello è disponibile, oltre che per i cittadini, anche per gli operatori socio-sanitari interessati. NUMERO VERDE 800 66 33 66 Sportello Informativo Sanitario Metropolitano per Stranieri Azienda USL Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì Città di Bologna 14.30 – 14.30 – 14.30 – 14.30 – URP Ospedale Maggiore, 16.30 16.30 16.30 16.30 L.go Nigrisoli, 2 – Bologna Lingue: inglese, francese, araba, albanese, filippina, italiana Venerdì 14.30 – 16.30 Sabato 9.00 – 12.30 Azienda USL Lunedì Martedì Bologna Sud Ambulatorio via Cimarosa, 5/2 Casalecchio di Reno Lingue: inglese, francese, araba, albanese, italiana Mercoledì 9.00 – 12.30 Giovedì Venerdì 9.00 – 12.30 Sabato Azienda USL Lunedì Bologna Nord Ospedale di Bentivoglio via Marconi, 35 - Ambulatorio 10 Lingue: inglese, francese, araba, italiana Mercoledì Giovedì 9.00 – 13.00 Venerdì Sabato Martedì • progetto ministeriale “Assistenza e sorveglianza sanitaria nelle collettività per cittadini italiani e immigrati” (centri di accoglienza, campi nomadi, carcere… ), realizzato di concerto con l’Università di Palermo e la Regione Siciliana. Varie le unità operative coinvolte in sede locale (Azienda USL ‘Città di Bologna’ Comune di Bologna, Università, Associazione Salute senza margini, Associazione Sokos, Confraternita della Misericordia – Ambulatorio Biavati, Croce Rossa italiana di Bologna) al fine di conoscere lo stato di salute della popolazione presa in esame, rendere il diritto alla salute leggibile, accessibile e fruibile, offrire le vaccinazioni di legge, aumentare il livello di integrazione tra Enti pubblici e del volontariato, rendere il livello di sicurezza sanitaria per gli ospiti registrati o presenti nelle collettività il più possibile prossimo a quello dei cittadini non indigenti. (I materiali documentali prodotti dal progetto saranno disponibili prossimamente). Cinque concetti-chiave caratterizzano, in sintesi, gli interventi del “Progetto Speciale Immigrati”. 1) I problemi di salute, di tutta la popolazione ed ancora di più degli immigrati, non sono da addebitare a ragioni etniche, in sé; i determinanti ultimi sono invece di natura sociale, comunicativa, linguistica. È verso questi aspetti, quindi, che gli ANNO 2002, NUMERO 3 interventi devono indirizzarsi per essere realmente efficaci. 2) Un ospedale interculturale è un ospedale che soddisfa, a maggior ragione, i bisogni di tutti. “L’attenzione equilibrata nei confronti dei gruppi con maggior difficoltà (immigrati, anziani… ) porta a pensare a strutture che vanno bene per tutti”, commenta una collaboratrice della dott.ssa Dallari, che aggiunge: “Un ospedale attento alle minoranze è un ottimo ospedale per tutta la popolazione, perché è attento alle esigenze di tutti. Tutti noi, nella situazione di malattia, siamo in minoranza, siamo in condizione di debolezza”. 3) Piuttosto che moltiplicare i servizi, creandone continuamente di nuovi per rispondere a tutte le possibili richieste (un servizio per ognuna delle 144 nazionalità presenti in provincia – 133 nel solo Comune di Bologna), è buona prassi: • innanzitutto ‘ri-ingegnerizzare’ il sistema nel suo complesso, così da ottimizzare un certo numero di percorsi definiti come strategici ed incrementare di conseguenza l’accessibilità, la fruibilità e l’efficacia generali; • in un secondo momento, all’interno di uno scenario così impostato, valutare l’opportunità e la fattibilità di aprire alcuni spazi effettivamente ad hoc rispetto a specifici gruppi target. PAGINA 24 4) Lavorare per progetti, favorendo la compartecipazione degli operatori, da un lato, e dei cittadini immigrati, dall’altro. Aprire canali, stipulare patti, mettere in grado di offrire ed usare i servizi. 5) Puntare sulla formazione e sull’ aggiornamento professionale continuo degli operatori, per disseminare al meglio le conoscenze e pratiche, in modo tale da non creare solo dei centri di eccellenza, o specialistici, bensì rispondere capillarmente alla domanda del territorio, delle zone urbane così come di quelle più periferiche. “Diffondere questo tipo di forma mentale tra gli operatori”, commenta un operatore, “così che ovunque diventi possibile trovare operatori in grado – istituzionalmente e come persone – di prendere in carico, di mettersi in relazione con utenti immigrati – almeno ad un primo livello”. INFO. Giovanna Dallari, “Progetto Speciale Immigrati” dell’Azienda USL Città di Bologna, tel. 051.657.40.318, [email protected]. (La dott.ssa Dallari cerca operatori sanitari e persone interessate a collaborare alle molte iniziative in via di realizzazione ed ideazione). Raccomandazioni di medicina delle migrazioni 1. E’ urgente avviare un monitoraggio e una sorveglianza sull’applicazione del Decreto Legislativo 286 del 1998 in ambito sanitario (sussistenza di problemi a livello locale nell’iscrizione obbligatoria al SSN). 2. [v. nota] 3. Riprendere i lavori della Commissione per le politiche d’integrazione e della Consulta Nazionale degli stranieri immigrati e delle loro famiglie previste dalla normativa nazionale e ferme da oltre un anno e convocare urgentemente la Commissione specifica del Ministero della salute istituita per Decreto del Ministro della Sanità del 30 maggio 2001 mai riunita, strumenti efficaci per la comprensione del fenomeno e l’individuazione di reali percorsi di tutela dei soggetti. 4. Emanare il Progetto Obiettivo Salute Immigrati, previsto dal Piano Sanitario Nazionale e già redatto da esperti riconosciuti e depositato presso il Servizio Studi e Documentazione del Ministero della Salute da oltre un anno, indispensabile supporto delle normative attuali per implementare le azioni di promozione della salute di tutti i cittadini. 5. Prestare un’attenzione particolare alla tutela della salute della donna e del nascituro straniero con interventi di educazione sanitaria e prevenzione. Visto l’alto numero di IVG tra le donne straniere, bisogna intervenire con strumenti specifici di tipo preventivo che siano svolti in modo culturalmente sensibile. Si auspicano progetti di ricerca per la comprensione del fenomeno che possano indirizzare tali interventi. 6. E’ necessaria una specifica sorveglianza sul lavoro perché il rischio di infortuni e di malattie professionali pare essere alto tra gli immigrati. Tale sorveglianza dovrebbe tradursi in azioni concrete sia nei confronti degli immigrati lavoratori sia tra i datori ed imprenditori per una prevenzione reale ed efficace. 7. Avviare una riflessione scientifica su una geriatria dell’immigrazione: è in atto un progressivo invecchiamento della popolazione straniera ed è possibile che tale processo avvenga con modalità peculiari. 8. Prestare un’attenzione specifica alla crescita psicologica dei bambini stranieri con un occhio particolare all’entrata in un’adolescenza differente da quella conosciuta dai padri, che può indurre tensioni e incomprensioni familiari oltre che sofferenze psichiche. 9. Intervenire urgentemente nei confronti della popolazione più fragile e a rischio, quella dei rifugiati e in particolare delle vittime di violenza e tortura, i cui problemi sono lungi dall’essere risolti. La mancanza di alloggi protetti, di un attento supporto sociale, linguistico-culturale, psicologico, sanitario hanno un notevole risvolto negativo sulla salute psico-fisica. 10. Predisporre una pianificazione sanitaria specifica e politiche ad alta integrazione per la popolazione zingara sia straniera che di cittadinanza italiana, parte della quale è fortemente discriminata e spesso marginalizzata. Nota: il secondo punto raccomandava alcune modifiche al disegno di legge Bossi-Fini in discussione al momento della stesura di questo ‘decalogo’. Nessuna delle richieste è stata poi incorporata nella legge ora promulgata sull’immigrazione. L’attenzione era volta in particolar modo a: “l’immagine strumentale dello straniero ridotto a mera forza-lavoro”, “i criteri restrittivi per i ricongiungimenti familiari”, “l’assenza di una procedura semplificata per l’asilo insieme al mancato finanziamento del Piano Nazionale Asilo”. (Raccomandazioni elaborate dalla VII Consensus Conference sulla Medicina delle Migrazioni “Tertio Millennio Inuente: migration, new scenarios for old problems”, maggio 2002. Estratto da: www.simmweb.it) ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 25 Dieci regole per l’assistenza sanitaria agli immigrati SE SEI UN OPERATORE SANITARIO 1. Tutti gli stranieri non appartenenti all’Unione Europea presenti in Italia con regolare permesso di soggiorno per i seguenti motivi: lavoro, motivi familiari, asilo politico, asilo umanitario, richiesta di asilo, attesa adozione, affidamento, acquisto della cittadinanza, hanno l’obbligo di iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale. Con l’obbligatorietà si è in effetti voluto facilitare la tutela della salute degli stranieri, che è anche garanzia della salute di tutti. 2. Con l’iscrizione si acquisiscono gli stessi diritti e doveri di assistenza riconosciuti ai cittadini italiani. Ciò rende tutto più facile: quello che è previsto per i cittadini italiani (medicina preventiva, medicina generale, visite ed esami specialisti, ricoveri, assistenza farmaceutica, esenzione ticket, etc.) vale anche per gli stranieri immigrati iscritti al SSN. 3. L’assistenza è garantita anche ai familiari a carico regolarmente soggiornanti. 4. L’iscrizione si effettua presso la Azienda USL di residenza o di dimora (quella indicata sul permesso di soggiorno) e vale fino allo scadere del permesso. Per iscriversi sono sufficienti il permesso di soggiorno, il codice fiscale e il certificato di residenza (sostituibile, se lo straniero non è residente, con una sua dichiarazione scritta di dimora abituale). Se uno straniero che ne ha obbligo/diritto non ha ancora formalizzato la sua iscrizione, ciò non deve comportare in alcun modo l’impossibilità ad assisterlo: in questo caso, anzi, l’iscrizione sarà fatta d’ufficio. Per mantenere l’iscrizione allo scadere del permesso di soggiorno è sufficiente che lo straniero esibisca all’anagrafe sanitaria il cedolino della richiesta di rinnovo rilasciato dalla Questura. 5. Gli stranieri studenti o collocati alla pari, e quelli con permesso di soggiorno per altri motivi, ad esempio per residenza elettiva o per motivi religiosi, hanno due possibilità: o sottoscrivere una polizza assicurativa privata riconosciuta in Italia contro il rischio di malattie e infortunio e per la tutela della maternità, o iscriversi volontariamente al SSN pagando una quota fissa annuale variabile secondo la tipologia del permesso. Con l’iscrizione volontaria al SSN possono essere assistiti anche eventuali figli a carico: ciò significa che questi bambini possono avere il “pediatra di libera scelta”. Questa iscrizione ha validità annuale e va quindi rinnovata. 6. Se gli stranieri hanno invece un permesso di soggiorno di breve durata, per esempio per affari o per turismo, devono avere un’assicurazione privata, o altrimenti pagare per intero tutte le cure e prestazioni eventualmente ricevute. Queste ultime categorie non possono iscriversi al SSN. 7. Anche agli stranieri irregolari (cioè privi del permesso di soggiorno in corso di validità), sono comunque assicurate, nei presidi pubblici e privati accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio e gli interventi di medicina preventiva. In particolare sono garantiti: • la tutela della gravidanza e della maternità; • la tutela della salute del minore; • le vaccinazioni e gli interventi di profilassi internazionale; • la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive. L’erogazione di queste prestazioni è legata ad una tessera/codice “STP” (Straniero Temporaneamente Presente) rilasciabile dalle Aziende sanitarie. Queste disposizioni rispondono soprattutto ad esigenze di sanità pubblica: la “clandestinità sanitaria” non conviene infatti a nessuno! Per cure essenziali si intendono “le prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti)”. 8. In caso che gli stranieri siano indigenti, le prestazioni citate al punto 7) gli sono assicurate senza spese a loro carico, ad eccezione dei casi in cui, anche per gli altri stranieri regolari e per gli italiani, sia previsto il pagamento del ticket. L’indigenza deve essere dichiarata compilando un modulo che è allegato alla Circolare ministeriale n. 5/2000. 9. La legge vieta alle strutture sanitarie di segnalare alle autorità di polizia la presenza di irregolari (tranne nei casi in cui sia obbligatorio il referto anche per gli utenti italiani). Se ciò avvenisse, in breve tempo nessun clandestino si rivolgerebbe più alle strutture sanitarie e questo è proprio ciò che bisogna evitare: non vi sarebbe infatti altra possibilità efficace di verificare le condizioni di salute dei soggetti comunque presenti sul territorio nazionale, a tutela della salute dell’intera collettività! Inoltre compito precipuo degli operatori e dell’organizzazione sanitari è di aiutare chi sta male. ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 26 10. Chi voglia venire in Italia per essere curato deve prima ottenere un visto di ingresso e un permesso di soggiorno per cure mediche. Per ottenerlo occorre siano soddisfatti una serie di requisiti e adempimenti di natura giuridico-amministrativa (dichiarazione della struttura sanitaria prescelta, pubblica o privata accreditata, che indichi il tipo di cura e la sua presumibile durata), economica (versamento alla stessa struttura di un deposito cauzionale pari al 30% del costo complessivo presumibile delle prestazioni richieste) e sociale (documentazione comprovante disponibilità di vitto e alloggio fuori dalla struttura sanitaria e di rimpatrio per l’assistito e per l’eventuale accompagnatore). SE SEI UNO STRANIERO 1. Se sei straniero (da un paese non appartenente all’Unione Europea) e hai un regolare permesso di soggiorno per i seguenti motivi: lavoro, motivi familiari, asilo politico, asilo umanitario, richiesta di asilo, attesa adozione, affidamento, acquisto della cittadinanza, devi iscriverti al Servizio Sanitario Nazionale (il SSN cioè il sistema di assistenza pubblica). E’ un diritto/dovere che protegge la tua salute! 2. Con l’iscrizione acquisisci gli stessi diritti e doveri che hanno i cittadini italiani: cioè puoi sceglierti il tuo medico di fiducia (cui rivolgerti per problemi non gravi e urgenti), o fare tutte le visite e gli esami specialistici, o essere ricoverato in ospedale e prendere le medicine che i medici ti indicheranno. In alcuni casi dovrai pagare, come gli altri cittadini italiani, una parte delle spese di assistenza (il ticket). 3. L’assistenza è garantita anche ai tuoi familiari a carico e regolarmente soggiornanti (moglie, marito, figli, fratelli o sorelle, genitori, etc.), se ne hai qui in Italia. 4. Per iscriverti devi rivolgerti alla Azienda Sanitaria Locale (ASL) della città, zona o quartiere dove hai la residenza o la dimora (quella indicata dal tuo permesso di soggiorno). Per iscriverti bastano il permesso di soggiorno, il codice fiscale e, se ce l’hai, il certificato di residenza (che può essere sostituito da una tua dichiarazione scritta di dimora abituale). Quando andrai a iscriverti, dovrai scegliere il tuo medico di fiducia tra quelli che sono nell’elenco della Azienda USL: preparati prima! Se hai bambini, dovrai anche scegliere il loro pediatra. L’iscrizione alla Azienda USL vale fino allo scadere del permesso di soggiorno. Quando presenterai domanda di rinnovo del permesso, ricordati di mostrare il cedolino della richiesta all’ufficio anagrafe sanitaria della Azienda USL, altrimenti rischi di essere tolto dall’elenco degli assistiti! 5. Se sei uno studente o sei collocata/o alla pari, o hai un permesso di soggiorno per motivi diversi, per esempio per residenza elettiva o per motivi religiosi, hai due possibilità: o avere un’assicurazione riconosciuta (cioè considerata valida) in Italia, contro il rischio di malattie e infortunio e per tutela della maternità, o iscriverti al SSN (iscrizione volontaria) pagando una quota fissa annuale: informati alla Azienda USL. Con l’iscrizione volontaria al SSN possono essere assistiti anche i tuoi figli a carico, se ne hai; questa iscrizione ha validità annuale e va quindi rinnovata. 6. Se invece hai un permesso di soggiorno di breve durata, per esempio per affari o per turismo, devi avere un’assicurazione privata, o dovrai pagare per intero tutte le cure e prestazioni eventualmente ricevute. 7. Anche se non hai un permesso di soggiorno valido (ti è scaduto e non è stato rinnovato o non lo hai mai avuto), ma hai dei problemi di salute importanti, il SSN italiano ti dà la possibilità di essere curato, sia in ambulatorio che in ospedale, con una tessera o codice chiamata “STP”. Ciò vale specialmente per le donne in gravidanza o diventate mamme, i bambini e le persone che hanno una malattia infettiva. E’ importante che tu chieda aiuto alle strutture sanitarie pubbliche se non stai bene, anche per proteggere le altre persone che potrebbero ammalarsi. Ricordati che spesso anche associazioni di volontariato ti possono aiutare. 8. Se sei povero non dovrai pagare i medici e le strutture, ma contribuire solo con una piccola parte della spesa (il ticket) e solo quando è previsto anche per gli altri stranieri regolari e per gli italiani. 9. Anche se sei clandestino non devi avere timore di andare dal medico o in ospedale: la legge italiana vieta di denunciarti alla polizia per il fatto che non hai il permesso di soggiorno; il compito dei medici, degli infermieri e di tutta la organizzazione è infatti aiutare chi sta male. 10. Se sei ancora all’estero e vuoi venire in Italia per farti curare, dovrai prima ottenere un visto di ingresso e un permesso di soggiorno per cure mediche. Non è una cosa facile, perché per averlo devi presentare una documentazione particolare (informati presso la rappresentanza diplomatica o consolare). In particolare dovrai versare alla struttura sanitaria che ti curerà un deposito pari al 30% delle spese di assistenza previste. Inoltre devi dimostrare di poter pagare tutte le cure ricevute e le spese di rimpatrio, e di aver in Italia, per tutto il periodo delle cure, la disponibilità di vitto e alloggio, per te e per un tuo eventuale accompagnatore. (Documentazione tratta dal sito Web del Ministero della Salute. NB. Le 10 regole “SE SEI UNO STRANIERO” sono liberamente scaricabili, tradotte in 6 lingue – oltre all’italiano, anche in inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese , dallo stesso sito). ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 27 ANNO 2002, NUMERO 3 PAGINA 28 Il rapporto è stato curato da: Raffaele Lelleri Elaborazioni statistiche: Eugenio Gentile Grafica, Editing a cura di Eugenio Gentile dell’Osservatorio delle Immigrazioni Stampa: Centro Stampa della Provincia di Bologna Ringraziamo la collaborazione di: Giovanna Dallari (AUSL Città di Bologna), Vincenzo Caporaso (Istituzione Minguzzi), Marzia Casolari (Associazione Cidis/Alisei), Ruba Salih (Università di Bologna), la Caritas Romana, la ditta ORAGNON, tutti i partecipanti ai focus group, Angelo Conti (AUSL Imola) e Angela Fortunato (Caritas Misericordia) P RO V I N C I A D I B O L O G N A C O M U N E D I B O L OG N A OSSERVATORIO DELLE IMMIGRAZIONI Via del Borgo di San Pietro 90/G, 40126, Bologna presso il Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna 7HO (PDLO )D[ ² UDIIDHOHOHOOHUL#QWVSURYLQFLDERORJQDLW HXJHQLRJHQWLOH#QWVSURYLQFLDERORJQDLW , PDWHULDOL GHOO¶2VVHUYDWRULR VRQR VX ,QWHUQHW 1HO VLWR ³/D FLWWj PXOWLHWQLFD´ ZZZFRPXQHERORJQDLW H ZZZSURYLQFLDERORJQDLWLPPLJUD]LRQH Osservatorio delle Immigrazioni – Anno 2002 – N° 3 Supplemento al N°5 di “Portici” bimestrale della Provincia di Bologna, anno VI, ottobre 2002. Direttore responsabile: Roberto Olivieri Iscrizione Tribunale di Bologna n° 6695 del 23/7/97 – Spedizione in A. P. art. 2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Bologna