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La piena comunione con il Papa e con la Chiesa:
l’ingresso nella famiglia cattolica degli Anglicani.
La Chiesa anglicana così si definisce: “Un’associazione, all’interno della Chiesa una, santa, Cattolica e
Apostolica di quelle diocesi, Province e Chiese Regionali, debitamente costituite, in comunione con la sede
di Canterbury, che hanno in comune le caratteristiche seguenti: sostengono e propagano la fede e l’ordine
cattolico e apostolico come generalmente manifestato nel Common Prayer Book secondo le autorizzazioni
delle varie Chiese; sono Chiese particolari e nazionali e, come tali, promuovono in ciascuno dei loro
sostenitori un’espressione nazionale della fede, vita e culto cristiano; e sono legate tra loro, non da
un’autorità legislativa ed esecutiva centrale, ma da una reciproca lealtà sostenuta attraverso deliberazioni
prese in comune dai Vescovi in Conferenza” (Conferenza di Lambeth, 1930). Tale definizione è di notevole
interesse perché prescinde dal fatto che la Chiesa d’Inghilterra è stata fondata dalla Chiesa di Roma, e che in
una certa epoca l’Inghilterra è stata vassalla della Santa Sede.
La Riforma anglicana Soprattutto non si fa cenno al decreto del 1534 col quale Enrico VIII si proclamò
capo della Chiesa d’Inghilterra, con la facoltà di nominare i vescovi delle diocesi del Regno e il potere di
sottolineare certi aspetti della dottrina cristiana, rendendo responsabili davanti alle leggi civili quei sudditi
britannici che non le professassero, per esempio i Sei articoli o i Trentanove articoli, che ebbero il compito di
distinguere la Chiesa anglicana dalle Chiese del continente. Detto in altri termini, la Chiesa d’Inghilterra
afferma di essere la Chiesa istituita da Cristo, ma di non tollerare intromissioni da parte di altre Chiese,
somigliante per questo aspetto alle Chiese ortodosse, unanimi nel negare ogni autorità della Chiesa di Roma
nel loro ambito. Appare sempre più chiaro che la riforma protestante è una conseguenza del nazionalismo
che aveva individuato nella creazione di Chiese nazionali il mezzo per rifiutare un organismo internazionale
come la Chiesa cattolica romana. Il primo frutto di questa decisione fu la confisca del patrimonio
ecclesiastico. In Inghilterra esso ascendeva a trentanove grandi monasteri e a oltre duecento piccoli
monasteri e conventi, con le terre di dotazione. Il patrimonio ecclesiastico, in larga misura, fu accaparrato
dalla nobiltà e fruttò allo Stato un milione e mezzo di sterline. Nel nord, i coloni dei monasteri compirono il
famoso “pellegrinaggio di grazia” a York. Il re fece alcune promesse finché ebbe le truppe per disperdere un
assembramento che non era una ribellione, ma che sarebbe bastato poco perché lo divenisse. Un’altra
conseguenza fu il crollo dell’assistenza ai poveri che così si trasformarono in miserabili per i quali rimaneva
la risorsa del furto, sempre con esiti tragici. Infatti, la morte per impiccagione, anche solo per il furto di un
lenzuolo steso ad asciugare e tirato giù con un rampino, segnava la fine della carriera di ladro.
Conseguenze sociali della Riforma
Al tempo di Elisabetta I, le condanne a morte per furto di oggetti
anche di modesta entità furono almeno settantamila. L’altra risorsa era l’arruolamento nella marina: una
prospettiva dura perché la mortalità sulle navi di allora, specialmente nei lunghi viaggi oceanici, era
altissima, almeno fino alla seconda metà del Settecento, quando fu scoperto il metodo per sconfiggere lo
scorbuto. Si dice che questa è stata la via maestra della modernità e che occorreva percorrerla fino in fondo.
Nelle terre dei monasteri, alcuni dei quali rimangono come romantiche rovine coperte di edera (Tintern
Abbey, per esempio, nel noto poema di Wordsworth), si praticava la modalità dei campi aperti impiegando
tecniche agricole obsolete in grado di fornire solamente il necessario per il sostentamento dei contadini, con
un piccolo margine destinato al mercato più vicino. Si scoprì che, se quelle terre venivano recintate e
destinate al pascolo delle pecore, gli addetti erano molto meno numerosi e la lana prodotta alimentava la
principale voce del bilancio nazionale. Coi proventi della lana si poteva importare il grano della Hansa di
Lubecca a prezzi vantaggiosi. Fu così che l’Inghilterra poté iniziare la rivoluzione industriale basata
sull’industria tessile, della lana e del cotone, il secondo importato dall’America. L’industria tessile aveva
bisogno di macchine per tessere, per filare, e aveva bisogno di altiforni per fondere il ferro, con carbone per
alimentare anche le macchine a vapore: tutto ciò fu conseguito negli anni intorno al 1760.
Sviluppi dell’anglicanesimo La meravigliosa macchina della rivoluzione industriale aveva bisogno di una
grande concentrazione di capitali. Nel Cinquecento, dopo la confisca del patrimonio ecclesiastico, ci si
accorse che le spese di guerra, per opporsi all’egemonia spagnola ai tempi di Carlo V e Filippo II, erano
altissime. Il modo più pratico per radunare quei capitali ingenti fu il finanziamento della pirateria ai danni dei
galeoni spagnoli che trasportavano metalli preziosi americani.
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Furono costruite navi più agili e veloci dei galeoni spagnoli, armate di artiglierie di minore calibro, ma di
maggiore gittata. Si attendevano i galeoni spagnoli nella stagione opportuna nel canale tra Cuba e la Florida,
tormentando la flotta spagnola con tiri da lontano, per abbattere alberi e sartiame. Seguiva la resa dei galeoni
disalberati seguita da confisca del carico. I pirati più famosi come Drake e Raleigh, furono nominati
baronetti. La regina Elisabetta I partecipava a vere e proprie società per azioni che fruttavano rendite annuali
altissime. Il fenomeno dell’enclosure ossia la recinzione dei campi aperti, continuava e perciò ogni anno
c’erano contadini che dovevano arruolarsi in marina o emigrare in America. Il famoso viaggio del
Mayflowers, compiuto dai padri pellegrini nel Massachusetts, risale al 1620. Costoro erano calvinisti che si
erano rifugiati in Olanda. Quando seppero che gli Spagnoli stavano per riprendere la guerra contro i ribelli
dei Paesi Bassi, decisero il trasferimento definitivo in America, vissuto come l’ingresso di Giosuè nella Terra
Promessa, con sterminio di Amaleciti, Ferezei, Gebusei identificati con le tribù indiane. Non ci fu alcuna
missione calvinista o anglicana tra gli indiani, considerati dannosi entro i confini delle Tredici colonie
atlantiche, mentre apparivano utili nel Canada perché collocavano le trappole di cattura degli animali da
pelliccia nella stagione più fredda. Gli indiani apparivano come i destinatari del commercio più lucroso per i
Francesi che per primi esplorarono il grande territorio canadese. Furono tuttavia gli Inglesi a trasferire un
numero imponente di coloni in America. Il primo prodotto divenuto motore del capitalismo nelle isole dei
Caraibi fu la produzione di zucchero, accettato in misura crescente da tutti i mercati. Dopo aver estratto lo
zucchero dalle canne macinate, per fermentazione e successiva distillazione si otteneva rum. Nel
Massachusetts c’erano almeno venti grandi distillerie per produrre rum, subito contrabbandato nel grande
nord canadese e ceduto agli indiani in conto pagamento delle pellicce. Furono vendute anche armi da fuoco e
polvere da sparo, volute dalle tribù indiane per farsi la guerra tra loro. I Gesuiti francesi, inviati come
missionari tra gli Huroni, compresero la necessità di isolare gli indiani dal commercio dei bianchi, perché
tanto il rum quanto le armi distruggevano la vita degli indigeni. Anche in Canada ci fu l’esperimento delle
reducciones perché le tribù indiane potessero evolvere al riparo degli effetti devastanti del loro incontro con i
bianchi. Per gli indiani del Nordamerica non ci fu nulla di equivalente alle Leyes nuevas di Carlo V a favore
degli indiani dell’America latina e la conseguenza è stata la scomparsa degli indigeni in tutta l’America di
lingua inglese, dal momento che nel 1763 i Francesi dovettero cedere il Canada agli Inglesi. In seguito ai
viaggi di esplorazione di James Cook anche Australia e Nuova Zelanda entrarono nel bottino coloniale
britannico che ottenne il suo massimo risultato con la sconfitta del Gran Moghol nell’India settentrionale,
seguita dall’occupazione di Calcutta che convogliava il commercio dell’Oceano Indiano. L’Olanda era stata
sconfitta al tempo di Cromwell (1642-1658), e perciò il capitale congiunto anglo-olandese teneva
strettamente in pugno la ricchezza del mondo. L’anglicanesimo non fu il motore, ma certamente fu
beneficiario dell’espansione inglese nel mondo intero, in quanto religione dei dominatori. Quando le Tredici
colonie atlantiche si proclamarono indipendenti, certamente non era più accettabile il termine “anglicano”,
sostituito dal termine “episcopaliano” per distinguersi dai puritani del New England che si proclamarono
“presbiteriani”.
Liberalismo e protestantesimo
Il maggiore critico della rivoluzione francese, quando ancora il
movimento era agli inizi, fu Edmund Burke con le Osservazioni sulla rivoluzione francese, che ebbero il
compito di favorire l’opposizione agli ideali rivoluzionari. Gli Inglesi avevano già sperimentato gli effetti
della guerra civile al tempo di Cromwell, operando una svolta costituzionale di enorme importanza con
l’introduzione del primo regime parlamentare, all’insegna del principio che il re regna ma non governa,
perché quest’ultimo compito viene svolto dal premier che ha vinto le ultime elezioni e che fino alle prossime
detterà la politica di sua maestà. Contro gli ideali rivoluzionari francesi, in Inghilterra e in Germania si
sviluppò la cultura romantica comportante il ritorno al sentimento, privilegiato a scapito del freddo
razionalismo, con autentica passione per la cultura medievale, vissuta in qualche modo come antidoto
dell’illuminismo che aveva il torto di aver generato la rivoluzione francese. Occorre ricordare che per alcuni
anni, tra il 1792 e il 1801, in Londra vissero da rifugiati almeno cinquemila sacerdoti cattolici francesi, con
tanta dignità e sopportazione dei sacrifici da smentire l’immagine polemica che si conservava a carico dei
cattolici. In Inghilterra, tra il 1822 e il 1832 si ebbe un periodo di riforme importanti che operò il passaggio
alla modernità da parte della società britannica.
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Fu riformata la polizia e istituita la sezione scientifica (Scotland Yard); furono legalizzate le Trade Unions e
quindi gli scioperi operai; fu abolito il Test Act a carico dei cattolici che perciò non risultavano più cittadini
di seconda categoria; e finalmente furono ridisegnati i collegi elettorali, sancendo il tramonto del ceto agrario
a favore del ceto industriale delle città. Fu così che andarono al potere i liberali rimanendovi per oltre un
ventennio.
Il movimento di Oxford
In coincidenza con l’arrivo al potere dei liberali inizia, nel 1832, il cosiddetto
Movimento di Oxford, operato da un gruppo di professori di quella università tra cui si segnalano John Keble
e John Henry Newman. Questo movimento viene chiamato anche trattariano perché, nel corso di circa dieci
anni, procedette alla pubblicazione di novanta Tracts for the Times, opuscoli o anche libri corposi redatti
seguendo il metodo della ricerca storico-critica. Semplificando, potremmo dire che secondo il metodo
storico-critico si devono accettare come scientificamente fondate solamente le notizie che provengono da
almeno due fonti indipendenti tra loro affermanti la stessa cosa, meglio ancora se una delle fonti viene
dall’archeologia, perché in questo caso si tratta di autopsia. Applicando questo metodo alla storia del
cristianesimo acquistano enorme importanza l’archeologia cristiana, per esempio l’esplorazione delle
catacombe, e la letteratura cristiana più antica, dai padri apostolici ai padri della Chiesa vissuti nel IV e V
secolo. John Henry Newman pubblicò nel 1833 Gli ariani del IV secolo, uno studio molto importante
sull’eresia ariana, scritta dopo attenta lettura delle fonti utili per comprendere quella grande crisi in seno al
cristianesimo, risolto solo in parte con la celebrazione del concilio di Nicea del 325. Ario si era formato nella
scuola teologica di Antiochia, ma operava come presbitero in Alessandria d’Egitto. Nella sua predicazione
arrivò a dire che Cristo non doveva essere considerato uguale al Padre, e quindi coeterno. Bisognava
ammettere che ci fosse stato un tempo in cui Cristo non era. La predicazione di Ario, in un ambiente in cui
mai era stata udita un’affermazione del genere, provocò la reazione del vescovo Alessandro che riunì un
sinodo egiziano, aprendo il dibattito su quelle novità inquietanti. Atanasio dimostrò che se non si ammetteva
la divinità di Cristo, come si era sempre fatto in precedenza, con la sua morte in croce non sarebbe avvenuta
la redenzione dell’umanità e ciascuno si ritroverebbe nell’antico peccato. La conclusione della discussione fu
la richiesta di ritrattazione da parte di Ario, per evitare la scomunica. Ario si appellò ai vescovi dell’oriente,
presentando l’incidente come un tentativo di togliere valore all’insegnamento della scuola di Antiochia,
illustre quanto poche altre. La notizia della disputa giunse alle orecchie di Costantino che temeva
complicazioni politiche nelle due province più importanti dell’impero. Perciò decise di convocare e
presiedere a Nicea il primo concilio ecumenico della Chiesa, terminato con la condanna di Ario che raccolse
solo due voti contro circa trecento dei vescovi convenuti. Al termine del suo studio, Newman poté costatare
che la crisi ariana presentava un impressionante parallelismo con la crisi protestante del XVI secolo, dove gli
ariani si potevano assimilare ai luterani e ai calvinisti, i semiariani agli anglicani e la Chiesa cattolica, come
era avvenuto nel IV secolo, rimaneva in possesso dell’ortodossia. A partire da quel momento i vari trattati,
redatti da docenti di Oxford, assunsero un crescente contenuto cattolico che non giustificava più l’azione
della Riforma e la frattura nell’unica Chiesa voluta da Cristo, per la quale aveva pregato perché ci fosse un
unico ovile e un solo pastore. I vescovi anglicani imposero, nel 1841, la cessazione di quelle pubblicazioni e
Newman obbedì. Per due anni, fino al 1843, mantenne il silenzio, poi nel 1845 rese noto il suo passaggio al
cattolicesimo, dimettendosi dall’università. In seguito fu consacrato sacerdote e inviato in patria col compito
di fondare in Birmingham l’Oratorio inglese secondo lo spirito di San Filippo Neri. Non si trattò di una
promozione perché i cattolici inglesi conservavano un profilo sociale molto modesto. Si calcola che il
numero dei passaggi di anglicani alla Chiesa cattolica, negli anni successivi alla conversione di Newman,
siano circa quattromilacinquecento. Nel 1851, nella Chiesa d’Inghilterra, fino a quel momento diretta da
quattro visitatori apostolici itineranti dipendenti dalla Congregazione de Propaganda fide, furono istituite otto
diocesi con vescovi residenti. Nicolas Wiseman, già rettore del seminario inglese a Roma, fu nominato
cardinale e vescovo di Westminster. Forse in modo poco tempestivo egli affermò che in Gran Bretagna stava
sorgendo una nuova primavera per la Chiesa cattolica. Il governo liberale dell’epoca, dominato da alcuni
radicali come lord Parmerston e lord Russel, non gradì quelle affermazioni facendo votare una multa di cento
sterline a carico di chi si fosse dichiarato vescovo di una città in cui esisteva il vescovo anglicano.
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Inoltre, il governo inglese favorì quei personaggi come Garibaldi e Mazzini che si accingevano a rendere
difficile l’esistenza dello Stato della Chiesa o del Regno delle Due Sicilie che, al tempo della Repubblica
Romana di Mazzini, Saffi e Armellini, aveva offerto asilo politico al papa Pio IX. Poiché la Chiesa cattolica
conserva diligente memoria degli avvenimenti passati, sembra di poter dire fin d’ora che il ritorno di alcuni
anglicani in seno alla Chiesa cattolica non sarà salutato con manifestazioni di giubilo. Forse la Chiesa
anglicana comunicherà il suo gradimento perché alcuni dei suoi fedeli, non trovandosi più a loro agio nella
Chiesa riformata, saranno accolti nell’antica Chiesa secondo alcune modalità atte a preservare la loro
peculiare sensibilità britannica.
L’Impero britannico
Frattanto in Asia e Africa continuava l’espansione dell’Impero britannico. In
particolare, le esplorazioni in Africa compiute da David Livingstone ebbero risonanza mondiale. Livingstone
era un pastore della Chiesa anglicana, ma in lui finì per prevalere l’esploratore, il diffusore dell’impero
britannico, esteso su un quarto delle terre emerse del mondo. Tuttavia stavano maturando alcuni problemi
non risolti. In India ci fu la rivolta dei Sepoys, i soldati mercenari indiani, trattati meno bene dei soldati
britannici per quanto riguardava stipendio e carriera, con una repressione giudicata atroce La regina Vittoria
favorì la creazione di un Impero britannico del subcontinente asiatico anche per contrastare l’espansionismo
russo nell’Asia centrale, ma incappò nella rete del razzismo quando escluse che i cittadini britannici in
tribunale potessero esser processati da giudici indiani. Di conseguenza gli indiani formarono il Partito del
Congresso che col passare del tempo proclamò l’indipendenza dell’India. L’anglicanesimo rimase la
religione della minoranza dominatrice, mentre avveniva la rinascita di induismo, buddismo, islamismo
vissuti come espressione del patriottismo indiano. La stessa cosa avvenne in Sudafrica.
L’ecumenismo tra i protestanti
Nel corso di un congresso missionario celebrato nel 1907 si percepì la
protesta dei neofiti cristiani presenti in Asia e Oceania che trovavano incomprensibile la divisione tra i
cristiani. Dopo la Prima guerra mondiale in seno alle confessioni protestanti sorsero due movimenti volti a
rimuovere le cause delle divisioni tra cristiani. Il movimento ecumenico proseguì anche dopo la Seconda
guerra mondiale, ricevendo attenzione anche da parte della Chiesa cattolica che nel corso del Concilio
ecumenico Vaticano II compì alcuni passi di particolare importanza. Con Ortodossi e Anglicani avvennero
alcuni storici incontri che sembravano procedere nella direzione giusta, ma ci furono anche alcune battute
d’arresto, in particolare a seguito della decisione di ammettere al sacerdozio le donne, una decisione
suggerita dal movimento femminista, e la liberalizzazione dell’omosessualità, promossa come se fosse un
diritto fondamentale della persona scegliere l’identità di genere nel corso della vita, con facoltà di celebrare il
matrimonio tra persone dello stesso sesso. Le due decisioni, accolte dalla conferenza permanente di
Lambeth, lasciando libere le comunità anglicane di accoglierle o meno in omaggio alla libertà e
responsabilità dell’individuo, hanno certamente provocato una battuta d’arresto nel processo di unificazione
delle religioni cristiane. A ciò si deve aggiungere che la pratica religiosa, nella Chiesa anglicana, è caduta a
livelli molto bassi: forse solamente il 2% di coloro che si professano anglicani frequenta regolarmente la
Messa domenicale. Perciò non desta meraviglia il fatto che i più praticanti tra gli anglicani si siano rivolti
alla Chiesa cattolica in numero significativo. Sono circa un migliaio i pastori anglicani disposti a entrare
nella Chiesa cattolica. Nelle sole diocesi di New York e Washington, circa settemila fedeli hanno ottenuto
l’ingresso nella Chiesa cattolica nella passata notte di Pasqua. Sono numerosi gli anglicani in Nigeria e
Sudafrica desiderosi di riunirsi alla Chiesa cattolica. Nel settembre 2010 questi problemi saranno affrontati
nel corso della visita in Inghilterra del papa Benedetto XVI, in occasione della beatificazione del cardinale
John Henry Newman.
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