1 giugno 2011 La nuova Voce Giuliana 1 COME FOSSE IERI Come fosse ieri, sono folate di sentimenti, di sensazioni e di colloqui con genitori, parenti, amici, anzitempo rapiti dalla mala sorte, nella terra che ci nutrì. E venne la guerra, ma prigionieri della nostra giovinezza ovattata e spensierata, ignari del nostro fato la sentivamo lontana, come non ci riguardasse. Improvvisamente il brusco risveglio, e fummo prede di forze avverse in balia di eventi e di anni ostili. Cambiò la nostra vita e fu il triste epilogo di un destino che spezzò la nostra giovinezza, fu il duro impatto con la realtà ingrata dell’Esule in patria. Antonio Zappador (Treviso) CORDOGLIO PER LA SCOMPARSA DI MARIO DASSOVICH Nostro malgrado, in questo ultimo periodo ci sentiamo in obbligo di segnalare sul nostro quindicinale la dipartita di molti personaggi che sono stati importanti sostenitori della nostra Associazione, sia per le cariche rivestite nell’ambito delle singole Comunità aderenti, sia per le eccellenti ed impagabili collaborazioni sul giornale “La nuova Voce Giuliana”. Ogni volta queste tristi notizie ci lasciano costernati con grave sgomento nell’animo e nella incredibilità di sentirsi quasi come figli abbandonati e privati da un sostegno ideale e morale, perché la loro presenza ci ha sempre accompagnato in tanti anni di operosità. A metà dello scorso mese di maggio, anche il dott. Mario Dassovich ha varcato la soglia di questa vita terrena per raggiungere le sfere eterne del Cielo. Nell’ultimo Consiglio Direttivo dell’Associazione delle Comunità Quindicinale La nuova Voce Giuliana n. 241 - 1 giugno 2011 Editrice Associazione delle Comunità Istriane ONLUS - Cod. Fiscale 80018190324 Direttore Sergio Tomasi Redazione ed Amministrazione: 34123 Trieste Via Belpoggio 29/1-Telefono 040 314741-Fax 040 314677 Quote annuali: per l'interno Euro 20,00; per i Paesi europei Euro 33,00; per le Americhe (via aerea) Euro 35,00; per l'Australia (via aerea) Euro 45,00 – Conto corrente postale: n. 11262342 Conto corrente bancario: UniCredit Banca Coordinate bancarie internazionali: IT-31-Y-02008-02219-000005416966 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in A.P.-D.D.L.353/2003 (Conv. in L.27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2, DCB TS IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE ALL'UFFICO DI TRIESTE C.P.O. DETENTORE DEL CONTO PER L A RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO PAGAMENTO RESI. Internet: www.associazionedellecomunitaistriane.it E Mail: [email protected] Periodico pubblicato con il contributo dello Stato italiano ex legge 296/2006 Pedena, panorama (foto di C. Ballarin) Istriane, con commozione, è stato ricordato con un eloquente minuto di silenzio da parte di tutti. Egli ci lascia migliaia di pagine dedicate alla sua Fiume e all’Adriatico Orientale, nelle quali ha raccolto testimonianze, riflessioni, ricerche e studi che Lo hanno sempre impegnato intensamente nell’ampia letteratura storica delle nostre Terre. Così lo abbiamo conosciuto ed a p p re z zato per il Suo carattere schivo e combattivo, rigoroso e puntuale nell’analisi storica di questa Parte Orientale cui apparteneva per nascita, formazione e scelta. Non è passato molto tempo da quando ho ricevuto, in modo amichevole e confidenziale, un breve biglietto (qui riprodotto) che accompagnava un opuscolo di studi e ricerche su “Il vescovato di Pedena ed i punti oscuri della storia di Tarsica e dell’origine di Fiume” perché ne potessi pubblicare sul giornale, magari in più volte. Con mestizia e deferenza ossequio un desiderio di un amico. Il Direttore IL VESCOVATO DI PEDENA ED I "PUNTI OSCURI" DELLA STORIA DI TARSATICA E DELL'ORIGINE DI FIUME Estratto da: Scritti in onore di Ruggero Fauro Rossi La notorietà di Pedena nei secoli “è dovuta al fatto che è stata scelta a sede vescovile”. Così avrebbe scritto nel 1991 mons. Luigi Parentin – che in quell’occasione non avrebbe voluto “indulgere a citazioni pedanti” –, precisando fra l’altro che la storia di Pedena “si riannoda alla Contea dell’Istria e alla Signoria di Pisino”, ed ancora che Pedena era stata “la più piccola diocesi istriana” anche se un tempo comprendeva forse pure “Albona e Fiume”. Molto più brevemente di mons. Parentin, nel 1879 Carlo De Franceschi Anno XI aveva proposto alcuni suoi cenni sul vescovado di Pedena, ed in particolare: su un’antica tradizione (non suffragata da alcun documento storico) relativa ad una istituzione di quella diocesi su iniziativa di Costantino Magno; su una menzione di Pedena in una ricerca del Kandler riguardante le estensioni delle giurisdizioni ecclesiastiche sulla base degli antichi “scompartimenti politici romani”; sull’incorporazione di Pedena nella diocesi di Trieste nel 1788. Dario Alberi nel 1997, da par suo, avrebbe iniziato le sue sei pagine dedicate alla località di Pedena con queste parole: “In Italia, al tempo di Carlo Magno, vi erano circa duecento diocesi ecclesiatiche, che aumentarono o furono soppresse durante i secoli. L’Episcopus Petenensis, ossia la diocesi petinate, non solo fu la più piccola al mondo ma anche Fiume, le rive la più povera ed era composta da sole dodici parrocchie”. Nella ricca bibliografia proposta dall’Alberi troviamo fra le altre le opere di mons. Parentin, del De Franceschi, del Kandler. Non vengono invece segnalati dall’Alberi, ad esempio, i contributi del Kobler e del Depoli (Guido): e proprio a questi due ultimi Autori sembra lecito qui fare un breve riferimento. Anzitutto delle affermazioni del Kobler potrebbero essere ricordate per lo meno le seguenti: “Nulla si può dire di certo” sull’antica estensione della diocesi di Pedena. Il suo impoverimento deve datare da tempi remoti, poiché nelle Indicazioni del Dr. Kandler si legge “che già nell’anno 1238 il vescovato era ridotto in sì misero stato che appena vi manteneva un canonico, e che il vescovo abitava nel monastero di S. Michele presso Pisino” (un documento di quell’anno, reperibile nella raccolta del Bianchi, “dice che allora si trattava di far cessare il vescovato”). Il Kandler “in un opuscolo edito nell’anno 1847 e nelle sue Indicazioni metteva che “nel 1028 Albona e Fiume passarono dalla diocesi di Pedena a quella di Pola”. (continua) COMMENTI & OPINIONI Vale l’uno o vale l’altro? A Trieste batte un cuore istriano, fiumano e dalmato: il ruolo del Comune È il tema contemplato venerdì 20 maggio scorso nella sala Zodiaco dell’Hotel Savoia Excelsior con la presenza dei due concorrenti a sindaco, Roberto Antonione e Roberto Cosolini, usciti dalla prima tornata elettorale ed ora prossimi al ballottaggio di fine mese. L’incontro, voluto dalla FederEsuli, introdotto dal Presidente Renzo Codarin, ha inteso mettere a confronto, in un pubblico dibattito, i due candidati al Comune di Trieste per sensibilizzare il loro interesse nei confronti della nostra realtà cittadina stratificata in gran parte da elettori di origine istriana fiumana e dalmata. La Federazione degli Esuli, secondo quanto è emerso, non intende anteporsi sia agli interessi dell’intera collettività che ai programmi socio-economici cittadini, ma rivendica quel minimo di attenzione finalizzata alla risoluzione di alcune questioni pur sempre irrisolte nell’ambito comunale. Poiché l’uscita del giornale non permette con tempestività di conoscere il risultato del ballottaggio, esprimiamo al neo-eletto Sindaco di Trieste ed alla sua Giunta i migliori auguri di buon lavoro. La Redazione Sommario Cordoglio per la scomparsa di Mario Dassovich. Il vescovato di Pedena ed i "punti oscuri" della storia di Tarsatica e dell'origine di Fiume. Commenti e Opinioni. Manifestazioni associative. "L'Unità d'Italia secondo l'opinione pubblica inglese". Raduno annuale dell’ANA: Tenacia – Fierezza – Orgoglio. Arte & Cultura. Il poeta della Dalmazia perduta. Geografando. Prime Visioni. La parola ai lettori. Cognomi istriani: Furiàn. Sportivamente. Istria, Fiume e Dalmazia - profilo storico. 1 giugno 2011 La nuova Voce Giuliana 2 MANIFESTAZIONI ASSOCIATIVE ASSOCIAZIONE DELLE COMUNITÀ ISTRIANE COMUNITÀ DI VISIGNANO D'ISTRIA DICHIARAZIONI DEI REDDITI DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE A SOSTEGNO DEL VOLONTARIATO, DELLE ORGANIZZAZIONI NON LUCRATIVE DI UTILITÀ SOCIALE, DELLE ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE, DELLE ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI Informiamo i lettori de “La nuova Voce Giuliana” che con la scheda per la scelta della destinazione del 5°/°° dell’IRPEF (mod. CUD o con la scheda allegata al Mod. 730 o all’UNICO), si può far attribuire l’importo alla nostra Associazione scrivendo nell’apposito spazio (Sostegno del volontariato, ecc.) la propria firma e segnando il codice fiscale dell’Associazione. A tal fine indichiamo il codice fiscale dell’Associazione delle Comunità Istriane, riportato in testata del giornale, che è 80018190324. Con gratitudine esprimiamo la nostra riconoscenza a coloro che, negli anni precedenti, hanno inteso devolvere la quota del 5°/°° alla nostra Associazione. Come già comunicato in precedenza, dette quote sono state utilizzate totalmente per coprire gli alti costi per la spedizione a domicilio del giornale. COMUNITÀ DI CAPODISTRIA Festa della Madonna di Semedella Domenica 8 maggio i caveresani in esilio, come da tradizione, per rinnovare la loro devozione alla Beata Vergine delle Grazie che veniva venerata nella chiesetta votiva di Semedella, si sono ritrovati nella chiesa della Madonna del Mare di Piazzale Rosmini, per assistere alla Santa Messa celebrata dal padre francescano Alessandro Maria Apollonio (fio de Ciano, al quale vanno i nostri più sentiti auguri di guarigione). Il sempre dinamico Nicolò Urlini ha diretto il coro che ha accompagnato tutta la sacra liturgia. Al termine della cerimonia religiosa l’officiante ha benedetto due panieri di “buzzolai” che sono stati distribuiti agli intervenuti sul sagrato della chiesa. La festa è continuata nella sala don Bonifacio dell’Associazione delle Comunità Istriane, addobbata per l’occasione con l’enorme bandiera di Capodistria, il sole che ride in campo azzurro, dove era allestito un ricco rinfresco. Gli ospiti sono stati ricevuti dal presidente dell’Associazione Lorenzo Rovis e dal vicepresidente e responsabile della comunità Il presidente Rovis porge il saluto ai capodistriani presenti all'incontro di Capodistria Nicolò Novacco con un breve saluto al quale si è unito il presidente della Fameia capodistriana dell’Unione degli Istriani Piero Sardos Albertini. L’affluenza è stata veramente notevole e tra ciacole, ricordi e nostalgia, dolcetti, stuzzichini, bibite varie e un bon bicer de bianco istrian l’incontro si è concluso con la soddisfazione di tutti i presenti. Mi corre l’obbligo di ringraziare per la loro collaborazione tutte quelle persone che, assieme al presidente dell’Associazione Lorenzo Rovis, hanno collaborato per la buona riuscita della festa ed in particolare: Loredana Ulcigrai Novacco, Gianfranco Novacco, Irene Lonzar Bon, Alessandra Norbedo, Anita Derin, Ugo Nobile. Un grazie a tutti gli intervenuti e… ci vediamo il prossimo anno, a Dio piacendo. Nico Guglielmo Reiss Romoli Giorgio Reiss Romoli Davanti alla maxibandiera di Capodistria Alessandra Norbedo, Lorenzo Rovis, Loredana e Nicolò Novacco COMPAGNIA TEATRALE "I CONTASTORIE" L’Associazione delle Comunità Istriane ha ospitato, il 7 maggio scorso nella propria sede, la compagnia teatrale “I Contastorie”. L’esibizione è stata perfetta e alquanto divertente per l’accentuazione interpretativa in forma dialettale che ha divertito non poco il pubblico presente, coinvolgendolo in una gioiosa e farsesca trama famigliare. A cinquant’anni d a l l a s c o m p a rsa di Guglielmo Reiss Romoli, la Comunità di Visignano d’Istria in esilio, il giorno 16 giugno 2011, commemorerà i Santi Patroni SS. Quirico e Giulitta e renderà omaggio nell’ex casa profughi di Borgo San Mauro (Sistiana) deponendo una corona d’alloro davanti ai busti di Guglielmo, grande benefattore dei profughi istriani e di suo fratello Giorgio. Alla domenica successiva, 19 giugno, i Visignanesi assisteranno alla Santa Messa nella chiesa di Santa Croce intitolata ai Santi Quirico e Giulitta. Premio letterario “Gen. Loris Tanzella” XI Edizione 2012 Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia COMITATO DI VERONA PREMIO LETTERARIO “GEN. LORIS TANZELLA” XI EDIZIONE 2012 Il Comitato Provinciale di Verona dell’ A.N.V.G.D. bandisce il Premio Letterario “Gen. Loris Tanzella”, giunto al traguardo della sua XI EDIZIONE ricordando così la figura del Generale che in vita ha testimoniato, con il suo amor di patria ed encomiabile impegno, la causa Giuliano-Dalmata nella difesa dei diritti storici e morali delle popolazioni d’Istria, Fiume e Dalmazia. Il Premio, istituito dal Comitato di Verona, ha registrato, in particolare nelle ultime edizioni, una significativa partecipazione di esuli e loro discendenti fino alla terza generazione e di autori che, pur non avendo alcun legame con le terre del confine orientale, hanno presentato opere di pregio e qualità. Sono ammessi al concorso lavori, in lingua italiana e/o nei linguaggi dialettali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, con testi letterari in prosa, raccolte di poesie (almeno 10 componimenti), tesi di laurea, ricerche sul patrimonio storico, artistico, linguistico e culturale delle nostre terre. Alle opere più meritevoli saranno assegnati premi in denaro e riconoscimenti vari in base al giudizio insindacabile espresso dalla Giuria del Premio. I lavori dovranno pervenire rigorosamente in 8 copie entro il 30 NOVEMBRE 2011. Gli autori dovranno inviare le loro opere corredate dal curriculum personale, dall’indirizzo, dai recapiti telefonici ed eventuali e-mail e/o fax, presso il seguente indirizzo: GIOSEFFI LOREDANA, Via Giovanni Pascoli, 19 37038 SOAVE (VR) La premiazione avverrà in Verona, durante il mese di aprile 2012 (la data e la sede saranno successivamente indicate), in caso di mancato ritiro del riconoscimento, il Comitato provvederà a farlo pervenire all’interessato. Si specifica che il Premio non può essere attribuito al medesimo concorrente consecutivamente per due anni. Per ulteriori informazioni e/o comunicazioni rivolgersi ai seguenti numeri telefonici: tel. 0457680417 cell. 3385228509. Indirizzo e-mail: [email protected] La Presidente della Giuria del Premio Letterario “Gen. Loris Tanzella” Prof.ssa Loredana Gioseffi 1 giugno 2011 La nuova Voce Giuliana "L'UNITÀ D'ITALIA (continua dal n° 240) Mazzini giunse a Londra nel gennaio del 1837, espulso dalla Svizzera dove si era rifugiato. Accogliendolo, l’Inghilterra dava asilo a un personaggio di primo piano del movimento rivoluzionario europeo, assai pericoloso, anche se la sua strategia, che prevedeva piena autonomia dall’influenza francese, poteva farlo apparire non in contrasto completo con la politica estera britannica. L’impatto con la società inglese non fu semplice per l’esule genovese. Quando sbarcò nell’isola, Mazzini era in preda a una grave crisi depressiva causata dal fallimento dei suoi tentativi rivoluzionari, dall’ abbandono di numerosi adepti che cominciavano a nutrire dubbi sull’efficacia dei suoi metodi rivoluzionari, dal senso di colpa 3 SECONDO L'OPINIONE PUBBLICA PUBBLICA INGLESE" di Antonio Zappador (Treviso) di attualità e integrare i suoi magri guadagni e le rimesse della famiglia. Dovette allargare ovviamente le sue conoscenze relative ai problemi più attuali del mondo anglosassone, il che gli permise di acquistare con i suoi articoli grande notorietà nei settori più influenti dell’opinione pubblica britannica. In definitiva, senza il soggiorno londinese la vita di Mazzini sarebbe stata profondamente diversa. E anche il Risorgimento italiano. Lo stesso non si può dire di Garibaldi. Il rapporto in questo caso appare in senso unico. L’Inghilterra non esercitò alcuna influenza significativa nella sua formazione politica e sul suo destino personale. La sua idea che esistesse una legittimità nazionale del popolo in armi, ossia dei suoi volontari, in nome del quale egli era convinto di avere il Londra per il sangue versato da una gioventù diritto di prendere iniziative, anche a che si era votata alla causa italiana prescindere dal governo parlamentare, fino al sacrificio della vita. A ciò si non era certamente di derivazione aggiungeva, con l’abbandono della anglosassone. La sua prima visita a Svizzera, l’ulteriore allontanamento Londra avvenne all’inizio del 1854 dagli affetti familiari e, soprattutto, e durò qualche mese. La seconda per dall’unico grande amore della sua pochi giorni, dal 3 al 22 aprile 1864. vita, Giuditta Sidoli, dalla quale aveva Furono entrambe importanti, ma non dovuto separarsi nel giugno 1833 dopo per la diffusione della sua immagine una convivenza di poco più di un anno. presso l’opinione pubblica inglese. Incontrò gravi disagi per l’alto costo Nel 1854, infatti, il suo mito era stato della vita, ma anche per un’oggettiva in gran parte e da tempo già diffuso. difficoltà di stabilire rapporti umani Massimo artefice ne era stato lo stesso in una società il cui sviluppo appa- Mazzini, il quale, dopo l’adesione di riva prevalentemente fondato sulla Garibaldi al suo programma politico, componente economica e materiale. ne aveva seguito le gesta e aveva colto Il liberismo rappresentò sempre per le enormi potenzialità propagandistiMazzini la più compiuta espressione che che la sua figura offriva ai fini dell’egoismo e la negazione di ogni della causa italiana. Durante il primo principio di solidarietà e di altruismo soggiorno a Londra la sua popolarità che erano invece componenti basilari si consolidò notevolmente e gli giodel suo universo etico. Non si sentì mai varono particolarmente gli incontri a suo agio. Ne subì tuttavia l’influenza politici, ma il soggiorno fu importante feconda e per molti aspetti positiva, soprattutto perché nei colloqui con perché fu in Inghilterra che Mazzini Mazzini emerse per la prima volta in capì l’importanza delle prime forme modo chiaro il dissenso in merito alla associative del movimento operaio a strategia politica di quest’ultimo, in difesa delle condizioni di vita presso- quanto Garibaldi mirava ormai a un ché insopportabili degli immigrati, e rapporto costruttivo con la monarchia in particolare di quelli italiani. sabauda, che invece Mazzini cercò Ne derivò un senso di solidarietà sempre di evitare. Tale dissenso portò talché nel 1841 utilizzò anche le ri- a una aperta rottura nell’agosto 1854, messe della madre e creò una scuola che si ricompose nel 1864, quando serale per fanciulli poveri nella quale ritornò a Londra, acclamato da una lui stesso insegnò per tre anni, cu- folla festante in Trafalgar Square. Una rando ovviamente nei partecipanti lo ricomposizione che sancì formalmente sviluppo del senso di appartenenza una convergenza di vedute riguardo a una comunità nazionale, in alle possibili soluzioni di forza cerca di una realizzazione del problema veneto e di a livello politico. Tra il quello romano. 1840 e il 1843 pubIl ruolo di Garibaldi blicò “l’Apostolato nel guadagnare simpopolare” con fipatie al movimento nalità abbastanza nazionale italiano simili e poi creò fu molto grande l’Unione degli nell’opinione Operai Italiani pubblica ingleche segnò un se e conseguenmomento di temente nei grande imporcircoli politici tanza nella stosoprattutto per ria delle classi la componente lavoratrici. Il emotiva, legasoggiorno ingleta all’immagine se fu importante mitica dell’eroe per Mazzini anpronto a batterche in una visuale si ovunque per la di ampliamento dei causa della libertà suoi interessi culturali dei popoli oppressi. che lo misero in grado Conclusasi l’impresa dei di collaborare a riviste Mille, apparve evidente Giuseppe Mazzini anche il suo spessore politico, dato che, ai fini del compimento del disegno unitario, egli non solo aveva avuto più senso politico di Mazzini, ma aveva mostrato un’intuizione superiore a quella di Cavour nel cogliere la possibilità di un’annessione immediata del Mezzogiorno proprio quando il conte la riteneva ancora impossibile. Inoltre a Risorgimento concluso, fu evidente che Garibaldi era stato l’unico grande generale italiano espresso dall’epopea risorgimentale. Tuttavia, nonostante questo successo, rimase sempre chiaro per gli Inglesi il dislivello di cultura e di capacità di elaborazione teorica che lo separava da Mazzini. E solo a pochi sfuggiva che le sue gesta militari vincenti avrebbero probabilmente avuto altra sorte senza tutta la precedente azione politica e diplomatica di Cavour. Dunque l’unità d’Italia fu il risultato delle doti convergenti di tre uomini: Cavour il politico, Mazzini il teorico, Garibaldi la mente militare, l’eroe combattente. Il successo e l’importanza di Garibaldi in Inghilterra e in Europa furono dovuti pertanto al suo coraggio personale in battaglia e alla grande idealità patriottica che sempre alimentò la sua azione, il che costituì un elemento fondamentale – anche politicamente – per conferire credibilità all’immagine del Risorgimento in Europa. Garibaldi smentiva infatti il “cliché”, lo stereotipo, il luogo comune, consolidatosi dai tempi di Machiavelli, dell’italiano che, con la crisi dei liberi Comuni e l’avvento delle milizie mercenarie aveva perso lo spirito bellico del cittadino soldato e si era rivelato quasi sempre incapace di difendere, armi alla mano, il destino della Patria. Un “cliché” che, grazie al carisma di Garibaldi, fu smentito anche da tutti i volontari che accorsero a combattere al suo seguito. Scriveva allora Cavour a Costantino Nigra, diplomatico e segretario di D’Azeglio, nell’agosto 1860, che Garibaldi aveva il merito inestimabile di aver dimostrato all’Europa che gli italiani sapevano battersi e morire sui campi di battaglia per riconquistare una patria. Ciò significava avere svolto un ruolo fondamentale per la costruzione del movimento nazionale italiano alla quale, in caso contrario, sarebbe mancata una componente essenziale agli occhi dell’opinione pubblica britannica: quella di sapersi battere e rischiare la vita per le proprie idee. È significativa, l’accoglienza entusiastica della folla plaudente che egli ebbe a Londra nell’aprile del 1864. In tale occasione, il poeta James Thomson, appassionato, ammiratore di Leopardi, compone un ode inneggiante all’arrivo di Garibaldi: Arise, arise Italia! One and free! Risorgi, risorgi Italia! Una e libera! Ma non solo lui innalza versi vibranti di simpatia al Risorgimento italiano. Ci sono le anche le anime nobili da Gladstone a Swinburne, da Carlyle a Browning che vedevano con simpatia la resurrezione d’Italia. Memorabili sono i versi di Browning, che possiamo leggere su una iscrizione lapidaria di Palazzo Rezzonico a Venezia: Italy, my Italy Open my heart and you will see Graved inside of it Italy. Italia, mia Italia! Apri il mio cuore e vedrai Inciso in esso Italia. Dunque Mazzini e Garibaldi contribuirono in maniera decisiva, attraverso l’opinione pubblica, a indurre i politici inglesi a seguire con simpatia e benevolenza gli avvenimenti italiani. Le ragioni furono anzitutto politiche. Palmeston, Gladstone, Clarendon e Russell, vale a dire gli uomini politici dell’epoca, ebbero una parte importante nella vicenda del Risorgimento perché ritennero che l’apparizione di uno Stato nuovo nel Mediterraneo avrebbe frenato le ambizioni francesi, favorito gli equilibri europei e giovato in ultima analisi agli interessi della Gran Bretagna. Ma vi fu anche, nella loro politica italiana, un impalpabile quid, un qualcosa di umano e culturale. Come molti loro connazionali credettero nel Risorgimento perché il vecchio stereotipo italiano, diffuso nelle isole britanniche fin dallo scisma di Enrico VIII, si era rovesciato nel suo contrario. Al posto del cortigiano intrigante, machiavellico, papista, corrotto era apparso un patriota nobile, generoso pronto a sacrificarsi per la libertà del suo Paese e del genere umano. Nella società inglese di metà Ottocento, l’italiano non ha più i lineamenti sfuggenti e l’opportunismo del politico “Francia o Spagna, basta che se magna”. Ha gli occhi azzurri e i capelli biondi di Garibaldi, lo sguardo profondo e intenso di Mazzini, gli occhi penetranti di Cavour, l’orgoglio di Vittorio Emanuele II, 1° Re d’Italia. (continua) Giuseppe Garibaldi RADUNO ANNUALE DELL’ANA: TENACIA – FIEREZZA – ORGOGLIO A primavera la natura si desta dal lungo sonno invernale, dapprima timidamente, poi in un crescendo di colori e di profumi, con foglie, fiori e frenetici voli di uccelli, e con il trionfo della luce. È un rito che si rinnova ogni anno a ricordarci che la vita non si ferma mai. Anche per un certo tipo di uomini, parlo di quelli che portano un singolare copricapo con una lunga penna nera, si ripropone un evento, in questo periodo, un appuntamento a cui non possono mancare: l’Adunata dell’Associazione Nazionale Alpini, quest’anno fissata a Torino per la seconda domenica di maggio, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia. Ogni volta mio marito si prepara spazzolando con gesti amorevoli il cappello, vecchio di circa sessant’anni, custode dei ricordi della lontana giovinezza. Poi parte per il luogo dell’incontro. Io lo seguo e, se un tempo avevo subìto il fascino delle piume al vento dei bersaglieri, per i racconti dei miei famigliari di come Michele Miani (Sindaco di Trieste nel secondo dopoguerra) nel novembre 1918 avesse guidato i fanti piumati alla redenzione di Visignano (suo paese natale), e per come mi fu caro mio zio Bruno De Cleva, maresciallo appunto dei bersaglieri, caduto nel maggio 1945 a difesa della sua Istria, in seguito, per matrimonio, mi sono lasciata avvincere dallo spirito alpino della lunga penna nera. Così anche quest’anno siamo partiti per Torino e, dopo un lungo monotono percorso nella pianura padana, abbiamo attraversato in treno le risaie del vercellese. E qui una storia istriana della mia famiglia è riaffiorata proponendo alla memoria una spada custodita nella soffitta della mia nonna materna. Era appartenuta a uno degli antenati che nella seconda Guerra d’Indipendenza (1859) militava nell’esercito austriaco, sotto il comando del generale Gyulai che guidò le sue truppe allo scontro con i franco-piemontesi, i quali per fermare l’avanzata nemica allagarono le risaie. Così questo antenato (che non ho conosciuto) si trovò impantanato col suo cavallo e, di conseguenza, vinto, iniziò con questo escamotage l’offensiva che portò alla liberazione della Lombardia. Dicono che in vecchiaia egli ogni tanto sbuffasse: “Ah, quel Gyulai che ne ga cojonà!”. Il soggiorno a Torino è stato travolgente per la folla immensa (in quei giorni partiva da lì anche il Giro d’Italia), i tricolori, l’aria di festa che animava l’eleganza austera, ma statica, della città sabauda. Per mio marito, e per me, è stata anche l’occasione di rivedere vecchi amici provenienti da varie regioni d’Italia, con un po’ di malinconia, però. Tante adunate fa, li avevo conosciuti giovani, vigorosi, prestanti… Ora il tempo ha lasciato il segno per la normale parabola dell’esistenza, sebbene lo spirito, la grinta e la voglia di vivere (nonostante…) non si siano smorzati. La conversazione tra noi e loro si è avviata su vari argomenti d’attualità, per me interessanti poiché i giudizi giungevano da ambienti diversi per esperienze ed estrazioni. Quest’anno eravamo curiosi del racconto di un generale che da anni sverna in Tunisia, dalla quale rientra proprio in tempo per l’Adunata. Ho avuto la conferma di quanto già pensavo: a parte i primi disordini per rovesciare il tiranno, tutto era tornato tranquillo con la formazione del nuovo governo. Quindi non è spiegabile la fuga dei giovani tunisini da un luogo che ha buone prospettive turistiche e artigianali e dove il costo della vita è molto basso. Il discorso allora si è allargato all’accoglienza, in genere, dei migranti, certamente lacunosa per l’imprevedibilità dell’evento, ma non giustificatrice delle manifestazioni di protesta, della pretesa di non chiari diritti, e degli atti di vandalismo avvenuti in molti campi di raccolta sparsi in Italia (la televisione testimonia) da parte di tali ospiti. A queste parole, si è risvegliata in me l’appartenenza istriana, il ricordo dei campi profughi a volte cintati di filo di ferro spinato e l’umiliante mancanza di considerazione per il nostro stato di esuli, vittime di decisioni internazionali imposteci impietosamente. L’ho fatto presente agli amici aggiungendo che noi però non eravamo mai Penne nere a Trieste (La Domenica del Corriere) scesi in piazza a inveire, a reclamare, né mai ci eravamo abbandonati ad atti violenti per protesta; avevamo invece subìto il nostro avverso destino, impegnandoci a farci accettare e stimare nei luoghi dell’esilio. Per un attimo mi sono accorta di essere al centro di una pensosa attenzione, nel silenzio, fino a quando uno dei presenti non ha esclamato: “È vero, è vero!”. Ed ha aggiunto: “Altra cultura”. Giuliana Zelco La nuova Voce Giuliana 4 1 giugno 2011 Arte & Cultura "Itinerari" DI MARIA VATOVA VEDOVATO Gli “Itinerari” che danno il titolo alla raccolta poetica di Maria Vatova Vedovato sono soprattutto percorsi dell’anima. È la stessa autrice infatti a definire la sua poesia “modulata sotto la spinta del sentimento, con ricerca di parole suono e che si dirama in itinerari che seguono stagioni, ricordi, rammarichi, contemplazioni”. Dopo l’apprezzato libello “Elegie istriane” anche in “Itinerari” la poetessa istriana, nata a Rovigno ed esule a Venezia dal 1944, riprende il tema caro al cuore della propria terra, dei ricordi dolceamari legati ad essa toccando appena, in modo lieve, i momenti più tragici e dolorosi del distacco dall’amata patria. Ed è proprio questa serena leggerezza del canto la motivazione del primo premio per la sezione poesia a “Itinerari” nell’edizione 2011 del Premio letterario “Generale Loris Tanzella”, bandito dal Comitato provinciale di Verona dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e assegnato all’autrice nell’ambito delle iniziative culturali per il Giorno del Ricordo con queste parole: - “Il verso, nella sua levità, anche musicale, esprime sentimenti che con la loro intensità evocano immagini sempre vive nella memoria e il ricordo della terra natia, mai doloroso, si trasfigura con la forza di una pur sofferta serenità”. I versi liberi di Maria Vatova Vedovato, suddivisi in molteplici sezioni dai nomi suggestivi, partono dalle prime pagine piano, piano come suoni in omaggio alla musica prediletta o, meglio, come “Note”, parafrasando il titolo di una lirica, “vengono, attraversano l’aria, la riempiono di sogni, circondano, incantano...”. Forte poi nei componimenti è il richiamo alle tematiche del distacco e dell’abbandono, come in “Fogli strappati”: Una deserta notte/ solo deboli luci,/ un sospiro di luna./ Non c’è nessuno,/ tutti andati,/ scivolata via/ ogni cosa… Anche lo sguardo attento sul passare delle stagioni e la descrizione della loro alternanza accomuna essere umano e Natura in un profondo senso di tenera malinconia, nonostante il fiorire della Primavera, gli echi della giovinezza e il ritorno luminoso dell’Estate. Dominano poi nella parte centrale del libro le rime dedicate al ricordo di chi non c’è più (siano essi amici, vecchi, bambini o anche valorosi alpini) nello smarrimento creato dal declinare del giorno e, con esso, della vita come in “Vaghi sentori”: ”Non torna nulla/ quando declina il giorno”, oppure come in “Ho sognato”: “…E già notizie tristi arrivano,/ e già pesa il vivere,/ e c’è l’angoscia di partenze/ e l’ineluttabile finire/ di ogni cosa”. Nucleo centrale di “Itinerari” resta però il devoto e commosso omaggio alla terra d’Istria, alla sua perdita: “E penso ad affetti/ presto perduti,/ a quella terra,/ la mia, rossa/ per sua natura/ e per vicende” (“Ricordo a volte”); al suo mare: “Mare,/ aroma di mare,/ azzurro di mare” (“Mare”) e al suo lontano cielo (“Lontano cielo d’Istria”). “La terra perduta/ posseduta ora/ dalla mente del cuore…” (“Ora riflessi di luna”) diventa per l’autrice quasi un luogo magico, evocato e trasfigurato dalla bellezza del lontano ricordo, ormai così diverso dal posto attuale sconosciuto agli occhi, anche se non al proprio cuore (“La mia Istria”). Vedovato decide, però, di lasciare in disparte la tristezza e dedica l’ultima sezione della sua opera poetica, dal titolo “prima che tutto sbiadisca”, a rime ricche di colori accesi: il rosso vivo, il bruno, il verde pallido, il giallo, il rosa, il viola, il giallo arancio dominano incontrastati la scena delle descrizioni di paesaggi noti e frequentati. I colori della vita dunque trionfano alla fine sulle vecchie ombre del passato, spazzando via come fosse polvere l’opaca, residua infelicità e dando nuova luce alla memoria. Virna Balanzin Itinerari, Maria Vatova Vedovato, Supernova Ed. srl, 2010, pp. 142 La testimonianza prevale sulla memoria Non leggo spesso libri di memorialistica, perché mi pare di averne fatto il pieno in una certa epoca della mia vita. Inoltre ritengo che non sia facile scrivere memorie perché mi pare che per questo sia necessario un equilibrio emotivo non da poco, e che forse non è lecito richiedere a nessuno che abbia visto la guerra o, dalle nostre parti, il dopoguerra. E d’altra parte è indispensabile che anche chi legge sia equilibrato e capace di distacco, perché non resti invischiato a considerare il caso singolo e non rimanga impastoiato a considerare le circostanze più vicine (ricordo ai più giovani che le pastoie erano corde o catene che costringevano i bovini ad andare lentamente – n.d.r.) ma, pur tenendone conto, abbia lo sguardo sufficientemente ampio da considerare molte più situazioni e persone, avendo presente l’epoca di cui si tratta, ma anche il tempo precedente e gli accadimenti seguenti. Forse anche, in fondo in fondo, mi pare che chi scrive deve pensare a far star bene chi legge, se non nell’immediato, in prospettiva. Il che significa portare a pensieri grandi e buoni, ed è difficile per chi ha trascorsi turbolenti e pieni di disumanità come quelli legati alle guerre. Con queste premesse, dunque, accetto di aprire qualcuno dei libri di memorie che mi capitano sottomano, ma ho un’attenzione particolare, ultimamente, a quelli freschi di penna (o, più raramente, di computer) perché si stanno diradando in gran fretta quelli che possono scrivere memorialistica della Venezia Giulia in prima persona, essendo la gran parte nel mondo dei più. Così mi sono trovata in mano il volume La… liberazione di Zara, convinta dal nome dell’autore, Tullio Vallery, che ho conosciuto brevemente di persona, conservandone un ricordo positivo, in occasione di qualche convegno o presentazione di pubblicazione dell’IRCI… nell’altro secolo! Non mi sono sbagliata: il libro è di quelli che valgono perché più che di memorie, si tratta di una testimonianza vivace e brillante di un periodo di Zara – dell’ultimo periodo di Zara, direi – niente affatto vivace e tutt’altro che brillante, dal 1944 al 1948, e la testimonianza è quella di un ragazzo, studente universitario, poco più che ventenne. Lo stile è sciolto e scorrevole, le centottanta pagine si leggono d’un fiato anche se non si è appassionati di questo genere, quasi come un racconto di avventure, che avvince anche se già se ne conosce la fine infausta. Piacciono i quadri familiari perché così li si immagina in molte case istriane e dalmate: arriva la cartolina-precetto per il figlio, il padre va in cerca dei suoi contatti per evitare la partenza, la madre si rabbuia in viso ogni ora di più, la via è senza scampo; poi, talvolta, qualcosa di inaspettato accade. Poi, spesso, chi vive in prima persona le tragiche situazioni del tempo di guerra o di occupazione nemica, si ritrova una forza e un coraggio inaspettati e anche certi frangenti si rivelano incredibilmente non dannosi: una partita a scacchi negli uffici dell’OZNA, uno spiegare la scelta del tricolore nella riunione del “fronte della gioventù italoslava”, un vero e proprio servizio fotografico sulle macerie di Zara nell’imminenza della partenza… E sono proprio le foto scattate in quell’occasione così mesta (dall’autore il 2 giugno 1948) e portate via e conservate con abilità da 007 – nel tubo del dentifricio! – a connotare con estrema eloquenza la distruzione della città e pari pari quella della comunità italiana. La didascalia dice “Calle San Demetrio” e ci si aspetta una via stretta tra le case, ma invece è uno slargo occupato da macerie; lo stesso per “Calle e piazzetta San Rocco”. Sulle rovine del Liceo-Ginnasio e delle scuole elementari “Cippico” ancor più ci sarebbe da protestare, contro quelle bombe, contro quella fine. Ma, con il Liceo, il pensiero va ora a quel ragazzo che non è più tale ma che ha descritto con freschezza e lucidità, senza mai indulgere in piagnistei e recriminazioni, una parte della sua vita che è rimasta basilare. Tullio Vallery nasce a Zara nel 1923 e dal 1948 è esule a Venezia, dove assume importanti incarichi nelle associazioni degli esuli ed è ben conosciuto come cultore di storia, promotore culturale e pubblicista, i cui studi e articoli vengono pubblicati su vari giornali e riviste. È per 40 anni Cancelliere della Scuola Dalmata di Venezia e Guardian Grande dal 1992. Nel 1978 è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Autore di numerose pubblicazioni, l’ultima apparizione di un certo livello sui giornali risale a un anno fa, quando ha ricevuto una targa e una medaglia d’oro dal Comitato ANVGD di Venezia per “l’impegno e la dedizione profusa alla difesa dei diritti e alla diffusione della cultura giuliano-dalmata”. Chiara Vigini La… “liberazione” di Zara 1944-1948, Tullio VALLERY, stp. sotto gli auspici della Società dalmata di Storia Patria, Venezia, aprile 2011, pp. 189, con foto inedite dell’autore. Zara, il campanile del duomo oltre le macerie Il poeta della Dalmazia perduta DI Per opera della scrittrice Marianna Deganutti è stato pubblicato sulla Rivista Friulana di Cultura “La Panarie”, un intenso lavoro letterario e di ricerca dedicato al conterraneo e nostro collaboratore Luigi Miotto, che abbiamo l’onore di riscrivere sul nostro quindicinale oltre a diffondere il valore dell’Autrice e la spiccata sensibilità del personaggio trattato. Il luogo dell’anima di un poeta in esilio Leggendo i versi dell’Ulisse, poesia che Saba dedica ai viaggi giovanili tra isolotti che affiorano scivolosissimi eppure “belli come smeraldi” quando l’alta marea si ritrae, il lettore a malincuore deve constatare che rimangono tra i pochi che il poeta triestino rivolge alla Dalmazia. Scorrendo Mediterranee e più in generale il Canzoniere, infatti, si vorrebbe ancora veleggiare al largo nelle giornate di bora, come in quelle di calma piatta, lontano dagli scogli, dove solo raramente qualche uccello si posa alla ricerca di cibo. Questa “terra di nessuno”, dove amava inoltrarsi lo spirito sabiano, con i dirupi che profumano di rosmarino ed agrumi, mentre le barche fioriscono in golfi sempre più azzurri, è però il luogo centrale della produzione di Luigi Miotto, poeta spalatino esule a Trieste dopo il secondo conflitto mondiale. Sul filo della memoria Miotto scrive di Dalmazia, terra ormai lontana e perduta, che invece di scolorire negli anni, sbiadendosi in ricordi sempre più vaghi, si rafforza in immagini vividissime e tenaci, con un ritmo incalzante che sa di canto e talvolta di preghiera. Per “tornare con la mente laggiù, per vederla ancora quella terra, è necessario un messaggero che sia in grado di sorvolarla. È così che nella sestina ripetuta della prima lirica di Una terra nell’anima, sarà proprio un gabbiano col MARIANNA DEGANUTTI suo stridio a richiamare alla mente del poeta la traccia indelebile di un mondo sedimentato: “Sarà un gabbiano/che si leverà dalla memoria,/sarà un gabbiano/che mi ricorderà ancora/fiorito il mare/e odoroso il vento”. Il veleggiatore per eccellenza, lo stesso che in Cardarelli trova la grande quiete marina in contrapposizione alla burrascosa vita degli uomini, rappresenta forse la pace invocata, quella che permetterà di inoltrarsi nella pagina bianca per ricostruire un discorso interrotto. Chiudendo gli occhi nasce una città che si affaccia sul mare cosparso di barche, le cui vele sbocciano nelle mani dello scirocco. In questa terra arida, “predata dai calabroni” aggiunge Miotto, di una bellezza selvaggia e travolgente, i cui fari illuminano le rotte notturne dei pescatori, prende forma un microcosmo, composto da elementi animati da sentire umano. È il caso della personificazione del mare, che si addormenta sotto lo sco- glio d’agavi consolandolo, oppure di quella del vento che vanga la liquida distesa, cogliendone i fiori. La natura quindi vive, soffre, ama, nel costante intreccio di terra e di mare, che non di rado vengono fusi. Il mare diventa allora campo da mietere o vigneto: “una grande campagna/che si vendemmia/è sempre il mare”, ma anche verde pascolo o prato fiorito, solcato da piccole imbarcazioni. Queste ultime non sono i grandi bastimenti o i vapori di Biagio Marin “neri entro gli orizzonti vuoti della vecchiaia, quando davanti a Grado non ci sono neanche più le barche dalle vele colorate, simili a farfalle”. Leggeri sembrano piuttosto bragozzi, trabaccoli e le vele bianche ‘piantate’ dall’uomo, che scivolano sull’acqua con la delicatezza del petalo e della corolla. Nelle parole di Miotto: “e il mare/ ha bianchi fiori di vele”, ma anche: “o sereni cieli/sopra quella terra/dove gli uomini trovano/campi di mare/e seminano vele”. (continua) 1 giugno 2011 La nuova Voce Giuliana Natura e geologia dell'Istria, della Carsia Giulia e della Dalmazia Geo-grafando a cura di Stefano Furlani ([email protected]) 5 PRIME VISIONI THE TREE OF LIFE L'ALBERO DELLA VITA di Terrence Malick ANTICHI ROMANI A PESCA Brad Pitt nel ruolo di Mr. O'Brien con uno dei suoi figli Tempesta a Punta Grossa La peschiera sommersa sull’isola dalmata di Svršata L’impatto antropico sulle zone costiere non è sicuramente una novità dei giorni nostri, anche se in molti casi oggi assume proporzioni drammatiche. Pesca e altre attività costiere, sulle nostre coste, erano conosciute già duemila anni fa. Numerose sono infatti le prove che testimoniano l’utilizzo, anche intensivo dei litorali adriatici: moli romani, strutture di attracco, porti, molere e, non ultime come importanza, le peschiere. E le peschiere nostrane sono talmente particolari che gli archeologi parlano di “peschiere adriatiche”, definendo quindi una tipologia costruttiva ben precisa, diversa dalle peschiere del resto Mediterraneo. Gli impianti di itticoltura istriani e dalmati infatti si differenziano dalle peschiere tirreniche sia per dimensioni che per tecnica costruttiva e probabilmente anche per la destinazione d’uso. Più specificamente, le caratteristiche di queste strutture sono state recentemente delineate nell’ambito di una serie progetti archeologici italiani, sloveni e croati, che hanno permesso di eseguire dei rilievi di dettaglio e degli scavi. Interessante, a questo proposito, quanto contenuto nel Volume “Terre di mare”, a cura di Rita Auriemma, dell’Università di Lecce, e Snježana Karinja, del Museo del mare di Pirano. La prima importante domanda è relativa al loro utilizzo: a cosa servivano le peschiere? Si tratta di strutture costiere che venivano utilizzate per l’allevamento o l’ingrassamento dei pesci, che in questo modo potevano essere consumati freschi. Solitamente si tratta di complessi costituiti da bacini contigui, ovvero si parla di “peschiere a vasche adiacenti”, con strutture esterne di notevoli dimensioni. Il perimetro esterno, inoltre, poteva essere utilizzato come molo di attracco o banchina di camminamento, sia per la manutenzione della struttura, che per i servizi di imbarco dei pesci raccolti all’interno dei bacini. Questi ultimi potevano avere dimensioni di alcune migliaia di metri quadrati. In alcune di queste strutture attraccavano imbarcazioni che avevano notevoli capacità di carico. A differenza delle peschiere tirreniche che venivano in genere scavate nella roccia, e solo la loro parte alta era in cementizio, quelle adriatiche venivano realizzate con il sistema della gettata di pietre sciolte, un modello costruttivo subacqueo diffuso in tutte le epoche, ed utilizzato per costruire grandi antemurali ed opere di difesa costiera. Considerando il fatto che queste strutture dovevano garantire un certo ricambio idrico, in modo da ossigenare l’acqua all’interno dei bacini e allo stesso tempo dovevano evitare che gli “ospiti” potessero uscire, si può capire che si tratta di strutture davvero importanti per studiare le variazioni del livello marino, problema per altro più volte trattato in questa rubrica. Recentemente infatti, alcuni studiosi capeggiati da Erica Florido hanno pubblicato un interessante lavoro su Quaternary International in cui hanno calcolato le variazioni del livello marino desunto dalle quote delle peschiere. Il lavoro si è focalizzato in particolare su cinque strutture, in particolare San Bartolomeo, sul confine Italia-Slovenia, Fisine, vicino Portorose, Catoro, Cervera e Svršata, alle Incoronate. La profondità di queste strutture indica che il livello relativo del mare è attualmente più alto di circa un metro e mezzo rispetto all’epoca romana. Non tutte le peschiere si adeguavano strettamente a questa tipologia edilizia: la peschiera di Svršata, alle Incoronate, ha degli allineamenti molto più sottili, con fianchi verticali non a scarpa, realizzati con pietrame quasi cementato di piccole dimensioni, tanto da far pensare ad una gettata del tipo “a cassone”. La stessa peschiera di Pomer, a Promontore, è costruita allo stesso modo e costituisce un valido termine di comparazione attuale. Più complesso invece rimane il problema dell’attribuizione temporale delle strutture: sebbene le informazioni a riguardo siano piuttosto scarne, sembra che il loro impianto sia relativo alla prima età imperiale, per correlazione con le altre strutture costiere spesso associate, come le villae o i moli. La peschiera di San Bartolomeo (immagine tratta da Google Earth) Fresco vincitore della Palma d’Oro quale miglior film al festival di Cannes 2011, “The Tree of Life” viene osannato quale capolavoro assoluto della storia del cinema. Il celebre critico Enrico Ghezzi parla di una sorta di panico che lo avrebbe colto dopo la prima mezz’ora di proiezione al pensiero che, dopo questo film, non si sarebbe più potuto girare nulla degno di nota. Registriamo con interesse questo entusiasmo perchè denota, a nostro modesto parere, l’infaticabile ricerca del senso della vita che connota l’esistenza di ogni uomo e donna ad ogni latitudine terrestre. Il problema rimane il fatto che, quando a livello artistico ci si confronta con temi così decisivi, si corre il rischio di andare fuori misura. Lo straordinario talento visivo di Malick, così apprezzabile ad esempio ne “La sottile linea rossa”, risulta messo qui al servizio di una (non) storia che vuole più evocare che spiegare. Solo che poi, per oltre metà della pellicola, ci viene chiesto di seguire da vicino la storia di Jack (interpretato da adulto da Sean Penn), stanco uomo d’affari che rievoca la propria infanzia segnata da un padre molto severo (Brad Pitt) e da una madre un po’ sottomessa ma sognatrice e legata alla bellezza della natura (Jessica Chastain). Alla fine, dunque, il film è un lungo flash-back visto dalla prospettiva di Jack intervallato da sequenze apparentemente slegate che mostrano l’origine della Terra e di varie forme di vita, sia acquatiche che terrestri (inclusi alcuni dinosauri). Queste due parti del film sono apparentemente slegate tra loro e, benchè la fotografia risulti straordinaria e la musica accattivante, lasciano perplessi. Particolarmente insistita è la volontà del regista di mescolare tra loro piani temporali diversi, ma anche questo espediente narrativo risulta un po’ sprecato perchè fine a se stesso. Per fare un parallelo un po’ azzardato, il grande regista russo Andrej Tarkovskij tentò qualcosa di simile nell’autobiografico “Lo specchio” con la differenza che, in quella pellicola, si respirava un’atmosfera sofferta ma tesa alla ricerca della salvezza dell’anima, mentre in questa di Malick il grande sfoggio di maestria stilistica sembra portare al vuoto o, al massimo, ad un Dio impersonale e panteista. Un Dio che manifesta la sua bellezza negli spettacoli della natura ma poi appare disincarnato e assente dalla vita dei protagonisti. Con l’aggravante che il personaggio di Mr. O’Brien, cioè il padre di Jack, “va a messa tutte le domeniche” (come tiene a sottolineare) ma sembra non capirne il motivo. La svolta decisiva, se così si può dire, è data dal fallimento delle aspettative professionali del padre di Jack e, poi, dalla morte di uno dei suoi tre figli. Questi eventi lo mettono in crisi e lo costringono a rendersi conto che ha sprecato parte della sua esistenza. Sembra quasi pentirsi dello stile di vita che ha imposto alla sua famiglia ma, forse, è tardi per recuperare il rapporto con Jack. Tuttavia questa non ci sembra una trama eccessivamente originale e la sensazione conclusiva è che Malick sia supportato da un talento enorme che non sempre riesce a concretizzare in maniera efficace. Anche perché in circa quarant’anni di carriera ha fatto in tutto cinque film dei quali, a nostro avviso, il migliore rimane il Sean Penn nel ruolo di Jack da adulto già citato “La sottile linea rossa”, dolente riflessione sulla guerra e sulle tragedie legate ad essa. Rimane nel contempo interessante, ed è forse la cosa più importante nell’opera di Malick, lo sforzo di rivolgersi ad un pubblico il più vasto possibile anche se con il rischio di cadere in un certo sincretismo religioso. Brad Pitt, intervistato sul suo rapporto con il regista, ha rilasciato dichiarazioni interessanti: “Con Malick abbiamo avuto alcuni dibattiti teologici, direi che lui riesce a chiudere la sua natura cristiana in un compartimento e dare spazio a un punto di vista universale quando gira. Ecco perché credo che ‘The Tree of Life’ sia un film in grado di parlare a tutte le culture, una di quelle pellicole che sottolinea le domande spirituali sulle quali tutti noi ci interroghiamo”. Nella nostra personale memoria cinematografica, però, questo “albero della vita” non riesce a scalzare quello filmato dalla regista russa Larisa Shepitko per il suo film incompiuto “Addio a Matiora” (per i più curiosi si suggerisce la visione di un breve frammento tratto dal documentario “Larisa” all’indirizzo http://youtube.com/watch?v=ASAZy_mjeSo&hl=it). Carlo Zivoli La nuova Voce Giuliana 6 La parola parola ai ai lettori lettori La Riceviamo dagli Stati Uniti e proponiamo ai lettori quanto segue: Salve, sono una studentessa di storia a Chicago. Faccio della ricerca sulla Seconda Guerra Mondiale. Specificamente, la storia della Venezia Giulia. Vorrei fare delle interviste a degli esuli (qui negli Stati Uniti) e rimasti (in Italia) della zona dell’esodo di queste persone. Vorrei tanto intervistare persone che sono: Goriziani, Triestini, Fiumani, Quarnerini (isole di Cherso, Veglia e di Lussino), Zaratini, e tutta la gente delle isole dalmate della costiera Adriatica orientale che sono diventati profughi. Vorrei fare delle interviste con gli esulati e quelli che sono rimasti. Io ho bisogno di conoscere le loro storie personali per poter condividerle con il mondo. Sarebbe un peccato perdere quest’opportunità perché dalle loro storie individuali, noi possiamo imparare molto e poi per me, per lo scopo di conservare queste storie che poi possono aiutarci a capire meglio la storia più ampia del loro popolo. Io sto lavorando per fare una compilazione di storie per arricchire la mia ricerca storica formale. Vorrei chiederle gentilmente il Suo aiuto per mettermi in contatto con queste persone. Se Lei e la sua organizzazione poteste darmi i nomi della gente e l’informazione per contattarli e poi io potrei mettermi in contatto con loro o loro potrebbero mettersi in contatto con me, questo mi aiuterebbe molto. Ecco il mio sito di Fiume con la mia informazione dettagliata: www.remeberfiume.com (sito); [email protected] (e-mail); 847 899 9300 (tel). Io sono disposta a fare il più che possibile per trovare queste persone e quello che sia più facile per la gente. Il mio scopo è di trovare queste persone e dunque sono molto contenta di fare quello che posso per realizzare lo scopo delle interviste. So che queste persone sono molto anziane a questo tempo e allora è urgente che io trovi queste persone al più presto possibile. Dunque, spero che Lei capisca l’importanza della mia richiesta. Vorrei mettere una pubblicità nella sua rivista: è possibile? Quanto costerebbe per inserirla nella sua rivista? Per concludere, apprezzerei molto se 1.) Lei potesse aiutare a darmi dei contatti che potrei intervistare 2.) Vorrei mettere una pubblicità nella sua rivista, Voce Giuliana. Posso pagare per la pubblicità. La ringrazio in anticipo. Scusi se ci siano degli sbagli in italiano perché non sono nativa e ho imparato questa bella lingua all’università. Cordiali saluti, Victoria Spiering Ecco la pubblicità: È stato colpito dai cambiamenti dei confini alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando l’Italia e la Iugoslavia sono state divise nella regione? Una studentessa che sta finendo la sua laurea di storia a Chicago vorrebbe tanto intervistare persone che sono: Goriziani, Triestini, Fiumani, Quarnerini (isole di Cherso, Veglia e di Lussino), Zaratini, e tutta la gente delle isole dalmate della costiera Adriatica orientale che sono diventati profughi. Vorrebbe fare queste interviste per la sua tesi con gli esuli o con le persone rimaste in Italia dopo il cambiamento del confine. Se qualcuno vuole condividere una sua storia, può andare al sito www.rememberfiume.com o può telefonarle negli Stati Uniti a 847 899 9300 o telefonarle sullo skype (MsToriStory). PIPPO La strada che stava percorrendo a Giuseppe sembrava più lunga quella sera: la bufera lo faceva proseguire lentamente e con fatica. Arrivato sotto un portale si fermò per riprendere fiato. Era lì, sotto quel portale, che aveva baciato la prima volta la Gigetta, ricordò. – Gigetta... – gemette. Al suo gemito rispose un debole “bau” d’un cane randagio che gli si era avvicinato e stava per accovacciarsi ai suoi piedi: Giuseppe gli lanciò un’occhiata obliqua. – Sembri uno scheletro ambulante, con quelle costole le che ti fanno da appendino alla ppelle!... ellle!... – esclamò, cacciando la mano n in tasca in cerca no d’un biscotto. Quando uando glielo porse, ua mancò poco che iill l’animale non gli azzannasse anche hee il guanto, tanto avidamente lo addentò. dddeentò. – Che razza di fa ffame... ame... – mugugnò Giuseppe. Scuotendo ennddo la testa si rimise a camminare. Il ca cane an ne gli venne dietro fino al portone dii ccasa. asa. Vedendo che tremava dal freddo, doo,, Giuseppe lo fece entrare. Appenaa dentro, d gli versò subito in una cioo-tola il latte che gli lii era avanzato nellaa bottiglia: il cane lo o ingoiò in un amen, n, poi leccò anche lee gocce cadute sul ul pavimento. Non avendo vo-glia di mangiare, e, Giuseppe gli diede dee anche la sua cena. a.. Mentre gliela staa-va versando nella l ciotola, tutto roteò davanti ai suoi occhi e perse i sensi. Quando riprese conoscenza, più che per il fatto di essere svenuto, ed era la prima volta che ciò gli accadeva, si meravigliò di vedere il cane raggomitolato sopra di sè e del calore che quel mucchietto di ossa riusciva a emanare. Con fatica si rimise in piedi. – È meglio che andiamo a letto! – disse a voce alta. Indicando al cane lo zerbino steso vicino alla porta, aggiunse: – Bello! Tu dormirai qui, su questo zerbino questa notte. Ma DI solo per questa notte! Hai capito? – Il cane lo guardò con occhi umidi. A orecchie basse e la coda fra le gambe esso andò a stendersi sul tappetino. E lì rimase. Senza più muoversi. Verso l’una di notte Giuseppe si svegliò. Gli sembrava che una mano con unghie adunche gli attanagliasse il petto. – Che male... – si lamentò, accendendo la luce. Non finì nemmeno di parlare che il cane era già con le zampe anteriori sopra il suo letto. Lo stava fissando. E muoveva nervosamente la coda. Quando Giuseppe emise un secondo lamento, esso si mise ad abbaiare. NADA ADA ORSINI DEGANUTTI si precipitò a chiamare il medico. – Se non fosse stato per il cane, a ‘sta ora... forse... – farfugliò il portiere guardando il medico che stava riempendo una siringa. Dopo aver iniettato il farmaco il medico asserì: “Io sono dell’avviso che tutte le persone che vivono da sole dovrebbero possederne uno!”. Come se avesse capito quanto egli aveva detto, il cane gli leccò la mano che lo stava accarezzando. Poi andò a stendersi sullo zerbino. Quando il medico se ne andò, Giuseppe lo chiamò con un fischio. pp – Senti... ti chiamerò Pippo. Ti piace? – gli chiese, dandogli una grattatina dietro l’orecchio. 1 giugno 2011 Avvenimenti Avvenimenti lieti lieti Laurea Complimenti vivissimi!!! Lo scorso aprile si è laureato con 110 e lode in ingegneria civile Stefano Maraston, figlio di Guido, segretario della Comunità di Visinada. A l n e o i n g e g n e re felicitazioni e tanti auguri per il suo futuro dagli amici tutti e dalla Redazione de "La nuova Voce Giuliana". COGNOMI ISTRIANI: Furiàn Furian è antico cognome cinquecentesco di Pirano, il cui capostipite è un Nicolò Furian nato nel 1530, sposatosi nel 1558 con tale Margherita che gli ha dato tre figli, ossia Filippo (1560), Bortolo (1565) e Tommaso (1570), i quali hanno avuto discendenti fino a noi. Tra i successori di Tommaso (1570), Paron Nicolò Furian, nato nel 1716, nel 1746 era proprietario di una delle 60 brazzere di Pirano per il trasporto del sale, mentre un secondo cugino – Paron Filippo Furian – era padrone di una delle 15 barche di Pirano per il trasporto di merci (AMSI95°, 1995, p. 188). Al ceppo di Tommaso (1570) appartiene pure Teresa Furian, nata a Pirano nel 1833 (coniugata con Pietro Fonda detto Dante), che il 16/12/1933 era ancora vivente, definita appunto La centenaria di Pirano nel quotidiano triestino Il Piccolo del 16/12/1933. Uno dei due fratelli di Teresa (1833) – Lorenzo Furian (1834) – architetto e ingegnere, costruttore di alcuni importanti edifici a Trieste e della Villa Furian a Portorose, è stato uno dei dieci maggiorenti piranesi (due imprenditori, quattro possidenti, un ingegnere, un avvocato, un notaio e un medico), che nel 1890-91 diedero inizio allo sviluppo di Portorose (a 2,5 km da Pirano), costruendovi il primo albergo e il primo stabilimento balneare. Dal figlio secondogenito di Nicolò Furian (1530) – Bortolo (1565) – discendeva invece il padre Gian Domenico Furian, nato nel 1641, frate piranese che viveva nel convento di San Francesco di Pirano (ove venne sepolto quando morì), scultore e pittore. Le ultime cinque famiglie Furian che c’erano a Pirano nel 1945 sono esodate a Trieste, e l’ultimo Furian maschio di nascita piranese vivente a Trieste è Lucio Furian nato nel 1926 a Pirano, ove lavorava assieme al padre Giovanni Furian (1900) sul loro trabaccolo Buona Maria. Oggi vi sono quindici famiglie Furian di origine piranese a Trieste, ove già nel 1857 troviamo un Nicolò Furian nato nel 1814 a Pirano, facchino, vivente con la moglie, due figlie e un figlio Pietro Furian nato nel 1843 a Pisino, intagliatore, quindi Pietro Furian nato nel 1827 a Pirano, coniugato, rigattiere, i fratelli Lorenzo Furian (1816), sarto, celibe, e Giovanni Battista Furian (1830), tecnico, coniugato, oltre a un Nicolò Furian nato nel 1793 a Capodistria, battellante, vivente con la moglie rovignese. Il cognome piranese Furiàn (alterato a Trieste in Furian con l’accento su u; si veda l’artista triestino di stirpe piranese Flavio Fùrian), deriva dal nome Furiàn (attestato a Pirano nel 1272 nel femminile Furiàna), variante popolana di Floriàn cioè Floriàno, dal personale latino Florianus, comprovato a Capodistria il 3/12/1082 (CDI). Marino Bonifacio Abbreviazioni: AMSI: Atti e Memorie della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, Parenzo-Pola-Venezia-Trieste dal 1885. CDI: Codice Diplomatico Istriano (in 5 volumi), di Pietro Kandler, Trieste 1862-1865. Sportiva-mente Lo sport giuliano-dalmato a Roma in settembre Al terzo lamento il cane cominciò a raspare con le unghie sulla porta d’entrata e ad abbaiare così forte che più d’una persona del caseggiato si svegliò. Alcune finestre si illuminarono. Qualcuno cominciò a gridare. Il più isterico urlò “fate tacere quel cagnazzo o chiamo la polizia!”. Il portiere della casa, che aveva le chiavi anche di quell’appartamento, dopo poco entrò tutto agitato nella stanza di Giuseppe. – Cos’è tutto ‘sto baccano? – chiese con voce alterata. Ma appena notò il viso di Giuseppe sudato e cianotico, Il cane mugolò. Avrebbe voluto dirgli che qualsiasi nome gli piaceva. Anche “gattapelata” poteva chiamarlo, se voleva, purché non lo cacciasse di nuovo in strada. Quando Giuseppe spense la luce, Pippo ritornò a stendersi sullo zerbino. Sul “suo zerbino” perché ormai era certo che ci avrebbe dormito sopra tutti i giorni a venire. Appoggiò la testa sulla zampa, cacciò un profondo sospiro e si addormentò. Ma di un sonno leggero. Pronto a scattare al primo rumore. Saranno due giorni di eventi dedicati allo sport istriano, fiumano e dalmato sotto il Tricolore, quelli di Roma a fine estate. Mercoledì 21 settembre torneranno in campo dopo 70 anni le squadre calcistiche di Pola, Fiume e Zara, scioltesi alla fine del secondo conflitto mondiale a causa della cessione di quei territori alla Jugoslavia. Allo Stadio dei Marmi si confronteranno in un incontro rievocativo gli eredi di quei calciatori che hanno indossato anche le maglie di numerosi team di serie A, segnando bel 687 reti. I discendenti degli Esuli giuliano-dalmati provenienti da Italia, Stati Uniti, Canada, Argentina, Sudafrica e Australia vestiranno gli antichi colori delle squadre del F.C. Grion Pola, della U.S. Fiumana e della A.C. Dalmazia. Alla loro guida tre tecnici come Sergio Vatta, Lucio Mujesan e Pierluigi Pizzaballa. Il risvolto benefico sarà rappresentato dalla raccolta di fondi in favore della FONDAZIONE STEFANO BORGONOVO, il calciatore che lotta contro la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) e che dedica la sua vita alla ricerca di una cura per tutti coloro che si trovano e si troveranno nelle sue condizioni. Anvgd Sede nazionale 1 giugno 2011 Note tristi tristi Note Nessuno muore finché vive nel cuore di chi lo ama La nuova Voce Giuliana 23 maggio 1984 – 23 maggio 2011 Gemma Crevatin in Mendicovich da Villanova di Parenzo Il giorno 26 aprile 2011, all’età di 89 anni è mancato improvvisamente all’amore dei suoi cari A ventisette anni dalla sua scomparsa, con immenso amore la ricordano i figli Aldo e Lucio, i fratelli, la cognata e i nipoti. Oliviero Furlan nato a Buie d’Istria lo piangono la moglie, i figli Roberto, Rosanna, il fratello Giordano, la nuora, il genero e parenti tutti e tutti coloro che lo hanno stimato e voluto bene. La famiglia sente il dovere di ringraziare tutti coloro che hanno partecipato al suo funerale; al ricordo del caro Oliviero si unisce il Circolo Buiese “Donato Ragosa”. 29 maggio 1992 – 29 maggio 201l cav. Giovanni Mendicovich da Antignana d’Istria A diciannove anni dalla scomparsa, con infinito amore lo ricordano i figli Aldo e Lucio, la sorella, i cognati ed i nipoti. Ricordiamoli Ricordiamoli 1 giugno 2002 – 1 giugno 2011 Nono anniversario Mariuccia Bologna Con amore e gratitudine i fratelli Annamaria e Giacomo, il cognato Edoardo Fabbri e i nipoti la ricordano a quanti l’hanno conosciuta ed apprezzata, affidandola alle preghiere di suffragio. Si associa l’amica Erminia Dionis che sempre rammenta il suo dolce sorriso. ---------Il 19 maggio 2011 ricorreva il tredicesimo anniversario della scomparsa di ---------Il 6 giugno 1993, lontano dalle sue terre e da Capodistria, si spegneva serenamente Vincenzo Novacco Nella dolorosa ricorrenza i figli Nicolò e Gianfranco, le nuore e gli adorati nipoti lo ricordano con immutato affetto. ---------- Livio Travan da Visignano d’Istria deceduto a Lodi, New Jersey (USA) Il 4 maggio 2011 ricorreva il ventitreesimo anniversario del triste doloroso distacco terreno. La moglie Ida lo ricorda con lo stesso amore e affetto di sempre a parenti ed amici. Stefano Lonza “Caro Stefano, il tempo non cancella il dolore per il grande bene perduto, resterai sempre nel cuore di chi ti ha voluto bene”. La moglie Elia, Walter e Tiziana, le nipoti Alessia, Federica e Veronica. ---------24/5/2009 – 24/5/2011 ---------- Virginia Ritossa ved. Razza 5 giugno 1998 – 5 giugno 2011 Proteggimi all’ombra delle tue ali io per la giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza. Nel tredicesimo anniversario della scomparsa di Nel secondo anniversario della morte, la ricordano i figli, le sorelle e il fratello. Vittorio Zanevra da Baredine Lo ricordano con immutato affetto, con rimpianto e nostalgia la moglie Maria, la figlia Gabriella con Ciro e l’adorata nipote Martina con Daniele. Una Santa Messa di suffragio sarà celebrata il 6 giugno alle ore 19 nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo di via Cologna. ---------Nel settimo anniversario della scomparsa di Patricia Nota McSoley La mamma Germana Buttignoni Nota la ricorda con immutato affetto unitamente agli indimenticabili cugini Jole, Fulvia e Piero. 6 maggio 2011 Sono trascorsi ventisei anni dalla scomparsa a Padova dell’albonese Marco Palisca La moglie Maria, i figli, la nuora, i nipoti ed i parenti ricordano con affetto e rimpianto il loro caro. La Società Operaia di Mutuo Soccorso – Comunità di Albona si unisce alla famiglia con particolare solidarietà. Elargizioni Nell’ultima quindicina ci sono pervenute le seguenti elargizioni: Furlan Giordano in memoria del fratello Oliviero euro 10,00 a favore del Circolo buiese “Donato Ragosa” 7 ed euro 10,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Annamaria Bologna in memoria di Mariuccia Bologna euro 50,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Elia Barzilai in memoria del marito Stefano Lonza euro 20,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Palisca Tommaso Marco in memoria di Marco Palisca euro 30,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Ida Travan in memoria del marito Livio Travan dollari USA 200,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Gemma Ritossa in memoria della sorella Virginia euro 20,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Germana Buttignoni Nota in memoria della figlia Patricia e dei cugini Jole, Fulvia e Piero dollari USA 100,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Maria Zanevra in memoria del marito Vittorio euro 30,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Aldo e Lucio Mendicovich in memoria dei propri genitori euro 20,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Guido Maraston in occasione della laurea del figlio Stefano euro 50,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Pasqua Baldini euro 30,00 a favore della Comunità di Cittanova; Lidia Agostinis per ricordare il marito Renato Tulliani euro 15,00 a favore della Comunità di Cittanova; Gisella Antonini in memoria dei propri defunti euro 10,00 a favore della Comunità di Buie Circolo “D.Ragosa” ed euro 10,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Annamaria Kalebich euro 50,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Luigia Perossa euro 30,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Marino Sain euro 50,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Adriana Baccara euro 30,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”; Giuseppe Livraghi euro 80,00 a favore de “La nuova Voce Giuliana”. Elargizioni pervenute direttamente alla Comunità di Buie pro calendario: Gisella Antonini; Gemma Druscovich in Moratto. Si ringraziano sentitamente i generosi oblatori. VOLONTARI GIULIANI DA RICORDARE NEL 150° DELL'UNITÀ D'ITALIA CARLO STUPARICH Nato a Trieste il 3 agosto 1894, studente in “belle lettere”, aderente al movimento di riscossa letteraria che faceva capo alla “Voce” di Firenze, si stava rivelando come una vera promessa in questo campo. Suo fratello Giani raccolse molti suoi scritti nel volume “Cose e ombre di uno”, rivelandone la magnifica vena. E proprio col fratello Giani, con Scipio Slataper e con altri triestini, si arruolò a Roma, il 29 maggio 1915, nel 1° Reggimento Granatieri, nel quale raggiunse il grado di sottotenente. Il 30 maggio dell’anno dopo, sul Monte Cengio, assediato dagli austriaci, dopo aver visto distrutto quasi tutto il suo reparto, piuttosto di cadere vivo in mano al nemico, si dette la morte. Il suo corpo non venne ritrovato e alla sua memoria venne decretata la medaglia d’oro al valor militare, con la seguente motivazione: “Nobilissima tempra di soldato, volontario dall’inizio della guerra, si votò con entusiasmo alla liberazione della terra natia. Comandante di una posizione completamente isolata, di fronte a forze nemiche soverchianti, accerchiato da tutte le parti, senza recedere di un passo, sempre sulla linea del fuoco, animò e incitò i dipendenti, fulgido esempio di valore, finché, rimasti uccisi o feriti quasi tutti i suoi uomini e finite le munizioni, si diede la morte per non cadere nemico nelle mani dell’odiato avversario” – Monte Cengio 30 maggio 1916. EDOARDO TIENGO Nato a Pola il 12 ottobre 1893, di professione tappezziere, si arruolò volontario il 24 maggio 1915 al 27° Reggimento Fanteria, passando poi al 44°. Cadde a Plava il 2 giugno 1916 meritando la croce di guerra. GUIDO BRUNNER Figlio di Rodolfo, nacque a Trieste il 19 febbraio 1893. Studente, splendida e audace figura di patriota, si arruolò volontario il 24 maggio 1915 nel “Lancieri Firenze” passando poi al 20° Cavalleria Roma. Cadde l’8 giugno 1916 a Montefior, al comando di un plotone della Brigata Sassari, ma la sua salma non poté essere recuperata. Per il suo contegno sul Carso, nel novembre 1915 era già stato decorato con la medaglia di bronzo (motivazione: “Quale ufficiale d’ordinanza, in ripetute azioni disimpegnava il suo mandato con entusiastico slancio, sprezzo del pericolo e profondo sentimento di abnegazione, riuscendo a coadiuvare con efficacia il comando e dimostrando elevatissimo sentimento del dovere”); per l’azione di Montefior gli venne assegnata la medaglia d’oro al VM, con la seguente motivazione: “Comandante di plotone nella difficile e contrastatissima difesa di Monte Fior – conscio della suprema importanza del momento – resistette impavido, sulla linea del fuoco per dodici ore, dirigendo ed animando del suo entusiasmo il proprio reparto ed altri rimasti senza ufficiali, sempre audace, sereno, instancabile, finché, colpito al cuore, cadde gridando: “Qui si vince o si muore, viva l’Italia!”. A Guido Brunner è intitolata la scuola secondaria di 1° grado di Roiano, che fa parte dell’Istituto Comprensivo in cui si trova anche quella di Gretta, che ricorda invece il nome di Piero Addobbati, morto per l’italianità di Trieste nel novembre del 1953. MARCO CARVIN Nato a Cherso il 25 aprile 1894, studente, si arruolò volontario il 29 maggio 1915 al 47° Reggimento Fanteria. Passato poi in Artiglieria e nominato sottotenente, fu trasferito al 21° Reggimento Artiglieria da campagna. Cadde sul S. Michele il 6 giugno 1916. Ottenne la croce al merito di guerra. La nuova Voce Giuliana 8 1 giugno 2011 Istria, Fiume e Dalmazia profilo storico Premessa Con la Legge 30 marzo 2004 n. 92, «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». La data del 10 febbraio è stata scelta per ricordare il giorno in cui a Parigi, nel 1947, venne firmato il Trattato di pace in conseguenza del quale venne sancita la cessione di buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito e l’abbandono di numerose città della sponda orientale dell’Adriatico dove l’elemento italiano era percentualmente maggioritario. La situazione geo-politica attuale La situazione geopolitica attuale dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia deriva dalla dissoluzione della Jugoslavia, avvenuta gradualmente a partire dal 1991, con la conseguente nascita delle nuove Repubbliche di Slovenia e di Croazia, le quali si dichiararono Stati sovrani ed indipendenti il 25 giugno 1991, ma ottennero il riconoscimento della comunità internazionale solo l’anno successivo. L’Italia riconobbe ufficialmente le due nuove Repubbliche il 15 gennaio 1992. La maggior parte dei territori ex italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia appartiene oggi alla Croazia, mentre solo una piccola parte dell’Istria settentrionale è sotto la sovranità slovena. La nascita dei due nuovi Paesi ha perciò portato alla creazione di un nuovo confine in Istria, dividendo in due distinti tronconi un territorio che ha avuto per secoli una storia comune. I. L’epoca romana Le regioni situate intorno alla fascia costiera dell’Adriatico settentrionale ed orientale iniziarono ad essere abitate in maniera stanziale diverse migliaia di anni prima di Cristo. La posizione geografica dell’area altoadriatica, a cavallo tra l’Italia e la penisola balcanica, rappresentò un punto d’incontro tra genti e culture diverse che nel corso dei secoli si sono stratificate sul territorio. La presenza, in epoca preromana, di popolazioni paleovenete, nonché degli Istri, dei Giapidi, dei Celti, degli Illiri e dei Liburni contribuì a determinare la peculiarità della zona. Roma si affacciò gradualmente nell’Adriatico settentrionale ed orientale verso il III secolo a.C., con i primi contatti con le popolazioni locali degli Istri e dei Liburni. Nel 221 a.C. una prima spedizione militare romana giunse in Istria e nei decenni successivi, con altre campagne di guerra (le più importanti nel 178-177 a.C.), la conquista dell’intera regione venne completata. La fondazione di Aquileia (181 a.C.) e delle successive colonie di Tergeste (Trieste) e di Pola posero le basi per la profonda romanizzazione dell’intera Italia nord-orientale, che ai tempi di Augusto venne nominata «Decima Regio Venetia et Histria». La Dalmazia è provincia romana a pieno titolo dal 33 a.C. I traffici ed i commerci tra l’Istria e le altre terre romane divennero via via fiorenti e ben presto gli abitanti della costa settentrionale ed orientale dell’Adriatico assorbirono gli usi, le consuetudini, i culti e la lingua di Roma. Notevole tracce architettoniche della presenza romana sono visibili ancora oggi in Istria, come l’Arena, il Tempio di Augusto, Porta Gemina e l’Arco dei Sergi a Pola, l’Arco Romano L'Arena romana di Pola a Fiume e in Dalmazia con il foro di Zara, con le imponenti rovine di Salona e con il Palazzo di Diocleziano a Spalato. II. L’epoca medievale Caduto nel 476 d. C. l’Impero Romano d’Occidente, l’Istria finì, come gran parte dell’Italia, sotto i Goti di Teodorico. Essa fu poi bizantina dal 538 al 778, quando subentrarono i Franchi di Carlo Magno. Nel periodo successivo la penisola istriana si configurò come un’area di scambio e di incontro tra il mondo mediterraneo e quello alpino e centroeuropeo. Nei secoli a cavallo del Mille le cittadine della costa occidentale dell’Istria, che nel tempo si costituirono in Comuni, dovettero, oltre che difendersi dalle incursioni dei pirati saraceni e narentani, confrontarsi politicamente con il crescente potere di Venezia (che diventò dominante dopo l’anno Mille con la campagna navale del doge Pietro Orseolo II) e con le varie casate germaniche feudatarie dell’Impero. La caduta, negli anni 14201421, del potere temporale del patriarcato di Aquileia, stabilizzò la situazione politica dell’Istria, ripartita da quell’epoca tra un predominante dominio veneziano nella parte costiera ed occidentale e quello imperiale asburgico esercitato nella parte interna ed orientale della penisola. Fiume, durante il Medioevo, fu un piccolo borgo marittimo posto ai limiti del feudo e poi capitanato di Castua, piccola signoria acquisita anch’essa dagli Asburgo alla fine del Quattrocento. La città si sviluppò, nei secoli successivi, acquisendo una crescente importanza commerciale. La Dalmazia subì l’invasione slava tra i secoli VI e VII d. C., riducendosi alle sole città della costa ed alle isole, dove ci fu una certa continuità politica bizantina fino al XII secolo. Le città distrutte furono ricostruite in luoghi più sicuri. Così fu per Salona, la seconda città dell’Adriatico, distrutta nel 614, che diede vita a Spalato nel vicino palazzo di Diocleziano. Attorno all’anno Mille anche i Comuni dalmati si svilupparono come nella dirimpettaia penisola italiana e, per tutelare la propria autonomia, si destreggiarono tra la Repubblica di Venezia e il Regno di Ungheria (che aveva conquistato la Croazia nel 1102), che prevalse solo dal 1358 al 1409. Fra quest’ultimo anno e il 1432 i veneziani acquisirono in maniera stabile la costa e le isole dalmate, attraverso gli atti di dedizione delle città, ad eccezione della Repubblica di Ragusa, che restò indipendente fino al 1808. Durante la seconda metà del Quattrocento, alla controparte ungherese subentrò quella ottomana, che cercava di raggiungere il mare per invadere poi la penisola italiana. La lotta tra Venezia e l’impero turco durò più secoli e le città dalmate – fortificate dai migliori architetti del Rinascimento – rappresentarono il vero antemurale della Cristianità. Alla battaglia di Lepanto presero parte numerose loro galee. Nel frattempo Venezia accoglieva nei suoi testi e immagini di Guido Rumici Pola, Tempio di Augusto possedimenti popolazioni cristiane di origine slava, che fuggivano le persecuzioni ottomane. Nel Settecento il conflitto si attenuò, la Repubblica veneta acquisì anche territori della Dalmazia interna e vi introdusse i primi elementi di una riforma agraria. III. L’epoca veneziana Fra il IX e il X secolo d. C. il nascente Stato veneziano inizia a far sentire la sua influenza sulle coste orientali dell’Adriatico. La potenza di Venezia fu prevalentemente commerciale e le coste dell’Istria e della Dalmazia divennero ben presto indispensabili per i suoi traffici mercantili verso il Levante. Venezia estese gradualmente il suo dominio alle principali località dell’Adriatico Orientale e dell’interno dell’Istria. Molte cittadine dapprima furono obbligate ad un vero vincolo di vassallaggio (come Capodistria nel 932); poi, successivamente, prestarono giuramento di fidelitas verso la Serenissima (come Pola nel 1145). Nel tempo il rapporto tra Venezia e le città della costa istriana assunse la forma di protettorato, che si estese anche verso le zone dell’entroterra. Nel 1267 la dedizione di Parenzo sancì l’ulteriore penetrazione politica e militare di Venezia in Istria, che si estese ancor di più nel 1420 con la dedizione di Albona, Muggia e Fianona. La Serenissima governò l’Istria e la Dalmazia per altri quattro secoli, fino alla caduta della Repubblica e al trattato di Campoformido (1797). I segni della presenza veneziana sono ancora oggi evidenti in tutto l’Arco Adriatico: i palazzi pubblici e privati, le piazze e le calli, le fortificazioni e il Leone di San Marco è ancora visibile in molte località istriane e dalmate. IV. Il periodo austroungarico (17971918) Dopo la pace di Campoformido (siglata tra Napoleone e gli Asburgo), che segnò la fine della secolare presenza veneziana in Istria e in Dalmazia, iniziò l’epoca austriaca, che andò dal giugno 1797 all’ottobre 1918, con una piccola parentesi napoleonica tra il 1806 ed il 1813. L’arrivo degli austriaci in Istria, peraltro già presenti nella parte più interna della penisola, portò diverse trasformazioni sociali ed amministrative. Il centro di gravità della regione si spostò da Venezia a Trieste, che ne ereditò tutte le funzioni. Dopo la battaglia di Austerlitz, nell’ambito della pace di Presburgo (1805), il Veneto, l’Istria e la Dalmazia passarono dal dominio asburgico a quello di Napoleone, imperatore dei Francesi. Nel marzo 1806 Napoleone aggregò ufficialmente l’Istria e la Dalmazia al Regno d’Italia. Dopo alterne vicende, i francesi rimasero sulla costa orientale dell’Adriatico sino al 1813, quando gli austriaci ripresero il controllo della penisola istriana e della costa dalmata. La nuova amministrazione asburgica portò un’efficiente burocrazia e un senso dello Stato che si innestò sul substrato civile e culturale lasciato dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Verso la metà del secolo XIX divenne tuttavia irreversibile la presa di coscienza nazionale di strati sempre più ampi delle popolazioni italiane, slovene e croate residenti all’interno dell’impero asburgico, che nel 1867 si trasformò nella duplice monarchia austro-ungarica. I fatti del 1848-1849, la nascita del Regno d’Italia (1861), la terza guerra d’indipendenza, la mutata politica di Vienna verso le diverse nazionalità, furono alcuni dei fattori che contribuirono a creare tensioni tra le etnie italiane, croate e slovene, in precedenza vissute in un clima di tranquilla convivenza. Di fatto, nella seconda metà dell’Ottocento, le lotte nazionali riguardarono soprattutto le élite politiche e culturali italiane e slave mentre, in buona parte della popolazione istriana e dalmata, il rispetto dell’autorità costituita e dello Stato, il culto della giustizia, l’attaccamento alle tradizioni locali e religiose attutirono il livello dello scontro che stava iniziando a delinearsi. (continua) Veglia La nuova Voce Giuliana Quindicinale associato all'USPI Unione Stampa Periodica Italiana Reg. n. 1008 dd. 14/01/2000 del Tribunale di Trieste Fotocomposizione: Gabriella Perini Stampa: Zenit - Trieste via Rivalto, 1 Tel. 040-761005 - Fax 040-3725826 E-mail: [email protected] Internet http:/www.tip.it/zenit