ARRIGO
Lettera A Francesco Cossiga
Caro Presidente , il suo libro mi ha sconvolto,infatti un conto è studiare la letteratura di Machiavelli e
immaginarsi comportamenti orribili e contro natura di cesare Borgia avvenuti anni fa in un mondo che non ci
appartiene e un conto è giungere alla consapevolezza che spesso muoversi in modo immorale sia l’unico
modo per giungere al bene comune anche e soprattutto ai giorni d’oggi. Un confronto tra la sua opera “Fotti
Il Potere” e il capolavoro di Machiavelli “Il Principe” è necessario, infatti l’argomento centrale è la
discussione sulla politica o meglio sulle dinamiche che la regolano e sulla natura umana. I tempi , le
tecnologie, le mode cambiano spesso ma la politica e quindi la natura umana non cambiano nel corso del
tempo, le doti che un politico deve possedere per sapersi muovere con bravura tra gli “Arcana Imperii”
rimangono sempre le stesse anche se magari i mezzi per mostrarle sono diversi. La conquista del potere
prevede la capacità di adattamento alla situazione, carisma, popolarità, audacia e furbizia. Queste qualità
dovevano servire al principe di Machiavelli per scegliere quindi chi farsi amico e chi invece spegnere e allo
stesso modo si comportano ancora i politici attuali. Ogni politico dal momento in cui decide di servire il
proprio paese fino a quando muore è attratto dal potere , perché il potere affascina e allo stesso tempo è
l’unico mezzo che può servire un ideale politico. Il potere è la capacità di poter fare o di far fare: un qualsiasi
uomo di potere è in grado di poter per esempio rendere eseguibile una legge o controllare un mercato o
decidere le sorti di uno stato. Il potere però non si acquista più con l’uso della forza come nel
millecinquecento ma attraverso una propria strategia : il politico cerca in tutti i modi di farsi amico di
determinate forze o cerca di espandere il proprio potere in altri ambiti o cerca di presentare una buonissima
immagine di se alla popolazione. Non essendo infatti quello politico l’unico potere esistente , è necessario
avere contatti anche con il potere economico finanziario ,con il potere mafioso, con il potere religioso e con i
servizi segreti. Insomma il politico ideale per lei Cossiga dovrebbe far di tutto per incentrare nelle sue mani o
meglio nelle mani del suo partito il maggior numero di poteri in modo da centralizzare le decisioni in unico
nucleo. Per prima cosa sono importanti i soldi e quindi uno stretto legame tra economia e politica , legame
che spesso però può causare dei seri danni al sistema economico: sono d’accordo con lei nell’affermare che
le idee da sole non bastano a diventare realtà però alcuni fenomeni come l’utilizzo di tangenti o l’attività di
lobbying possono danneggiare una o più industrie e quindi lo stato . Infatti la selezione, basata non sul merito
ma sulla quantità di denaro ottenuto dal finanziamento illecito, a lungo andare tende ad indebolire la volontà
di migliorarsi nella produzione o nella qualità dei prodotti. E quindi anche se per lei è necessario giungere
fino al finanziamento illecito pur di assicurarsi molti voti dovrebbe considerare il fatto che un danno
economico comporta un danno per lo stato , al di là delle leggi o della morale violate. Oltre al potere
economico, il politico (soprattutto il sindaco locale o regionale) deve fare i conti con le istituzioni non statali
che influenzano il proprio territorio. Il suo discorso presidente su questo tema di rapporto tra Stato e
associazioni mafiose ascoltato in TV o dichiarato in un articolo di giornale avrebbe destato un enorme
stupore, tutti lo avrebbero attaccato e in giro di pochi mesi lei sarebbe stato costretto a dimettersi. Però
governare è far credere di fare una cosa e in realtà farne un’altra: attraverso i mass media magari si può
convincere molte persone del fatto che in Italia ci sia uno stato forte e unito,per esempio, contro le grandi
associazioni a delinquere e in realtà convivere con questi poteri quasi come se fossero poteri locali
legittimati. Questo è l’unico modo di agire per uno Stato come il nostro, infatti l’utilizzo del Terrorismo di
Stato, senza l’appoggio dei cittadini locali,comporterebbe una serie di sanguinosi attentati e crollo quindi
della fiducia nelle istituzioni pubbliche. Si potrebbe anche però cercare pian piano con furbizia di stringere
con più forza il nodo che lega Stato e cittadini , magari con una presenza più forte di quello nella
quotidianità. Dove c’è lo Stato non c’è mafia e viceversa. Al di là di ciò , il politico deve fare i conti con il
potere giudiziario , giudicato da lei Presidente con troppo astio: infatti sono d’accordo sul fatto che chi
possiede l’autorità di interpretare la legge abbia un potere politico e non solo giudiziario però questo potere è
necessario. Infatti un conto è cercare di limitare la magistratura in modo che non intralci la politica (cosa che
molti fanno spesso es. Berlusconi con le leggi “Ad Personam” ) e un conto è negare il suo potere giudiziario,
servizio dello Stato per i cittadini. Secondo me il politico deve cercare un compromesso , magari deve evitare
di farsi condannare per stupidi reati e deve cercare di corrompere se necessario qualche giudice in assoluto
silenzio senza danneggiare lo stato. Berlusconi per esempio non può cambiare la legge per i suoi scopi
perché potrebbe danneggiare la giustizia in tutto il territorio a causa del suo reato. Se fossi in lui mi
preoccuperei di zittire le fonti di informazioni ,di corrompere giudici ma non di modificare la legge di tutti.
Spero che non arrivi più a ciò ,visto che comunque si può difendere benissimo attraverso i media che
controlla. Infatti la fortuna di molti sono i mezzi di informazione. La radio per Mussolini, i giornali e la TV
per Berlusconi. Mezzi che si evolvono nel tempo e quindi nel tempo cambia anche il modo di comunicare.
Caro presidente il suo discorso sui media mi ha colpito particolarmente perché mi ha fatto riflettere su come
la TV sia molto più legata all’immagine che al concetto. È vero, la conoscenza avviene per immagini ,
eppure le immagini spesso possono ingannare. Ciò che avviene in TV è molto simile a ciò che avviene in
teatro , però con assenza di dialoghi e maggior numero di scene. La televisione riesce a comunicare emozioni
senza l’utilizzo necessario del dialogo e quindi senza uno sforzo intellettivo da parte dello spettatore.
L’uomo contemporaneo nonostante l’avvento di internet è ancora affascinato dalla TV perché essa offre
almeno per un determinato periodo di tempo l’illusione necessaria a far sentire meglio il telespettatore. La
politica allora si modella in base ai mass media e non può perdere l’occasione di comunicare emozioni,
anche senza l’utilizzo del carisma, senza spiegare apertamente le sue intenzioni. Infine il politico deve essere
consapevole delle religioni che influenzano un determinato territorio e cercare attraverso la propria
immagine di apparire religioso e mentire se necessario pur di acchiappare voti dai fedeli .Lei Cossiga come il
suo predecessore Machiavelli, ha capito benissimo il rapporto di scambio di favori e di poteri tra istituzioni
religiose in Italia e il potere politico. In conclusione credo che la figura di politico che lei ci presenta sia un
uomo furbo, attaccato al potere, al servizio di un ideale , allo stesso tempo capace di attaccare li avversari e
di difendersi, disposto al sacrificio di alcuni precetti morali pur di giungere al bene per lo stato . è questo un
ritratto molto realista che si avvale di esempi concreti (Aldo Moro costretto per esempio a stipulare un patto
segreto con i terroristi ) e capace però di scandalizzare chi come me è troppo attaccato alla morale. Credo
che il suo libro sia fantastico perché presenta due punti di vista diversi : il giudizio di Andrea Cangini che
rappresenta la morale comune legata alla giustizia quotidiana del popolo e il suo punto di vista forgiato
invece da anni di esperienza in un mondo che non sembra nemmeno il nostro. Il suo testo è l’ideale per
formare una conoscenza della politica italiana passata e contemporanea e per capire quali sono i veri rapporti
tra poteri coesistenti sullo stesso territorio.
Distinti saluti
Arrigo Alessandro
ALESSIO CAPUTO
LAVORO FILOSOFIA: LETTERA A CESARE BECCARIA
Illustrissimo Signor Cesare Beccaria,
Ho letto la sua opera “Dei Delitti e Delle Pene” , scritto tra il 1763-1764 e sono rimasto colpito dalla
modernità degli argomenti che Lei tratta e dal suo pensiero così “avanti” per l’epoca. L’opera sembra essere
il primo abbozzo, il primo schema di un trattato di diritto penale che rispondeva alle esigenze
dell’Illuminismo, la base e il fondamento della giurisprudenza moderna.
Prima di iniziare questa discussione, mi presento: mi chiamo Alessio, ho 17 anni e frequento il quarto anno
del Liceo Scientifico “Versari” a Cesano Maderno.
Dalla lettura dell’opera si capisce che vi è un impulso morale generato dall’evoluzione storica, sociale e
culturale dell’epoca in cui Lei visse. Ci troviamo nel 600/700, periodo storico abbastanza complesso, in cui
la civiltà europea matura una presa di coscienza di fronte al problema della giurisdizione penale e in cui
vengono messe in discussione le certezze dei secoli precedenti. Ho trovato interessanti le sue idee, quando
parla delle interpretazioni delle leggi, della tortura, della pena di morte e della prontezza della pena;
argomenti sempre moderni in tutte le epoche. Come Lei asserisce, le leggi non devono essere interpretate, ma
devono essere sufficientemente chiare, in modo che il magistrato abbia solo il compito di applicarle; Deve
esserci una giusta proporzione fra i delitti e le pene, cioè le pene devono essere proporzionate alla misura del
danno che i delitti arrecano alla società. Oggi si fa un gran parlare sulla figura del magistrato; in Italia si
discute molto : si asserisce che la magistratura abbia un grande potere. Secondo me bisogna tenere separati il
potere esecutivo e il potere legislativo, in quanto si può incorrere nella confusione dei due ruoli. Chi è al
governo ed ha il compito di legiferare deve pensare al bene pubblico e non all’interesse privato.
Per quanto riguarda la tortura, essa doveva costringere il colpevole a confessare il delitto. Questo metodo era
per Lei una crudeltà, un modo di pretendere la verità attraverso il dolore fisico; sono d’accordo con Lei
quando sostiene che è preferibile l’ergastolo alla pena di morte. Ambedue diventano ingiuste perché sono
basate non sul diritto, ma sulla forza dello Stato. La pena di morte è da lei considerata inutile, perché non è
l’intensità della pena che fa effetto sull’animo della gente, ma piuttosto la sua estensione. Serve di più
l’ergastolo che è un monito permanente per coloro che intendono delinquere. Lei sostiene anche che deve
intercorrere poco tempo tra il delitto e la pena. La prontezza della pena sarà percepita giusta, perché
risparmia al colpevole i tormenti dell’incertezza. La privazione della libertà, è già una pena, essa non
dovrebbe precedere la sentenza e dovrebbe durare il minor tempo possibile prima della celebrazione del
processo. Queste cose, Lei le affermava circa 300 anni fa, invece oggi le carceri sono piene di persone in
attesa di giudizio. I processi durano anni e la gente perde la memoria dell’efferatezza del delitto. Rimane solo
la famiglia che ha subito il lutto a sperare, a chiedere che giustizia venga fatta. Ha ragione Lei quando
sostiene che nell’immaginario collettivo, l’immediatezza della pena serve a rinforzare il senso del giusto
castigo, mentre ritardare la pena farebbe percepire il castigo come una forma di spettacolo.
Mi piacerebbe discutere con lei, riguardo alcuni punti della sua trattazione :
1) Non ha mai pensato all’ “eliminazione” della figura del sovrano?
2) La legge è uguale “veramente” per tutti?
3) L’educazione dei giovani.
Mi rendo conto che se Lei avesse scritto oggi un trattato del genere non avrebbe avuto davanti a se una
società così variegata come lo è adesso e le condizioni storiche sarebbero diverse. Era sincera la sua fiducia
nei sovrani? I sovrani della sua epoca sono stati annientati, oggi l’ordinamento dello Stato è la democrazia.
Quello che ammiro in lei è che la sua grande innovazione consiste nell’aver rovesciato la prospettiva
dell’indagine, sulla legittimità dell’azione di uno Stato. Fino all’ Illuminismo, lo Stato era preminente e la
sua azione assolutamente e sempre legittima, per cui gli uomini abitanti su quel territorio erano sudditi senza
“volontà politica” e senza capacità decisionale perché “privi” di diritto . Con la sua pubblicazione, la
prospettiva si sposta dal sovrano alla sovranità che è l’insieme di tutte le piccole porzioni di libertà cedute
dagli individui, che non sono più sudditi “passivi” ma cittadini , protagonisti della vita della collettività. Essi
hanno nelle mani un “diritto” che proviene proprio dalla cessione di una porzione della propria libertà.
Credo che Lei non si sia potuto “esporre” eliminando tale figura e così mette l’autorità del sovrano a capo
della società per il raggiungimento di un bene comune.
Lei credeva davvero che il sovrano avesse dei fini così elevati? Oppure ha dovuto nascondere il suo pensiero,
perché la sua opera rappresentava una forte pericolosità per il potere, sia religioso che politico. Essa metteva
in discussione il principio della legittimità del potere, tanto che Lei ha avuto degli attacchi da parte della
Chiesa, attraverso la pubblicazione dell’ opuscolo del Padre Ferdinando Facchinei, per incarico del governo
della Repubblica della Serenissima. Il successo della sua opera fu tale che anche Caterina II La invitò a
Pietroburgo nel 1767 per averLa accanto a se mentre scriveva il Nakaz, un trattato sull’istruzione.
Lei perennemente indeciso preferì rimanere a Milano.
Per quanto riguarda il secondo punto: la legge è veramente uguale per tutti? Cosa mi risponderebbe oggi di
fronte a tante illegalità e crimini commessi da chi ricopre proprio un incarico di governo? A questa domanda
se ne sovrappone un’altra: come fa un giovane, a credere, a seguire la legge quando vede ogni giorno che chi
con furbizia “aggira” le regole, le leggi , va avanti , si arricchisce, ha successo e ricopre anche incarichi di
responsabilità?
Nella sua opera per prevenire i delitti, Lei dà grande importanza all’uomo colto, che rappresenta il dono più
grande che il sovrano possa fare a se e alla sua nazione. Egli è custode delle leggi e per i giovani rappresenta
un modello, perché egli deve deviarli da ciò che è male e guidarli alle virtù. Oggi viviamo in una società
dove tutto è messo in discussione e tutto è permesso, dove vince chi “ frega” di più e pur scoperto non viene
arrestato perché i cavilli legali lo mettono al riparo da qualsiasi pena. La sua ottica “idilliaca” di questa figura
mi sembra sia superata, anzi a mio parere serve solo a dire, a dimostrare che gli uomini colti hanno fatto una
scelta al di fuori della società reale e non possono essere seguiti come figure di riferimento. Oggi i nostri
ricercatori, gli studiosi non sono più figure da seguire, anzi a volte essi vengono “ trascurati” perché non
riescono con la loro cultura a vincere nel mondo del lavoro; al contrario sono costretti a fuggire dall’Italia
per andare all’estero e cercare di avere successo.
La ringrazio per avermi fatto riflettere su questi argomenti, e prima di salutarLa vorrei rivolgerLE un'altra
domanda : come riscriverebbe oggi la sua opera?
In attesa di una sua risposta
Distinti saluti
Alessio Caputo
CASTIGLIA
A Monsieur Voltaire.
Le confesso che in questo preciso momento non mi capacito di trovare un incipit adatto per questa lettera.
Non so davvero da dove cominciare per poi introdurre l’argomento. Le dico che lo scopo di questo mio
scrivere è l’avere la possibilità di poterle esprimere alcune mie considerazioni circa il suo “Candide”, libro
che ho dovuto leggere sotto richiesta del mio professore di filosofia e su cui ho fatto un lavoro con la
collaborazione di alcuni miei compagni di classe.
Ho constatato dalle prime pagine di provare leggera antipatia per il protagonista: Candido è troppo ingenuo
come ragazzo; sembra che nonostante si definisca colto (e non dubito che lo sia) non sappia che direzione
prendere, adotta varie teorie senza pensarci su poi così tanto, per finire avendo sempre più confusione in
testa. Mi ricorda quasi un ragazzino. È anche la dottrina insegnatagli dal maestro Pangloss che lo influenza,
no? Essere ottimisti rende un po’ sciocchi a mio parere, sebbene potrebbe fungere da conforto nel percorso
della vita … ma no, non servirebbe comunque a granché: ogni cosa che accade attorno a noi porterebbe ad
un dubbio continuo, a una rivalutazione delle idee. C’è anche da dire che io non riesco a concepire per niente
l’ottimismo deduttivo, a credere che per vario tempo dei pensatori abbiano sostenuto una simile tesi; non si
può guardare il mondo che va a pezzi e restare impassibili, dicendo che tutto è stato programmato e che
siamo i prescelti o prendere posizioni simili. Come lo si spiega logicamente? E poi, dovrebbe portare alla
felicità, che è l’altro principale obiettivo del ragazzo? Non sembra un metodo efficace … Pensandoci, però,
noi uomini nonostante tutto siamo somiglianti a Candido: non facciamo che ripeterci di essere ottimisti, che
con l’ottimismo si vive meglio, che non si può vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto e altri slogan
“consolatori”. Non dico che bisogna essere positivi al cento per cento, ma talvolta farebbe bene un po’ di
pessimismo, che credo ti faccia vedere le cose quasi come sono realmente. Avrà capito che non apprezzo
nemmeno la persona di Pangloss, che mi pare ancora più sciocca di quella del suo allievo, ma le mie ragioni
(che lontanamente forse potrebbero assomigliare alle sue) le ho già esplicate. Non doveva avere paura della
morte quel filosofo, sicuramente. Dato che ho iniziato con i personaggi principali, vado avanti analizzando
anche gli altri, che hanno a loro volta delle caratteristiche piuttosto ingigantite: se Pangloss è l’apoteosi del
pensiero positivo, Martino ne è tutto l’opposto, completamente pessimista circa la natura del mondo e della
specie a cui lui stesso appartiene. Su questo ultimo punto è a lui che do torto, poiché non credo che la natura
umana sia stata (e sia) sempre predisposta a fare del male, come dice Locke. Ognuno ha la propria indole, in
alcuni prevale “la parte buona” in altri no, ma nessuno è completamente cattivo o completamente buono,
dipende dalle circostanze (come sosterrà poi Shakespeare, le cui opere lei non ha avuto modo di leggere).
Anche Martino è un caso disperato! La cosa buffa che ha affiancato (ironia della sorte) al Candido tutti
personaggi “negativi”; le devo dire che ha una grande capacità di ironizzare, sa? Molti scrittori italiani lo
hanno fatto anche nelle loro opere. Semplicemente geniale. Per non parlare del colpo di scena su Cunegonda
che si rivela brutta! Un finale degno di una commedia latina. Notare come l’uomo insegua oggetti vani:
Candido non si può infatti definire duttile, e alla fine ha avuto la sua “meritata ricompensa” (che lei abbia
voluto punire il suo personaggio?).
Tra le varie tematiche tratta anche il problema, se così lo si vuol definire, del Nuovo Mondo, le magnifiche
Americhe. Mi fa piacere che lei sia uno tra quegli uomini che hanno saputo apprezzare quella che al tempo
era definita la diversità di questi indigeni, che ha capito che effettivamente non avevano nulla di diverso
dagli europei, se non la civilizzazione. Mette anche El Dorado come esempio di utopia, che già di per sé è la
città immaginaria per eccellenza. D'altronde signor Voltaire, ha deciso di fare della tolleranza civile una
causa di vita. Funzionasse così anche oggi nel nostro secolo! Non che non ci siano persone che inattive, ma
non si fanno assai sentire.
Ed è sulla tolleranza che fonda la sua teoria religiosa, senza tra l’altro togliere del tutto la presenza di Dio,
figura che, a mio parere, esistente o no, è una necessità dell’uomo, una sorta di arpiglio per la specie umana,
come sosterrà poi Freud (ovviamente a lei successivo nel tempo, circa duecento anni, credo): se Dio si
identifica nella Ragione suprema, concetto astratto creato appunto dalla mente umana, ed è uguale per tutti,
nessuno avrà più modo di contestare ciò che gli altri credono o vedono in modo differente. Peccato che
ancora oggi le diverse religioni (quelle che lei classifica nel gruppo “Teismo”) sono causa preponderante di
conflitti non da ignorare. Ma non credo che le cose cambino, onestamente: per quanto il suo libro risulti
(affermazione soggettiva) esemplare, non muterà il punto di vista di ogni individuo. Alcuni la prenderebbero
per pazzo.
Chissà cosa avrà pensato Liebniz! Avete avuto modo di discutere tramite scambio di alcuni scritti, come ha
fatto con altri ottimisti? Se non ho capito male lei ha intrattenuto una simile disputa con un altro
rappresentante di questa scuola di pensiero, il poeta inglese Pope. Tra l’altro mi stupisce che un poeta inglese
abbia accettato questa dottrina dell’ottimismo; parlo sempre in base alle mie conoscenze: si pensi a Locke, a
Hobbes, ad Adam Smith. Ma non accuso, era giusto un’osservazione.
Mi domandavo inoltre, come ultima cosa, se i nomi assegnati ai singoli personaggi fossero casuali o
seguissero una certa logica, in base ad esempio alle loro personalità. L’ho notato prestando l’attenzione alla
figura di Candido, che risulta una persona semplice, ingenua, fanciullesca quasi …
Sembra che io abbia esaurito argomenti e curiosità, ma sono certa che lei saprà rispondermi nel modo più
adeguato. Spero di non averla annoiata o irritata, e concludendo la volevo ringraziare per l’attenzione che
gentilmente mi presterà al momento della lettura.
Cordiali Saluti,
Laura Castiglia
CHILA’ ROBERTA
Caro Professore,
quelle che stanno dietro all’intera stesura dell’opera “Per la pace perpetua” di Kant sono, a mio parere,
senz’altro ragioni nobili. Il raggiungimento di una pace perpetua che sia da considerare una vera e propria
pace che non ammetta futuri scontri, raggiunta esclusivamente tramite l’applicazione di leggi edite
conformemente e nel rispetto della natura umana, è da considerarsi un obiettivo di tutto riguardo, a cui in
realtà tutti dovremmo naturalmente tendere.
L’uso del condizionale è ovviamente una scelta voluta perché, come è facilmente intuibile dall’osservazione
della realtà, le cose non vanno esattamente così e sono sicura che questa non sia una novità.
Come mi insegna Machiavelli i problemi si risolvono a partire dalla constatazione delle cause che stanno alla
radice di questi e che sono rintracciabili solo nella concretizzazione delle conseguenze che comportano,
riscontrabili nella realtà effettiva dei fatti.
Se il problema è quello che una pace perpetua non si è mai raggiunta nel susseguirsi delle epoche, per quale
motivo, nel perseguire il così utopistico tentativo di costituire un ordinamento che la garantisca, si tiene in
considerazione una concezione della natura e della psicologia umana che presuppone comportamenti non
realistici?
Pensare che due Stati possano giungere a un punto di mediazione che non sia solo un illusorio e temporaneo
accordo di pace, ma che garantisca che in futuro questa perduri, non è un qualcosa di realizzabile a livello
concreto. La natura umana non segue necessariamente dei meccanismi prestabiliti e sempre verificabili per
cui non si può avere la certezza che ciò che oggi è così lo sarà anche domani. Non è pensabile che due Stati
raggiungano un compromesso che garantisca loro che in futuro non saranno di nuovo implicati in questioni
di natura giuridica, o quant’altro, che li vedranno avversari.
Sulla base di questa incertezza, che forse non è nemmeno da esorcizzare in quanto difetto, ma semmai da
riconoscere come la qualità, come la capacità di sapersi adattare e destreggiarsi nel vasto e caotico magma di
situazioni di fronte al quale la vita ci mette davanti, nessuno assicura l’esistenza di una modalità adatta con la
quale fondare un ordinamento atto a garantire la pace perpetua.
Questo era l’atteggiamento che, un autore che ha giocato un ruolo considerevole nella produzione letteraria
italiana del Cinquecento, come l’Ariosto, auspicava come il migliore, condannando, sulla base di questa
convinzione, qualsiasi forma di fossilizzazione o di rigidezza in quanto costituiva sinonimo di fragilità,
dell’incapacità di adattarsi alla realtà delle cose.
Onestamente io credo che i tempi che corrono abbiano dimostrato che la fragilità sta esattamente
nell’atteggiamento opposto. Tutta questa democrazia ha portato la gente a conformarsi a una mentalità
liberale portata agli estremi: in cui tutto è ammesso. Non ci si scandalizza nemmeno più di un Presidente del
Consiglio che non sembra farsi alcun tipo di scrupolo morale e intanto un Paese va alla deriva mentre noi ci
autocompiaciamo per il fatto di assumere di fronte a qualsiasi questione un atteggiamento talmente
democratico che si nutre esclusivamente del piacere di esserlo. Ogni questione si evolve in una discussione
che si dilunga nel tempo col rischio di non arrivare a prendere più una decisione.
A mio parere serve più rigidità, rigore, decisione. Se ogni uomo sapesse per certo che a ogni azione
corrisponde una precisa reazione e conseguenza allora forse potremmo studiare la natura umana come se
fosse articolata secondo degli schemi che, in linea di massima, garantirebbero che le decisioni di una persona
non siano prive di un minimo di coerenza e magari anche una effettiva corrispondenza tra fatti e parole.
Questo è quello che i fatti che riguardano e che girano intorno alla politica odierna mi portano a pensare: che
si siano perse le vie di mezzo.
Distinti saluti,
Roberta Chilà
CICALO’
Caro Adam Smith,
Ho appena scoperto che tra due ore dovrei consegnare la lettera al mio professore di filosofia.
Ovviamente non è una bella notizia perché invece di dedicare una serata al bel romanzo che ho sul comodino
mi ritrovo a dialogare con un intellettuale ormai deceduto di un argomento che non mi ha mai interessato:
l’economia.
Prima di concentrarci sulle tematiche trattate dal tuo libro vorrei iniziare tessendo lodi su ciò che mi ha
colpito di più e cioè l’ordine dell’esposizione e la chiarezza del linguaggio. Al giorno d’oggi è diffusa l’idea
che un buon libro sia quello che usa più termini specifici o inusuali possibili, a causa di ciò si viene a creare
un circolo vizioso in cui intellettuali si sfidano a colpi di parole arcaiche riprese dai più sconosciuti
documenti di epoche ormai passate, il risultato che si ottiene è un perfetto mattone che spacciano per
divulgativo, letto dagli specialisti del settore e usato come soprammobile dagli altri che desideravano solo un
introduzione all’argomento.
Il tuo libro invece è diverso, non vuole essere una testimonianza della bravura dell’autore, non è frutto della
tua vanità, il suo scopo è quello di far capire al lettore concetti abbastanza complicati nella maniera più
chiara possibile, non dico che la lettura scorra fluida come può capitare con un romanzo di Tolkien o di
Dumas, ma almeno non ti fa sentire un completo deficiente.
Ho apprezzato soprattutto come tu aiuti il lettore, prima enunciandogli il concetto teorico e poi
accompagnandolo alla comprensione attraverso esemplificazioni che collegano diversi periodi e diverse
nazioni.
Ad esempio mi è piaciuto molto il modo in cui hai affrontato il tema della ricchezza; hai iniziato da un
opinione comune: ricco è l’uomo che possiede molto oro, povero è invece quello che ne possiede molto
poco, hai, poi, descritto le conseguenze che questa idea porta nella società: gli stati decisi a conservare e
aumentare lo propria ricchezza proibiscono la fuoriuscita di oro e di altri metalli preziosi, poi, però, inserisci
un dubbio nella testa del lettore attraverso un esempio: supponiamo che uno stato povero e cioè con poco oro
abbia un surplus di una merce necessaria ad un altro stato più ricco e cioè con più oro, lo stato povero
ovviamente approfitterà dell’occasione per aumentare la propria ricchezza vendendo il prodotto a un prezzo
più alto rispetto al suo valore effettivo. Supponiamo ,inoltre, che questo scambio si prolunghi nel tempo, il
risultato ottenuto sarà che le casse dello stato povero si saranno arricchite, al contrario di quelle dello stato
ricco che avranno subito una perdita, se l’attività commerciale si protraesse ancora più a lungo finirebbe che
le casse dei due stati conterebbero la stessa quantità d’oro fino a che lo stato che prima era povero non
diventerebbe addirittura più ricco dello stato acquirente. Ovviamente questo è un ragionamento puramente
teorico, perché molti fattori influenzano il mercato, ma è utile al fine che ti proponi, poiché mostri al lettore
che la ricchezza non sta tanto nella quantità di oro di una nazione, quanto alla capacità di produrre e
all’abilità di condurre attività commerciali.
Parliamo ora della tua metafora più riuscita: la mano invisibile.
Questa idea è la colonna portante di tutta l’opera, senza la mano invisibile tutto ciò che vuoi dirci crollerebbe
e non avrebbe più alcun significato.
So che conosci già tutto ciò che questa metafora rappresenta, ma dato che è quasi da quattrocento anni che
non ne senti parlare probabilmente gradiresti che ti rinfreschi la memoria.
La mano invisibile è ciò che porta naturalmente l’economia a migliorarsi, con la condizione che questa non
sia controllata da alcuna forza interna, cioè con parole più spicce: a condizione che lo stato non decida di
monopolizzarla.
La mano invisibile, che ripeto opera solo se non ci sono forme di monopolizzazione da parte di qualunque
ente interno o esterno che sia alla società, non è soggetta alla corruzione(non ci sarà mai qualcuno che
riuscirà a ottenere i suoi favori regalandole un guanto), non fa favoritismi e il suo operato è perfettamente
prevedibile, mi spiego meglio: la mano invisibile migliora l’economia. In che modo migliora l’economia? Fa
nascere della sana competizione, lo stesso prodotto sarà venduto da più mercanti. Ogni mercante vuole
prevalere sull’altro, cioè vuole vendere più prodotti rispetto al suo concorrente, quindi dovrà abbassare il
prezzo, ma il prezzo non può scendere più di tanto perché se no il commerciante non guadagnerebbe niente,
la soluzione è allora quella di riuscire a ottenere un prodotto di migliore qualità e magari costruire un
macchinario che permetta di produrne un maggior numero, il macchinario potrebbe essere una soluzione
intelligente, perché così si risparmierebbe tempo e forza lavoro, di conseguenza si risparmierebbero soldi,
allo stesso tempo la costruzione di macchinari richiederebbe l’operato di altri produttori (falegnami, fabbri
ecc) potrei andare avanti per molto, anche perché mi stavo iniziando a divertire, ma non vorrei abusare della
tua pazienza di anima, quindi in parole povere intendevo dire che lo sviluppo di un determinato campo porta
naturalmente allo sviluppo di altri a esso associati che porteranno allo sviluppo di altri campi ancora e così
via.
Ci sarebbero ancora molte cose da dire; sarebbe stato carino parlare della divisione del lavoro ( una delle
idee più geniali che l’uomo abbia mai avuto) oppure delle spese che il sovrano o la repubblica dove
affrontare e le cause e gli effetti principali dei debiti accumulati nel corso della storia.
Prima di congedarmi Adam, ti volevo ringraziare, l’economia non mi piace ancora e probabilmente mai mi
piacerà, però devo ammettere che mi hai dimostrato che anche questa scienza qualche tematica interessante
c’è l’ha.
Cordiali saluti
Cicalò Valentina
P.S. Sappi che in caso di brutto voto ti giudicherò direttamente responsabile
CURCIO
Caro Cesare,
Come vedi ti scrivo, e quando uno scrive di solito c’è un motivo. Il mio è dirti che il tuo libro in questi giorni
l’ho consumato.
L’ho consumato perché è davvero sorprendente trovare un pensiero del 1700 che possa vantare tuttora una
grande modernità. Nel tuo libro tu tratti del diritto, delle pene e dei delitti, dietro un impulso moraleggiante,
lo stesso impulso che potremmo avere noi oggigiorno a vedere quanto anche il nostro sistema giudiziario a
volte lasci proprio a desiderare. Forse è proprio questo che rende il tuo libro così moderno: nasce da un
sentimento che possiamo provare anche oggi.
Premetto che io a scuola non ho mai studiato diritto, quindi è stato interessante addentrarsi in un mondo a me
completamente sconosciuto, poiché da un po’ mi ponevo domande alle quali ho trovato una risposta proprio
nel tuo libro. Ad esempio, con quale criterio si può decidere che un testimone debba essere creduto o meno?
La domanda è scaturita da una stupida scena quotidiana, ho pensato che in caso di incidente in macchina e
qualcuno avesse assistito, quel qualcuno avrebbe potuto testimoniare qualsiasi cosa, difendendo chi preferiva
delle due parti. Ma nel tuo libro ho trovato subito una risposta esauriente. I testimoni godono di una
credibilità che diminuisce a seconda dei rapporti con le persone coinvolte e dall’importanza del delitto.
Ma adesso affrontiamo i due temi “principe” del tuo pamphlet: la tortura e la pena di morte. Quest’ultimo è
un tema di grandissima attualità, poiché in alcuni degli Stati Uniti d’America è in vigore tuttora e molte
persone sono contro questa pena. Tu ti dichiari contro la pena di morte, poiché non corregge un uomo, ma lo
elimina fisicamente, e la giustifichi solamente nel caso in cui il reo sia altamente pericoloso per la società
anche in carcere. Io non posso far altro che confermare il tuo pensiero, visti alcuni fatti di cronaca nera che
parlano di uomini che uccidono la propria famiglia, e poi, piuttosto che passare tutta la vita in carcere, si
suicidano. Ovvio che in questi casi c’è anche la frustrazione per aver commesso un gesto folle, ma ciò che
interessa a noi è chiaro: un uomo ha molta più paura di passare tutta la vita in carcere piuttosto che di morire.
E allora non è una pena molto più utile l’ergastolo? In secondo luogo è riprovevole che si condanni un
omicidio con un altro omicidio. Anzi con un omicidio legalizzato dallo Stato. Appare chiaro subito che
logicamente c’è qualcosa che non è corretto: punire un delitto con una pena che è il delitto stesso, ma che
non viene punito perché giustificato.
Passiamo adesso alla tortura: nel tuo libro affermi che la tortura sia inutile se non dannosa. Infatti si applica
una pena prima che si abbia la certezza che l’imputato sia reo o innocente. Inoltre non è un metodo utile a
giungere alla verità, perché dipende dalla sopportazione del dolore di ognuno. Paradossalmente tra due
individui sottoposti a tortura, uno reo e uno innocente, può trarne vantaggi solo il reo: se il reo riesce a
sopportare le torture e non si dichiara colpevole, avrà guadagnato la libertà ingiustamente grazie al suo
fisico. Se invece l’innocente cede per disperazione causata dal male delle torture, dichiarerà di essere
colpevole pur di alleviare il dolore. Il reo può guadagnare la libertà, l’innocente la perde. Ma un altro punto
che sicuramente appoggio è che le torture sono delle pratiche barbare. Non si può assolutamente sottoporre
un uomo a tali sofferenze senza essere sicuri delle sue colpe. Anzi anche in caso di questa sicurezza, il reo
pagherà con il carcere le sue colpe, e così potrà correggersi, ma con le torture nessuno impara niente. Un
altro punto che mi ha colpito molto del tuo libro è quando affermi che tutti gli uomini devono apparire
uguali di fronte alla legge. Non è un concetto per niente scontato, visto che per la prima volta si parla di
“equità per diritto di natura” sono con il giusnaturalismo. E soprattutto colpisce una questione calda: i nobili
non devono essere favoriti nei processi, come oggi non dovrebbero essere favoriti i personaggi più famosi o
oppure i politici in carica. Proprio per questo è una questione calda: questo è uno di quei principi che
idealmente sono giusti, ma divengono quasi utopistici perché non verranno mai applicati. Infatti chi non ha
mai sentito parlare di scandali per favoritismi in tribunale? Sembra quasi normale che la parola di un
importante politico sia schiacciante rispetto a quella di un povero cittadino, grazie anche agli avvocati che
hanno il dovere di cercare delle ambiguità e delle scappatoie nelle leggi. Ecco un altro punto che tocchi nel
tuo libro: come debbono essere scritte le leggi. Le leggi devono essere scritte da un legislatore che
rappresenti tutta la società, e devono essere estremamente chiare. Questo perché il giudico, che può essere
sottoposto a pressioni, debba solo applicarle, e non interpretarle. La conseguenza di una legge poco chiara
sarebbe che in tribunale il giudice la interpreterebbe come gli conviene a seconda di chi si trova davanti.
Posso confermarti (dovresti esserne onorato) che è la prima volta che sono in totale accordo con tutto ciò che
leggo in un libro e non trovo niente di cui lamentarmi. L’unica cosa di cui posso lamentarmi (che però non è
pertinente al tuo libro) è che sarebbe bello poter approfondire il diritto anche a scuola, visto anche
nell’aspetto morale, come spesso hai fatto tu. E concludo questa lettera riportando l’affermazione che più mi
ha colpito del tuo libro:
“Osservate che la parola diritto non è contraddittoria alla parola forza, ma la prima è piuttosto una
modificazione della
seconda, cioè la modificazione più utile al maggior numero.”
Questa è la frase che più mi ha fatto riflettere sul vero senso delle leggi, non vederle come limitazioni, ma
come possibilità di vivere in comune.
Con affetto e tanta stima,
Antonino Curcio
GALEAZZI
Caro Adam Smith,
grazie, grazie e grazie.
Grazie perché per merito tuo ho uno computer, un televisore, uno stereo, un cellulare, una console per
videogiochi, un'automobile, un lettore DVD e un sacco di altre cose supermegatecnologiche, comode e
divertenti che senza il tuo contributo nessuno si sarebbe mai sognato di inventare. Grazie.
Sì, tu hai dato un bel calcio nel fondo schiena ai dogmi platonici e aristotelici, hai liberato l'umanità da un
mucchio di inutili proibizioni e hai sparato in faccia a tutti come dannatamente stavano le cose: tutti vogliono
i soldi!
E' il denaro che fa girare il mondo e tu l'hai capito bene, nessuno fa nulla per nulla, ma ognuno fa per se
stesso, gli altri vengono dopo.
Vero, però, anche se il tuo sembri un utilitarismo spietato, tu sei andato oltre, a fondo nei meandri della storia
e nel cuore degli uomini, antichi e contemporanei, e hai svelato la Mano Invisibile. Grazie ad essa l'uomo fu
finalmente libero, libero di pensare esclusivamente a se stesso, libero di sfogare ogni sua “inclinazione
naturale”, libero di prendere qualsiasi cosa voglia senza la preoccupazione di compiere del male all'umanità;
libero perché la Mano Invisibile, con la sua bacchetta magica, fece, ha fatto, e farà in modo che ogni
interesse personale si tramuti in bene comune...
Ca**o Adam Smith, vaffanc**o!
Sono Andrea Galeazzi, 19 anni e vivo 3 secoli dopo di te nella tua società ideale. Sono in piena crisi
economica: la disoccupazione dilaga, gli stipendi precipitano, la massa povera aumenta, i servizi non sono
più garantiti, vige il precariato, non c'è lavoro e nessuno assume, molti sono i padri di famiglia senza
stipendio e per noi giovani non c'è futuro o, meglio, abbiamo un futuro tutto da rifare da zero. Abbiamo poi
paesi ricchissimi e paesi poverissimi e i primi vivono sullo sfruttamento disumano dei secondi. Abbiamo la
spazzatura, l'inquinamento, il disboscamento, le scorie radioattive, le esplosioni nucleari, il buco nell'ozono,
il riscaldamento globale e un mucchio enorme di altre cose che hanno leso irrimediabilmente il pianeta.
La maggior parte di questi problemi sono risolvibili: potremmo fare in modo che la crisi non gravi sulla
popolazione innocente, ma sui veri responsabili; potremmo sfamare tutta la popolazione mondiale con solo
una frazione di tutto il cibo che viene sprecato o buttato; potremmo dare stipendi più dignitosi ai coltivatori
delle piantagioni; potremmo sfruttare le risorse rinnovabili invece dei combustibili fossili. Tutto questo però
non succede.
Sai perché?
Perché tutti pensano ai soldi e hanno capito bene come funziona il Dito, cioè la Mano, Invisibile.
Sparati una pi**a con la tua mano invisibile Adam!
Diavolo, scusami lo sfogo, non ti reputo responsabile di tutto quello che accade nella mia epoca, però tu hai
aperto la strada all'individualismo e al consumismo più spietato e incontrollato.
Non fraintendermi, sono d'accordo con quasi tutte le riflessioni che esponi nella “Ricchezza Delle Nazioni” e
grazie a te il progresso è cresciuto in modo esponenziale dai tuoi giorni ai miei. Con i tuoi metodi e con la
tua visione dell'economia l'uomo ha iniziato a investire e a sfruttare positivamente il denaro. Si è sviluppata
l'economia, il tenore di vita e il benessere delle persone è aumentato, la ricerca ha scoperto e creato cose
strabilianti che tu neanche ti puoi immaginare. Quello che sostieni si è rivelato corretto: grazie alla divisione
del lavoro e all'impiego delle macchine i tempi di produzione si sono ridotti e, insieme ai capitali, ciò ha
creato un circolo virtuoso con effetti incredibili.
Tuttavia, se dal punto di vista economico la mano invisibile ha prodotto i suoi effetti, dal punto di vista
sociale ha avuto risultati tutt'altro che benefici. Lo sfruttamento da parte dei padroni sui lavoratori non è stato
risolto e lo schiavismo si è ripresentato in forme diverse. Inoltre si sono verificate conseguenze che non hai
previsto. Innanzitutto le crisi economiche, oltre quella che sto vivendo ora, sene sono verificate altre nella
storia, con effetti peggiori e causate sempre dagli investimenti. Poi, come farà notare Karl Marx, un tuo
collega del novecento, la ripetizione della stessa semplice azione, teorizzata da te, ha rovinato
psicologicamente e fisicamente i lavoratori, cosa che ha causato molte ribellioni da parte di essi per far
valere i propri diritti e lavorare in condizioni più umane.
Alla luce di ciò, Adam Smith, riconosco i tuoi meriti, ma non ho la tua stessa fiducia nella mano invisibile.
Saluto.
Galeazzi Andrea
GASPAROTTO
Caro connazionale Voltaire,
mi complimento con te per il tuo libro “Candide”.
Innanzitutto ne apprezzo la dinamicità: grazie al ritmo incalzante e all’assenza di lunghe divagazioni
previene la noia, problema frequentissimo nella lettura dei libri, specialmente di alcuni generi filosofici. Il
racconto fila liscio come l’olio e non c’è neanche tempo di piangere per la morte di bravi personaggi; c’è
anche da dire però che si impara in fretta a non preoccuparsi per loro dal momento che continuano a
riapparire miracolosamente vivi dopo qualche capitolo…
Ho apprezzato molto la critica all’ottimismo di Leibniz; io stessa mi considero ottimista e cerco di vedere il
lato positivo nel maggior numero di situazioni possibili, ma sono lontana dal credere che questo mondo sia il
migliore possibile. Forse è vero che il bene comune non coincide per forza col bene individuale. Ad esempio
consideriamo un malato su cui vengono sperimentate nuove cure rischiose: sicuramente contribuisce al bene
comune grazie al suo apporto per trovare nuove cure, ma è possibile che egli perda la sua vita per questo, e
ciò non è bene per lui; a volte però il male di qualcuno non fa per forza il bene di altri: la morte di una
persona in un incidente molto improbabilmente contribuirà a incrementare il bene comune; il terremoto di
Lisbona del 1755 ha sicuramente più conseguenze negative che positive e Voltaire ce ne fa vedere una in
particolare: la cerimonia religiosa esorcizzante derivata dal fanatismo che lui detestava tanto, ma, anche
senza l’aiuto di Voltaire, possiamo pensare da soli a quanto disastroso sia un terremoto del genere per
migliaia di persone; ne abbiamo esempi tutt’ora con i terremoti in Giappone o ad Haiti. Solo degli ingenui
come Pangloss possono credere che tutto vada per il meglio; anche l’ingenuo Candido alla fine si rende
conto che questo mondo non è perfetto.
Apprezzo molto anche la tua concezione di religione: ho sempre frequentato l’oratorio e la Chiesa, però a
una certa età vengono dubbi e mi chiedo tutt’ora se è possibile credere a certe storie. Tuttavia concordo nel
pensare che esiste sicuramente un’entità superiore agli uomini, forse un’entità che non ha una propria
volontà o il potere di cambiare le cose, ma che coincide con tutto ciò che l’uomo non può controllare, come
ad esempio la natura; questa concezione dovrebbe portare al rispetto di quest’ultima e al rispetto degli altri
esseri umani. In questo modo, come dici tu, non ci sarebbero intolleranze e scontri perché il Dio sarebbe
unico e proprio di tutti; ognuno potrebbe concepirlo in maniera personalizzata, ma l’idea di fondo è questa ed
è una sola. Ho provato una forte empatia quando il vecchio saggio di El Dorado descrive la religione secondo
la sua opinione e dice: “Est-ce qu’il peut y avoir deux religions? Nous avons, je crois, la religion de tout le
monde.” Come te non apprezzo i dogmi e il fanatismo che portano all’intolleranza: ciò è in contrasto col
messaggio di fondo cristiano e probabilmente di tutte le altre religioni che predicano principalmente il bene.
È inutile cercare di parlare di cose che non possiamo sapere; o meglio, possiamo parlarne, ma non possiamo
permetterci di fare affermazioni, di stabilire regole o leggi delle quali non possiamo avere nessuna certezza: è
inutile e dannoso perché tutto questo causa scontri, divisioni, rivalità. Possiamo permetterci di occuparci
solo delle cose di cui abbiamo esperienza e conferma, vale a dire ciò a cui la ragione può arrivare.
Alcuni illuministi si sono spinti fino all’ateismo e molte persone oggi si qualificano come tali; specialmente
in Francia si è perso moltissimo il senso di religione; sicuramente da un lato la cosa è positiva perché qui in
Italia ci sono ancora molti tabù e un’ostinata ipocrisia a causa della forte presenza della Chiesa, ma d’altra
parte in Francia sembra quasi che sia imposto l’ateismo nelle maggior parte dei casi: forse certi bambini
vengono ancora battezzati per abitudine, ma poi i genitori criticano la Chiesa davanti a loro e non spiegano
che è possibile avere una concezione di Dio slegata dalla Chiesa, così come non è stato spiegato a loro. In
conclusione, se tu hai cercato di insegnare che è inutile parlare di questioni metafisiche delle quali non si ha
conoscenza sicura pensando a tutto ciò che gli uomini dicevano sul Dio della concezione cristiana, d’altra
parte ora viene fatto lo stesso errore in senso opposto: chi o cos’è l’uomo, creatura straordinaria e dotata di
ragione certamente, ma sicuramente piccolissima in confronto all’universo che ci circonda, per credersi al di
sopra di tutto e per permettersi di affermare che non esiste qualcosa di più importante, di più grande di noi?
Alla fine Candido si rende conto che nella vita rimangono domande senza risposta ed è inutile continuare a
cercare: così dice il saggio Turco. Nella vita non si può neanche raggiungere la felicità assoluta perché non si
sa cosa sia: l’unico che sembra felice è Pangloss, ma in realtà è solo un cocciuto; anche l’ingenuo Candido
finisce col rendersi conto che l’esistenza non è facile, ammette la presenza di cose belle, ma si accorge delle
fatiche e delle difficoltà da superare per sopravvivere. Alla fine deve lavorare sodo e Cunegonda è brutta e
rompiscatole: è un’esistenza banale e faticosa, ma è la normalità: non esistono condizioni eccezionali,
bisogna semplicemente accettare la vita com’è. Durante i viaggi ha cercato risposte, ma forse l’unica trovata
è che non ci sono risposte e che è inutile inseguire qualcosa a cui non si può arrivare.
Nessuno dei personaggi è pienamente felice, ma da come raccontano le loro storie non sembrano così
infelici: anche Martino che non fa che lamentarsi in realtà continua a vivere e fa volentieri da compagnia a
Candido; Pococurante non trova niente da apprezzare a fondo, ma questo comporta una grande ricerca e la
ricerca è sicuramente un modo appagante per spendere il tempo della propria vita; la vecchia racconta mille
sventure, ma continua la sua esistenza assecondando tutti gli avvenimenti che le piombano addosso. Nessuno
è pienamente felice, ma nessuno è poi così infelice da rinunciare alla vita stessa.
Tu non credi molto negli ideali, però descrivi comunque un’utopia. In effetti non le dedichi molto spazio e
Candido decide di abbandonarla perché vuole ritrovare Cunegonda. Tu, scrittore e filosofo, la abbandoni
forse perché è troppo distante dalla realtà ed è inutile divagare su queste cose, ma è giusto comunque
esprimere quello che sarebbe l’ideale per te; si vede che sei consapevole del fatto che è solo un sogno, infatti
i protagonisti, una volta partiti, non potranno più tornare a El Dorado così come non si può tornare
volontariamente in uno stesso sogno. Inoltre a Candido e Cacambo rimane ben poco della loro avventura lì,
così come non rimane niente di concreto a noi stessi dei nostri sogni: solo due tra le innumerevoli pecore
piene di diamanti si salvano e permettono loro di concludere le avventure.
Ti saluto con l’intenzione di leggere altri tuoi libri e ringraziandoti per questo tuo racconto divertente, in
apparenza leggero, ma pieno, in realtà, di grandi insegnamenti.
Buon riposo,
Stéphanie
GABRIELE GATTI, CLASSE 4CS
LETTERA A CESARE BECCARIA
Egregio Signor Cesare Beccaria,
Sono uno studente del Liceo Scientifico IRIS Versari di Cesano Maderno e le scrivo per discutere con lei
alcuni argomenti che ha trattato nel suo stimabile trattato “Dei Delitti e Delle Pene” (anche se in realtà sono
stato costretto dal mio professore di filosofia Marino Catella). Non e la prima volta che scrivo a grandi
personaggi della letteratura e filosofia di fatti ho avuto l’onore di scrivere (ma non la risposta) ad Immanuel
Kant e Seneca. Prima di tutto voglio congratularmi con lei perche ho trovato il suo trattato molto
interessante, illuminante e mi fa fatto pensare molto, anche se non sono d’accordo al 100 % con quello che
lei scrive. I principali temi di cui tratta sono ovviamente il metodo e la tipologia di pene che lo stato deve
applicare sul reo e i vari tipi di delitto. Probabilmente a causa di vari motivi lei non e a conoscenza di quanto
sia inefficace il sistema giudiziario nel XXI secolo. Le dico solo che 9 su 10 criminali in Italia non vengono
puniti e quelle poche volte che si arresta il responsabile di un delitto la pena applicata non e in proporzione
con il delitto (probabilmente hanno saltato il capitolo 6 del suo trattato).Se non le e di troppo peso la invito a
nome di molti italiani a scrivere un “Dei Delitti e Delle Pene” aggiornato; le posso assicurare che farebbe
una barca di soldi. Passando al suo libro una frase che lei cita nel trattato e “Non è l'intensità della pena che
fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa”. La profondità di questa citazione mi ha
colpito molto ma non mi e ben chiaro perche l’essere umano percepisca meglio una pena lunga ma costante
che una breve ma intensa. Probabilmente per comprenderlo bisogna essere studiosi della mente umana e di
come reagisce alle punizioni e al dolore, ma penso che il fine della pena, come dice anche lei oltretutto, sia
quello di fare comprendere al reo quello che ha fatto di sbagliato e indurlo a non farlo di nuovo. Dunque
citando una delle idee centrali di un suo collega precedente a lei, Niccolo Macchiavelli, spesso il fine e più
importante dei mezzi e questi sono giustificati in alcune circostanze. Quindi se con una pena breve ma
intensa si riesce ad impiantare in colui che ha infranto la legge la lezione che c’e dietro alla fine lo stato ha
fatto comunque il suo compito. Due degli argomenti principali che tratta sono la tortura e la pena di morte.
Riguardo alla tortura lei riesce pienamente a confutare tutte le possibile tesi a favore di essa e mi ha stupito
molto la precisione delle argomentazioni che utilizza per contrastare questa pratica disumana. Le direi che ha
perfettamente colto nel segno un modo di dire della mia epoca. Riguardo invece alla pena di morte,
probabilmente il punto centrale del trattato, e argomento che ancora tutt’oggi e protagonista di molti dibattiti,
la penso diversamente da lei. In Europa sara felice di sentire che la pena capitale e stata abolita da tutti gli
stati mentre in altre zone del mondo come per esempio gli Stati Uniti (che sono diventati una delle potenze
leader del mondo) l’Asia e l’Africa e ancora fortemente presente. La sua critica si basa su varie fondamenta
alcune con cui sono d’accordo altre un po’ meno. La pena di morte lei la definisce come una “guerra dello
stato conto il cittadino” poiché lo stato essendo forte accanisce le sue forze contro il singolo. Inoltre e lo stato
stesso che condanna l’omicidio, come può quindi compierlo egli stesso? A mio parere, oltre le eccezioni già
citate da lei, ci sono situazioni in cui la pena capitale rimane l’unica soluzione. La storia e piena di criminali
responsabili di azioni atroci che l’hanno scampata magari con due anni di carcere a causa di una corte
corrotta e quindi se la pena di morte fosse stata regolarmente probabilmente ciò non sarebbe accaduto. Con
questo non voglio dire che sia giusto togliere la vita a qualcuno ma ci sono alcuni casi che e l’unica cosa da
fare. Ovviamente tutto ciò riguarda una società in cui il sistema legislativo funziona al 100 % cosa
impossibile. La soluzione posta da lei e l’ergastolo che definisce come addirittura peggiore della pena di
morte poiché riesce a ridurre l’uomo in una schiavitù eterna. Ma se lei dunque lo definisce peggiore, perche
non viene applicata la pena di morte? Vedo nel suo ragionamento una leggera contraddizione ma non voglio
spingermi oltre. Ovviamente il suo scritto e un capolavoro e se il mio professore me l’ha assegnato da
leggere ovviamente e perche ha lasciato un segno nella storia. Le auguro una buona pace eterna e tante buone
cose Signor Beccaria.
Gabriele Gatti.
P.S. Le consiglio di guardare la serie televisiva C.S.I. sono sicuro che la diletterà moltissimo!
MARIANI LEO
PER LA PACE PERPETUA
Carissimo Immanuel
durante il periodo delle vacanze pasquali ho avuto il piacere di immergermi nella lettura della Sua opera di
carattere giuridico “Per la pace perpetua”.
Come già si evince chiaramente dal titolo, la tematica da Lei affrontata verte intorno al complicato ed assai
delicato problema di come poter garantire una solida e duratura condizione di equilibrio e di pace tra i vari
stati così come all’interno di ogni singola nazione.
Il Suo obiettivo, dunque, sembra proprio essere quello di gettare le fondamenta di un ordinamento giuridico
che escluda la guerra in ogni sua forma. Obiettivo sì audace ma non per questo, a Suo parere, impossibile da
raggiungere.
Partendo dal presupposto che la condizione naturale degli uomini è intrinsecamente caratterizzata dal
conflitto, Lei individua nella creazione dello stato sovrano l’unica soluzione auspicabile alla “guerra di tutti
contro tutti”. L’uomo quindi non potrà mai essere di per sé buono: per questo è solo attraverso lo stato che
l’essere umano potrà rapportarsi con i suoi simili in maniera non conflittuale, riuscendo così ad esprimere la
sua attitudine al bene morale.
E’ molto interessante la modalità con cui viene affrontata la questione della realizzazione pratica di una pace
perpetua. La soluzione è da Lei proposta per gradi, scanditi e esaustivamente illustrati dai vari capitoli che
compongono la sua opera. Mi permetto di esprimerLe , riguardo al Suo approccio, il mio più totale consenso
in quanto ritengo che al fine di risolvere con successo un problema complesso è necessario scomporlo e
analizzarlo nelle sue componenti più elementari.
Il primo passo da Lei compiuto riguarda l’individuazione dello stato per eccellenza : uno stato cioè basato su
una costituzione repubblicana. Il nucleo normativo di una costituzione repubblicana è, come Lei ben spiega,
generato dall’idea di “contratto originario” che implica la conversione di sudditi in cittadini. Vengono poi
individuati i principi fondamentali su cui si basa la stessa costituzione repubblicana: il principio della libertà
di ciascuno in quanto uomo, il principio di dipendenza di ogni cittadino da un’unica legislazione comune,
ovvero di uguaglianza formale di fronte alla legge, e il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini, ovvero il
suffragio universale.
Fondamentali sono, inoltre, la separazione dei poteri e l’istituzione di un sistema rappresentativo.
A ragione Lei sottolinea inoltre come l’evolversi di uno stato in stato repubblicano non debba scaturire da
stimoli esterni ma deve nascere dall’interno. Soffermandomi su quest’ultimo punto ho avuto l’ennesima
conferma di quanto possa essere ancora attuale, dopo più di due secoli, il Suo pensiero politico. Quante
guerre ancor’oggi infatti si combattono perché molti stati si sentono investiti della missione di esportare la
democrazia nei cosiddetti stati totalitari senza lasciare al popolo la facoltà di autodeterminarsi?
Successivamente si passa all’analisi delle relazioni internazionali, cioè del rapporto fra le varie nazioni che
deve fondarsi su una federazione di liberi stati. Si ribadisce così la necessità di evitare qualsiasi intervento di
uno stato verso altri stati: nessuno stato deve quindi interferire nel governo di un altro ed essendo uno stato
un insieme di esseri umani non può essere né venduto né comprato. Inoltre, Lei sottolinea saggiamente come
sia indispensabile disperdere gli eserciti permanenti in quanto rappresentano solo un costo per la nazione,
costo che spesso viene azzerato intraprendendo appunto uno guerra.
Per poter realizzare questo federalismo tra stati è essenziale che dalle leggi e dai principi di giustizia politica
del singolo stato-nazione si pervenga ai quei principi di giustizia politica globale atti a guidare i cittadini del
mondo.
Questo Suo progetto di globalizzare la giustizia locale è, a mio parere, precursore di molte future iniziative
socio-politiche-economiche , molte delle quali verranno realizzate nei secoli a venire. Ne è un esempio
l’Unione europea che altro non è che una federazione di stati-nazione.
Dal diritto interno o costituzionale e dal diritto internazionale la Sua attenzione si sposta infine ai diritti
dell’uomo inteso come agente morale indipendentemente dalle appartenenze e dai confini: l’uomo,da
semplice cittadino di uno stato, diventa così, per diritto cosmopolitico, cittadino del mondo.
In quest’ottica, è per Lei di fondamentale importanza che il diritto cosmopolitico sia limitato alle “condizioni
di universale ospitalità” : lo straniero che giunge sul territorio di uno stato ha diritto a non essere trattato in
maniera ostile ma al tempo stesso non deve in alcun modo costituire una minaccia allo stato ospite.
Questo Suo ritenere gli uomini “coinquilini del pianeta” si traduce in una forte condanna della logica della
conquista e del colonialismo. L’attualità della Sua riflessione politica è di nuovo qui confermata: infatti,
ancora oggi nel ventunesimo secolo, le varie ondate migratorie che si sono succedute nel corso degli anni
hanno messo in luce il dovere degli stati ospitanti di accogliere i migranti ma anche il dovere dei migranti
stessi di non sovvertire né minacciare l’ordine dello stato ospite.
Concludendo mi permetto di congratularmi con Lei in quanto ritengo che, per quanto utopico possa essere il
progetto di una pace perpetua, la soluzione da Lei proposta a riguardo rimane l’unica possibile da attuare.
In attesa del Suo prossimo scritto, Le rinnovo i miei saluti
Leonardo Mariani
MASATO DAVIDE
Caro Candido,
mi chiamo Davide e ho letto ultimamente un libro riguardante le tue avventure in giro per il mondo. Spero tu
non ti offenda per il fatto che ti scrivo parlando in modo così confidenziale, se ciò ti urta me lo farai sapere
con un’altra lettera, anche se son quasi sicuro che non accadrà. Ritornando alla frase iniziale, più che
avventure le chiamerei disavventure ma questo vorrebbe dire ammettere che sia accaduto qualcosa di infelice
giusto? E tutte e due sappiamo che non è così. Invidio molto le esperienze che hai vissuto viaggiando per il
mondo, hai visto molti paesi e popoli, hai conosciuto diversi modi di vivere e di comportarsi ed è stato tutto
bellissimo. Certo hai rischiato di essere mangiato dagli Orecchioni, di morire di stenti mentre fuggivi dal
Paraguay, di essere impiccato come Pangloss oppure di affogare durante la tempesta come è capitato al
povero Giacomo però ne è valsa davvero la pena; alla fine di tutti questi avvenimenti hai ottenuto quello che
desideravi, cioè la tua Cunegonda, anche se con il tempo è diventata brutta. D’altronde se tutto ciò è successo
ci sarà pure un motivo, le cose mica avvengono a caso. Dio deve aver deciso che avresti potuto raggiungere
la felicità solo dopo una sorta di viaggio di crescita, solo dopo aver acquisito conoscenza del mondo. Infatti,
non offenderti, non credo che tu fossi molto esperto della vita al di fuori di Westfalia quando ti trovavi nel
castello; adesso ti si può definire un vero uomo, pure felice. Dovresti essere felice, e sono sicuro che lo sei,
perché vivi con quello che guadagni lavorando il tuo orto, circondato dai tuoi amici che lavorano insieme a te
e dalla bella Cunegonda, anche se purtroppo bella non lo è più tanto. Chissà cosa sarebbe accaduto se fossi
rimasto in Westfalia sotto gli insegnamenti di Pangloss continuando a sperare di poter raggiungere la tua
amata. Secondo me se fossi rimasto lì adesso non avresti avuto la conferma degli insegnamenti del tuo
maestro e avresti continuato a studiare senza metterli in atto. Non credo sia stato un atto disonorevole
metterli in dubbio quando tutto andava male, può capitare a chiunque un momento di debolezza e
sicuramente la compagnia di Martino non deve aver aiutato molto. Il suo pessimismo deve averti contagiato
un po’. Ancora, se fossi rimasto in Westfalia non avresti potuto sposare Cunegonda perché sappiamo
benissimo tutti e due che la famiglia non avrebbe mai accettato; sei riuscito pure ad uccidere, seppur per
finta, suo fratello perché non voleva che ciò accadesse. Anzi, è stata proprio la famiglia a scacciarti di casa;
in un certo senso bisogna riconoscerle un merito. Sono proprio felice per te, se c’è una persona che posso
considerare compiuta sei proprio tu Candido. Ognuno ha degli obiettivi nella vita; il tuo era Cunegonda e
l’hai raggiunto. Era destino che fosse tua, anche se probabilmente avrebbe preferito non essere stuprata,
ridotta come schiava, scambiata come se fosse merce e trattata come un oggetto. Però chi siamo noi per
mettere in dubbio il volere di Dio?
Una cosa non mi è chiara per quanto riguarda il tuo modo di pensare che, come probabilmente hai capito
dalla lettera, io sostengo pienamente. Magari è una domanda troppo specifica e bisognerebbe chiedere a
Pangloss però, partendo dal presupposto che questo tra tutti i mondi possibili sia il migliore, per quale tipo di
persone lo è realmente? Spero tu abbia inteso la domanda, la mia non è una incomprensione della filosofia
ma più una curiosità, perché io sono abbastanza convinto, come te, della perfezione di questo mondo. Anche
Cacambò sembrava supportare questo pensiero, quando le cose andavano bene. Sei proprio fortunato ad
averlo come servo perché è una persona davvero in gamba; chissà che lavoro farebbe se non dovesse
sottostare ai tuoi ordini. Ma tornando a noi, questa domanda nasce più o meno nelle stesse occasioni nelle
quali è nata a te, in particolare quando Martino ti ha fatto riflettere sul fatto che Dio, punendo il ladro che ti
aveva derubato, avesse ucciso anche tutto il restante equipaggio della nave e quando avevi incontrato lo
schiavo senza una mano e una gamba. Cosa ti ha dato poi la forza di ritornare sulle tue convinzioni? In
questo caso non si tratta di fede che c’è sempre in qualunque occasione; qui si parla di sostenere una tesi di
fronte a delle prove che dimostrano il contrario. Sarebbe da ingenui continuare a credere in una cosa solo
perché lo si vuole; te stesso ti sei posto delle domande di fronte a questi eventi e la maggior parte delle volte
le risposte non sono state a favore dell’ottimismo. Non posso credere che tu sia a favore di questa filosofia
solo perché alla fine di tutto ti è andata bene. O forse si?
In effetti ripensandoci i tuoi comportamenti sembrano rientrare in un ottimismo egoistico. Quando qualcosa
ti andava male non ci credevi più, quando invece ti andava bene allora aveva ragione Pangloss. Sei andato
alla ricerca del mondo ideale dopo aver scoperto che non lo era la Westfalia, non il Paraguay, non
l’Inghilterra e non la Francia. Avevi trovato la perfezione, El Dorado, ma poi perché non ti sei fermato in
quel posto? Ah già, avevi troppa voglia di diventare qualcuno con i sassi e il fango di quella terra e avevi
troppa voglia di rivedere la tua Cunegonda. La donna che tanto avevi ricercato durante le disgrazie che fine
aveva fatto quando eri nelle Americhe a spassartela? Quanti mesi sei stato in quel luogo? Non mi è sembrato
che fremessi dalla voglia di tornare da lei quando le cose ti andavano bene. Avrebbe potuto essere da
qualunque parte e prigioniera di chiunque mentre te ammiravi le meraviglie di posti sconosciuti. Una volta
averla raggiunta poi l’hai dovuta sposare per forza. Ormai le avevi promesso il matrimonio e te, che sei
sicuramente un gentiluomo, non potevi mica rimangiarti la parola, nonostante fosse brutta e non ti piacesse
più. Una volta arrivato a Costantinopoli poi, sfinito e senza nessun altro da inseguire, ti sei stabilito e
calmato. Ora, con un po’ di ipocrisia, sostieni che questa situazione in cui ti trovi sia la vera felicità, che
nient’altro ti serva. Spero tu ti renda conto di quello che le persone a te vicine hanno dovuto passare per poter
raggiungere questo stato di calma. Se Dio ha voluto che tu fossi felice ha sicuramente dovuto sacrificare la
felicità di molti altri, primi tra tutti quelli che abitano con te. Hai mai chiesto alla tua donna se preferisse
riavere indietro la propria vita o restare nell’attuale condizione? Oppure chiedilo a suo fratello o a Pangloss
stesso. Si può pure credere che tutto avvenga per un piano divino ma arrivare a sostenere che questo sia il
migliore dei mondi possibili mi pare alquanto esagerato. Ma scusa caro Candido, hai avuto la prova che non
è così, perché continuare ad illudersi? Guarda Martino; potrà sembrare infelice ma sicuramente non si prende
in giro da solo. Sono arrivato io alla conclusione che questa filosofia non può rispondere a tutto, ragionando
sulle TUE esperienze, com’è possibile che non ci sia arrivato tu? Fai delle riflessioni su ciò che ti è accaduto
e capirai, vedrai tutto sotto un’altra luce. Detto questo ti saluto,
Tuo Davide Masato
MERCANTI
Egregio Voltaire,
Ho letto recentemente il suo romanzo filosofico a sfondo satirico, Il “Candido”. Ne sono rimasto molto
colpito, soprattutto dal modo in cui Lei prende in giro l’ottimismo deduttivo proposto da personaggi illustri
come Liebniz e Cartesio. Questo è solo uno dei temi che si possono riscontrare nella Sua opera, poiché si può
anche evidenziare non solo una sfumatura tendente all’utopia, che si può ben vedere nel mondo di El
Dorado, ma anche la visione della religione e il mito del buon selvaggio.
Un personaggio che rappresenta pienamente la caricatura dei filosofi ottimisti e che illustra la loro filosofia, è
Pangloss. Egli ripete continuamente nella Sua opera che questo mondo e tutti gli eventi che lo formano sono
concatenati tra loro nel migliore dei mondi possibili, affinché lo stesso possa rivelarsi come il migliore
possibile.
Lei è riuscito a smentire questa concezione, costruendo nell’opera una serie d’eventi sfortunati, o
in ogni modo negativi, che alla fine possono far riflettere il protagonista dell’opera, Candide.
Questo personaggio mi ha molto colpito, poiché è uno dei pochi che non perde mai il proprio ottimismo e si
spinge sempre pur di trovare ciò che cerca, la sua amata Cunegondé. In alcuni momenti, persino lui ha dei
seri dubbi su quanto insegnatogli da Pangloss e ragiona su quanto questo mondo è realmente il migliore
possibile.
Eventi come il terremoto di Lisbona, fanno sì che Candide dubiti sulle dottrine ottimistiche.
Lei pensa di essere riuscito a confutare appieno le teorie ottimistiche promulgate da Liebniz e da Cartesio?
Il libro, infatti, sembra quasi costruito su disgrazie e disavventure che capitano apposta al povero Candide
affinché egli possa cambiare idea e capire che questo non è “il migliore dei mondi possibili”. Secondo me il
mondo reale non è così come Lei lo ha descritto nella Sua opera, a quante persone capitano tutte quelle
disavventure accadute anche a Candide? Relativamente poche. Lei ha fatto sì che l’opera fosse costruita solo
come confutazione delle tesi leibniziane, e non come descrizione del mondo reale totalmente diverso dal
“migliore possibile”, poiché certe avventure e disgrazie, come quelle successe a Candide, non capitano così
frequentemente oggi giorno.
In questo caso è giusto che le persone abbiano Epoché o sospensione del giudizio, poiché io le sto scrivendo
da un epoca ben successiva rispetto a quella in cui Lei ha scritto e vissuto, perciò non critico la Sua opera,
ma sono solo dubbioso circa l’argomento di cui Le ho appena parlato.
Un tema impostante che ho potuto notare è, come già detto quello dell’utopia. Lei la mostra nel paese di El
Dorado, dove Candide e Cacambò finiscono dopo essergli accadute alcune disgrazie. Questi, specialmente
Candide, rimasero incantati da quella società perfetta e organizzata sotto tutti i punti di vista. Questa città
“mitica” è tuttora un mistero irrisolto, sebbene Lei la mostri proprio come noi la immaginiamo nel
ventunesimo secolo, in altre parole con un sistema governativo perfetto, gran ricchezza e la venerazione di
un solo Dio.
Lei immagina la sua società ideale come El Dorado, con la stessa concezione di governo e di religione?
Analizzando la religione in quella società perfetta, ho notato come Lei l’ abbia definita secondo la sua idea
Deista: una religione non rivelata, appartenente a tutti (proprio come disse il re a Candide) e senza alcun
dogma, che, come ben sappiamo, Lei disapprova pienamente!
Un altro tema affrontato, anche se in modo minore, è quello del mito del buon selvaggio. Si può notare con il
popolo degli Orecchione con il quale Candide ebbe alcuni screzi poi risolti nel migliore dei modi. Qui si può
notare il Suo pensiero circa questa concezione. Alcuni pensano che gli abitanti dell’America non debbano
essere considerati uomini, poiché essi sono alquanto arretrati e non hanno le nostre abitudini in alcuni ambiti,
ma sono molto più “naturali”.
Altre persone, come Lei, pensano, al contrario, che il loro comportamento sia dovuto solo alla semplicità
perduta dagli uomini occidentali a causa del loro continuo progresso. Infatti, nell’opera, Candide, dopo aver
interpretato male il comportamento delle ragazze con le due scimmie, capisce la differenza d’usanze tra lui e
il popolo degli Orecchioni, e questo accoglie il principe tedesco e il suo servo con grande accoglienza. Qui si
è potuto evidenziare il Suo pensiero.
Ora ho alcuni dubbi che non sono riuscito a capire totalmente. Ad esempio perché molti personaggi in un
certo punto dell’opera sembra che siano morti e poi all’improvviso si ritrovano vivi? Pangloss e il barone
(per ben due volte) sono dati per morti e poi all’improvviso Candide li ritrova sotto spoglie diverse. Com’è
possibile questo? Ha un senso quello che sto dicendo?
Poi ho anche dei dubbi inerenti alcuni personaggi, come ad esempio il Senatore Pococurante. Costui è
chiaramente il Suo autoritratto, ma non riesco appieno a capire la sua funzione nel percorso di formazione di
Candide e in quello di confutazione dell’ottimismo deduttivo. Questa persona è solo un elemento per
evidenziare che Lei ritiene di avere ragione oppure ha uno sviluppo formativo presso Candide?
La vecchia è un altro di questi personaggi che non ho ben capito. Costei è presente in tutto il racconto e
rientra perfino tra le persone che sono con Candide nella fattoria alla fine dell’opera. Lei ha dedicato persino
due capitoli alla sua storia per mostrarci come questa è arrivata fino a quel punto, ma non riesco proprio a
vederne l’utilità ai fini del Suo scopo principale. Me lo potrebbe far capire, se potesse?
A parte queste domande alle quali probabilmente Lei non risponderà, ho davvero apprezzato il Suo libro
perché rappresenta la realtà, anche se in maniera iperbolica. Inoltre è riuscito ad introdurre una storia
probabilmente inventata (quella di Candide) e inserirla in un contesto storico reale, riportando eventi storici
come il terremoto di Lisbona, senza introdurre mondi inesistenti ed utopici (eccetto El Dorado). Sono
davvero colpito dalla Sua capacità di inventare una storia inserendola nella Sua realtà storica solo per
confutare le tesi ottimistiche di Liebniz, Cartesio e Wolff.
Chissà se un giorno ci potremo incontrare per discutere di tutti questi dubbi che mi affliggono, ma anche per
poter discutere meglio sulla sua filosofia, sul suo pensiero e sulla sua opera.
Per ora la ringrazio, poiché apprezzo davvero quello che era il Suo pensiero e questo mi ha aperto molto la
mia mente.
Grazie
Distinti saluti Riccardo Mercanti
MINACAPILLI
Egregio signor Cossiga,
grazie a un compito assegnatomi dal mio insegnante di filosofia ho avuto l’occasione di leggere uno dei suoi
libri: “Fotti il potere”. Devo dire che l’ho trovato molto interessante, primo perché essendo uno studente di
diciassette anni, ero allo scuro di molte delle vicende accadute negli anni passati e per questo ho dovuto
documentarmi per capire lo svolgimento di alcuni fatti spiegati nel libro quali l’operazione Mani Pulite, il
fallimento dell’Alitalia, cos’è e come funziona la P2, l’attività lobbistica ecc… In ogni caso, anche se la
comprensione di alcuni passaggi ha implicato da parte mia lo svolgimento di qualche ricerca, ne è valsa la
pena perché ho imparato nuove cose sul nostro Stato. Inoltre mi ha colpito il suo modo di raccontare e
spiegare, senza pudore né ipocrisia, le dinamiche e i meccanismi del potere. E’ molto schietto ed esplicito nel
suo modo di scrivere ma togliendo questa maschera alla realtà ha messo a nudo il potere e coloro che lo
detengono specialmente i politici. Un semplice cittadino non potrebbe mai conoscere così a fondo gli arcana
imperi , solo una persona che ha fatto politica, ricoprendo la principale carica istituzionale italiana, come lei
può sapere certi fatti e aiutarci a capire meglio come riuscire a “fottere” il potere. Detto questo, vorrei
riflettere su alcuni punti, a partire da una mia constatazione in seguito alla lettura del libro. Mi sono reso
conto che fare politica ad alti livelli comporta grandi responsabilità e l’ambiente che lo circonda è tutt’altro
che incorrotto e onorevole. Per questo l’idea che molte persone hanno del politico diverge da come realmente
sono i politici, con ciò non voglio dire che tutti i politici sono disonesti e truffatori ma che a volte sono
indotti, dalle circostanze o da interessi, ad agire in un modo non proprio esemplare. Per esempio nell’ottavo
capitolo afferma che un politico deve essere incoerente in quanto la realtà è in continuo movimento e il
perseguimento di certi obiettivi può richiedere strategie diverse a seconda del momento in cui si decide di
agire. Quindi un politico per essere chiamato tale deve essere carismatico, potente, deve avere il così detto
istinto politico ma deve essere anche un incoerente. Inoltre mi ha stupito il suo pensiero sulla mafia: lei
ritiene che il solo modo per farla scomparire è eliminare a sua volta tutti i mafiosi ma aggiunge che per un
paese diviso e debole come l’Italia questo è un programma troppo vasto. Quindi c’è una certa rassegnazione
nell’accettare la mafia senza poter fare nulla per contrastarla e questo non lo condivido. E’ vero che la mafia
è sinonimo di forza e la forza seduce le masse e genera consenso e rispetto, è vero che i poteri mafiosi a volte
corrispondono a un sentimento radicato in alcuni popoli italiani ma non per questo ci dobbiamo rassegnare e
convivere con questo potere. Se fosse così, se nessuno si impegnasse nella lotta al potere mafioso allora la
mafia verrebbe considerata una cosa legittima e si radicherebbe sempre di più con la vincita di appalti,
stipulando accordi coi politici ecc…Un ultimo punto su cui vorrei discutere è il rapporto tra politica e
religione. Essa ha sempre avuto un certo peso in politica soprattutto nelle grandi monarchie assolute del
Cinquecento in cui veniva utilizzata come strumento di legittimazione del potere del re. Ma anche in uno
Stato laico come l’Italia dei giorni nostri essa ha un peso: un politico che va contro il Vaticano non ha breve
durata. Quindi le vorrei chiedere se lei ritiene che in uno stato indipendente dall’autorità ecclesiastica la
religione influenzi inevitabilmente la politica e se c’è un modo affinché questo non avvenga. In fine ho
notato che per spiegare certi concetti e avvenimenti ricorre spesso a esempi tratti dal passato o a teorie di noti
personaggi come il giurista tedesco Carl Schmitt o il sociologo Max Weber. Crede anche lei, come ci insegna
Machiavelli, che la natura umana sia uguale in ogni luogo e in ogni tempo? Le faccio questa domanda perché
del pensiero dello scrittore e politico fiorentino mi sembra di ritrovare alcune analogie nel suo libro quali il
rapporto virtù e fortuna e la diversità tra morale politica e morale comune. In conclusione ribadisco che la
lettura del suo libro è stata piacevole e istruttiva e devo dire abbastanza sconvolgente per certi versi. Ora so
che per capire a fondo gli arcana imperi bisogna essere coinvolti nel potere oppure accontentarsi e leggere
libri che parlano del potere!
Distinti saluti
Minacapilli Vincenzo
Mornata
Caro Francesco Cossiga ,
in questi giorni io ho letto e analizzato il tuo libro intitolato “Fotti il potere”.
Sinceramente pensavo di trovarmi di fronte ad un ampolloso trattato di politica , poi, però , quando ho
cominciato a leggere le prime pagine mi sono appassionato a questo libro. Tu hai svelato la maggior parte
degli arcani della politica senza trattenerti , affermando anche teorie che gli altri politici non si sarebbero mai
neanche sognati di dire ( anche perché queste idee avrebbero potuto mettere in imbarazzo molte autorità
politiche ). Mi avrebbe fatto molto piacere parlare con te riguardo a questo libro , ma purtroppo non mi è
stato possibile. Davanti a te non avrei potuto di certo parlare di tutti gli argomenti che tu hai trattato in
quest’opera ( altrimenti avremmo discusso per lunghissimo tempo ) , ma avrei voluto trattare quegli
argomenti che io ho trovato più interessanti di altri. Uno dei punti che io ho trovato più interessanti è il
concetto che tu hai espresso riguardo la definizione di potere : hai scritto che la parola potere dovrebbe
significare far fare agli altri ciò che si vuole , ma questa è una stupida illusione , poiché la lotta per ottenerlo
finisce per assorbire ogni energia fisica e mentale e fa sentire l’uomo come schiavo della propria passione.
Ciononostante , il potere piace alle persone , perché tutti sperano di ottenere favori e protezione. Inoltre tu
hai sostenuto che la diffusione del potere avvenga solamente tramite “anelli concentrici “: infatti , chi è più
vicino a chi comanda entra in contatto con facilità con il potere e quindi tutto è controllato da un’elite di
persone . In questo caso la democrazia è solo un ideale astratto di difficile apllicazione , poiché si ha in realtà
una forma di aristocrazia mascherata. A me ha fatto poi ridere la parte in cui tu hai detto che il piacere del
potere fosse simile al piacere sessuale ( questo accomuna sia donne che uomini senza differenza ) : il potere è
seducente , sensuale e riesce anche a dare piacere fisico ed è per questo motivo che il potere ha molto da
spartire col sesso , ma a sua volta anche il sesso è stato ed è molto presente in molte vicende degli uomini di
potere ( basta guardare il comportamento di molti politici italiani , europei e mondiali ….. scusa mi viene da
sorridere solo al pensiero ). Continuando a leggere il libro , ho trovato un punto in cui io sono stato ( e lo
sono anche adesso ) completamente d’accordo con te : il fatto che la televisione abbia ucciso il carisma, cioè
il potere maggiormente richiesto ai politici. La televisione è sì incline ad indicare e a comunicare pensieri e
idee , ma non è in grado di darne una spiegazione e , quindi , il suo scopo non è quello di far capire ( ha solo
quello di far vedere ). Al giorno d’oggi , noi siamo più inclini a dire che un politico sia bravo o no da come
appare davanti algli schermi ,senza appunto considerare il suo carisma. La televisione si permette poi di
influenzare l’opinione pubblica , parlando di politici che magari non hanno combinato nulla ma che sono
stati considerati come dei santi.
Tu hai poi sostenuto l’importanza del legame tra politica ed economia o meglio del legame tra politica e
denaro : tu hai scritto che i politici sono delle marionette nelle mani dei banchieri , poiché le industrie e la
maggior parte delle attività finanziarie e commerciali sono legate alle banche. Persino tu nella tua vita hai
frequentato i banchieri perché ,come tu hai detto , è molto difficile che un politico , che voglia governare ,
non tenga conto degli interessi bancari. A molte persone sembra ovvio il legame tra questi due campi , me
compreso . Non sono stato molto d’accordo su questa tua tesi , poiché anche in molte banche italiane ci sono
comunque dei personaggi politici o personaggi proposti dai partiti al potere , che gestiscono i risparmi dei
cittadini . Dal mio punto di vista , banchieri e politici si alternano i favori , sostenendosi a vicenda . Alla fin
fine c’è comunque uno stretto legame, come hai sostenuto , ma non si tratta di un legame di subordinazione (
più che altro un legame di cooperazione ).
Avrei voluto anche parlare tanto delle varie dinamiche di Tangentopoli , ma non lo faccio perché mi
ricollegherei sempre al legame denaro-politica e preferirei parlare di altri argomenti che ho trovato molto
interessanti. Una delle mie parti preferite è stata la trattazione del tema della guerra e del legame che c’è tra
politica e guerra : la guerra agisce quando la politica fallisce e dove non può la politica può la guerra. Il
problema è che attualmente la politica è diventata più debole poiché , con la fine della Guerra Fredda , si è
perso il cosiddetto principio ordinatore ( prima ci si rivolgeva o agli USA o all’URSS ed era quindi tutto più
semplice, mentre ora si è sempre indecisi a cercare un aiuto ). Ho trovato giusta la tua teoria sul fatto che la
guerra , nei nostri giorni , venga fatta solo ed esclusivamente per motivi economici (non più la gloria
personale e l’acquisizione della fama ), poicé ormai è sempre il denaro che condiziona la nostra vita. Ho
trovato interessante anche la considerazione che tu hai fatto su come i paesi giustificano la guerra: si tende a
descrivere il nemico come il male per eccellenza e si cercano quindi tutti i modi per sottolineare la
pericolosità e la barbaria del nemico.Questo pensiero viene diffuso, paradossalmente, dalle immagini
pacifiste della guerra, poiché esse hanno si l’intenzione di fermare la guerra, ma fanno anche aumentare
l’odio nei confronti di chi ha portato la guerra: se, per esempio, si mettesse su un giornale la foto di un
bambino afgano mutilato per lo scoppio di una mina che viene soccorso dai militari (italiani, americani
ecc…), il regime afgano verrebbe descritto come la vergogna dell’umanità, mentre i soldati che vanno a
combattere questo regime sarebbero descritti come degli eroi. Non è forse un modo per giustificare una
guerra?
Tu poi hai detto, come sosteneva Machiavelli, che la guerra è giusta se è utile per migliorare la condizione
dello Stato. Io, personalmente, credo che la guerra non sia mai giusta e semmai e che bisogna farla solo se
non c’è altra via e non basandosi sul concetto di utilità.
In questa lettera io non ho potuto scrivere tutti gli argomenti, ma ho cercato di descrivere nel migliore dei
modi quei tre che mi hanno maggiormente appassionato. Come ti ho già detto all’inizio, ho trovato molto
interessante questo libro, poiché tu hai avuto il grande merito di descrivere la politica dal punto di vista
politico e non dal punto di vista di un cittadino comune che può solo immaginare il meccanismo che serve
per ottenere il potere. Un’altra cosa che mi è piaciuta di te è il fatto che tu sia stato un grandissimo esperto
della storia umana e della storia della politica: per giustificare le tue teorie hai fatto di continuo ricorso alle
tesi di letterari e filosofi e agli esempi storici passati, facendoci capire che cose come la politica non
cambiano mai (ho voluto sottolineare questa cosa perché recentemente ho studiato le teorie di Machiavelli e
ho notato che molte di queste sono simili alle tue).
P.S.
FOTTI IL POTERE…..MA
MORO ALESSANDRO
Caro Cossiga,
indubbiamente lei non leggerà mai la mia lettera, tuttavia dopo aver letto il suo libro, Fotti il potere, mi
sembrava quanto meno doveroso scriverle un breve sunto con le mie osservazioni al riguardo.
Tanto per cominciare, volevo complimentarmi per la scelta del titolo: ho sempre pensato che fosse il potere a
"fottere i cittadini" ( mi passi questa licenza poetica) e ho trovato interessante pensare che, per una volta,
anche solo a livello teorico, fosse possibile invertire i ruoli.
La prima parte della sua attenta e sviscerata analisi sul potere in Italia mi trova sostanzialmente d'accordo:
d'altronde, chi meglio di lei, data la sua brillante carriera politica e ascesa alla più alta carica dello Stato,
potrebbe spiegare nei dettagli le dinamiche interne che regolano questi complicati meccanismi. Lei definisce
il potere "fine e mezzo dell'azione politica": quindi è un obiettivo agognato per chi ancora non lo ha
raggiunto, e uno strumento di prestigio utile per conseguirne altri. Che si parli di potere politico, giudiziario,
economico o mediatico, una cosa è certa: l'uomo comune non rimane mai insensibile al suo fascino. Ecco
quindi spiegata anche la sua diffusione ad "anelli concentrici": il potere chiama potere attorno a sé, e per
legittimarlo spesso si ricorre anche a mezzi poco leciti, l'importante è essere investiti di una qualche autorità.
Se un tempo, per ottenere autorità, si faceva ricorso alle armi e all'esercito, come consigliava lo stesso
Machiavelli, ora lei afferma che il metodo più "gettonato" sia quello di avvicinarsi alla casta, farsi conoscere
e mettersi in luce con le persone giuste, trovare insomma una scorciatoia che consenta di raggiungere in
fretta l'apice del potere. Il politico, potente per eccellenza, a suo avviso dev'essere dotato di istinto e carisma;
inoltre, deve frequentare una scuola di partito, utile per affinare la tecnica dialettica e più in generale le sue
abilità diplomatiche. Ecco, a questo proposito avrei però una piccola obiezione: se è vero, infatti, che grandi
leader storici erano pressoché analfabeti (come Stalin, che lei stesso cita), è altrettanto vero che un po' di
sana cultura non guasterebbe. In parte è vero quel che lei dice (politici non si diventa, si nasce): l'istinto è una
dote che il politico deve possedere, per cogliere le occasioni e sapersi mettere in gioco; il carisma certo è
fondamentale per conquistare le masse e farsi eleggere; tuttavia, una volta arrivati in parlamento, quando si
tratta di dover legiferare (sarebbe questo, tra gli altri, il dovere di un politico), la cultura, l'informazione, le
nozioni potrebbero evitare tanti sprechi, migliorare la qualità delle proposte e quindi a maggior ragione
conquistare la stima degli elettori (che magari, alle successive elezioni, si ricorderebbero delle "grandi
imprese"!).
Al giorno d'oggi, giustamente osservava nel libro, vi è un potere mediatico notevole con cui il politico
necessariamente deve allearsi: avere dalla propria parte televisioni o giornali, saper conquistare l'obiettivo di
una telecamera, imparare ad apparire sono indubbiamente prerogative indispensabili per un potente. Tuttavia,
sarebbe anche ora che qualcuno si degnasse di imparare ad essere, al di là di trucchi (retorici o veri che
siano). La gente inizia infatti ad avere a mio avviso una maggiore familiarità con il mezzo televisivo, a
cogliere le sfumature che stanno alla base dei giochetti politici, e a lasciarsi sempre meno "abbindolare".
Un'altra interessante questione che lei solleva è quella relativa al rapporto del potere politico con quello
giudiziario: lei afferma che quest'ultimo rappresenta un "pericolo per la nazione, poiché rallenta il potere
politico, facendo perdere popolarità ad alcuni personaggi e , quindi, sminuendo il loro potere": in parte, lo
riconosco, si tratta di una realtà che tristemente abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ma non le viene il
dubbio che forse, se i nostri politici perdono credibilità di fronte alle accuse dei magistrati, se vengono
sminuiti, questo accada perché, in qualche modo, "se la sono cercata"? Che ci siano delle ragioni che hanno
spinto dei giudici a indagare? Forse il potere giudiziario limita la libertà, altrimenti incondizionata, dei
potenti. Mi piace pensare, però, che in uno stato che si professa democratico, questo sia un vanto e non una
mina per la società.
Per quanto riguarda poi il terrorismo, effettivamente le politiche interne di ciascun paese sono complesse e
arrischiarsi a fare un'analisi sommaria e banale non mi sembra opportuno. Certo, forse in Italia non avremmo
una vera e propria unità di popolo nel caso di un atto terroristico; criticheremmo il governo, cercheremmo
dei capri espiatori. È la nostra indole, siamo fatto così. È anche vero, però, che forse criticare è segno di
intelligenza, perché significa che non accettiamo passivamente quanto ci viene imposto dall'alto.
Altro discorso invece potrei farle per quanto concerne le sue affermazioni
sull'Onu e le altre organizzazioni internazionali, che lei definisce in
pratica un inutile spreco di tempo e denaro: riconosco che in molti casi non
sia stata dimostrata grande coerenza, d'altra parte l'Europa è ancora una
bambina, ha bisogno di crescere, sbagliare, provare sulla propria pelle gli
errori e le delusioni prima di riuscire a sviluppare un progetto politico ed
economico coerente. Diamo tempo al tempo: forse sarò un ingenuo, ma confido
molto nel prossimo futuro.
Veniamo ora alla nota dolente: il Vaticano (lo so, detto così sembra un po'
blasfema. non è mia intenzione!). Certo, la sua vicinanza complica un po' le
cose ai nostri politici: sono d'accordo con lei: attaccare apertamente la
chiesa è per un potente un suicidio mediatico di proporzioni inimmaginabili.
Tuttavia, ricordo che, quando alle elementari ci hanno letto qualche
articolo della Costituzione, si è parlato di stato laico. Sarebbe bello e
auspicabile avere una classe politica che, pur nel rispetto del credo
cattolico, sappia esprimere liberamente proprie posizioni.
Ancora meglio sarebbe se la suddetta classe politica fosse in grado di
esprimersi senza mentire costantemente. Lei cita il caro Platone per
giustificare la bugia che, se detta a fin di bene, per tutelare i cittadini,
non va condannata. Addirittura, mi scomoda sant'Agostino. ma non è
abbastanza per convincermi! Se sono disposto ad ammettere cambi di alleanza
(la realtà si evolve, le situazioni mutano) e di opinione (come diceva Oscar
Wilde, sono gli stupidi non cambiano mai idea), non transigo sull'onestà e
la coerenza ideologica. Pensi pure di me che sono un utopista, illuso e
senza speranze. Ma le bugie minano la credibilità di un uomo e,se quell'uomo
nello specifico è un politico che io eleggo per rappresentarmi, non ammetto
ipocrisie volte a salvarsi la poltrona.
Per concludere, lei mi cita la fortuna e la virtù machiavelliche, ma
sostituisce a quest'ultima il più recente e modaiolo "fascino". Io sono un
po' all'antica e rimpiango la virtù.
È vero, il potere probabilmente logora chi ce l'ha. Non ho abbastanza dati
per dirlo, mi fido di lei. Di certo, però, le posso assicurare che logora
chi non ce l'ha.
Distinti Saluti
Alessandro
ORLANDO ELISA 4CS
Lettera a...Adam Smith
Caro Professore,
innanzitutto,la prima cosa che si nota del libro di Adam Smith ,quando si inizia a leggere, è che usa un
linguaggio molto complicato in particolar modo per chi non si intende di economia.
Da questo si può dedurre che questo testo sia adatto solo ad un pubblico specializzato in questo campo,e
siccome io non lo sono, ho fatto molta fatica a comprendere tutti i punti,ma comunque ci ho provato.
Egli tratta di un tema fondamentale della storia di tutte le nazioni:la nascita della loro ricchezza.
Parte proprio dall'origine,dai tempi più antichi in cui la moneta ancora non esisteva,per poi andare ad
analizzare più approfonditamente anch'essa.
Nonostante la difficoltà della lettura, è un'opera molto interessante e che molti dovrebbero leggere(anche ai
giorni nostri,anzi,soprattutto ai giorni nostri vista la situazione economica della società).
Prima di tutto parla della divisione del lavoro,un passo fondamentale per la crescita economica che parte dai
piccoli commercianti per poi allargarsi a tutta la nazione aumentando così la produzione, ma allo stesso
tempo,diminuendo i tempi di fabbricazione e di produzione.
Con questo suo ragionamento si è raggiunto il punto di partenza che sta alla base della rivoluzione
industriale:essendo egli filosofo ed economista, è riuscito cosi a fondare il liberismo.
Ciò consiste nel fatto che si ha l'uguaglianza dei diritti naturali da cui deriva quindi il libero mercato(lo stato
non deve intervenire sui prezzi o sulle dogane altrimenti falsificherebbe la naturale dinamica
dell'economia),che ha come conseguenza la concorrenza che è un meccanismo benefico poiché spinge a
produrre meglio a costo più basso.
Se qualcuno dovesse intervenire in questi organismi non si riuscirebbe più ad avere una libertà di mercato
tale da provocare una crescita economica.
Ho trovato una contraddizione però nel pensiero di Smith: sappiamo che è ottimista e che ha fiducia
nell'uomo,ma nello stesso tempo pensa che lo Stato non deve assolutamente intervenire nel periodo di
sviluppo economico e commerciale altrimenti avrebbe creato danni e non avrebbe favorito lo sviluppo della
produttività.
Se avesse piena fiducia nella nostra specie non si dovrebbe nemmeno preoccupare di questo,no?
Allo stesso tempo afferma anche che tutto ciò non è una scelta voluta dall'uomo,ma è come se ci fosse una
mano invisibile che guida l'uomo in ciò che deve fare per migliorare e portare il progresso.
A me questo sembra,più che altro, un commento non positivo ma “indifferente”; quello che succede,succede
non ha causa dell'uomo, ma a causa delle necessità dell'uomo,che è ben diverso.
Afferma anche che la ricchezza è proprio generata dal lavoro,secondo Locke anche il diritto di proprietà è
basato su di esso. Insomma tu , e non solo, consideri il lavoro come quel “qualcosa” a cui gira tutto attorno.
Mendeville, invece, ha una visione pessimista:pensa che per migliorare la società si dovrebbe tornare ad essa
,ma nel suo stato primitivo,quando era ancora arretrata,in cui c'era più onestà.
Ritengo che questa visione sia più attinente alla situazione attuale, e mi viene in mente il detto” si stava
meglio quando si stava peggio”. Io tutta questa fiducia nell'uomo, e nell'economia che esso fa crescere, non
ce l'ho.
Penso che se avesse scritto in modo più semplice,ora molte più persone avrebbero letto il suo libro
prendendo coscienza di come veramente si è sviluppata la società dal punto di vista economico e magari gli
sarebbe venuta anche qualche idea su come migliorare la situazione attuale.
Rimane il fatto che l'autore di questo libro volesse solo far capire in che modo l'economia si sia sviluppata,
ma ritengo che avrebbe potuto facilitarci un po' di più la lettura magari rendendo la “descrizione”
dell'avvenuto più comprensibile perchè non sono tutti economisti quelli che si interessano di economia,anche
se gli economisti classici sono stati molto aiutati da lui.
Detto questo mi è difficile dare un'opinione più dettagliata su questo libro;anche avendolo letto non posso
dire più di tanto.
È una descrizione di quello che è successo ed essendo tale è ardua da commentare.
SAMPERI
La Ricchezza delle Nazioni
Carissimo Adam Smith,
come va? Che domanda inutile è morto. Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere il suo trattato o come
dicono i critici “ il più grande libro di economia classica”, cosi indeciso a chi mandare la lettera, visto che
non credo esista uomo interessato a queste teorie oggi come oggi, ho deciso di mandarla a lei, diretto
interessato per farle una serie di critiche e la mia impressione sull’opera.
Per iniziare farle una domanda che mi logora da quando ho iniziato a leggere il libro: Ma lei come ha fatto a
scrivere questo libro?! È noiosissimo! Sono riuscito a leggerlo in tre settimane ed erano 170 pagine, se
l’avessi dovuto scrivere io probabilmente dopo dieci anni ero alla prefazione. E soprattutto vorrei chiederle
qual è il vero titolo dell’opera; ho chiesto in libreria “ la ricchezza delle nazioni” e mi hanno detto addirittura
che non esisteva e solo dopo un attenta ricerca su internet ho scoperto che vi sono una miriade di edizioni: “
La ricchezza delle Nazioni”; “Cause sulla natura della ricchezza delle nazioni “ e addirittura ho sbagliato
edizione cosi oltre a leggermi l’edizione giusta ho dovuto anche leggermi l’abbozzo dell’opera.
Parlando del contenuto dell’opera invece l’ho ritenuto per certi lati interessante e con un ragionamento logico
molto intelligente. A ogni modo ritengo che probabilmente è inutile darlo a studiare a dei ragazzi delle
superiori in quanto, senza offesa, ritengo la sua filosofia o meglio trattato, oramai obsoleto e superato, non
credo che al mondo ci sia ancora gente che non sappia che la ricchezza è frutto del capitalismo o che la
produzione incrementa in seguito a una maggior divisione del lavoro. E anche se il contenuto può essere
interessante la sua tecnica narrativa è davvero scadente, come dice la mia egregia professoressa di Italiano
ogni autore definisce un pubblico a cui è rivolta l’opera, e tu a chi l’hai rivolta ? a incompetenti che hanno
bisogno di mille ripetizioni di un concetto banale come la divisione del lavoro con tutti gli esempi dello
spillo e dei manifatturieri, per poi andare rapido e senza esitazioni su argomenti non molto semplici come i
fondi statali. Bha. Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più da un libro di economia e se devo essere
sincero mi è sembrato più chiaro e leggero da leggere l’abbozzo che il testo in sé. Non solo per le sue sole 50
pagine da leggere ma anche per un efficace riassunto e rielaborazione dei contenuti che nel trattato vero e
proprio vengono ampliati e aggiunti di strutture astruse inutili e che appesantiscono semplicemente la lettura.
Comunque se c’è una cosa che mi ha attirato è stato il secondo capitolo in cui si trattava del profitto, del
reddito, del lavoro e dei modi per impiegare il capitale. Tanto di cappello davvero in questo capitolo è
sembrato tutto molto più piacevole e scorrevole anzi forse ha lasciato anche troppo poco spazio alle
spiegazioni tanto che ho dovuto andare a cercare sul dizionario quale fosse la differenza tra reddito e profitto
in quanto non spiegata nel trattato.
SCAFFIDI
Carissimo kant, eccomi di nuovo!
Premettendo che la politica sia l’ultimo di miei interessi e che sono completamente ignorante in materia, mi
sento in dovere di commentare brevemente il tuo libro “Per La Pace Perpetua” e prometto di impegnarmi al
massimo ad esprimere le mie idee!
Nel primo articolo sostieni che in ogni stato la costituzione civile debba essere repubblicana, poiché solo con
questa forma di governo è possibile raggiungere La Pace Perpetua, purchè questa costituzione non degeneri
in dispotismo dato che fonda un potere esecutivo dove tutti decidono su uno e in ogni caso anche contro
tutti. Per far sì che questo non avvenga è necessario allora che sia un sistema di tipo rappresentativo.
Avendo i cittadini potere all’interno della Repubblica, essi si assicurano che la loro decisione sia quella
giusta poiché loro stessi, in caso di guerra ne subirebbero le calamità. Perciò è ovvio che essi riflettano molto
prima di arrivare a una conclusione.
Diversamente accade per la monarchia in cui il sovrano, non essendo cittadino, ma proprietario dello stato ,
non sarà personalmente attaccato dai nemici, insomma la guerra non toccherà le sue attività.
Perciò potrebbe concepire il conflitto semplicemente come una gara di piacere per futili motivi, ignorando le
possibili conseguenze che essa potrebbe generare.
Per questo motivo il giudizio di un cittadino conta maggiormente rispetto al pensiero avventato di un
monarca, che in ogni caso sarebbe protetto e preservato.
Concordo con quello che dici e trovo un po’ egoistico da parte del sovrano questo tipo di atteggiamento ,
che al contrario dovrebbe preoccuparsi di più dei cittadini che si è promesso di governare e di difendere. Per
questo dovrebbe accertarsi che la nascita della guerra sia la cosa più giusta, riflettendo a lungo.
Nel secondo articolo invece sostieni che i popoli, in quanto stati , possono essere considerati come singoli
uomini che si fanno reciprocamente ingiustizia; ciascuno esige dall’altro una costituzione nella quale a
ognuno sia garantito il proprio diritto. E’ così che si che si forma una federazione di popoli.
Ma carissimo, il fatto che i popoli continuino a farsi ingiustizia reciprocamente è dovuto dal fatto che essi,
appartenendo allo stato di natura, tendono spontaneamente alla sopraffazione dell’uno all’altro??
Hobbes, come tu ben sai, sosteneva che per tenere sotto controllo i cittadini, insomma per evitare che si
autodistruggessero fosse necessario che i diritti originari della belva umana fossero disciplinati dallo stato,
che con le sue leggi e i suoi sistemi coercitivi avrebbe regolato lo stato di natura.
Quindi i singoli uomini delegano allo stato parte dei loro diritti, rinunciando perciò a qualcosa per avere la
sicurezza e il controllo dello stato.
Tuttavia sottolineando nel tuo libro che la migliore forma di governo è la repubblica , non sarai d’accordo
con lui sul fatto che ci debba essere un unico stato leviatano con in mano tutto il potere , ma piuttosto che
debba esistere la divisione dei poteri per meglio garantire la pace tra i cittadini.
Ma nonostante le frequenti ingiustizie,prima citate, gli uomini devono sopportare di vivere l’uno a fianco
dell’altro perché la terra essendo sferica impedisce ad essi di espandersi all’infinito.
Per questo deve esserci un senso di ospitalità , ovvero il diritto che uno straniero ha di non essere trattato
come un nemico a causa del suo arrivo in una terra di un altro.
La convivenza purtroppo non è così semplice, abitudini e costumi diversi, tradizioni religiose e politiche
differenti spesso contribuiscono alla creazione di lotte interne; tuttavia l’uomo deve riuscire ad avere
successo in questo aiutato anche dallo stato che impone delle leggi per la convivenza e per garantire
possibilmente una pace tra di essi .
È interessante il fatto che tu ti sia proposto di comporre un trattato dedito alla creazione, se così possiamo
dire, di uno stato privo di guerre e in grado di raggiungere la pace perpetua, ma tuttavia risulta più che altro
essere un qualcosa di estremamente teorico poiché come tu stesso sottolinei la guerra pare connaturata
all’uomo e sembra inoltre presentarsi come qualcosa di nobile verso cui l’uomo è attratto..una sorta di onore
che l’uomo possiede.
Dunque tutte le leggi che hai esposto in questo testo, anche se giuste, non sono del tutto messe in pratica,
anche perché siamo tutti consapevoli del fatto che raggiungere la pace perpetua è praticamente impossibile.
Talvolta le guerre sembrano indispensabili nella politica e impegnarsi a giungere a un fine pacifico è molto
difficile, spesso impossibile come insegna la storia.
E’ un volume in cui esponi come secondo te dovrebbe comportarsi uno stato per raggiungere la pace
perpetua, per porre fine alle continue guerre e garantire una quiete convivenza tra i popoli; pare quasi un
mondo perfetto ma che non potrà mai esistere!
Sono sincera, il tuo libro non mi è piaciuto molto! Ma non te la prendere..non è colpa tua, ma della materia!
Proprio io e la politica siamo due cose diverse!
Ora vado, ma prometto di scriverti appena ho un pochino di tempo!
Un bacione carissimo amico. A presto!
Sara.
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ARRIGO Lettera A Francesco Cossiga Caro Presidente