IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA (Gen 2,4-11,9) E. Testa Nel presente articolo, dopo aver trattato dei principi giuridico-religiosi delle alleanze, nei patti profani e in quelli religiosi secondo i testi biblici in genere, ed esserci soffermati sulla disputa dei biblisti sull’esistenza dei patti unilaterali e sul vocabolario usato nelle versioni, soprattutto nei LXX, e nel NT, ci restringeremo, nella parte storica, soltanto nei due patti conservati nella “Storia primitiva”, contenuta in Gen 2,4-9,17, vale a dire nel patto di Adamo e in quello di Noè. I. Principi giuridico-religiosi delle alleanze Prima di tutto parleremo dell’alleanza secondo i testi del Genesi, da Adamo a Giacobbe. La teologia dell’AT tratta dei rapporti tra l’umanità e la divinità, in modo storico, attraverso un’istituzione positiva, voluta dalla volontà divina, che si suole chiamare nel TM tyrIB], nei LXX diaqh/kh, nella Volgata pactum, foedus, testamentum. Il termine tyrIB] compare nel TM 180 volte, ma noi ancora non ne conosciamo la vera etimologia. Alcuni esegeti lo fanno derivare dall’ebraico, ma è più probabile la sua derivazione dal termine accadico barû che significa legare, oppure dal sostantivo birtu che significa vincolo. Generalmente, il termine indica un patto firmato tra individui, secondo certe condizioni che li obbligano reciprocamente. Nei vari testi in cui compare, il patto può trattare di relazioni umane, come il commercio, oppure di relazioni con la divinità, sicché abbiamo patti profani e patti sacri. 1. Patti profani Questi patti trattano di mutua pace, di amicizia, di aiuti militari e si dividono a) in patti tra eguali, in dignità e potenza (Gen 21,22s; 26,26-31; 31,43-55, ecc.); b) in patti ineguali, fra superiori ed inferiori (2Sam 3,1221); c) in patti tra privati (1Sam 18,3; 23,18). Anche il matrimonio è chiamato patto (Mal 2,14 e forse Prov 2,18). Nei testi poetici si parla anche di LA 45 (1995) 9-43 10 E. TESTA patti con la morte (Is 28,15), con animali (Giob 40,28), perfino con le pietre (Giob 5,23) e con i propri occhi (Giob 31,1). In questi patti fra uomini si richiedono le seguenti condizioni: a. Obbligo bilaterale fra le parti: un obbligo morale di diversi generi e gradi, per un fine buono o cattivo: Jojada, per es., fa un patto con l’esercito, contro Atalia, a favore del fanciullo Joas (2Re 11,4-17); vari popoli si confederano fra loro per distruggere Israele (Sal 83,6). b. Consenso esterno consistente in un rito, in un segno, in un giuramento, in un monumento: per esempio il re di Babilonia si legò con un principe ereditario di Giuda, che gli diede la mano giurando (Ez 17,18 wOdy: ˆt'n:) ; Abramo giurò un patto con Abimelec, dandogli come pegno pecore, buoi e sette agnelli (Gen 21,22-27); Giacobbe si legò con Labano elevando una stele, facendo un tumulo di pietre e mangiando con lui una cena sacra (Gen 31,43-55). c. Si pone una sanzione o una maledizione per colui che infrange il patto. d. Si usano frasi stereotipate, modi di dire particolari: tagliare il patto ( tyrIB] tr"K;, Gen 21,27; Es 23,32); entrare nel patto ( tyrIB]b' aB;, Ger 34,10; aybihe al causativo, 1Sam 20,8); dare, stabilire il patto (tyrIB] µyqihe, ˆt'n:, Gen 17,2; 6,18); osservare il patto (tyrI B ] rm' v ; , Ez 17,14); violare il patto ( tyrIB] rpehe, Ez 17,18); profanare il patto (tyrIB] lLeji, Sal 55,21). Il patto si fa con qualcuno (µ[i , Gen 26,28; ta≤ , 2Sam 3,12; l ], Es 23,32ss), il patto sia tra me e te ( Ún<ybeW ynIyBe tyrIB], 1Re 15,19). Il socio del patto, il confederato chi è obbligato al patto, grammaticalmente, si pone allo stato costrutto seguito da genitivo: i signori, i confederati del patto ( tyrIB] yle[}B' , Gen 14,13); gli uomini del patto (tyrIB] yven“a', Abd 7); il duce del patto (tyrIB] dygIn“, Dan 11,22); la terra del patto (tyrIB] ≈r<a, , Ez 30,5); la donna del patto ( tyrIB] tv,ae, Mal 2,14). 2. Patti sacri Si tratta di patti stretti fra Dio e l’uomo. Però ci si chiede: “E’ possibile stringere un patto bilaterale tra Dio e gli uomini?” A priori non è lecito parlare – come si fa nei patti profani – di qualche transizione tra Dio e gli uomini i quali possano dire a Dio do ut des! I due, infatti, non si possono trovare sulla stessa posizione giuridica. L’uomo, come creatura e servo della divinità, per diritto naturale, è obbligato a dare ciò che Dio vuole da lui, non per una qualsiasi convenzione; al contrario, ciò che Dio dà alle sue creature ha sempre il carattere di dono. Tuttavia, storicamente, si può veri- IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 11 ficare tra i due una forma di patto bilaterale, mediante la quale Dio offre all’uomo certe grazie, certi doni, certe promesse e obbliga l’uomo a certe leggi, a certi comandamenti e a certi riti. Da parte di Dio, in questi casi, si ha sempre una promessa solenne, con la quale si obbliga di donare qualcosa; da parte dell’uomo, nasce il dovere di corrispondere per gratitudine: cosicché si originano tra i due veramente diritti mutui e doveri. Prima di tutto, in questi patti sacri, giova notare i seguenti principi. a. Da parte della divinità, in tali patti, si esalta sempre il concetto di dono, l’esibizione della benignità, il nascondimento della maestà, cioè della ds,j,, ossia della pietà piena di misericordia, con cui Dio, quale padre, quale re e quale sposo, si lega con l’uomo, considerato vero amico, o con un popolo suo, eletto gratuitamente, in base ad un mutuo patto di fedeltà e carità. Anzi, in essi, Dio manifesta la sua maternità verso figli delle proprie viscere ( µymij}r", Ger 16,5; Sal 103,4). b. Sempre da parte di Dio, si manifesta l’obbligo dell’osservanza fedele del patto, non perché l’uomo abbia qualche diritto sulla volontà divina, ma perché Dio, nel legarsi con il patto, si è basato sulla propria verità, santità e sulle promesse giurate, cioè sulla tm,a‘, e perché i doni di Dio non si possono basare sul falso o sul pentimento (Rom 11,29). Da ciò si deduce che nella Sacra Scrittura, in questi patti, si lodano sempre la “verità e misericordia di Dio” (tm,a‘w< ds,j,, Gen 24,49; 47,29; ecc.), frase che significa “fedeltà e benignità divina”; per cui questi patti non sono sanciti in base all’eguaglianza tra i contraenti, ma in base all’ineguaglianza, cosicché si devono definire come una “concessione” di Dio che si lega all’uomo, in base alle sue promesse; non appartengono perciò a una convenzione, che suppone l’uguaglianza, ma solo la bontà divina, ferma e fedele. Si tratta perciò di un vincolo morale, che obbliga l’uomo verso Dio, non Dio verso gli uomini, ma verso se stesso, verso il suo giuramento alle promesse fatte. Sono perciò patti obbligatori per l’uomo, concessi gratuitamente da Dio. 3. Patti unilaterali Si disputa fra gli autori per sapere se nella Bibbia si parli di patti sacri del tutto unilaterali, cioè se una parte dei contraenti, quella divina, si obblighi verso l’altra, quella umana, non obbligata affatto; se esistano perciò contratti sacri, basati esclusivamente su promesse gratuite fatte da Dio. Alcuni esegeti, in seguito agli studi di Procksch, ne negano assolutamente l’esistenza, basati sul fatto che i testi indicano sempre due contraenti, non solo Dio che promette, ma anche l’uomo che si obbliga ad accettare tali promes- 12 E. TESTA se. Ma la maggior parte degli esegeti ne ammette l’esistenza. Costoro si fondano su vari esempi biblici. a) Nel patto con Noè e con i suoi figli – secondo il testo masoretico che ne tratta, dividendo con il samek Gen 9,1-7 da Gen 9,8-11, come se si trattasse di due pericope indipendenti – Dio promette in un modo assoluto di non distruggere mai più l’umanità con il diluvio (Gen 9,9.11), senza esigere alcunché da essa. b) Dio, in Num 25,12-13, loda Fines che ha ucciso l’ebreo che ha peccato pubblicamente con la madianita; e come premio, più che come obbligo, sancisce il patto eterno con il sacerdozio: “Ecco, dono a lui la pace del mio patto e vi sarà per lui e per il suo seme un patto sacerdotale sempiterno ( µl;/[ tN"huK] tyrIB] … µ/lv; ytiyrIB]Ata, … ˆtenO). Da parte dei sacerdoti non fu richiesto nessun altro obbligo oltre all’esercizio del proprio ufficio. c) Anche nel patto davidico di 2Sam 7,8ss ci sono due pericopi, di cui la seconda è certamente assoluta: il seme del re regnerà per sempre, come il sole, senza nessun obbligo da parte loro. Da questi testi risulta che, nella Bibbia, ci sono dei patti unilaterali che possiamo definire: un libero proposito di Dio di arricchire la propria creatura con qualche dono o beneficio, oppure di proteggerla (come nel patto con Noè) da qualche maleficio. Di solito tale proposito si manifesta come promessa, oppure (come nel patto adamitico) come concessione liberale. Lo scopo di Dio, in questi patti, è di manifestare e far adorare la propria divinità in modo degno, senza nessuna nuova imposizione naturale o positiva diversa da quelle che già esistevano prima dell’offerta del patto. 4. Il vocabolario dei patti usato nelle versioni Nei LXX, invece di sunqh/ k h , si usa il termine diaqh/ k h, per indicare il patto bilaterale, e premere l’idea della disparità tra Dio e l’uomo. Nel greco profano, come in Aristofane, prima dell’a. 439, e nei commediografi, raramente è usato tale vocabolo, frequentissimo al contrario nell’AT, per indicare i patti e le convenzioni tra i popoli, tra i principi e i privati (Gen 21,32; 26,28; 31,44); specialmente per indicare i patti stretti tra impari, come tra i re e i sudditi, tra i vincitori e i vinti, tra i potenti e i deboli (2Sam 3,12s; Gios 9,15; Ez 17,18). Soprattutto si usa diaqh/kh, per i patti sacri, per indicare la divina disposizione graziosa con cui Dio dona agli uomini alcuni benefici, stringendosi scambievolmente ad alcune obbligazioni (Gen 6,18; 9,9; 15,18; 17,2; 19,5; ecc.). IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 13 Nel NT spesso si ricordano le diaqhvkai, le alleanze che Dio ha stretto con Abramo, con Isacco, con Giacobbe, con il popolo d’Israele, con la casa di David e con i sacerdoti (Rom 9,4; Ef 2,12). Parlando dei libri ispirati dell’antica legge si usa metonimicamente la frase hJ palai÷a diaqh/kh, l’antica legge, l’antica alleanza; parlando dei patti fondati sulle promesse, si usa la frase diaqh/kh thvß e˙paggeli÷aß; parlando dei patti fra circoncisi, si usa la frase diaqh/kh peritomhvß. Perfino il NT, donato da Cristo come mediatore, si presenta quale hJ kainh\ diaqh/kh , nuova alleanza, essendo sancita nel sangue suo ( e˙n tw◊ ˆ aiºmati ) e nei riguardi dell’antica (Ebr 9,15; 2Cor 3,14) si presenta come nuova (kainh/ e ne÷ a , Mat 26,28; 2Cor 3,6; Ebr 12,24; Mar 14,24; Luc 22,20), come migliore (krei÷ttwn, Ebr 7,22; 8,6), come eterna (ai˙w¿nioß, Ebr 13,20). Per cui si hanno due testamenti (du/ o diaqhvkai, Gal 4,24), il secondo più santo, più perfetto del primo, migliore. Un ottimo studio l’abbiamo in L.G. Fonseca1. L’autore, in questo lungo articolo tratta: della etimologia di diaqh/kh secondo i numerosi documenti profani; di diaqh/kh nell’AT e nel NT; di tyrIB] – diaqh/kh, presi in senso religioso (dei patti patriarcali, del patto sinaitico e di quello messianico, secondo i profeti, e dei patti individuali); di tyrIB] – diaqh/kh nel testo alessandrino; di diaqh/kh nel NT (nei Sinottici, negli Atti degli Apostoli, in Paolo e nella Lettera agli Ebrei). Come conclusione, l’autore scrisse: “Gli autori del NT concepiscono il patto antico (diaqh/kh) come l’avevano concepito gli antichi agiografi: cioè, come patto tra Dio e gli uomini, istituito dall’unico Dio quale autore, ma in se stesso bilaterale, ineguale in gran parte, ipotetico; bilateralità che si manifesta soprattutto nel patto sinaitico, ma quasi mai in quello patriarcale (cfr. At 7,8), in cui si sottolinea massimamente la natura di promessa divina. Concepiscono la nuova alleanza (diaqh/kh ) quasi del tutto in modo parallelo: infatti è anch’essa un’alleanza istituita dall’unico Dio come pura benignità e filantropia (Tt 3,4), concetti propri di Paolo; ma in se stessa fondata sulle promesse divine e sui doveri dell’uomo; benché Dio alla sua realizzazione eterna, mediante la grazia infusa nei loro cuori, affinché gli uomini non recedano mai dal loro dovere. Se si ha soltanto questo, in nulla il nuovo patto, così come si manifesta, differisce da quello che i profeti molto prima avevano adombrato; ma in Paolo ci sono alcuni nuovi lineamenti, indicati non in modo oscuro, nella Lettera agli Ebrei: la natura del patto come testamento” 2. 1. “Diaqhvkh. Foedus an Testamentum?”, Bib 8 (1927) 31-50; 161-181; 290-319; 9 (1928) 26-40; 143-160. Cf. inoltre M. Weinfeld, tyrIB,] TWAT 1 (1973) 781-808. 2. Fonseca, “Diaqhvkh”, 158s. 14 E. TESTA Nei riguardi del termine “testamento” abbiamo quanto segue: il testamento è un dono: tra il testatore e l’erede non ci sono pari diritti; colui che dispone, e liberamente dispone, è il padrone della cosa; colui che riceve non ne ha nessuno stretto diritto, ma solo giuridico. Perciò nel testamento c’è l’intenzione del dono; e questo anche nel patto divino, che è infatti una condiscendenza e un favore di Dio. Questo soprattutto nel NT, in cui la nuova alleanza viene in vigore soltanto alla morte di Cristo. Bibliografia sull’alleanza in genere. M. Noth, Das System der Zwölf Stämme Israel, Stuttgart 1930, pone al centro della religione israelitica e della fondazione delle dodici tribù (o della anfizionia), la rinnovazione del patto del Sinai celebrata a Sichem; G. von Rad, “Das formgeschichtliche Problem des Hexateuch”, Stuttgart 1938, 1-72, pone la struttura letteraria e teologica di questo patto al centro di tutto l’Esateuco. De L’Alleanza nell’Esateuco, Macao 1957, parla anche U. Devescovi che ignora, però, del tutto il Sitz im Leben e si fonda soltanto sullo studio dei luoghi biblici esaminati sotto la luce della teofania. Scrissero ottimamente sul patto in genere P. van Imschoot, nell’articolo “L’Alliance dans l’Ancien Testament”, NRT 8 (1952) 785-805; W. Eichrodt nel suo volume Theologie des Alten Testament, I, Göttingen 1960, esamina sotto la luce del patto tutta la teologia dell’AT. Inizia dal concetto di tyrIB] e dallo stato della questione; poi fa l’analisi degli elementi costitutivi del patto, cioè della legge, del culto, di Dio come autore del medesimo, del nome, della sua natura e della sua attività. Parla diffusamente degli strumenti del patto e dei carismatici: i vedenti, i Nazareni, i giudici e i profeti, i sacerdoti e i re; finalmente fa un’analisi del giudizio di Dio e della consumazione messianica ed apocalittica. Anche per G. Cordero, “La Alianza, tema central del Antiguo Testamento”, Ciencia Tomista 89 (1962) 521-542, l’alleanza è un tema centrale nella Bibbia; lo stesso per D.J. Mc Carthy, “Berît and Covenant in the Deuteronomistic History”, VTSuppl 23 (1972) 65-86, e per P. Buis, La notion d’alliance dans l’Ancien Testament, Paris 1976. Altri autori si sono soffermati sulla struttura e sulla formulazione delle alleanze bibliche: J. Muillenburg, “The Form and Structure of the Covenantal Formulations”, VT 9 (1959) 347-365; K. Baltzer, Das Bundesformular, Neukirchen 1960; F. Vattioni, “La terminologia dell’alleanza”, Biblos-Press 6 (1965) 112-116; P. Buis, “Les formulaires d’Alliance”, VT 16 (1966) 396-411; G. Baena, “La terminología de la Alianza”, EstBíb 29 (1970) 5-54. Sull’alleanza come patto e misericordia di Dio ha scritto in ebraico M. Weinfeld, “dsjhw tyrbh. Bond and Grace. Covenantal Expression in the Bible and the Ancient World”, Leshonenu 36 (1971-1972) 85-105. II. Sviluppo storico delle alleanze bibliche In questa sezione dell’articolo tratteremo del succedersi delle alleanze dal patto paradisiaco di Adamo al patto nuovo di cui parlano i profeti; quindi ricercheremo il Sitz im Leben dei patti di vassallaggio degli Hittiti, degli A- IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 15 ramei di Sefire, di quelli trovati nel tempio di Nabu, negli scavi presso Nimrud (Kal∆u) e della loro struttura paragonata a quella del Deuteronomio. 1. Dal patto di Adamo al nuovo patto Sembra che Dio abbia iniziato la teologia dell’alleanza già nel paradiso terrestre con i nostri progenitori (Os 6,7?); certamente fece questo con Noè e i suoi figli (Gen 6,18; 9,9ss); seguirono poi i patti con i patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe; per estenderli, poi, con tutto il popolo eletto del Sinai, rinnovandoli nel tempio nazionale di Sichem (Gen 15,18; 17,2ss; Es 2,24; 6,4s; Lev 26,42; Sal 105,8; Es 24,4-8; 34,10ss.24ss; Lev 26,3-45; Deut 5,7). Secondo Geremia, tutti questi patti furono considerati strettamente legati fra di loro: “E tu dì loro: Così ha detto il Signore, Iddio d’Israele: Maledetto l’uomo che non ascolterà le parole di questo patto (cfr. Gal 3,10), che io comandai ai padri vostri di osservare quando li trassi fuori dall’Egitto, dalla fornace di ferro, dicendo: Ascoltate la mia voce e fate queste cose secondo tutto quello che io vi comando; e voi mi sarete mio popolo, ed io vi sarò Dio (Ger 7,23); acciocché io metta ad effetto il giuramento che io feci ai vostri padri, di dar loro un paese stillante latte e miele come si vede al dì d’oggi” (Ger 11,3-5). Iddio firmò patti anche con Levi (Deut 33,9; Mal 2,8; Neem 13,29) e con Fines (Num 25,12ss), che diffondono nel popolo eletto la religione; con David e i suoi figli che fondarono il regno e governarono la nazione (2Sam 25,5; 7,8ss; Sal 89,4.29). Anzi, per il tempo messianico, predisse un “patto nuovo” (Is 55,3; 61,8; Ger 31,31; 32,40; Ez 16,60; 34,25; 37,26), e destinò il “Servo di Jahweh” come attore di tale patto (Is 42,6; 48,8), che chiamò “patto sacro” (vd<qø tyrIB]), su cui si appoggiò la teocrazia d’Israele (Dan 11, 28.30.32). Tutta l’economia salvifica del Dio rivelante, dall’elevazione dell’uomo allo stato paradisiaco fino alla consumazione messianica, si attua per mezzo dei patti e del testamento. 2. L’influsso dei patti di vassallaggio dell’ambiente Benché tutta l’economia della rivelazione sia ricapitolata tanto nell’A quanto nel NT, nel concetto di alleanza, tuttavia, gli autori hanno tentato di 16 E. TESTA trovarne la base, il Sitz im Leben, i gradi e le amplificazioni del concetto, nella cultura extra-biblica3. 3. La struttura dei patti di vassallaggio e il Deuteronomio In questi patti unilaterali e sacri tra un re e il suo vassallo si trovano i seguenti elementi strutturali. a. Introduzione. Questi trattati, negli scritti ittiti, incominciano con un umma = “Così dice N.”, proprio come nella Scrittura sacra: “Così dice il Dio d’Israele”: laer:c]yI yheúla‘ hw:hy“ rm'a;AhKo, Gios 24,2). Segue poi una presentazione solenne e breve, con il nome, il titolo, la genealogia dell’attore dell’alleanza. b. Il racconto storico. Si delineano i fatti e le relazioni del passato avvenuti tra il re e il vassallo, soprattutto circa l’intronizzazione dell’ultimo e circa i benefici gratuiti con cui fu arricchito dal re4. c. Le stipulazioni. Il re, da parte sua, fa promesse, del resto molto generali, circa l’assistenza militare nelle guerre del socio; il vassallo si fa garante di varie clausole particolari, secondo il principio generale: “Eris amicus cum amico meo, cum inimico autem eris adversarius”. Si obbliga, perciò, alla fedeltà circa le stipulazioni del trattato e circa il giuramento (naßrü amate åa riksi... åa mamïti); si obbliga al tributo, al rispetto degli amici del re e alla condotta stabilita nei riguardi dei fuggitivi. d. Il documento sacro. Il contratto scritto e firmato è deposto ai piedi della divinità (ana pani = “avanti alla faccia”) e se ne obbliga la lettura periodica, pubblica e solenne, in una vera liturgia. Il patto, perciò, ha un carattere divino. e. La maledizione e la benedizione. Le divinità si invocano come testimoni e se ne implora la benedizione per chi rimane fedele ai patti e la maledizione per gli spergiuri. L’unilateralità di questi patti si ricava dal fatto che il re stringe il vassallo con un legame (riksu, rikiltu); mentre, al contrario, il suddito è vincolato al giuramento ( mamïtu), per cui il documento è definito “tavola del legame e del giuramento” (tuppu åa rikilti ù åa mamïti). 3. V. Koroåec analizzò i documenti ittiti scrivendo l’opera con il titolo Hethitische Staatsverträge. Ein Beitrag zu ihrer juristischen Wertung, Leipzig 1931, che poi G.E. Mendenhall applicò alla struttura del patto sinaitico, in due articoli: “Ancient Oriental and Biblical Law” e “Covenant Forms in Israelite Tradition”, BA 17 (1954) rispettivamente 26-46 e 50-76; che nel 1956 riunì in un opuscolo con il titolo Law and Covenant in Israel and the Ancient Near East. 4. ANET, 203s. IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 17 I patti che si trovano nella Sacra Scrittura, risalenti al tempo di Mosè, hanno la stessa struttura letteraria di quelli ittiti ora analizzati? Secondo G. von Rad nell’intero libro del Deuteronomio: il racconto storico degli avvenimenti nel Sinai (cc. 1-10); la legislazione (cc. 12-26); la conclusione del patto (c. 26,16-19); benedizione e maledizione (c. 27); lettura periodica del documento nella festa dei tabernacoli (c. 21,10b-11)5. Secondo J. L’Hour, si trovava la stessa struttura nella rinnovazione del patto del Sinai che si celebrava a Sichem. L’autore prima esamina i patti extra-biblici del II millennio (per es. il patto tra Ôattuåiliå III e Ramses II6; inoltre tredici altri patti tra il re e il vassallo); poi quelli del I millennio (per es. le iscrizioni di Sefire dell’VIII sec. a.C., cioè il patto tra KTK e Mati„el) e i patti scoperti a Nimrud. Poi esamina la natura deuteronomistica di Gios 24, di cui presenta lo schema e la struttura: vv. 1-2aa: presentazione degli attori, che sono: Giosuè, tutte le tribù d’Israele, i principi primogeniti, i giudici e maestri che si misero al cospetto del Signore; v. 2ab: le presentazioni di quelli che sancirono il patto: “Così dice il Signore Dio d’Israele”; vv. 2b13: il racconto storico contenuto in una formula liturgica (quasi un “credo”); vv. 14-24: la stipulazione: vv. 14-15: “Or dunque, temete il Signore... togliete gli Dei... eleggete, oggi, a chi servire, se agli Dei oppure al Signore”; vv. 16-18, risposta del popolo: “Noi serviremo al Signore perché Egli è il Dio nostro!”; vv. 19-20, minacce fatte da Giosuè: “Se servirete gli dei stranieri, Iddio vi affliggerà”; v. 21, seconda risposta del popolo: “Non così... ma noi serviremo il Signore!”; vv. 22-24, dialogo tra Giosuè e il popolo; vv. 25-26: conclusione del patto e il deposito sacro: “Così Giosuè fece in quel giorno il patto con il popolo, e propose al popolo statuti e leggi in Sichem. Poi scrisse queste parole nel libro della Legge di Dio; prese una grande pietra e la rizzò ivi sotto la quercia che era nel santuario del Signore”; vv. 27-28: la pietra di testimonianza... e dimissione del popolo. Il nostro autore, dopo lo schema, esamina i luoghi paralleli, Gios 8,3035 e Deut 11,29-30, circa le benedizioni e le maledizioni da pronunziarsi sui monti Garizim ed Ebal, e soprattutto Deut 27 (Ur-Deuteronomium) che nei vv. 1-8 parla della erezione sul monte Ebal di stele di pietra su cui erano scritte le parole della legge; e della costruzione di un altare di pietre rozze per offrirci olocausti; e nei vv. 9-10 che contenevano parole di esortazione del popolo; e nei vv. 11-26 che analizzavano varie maledizioni e benedizioni, per i ribelli e gli osservanti. 5. Cf. Gesammelte Studien, 33-41. 6. ANET, 199-203. 18 E. TESTA Finalmente fa il raffronto tra questo patto di Sichem con il codice del patto e come conclusione afferma che il redattore volle unificare con tali testi la tradizione sichemita con quella del Sion, le quali ebbero come Sitz im Leben i patti degli Ittiti tra il re e i vassalli, aggiunti però alcuni particolari differenti: a. nel patto biblico si ha un mediatore (Mosè o Giosuè); b. il patto non è contratto tra Jahweh e il vassallo, ma tra Jahweh e il popolo, non però anonimo, ma “comunità sacra”; c. il fine del patto biblico non è alcunché di profano, ma è eminentemente etico. Bibliografia sui patti e il loro ambiente. In questa sezione la letteratura sviluppa prima di tutto il tema del nuovo patto. Essendo il materiale assai numeroso, noi ricordiamo soltanto gli articoli e le opere più importanti: P. von Imschoot, “L’Esprit de Jahwé et l’alliance nouvelle dans l’Ancien Testament”, ETL 13 (1936) 201-220; “L’Esprit de Jahwé, principe de vie morale dans l’AT”, ETL 16 (1939) 457-467; H. Ortmann, Der Alte und der Neue Bund bei Jeremia, Berlin 1940; R. Schreiber, Der Neue Bund in Spätjudentum und Christentum, Tübingen 1954-55; A. M. Dubarle, “Le don d’un coeur nouveau”, Bible et Vie Chrétienne 14 (1956) 57-66; Å. Porúbøan, Il Patto nuovo in Is. 40-66, Roma 1958; R. Martin-Achard, “La Nouvelle Alliance selon Jérémie”, RevThPh 12 (1962) 82-92; J. Coppens, “La Nouvelle Alliance en Jer 31,31-34”, CBQ 25 (1963) 12-21; P. Buis, “La Nouvelle Alliance”, VT 18 (1968) 1-15. Un altro tema studiato dagli esegeti fu quello dei rapporti tra le alleanze dell’AT e quelle dell’ambiente: V. Koroåec le mette in rapporto con i documenti ittiti, Hethitische Staatsverträge. Ein Beitrag zu ihrer juristischen Wertung, Leipzig 1931; D.J. Mc Carthy, Treaty and Covenant. A Study in Form in the Ancient Oriental Documents and the Old Testament, New Edition, Roma 1981; F. Vattioni, “Recenti studi sull’alleanza nella Bibbia e nell’Antico Oriente”, AION 17 (1967) 181-226. Un altro tema fu quello della stretta relazione tra le varie alleanze dell’ambiente extra-biblico e il Deuteronomio, iniziato da G. von Rad nel lontano 1929 nel volume pubblicato a Stuttgart con il titolo: D a s Gottesvolk i m Deuteronomium, ristampato poi in Gesammelte Studien zum Alten Testament, München 1971, 33-41, e 1973, 9-108; tema che fu approfondito da D.J. Mc Carthy, “Berît and Covenant in the Deuteronomistic History”, VTSupl 23 (1972) 65-85; e f u riscoperto da J. L’Hour nella rinnovazione del patto del Sinai, fatta a Sichem, seguendo i testi deuteronomistici di Deut 27; Gios 8,30-35 e Gios 24, nel lungo articolo intitolato “L’Alliance de Sichem”, RB 69 (1962) 5-36; 161-184; 350-368. Testi che secondo il nostro autore sarebbero tributari delle iscrizioni di Sefire e di quelle del tempio di Nabu e di Nimrud. Le prime già studiate da altri autori: A. Dupont-Sommer - J. Starcky, “Une inscription araméenne inédite de Sefire (Stèle III)”, BMB 13 (1956) 23-41; “Les inscriptions araméennes de Sefire (Stèles I et II)”, Extrait des Mémoires présentés par divers savants à l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, tome XV, Paris 1958; e da J.A. Fitzmyer, “The Aramaic Suzerainty Treaty from Sefîrë in the Museum of Beyrouth”, CBQ 20 (1958) 444-476; cui W.L. Moran, recensendo i libri di G.E. Mendenhall e di K. IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 19 Baltzer, aggiunse altri testi che pubblicò in Bib 41 (1960) 297ss e 43 (1962) 100106. Le iscrizioni del tempio di Nabu e di quelle di Nimrud furono pubblicate da D.J. Wiseman con il titolo “The Vassal Treaties of Esarhaddon”, Iraq 20 (1958) 1ss. III. I patti dei patriarchi della Storia primitiva Mentre dei patti sinaitico e sichemitico, come abbiam visto, molto fu scritto, dei patti dei patriarchi della “storia primitiva”, di quello adamitico e di quello noachico solo pochi esegeti trattarono. Della storia paradisiaca (Gen 2-3) ne scrisse L. Alonso Schökel, considerando Dio come un re e Adamo come un vassallo, scoprendovi elementi sapienziali e temi di alleanza. Del patto di Noè (Gen 9,9-17) abbiamo qualche cenno in W. Eichrodt e specialmente in Å. Porúbøan, ma non senza difficoltà. Anzi Schildenberger scrisse direttamente contro la possibilità del patto adamitico e parecchi critici trovarono molte difficoltà, come abbiamo già accennato, nel legare Gen 9,1-7 sui doveri da parte degli uomini, con 9,9-17 sulla promessa unilaterale da parte di Dio di non distruggere più l’umanità con il diluvio; e scoprirono, inoltre, anche nella pericope che parla chiaramente del patto (v. 9: “quanto a me, ecco, io firmo il mio patto con voi e con la vostra progenie dopo di voi”) parecchi doppioni: promessa dell’alleanza: v. 9 = v. 11; segno dell’alleanza: v. 14 = v. 16, ecc., per cui si potrebbero ricavare con facilità due recensioni indipendenti. Difficoltà, queste, che nascono, secondo G. von Rad, non dalla presenza o meno del patto, ma dalla natura particolare delle due pericopi. Nei rapporti del patto genesiaco il lodato autore scrive: “All’interno dell’AT i contenuti di Gen 2, e in particolare di Gen 3, stanno in uno strano isolamento. Più nessuno, né un profeta né un salmista né un narratore, farà una minima allusione riconoscibile alla storia della caduta. Perciò si giudicherà rettamente lo Jahvista solo considerandolo in questa sua unicità: completamente libero davanti alle tradizioni ricevute e neppure iniziatore egli stesso di una tradizione o di una scuola. Ma ciò non dovrebbe indurci a considerare questa sua testimonianza preistorica della creazione e della caduta come sostanzialmente a sé stante e senza rapporto alcuno con quella della condotta particolare di Jahweh nell’alleanza. Soltanto ciò che l’autore sapeva di Jahweh, Dio d’Israele, poteva autorizzarlo a scrivere in questi termini. Certo, gli argomenti di cui amava parlare altrove, la fede d’Israele, per bocca dei suoi storici, sacerdoti e profeti, erano diversi da quelli di 20 E. TESTA questa storia primitiva; tuttavia fra le due parti corrono svariate e importanti linee di unione”7. Nei rapporti del patto di Noè, sempre von Rad scrive: “Di un patto fra Dio e Noè non si parla in nessun altro punto nell’AT. Questo patto noachico è diverso, però, da quello con Abramo e del Sinai e da ogni altra alleanza: in questi casi i singoli o il popolo erano chiamati in maniera del tutto personale a un rapporto di comunione con Dio, e quindi posti di fronte a l problema d i accettare questo ordinamento; invece il segno dell’alleanza con Noè si trova al di sopra dell’uomo, tra cielo e terra, come pegno di una vera gratia praeveniens, senza che si richieda un’accettazione da parte del contraente terreno. Davanti a questa manifestazione visibile della volontà salvifica divina, l’umanità, terrorizzata dalle forze elementari del caos, attingerà sempre nuova fiducia che Dio intende aver pazienza con questo eone e garantisce la stabilità del suo ordine. La parola ebraica tradotta da noi con ‘arcobaleno’ significa di solito, nell’AT, l’arco di guerra. In tal modo ci troviamo di fronte ad un’immagine di vetusta bellezza: Dio mostra a l mondo che ha deposto il suo arco. La benedizione di questo nuovo rapporto di grazia viene sperimentata dall’uomo nella stabilità dei cicli naturali, quindi dapprima solo nell’ambito di forze elementari impersonali”8. A causa della penuria di esegeti che hanno affrontato questi due patti, isolati stranamente da tutti gli altri presentati dalla Bibbia, abbiamo l’ardire di sottoporli ad un esame teologico con la speranza di scoprir qualcosa della loro natura. A. Il patto di Adamo protoparente dell’umanità La storia primitiva (Gen 2,4-9,17) inizia con un patto paradisiaco (Gen 2,43,24). Come agenti compaiono Adamo ed Eva, protoparenti dell’umanità. Secondo gli esegeti – non senza opposizione di alcuni – ne parlerebbero Os 6,7 e Sir 17,1-14. E’ certo, però, che la struttura letteraria dei due capitoli di Gen 2-3 risente del patto di vassallaggio degli Ittiti, anche se il redattore cerca di avvicinarlo, per quanto può, ai patti unilaterali della Bibbia. Inoltre in essi ci si risentono temi sapienziali e di alleanza e di miti del re primordiale assiro-babilonese, giardiniere degli dei e vincitore della lotta contro il dragone/serpente, per raggiungere la vittoria della vita sulla morte, del 7. G. von Rad, Genesi, Brescia 1978, 127s. 8. Von Rad, Genesi, 169s. IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 21 cosmo sul caos. E’ certo inoltre che nella pericope del Sir 17,1-14 si risentono vari versetti sapienziali del Genesi, almeno in filigrana, mentre pare difficile che un autore ebreo dipenda per un’intera pericope da idee filosofiche classiche sulla dignità dell’uomo. 1. Osea 6,7 Ecco il testo del profeta Osea: tyrIb] Wrb][; µd:a;K] hM;hew“ ybi Wdg“B; µv; (6,7). La Volgata ha tradotto: “Ipsi autem, sicut Adam, transgresssi sunt pactum; ibi praevaricati sunt in me”. In tutta la sezione si parla della trasgressione del patto sinaitico (Os 4,1-14,2), specialmente in Os 8,1, per spiegare la trasgressione delle alleanze profane con l’Egitto e con l’Assiria (Os 4,17; 5,13; 7,11-13.16; 8,9.13; 9,3.6; 12,2). Sembra che il TM, certamente la Volgata, voglia comparare tali trasgressioni con quella fatta da Adamo nel paradiso terrestre. Girolamo, che accetta questa ipotesi, commenta il testo di Osea: “Essi hannno imitato Adamo, sicché, come questi aveva fatto nel paradiso, trasgredendo il mio patto e la legge, così essi fecero in terra”. Ma i LXX furono contro questa possibile interpretazione, avendo tradotto il versetto nel modo seguente: aujtoi« de÷ ei˙sin wß a‡nqrwpoß parabai÷nwn diaqh/khn. e˙kei√ katefro/nhse÷n mou , “essi, poi, furono come l’uomo che trasgredì l’alleanza e lì mi di- sprezzò”. Cioè essi, come l’uomo in genere, vale a dire nella maniera umana, oppure come gli uomini che non ebbero i privilegi d’Israele, disprezzarono il patto del Signore. Fece sua questa interpretazione van Hoonacker, che ci rimanda a Giob 31,33: “Se io ho coperto il mio misfatto, come fanno gli uomini (µd:a;K]), per nascondere la mia iniquità nel mio seno...”. Dunque, in questo versetto di Os 6,7, non avremmo nulla che si riferisca a un patto di Adamo e a un suo peccato di trasgressione. Anzi non mancano critici che considerano il termine µd:a; come un nome di luogo: J.D. Michaelis legge µdoa‘K,, come Edom; J. Wellhausen, seguendo il codice 554 del De Rossi, legge µdoa‘B,, in Edom; H. Oort e R.H. Pfeiffer leggono hm;d:a}B;, in Adamah; E. Sellin µr"a}K', in Aram. Le ragioni che portano tali autori sono le seguenti: 1) la testimonianza dei LXX che hanno una versione differente da quella del TM; 2) l’assenza di un patto in Gen 2 e 3; 3) il fatto che i documenti J, E e D ignorano del tutto il nome personale di Adamo prima del documento P, che è assai tardivo; 4) l’ottimo senso che si 22 E. TESTA ha nelle versioni, specialmente dei LXX9. Ma non tutte queste ragioni hanno un solido valore: la versione dei LXX è piuttosto una traduzione greca del vocabolo ebraico µd:a;, che oltre nome proprio può significare anche il nome comune di “uomo / a‡nqrwpoß”; vedremo in seguito che in Gen 2-3 ci può essere anche il tema di patto; è certo che il documento P ha anche un periodo preletterario antichissimo, che risale prima del periodo dei profeti. Tuttavia è probabile che in questo testo di Osea, µd:a; si debba prendere come nome di luogo, per il fatto ch’è seguito dall’avverbio locale µv; nello stico seguente, e per il fatto che in Os 11,8 potremmo avere un parallelo, leggendovi: “... come ti renderò simile ad Adamah (hm;d“a'k]) e ti ridurrò nello stato di Seboim”? Sappiamo che Adamah in questo passo si riferisce a una delle cinque città dei Sodomiti distrutta dal Signore e diventata con le altre come proverbio di salsedine e sterilità (Deut 29,23b). Oppure si riferisce alla città di Adam che si erigeva nella valle del Giordano che è allato di Sartan (Gios 3,16). Ma µv; è preposizione avverbiale o interiezione? Lo vedremo in seguito. Sicché la lezione di Os 6,7 rimane molto complicata. 2. Il racconto della creazione secondo Sir 17,1-14 (greco) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Dio ha creato l’uomo dalla terra (e˙k ghvß) e ad essa lo fa di nuovo tornare. Gli ha concesso giorni contati a tempo definito dandogli potere su quanto essa contiene. Li ha rivestiti di forza come se stesso e li ha fatti secondo la sua immagine. Ha posto il timore di lui su ogni carne perché egli dominasse le bestie e i volatili. Il consiglio (diabou/lion), la lingua, gli occhi, gli orecchi e il cuore diede loro per ragionare. Li riempì con il giudizio della intelligenza e mostrò loro il bene e il male. Pose il suo occhio (var. timore) sui loro cuori per mostrare a loro la grandezza delle sue opere. Affinché potessero lodare il suo santo Nome 9. Cf. J. Skinner, A Critical and Exegetical Commentary on Genesis, Edinburg 1910, 288. IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 9. 10. 11. 12. 13. 14. 23 e narrare i portenti delle sue opere. Ha dato loro l’intelligenza (Sir: il patto) e li ha dotati con la legge della vita (…) Stabilì con loro un’alleanza eterna (diaqh/khn ) e mostrò loro i suoi giudizi. I loro occhi videro la grandezza della gloria le loro orecchie udirono la gloria della sua voce, e disse loro: “Guardatevi da ogni cattiveria”, e ordinò che ciascuno di loro si curasse del prossimo. Le loro vie son sempre davanti a Lui non sono nascoste ai suoi occhi (…) Stabilì per ogni popolo un reggitore ma Israele è la porzione del Signore. Non mancano esegeti che dal v. 10 interpretano il testo come riferito al popolo israelitico, e al patto sinaitico, quando Dio diede al popolo eletto statuti (wyf;P;v]mi ?) e i suoi giudizi ( ta» kri÷mata) e quando sul monte santo vide la grandezza della sua gloria nella teofania e udì la sua voce divina (Es 19,16-20; 24,16.17). Altri, invece, interpretano tutto il testo, dal v. 1 al v. 14, come riferito ai protoparenti. Infatti, il v. 1 parla della formazione del corpo dalla terra e della morte, come in Gen 2,7; 3,19. Dal v. 2 al v. 4, l’autore parla della potestà degli uomini sulla terra, come in Gen 1,27 e del loro dominio su tutti gli animali e i volatili che li temono, come in Gen 1,28; 2,19-20; 9,2 e in Sap 9,2.3, in cui si parla della costituzione dell’uomo nel giorno della sua creazione. Dal v. 5 al v. 6 l’autore parla, seguendo la dottrina degli stoici, della natura e dei privilegi dell’umanità: “La quale ebbe l’uso delle cinque operazioni del Signore, cioè del libero arbitrio (diabou/lion = rx,yE), della lingua, degli occhi, delle orecchie e del cuore, ossia dell’intelligenza. Inoltre, come sesto privilegio diede loro il raziocinio, e come settimo la parola che interpreta le sue opere”. Diede loro anche la coscienza morale, perché potessero discernere il bene e il male, com’è detto in Gen 2,17 e 3,22. Dal v. 7 al v. 8 l’autore parla della cognizione naturale di Dio, per mezzo del suo occhio, vale a dire per mezzo del lume della ragione, o dell’istinto religioso con cui l’uomo possa comprendere le grandezze della creazione, e glorificare il Nome di Dio, creatore di ogni cosa (Gen 1; Sir 39,19-35; Rom 1,20ss). Dal v. 9 al v. 10 parla della legge morale, per mezzo della quale l’uomo stabilisce rettamente la vita e diventa partecipe della felicità. Probabilmente l’autore si riferisce a Gen 2,15-17, in cui si tratta dell’entrata dell’uomo nel 24 E. TESTA paradiso dell’Eden e del precetto divino di non mangiare del frutto dell’albero proibito, condizione necessaria per avere la vita eterna. Ma qui, invece di nominare il “legno della scienza” che portò l’uomo alla rovina (Gen 2,17a), parla del dono dell’e˙pisth/mh o della scienza (v. 9a), e invece del precetto di non mangiare il frutto della morte (Gen 2,16-17) parla del dono della legge della vita ( no/mon zwhvß , v. 9b); invece della minaccia della morte (Gen 2,17b) parla di un’alleanza eterna ( diaqh/khn ai˙ w ◊ n oß , v. 10a) e del dono dei giudizi (ta» kri÷mata aujtouv, v. 10b). Dal v. 11 al v. 13 l’autore polemizza con le conseguenze del peccato, sottolineando ciò di cui Dio, nella sua misericordia, ha arricchito l’uomo penitente: invece dell’apertura maliziosa degli occhi (Gen 3,5), afferma che i loro occhi videro le grandezze della gloria divina (v. 11a); invece della paura dei peccatori nel sentire i passi di Dio che si avvicinava a loro (Gen 3,8.10), costata che le loro orecchie udirono la gloria della sua voce (v. 11b); mentre Adamo ed Eva, peccatori, si nascosero dalla presenza divina (Gen 3,8b), qui afferma che le loro vie non sono nascoste agli occhi di Dio (v. 13). Dunque, tutta la pericope del Sir 17,1-13 tratta dell’uomo in genere e dei protoparenti in specie, legati dal Signore con un patto unilaterale, in cui Dio si obbliga favorevolmente, senza chiedere nulla dalla controparte. Infatti nei vv. 1-4 si parla della loro creazione, per dominare la terra e sugli animali, arricchiti come sono dell’immagine e somiglianza di Dio. Nei vv. 5-6 si parla dei privilegi e della natura dell’umanità, dotata di beni fisici e morali. Nei vv. 7-8 si dice che con il lume della ragione e con l’istituto religioso, l’umanità può avere la cognizione naturale di Dio e comprendere la creazione. Nei vv. 9-10 si tratta della legge morale, condizione necessaria per entrare nel paradiso terrestre, non per essere sottoposto alla prova, ma per avere la vera scienza; non per subire la morte, ma per entrare nella legge della vita; non per subire una proibizione, ma per avere un’alleanza eterna del tutto favorevole. Nei vv. 11-13, l’autore polemizza con le conseguenze del peccato originale: gli occhi non si apriranno maliziosamente sulla nudità, ma per scoprire la grandezza della gloria divina; le orecchie non ascolteranno i passi minacciosi di Dio, ma ne udranno la sua voce gloriosa; le loro vie non sono nascoste e paurose, ma illuminate dalla presenza divina. Si tratta perciò di un’alleanza favorevole, da collocarsi nel giardino dell’Eden, prima della ribellione e del peccato originale, quando l’umanità docile viveva felice, sotto l’ombra protettrice di Dio. Soltanto dopo il peccato, l’autore parlerà d’Israele, come popolo eletto, porzione del Signore, separato da tutti gli altri regni, dominati da duri reggitori (v. 14). IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 25 3. La struttura letteraria del patto paradisiaco di Gen 2-3 La struttura letteraria di Gen 2-3 enucleata da L. Alonso Schökel conferma appieno la tesi che stiamo difendendo, che si tratta, cioè, di un patto di vassallaggio di tipo ittita esternamente, con tendenza ai patti unilaterali che dominano, nella storia della salvezza, tra Jahweh e Israele, tra Adamo e Jahweh/Elohim. Questa struttura svolge cinque temi: un prologo storico, le stipulazioni, la fedeltà o l’infedeltà dell’uomo, la maledizione e la benedizione. a. Prologo storico (Gen 2,4-15a) Nel paradiso tutto dipende dall’iniziativa amorosa e gratuita di Dio, il quale arricchisce la sua creatura di benefici, indebiti allo stato naturale dell’uomo. I dommatici affermano, ma in dipendenza dalla teologia paolina che presenta lo stato di grazia dei cristiani come un ritorno a quello di Adamo nel paradiso, che il primo uomo, ancora innocente, “fu costituito” sostanzialmente nello stato soprannaturale. Veramente, l’opinione comune dei teologi era che Dio avesse creato l’uomo in grazia; ma non c’era nessuna nota teologica che riprovasse la sentenza opposta, sicché, come dice lo storico Pallavicini, i Padri del concilio Tridentino al posto della voce “creato” posero “costituito”, per lasciare libere le due opinioni10. I biblisti, oggi, in seguito agli studi di A. Vaccari, preferiscono la seconda opinione, affermando che in Gen 2,7-17, l’autore sacro distingue la creazione naturale dell’uomo dalla sua vita soprannaturale indebita: Dio creò l’uomo nella hm;d:a}h; e in seguito lo prese dalla hm;d:a}h; e lo pose nel paradiso, fatto fiorire per lui. Scrive Vaccari: “Dio prima forma l’uomo di limo tratto dal suolo, min ∑Ädämäh, e con infondergli lo spirito vitale ne fa un perfetto individuo umano, una persona sussistente e vivente (nepheå ˙ajjäh); poi (v. 8), pianta un giardino nella regione di Eden e vi colloca l’uomo (wajjĬem åäm ∑et hä∑ädäm). Il waw consecutivo pone fra le due azioni divine una successione di tempo o almeno una distinzione logica, se non entrambe. Comunque sia, è certo che l’uomo, in questo racconto biblico, ci viene rappresentato come creato fuori dal paradiso terrestre, giardino dell’Eden. Ciò balza sopra tutto chiarissimo dall’esecuzione della condanna inflitta all’uomo colpevole (Gen 3,23); Dio lo cacciò dal giardino dell’Eden, lo mandò a coltivare il suolo (∑et hä ∑Ädämäh) dond’era stato for10. Cf. Denzinger, 788; S. Pallavicini, Historia Concilii Tridentini, 1,7, c.9, n.1. 26 E. TESTA mato... Se l’uomo fu creato nella sua intera e perfetta natura, fuori del paradiso terrestre, vuol dire che questo luogo, con quanto importava la dimora in esso, non entrava nelle esigenze della natura umana... Non poteva dirsi in forma più energica, che l’uomo entrò al godimento del paradiso terrestre dopo che fu altrove creato, e non vi andò con i suoi piedi, con le sue forze naturali, ma vi fu trasportato da Dio, cioè, fuor di metafora, vi fu messo per un favore superiore alle forze e alle esigenze della sua natura. E’ l’esperienza medesima del soprannaturale”11. Già l’autore della vecchia opera Altercatio Synagogae et Ecclesiae, Coloniae 1540, aveva scritto: “Adamo creato fuori del paradiso (come alcuni dottori pensarono), fu posto nel paradiso” (f. XXVIII, col. 3). I verbi jQ"YIw" , Whj´NIY"w", “prese... e lo pose” (v. 15), furono desunti dal vocabolario dei patti e della redenzione d’Israele, che Dio prese dall’Egitto e pose nella terra promessa. Essi furono spesso in parallelismo con ayxiwOh , aybihe , oppure con jq'l; e aybihe (cf. Deut 30,4.5; Ez 36,24; 37,21; Is 14,2). Il verbo jq'l; denota l’elezione gratuita (di Abramo, Gen 24,7; dei Leviti, Num 3,13; del popolo santo, Deut 4,20; di David, 2Sam 7,8; Sal 78,7; di Salomone, 1Re 11,37; di Amos, 7,15), mentre il verbo j'yNIhi, più raro, indica la pace salvifica (Deut 3,20; Gios 1,13.15; Ger 27,11). In Is 14,1 leggiamo: “Il Signore avrà pietà di Giacobbe, ed eleggerà (rjæb;W) ancora Israele e li farà riposare (µj;yNIhiw“ ) sopra la loro terra”, la terra promessa, come nuovo paradiso; e in Ez 37,12ss è detto: “Ecco Io aprirò le vostre tombe... e vi porterò ( ytiab´h´w“) nella terra d’Israele... e vi farò riposare (yTij]N"hiw)“ sopra il vostro suolo”. Anche il vassallo dei testi extrabiblici, senza nessun merito, per la bontà e clemenza del re, veniva preso dalla sua miseria e posto in un feudo. Ma c’è una differenza essenziale tra le due culture: che il vassallo dei documenti profani veniva posto in un feudo terreno, dopo una condotta umana ineccepibile; Adamo, invece, come vassallo di Dio, subito dopo la creazione, viene destinato – come chiaramente insinua il racconto di Gen 2,8-25 – in uno stato di natura indebita, in un giardino paradisiaco, come in un feudo che rettamente chiamiamo soprannaturale. Tanto il luogo, quanto il modo di viverci, sono esibiti come qualcosa che supera tutte le esigenze della natura umana. Il vocabolario, perciò, solo materialmente è parallelo a quello delle fonti extrabibliche. 11. “Il Soprannaturale in Gen 2-3”, in Questioni bibliche alla luce dell’Enciclica “Divino Afflante Spiritu”, Settimane Bibliche 1947-1948, I, Roma 1949, 185ss. IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 27 a) Il termine hm;d:a} (che materialmente significa una regione, un suolo, una terra comune ereditata privatamente), nel Genesi significa il luogo da cui l’uomo – vassallo di Dio – è preso (2,7; 3,19), per essere collocato nel paradiso, ove regnare insieme con Dio: sicché tra hm;d:a} e paradiso c’è una differenza essenziale; mentre tra la terra e il feudo date dal re dei re al suo vassallo non c’è nessuna differenza essenziale. b) Dopo aver creato l’uomo, il Dio-Re piantò alberi, bellissimi a vedersi, in un giardino bagnato da un grande fiume, abbondante di oro e di pietre preziose, simile al “paradiso delle voluttà” dei re terreni (Gen 2,814); ma ivi collocò, trasferì l’uomo vassallo, non per godere piaceri umani, come i vassalli dell’ambiente, ma per usufruire di un qualcosa di estraneo e gratuito alla propria condizione umana. Infatti in questo orto paradisiaco, il vassallo Adamo godrà di privilegi e di doni del tutto inconsueti per un uomo: il libero uso dell’intero paradiso e di tutti i suoi beni (Gen 2,8.16); l’immortalità anche fisica (Gen 2,17), almeno nel senso che mangiando dell’albero della vita, potesse non morire (Gen 3,22). Ciò è manifesto dal seguito della narrazione (Gen 3,6-19) e dalle varie riletture bibliche che seguiranno: nella Sap 2,23 leggiamo: “Dio ha creato l’uomo per la incorruzione (e˙p∆ aÓfqarsi÷aØ )”, e in 1,13ss: “Dio non fece la morte, né gode della perdizione dei vivi; ma creò ogni cosa perché vivesse (ei˙ß to\ ei•nai ta» pa¿nta) e perché tutte le cose create fossero salutari nel mondo e non ci fosse in esse veleno letale, né perché sulla terra ci fosse il regno infernale”. Adamo godrà la sapienza, cioè la piena coscienza di sé e della donna, della natura degli animali, con rettitudine del cuore e integrità morale (2,23); la grazia e la familiarità con Dio, Re supremo (Gen 2,18-23). Non vi si oppone il fatto che, anche dopo il peccato, patriarchi come Noè, Abramo, Mosè ed altri godettero di questa divina familiarità, perché questo fu un fatto raro e inconsueto, attuatosi solo in pochi eletti speciali e non senza un qualche timore (Gen 15,12; Es 3,2-6; 1Re 19,9-13); e poi perché le visite divine appartengono già alla “restaurazione” promessa da Dio, come si può vedere in Gen 3,15. Come nei prologhi storici dei patti ittiti, anche in Gen 2,4-15a e in altri passi della Bibbia, si raccontano quelle cose che Dio-Re fece a favore del suo vassallo, ma in un’atmosfera superiore: la sua partecipazione alla regalità divina; la sua intronizzazione solenne e i doni e i privilegi gratuiti, di cui Dio-Re arricchiva l’uomo. 28 E. TESTA b. Stipulazioni tra Dio e Adamo (Gen 2,15b-17) Prima di tutto il vassallo deve “operare e custodire”, in modo cultuale, l’albero del giardino. I verbi db'[; e rm'v; hanno un doppio significato, l’uno umano e materiale (un servizio, una fatica pesante e una vigile cura nei riguardi dei nemici invidiosi), e l’altro un servizio religioso e cultuale. In senso religioso il verbo db'[; significa far culto religioso e perpetuo, venerare e onorare il Dio Jahweh (Es 23,25; Deut 6,13; 11,13; 13,5; 28,47; 1Sam 12,14; Sal 2,11). Nel culto cerimoniale significa venerare Dio con sacrifici ( latreu/w), per es. sul monte Oreb (Es 3,12; 4,23; 7,16; 10,8; 12,31; 2Sam 15,8); significa servire Dio obbedendogli (Ger 30,9); aspettare il regno messianico (Is 60,2) o lo stesso Messia (Sal 22,31; 72,11). In questo senso Adamo deve fungere come “servo di Jahweh”, adoratore fedele, a differenza del vassallo laico che doveva fare un lavoro materiale, un servizio profano nella corte del suo benefattore. Anche il verbo rm'v;, nella tradizione biblica, dev’essere interpretato in modo cultico. Perciò significa “seguire la via del Signore” (Giud 2,22; Sal 18,22; 37,34; Prov 2,20); osservare la legge divina, i suoi precetti; eseguire le promesse, i voti; osservare religiosamente i patti sacri, ecc. (Es 20,6; Gen 26,5; Deut 7,12; 2Sam 23,5; Deut 7,8; Is 56,2; Es 12,17). O semplicemente significa adorare Dio, o come vuole il verbo accadico åamâru, venerare gli dei (cf. Os 4,10; Sal 31,7). In questo senso Adamo dev’essere un “sacerdote”, “custode del comandamento” del proprio Dio; mentre il vassallo laico dev’essere un fedele idolatra, quanto di più spregevole c’era per gli Ebrei. In quanto alla frase Hr:m]v;l]W… Hd:b][;l], i suffissi femminili non possono riferirsi al giardino, come ha fatto la Volgata: “ut operaretur et custodiret illum”, perché il termine corrispondente ebraico ˆG: è di genere maschile, ma si deve riferire ad ≈[e, nome collettivo femminile, sicché Adamo, come i re sumero-accadici, deve coltivare e difendere dai serpenti l’albero della vita (P.A.H. De Boer). Il precetto dato ad Adamo (Gen 2,16-17), come nei patti profani, è strettamente personale, svolgendosi tra un Io e un tu; tra il grande Re che comanda le leggi apodittiche (= Io) e il vassallo che deve obbedire (= tu). Sicché, anche nel paradiso abbiamo lk'aOt aOl, tu non mangerai... tWmT; twOm, morirai certamente (Gen 2,17). Le mogli, i figli, la città sono obbligati al precetto, anche se sono nominati in second’ordine, perché racchiusi e inclusi nella persona del vassallo. Perciò anche Eva, che fu costruita dalla costola di Adamo, dopo il precetto divino, deve obbedire al comando divino (Gen 1-3). IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 29 L’oggetto del precetto è conforme all’ufficio del vassallo, che non deve infatti mangiare il frutto dell’albero del bene e del male, ma piuttosto custodirlo (Gen 2,17). c. Fedeltà o infedeltà Nelle stipulazioni profane, l’invito alla fedeltà (naßâru) si trova o nel prologo storico, oppure dopo i precetti 12. Nel prologo paradisiaco, lo stesso, una volta è insinuato in modo profetico in Gen 2,21ss; e poi è narrato – come istigazione del diavolo – in Gen 3,1-13. In Gen 2,21-24 fu lo stesso Dio che “prese ( jQ"YIw" ) una delle sue costole... ed edificò (ˆb≤YIw") la costa in donna, e la portò (h…a≤biy“w" ) ad Adamo”: quasi oggetto della futura tentazione dell’uomo. Infatti nel v. 23s si parlerà dell’amore, usando termini che nel vocabolario delle alleanze descrivono la tentazione: “lascerà l’uomo (vyaiAbz:[}y") il padre suo e la sua madre e si attaccherà (qbæd:w“) alla propria moglie”. Anche Salomone peccherà contro il patto, aderendo alle donne con amore ardentissimo (hb…h}aæl] hmoløv] qbæD: µh≤B;, 1Re 11,2). In Gen 3,1-13 è narrato che il serpente, nemico del Dio-Re, per perdere la donna (che il Creatore aveva fatto come un aiuto dell’uomo), la spinse all’infedeltà. Contro il precetto disse: “Non morirete punto” (ˆWtmuT] twOmAaOl, Gen 3,4). Si tratta della dissoluzione del comando apodittico di Dio: “e diede il frutto anche ad Adamo che era con lei” (HM;[i Hv;yail]AµG" ˆTeTiw"). Ed egli ne mangiò! Così Adamo, contro il patto, antepose la donna e il serpente al proprio re, come il popolo eletto a Beelfegor si iniziò con le figlie di Moab (Num 25,1ss); come Salomone si accoppiò alle donne straniere (1Re11, 1ss); come Acab prese in moglie Jezabel e servì Baal e adorò l’idolo (1Re 16,31). E ciò contro la legge del Deuteronomio che comandava: “Non fate patti con loro (con i popoli aborigeni della terra promessa)... non farete matrimonio con loro. Non darai la tua figlia ai suoi figli, né prenderai la sua figlia per il tuo figlio: perché lo sedurrà e non mi seguirà più, ma piuttosto servirà gli dei stranieri” (Deut 7,2b.11). A causa dell’infedeltà, Adamo si trasformerà in un vassallo che perde i doni e i privilegi. Espulso dal paradiso perde anche la speranza di ritornarci (Gen 3,23s) e così, perduta la felicità, ne perde anche il fondamento. Soggetto al debito naturale della morte, trova anche la via preclusa per prolungare in modo definitivo l’esigenza di una vita soprannaturale (Gen 3,19.22). 12. Cf. ANET, 203. 30 E. TESTA Perciò spesso nell’AT si insegnerà che la morte è un effetto del peccato di Adamo (Sal 90,3.7-12; Sap 2,24; Sir 25,23-33). Perduta la primitiva innocenza, gli occhi dei protoparenti si aprirono non per possedere la sapienza degli Elohim, ma per accorgersi di essere nudi; onde, con quella prima colpa, i loro animi furono occupati da prave inclinazioni (Gen 3,7) che crebbero nella natura umana (Gen 6,8; 8,21). Rei di colpa grave, intesero in sé un Dio irato, invece che benevolo; e al posto della sua grazia sentirono sopra di sé una maledizione. d. Le maledizioni (Gen 3,14-19) Nei patti profani, le maledizioni colpiscono ambedue i contraenti, se si tratta di un patto tra pari; se invece si tratta di un patto tra ineguali colpiscono solo il vassallo e il suo regno. Anche nel Genesi le maledizioni sono contro il regno del vassallo-Adamo, che è diventato infedele, contro il serpente nemico del Sommo Re e contro la donna, causa della ribellione. La terra – ossia la regione dalla quale l’uomo fu tratto – sarà maledetta nel lavoro di Adamo (v. 17: Úr<Wb[}Bæ hm…d:a}h; hr:Wra}). Il serpente sarà maledetto fra tutti gli animali (hm…h´B]hæAlK…mi hT…aæ rWra…, v. 14); Adamo ed Eva – dato che furono già benedetti da Dio (Gen 1,28) – qui sono maledetti soltanto indirettamente, l’uno attraverso la sterilità della terra, l’altra attraverso il concepimento e il parto nelle pene e nel dolore. Come negli altri patti biblici, anche qui le maledizioni sono minacciate durante un’interrogazione: per es., dopo il peccato, Giosuè interroga Achan (Gios 7,19-21); dopo l’adorazione del vitello d’oro, Mosè interroga Aronne (Es 32,21-24); dopo l’adulterio con Bethsabea, David è interrogato dal profeta Nathan (2Sam 12,7). A causa della legge della solidarietà, comune fra tutti i popoli semitici, lo stato deteriore e le calamità, sono trasmesse anche ai posteri: per divina sentenza, la lotta con il serpente è trasmessa anche ai successori (tra il seme della donna e il seme del diavolo), non solo tra i due colpevoli (tra te e la donna). Perché la lotta con il male si deve perpetuare nella stirpe umana; con la cacciata dal giardino è perduta anche la strada del ritorno all’albero della vita (v. 24); il disaccordo tra Adamo ed Eva (v. 12) continua nell’uccisione di Abele (Gen 4,8), nel cantico di Lamech (Gen 4,23), nell’incremento della malizia umana (Gen 6,1-7). E questo perché tutti sono coinvolti con il capostipite: le minacce fatte a costui, in caso di peccato, prima della creazione di Eva (Gen 2,17b), dopo la creazione di costei si estendono anche ad essa (Gen 3,1-4). Sicché pos- IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 31 siamo affermare che il patto di Dio con Adamo non fu sancito con lui come individuo, ma come capo di tutto il genere umano, capace di etica, cosicché, caduto lui, ogni individuo si trovò in uno stato di colpa, di pena e di privazione di tutti i beni del protoparente. Le frasi, perciò, che si leggono nei Sal 51,7; 57,4 e in Giob 14,4, si adattano assai bene a questo peccato di natura, non però personale. e. Le benedizioni e la speranza di perdono (Gen 3,15.20ss) Nei patti ineguali si ha come nota principale la unilateralità, fondata sui diritti del Grande Re; nella Sacra Scrittura, invece, nella verità e misericordia di Dio (tm,a‘w< ds,j,). Per cui, dopo il peccato dell’uomo, benché la punizione non manchi, pure questa non fu assoluta, ma solo medicinale: ai penitenti è promessa sempre la riconciliazione. Nel nostro caso è promessa nella maledizione scagliata contro il serpente: “Io metterò inimicizia tra te e la donna, e fra il seme tuo e il seme di essa; essa (egli: LXX) ti stritolerà il capo e tu insidierai al suo calcagno” (Gen 3,15). Iddio che anche quando è adirato si ricorda della misericordia (Ab 3,2), con queste parole dona agli uomini una speranza di riparazione. Dio stesso è l’iniziatore di tale benigna speranza; ciò si manifesta attraverso il verbo usato ( tyvia;, io pongo, stabilisco). Nei patti profani, per es. in quello di Mursilis e Dubbi-Tessub, si racconta di una certa riconciliazione avvenuta dopo la rottura del patto; ma questa riconciliazione non dipende dalla misericordia del re, ma dalla penitenza dello spergiuro: “Aziras, o Dubbi-Tessub, fu il tuo nonno. Egli si era ribellato contro il mio padre, ma poi, di nuovo si riappacificò con il padre mio, e quando il re Nuhassi e i re Kinza si ribellarono al padre mio, Azira non si ribellò”13. In questa inimicizia posta da Dio tra la donna e il serpente tentatore, si ha una reazione contro il processo della colpa, e l’inizio della strada al suo rimedio: la donna aveva compiaciuto al tentatore e perciò era incorsa nell’inimicizia di Dio; ora, invece, è stata fatta da Dio nemica del tentatore, cosicché potesse ritornare amica di Dio. Nei patti profani, spesso, si legge la sentenza: “Voi non avete un altro re, un altro signore sopra di voi”, che nei patti biblici suona: “Non avrai dei stranieri alla mia presenza” (Es 20,3). Oppure: “Sarai amico del mio amico, ma con il nemico sarai avversario”, sentenza che si risente anche nell’alleanza biblica, ma pronunciata non dal 13. ANET, 203. 32 E. TESTA vassallo, bensì dal Re divino: “Sarò nemico dei tuoi nemici, e affliggerò coloro che affliggono te” (Es 23,22). La ragione della mutazione del soggetto è radicata nel fatto che agli uomini è impossibile avere spontaneamente amicizia con Dio; onde il profeta dice: “Convertici Signore... e noi ci convertiremo a te” (Lam 5,21). Nel patto adamitico, dunque, Dio promette alla donna inimicizia contro il serpente; promessa che sarà perpetuata nella progenie, fino alla piena vittoria della stirpe umana, contro l’avversario (v. 15b). Il vocabolo “seme”, metonimicamente, significa prole, progenie, per lo più in senso collettivo (Gen 9,9; 12,7; 13,15); ma qualche volta anche in senso individuale (Gen 4,25; 21,13; 1Sam 1,11), con facile passaggio dall’uno all’altro senso (2Sam 7,13ss). Nei riguardi del serpente il termine “seme” non si deve prendere come indicante parentela di sangue, ma di costumi, non di natura ma di qualità (Is 61,9; 66,23; Dan 13,56; Mal 2,15; 1Mac 5,62). Anche nei patti degli Ittiti, i diritti e i privilegi, la difesa e la lotta, si devono estendere al seme. Duppi-Tessub disse: “Quando io sarò morto, tu considererai il seme mio, quello di Duppi-Tessub, come vassallo”. Ciò che fu fatto dal re Mursilis: “Onde gli amici dei padri furono amici dei figli, gli avversari dei padri furono avversari dei figli”, e ciò “in eterno”. La lotta, sia nei riguardi del serpente che nei riguardi della donna, fu espressa con lo stesso verbo πWv. Verbo che nell’AT si trova tre volte, incluso il nostro caso: “Egli con un turbine mi ha abbattuto” (Giob 9,17); “Con le tenebre mi ha circonfuso” (Sal 139,11). In tutti i tre passi conviene il senso di “comprimere”, “costringere”, “abbattere” (cf. LXX; Sal 139,11 Volg), proprio come in accadico il corrispondente åepu, che significa “conculcare”, “calpestare con i piedi”. Ma la forza della locuzione non è da stimarsi solo in base al senso del verbo, ma anche e soprattutto dalla posizione del corpo: il capo del serpente è massimamente vitale; il calcagno del seme, infima parte del corpo e nei riguardi della vitalità assai accessorio, la cui lesione, perciò, apporta un danno minimo. Dunque la vittoria è affermata a favore del seme della donna. Tra gli esegeti si disputa in che cosa consista questa vittoria e da chi sia riportata. A noi interessa aver provato che in Gen 2-3 ci sia un patto donato da Dio come Re, fruttuoso per gli uomini. Il redattore pose all’inizio questa narrazione, desunta da J1 e J2 , come proemio delle alleanze, sia di quelle patriarcali che di quelle dei profeti, piene di misericordia e di benevolenza da parte di Dio (JEP + Ger, Ez e il Deutero-Is); sia di quelle di Mosè, del Deuteronomio e del post-esilio, piene di legalismo e di culto (Sinai, Moab, Giosia). Come patto mosaico, IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 33 Gen 2-3 segue il genere letterario dei patti dei vassalli, con il precetto (Gen 2,17), il verbo, i tentatori (la donna e il serpente) e le maledizioni. Come patto dei patriarchi, al contrario, in Gen 2-3 abbiamo la piantagione del paradiso, la gratuita elevazione dell’uomo eletto, il servizio intorno all’albero della vita con il verbo db'[;, e con la promessa della vittoria del seme nella lotta. Bibliografia sui patti con i patriarchi della storia primitiva. Nell’introduzione al patto paradisiaco di Adamo (Gen 2-3) e a quello di Noè (Gen 9,[1-7] 8-17) non mancano voci contrarie: notiamo J. Schildenberger, “Bund”, in J.B. Bauer (ed.), Bibeltheologisches Wörterbuch, Graz-Wien-Köln 1959, 150-158, e le innumerevoli controversie dei critici per sapere se Os 6,7 si riferisca ad Adamo e a un patto paradisiaco, come ha sostenuto per secoli l’interpretazione tradizionale; oppure se si riferisca al patto del Sinai o ad una città (J.D. Michaelis e J. Wellhausen: “come Edom”, o “in Edom”; E. Sellin: “come in Aram”; H. Oort e R.H. Pfeiffer: “in Ädämäh”; molti altri: “nella città di Adam”, di cui parla Gios 3,16). E se il Sir 17,114 si debba interpretare anch’esso del paradiso e dei protoparenti, ma in senso del tutto positivo e non di condanna; oppure si debba interpretare filosoficamente dell’uomo in genere (come nei LXX), e dal v. 10 in poi, si debba riferire al patto del Sinai. Questioni – come vedremo in seguito – ci sono anche nel patto di Noè, per sapere se sia bilaterale, con impegni anche dell’uomo (vv. 1-7), oppure sia un patto unilaterale, come suggerisce il TM che divide con samek Gen 9,1-7 da 9,8-11. Ciò nonostante, L. Alonso Schökel difende in Gen 2-3 un’alleanza paradisiaca, di tipo sapienziale in due validi articoli: “Motivos Sapienciales y de Alianza en Gen 2-3”, Bib 43 (1962), specialmente 305-309; e “Sapiential and Covenant Themes in Gen 2-3”, TD 13 (1967) 393-406. Altri difendono il patto unilaterale di Noè: alcune osservazioni si trovano in W. Eichrodt, Theologie des AT, I, Göttingen 1957, 24ss; e in Porúbøan, Il patto nuovo. Dinanzi a tutte le difficoltà sopra analizzate, è intervenuto a favore dei due patti G. von Rad dicendo che esse non sono nate dalla presenza o meno del tema del patto, ma dalla natura particolare delle due pericopi, che stanno in uno strano isolamento, che però non ci deve indurre a considerarle senza rapporto alcuno con la condotta particolare di Jahweh nell’alleanza: Genesi, Brescia 1978, 127s; 169s. W. Cross, “Bundeszeichen und Bundesschluss in der Priesterschrift”, TTZ 87 (1978) 98-115, tra l’altro, prova che il documento P possiede anche un periodo preletterario antichissimo, che risale prima del periodo dei profeti. In seguito a queste polemiche non sono mancati autori che hanno presentato nei loro commentari le varie ipotesi, senza pronunciarsi in merito. Commentando Osea, F. Andersen e D.N. Freedman nella serie The Anchor Bible (Garden City New York 1980, 438s) elencano soltanto le tre ipotesi possibili di Os 6,7: a) ∑Adäm = ∑adämäh, “come terra” (like dirty), “fangoso”, secondo la proposta di M. Dahood e D.J. Mc Carthy; b) ∑Adäm = “la città Admah” di Os 11,8 e di Gios 3,16, richiamata dall’avverbio di luogo µv; del contesto; c) ∑Adäm = “Adamo”, il peccatore tipo, secondo la “traditional interpretation”. 34 E. TESTA Sono favorevoli a questa interpretazione tradizionale del patto paradisiaco il TM, la Volgata e Girolamo, nell’antichità; tra i moderni: A. Vaccari, “Il Soprannaturale in Gen 2-3”, in Questioni bibliche alla luce dell’Enciclica “Divino Afflante Spiritu”, Settimane Bibliche 1947-1948, I, Roma 1949, 185ss; e tutti quelli che n o n considerano µv; come avverbio di luogo, ma come particella asseverativa, come interiezione derivata dall’accadico sum+ma: “Ecco, vedi!”; “Guarda!”; “Allora”; ecc., e che considerano hM;hew“ non come pronome personale della terza persona maschile plurale (“essi”), ma come interiezione “ecco”, “allora”, derivata dall’ugaritico hm, hëmmäh. Tutti questi traducono Os 6,7 come M. Dahood: “Ed ecco, come Adamo (come l’uomo) hanno violato il patto / ecco, si son comportati slealmente contro di me”. Annoveriamo fra questi autori: E.A. Speiser, “A Note on the Derivation of Åumma”, JCS 1 (1947) 321-328; A. Haldar, “On the Problem of Akkadian Åumma”, JCS 4 (1950) 63-64; W.L. Moran, “Amarna åumma in Main Clauses”, JCS 7 (1953) 79s; J.H. Patton, “Canaanite Parallels in the Book o f Psalm 37”, C B Q 1 6 (1954) 16; M . Dahood, “Some Northwest-Semitic Words in Job”, Bib 38 (1957) 307-308; C.F. Whitley, “Has the Particle µv; an Asseverative Force?”, Bib 55 (1974) 394-398. E’ chiaro che questi studi superarono quelli dei critici della prima metà di questo secolo che considerano il termine ∑Adam come nome di una città, e µv; come avverbio locale (vedi J.D. Michaelis, J. Wellhausen, H. Oort, R.H. Pfeiffer, E. Sellin), sintetizzati da K. Budde, “Zu Text und Auslegung des Buches Hosea”, JBL 53 (1934) 118-133 (specialmente 120-122). Ma stanno in armonia con gli studi di L . Alonso Schökel che vede in G e n 2-3 elementi sapienziali e dell’alleanza di vassallaggio di tipo ittita, resa ovunque positiva e vicina ai patti unilaterali. L’autore considera, infatti, Gen 2,4-15a come i l prologo storico; Gen 2,15b-17 come le stipulazioni; Gen 2,21-3,13 come la fedeltà e l’infedeltà; Gen 3,14-19 come l a maledizione; Gen 3,15.20ss come benedizione e speranza d i perdono. Ma oltre questi motivi sapienziali e di alleanza, nella struttura letteraria del testo, in G e n 2-3 ci sono vari altri elementi mitici per avere l a conoscenza d’ordine pratico, l’intelligenza, il successo, la sapienza (lyKic]h'l], G e n 3,6c). Adamo, come Urmensch, uomo primordiale, come Urvater, padre primigenio, come Urkönig, re ideale, è posto nel giardino dell’Eden, per lavorare e custodire l’albero della vita (Gen 2,15b; cf. P.A.H. De Boer, Genesis II en III. Het verhaal van den hof in Eden, Leiden 1941, 4), e per avere un potere umano, limitato. Con la proibizione, però, di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male (Gen 2,17), buono a mangiare, dilettevole a vedere, desiderabile per avere la sapienza (Gen 3,6a), vale a dire per avere il potere assoluto, la forza divina, propri della divinità [Gen 3,5; cf. G. Pidoux, “Encore les deux arbres de Genèse 3!”, ZAW 66 (1954) 37-38]. In altre parole, l’Adamo del paradiso biblico è assimilato, in questi versetti, al mitico Re primordiale della cultura assiro-babilonese, coltivatore, nel giardino degli dei, dell’albero della vita, vincitore contro il dragone (= il serpente della Bibbia) dell’albero della conoscenza assoluta (= “Old Royal Dragon Killing Motive”); deve perciò raggiungere la vittoria della vita sulla morte, del cosmo sul caos [cf. G. Widengren, The King and the Tree of Life in Ancient Near Eastern Religion, Uppsala 1951; I. Engnell, “‘Knowledge’ and ‘Life’ in the Creation Religion”, VTSupl 3 (1955) 113-114]. IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 35 Nonostante le varie difficoltà dei vecchi critici, possiamo accettare la posizione degli esegeti moderni che vedono in Gen 2-3 un testo sapienziale con vari motivi d’alleanza, sostenuti anche dalla mitica figura del Re assiro-babilonese, giardiniere dell’albero della vita e vincitore del Drago/Serpente dell’albero del bene e del male, vincitore della vita sulla morte, del cosmo sul caos. Più unanimi sono gli autori nell’ammettere un patto sapienziale in Sir 17,1-14. Però anche qui gli esegeti si sono divisi in due gruppi, per determinare di quale patto si tratti, se di quello del paradiso terrestre oppure di quello del Sinai, almeno dal v. 10 in poi. Abbiamo rilevato troppe referenze e troppe critiche ai racconti di Gen 1-3, per non sentirvi, almeno in filigrana, un patto con i progenitori. I difensori del patto del Sinai dipendono dai LXX, che al posto di Adamo persona hanno usato il termine a‡ n qrwpoß, l’umanità in genere, parlano, in modo filosofico, della dignità dell’uomo e della Legge del Sinai, magari trasgredita dagli Ebrei (cf. H. Duesberg, “La dignité de l’homme (Sir 16,24-17,14)”, Bible et Vie Chrétienne 82 (1968) 521, e lo stesso L. Alonso Schökel, “The Vision of Man in Sirach 16,24-17,14”, che pure in Gen 2-3 ha difeso l’esistenza del patto con i patriarchi, nel volume Israelite Wisdom: Theological and Literary Essays in Honor of Samuel Terrien, New York 1978, 235-245. Egli divide la materia in tre aspetti filosofici dell’uomo in genere: Str. I (Sir 16,26-17,5): l’uomo è creato mortale, elevato come immagine di Dio, che ritorna in polvere, da cui è stato tratto; Str. II (Sir 17,6-10): Dio, secondo lo stoicismo, ha donato all’uomo la lingua, occhi, orecchi, e cuore per comprendere; occhi e cuore anche per valutare; Str. III (Sir 17,11-14): ha donato, inoltre, la legge del Sinai, di carattere retributivo, positiva, con precetti e costumi, con un patto eterno che porta alla gloria. Ma è proprio vero che il Siracide in questa pericope ha parlato dell’uomo in generale, dal punto di vista di un israelita che pensa all’universalismo? B. Il patto di Noè nuovo Adamo Secondo J. Guitton, il redattore biblico considera i fatti particolari in relazione alla storia di salvezza universale, ma non sotto l’aspetto materiale ed economico, bensì puramente teologico, come una lotta tra il bene e il male. Di solito, però, il male prevale sul bene, che piuttosto resiste, ma come un piccolo seme (Is 1,9), che fa germinare la storia futura, che fa fruttificare la perfezione dell’umanità e produce la salvezza del mondo. 1. La figura di Noè nel “Mondo Antico” a. Il mondo antico (2Pt 3,5ss). Noè è questo seme salvifico (Sir 44,17-19) gettato nell’umanità corrotta. G i à Lamec, suo padre, profetizza d i lui: “Costui ci consolerà ( Wnm´j}n"y“, da µjn ) della nostra opera e della fatica delle 36 E. TESTA nostre mani, a causa della terra che il Signore ha maledetto” (Gen 5,29); cioè, ci consolerà da quella maledizione che per mezzo del diluvio ridurrà la terra allo stato caotico primordiale. Secondo 2Pt 3,5ss, il cosmo arcaico ( aÓrcai√oß, 2,5), creato dall’acqua ( e˙x u¢datoß) e fecondato dall’acqua ( di∆ u¢datoß), un mondo molto buono (Gen 1,31), corrotto dai peccati degli uomini (Gen 6,11-13), fu inondato dall’acqua del diluvio, che ricoprì tutta la terra, comprese le più alte montagne (Gen 7,19-20). Questa fu la fine del mondo antico, sicché il diluvio diventò il tipo del giudizio finale (Mat 24,39) e delle pene che colpiranno i nemici del popolo eletto (Gen 24, 1.18). b. Le acque lustrali. Ma le acque del diluvio furono anche lustrali. Lo dissero vari Padri. Come le acque primordiali nella creazione, così quelle del diluvio, unite con la potenza dello Spirito Santo, crearono terra e cieli nuovi (Gen 1,2; 8,1b). Dio, infatti, per mezzo del diluvio diede inizio ad una nuova vita (aÓrch\n de÷ tina kainouv bi÷ou): onde il diluvio fu l’aÓrch/ delle cose future, facendo con le acque una palingenesi e una vera resurrezione. Il diluvio, dunque, fu una seconda creazione, un secondo mondo. c. Noè come fine ed inizio. Come dice Filone, Noè segnò la fine e l’inizio del genere umano, in questo mondo morente e risorgente: la fine ( te÷loß) di quelle cose che furono prima del diluvio e l’inizio (aÓ r ch/) di quelle che sarebbero avvenute dopo. In rapporto al mondo antico, Noè fu un “Resto”. Ne ha parlato, come abbiamo visto, Sir 44,16-18 e lo ha ripetuto 1En 83,8; 106,17. Fu lui che redense i peccati di Adamo, diventando “vivificatore del mondo”, “padre dei giusti”. Per questo, prima del diluvio, diventò predicatore di penitenza, di giustizia e della palingenesi. In rapporto, invece, alla seconda creazione, Noè, come secondo Adamo, fu l’inizio di una nuova umanità (aÓrch/), fu il fermento e la radice della futura costituzione degli uomini. Egli sarà, in qualche modo, il padre del nuovo universo, il rinnovatore del genere umano, l’autore del secondo mondo, invece di Adamo. 2. Noè come nuovo Adamo a. Noè oggetto di amore divino. Come Adamo, anche Noè fu oggetto di amore divino (Gen 6,8; 8,1), per cui fu salvato con l’arca sul monte (Gen 8,4). Ambedue ebbero familiarità e potere sugli animali (Gen 2,19ss; 6,19; 7,2.9 passim), dei quali potettero usare a volontà (Gen 9,2.3). Commenta Crisostomo: “Il buon Dio trovò un altro uomo che poté riparare, dopo il peccato, l’immagine primiera, conservare i caratteri della virtù e mostrare IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 37 in sé la massima obbedienza ai comandi di Dio; riportò l’uomo al primo onore, insegnandoci quasi, con le sue opere, quanto potere Adamo ebbe prima della disobbedienza. Sicché la virtù del giusto, aiutata dalla divina clemenza, riparò l’antico dominio, onde le bestie riconobbero di nuovo la soggezione: infatti, appena esse videro il giusto, dimenticarono la loro natura, cioè la loro ferocia, cambiando, in mansuetudine la ferocia insita nella natura”14. b. Il precetto di Dio. Anche Noè, come già Adamo, ebbe un precetto, ma mentre Adamo lo disobbedì, Noè lo eseguì sempre. Seguita il Crisostomo: “E come ad Adamo, dopo avergli concesso di abitare in paradiso e goderne tali e tanti benefici, finalmente comandò di astenersi da un solo albero, così a Noè, dopo aver promesso di non più mandare una strage generale, né di inquietarsi altre volte, ma di far durare immoti tutti gli elementi, fino alla consumazione del mondo, per completare il proprio corso e il proprio ordine; e dopo che essi conseguirono la benedizione e riebbero la prìstina potestà sugli animali e la promessa dell’uso delle carni, solo allora comandò: ‘Però non mangerete la carne con l’anima sua’, vale a dire con il suo sangue”15. c. Privilegi e doni. Noè riconobbe questa potestà di Dio e il limite della sua natura, come creatura, e obbedì al precetto, per cui riebbe i privilegi e i doni che Adamo aveva avuto in paradiso. Invece della maledizione (Gen 3,18), ebbe la promessa fatta da Dio, il quale disse: “Mai più maledirò la terra a causa dell’uomo” (Gen 8,21), al contrario ebbe la rinnovazione della benedizione, come quella di Adamo in Gen 1,28-30. Commenterà Crisostomo: “Vedi come qui (Gen 9,1-2) quel giusto conseguì di nuovo la stessa benedizione che una volta ebbe Adamo, e rialzato ricuperò il principato, per la sua virtù, anzi, per l’ineffabile clemenza del Signore”16. Invece della morte, ebbe il potere di aumentarsi e moltiplicarsi, cosicché, come quel famoso Ziusudra, anch’egli diventasse il “preservatore della vegetazione e del seme dell’umanità”17, “l’autore del secondo mondo”, “il vivificatore degli uomini” (Afraate). Finalmente, come Adamo, riebbe il dominio sulle bestie (Crisostomo). 14. Hom. XXV, In Gen: PG 53,225. 15. Hom. XXVII, In Gen: PG 53,247. 16. Hom. XXVII, In Gen: PG 53,245. 17. ANET, 45. 38 E. TESTA 3. Il patto eterno Questo tema costituisce il massimo argomento della similitudine di Noè con Adamo. a. Fu un patto cultuale? Secondo W. Eichrodt nella fonte J2 (Gen 8,2022), per mezzo di un sacrificio (tOl[o), Noè placò il Signore, il quale, dopo aver odorato il profumo di soavità, disse: “Mai più maledirò la terra, mai più percuoterò l’anima vivente. Dall’adolescenza, quasi per sua natura, l’uomo è prono al male. L’ordine naturale, in futuro, sarà custodito per sempre”. Perciò, in questa ipotesi, il patto sarebbe frutto di un’azione cultuale di Noè, simile a quella del patto sinaitico, dal quale il patto noachico dipenderebbe (O. Procksch). Ma questa relazione con il patto del Sinai a noi sembra del tutto impossibile: 1) perché la teologia del nostro autore è assai arcaica; infatti in seguito l’autore Jahwistico non ammette nemmeno per un angelo la possibilità di prendere in cibo l’olocausto; fa dire, infatti, dall’angelo a Manue che lo invitava: “Se poi tu vuoi fare un olocausto, offrilo al Signore (Giud 13,16)”. 2) Anche se la frase: “Il Signore ha odorato l’odore di soavità” si trova nel Levitico (1,9.13.17; 26,31) e perfino nei profeti (Ez 6,13; 16,19; 20,28), tuttavia, essa già si trova nei miti babilonesi e proprio nelle narrazioni del diluvio. 3) Il sacrificio, dunque, di cui qui si parla, non è richiesto da qualche patto, ignorato dal Sitz im Leben, ma fa parte piuttosto del genere letterario del diluvio. Per cui noi concludiamo che in Gen 8,20-22 non si ha un patto cultuale. b. Patto unilaterale. Come nella fonte J (8,21b), anche nella tradizione P (Gen 9,8-17), la storia del diluvio finisce con la promessa del Signore di non affogare mai più ogni carne con le acque e di non distruggere più la terra con il diluvio (Gen 9,11). Promessa questa che nella tradizione P ha preso la forma di un’alleanza, tuttavia gratuita e unilaterale. In questo modo Dio, usando la figura letteraria dell’inclusione, attua quanto aveva promesso in inizio del diluvio: “Firmerò il mio patto con te!” (Gen 6,18: P). E questo patto sarà eterno (µl;wO[ tyrIB], v. 16), valido perciò per sempre, dato che non dipenderà da volontà umana, né dalla moralità dell’uomo, ma dalla gratuita misericordia di Dio che promette. E sappiamo che le promesse di Dio sono senza pentimento (Rom 11,29). Perché, anche quando la terra santa sarà contaminata dai suoi abitanti che hanno trasgredito le leggi, hanno mutato gli statuti, hanno rotto il patto eterno (Is 24,5), rimarranno sempre pochi uomini, un piccolo Resto, che eleveranno la loro voce e loderanno. Grideranno fin dal mare, quando il Signore sarà glorificato, perché – nonostante tutto – il Dio degli eserciti regnerà sul monte Sion e in IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 39 Gerusalemme, e sarà glorificato davanti agli anziani di essa (Is 24,14.23). I cattivi tenteranno di rompere il patto, ma questo rimarrà a favore di pochi uomini, a favore delle “Reliquie”, perché: “Ti ho abbandonata per un breve momento / ma ti accoglierò con grande misericordia. / In un eccesso di collera / ho nascosto la mia faccia a te per un momento / ma con eterna benignità ho avuto pietà di te / dice il tuo Redentore Jahweh. Faccio questo come ai giorni di Noè / quando giurai che le acque di Noè / non inonderebbero più la terra / così giuro di non adirarmi contro di te / e di non sgridarti più. / Anche se i monti possono spostarsi / e i colli vacillare / pur non si allontanerà la mia benignità da te / e il patto della mia pace non vacillerà / dice Jahweh, che ha Misericordia di te” (Is 54,7-10). E questo: “Perché Noè fu trovato perfetto e giusto / nel tempo della collera diventò riconciliazione / perciò si salvò un Resto sulla terra / quando ci fu il diluvio. / Un’alleanza perpetua fu stabilita con lui / perché nulla con il diluvio perdesse più la vita” (Sir 44,17-18). Come si vede, questo patto fu unilaterale e gratuito da parte di Dio. Fu Lui, infatti, che promise: “Io stabilirò un patto” ( ytiyrIB]Ata, ytimoqih}w", Gen 6,18; 9,9.11.17), oppure: “Il patto che io donerò” (ˆtenO ynIa}Arv,a} tyrIB], Gen 9,12). La frase tyrI B ] µyqi h e è ambigua tra: stabilire e custodire (Kraetzschmar); e l’altra, tyrIB] ˆt'n:, tra: custodire e donare (Eichrodt). L’autore ignora tutte le condizioni legali richieste di solito dagli uomini. Infatti Noè fu come i giusti dei gentili, integro e perfetto nella sua generazione, e camminò con Dio (j'nOAËL,h't]hi µyhiúla‘h;Ata,, Gen 6,9). Quest’ultima frase, “camminare con Dio”, grammaticalmente corrisponde alla coniugazione arcaica e accadica in tan (ina mahar... atalluka = camminare avanti al Dio Enlil, Marduk, ecc.) e significa un camminare moralmente ripetuto più volte, secondo una bontà interiore non legale. Il termine µymiT; poi, significa un uomo integro, irreprensibile, immacolato interiormente verso un altro giusto; un modo di agire (Sal 119,80) secondo i dettami di Dio, secondo la propria natura, non secondo la legge; uno, perciò, che è immacolato, integro e perfetto (Deut 32,4; 2Sam 22; Sal 18,31). L’uomo tamïm è colui che parla sinceramente (Sir 7,6; Am 5,10), che cammina per una strada pulita (Sal 101,2.6), nella fedeltà (tm,a‘B,, Gios 24,14; Giud 9,16.19). Se questo patto fosse analogo agli altri patti storici derivati dalla tradizione P, sarebbe necessario che da parte dell’uomo che lo contrae, si fondasse sulla fedeltà, nel nostro caso sul precetto formulato in Gen 9,4-6 circa il sangue. In questo modo l’hanno interpretato gli Atti degli Apostoli (15,20-29; 21,25), e più tardi, i Tannaiti ebrei. Essi hanno perfino numerati i precetti che da questo patto noachico sarebbero stati comandati ai Gentili, quelli necessari e niente di più: “... che vi asteniate dalle cose immolate ai simulacri, dal sangue, dalle cose soffocate e dalla fornicazione” (At 15,29). 40 E. TESTA Oppure che si astengano da sei interdetti: dall’idolatria, dall’omicidio, dall’incesto, dal ladrocinio, dalla profanazione del Nome e dal mangiare carni crude, in modo che osservino la giustizia. O, finalmente, secondo altri, che si astengono da trenta interdetti. Tuttavia niente di questa tradizione tardiva e legalistica ritroviamo nel nostro testo, né nel TM, secondo cui la pericope 9,1-7 è separata da un segno di chiusura (samek) dalla pericope seguente, che probabilmente ebbe un’origine differente. L’unilateralità di questo patto è desunta anche da un certo parallelismo con la tradizione J 2 di Gen 8,20-22, in cui – come abbiamo visto – Jahweh promise la pacificazione con gli uomini, non in base alla loro bontà, ma perché “i sensi e i pensieri del cuore umano sono proni al male sin dalla sua adolescenza” (Gen 8,21b). La promise perciò in base alla misericordia divina. c. Patto universale e cosmico. Ne consegue che questo patto noachico fu cosmico ed universale. Fu contratto, infatti, con gli uomini, con gli animali e la stessa terra: “E quanto a me, ecco, io firmo il mio patto con voi, così con gli uccelli, con gli animali domestici e con tutte le fiere della terra con voi, con quelle che sono uscite fuori dall’arca, e con ogni altra bestia della terra. Stabilirò il mio patto con voi, che ogni carne non sarà più distrutta a causa delle acque del diluvio, e che non vi sarà più diluvio per guastar la terra” (Gen 9,9-11). Né gli animali, né la terra sono responsabili di loro stessi: onde è certo che questo patto fu gratuito, universale e unilaterale. Fu un patto universale, non ristretto a un popolo e a una regione prediletta. Dio comunica la sua misericordia salvifica a tutti gli uomini presenti nei lombi di Noè, e a tutta la terra nuova del dopo diluvio, e per tutti i tempi, un patto eterno (Gen 9,16). Universale e cosmico fu anche il segno del patto (tyrIB]h'At/a), che durerà in sempiterno (µl;/[ trodol]) per lo stesso Dio, per gli uomini e per tutti gli animali viventi: “Questo sarà il segno del patto che io farò fra me e voi, e tutti gli animali viventi che sono con voi, in perpetuo per ogni generazione” (Gen 9,12). Un segno cosmico: “Io ho messo il mio arco nella nuvola, che sarà per segno del patto fra me e la terra” (Gen 9,13). Un segno naturale che non dipende dalla volontà degli uomini, come invece saranno i segni dei patti futuri, che saranno radicati nella carne (come la circoncisione) o nell’azione (celebrazione del Sabato) del contraente umano. Questo arco di Dio (yTit'n: yTiv]q'Ata,) che a volte sarà il segno dell’ira divina contro i nemici (1Re 2,4; 3,12; Ab 3,9; Sal 7,13; Deut 32,33.42, ecc.), qui sarà come un’arma deposta ai piedi del Dio vittorioso, ma misericordioso, che vuol rinunciare alla sua ira. E’ anche l’arco posto tra le nubi, dopo la tempesta, che annuncia il ritorno del sole raggiante, che con la sua iride congiunge la terra intera con il cielo, per indicare la pace IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 41 ristabilita. Esso apparirà tra le nubi e Dio, il cui trono si eleva nelle alte nuvole, si ricorderà del patto sempiterno firmato fra Lui e tutti i viventi che vivono in terra (Gen 9,16-17). 4. L’isolamento del patto noachico Abbiamo già visto che il patto di Noè, sia nella Bibbia, sia nell’ambiente sumero-accadico e fenicio, si trova in uno strano isolamento. a. Il patto di Noè è sui generis. Questo patto unilaterale, universale ed eterno, non trova paralleli nella Bibbia e nemmeno nella letteratura dell’ambiente. I patti futuri biblici sono sempre confusi con la dottrina dell’elezione che è solo particolare, tanto se si parla di individui (per es. il patto con Abramo e con gli altri singoli patriarchi, Isacco, Giacobbe, Fines e David), quanto se sono allargati ai gruppi (come quello dei sacerdoti, delle tribù che presero parte all’esperienza del Sinai, o quello di Giosuè a Sichem); lo stesso nell’ambiente sumero-accadico, ittita ed egiziano, e dei popoli circonvicini (il patto di Ietro, con i Gabaoniti, con Hiram re di Tiro, con Ben Hadad II, con Nabucodonosor, ecc.). b. Il segno dell’arcobaleno. Anche questo segno universale, cosmico, simbolo di pace, non trova riscontri biblici né ambientali. Nella Bibbia, di solito, è legato con l’ira divina. Nelle iscrizioni accadiche non si trovano mai riferimenti all’arco baleno ma piuttosto alla luna nuova che combatte contro i nemici per difendere il protettore divino (cf. l’arco di Marduk), perché possa diffondere la propria luce nel mondo. L’arco celeste, di cui si parla nei presagi, raramente augura il bene, quasi sempre il male. Anche tra i popoli indiani l’arco del Dio Indra è contro i demoni, e presso gli Arabi l’arco del Dio Kuzah è un’arma bellica. Tra i Greci e i Romani, l’arco di Iride è simbolo della tempesta e della guerra. c. Esiste anche un patto con i figli di Noè? A questa domanda, W. Eichrodt, il quale confonde il patto con il concetto di elezione, risponde in modo affermativo. Partendo dalla tradizione J1 di Gen 9,25-27, in cui si parla della benedizione e della maledizione dei figli di Noè, tema proprio dell’elezione, che costituisce per lui l’ossatura della storia sacra e di tutti i patti, crede di dimostrare il suo assunto. Ma noi, contro questa ipotesi, notiamo quanto segue. 1) In Gen 9,19-27 (J+R) si svolge il tema delle invenzioni (qui della vite e del vino) e non quello dell’alleanza. Inoltre, dal v. 19, dalle parole: “Questi sono i tre figli di Noè sparsi per tutta la terra”, abbiamo il tema dell’abuso del potere (si deride, infatti, il padre Noè che si è spogliato del man- 42 E. TESTA tello di patriarca), e non dell’abuso della vita, proprio del diluvio. Poi, nella tradizione del diluvio, i figli sono già sposati (Gen 7,7), mentre in quella delle invenzioni sono ancora ragazzi, vivono infatti nella tenda del padre. 2) Duplice poi è la composizione letteraria della tradizione delle invenzioni: la parte più recente è prosa, quella più antica è poesia, di cui ignoriamo l’origine e la qualità. Sappiamo soltanto che i rapsodi, con canti ritmici, glorificavano o al contrario dileggiavano, con il genere letterario delle benedizioni o delle maledizioni, il patriarca di una tribù, con scopi politici. Questi canti iniziavano con i participi ËWrB; benedetto, rWra;, maledetto, e desumevano il tema dal nome degli eroi, dato che nomina omina. 3) Il valore di queste composizioni era quasi sempre sacramentale, magico, ed aveva effetto ex opere operato: né il mago, né lo stesso Dio potevano impedirne l’effetto, benché da questo spesso dipendesse la storia della famiglia e della tribù in modo necessario, essendo esse in nuce nei lombi dell’eponimo. 4) Tuttavia è certo che questo effetto non deriva dal concetto di alleanza, ma dalla potenza della parola, che, come afferma lo Ps. Aristea, contiene in sé una dunastei÷a, un potere. Quando, poi, la parola usciva dalla bocca del Signore, di essa lo stesso Dio affermava: “che non ritornerà a me a vuoto; ma opererà ciò che io avrò voluto, e prospererà là dove io l’ho mandata” (Is 55,11). Acquisterà, perciò, un potere massimo, i n virtù del Nome pronunciato. Anche la parola di benedizione produce in sé un grande effetto quando è data da Dio, oppure da uno che possiede la potestà paterna (Sir 3,8.9): ha una potenza creatrice. Lo stesso, la parola di maledizione ha in sé un effetto deleterio e diabolico. Questa, però, non deriva mai da Dio come soggetto, perché quando questi maledice, aggiunge sempre la dichiarazione: “Se farai questo o quello, allora sarai maledetto…”. Al contrario, la potestà legale di maledire la posseggono i re, i giudici e i sacerdoti; e la potestà naturale l’hanno i padri e le madri (Sir 3,9b). Niente, perciò, nella nostra pericope si riferisce all’alleanza: perché non è Dio, ma Noè che maledice i suoi figli o politicamente li benedice, fondato nell’effetto delle parole. Bibliografia sul patto di Noè. Per l’introduzione vedi J. Guitton, Le développement des idées dans l’Ancien Testament, Aix-en Provence 1947, 53s. Del mondo antico ne parlano: Filone, Vita Mosis, II, 64, e un testo liturgico del III sec., in F.E. Brightmann, Liturgies Eastern and Western, I, Oxford 1896, 17; come pure Origene, Hom. in Gen II,3, ed. Baereus, 30, e tra i moderni, E. Testa, “La distruzione del mondo per i l fuoco nella 2 ep. di Pietro 3,7.10.13”, RivBiblIt 10 (1962) 252-282. Il diluvio fu una fine (te÷loß). Sul diluvio come “acqua lustrale” ne parlò Tertulliano che scrisse: “Iniquitas antiqua purgata est” (De Bapt. VIII: PL 1,1317). Lo seguirono Origene (In Gen IL CONCETTO DI ALLEANZA NELLA STORIA PRIMITIVA 43 VI,11-12: PG 12,106) e Crisostomo (Hom. XXV, In Gen: P G 55,226). Inoltre furono acque che crearono un nuovo cielo e una nuova terra: Cirillo Alessandrino, Glaphir. in Gen, lib. II,3 (PG 69,62), dando un nuovo inizio alla vita: Teodoreto di Ciro, Quaest. in Gen (PG 30,152). Furono veramente una aÓrch/, una palingenesi, una nuova resurrezione: Ireneo, Adv. Hebr., IV,16 (PG 7,1016); Asterius, Hom. in Ps., VI (PG 40,448), e diventarono tipo del giorno ottavo: Giustino, Dial. CXXXVIII (PG 6,794). Il diluvio, dunque, fu una seconda creazione: Cirillo di Gerusalemme, Cat. XVII,10 (PG 33,982); Efrem, “Hym. IV,21”, L’Or. Syr. 6 (1961) 224. Su Noè come fine ed inizio del genere umano parlò Filone, De Abr., XLVI; come un Resto del mondo antico: Afraate, Dem. XIII,7 (PS 1,555); come predicatore della palingenesi: Teofilo di Antiochia, Ad Autol., III,19 (PG 6,1146); Epist. Clem., VII, 6; IX,3; come radice della nuova umanità: Giustino, Dial. XIX (PG 9,515); Crisostomo, Hom. XXVI,5 (PG 53,236); come il rinnovatore del genere umano: Origene, Hom. in Ez IV,18 (PG 13,703) e Ambrogio, De Noe et Arca, I (CSEL, 413ss). Al posto di Adamo, Noè sarà l’autore del secondo mondo: Afraate, Dem. XIV (PS 1,655). Su tutti questi Padri scrivemmo nell’articolo: “La figura di Noè secondo i SS. Padri”, LA 20 (1970) 138-165. Di Noè come nuovo Adamo trattò il Crisostomo, Hom. XXV, In Gen (PG 53,225), e noi pubblicammo l’articolo “Noè nuovo Adamo, secondo i SS. Padri”, RivBiblIt 14 (1966) 509-514. Il Crisostomo scrisse anche sul precetto osservato, a differenza di Adamo: Hom. XXVII, In Gen (PG 53,247), e Cirillo Alessandrino sui doni e privilegi che ebbe nel paradiso: Glaphir. in Gen, Lib. II (PG 69,62). Ebbe la rinnovazione della benedizione: Crisostomo, Hom. XXVII, In Gen IX (PG 53,245); Afraate, Dem. XVIII (PS 1,817s), e la potestà di moltiplicarsi, Idem, Dem. XIV,33 (PS 1,655); Dem. XIII,7 (PS 1,555). Finalmente ebbe il dominio sulle bestie: Crisostomo, Hom. XXVII, In Gen IX (PG 53,245). Sul problema della natura del patto di Noè, per i difensori di un patto cultuale, simile a quello del Sinai, vedi W. Eichrodt che lo lega con il sacrificio di Gen 8,20-22, e O. Procksch, Die Genesis, Leipzig 1924, 110. Per i difensori del patto cosmico vedi: L. Dequeker, Noah a n d Israel: T h e Everlasting Divine Covenant with Mankind, Louvain 1974, 115-129; W.J. Dumbroll, Covenant and Creation, Exeter 1984, 1146; E.A. Speiser, “The Durative Hithpael: A tan-Form”, JAOS 75 (1955/1) 121. Sull’arcobaleno come segno cosmico del patto ha scritto M.V. Fox, “The Sign of Covenant”, RB 81 (1974) 557-596, specialmente 570-573. Sull’isolamento del patto noachico e del suo segno vedi Omero, Iliade, II, 286; III, 121; XI, 27; XVII, 547; Ovidio, Metamorph., I, 270, e tra i moderni A. Weiser, Glaube und Geschichte im AT, Göttingen 1961, 52ss; H.H. Rowley, The Biblical Doctrine of Election, 1950; G.E. Wright, The Old Testament against its Environment, London 1950. Sul problema del patto di Noè esteso ai figli, secondo Gen 9,25-27, vedi Ps. Aristea in R. Tramontano, La lettera di Aristea a Filocrate, Napoli 1931, § 162, p. 157. Emmanuele Testa, ofm Pontificia Università Urbaniana, Roma Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem