LAURA MOSCATI
Un “Memorandum” di John Locke tra
Censorship e Copyright
Lungo l’arco temporale del XVIII secolo si pongono le basi per la nascita e
la prima stabilizzazione dei due grandi sistemi di copyright e di droit d’auteur.
Il primo vede le sue origini all’inizio del secolo in Gran Bretagna, dove si costruiscono le principali categorie che si svilupperanno nel diritto angloamericano. Il secondo, sul finire del secolo, trova una sua moderna espressione in
Francia, quale modello che verrà ripreso nell’Europa continentale-occidentale.
È naturale che alla base dei fenomeni indicati vi sono esigenze sociali ed
economiche emerse con forza determinando uno sbocco legislativo, tale da restare ben saldo per molto tempo. Come è noto, i due sistemi normativi sono
sempre stati considerati paralleli e con esigue connessioni tra loro se, alla luce
di una specifica storiografia degli ultimi decenni1, non si fosse ritenuto oppor-
* Questo lavoro, che dedico a Manlio Bellomo, trae spunto dalla prima lezione
tenuta nell’ottobre 2003 presso la Scuola Internazionale di Diritto Comune di Erice da
lui diretta.
1 Si veda in particolare D. Saunders, Authorship and Copyright (London 19922); A.
Strowel (ed.), Droit d’auteur et copyright. Divergences et convergences. Etude de droit
comparé (Bruxelles-Paris 1993); J.C. Ginsburg, ‘A Tale of Two Copyrights: Property in
Rivolutionary France and America’, in B. Sherman - A. Strowel (eds.), Of Authors and
Origins. Essays on Copyright Law (Oxford 1994) 134-58; Strowel, ‘Droit d’auteur et
Copyright: Between History and Nature’, in Sherman - Strowel (eds.), Of Authors and
Origins; P.-E. Moyse, ‘La nature du droit d’auteur: droit de propriété ou monopole?’,
Revue de droit de Mc Gill, 43 (1998), 507-63; Y. Gendreau, ‘Genèse du droit moral dans
les droits d’auteur français et anglais’, Revue de la recherche juridique, 1 (1981) 41-47 e
la tesi di dottorato di L. Pfister, L’auteur, proprietaire de son oeuvre? La formation du
droit d’auteur du XVIe siècle à la loi de 1957 I-II (Université Strasbourg III 1999) e più
specificamente quella di F. Rideau, La formation du droit de la propriété littéraire en
France et Grande-Bretagne: une convergence oubliée (Université de Poitier 2000), ora in
parte ripresa per ampliare il discorso ad una comparazione sovranazionale: Id., ‘La
formation du droit d’auteur sous la Restauration de Meiji’, The Hokkado Law Review,
52 (2001) 759-92; un’approfondita impostazione comparativa europea si trova in G.
Davies, Copyright and the Public Interest (London 20022). È interessante sottolineare
che già nel XIX secolo si riteneva degna di attenzione un’analisi di confronto tra i due
sistemi: Etudes sur la propriété littéraire en France et en Angleterre par M.E.
Laboulaye (Paris 1858). Il recente lavoro di U. Izzo (‘Alle radici della diversità tra
copyright e diritto d’autore’, in G. Pascuzzi - G. Caso (eds.), I diritti sulle opere digitali
[Padova 2002] 43-164), che tende piuttosto a evidenziare le divergenze tra i due
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tuno sfumarne i contrasti e aumentarne i punti di contatto in un’ottica più
generale intesa a cercare di ridurre le divergenze tra i sistemi di common law
e di civil law.
La situazione che caratterizzava l’Inghilterra e la Francia d’Ancien Régime era assai simile: in ambedue i Paesi, l’edizione delle opere era fondata su
un regime di concessione di privilegi sovrani di cui era beneficiario quasi
esclusivo un gruppo di librai-editori. In effetti, alcuni di essi avevano sempre
più assunto la posizione di titolari dei diritti di proprietà delle opere, tanto da
potersi sostenere che ancora nel 1776 “Les libraires de Londre avoient voulu,
comme ceux de Paris, s’emparer du commerce par des prorogations du privilege”2. Tale situazione aveva causato la ribellione dei librai che non beneficiavano del sistema di protezione e al contempo la ferma volontà, di coloro che si
sentivano proprietari delle opere da stampare, di mantenere la situazione di
vantaggio.
Nel percorrere la storia delle origini del copyright, come contributo a uno
studio più ampio3, si possono rintracciare alcune risposte ai problemi attuali
sulla base delle diverse strade intraprese dai due sistemi giuridici. È stato in
particolare analizzato un Memorandum di John Locke che da un lato apre la
via alla formazione di un testo normativo, lo Statuto di Anna del 1710, considerato l’apertura del moderno copyright, dall’altro lato offre nuova luce su un
aspetto del pensiero del grande filosofo e politologo inglese poco conosciuto o
comunque non analizzato come apporto tecnico-giuridico.
In Inghilterra il potere monopolistico più forte era quello detenuto dalla
Stationers’ Company, società londinese dedita al commercio dei libri, attiva fin
dal XV secolo con un’organizzazione di stampo medievale4 e che dalla fine del
sistemi, non risulta utilizzabile perché basa il suo discorso su parte della storiografia
da cui cita le fonti senza vederle.
2 Cfr. Rideau, La formation du droit de la propriété littéraire en France et GrandeBretagne 57 (cfr. nt. 1).
3 Cfr. già L. Moscati, ‘Sul diritto d’autore tra codice e leggi speciali’, Iuris vincula.
Studi in onore di Mario Talamanca (Napoli 2001) V, 495-527 = Rivista del diritto
commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 9-10/11-12 (2001) 655-81.
4 Cfr. C. Blagden, ‘The Stationers’ Company in the Civil War Period’, The Library,
5a s., 13 (1958) 1-17, poi ripreso nel più generale e fondamentale Id., The Stationers’
Company. A History, 1403-1959 (Stanford 1960); R. Myers - M. Harris (eds.),
Stationer’s Company and the Book Trade. 1550-1990 (Hardcover 1997); alcuni
documenti della Compagnia sono stati pubblicati da E. Arber, A Transcript of the
Registers of the Company of Stationers of London: 1554-1640, 5 voll. (London 18751894) e da D.F. McKenzie (ed.), Stationers’ Company Apprentices, 1605-40
(Charlottesville 1961); 1641-1700 (Oxford 1974); 1701-1800 (Oxford 1978); L. Ray
Patterson, Copyright in Historical Perspective (Nashville 1968). Cfr. anche A. Birrell,
Seven Lectures of the Law and History of Copyright (London 1899; rist. New Jersey
1971); L. Ray Patterson - S. W. Lindberg, The Nature of Copyright. A Law of Users’s
Rights (Athens & London 1991) 20-27; M. Rose, Authors and Owners. The Invention of
Copyright (Cambridge Mass.1993) 9-13; M. Woodmansee - P. Jaszi, (eds.), The
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UN “MEMORANDUM” DI JOHN LOCKE TRA CENSORSHIP E COPYRIGHT
XVII presenterà una serie di richieste per ottenere una legislazione specifica
in materia. La stampa e la proprietà di libri era, infatti, in mano alla suddetta
corporazione di artigiani, gli Stationers, nell’ambito di una più generale attenzione alle risorse provenienti da profitti monopolistici dovuti al tentativo di
escludere ogni forma di concorrenza5.
Fondamentale è, infatti, il ruolo svolto dalla Stationers’ Company: dal
1557 i sovrani Filippo e Maria la Cattolica avevano emanato una carta che
permetteva alla compagnia il controllo del commercio librario6. Tale carta fu
rinnovata da Elisabetta nel 1560 con l’intento di assicurare alla casa regnante
l’alleanza degli Stationers nel controllo della stampa, in un momento di tensione per la politica inglese coinvolta in gravi conflitti religiosi che minacciavano la stabilità del governo7. Infatti il monopolio concesso agli Stationers serviva anche come strumento per la censura libraria, rafforzandone in tal modo
il potere di gestori del commercio dei libri8. Tale commercio era allora
caratterizzato da due interessi convergenti: da un lato la corona si rendeva
conto che il controllo della stampa era un obiettivo essenziale di preminente
Construction of Authorship. Textual Appropriation in Law and Literature (London
1994) 6-7; J. Feather, Publishing, Piracy and Politics. An Historical Study of Copyright
in Britain (London 1994) 15-17; e in particolare P. Drahos, A Philosophy of Intellectual
Property (Dartmouth 1996) 22-24; Drahos (ed.), Intellectual Property (Aldershot 1999)
224-26; Rideau, La formation du droit de la propriété littéraire en France et GrandeBretagne 24-26 (cfr. nt. 1); Davies, Copyright and the Public Interest 10-11 (cfr. nt. 1);
S. Stokes, Art and Copyright (Oxford-Portland 2003) 9-25; P. Goldstein, Copyright’s
Highway. From Gutenberg to the Celestial Jukebox (New York 20032). Si vedano anche
le brevi annotazioni, peraltro non prive d’imperfezioni, di M. Sarfatti, ‘Origine e
svolgimento del diritto d’autore in Inghilterra’, Rivista di diritto commerciale
industriale e marittimo, 7/1 (1909) 325-27.
5 Sulla stampa in quel periodo cfr. in particolare W.M. Clyde, ‘Parliament and the
Press, 1643-7’, The Library, 4a s., 13 (1933) 399-424; Id., ‘Parliament and the Press. II.
The Presbyterian Tyranny over the Press’, The Library, 4a s., 14 (1933) 39-58 e
soprattutto Id., The Struggle for the Freedom of the Press from Caxton to Cromwell
(Oxford 1934) 48-84; G.B. Harrison, ‘Books and Readers, 1599-1603’, The Library, 4a s.,
14 (1934) 1-33; T. Crist, ‘Government Control of the Press after the Expiration of the
Printing Act in 1679’, Publishing History, 5 (1979) 49-77; S. Lambert, ‘The Beginning
of Printing for the House of Commons, 1640-42’, The Library, 6a s., 3 (1981) 43-64 e ora
J. Barnard - D. F. McKenzie (Assisted by M. Bell) (ed.), The Cambridge History of the
Book in Britain. IV. 1557-1695 (Cambridge 2001).
6 Arber, A Transcript of the Registers of the Company of Stationers xxviii-xxxii (cfr.
nt. 4); F.S. Siebert, Freedom of the Press in England, 1476-1776. The Rise and Decline
of Government Control (Urbana 1965) 65-66.
7 Arber, A Transcript of the Registers of the Company of Stationers xxxii (cfr. nt. 4);
Siebert, Freedom of the Press in England 66 (cfr. nt. 6) e soprattutto J. Loewenstein,
The Author’s Due. Printing and the Prehistory of Copyright (Chicago-London 2002); Id.,
Ben Johnson and Possessive Authorship (Cambridge 2002).
8 Blagden, The Stationers Company. A History 47-62 (cfr. nt. 4); Drahos (ed.),
Intellectual Property 222-23 (cfr. nt. 4).
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valore politico, dall’altro lato gli Stationers utilizzavano il sistema dei privilegi
sovrani con la concessione di specifiche licenze9 per mantenere il monopolio
librario sulla capitale e per estendere la loro influenza sulle altre regioni del
Regno Unito.
In questa prima fase non vi era alcuna sensibilità per la figura
dell’autore10, perché gli Stationers non erano interessati al valore in sé di
un’opera, ma cercavano solo di ottenere un diritto di copia (copyright), a scopo
puramente economico. In particolare, dato che lo stesso autore non era in
grado – e non lo sarà per molto tempo ancora – di imporre alla sua figura un
dignitoso riscontro del proprio operato, la sua posizione restava debole ed era
impossibile impedire che un membro della compagnia degli Stationers potesse
registrare e sfruttare a proprio vantaggio il diritto di stampare, dopo aver acquistato a basso prezzo un manoscritto che, a seguito della registrazione, non
apparteneva più all’autore che l’aveva prodotto. Anche un editto parlamentare
del 1642, inteso a porre in luce la centralità dell’autore, per cui ogni pubblicazione doveva avere il suo consenso preventivo e recare il suo nome11, era relativo più alla definizione di una responsabilità penale e a un incremento di
interessi economici12, ma comunque non a una reale tutela della figura
dell’autore13.
La compagnia londinese monopolizzava ogni diritto di stampa, sempre
considerando primario l’interesse della corona, sicché non si limitava a controllare i propri membri, ma soprattutto coloro che non erano iscritti. I soci
della compagnia trovavano protezione nelle leggi sul controllo della stampa
contro la concorrenza esterna e utilizzavano la censura per mantenere la loro
importante funzione agli occhi della casa regnante, che li riteneva in grado di
9 Cfr. N.F. Nash, ‘English Licenses to Print and Grants of Copyright in the 1640s’,
The Library, 6a s., 4 (1982) 174-84. Per una panoramica storica europea si veda B.
Dölemeyer - H. Mohnhaupt (Hrsgg.), Das Privileg im europäischen Vergleich I-II
(Frankfurt a.M. 1997-99). Per i primi sviluppi dei privilegi in Francia, cfr. E.
Armstrong, Before Copyright, The French Book-Privilege System 1498-1526
(Cambridge 2002).
10 Tale aspetto viene rimarcato dalla giurisprudenza successiva: “The charter
embraced all the printers in England: the new Company had the sole privilege of
printing, and they agreed to divide the spoil amongst themselves; but authors were not
parties to the agreement”: cfr. Donaldson v. Beckett (1774), English Reports I (London
1900) 841.
11 Cfr. Journals of the House of Commons II (London 1803) 402.
12 Cfr. Rose, Authors and Owners 22 (cfr. nt. 4).
13 Ciò viene bene dimostrato dalla giurisprudenza successiva, come nel caso Ponder
v. Braddill del 1679, in cui la rivalità per la pubblicazione di un’opera tra due membri
della Stationers’ Company dimostra che la posizione dell’autore era del tutto
marginale: cfr. F. H. Harrison, ‘Nathaniel Ponder: the Publisher of the Pilgrim’s
Progress’, The Library, 4a s., 15 (1935) 257-94; R. C. Bald, ‘Early Copyright Litigation
and its Bibliographical Interest’, Papers of the Bibliographical Society of America, 36
(1942) 81-96.
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UN “MEMORANDUM” DI JOHN LOCKE TRA CENSORSHIP E COPYRIGHT
indirizzare l’editoria e di imporre una linea funzionale ai loro stessi
interessi14.
La Gran Bretagna, con il passaggio dai Tudor agli Stuart, aveva risentito
di una situazione politica ormai inapplicabile alla realtà inglese, per il tentativo di modificare a vantaggio della corona il tradizionale equilibrio tra autorità regia e parlamento con l’introduzione di una monarchia assoluta simile ad
altri Stati europei del periodo. La regolamentazione della stampa era il
risultato della più generale situazione politica e soprattutto di un rinnovato
interesse di partnership tra la corona e gli Stationers15. In particolare,
l’istituzione della censura preventiva sui libri, che era nata a seguito
dell’invenzione della stampa con l’intento di impedire la diffusione di dottrine
contrarie alla Chiesa e che era stata da questa regolata inizialmente in modo
unitario, fu successivamente affidata ai singoli ordinamenti. Il parlamento
inglese utilizzò tale strumento, quando nel 1643 emanò un’ordinanza per
regolare la stampa, secondo cui nessun libro, opuscolo o giornale poteva essere
stampato senza un’autorizzazione preventiva degli organi preposti16.
L’ordinanza trovò vari ostacoli in un cammino lungo e difficile, che si caratterizzò nel costante impegno della dottrina, costituendo per oltre mezzo secolo il solo veicolo per ripristinare una via di libertà e di progresso. Già nel
1644 John Milton, in un famoso testo, Aeropagitica, che sarebbe divenuto la
prima opera dedicata alla libertà di stampa, si scagliò contro la nuova legge
ritenendola dittatoriale e contraria alla libertà di pensiero: “the liberty which
wee can hope, that no grievance ever should arise in the Commonwealth, that
let no man in this World expect; but when complaints are freely heard, deeply
consider’d, and speedily reform’d, then is the utmost bound of civill liberty
attain’d, that wise men looke for”17.
Ma, come viene precisato dal poeta, l’ordinanza è soprattutto tesa “to the
discouragement of all learning, and the stop of Truth, not only by disexercising and blunting our abilities in what we know already, but by
Blagden, The Stationers Company. A History 63-77 (cfr. nt. 4); Drahos (ed.),
Intellectual Property 222 (cfr. nt. 4).
15 Cfr. in particolare M. Mendle, ‘De facto Freedom, de facto Authority: Press and
Parliament, 1640-1643’, The Historical Journal 38 (1995) 307-32 e in generale J.S.
Harth Jr., The Rule of Law, 1603-1660: Crowns, Courts and Judges (London 2003).
16 Cfr. E.H. Firth-R.S. Rait (eds.), Acts and Ordinances of the Interregnum, 16421660 I (London 1911; rist. anast. London 1988) 184-86: 14 giugno 1643. Si noti che
alcune di queste misure erano già state sancite nel decreto della Star-Chamber del
1637, che testimonia la reciprocità degli interessi economico-politici tra la corona e gli
Stationers.
17 Cfr. Aeropagitica. A Speech of Mr. John Milton for the Liberty of Unlicenc’d
Printing, to the Parliament of England (London 1644) (ora con testo a fronte in italiano
a cura di M. e H. Gatti, Milano 2002) 1. Sulla rilevanza di quest’opera per la lotta alla
libertà di stampa cfr. S.B. Dobranski, Milton, Authorship, and the Book Trade
(Cambridge 1999); e ora Loewenstein, Ben Johnson (cfr. nt. 7); Id., The Author’s Due
152-91 (cfr. nt. 7).
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hindring and cropping the discovery that might bee yet further made both in
religious and civill Wisdome”18. Il pamphlet divenne presto famoso e aprì la
strada alle lotte immediatamente successive, anche se la giurisprudenza19 lo
considerò più importante nella teoria che non nella prassi perché Milton, sebbene entusiasta di ogni forma di libertà, finì per non accompagnare lo scritto,
al contrario di Locke, con una parallela azione pratica.
La promulgazione da parte di Carlo II nel 1662 del Licensing Act20, che
impedì ogni forma di stampa senza una preventiva licenza di un’autorità riconosciuta, rafforzò il potere di monopolio della Stationers’ Company sul commercio librario britannico. In realtà, il Licensing Act non aveva soltanto il
compito di concedere le licenze, ma doveva prevenire gli abusi della stampa e
limitare una libertà indiscriminata, avendo sotteso ancora una volta lo scopo
di controllare la pubblicazione di libri non graditi alla casa regnante dal punto
di vista morale e religioso21.
Ogni libro o pamphlet, attraverso il reiterato obbligo di registrazione, infatti, “Entred in the Book of the Register of the Company of Stationers in
London”22, eccettuandosi ovviamente il materiale prodotto dal parlamento o
dalla corona. Il Licensing Act doveva restare in vigore per due anni23, ma
venne ripetutamente confermato a cominciare dal 1664 e fino al 169324. Da
Aeropagitica 4 (cfr. nt. 17).
Cfr. Millar v. Taylor (1769), English Reports XCVIII (London 1909) 207.
20 13 & 14 Caroli II c. 33. Cfr. The Statutes at Large… III (London 1770) 262: “An
Act for preventing the frequent Abuses in Printing seditious, treasonable und
unlicensed Books and Pamphlets, and for Regulating of Printing and PrintingPresses”, con il rinvio all’appendice : The Statutes at Large… IX (London 1770) 190-96
che contiene l’atto in 25 paragrafi. Vedi in particolare Blagden, The Stationers
Company. A History 153-54 (cfr. nt. 4), Siebert, Freedom of the Press in England 23738 (cfr. nt. 6) e Feather, Publishing, Piracy and Politics 47-48 (cfr. nt. 4).
21 “No person or persons whatsoever shall presume to Print, or cause to be Printed,
either within this Realm of England, or any other his Majesties Dominions, or in the
Parts beyond the Seas, any Heretical, Seditious, Schismatical or offensive Books or
Pamphlet wherein any Doctrine or Opinion shall be asserted or maintained, which is
contrary to the Christian Faith, or the Doctrine or Discipline of the Church of
England, or which shall or may tend, or be to the scandal of Religion, or the Church, or
the Government or Governors of the Church, State or Common-wealth, or of any
Corporation or particular person or persons whatsoever; nor shall Import Publish, Sell
or Disperse any such Book or Books, or Pamphlets, nor shall cause or procure any such
to be published or put to sale, or to be Bound, Stitched, or Sewed together”: Licensing
Act 191 § II (cfr. nt. 20).
22 Licensing Act 191 § III (cfr. nt. 20).
23 Licensing Act 191 § XXV (cfr. nt. 20).
24 10 Caroli II c. 8: “An Act for Continuance of a Former Act for Regulating the
Press”: cfr. The Statutes at Large…III (London 1770) 291. L’atto venne ancora
rinnovato nel 1665: 17 Caroli II c. 4. Cfr. The Statutes at Large… IX (London 1770) 196
con due paragrafi aggiuntivi attinenti alle copie da destinare obbligatoriamente; nel
1685: 1 Jacobi II, c. 17, § XV. Cfr. The Statutes at Large… III (London 1770) 412; per
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questo momento cominciò una lunga diatriba fino al 1695, quando, per
l’opposizione di un gruppo di parlamentari della Camera dei Comuni ispirati
da alcuni intellettuali di spicco tra cui in particolare John Locke, decadde
definitivamente25.
La giurisprudenza successiva al Licensing Act riconosce, in base al
common law, che il copyright era una prerogativa reale garantita a coloro che
avevano la licenza26. Alcune sentenze di poco posteriori, come quelle sulla
pubblicazione degli almanacchi27, o quella conosciuta come Atkins’ Case e
relativa alla stampa di libri giuridici (Rolls’s Abridgement)28, dimostrano che
anche i Lords ritenevano, senza discussione, che il copyright era riconosciuto
dal common law. In particolare una sentenza in appello del 1681, relativa al
caso Streater v. Roper del 1668, è tesa a limitare il potere degli Stationers appellandosi alle ragioni di diritto ereditario espresse dall’attore, per cui gli era
stato concesso di stampare, sulla base di una vecchia licenza reale, libri giuridici senza l’autorizzazione della compagnia degli Stationers29.
La giurisprudenza si muove incerta, ma tende talvolta – con una linea foriera di futuri sviluppi – a limitare la chiusura di alcuni atti legislativi come il
Licensing Act e a riportare al common law i problemi relativi ai diritti di
stampa. Viene, infatti, sottolineato che la Stationers’ Company aveva preso
troppo potere per il suo appoggiarsi alla Corte, tanto da indurre il parlamento
a un preciso orientamento legislativo. La giurisprudenza tende, quindi, a
prendere le distanze dal secolare accordo tra la corona e gli Stationers30.
Significativo è il sopra ricordato Atkins’ Case anche perché per la prima volta
è asserito il diritto di proprietà dell’autore della sua opera31. In particolare gli
appellanti sostengono che “the Author of every Manuscript or Copy hath (in
all reason) as good right thereunto, as any Man hath to the Estate wherein he
has the most absolute property; and consequently the taking from him the one
(without is own consent) will be equivalent to the bereaving him of the other,
sette anni e infine nel 1693 per un anno: 4 Gulielmi & Mariae c. 24, § XIV. Cfr. The
Statutes at Large… III (London 1770) 533. Cfr. Feather, Publishing, Piracy and
Politics 44-51 e 211 per l’elenco dei rinnovi (cfr. nt. 4).
25 Cfr. in particolare R. Astbury, ‘The Renewal of the Licensing Act in 1693 and its
Lapse in 1695’, The Library, 5a s., 33 (1978) 296-322. Si veda anche T. B. Macoulay,
History of England, in The Works of Lord Macoulay V (London 1909) 366-67.
26 Cfr. Feather, Publishing, Piracy and Politics 46-47 (cfr. nt. 4) e soprattutto Rose,
Authors and Owners 22-25 (cfr. nt. 4).
27 Cfr. in particolare The Company of Stationers v. Seymour (1667), English Reports
LXXXVI (London 1908) 865-66; The Company of Stationers v. Lee, and Others (1681),
English Reports LXXXIX (London 1908) 927-29; The Company of Stationers v.
Partridge (1709), English Reports LXXXVIII (London 1908) 647-48.
28 Cfr. English Reports CXXIV (London 1912) 842-44.
29 Cfr. English Reports XXII (London 1902) 849-50.
30 Cfr. Donaldson v. Beckett (1774), English Reports I (London 1900) 840-42.
31 Cfr. Rose, Authors and Owners 24 (cfr. nt. 4).
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contrary to his Will”32. Inoltre ci troviamo di fronte a un paragone tra la proprietà materiale e quella intellettuale, tema che sarà sviluppato dalla dottrina
francese nei primi decenni dell’Ottocento33. Ma nell’Inghilterra del XVII secolo
i tempi non erano ancora maturi.
Si è molto parlato per i successivi sviluppi legislativi in Inghilterra e addirittura in Francia dell'influenza del pensiero di John Locke34 e delle sue
riflessioni nei due trattati sul governo35 che, come è noto, costituiscono un attacco al governo monarchico assolutista. Locke approfondisce l’analisi della
proprietà – fondata sul diritto naturale – per rintracciarne le origini36 e utilizza alternativamente il termine propriety e property, anche se sembra preferire il secondo che, se usato in senso limitato, è applicabile solo alle cose corporali37. Come già in Grotius e in Pufendorf, anche in Locke la proprietà ha il
32 Cfr. The Case of the Booksellers and Printers Stated: with Answers to the
Objections of the Patentee [1666], rist. anast. in S. Park (ed.), The English Book Trade
1660-1853 I (New York 1975).
33 Cfr. Moscati, ‘Sul diritto d’autore tra codice e leggi speciali’ 664-66 (cfr. nt. 3).
34 Cfr. in generale R. Hutchison, Locke in France. 1688-1734 (Oxford 1991);
I.M.Wilson, The Influence of Hobbes and Locke in the Shaping of the Concept of
Sovereignety in Eighteenth Century France (Bambury 1973) che, pur ponendo in luce
gli anni trascorsi da Locke in Francia e i suoi rapporti con il Paese, non trattano il
problema specifico; gli studiosi che, invece, si interessano dell’influenza del pensiero di
Locke sulla proprietà letteraria in particolare verranno via via citati nelle note che
seguono. Per il pensiero politico di Locke contrapposto a quello di Hobbes cfr. la
sempre valida opera di L. v. Ranke A History of England principally in the Seventeenth
Century III (Oxford 1875) 577-80.
35 I trattati vennero scritti da Locke tra il 1679 e il 1682. Cfr. J. Locke, Two
Treatises of Government. Ed. with an Introduction and notes by P. Laslett (Cambridge
2000) 123. Si noti che l’opera venne subito tradotta in francese sulla base della prima
edizione inglese: Du gouvernement civil, où l’on traitte de l’origine, des fondemens, de la
nature, du pouvoir, et des fins des sociétés politiques. Traduit de l’anglois (Amsterdam
1691). La traduzione anonima è attribuita a David Mazel.
36 Locke, Two Treatises of Government 285-302 (cfr. nt. 35). Sul pensiero di Locke
relativo alla proprietà cfr. l’approfondito lavoro di J. Tully, Locke. Droit naturel et
propriété. Traduit de l’anglais par Ch. J. Hutner (Paris 1992; ed. ingl. Cambridge
1982). Le riflessioni di Locke hanno suscitato alterne posizioni: G. Srenivason, Limits
of Lockean Rights in Property (Oxford 1995); M.H. Kramer, John Locke and the Origin
of Private Property: Philosophical Explorations of Individualism Comunity and
Equality (Cambridge 1997). Cfr. anche J.W. Yolton, Locke: An Introduction (Oxford
1985; trad. it., Bologna 1990) 85-90; Rose, Authors and Owners 32-34 (cfr. nt. 4);
Drahos (ed.), A Philosophy of Intellectual Property 41-51 (cfr. nt. 4); B. Sherman - L.
Bently, The Making of Modern Intellectual Property Law. The British Experience,
1760-1911 (Cambridge 1999) 22-24.
37 Cfr. K. Olivekrona, ‘The Term “Property” in Locke’s Two Treatises of
Government’, Archiv fur Rechts- und Sozialphilosophie, 61/1 (1975) 109-15; e altri
saggi dello stesso autore poi riprodotti in R. Ashcraft (ed.), John Locke, Critical
Assessments III (London - New York 1991) 308-42; M. Davies-N. Naffine, Are Persons
Property ? Legal Debates about Property and Personality (Ashgate 2001) 1-10.
134
UN “MEMORANDUM” DI JOHN LOCKE TRA CENSORSHIP E COPYRIGHT
significato di suum, investendo la sfera della persona con un’accezione più vasta estensibile, oltreché ai beni materiali, anche a quelli della persona
stessa38. Da ciò consegue in Locke il legame tra la persona e le sue azioni
attraverso l’appropriazione delle risorse del lavoro, che preannuncia l’idea
della proprietà delle azioni e del lavoro compiuto39. Questa relazione tra la
persona e le sue azioni è stata molto apprezzata dalla dottrina, tanto da essere definita uno degli acquisti migliori della filosofia dell’azione contemporanea a Locke40.
Sulla base delle riflessioni di Locke sopra ricordate, alcuni studiosi hanno
legato il suo pensiero sulla proprietà materiale alla proprietà intellettuale,
trasferendo il discorso dal lavoro fisico a quello creativo41. In realtà è la giurisprudenza del secolo successivo a Locke a trasferire il suo discorso sul lavoro
materiale a quello intellettuale: “Property may with equal reason be aquired
by mental, as by bodily labour... The right of occupancy is referred to this original, of bodily labour”42. Ma il desiderio di far rimontare una teoria della proprietà intellettuale indietro fino a Locke, più che alla stessa impronta lasciata
dal filosofo nella prassi del suo tempo, ha a che fare con ragioni di legittimazione ideologica, rimanendo Locke un’autorità indiscussa, tanto che sono state
38 Strowel (ed.), Droit d’auteur et copyright 180-81 (cfr. nt. 1). Cfr. anche E.S.
Drone, A Treatise of the Law of Property (1972), rist. in R. Wincor, Dealing with
Copyrights (New York 2000) 58-66.
39 “Though the Earth, and all inferior Creatures be common to all Men, yet every
Man has a Property in his own Person. This no Body has any Right to but himself. The
Labour of his Body, and the Work of his Hands, we say, are properly his. Whatsoever
then he removes out of the State of Nature hath provided, and left it in, he hath mixed
his Labour with, and joyned to it something that is his own, and thereby makes it his
Property. It being by him removed from the common state Nature placed it in, it hath
by labour something annexed to it, that excludes the common right of other Men. For
this Labour being the unquestionable Property of the Labourer, no Man but he can
have a right to what that is once joyned to, at least where there is enough, and as good
left in common for others”: Locke, Two Treatises of Government § 27 287-88 (cfr. nt.
35).
40 Tully, Locke. Droit naturel et propriété 158 (cfr. nt. 36)
41 Strowel afferma che il pensiero di Locke ha anche influenzato l’atto di Anna:
Droit d’auteur et copyright 187 (cfr. nt. 1). In realtà sarà l’azione vera e propria di
Locke ad avere una decisiva influenza sulle vicende legate alle origini del copyright.
42 Cfr. Tonson v. Collins (1760), English Reports LXXXVI (London 1908) 180. Si
veda anche Millar v. Taylor (1769), English Reports XCVIII (London 1909) 220.
Sull’importanza di questo aspetto del pensiero di Locke cfr. E. J. Hundert, ‘The Making
of “Homo Faber”: John Locke between Ideology and History’, Journal of the History of
Ideas, 33 (1972) 3-21; A. Donati, 'La fondazione giusnaturalistica del diritto sulle opere
dell’ingegno', Annali italiani del diritto d’autore, 1 (1997) 405-21 e sulla sua influenza
sull’Illuminismo cfr. A. Negri, ‘Valorisation du travail et destinée de la propriété
individuelle dans le materialisme des Lumières’, Dix-huitième siècle, 24 (1992) 199213.
135
LAURA MOSCATI
individuate differenti teorie lockiane della proprietà intellettuale, utilizzando
aspetti diversi del suo pensiero.
Base principale, anche se troppo generica per costruire una teoria della
proprietà intellettuale, sono state considerate proprio le sue riflessioni sul lavoro. Nell’analisi di Locke, infatti, il lavoro ha un ruolo dominante nella discussione circa l’origine dei diritti di proprietà, ma di una proprietà degli oggetti materiali piuttosto che astratti: “And thus, I think, it is very easie to
conceive without any difficulty, how Labour could at first begin a title of
Property in the common things of Nature, and how the spending it upon our
uses bounded it”43.
Probabilmente Locke non aveva in mente la proprietà letteraria quando
scriveva le pagine ricordate; infatti i problemi relativi alla proprietà intellettuale e soprattutto alla stampa agitarono il suo pensiero e la sua azione in
epoca successiva, con il cosiddetto Memorandum contro il rinnovo del
Licensing Act, da lui mai dato alle stampe. Ed è questo, a mio avviso, il vero
apporto di Locke alla costruzione del copyright o per meglio dire la sua
positiva influenza e il suo significativo impegno per una primordiale
normativa in tal senso.
Il Memorandum, datato da Locke stesso “Printing 94”, ma inviato a
Edward Clarke, membro della Camera dei Comuni, tra il 1694 e il 169544, è
inteso a ostacolare il rinnovo del Licensing Act e si inserisce in un momento
della vita di Locke in cui i suoi sforzi letterari erano orientati verso il progresso del Paese e della società45. Mi riferisco in particolare ai già ricordati
trattati sul governo scritti in difesa della rivoluzione contro il nemico Tory e
alla Second Letter Concerning Toleration46, pubblicata anonima e volta a
rivendicare – esigenza espressa di lì a poco anche da un anonimo a un
membro del parlamento47 – i principi della libertà religiosa. In questo
panorama di richieste di una più generale e primordiale libertà, si inserisce il
Memorandum contro il Licensing Act, da Locke considerato il più efferato
ostacolo alla libertà del Paese, da parte della corte e della Chiesa.
Locke, Two Treatises of Government 302 (cfr. nt. 35).
Locke, Memorandum (ca. 1694), in P. King (ed.), The Life and Letters of John
Locke, (London 1858) 202-209. Il Memorandum è stato successivamente ripubblicato:
Documents relating to the Termination of the Licensing Act, 1695, in E.S. De Beer (ed.),
The Correspondence of John Locke (Oxford 1979) V 785-91 (da cui si cita). Per la
datazione cfr. Astbury, ‘The Renewal of the Licensing Act in 1693 and its Lapse in
1695’ 305, nt. 47 (cfr. nt. 25) e The Correspondence of John Locke V 785.
45 Per gli avvenimenti parlamentari di quegli anni, cfr. Ranke, History of England
V 84-106 (cfr. nt. 34).
46 Locke, A Second Letter Concerning Toleration, London 1690.
47 Cfr. A Letter to a Member of Parliament, Shewing that a Restraint on the Press is
Inconsistent with the Protestant Religion, and Dangerous to the Liberties of the Nation
(1696), in Cobbett’s Parliamentary History of England. From the Norman Conquest in
1066 to the Year 1803... V (London 1809) 130-50.
43
44
136
UN “MEMORANDUM” DI JOHN LOCKE TRA CENSORSHIP E COPYRIGHT
Il Memorandum si presenta molto interessante, perché ai principali paragrafi del Licensing Act seguono i commenti di Locke. Le sue riflessioni, basate su una considerazione negativa dell’atto stesso e dei suoi effetti, si soffermano sui limiti alla libertà di stampa e sulla questione della pubblicità del
nome dell’editore; sui problemi relativi alla natura giuridica della stampa di
libri classici, sulla loro eccessiva dispendiosità e al contempo sulle non
raffinate e talvolta scorrette edizioni inglesi di autori antichi rispetto ad altri
Paesi europei48; nonché sulla natura del diritto di stampa e i limiti di tale
diritto.
In particolare, Locke sostiene, non trascurando gli aspetti legati alla censura che erano stati basilari per la promulgazione dell’atto: “I know not why a
man should not have liberty to print whatever he would speak and to be
answerable for the one just as he is for the other if he transgresses the law in
either. But gaging a man for fear he should talk heresie or sedition has noe
other ground than such as will make gives necessary for fear a man should
use violence if his hands were free and must at last end in the imprisonment
of all whom you will suspect may be guilty of Treason, or misdemeanour”49.
Così nel Memorandum Locke si mostra contrario a una censura preventiva alla pubblicazione di un’opera, senza tuttavia richiedere una stampa
completamente libera, ma soltanto una responsabilità degli editori dopo la
pubblicazione di libri ritenuti non accettabili50. Locke si mostra anche conscio
della necessità dell’abbandono dell’anonimato nella stampa e della responsabilità che ne consegue51.
Ma la più rilevante obiezione di Locke al rinnovo del Licensing Act è rivolta al monopolio degli Stationers, piuttosto che alla censura: “… when a
booke is brought to be entred in the register of the Company of Stationers, if
they think it may turne to account, they entre it there as theirs, whereby the
other person is hinderd from printing and publishing it...”52. Egli non ritiene
opportuno che gli Stationers siano in grado di detenere il commercio librario e
48 Ad esempio le notizie sulle edizioni olandesi, soprattutto per quanto riguarda le
edizioni critiche delle Epistole di Cicerone, sono fornite a Locke da Jean Le Clerc:
lettera del 27 giugno-7 luglio 1693. Cfr. The Correspondence of John Locke IV 696-98
(cfr. nt. 44). Locke trasferirà, quanto appreso, nel Memorandum 788 (cfr. nt. 44).
49 Locke, Memorandum 785-86 (cfr. nt. 44).
50 “To prevent mens being undiscoverd for what they print you may Prohibit any
book to be printed published or Sold without the printers or booksellers name under
great penalties whatever be in it”: Locke, Memorandum 786 (cfr. nt. 44). Cfr. Rose,
Authors and Owners 32-33 (cfr. nt. 4).
51 “And then let the printer or bookseller whose name is to it be answerable for
whatever is against law in it as if he were the author unlesse he can produce the
person he had it from which is all the restraint ought to be upon printing”: Locke,
Memorandum 786 (cfr. nt. 44).
52 Locke, Memorandum 786 (cfr. nt. 44).
137
LAURA MOSCATI
in particolare il monopolio dei libri classici, su cui essi soli avevano diritto di
copyright53.
Soprattutto Locke sostiene che, a causa del Licensing Act, gli studiosi
sono stati penalizzati, nessuno ne ha tratto vantaggio in Inghilterra all’infuori
di una “lazy ignorant” compagnia di librai54. La stessa espressione dispregiativa era stata usata da Locke qualche tempo prima55, congiunta alla seria
preoccupazione per il rinnovo del Licensing Act, che dava agli Stationers un
ampio monopolio soprattutto per le ristampe di autori antichi. Di conseguenza
Locke aveva già in mente che almeno la clausola della legge che proibiva
l’importazione e la stampa di libri senza licenza56, doveva essere abrogata, sicché chiunque avrebbe potuto pubblicare opere di autori classici.
Egli auspica, inoltre, una legge per cui i libri siano stampati liberamente,
al di fuori di ogni forma di monopolio. E continua sostenendo: “But be that
determined as it will in regard of those Authors who now write and sell their
copys to booksellers.This certein is very absurd at first sight that any person
or company should now have a title to the printing of the works of Tullie,
Caesars, or Livys who lived soe many ages since exclusive of any other, nor
can there be any reason in nature why I might not print them as well as the
Company of Stationers if I thought fit”57. Ciò rappresenta un ulteriore elemento contro il monopolio degli Stationers.
Infine, Locke ritiene necessario mantenere, dopo la morte dell’autore, la
proprietà dell’opera per un certo numero di anni, cioè circa cinquanta o settanta: tale limite temporale per gli eredi sarà uno dei punti di maggiore e più
accesa discussione per il diritto d’autore nell’Europa continentale-occidentale
del XVIII e XIX secolo58. Sul paragrafo finale dell’atto59, sono concentrate le
riflessioni di Locke più elaborate e in particolare i riferimenti maggiormente
tecnico-giuridici. Se vengono riconosciuti i limiti dell’atto stesso “soe manifest
an invasion on the trade liberty and propertie of the subject that is was made
to be in force only for two years”60, viene al contempo ribadito che “is very
“By this clause [Licensing Act 192 § VI (cfr. nt. 20)] the Company of Stationers
have a Monopoly of all the Clasick Authers and scholers cannot but at excessive rates
have the fair and correct editions of these books and the comments on them printed
beyond seas. For the company of stationers have obteind from the crown a patent to
print all or at least the greatest part of the clasick authers, upon pretence, as I hear,
that they should be well and truly printed where as they are by them scandalously ill
printed both for letter paper and correctnesse and scarse one tolerable edition made by
them of any one of them”: Locke, Memorandum 786 (cfr. nt. 44).
54 Locke, Memorandum 789 (cfr. nt. 44).
55 Cfr. The Corrispondence of John Locke IV 614-15 (cfr. nt. 44): lettera a Clarke del
2 gennaio 1693.
56 Licensing Act 193 § IX (cfr. nt. 20).
57 Locke, Memorandum 787-88 (cfr. nt. 44).
58 Cfr. Moscati, ‘Sul diritto d’autore tra codice e leggi speciali’ 662-63 (cfr. nt. 3).
59 Licensing Act 196 § XXV (cfr. nt. 20).
60 Locke, Memorandum 791 (cfr. nt. 44).
53
138
UN “MEMORANDUM” DI JOHN LOCKE TRA CENSORSHIP E COPYRIGHT
absurd and ridiculous that any one now leveing should pretend to have a
propriety in or a power to dispose of the proprietie of any copy or writeings of
authors who lived before printing was known and used in Europe”61.
L’opposizione di Locke è affidata – attraverso un fitto scambio epistolare
– ai parlamentari Freke e Clarke nel momento in cui si discuteva ancora se
rinnovare il Licensing Act o preparare una nuova, più completa ed efficace
legge sulla regolamentazione della stampa, il Licensing Bill. Non meno
rilevanti risultano i resoconti parlamentari e, attraverso un’analisi integrata
delle due fonti, si può ricostruire l’andamento degli eventi. L’apporto di Locke
quindi, da un lato è teso a bloccare il perpetuarsi del Licensing Act, dall’altro
lato è rivolto a dare un contributo alla formazione della nuova legge che si
veniva costruendo.
Ancora agli inizi del 1695, la commissione della Camera dei Comuni persisteva nel voler rinnovare il Licensing Act62, ma il tentativo fallì e fu
contemporaneamente presentata da Clarke la nuova legge per regolare meglio
la stampa63. Quest’ultima legge, fin dall’inizio si connotava per i radicali
cambiamenti, tanto che originò la reazione degli Stationers che ritenevano
dannose, per il commercio librario e per le loro famiglie, le conseguenze insite
nel nuovo testo normativo64.
In effetti, il Licensing Bill65 si presentava come un abbozzo di legge sui diritti di stampa e si indirizzava verso l’eliminazione del monopolio, dato che
esso non sarebbe stato più nelle mani degli Stationers. La principale innovazione consisteva nello spostare il permesso della stampa agli organi competenti sia religiosi, sia legislativi, sia statali, secondo il contenuto. Le pubblicazioni dovevano uscire dall’anonimato per l’obbligo di indicare le generalità
dell’editore o di colui che concedeva l’autorizzazione divenendo in tal modo
responsabile e punibile per ogni azione ritenuta illecita, come se fosse l’autore.
Oltre ad alcune modalità relative alle pene, veniva indicato l’obbligo di
destinare qualche copia ad alcune biblioteche, nonché l’elenco degli organi
deputati al rispetto della legge.
Locke, Memorandum 791 (cfr. nt. 44).
Cfr. Journals of the House of Commons XI (London 1803) 200: 9 gennaio 1695.
63 L’11 febbraio i Comuni respinsero il rinnovamento dell’atto e contemporaneamente decisero di preparare “a Bill for the better Regulating of Printing, and PrintingPresses”: Journals of the House of Commons 228 (cfr. nt. 62). La legge fu presentata da
Clarke il 2 marzo e letta per la prima volta il 7: Journals of the House of Commons 254,
258 (cfr. nt. 62). Alla fine del mese, dopo essere stato letto una seconda volta, il testo fu
sottoposto a un vasto comitato tra i cui componenti c’era anche Freke: Journals of the
House of Commons 287-88 (cfr. nt. 62), 30 marzo 1695.
64 Cfr. Journals of the House of Commons 288-89 (cfr. nt. 62).
65 Possediamo una copia di The Licensing Bill 1695 dalle carte di Locke che fu poi
pubblicata: Documents relating to the Termination of the Licensing Act, 1695, in The
Correspondence of John Locke V, Appendix 791-95 (cfr. nt. 44). Freke e Clarke lo
avevano inviato a Locke il 14 marzo 1695: cfr. The Correspondence of John Locke, V
291-92 (cfr. nt. 44).
61
62
139
LAURA MOSCATI
L’abbozzo del Licensing Bill fu inviato a Locke66 e sottoposto alla sua
lungimiranza. Al contempo, Freke e Clarke mostravano serie preoccupazioni
per la sua promulgazione, dal momento che la legge, pur avendo avuto
l’approvazione di gran parte degli intellettuali e dei parlamentari, non trovava
consenso nel clero, negli Stationers e nella stessa casa reale che muovevano
svariate obiezioni, in linea di massima vertenti sulle limitazioni che li riguardavano insite nel nuovo disegno normativo67.
A quest’ultimo, Locke appose significative aggiunte e integrazioni68, che
concernono in particolare l’inserimento della figura dell’autore accanto a
quella dell’editore in relazione all’autorizzazione di stampare il proprio nome,
nonché alla volontà esplicita di assicurare la proprietà della copia all’autore o
a chi è stata trasferita69; anche il diritto alla ristampa – come diritto di
riproduzione del bene – viene riportato nelle mani dell’autore o di chi ne fa le
veci70. Inoltre Locke, nel trattare la destinazione delle copie alle tre
biblioteche (quella reale e le due universitarie71), coglie l’occasione per interessarsi anche in questo caso degli autori: una ricevuta al momento della
consegna rappresentava una garanzia sia per assicurarsi la data di stampa,
sia e soprattutto per evitare eventuali ristampe abusive72.
È la prima volta che emerge la figura dell’autore in un testo normativo e
più in generale che si prendono in considerazione gli autori che nell’Europa
del XVII secolo non avevano ancora cominciato a reclamare i loro diritti. Bisogna, però, tener presente che la protezione degli interessi morali degli autori73
non fa parte delle tendenze dell’Inghilterra che, pur avendo origini comuni con
la Francia nel sistema dei privilegi, avrebbe costruito proprio agli inizi del
XVIII secolo un copyright che acquista prima una forma definita, ma che sembra restare poi impermeabile ai movimenti europei, e in particolare francesi,
The Correspondence of John Locke V 291 (cfr. nt. 44): lettera di Freke e Clarke a
Locke del 14 marzo [1695].
67 The Correspondence of John Locke V 291 (cfr. nt. 44).
68 Anche questo materiale trovato tra le carte di Locke, fu pubblicato in The
Correspondence of John Locke V 795-96 (cfr. nt. 44).
69 The Correspondence of John Locke V, Appendix 795 (cfr. nt. 44).
70 Ashbury sostiene che in questa clausola si anticipa un punto dello Statuto di
Anna: ‘The Renewal of the Licensing Act in 1693 and its Lapse in 1695’ 313 (cfr. nt.
25).
71 The Correspondence of John Locke V, Appendix 795-96 (cfr. nt. 44).
72 The Correspondence of John Locke V, Appendix 796 (cfr. nt. 44).
73 Cfr in particolare S. Strömholm, Le droit moral de l’auteur en droit allemand,
français et scandinave, avec un aperçu de l’évolution internationale. Etude de droit
comparé, I. L’évolution historique et le mouvement international (Stockholm 1967); Y.
Gendreau, ‘Genèse du droit moral dans les droits d’auteur français et anglais’, Revue
de la recherche juridique. Droit prospectif, 13 (1988) 41-59; e ora A. Lucas-Schloetter,
Droit moral et de la personalité: étude de droit comparé français et allemand (Aix - en Provence 2002). Soltanto nel secolo scorso l’aspetto morale, legato ai diritti della
persona, cominciò a essere tenuto presente in Inghilterra.
66
140
UN “MEMORANDUM” DI JOHN LOCKE TRA CENSORSHIP E COPYRIGHT
successivi. Un elemento risulta già in nuce nel diritto inglese e si profila dominante: l’aspetto economico legato alla libertà di stampa che prevale su
quello religioso connesso alla censura per cui lo stesso potere degli Stationers
era sorto e si era ramificato. Quest’ultimo, in particolare, era veramente
osteggiato dagli intellettuali, che lo legavano al più generale problema dei diritti di libertà.
Le integrazioni di Locke – scritte in un linguaggio tecnico-giuridico assai
vicino a quello dello stesso abbozzo di legge – furono apprezzate dai rappresentanti della Camera dei Comuni che al contempo si affrettarono a tranquillizzare il filosofo inglese sul reale significato dell’aggettivo “Hereticall” nonché
dell’espressione “as Establisht by Law”, presenti nel Licensing Bill74. Infatti
uno statuto di Elisabetta stabiliva che nulla poteva essere giudicato “Heresie”,
tranne ciò che veniva dichiarato tale dalle Sacre Scritture75 e quindi il termine, sanzionato da uno statuto, poteva essere usato anche in un disegno di
legge.
Ma il grado di elaborazione della nuova legge non sembrava maturo e il
fantasma del Licensing Act era ancora presente, tanto che nell’aprile i Lords
avevano tentato di rinnovarlo per un anno con una clausola aggiuntiva allo
stesso Licensing Bill76. La commissione della Camera dei Comuni, nella persona di Clarke, si mosse con grande determinazione per bloccare il rinnovo del
Licensing Act77, offrendo una serie di significative e definitive motivazioni. In
particolare, venne sottolineato che non c’era bisogno di rinnovarlo perché era
sufficiente rifarsi al common law. Soprattutto, si ribadì che con l’atto suddetto
veniva monopolizzata la stampa e la vendita dei libri inglesi nelle mani della
74 The Correspondence of John Locke V 294 (cfr. nt. 44): lettera di Freke e Clarke
del 21 marzo 1694-95. La lettera di Locke con le richieste suddette è perduta. Si noti
che il mese di marzo ha generalmente una doppia datazione: ciò deriva dal fatto che in
Inghilterra fino al 1752 si usava lo stile dell’incarnazione, per cui il nuovo anno aveva
inizio il 25 marzo.
75 1 Eliz. I c. I, § 20.
76 Journals of the House of Lords XV (London 1803) 545: 18 aprile. Ma già il 12
aprile i Comuni avevano risposto negativamente all’introduzione della clausola in
questione: “The House proceeded to take into consideration the Amendments, made by
the Lords, to the Bill, intituled, An Act for continuing, and making perpetual several
Laws therein mentioned: And the same was read; and all of them was disagreed,
agreed unto by the House; and are as follow”: Journals of the House of Commons 301
(cfr. nt. 62).
77 Nell’aprile Clarke riporta le obiezioni dei Comuni. Cfr. Journals of the House of
Commons 305-306 (cfr. nt. 62): 17 aprile; Journals of the House of Lords 530, 532, 545546 (cfr. nt. 76): 18 aprile. Si sperava che il Licensing Act non venisse rinnovato per
l’opposizione della Camera dei Comuni: The Correspondence of John Locke V 291-92
(cfr. nt. 44), lettera di Freke e Clarke a Locke del 9 aprile.
141
LAURA MOSCATI
compagnia degli Stationers78, che bloccava anche la stampa degli autori
classici, offrendo un prodotto più costoso e meno raffinato di altri Paesi
europei79. Inoltre, proibendo di stampare e di importare libri eretici e
scismatici, non graditi né alla Chiesa né alla corona, non si limitava, anzi si
incentivava, la censura preventiva. Infine, oltre a mettere in luce le troppo
gravose penalità, contenute nell’atto, veniva evidenziato un fenomeno sociale
sottostante: la limitazione di impiego di capitale umano nel commercio
librario80. Il Licensing Bill, con le integrazioni proposte da Locke, fu
presentato nel novembre 169581. Ma nei primi mesi dell’anno successivo82,
dopo ulteriori tentativi, né il Licensing Act né la nuova legge vennero più
ricordati.
Le osservazioni della Camera dei Comuni, e in particolare quelle
sull’edizione degli autori classici, sulla censura preventiva e soprattutto
sull’opposizione al monopolio degli Stationers, risentono con forte evidenza
delle riflessioni di Locke contenute nel Memorandum, che si attesta come il
vero ispiratore dell’intero movimento facente capo alle riforme in atto.
In un lavoro molto approfondito, è stato sostenuto che emerge chiaramente dal Memorandum l’interesse di Locke per i diritti degli autori, poiché
gli editori dovevano ottenere il loro permesso per usarne il nome nella pubblicazione di una nuova opera, o meglio ancora poiché l’autore conservava il diritto di ristampa83. Al contrario, è stato autorevolmente posto in luce che dallo
scritto di Locke traspare il solo interesse commerciale nei confronti dei li-
È chiaramente espressa l’opposizione al monopolio: “Because that Act prohibits
printing any thing before Entry thereof in the Register of the Company of Stationers”:
Journals of the House of Commons 306 (cfr. nt. 62).
79 “… whereby the Scholars in this Kingdom are forced not only to buy them at the
extravagant Price they demand, but must be content with their ill and incorrect
Editions; and cannot have the more correct copies, which are published abroad, nor the
useful Notes of Foreigners, or other learned Men, upon them”: Journals of the House of
Commons 306 (cfr. nt. 62).
80 “…That Act restrains Men bred up in the Trade of Printing, and Founding of
letters, from exercising their Trade, even in an innocent and inoffensive Way…the
number of Workmen, in each of those Trades, being limited by that Act”: Journals of
the House of Commons 306 (cfr. nt. 62).
81 Il Bill fu presentato da Clarke il 29 novembre e fu letto per la prima volta il
giorno successivo e una seconda volta il 3 dicembre e rimandato a un gruppo di persone
(tra cui Clarke e non Freke, “and all that come are to have Voices”: Journals of the
House of Commons 341, 343, 345 (cfr. nt. 62).
82 Il 16 gennaio 1796 fu riunita una Commissione per esaminare le leggi in corso.
Ma il Comitato, riunito il 6 e il 19 marzo 1696, abrogò definitivamente il Licensing Act
e ordinò nuovamente di preparare il Licensing Bill. Successivamente non si seppe più
niente della nuova legge: Journals of the House of Commons 393, 523 (cfr. nt. 62).
83 Astbury, ‘The Renewal of the Licensing Act in 1693 and its Lapse in 1695’ 313
(cfr. nt. 25).
78
142
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brai84. A mio avviso, e soprattutto considerando anche l’altro e forse più
importante contributo alla nuova proposta normativa, Locke mostra
un’attenzione specifica per gli autori nelle integrazioni al Licensing Bill indirizzate all’ingresso degli autori al pari degli editori nelle questioni giuridiche
relative alla stampa; ma il suo pensiero non è ancora maturo per i diritti
stessi degli autori, come si svilupperanno successivamente.
Il suo scopo primario era quello di bloccare il monopolio degli Stationers
sulla stampa e offrire nuova linfa vitale alla scienza attraverso la libertà di
riproduzione del bene. Se il Licensing Act fosse rimasto in vigore, Locke
avrebbe avuto difficoltà a stampare l’opera sulla ragionevolezza della cristianità che proprio in quel periodo stava elaborando85, perché sarebbe stato tacciato di socinianesimo e ritenuto sovversivo non solo nei confronti della cristianità, ma della religione stessa. Non è un caso che, come avverrà nel secolo
successivo, gli intellettuali siano spinti da un forte interesse contingente
nell’affrontare e risolvere anche da un punto di vista normativo i problemi attinenti agli autori.
Tali problemi, che emergeranno con forza nel XVIII secolo e soprattutto
in quello successivo, non sono dal grande politologo inglese presi in considerazione nei due trattati sul governo, su cui invece si è concentrata la
storiografia, trasferendo le riflessioni di Locke sul lavoro materiale a quello
intellettuale. È nello sforzo dell’azione pratica, del commento legislativo e
dell’intervento normativo che va ricercata l’azione di Locke che arriva a sensibilizzare gli intellettuali più significativi a lui contemporanei – mi riferisco in
particolare a Daniel Defoe e a Joseph Addison – e fa emergere i problemi
spingendo il legislatore a occuparsene, prima bloccando il Licensing Act e poi
tentando un nuovo percorso che sfocierà, dopo la sua morte, nella promulgazione di un apposito testo normativo.
Si tratta dello Statuto di Anna del 10 aprile 1710 che porterà avanti alcune delle peculiarità più significative contenute nel mai pubblicato Licensing
Bill, venendo a superare il mondo dei privilegi fino ad allora imperante ed essendo riconosciuto come l’origine del moderno copyright86. Questo aspetto, su
cui tornerò, è molto interessante e non è stato evidenziato dagli studiosi che
hanno isolato lo Statuto di Anna dal precedente Licensing Bill rimasto inedito
tra le carte di Locke e pubblicato solo di recente insieme al carteggio.
In questo periodo, si affacciano, sebbene non intenzionalmente, i primi riferimenti alla proprietà dell’opera all’autore, pur essendo originati da tenta84 Rose, Authors and Owners 33 (cfr. nt. 4). Bisogna tener presente che Rose si rifà
al Memorandum senza prendere in considerazione né il nuovo abbozzo normativo né le
aggiunte di Locke.
85 Il lavoro fu comunque pubblicato anonimo: The Reasonableness of Christianity,
as Delivered in the Scriptures (London 1695); A Second Vindication of the
Reasonableness of Christianity… By the Author of the Reasonableness of Christianity…
(London 1697).
86 8 Annae c. 19, in The Statutes at Large… IV (London 1769) 417-19.
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LAURA MOSCATI
tivi di limitare da un punto di vista economico l’ormai troppo esteso potere degli Stationers. Bisogna anche tener presente che, con il crollo del Licensing
Act, gli Stationers cominciarono a perdere il controllo della stampa e tentarono
ogni strada per il suo ripristino. Attraverso numerose petizioni, essi riuscirono
a convincere il parlamento a promulgare l’atto di Anna, per incoraggiare la
lettura e favorire lo sviluppo culturale del Paese. Ciò fu voluto sia dagli stessi
Stationers che speravano in ogni modo di salvaguardare le posizioni acquisite
e vedevano con favore ogni iniziativa del potere centrale per ripristinare il
vecchio controllo dell’editoria, sia e soprattutto dagli organi parlamentari che
pensavano così di chiudere le vicende legate alla stampa.
Si deve però osservare che, da un lato le richieste sorte intorno alla metà
del XVII secolo sembravano intese ad attribuire all’autore un diritto di proprietà con riferimento alla proprietà materiale87, dall’altro lato la legislazione
non era ancora pronta e non lo sarebbe stata per molto tempo. Anche lo Statuto di Anna del 1710, pur essendo considerato la base del moderno copyright,
era nato piuttosto per cercare di definire le richieste degli Stationers, utilizzando la posizione dell’autore-proprietario delle copie come copertura, nel tentativo di dirimere le controversie sorte a seguito dell’abolizione del Licensing
Act e riportare una certa regolarità nel commercio librario. Ma lo Statuto di
Anna perse il suo obiettivo originario nell’applicazione giurisprudenziale che
plasmò la legge a tal punto da aprirsi alla costruzione e applicazione del
copyright. Mentre si ponevano le radici di quest’ultimo, i due mondi di
common law e di civil law si cominciavano a dividere.
Locke aveva, quindi, dato un impulso significativo che avrebbe segnato il
passaggio dal censorship al copyright, ma anch’egli, come Voltaire verso la fine
del secolo, chiuderà gli occhi quando i problemi relativi agli autori cominciavano a essere presi in considerazione.
La maggior parte sono state riprodotte e raccolte in Parks (ed.), The English
Book Trade. 1660-1853, 42 voll. (cfr. nt. 32).
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