IL CONCETTO DI ALLEANZA
NELLA STORIA PRIMITIVA (Gen 2,4-11,9)
E. Testa
Nel presente articolo, dopo aver trattato dei principi giuridico-religiosi delle
alleanze, nei patti profani e in quelli religiosi secondo i testi biblici in genere, ed esserci soffermati sulla disputa dei biblisti sull’esistenza dei patti
unilaterali e sul vocabolario usato nelle versioni, soprattutto nei LXX, e nel
NT, ci restringeremo, nella parte storica, soltanto nei due patti conservati
nella “Storia primitiva”, contenuta in Gen 2,4-9,17, vale a dire nel patto di
Adamo e in quello di Noè.
I. Principi giuridico-religiosi delle alleanze
Prima di tutto parleremo dell’alleanza secondo i testi del Genesi, da Adamo
a Giacobbe. La teologia dell’AT tratta dei rapporti tra l’umanità e la divinità, in modo storico, attraverso un’istituzione positiva, voluta dalla volontà
divina, che si suole chiamare nel TM tyrIB], nei LXX diaqh/kh, nella Volgata
pactum, foedus, testamentum.
Il termine tyrIB] compare nel TM 180 volte, ma noi ancora non ne conosciamo la vera etimologia. Alcuni esegeti lo fanno derivare dall’ebraico, ma
è più probabile la sua derivazione dal termine accadico barû che significa
legare, oppure dal sostantivo birtu che significa vincolo. Generalmente, il
termine indica un patto firmato tra individui, secondo certe condizioni che
li obbligano reciprocamente.
Nei vari testi in cui compare, il patto può trattare di relazioni umane,
come il commercio, oppure di relazioni con la divinità, sicché abbiamo
patti profani e patti sacri.
1. Patti profani
Questi patti trattano di mutua pace, di amicizia, di aiuti militari e si dividono a) in patti tra eguali, in dignità e potenza (Gen 21,22s; 26,26-31;
31,43-55, ecc.); b) in patti ineguali, fra superiori ed inferiori (2Sam 3,1221); c) in patti tra privati (1Sam 18,3; 23,18). Anche il matrimonio è chiamato patto (Mal 2,14 e forse Prov 2,18). Nei testi poetici si parla anche di
LA 45 (1995) 9-43
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patti con la morte (Is 28,15), con animali (Giob 40,28), perfino con le pietre
(Giob 5,23) e con i propri occhi (Giob 31,1). In questi patti fra uomini si
richiedono le seguenti condizioni:
a. Obbligo bilaterale fra le parti: un obbligo morale di diversi generi e
gradi, per un fine buono o cattivo: Jojada, per es., fa un patto con l’esercito,
contro Atalia, a favore del fanciullo Joas (2Re 11,4-17); vari popoli si confederano fra loro per distruggere Israele (Sal 83,6).
b. Consenso esterno consistente in un rito, in un segno, in un giuramento, in un monumento: per esempio il re di Babilonia si legò con un principe
ereditario di Giuda, che gli diede la mano giurando (Ez 17,18 wOdy: ˆt'n:) ;
Abramo giurò un patto con Abimelec, dandogli come pegno pecore, buoi e
sette agnelli (Gen 21,22-27); Giacobbe si legò con Labano elevando una
stele, facendo un tumulo di pietre e mangiando con lui una cena sacra (Gen
31,43-55).
c. Si pone una sanzione o una maledizione per colui che infrange il
patto.
d. Si usano frasi stereotipate, modi di dire particolari: tagliare il patto
( tyrIB] tr"K;, Gen 21,27; Es 23,32); entrare nel patto ( tyrIB]b' aB;, Ger 34,10;
aybihe al causativo, 1Sam 20,8); dare, stabilire il patto (tyrIB] µyqihe, ˆt'n:, Gen
17,2; 6,18); osservare il patto (tyrI B ] rm' v ; , Ez 17,14); violare il patto
( tyrIB] rpehe, Ez 17,18); profanare il patto (tyrIB] lLeji, Sal 55,21).
Il patto si fa con qualcuno (µ[i , Gen 26,28; ta≤ , 2Sam 3,12; l ], Es
23,32ss), il patto sia tra me e te ( Ún<ybeW ynIyBe tyrIB], 1Re 15,19). Il socio del
patto, il confederato chi è obbligato al patto, grammaticalmente, si pone
allo stato costrutto seguito da genitivo: i signori, i confederati del patto
( tyrIB] yle[}B' , Gen 14,13); gli uomini del patto (tyrIB] yven“a', Abd 7); il duce del
patto (tyrIB] dygIn“, Dan 11,22); la terra del patto (tyrIB] ≈r<a, , Ez 30,5); la donna
del patto ( tyrIB] tv,ae, Mal 2,14).
2. Patti sacri
Si tratta di patti stretti fra Dio e l’uomo. Però ci si chiede: “E’ possibile
stringere un patto bilaterale tra Dio e gli uomini?” A priori non è lecito parlare – come si fa nei patti profani – di qualche transizione tra Dio e gli uomini i quali possano dire a Dio do ut des! I due, infatti, non si possono
trovare sulla stessa posizione giuridica. L’uomo, come creatura e servo della divinità, per diritto naturale, è obbligato a dare ciò che Dio vuole da lui,
non per una qualsiasi convenzione; al contrario, ciò che Dio dà alle sue
creature ha sempre il carattere di dono. Tuttavia, storicamente, si può veri-
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
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ficare tra i due una forma di patto bilaterale, mediante la quale Dio offre
all’uomo certe grazie, certi doni, certe promesse e obbliga l’uomo a certe
leggi, a certi comandamenti e a certi riti. Da parte di Dio, in questi casi, si
ha sempre una promessa solenne, con la quale si obbliga di donare qualcosa; da parte dell’uomo, nasce il dovere di corrispondere per gratitudine:
cosicché si originano tra i due veramente diritti mutui e doveri. Prima di
tutto, in questi patti sacri, giova notare i seguenti principi.
a. Da parte della divinità, in tali patti, si esalta sempre il concetto di
dono, l’esibizione della benignità, il nascondimento della maestà, cioè della
ds,j,, ossia della pietà piena di misericordia, con cui Dio, quale padre, quale
re e quale sposo, si lega con l’uomo, considerato vero amico, o con un popolo suo, eletto gratuitamente, in base ad un mutuo patto di fedeltà e carità.
Anzi, in essi, Dio manifesta la sua maternità verso figli delle proprie viscere
( µymij}r", Ger 16,5; Sal 103,4).
b. Sempre da parte di Dio, si manifesta l’obbligo dell’osservanza fedele
del patto, non perché l’uomo abbia qualche diritto sulla volontà divina, ma
perché Dio, nel legarsi con il patto, si è basato sulla propria verità, santità e
sulle promesse giurate, cioè sulla tm,a‘, e perché i doni di Dio non si possono
basare sul falso o sul pentimento (Rom 11,29). Da ciò si deduce che nella
Sacra Scrittura, in questi patti, si lodano sempre la “verità e misericordia di
Dio” (tm,a‘w< ds,j,, Gen 24,49; 47,29; ecc.), frase che significa “fedeltà e benignità divina”; per cui questi patti non sono sanciti in base all’eguaglianza
tra i contraenti, ma in base all’ineguaglianza, cosicché si devono definire
come una “concessione” di Dio che si lega all’uomo, in base alle sue promesse; non appartengono perciò a una convenzione, che suppone l’uguaglianza, ma solo la bontà divina, ferma e fedele. Si tratta perciò di un vincolo morale, che obbliga l’uomo verso Dio, non Dio verso gli uomini, ma
verso se stesso, verso il suo giuramento alle promesse fatte. Sono perciò
patti obbligatori per l’uomo, concessi gratuitamente da Dio.
3. Patti unilaterali
Si disputa fra gli autori per sapere se nella Bibbia si parli di patti sacri del
tutto unilaterali, cioè se una parte dei contraenti, quella divina, si obblighi
verso l’altra, quella umana, non obbligata affatto; se esistano perciò contratti sacri, basati esclusivamente su promesse gratuite fatte da Dio. Alcuni
esegeti, in seguito agli studi di Procksch, ne negano assolutamente l’esistenza, basati sul fatto che i testi indicano sempre due contraenti, non solo
Dio che promette, ma anche l’uomo che si obbliga ad accettare tali promes-
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se. Ma la maggior parte degli esegeti ne ammette l’esistenza. Costoro si
fondano su vari esempi biblici.
a) Nel patto con Noè e con i suoi figli – secondo il testo masoretico che
ne tratta, dividendo con il samek Gen 9,1-7 da Gen 9,8-11, come se si trattasse di due pericope indipendenti – Dio promette in un modo assoluto di
non distruggere mai più l’umanità con il diluvio (Gen 9,9.11), senza esigere
alcunché da essa.
b) Dio, in Num 25,12-13, loda Fines che ha ucciso l’ebreo che ha peccato pubblicamente con la madianita; e come premio, più che come obbligo, sancisce il patto eterno con il sacerdozio: “Ecco, dono a lui la pace del
mio patto e vi sarà per lui e per il suo seme un patto sacerdotale sempiterno
( µl;/[ tN"huK] tyrIB] … µ/lv; ytiyrIB]Ata, … ˆtenO). Da parte dei sacerdoti non fu richiesto nessun altro obbligo oltre all’esercizio del proprio ufficio.
c) Anche nel patto davidico di 2Sam 7,8ss ci sono due pericopi, di cui
la seconda è certamente assoluta: il seme del re regnerà per sempre, come il
sole, senza nessun obbligo da parte loro.
Da questi testi risulta che, nella Bibbia, ci sono dei patti unilaterali che
possiamo definire: un libero proposito di Dio di arricchire la propria creatura con qualche dono o beneficio, oppure di proteggerla (come nel patto
con Noè) da qualche maleficio. Di solito tale proposito si manifesta come
promessa, oppure (come nel patto adamitico) come concessione liberale. Lo
scopo di Dio, in questi patti, è di manifestare e far adorare la propria divinità in modo degno, senza nessuna nuova imposizione naturale o positiva
diversa da quelle che già esistevano prima dell’offerta del patto.
4. Il vocabolario dei patti usato nelle versioni
Nei LXX, invece di sunqh/ k h , si usa il termine diaqh/ k h, per indicare il
patto bilaterale, e premere l’idea della disparità tra Dio e l’uomo. Nel greco
profano, come in Aristofane, prima dell’a. 439, e nei commediografi, raramente è usato tale vocabolo, frequentissimo al contrario nell’AT, per indicare i patti e le convenzioni tra i popoli, tra i principi e i privati (Gen 21,32;
26,28; 31,44); specialmente per indicare i patti stretti tra impari, come tra i
re e i sudditi, tra i vincitori e i vinti, tra i potenti e i deboli (2Sam 3,12s;
Gios 9,15; Ez 17,18). Soprattutto si usa diaqh/kh, per i patti sacri, per indicare la divina disposizione graziosa con cui Dio dona agli uomini alcuni
benefici, stringendosi scambievolmente ad alcune obbligazioni (Gen 6,18;
9,9; 15,18; 17,2; 19,5; ecc.).
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
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Nel NT spesso si ricordano le diaqhvkai, le alleanze che Dio ha stretto
con Abramo, con Isacco, con Giacobbe, con il popolo d’Israele, con la casa
di David e con i sacerdoti (Rom 9,4; Ef 2,12).
Parlando dei libri ispirati dell’antica legge si usa metonimicamente la
frase hJ palai÷a diaqh/kh, l’antica legge, l’antica alleanza; parlando dei patti
fondati sulle promesse, si usa la frase diaqh/kh thvß e˙paggeli÷aß; parlando
dei patti fra circoncisi, si usa la frase diaqh/kh peritomhvß.
Perfino il NT, donato da Cristo come mediatore, si presenta quale hJ
kainh\ diaqh/kh , nuova alleanza, essendo sancita nel sangue suo ( e˙n tw◊ ˆ
aiºmati ) e nei riguardi dell’antica (Ebr 9,15; 2Cor 3,14) si presenta come
nuova (kainh/ e ne÷ a , Mat 26,28; 2Cor 3,6; Ebr 12,24; Mar 14,24; Luc
22,20), come migliore (krei÷ttwn, Ebr 7,22; 8,6), come eterna (ai˙w¿nioß, Ebr
13,20). Per cui si hanno due testamenti (du/ o diaqhvkai, Gal 4,24), il
secondo più santo, più perfetto del primo, migliore.
Un ottimo studio l’abbiamo in L.G. Fonseca1. L’autore, in questo lungo
articolo tratta: della etimologia di diaqh/kh secondo i numerosi documenti
profani; di diaqh/kh nell’AT e nel NT; di tyrIB] – diaqh/kh, presi in senso religioso (dei patti patriarcali, del patto sinaitico e di quello messianico, secondo i profeti, e dei patti individuali); di tyrIB] – diaqh/kh nel testo alessandrino; di diaqh/kh nel NT (nei Sinottici, negli Atti degli Apostoli, in Paolo e
nella Lettera agli Ebrei). Come conclusione, l’autore scrisse: “Gli autori del
NT concepiscono il patto antico (diaqh/kh) come l’avevano concepito gli
antichi agiografi: cioè, come patto tra Dio e gli uomini, istituito dall’unico
Dio quale autore, ma in se stesso bilaterale, ineguale in gran parte, ipotetico; bilateralità che si manifesta soprattutto nel patto sinaitico, ma quasi
mai in quello patriarcale (cfr. At 7,8), in cui si sottolinea massimamente la
natura di promessa divina. Concepiscono la nuova alleanza (diaqh/kh ) quasi
del tutto in modo parallelo: infatti è anch’essa un’alleanza istituita dall’unico Dio come pura benignità e filantropia (Tt 3,4), concetti propri di
Paolo; ma in se stessa fondata sulle promesse divine e sui doveri dell’uomo;
benché Dio alla sua realizzazione eterna, mediante la grazia infusa nei loro
cuori, affinché gli uomini non recedano mai dal loro dovere. Se si ha
soltanto questo, in nulla il nuovo patto, così come si manifesta, differisce da
quello che i profeti molto prima avevano adombrato; ma in Paolo ci sono
alcuni nuovi lineamenti, indicati non in modo oscuro, nella Lettera agli
Ebrei: la natura del patto come testamento” 2.
1. “Diaqhvkh. Foedus an Testamentum?”, Bib 8 (1927) 31-50; 161-181; 290-319; 9 (1928)
26-40; 143-160. Cf. inoltre M. Weinfeld, tyrIB,] TWAT 1 (1973) 781-808.
2. Fonseca, “Diaqhvkh”, 158s.
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Nei riguardi del termine “testamento” abbiamo quanto segue: il testamento è un dono: tra il testatore e l’erede non ci sono pari diritti; colui che
dispone, e liberamente dispone, è il padrone della cosa; colui che riceve non
ne ha nessuno stretto diritto, ma solo giuridico. Perciò nel testamento c’è
l’intenzione del dono; e questo anche nel patto divino, che è infatti una
condiscendenza e un favore di Dio. Questo soprattutto nel NT, in cui la
nuova alleanza viene in vigore soltanto alla morte di Cristo.
Bibliografia sull’alleanza in genere. M. Noth, Das System der Zwölf Stämme
Israel, Stuttgart 1930, pone al centro della religione israelitica e della fondazione
delle dodici tribù (o della anfizionia), la rinnovazione del patto del Sinai celebrata a
Sichem; G. von Rad, “Das formgeschichtliche Problem des Hexateuch”, Stuttgart
1938, 1-72, pone la struttura letteraria e teologica di questo patto al centro di tutto
l’Esateuco. De L’Alleanza nell’Esateuco, Macao 1957, parla anche U. Devescovi
che ignora, però, del tutto il Sitz im Leben e si fonda soltanto sullo studio dei luoghi
biblici esaminati sotto la luce della teofania. Scrissero ottimamente sul patto in
genere P. van Imschoot, nell’articolo “L’Alliance dans l’Ancien Testament”, NRT
8 (1952) 785-805; W. Eichrodt nel suo volume Theologie des Alten Testament, I,
Göttingen 1960, esamina sotto la luce del patto tutta la teologia dell’AT. Inizia dal
concetto di tyrIB] e dallo stato della questione; poi fa l’analisi degli elementi
costitutivi del patto, cioè della legge, del culto, di Dio come autore del medesimo,
del nome, della sua natura e della sua attività. Parla diffusamente degli strumenti
del patto e dei carismatici: i vedenti, i Nazareni, i giudici e i profeti, i sacerdoti e i
re; finalmente fa un’analisi del giudizio di Dio e della consumazione messianica ed
apocalittica. Anche per G. Cordero, “La Alianza, tema central del Antiguo
Testamento”, Ciencia Tomista 89 (1962) 521-542, l’alleanza è un tema centrale
nella Bibbia; lo stesso per D.J. Mc Carthy, “Berît and Covenant in the
Deuteronomistic History”, VTSuppl 23 (1972) 65-86, e per P. Buis, La notion
d’alliance dans l’Ancien Testament, Paris 1976.
Altri autori si sono soffermati sulla struttura e sulla formulazione delle alleanze
bibliche: J. Muillenburg, “The Form and Structure of the Covenantal Formulations”, VT 9 (1959) 347-365; K. Baltzer, Das Bundesformular, Neukirchen 1960;
F. Vattioni, “La terminologia dell’alleanza”, Biblos-Press 6 (1965) 112-116; P.
Buis, “Les formulaires d’Alliance”, VT 16 (1966) 396-411; G. Baena, “La
terminología de la Alianza”, EstBíb 29 (1970) 5-54.
Sull’alleanza come patto e misericordia di Dio ha scritto in ebraico M. Weinfeld, “dsjhw tyrbh. Bond and Grace. Covenantal Expression in the Bible and the
Ancient World”, Leshonenu 36 (1971-1972) 85-105.
II. Sviluppo storico delle alleanze bibliche
In questa sezione dell’articolo tratteremo del succedersi delle alleanze dal
patto paradisiaco di Adamo al patto nuovo di cui parlano i profeti; quindi
ricercheremo il Sitz im Leben dei patti di vassallaggio degli Hittiti, degli A-
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
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ramei di Sefire, di quelli trovati nel tempio di Nabu, negli scavi presso
Nimrud (Kal∆u) e della loro struttura paragonata a quella del Deuteronomio.
1. Dal patto di Adamo al nuovo patto
Sembra che Dio abbia iniziato la teologia dell’alleanza già nel paradiso terrestre con i nostri progenitori (Os 6,7?); certamente fece questo con Noè e i
suoi figli (Gen 6,18; 9,9ss); seguirono poi i patti con i patriarchi: Abramo,
Isacco e Giacobbe; per estenderli, poi, con tutto il popolo eletto del Sinai,
rinnovandoli nel tempio nazionale di Sichem (Gen 15,18; 17,2ss; Es 2,24;
6,4s; Lev 26,42; Sal 105,8; Es 24,4-8; 34,10ss.24ss; Lev 26,3-45; Deut 5,7).
Secondo Geremia, tutti questi patti furono considerati strettamente legati fra di loro: “E tu dì loro: Così ha detto il Signore, Iddio d’Israele: Maledetto l’uomo che non ascolterà le parole di questo patto (cfr. Gal 3,10), che
io comandai ai padri vostri di osservare quando li trassi fuori dall’Egitto,
dalla fornace di ferro, dicendo: Ascoltate la mia voce e fate queste cose secondo tutto quello che io vi comando; e voi mi sarete mio popolo, ed io vi
sarò Dio (Ger 7,23); acciocché io metta ad effetto il giuramento che io feci
ai vostri padri, di dar loro un paese stillante latte e miele come si vede al dì
d’oggi” (Ger 11,3-5).
Iddio firmò patti anche con Levi (Deut 33,9; Mal 2,8; Neem 13,29) e
con Fines (Num 25,12ss), che diffondono nel popolo eletto la religione; con
David e i suoi figli che fondarono il regno e governarono la nazione (2Sam
25,5; 7,8ss; Sal 89,4.29). Anzi, per il tempo messianico, predisse un “patto
nuovo” (Is 55,3; 61,8; Ger 31,31; 32,40; Ez 16,60; 34,25; 37,26), e destinò
il “Servo di Jahweh” come attore di tale patto (Is 42,6; 48,8), che chiamò
“patto sacro” (vd<qø tyrIB]), su cui si appoggiò la teocrazia d’Israele (Dan 11,
28.30.32).
Tutta l’economia salvifica del Dio rivelante, dall’elevazione dell’uomo
allo stato paradisiaco fino alla consumazione messianica, si attua per mezzo
dei patti e del testamento.
2. L’influsso dei patti di vassallaggio dell’ambiente
Benché tutta l’economia della rivelazione sia ricapitolata tanto nell’A
quanto nel NT, nel concetto di alleanza, tuttavia, gli autori hanno tentato di
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E. TESTA
trovarne la base, il Sitz im Leben, i gradi e le amplificazioni del concetto,
nella cultura extra-biblica3.
3. La struttura dei patti di vassallaggio e il Deuteronomio
In questi patti unilaterali e sacri tra un re e il suo vassallo si trovano i seguenti elementi strutturali.
a. Introduzione. Questi trattati, negli scritti ittiti, incominciano con un
umma = “Così dice N.”, proprio come nella Scrittura sacra: “Così dice il
Dio d’Israele”: laer:c]yI yheúla‘ hw:hy“ rm'a;AhKo, Gios 24,2). Segue poi una presentazione solenne e breve, con il nome, il titolo, la genealogia dell’attore
dell’alleanza.
b. Il racconto storico. Si delineano i fatti e le relazioni del passato avvenuti tra il re e il vassallo, soprattutto circa l’intronizzazione dell’ultimo e
circa i benefici gratuiti con cui fu arricchito dal re4.
c. Le stipulazioni. Il re, da parte sua, fa promesse, del resto molto
generali, circa l’assistenza militare nelle guerre del socio; il vassallo si fa
garante di varie clausole particolari, secondo il principio generale: “Eris
amicus cum amico meo, cum inimico autem eris adversarius”. Si obbliga,
perciò, alla fedeltà circa le stipulazioni del trattato e circa il giuramento
(naßrü amate åa riksi... åa mamïti); si obbliga al tributo, al rispetto degli
amici del re e alla condotta stabilita nei riguardi dei fuggitivi.
d. Il documento sacro. Il contratto scritto e firmato è deposto ai piedi
della divinità (ana pani = “avanti alla faccia”) e se ne obbliga la lettura
periodica, pubblica e solenne, in una vera liturgia. Il patto, perciò, ha un
carattere divino.
e. La maledizione e la benedizione. Le divinità si invocano come testimoni e se ne implora la benedizione per chi rimane fedele ai patti e la maledizione per gli spergiuri. L’unilateralità di questi patti si ricava dal fatto che
il re stringe il vassallo con un legame (riksu, rikiltu); mentre, al contrario, il
suddito è vincolato al giuramento ( mamïtu), per cui il documento è definito
“tavola del legame e del giuramento” (tuppu åa rikilti ù åa mamïti).
3. V. Koroåec analizzò i documenti ittiti scrivendo l’opera con il titolo Hethitische Staatsverträge. Ein Beitrag zu ihrer juristischen Wertung, Leipzig 1931, che poi G.E. Mendenhall
applicò alla struttura del patto sinaitico, in due articoli: “Ancient Oriental and Biblical Law”
e “Covenant Forms in Israelite Tradition”, BA 17 (1954) rispettivamente 26-46 e 50-76; che
nel 1956 riunì in un opuscolo con il titolo Law and Covenant in Israel and the Ancient Near
East.
4. ANET, 203s.
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
17
I patti che si trovano nella Sacra Scrittura, risalenti al tempo di Mosè,
hanno la stessa struttura letteraria di quelli ittiti ora analizzati? Secondo G.
von Rad nell’intero libro del Deuteronomio: il racconto storico degli avvenimenti nel Sinai (cc. 1-10); la legislazione (cc. 12-26); la conclusione del
patto (c. 26,16-19); benedizione e maledizione (c. 27); lettura periodica del
documento nella festa dei tabernacoli (c. 21,10b-11)5.
Secondo J. L’Hour, si trovava la stessa struttura nella rinnovazione del
patto del Sinai che si celebrava a Sichem. L’autore prima esamina i patti
extra-biblici del II millennio (per es. il patto tra Ôattuåiliå III e Ramses II6;
inoltre tredici altri patti tra il re e il vassallo); poi quelli del I millennio (per
es. le iscrizioni di Sefire dell’VIII sec. a.C., cioè il patto tra KTK e Mati„el)
e i patti scoperti a Nimrud. Poi esamina la natura deuteronomistica di Gios
24, di cui presenta lo schema e la struttura: vv. 1-2aa: presentazione degli
attori, che sono: Giosuè, tutte le tribù d’Israele, i principi primogeniti, i giudici e maestri che si misero al cospetto del Signore; v. 2ab: le presentazioni
di quelli che sancirono il patto: “Così dice il Signore Dio d’Israele”; vv. 2b13: il racconto storico contenuto in una formula liturgica (quasi un
“credo”); vv. 14-24: la stipulazione: vv. 14-15: “Or dunque, temete il Signore... togliete gli Dei... eleggete, oggi, a chi servire, se agli Dei oppure al
Signore”; vv. 16-18, risposta del popolo: “Noi serviremo al Signore perché
Egli è il Dio nostro!”; vv. 19-20, minacce fatte da Giosuè: “Se servirete gli
dei stranieri, Iddio vi affliggerà”; v. 21, seconda risposta del popolo: “Non
così... ma noi serviremo il Signore!”; vv. 22-24, dialogo tra Giosuè e il
popolo; vv. 25-26: conclusione del patto e il deposito sacro: “Così Giosuè
fece in quel giorno il patto con il popolo, e propose al popolo statuti e leggi
in Sichem. Poi scrisse queste parole nel libro della Legge di Dio; prese una
grande pietra e la rizzò ivi sotto la quercia che era nel santuario del
Signore”; vv. 27-28: la pietra di testimonianza... e dimissione del popolo.
Il nostro autore, dopo lo schema, esamina i luoghi paralleli, Gios 8,3035 e Deut 11,29-30, circa le benedizioni e le maledizioni da pronunziarsi
sui monti Garizim ed Ebal, e soprattutto Deut 27 (Ur-Deuteronomium) che
nei vv. 1-8 parla della erezione sul monte Ebal di stele di pietra su cui erano
scritte le parole della legge; e della costruzione di un altare di pietre rozze
per offrirci olocausti; e nei vv. 9-10 che contenevano parole di esortazione
del popolo; e nei vv. 11-26 che analizzavano varie maledizioni e benedizioni, per i ribelli e gli osservanti.
5. Cf. Gesammelte Studien, 33-41.
6. ANET, 199-203.
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E. TESTA
Finalmente fa il raffronto tra questo patto di Sichem con il codice del
patto e come conclusione afferma che il redattore volle unificare con tali
testi la tradizione sichemita con quella del Sion, le quali ebbero come Sitz
im Leben i patti degli Ittiti tra il re e i vassalli, aggiunti però alcuni
particolari differenti: a. nel patto biblico si ha un mediatore (Mosè o Giosuè); b. il patto non è contratto tra Jahweh e il vassallo, ma tra Jahweh e il
popolo, non però anonimo, ma “comunità sacra”; c. il fine del patto biblico
non è alcunché di profano, ma è eminentemente etico.
Bibliografia sui patti e il loro ambiente. In questa sezione la letteratura sviluppa prima di tutto il tema del nuovo patto. Essendo il materiale assai numeroso,
noi ricordiamo soltanto gli articoli e le opere più importanti: P. von Imschoot,
“L’Esprit de Jahwé et l’alliance nouvelle dans l’Ancien Testament”, ETL 13 (1936)
201-220; “L’Esprit de Jahwé, principe de vie morale dans l’AT”, ETL 16 (1939)
457-467; H. Ortmann, Der Alte und der Neue Bund bei Jeremia, Berlin 1940; R.
Schreiber, Der Neue Bund in Spätjudentum und Christentum, Tübingen 1954-55;
A. M. Dubarle, “Le don d’un coeur nouveau”, Bible et Vie Chrétienne 14 (1956)
57-66; Å. Porúbøan, Il Patto nuovo in Is. 40-66, Roma 1958; R. Martin-Achard,
“La Nouvelle Alliance selon Jérémie”, RevThPh 12 (1962) 82-92; J. Coppens, “La
Nouvelle Alliance en Jer 31,31-34”, CBQ 25 (1963) 12-21; P. Buis, “La Nouvelle
Alliance”, VT 18 (1968) 1-15.
Un altro tema studiato dagli esegeti fu quello dei rapporti tra le alleanze dell’AT e quelle dell’ambiente: V. Koroåec le mette in rapporto con i documenti ittiti,
Hethitische Staatsverträge. Ein Beitrag zu ihrer juristischen Wertung, Leipzig
1931; D.J. Mc Carthy, Treaty and Covenant. A Study in Form in the Ancient
Oriental Documents and the Old Testament, New Edition, Roma 1981; F. Vattioni,
“Recenti studi sull’alleanza nella Bibbia e nell’Antico Oriente”, AION 17 (1967)
181-226.
Un altro tema fu quello della stretta relazione tra le varie alleanze dell’ambiente extra-biblico e il Deuteronomio, iniziato da G. von Rad nel lontano 1929
nel volume pubblicato a Stuttgart con il titolo: D a s Gottesvolk i m Deuteronomium, ristampato poi in Gesammelte Studien zum Alten Testament, München
1971, 33-41, e 1973, 9-108; tema che fu approfondito da D.J. Mc Carthy, “Berît
and Covenant in the Deuteronomistic History”, VTSupl 23 (1972) 65-85; e f u
riscoperto da J. L’Hour nella rinnovazione del patto del Sinai, fatta a Sichem,
seguendo i testi deuteronomistici di Deut 27; Gios 8,30-35 e Gios 24, nel lungo
articolo intitolato “L’Alliance de Sichem”, RB 69 (1962) 5-36; 161-184; 350-368.
Testi che secondo il nostro autore sarebbero tributari delle iscrizioni di Sefire e di
quelle del tempio di Nabu e di Nimrud. Le prime già studiate da altri autori: A.
Dupont-Sommer - J. Starcky, “Une inscription araméenne inédite de Sefire (Stèle
III)”, BMB 13 (1956) 23-41; “Les inscriptions araméennes de Sefire (Stèles I et
II)”, Extrait des Mémoires présentés par divers savants à l’Académie des
Inscriptions et Belles-Lettres, tome XV, Paris 1958; e da J.A. Fitzmyer, “The
Aramaic Suzerainty Treaty from Sefîrë in the Museum of Beyrouth”, CBQ 20
(1958) 444-476; cui W.L. Moran, recensendo i libri di G.E. Mendenhall e di K.
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
19
Baltzer, aggiunse altri testi che pubblicò in Bib 41 (1960) 297ss e 43 (1962) 100106.
Le iscrizioni del tempio di Nabu e di quelle di Nimrud furono pubblicate da
D.J. Wiseman con il titolo “The Vassal Treaties of Esarhaddon”, Iraq 20 (1958)
1ss.
III. I patti dei patriarchi della Storia primitiva
Mentre dei patti sinaitico e sichemitico, come abbiam visto, molto fu scritto, dei patti dei patriarchi della “storia primitiva”, di quello adamitico e di
quello noachico solo pochi esegeti trattarono. Della storia paradisiaca (Gen
2-3) ne scrisse L. Alonso Schökel, considerando Dio come un re e Adamo
come un vassallo, scoprendovi elementi sapienziali e temi di alleanza. Del
patto di Noè (Gen 9,9-17) abbiamo qualche cenno in W. Eichrodt e specialmente in Å. Porúbøan, ma non senza difficoltà. Anzi Schildenberger scrisse
direttamente contro la possibilità del patto adamitico e parecchi critici trovarono molte difficoltà, come abbiamo già accennato, nel legare Gen 9,1-7
sui doveri da parte degli uomini, con 9,9-17 sulla promessa unilaterale da
parte di Dio di non distruggere più l’umanità con il diluvio; e scoprirono,
inoltre, anche nella pericope che parla chiaramente del patto (v. 9: “quanto
a me, ecco, io firmo il mio patto con voi e con la vostra progenie dopo di
voi”) parecchi doppioni: promessa dell’alleanza: v. 9 = v. 11; segno dell’alleanza: v. 14 = v. 16, ecc., per cui si potrebbero ricavare con facilità due recensioni indipendenti.
Difficoltà, queste, che nascono, secondo G. von Rad, non dalla presenza
o meno del patto, ma dalla natura particolare delle due pericopi. Nei rapporti del patto genesiaco il lodato autore scrive: “All’interno dell’AT i
contenuti di Gen 2, e in particolare di Gen 3, stanno in uno strano isolamento. Più nessuno, né un profeta né un salmista né un narratore, farà una
minima allusione riconoscibile alla storia della caduta. Perciò si giudicherà
rettamente lo Jahvista solo considerandolo in questa sua unicità: completamente libero davanti alle tradizioni ricevute e neppure iniziatore egli
stesso di una tradizione o di una scuola. Ma ciò non dovrebbe indurci a
considerare questa sua testimonianza preistorica della creazione e della caduta come sostanzialmente a sé stante e senza rapporto alcuno con quella
della condotta particolare di Jahweh nell’alleanza. Soltanto ciò che l’autore
sapeva di Jahweh, Dio d’Israele, poteva autorizzarlo a scrivere in questi termini. Certo, gli argomenti di cui amava parlare altrove, la fede d’Israele,
per bocca dei suoi storici, sacerdoti e profeti, erano diversi da quelli di
20
E. TESTA
questa storia primitiva; tuttavia fra le due parti corrono svariate e importanti
linee di unione”7.
Nei rapporti del patto di Noè, sempre von Rad scrive: “Di un patto fra
Dio e Noè non si parla in nessun altro punto nell’AT. Questo patto noachico è diverso, però, da quello con Abramo e del Sinai e da ogni altra alleanza: in questi casi i singoli o il popolo erano chiamati in maniera del
tutto personale a un rapporto di comunione con Dio, e quindi posti di fronte a l problema d i accettare questo ordinamento; invece il segno dell’alleanza con Noè si trova al di sopra dell’uomo, tra cielo e terra, come pegno
di una vera gratia praeveniens, senza che si richieda un’accettazione da
parte del contraente terreno. Davanti a questa manifestazione visibile della
volontà salvifica divina, l’umanità, terrorizzata dalle forze elementari del
caos, attingerà sempre nuova fiducia che Dio intende aver pazienza con
questo eone e garantisce la stabilità del suo ordine. La parola ebraica tradotta da noi con ‘arcobaleno’ significa di solito, nell’AT, l’arco di guerra.
In tal modo ci troviamo di fronte ad un’immagine di vetusta bellezza: Dio
mostra a l mondo che ha deposto il suo arco. La benedizione di questo
nuovo rapporto di grazia viene sperimentata dall’uomo nella stabilità dei
cicli naturali, quindi dapprima solo nell’ambito di forze elementari impersonali”8.
A causa della penuria di esegeti che hanno affrontato questi due patti,
isolati stranamente da tutti gli altri presentati dalla Bibbia, abbiamo l’ardire
di sottoporli ad un esame teologico con la speranza di scoprir qualcosa della
loro natura.
A. Il patto di Adamo protoparente dell’umanità
La storia primitiva (Gen 2,4-9,17) inizia con un patto paradisiaco (Gen 2,43,24). Come agenti compaiono Adamo ed Eva, protoparenti dell’umanità.
Secondo gli esegeti – non senza opposizione di alcuni – ne parlerebbero Os
6,7 e Sir 17,1-14. E’ certo, però, che la struttura letteraria dei due capitoli di
Gen 2-3 risente del patto di vassallaggio degli Ittiti, anche se il redattore
cerca di avvicinarlo, per quanto può, ai patti unilaterali della Bibbia. Inoltre
in essi ci si risentono temi sapienziali e di alleanza e di miti del re primordiale assiro-babilonese, giardiniere degli dei e vincitore della lotta contro il
dragone/serpente, per raggiungere la vittoria della vita sulla morte, del
7. G. von Rad, Genesi, Brescia 1978, 127s.
8. Von Rad, Genesi, 169s.
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
21
cosmo sul caos. E’ certo inoltre che nella pericope del Sir 17,1-14 si risentono vari versetti sapienziali del Genesi, almeno in filigrana, mentre pare
difficile che un autore ebreo dipenda per un’intera pericope da idee
filosofiche classiche sulla dignità dell’uomo.
1. Osea 6,7
Ecco il testo del profeta Osea: tyrIb] Wrb][; µd:a;K] hM;hew“ ybi Wdg“B; µv; (6,7). La
Volgata ha tradotto: “Ipsi autem, sicut Adam, transgresssi sunt pactum; ibi
praevaricati sunt in me”. In tutta la sezione si parla della trasgressione del
patto sinaitico (Os 4,1-14,2), specialmente in Os 8,1, per spiegare la trasgressione delle alleanze profane con l’Egitto e con l’Assiria (Os 4,17;
5,13; 7,11-13.16; 8,9.13; 9,3.6; 12,2).
Sembra che il TM, certamente la Volgata, voglia comparare tali trasgressioni con quella fatta da Adamo nel paradiso terrestre. Girolamo, che
accetta questa ipotesi, commenta il testo di Osea: “Essi hannno imitato
Adamo, sicché, come questi aveva fatto nel paradiso, trasgredendo il mio
patto e la legge, così essi fecero in terra”. Ma i LXX furono contro questa
possibile interpretazione, avendo tradotto il versetto nel modo seguente:
aujtoi« de÷ ei˙sin wß a‡nqrwpoß parabai÷nwn diaqh/khn. e˙kei√ katefro/nhse÷n
mou , “essi, poi, furono come l’uomo che trasgredì l’alleanza e lì mi di-
sprezzò”. Cioè essi, come l’uomo in genere, vale a dire nella maniera
umana, oppure come gli uomini che non ebbero i privilegi d’Israele, disprezzarono il patto del Signore. Fece sua questa interpretazione van
Hoonacker, che ci rimanda a Giob 31,33: “Se io ho coperto il mio misfatto,
come fanno gli uomini (µd:a;K]), per nascondere la mia iniquità nel mio
seno...”.
Dunque, in questo versetto di Os 6,7, non avremmo nulla che si riferisca a un patto di Adamo e a un suo peccato di trasgressione. Anzi non
mancano critici che considerano il termine µd:a; come un nome di luogo:
J.D. Michaelis legge µdoa‘K,, come Edom; J. Wellhausen, seguendo il codice
554 del De Rossi, legge µdoa‘B,, in Edom; H. Oort e R.H. Pfeiffer leggono
hm;d:a}B;, in Adamah; E. Sellin µr"a}K', in Aram. Le ragioni che portano tali
autori sono le seguenti: 1) la testimonianza dei LXX che hanno una
versione differente da quella del TM; 2) l’assenza di un patto in Gen 2 e 3;
3) il fatto che i documenti J, E e D ignorano del tutto il nome personale di
Adamo prima del documento P, che è assai tardivo; 4) l’ottimo senso che si
22
E. TESTA
ha nelle versioni, specialmente dei LXX9. Ma non tutte queste ragioni
hanno un solido valore: la versione dei LXX è piuttosto una traduzione
greca del vocabolo ebraico µd:a;, che oltre nome proprio può significare
anche il nome comune di “uomo / a‡nqrwpoß”; vedremo in seguito che in
Gen 2-3 ci può essere anche il tema di patto; è certo che il documento P ha
anche un periodo preletterario antichissimo, che risale prima del periodo
dei profeti.
Tuttavia è probabile che in questo testo di Osea, µd:a; si debba prendere
come nome di luogo, per il fatto ch’è seguito dall’avverbio locale µv; nello
stico seguente, e per il fatto che in Os 11,8 potremmo avere un parallelo,
leggendovi: “... come ti renderò simile ad Adamah (hm;d“a'k]) e ti ridurrò
nello stato di Seboim”? Sappiamo che Adamah in questo passo si riferisce
a una delle cinque città dei Sodomiti distrutta dal Signore e diventata con
le altre come proverbio di salsedine e sterilità (Deut 29,23b). Oppure si
riferisce alla città di Adam che si erigeva nella valle del Giordano che è
allato di Sartan (Gios 3,16). Ma µv; è preposizione avverbiale o interiezione? Lo vedremo in seguito. Sicché la lezione di Os 6,7 rimane molto
complicata.
2. Il racconto della creazione secondo Sir 17,1-14 (greco)
1.
2.
3.
4.
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8.
Dio ha creato l’uomo dalla terra (e˙k ghvß)
e ad essa lo fa di nuovo tornare.
Gli ha concesso giorni contati a tempo definito
dandogli potere su quanto essa contiene.
Li ha rivestiti di forza come se stesso
e li ha fatti secondo la sua immagine.
Ha posto il timore di lui su ogni carne
perché egli dominasse le bestie e i volatili.
Il consiglio (diabou/lion), la lingua, gli occhi,
gli orecchi e il cuore diede loro per ragionare.
Li riempì con il giudizio della intelligenza
e mostrò loro il bene e il male.
Pose il suo occhio (var. timore) sui loro cuori
per mostrare a loro la grandezza delle sue opere.
Affinché potessero lodare il suo santo Nome
9. Cf. J. Skinner, A Critical and Exegetical Commentary on Genesis, Edinburg 1910, 288.
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
9.
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12.
13.
14.
23
e narrare i portenti delle sue opere.
Ha dato loro l’intelligenza (Sir: il patto)
e li ha dotati con la legge della vita (…)
Stabilì con loro un’alleanza eterna (diaqh/khn )
e mostrò loro i suoi giudizi.
I loro occhi videro la grandezza della gloria
le loro orecchie udirono la gloria della sua voce,
e disse loro: “Guardatevi da ogni cattiveria”,
e ordinò che ciascuno di loro si curasse del prossimo.
Le loro vie son sempre davanti a Lui
non sono nascoste ai suoi occhi (…)
Stabilì per ogni popolo un reggitore
ma Israele è la porzione del Signore.
Non mancano esegeti che dal v. 10 interpretano il testo come riferito al
popolo israelitico, e al patto sinaitico, quando Dio diede al popolo eletto
statuti (wyf;P;v]mi ?) e i suoi giudizi ( ta» kri÷mata) e quando sul monte santo
vide la grandezza della sua gloria nella teofania e udì la sua voce divina (Es
19,16-20; 24,16.17). Altri, invece, interpretano tutto il testo, dal v. 1 al v.
14, come riferito ai protoparenti.
Infatti, il v. 1 parla della formazione del corpo dalla terra e della morte,
come in Gen 2,7; 3,19. Dal v. 2 al v. 4, l’autore parla della potestà degli
uomini sulla terra, come in Gen 1,27 e del loro dominio su tutti gli animali
e i volatili che li temono, come in Gen 1,28; 2,19-20; 9,2 e in Sap 9,2.3, in
cui si parla della costituzione dell’uomo nel giorno della sua creazione.
Dal v. 5 al v. 6 l’autore parla, seguendo la dottrina degli stoici, della
natura e dei privilegi dell’umanità: “La quale ebbe l’uso delle cinque operazioni del Signore, cioè del libero arbitrio (diabou/lion = rx,yE), della lingua,
degli occhi, delle orecchie e del cuore, ossia dell’intelligenza. Inoltre, come
sesto privilegio diede loro il raziocinio, e come settimo la parola che interpreta le sue opere”. Diede loro anche la coscienza morale, perché potessero
discernere il bene e il male, com’è detto in Gen 2,17 e 3,22.
Dal v. 7 al v. 8 l’autore parla della cognizione naturale di Dio, per mezzo del suo occhio, vale a dire per mezzo del lume della ragione, o dell’istinto religioso con cui l’uomo possa comprendere le grandezze della creazione, e glorificare il Nome di Dio, creatore di ogni cosa (Gen 1; Sir
39,19-35; Rom 1,20ss).
Dal v. 9 al v. 10 parla della legge morale, per mezzo della quale l’uomo
stabilisce rettamente la vita e diventa partecipe della felicità. Probabilmente
l’autore si riferisce a Gen 2,15-17, in cui si tratta dell’entrata dell’uomo nel
24
E. TESTA
paradiso dell’Eden e del precetto divino di non mangiare del frutto dell’albero proibito, condizione necessaria per avere la vita eterna. Ma qui, invece
di nominare il “legno della scienza” che portò l’uomo alla rovina (Gen
2,17a), parla del dono dell’e˙pisth/mh o della scienza (v. 9a), e invece del
precetto di non mangiare il frutto della morte (Gen 2,16-17) parla del dono
della legge della vita ( no/mon zwhvß , v. 9b); invece della minaccia della morte
(Gen 2,17b) parla di un’alleanza eterna ( diaqh/khn ai˙ w ◊ n oß , v. 10a) e del
dono dei giudizi (ta» kri÷mata aujtouv, v. 10b).
Dal v. 11 al v. 13 l’autore polemizza con le conseguenze del peccato,
sottolineando ciò di cui Dio, nella sua misericordia, ha arricchito l’uomo
penitente: invece dell’apertura maliziosa degli occhi (Gen 3,5), afferma che
i loro occhi videro le grandezze della gloria divina (v. 11a); invece della
paura dei peccatori nel sentire i passi di Dio che si avvicinava a loro (Gen
3,8.10), costata che le loro orecchie udirono la gloria della sua voce (v.
11b); mentre Adamo ed Eva, peccatori, si nascosero dalla presenza divina
(Gen 3,8b), qui afferma che le loro vie non sono nascoste agli occhi di Dio
(v. 13).
Dunque, tutta la pericope del Sir 17,1-13 tratta dell’uomo in genere e
dei protoparenti in specie, legati dal Signore con un patto unilaterale, in cui
Dio si obbliga favorevolmente, senza chiedere nulla dalla controparte. Infatti nei vv. 1-4 si parla della loro creazione, per dominare la terra e sugli
animali, arricchiti come sono dell’immagine e somiglianza di Dio. Nei vv.
5-6 si parla dei privilegi e della natura dell’umanità, dotata di beni fisici e
morali. Nei vv. 7-8 si dice che con il lume della ragione e con l’istituto religioso, l’umanità può avere la cognizione naturale di Dio e comprendere la
creazione. Nei vv. 9-10 si tratta della legge morale, condizione necessaria
per entrare nel paradiso terrestre, non per essere sottoposto alla prova, ma
per avere la vera scienza; non per subire la morte, ma per entrare nella legge della vita; non per subire una proibizione, ma per avere un’alleanza eterna del tutto favorevole. Nei vv. 11-13, l’autore polemizza con le conseguenze del peccato originale: gli occhi non si apriranno maliziosamente
sulla nudità, ma per scoprire la grandezza della gloria divina; le orecchie
non ascolteranno i passi minacciosi di Dio, ma ne udranno la sua voce
gloriosa; le loro vie non sono nascoste e paurose, ma illuminate dalla presenza divina.
Si tratta perciò di un’alleanza favorevole, da collocarsi nel giardino dell’Eden, prima della ribellione e del peccato originale, quando l’umanità docile viveva felice, sotto l’ombra protettrice di Dio. Soltanto dopo il peccato,
l’autore parlerà d’Israele, come popolo eletto, porzione del Signore, separato da tutti gli altri regni, dominati da duri reggitori (v. 14).
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
25
3. La struttura letteraria del patto paradisiaco di Gen 2-3
La struttura letteraria di Gen 2-3 enucleata da L. Alonso Schökel conferma
appieno la tesi che stiamo difendendo, che si tratta, cioè, di un patto di vassallaggio di tipo ittita esternamente, con tendenza ai patti unilaterali che
dominano, nella storia della salvezza, tra Jahweh e Israele, tra Adamo e
Jahweh/Elohim. Questa struttura svolge cinque temi: un prologo storico, le
stipulazioni, la fedeltà o l’infedeltà dell’uomo, la maledizione e la benedizione.
a. Prologo storico (Gen 2,4-15a)
Nel paradiso tutto dipende dall’iniziativa amorosa e gratuita di Dio, il quale
arricchisce la sua creatura di benefici, indebiti allo stato naturale dell’uomo.
I dommatici affermano, ma in dipendenza dalla teologia paolina che presenta lo stato di grazia dei cristiani come un ritorno a quello di Adamo nel
paradiso, che il primo uomo, ancora innocente, “fu costituito” sostanzialmente nello stato soprannaturale. Veramente, l’opinione comune dei teologi
era che Dio avesse creato l’uomo in grazia; ma non c’era nessuna nota teologica che riprovasse la sentenza opposta, sicché, come dice lo storico Pallavicini, i Padri del concilio Tridentino al posto della voce “creato” posero
“costituito”, per lasciare libere le due opinioni10.
I biblisti, oggi, in seguito agli studi di A. Vaccari, preferiscono la seconda opinione, affermando che in Gen 2,7-17, l’autore sacro distingue la
creazione naturale dell’uomo dalla sua vita soprannaturale indebita: Dio
creò l’uomo nella hm;d:a}h; e in seguito lo prese dalla hm;d:a}h; e lo pose nel
paradiso, fatto fiorire per lui. Scrive Vaccari: “Dio prima forma l’uomo di
limo tratto dal suolo, min ∑Ädämäh, e con infondergli lo spirito vitale ne fa
un perfetto individuo umano, una persona sussistente e vivente (nepheå
˙ajjäh); poi (v. 8), pianta un giardino nella regione di Eden e vi colloca
l’uomo (wajjĬem åäm ∑et hä∑ädäm). Il waw consecutivo pone fra le due
azioni divine una successione di tempo o almeno una distinzione logica, se
non entrambe. Comunque sia, è certo che l’uomo, in questo racconto biblico, ci viene rappresentato come creato fuori dal paradiso terrestre, giardino
dell’Eden. Ciò balza sopra tutto chiarissimo dall’esecuzione della condanna
inflitta all’uomo colpevole (Gen 3,23); Dio lo cacciò dal giardino dell’Eden, lo mandò a coltivare il suolo (∑et hä ∑Ädämäh) dond’era stato for10. Cf. Denzinger, 788; S. Pallavicini, Historia Concilii Tridentini, 1,7, c.9, n.1.
26
E. TESTA
mato... Se l’uomo fu creato nella sua intera e perfetta natura, fuori del
paradiso terrestre, vuol dire che questo luogo, con quanto importava la
dimora in esso, non entrava nelle esigenze della natura umana... Non poteva
dirsi in forma più energica, che l’uomo entrò al godimento del paradiso
terrestre dopo che fu altrove creato, e non vi andò con i suoi piedi, con le
sue forze naturali, ma vi fu trasportato da Dio, cioè, fuor di metafora, vi fu
messo per un favore superiore alle forze e alle esigenze della sua natura. E’
l’esperienza medesima del soprannaturale”11.
Già l’autore della vecchia opera Altercatio Synagogae et Ecclesiae,
Coloniae 1540, aveva scritto: “Adamo creato fuori del paradiso (come alcuni dottori pensarono), fu posto nel paradiso” (f. XXVIII, col. 3).
I verbi jQ"YIw" , Whj´NIY"w", “prese... e lo pose” (v. 15), furono desunti dal vocabolario dei patti e della redenzione d’Israele, che Dio prese dall’Egitto e pose nella terra promessa. Essi furono spesso in parallelismo con ayxiwOh , aybihe ,
oppure con jq'l; e aybihe (cf. Deut 30,4.5; Ez 36,24; 37,21; Is 14,2). Il verbo
jq'l; denota l’elezione gratuita (di Abramo, Gen 24,7; dei Leviti, Num 3,13;
del popolo santo, Deut 4,20; di David, 2Sam 7,8; Sal 78,7; di Salomone,
1Re 11,37; di Amos, 7,15), mentre il verbo j'yNIhi, più raro, indica la pace salvifica (Deut 3,20; Gios 1,13.15; Ger 27,11). In Is 14,1 leggiamo: “Il Signore avrà pietà di Giacobbe, ed eleggerà (rjæb;W) ancora Israele e li farà riposare (µj;yNIhiw“ ) sopra la loro terra”, la terra promessa, come nuovo paradiso; e
in Ez 37,12ss è detto: “Ecco Io aprirò le vostre tombe... e vi porterò
( ytiab´h´w“) nella terra d’Israele... e vi farò riposare (yTij]N"hiw)“ sopra il vostro
suolo”.
Anche il vassallo dei testi extrabiblici, senza nessun merito, per la bontà
e clemenza del re, veniva preso dalla sua miseria e posto in un feudo. Ma
c’è una differenza essenziale tra le due culture: che il vassallo dei documenti profani veniva posto in un feudo terreno, dopo una condotta umana
ineccepibile; Adamo, invece, come vassallo di Dio, subito dopo la creazione, viene destinato – come chiaramente insinua il racconto di Gen 2,8-25
– in uno stato di natura indebita, in un giardino paradisiaco, come in un
feudo che rettamente chiamiamo soprannaturale. Tanto il luogo, quanto il
modo di viverci, sono esibiti come qualcosa che supera tutte le esigenze
della natura umana.
Il vocabolario, perciò, solo materialmente è parallelo a quello delle
fonti extrabibliche.
11. “Il Soprannaturale in Gen 2-3”, in Questioni bibliche alla luce dell’Enciclica “Divino
Afflante Spiritu”, Settimane Bibliche 1947-1948, I, Roma 1949, 185ss.
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
27
a) Il termine hm;d:a} (che materialmente significa una regione, un suolo,
una terra comune ereditata privatamente), nel Genesi significa il luogo da
cui l’uomo – vassallo di Dio – è preso (2,7; 3,19), per essere collocato nel
paradiso, ove regnare insieme con Dio: sicché tra hm;d:a} e paradiso c’è una
differenza essenziale; mentre tra la terra e il feudo date dal re dei re al suo
vassallo non c’è nessuna differenza essenziale.
b) Dopo aver creato l’uomo, il Dio-Re piantò alberi, bellissimi a vedersi, in un giardino bagnato da un grande fiume, abbondante di oro e di
pietre preziose, simile al “paradiso delle voluttà” dei re terreni (Gen 2,814); ma ivi collocò, trasferì l’uomo vassallo, non per godere piaceri umani,
come i vassalli dell’ambiente, ma per usufruire di un qualcosa di estraneo e
gratuito alla propria condizione umana.
Infatti in questo orto paradisiaco, il vassallo Adamo godrà di privilegi e
di doni del tutto inconsueti per un uomo: il libero uso dell’intero paradiso e
di tutti i suoi beni (Gen 2,8.16); l’immortalità anche fisica (Gen 2,17),
almeno nel senso che mangiando dell’albero della vita, potesse non morire
(Gen 3,22). Ciò è manifesto dal seguito della narrazione (Gen 3,6-19) e
dalle varie riletture bibliche che seguiranno: nella Sap 2,23 leggiamo: “Dio
ha creato l’uomo per la incorruzione (e˙p∆ aÓfqarsi÷aØ )”, e in 1,13ss: “Dio
non fece la morte, né gode della perdizione dei vivi; ma creò ogni cosa
perché vivesse (ei˙ß to\ ei•nai ta» pa¿nta) e perché tutte le cose create fossero
salutari nel mondo e non ci fosse in esse veleno letale, né perché sulla terra
ci fosse il regno infernale”.
Adamo godrà la sapienza, cioè la piena coscienza di sé e della donna,
della natura degli animali, con rettitudine del cuore e integrità morale
(2,23); la grazia e la familiarità con Dio, Re supremo (Gen 2,18-23). Non vi
si oppone il fatto che, anche dopo il peccato, patriarchi come Noè, Abramo,
Mosè ed altri godettero di questa divina familiarità, perché questo fu un fatto raro e inconsueto, attuatosi solo in pochi eletti speciali e non senza un
qualche timore (Gen 15,12; Es 3,2-6; 1Re 19,9-13); e poi perché le visite
divine appartengono già alla “restaurazione” promessa da Dio, come si può
vedere in Gen 3,15.
Come nei prologhi storici dei patti ittiti, anche in Gen 2,4-15a e in altri
passi della Bibbia, si raccontano quelle cose che Dio-Re fece a favore del
suo vassallo, ma in un’atmosfera superiore: la sua partecipazione alla regalità divina; la sua intronizzazione solenne e i doni e i privilegi gratuiti, di
cui Dio-Re arricchiva l’uomo.
28
E. TESTA
b. Stipulazioni tra Dio e Adamo (Gen 2,15b-17)
Prima di tutto il vassallo deve “operare e custodire”, in modo cultuale,
l’albero del giardino. I verbi db'[; e rm'v; hanno un doppio significato, l’uno
umano e materiale (un servizio, una fatica pesante e una vigile cura nei riguardi dei nemici invidiosi), e l’altro un servizio religioso e cultuale. In
senso religioso il verbo db'[; significa far culto religioso e perpetuo, venerare e onorare il Dio Jahweh (Es 23,25; Deut 6,13; 11,13; 13,5; 28,47;
1Sam 12,14; Sal 2,11). Nel culto cerimoniale significa venerare Dio con
sacrifici ( latreu/w), per es. sul monte Oreb (Es 3,12; 4,23; 7,16; 10,8;
12,31; 2Sam 15,8); significa servire Dio obbedendogli (Ger 30,9); aspettare
il regno messianico (Is 60,2) o lo stesso Messia (Sal 22,31; 72,11). In
questo senso Adamo deve fungere come “servo di Jahweh”, adoratore fedele, a differenza del vassallo laico che doveva fare un lavoro materiale, un
servizio profano nella corte del suo benefattore.
Anche il verbo rm'v;, nella tradizione biblica, dev’essere interpretato in
modo cultico. Perciò significa “seguire la via del Signore” (Giud 2,22; Sal
18,22; 37,34; Prov 2,20); osservare la legge divina, i suoi precetti; eseguire
le promesse, i voti; osservare religiosamente i patti sacri, ecc. (Es 20,6; Gen
26,5; Deut 7,12; 2Sam 23,5; Deut 7,8; Is 56,2; Es 12,17). O semplicemente
significa adorare Dio, o come vuole il verbo accadico åamâru, venerare gli
dei (cf. Os 4,10; Sal 31,7). In questo senso Adamo dev’essere un “sacerdote”, “custode del comandamento” del proprio Dio; mentre il vassallo
laico dev’essere un fedele idolatra, quanto di più spregevole c’era per gli
Ebrei.
In quanto alla frase Hr:m]v;l]W… Hd:b][;l], i suffissi femminili non possono
riferirsi al giardino, come ha fatto la Volgata: “ut operaretur et custodiret
illum”, perché il termine corrispondente ebraico ˆG: è di genere maschile, ma
si deve riferire ad ≈[e, nome collettivo femminile, sicché Adamo, come i re
sumero-accadici, deve coltivare e difendere dai serpenti l’albero della vita
(P.A.H. De Boer).
Il precetto dato ad Adamo (Gen 2,16-17), come nei patti profani, è
strettamente personale, svolgendosi tra un Io e un tu; tra il grande Re che
comanda le leggi apodittiche (= Io) e il vassallo che deve obbedire (= tu).
Sicché, anche nel paradiso abbiamo lk'aOt aOl, tu non mangerai... tWmT; twOm,
morirai certamente (Gen 2,17). Le mogli, i figli, la città sono obbligati al
precetto, anche se sono nominati in second’ordine, perché racchiusi e
inclusi nella persona del vassallo. Perciò anche Eva, che fu costruita dalla
costola di Adamo, dopo il precetto divino, deve obbedire al comando
divino (Gen 1-3).
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
29
L’oggetto del precetto è conforme all’ufficio del vassallo, che non deve
infatti mangiare il frutto dell’albero del bene e del male, ma piuttosto custodirlo (Gen 2,17).
c. Fedeltà o infedeltà
Nelle stipulazioni profane, l’invito alla fedeltà (naßâru) si trova o nel prologo storico, oppure dopo i precetti 12. Nel prologo paradisiaco, lo stesso,
una volta è insinuato in modo profetico in Gen 2,21ss; e poi è narrato –
come istigazione del diavolo – in Gen 3,1-13.
In Gen 2,21-24 fu lo stesso Dio che “prese ( jQ"YIw" ) una delle sue costole...
ed edificò (ˆb≤YIw") la costa in donna, e la portò (h…a≤biy“w" ) ad Adamo”: quasi oggetto della futura tentazione dell’uomo. Infatti nel v. 23s si parlerà dell’amore, usando termini che nel vocabolario delle alleanze descrivono la
tentazione: “lascerà l’uomo (vyaiAbz:[}y") il padre suo e la sua madre e si
attaccherà (qbæd:w“) alla propria moglie”. Anche Salomone peccherà contro il
patto, aderendo alle donne con amore ardentissimo (hb…h}aæl] hmoløv] qbæD: µh≤B;,
1Re 11,2).
In Gen 3,1-13 è narrato che il serpente, nemico del Dio-Re, per perdere
la donna (che il Creatore aveva fatto come un aiuto dell’uomo), la spinse
all’infedeltà. Contro il precetto disse: “Non morirete punto” (ˆWtmuT] twOmAaOl,
Gen 3,4). Si tratta della dissoluzione del comando apodittico di Dio: “e
diede il frutto anche ad Adamo che era con lei” (HM;[i Hv;yail]AµG" ˆTeTiw"). Ed egli
ne mangiò! Così Adamo, contro il patto, antepose la donna e il serpente al
proprio re, come il popolo eletto a Beelfegor si iniziò con le figlie di Moab
(Num 25,1ss); come Salomone si accoppiò alle donne straniere (1Re11,
1ss); come Acab prese in moglie Jezabel e servì Baal e adorò l’idolo (1Re
16,31). E ciò contro la legge del Deuteronomio che comandava: “Non fate
patti con loro (con i popoli aborigeni della terra promessa)... non farete
matrimonio con loro. Non darai la tua figlia ai suoi figli, né prenderai la sua
figlia per il tuo figlio: perché lo sedurrà e non mi seguirà più, ma piuttosto
servirà gli dei stranieri” (Deut 7,2b.11).
A causa dell’infedeltà, Adamo si trasformerà in un vassallo che perde i
doni e i privilegi. Espulso dal paradiso perde anche la speranza di ritornarci
(Gen 3,23s) e così, perduta la felicità, ne perde anche il fondamento. Soggetto al debito naturale della morte, trova anche la via preclusa per prolungare in modo definitivo l’esigenza di una vita soprannaturale (Gen 3,19.22).
12. Cf. ANET, 203.
30
E. TESTA
Perciò spesso nell’AT si insegnerà che la morte è un effetto del peccato di
Adamo (Sal 90,3.7-12; Sap 2,24; Sir 25,23-33).
Perduta la primitiva innocenza, gli occhi dei protoparenti si aprirono
non per possedere la sapienza degli Elohim, ma per accorgersi di essere
nudi; onde, con quella prima colpa, i loro animi furono occupati da prave
inclinazioni (Gen 3,7) che crebbero nella natura umana (Gen 6,8; 8,21). Rei
di colpa grave, intesero in sé un Dio irato, invece che benevolo; e al posto
della sua grazia sentirono sopra di sé una maledizione.
d. Le maledizioni (Gen 3,14-19)
Nei patti profani, le maledizioni colpiscono ambedue i contraenti, se si
tratta di un patto tra pari; se invece si tratta di un patto tra ineguali colpiscono solo il vassallo e il suo regno. Anche nel Genesi le maledizioni
sono contro il regno del vassallo-Adamo, che è diventato infedele, contro il
serpente nemico del Sommo Re e contro la donna, causa della ribellione. La
terra – ossia la regione dalla quale l’uomo fu tratto – sarà maledetta nel
lavoro di Adamo (v. 17: Úr<Wb[}Bæ hm…d:a}h; hr:Wra}).
Il serpente sarà maledetto fra tutti gli animali (hm…h´B]hæAlK…mi hT…aæ rWra…, v.
14); Adamo ed Eva – dato che furono già benedetti da Dio (Gen 1,28) – qui
sono maledetti soltanto indirettamente, l’uno attraverso la sterilità della
terra, l’altra attraverso il concepimento e il parto nelle pene e nel dolore.
Come negli altri patti biblici, anche qui le maledizioni sono minacciate
durante un’interrogazione: per es., dopo il peccato, Giosuè interroga Achan
(Gios 7,19-21); dopo l’adorazione del vitello d’oro, Mosè interroga Aronne
(Es 32,21-24); dopo l’adulterio con Bethsabea, David è interrogato dal
profeta Nathan (2Sam 12,7).
A causa della legge della solidarietà, comune fra tutti i popoli semitici,
lo stato deteriore e le calamità, sono trasmesse anche ai posteri: per divina
sentenza, la lotta con il serpente è trasmessa anche ai successori (tra il seme
della donna e il seme del diavolo), non solo tra i due colpevoli (tra te e la
donna). Perché la lotta con il male si deve perpetuare nella stirpe umana;
con la cacciata dal giardino è perduta anche la strada del ritorno all’albero
della vita (v. 24); il disaccordo tra Adamo ed Eva (v. 12) continua nell’uccisione di Abele (Gen 4,8), nel cantico di Lamech (Gen 4,23), nell’incremento della malizia umana (Gen 6,1-7).
E questo perché tutti sono coinvolti con il capostipite: le minacce fatte a
costui, in caso di peccato, prima della creazione di Eva (Gen 2,17b), dopo
la creazione di costei si estendono anche ad essa (Gen 3,1-4). Sicché pos-
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
31
siamo affermare che il patto di Dio con Adamo non fu sancito con lui come
individuo, ma come capo di tutto il genere umano, capace di etica, cosicché, caduto lui, ogni individuo si trovò in uno stato di colpa, di pena e di
privazione di tutti i beni del protoparente. Le frasi, perciò, che si leggono
nei Sal 51,7; 57,4 e in Giob 14,4, si adattano assai bene a questo peccato di
natura, non però personale.
e. Le benedizioni e la speranza di perdono (Gen 3,15.20ss)
Nei patti ineguali si ha come nota principale la unilateralità, fondata sui
diritti del Grande Re; nella Sacra Scrittura, invece, nella verità e misericordia di Dio (tm,a‘w< ds,j,). Per cui, dopo il peccato dell’uomo, benché la punizione non manchi, pure questa non fu assoluta, ma solo medicinale: ai
penitenti è promessa sempre la riconciliazione. Nel nostro caso è promessa
nella maledizione scagliata contro il serpente: “Io metterò inimicizia tra te e
la donna, e fra il seme tuo e il seme di essa; essa (egli: LXX) ti stritolerà il
capo e tu insidierai al suo calcagno” (Gen 3,15).
Iddio che anche quando è adirato si ricorda della misericordia (Ab 3,2),
con queste parole dona agli uomini una speranza di riparazione. Dio stesso
è l’iniziatore di tale benigna speranza; ciò si manifesta attraverso il verbo
usato ( tyvia;, io pongo, stabilisco).
Nei patti profani, per es. in quello di Mursilis e Dubbi-Tessub, si racconta di una certa riconciliazione avvenuta dopo la rottura del patto; ma
questa riconciliazione non dipende dalla misericordia del re, ma dalla penitenza dello spergiuro: “Aziras, o Dubbi-Tessub, fu il tuo nonno. Egli si era
ribellato contro il mio padre, ma poi, di nuovo si riappacificò con il padre
mio, e quando il re Nuhassi e i re Kinza si ribellarono al padre mio, Azira
non si ribellò”13.
In questa inimicizia posta da Dio tra la donna e il serpente tentatore, si
ha una reazione contro il processo della colpa, e l’inizio della strada al suo
rimedio: la donna aveva compiaciuto al tentatore e perciò era incorsa nell’inimicizia di Dio; ora, invece, è stata fatta da Dio nemica del tentatore,
cosicché potesse ritornare amica di Dio. Nei patti profani, spesso, si legge
la sentenza: “Voi non avete un altro re, un altro signore sopra di voi”, che
nei patti biblici suona: “Non avrai dei stranieri alla mia presenza” (Es 20,3).
Oppure: “Sarai amico del mio amico, ma con il nemico sarai avversario”,
sentenza che si risente anche nell’alleanza biblica, ma pronunciata non dal
13. ANET, 203.
32
E. TESTA
vassallo, bensì dal Re divino: “Sarò nemico dei tuoi nemici, e affliggerò
coloro che affliggono te” (Es 23,22). La ragione della mutazione del soggetto è radicata nel fatto che agli uomini è impossibile avere spontaneamente amicizia con Dio; onde il profeta dice: “Convertici Signore... e noi ci
convertiremo a te” (Lam 5,21).
Nel patto adamitico, dunque, Dio promette alla donna inimicizia contro
il serpente; promessa che sarà perpetuata nella progenie, fino alla piena vittoria della stirpe umana, contro l’avversario (v. 15b).
Il vocabolo “seme”, metonimicamente, significa prole, progenie, per lo
più in senso collettivo (Gen 9,9; 12,7; 13,15); ma qualche volta anche in
senso individuale (Gen 4,25; 21,13; 1Sam 1,11), con facile passaggio dall’uno all’altro senso (2Sam 7,13ss). Nei riguardi del serpente il termine
“seme” non si deve prendere come indicante parentela di sangue, ma di costumi, non di natura ma di qualità (Is 61,9; 66,23; Dan 13,56; Mal 2,15;
1Mac 5,62).
Anche nei patti degli Ittiti, i diritti e i privilegi, la difesa e la lotta, si devono estendere al seme. Duppi-Tessub disse: “Quando io sarò morto, tu
considererai il seme mio, quello di Duppi-Tessub, come vassallo”. Ciò che
fu fatto dal re Mursilis: “Onde gli amici dei padri furono amici dei figli, gli
avversari dei padri furono avversari dei figli”, e ciò “in eterno”.
La lotta, sia nei riguardi del serpente che nei riguardi della donna, fu
espressa con lo stesso verbo πWv. Verbo che nell’AT si trova tre volte,
incluso il nostro caso: “Egli con un turbine mi ha abbattuto” (Giob 9,17);
“Con le tenebre mi ha circonfuso” (Sal 139,11). In tutti i tre passi conviene
il senso di “comprimere”, “costringere”, “abbattere” (cf. LXX; Sal 139,11
Volg), proprio come in accadico il corrispondente åepu, che significa “conculcare”, “calpestare con i piedi”. Ma la forza della locuzione non è da stimarsi solo in base al senso del verbo, ma anche e soprattutto dalla posizione
del corpo: il capo del serpente è massimamente vitale; il calcagno del seme,
infima parte del corpo e nei riguardi della vitalità assai accessorio, la cui
lesione, perciò, apporta un danno minimo. Dunque la vittoria è affermata a
favore del seme della donna.
Tra gli esegeti si disputa in che cosa consista questa vittoria e da chi sia
riportata. A noi interessa aver provato che in Gen 2-3 ci sia un patto donato
da Dio come Re, fruttuoso per gli uomini.
Il redattore pose all’inizio questa narrazione, desunta da J1 e J2 , come
proemio delle alleanze, sia di quelle patriarcali che di quelle dei profeti,
piene di misericordia e di benevolenza da parte di Dio (JEP + Ger, Ez e il
Deutero-Is); sia di quelle di Mosè, del Deuteronomio e del post-esilio,
piene di legalismo e di culto (Sinai, Moab, Giosia). Come patto mosaico,
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
33
Gen 2-3 segue il genere letterario dei patti dei vassalli, con il precetto (Gen
2,17), il verbo, i tentatori (la donna e il serpente) e le maledizioni. Come
patto dei patriarchi, al contrario, in Gen 2-3 abbiamo la piantagione del
paradiso, la gratuita elevazione dell’uomo eletto, il servizio intorno all’albero della vita con il verbo db'[;, e con la promessa della vittoria del seme
nella lotta.
Bibliografia sui patti con i patriarchi della storia primitiva. Nell’introduzione
al patto paradisiaco di Adamo (Gen 2-3) e a quello di Noè (Gen 9,[1-7] 8-17) non
mancano voci contrarie: notiamo J. Schildenberger, “Bund”, in J.B. Bauer (ed.),
Bibeltheologisches Wörterbuch, Graz-Wien-Köln 1959, 150-158, e le innumerevoli
controversie dei critici per sapere se Os 6,7 si riferisca ad Adamo e a un patto
paradisiaco, come ha sostenuto per secoli l’interpretazione tradizionale; oppure se
si riferisca al patto del Sinai o ad una città (J.D. Michaelis e J. Wellhausen: “come
Edom”, o “in Edom”; E. Sellin: “come in Aram”; H. Oort e R.H. Pfeiffer: “in
Ädämäh”; molti altri: “nella città di Adam”, di cui parla Gios 3,16). E se il Sir 17,114 si debba interpretare anch’esso del paradiso e dei protoparenti, ma in senso del
tutto positivo e non di condanna; oppure si debba interpretare filosoficamente
dell’uomo in genere (come nei LXX), e dal v. 10 in poi, si debba riferire al patto
del Sinai.
Questioni – come vedremo in seguito – ci sono anche nel patto di Noè, per
sapere se sia bilaterale, con impegni anche dell’uomo (vv. 1-7), oppure sia un patto
unilaterale, come suggerisce il TM che divide con samek Gen 9,1-7 da 9,8-11. Ciò
nonostante, L. Alonso Schökel difende in Gen 2-3 un’alleanza paradisiaca, di tipo
sapienziale in due validi articoli: “Motivos Sapienciales y de Alianza en Gen 2-3”,
Bib 43 (1962), specialmente 305-309; e “Sapiential and Covenant Themes in Gen
2-3”, TD 13 (1967) 393-406. Altri difendono il patto unilaterale di Noè: alcune
osservazioni si trovano in W. Eichrodt, Theologie des AT, I, Göttingen 1957, 24ss;
e in Porúbøan, Il patto nuovo.
Dinanzi a tutte le difficoltà sopra analizzate, è intervenuto a favore dei due
patti G. von Rad dicendo che esse non sono nate dalla presenza o meno del tema
del patto, ma dalla natura particolare delle due pericopi, che stanno in uno strano
isolamento, che però non ci deve indurre a considerarle senza rapporto alcuno con
la condotta particolare di Jahweh nell’alleanza: Genesi, Brescia 1978, 127s; 169s.
W. Cross, “Bundeszeichen und Bundesschluss in der Priesterschrift”, TTZ 87
(1978) 98-115, tra l’altro, prova che il documento P possiede anche un periodo
preletterario antichissimo, che risale prima del periodo dei profeti.
In seguito a queste polemiche non sono mancati autori che hanno presentato
nei loro commentari le varie ipotesi, senza pronunciarsi in merito. Commentando
Osea, F. Andersen e D.N. Freedman nella serie The Anchor Bible (Garden City New York 1980, 438s) elencano soltanto le tre ipotesi possibili di Os 6,7: a) ∑Adäm
= ∑adämäh, “come terra” (like dirty), “fangoso”, secondo la proposta di M. Dahood
e D.J. Mc Carthy; b) ∑Adäm = “la città Admah” di Os 11,8 e di Gios 3,16,
richiamata dall’avverbio di luogo µv; del contesto; c) ∑Adäm = “Adamo”, il
peccatore tipo, secondo la “traditional interpretation”.
34
E. TESTA
Sono favorevoli a questa interpretazione tradizionale del patto paradisiaco il
TM, la Volgata e Girolamo, nell’antichità; tra i moderni: A. Vaccari, “Il Soprannaturale in Gen 2-3”, in Questioni bibliche alla luce dell’Enciclica “Divino
Afflante Spiritu”, Settimane Bibliche 1947-1948, I, Roma 1949, 185ss; e tutti
quelli che n o n considerano µv; come avverbio di luogo, ma come particella
asseverativa, come interiezione derivata dall’accadico sum+ma: “Ecco, vedi!”;
“Guarda!”; “Allora”; ecc., e che considerano hM;hew“ non come pronome personale
della terza persona maschile plurale (“essi”), ma come interiezione “ecco”,
“allora”, derivata dall’ugaritico hm, hëmmäh. Tutti questi traducono Os 6,7 come
M. Dahood: “Ed ecco, come Adamo (come l’uomo) hanno violato il patto / ecco,
si son comportati slealmente contro di me”. Annoveriamo fra questi autori: E.A.
Speiser, “A Note on the Derivation of Åumma”, JCS 1 (1947) 321-328; A. Haldar,
“On the Problem of Akkadian Åumma”, JCS 4 (1950) 63-64; W.L. Moran,
“Amarna åumma in Main Clauses”, JCS 7 (1953) 79s; J.H. Patton, “Canaanite
Parallels in the Book o f Psalm 37”, C B Q 1 6 (1954) 16; M . Dahood, “Some
Northwest-Semitic Words in Job”, Bib 38 (1957) 307-308; C.F. Whitley, “Has the
Particle µv; an Asseverative Force?”, Bib 55 (1974) 394-398.
E’ chiaro che questi studi superarono quelli dei critici della prima metà di
questo secolo che considerano il termine ∑Adam come nome di una città, e µv;
come avverbio locale (vedi J.D. Michaelis, J. Wellhausen, H. Oort, R.H. Pfeiffer,
E. Sellin), sintetizzati da K. Budde, “Zu Text und Auslegung des Buches Hosea”,
JBL 53 (1934) 118-133 (specialmente 120-122). Ma stanno in armonia con gli
studi di L . Alonso Schökel che vede in G e n 2-3 elementi sapienziali e dell’alleanza di vassallaggio di tipo ittita, resa ovunque positiva e vicina ai patti unilaterali. L’autore considera, infatti, Gen 2,4-15a come i l prologo storico; Gen
2,15b-17 come le stipulazioni; Gen 2,21-3,13 come la fedeltà e l’infedeltà; Gen
3,14-19 come l a maledizione; Gen 3,15.20ss come benedizione e speranza d i
perdono.
Ma oltre questi motivi sapienziali e di alleanza, nella struttura letteraria del
testo, in G e n 2-3 ci sono vari altri elementi mitici per avere l a conoscenza
d’ordine pratico, l’intelligenza, il successo, la sapienza (lyKic]h'l], G e n 3,6c).
Adamo, come Urmensch, uomo primordiale, come Urvater, padre primigenio,
come Urkönig, re ideale, è posto nel giardino dell’Eden, per lavorare e custodire
l’albero della vita (Gen 2,15b; cf. P.A.H. De Boer, Genesis II en III. Het verhaal
van den hof in Eden, Leiden 1941, 4), e per avere un potere umano, limitato. Con
la proibizione, però, di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male
(Gen 2,17), buono a mangiare, dilettevole a vedere, desiderabile per avere la sapienza (Gen 3,6a), vale a dire per avere il potere assoluto, la forza divina, propri
della divinità [Gen 3,5; cf. G. Pidoux, “Encore les deux arbres de Genèse 3!”,
ZAW 66 (1954) 37-38].
In altre parole, l’Adamo del paradiso biblico è assimilato, in questi versetti, al
mitico Re primordiale della cultura assiro-babilonese, coltivatore, nel giardino degli dei, dell’albero della vita, vincitore contro il dragone (= il serpente della Bibbia)
dell’albero della conoscenza assoluta (= “Old Royal Dragon Killing Motive”); deve
perciò raggiungere la vittoria della vita sulla morte, del cosmo sul caos [cf. G.
Widengren, The King and the Tree of Life in Ancient Near Eastern Religion,
Uppsala 1951; I. Engnell, “‘Knowledge’ and ‘Life’ in the Creation Religion”,
VTSupl 3 (1955) 113-114].
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
35
Nonostante le varie difficoltà dei vecchi critici, possiamo accettare la posizione
degli esegeti moderni che vedono in Gen 2-3 un testo sapienziale con vari motivi
d’alleanza, sostenuti anche dalla mitica figura del Re assiro-babilonese, giardiniere
dell’albero della vita e vincitore del Drago/Serpente dell’albero del bene e del
male, vincitore della vita sulla morte, del cosmo sul caos.
Più unanimi sono gli autori nell’ammettere un patto sapienziale in Sir 17,1-14.
Però anche qui gli esegeti si sono divisi in due gruppi, per determinare di quale
patto si tratti, se di quello del paradiso terrestre oppure di quello del Sinai, almeno
dal v. 10 in poi.
Abbiamo rilevato troppe referenze e troppe critiche ai racconti di Gen 1-3, per
non sentirvi, almeno in filigrana, un patto con i progenitori. I difensori del patto del
Sinai dipendono dai LXX, che al posto di Adamo persona hanno usato il termine
a‡ n qrwpoß, l’umanità in genere, parlano, in modo filosofico, della dignità dell’uomo e della Legge del Sinai, magari trasgredita dagli Ebrei (cf. H. Duesberg,
“La dignité de l’homme (Sir 16,24-17,14)”, Bible et Vie Chrétienne 82 (1968) 521, e lo stesso L. Alonso Schökel, “The Vision of Man in Sirach 16,24-17,14”, che
pure in Gen 2-3 ha difeso l’esistenza del patto con i patriarchi, nel volume Israelite
Wisdom: Theological and Literary Essays in Honor of Samuel Terrien, New York
1978, 235-245. Egli divide la materia in tre aspetti filosofici dell’uomo in genere:
Str. I (Sir 16,26-17,5): l’uomo è creato mortale, elevato come immagine di Dio, che
ritorna in polvere, da cui è stato tratto; Str. II (Sir 17,6-10): Dio, secondo lo
stoicismo, ha donato all’uomo la lingua, occhi, orecchi, e cuore per comprendere;
occhi e cuore anche per valutare; Str. III (Sir 17,11-14): ha donato, inoltre, la legge
del Sinai, di carattere retributivo, positiva, con precetti e costumi, con un patto
eterno che porta alla gloria. Ma è proprio vero che il Siracide in questa pericope ha
parlato dell’uomo in generale, dal punto di vista di un israelita che pensa
all’universalismo?
B. Il patto di Noè nuovo Adamo
Secondo J. Guitton, il redattore biblico considera i fatti particolari in relazione alla storia di salvezza universale, ma non sotto l’aspetto materiale ed
economico, bensì puramente teologico, come una lotta tra il bene e il male.
Di solito, però, il male prevale sul bene, che piuttosto resiste, ma come un
piccolo seme (Is 1,9), che fa germinare la storia futura, che fa fruttificare la
perfezione dell’umanità e produce la salvezza del mondo.
1. La figura di Noè nel “Mondo Antico”
a. Il mondo antico (2Pt 3,5ss). Noè è questo seme salvifico (Sir 44,17-19)
gettato nell’umanità corrotta. G i à Lamec, suo padre, profetizza d i lui:
“Costui ci consolerà ( Wnm´j}n"y“, da µjn ) della nostra opera e della fatica delle
36
E. TESTA
nostre mani, a causa della terra che il Signore ha maledetto” (Gen 5,29);
cioè, ci consolerà da quella maledizione che per mezzo del diluvio ridurrà
la terra allo stato caotico primordiale. Secondo 2Pt 3,5ss, il cosmo arcaico
( aÓrcai√oß, 2,5), creato dall’acqua ( e˙x u¢datoß) e fecondato dall’acqua ( di∆
u¢datoß), un mondo molto buono (Gen 1,31), corrotto dai peccati degli
uomini (Gen 6,11-13), fu inondato dall’acqua del diluvio, che ricoprì tutta
la terra, comprese le più alte montagne (Gen 7,19-20). Questa fu la fine del
mondo antico, sicché il diluvio diventò il tipo del giudizio finale (Mat
24,39) e delle pene che colpiranno i nemici del popolo eletto (Gen 24,
1.18).
b. Le acque lustrali. Ma le acque del diluvio furono anche lustrali. Lo
dissero vari Padri. Come le acque primordiali nella creazione, così quelle
del diluvio, unite con la potenza dello Spirito Santo, crearono terra e cieli
nuovi (Gen 1,2; 8,1b). Dio, infatti, per mezzo del diluvio diede inizio ad
una nuova vita (aÓrch\n de÷ tina kainouv bi÷ou): onde il diluvio fu l’aÓrch/ delle
cose future, facendo con le acque una palingenesi e una vera resurrezione.
Il diluvio, dunque, fu una seconda creazione, un secondo mondo.
c. Noè come fine ed inizio. Come dice Filone, Noè segnò la fine e l’inizio
del genere umano, in questo mondo morente e risorgente: la fine ( te÷loß) di
quelle cose che furono prima del diluvio e l’inizio (aÓ r ch/) di quelle che
sarebbero avvenute dopo. In rapporto al mondo antico, Noè fu un “Resto”.
Ne ha parlato, come abbiamo visto, Sir 44,16-18 e lo ha ripetuto 1En 83,8;
106,17. Fu lui che redense i peccati di Adamo, diventando “vivificatore del
mondo”, “padre dei giusti”. Per questo, prima del diluvio, diventò predicatore di penitenza, di giustizia e della palingenesi. In rapporto, invece,
alla seconda creazione, Noè, come secondo Adamo, fu l’inizio di una nuova
umanità (aÓrch/), fu il fermento e la radice della futura costituzione degli
uomini. Egli sarà, in qualche modo, il padre del nuovo universo, il
rinnovatore del genere umano, l’autore del secondo mondo, invece di
Adamo.
2. Noè come nuovo Adamo
a. Noè oggetto di amore divino. Come Adamo, anche Noè fu oggetto di
amore divino (Gen 6,8; 8,1), per cui fu salvato con l’arca sul monte (Gen
8,4). Ambedue ebbero familiarità e potere sugli animali (Gen 2,19ss; 6,19;
7,2.9 passim), dei quali potettero usare a volontà (Gen 9,2.3). Commenta
Crisostomo: “Il buon Dio trovò un altro uomo che poté riparare, dopo il
peccato, l’immagine primiera, conservare i caratteri della virtù e mostrare
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
37
in sé la massima obbedienza ai comandi di Dio; riportò l’uomo al primo
onore, insegnandoci quasi, con le sue opere, quanto potere Adamo ebbe
prima della disobbedienza. Sicché la virtù del giusto, aiutata dalla divina
clemenza, riparò l’antico dominio, onde le bestie riconobbero di nuovo la
soggezione: infatti, appena esse videro il giusto, dimenticarono la loro
natura, cioè la loro ferocia, cambiando, in mansuetudine la ferocia insita
nella natura”14.
b. Il precetto di Dio. Anche Noè, come già Adamo, ebbe un precetto,
ma mentre Adamo lo disobbedì, Noè lo eseguì sempre. Seguita il
Crisostomo: “E come ad Adamo, dopo avergli concesso di abitare in
paradiso e goderne tali e tanti benefici, finalmente comandò di astenersi da
un solo albero, così a Noè, dopo aver promesso di non più mandare una
strage generale, né di inquietarsi altre volte, ma di far durare immoti tutti
gli elementi, fino alla consumazione del mondo, per completare il proprio
corso e il proprio ordine; e dopo che essi conseguirono la benedizione e
riebbero la prìstina potestà sugli animali e la promessa dell’uso delle carni,
solo allora comandò: ‘Però non mangerete la carne con l’anima sua’, vale a
dire con il suo sangue”15.
c. Privilegi e doni. Noè riconobbe questa potestà di Dio e il limite della
sua natura, come creatura, e obbedì al precetto, per cui riebbe i privilegi e i
doni che Adamo aveva avuto in paradiso. Invece della maledizione (Gen
3,18), ebbe la promessa fatta da Dio, il quale disse: “Mai più maledirò la
terra a causa dell’uomo” (Gen 8,21), al contrario ebbe la rinnovazione della
benedizione, come quella di Adamo in Gen 1,28-30. Commenterà
Crisostomo: “Vedi come qui (Gen 9,1-2) quel giusto conseguì di nuovo la
stessa benedizione che una volta ebbe Adamo, e rialzato ricuperò il
principato, per la sua virtù, anzi, per l’ineffabile clemenza del Signore”16.
Invece della morte, ebbe il potere di aumentarsi e moltiplicarsi, cosicché,
come quel famoso Ziusudra, anch’egli diventasse il “preservatore della
vegetazione e del seme dell’umanità”17, “l’autore del secondo mondo”, “il
vivificatore degli uomini” (Afraate). Finalmente, come Adamo, riebbe il
dominio sulle bestie (Crisostomo).
14. Hom. XXV, In Gen: PG 53,225.
15. Hom. XXVII, In Gen: PG 53,247.
16. Hom. XXVII, In Gen: PG 53,245.
17. ANET, 45.
38
E. TESTA
3. Il patto eterno
Questo tema costituisce il massimo argomento della similitudine di Noè
con Adamo.
a. Fu un patto cultuale? Secondo W. Eichrodt nella fonte J2 (Gen 8,2022), per mezzo di un sacrificio (tOl[o), Noè placò il Signore, il quale, dopo
aver odorato il profumo di soavità, disse: “Mai più maledirò la terra, mai
più percuoterò l’anima vivente. Dall’adolescenza, quasi per sua natura,
l’uomo è prono al male. L’ordine naturale, in futuro, sarà custodito per
sempre”. Perciò, in questa ipotesi, il patto sarebbe frutto di un’azione
cultuale di Noè, simile a quella del patto sinaitico, dal quale il patto
noachico dipenderebbe (O. Procksch). Ma questa relazione con il patto del
Sinai a noi sembra del tutto impossibile: 1) perché la teologia del nostro
autore è assai arcaica; infatti in seguito l’autore Jahwistico non ammette
nemmeno per un angelo la possibilità di prendere in cibo l’olocausto; fa
dire, infatti, dall’angelo a Manue che lo invitava: “Se poi tu vuoi fare un
olocausto, offrilo al Signore (Giud 13,16)”. 2) Anche se la frase: “Il
Signore ha odorato l’odore di soavità” si trova nel Levitico (1,9.13.17;
26,31) e perfino nei profeti (Ez 6,13; 16,19; 20,28), tuttavia, essa già si
trova nei miti babilonesi e proprio nelle narrazioni del diluvio. 3) Il
sacrificio, dunque, di cui qui si parla, non è richiesto da qualche patto,
ignorato dal Sitz im Leben, ma fa parte piuttosto del genere letterario del
diluvio. Per cui noi concludiamo che in Gen 8,20-22 non si ha un patto
cultuale.
b. Patto unilaterale. Come nella fonte J (8,21b), anche nella tradizione P
(Gen 9,8-17), la storia del diluvio finisce con la promessa del Signore di
non affogare mai più ogni carne con le acque e di non distruggere più la
terra con il diluvio (Gen 9,11). Promessa questa che nella tradizione P ha
preso la forma di un’alleanza, tuttavia gratuita e unilaterale. In questo modo
Dio, usando la figura letteraria dell’inclusione, attua quanto aveva
promesso in inizio del diluvio: “Firmerò il mio patto con te!” (Gen 6,18: P).
E questo patto sarà eterno (µl;wO[ tyrIB], v. 16), valido perciò per sempre, dato
che non dipenderà da volontà umana, né dalla moralità dell’uomo, ma dalla
gratuita misericordia di Dio che promette. E sappiamo che le promesse di
Dio sono senza pentimento (Rom 11,29). Perché, anche quando la terra
santa sarà contaminata dai suoi abitanti che hanno trasgredito le leggi,
hanno mutato gli statuti, hanno rotto il patto eterno (Is 24,5), rimarranno
sempre pochi uomini, un piccolo Resto, che eleveranno la loro voce e
loderanno. Grideranno fin dal mare, quando il Signore sarà glorificato,
perché – nonostante tutto – il Dio degli eserciti regnerà sul monte Sion e in
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
39
Gerusalemme, e sarà glorificato davanti agli anziani di essa (Is 24,14.23). I
cattivi tenteranno di rompere il patto, ma questo rimarrà a favore di pochi
uomini, a favore delle “Reliquie”, perché: “Ti ho abbandonata per un breve
momento / ma ti accoglierò con grande misericordia. / In un eccesso di
collera / ho nascosto la mia faccia a te per un momento / ma con eterna
benignità ho avuto pietà di te / dice il tuo Redentore Jahweh. Faccio questo
come ai giorni di Noè / quando giurai che le acque di Noè / non
inonderebbero più la terra / così giuro di non adirarmi contro di te / e di non
sgridarti più. / Anche se i monti possono spostarsi / e i colli vacillare / pur
non si allontanerà la mia benignità da te / e il patto della mia pace non
vacillerà / dice Jahweh, che ha Misericordia di te” (Is 54,7-10). E questo:
“Perché Noè fu trovato perfetto e giusto / nel tempo della collera diventò riconciliazione / perciò si salvò un Resto sulla terra / quando ci fu il diluvio. /
Un’alleanza perpetua fu stabilita con lui / perché nulla con il diluvio perdesse più la vita” (Sir 44,17-18). Come si vede, questo patto fu unilaterale e
gratuito da parte di Dio. Fu Lui, infatti, che promise: “Io stabilirò un patto”
( ytiyrIB]Ata, ytimoqih}w", Gen 6,18; 9,9.11.17), oppure: “Il patto che io donerò” (ˆtenO
ynIa}Arv,a} tyrIB], Gen 9,12). La frase tyrI B ] µyqi h e è ambigua tra: stabilire e
custodire (Kraetzschmar); e l’altra, tyrIB] ˆt'n:, tra: custodire e donare
(Eichrodt). L’autore ignora tutte le condizioni legali richieste di solito dagli
uomini. Infatti Noè fu come i giusti dei gentili, integro e perfetto nella sua
generazione, e camminò con Dio (j'nOAËL,h't]hi µyhiúla‘h;Ata,, Gen 6,9). Quest’ultima frase, “camminare con Dio”, grammaticalmente corrisponde alla
coniugazione arcaica e accadica in tan (ina mahar... atalluka = camminare
avanti al Dio Enlil, Marduk, ecc.) e significa un camminare moralmente
ripetuto più volte, secondo una bontà interiore non legale. Il termine µymiT;
poi, significa un uomo integro, irreprensibile, immacolato interiormente
verso un altro giusto; un modo di agire (Sal 119,80) secondo i dettami di
Dio, secondo la propria natura, non secondo la legge; uno, perciò, che è
immacolato, integro e perfetto (Deut 32,4; 2Sam 22; Sal 18,31). L’uomo
tamïm è colui che parla sinceramente (Sir 7,6; Am 5,10), che cammina per
una strada pulita (Sal 101,2.6), nella fedeltà (tm,a‘B,, Gios 24,14; Giud
9,16.19). Se questo patto fosse analogo agli altri patti storici derivati dalla
tradizione P, sarebbe necessario che da parte dell’uomo che lo contrae, si
fondasse sulla fedeltà, nel nostro caso sul precetto formulato in Gen 9,4-6
circa il sangue. In questo modo l’hanno interpretato gli Atti degli Apostoli
(15,20-29; 21,25), e più tardi, i Tannaiti ebrei. Essi hanno perfino numerati
i precetti che da questo patto noachico sarebbero stati comandati ai Gentili,
quelli necessari e niente di più: “... che vi asteniate dalle cose immolate ai
simulacri, dal sangue, dalle cose soffocate e dalla fornicazione” (At 15,29).
40
E. TESTA
Oppure che si astengano da sei interdetti: dall’idolatria, dall’omicidio,
dall’incesto, dal ladrocinio, dalla profanazione del Nome e dal mangiare
carni crude, in modo che osservino la giustizia. O, finalmente, secondo
altri, che si astengono da trenta interdetti. Tuttavia niente di questa
tradizione tardiva e legalistica ritroviamo nel nostro testo, né nel TM,
secondo cui la pericope 9,1-7 è separata da un segno di chiusura (samek)
dalla pericope seguente, che probabilmente ebbe un’origine differente.
L’unilateralità di questo patto è desunta anche da un certo parallelismo con
la tradizione J 2 di Gen 8,20-22, in cui – come abbiamo visto – Jahweh
promise la pacificazione con gli uomini, non in base alla loro bontà, ma
perché “i sensi e i pensieri del cuore umano sono proni al male sin dalla sua
adolescenza” (Gen 8,21b). La promise perciò in base alla misericordia
divina.
c. Patto universale e cosmico. Ne consegue che questo patto noachico
fu cosmico ed universale. Fu contratto, infatti, con gli uomini, con gli
animali e la stessa terra: “E quanto a me, ecco, io firmo il mio patto con
voi, così con gli uccelli, con gli animali domestici e con tutte le fiere della
terra con voi, con quelle che sono uscite fuori dall’arca, e con ogni altra
bestia della terra. Stabilirò il mio patto con voi, che ogni carne non sarà più
distrutta a causa delle acque del diluvio, e che non vi sarà più diluvio per
guastar la terra” (Gen 9,9-11). Né gli animali, né la terra sono responsabili
di loro stessi: onde è certo che questo patto fu gratuito, universale e
unilaterale. Fu un patto universale, non ristretto a un popolo e a una regione
prediletta. Dio comunica la sua misericordia salvifica a tutti gli uomini
presenti nei lombi di Noè, e a tutta la terra nuova del dopo diluvio, e per
tutti i tempi, un patto eterno (Gen 9,16). Universale e cosmico fu anche il
segno del patto (tyrIB]h'At/a), che durerà in sempiterno (µl;/[ trodol]) per lo
stesso Dio, per gli uomini e per tutti gli animali viventi: “Questo sarà il
segno del patto che io farò fra me e voi, e tutti gli animali viventi che sono
con voi, in perpetuo per ogni generazione” (Gen 9,12). Un segno cosmico:
“Io ho messo il mio arco nella nuvola, che sarà per segno del patto fra me e
la terra” (Gen 9,13). Un segno naturale che non dipende dalla volontà degli
uomini, come invece saranno i segni dei patti futuri, che saranno radicati
nella carne (come la circoncisione) o nell’azione (celebrazione del Sabato)
del contraente umano. Questo arco di Dio (yTit'n: yTiv]q'Ata,) che a volte sarà il
segno dell’ira divina contro i nemici (1Re 2,4; 3,12; Ab 3,9; Sal 7,13; Deut
32,33.42, ecc.), qui sarà come un’arma deposta ai piedi del Dio vittorioso,
ma misericordioso, che vuol rinunciare alla sua ira. E’ anche l’arco posto
tra le nubi, dopo la tempesta, che annuncia il ritorno del sole raggiante, che
con la sua iride congiunge la terra intera con il cielo, per indicare la pace
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
41
ristabilita. Esso apparirà tra le nubi e Dio, il cui trono si eleva nelle alte nuvole, si ricorderà del patto sempiterno firmato fra Lui e tutti i viventi che
vivono in terra (Gen 9,16-17).
4. L’isolamento del patto noachico
Abbiamo già visto che il patto di Noè, sia nella Bibbia, sia nell’ambiente
sumero-accadico e fenicio, si trova in uno strano isolamento.
a. Il patto di Noè è sui generis. Questo patto unilaterale, universale ed
eterno, non trova paralleli nella Bibbia e nemmeno nella letteratura dell’ambiente. I patti futuri biblici sono sempre confusi con la dottrina dell’elezione che è solo particolare, tanto se si parla di individui (per es. il patto
con Abramo e con gli altri singoli patriarchi, Isacco, Giacobbe, Fines e David), quanto se sono allargati ai gruppi (come quello dei sacerdoti, delle tribù che presero parte all’esperienza del Sinai, o quello di Giosuè a Sichem);
lo stesso nell’ambiente sumero-accadico, ittita ed egiziano, e dei popoli circonvicini (il patto di Ietro, con i Gabaoniti, con Hiram re di Tiro, con Ben
Hadad II, con Nabucodonosor, ecc.).
b. Il segno dell’arcobaleno. Anche questo segno universale, cosmico,
simbolo di pace, non trova riscontri biblici né ambientali. Nella Bibbia, di
solito, è legato con l’ira divina. Nelle iscrizioni accadiche non si trovano
mai riferimenti all’arco baleno ma piuttosto alla luna nuova che combatte
contro i nemici per difendere il protettore divino (cf. l’arco di Marduk),
perché possa diffondere la propria luce nel mondo. L’arco celeste, di cui si
parla nei presagi, raramente augura il bene, quasi sempre il male. Anche tra
i popoli indiani l’arco del Dio Indra è contro i demoni, e presso gli Arabi
l’arco del Dio Kuzah è un’arma bellica. Tra i Greci e i Romani, l’arco di
Iride è simbolo della tempesta e della guerra.
c. Esiste anche un patto con i figli di Noè? A questa domanda, W.
Eichrodt, il quale confonde il patto con il concetto di elezione, risponde in
modo affermativo. Partendo dalla tradizione J1 di Gen 9,25-27, in cui si
parla della benedizione e della maledizione dei figli di Noè, tema proprio
dell’elezione, che costituisce per lui l’ossatura della storia sacra e di tutti i
patti, crede di dimostrare il suo assunto. Ma noi, contro questa ipotesi,
notiamo quanto segue.
1) In Gen 9,19-27 (J+R) si svolge il tema delle invenzioni (qui della vite e del vino) e non quello dell’alleanza. Inoltre, dal v. 19, dalle parole:
“Questi sono i tre figli di Noè sparsi per tutta la terra”, abbiamo il tema dell’abuso del potere (si deride, infatti, il padre Noè che si è spogliato del man-
42
E. TESTA
tello di patriarca), e non dell’abuso della vita, proprio del diluvio. Poi, nella
tradizione del diluvio, i figli sono già sposati (Gen 7,7), mentre in quella
delle invenzioni sono ancora ragazzi, vivono infatti nella tenda del padre.
2) Duplice poi è la composizione letteraria della tradizione delle invenzioni: la parte più recente è prosa, quella più antica è poesia, di cui ignoriamo l’origine e la qualità. Sappiamo soltanto che i rapsodi, con canti ritmici, glorificavano o al contrario dileggiavano, con il genere letterario delle
benedizioni o delle maledizioni, il patriarca di una tribù, con scopi politici.
Questi canti iniziavano con i participi ËWrB; benedetto, rWra;, maledetto, e desumevano il tema dal nome degli eroi, dato che nomina omina.
3) Il valore di queste composizioni era quasi sempre sacramentale, magico, ed aveva effetto ex opere operato: né il mago, né lo stesso Dio potevano impedirne l’effetto, benché da questo spesso dipendesse la storia della famiglia e della tribù in modo necessario, essendo esse in nuce nei lombi
dell’eponimo.
4) Tuttavia è certo che questo effetto non deriva dal concetto di alleanza, ma dalla potenza della parola, che, come afferma lo Ps. Aristea, contiene in sé una dunastei÷a, un potere. Quando, poi, la parola usciva dalla
bocca del Signore, di essa lo stesso Dio affermava: “che non ritornerà a me
a vuoto; ma opererà ciò che io avrò voluto, e prospererà là dove io l’ho
mandata” (Is 55,11). Acquisterà, perciò, un potere massimo, i n virtù del
Nome pronunciato.
Anche la parola di benedizione produce in sé un grande effetto quando
è data da Dio, oppure da uno che possiede la potestà paterna (Sir 3,8.9): ha
una potenza creatrice. Lo stesso, la parola di maledizione ha in sé un effetto deleterio e diabolico. Questa, però, non deriva mai da Dio come soggetto, perché quando questi maledice, aggiunge sempre la dichiarazione: “Se
farai questo o quello, allora sarai maledetto…”. Al contrario, la potestà legale di maledire la posseggono i re, i giudici e i sacerdoti; e la potestà naturale l’hanno i padri e le madri (Sir 3,9b). Niente, perciò, nella nostra pericope si riferisce all’alleanza: perché non è Dio, ma Noè che maledice i
suoi figli o politicamente li benedice, fondato nell’effetto delle parole.
Bibliografia sul patto di Noè. Per l’introduzione vedi J. Guitton, Le développement des idées dans l’Ancien Testament, Aix-en Provence 1947, 53s.
Del mondo antico ne parlano: Filone, Vita Mosis, II, 64, e un testo liturgico
del III sec., in F.E. Brightmann, Liturgies Eastern and Western, I, Oxford 1896,
17; come pure Origene, Hom. in Gen II,3, ed. Baereus, 30, e tra i moderni, E.
Testa, “La distruzione del mondo per i l fuoco nella 2 ep. di Pietro 3,7.10.13”,
RivBiblIt 10 (1962) 252-282. Il diluvio fu una fine (te÷loß).
Sul diluvio come “acqua lustrale” ne parlò Tertulliano che scrisse: “Iniquitas
antiqua purgata est” (De Bapt. VIII: PL 1,1317). Lo seguirono Origene (In Gen
IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA
43
VI,11-12: PG 12,106) e Crisostomo (Hom. XXV, In Gen: P G 55,226). Inoltre
furono acque che crearono un nuovo cielo e una nuova terra: Cirillo Alessandrino, Glaphir. in Gen, lib. II,3 (PG 69,62), dando un nuovo inizio alla vita: Teodoreto di Ciro, Quaest. in Gen (PG 30,152). Furono veramente una aÓrch/, una palingenesi, una nuova resurrezione: Ireneo, Adv. Hebr., IV,16 (PG 7,1016); Asterius, Hom. in Ps., VI (PG 40,448), e diventarono tipo del giorno ottavo: Giustino,
Dial. CXXXVIII (PG 6,794). Il diluvio, dunque, fu una seconda creazione: Cirillo
di Gerusalemme, Cat. XVII,10 (PG 33,982); Efrem, “Hym. IV,21”, L’Or. Syr. 6
(1961) 224. Su Noè come fine ed inizio del genere umano parlò Filone, De Abr.,
XLVI; come un Resto del mondo antico: Afraate, Dem. XIII,7 (PS 1,555); come
predicatore della palingenesi: Teofilo di Antiochia, Ad Autol., III,19 (PG 6,1146);
Epist. Clem., VII, 6; IX,3; come radice della nuova umanità: Giustino, Dial. XIX
(PG 9,515); Crisostomo, Hom. XXVI,5 (PG 53,236); come il rinnovatore del
genere umano: Origene, Hom. in Ez IV,18 (PG 13,703) e Ambrogio, De Noe et
Arca, I (CSEL, 413ss). Al posto di Adamo, Noè sarà l’autore del secondo mondo:
Afraate, Dem. XIV (PS 1,655). Su tutti questi Padri scrivemmo nell’articolo: “La
figura di Noè secondo i SS. Padri”, LA 20 (1970) 138-165.
Di Noè come nuovo Adamo trattò il Crisostomo, Hom. XXV, In Gen (PG
53,225), e noi pubblicammo l’articolo “Noè nuovo Adamo, secondo i SS. Padri”,
RivBiblIt 14 (1966) 509-514. Il Crisostomo scrisse anche sul precetto osservato, a
differenza di Adamo: Hom. XXVII, In Gen (PG 53,247), e Cirillo Alessandrino
sui doni e privilegi che ebbe nel paradiso: Glaphir. in Gen, Lib. II (PG 69,62).
Ebbe la rinnovazione della benedizione: Crisostomo, Hom. XXVII, In Gen IX (PG
53,245); Afraate, Dem. XVIII (PS 1,817s), e la potestà di moltiplicarsi, Idem, Dem.
XIV,33 (PS 1,655); Dem. XIII,7 (PS 1,555). Finalmente ebbe il dominio sulle
bestie: Crisostomo, Hom. XXVII, In Gen IX (PG 53,245). Sul problema della
natura del patto di Noè, per i difensori di un patto cultuale, simile a quello del
Sinai, vedi W. Eichrodt che lo lega con il sacrificio di Gen 8,20-22, e O. Procksch,
Die Genesis, Leipzig 1924, 110. Per i difensori del patto cosmico vedi: L.
Dequeker, Noah a n d Israel: T h e Everlasting Divine Covenant with Mankind,
Louvain 1974, 115-129; W.J. Dumbroll, Covenant and Creation, Exeter 1984, 1146; E.A. Speiser, “The Durative Hithpael: A tan-Form”, JAOS 75 (1955/1) 121.
Sull’arcobaleno come segno cosmico del patto ha scritto M.V. Fox, “The
Sign of Covenant”, RB 81 (1974) 557-596, specialmente 570-573. Sull’isolamento
del patto noachico e del suo segno vedi Omero, Iliade, II, 286; III, 121; XI, 27;
XVII, 547; Ovidio, Metamorph., I, 270, e tra i moderni A. Weiser, Glaube und
Geschichte im AT, Göttingen 1961, 52ss; H.H. Rowley, The Biblical Doctrine of
Election, 1950; G.E. Wright, The Old Testament against its Environment, London
1950. Sul problema del patto di Noè esteso ai figli, secondo Gen 9,25-27, vedi Ps.
Aristea in R. Tramontano, La lettera di Aristea a Filocrate, Napoli 1931, § 162,
p. 157.
Emmanuele Testa, ofm
Pontificia Università Urbaniana, Roma
Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem
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E.Testa--Il concetto di alleanza nella storia primitiva