S ommario 03 Editoriale Rubriche Direttore responsabile Cesare Bonacina 04 Gli osservatori ci scrivono... dalla Sicilia 05 A proposito di Lodi: le ASL si raccontano 06 Dal...L’Osservatorio del dr. Giuseppe Granata di F. Pancini Direttore scientifico Paolo Boni Ispezione alimenti Redattore Fabrizio Pancini 08 Responsabile comitato redazione Giorgio Zanardi Epidemiologia nella filiera di macellazione più grande d’Europa di D. Fattori, S. Biggioggero, E. Dordoni, R. Morici, M. Perri, N. Prandi, L. Tessuto Comitato di redazione Mario Astuti, Paolo Antoniolli, Paolo Cordioli, Maurizia Domenichini, Laura Gemma, Claudio Genchi, Giulio Gridavilla, Antonio Lavazza, Chiara Macchi, Alberto Palma 10 Ha collaborato a questo numero D. Fattori, S. Biggioggero, E. Dordoni, R. Morici, M. Perri, N. Prandi, L. Tessuto, G. Sala, S. Rigola, G. Bolzoni, P. Daminelli, M. Benedetti Infezioni da circovirus nella specie suina: attuali conoscenze di G. Sala, S. Rigola 12 Il ring test sul latte di massa aziendale: esperienza pratica in Lombardia di G. Bolzoni, P. Daminelli, M. Benedetti 15 Epidemiologia Sanità animale Segreteria di redazione Mariagrazia Guerini, Loredana Marella, Riccardo Possenti Fotocomposizione Mario Bertolani - Grafiche Opera Pavoniana (Brescia) Appunti di epidemiologia di C. Macchi Tipolitografia Grafica Sette Via Padre Giovanni Piamarta, 61 25021 Bagnolo Mella (Brescia) Tel. 030 6820600 - Fax 030 6821550 16 Editore Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e Emilia Romagna ‘Bruno Ubertini” Via Bianchi, 9 - 25124 Brescia Tel. 030 22901 - Fax 030 225613 Notizie da Internet Tutti coloro che vogliono scriverci, devono indirizzare le lettere al seguente indirizzo: “L’OSSERVATORIO” rubrica “La posta dei lettori”, via Bianchi, 9 - 25124 Brescia - tel. 030 2290259-235; oppure utilizzare la posta elettronica: [email protected] Rivista bimestrale aut. trib. Brescia N. 43/1998 del 01-10-98 Spedizione in a.p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Brescia “L’Osservatorio” e i numeri del precedente Bollettino Epidemiologico possono essere consultati anche sul sito web http:\\www.oevr.org 2 Editoriale fine aprile, la situazione epidemiologica relativa all’influenza aviaria in Lombardia si è consolidata su 234 focolai per un totale di 9.619.986 capi morti e abbattuti. L’ultimo focolaio si è registrato all’inizio di aprile in un allevamento di tacchini nella provincia di Brescia. Le ultime zone di restrizione stanno per essere revocate e il riaccasamento degli animali inizierà nel mese di maggio in base alle indicazioni fornite dal Servizio Veterinario Regionale e secondo i parametri strutturali e igienico sanitari che gli allevamenti devono rispettare. Sulla base di queste misure i Servizi Veterinari delle Aziende Sanitarie Locali autorizzeranno le reintroduzioni. Al di là del fatto che la gestione post-epidemica dell’influenza aviaria deve basarsi necessariamente sugli elementi epidemiologici emersi nel corso della epidemia, è indubbio che l’assicurazione assoluta richiesta dal mondo produttivo al settore veterinario pubblico e privato, relativamente alla prevenzione dell’insorgenza di nuovi focolai, non può essere garantita. Il concetto è che il sistema avicolo integrato fa riferimento a pochi grandi gruppi imprenditoriali e si riflette sul territorio con la presenza in zone ad alta densità zootecnica che si possono considerare, per i loro contatti funzionali, dei veri e propri macroallevamenti suddivisi in molteplici unità produttive. E’ logico quindi che, in questa prospettiva, l’approccio gestionale e sanitario del comparto avicolo va inquadrato in senso olistico. Vale a dire che le regole tecniche, sia manageriali sia strutturali, dettate dal servizio veterinario pubblico, vanno concordate e condivise da tutte le parti in causa, allevatori e settore industriale, le quali possono e devono rendersi parti attive e propositive nella salvaguardia del patrimonio avicolo, non solo nei riguardi dell’influenza aviaria, ma con una valenza di biosicurezza di più ampia portata. Questa gravissima epidemia fornisce, altresì, l’occasione di ripensare tutti insieme alle “regole del gioco”, concordate e rispettate con l’obiettivo della tutela sanitaria del comparto avicolo. In pratica, solo il rispetto delle regole concordate da ogni parte in causa può minimizzare il rischio di eventuali ulteriori focolai. Da ultimo, il programma di controllo sanitario dell’influenza aviaria negli allevamenti rimasti attivi sul territorio regionale e in quelli riattivati con il riaccasamento, sarà oggetto di uno specifico studio dei servizi veterinari regionali, che, nel giro di breve tempo, daranno le necessarie indicazioni tecniche relative al monitoraggio dell’infezione. A complemento dell’influenza aviaria, si deve segnalare, purtroppo, la recrudescenza della malattia vescicolare nei suini (MVS) in tre stalle di sosta: due nella provincia di Mantova ed una nella provincia di Brescia, rispettivamente insorti nei mesi di marzo ed aprile. Attualmente, i controlli sierologici e virologici effettuati in 153 aziende epidemiologicamente correlate ed in 210 aziende ubicate nelle zone di protezione e di sorveglianza, non hanno evidenziato positività. Resta il fatto che, una volta di più, questa tipologia d’allevamento si conferma un fattore di rischio elevatissimo, sia per la notevole movimentazione, sia per i contatti con regioni non accreditate, che si sono stabiliti con l’attivazione di una rete commerciale tra diverse stalle di sosta del Nord e Sud Italia. Tale sistema si è venuto a creare per opportunità di mercato, coinvolgendo, in Germania, un macello che si riforniva di animali da riforma provenienti dall’Italia per la produzione di insaccati. Inevitabilmente, sulla scorta di quanto emerso, a fine marzo l’Unione Europea ha bloccato la movimentazione di animali provenienti da stalle di sosta italiane. L’accostamento dell’influenza aviaria con la MVS, ancorchè fortuito e per due settori produttivi diversi, sottolinea la necessità di conoscerne a fondo i circuiti commerciali e le regole di mercato che su di essi gravano, nonché la fondamentale importanza del management igienico-sanitario degli allevamenti. A 3 Gli osservatori epidemiologici S in dal 1997 l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” ha istituito un Servizio di Sorveglianza Epidemiologica presso l’Ufficio di Direzione. Il servizio svolge attività epidemiologiche veterinarie; in particolare vengono analizzati i dati di laboratorio inerenti le malattie degli animali ad attività pianificata. Per conto della Direzione vengono programmate e pianificate, sotto forma di progetti, attività di vario tipo riguardanti i compiti specifici dell’Ente ed attività di ricerca. Il servizio si occupa inoltre: - della gestione e verifica della “validazione dei metodi di prova interni”; - del calcolo statistico là dove questo è di necessario supporto scientifico; - della formulazione della Relazione Tecnica e della sperimentazione di nuovi metodi di visualizzazione dell’attività tecnica e di generazione di indici di attività; - della consulenza statistica nel settore della ricerca scientifica e nello sviluppo di indicatori di attività ed epidemiologici interni all’Ente; - del supporto ai servizi sanitari esterni. L’idea di istituire il Servizio nacque dalla consapevolezza che in Sicilia mancavano le informazioni di base che permettessero ai vertici della sanità regionale di decidere sulla scorta di evidenze scientifiche. La coscienza di tale carenza è rimasta purtroppo unilaterale e mai confortata dalla condivisione del partner naturale. Infatti le attuali decisioni su personalizzazioni ed adattamenti della normativa nazionale inerente l’eradicazione della brucellosi dei ruminanti, vengono prese senza preoccuparsi di monitorare il fenomeno infettivo attraverso indici epidemiologici, senza chiari obiettivi riguardanti la pianificazione delle attività di prelievo e senza un piano di sorveglianza che verifichi l’attività svolta. Relativamente al piano regionale sulla eradicazione della Brucellosi, il Servizio ha ufficializzato le seguenti proposte: 1. validazione dell’anagrafe aziendale, relativamente al numero dei capi, attraverso l’esame di un campione di aziende opportunamente stratificato sul territorio; 2. obbligo della identificazione dei capi. Infatti la mancata identificazione dei capi, con un metodo idoneo, può vanificare il lavoro dell’intero apparato regionale a causa della possibilità che questi vengano scambiati con altri soggetti; 3. tavolo di coordinamento con Assessorato, IZS ed ASL che stabilisca la pianificazione dell’attività di prelievo attraverso i dati dell’Anagrafe Zootecnica Regionale. Infatti la validazione dell’anagrafe aziendale consentirà di stabilire per ogni ASL degli obiettivi di attività la cui verifica potrebbe essere fatta trimestralmente. Gli obiettivi minimi potrebbero essere i seguenti: - saggiare l’intero patrimonio bovino entro i primi 6 mesi dell’anno; - verificare sierologicamente 2 volte l’anno le aziende bovine Ufficialmente Indenni; - saggiare l’intero patrimonio ovi-caprino in 12 mesi; - aumentare la percentuale dei rientri nelle aziende positive entro i termini stabiliti dalla legge al 70% entro l’anno; - chiudere il 50% dei focolai aperti entro 12 mesi; 4. l’utilizzazione degli indici epidemiologici più semplici, come ad es. prevalenza e incidenza cumulativa, potranno valutare l’efficacia del piano. Infatti, se verranno raggiunti gli obiettivi di attività previsti, potremo definire entro 12 mesi la prevalenza nell’intero patrimonio bovino ed ovi-caprino. Per ciò che riguarda i bovini, potremo identificare nella prevalenza il primo indicatore epidemiologico di efficacia (inteso come la differenza tra il valore di questo nel primo e nel secondo periodo); saremo inoltre in grado di fornire il dato del primo periodo riferito all’incidenza cumulativa. Quest’ultimo dato sarà poi in grado di fornirci, nel terzo quadrimestre dell’anno, un indicatore essenziale d’efficacia (inteso come la differenza tra il valore dell’incidenza cumulativa nel secondo e nel terzo periodo) che tiene conto della dinamica dell’infezione nel territorio. 5. Coordinamento con l’Igiene Pubblica per il rilevamento dei dati riferiti all’uomo e lo scambio delle informazioni. 6. Prevedere la possibilità che, laddove le ASL abbiano particolari difficoltà budgettarie, i sindaci disponibili possano liquidare le indennità di abbattimento attraverso la stipula di un accordo con la A.S.L. che rimborserà successivamente l’amministrazione comunale. 7. Si consiglia l’istituzione di un Osservatorio Epidemiologico Veterinario, che attraverso la collaborazione tra i due enti fissata da apposito finanziamento regionale, possa rappresentare lo strumento di collegamento e di informazione tra centro e periferia per tutte le attività di Sanità Pubblica Veterinaria. 8. Accanto al progetto di eradicazione bisognerà provvedere alla realizzazione di un piano di Sorveglianza Epidemiologica per la verifica attiva degli indicatori epidemiologici. Per coerenza con quanto sino ad ora affermato mi chiedo: “…ma quali osservatori ?” La domanda sorge assolutamente spontanea visto che gli Osservatori Epidemiologici Veterinari rappresentano, sino ad oggi, delle strutture squisitamente tecniche la cui costituzione, da parte delle regioni, è esclusivamente a carattere volontario e come tutto ciò che è volontario è affidato alla buona volontà dei singoli; mi chiedo ancora: “….ma può uno strumento quale un OEV essere affidato al volontariato ?…o forse sarebbe più coerente con la politica comunitaria ed internazionale che i governi invitassero le regioni a fornire periodicamente dati epidemiologici sulla base di indici predefiniti a livello centrale come peraltro suggerito dal mondo scientifico ?” La risposta mi pare scontata proprio perché tali notizie devono supportare le politiche comunitarie a difesa del consumatore, la protezione dello stato sanitario del comparto zootecnico, l’analisi del rischio nei vari scenari commerciali, la lotta alle zoonosi. ci scrivono ... dalla Sicilia Calogero Di Bella Servizio di Sorveglianza Epidemiologica IZSSi 4 A proposito di Lodi le ASL si raccontano ASL di LODI e i suoi distretti Diamo un po’ di numeri Superficie territorio Kmq 782,36 Abitanti 194.272 Medici veterinari Area A 14 Personale tecnico Operatori 2 Personale amministrativo specie allevate Area B 10 Area C 2 Vigili sanitari 4 6 La situazione zootecnica n° n° allevamenti capi Bovini da latte Bovini da carne Suini Ovi-caprini Equini Bufalini Avi-cunicoli Struzzi Canili Api 559 80 290 4 103 3 2 3 1 140 101.000 5.000 500.000 100 968 350 260 30 = 5.137 arnie La situazione zootecnica - animali macellati n° specie capi/anno Bovini Suini Avi-cunicoli Latte prodotto 150.000 57.000 20.000 ...................................... 3.915.000 q.li Macelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52 Sezionamenti 14 ..................................................... Laboratori di lavorazione 14 ...................................... Impianti di lavorazione e trasformazione di latte e derivati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Mangimifici 5 ........................................................ 3 Rubriche Dal...L’Osservatorio del dr. Giuseppe Granata F. Pancini iuseppe Granata, 52 anni, sposato, ha un figlio di 27 anni. Laureatosi in Medicina Veterinaria a Milano nel 1973, da sempre risiede a Lodi, anche se spesso ha dovuto esercitare la professione lontano da casa. Dapprima, cioè dal 1980, come libero professionista e, successivamente, come “interino”, quindi come condotto a Peschiera Borromeo. Due anni dopo viene assunto nelle ASL come veterinario collaboratore, esercitando fino al 1989. Nel 1990 passa di ruolo vincendo il concorso come dirigente all’XI° livello e, sei anni più tardi, approda nell’ASL della provincia di Lodi dove attualmente riveste la qualifica di responsabile del servizio veterinario provinciale. Quali sono, in termini di rapporti, organizzazione e coordinamento, le relazioni tra i servizi veterinari della tua ASL con le realtà del dipartimento di prevenzione? Sono buoni sia dal punto di vista professionale che da quello umano. Per quanto ci riguarda noi abbiamo sempre offerto la massima collaborazione possibile e la stessa cosa potrei dire anche del settore sanitario nei nostri confronti. Certo esistono dei problemi organizzativi come in ogni settore lavorativo e riguardano i sopralluoghi di vigilanza che spettano ad entrambi. Per ovviare a questo inconveniente abbiamo messo a punto una modalità che ci consente di snellire il lavoro e di non far perdere tempo prezioso sia al settore sanitario che a quello veterinario. In pratica adesso abbiamo individuato le figure professionali che devono espletare in modo specifico le proprie competenze, evitando così imbarazzanti sovrapposizioni di ruolo o contrattempi vari. Attualmente a che punto è lo stato di attuazione dei tre servizi veterinari della tua ASL? Per quanto riguarda il servizio A e B sono operativi da sem- G pre, anche se occorre riorganizzarli proprio perché da poco è stato deciso di istituire dal punto di vista formale il servizio C anche nell’ASL di Lodi. Provvisoriamente ci sono tre colleghi che part time svolgono sia il lavoro del proprio servizio sia quello di competenza dell’area C e cioè: mangimi, stabilimenti a basso ed alto rischio, stabilimenti di lavorazione e trasformazione del latte e derivati, la farmacovigilanza ed il controllo dei canili. Quando hai ricevuto l’incarico di responsabile dei servizi veterinari della provincia di Lodi, quali sono stati gli obiettivi prioritari che ti sei posto e quali di questi sono stati raggiunti? L’obiettivo principale è stato quello di rendere autonomi i tre servizi e, nello stesso tempo, di amalgamarli tra loro. La cosa a cui tengo maggiormente infatti è che tutti e tre i servizi del settore veterinario rispondano all’utenza, sia pure esprimendo competenze diverse tra loro, in modo tale da rispondere efficacemente alle esigenze del cittadino sia a livello amministrativo o tecnico o veterinario. Credo che il nostro servizio sia riuscito ad offrire un servizio all’altezza del proprio compito. In seguito al nuovo riassetto strutturale, quale ritieni che sia il principale effetto positivo o negativo che si è determinato nella tua ASL con l’applicazione della legge regionale 31/97? 6 Rubriche L’aspetto più positivo determinato dall’entrata in vigore della legge 31/97 è dovuta alla maggiore professionalità che si è venuta a definire in ambito veterinario con la maggiore specificità offerta dai vari servizi, soprattutto per la risoluzione di determinati problemi. Il medico veterinario infatti è divenuto un vero specialista nel settore di competenza del proprio servizio, riuscendo così a offrire una migliore professionalità rispetto al passato. Il problema maggiore invece è quello di sovraccaricare dal punto di vista burocratico le competenze dei tre servizi, con un inevitabile allungamento dei tempi di risposta da parte nostra nei confronti delle richieste dell’utenza. Nella tua ASL, quali sono le necessità più urgenti? Qualche carenza si avverte a livello del personale sanitario, composto da un numero insufficiente di addetti per i carichi di lavoro a cui dobbiamo far fronte. In previsione c’è l’opportunità di assunzione di una unità per quanto concerne il servizio di area B, inoltre è previsto l’inserimento di qualche libero professionista esterno in area A. Per quanto riguarda gli automezzi recentemente abbiamo fatto richiesta di una nuova unità, mentre, per quanto riguarda il sistema informatico dal 1996 ad oggi ci sono stati dei notevoli miglioramenti per quanto riguarda le apparecchiature, anche se ancora molto resta da fare. A questo proposito voglio fare un particolare elogio al personale amministrativo e tecnico dell’ASL che, a seguito della partecipazione ai corsi organizzati dalla nostra Azienda Sanitaria, ha dimostrato di avere acquisito una notevole professionalità in materia. Per quanto riguarda l’erogazione dei servizi agli utenti, quali sono nella tua Azienda le priorità di gestione relative alla sanità pubblica veterinaria? Per quanto concerne il servizio sanità animale le priorità principali riguardano le profilassi di Stato relativamente alla tubercolosi, brucellosi e leucosi e le compravendite. Per la Tbc, purtroppo, il nostro territorio quest’anno ha perso la qualifica di “ufficialmente indenne” da tubercolosi per il riscontro di tre casi di malattia a fronte di uno solo dell’anno precedente. Devo anche sottolineare che questi casi di Tbc si sono verificati su un totale di 103.000 capi bovini da latte, 10.000 capi bovini da carne e circa mezzo milione di suini. Quello della Tbc resta comunque il nostro problema più urgente da risolvere che, negli anni passati, abbiamo tenuto sotto controllo con l’ausilio del gamma interferon. Un grosso aiuto dal punto di vista epidemiologico ci è venuto dal macello “Inalca”, dove sono stati segnalati, dai colleghi della nostra Asl che lavorano costantemente presso quella struttura, alcuni casi di malattia che sono stati riscontrati successivamente alle accurate visite post-mortem che vengono regolarmente effettuate. Qual’è la più importante realtà produttiva del territorio della tua ASL e quali problematiche comporta? Non ho difficoltà a ribadire che l’Inalca è tra le maggiori realtà produttive della nostra provincia e non solo, dato che è una struttura con bollo CEE che macella da un minimo di 800 ad un massimo di 1300 capi bovini al giorno. Le problematiche di tipo igienico-sanitario che riguardano i bovini le abbiamo risolte brillantemente in quanto la struttura è dotata, tra l’altro, di un modernissimo impianto di lavaggio e disinfezione degli automezzi che garantisce la massima sicurezza. Ci siamo impegnati a fondo affinché tutti i capi bovini che giungono presso il macello siano accompagnati dal relativo Modello 4 e che siano identificati secondo quanto prescrive la legge. Il problema più importante, soprattutto all’inizio, si è determinato con la carenza del numero di veterinari addetti all’ispezione ante e post mortem degli animali, per di più per adempiere ad un lavoro molto impegnativo che parte dalle ore 7,30 del mattino fino alle 18, con la sola interruzione di un’ora dovuta al pranzo. Oltre a questa realtà produttiva ne esistono molte altre, quasi tutte impegnate nel settore lattiero-caseario (es: Polenghi Lombardo per il latte o di formaggi molli es: Stella Bianca) oppure per la produzione del Grana Padano. Esiste poi tutta una serie di piccole realtà produttive o di trasformazione a carattere artigianale che rappresentano la vocazione agro-zootecnica di questa terra. Ben sviluppato nel lodigiano è anche l’allevamento suinicolo. Come sono i rapporti della tua ASL nei confronti dei veterinari liberi professionisti, delle associazioni protezionistiche e animaliste e degli operatori delle aziende di produzione e trasformazione? Con i colleghi liberi professionisti i rapporti sono più che buoni, basti pensare che il presidente dell’Ordine dei veterinari di Lodi è un collega dipendente pubblico della nostra ASL. Inoltre, in collaborazione con lo stesso Ordine, sono stati organizzati dei corsi d’aggiornamento e dei seminari dedicati ai veterinari che hanno avuto notevole gradimento da parte di tutti. Anche con le associazioni zoofile abbiamo instaurato dei buoni rapporti di collaborazione poiché nel 1996, quando sono stato nominato a Lodi, ho attivato, in pieno accordo con i colleghi dipendenti pubblici, il servizio di sterilizzazione settimanale dei cani e dei gatti che, annualmente, sfiora i duecento interventi. Per quanto concerne gli allevatori e gli operatori delle aziende, a parte qualche sporadico e isolato caso di incomprensione reciproca, la situazione è del tutto soddisfacente. A tal proposito, abbiamo istituito la vidimazione dei cosiddetti “passaporti” da parte del personale veterinario dipendente il quale, un paio di volte la settimana, appone la vidimazione e la firma del documento in modo che l’allevatore possa svolgere regolarmente e con sollecitudine tutte le operazioni necessarie alla propria attività di compravendita. Sei complessivamente soddisfatto del tuo lavoro e dei tuoi rapporti coi colleghi? Del mio lavoro sono più che soddisfatto, così come dei rapporti coi colleghi, anche se, negli anni scorsi, c’era stata qualche incomprensione soprattutto per quanto riguardava la corretta interpretazione delle leggi. Anche con gli amministrativi e i tecnici abbiamo instaurato un ottimo rapporto di collaborazione che è fondamentale per il buon funzionamento di tutta l’organizzazione interna. Il tuo lavoro di responsabile del servizio veterinario provinciale ha influenzato e in che modo la tua vita privata? Il fatto di risiedere a poche centinaia di metri dal posto di lavoro non comporta alcuna rinuncia da parte mia nei confronti della famiglia. Oltretutto, ho una moglie che si interessa di quello che faccio durante la giornata e questo è segno che il mio lavoro ed i rapporti che si creano in quel contesto sono per lei, così come per me, molto importanti e strettamente legati al nostro quotidiano. Anche mio figlio è interessato alla mia attività, anche perché è in procinto di laurearsi in Scienza della produzione animale, una facoltà molto vicina alla mia che, per fortuna, lo appassiona molto. Credo quindi di essere un uomo fortunato, che ama il proprio lavoro e che ha dato e ricevuto moltissimo sia dalla famiglia che dal contesto professionale. 7 Rubriche Epidemiologia nella filiera di macellazione più grande d’Europa D. Fattori, S. Biggioggero, E. Dordoni, R. Morici, M. Perri, N. Prandi, L. Tessuto n una realtà a forte vocazione zootecnica come quella di Lodi e della sua Provincia, è recentemente sorto lo stabilimento Inalca S.p.A. di Ospedaletto Lodigiano, una struttura di produzione e trasformazione di carni bovine all’altezza della migliore tradizione nel settore del fast food nazionale. La struttura, disposta su 60.000 mq coperti, poggia su di una superficie totale di 377.000 mq ed ha una capacità produttiva di circa 140 capi bovini all’ora, con una media settimanale di 5.000 bovini. Il complesso dà lavoro a circa 600 dipendenti, dei quali circa 120 sono impegnati nella linea di macellazione. Considerata la vastità dell’impianto, il settore veterinario dell’ASL di Lodi è riuscito ad organizzare un efficiente sevizio di ispezione e vigilanza, attualmente composto da sei veterinari, che garantisce sotto il profilo igienico-sanitario l’idoneità dei capi bovini macellati e delle carni da questi prodotte. A questo proposito, fin dall’inizio dell’attività, era emersa la necessità di fondere ed integrare, in un sistema di macellazione altamente meccanizzato ed informatizzato, le esigenze produttive con quelle igienico-sanitarie, ovvero individuare quali e quanti fossero i punti dove ottimizzare i controlli sanitari. Per tale ragione, le procedure di controllo del servizio veterinario sono state informatizzate ed affiancate al sistema di autocontrollo aziendale, in modo che i due tipi di sistemi si integrassero fra loro incrementando l’efficacia dei controlli. L’attività svolta dai veterinari ufficiali in servizio presso questa struttura, oltre ad ottemperare agli impegni previsti dalla normative del settore carne, è stata finalizzata: 1) alla informatizzazione dell’attività di controllo, con particolare attenzione alla modulistica; alla registrazione delle attività svolte; alla registrazione delle malattie riscontrate per le quali sono previsti adempimenti d’ufficio; 2) alla formazione del personale che coadiuva i veterinari nella visita ispettiva post-mortem, anche mediante la realizzazione di un opuscolo informativo dove sono state descritte le principali malattie riscontrabili, le tecniche ispettive, il giudizio sanitario. La raccolta dei dati relativi I alle malattie infettive a carattere zoonostico è l’oggetto di questa nota. Tra queste, le patologie maggiormente riscontrate sono state: tubercolosi, idatidosi, cisticercosi. Nella Tabella 1 sono riportati il numero dei capi macellati dall’inizio dell’attività (aprile 1999) al 31 marzo 2000 e le positività riscontrate all’ispezione post-mortem delle tre malattie prese in esame. Cisticercosi Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che le lesioni parassitarie si rinvengono con una frequenza maggiore in bovini provenienti dall’Italia settentrionale. Nei vitelloni le forme larvali sono riconducibili al fatto che questi animali, prima della loro introduzione in Italia dai paesi comunitari d’origine, sono allevati “al pascolo”. La presenza di forme parassitarie in vacche e vitelli lasciano presumere il perdurare di scorrette abitudini igieniche del personale addetto alla cura degli animali e, per i capi adulti, all’uso di foraggi “di sfalcio” raccolti vicino alle strade. Idatidosi Pur essendo confermato dai dati in nostro possesso, che il meridione d’Italia (dove l’allevamento bovino ha tuttora carattere estensivo e promiscuo ed il cane in azienda riveste un ruolo importante) è la zona più colpita da questa malattia, si nota una discreta diffusione dell’infestazione anche al nord ed al centro del Paese. 8 Ispezione Alimenti Conclusioni Le capacità produttive di questo impianto fanno sì che per garantire l’approvvigionamento delle materie prime, i fornitori siano diffusi su tutto il territorio nazionale e in parte comunitario. Questo porta ad un ulteriore incremento della funzione di osservatorio epidemiologico del macello in questione per quanto riguarda le malattie a carattere zoonosico, difficilmente diagnosticabili in vita. In futuro è auspicabile una maggiore attenzione alle malattie economicamente rilevanti, in modo da poter offrire un ritorno d’informazioni agli allevatori per il miglioramento della loro attività zootecnica. Tubercolosi Il numero dei capi regolarmente macellati e risultati, a seguito dell’ispezione post-mortem, affetti da tubercolosi è ancora piuttosto elevato, nonostante il forte impegno profuso da anni nella bonifica sanitaria degli allevamenti. In dodici casi si è provveduto a prelievo del materiale patologico per la tipizzazione del micobatterio da parte dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia: in dieci casi è stata confermata la presenza di Mycobacterium bovis, mentre è ancora in corso la tipizzazione degli altri due casi. Tabella 1. Numero dei capi e positività riscontrate (aprile 1999 - marzo 2000). categoria Nord Italia Centro Italia Sud Italia CEE n° capi macellati cisticercosi tubercolosi (capi positivi all’ispezione post mortem regolarmente macellati) idatidosi n° positivi % positivi n° positivi % positivi n° positivi % positivi vacca vitellone vitello toro bufalo totale Nord 71.131 30.007 32.247 660 76 134.121 181 52 17 1 0 251 0,25 0,17 0,05 0,15 0,00 0,19 319 4 1 1 2 327 0,45 0,01 0,00 0,15 2,63 0,24 34 2 0 1 1 38 0,05 0,01 0,00 0,15 1,3 0,03 vacca vitellone toro bufalo totale Centro 1.077 36 10 85 1.208 0 0 0 0 0 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 135 0 1 3 139 12,53 0,00 10,00 3,53 11,51 1 0 0 0 1 0,09 0,00 0,00 0,00 0,08 vacca vitellone toro bufalo totale Sud vitelloni totale 1.379 54 18 51 1.502 1.637 138.468 0 0 0 0 0 1 252 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,06 0,18 304 1 2 5 312 0 778 22,04 1,85 11,11 9,80 20,77 0,00 0,56 29 0 0 1 30 0 69 2,10 0,00 0,00 1,96 2,00 0,00 0,05 Figura 1. Andamento delle positività delle tre malattie al nord, centro e sud Italia. 9 Ispezione Alimenti Infezioni da circovirus nella specie suina: attuali conoscenze G. Sala, S. Rigola l circovirus suino (PCV) è stato descritto per la prima volta nel 1974 come contaminante della linea cellulare PK15; le caratteristiche del virus consistono principalmente nelle piccole dimensioni (circa 17 nm), nell’assenza di envelope e nella presenza di DNA monocatenario di forma circolare, che dà il nome alla famiglia Circoviridae. Recentemente un circovirus suino geneticamente ed antigenicamente diverso da quello contaminante, è stato evidenziato in correlazione a diverse forme cliniche in suini di diverse parti del mondo, aumentando notevolmente l’attenzione nei confronti di questi virus. Il nuovo virus è stato denominato circovirus suino tipo 2 (PCV2) (figura 1) per distinguerlo dal contaminate cellulare denominato circovirus suino tipo 1 (PCV1). Entrambi i virus sono coltivabili sulla linea cellulare PK15 e non danno luogo ad effetto citopatico. Dal punto di vista molecolare, l’omologia tra le sequenze genomiche di PCV1 e PCV2 è inferiore all’80%, mentre è ipotizzato che a causa dell’elevata omologia genomica con i nanovirus delle piante, PCV1 sia originato da essi per mutazione. I Postweaning Multisystemic Wasting Syndrome (PMWS). Studi retrospettivi hanno dimostrato che la malattia era già presente nel 1991. Attualmente in Canada la malattia si osserva in eguale misura in allevamenti di grosse e piccole dimensioni e con maggiore frequenza negli allevamenti con uno status sanitario molto elevato, spesso esenti dalle principali malattie respiratorie ed enteriche quali polmoniti da micoplasmi ed actinobacilli, rinite atrofica, salmonellosi, TGE e malattia di Aujeszky; molti allevamenti sono inoltre PRRS-free. Nella maggioranza dei casi la malattia colpisce animali di 512 settimane ed i sintomi clinici più comunemente descritti sono il rallentamento della crescita, il deperimento, la dispnea, l’aumento di volume dei linfonodi superficiali e meno frequentemente il pallore cutaneo, la diarrea e l’ittero. La morbilità e la mortalità associate alla PMWS sono variabili a secondo dell’età degli animali colpiti e del management d’allevamento. In alcuni casi di malattia acuta la mortalità può comunque raggiungere e superare il 10%, mentre negli allevamenti in cui la malattia diventa endemica morbilità e mortalità sono più basse. E’ inoltre ormai assodata l’importanza dei fattori ambientali quali correnti d’aria, sovraffollamento, mescolamento di gruppi di diverse età ed altri fattori stressanti che possono aumentare la gravità della malattia. Le lesioni macroscopiche negli animali malati sono piuttosto variabili e si osservano nel loro complesso nel gruppo ma raramente sono tutte contemporaneamente presenti nel singolo animale; caratteristici sono l’aumento di volume di 3-4 volte dei linfonodi superficiali e viscerali (in particolare inguinali, meseraici, bronchiali e mediastinici), la polmonite con aree di consolidamento specialmente nelle porzioni ventrali anteriori, la degenerazione epatica talvolta accompagnata da ittero, la nefrite con focolai biancastri di dimensioni variabili (figure 2,3,4,5) Dal punto di vista istologico si osservano una diffusa infiltrazione linfoistocitaria nei vari organi, deplezione linfocitaria negli organi linfatici e polmonite necrotizzante con degenerazione degli epiteli. A livello delle lesioni è possibile evidenziare sia l’antigene virale che l’acido nucleico e talvolta è anche possibile l’isolamento del virus. La diagnosi della malattia si effettua verificando la presenza della sintomatologia e delle lesioni anatomopatologiche tipiche; a livello di laboratorio è possibile evidenziare l’antigene virale su sezioni criostatiche, sia utilizzando sieri policlonali che anticorpi monoclonali (figura 6). La PCR (Polymerase Chain Reaction), reazione che permette l’evidenziazione di frammenti specifici del DNA virale, è PCV1 Diverse indagini sono state effettuate per stabilire se PCV1 fosse patogeno per il suino e diversi autori nel corso degli anni lo hanno associato a turbe riproduttive, a tremore congenito (tipo AII) e anche ad un caso di suinetti con deperimento progressivo. Indagini sierologiche effettuate in diverse parti del mondo hanno dimostrato l’estrema diffusione di questo virus; più in dettaglio indagini sierologiche sono state condotte in Germania, Canada, Nuova Zelanda, Gran Bretagna e Irlanda, dimostrando l’ubiquitaria diffusione del virus. Nel Laboratorio Virologia Specializzata dell’IZSLER sono stati esaminati nel 1995, 363 sieri suini provenienti da 36 allevamenti del bacino d’utenza; in tutti gli allevamenti si sono riscontrati soggetti con anticorpi ed il totale dei soggetti sieropositivi ammontava al 58.7%, dimostrando che la situazione italiana è sovrapponibile a quella di altri paesi. Anticorpi nei confronti di PCV1 sono stati riscontrati anche nell’uomo, nel topo e nel bovino, ma l’esatto significato di tale riscontro non è stato al momento interpretato. PCV2 Fino ad oggi sono stati pubblicati ancora pochi dati relativamente alla sieroprevalenza, alle vie d’escrezione, allo spettro d’ospite e alle modalità di trasmissione di PCV2. PCV2 è stato associato a diverse patologie; nel 1996 è stata descritta in Canada una sindrome caratterizzata da progressivo deperimento negli animali svezzati, denominata 10 Sanità Animale Il riscontro che tale virus è molto diffuso negli allevamenti suini, anche laddove non vi sono problemi nel post-svezzamento, deve però fare riflettere sul fatto che PCV2 è probabilmente solo uno dei fattori che portano all’insorgenza della PMWS, in associazione con altri agenti virali, batterici e/o o con fattori di tipo ambientale e gestionale. Il rafforzamento delle normali procedure di profilassi diretta risulta essere allo stato attuale il migliore metodo di controllo della PMWS. attualmente senza dubbio la metodica d’elezione per dimostrare la presenza del virus; consente infatti di esaminare un elevato numero di campioni in tempi relativamente rapidi e garantisce una specificità assoluta legata alla scelta dei primers e di conseguenza del frammento di genoma che viene amplificato. Per la PCR e la ricerca dell’antigene virale, i linfonodi possono essere considerati organo d’elezione; buoni risultati in PCR si possono ottenere anche su altri organi parenchimatosi (polmone, rene, milza), mentre in corso di validazione della metodica attualmente in uso nel laboratorio di Diagnostica Molecolare dell’IZSLER si sono avuti risultati discordanti esaminando il siero, che non è dunque da ritenere un materiale adatto alla diagnostica delle infezioni virali del suino mediante PCR. Utilizzando tale metodica sono stati esaminati nei mesi a cavallo tra il 1999 ed il 2000, organi di suino provenienti da 76 focolai di mortalità, di cui 50 con anamnesi, andamento clinico e lesioni tipiche di PMWS e 26 nei quali non era sospettata la PMWS. Parallelamente alla PCR per PCV2 è stata eseguita la PCR per il virus della PRRS. I risultati ottenuti, riassunti nella tabella 1, dimostrano l’elevata diffusione di PCV2 nella popolazione suina, anche negli allevamenti in cui non si riscontrano problemi riferibili a PMWS; la più elevata percentuale di allevamenti positivi per PRRS nei casi con anamnesi positiva per PMWS, può confermare il fatto che tale virus sia uno dei cofattori coinvolti nel determinismo della PMWS. Per saperne di più: Allan G.M e Ellis J.A. (2000) “Porcine circovirus: a review” J Vet Diagn Invest 12: 3-14. Atti XXVI Congresso SIPAS, Piacenza 24-25 marzo 2000 Figura 1. Immagine di PCV2 al microscopio elettronico Tabella 1. Risultati PCR per PCV2 e PRRS in allevamenti con anamnesi nota Anamnesi PMWS Positività PCR PCV2 Positività PCR PRRS Positiva 50/50 17/50 Negativa 18/26 1/26 Figura 2 e 3. Aumento di volume dei linfonodi meseraici ed inguinali I dati relativi all’ampia diffusione di PCV2 sono confermati dalla sierologia. Dati recenti di autori canadesi testimoniano un’alta sieroprevalenza sia in allevamenti con elevato status sanitario per la produzione di suini SPF, che in allevamenti da ingrasso e da riproduzione. Dati sovrapponibili sono segnalati anche in Italia dove (dati IZSLER) su 105 allevamenti esaminati in IPMA per la ricerca di anticorpi per PCV2, 103 sono risultati positivi, indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi riferibili a PMWS, con un totale di 1405 sieri positivi su 1716 esaminati. L’indagine sierologica è stata inoltre estesa a sieri prelevati nel 1992, quando ancora non era descritta la PMWS: su 45 allevamenti, 37 sono risultati positivi e su 179 sieri 121 positivi. Figura 4. Lesioni polmonari ed aumento di volume dei linfonodi mediastinici Figura 5. Lesioni renali CONCLUSIONI Le crescenti segnalazioni da parte di veterinari di campo di forme cliniche post-svezzamento con deperimento organico negli animali colpiti ha portato ad un aumento di interesse nei confronti di PCV2, segnalato dalla bibliografia internazionale come agente responsabile della PMWS. Figura 6. Immunofluorescenza per PCV2 su cellule PK15 11 Sanità Animale Il ring test sul latte di massa aziendale: esperienza pratica in Lombardia G. Bolzoni, P. Daminelli, M. Benedetti ’evoluzione epidemiologica della Brucellosi bovina, così come quella di altre patologie sottoposte da decenni a piani di profilassi nazionale, comporta la necessità di periodici riesami delle modalità di attuazione. Con il progressivo mutare della situazione epidemiologica (diffusione, indennità, frequenza ed ampiezza dei focolai, ecc.), vanno infatti modificandosi alcuni importanti fattori del bilancio costo-beneficio di tali piani. Esempio tipico è il passaggio dal regime di vaccinazione diffusa ed obbligatoria a quello di stamping-out, avvenuto nell’ultimo decennio per alcune importanti patologie infettive a livello comunitario, in conseguenza di valutazioni principalmente sanitarie, ma anche di tipo economico. Le medesime considerazioni valgono nella scelta di differenti metodiche analitiche in cui gli aspetti tecnici (tipo di campione, modalità di prelievo, complessità di esecuzione, sensibilità e specificità del metodo, tempi di risposta) devono essere valutati in relazione alla situazione epidemiologica ed ai costi realizzativi. Sulla base di queste considerazioni e su richiesta dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia, presso il Reparto di Microbiologia e Parassitologia dell’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, si è eseguita una prova applicativa di monitoraggio della Brucellosi bovina, utilizzando la prova dell’anello o Ring Test (RT) su campioni di latte di massa aziendale conferiti nell’ambito del programma di pagamento del latte in base alla qualità. Questa metodica analitica era considerata alternativa ai periodici prelievi di sangue per la Fissazione del Complemento, dal D.P.R. n° 230 del 1994, ed è stata già utilizzata in Lombardia negli anni 1995-97, in sostituzione parziale del doppio controllo sierologico previsto dal D.M. n° 651 del 27/08/94 per l’ottenimento ed il mantenimento della qualifica di regione Ufficialmente Indenne. L’attuale situazione epidemiologica regionale, illustrata sinteticamente in Tabella 1, comporta due esigenze contrastanti: da una parte la ridotta prevalenza della Brucellosi, rende economicamente gravoso il ricorso frequente al prelievo di L sangue dai singoli animali, dall’altra però, in presenza di pochi focolai localizzati, vi è il rischio che i tempi di individuazione troppo lunghi facilitino la diffusione dell’infezione in aree territoriali più ampie con possibile perdita dell’indennità provinciale o regionale. Il ricorso sistematico al RT su latte di massa aziendale, ripetibile più volte nell’arco dell’anno con costi comunque contenuti, può rappresentare la risposta corretta a queste esigenze. MATERIALI E METODI Nell’ultimo trimestre del 1999, sono stati analizzati con il RT, 9.961 campioni di latte di massa aziendale casualmente selezionati tra i campioni conferiti al laboratorio nell’ambito del pagamento del latte a qualità. Gli allevamenti interessati appartenevano alle province di Brescia, Bergamo, Cremona, Lodi, Milano, Mantova, Varese ed in piccola parte da Piacenza e Verona (rispettivamente 10 ed 8 campioni). Sono stati inoltre esaminati 43 campioni di singola bovina provenienti da 3 degli allevamenti risultati positivi al RT nella provincia di Brescia. Tutti i campioni sono stati analizzati entro 24 ore dal prelievo, conservati a temperatura di frigorifero sino a 30 minuti dall’esecuzione dell’analisi e agitati manualmente tramite ripetuti capovolgimenti, prima del prelievo dell’aliquota destinata al RT al fine di disperdere uniformemente la componente lipidica. Il RT è stato eseguito secondo le indicazio12 Sanità Animale ni del D.P.R. n° 230 del 01/03/92; al fine di migliorarne la leggibilità, a ciascun campione di latte (2 ml) è stata aggiunta panna di affioramento (0,1 ml) trattata con formolo (0,1%) ottenuta da un allevamento U.I.. Allo stesso scopo, ed in particolare per l’interpretazione dei risultati “dubbi”, dopo l’incubazione dei campioni a 37 °C per 45 minuti e la lettura, si è proceduto ad una fase di permanenza a temperatura di refrigerazione, come indicato da Sutra L., et al. (3). Sono stati considerati “dubbi” i campioni in cui l’anello di panna, pur non presentando una chiara banda colorata, differiva da quello del controllo negativo (bianco). Su tutti i campioni che hanno fornito reazione dubbia o positiva, si è successivamente eseguito un test ELISA specifico per il latte, utilizzando un kit disponibile in commercio (CHEKIT R Brucellose Milk, Dr Bommeli AG, LiebefeldBern, CH); la lettura finale è stata eseguita con spettrofotometro a 405 nm. “dubbi” è risultato poi positivo al test Elisa, mentre in due casi i campioni positivi al RT sono stati confermati in Elisa (corrispondenti al 2,6% dei campioni positivi/dubbi ed al 13,3% dei positivi). Nei due allevamenti risultati positivi sia al RT che al test ELISA, tramite intervento dei veterinari delle rispettive ASL, si è eseguito il prelievo di sangue da tutti gli animali presenti per l’esecuzione della FdC. Nel primo allevamento, in provincia di Brescia, si sono individuati 38 capi positivi su 98 presenti. Nel secondo allevamento, in provincia di Milano, si è osservata positività in 100 bovine su 130 ed in 58 manze su 95; è interessante notare che, in questo ultimo caso, il normale controllo annuale eseguito poco più di due mesi prima aveva fornito esito negativo sulla totalità dei capi In tre degli allevamenti positivi al RT, ma non confermati dall’ ELISA, si è eseguito in tempi brevi il prelievo di campioni di latte dai singoli capi in lattazione (43 complessivamente). Il RT ha fornito esito positivo per 3 campioni: in un primo allevamento sono state individuate 2 bovine positive su 24 in lattazione, nel secondo una sola bovina su 6 (in questo caso è degno di nota che tutti i campioni analizzati presentassero una marcata leucocitosi con tenore in cellule somatiche da 1 a 4 milioni/ml), ed infine, nel terzo allevamento, non si sono identificate positività su 13 capi in lattazione. L’esame colturale eseguito sul latte delle due bovine positive del primo allevamento ha fornito esito negativo. Il RT eseguito sul latte di massa è un test di semplice esecuzione e limitato costo, ma presenta ovviamente alcuni limiti rispetto a prove come FdC o SAR. La consistenza media di un allevamento di bovine da latte, ad esempio, è attualmente molto più elevata di quella che esisteva negli anni in cui questo test è stato approntato (Fleishauer nel 1937), e ciò può influire sulla probabilità di individuare l’infezione quando interessi una piccola porzione degli animali di un grande allevamento: secondo Roepke et al. (4) la probabilità di individuare un animale infetto dal latte individuale è stimata in 0,993, mentre in un gruppo di 400 animali scende a 0,248. D’altro canto, nel nostro caso, il RT ha consentito il riscontro di un caso di positività ed un esito “dubbio” all’esame dell’ autocisterna di raccolta (150 q.li) contenente il latte degli allevamenti risultati poi positivi all’Elisa. Il RT presenta, inoltre, una limitata sensibilità nei casi di infezione recente, come del resto accade anche con la FdC, ed è stata ripetutamente segnalata la minor specificità rispetto alla FdC e SAR (5), in particolare nel caso dei campioni individuali: 57,5% secondo Huber J.D. e Nicoletti P (6). E’ stata infine segnalata la possibile interferenza di alterazioni del latte quali presenza di colostro, di latte mastitico o in corso di coagulazione acida, in particolare nel latte di piccoli allevamenti (7). Numerosi test ELISA sono stati sperimentati ed utilizzati per la diagnosi di Brucellosi sia dal latte che dal sangue, in grado di evidenziare e titolare differenti tipi di anticorpi, con diverse potenzialità e caratteristiche e, in linea generale, si sono dimostrati più sensibili del RT e più specifici nell’individuazione delle positività con la possibilità di ottenere in modo relativamente semplice anche risposte quantitative. Può valere ad esempio, quanto riferito da Boraker D.K. et Tabella 1. Brucellosi bovina-bufalina: situazione epidemiologica Regione Lombardia (fonte dati O.E.V.R). ANNO 1998 ANNO 1999 Allevamenti controllati 18.032 17.423 Capi controllati 931.486 932.233 Allevamenti positivi (%) 18 (0,1%) 18 (0,09%) Di cui precedentemente U.I. o Neg. 17 16 2120 (0,23%) 524 (0,05%) Analisi eseguite 1.183.826 1.000.546 Capi abbattuti 3.052 1.236 Focolai denunciati 18 14 Focolai in atto dal 1997/1998 3 8 BG BS CO CR MI PV SO BG BS MI PV Focolai estinti 15 20 Focolai in atto 6 2 Capi positivi (%) Provincie interessate RISULTATI E DISCUSSIONE I risultati ottenuti con il RT sono esposti in Tab. 2. Il numero di campioni positivi appare limitato (0,15%), mentre relativamente elevato è quello dei campioni “dubbi” (0,6%); è da sottolineare, a questo proposito, che questi ultimi sono stati selezionati con un criterio di lettura molto rigido, in quanto la finalità era quella di valutare successivamente, con questi campioni, il comportamento del test Elisa in “condizioni limite”. In effetti nessuno dei campioni 13 Sanità Animale sono, per altro, agevolmente superabili in un sistema nel quale il RT si pone come prima fase di screening generalizzato, integrato da test di conferma (Elisa), ed eventualmente dall’intervento in azienda con valutazione dei singoli capi. Un programma che comprenda il ricorso al RT sul latte di massa, frequente e facilmente modulabile in base a specifiche esigenze di territorio o di aree a rischio, potrebbe dunque migliorare, a costo limitato, l’efficienza del piano di profilassi della Brucellosi in Lombardia, ed anche l’efficacia e la puntualità dell’intervento del Servizio Veterinario. al. (5), con il 54,5% dei campioni positivi al RT che ha fornito esito negativo sia ad un test ELISA indiretto che al test di riferimento. E’ comunque innegabile che tramite il RT è possibile condurre controlli su vasta scala, in un periodo di tempo anche limitato, con costi molto contenuti. Nel nostro caso, ad esempio, in meno di tre mesi il RT ha consentito di individuare due focolai in atto, che con la normale periodicità prevista per i controlli sierologici, sarebbero rimasti sconosciuti per un consistente periodo di tempo (fino a 10 mesi in un caso). In una precedente esperienza, condotte nel 1996 presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Brescia, erano stati analizzati con RT, 4.351 campioni di latte di massa aziendale, con 19 casi di positività, relativi a 10 allevamenti. In questo caso il successivo controllo sierologico sui singoli animali ha consentito di individuare un focolaio in atto (Giovannini S., comunicazione personale). Un programma di controllo basato sulla possibilità di ripetere frequentemente l’analisi del latte di massa con il RT e di confermare rapidamente le positività con il test Elisa, rappresenterebbe dunque un buon compromesso tra le esigenze di contenimento dei costi da una parte e la rilevanza del mantenimento della qualifica di regione U.I. dall’altra. Un programma di monitoraggio di questo tipo potrebbe comprendere, ad esempio, un controllo trimestrale di tutti gli allevamenti (72.000 campioni/anno), la verifica in Elisa per i campioni positivi (circa 100-150) ed eventualmente dei dubbi (circa 400), ed il successivo intervento in azienda (2040/anno) per disporre rapidamente dei campioni di singolo animale (latte e/o sangue). Il costo per campione per l’esecuzione del RT è stimabile in circa la metà di quello della FdC (esclusi i costi del prelievo che per altro risultano decisamente inferiori nel caso del latte, anche di singolo animale, rispetto a quelli del campione di sangue). E’ evidente che la mole complessiva dei costi richiesti da un programma di questo tipo, risulterebbe enormemente inferiore a quella attualmente necessaria al programma di profilassi basato sul controllo individuale dei singoli capi, seppur a cadenza annuale (1 milione di analisi). Anche ipotizzando un sistema “misto”, il ricorso al frequente monitoraggio dei singoli allevamenti con il RT, aumenterebbe sensibilmente l’efficacia del controllo e la prontezza dell’intervento di emergenza, senza compromettere significativamente il costo totale del piano di profilassi. Tabella 2. Ring test sul latte di massa aziendale: distribuzione per provincia dei campioni Positivi/Dubbi e conferma tramite ELISA. PROVINCIA RT POSITIVI RT DUBBI ELISA Brescia 5 34 1 Bergamo 1 10 0 Milano 5 6 1 Mantova 1 5 0 Cremona 0 3 0 Lodi 2 1 0 Varese 0 1 0 Piacenza 1 0 0 Verona 0 1 0 TOTALE 15 61 2 RINGRAZIAMENTI Si ringraziano per la fattiva collaborazione prestata : Bonometti E., Monastero P. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. D.M. n° 651 del 27/08/94 2. D.P.R. n° 230 del 01/03/92 3. Sutra L et al. (1986) Role of milk immunoglobulins in the Brucella milk ring test. Vet. Mic. 12, 359-366. 4. Roepke M.H. et al. (1957) A study of the whey plate agglutination test for Brucellosis. J.A.V.M.A. (8), 170173. 5. Boraker D.K. et al.(1981) BrucELISA: an Enzyme Antibody Immunoassay for detection of Brucella abortus Antiboies in milk. Correlation with the Brucella Ring Test and with Shedding of viable organism. J of Cl. Micr., (10), 396-403. 6. Huber J.D. & Nicoletti P. (1986) Comparison of the results of card, Rivanol, complement-fixation, and milk ring tests with the isolation rate of Brucella obortus from cattle. Am J Vet Res (47), 7, 1529-1531. 7. Kerkhofs P. et al. (1989) le depistage de la Brucellose bovine par ELISA sur le lait. Ann Med Vet 133, 663-672. CONCLUSIONI Nelle attuali condizioni epidemiologiche della Lombardia, l’esigenza primaria nella profilassi della Brucellosi è, evidentemente, quella di mantenere lo stato di indennità, e ciò richiede di limitare quanto più possibile l’insorgenza di nuovi focolai, ma soprattutto di evitarne la diffusione. La precocità di individuazione e la rapidità d’intervento sono infatti fondamentali. La minor sensibilità del RT rispetto ad altre metodiche analitiche, può essere parzialmente compensata dalla maggior frequenza con cui questa prova è eseguibile soprattutto laddove è attivo un sistema di campionamento del latte di massa aziendale (quindicinale nel caso del programma di pagamento differenziato). I limiti del test 14 Sanità Animale Appunti di epidemiologia C. Macchi gravità clinica appartenga ciascun animale: in questi casi è importante delineare accuratamente i criteri per valutare i benefici conseguenti al trattamento. Studi sperimentali rima di utilizzare una terapia, ad esempio un nuovo farmaco, è necessario “avere le prove” che essa produca un effettivo miglioramento nelle condizioni dell’animale. Non di rado infatti capita che un nuovo trattamento venga introdotto nella pratica clinica, pur in assenza di elementi che ne assicurino l’utilità. Spesso, il beneficio atteso dalla nuova terapia si basa sulla plausibilità biologica del risultato, oppure sull’osservazione degli effetti desiderati in un certo numero di casi. Tuttavia, prima che il trattamento venga adottato nella pratica professionale, è necessario, come si diceva, fornire le prove che esso funzioni secondo le attese. Queste “prove” vengono raccolte mediante la realizzazione di studi sperimentali (clinical trials), eseguiti secondo una metodologia scientificamente corretta e uniforme. L’origine degli studi sperimentali viene fatta risalire al 18° secolo, quando i marinai che dovevano compiere lunghi viaggi sulle navi erano frequentemente soggetti ad una patologia denominata scorbuto. Quando si giunse ad ipotizzare l’ipotesi nutrizionale dello scorbuto, si decise di rendere obbligatorio il trasporto di scorte di limoni sulle navi. I marinai di tali navi cessarono di accusare i sintomi di ciò che venne successivamente identificato come carenza di vitamina C. Lo studio sperimentale è un’indagine pratica, che può essere condotta sia in campo che in laboratorio, e permette di confrontare 2 o più gruppi di individui riguardo all’esito di trattamenti diversi. Chiariamo subito che per “trattamento” qui si intende qualunque intervento, di tipo terapeutico, profilattico o altro, volto a modificare lo stato di salute o performance dell’animale. Gli studi sperimentali sono utilizzati anche per valutare l’efficacia di procedure diagnostiche, test di laboratorio, ecc. La struttura di base dello studio sperimentale è la seguente: animali che presentano la medesima patologia - ad esempio una malattia infettiva – vengono suddivisi in due gruppi, uno dei quali viene trattato con il nuovo farmaco, mentre l’altro funge da gruppo di controllo. Naturalmente, sono possibili molte alternative a questa situazione: ad esempio, si possono confrontare due o più terapie diverse, si possono selezionare gruppi di animali sani per confrontare l’efficacia profilattica di una vaccinazione o la specificità di un test diagnostico, ecc; tuttavia, la struttura fondamentale non varia. Prima di intraprendere uno studio sperimentale, è necessario porsi alcune domande: innanzitutto, qual è l’obiettivo prefissato? L’obiettivo principale dello studio definirà l’ipotesi primaria. È poi necessario definire con chiarezza lo specifico intervento, in ogni sua procedura, così come il metodo di valutazione dello stato di salute/performance dei soggetti dello studio. A volte l’esito del trattamento è determinato in modo inequivocabile (ad esempio quando si confrontano i tassi di mortalità nei gruppi), ma altre volte si tratta di valutare variazioni difficilmente oggettivabili, come ad esempio quando si vuole individuare a quale livello di P Figura 1. Struttura di base dello studio sperimentale. Bisogna poi domandarsi a quali animali andranno riferiti i risultati dello studio, cioè definire la popolazione bersaglio, in modo da poter selezionare un campione di animali che la rappresenti adeguatamente. Fondamentale è il metodo di selezione del campione, che deve garantire la confrontabilità dei due gruppi e la rappresentatività della popolazione bersaglio. A questo argomento dedicheremo un’altra pagina di “Appunti”; per ora basti sapere che in genere, al fine di garantire una distribuzione uniforme dei soggetti campionati, rispecchiando le caratteristiche della popolazione, è necessario selezionare in modo “random” il campione. La randomizzazione è una procedura di selezione casuale, che garantisce ad ogni individuo la stessa probabilità di essere incluso nel campione. Tale tecnica minimizza il rischio di assegnare soggetti con caratteristiche diverse, eventualmente legate al risultato dell’indagine, ai gruppi di trattamento e controllo. Per evitare invece di leggere in modo distorto i risultati dello studio, una tecnica molto utilizzata è quella del blinding: il proprietario degli animali e/o coloro che raccolgono i dati (ad esempio valutano lo stato di salute degli animali dello studio) non vengono messi a conoscenza del gruppo a cui ogni animale appartiene. In caso contrario, si corre il rischio di attribuire valutazioni diverse in base a ciò che ci si aspetta dal trattamento. A questo scopo a volte, quando si vuole valutare l’efficacia di un farmaco, anche al gruppo di controllo viene somministrato un placebo, cioè una sostanza priva di effetti terapeutici ma tale da impedire la differenziazione tra animali trattati e controllo. 15 Epidemiologia