PI, SPED IN AP, DL 353/03 ART 1, 1 DCB VR de , • be , • ch , chF • uk , 8/14 aprile 2016 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo n. 1148 • anno 23 Slavoj Žižek L’insostenibile leggerezza della volgarità internazionale.it Filippine Frequenze pericolose 3,00 € Panama papers L’epicentro dell’evasione Se arriva l’automobile che si guida da sola L’auto senza conducente cambierà gli spostamenti, le città, l’economia. E i grandi gruppi automobilistici sono entrati in competizione con Google e Apple 8/14 aprile 2016 • Numero 1148 • Anno 23 “Le buone maniere contano” Sommario slAvoj ŽiŽek A pAgiNA La settimana 8/14 aprile 2016 Ogni settimana il meglio dei giornali di tutto il mondo n. 1148 • anno 23 Slavoj Žižek L’insostenibile leggerezza della volgarità internazionale.it Filippine Frequenze pericolose scandalo 3,00 € Panama papers L’epicentro dell’evasione Se arriva l’automobile che si guida da sola L’auto senza conducente cambierà gli spostamenti, le città, l’economia. E i grandi gruppi automobilistici sono entrati in competizione con Google e Apple iN copertiNA Nessuno al volante L’auto senza conducente cambierà gli spostamenti, le città, l’economia. E i grandi gruppi automobilistici sono entrati in competizione con Google e Apple (p. 40). Illustrazione di Jean Jullien Giovanni De Mauro AttuAlità 16 L’epicentro dell’evasione Vox frANciA 20 Lavoro L’Express europA 22 Migranti 24 Le Monde NagornoKarabakh Politkom AsiA e pAcifico 26 Le conseguenze politiche dell’attentato di Lahore The New York Review of Books Americhe 30 L’ombra dei Fujimori sul voto in Perù El Espectador visti dAgli Altri 34 Perché l’Italia 36 ha fretta di intervenire in Libia Politico.eu Lo scandalo che scuote il governo Renzi Financial Times brAsile 48 Dilma Roussef scieNzA 94 Se Hansen e l’arte di sopravvivere Gatopardo ha ragione siamo nei guai The Christian Science Monitor scieNzA 56 Cambio di terapia New Scientist ecoNomiA e lAvoro 98 Atene protesta filippiNe con il Fondo monetario Financial Times 60 Frequenze pericolose The California Sunday Magazine portfolio cultura 78 66 Il sogno e l’incubo Omar Imam Cinema, libri, musica, arte Le opinioni ritrAtti 72 Amanda 12 Domenico Starnone 33 Amira Hass Odendaal Trouw 38 David Randall 80 Gofredo Foi viAggi 82 Giuliano Milani 86 Pier Andrea Canei infuocato The Globe and Mail 93 Tullio De Mauro 74 Sul cratere ArchitetturA 76 Costruire l’impossibile Financial Times le rubriche 12 Posta 15 Editoriali 103 Strisce 105 L’oroscopo pop 90 L’insostenibile leggerezza della volgarità Slavoj Žižek 106 L’ultima Articoli in formato mp3 per gli abbonati le principali fonti di questo numero Gatopardo È un mensile messicano di attualità e reportage sull’America Latina. L’articolo a pagina 48 è uscito nel numero di marzo 2016 con il titolo Dilma y el arte de sobrevivir. New Scientist È un settimanale britannico d’informazione e divulgazione scientiica. L’articolo a pagina 56 è uscito il 2 marzo 2016 con il titolo Cancer’s penicillin moment: drugs that unleash the immune system. Politkom È un sito d’informazione politica indipendente fondato nel 2001. L’articolo a pagina 24 è uscito il 4 aprile 2016 con il titolo Nagorno-Karabakhskij “razogrev” na fone pereformatirovanija postsovetskogo prostranstva. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 5 internazionale.it/sommario Da un certo punto di vista non c’era bisogno di studiare i dodici milioni di documenti (tra cui quasi cinque milioni di email) raccolti nei 2.600 gigabyte di ile digitali dei Panama papers per immaginare che Vladimir Putin, i parenti del presidente siriano Bashar al Assad, i familiari del leader cinese Xi Jinping o i capi di stato e di governo di paesi come l’Arabia Saudita, il Pakistan e l’Ucraina avessero nascosto enormi ricchezze nei paradisi iscali di quattro continenti. Basta uscire di casa per rendersi conto che viviamo in un mondo retto da un sistema intrinsecamente ingiusto e disuguale, dove pochissime persone accumulano immense fortune alle spalle della stragrande maggioranza della popolazione: lo scandalo è esibito in modo permanente, esposto alla luce del sole. Però è anche vero che una cosa è immaginare, o sospettare, e un’altra è capire, avere le prove, e soprattutto togliere anche quell’ultimo velo che tenta di nascondere agli occhi dei cittadini e del isco l’accaparramento sistematico. E poi c’è lo sforzo congiunto di 376 giornalisti di 108 quotidiani, settimanali e televisioni in 75 paesi, per quella che il direttore di Le Monde ha deinito una tappa fondamentale “nella storia della cooperazione tra mezzi d’informazione internazionali per far luce sui meccanismi opachi dei paradisi iscali”. Un modo per distribuire il lavoro di ricerca e analisi dei dati, ma anche per ridurre il rischio di ritorsioni (portare un giornale in tribunale è facile, farlo con più di cento diventa un’impresa). Perché collaborare tra loro è l’unica arma che hanno i giornalisti per combattere l’equivalente di una guerra asimmetrica. u Immagini Dopo il corteo Parigi, Francia 2 aprile 2016 Attivisti del movimento Nuit debout in place de la République, a Parigi. La mobilitazione è cominciata al termine della manifestazione del 31 marzo contro la riforma del lavoro voluta dal governo del primo ministro socialista Manuel Valls. Dopo il corteo, centinaia di persone hanno organizzato un presidio permanente in piazza, con incontri e dibattiti pubblici, ispirato all’esperienza degli indignados spagnoli. Il 5 aprile il movimento si è allargato ad altre città francesi, tra cui Nantes, Strasburgo e Tolosa. Foto di Philippe Brault (Vu/Karma press photo) Immagini Il crollo Calcutta, India 1 aprile 2016 Il 1 aprile un tratto lungo cento metri di un viadotto nel quartiere di Bara Bazar, a Calcutta, è crollato uccidendo 27 persone e ferendone un centinaio. La polizia ha arrestato otto dirigenti dell’impresa edile che ha realizzato l’infrastruttura. Sono accusati di omicidio, tentato omicidio e associazione a delinquere. Foto di Bikas Das (Ap/Ansa) Immagini I resti di Palmira Palmira, Siria 31 marzo 2016 Il 27 marzo le truppe del governo siria no, con l’aiuto di quelle russe, hanno ri conquistato Palmira, il sito archeologico protetto dall’Unesco e occupato nel maggio del 2015 dal gruppo Stato isla mico. I jihadisti hanno distrutto i princi pali monumenti del sito, considerando li un’espressione di idolatria. In quest’immagine si vede cosa resta del tempio di Bel, mentre il fotografo Jo seph Eid tiene in mano un suo scatto del 2014 che mostra com’era l’ediicio pri ma dell’occupazione dello Stato islami co. Foto di Joseph Eid (Afp/Getty Images) [email protected] Teoricamente u Credo che l’editoriale di Giovanni De Mauro su Florence Hartmann sia fazioso. Innanzitutto, Hartmann ha consapevolmente violato un obbligo di segretezza che riguardava dei documenti ritenuti conidenziali dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpij). Ho lavorato presso il tribunale e sono venuta a contatto con informazioni classiicate come conidenziali. Per quanto la sete di verità possa guidare le azioni di un individuo, a maggior ragione un giornalista, non sta né a Florence Hartmann né a me giudicare se certi documenti sono segretati legittimamente o no. Ed è isiologico e necessario che il tribunale punisca chiunque decida arbitrariamente di rivelare informazioni che sa essere conidenziali. Suggerire che l’arresto della Hartmann sia stato intimidatorio contro i giornalisti nei civilissimi Paesi Bassi mi fa onestamente sorridere. Hartmann si trovava davanti all’ingresso del tribunale che l’aveva condannata e se qualcuno ha compiuto un gesto di sfregio è stata lei. Nessuno dovrebbe essere detenuto nelle condizioni degradanti cui è stata sottoposta Hartmann. Però la diferenza tra lei e Ratko Mladić è che lei è stata condannata diversi anni fa dal Tpij, mentre Mladić è innocente ino a sentenza di condanna. Alessandra Spadaro Un muro in Europa u Tempo fa mi chiedevo come facesse uno stato come Israele a essere in guerra da settant’anni ed essere una democrazia. Mi ha risposto il vostro articolo “Israele contro tutti” (Internazionale 1144). Anche noi stiamo costruendo muri, sfruttando popoli più deboli, provocando terrorismo e derive antidemocratiche. Chiederemo alla Turchia di diventare più democratica per avvicinarsi all’Europa? Forse non sarà necessario, perché nel frattempo saremo diventati sempre più simili al paese che si trova al 146° posto al mondo per libertà di stampa e rispetto dei diritti umani, e che oggi è nostro alleato nell’apartheid. Angelo Rete Paradisi artiiciali u Mi ha colpito lo stupore generale per le rivelazioni dei Panama papers. Che il paese sia un paradiso iscale era noto, così come il fatto che potenti, inanzieri, industriali e vip vari nascondono parte della propria fortuna nei paradisi iscali. Forse la mia reazione è dovuta al fatto che leggo assiduamente Internazionale. Appena letta la notizia dei Panama papers ho ripensato a un paio di articoli che avete pubblicato l’anno scorso: un reportage su Panamá nel numero 1098 e uno su vari paradisi iscali nel numero 1108. Ecco spiegato il mio mancato stupore per le rivelazioni dei Panama papers. Deriva dal vostro ottimo lavoro. Marco Massimiliani PER CONTATTARE LA REDAZIONE Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta via Volturno 58, 00185 Roma Email [email protected] Web internazionale.it Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli Piccoli schermi Mio iglio di cinque anni ha un’ossessione per il mio smartphone. Mi devo preoccupare?–Ambra Giorni fa mia iglia di otto anni ha disegnato un concerto pop. Le cantanti sul palco, contornate di luci e ballerini, erano in parte ofuscate da una miriade di quadratini con piccolissime facce all’interno. “E questi cosa sono?”, le ho chiesto. “I telefoni”, mi ha risposto lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “E questo qui?”, ho chiesto indicandone uno più grande. “Quello è un tablet, 12 papà!”. C’è poco da fare: per i nostri igli gli schermi dei telefonini sono parte integrante di un concerto. E della vita in genere. Me l’ha confermato un altro scambio di battute con mia iglia: “Papà, che signiica ‘telefonino’?”, mi ha chiesto. Quando gliel’ho spiegato, mi ha risposto: “Ah, vuol dire telefono quindi”. Sono rimasto un secondo interdetto ed è intervenuta la sorella: “No, ma tanto tempo fa si chiamava telefono quello per tutta la famiglia, che era solo uno e bisognava dividerselo”. Preistoria, insomma. Oggi, prima ancora Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 dei nostri igli, quelli ossessionati dal cellulare siamo noi. La banca, il giornale, gli acquisti, gli amici: la nostra vita passa dallo smartphone e i bambini, afamati di scoperta, ne sono attratti come se fosse una inestra sul mondo. Invece di preoccuparci della loro curiosità verso il telefono o il computer, dovremmo limitare il tempo che passiamo davanti allo schermo quando siamo con i bambini. Per insegnargli che il mondo si esplora soprattutto dal vivo. [email protected] Parole Domenico Starnone Le manovre di Renzi u La ministra Guidi ha fatto una telefonata che il presidente del consiglio ha giudicato inopportuna. La parola era più che adeguata. “Opportuno”, “inopportuno” hanno a che fare con “porto”, e se essere opportuni signiica saper individuare il momento in cui le cose possono andare in porto, essere inopportuni comporta invece sbagliare quel momento e inire sugli scogli. Guidi è inita sugli scogli, cioè nelle orecchie dei magistrati, e quindi è stata senza dubbio inopportuna. Il male cioè non era il porto, ma un errore di manovra. Cosa che il presidente del consiglio ha ribadito. La meta è giusta, ha detto, e lui intende assumersi ino in fondo, eroicamente, la responsabilità di mandare in porto di tutto, seppur tra gli scandali e la salute a rischio, per il bene dell’Italia. Dice tante cose, il premier, per il bene dell’Italia. Disse a suo tempo a Letta di star sereno, e Letta oggi, in tv, sembra sicuramente più sereno di lui. È un uomo giovane, parla un buon italiano senza toni smargiassi, si esprime in inglese assai meglio di Alberto Sordi. Certo non è uno che fa rivoluzioni, e perciò a Renzi, qualche tempo fa, sembrò opportuno farlo fuori. Ma oggi che le rivoluzioni del premier appaiono controrivoluzioni all’altezza dei veleni reali e metaforici di sempre, viene il dubbio che per la gestione corrente della tragedia italiana fosse meno inopportuno Letta. Editoriali I conini non sono uguali per tutti “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Editor Daniele Cassandro, Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri), Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura, caposervizio) Copy editor Giovanna Chioini (web, caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco Romano (coordinamento, caporedattore), Giulia Zoli Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web) Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio), Valeria Quadri, Marta Russo Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli, Andrea Fiorito, Lucia Magi, Stefania Mascetti (caposervizio), Martina Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli, Alberto Emiletti Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci, Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Giuseppina Cavallo, Diana Corsini, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Andrea Ferrario, Federico Ferrone, Giusy Muzzopappa, Giulio Nicolucci, Floriana Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Irene Sorrentino, Andrea Sparacino, Bruna Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, Andrea Ferrario, China Files, Sergio Fant, Anita Joshi, Andrea Pira, Fabio Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Francesca Spinelli, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Guido Vitiello Editore Internazionale spa Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli, Alessia Salvitti Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 6953 9313, 06 6953 9312 [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità srl Stampa Elcograf spa, via Mondadori 15, 37131 Verona Distribuzione Press Di, Segrate (Mi) Copyright Tutto il materiale scritto dalla redazione è disponibile sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Non commercialeCondividi allo stesso modo 3.0. 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Alle frontiere sudorientali dell’Unione europea i migranti e i profughi vengono rispediti in Turchia in base a un accordo appena entrato in vigore. Da lì, secondo alcune fonti, potrebbero essere costretti a tornare nei paesi in guerra da cui avevano cercato di fuggire. Nello stesso tempo, un’enorme fuga di documenti ha rivelato che alcuni degli uomini più ricchi del mondo hanno sfruttato i conini nazionali per sottrarre i loro patrimoni al isco. Anche se in modi diametralmente opposti, per i miliardari e i profughi i conini nazionali contano ancora in un mondo globalizzato. Per essere nati nel posto sbagliato, i siriani devono afrontare la violenza del loro governo, le bombe straniere, i terroristi e le milizie. Di fronte al loro esodo in Europa orientale i conini sono stati fortiicati come si faceva in passato: con muri, ilo spinato e guardie armate. I Panama papers, invece, dimostrano che il denaro viaggia molto più liberamente. In questo caso i conini nazionali ofrono riparo dal isco: alcuni paesi hanno creato apposite strutture per accogliere i capitali in fuga. Gran parte di questo movimento di denaro è legale. “Le società ofshore non sono illegali. Per alcune transazioni sono una scelta logica”, sottolineano i giornalisti che hanno pubblicato i Panama papers. Per gli esseri umani attraversare un conine non è illegale se sono in fuga dalla persecuzione. Al contrario, è un diritto garantito dalle leggi internazionali. Anche partire per salvare la propria vita e quella della propria famiglia è una scelta logica. La diferenza è che la fuga delle persone è frutto di una crisi, mentre la fuga dei capitali è frutto di un’opportunità. E il mondo è molto più disposto a favorire la seconda. u as L’occasione delle rinnovabili The New York Times, Stati Uniti Alcuni leader mondiali, soprattutto in paesi in via di sviluppo come l’India, sostengono da anni che non riescono a ridurre le emissioni di gas serra perché sono costretti a usare combustibili inquinanti come il carbone per produrre energia a basso costo. Ma questo argomento è sempre meno valido, perché i costi delle fonti rinnovabili come il solare e l’eolico continuano a scendere. Secondo uno studio delle Nazioni Unite, nel 2015 per la prima volta le fonti rinnovabili sono state responsabili della maggior parte della nuova potenza energetica installata nel mondo. Più di metà dei 286 miliardi di dollari investiti nel solare, nell’eolico e in altre rinnovabili sono stati spesi in paesi emergenti come la Cina, l’India o il Brasile. Se si escludono i grandi impianti idroelettrici, il 10,3 per cento dell’elettricità prodotta nel 2015 proveniva da fonti rinnovabili, circa il doppio rispetto al 2007. Dal 2009 il costo della produzione di energia è sceso del 61 per cento per i pannelli solari e del 14 per cento per le pale eoliche. Secondo alcune stime nel 2020 in India l’energia solare potrebbe costare il 10 per cento in meno rispetto a quella prodotta bruciando carbone. Questi segnali positivi suggeriscono che è possibile ridurre le emissioni di gas serra più velo- cemente ed economicamente del previsto, e fanno sperare che sia possibile raggiungere l’obiettivo issato a dicembre alla conferenza di Parigi: contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto della soglia oltre la quale il mondo andrebbe incontro a devastanti conseguenze come l’innalzamento del livello dei mari, inondazioni, siccità e carestie. Gli enormi ostacoli incontrati a Parigi rimangono. Uno è tecnico: le batterie necessarie a compensare l’incostanza delle fonti rinnovabili sono ancora piuttosto costose. Un altro è inanziario: nonostante la crescita degli investimenti privati nelle rinnovabili, i paesi industrializzati non hanno mantenuto l’impegno preso nel 2009 di fornire cento miliardi di dollari all’anno per inanziare le rinnovabili nei paesi poveri. Il terzo ostacolo è politico. Alzare il prezzo dei combustibili fossili incoraggerebbe gli investimenti nell’energia pulita, ma negli Stati Uniti una tassa sulle emissioni rimane un’ipotesi molto lontana. La diminuzione del costo delle rinnovabili è un chiaro incentivo. La prospettiva di disporre di energia a basso prezzo e allo stesso tempo salvare il pianeta dovrebbe spingere i politici a intraprendere azioni più coraggiose. u f Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 15 Attualità L’epicentro dell’evasione Matthew Yglesias, Vox, Stati Uniti Foto di Gabriele Galimberti e Paolo Woods I Panama papers confermano una realtà che era nota da tempo: i governi occidentali non hanno intenzione di colpire le persone e le aziende che evadono le tasse l nome dello studio legale Mossack Fonseca era conosciuto bene dagli esponenti dell’élite inanziaria e politica mondiale. Ora, grazie ai più di undici milioni di documenti riservati di cui è entrato in possesso l’International consortium of investigative journalists (Icij), un consorzio con sede negli Stati Uniti, quel nome è destinato a diventare ancora più noto. Centinaia di giornalisti in molti paesi stanno spulciando i documenti, che sono stati chiamati Panama papers. Le attività dello studio legale Mossack Fonseca sono diverse e ramiicate su scala internazionale, ma nascono tutte da un’unica specializzazione: aiutare organizzazioni e cittadini stranieri a creare società di comodo a Panamá a cui intestare la loro ricchezza mantenendo segreta l’identità dei veri proprietari. Dalla sua nascita, nel 1977, lo studio ha portato i suoi interessi fuori dallo stato centroamericano, aprendo più di quaranta uici in tutto il mondo e aiutando clienti di vari paesi a lavorare con società di comodo, non solo a Panamá ma anche alle Bahamas, nelle Isole Vergini Britanniche e in altri paradisi iscali. I documenti svelano i particolari di alcune attività poco trasparenti legate a persone vicine al presidente russo Vladimir Putin, fanno riferimento a scandali in alcuni paesi in via di sviluppo e hanno già provocato una crisi politica in Islanda. Ma, soprattutto, offrono un quadro dettagliato di una realtà I 16 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 banale che era sotto gli occhi di tutti: mentre erano impegnati in uno sforzo sempre più complesso e intenso di cooperazione internazionale per oliare le ruote del commercio globale, i paesi più ricchi e inluenti hanno scelto di consentire ai loro cittadini più ricchi di sottrarre i propri patrimoni al fisco ricorrendo a società di comodo all’estero. In questi anni le élite politiche occidentali non hanno fatto niente per impedire a paesi come Panamá di compromettere l’integrità del sistema iscale globale, soprattutto perché le élite economiche occidentali erano contrarie. Cos’è una società di comodo? E a cosa serve? A volte una persona, un’azienda o un’istituzione può voler comprare o possedere beni tenendo segreta l’identità del vero compratore o proprietario. La motivazione più comune è il segreto industriale. In generale alle aziende non piace rendere pubblico quello che stanno facendo: in questi casi l’uso di società di comodo per determinati progetti che ancora non possono essere annunciati è uno strumento utile. Le società di comodo spesso sono usate per semplici motivi di privacy. Le transazioni immobiliari, per esempio, solitamente sono di dominio pubblico. Perciò se un atleta, un attore o un altro personaggio famoso vuole comprare una casa senza che il suo nome compaia sui documenti, paga un avvocato chiedendogli di creare una società di comodo che si occupi dell’acquisto. Ricchezza in aumento Ma, come succede in tutti gli ambiti, la riservatezza può avere anche scopi illeciti. Questo è particolarmente vero per le società di comodo create nei centri internazionali del segreto bancario. Questi centri garantiscono un livello di anonimato e di opacità che va ben oltre la diicoltà di cercare su internet il nome del vero proprietario di quelle società. Per esempio, la moglie da cui state divorziando non può mettere le mani sul denaro depositato in un conto di cui né lei né il suo avvocato conoscono l’esistenza o che non possono ricondurre a voi. Se c’è una procedura fallimentare in atto, questo conto diventa inaccessibile ai vostri creditori. In tutti questi casi una società panamense segretamente controllata da voi e Da sapere Soldi in paradiso u Il 3 aprile 2016 sono stati difusi i risultati di un’inchiesta svolta da quasi 400 giornalisti in tutto il mondo sulla base di più di undici milioni di documenti trapelati dalla Mossack Fonseca, uno studio legale con sede a Panamá. I cosiddetti Panama papers rivelano i meccanismi che politici e personaggi pubblici di vari paesi hanno usato per nascondere le loro ricchezze nei paradisi iscali. Ecco alcune delle informazioni più rilevanti emerse inora. u Alcune persone legate al presidente russo Vladimir Putin controllano beni ofshore per un valore di circa due miliardi di dollari. u Il primo ministro islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson avrebbe usato una società ofshore per nascondere milioni di dollari d’investimenti nelle principali banche islandesi durante la crisi inanziaria. Il 5 aprile Gunnlaugsson si è dimesso. u La famiglia di Nawaz Sharif, primo ministro del Pakistan, possiede proprietà immobiliari per milioni di dollari tramite conti ofshore. u Dopo essere entrato in carica come presidente dell’Ucraina, Petro Porošenko si era impegnato a vendere l’azienda Roshen, ma sembra invece che abbia girato le sue partecipazioni a una società ofshore da lui controllata. u Il presidente argentino Mauricio Macri ha fatto parte del consiglio direttivo di una società ofshore con sede alle Bahamas quando era sindaco di Buenos Aires. u Lo studio Mossack Fonseca ha lavorato con almeno 33 persone e società inserite nella lista nera degli Stati Uniti per i legami con i narcotraicanti messicani, organizzazioni terroristiche o con paesi stati sottoposti a sanzioni. u Le autorità giudiziarie di vari paesi, tra cui Stati Uniti, Francia, Germania, Australia, Austria, Svezia, Italia e i Paesi Bassi hanno aperto delle inchieste. INStItUtE Panamá, marzo 2015 che detiene azioni, obbligazioni e altri titoli finanziari per conto vostro può essere lo strumento ideale. Allo stesso modo, se avete guadagnato molti soldi in modo illegale (per esempio prendendo tangenti o spacciando droga), dovete cercare di usare quei soldi senza attirare l’attenzione. Una società ofshore è perfetta: non solo aiuta a evitare i controlli in tempo reale, ma una volta che il trucco viene scoperto e voi scappate all’estero o inite in galera, le autorità non possono portarvi via i beni intestati a quella società. Ma se i vari sistemi di riciclaggio dei proventi delle attività criminali sono il modo più eclatante di usare le società di comodo, quello a cui servono è soprattutto l’elusione iscale. Come mi ha spiegato qualche anno fa un gestore di conti bancari offshore, “quando la gente pensa al segreto bancario immagina terroristi e traicanti di droga, ma la realtà è che ci sono tanti ricchi che non vogliono pagare le tasse”. E il sistema va avanti perché in occidente ci sono tanti politici che non hanno particolare interesse a fargliele pagare. Nei più di undici milioni di documenti in possesso dell’Icij c’è molto materiale. Le informazioni più rilevanti emerse inora riguardano alcune persone legate a Putin, il primo ministro islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, la famiglia di Nawaz Sharif, primo ministro del Pakistan, e il presidente ucraino Petro Porošenko. I nomi dei politici fanno più notizia, ma tra i documenti trapelati c’è anche il memorandum di un socio dello studio Mossack Fonseca che svela una verità più noiosa ma ugualmente importante: “Il novantacinque per cento del nostro lavoro consiste nel vendere auto per eludere le tasse”. È diicile sapere con precisione quanti soldi ci siano nei paradisi iscali ofshore. Gabriel Zucman, un professore di economia all’università della California a Berkeley che ha analizzato il tema nel libro The hidden wealth of nations, stima che la cifra complessiva sia di almeno 7.600 miliardi di dollari. È più dell’8 per cento della ricchezza mondiale. E il dato è in continua crescita: Zucman calcola che negli ultimi cinque anni la ricchezza ofshore sia aumentata di circa il 25 per cento. Buona parte di quest’aumento è dovuto ai lussi di “nuovo denaro” proveniente dalla Cina e da altri paesi in via di sviluppo, dove i cittadini possono avere fondati timori sulla stabilità politica e lo stato di diritto. Ma in altri casi è semplicemente una questione di avarizia. Nei Panama papers c’è anche il nome di Ian Cameron, defunto padre del primo ministro britannico David Cameron. Lo studio Mossack Fonseca lo aiutò a creare una società d’investimenti nelle Isole Vergini Britanniche, dove non sarebbe stata soggetta all’imposta sulle imprese del Regno Unito né a quella sui proitti. Si tratta di una scelta perfettamente legale, che per altro non richiede alcun segreto. È tipica delle società d’investimento con dipendenti che lavorano o risiedono a New York e a Londra e che per motivi iscali preInternazionale 1148 | 8 aprile 2016 17 Attualità 18 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Panamá, marzo 2015 INStItUtE feriscono avere la sede in posti come le Isole Cayman. Siccome queste società non possiedono grandi patrimoni materiali, possono avere la sede legale in qualsiasi paese, e ovviamente scelgono di stabilirsi in giurisdizioni dove non devono pagare le tasse. Viene da chiedersi perché i leader mondiali non facciano niente per affrontare questa situazione. In realtà, entro certi limiti qualcosa è stato fatto. Con la guerra al narcotraico e, più recentemente, la guerra al terrorismo, sono aumentate le pressioni su tutti i paesi per modiicare le loro regole bancarie così da ridurre il riciclaggio internazionale. Di recente l’Unione europea è riuscita a convincere la Svizzera a cambiare le sue leggi per facilitare il compito delle istituzioni europee impegnate a perseguire gli evasori iscali. Ma c’è una bella diferenza tra l’evasione iscale – cioè riiutarsi di pagare le imposte che per legge si devono pagare e poi usare i conti segreti per cercare di nascondere il denaro e farla franca – e l’elusione, cioè pagare persone intelligenti che aiutino a trovare e a sfruttare le scappatoie legali per ridurre al minimo le tasse da pagare. È perfettamente legale, per esempio, creare un hedge fund in un paese che non prevede l’imposta sul reddito delle società anche se tutti i dipendenti e gli investitori del fondo vivono negli Stati Uniti. E, in molti casi, è legale anche aprire una società di comodo a Panamá intestandole buona parte del patrimonio di famiglia. L’elusione esiste in ogni sistema iscale, ma il motivo per cui continua a crescere senza ostacoli è che i politici dei paesi più inluenti hanno lasciato che succedesse. Con l’economia globale che diventa sempre più integrata, i paesi ricchi hanno creato un “codice della strada” economico a cui i paesi e le multinazionali straniere devono attenersi per accedere al mercato e arricchirsi. Se oggi non esiste uno standard globale di tassazione sui redditi delle società e sui redditi di capitale è perché non è una priorità politica. Su questo tema non c’è la stessa mobilitazione istituzionale che c’è per il narcotraico o il terrorismo. La difusione dei Panama papers è importante per le informazioni speciiche che contengono, ma più in generale perché i documenti spostano l’attenzione su quello che “tutti sanno”, e possono mettere pressione su chi detiene le leve del potere ainché faccia qualcosa. u fas Putin, i russi e il complotto occidentale Gazeta, Russia Secondo le autorità di Mosca i Panama papers sono una macchinazione statunitense. Per le tv pubbliche semplicemente non esistono. E i cittadini non hanno più la forza d’indignarsi cosiddetti Panama papers sono stati resi pubblici il 3 aprile e hanno suscitato scandalo in tutto il mondo. Per ironia della sorte in Russia sono stati accolti con entusiasmo da Edward Snowden, ex collaboratore dei servizi segreti degli Stati Uniti e attualmente rifugiato a Mosca. Snowden li ha definiti la più grande fuga di informazioni riservate nella storia del giornalismo. Nelle società ofshore citate nei documenti sono state trovate tracce di soldi di dodici tra uomini d’afari e funzionari russi, per una somma complessiva di due miliardi di dollari. Una parte delle rivelazioni riguarda le operazioni condotte da un ami- I co di lunga data del presidente Vladimir Putin (un’amicizia che non viene smentita dal Cremlino), il violoncellista Sergej Roldugin. La Francia, il Regno Unito, i Paesi Bassi e altri paesi hanno già dichiarato di voler avviare inchieste sulle informazioni ricevute. La procura generale dell’Ucraina ha invece dichiarato che non ci sono motivi suficienti per aprire un’indagine sul presidente Petro Porošenko, anche lui coinvolto nell’inchiesta giornalistica. Solo in Russia, però, si aferma che i documenti sono falsi e che distorcono la realtà. La televisione di stato ha parlato dei Panama papers sottolineando esclusivamente il coinvolgimento del presidente ucraino, mentre ha mantenuto un completo silenzio sul coinvolgimento dei cittadini russi. Dmitrij Peskov, portavoce della presidenza russa, ha dichiarato che si tratta di un attacco contro Putin, aggiungendo poi che la pubblicazione dei documenti è una ritorsione contro i successi ottenuti dalla Russia nel conlitto in Siria. Per quanto riguarda l’or- ganizzazione che ha realizzato l’indagine, Peskov (citato nei Panama papers) ha osservato: “È evidente che ne fanno parte molti giornalisti la cui professione principale non è il giornalismo. Ci sono molti ex collaboratori del dipartimento di stato americano, della Cia e di altri servizi segreti”. In ogni caso le autorità di Mosca non sembrano troppo preoccupate per le possibili reazioni dei russi. I fatti di cui la televisione non parla semplicemente non esistono. E i grandi canali televisivi inora hanno completamente taciuto sul capitolo russo dei Panama papers. Inoltre, la cifra di cui si è parlato, due miliardi di dollari, non è tale da far indignare il cittadino russo medio. Ormai da tempo i russi non si scandalizzano più per questi “movimenti di capitali”. Senza conseguenze L’inchiesta non inluirà sulle elezioni presidenziali, che si terranno nel 2018, né su quelle legislative, in programma il prossimo settembre. Il voto per la duma non interessa a nessuno, visto che la televisione non ne parla. D’altronde è ormai da tempo che il Cremlino e l’opinione pubblica non reagiscono nemmeno alle denunce di corruzione fatte periodicamente dal blogger Aleksej Navalnij. I Panama papers non incideranno neanche sulle relazioni internazionali della Rus- sia, visto che i documenti riguardano una rete inanziaria con ramiicazioni in tutto il mondo, e non esclusivamente Mosca. Diicilmente le rivelazioni sul coinvolgimento indiretto di alcuni leader politici avranno efetti concreti. Dopo un’inchiesta realizzata dalla Bbc a ine gennaio, un rappresentante del ministero delle inanze statunitense aveva accusato Putin di corruzione, ma questo non ha impedito la visita del segretario di stato John Kerry a Mosca, il 23 marzo, né la collaborazione tra i due paesi per risolvere il conlitto siriano. Sui social network sta già circolando un commento sarcastico, che potrebbe diventare realtà: “In seguito alla pubblicazione dei Panama papers in Islanda ci saranno dimissioni, in Cina fucilazioni, in Arabia Saudita silenzio assoluto, in Ucraina scandali e accuse reciproche. In Russia verranno invece avviati processi contro l’opposizione, sarà chiuso qualche altro sito web e i mezzi d’informazione che hanno accolto l’inchiesta con entusiasmo avranno problemi”. I Panama papers diicilmente cambieranno la Russia, come le rivelazioni di Wikileaks non hanno cambiato il mondo. La minaccia maggiore per la Russia oggi non è costituita da documenti che svelano la corruzione della sua leadership, ma dalle conseguenze a lungo termine della sua politica interna ed estera. u af Dall’Islanda Il primo leader a cadere Coinvolto nello scandalo dei Panama papers, il primo ministro islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson si è dimesso il 5 aprile. Secondo l’inchiesta dell’International consortium of investigative journalists, sua moglie è titolare di una società ofshore nelle Isole Vergini Britanniche che avrebbe fatto afari con le banche islandesi fallite durante la crisi del 2008. Subito dopo la pubblicazione delle informazioni contenute nei Panama papers, migliaia di persone si erano radunate davanti al parlamento di Reykjavík per chiedere le dimissioni di Gunnlaugsson. Come scrive il quotidiano Fréttablaðið, l’ormai ex primo ministro ha chiesto al vicepresidente del suo partito, Sigurður Ingi Jóhannsson, di sostituirlo “per un periodo di tempo indeinito”, e ha proposto di sciogliere il parlamento e di indire nuove elezioni. Quest’ultima ipotesi è stata però respinta sia dal presidente, Ólafur Ragnar Grímsson, sia da Bjarni Benediktsson, ministro delle inanze e leader del Partito per l’indipendenza (che governa insieme al Partito progressista di Gunnlaugsson). Secondo un sondaggio pubblicato il 6 aprile dal quotidiano Morgunblaðið, se si votasse oggi il Partito pirata sarebbe la prima forza del paese con il 43 per cento dei consensi (alle legislative del 2013 aveva ottenuto il 5,1 per cento dei voti), seguito dal Partito per l’indipendenza, con la metà dei voti. I progressisti sarebbero relegati al quinto posto, con meno dell’8 per cento dei voti (nel 2013 avevano ottenuto il 24,4 per cento). Dopo tre giorni di manifestazioni, quella che Morgunblaðið deinisce “la più importante protesta politica nella storia del paese” costituisce “un monito rivolto a tutti i partiti ainché rispettino l’etica pubblica e la volontà democratica della popolazione. Gli islandesi stanno cominciando a rendersi conto del loro potere, un potere che può garantire al paese la democrazia in modo permanente. Perché questo è il nostro paese, ed è dovere di noi islandesi fare in modo che i valori fondamentali siano rispettati, soprattutto in parlamento”. u gpa Cina Afari di famiglia Hong Kong Economic Journal, Hong Kong Panama papers hanno portato alla luce informazioni che mettono in imbarazzo alcuni importanti leader cinesi, a cominciare dal presidente Xi Jinping. I documenti rivelano che Deng Jiagui, cognato del presidente, ha creato due società ofshore nelle Isole Vergini Britanniche nel 2009, quando Xi faceva parte del comitato permanente del politburo, il più importante organo del Partito comunista. Già nel 2012 un’inchiesta di Bloomberg News sosteneva che Deng e sua moglie possedessero centinaia di milioni di dollari in immobili, partecipazioni azionarie e altre attività. Queste rivelazioni sono un problema per Xi, visto che il presidente ha lanciato una campagna senza precedenti contro la corruzione, prendendo di mira molti esponenti del Partito comunista, del governo, delle forze armate e di aziende statali. Nei Panama papers compaiono anche i nomi di alcuni familiari di Zhang Gaoli e Liu Yunshan, entrambi nell’attuale comitato permanente del politburo, che avrebbero creato società di comodo nei paradisi iscali per nascondere i loro patrimoni. Dai documenti emerge anche il nome di Li Xiaolin, la iglia dell’ex premier cinese Li Peng. Per i cittadini cinesi non è illegale creare un’azienda ofshore. Tuttavia, il Partito comunista sconsiglia ai suoi funzionari di approittare della posizione che occupano e prevede che i loro familiari non approittino dei loro contatti privilegiati. Nonostante questo, spesso i cittadini più ricchi e inluenti acquistano quote di partecipazione in società ofshore per nascondere le loro attività illegali, come il riciclaggio di denaro e l’evasione iscale. Ma la maggioranza della popolazione cinese non si accorgerà nemmeno dello scandalo. Negli ultimi giorni le autorità hanno fatto in modo che tutte le notizie sui Panama papers fossero cancellate dai mezzi d’informazione e dai social network.u fp I Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 19 Francia Le notti in piedi di Parigi Dopo il corteo del 31 marzo contro la riforma del lavoro, centinaia di manifestanti hanno occupato place de la République. Una mobilitazione che ricorda quella degli indignados spagnoli A ndranno a dormire solo se costretti con la forza. Sono già diverse notti che alcune centinaia di manifestanti occupano place de la République a Parigi. La mobilitazione è cominciata subito dopo la grande manifestazione del 31 marzo contro il disegno di legge sulla riforma del diritto del lavoro, voluto dal governo del primo ministro socialista Manuel Valls e presentato dalla ministra Myriam El Khomri. Determinati a reagire contro “questo mondo che loro costruiscono con accanimento per noi, ma in realtà contro di noi”, alcune centinaia di manifestanti hanno occupato la piazza che, dopo gli attentati di Parigi del gennaio 2015, è diventata il simbolo della memoria collettiva del paese. Non se ne andranno facilmente: la sera di sabato 2 aprile erano ancora in molti. Ma chi c’è dietro questo movimento, che porta il nome di un hashtag, #NuitDebout (Notte in piedi), ed è già stato paragonato a quello degli indignados spagnoli, che occuparono le piazze di Madrid e Barcellona nel maggio del 2011? Il 31 marzo gli appelli alla mobilitazione sono stati lanciati in tutta la Francia, da Parigi a Lione, da Marsiglia a Tolosa ino a Caen. Su Facebook l’evento era collegato a un nuovo progetto sulla convergence des luttes, la convergenza delle diverse battaglie politiche che attraversano il paese. Il programma aveva cominciato a prendere forma in una riunione che si era tenuta a Parigi alla ine di febbraio. Far convergere le lotte. Per i partiti, i sindacati, i militanti e i semplici cittadini la sida non era semplice. Il trauma degli attentati dello scorso anno e il prolungamento dello stato d’emergenza voluto dal presi- 20 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 dente François Hollande avrebbero potuto avere la meglio sulle ambizioni degli attivisti. Ma poi è arrivata la grande mobilitazione contro la riforma del lavoro, che ha riportato i francesi in piazza. Giovedì 31 marzo in tutto il paese hanno manifestato 1,2 milioni di persone (quasi 400mila, secondo la polizia). Le proteste hanno coinvolto anche licei e università. Grazie padrone Arrivata la sera, quando di solito i cortei si disperdono, a Parigi diverse centinaia di persone hanno deciso di dirigersi a place de la République per una prima notte d’occupazione, accompagnata da eventi e dibattiti pubblici. Galvanizzati dalla giornata di mobilitazione, i manifestanti hanno risposto anche all’appello che a metà marzo aveva lanciato il collettivo Convergence des Da sapere La protesta della Nuit debout u Il 31 marzo 2016 centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Francia per protestare contro la proposta di legge sulla riforma del diritto del lavoro voluta dal governo del primo ministro socialista Manuel Valls e presentata dalla ministra del lavoro Myriam El Khomri. Al termine della manifestazione, a Parigi alcune centinaia di persone hanno organizzato un presidio in place de la République, ispirato all’esperienza degli indignados spagnoli. L’iniziativa ha preso il nome di Nuit debout (Notte in piedi). Nonostante i tentativi di sgombero, il 6 aprile la mobilitazione era ancora in corso. u Il 5 aprile a Parigi sono state organizzate due nuove manifestazioni contro la legge Khomri. In tutto il paese sono scesi in piazza circa 25mila manifestanti, soprattutto studenti universitari e delle scuole superiori. Ci sono stati scontri con la polizia e più di 150 persone sono state fermate. Il giorno seguente le principali organizzazioni degli studenti sono state ricevute dai ministri del lavoro, dell’istruzione e della gioventù. La discussione della legge Khomri all’assemblea nazionale comincerà il 3 maggio. Le Monde MEyER (TENDANCE FLoUE/LUzPHoTo) Lucas Godignon, L’Express, Francia Place de la République, a Parigi, il 1 aprile 2016 luttes, nato in un’assemblea di militanti di sinistra organizzata nel palazzo della borsa del lavoro di Parigi il 23 febbraio. Dietro all’evento c’erano la rivista di sinistra Fakir e il suo direttore François Ruin, regista del documentario Merci patron! (Grazie padrone), su una coppia che rimane disoccupata dopo la delocalizzazione della fabbrica in cui lavorava. I sindacalisti, i militanti ambientalisti e gli intellettuali che quella sera si sono riuniti, hanno afrontato una questione importante: come far paura al potere? Cercando di costruire delle iniziative comuni contro l’“oligarchia” che “si è impadronita dell’economia, della stampa, della giustizia e del governo”, ha risposto il sito di Fakir. Alla serata hanno partecipato anche gli operai in lotta della fabbrica di pneumatici Goodyear di Amiens e gli ambientalisti che si oppongono alla costruzione dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, nei Paesi della Loira, e sono intervenute alcune importanti personalità della sinistra radicale, come l’economista Frédéric Lordon. Quella sera è stata creata la pagina Facebook Convergence des luttes, con l’obiettivo di organizzare per il 31 marzo un evento in grado di riunire insieme una serie di rivendicazioni diverse: sociali, ambientaliste e con- L’opinione Il naufragio di Hollande Grégoire Biseau, Libération, Francia La rinuncia al progetto di revocare la cittadinanza alle persone condannate per terrorismo è una grave sconitta per il presidente n disastro. Probabilmente nella storia politica francese non succederà più che un’iniziativa di un presidente della repubblica abbia un esito così diverso da quello immaginato originariamente. Dopo gli attentati del 13 novembre 2015 François Hollande aveva fatto appello all’unità nazionale per ricompattare un paese traumatizzato. Alla ine ha raccolto solo il riiuto del suo stesso schieramento, lasciando ai francesi lo spettacolo desolante dei suoi intrighi politici. Cercando di inserire nella costituzione la possibilità di revocare la cittadinanza francese alle persone con doppia nazionalità condannate per terrorismo, Hollande ha puntato sulla forza dei simboli. L’iniziativa doveva migliorare il paese, mentre ha inito per umiliarlo. Per settimane la Francia ha discusso di una questione inverosimile: meglio negare l’uguaglianza dei cittadini francesi davanti alla legge oppure creare degli apolidi, violando così l’articolo U tro la tendenza “securitaria” del governo. È stato lanciato un primo appello e, un passo alla volta, il progetto della #NuitDebout ha preso forma. Con uno slogan preciso: “Dopo la manifestazione contro la riforma del lavoro, non si torna a casa”. Come si legge sul suo sito, il collettivo Convergence des luttes è formato da “donne e uomini di tutte le origini, semplici cittadini/e, militanti del mondo associativo o politico, riuniti spontaneamente intorno al dibattito creato dal ilm Merci patron! di François Ruin”. Come a Madrid La sera del 31 marzo Merci patron! è stato proiettato in place de la République. Frédéric Lordon ha preso la parola per dire a chi era in piazza che forse questa volta “stiamo davvero riuscendo a costruire qualcosa”. In un appello video lanciato dalla piazza ha poi aggiunto: “Fatene parte e unitevi a noi”. Nella notte tra giovedì e venerdì a place de la République sono intervenuti, tra gli altri, Sophie Tissier, una lavoratarice precaria del canale televisivo Direct 8 che ha appena vinto un processo contro il suo ex datore di lavoro, e un militante spagnolo che nel 2011 aveva partecipato al movimento degli indignados e a Parigi ha dispensato consigli agli attivisti francesi. Olivier Besancenot, portavoce del Nuovo partito an- ticapitalista (Npa), dal suo account su Twitter ha difuso foto della mobilitazione e inviti a scendere in piazza. Non è mancato ovviamente nemmeno François Ruin. E un ruolo importante lo hanno avuto i comuni cittadini, che hanno denunciato “l’islamofobia sempre più diffusa”, una classe politica ormai “scollegata” dalla gente e un governo che “impoverisce i più poveri”. Professori, studenti, lavoratori: tutti desiderosi d’esprimersi, di costruire qualcosa o semplicemente di ritrovarsi insieme. Ricordano in qualche modo i rivoluzionari del Cairo o gli attivisti di Occupy Wall 15 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo? In tutta questa sceneggiata Hollande è ovviamente il primo sconitto. Pensava che non sarebbe stato troppo rischioso proporre una misura voluta dall’opposizione e sostenuta dall’opinione pubblica, ma a quanto pare non aveva capito il punto essenziale: non si tocca la costituzione se non si hanno convinzioni o princìpi solidi. In questa scommessa c’erano troppi calcoli politici, troppi secondi ini. La scarsa chiarezza mostrata dal presidente poteva solo generare confusione, disordine e rabbia. Il gioco della destra è stato altrettanto squallido. La segreta speranza di far cadere Hollande ha inito per avere la meglio su ogni altra considerazione. Da questo fallimento, insomma, nessuno può sperare di ottenere qualche tornaconto politico. Tranne forse Marine Le Pen. Le leader del Front national ha sostenuto la revoca della cittadinanza. L’opinione pubblica l’ha seguita. E il progetto è fallito per colpa dell’Umps (la sigla con cui Le Pen indica il blocco politico che sarebbe formato dalla destra gollista dell’Ump e dai socialisti, Ps). Hollande non avrebbe potuto fare di meglio per regalare credibilità al Front national. u adr street e della Puerta del Sol di Madrid. Ma cosa succederà ora a questi indignati francesi? Alle sei di mattina di sabato 2 aprile i poliziotti della Crs, la Compagnie républicaine de sécurité, sono arrivati per sgomberare la piazza, come avevano fatto il giorno prima. Gli organizzatori hanno risposto che non stavano facendo nulla di illegale e hanno mostrato un’autorizzazione rilasciata dalla prefettura. Ma non è servito a molto. I manifestanti sono stati indirizzati “con fermezza” verso le stazioni della metropolitana. Poche ore dopo erano di nuovo in piazza. u f Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 21 xxxxxxxxx ETIENNE DE MALGLAIVE (GETTy IMAGES) Europa Profughi a Mitilene, sull’isola di Lesbo, il 5 aprile 2016 Frontiere chiuse dopo l’intesa sui profughi Adéa Guillot, Le Monde, Francia Il 4 aprile, in seguito all’accordo tra Unione europea e Turchia, sono cominciate le espulsioni dei migranti sbarcati in Grecia. Ma le nuove procedure per i rimpatri sollevano diversi dubbi a mattina di lunedì 4 aprile una nave della compagnia Erturk è partita dal porto dell’isola greca di Chio con 66 migranti a bordo, imbarcati senza particolari incidenti e accompagnati ognuno da un poliziotto. L’imbarcazione era diretta a Dikili, sulla costa turca. Alcuni migranti erano ammanettati. Ma presto le manette gli sono state tolte, hanno assicurano le autorità greche. Lo stesso giorno 136 persone sono partite da Lesbo, sempre dirette in Turchia. La loro nazionalità non è stata resa nota. Come previsto dall’accordo concluso il 18 marzo tra Ankara e l’Unione europea, il 4 aprile la Grecia ha cominciato a rimandare i migranti in Turchia. Secondo l’intesa, vanno espulse tutte le persone arrivate in modo irregolare in Grecia dopo il 20 marzo, compresi i richiedenti asilo siriani. In cambio, L 22 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 per ogni siriano espulso, un altro sarà accolto nell’Unione direttamente dai campi profughi turchi, ino a un massimo di 72mila persone. I primi 35 richiedenti asilo siriani sono già arrivati ad Hannover, in Germania. Tra il 4 e il 6 aprile, invece, circa 500 migranti hanno lasciato l’isola di Lesbo a bordo di due navi noleggiate dall’agenzia Frontex, che si occupa della gestione delle frontiere esterne dell’Unione. Altri duecento sono partiti da Chio. “Si tratta di persone che non hanno presentato domanda d’asilo in Grecia”, spiega una fonte della polizia. sposterà altrove”, dice un amico di Sharrkar. “No, no, ci rimanderanno in Turchia perché non abbiamo fatto domanda d’asilo”, risponde un altro. Ormeggiato a pochi metri da qui, un catamarano della compagnia turca Erturk attira la curiosità di tutti. “Vogliono rimandarci indietro con questa barca così piccola?”, chiede Abdallah Alkiem, un infermiere siriano di 25 anni. In effetti è proprio questa l’imbarcazione partita il 4 aprile alla volta di Dikili. Secondo la nuova legge greca sul diritto d’asilo, approvata il 1 aprile, possono essere rimandati in Turchia i migranti che non fanno richiesta d’asilo in Grecia o la cui domanda di protezione viene respinta. Il governo greco aferma che la legge rispetta pienamente la convenzione di Ginevra del 1949, ma l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha espresso più di una preoccupazione. “Ci sono problemi nelle procedure per la richiesta d’asilo. Chiediamo ad Atene di garantire che ogni richiesta sia valutata individualmente e che il diritto all’appello sia rispettato”, ha detto Katerina Kitidi, portavoce dell’Unhcr a Chio. “E poi bisogna garantire condizioni di accoglienza dignitose, privilegiando le soluzioni che non prevedono la detenzione”. In efetti dal 20 marzo le strutture di accoglienza, i cosiddetti hot spot, si sono trasformate in centri di detenzione. Qui sono rinchiusi i nuovi arrivati – 1.700 solo a Chio – inché le loro richieste d’asilo non vengono esaminate. “Per trenta volte ho bussato alla porta dell’uicio che si occupa di esaminare le nostre domande, e per trenta volte mi hanno detto di tornare più tardi. Sono 15 giorni che va avanti così!”, racconta Sharrkar Habib. u adr L’opinione Detenuti e innocenti Nessuna sicurezza I profughi hanno paura di essere rispediti in Turchia. “Mi riiuto categoricamente di tornarci”, aferma Sharrkar Habib, un pachistano di 27 anni che fa parte del gruppo di 700 migranti che il 1 aprile hanno forzato la recinzione del centro di accoglienza Vial di Chio. “Ho passato sei mesi a lavorare come scaricatore di porto a Istanbul e alla ine il capo non mi ha pagato, minacciando di denunciarmi alla polizia. La Turchia non è un paese sicuro. E poi so che mi rimanderanno in Pakistan. Se mi obbligano a imbarcarmi, mi butto in mare!”. “Ho sentito dire che stanotte la polizia ci u “La crisi dei migranti ha riacceso il dibattito sull’ingresso di Ankara nell’Unione europea”, scrive il quotidiano The Malta Independent. “Le gravi violazioni dei diritti umani che si consumano in Turchia – contro i giornalisti dell’opposizione e, in particolare, i curdi – sono largamente ignorate in occidente, perché l’appartenenza alla Nato dà ad Ankara uno status privilegiato. Ma gli attivisti per i diritti umani hanno ragione a sollevare dubbi sul fatto che la Turchia sia considerato un ‘paese terzo sicuro’, dove l’Europa può rimandare in tutta sicurezza i profughi in fuga dalla guerra. I politici europei che accettano questa soluzione sono completamente fuori strada”. Europa VAhAN STEPANyAN (PAN PhOTO/AP/ANSA) Un militare della repubblica del Nagorno-Karabakh, 4 aprile 2016 Il ritorno della violenza in Nagorno-Karabakh Sergej Markedonov, Politkom, Russia La ripresa degli scontri nel territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian dimostra che le tensioni tra l’occidente e la Russia stanno rendendo lo spazio eurasiatico meno sicuro L’ escalation del confronto armato in Nagorno-Karabakh ha nuovamente richiamato l’attenzione sul Caucaso. Gli incidenti dei giorni scorsi vanno interpretati tenendo presenti i cambiamenti avvenuti di recente nello spazio postsovietico, in particolare il conlitto in Ucraina e le tensioni nei rapporti tra l’occidente e la Russia. Sotto questo proilo, è particolarmente rilevante la questione del riconoscimento da parte di Bruxelles e Washington del ruolo della Russia in Eurasia. Uno dei fattori che più ostacolano una soluzione deinitiva del conlitto in Nagorno-Karabakh è l’indisponibilità delle parti in gioco a fare compromessi. L’Armenia e l’Azerbaigian rimangono su posizioni massimaliste, con il risultato che tutto si traduce in un gioco a somma zero. Il Nagorno-Karabakh non è mai stato il 24 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 teatro di un conlitto a distanza tra la Russia e gli Stati Uniti. A causa della crisi ucraina, tuttavia, i rapporti tra l’occidente e il Cremlino sono nettamente peggiorati. E alcune importante questioni su cui erano stati fatti progressi, come l’Afghanistan e il Medio Oriente, oggi rimangono bloccate. Questa situazione spinge i “partiti della guerra” dello spazio eurasiatico a lanciarsi in azioni rischiose, nella speranza che, al momento decisivo, né la Russia né l’occidente abbiano la volontà o il coraggio di agire per evitare un conlitto su scala più ampia. Anche i contrasti tra Russia e Turchia inluiscono negativamente sulla situazione in NagornoKarabakh e alimentano nuovi focolai di tensione nei paesi del Caucaso e dell’Asia centrale che hanno stretti rapporti sia con Mosca sia con Ankara. La Turchia non può essere considerata all’origine dell’intensiicazione del conlitto, ma è evidente che ha tutto l’interesse a vedere ridimensionato il ruolo del Cremlino. Sarebbe però ingenuo pensare che l’inas p r i m e n t o d e l la s i t u a z i o n e i n Nagorno-Karabakh causi problemi solo a Mosca. Promosso dall’occidente e non lontano dalla zona degli scontri, anche l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan potrebbe risen- Da sapere u Tra il 1988 e il 1994 Armenia e Azerbaigian hanno combattuto per il controllo del NagornoKarabakh, una provincia a maggioranza armena in territorio azero. La guerra si è interrotta con una tregua nel 1994, ma le tensioni sono continuate. Oggi il Nagorno-Karabakh è una repubblica autoproclamata indipendente, sostenuta dall’Armenia ma non riconosciuta uicialmente dalla comunità internazionale. u Il 2 aprile 2016 sono ripresi i combattimenti tra le forze azere e quelle del Nagorno-Karabakh. In quattro giorni di scontri, i più gravi dal 1994, i morti sono stati più di settanta. La sera del 4 aprile le autorità di Baku e di Stepanakert hanno annunciato un accordo di cessate il fuoco. Afp tirne. Nelle vicinanze dell’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh corre inoltre il conine con l’Iran, la cui importanza per il Caucaso e il Medio Oriente non va sottovalutata. A sviluppare contatti con Teheran non è interessata solo Erevan, che da tempo ha relazioni cordiali con la repubblica islamica, ma anche Baku e Ankara, come testimoniano le recenti visite nella capitale iraniana del presidente azero Ilham Aliev e del premier turco Ahmet Davutoğlu. La situazione non è tranquilla nemmeno nelle zone limitrofe alla regione caucasica. In Donbass il conlitto non è ancora risolto, e di tanto in tanto ci sono scontri. Nella repubblica autoproclamata della Transnistria, in Moldova, l’Unione europea sta dando prova di maggiore, soprattutto in campo economico. Ma anche qui i problemi rimangono. Complessivamente la mancanza di una collaborazione pragmatica tra l’occidente e la Russia non aiuta ad attenuare le turbolenze nello spazio postsovietico, dove abbondano i conlitti irrisolti o latenti. I recenti scontri in Nagorno-Karabakh fanno capire che l’unica alternativa al caos è un rinnovato impegno a cooperare da parte di Mosca, di Washington e dell’Europa. u af Germania ex jUGoslavia l’assoluzione di Šešelj Un alleato terribile Il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia ha assolto da tutte le accuse il nazionalista serbo Vojislav Šešelj (nella foto). L’ex leader del Partito radicale serbo era accusato di aver commesso crimini contro l’umanità in Bosnia Erzegovina e Croazia. Per questi capi di accusa era stata chiesta una condanna a 28 anni di reclusione. Šešelj era in libertà per motivi di salute dal 2014 dopo essersi consegnato volontariamente al Tribunale nel 2003. Il sito Slobodna Bosna riferisce la sua ultima provocazione: “Šešelj ha annunciato che parteciperà alla campagna elettorale nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e che visiterà presto Sarajevo, per fare una passeggiata in centro”. polonia in piazza per l’aborto Decine di migliaia di persone hanno manifestato il 3 aprile a Varsavia (nella foto) per difendere il diritto all’interruzione di gravidanza. La protesta è stata organizzata dopo che la prima ministra Beata Szydło, del partito nazionalconservatore Pis, aveva dato il suo appoggio a un referendum per introdurre il divieto totale di aborto in Polonia, paese che sul tema ha già una legge tra le più severe d’Europa. Secondo il settimanale Polityka, “è una bugia dire che il numero degli aborti può essere ridotto con pene più dure”. Dietro il referendum “c’è la chiesa, che vuole imporre la sua visione della giustizia e della società”. “Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha il senso dello stato di un sultano, non certo di un leader democratico, eppure oggi è uno dei politici più importanti del continente”, scrive Der Spiegel. “Erdoğan può permettersi di provocare o usare la cancelliera tedesca Angela Merkel e l’Unione europea, perché sa bene che senza di lui l’accordo sui profughi fallirebbe e i leader europei non saprebbero più come gestire le persone che arrivano dalla Siria o dall’Africa, se non alzando muri che segnerebbero la ine dell’Europa come società aperta”. Negli ultimi mesi Erdoğan non ha perso occasione per “dare prova del suo potere ai tedeschi. Il 19 febbraio, per esempio, l’ambasciatore tedesco in Turchia, Martin Erdmann, è stato chiamato al ministero degli esteri per rendere conto di alcuni materiali didattici per gli insegnanti del land Sassonia-Anhalt in cui si parla del genocidio degli armeni del 1915 e che contengono una vignetta su Erdoğan”. Il 22 marzo Erdmann è dovuto tornare al ministero per un servizio della tv pubblica tedesca considerato ofensivo. Erdoğan ha chiesto che il video fosse ritirato. ◆ finlandia spaGna Trattative ininite A più di tre mesi dalle elezioni, la Spagna è ancora senza governo. I socialisti del Psoe non riescono a concludere un accordo con Podemos e Ciudadanos, soprattutto per “le divergenze tra questi due partiti emergenti”, scrive El País. Secondo un sondaggio pubblicato da El Mundo, le intenzioni di voto per i popolari sono in aumento, come quelle per Ciudadanos. Il Psoe è stabile, e Podemos è in calo. Su Público, un altro sondaggio rivela che solo il 3 per cento degli intervistati “è preoccupato per l’assenza di un governo”. Welfare sperimentale Nel 2016 il governo inlandese del primo ministro liberale Juha Sipilä lancerà un progetto pilota per sperimentare l’introduzione del reddito di cittadinanza. Al programma parteciperanno 1.500 persone, che riceveranno ino a 750 euro al mese a integrazione del loro reddito e in sostituzione dei beneit precedenti. Come spiega il sito statunitense Vox, “la Finlandia non sta per adottare il reddito di base universale. Farà invece l’esperimento metodologicamente più completo, rigoroso e aidabile mai condotto sul tema. E se la prova darà risultati positivi, potrà proseguire il percorso inizia- to, anche se ci vorranno comunque anni per arrivare al reddito di cittadinanza per tutti. Già il progetto, tuttavia, è molto importante”. Anche secondo il quotidiano inlandese di centrosinistra Aamulehti l’esperimento è interessante, ma non bisogna essere troppo ottimisti: “Il reddito di cittadinanza non è la soluzione a tutti i problemi. Tuttavia, se il welfare può essere riformato incoraggiando la gente a lavorare, accorciando i periodi di disoccupazione e rendendo il sistema più eiciente, allora vuol dire che siamo sulla strada giusta”. Più scettico il tabloid Ilta Sanomat: “Il problema è semplice: non ci sono abbastanza soldi per inanziare il reddito di base universale. E una soluzione parziale non farà che complicare le cose”. MARko DJURICA (REUTERS/CoNTRASTo) ALIk kEPLICz (AP/ANSA) Der Spiegel, Germania in breve Cipro Il 5 aprile il primo ministro della Repubblica Turca di Cipro Nord, Ömer kalyoncu, si è dimesso a causa delle divergenze sulla politica economica all’interno della coalizione al potere. Turchia Il 31 marzo sette poliziotti sono morti in un attentato a Diyarbakır rivendicato dall’ala militare del Partito dei lavoratori del kurdistan (Pkk). Il 5 aprile, in un discorso tenuto ad Ankara, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha proposto di privare della cittadinanza turca i sostenitori del Pkk, compresi giornalisti e intellettuali. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 25 Pakistan K.M. ChAuDARy (AP/ANSA) Una veglia per le vittime di Lahore, 30 marzo 2016 Le conseguenze politiche dell’attentato di Lahore Ahmed Rashid, The New York Review of Books, Stati Uniti L’attacco di Pasqua ha rotto il fragile equilibrio di potere tra governo e militari in Pakistan. L’esercito ha deciso d’imporsi sul primo ministro Sharif, considerato troppo debole attentato suicida che la domenica di Pasqua ha provocato la morte di 74 persone in un parco di Lahore, nel Punjab, ha suscitato condanne in tutto il mondo. Tra le vittime ci sono 29 bambini, e molti dei 370 feriti fanno parte della minoranza cristiana del paese. Meno evidente, ma altrettanto devastante, è stato l’effetto dell’attentato sui L’ 26 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 rapporti tra l’esercito e il governo del Pakistan, un efetto che ora minaccia di alimentare l’instabilità del Punjab. Al centro di questa crisi ci sono due uomini: il generale Raheel Sharif, comandante in capo dell’esercito, e il primo ministro Nawaz Sharif, capo del governo. Negli ultimi 18 mesi i due Sharif (nessuna parentela) hanno mantenuto un’esile intesa politica: l’esercito (in qualche modo consultandosi con il primo ministro) controllava la politica estera e nucleare del paese e la strategia antiterrorismo a Karachi, a sud, e lungo il conine con l’Afghanistan, a nord. Il governo, invece, controllava l’economia e soprattutto il Punjab, la regione d’origine del primo ministro e la più popolosa del paese. L’attività antiterrorismo in Punjab era aidata alla polizia locale anziché all’esercito. L’accordo tra militari e governo si è interrotto poche ore dopo l’esplosione del 27 marzo. Quasi immediatamente l’esercito ha dichiarato di aver assunto il controllo della sicurezza nella provincia, assestando un colpo forse fatale all’immagine già in declino del primo ministro Sharif. L’esercito ha invitato i mezzi d’informazione a sottolineare che gli ordini per le operazioni in Punjab ora sono impartiti direttamente dal generale Sharif e non dal primo ministro. Di fatto, l’esercito non ha alcun diritto, costituzionale o riconosciuto dalla legge per intervenire nel Punjab. Al contrario, per giustiicare questa ingerenza sarebbe necessario un invito da parte del governo, ma negli ultimi giorni, mentre nella provincia sono state arrestate centinaia di persone, il generale e il primo ministro non si sono visti né sentiti, alimentando l’incertezza. Scuri in volto e trascinati davanti alle telecamere dopo l’attentato, i ministri (e il primo ministro, nel suo discorso uiciale) non hanno fatto alcun riferimento all’intervento dell’esercito in Punjab. È evidente che nel paese in guerra contro gli estremisti non c’è alcun coordina- mento né una strategia comune. Il risultato è una drammatica rottura dei rapporti tra l’esercito e il potere civile. Dopo il 1958 situazioni simili hanno spinto i militari a imporre la legge marziale in quattro occasioni. L’esito di questa crisi sarà fondamentale per il futuro della politica antiterrorismo (e della democrazia stessa) in Asia meridionale e in quella centrale. Fino all’attentato del 27 marzo il primo ministro Sharif era riuscito a respingere i tentativi del generale di assumere il controllo della sicurezza in Punjab, inclusa una richiesta diretta nel maggio del 2015. Ora però la posta in gioco nella provincia è molto più alta, per entrambi gli Sharif. Negli ultimi diciotto mesi l’esercito si è mosso con decisione per schiacciare i taliban pachistani e le diverse fazioni attive a Karachi, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa e nelle aree tribali al conine con l’Afghanistan. Ma oggi è il Punjab lo snodo centrale del terrorismo in Pakistan. La provincia ospita circa 60 gruppi estremisti, più di 20mila scuole religiose, le madrase, alcune delle quali formano un gran numero di militanti e ideologi estremisti. Area strategica Dagli anni ottanta molti gruppi estremisti pachistani sono stati sponsorizzati e addestrati dai servizi segreti ainché combattessero per il controllo del Kashmir indiano o, a volte, attaccassero altri obiettivi indiani. Oggi l’esercito non li sostiene quasi più, ma il vero test della determinazione del generale Sharif nella lotta al terrorismo è sempre stato il Punjab. Davvero l’esercito è pronto ad attaccare i suoi vecchi alleati estremisti in una situazione che si fa sempre più complessa? Molti dei gruppi più pericolosi che operano in Punjab stanno cercando di rovesciare lo stato. Tra questi c’è Jamaat-ulAhrar, il gruppo responsabile dell’attentato al parco di Lahore. Jamaat-ul-Ahrar è un gruppo dichiaratamente settario che ha preso di mira soprattutto l’esercito e i cristiani. Ma il Punjab ospita anche decine di gruppi ostili all’India, in passato sostenuti dall’esercito. Tra questi c’è Lashkar-e taiba (Let), l’organizzazione (ben armata e addestrata) responsabile degli attacchi del 2008 a Mumbai e considerata un gruppo terrorista dall’Onu e dagli Stati Uniti. Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, il Let è stato aiutato dalle istituzioni statali e dall’esercito a trasformarsi in un’organizzazione islamica beneica, ma ha con- tinuato a mantenere un’ala militante anche dopo gli attentati di Mumbai. Anche se l’esercito ha impedito al Let e ad altri gruppi di compiere attentati in India, molti militanti del gruppo stanno combattendo in Afghanistan al ianco dei taliban o stanno aiutando i gruppi estremisti uzbechi e tagichi a riorganizzarsi in patria. Alla luce di questa attività, l’esercito sa di non poter portare la pace nel paese, difendere i conini e tenere sotto controllo la pace fredda con l’India ino a quando non metterà ine al terrorismo radicato in Punjab. Inoltre i militari hanno subìto una forte pressione internazionale per aver favorito questa proliferazione di militanti armati. Ora che l’esercito ha assunto unilateralmente il controllo della sicurezza in Punjab, è fondamentale capire se i militari selezioneranno i gruppi estremisti da attaccare o se adotteranno una politica “senza favoritismi”, come promette da tempo il generale Sharif. Inoltre, l’esercito arruola gran parte del suo mezzo milione di efettivi proprio in questa provincia e ora i generali temono che un ulteriore aumento dell’estremismo in Punjab possa “contagiare” i soldati. Per il primo ministro Nawaz Sharif il Punjab è altrettanto importante. Dagli anni ottanta, quando Nawaz Sharif e suo fratello Shehbaz furono piazzati al potere da un regime militare, e dopo la vittoria di Nawaz in tre elezioni, i due fratelli hanno mantenuto il controllo politico del Punjab, una provincia caratterizzata da un alto livello di corruzione. Oggi Shehbaz è il capo del governo eletto della provincia. Tuttavia, dopo essere diventato primo ministro per la terza volta, Nawaz Sharif ha dilapidato il suo capitale politico. Il premier ha dimostrato di essere un leader incompetente, troppo debole per avviare le riforme necessarie e non abba- stanza astuto da tenere testa all’oliata macchina militare del paese. Gran parte dell’attività di governo è gestita dalla sua famiglia anziché dai ministri, dal parlamento o da altre istituzioni. Sharif è stato indulgente con i gruppi estremisti – alcuni dei quali mantengono stretti legami con il suo partito, la Lega musulmana pachistana – perché sperava di convincerli a risparmiare il Punjab dagli attacchi, ma oggi questa politica si è rivelata chiaramente fallimentare. Nel frattempo le altre tre province del paese, controllate dai partiti d’opposizione, non tollerano più l’attenzione speciale che il governo riserva al Punjab. Gli altri fronti Negli ultimi giorni le tensioni tra l’esercito e il governo sono aumentate anche su altri fronti, inclusi i rapporti diplomatici con l’Iran. Durante la crisi degli attentati di Lahore, infatti, l’esercito ha fatto sapere di aver catturato una spia indiana che lavorava per destabilizzare la provincia del Belucistan. A quanto pare l’uomo, Kulbhoshan Yadav, è un uiciale navale in pensione e ha vissuto molti anni in Iran, da dove poi si è spostato in Pakistan. Non poteva capitare in un momento peggiore. Il presidente iraniano Hassan Rohani aveva appena compiuto la sua prima visita di stato in Pakistan e il premier Sharif stava negoziando contratti per acquistare petrolio, gas ed elettricità dall’Iran. Afermando la sua autorità in politica estera, il generale Sharif ha attaccato gli iraniani accusandoli di aver ospitato spie indiane e annunciando nel frattempo la cattura della spia. Gli iraniani hanno lasciato il paese infuriati (anche se Rohani ha negato lo scontro) mentre il premier pachistano ha dimostrato di nuovo di non avere il controllo della situazione. Al momento è molto diicile prevedere come evolveranno le cose. Forse stavolta i militari si accontenteranno degli enormi poteri che hanno già acquisito e non sentirà la necessità di ricorrere a un colpo di stato. L’esercito potrebbe ritirare le sue forze dalla provincia dopo una breve ofensiva dimostrativa. Resta il fatto che la leadership politica pachistana è stata messa pesantemente in discussione, e il futuro della democrazia in uno dei paesi più popolosi dell’Asia è sempre più incerto. u as Ahmed Rashid è un giornalista pachistano. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Pericolo Pakistan (Feltrinelli 2013). Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 27 asia e Paciico asia Abdulla Yameen thailandia Poteri straordinari VInCent thIAn (AP/AnSA) lo spettro dell’is La giunta militare ha assegnato all’esercito poteri di polizia. Con un ordine esecutivo del primo ministro, l’ex generale Prayuth Chan-ocha, i sottotenenti potranno fermare sospetti, arrestarli e interrogarli senza un mandato o l’autorizzazione di un tribunale. La norma, deinita dal Bangkok Post “un afronto al sistema giudiziario”, lascia ampio margine di arbitrarietà ai soldati, scrive Asia Sentinel. “Il piano per mantenere la dittatura continua”, commenta un analista di Bangkok. Le stesse élite che nel maggio del 2014 hanno appoggiato il golpe contro il governo di thaksin Shinawatra sono sempre più scettiche sull’operato della giunta, sia sul piano politico sia su quello economico, conclude Asia Sentinel. Lo spettro del gruppo Stato islamico (Is) preoccupa, in misura diversa, anche i paesi asiatici e the Diplomat analizza la situazione nella regione. L’Asia centrale non è un terreno di reclutamento molto fertile per l’Is. Si calcola che i 2-3mila cittadini centrasiatici partiti per unirsi all’Is siano soprattutto lavoratori emigrati in Russia che – lontano dalle famiglie e dalle comunità, e sottoposti a condizioni di vita e di lavoro dure in un ambiente xenofobo – sono particolarmente vulnerabili al potere attrattivo dell’Is. Ma in diversi paesi la minaccia estremista è usata dai governi autoritari per limitare la libertà di culto e ostacolare gli oppositori. Mosca ne ha approittato per giustiicare il suo crescente aiuto militare ai paesi della regione. In Pakistan e Afghanistan la presenza di gruppi jihadisti è tale da rendere diicile per l’Is mettere radici. I paesi del sudest asiatico non sembrano troppo allarmati dato che dagli anni novanta sono alle prese con gruppi estremisti locali. In Cina la minaccia dell’Is ha fornito alle autorità un’ulteriore giustiicazione delle misure repressive contro gli uiguri. ◆ maldive la protesta dei giornalisti Il 3 aprile la polizia di Male è intervenuta con violenza contro un gruppo di giornalisti che aveva organizzato un sit-in davanti all’uicio del presidente Abdulla Yameen, scrive il Maldives Independent. I motivi della protesta erano vari e legati alle restrizioni alla libertà di stampa nell’arcipelago: la chiusura, su ordine di un tribunale, del quotidiano più vecchio del paese; una proposta di legge per rendere la difamazione reato penale; l’inchiesta senza esito sul rapimento del giornalista Ahmed Rilwan, scomparso da seicento giorni; e il divieto di accesso ai tribunali per alcune tv e testate. Sedici dei giornalisti che protestavano sono stati arrestati per resistenza a pubblico uiciale. bangladesh Chittagong, 4 aprile 2016 Helen Clark corea del sud elezioni rivelatrici 28 in breve AfP/GettY IMAGeS Le elezioni legislative del 13 aprile saranno un test cruciale per gli eventuali candidati a prendere il posto della presidente Park Geun-hye, il cui mandato scade all’inizio del 2018, scrive l’agenzia Yonhap. I sudcoreani voteranno per eleggere trecento parlamentari, suggerendo così chi potrebbe insediarsi alla Casa Blu. Il favorito sembra essere l’ex leader del maggior partito d’opposizione, Moon Jae-in, che però non si pronuncia su una sua possibile candidatura. StePhAne De SAkutIn (AfP/GettY IMAGeS) The Diplomat, Giappone la polizia spara sui manifestanti La polizia ha sparato il 6 aprile su diverse migliaia di persone che a Gandamara, sulla costa bangladese, protestavano contro la costruzione di due centrali a carbone. Gli impianti, inanziati dalla Cina, dovrebbero fornire elettricità alla città di Chittagong, in espansione. Almeno quattro persone sono rimaste uccise. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Nuova Zelanda Il 4 aprile l’ex premier di centrosinistra helen Clark ha annunciato la sua candidatura a segretaria generale delle nazioni unite, dopo la ine del mandato di Ban ki-moon. Birmania Il 5 aprile il parlamento ha approvato una legge che introduce una carica simile a quella di premier per Aung San Suu kyi (consigliera di stato). Suu kyi sarà anche ministra degli esteri. Cina Il generale in pensione Guo Boxiong, che ha occupato cariche molto importanti ino al 2012, è inito sotto inchiesta per corruzione. Americhe JANINE COStA (REUtERS/CONtRAStO) Keiko Fujimori a Lima, il 31 marzo 2016 L’ombra dei Fujimori sul voto in Perù El Espectador, Colombia La favorita alle elezioni presidenziali del 10 aprile è Keiko Fujimori. Suo padre, che ha governato il Perù dal 1990 al 2000, è in carcere per crimini contro l’umanità e corruzione a politica è entrata di colpo nella vita di Keiko Fujimori. Diventò la irst lady del Perù a soli 19 anni, nel 1994, dopo che la madre Susana Higuchi annunciò il divorzio da Alberto Fujimori, all’epoca presidente del paese. Higuchi sostenne di essere stata torturata con delle scariche elettriche per aver denunciato episodi di corruzione nel governo del marito. Nel 2000, pochi giorni dopo che il padre aveva rinunciato alla presidenza con un fax spedito dal Giappone, Keiko abbandonò il palazzo del governo da un’uscita secondaria. Andò a studiare negli Stati Uniti e ci rimase ino al 2005, quando il padre fu arrestato mentre si trovava in Cile e lei diventò la leader del fujimorismo. L’anno successivo si candidò in parlamento e fu eletta. Alle elezioni presidenziali del giugno del L 30 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 2011 Keiko Fujimori ha perso al secondo turno contro Ollanta Humala. Ma la leader di Fuerza popular è la favorita alle elezioni del prossimo 10 aprile, con il 37 per cento di preferenze nei sondaggi. E in caso di vittoria sarebbe la prima donna a diventare presidente del paese. Eppure per molti peruviani un successo di Keiko Fujimori sarebbe un passo indietro, un ritorno “all’epoca buia” della storia recente del Perù. Quasi nessun rimpianto Il riferimento è al governo di Alberto Fujimori (1990-2000) e, in particolare, a quello che successe dopo il cosiddetto autogolpe, il colpo di stato del 5 aprile 1992 condotto da Fujimori con il sostegno delle forze armate. Il presidente sciolse il parlamento e assunse il controllo del potere giudiziario. Inoltre rese più facile il controllo dell’apparato statale, perseguitò l’opposizione e violò in modo difuso i diritti umani. Nel 1993 fu approvata una nuova costituzione che permetteva la rielezione immediata del presidente. Secondo le organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti umani, “ancora oggi il paese vive le conseguenze di quel giorno del 1992”: limitazioni alle libertà indivi- duali, corruzione diffusa, controllo dei mezzi d’informazione. Il 5 aprile del 2014 l’ex dittatore si è difeso in una lettera scritta dal carcere, dove sta tuttora scontando una condanna a 25 anni per corruzione e crimini contro l’umanità. Fujimori sosteneva che il golpe del 1992 non era stato rovinoso per la democrazia peruviana. Anzi, secondo lui era stato “un momento di svolta che aveva aperto la strada dello sviluppo e della crescita economica”. A due anni di distanza, queste parole preoccupano i milioni di peruviani contrari alla candidatura di Keiko Fujimori. Alla ine di gennaio la candidata di Fuerza popular ha preso le distanze dal padre e ha assicurato che, se si fosse trovata al suo posto, “lei non avrebbe mai sciolto il parlamento”. Il 5 aprile, il 24° anniversario del golpe del 1992, in varie città del paese sono state organizzate manifestazioni contro Keiko Fujimori e in difesa della democrazia. Dopo aver perso le elezioni nel 2011 contro l’attuale presidente Ollanta Humala, Keiko Fujimori ha adottato la strategia già usata dal padre: è andata a visitare gli angoli più isolati delle Ande per regalare cibo, pentole, cucine a gas, uniformi scolastiche e scarpe ai cittadini più poveri. Secondo gli ultimi sondaggi, la iglia dell’ex dittatore è imbattibile, almeno al primo turno. Il candidato di destra, l’economista Pedro Pablo Kuczynski, e la candidata di sinistra Verónika Mendoza, del Frente amplio, lottano per il secondo posto. Se Fujimori non otterrà il cinquanta per cento dei voti più uno, si andrà al ballottaggio. u fr Da sapere Ultime notizie u Il 3 aprile 2016 i dieci candidati principali alle elezioni presidenziali del Perù si sono confrontati in un dibattito televisivo. La favorita, Keiko Fujimori, del partito Fuerza popular, ha irmato un documento con cui si è impegnata a rispettare le istituzioni democratiche e i diritti umani, e a non ripetere il golpe con cui, nel 1992, il padre Alberto Fujimori sciolse il parlamento. Fujimori ha anche assicurato che non userà il potere politico per concedere beneici ai suoi familiari. Il primo turno delle elezioni per scegliere il successore di Ollanta Humala (Partido nacionalista peruano, sinistra) si svolgerà il 10 aprile. L’eventuale ballottaggio è previsto per il 5 giugno. Afp, Bbc Stati Uniti STATI UNITI Conquiste salariali NICARAGUA Laramie, Wyoming, 5 aprile 2016 MATTheW STAver (BLOOMBerG vIA GeTTY IMAGeS) “Nel 2009 la proposta di portare il salario minimo a 15 dollari sembrava un’idea populista irrealizzabile, sei anni dopo è diventata una delle maggiori conquiste della sinistra statunitense”, scrive The Atlantic commentando la decisione della California e dello stato di New York di aumentare il salario minimo. “In entrambi gli stati i provvedimenti sono il frutto di un compromesso tra i democratici e i repubblicani. In California la paga oraria arriverà a 15 dollari entro il 2022. Nella città di New York il salario arriverà a 15 dollari entro il 2018, mentre nello stato sarà portato a 12,50 dollari entro il 2020. Ma sono provvedimenti importanti, perché miglioreranno la condizione di almeno cinque milioni di persone”. Secondo il New York Times, molti politici hanno ormai capito che per rilanciare l’economia bisogna migliorare le condizioni salariali. STATI UNITI Sanders vince in Wisconsin Il 5 aprile Bernie Sanders ha battuto hillary Clinton nelle primarie del Partito democratico in Wisconsin, uno stato con una lunga tradizione di movimenti di sinistra. “Il senatore ha conquistato gli elettori denunciando la perdita di posti di lavoro che ha colpito la classe operaia”, scrive The Nation. Il senatore del vermont ha vinto in sei degli ultimi sette stati dove si è votato, dando slancio alla sua candidatura in vista delle decisive primarie di New York del 19 aprile. Nelle primarie repubblicane in Wisconsin Ted Cruz ha battuto Donald Trump, rendendo la corsa alla nomination ancora più incerta. Leggi pericolose Nell’ultima settimana in North Carolina ci sono state manifestazioni contro una legge, approvata dal parlamento dello stato, che secondo molti attivisti colpisce i diritti della comunità lgbt. Tra le altre cose, la legge impone alle persone transgender di usare bagni o spogliatoi pubblici che corrispondano al loro sesso di nascita. “Il provvedimento è stato criticato anche da molte aziende, tra cui Facebook e Google, e dalla lega di basket professionistico (Nba), che chiedono al governatore di abrogare la legge”, scrive il Los Angeles Times. Negli stessi giorni il governatore del Mississippi ha ratiicato una legge che permette alle aziende di non prestare i loro servizi ai gay e ai transgender. Colombia La pace con l’Eln Il canale che non c’è Semana, Colombia La costruzione di un canale transoceanico tra l’Atlantico e il Paciico, annunciata dal presidente del Nicaragua Daniel Ortega nel giugno del 2013, è a un punto morto. “I lavori sono stati inaugurati alla ine del 2014 dall’imprenditore cinese Wang Jing”, scrive La Nación, “ma quasi un anno e mezzo dopo il progetto è ancora circondato dal mistero. Ortega non ha più accennato al Gran canal e non ci sono segnali di avanzamento dei lavori: nel punto in cui Wang ha posato la prima pietra, continuano a pascolare le mucche”. Secondo alcuni esperti, l’opera non si farà. Ma nel dubbio gli ambientalisti e la popolazione locale continuano a protestare. “Pochi credevano che l’esercito di liberazione nazionale (eln) si sarebbe seduto al tavolo dei negoziati con il governo”, scrive Semana. “Ma dopo anni di tentativi falliti, inalmente il 30 marzo la seconda guerriglia colombiana ha annunciato da Caracas che è ora di mettere ine al conlitto interno ed entrare nella legalità”. Al di là delle dichiarazioni d’intenti, secondo Semana il dialogo tra Bogotá e l’eln comincia perché conviene a entrambe le parti: il presidente Juan Manuel Santos, impegnato nei negoziati a Cuba con le Farc, vorrebbe discutere la pace con tutti e due i gruppi. Da parte sua, l’eln non ha interesse a rimanere nella selva senza le Farc, visto che può contare su poco più di mille guerriglieri, e quindi non ha né i mezzi né le risorse per imporsi come alternativa al potere. Ma nonostante le buone premesse iniziali, il cammino non sarà facile. u IN BREVE Canada Il Saskatchewan party, la formazione conservatrice del premier provinciale Brad Wall, ha vinto le elezioni del 4 aprile nel Saskatchewan. Stati Uniti Il 4 aprile la corte suprema ha bocciato all’unanimità un ricorso presentato da due cittadini del Texas, e appoggiato dal Partito repubblicano, per modiicare l’attuale sistema di ripartizione delle circoscrizioni elettorali. Il risultato sarebbe stato di limitare l’inluenza degli ispanici per favorire i bianchi. u Il 4 aprile due detenuti libici di Guantanamo sono stati trasferiti in Senegal. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 31 Africa e Medio Oriente AfOLABI SOtUNDE (REUtERS/CONtRAStO) Sudafrica IN BREVE Il parlamento salva Zuma Deputati del partito d’opposizione Ef, il 5 aprile 2016 Nuovi casi di abusi Il 31 marzo le Nazioni Unite hanno aperto un’inchiesta su dei nuovi casi di violenze sessuali nella Repubblica Centrafricana attribuite ai soldati francesi della missione Sangaris e ai caschi blu burundiani e gabonesi. In particolare, scrive Jeune Afrique, alcuni soldati francesi avrebbero costretto delle minorenni a fare sesso con degli animali. Intanto a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, è cominciato il processo contro tre caschi blu congolesi della minusca, la missione di pace dell’Onu nella Repubblica Centrafricana, accusati di stupro o tentato stupro. SIRIA RODgER BOSCH (Afp/gEttY ImAgES) REP. CENTRAFRICANA Il 5 aprile il presidente sudafricano Jacob Zuma è scampato a una procedura di destituzione promossa in parlamento dal partito d’opposizione Democratic alliance (Da). Il partito di Zuma, l’African national congress (Anc), ha protetto il presidente grazie all’ampia maggioranza parlamentare di cui dispone. Il 31 marzo, scrive il Mail & Guardian, la corte costituzionale aveva stabilito che Zuma ha violato la costituzione riiutandosi di rimborsare allo stato alcune spese, non legate alla sicurezza, sostenute per rinnovare la sua residenza privata e costruire, tra le altre cose, una piscina. u Arabia Saudita Il 5 aprile il gruppo Stato islamico (Is) ha rivendicato l’uccisione di un colonnello della polizia in un attacco a Riyadh. Il 2 aprile un altro poliziotto era morto in un attentato dell’Is nella capitale. Burundi Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato il 1 aprile una risoluzione che apre la strada a una presenza militare dell’Onu nel paese. L’obiettivo è mettere ine alle violenze postelettorali. Ciad Il 10 aprile si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali. Il capo di stato Idriss Déby punta a ottenere un quinto mandato. Congo Il 4 aprile migliaia di abitanti di Brazzaville hanno lasciato le loro case quando alcuni miliziani ninja, già attivi all’epoca della guerra civile, hanno attaccato degli ediici pubblici. Le violenze, che hanno causato 17 morti, sono probabilmente legate alla rielezione del presidente Denis Sassou Nguesso. Kenya La Corte penale internazionale (Cpi) ha prosciolto il 5 aprile il vicepresidente William Ruto dalle accuse di crimini contro l’umanità. Da New York Amira Hass Abbattuto un aereo Il vittimismo e la rabbia Il 5 aprile il fronte al nusra, la iliale di Al Qaeda in Siria, ha abbattuto un aereo da guerra siriano nel nord del paese e ha catturato il pilota, scrive il quotidiano libanese Daily Star. Il giorno prima gli Stati Uniti avevano annunciato l’uccisione del portavoce del fronte e di altri venti jihadisti in un raid nella provincia di Idlib. Il 5 aprile le autorità di Damasco hanno invece accusato il gruppo Stato islamico di aver usato il gas mostarda nei combattimenti vicino a Deir Ezzor. Intanto l’Onu ha annunciato che i negoziati di pace riprenderanno a ginevra l’11 aprile. Il pubblico presente nell’aula magna della City university di New York era composto per il 99 per cento da ebrei, venuti per ascoltare sette scrittori discendenti di sopravvissuti all’olocausto. Nella sala non c’era neanche un afroamericano, e questo mi ha fatto pensare che forse la comunità ebraica non era riuscita a presentare il genocidio come una calamità universale. Ho assistito alla conferenza per motivi antropologici, per osservare questa comunità benestante che si abbandona al vittimismo e sfrutta la memoria per ini politici. “Non c’è mai stato niente di peggio dell’olocausto”, ha detto un relatore arrivato dalla Svezia. L’ho trovata una dichiarazione un po’ ottusa, anche perché pronunciata in un paese dove lo spettro della schiavitù è ancora presente. Il giorno dopo a un evento alla Columbia university il pubblico era composto in maggioranza da neri. I relatori erano il professor Cornell West e il reverendo Jesse Jackson. West ha elogiato il “fratello Bernie” (Sanders) per la sua sida al consumismo. Smentendo le previsioni, Jackson non ha appoggiato apertamente Hillary Clinton, ma si è limitato a chiedere ai neri di andare a votare. Quando gli hanno chiesto di commentare l’invito di Obama ai neri a migliorare la loro condotta al lavoro e in famiglia, West ha risposto con rabbia: “Il presidente dovrebbe occuparsi della condotta di Wall street”. E Jackson: “Non dobbiamo sottovalutare i devastanti efetti della schiavitù sul nostro popolo”. u as Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 33 Visti dagli altri AFP/GETTy IMAGES Pulizia delle strade a Bengasi, 4 marzo 2016 Perché l’Italia ha fretta d’intervenire in Libia Alberto Mucci, Politico.eu, Belgio Più che alla minaccia del gruppo Stato islamico, l’impegno del governo italiano è dovuto all’urgenza di fermare i migranti e tutelare gli interessi dell’Eni L’ Italia sta facendo di tutto per stabilizzare la Libia, in modo da proteggere i suoi interessi economici e scongiurare un’altra crisi migratoria sulle sue coste. Non sarà un compito facile, visto il caos che imperversa nel paese nordafricano dal rovesciamento di Muammar Gheddai nel 2011. Ma Roma è sempre più preoccupata che ci siano nuovi arrivi di migranti: da quando l’accordo tra Unione europea e Turchia sul rimpatrio dei 34 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 profughi è entrato in vigore il 4 aprile e la rotta dei Balcani è stata chiusa, l’Italia è tornata a essere la prima meta di chi cerca rifugio in Europa. Negli ultimi due anni sono aumentate le divisioni tra le fazioni in lotta, e la Libia si è spaccata tra due governi: quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Tripoli sostenuto dal Congresso generale nazionale (il parlamento che ha riiutato di sciogliersi dopo le elezioni del 2014) e dalla coalizione islamista Alba libica. Il 30 marzo nella capitale è sbarcato un terzo governo sostenuto dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, con l’Italia in prima linea. A dicembre le Nazioni Unite erano riuscite a ottenere il sostegno di alcuni deputati dei due parlamenti rivali alla formazione di un esecutivo di unità nazionale. Il nuovo governo è guidato da un tecnocrate semisconosciuto, Fayez al Sarraj. I suoi sostenitori sperano che riesca a mettere ine alle rivalità e alle lotte intestine, e a salvare il paese dal caos di cui ha approittato il gruppo Stato islamico (Is). I jihadisti hanno conquistato giacimenti e terminal petroliferi, e un vasto territorio costiero che gli permette di controllare il traico di migranti. Il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ripone molte speranze in Al Sarraj, che ha lavorato al ministero dell’edilizia sotto Gheddai ed è stato scelto come soluzione di compromesso perché non era ailiato a nessuna delle fazioni in lotta. Renzi vuole ristabilire tra Italia e Libia una cooperazione come quella che c’era ai tempi di Gheddai, con un leader libico capace di affrontare i traicanti di esseri umani e allo stesso tempo sconiggere l’Is. “Speriamo di concludere nuovi e migliori accordi con il governo di unità nazionale”, ha dichiarato il sottosegretario italiano all’interno Domenico Manzione, che ha minimizzato i contatti tra il governo italiano e Al Sarraj. “Per adesso abbiamo avuto solo contatti informali con il governo di Tobruk”. In attesa di vedere se il governo di unità nazionale riuscirà a sopravvivere, l’Italia ha avviato i contatti con altri paesi della rotta mediterranea, per evitare che con il miglioramento delle condizioni meteorologiche i migranti ricomincino ad arrivare sulle sue coste. A marzo il ministro dell’interno italiano Angelino Alfano ha irmato con l’Albania un accordo di cooperazione contro il traico di migranti, in base al quale Tirana si è impegnata a raforzare i controlli. Trattative simili sono in corso con il Montenegro. All’ultimo Consiglio europeo, quando è stato concluso l’accordo con la Turchia, Renzi ha chiesto che le concessioni fatte ad Ankara in cambio della cooperazione nel ridurre i lussi di migranti verso la Grecia siano estese ad altri paesi esterni all’Unione, come l’Albania e il Montenegro, se un altro paese dell’Unione si trovasse nella stessa situazione di Atene. Il numero di migranti che raggiungono l’Italia dalla Libia sta aumentando. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) a marzo sono arrivate 8.405 persone, quasi il triplo rispetto allo stesso periodo del 2015. Molte di più sono pronte a partire dalle coste libiche, anche se il numero varia a seconda delle stime: 36mila secondo l’Unhcr, ottocentomila secondo il ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian. Secondo l’Unhcr l’anno scorso 153.841 persone hanno raggiunto l’Italia dalla Libia. Nei primi tre mesi del 2016 ne sono arrivate 18.400, rispetto alle 10.615 dello stesso periodo del 2015. Dal maggio scorso la marina militare italiana è alla guida dell’operazione Soia, una missione di pattugliamento nelle acque internazionali al largo della Libia che coinvolge 22 paesi. In dieci mesi sono state salvate 11.500 persone, arrestati 58 presunti scaisti e distrutte 98 imbarcazioni. I numeri sarebbero più alti se la missione potesse operare più vicino alla costa e inseguire i traicanti nelle acque libiche, ma questo può avvenire solo se il governo sostenuto dalle Nazioni Unite sarà al potere e chiederà aiuto. Il governo di Al Sarraj avrebbe anche l’autorità per chiedere un intervento occidentale contro l’Is, e quasi sicuramente ne avrà bisogno. Secondo un rapporto della Global initiative against transnational organized crime, nel 2014 l’Is ha incassato circa trecento milioni di dollari dal traico di esseri umani. Con il calo del prezzo del petrolio quest’attività potrebbe diventare una delle princi- pali fonti di inanziamento per il gruppo. “Non gestiscono loro il traico, ma tassano quelli che lo fanno”, aferma Tom Keatinge, del Royal united services institute. Il prezzo per la traversata dalla Libia all’Italia varia da 800 a 1.200 dollari a testa. La maggior parte dei profughi viene dall’Eritrea, dalla Somalia e dall’Africa subsahariana, ma con la chiusura della rotta balcanica sono sempre di più i siriani e gli afgani che cercano di raggiungere l’Europa attraverso la Libia. Presenza strategica Per gestire la crisi dei migranti l’Italia ha bisogno di una Libia stabile. Ma a parte il presidente statunitense Barack Obama, pochi leader sembrano interessati a un altro intervento militare nel paese nordafricano. La riluttanza di molti paesi europei sembra dovuta al fatto che ci sono poche probabilità che sul lungo periodo la situazione si stabilizzi abbastanza da permettere opportunità d’investimento. Ma in Libia l’Italia ha già grandi interessi. L’Eni ha qua- Da sapere Lo sbarco di Al Sarraj 30 marzo 2016 Il governo di unità nazionale guidato da Fayez al Sarraj, sostenuto dalle Nazioni Unite, arriva a Tripoli da Tunisi via mare dopo vari tentativi bloccati dalle milizie fedeli al Congresso generale nazionale (Gnc) e al governo islamista. 31 marzo L’Unione europea impone delle sanzioni contro il premier del governo islamista Khalifa al Ghweil, il presidente del Gnc Nuri Abusahmain, e il presidente del parlamento di Tobruk Aguila Saleh, per aver ostacolato l’insediamento del governo di unità nazionale. 1 aprile Al Ghweil lascia Tripoli. 6 aprile Il governo islamista si dimette per evitare nuove violenze. Afp si un monopolio sul settore petrolifero libico: è presente nel paese dal 1959 ed è l’unica azienda internazionale a operare a pieno regime. La sua presenza in Libia ha un’importanza strategica vitale per l’Italia e, nonostante gli enormi costi per la sicurezza, è forse il principale motivo degli sforzi di Roma per paciicare il paese nordafricano, con o senza alleati. La produzione libica è cresciuta, passando dai 240mila barili al giorno di prima della guerra a una media di trecentomila barili al giorno nel 2015. L’anno scorso l’azienda italiana ha annunciato di aver scoperto altri due giacimenti al largo delle coste libiche. L’Eni vuole quel petrolio, ed è per questo che il governo italiano sta cercando di tenere a distanza la Francia e il Regno Unito, i due paesi europei più favorevoli a un nuovo intervento. Roma teme che Parigi e Londra possano usare un’azione militare per avanzare delle rivendicazioni sulle risorse naturali della Libia. “Il governo vede con sospetto un intervento francese e britannico in Libia”, ha dichiarato Massimo Artini, vicepresidente della commissione difesa del parlamento italiano. “E il motivo è l’Eni”. Ma l’Italia sa che non può stabilizzare la Libia da sola. Per questo Renzi deve assicurarsi un ruolo di primo piano sia nello sforzo internazionale di installare un governo a Tripoli e difenderlo dalle milizie rivali e dall’Is, sia nelle operazioni navali contro i traicanti di esseri umani. “L’Italia può seguire un’unica strategia”, sostiene Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della difesa italiana ino al 2011. “Dev’essere in prima linea nella coalizione, anche se non è la sua opzione preferita”. In questo il governo italiano ha il pieno sostegno degli Stati Uniti: il segretario di stato John Kerry ha più volte lodato la leadership di Renzi sulla Libia. Roma ha appoggiato i bombardamenti statunitensi contro l’Is, ma c’è il timore che il gruppo potrebbe rispondere a ulteriori attacchi facendo partire migliaia di migranti verso l’Italia. Nonostante questo, a Roma sono già in corso i preparativi per l’intervento e le sue conseguenze. “C’è consenso sul fatto che bisogna fare qualcosa”, dice Artini, ma non su cosa: dichiarare una no-ly zone? Mandare un contingente? Addestrare l’esercito libico? Secondo l’ex inviato delle Nazioni Unite in Libia Bernardino León, “devono essere i libici a combattere l’Is. Una presenza militare straniera potrebbe aumentare le tensioni invece di ridurle”. u gac Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 35 Visti dagli altri AUGUSTo CASASoLI (A3/CoNTRASTo) Roma, 27 maggio 2015. Federica Guidi e Matteo Renzi a palazzo Chigi Lo scandalo che scuote il governo Renzi James Politi, Financial Times, Regno Unito Le dimissioni della ministra Federica Guidi potrebbero avere un impatto sulle elezioni amministrative e sul referendum contro le trivellazioni l 31 marzo il governo presieduto da Matteo Renzi è stato scosso dalle improvvise dimissioni della ministra dello sviluppo economico Federica Guidi, sospettata di essersi adoperata per far approvare un progetto petrolifero dal quale il suo compagno avrebbe tratto un vantaggio economico. Guidi ha annunciato la sua decisione in una lettera indirizzata a Renzi, mentre il premier italiano era negli Stati Uniti. Nella lettera Guidi ha scritto: “Sono assolutamente certa della mia buona fede e della correttezza del mio operato. Credo tuttavia necessario, per una questione di opportunità politica, rassegnare le mie dimissioni”. Renzi ha risposto che “rispettava” e “condivideva” la sua decisione, elogiandola per il lavoro “serio, deciso e competente di questi anni”. A spingere la ministra a dimettersi è I 36 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 stata la pubblicazione di una conversazione intercettata alla ine del 2014, in cui Guidi assicurava al suo compagno, Gianluca Gemelli, che la legge di stabilità per il 2015 avrebbe contenuto un emendamento per accelerare la ripresa della produzione nel giacimento petrolifero di Tempa Rossa, in Basilicata. Il progetto è gestito dalla compagnia petrolifera francese Total, e Gemelli era interessato ai lavori perché era coinvolto in due subappalti. I partiti di opposizione italiani hanno chiesto le dimissioni di Guidi e quelle di Maria Elena Boschi, la ministra delle riforme e dei rapporti con il parlamento, citata nella telefonata intercettata. Guidi rassicurava il suo compagno afermando che Boschi era d’accordo sull’approvazione dell’emendamento. Boschi è anche al centro delle polemiche esplose nel 2015 per il salvataggio da parte del governo della Banca Etruria, un istituto inanziario in cui il padre occupava una posizione di rilievo. “Sono tutti collusi, tutti complici, con le mani sporche di petrolio e denaro”, ha twittato Beppe Grillo, il fondatore del Movimento 5 stelle, il secondo partito italiano. Le dimissioni di Guidi non sono il primo scandalo che scuote il governo Renzi. Nel 2015 Maurizio Lupi, ministro dei trasporti e delle infrastrutture, era stato costretto a dimettersi dopo che era stata scoperta una rete di corruzione che riguardava alcuni dei progetti di infrastrutture più redditizi del paese. Ma il caso Guidi potrebbe avere conseguenze maggiori perché è scoppiato in prossimità delle elezioni amministrative di giugno e del referendum sulle riforme costituzionali previsto in autunno, due test molto importanti per il governo Renzi. Inoltre, il presunto tentativo della ministra dello sviluppo economico di favorire un progetto petrolifero potrebbe danneggiare il governo in vista del referendum del 17 aprile sul rinnovo delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi al largo delle coste italiane. Mentre i partiti di opposizione, compresi i cinquestelle, stanno chiedendo agli italiani di votare contro il rinnovo, il Partito democratico invita gli elettori all’astensione per far fallire il referendum, che per essere valido richiede la partecipazione di più del 50 per cento degli aventi diritto. Lo scandalo che ha coinvolto la ministra Guidi potrebbe incoraggiare le persone ad andare a votare. u bt Da sapere Una settimana diicile u 31 marzo 2015 Federica Guidi, ministra dello sviluppo economico, si dimette dopo la pubblicazione di un’intercettazione telefonica in cui dice al suo compagno di aver fatto inserire nella legge di stabilità per il 2015 un emendamento che lo favorisce. u 4 aprile La ministra dei rapporti con il parlamento Maria Elena Boschi, che ha inserito l’emendamento, viene ascoltata dai magistrati a palazzo Chigi. u 5 aprile Il Movimento 5 stelle presenta una mozione di siducia al governo Renzi. Il Sole 24 Ore, Ansa Gli altri afari sporchi del petrolio E. Sylvers e S. Kent, The Wall Street Journal, Stati Uniti Le compagnie petrolifere Shell ed Eni sono indagate dalla procura di Milano perché sospettate di aver pagato delle tangenti al governo nigeriano a procura di Milano sta indagando sulle responsabilità della Shell in un caso di corruzione che coinvolge l’Eni. I magistrati stanno cercando di capire se una parte degli 1,3 miliardi di dollari pagati dalla Shell e dall’Eni per una concessione petrolifera al largo delle coste nigeriane può essere considerata una tangente. A febbraio la polizia italiana e quella olandese hanno fatto una perquisizione congiunta nella sede della Shell all’Aja. Il 30 marzo la compagnia petrolifera ha confermato di aver ricevuto un avviso di garanzia dalla procura italiana in relazione a questa vicenda e che la sua sede è stata “visitata” dalle autorità olandesi. La società anglo-olandese ha anche detto che sta collaborando con gli inquirenti. Dal 2011 la Shell e l’Eni hanno una concessione per lo sfruttamento di un enorme giacimento nell’oceano Atlantico, chiamato Opl 245, che si ritiene possa produrre nove miliardi di barili di petrolio. Il progetto è molto importante per entrambe le aziende, che da molti anni hanno rapporti commerciali con la Nigeria. La Shell aveva dimostrato per la prima volta il suo interesse per l’Opl 245 nel 2001, quando aveva acquistato una quota della concessione dalla Malabu Oil & Gas, un’azienda privata nigeriana che a sua volta aveva ottenuto la concessione mentre il paese era sotto la dittatura militare. Il nuovo governo aveva revocato la concessione alla Malabu per darla solo alla Shell, dando il via ad anni di battaglie legali. Alla ine la Malabu aveva raggiunto un accordo con il governo, ottenendo la restituzione della concessione. A quel punto la Shell aveva deciso di abbandonare le battaglie legali contro la Malabu e aveva ac- L quistato la concessione insieme all’Eni, pagando 1,3 miliardi di dollari al governo nigeriano. I magistrati italiani stanno indagando per capire dove sono andati a inire quei soldi e se la Shell e l’Eni ne conoscevano la destinazione. Secondo il fascicolo della procura, il governo nigeriano avrebbe trasferito solo una parte della somma alla Malabu e quindi “si sospetta che una fetta fosse destinata ai suoi funzionari pubblici”. La Malabu non è indagata, ma nel 2014 la procura di Milano ha aperto un’inchiesta sull’Eni e il suo amministratore delegato Claudio Descalzi per corruzione internazionale con riferimento all’Opl 245. L’Eni e Descalzi hanno negato qualsiasi illecito. La società ha sempre sostenuto di aver versato direttamente la somma al governo nigeriano e di non essere responsabile dell’uso che ne è stato fatto. Anche la Shell ha dichiarato che la cifra concordata è stata pagata al governo e che per sapere che ine ha fatto bisognerebbe chiederlo alle autorità nigeriane e alla Malabu. Quest’ultima si è rifiutata di rilasciare qualsiasi commento. Adesso la lunga disputa sull’Opl 245 rischia di gettare una nuova ombra sugli investimenti della Shell in Nigeria, dove è presente da ottant’anni ed è la maggiore investitrice straniera nel settore petrolifero. L’anno scorso, la Shell ha ricavato circa il 10 per cento della sua produzione dalla Nigeria e il paese rimane uno dei suoi pilastri, anche se negli ultimi anni la società ha venduto una parte dei suoi giacimenti nel delta del Niger, dopo che erano stati oggetto di attacchi e di furti. Secondo la procura italiana, la Shell, che nel 2011 aveva già fatto forti investimenti per ampliare il giacimento, avrebbe pagato molto meno della metà della cifra versata al governo nigeriano. I magistrati sospettano che la maggior parte della somma sia inita in tangenti, il che potenzialmente rende la Shell corresponsabile della corruzione. u bt Energia Produzione sospesa in val d’Agri A. Rascouet e C. Albanese, Bloomberg, Stati Uniti La sospensione della produzione nel centro oli di Viggiano, in provincia di Potenza, il grande impianto dell’Eni in val d’Agri, avrà un efetto “trascurabile” sui guadagni della compagnia petrolifera, perché spesso l’Italia consente di riprendere i lavori durante le inchieste, ha dichiarato Giuseppe Rebuzzini, un analista della Fidentiis Equities. “Presumo sia questione di giorni o settimane, poi l’Eni potrà riprendere la produzione nel giacimento della val d’Agri” ha aggiunto, sottolineandone l’importanza economica per la Basilicata. La produzione è stata interrotta il 31 marzo quando le autorità italiane hanno sequestrato una parte dell’impianto nell’ambito di un’inchiesta sullo smaltimento dei riiuti. L’Eni ha afermato che sta collaborando con gli inquirenti e ha chiesto di poter riavviare la produzione per far tornare al lavoro il personale. La compagnia petrolifera non ha voluto rilasciare commenti sull’impatto economico della sospensione. Anche la Shell ha una quota dell’impianto. L’anno scorso il cantiere navale della Fincantieri di Monfalcone, vicino Trieste, ha potuto far ripartire la produzione una settimana dopo che l’autorità giudiziaria aveva aperto un’inchiesta sullo smaltimento dei riiuti. La stessa cosa è successa nell’impianto dell’Ilva di Taranto. “È probabile che permetteranno anche all’Eni di riprendere la produzione”, ha detto Rebuz- zini. Il giacimento della val d’Agri produce circa 75mila barili di greggio al giorno che, secondo i dati resi noti dall’Eni, nel 2014 hanno costituito circa il 40 per cento della produzione complessiva di gas e petrolio della compagnia petrolifera in Italia. Nel 2014 l’Eni ha prodotto globalmente 1,6 milioni di barili al giorno. Secondo la società di servizi inanziari Natixis, in questo momento gli investitori sono più interessati alle decisioni dell’Eni per quanto riguarda i giacimenti di gas scoperti in Egitto e in Mozambico. “Sono notizie più importanti di quella della ripresa della produzione di petrolio in val d’Agri”, ha dichiarato al telefono l’analista della Natixis Baptiste Lebacq. u bt Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 37 Le opinioni Il futuro dei giornali nell’era di internet David Randall ecentemente sono stato invitato a una diani nazionali e locali è solo una minima percentuale festa piuttosto speciale. Ormai da anni di quella che era un tempo. Nel 2008 i giornali coprivaquando vengo invitato a una festa pro- no il 27,3 per cento del mercato pubblicitario. Oggi quel vo un vago senso di terrore, e se fosse dato è sceso all’11,4 per cento, un calo di più del cinstata un’occasione normale avrei cer- quanta per cento in sette anni. I nuovi beneiciari della cato come al solito una scusa per non pubblicità sono Google e Facebook, che non danno laandare. Ma era una festa in onore dell’ultimo numero voro a un solo giornalista. Nel 2015 Google ha incassato del mio vecchio giornale, l’Independent on Sunday, che 44,5 miliardi di euro solo con gli annunci. Quasi tutti i giornali hanno pensato che la risposta non esiste più ed è andato a raggiungere nella grande fosse prendere il lavoro dei giornalisti e pubblicarlo gradiscarica del cielo le altre pubblicazioni defunte. È stato l’evento più triste a cui abbia mai partecipato tuitamente online. L’idea era che a coprire i costi sarebin un pub di Londra, non tanto perché i giornalisti più bero stati gli incassi pubblicitari. Speranza vana: i giorgiovani mi hanno chiesto se sapevo di qualche oferta di nalisti di un quotidiano nazionale costano molto, la lavoro e quelli più anziani mi hanno detto che non sape- pubblicità online invece no. Per comprare una doppia pagina a colori sul giornale britannico più vano se avrebbero mai trovato un altro venduto, il Daily Mail, ci vogliono 105miposto. Il motivo non era neanche la mor- Per chi è cresciuto la euro. Un banner sul suo sito, Mail Onte del mio settimanale (il quotidiano The pensando che line, costa solo 28 euro ogni mille visuaIndependent sopravvive solo online). Era il libero accesso lizzazioni. È il sito d’informazione più il pensiero che in tutto il mondo le forze a un’informazione visitato al mondo, ma i suoi incassi pubche ne hanno provocato la ine stanno di qualità fosse blicitari sono un settimo di quelli del indebolendo il giornalismo professionale un diritto umano e la sua funzione di controllo sui potenti, fondamentale, dover giornale cartaceo. Il terzo problema è che ormai esistoche considero essenziale per ogni demo- pagare i contenuti no gli adblocker, software che bloccano crazia. sarà uno shock. la pubblicità online. E stanno diventando La meno temibile di queste forze è la Ma sarà inevitabile molto popolari. L’anno scorso nel Regno tendenza dei giornali a ridurre il numero Unito il loro uso è aumentato dell’82 per di giornalisti mentre i governi, le amministrazioni locali e altri servizi pubblici tendono ad as- cento. In Francia un terzo degli utenti di internet ha insumere sempre più addetti alle pubbliche relazioni per stallato un adblocker, mentre i produttori di smartphocurare la loro immagine e, se necessario, insabbiare er- ne stanno inserendo questo software nei sistemi operarori e negligenze. Trent’anni fa, quando dirigevo un tivi. L’azienda statunitense Pagefair ha calcolato che giornale della provincia inglese, avevamo ventuno cro- nel 2015 questi programmi hanno fatto perdere circa nisti. A quel tempo nessun ente pubblico aveva un ui- 19,5 miliardi di euro agli editori. Ora questi ultimi stancio di pubbliche relazioni, e noi parlavamo direttamen- no cominciando a installare software che individuano te con i funzionari e i politici. Oggi quello stesso giorna- gli adblocker e impediscono l’accesso a chi li usa, ma le ha solo cinque cronisti, che non parlano più con i subito sono stati creati software per ingannare gli antiafunzionari ma con i loro uici stampa. Attualmente nel dblocker e convincerli che non c’è nessun adblocker. Per gli editori l’unica soluzione è far pagare i conteRegno Unito ci sono 37mila addetti stampa e altrettanti giornalisti, la maggior parte dei quali non sono repor- nuti tramite paywall o singoli pagamenti. Prendiamo ter. Per ogni giornalista che cerca di capire cosa succede per esempio il Times e il Guardian. Negli ultimi dieci ci sono diversi addetti alle pubbliche relazioni a impe- anni il Times ha perso centomila copie, ma grazie al dirglielo. Meno informazioni, meno motivi per com- paywall sul sito è riuscito a chiudere in pareggio. Invece il Guardian, che ha un ottimo sito gratuito, ha visto le prare i giornali, meno democrazia. La seconda forza è internet, che per i giornali ha sue vendite passare da 400mila a 165mila copie e l’ancambiato tutto, soprattutto per quanto riguarda la pub- no scorso ha perso 72,2 milioni di euro, cioè duecentoblicità. Prima del web per pubblicare un quotidiano o mila euro al giorno. Per chi è cresciuto pensando che il un settimanale bisognava investire milioni. La rete ha libero accesso a un’informazione di qualità fosse una abbattuto questo ostacolo, e ora ci sono molti più posti sorta di diritto umano fondamentale, dover pagare i dove si può fare pubblicità. I giornali non sono più il contenuti sarà uno shock. Ma sarà inevitabile. Altriprincipale veicolo per gli annunci, in particolare quelli menti il futuro del giornalismo, e delle inchieste e della di automobili, case e oferte di lavoro. Nel Regno Unito vigilanza sul potere da cui dipende la democrazia, sarà e in tutte le economie avanzate la pubblicità sui quoti- decisamente cupo. u bt R 38 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 DAVID RANDALL è stato senior editor del settimanale Independent on Sunday di Londra. Ha scritto quest’articolo per Internazionale. Il suo ultimo libro è Tredici giornalisti quasi perfetti (Laterza 2007). In copertina Nessuno al v Der Spiegel, Germania Foto di Alícia Rius L’auto senza conducente promette di cambiare non solo il modo in cui si spostano le persone, ma l’intera società. Intorno a questo prodotto sta nascendo una competizione tra i grandi gruppi automobilistici tradizionali e colossi hi-tech come Google e la Apple no spettacolo sensazionale sta andando in scena lungo le strade di Mountain View, ma quasi nessuno ci fa caso. Solo qualche turista emozionato scatta foto con il telefono quando l’auto senza conducente di Google gli passa accanto. La vettura è riconoscibile dal radar grosso come un pallone sul tetto. Da più di tre anni questi veicoli percorrono ogni giorno le strade della cittadina californiana, dove si trova la sede di Google e dove sta nascendo qualcosa d’incredibile: un’auto che si muove senza l’intervento umano, ma solo grazie a un software. Quando si entra in una di queste Lexus Toyota modiicate, però, si rimane sorpresi da quanto sia poco appariscente. Certo, si aida la propria vita a un algoritmo che ha il completo controllo dell’auto ed è basato sui milioni di dati forniti di secondo in secondo dal radar. Ma per il resto cambia poco. L’auto decelera rapidamente e frena con dolcezza, senza scatti e senza scossoni. Con spostamenti luidi passa sulla corsia di sinistra appena compare un ciclista, e aspetta che i veicoli in arrivo sulla corsia opposta siano passati prima di superare un cantiere. Trasporta i passeggeri dolcemente. Per ogni emergenza, al posto di guida è seduto un ingegnere di Google, che però non tiene le mani sul volante né il piede sull’acceleratore e non interviene mai. Più di novemila chilometri a est, sull’A8 tra Denkendorf e Stoccarda, in Germania, Wolfgang Bernhard, responsabile del settore camion e autobus della Daimler, toglie le mani dal volante quando arriva alla velocità di 80 chilometri all’ora e allunga il brac- U 40 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 cio per prendere la sua tazza di cafè. Anche lui sta viaggiando su un mezzo senza conducente. L’Actros della Mercedes è un camion da quaranta tonnellate e ha un motore di quattrocento cavalli. Una mandria di elefanti azionata da un pilota automatico. Il sistema sviluppato dalla Daimler mantiene la distanza di sicurezza, rallenta, frena e curva mentre Bernhard beve il cafè. La casa automobilistica tedesca ha aspettato molto tempo prima di raccogliere la sida della Silicon valley, poi si è lanciata con tutte le sue energie nella corsa per lo sviluppo di veicoli automatizzati. “Non possiamo lasciare tutto a Google”, dice Bernhard. È quasi euforico a bordo del “primo autocarro automatizzato” del mondo, come lo pubblicizza la Daimler. Bernhard è convinto che già tra un paio d’anni i camionisti non saranno più costretti a issare la carreggiata per ore. Potranno fare altro mentre il conducente automatico è al volante. E dato che il computer non si stanca, non s’arrabbia quando l’auto davanti a lui va troppo piano e commette comunque meno errori, gli incidenti diminuiranno. Il camion senza conducente salverà vite umane e permetterà di risparmiare sui costi di riparazione, sui tempi morti dovuti ai guasti e sui premi assicurativi. Fino a qualche anno fa Google e la Daimler non avevano molto in comune. Oggi, invece, competono in uno dei mercati più interessanti del futuro. Non passa settimana senza che qualcuno annunci di voler investire ancora più soldi nelle auto senza conducente e di voler produrre prima degli altri un modello di serie. Secondo Elon Musk, il fondatore della Tesla, le auto saranno completamente automatizzate già Le foto di questo articolo sono tratte da un lavoro di Alícia Rius intitolato Abandoned places, una serie di scatti sul fascino dei posti abbandonati. nel 2017. La Nissan vuole lanciare auto senza conducente nelle strade di Tokyo nel 2020. La Toyota ha investito più di un miliardo di dollari nello sviluppo delle mac- volante chine del futuro. Anche la Apple sta lavorando a un’auto elettrica senza conducente. Nome in codice: Titan. La tecnologia è così matura che la guida automatizzata in autostrada è già una realtà. Presto l’uso di sistemi di assistenza alla guida in condizioni di traico intenso sarà dato per scontato. Resta da capire se questa tecnologia sarà abbastanza avanzata da permettere al guida- tore di concentrarsi senza alcun rischio sul cellulare o su un ilm, mentre l’auto si aggira in autonomia nel centro di una città in cerca di un parcheggio. E poi, è davvero questo quello che vogliamo? In fondo l’eliminazione del conducente non è una semplice questione tecnica, in particolare per i tedeschi, così orgogliosi della loro industria automobilistica. Quando in Germania si parla di libertà, ci si riferisce anche alla libertà di sfrecciare senza limiti di velocità sull’autostrada o di tagliare agilmente le curve. L’automobile sarà ancora il simbolo dell’avventura quando guidarla sarà eccitante come viaggiare su un autobus di linea? Il rapporto che molte persone hanno con l’automobile non si può spiegare razionalmente. Anzi, l’auto è l’oggetto quotidiaInternazionale 1148 | 8 aprile 2016 41 In copertina no per eccellenza in cui l’irrazionalità è vissuta ancora con disinvoltura. È proprio questa la sua forza. Secondo Oliver Blume, amministratore delegato della Porsche, viaggiare sui veicoli automatizzati è “afascinante come calcolare il tempo di cottura delle uova con un Rolex”. L’ex campione del mondo di rally Walter Röhrl dice che non userà mai un’auto senza conducente. “Voglio essere io il capo e che sia merito mio se la macchina si comporta bene”. Ma al di là del piacere di guidare, la strada verso l’auto senza conducente tocca altre questioni importanti: cosa succede se un hacker altera il sistema di guida? Chi è responsabile se un robot provoca un incidente? È giusto aidare a un algoritmo la propria vita e quella di altre persone? Come fa una macchina a decidere su questioni etiche? E come sarà il traico del futuro? Oltre alla gara tra gli ingegneri, c’è anche quella tra le industrie: produttori automobilistici afermati contro aziende tecnologiche. La Daimler, la General Motors, la Toyota, la Nissan, la Bmw, l’Audi e la Ford sono le case automobilistiche a cui è stata lanciata la sida. Google, la Apple e la Tesla le sidanti. Questo duello globale può essere descritto attraverso l’esempio della Daimler e di Google. In apparenza tutti parlano della stessa 42 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 cosa, ma l’idea dell’auto senza conducente può avere diverse basi ilosoiche. Google pensa al suo veicolo soprattutto all’interno delle città e lo vede come un mezzo assolutamente autonomo che cambierà la mobilità a livello mondiale. Secondo la Daimler, invece, l’algoritmo darà una mano nei momenti in cui la guida è faticosa e noiosa ed eviterà gli incidenti, ma alla ine il guidatore sarà sempre un essere umano. Google sta concentrando la sua ricerca su un’auto di piccole dimensioni alla portata di tutti. Il suo obiettivo non è creare un’auto computerizzata di nuova generazione, ma un robot guidatore. La Daimler vuole introdurre le innovazioni prima come accessori di lusso nelle auto di fascia alta, per poi estenderle agli altri modelli, come ha fatto in passato con l’airbag, l’abs e l’alzacristalli elettrico. La posta in gioco è alta per tutti: per la Germania e il Giappone, che sono grandi produttori di automobili, si tratta di tutelare le aziende nazionali e i pilastri dell’economia. In Germania un posto di lavoro su sette dipende dal settore automobilistico. I grandi cambiamenti tecnologici hanno già spazzato via molte aziende che sembravano immortali. “Dimostreremo che si può resistere”, dice Dieter Zetsche, il presidente del consiglio d’amministrazione della Daimler. Google e la Apple vogliono invece dimostrare una volta per tutte che nell’era digitale le industrie tradizionali avranno sempre meno potere. L’obiettivo della Silicon valley è mostrare che con la tecnologia è possibile davvero migliorare il mondo. È per questo che Google sta investendo nelle auto senza conducente: la riduzione degli incidenti mortali, del traico, delle auto in città, dei tempi morti dovuti agli ingorghi, delle emissioni di gas tossici. Questo elenco di obiettivi dimostra chiaramente che l’auto è il simbolo dei problemi della nostra epoca. Ora si trasformerà in una soluzione? Nel 2009, quando Google ha cominciato a lavorare alle auto senza conducente, gli esperti prendevano in giro l’azienda californiana. I manager dell’industria automobilistica liquidavano con un sorriso i pionieri come Sebastian Thrun. “Centinaia di persone hanno cercato di convincermi che costruire un’auto senza conducente è impossibile”, dice Thrun. Esperto di robotica, 48 anni, Thrun è il padre della Google Auto. È nato a Solingen, in Germania, ha frequentato l’università a Hildesheim e poi a Bonn ha conseguito un dottorato in informatica. Negli anni novanta si è trasferito negli Stati Uniti e ha diretto il dipartimento di intelligenza artiiciale alla Stanford university. Lì ha cominciato a studiare le auto Google viaggiavano per chilometri e chilometri sulle strade della California. C’è voluto un po’, ma alla ine si sono svegliati anche a Stoccarda e nel 2013 i vertici della Daimler hanno dichiarato che tra i loro obiettivi prioritari ci sarebbero stati l’abbattimento delle emissioni e la produzione di auto senza conducente. Il colmo dell’ironia è che a Stoccarda erano già arrivati a questo punto venticinque anni prima. Alla ine degli anni ottanta la Daimler lanciò il progetto Prometheus: i ricercatori non dovevano semplicemente sviluppare un nuovo modello di auto, ma cercare soluzioni ai problemi dell’umanità. Gli ingorghi nelle città, per esempio, si potevano risolvere con delle auto in grado di volare. Evitare gli incidenti era un altro obiettivo. Anche se i loro colleghi li prendevano in giro, i ricercatori facevano progressi. Dotarono prima un camion e poi una Mercedes Classe S di videocamere, di un sistema di elaborazione delle immagini e di un computer, in modo che un pilota automatico potesse frenare, accelerare e manovrare il veicolo. Erano gli albori della guida autonoma, e la Mercedes fece grandi passi avanti. Ma poi fu data la priorità ad altri obiettivi. All’improvviso il progetto di fondersi con la Chrysler diventò il traguardo più importante. Gli investimenti nei progetti di ricerca dai risultati troppo incerti furono interrotti. Oggi non c’è più traccia della fusione con la Chrysler, ma ci sono ancora le idee di quegli ingegneri. senza conducente e ha messo insieme una squadra con cui nel 2005 ha partecipato a un concorso del ministero della difesa statunitense. L’obiettivo era attraversare il deserto per 213 chilometri con un’auto senza conducente. La squadra di Stanford ha vinto ed è stata subito arruolata da Larry Page, uno dei fondatori di Google, che ha assegnato a Thrun una decina di collaboratori e lo ha incaricato di costruire un’automobile che si guidasse da sola capace di percorrere 1.500 chilometri sulle autostrade e sulle strade provinciali della California. Il veicolo è stato realizzato in quindici mesi. Per Thrun quel progetto era sempre stato un no brainer, un’impresa scontata. “Nel novecento non c’è stata nessuna invenzione che abbia cambiato la società più dell’automobile”, dice il ricercatore. La probabilità che un’auto senza conducente svolga un ruolo altrettanto determinante nel nuovo millennio è quindi molto alta. Cafè in piedi Da sapere Nuovi modelli DR (2) Dieter Zetsche accoglie i visitatori con un paio di jeans slavati, la camicia con il colletto aperto e una giacca. Siamo a Untertürkheim, un quartiere di Stoccarda, in un palazzo di uici annesso alla fabbrica della Mercedes Benz. Al terzo piano le inestre che si estendono dal pavimento al soitto permettono di vedere da fuori l’interno degli uici. Nel corridoio i manager bevono cafè in piedi accanto a tavolini alti. Il piano dirigenziale deve dare un’impressione di apertura e comunicatività. “Per la seconda vita dell’automobile vogliamo essere all’avanguardia come per la prima”, dice Zetsche. Sono passati centotrenta anni da quando Carl Benz e Gottlieb Daimler misero in strada la prima automobile. Nel museo della fabbrica, a pochi metri da qui, sono esposti il brevetto originale e la prima autovettura. Ma ora bisogna decidere se il futuro sarà scritto a Stoccarda o nella Silicon valley. Zetsche ammette che la Daimler aveva sottovalutato gli sidanti. Lui stesso scherzava dicendo che una Google Auto avrebbe avuto “più o meno l’aspetto di un modulo lunare”. Ma poi sono arrivati una serie di colpi. Per cominciare, un’altra azienda appena entrata nel settore ha fatto fare una iguraccia all’industria automobilistica: la Tesla ha presentato la Model S, un’auto sportiva elettrica capace di percorrere cinquecento chilometri con una ricarica, raggiungendo velocità elevate e senza emissioni inquinanti. Successivamente anche la Apple ha deciso di sviluppare un’auto, e nel frattempo i tanto derisi moduli lunari di In alto, un progetto di auto senza conducente della Apple. In basso, invece, un prototipo della Google Self-Driving Car. Se la mobilità viene rivoluzionata, cambia non solo il traico, ma tutto il mondo in cui viviamo. La nostra quotidianità, il nostro modo di lavorare e di rilassarci. La ferrovia ha reso possibile l’urbanizzazione, l’automobile l’individualizzazione tipica della modernità e l’invenzione dell’aeroplano il turismo di massa. Gli spostamenti delle persone sono diventati così importanti negli ultimi cento anni che oggi tutte le metropoli ne sono sofocate. Un fenomeno cominciato come una benedizione per l’umanità, oggi è considerato una maledizione. Cosa succederà con l’auto senza conducente? Risolverà i problemi del traico o ne produrrà di nuovi? Le persone che useranno le auto senza conducente nel frattempo leggeranno le email, giocheranno a un videogioco o guarderanno un ilm. Le auto che non richiedono concentrazione saranno usate diversamente, questo è certo. Solo che nessuno sa come. Forse nelle auto del futuro si viaggerà più spesso in compagnia di altri. Forse si collegheranno i trasporti pubblici urbani con i veicoli senza conducente o si condivideranno di più le stesse auto. Ma forse ognuno considererà la propria auto senza conducente come una metropolitana personale ed eviterà i mezzi pubblici, perché l’alternativa sarà altrettanto comoda. “La questione più afascinante riguarda il modo in cui le persone reagiranno quando potranno usare il tempo degli spostamenti per qualcos’altro”, osserva Barbara Lenz, una ricercatrice specializzata in traico stradale che lavora presso il Centro tedesco per la navigazione aerea e spaziale di Berlino. A quanto pare, la maggior parte delle persone non avrebbe alcuna intenzione di sfruttare in modo produttivo gli spostamenti. Lenz ha svolto un’indagine sulle attività che le persone preferirebbero fare su un’auto senza conducente. Le risposte non contemplano né i ilm né internet né le telefonate né tantomeno il lavoro. Quasi tutti dicono che preferirebbero sfruttare quei momenti per godersi il panorama fuori dal inestrino. È questo che ha in mente l’altro fondatore di Google, Sergey Brin, quando dice di voler regalare all’umanità più tempo? Per lui il miglioramento della sicurezza è solo un primo passo. Brin vuole restituire all’umanità i paesaggi e gli spazi urbani che oggi sono occupati da garage e parcheggi. Vuole creare un avvenire in cui ci siano molte meno auto. Ma un risultato del genere è pensabile solo se l’automobile del futuro prenderà il posto del 100 per cento dei guidatori umani. Quest’idea potrà essere realizzata solo Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 43 In copertina quando il volante non sarà più necessario e l’auto si cercherà un parcheggio da sola o si metterà in moto da sola per raggiungere i suoi passeggeri. Ed è questa l’idea che cercano di realizzare nell’ediicio basso e anonimo in cui si trova il reparto automobilistico di Google. In fondo a un lungo corridoio, una pesante porta di metallo a due battenti si apre su una sala di montaggio. Disposte in una ila ordinata, ci sono una decina di auto bianche che sembrano un incrocio tra una Smart un po’ grassoccia e un maggiolino Volkswagen schiacciato in una pressa. Nei veicoli a due posti non c’è il cruscotto, e soprattutto non c’è il volante. È questo l’obiettivo di Google: l’auto completamente automatizzata, un veicolo assolutamente nuovo, non un modello convertito come le Lexus Toyota usate per la fase sperimentale. Le Google Auto hanno un aspetto grazioso, più che ipermoderno e avveniristico. “Abbiamo scelto consapevolmente di non produrre una Batmobile, che molti percepirebbero come minacciosa”, spiega Chris Urmson, il ricercatore che ha sostituito Thrun nel ruolo di direttore tecnico del progetto automobilistico nel 2014. Anche lui ha un dottorato in robotica, ma è un tipo molto diverso dal suo carismatico predecessore: giovanile e cordiale, Urmson è una persona pragmatica. È uno che deve saper portare un progetto alla maturità necessaria per il lancio sul mercato. Facciamo un giro di prova nel complesso dell’azienda: il piccolo veicolo elettrico a due posti si orienta senza problemi evitando i ciclisti, frenando con decisione quando altri mezzi compaiono all’improvviso, curvando e accelerando ino a circa quaranta chilometri all’ora. È un’esperienza molto diversa da quella delle normali auto senza conducente, dove il volante sembra mosso da una mano invisibile, come se qualcuno ci stesse giocando. Le Google Auto senza volante richiedono una iducia assoluta nella tecnologia, dal momento che non c’è modo d’intervenire. È proprio questo l’obiettivo degli ingegneri dell’azienda californiana. Gli esperimenti degli ultimi anni hanno dimostrato che i guidatori fanno fatica ad aidarsi alla tecnologia se devono essere costantemente pronti a prendere l’iniziativa in caso d’emergenza. In fondo, osserva Urmson, la scelta della soluzione più radicale è una questione di sicurezza. Se un guidatore deve assumere il controllo all’improvviso mentre sta scrivendo un’email o sta guardando un ilm, la 44 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 situazione diventa pericolosa. Tutti i produttori di auto sono d’accordo sul fatto che gestire il passaggio di consegne tra essere umano e macchina non sarà facile. Per questo Google vuole eliminare il problema alla radice. D’altra parte è lecito dubitare della sensatezza di questa opzione, anche se Google dovesse riuscire a convincere i politici. L’ente californiano per la viabilità ha presentato un progetto di legge che autorizzerà i veicoli che si guidano da soli a circolare sulla rete stradale solo se potranno essere controllati da una persona. L’aspetto decisivo da chiarire è se l’idea di Brin sia davvero auspicabile e per quale motivo la quantità di automobili e soprattutto di viaggi in auto dovrebbe ridursi, dal momento che l’auto recupererà la sua attrattiva. Di recente Travis Kalanick, il fondatore del servizio di trasporto privato Uber, ha assicurato che l’industria automobilistica non deve aver paura dei modelli di car sharing e dell’auto senza conducente. Se gli spostamenti saranno più comodi, ha spiegato Kalanick, le persone che viaggeranno in auto aumenteranno. Nessuno può sapere quale sarà l’entità di questo aumento. Un paio di punti percentuali in più non sarebbero un problema. Ma cosa succederà, chiede Lenz, la studiosa esperta di traico stradale, “se non ci preoccuperemo più del tempo che trascorriamo in auto” o se saremo disposti a fare i pendolari anche per due ore al giorno, perché l’automobile è comoda come la nostra casa ed è collegata in rete come un uicio? Le campagne si urbanizzeranno più rapidamente? Da sapere Il mercato cinese u Anche diverse aziende cinesi hanno deciso di investire nelle auto senza conducente. Anzi, scrive il New York Times, secondo gli esperti “in Cina ci sono condizioni più favorevoli, sia perché c’è un maggiore sostegno da parte dello stato, sia perché nel paese asiatico non si è mai afermata pienamente l’idea di libertà e possesso associata in occidente alle auto. Uno studio del Boston Consulting Group prevede che tra quindici anni la Cina sarà il principale mercato delle auto senza conducente”. Il colosso di internet Baidu ha stretto un accordo con la Bmw e vuole introdurre mezzi di trasporto pubblico automatizzati entro due anni. Baidu ha già ottenuto il sostegno di diverse autorità locali in Cina, sia per la modiica del codice stradale sia per la realizzazione di nuove infrastrutture. Forse il problema degli scenari del futuro pubblicizzati da Google e dalle case automobilistiche tradizionali è che propongono proprio l’auto come soluzione dei problemi di mobilità: un po’ come negli anni sessanta, quando si pensava che bastasse allargare le autostrade e le strade urbane per permettere al traico di scorrere liberamente. Certe visioni fanno davvero pensare a quest’approccio. L’auto di famiglia senza conducente sarà costantemente in uso: prima accompagnerà i bambini a scuola, poi i genitori in uicio, il pomeriggio porterà i bambini a fare sport e la sera andrà a prendere le pizze prima di girare a lungo in cerca di un parcheggio. “Naturalmente sono assurdità”, commenta Lenz. “Sta di fatto che, soprattutto nelle città, probabilmente oggi si rinuncia a fare dei viaggi in auto che si farebbero se guidare non fosse così stressante”. Per evitare che la comodità delle auto senza conducente produca una nuova congestione stradale, dice Lenz, sono necessari due presupposti: i veicoli senza conducente dovranno essere collegati alla rete dei trasporti pubblici urbani e dovranno essere usati da più persone. “Se ancora più gente se ne andrà in giro nella sua auto privata, invece di un progresso avremo un regresso”. Scettici ed euforici Forse l’aspetto più interessante dei progetti lanciati in tutto il mondo è il fatto che le parti interessate devono mettersi completamente in discussione. Il punto non è solo che l’industria tradizionale si è svegliata: gli euforici diventano scettici, gli scettici diventano euforici e, soprattutto, gli avversari imparano l’uno dall’altro, diventando nel corso della gara molto più simili di quanto pensino. I dirigenti di Google stanno accantonando l’idea di rendere felice il mondo da soli. Per il prototipo senza volante, per esempio, l’azienda californiana ha scelto di non progettare in autonomia tutti i componenti e ha stretto accordi con molti fornitori dell’industria automobilistica. Il ruolo di queste aziende, dice Chris Urmson, “non è da sottovalutare”. I fondatori di Google hanno sempre saputo che sarebbe stato difficile produrre un’auto. Ma solo nel corso dell’ultimo anno, quando l’azienda ha sviluppato i primi prototipi, hanno capito definitivamente che non potevano realizzare il progetto da soli. Lo scorso ottobre Sergey Brin ha dichiarato: “Non abbiamo intenzione di di- ventare fabbricanti di auto: stiamo dedicando molte energie alla collaborazione con i nostri partner”. Anche la Daimler ha imparato rapidamente la lezione e ha seguito l’esempio dei concorrenti. Soprattutto su un punto deve cambiare completamente prospettiva. Da tempo l’azienda tedesca non ha come unica linea di pensiero le innovazioni tecniche imposte dall’alto. Gli ingegneri non credono più solo alla tesi dell’evoluzione dell’automobile. Ritengono anche possibile, seguendo la stessa ilosoia di Google, una rivoluzione in cui l’auto senza conducente faccia la sua comparsa quasi dal giorno alla notte. E la Daimler si sta attrezzando per questo scenario con un proprio settore di ricerca e sviluppo. Misurazione della distanza A pochi chilometri dal quartier generale di Google c’è un’altra auto senza conducente che si aggira per le strade senza dare troppo nell’occhio. Da fuori sembra una normale Classe S nera. I sensori per la misurazione ottica della distanza e della velocità sono inseriti nella parte anteriore della carrozzeria. Dietro il parabrezza è nascosta una termocamera. “La nostra ambizione è di mantenere un’estetica anche nelle auto senza conducente”, spiega Axel Gern, che sorride soddisfatto della frecciata lanciata alla concorrenza. Gern dirige il programma delle automobili senza conducente della Daimler: la linea “rivoluzionaria”, la definisce. Nella sede di Stoccarda, invece, hanno adottato in parallelo l’approccio “evolutivo”, che punta a dare sempre più autonomia ai modelli di serie. “In questo modo in autostrada si va molto lontano”, dice Gern. Ma la sua Classe S attraversa luoghi abitati proprio come la Google Auto. Quand’è che la Daimler riuscirà a produrre in serie un’automobile completamente automatizzata? “Nel 2030 sarà sicuramente fattibile”, risponde Gern seduto sul sedile del passeggero della Sunny, come viene chiamata in azienda la Classe S autonoma. Accanto a lui il volante gira da solo, mentre l’auto esce con cautela dal complesso dell’azienda per poi accelerare rapidamente ino al limite di velocità di circa quaranta chilometri all’ora. Gern sta lavorando a un nuovo prototipo: una Classe E dotata di più sensori. “La curva d’apprendimento è sempre enorme”, commenta il dirigente, sia per i robot sia per gli ingegneri. “La complessità è tale che oggi non posso ancora dire di sapere esattamente quello che dobbiamo fare”. Interpretare correttamente a livello ottico i se- gnali stradali, per esempio, è più diicile di quanto si pensasse. Perciò prima che l’auto raggiunga un semaforo, una voce sintetica conferma che le videocamere hanno visto bene: “Luce del semaforo verde”. La Classe S è più confortevole della Google Auto, ma è anche meno fluida. Quando curva per immettersi nell’uscita dell’autostrada, fa una breve frenata improvvisa. I sensori si sono confusi, forse perché sta piovigginando: l’acqua in movimento è un problema. I robot preferiscono viaggiare con il bel tempo. Per Gern è evidente che “il robot dev’essere almeno bravo come un guidatore umano”. E l’impresa è ardua perché, secondo le statistiche, sulle autostrade tedesche gli incidenti gravi con danni alle persone si veriicano solo ogni 12,3 milioni di chilometri. Quella della sicurezza è la questione fondamentale che deciderà il futuro dell’auto senza conducente. Nessuno vuole commettere errori, e questo può produrre anche situazioni buffe. Come al Salone dell’auto di Francoforte nel settembre del 2013. In quell’occasione Zetsche, il presidente della Daimler, voleva dare una dimostrazione delle competenze di guida autonoma della sua azienda e si è fatto scarrozzare sul palco seduto sul sedile posteriore di una Classe S senza conducente. Gli sviInternazionale 1148 | 8 aprile 2016 45 In copertina luppatori, però, non si idavano ancora della loro creazione, e quindi dietro i sedili anteriori era nascosto un ingegnere che in caso d’emergenza poteva azionare il freno con un tasto. “Immagini cosa sarebbe successo se l’auto si fosse improvvisamente diretta a tutta velocità contro il pubblico”, dice un manager della Mercedes. L’ingegnere non è dovuto intervenire, ma la prospettiva agghiacciante di un’auto che uccide una persona mentre è impostata sul pilota automatico continua a ossessionare i tecnici di Google e della Daimler. “C’è una bella diferenza tra una situazione in cui una persona viene uccisa da un’altra persona e una in cui viene uccisa da una macchina”, osserva Oliver Bendel, studioso di informatica aziendale presso la Fachhochschule Nordwestschweiz. Esperto di etica delle macchine, Bendel si confronta da anni con i dilemmi morali che l’auto senza conducente pone. Lui stesso ha concepito delle macchine etiche, come il robot aspiratore Ladybird, che si ferma di fronte alle coccinelle. Lo considera soprattutto un esperimento per stabilire ino a che punto le macchine possano essere addomesticate e civilizzate. Quella che può sembrare solo una stranezza nel caso di Ladybird, diventa una questione sociale con i droni militari, i robot usati in medicina e le auto senza conducente. Secondo Bendel, la difusione delle auto robot dipende anche dalla possibilità di dare una risposta soddisfacente a questi dubbi etici. Bendel diida delle visioni ottimistiche dell’industria. “Non voglio vedere il giorno in cui qualcuno dovrà dire ai genitori di un bambino: quest’auto ha ucciso vostro iglio, in piena coscienza e allo stato più avanzato della tecnica”. A chi si rivolgeranno i parenti quando non ci saranno più esseri umani a cui dare la responsabilità? Al ministero dei trasporti tedesco a Berlino stanno elaborando le soluzioni più pragmatiche possibili. Le misure immaginate servono a evitare che un software attribuisca più valore a una vita umana che a un’altra. A livello ilosoico un’equazione del genere non sarebbe risolvibile: un premio Nobel ha più diritto di vivere di un delinquente? L’obiettivo è vietare agli sviluppatori di creare degli algoritmi che valutino la vita umana. L’auto senza conducente non dovrebbe essere in grado di stabilire se sia meglio mettere in pericolo un gruppo di anziani o un bambino. Pensare alle macchine e all’etica nello stesso contesto è complicato. Un essere umano può compiere azioni sbagliate perché può infrangere le regole che conosce. 46 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Un robot agisce invece sempre in base a com’è stato programmato. Rispetta tutte le norme che conosce. Non passerà mai con il semaforo rosso e non è neanche in grado di ignorare di sua spontanea volontà un segnale se prima ha imparato il codice stradale. L’essere umano interpreta le regole nel modo che gli sembra più sensato, e attraversa la linea continua di mezzeria se trova dei lavori in corso sulla sua corsia. Il robot si ferma aspetta che i lavori iniscano. Ma se il computer viene modiicato, non è neanche capace di capire se è usato come una macchina di morte. Invece nei casi in cui l’essere umano agisce d’istinto o smette di intervenire per paura, il computer ha sempre la possibilità di calcolare migliaia di opzioni in pochi millisecondi. Il paradosso è che spesso per l’essere umano un inci- 650 mila Sono i chilometri percorsi nel 2015 dagli ingegneri di Google a bordo di auto senza conducente dente non è un dilemma etico, perché non c’è tempo per prendere una decisione. Una macchina ha quasi sempre il tempo che occorre, e se uccide una persona è per una decisione automatica. Ma il comportamento di una macchina dev’essere stato programmato da qualcuno. “Non credo che siamo in grado di creare macchine abbastanza complesse da poter prendere una decisione adeguata in qualsiasi situazione”, commenta Bendel. Nuove decisioni Al di là delle questioni etiche, anche dal punto di vista tecnico la prima diicoltà è rappresentata dal fatto che il traico stradale è un fenomeno imprevedibile che impone continuamente nuove decisioni. Le situazioni che si presentano in strada sono così numerose che non ci si può limitare a programmare le macchine dandogli delle semplici istruzioni. “Non possiamo compilare un manuale in cui sia scritto: se uno skateboard inisce sulla carreggiata, reagisci così”, osserva Urmson. L’auto deve decidere da sola come reagire. Deve imparare “a essere lessibile”, spiega l’ingegnere di Google. Dev’essere intelligente, confrontare le informazioni con le esperienze precedenti e interpretare correttamente le nuove condizioni. Non è una cosa facile neanche per i migliori informatici. Le auto senza conducente hanno bisogno soprat- tutto di una cosa: esercizio. Con ogni chilometro percorso nella fase sperimentale, imparano qualcosa di nuovo. Nel 2015 gli ingegneri di Google hanno viaggiato per 650mila chilometri in California e in Texas. Ma i tragitti più lunghi sono quelli che i veicoli percorrono con un simulatore: cinque milioni di chilometri al giorno. Tempo fa Zetsche ha viaggiato sulla Google Auto a San Francisco. Ha visitato molte aziende della Silicon valley ed è rimasto impressionato: “Quei ragazzi sono più capaci e ambiziosi di quanto pensassimo”. D’altra parte il presidente della Daimler ha la sensazione che “anche loro tengano in grande considerazione la nostra capacità di sviluppare e produrre auto”. Per la Mercedes-Benz l’esperienza nella produzione di auto è un vantaggio e allo stesso tempo un problema. Nel consiglio d’amministrazione dell’azienda ci sono esperti di auto che possono discutere di sospensioni nei minimi dettagli. Ma quando si tratta di tecnologie digitali, le competenze si trovano molto più in basso nella gerarchia aziendale. Esperti di computer, ingegneri informatici e studiosi d’intelligenza artiiciale sono tutti giovani “non ancora daimlerizzati”, spiega Zetsche. In futuro avranno più responsabilità. Il gruppo deve cambiare. Nella produzione di veicoli continuerà a osservare il principio secondo cui o si raggiunge la massima qualità o è meglio rinunciare. Ma altri settori si muoveranno come le startup dove, per citare Zetsche, “non si mette tutto doppiamente in sicurezza”. Con le app, per esempio, a volte bisogna accontentarsi di un grado di perfezione del 90 per cento. Lo sviluppo delle auto senza conducente accelera questa trasformazione. La Daimler, per esempio, collabora con la Bmw e l’Audi ai servizi della Here, un’azienda un tempo legata alla Nokia che produce carte topograiche estremamente precise, una premessa importante per la guida senza conducente. La Daimler avrebbe potuto anche comprare le carte da Google, ma non voleva dipendere dalla concorrenza. Inoltre, voleva ofrire ai guidatori qualcosa che con Google non possono ottenere facilmente: il controllo dei propri dati. I clienti della Daimler potranno decidere cosa fare delle informazioni sui loro itinerari, sul loro stile di guida e sui tempi dei loro viaggi raccolti dall’auto robot. La Daimler non vuole guadagnare dalla vendita di questi dati, né sfruttarli, per esempio, per fare pubblicità agli albergatori che pagano di più. Nel settore automobilistico molti sostengono che in realtà per Google il punto non sono le auto, ma i dati raccolti dal veicolo. È immaginabile che li userà per pubblicizzare assicurazioni, al berghi, ristoranti, officine meccaniche: un’attività che promette fatturati miliar dari. I manager dell’industria automobilisti ca sono convinti che le aziende digitali fun zionino così, ma Page e Brin si presentano come persone decise a cambiare il mondo, oltre che a ricavare proitti dalla loro attivi tà. La riduzione drastica degli incidenti mortali è soprattutto una strada promet tente per raggiungere il loro obiettivo di chiarato: far progredire la civiltà attraverso la tecnologia. Si pongono anche il problema di quando e come l’auto senza conducente diventerà redditizia, ma questi aspetti sono secondari. Come dice Thrun, “se si cambia il mondo si diventa ricchi, basta non fare stupidaggini”. Le aziende nuove del settore, come Google e la Apple, sono avvantaggiate dal fatto che, oltre all’auto senza conducente, un’altra tecnologia sta trasformando il set tore: il motore elettrico. Questa invenzione rende improvvisamente superluo un pro dotto importante dell’ingegneria automo bilistica tedesca: il motore a scoppio, con le sue pompe d’iniezione, le valvole, i turbo compressori e tutti i meccanismi connessi. Le auto elettriche non hanno più bisogno di tutto questo. Lo sviluppo della propulsione elettrica e dell’auto senza conducente cambia le rego le del gioco. Decenni d’esperienza nella tecnologia tradizionale non contano più niente. Per i nuovi arrivati come Google, la Apple o la Tesla non è mai stato così facile sidare i produttori afermati. Ma questo non signiica che abbiano già vinto la corsa al futuro della mobilità. Come in ogni rivo luzione tecnologica, ci saranno vincitori e vinti, ma probabilmente su entrambi i fron ti. Zetsche dice: “Non credo che tutti i nuo vi arrivati avranno successo, ma neanche che tutti i vecchi protagonisti sopravvivran no”. Magari Google svilupperà un sistema di controllo migliore, che a un certo punto sarà installato sui veicoli di quasi tutti i pro duttori. Allora potrebbe ottenere margini di proitto simili a quelli che gli garantisce il suo motore di ricerca. I produttori di auto sarebbero declassati a fornitori di carrozze rie e dovrebbero accontentarsi di utili risi cati. Ma poi forse la Apple lancerà un soft ware superiore insieme a una iCar, che tra volgerà il settore come l’iPhone ha fatto con la telefonia mobile. O invece avrà la meglio una delle vecchie case automobilistiche, come la Daimler. Ma che implicazioni ha per il guidatore questa corsa alla produzione dell’auto sen za conducente? All’inizio guidare diventerà più facile e la sicurezza aumenterà. Le auto freneranno se un pedone attraverserà la strada di corsa o se un altro veicolo non da rà la precedenza. Manterranno la distanza di sicurezza dall’auto che le precede, con trolleranno il volante nel traico e parcheg geranno da sole. E quando saranno in grado di viaggiare in piena autonomia? Allora l’auto sarà ancora un’auto? In che modo questa rivoluzione tecnologica cambierà il veicolo che da generazioni è simbolo di li bertà e indipendenza? L’automobile diven terà parte integrante della rete dei trasporti pubblici? “Non sarà più necessario possedere un’auto”, aferma Brin. “Le automobili ver ranno semplicemente a prenderci”. Secon do Google, flotte di navette robotizzate permetteranno di eliminare gli ingorghi stradali e di ridurre l’inquinamento. Zetsche, però, non crede davvero che l’auto privata sia in via d’estinzione e che non guideremo più. Accanto al veicolo sen za conducente, dice, ci sarà sempre l’auto mobile in cui qualcuno mette le mani sul volante e accelera con il piede: “Cosa c’è di più bello che guidare una cabriolet su una strada di campagna piena di curve e inon data di sole?”. u fp Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 47 Brasile MaurIcIo LIMa (The New York TIMes/coNTrasTo) Dilma Roussef durante un’intervista a Brasília, il 3 giugno 2014 Dilma Roussef e l’arte di sopravvivere Arturo Lezcano, Gatopardo, Messico L’opposizione vuole metterla in stato d’accusa e i cittadini la contestano. Ma la presidente del Brasile è stata una guerrigliera e non ha intenzione di arrendersi 48 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 mentore Luiz Inácio Lula da Silva. Che la sua immagine di dirigente tenace sia ormai sfumata e che la sua onestà vacilli non per quello che ha fatto, ma per quello che ha nascosto. Invece, secondo i sostenitori, la presidente sopravviverà agli attacchi. Ideologia e tempo libero il 13 dicembre 2015. Sul lungomare di Copacabana, a Rio de Janeiro, migliaia di persone camminano grondando di sudore sotto il sole a picco. Tutti accompagnano con furia rivendicativa le grida che escono dagli altoparlanti del camion in testa al corteo, scortato da venditori ambulanti di magliette e adesivi con la frase “Fóra Dilma”, fuori Dilma. È la quarta ondata di manifestazioni contro la presidente del Brasile, Dilma Roussef. Nel 2015, il primo anno del suo secondo mandato, la crisi economica ha travolto il paese. L’azienda petrolifera statale Petrobras ha dovuto fare i conti con è l’avvio, nel 2014, dell’indagine lava jato (autolavaggio) su una gigantesca rete di corruzione e di tangenti tra la compagnia e la classe politica brasiliana, tra cui molti dirigenti del Partito dei lavoratori, al governo. La popolarità di Roussef ne ha risentito. Nel frattempo a ottobre la corte dei conti ha bocciato il bilancio dell’esecutivo per irregolarità iscali. Questo è stato il motivo uiciale per l’apertura di una procedura di messa in stato di accusa della presidente, che potrebbe portare alla ine anticipata del suo mandato. Il 2 dicembre 2015 il presidente della camera, Eduardo Cunha, ha annunciato che avrebbe accettato la richiesta di messa in stato di accusa. Roussef si è difesa pubblicamente: “Il mio passato e il mio presente testimoniano l’indiscutibile rispetto che ho delle leggi e della cosa pubblica”, ha detto. La storia di Dilma Roussef è quella di una sopravvissuta, che ha ricoperto la carica più importante del paese dopo aver percorso tutte le tappe possibili per un personaggio politico della sua generazione: militante universitaria, guerrigliera clandestina processata e incarcerata durante la dittatura, ministra statale, ministra federale e inine presidente. La sua storia le è valsa la fama di lady di ferro e maga della sopravvivenza. Secondo i sondaggi, oggi la maggioranza dei brasiliani è contraria al governo di Roussef. Lei si appella alla legittimità delle urne e deinisce “colpo di stato” la procedura di destituzione avviata contro di lei. Se il governo non riuscirà a ottenere 172 voti contro la messa in stato d’accusa (un terzo della camera più un voto), la proposta passerà al senato e Roussef sarà allontanata dalla sua carica. Ma la presidente conida nella sua storia di lotta per restare a galla. Le proteste contro la sua gestione potrebbero far pensare che Roussef sia un albero pericolante. I detrattori sostengono che l’inizio del suo mandato, nel 2010, sia stato solo un prolungamento di quello del Dilma Vana Roussef è nata il 14 dicembre 1947 nella città di Belo Horizonte, nello stato di Minas Gerais. Il suo secondo nome è un omaggio alla sorella minore del padre, Pedro Roussef. Nato nel 1900 in Bulgaria e registrato all’anagrafe come Pétar Roussev, nel 1929 era fuggito in Francia per motivi ignoti e aveva cambiato il suo cognome eliminando la v e aggiungendo due f: Roussef. Dopo la seconda guerra mondiale si era trasferito in Brasile e lì avevano cominciato a chiamarlo Pedro. Poi quell’uomo pallido e imponente, che aveva lasciato una moglie e un iglio in Bulgaria, si era innamorato della iglia di un allevatore di bestiame. Lei si chiamava Dilma Jane e aveva vent’anni quando i due si erano sposati. I igli erano arrivati subito: Igor, Dilma, solo undici mesi dopo il primogenito, e Zana, quattro anni dopo. Ma la vita spensierata della famiglia inì all’improvviso nel 1962. Un sabato, rientrando a casa, Pedro si sentì male. Era un fumatore incallito e morì la sera stessa a causa di un infarto. Lasciò una fortuna e un vuoto nella famiglia, soprattutto nella iglia maggiore Dilma, che aveva quattordici anni e cominciava a cambiare, da bambina agiata a ragazza inquieta. La scuola che frequentava, Nossa senhora de Sion, fu venduta, e lei si trasferì nell’istituto pubblico più famoso di Belo Horizonte, il Colégio estadual central, dove studiavano i igli della borghesia progressista di Belo Horizonte. In quel momento la scuola era anche l’incubatrice di un movimento studentesco che, poco dopo, avrebbe imbracciato le armi. Roussef superò l’esame di ammissione e cominciò gli studi in un periodo fondamentale per il paese: il marzo del 1964. Due settimane dopo un colpo di stato militare instaurò in Brasile una dittatura che durò per 21 anni, ino al 1985. Belo Horizonte era una città cosmopolita. “La casa dei Roussef era uno dei pochi posti in cui si potevano trovare i libri di Jorge Amado. Per questo c’incontravamo sempre lì”, ricorda Helvécio Ratton, cineasta, ex guerrigliero esule e amico della presidente, parlando dello scrittore comunista perseguitato negli anni trenta nel suo stesso paese. “L’impressione era che a Belo Horizonte le disuguaglianze sociali non Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 49 Brasile VINCENT CATALA (VU/KARMA PRESS PHOTO) Rio de Janeiro, 2015 fossero profonde come in altre grandi città brasiliane”, prosegue. “Era una città in movimento, connessa al resto del mondo, e la strada e i bar erano luoghi importanti. Tutto succedeva lì”. In quella città si formò El clube da esquina, un collettivo musicale che univa la musica popolare brasiliana con i Beatles, e il jazz con l’eredità latinoamericana. Era guidato da Milton Nascimento e da tre fratelli, i Borges. Uno di loro, Márcio, era compagno di scuola e amico di Dilma Roussef. Trascorrevano insieme molti pomeriggi. “L’ho conosciuta a casa di un amico che faceva parte del movimento studentesco. Indossava l’uniforme della scuola, una gonna grigia e la camicia bianca con la cravatta”, racconta Márcio. In quel periodo il tempo libero e l’ideologia andavano di pari passo, e la lotta armata cominciava a emergere come l’unica forma possibile di resistenza alla dittatura militare instaurata con il colpo di stato del 31 marzo 1964. Come avrebbe ricordato 50 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Roussef decenni dopo, quando era ormai presidente, le inluenze più importanti di quella generazione arrivavano da ambiti diversi: l’esistenzialismo, la nouvelle vague e la rivoluzione cubana. In quel contesto nacquero bar come il Butcheco, un locale nascosto e senza insegna che serviva a inanziare la Polop, l’organizzazione rivoluzionaria marxista politico e operaia dove Rousseff cominciò la sua militanza, nel 1965. Colpo di fulmine Cláudio Galeno Linhares era tornato a Belo Horizonte, la sua città natale, dopo essere stato detenuto per un periodo in un carcere di Rio de Janeiro alla ine del 1964, per attività sovversive. Linhares viveva nella pensione Odete, frequentata dai gruppi di sinistra della città e da alcune ragazze del Colégio estadual central che militavano nel movimento studentesco. Tra di loro c’era anche Dilma Roussef. Cominciarono a frequentarsi quando Linhares era già impe- gnato nella lotta armata. Si sposarono nel 1967. La madre di Roussef regalò ai due un appartamento dove vissero prima normalmente e poi in clandestinità. Dilma Roussef s’iscrisse alla facoltà di economia, la più rinomata dell’università federale di Minas Gerais. “Quello che facevamo in quegli anni era il risultato di un ambiente scosso dal fermento politico e culturale”, racconta Ratton. “Proprio qualche giorno fa ripensavo al passato e mi domandavo perché sono entrato in un’organizzazione rivoluzionaria. Credevo di poter trasformare il Brasile, come insegnava il libretto di Jules Régis Debray”. Quel “libretto” s’intitola Rivoluzione nella rivoluzione? e l’autore era un giovane giornalista francese che viveva in America Latina e propugnava la lotta armata di piccoli gruppi guerriglieri che avrebbero “innescato il motore della rivoluzione”. I giovani militanti di Belo Horizonte, quasi tutti borghesi, erano d’accordo con Debray. Per fare la resistenza armata servivano i soldi, così loro cominciarono a rapinare le banche. Secondo la versione più difusa, nella Polop Roussef si occupava della stampa clandestina del giornale O Piquete. Ha sempre negato di aver partecipato agli assalti alle banche. Quando la Polop si sciolse, tutti entrarono in un nuovo gruppo, il Comando di liberazione nazionale (Colina). Era il 1968 e l’obiettivo era prendere le armi per arrivare al potere. Ma la dittatura aveva altri piani: il 13 dicembre il regime emanò l’Atto istituzionale numero 5, noto come AI-5, che autorizzava il presidente della repubblica, un militare, a sciogliere il parlamento. Le camere furono chiuse quello stesso giorno, inaugurando l’epoca più buia della storia recente del Brasile. Nel gennaio del 1969 un attacco realizzato dai guerriglieri del Colina si concluse con l’arresto di un amico di Dilma Roussef e di Cláudio Galeno. Loro due scapparono a Rio de Janeiro sotto la protezione dell’organizzazione guerrigliera e si rifugiarono in un appartamento. Poco dopo Galeno fu di nuovo trasferito a Porto Alegre, mentre Roussef restò a Rio per occuparsi della logistica: armi, soldi e documenti. Nel corso di una riunione ebbe un colpo di fulmine: lui si chiamava Carlos Franklin Paixão de Araújo, aveva 31 anni, era iglio di comunisti ed era stato nelle carceri della dittatura. Araújo andò a vivere nello stesso appartamento di Roussef. Lo racconta per telefono da Porto Alegre: “La chiamavamo tutti Estela, non conoscevo il suo vero nome. Io ero Max. C’incontrammo per la prima volta durante una riunione per preparare l’uniicazione del Colina con il Vpr, un altro gruppo. Fu un colpo di fulmine anche per me. Il giorno dopo le dissi che la trovavo attraente, lei rispose che era sposata, ma la passione ebbe la meglio e poco dopo andammo a vivere insieme”. Dilma Roussef e il suo nuovo compagno entrarono nel gruppo Vanguarda armada revolucionária Palmares, e lì Roussef ricoprì un ruolo di primo piano. Il Var-Palmares decise di trasferirla a São Paulo, alla ine del 1969, mentre Max restava a Rio de Janeiro. “Passarono poco più di due mesi da quando se ne andò da Rio a quando fu arrestata”, ricorda Araújo. “Solo allora venni a sapere il suo vero nome: Dilma Roussef ”. Tutti i demoni del passato di José Olavo Leite Ribeiro rispuntano fuori quando questo ex militante parla delle torture. Le chiama o pau, letteralmente “il palo”. “Per molti anni mi sono sentito in col- pa”, dice. “Usavano questa tecnica: ogni giorno ti facevano scrivere la tua storia a mano. Tu scrivevi, e se c’era una divergenza qualsiasi con la versione precedente ti torturavano. Se dimenticavi o cambiavi qualcosa, ti torturavano, con o pau”. “E perché si sentiva in colpa?”. “Perché non avrei dovuto parlare, ma non ero pronto a morire per la causa. Cominciavano a picchiarti nel momento in cui inivi in carcere e non la smettevano ino a quando non confessavi qualcosa”. Olavo sopporta un altro peso: la sua dichiarazione causò l’arresto di una compagna che poi sarebbe diventata la presidente del Brasile. Conobbe Dilma Roussef (con i nomi di Luiza, Vanda, Estela e Patrícia) nel 1969. Secondo Olavo, era la leader del VarPalmares a São Paulo. “Lavorai per lei quattro mesi. Era una militante molto attiva e intelligente. Dal punto di vista intellettuale non era brillante, ma studiava e leggeva moltissimo, e si faceva notare”, aferma. All’inizio del 1970 Olavo fu arrestato a São Paulo. Dopo due settimane in carcere era molto indebolito: aveva subìto continue torture ed era stato chiuso in una cella senza luce. Il 16 gennaio lo lasciarono uscire per dargli la possibilità di mostrare “il punto”, cioè il posto in cui si dava appuntamento con gli altri guerriglieri. “Dilma Roussef fu arrestata perché io mi presentai con la polizia nel luogo in cui dovevo incontrarla”, dice Olavo. Matrimonio in carcere La foto più famosa della presidente è quella che le fu scattata nel gennaio del 1970 all’interno del dipartimento di ordine politico e sociale, subito dopo il suo arresto. Nell’immagine si vede Roussef con i capelli corti e un paio di occhiali con una montatura di plastica nera e lenti spesse. In mano ha un cartello con il numero 3023. Fu l’inizio della permanenza di Roussef nelle carceri brasiliane: due anni e dieci mesi che cominciarono con la tortura. Rousseff ha raccontato apertamente quell’esperienza solo nel 2003, al giornalista Luiz Maklouf Carvalho: “Per prima cosa c’era la palmatória, una specie di racchetta di legno con il manico lungo che serviva per colpire e stordirti. Poi mi chiedevano di togliermi i vestiti e mi mettevano nel pau de arara, una barra di ferro a cui venivo legata per i polsi e per le ginocchia. Poi la barra era sistemata tra due tavoli per farmi pendere a un palmo da terra. C’era anche la cadeira do dragão, la sedia elettrica. Mi colpivano con continua a pagina 52 » Da sapere Un paese diviso l 3 aprile 2016 la presidente del Brasile Dilma Roussef ha ribadito sulla sua pagina Facebook che non si dimetterà. La dichiarazione è arrivata all’indomani della pubblicazione di un editoriale della Folha de S.Paulo, uno dei quotidiani più inluenti del paese, favorevole alle dimissioni della presidente “perché sono venute meno le condizioni per governare il paese”. Roussef afronta una procedura di messa in stato di accusa per una presunta violazione della legge nella gestione del bilancio del 2014: secondo l’opposizione, ha truccato i conti pubblici per nascondere la reale ampiezza del deicit e favorire la sua rielezione alle elezioni dell’ottobre del 2014. La presidente ha risposto alle accuse dichiarando che la procedura “non ha nessun fondamento legale” e nasconde un “tentativo di colpo di stato istituzionale”. La situazione di Roussef si è complicata ancora di più il 29 marzo, quando il Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb, centro) ha annunciato la sua uscita dalla maggioranza di governo. La decisione del Pmdb potrebbe rivelarsi decisiva per il futuro della presidente, che deve ottenere 172 voti su 513 alla camera per impedire che la richiesta di messa in stato d’accusa passi al senato. I militanti del Partito dei lavoratori (Pt, sinistra), di cui Roussef fa parte e che è al governo da tredici anni, hanno convocato varie manifestazioni in sostegno della presidente. Una parte del paese, però, è delusa dalla sua gestione e dall’enorme scandalo di corruzione che ha coinvolto l’azienda petrolifera statale Petrobras e la classe politica brasiliana, tra cui molti dirigenti del Pt. Il 4 marzo il giudice Sérgio Moro, che dal 2014 conduce l’inchiesta lava jato (autolavaggio), ha autorizzato l’interrogatorio dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, prelevato dagli agenti federali a casa sua. Per alcuni Moro ha abusato del suo potere. Il 17 marzo Lula ha prestato giuramento come capo di gabinetto nel governo di Roussef, scatenando le proteste di una parte del paese, convinta che fosse un modo per evitare l’arresto e ottenere l’immunità. La nomina è stata sospesa il giorno dopo da un giudice del tribunale supremo federale. u I Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 51 Brasile le scariche elettriche ovunque: piedi, mani, interno cosce e orecchie. Sulla testa era terribile. Anche sui capezzoli. Era impossibile trattenere l’urina e le feci. I primi giorni ero esausta, svenivo perché non resistevo a tutte quelle scariche. Avevo emorragie. Quando mi lasciavano in pace tremavo di freddo, perché ero nuda. E poi ricominciavano”. “Mi arrestarono ad agosto”, ricorda Araújo. “Mi tennero in carcere per 75 giorni e poi mi portarono davanti a un giudice, dove rividi Dilma per la prima volta. Entrambi fummo trasferiti in un altro carcere e a quel punto conobbi sua madre. Si chiamava Dilma anche lei, e durante le visite diventò amica di mia madre. C’erano un padiglione maschile e uno femminile, le persone sposate potevano vedersi in privato. Noi però non eravamo sposati. Per questo le nostre madri cercarono di fare pressione sul direttore del carcere: volevano farci incontrare. Un giorno, forse per stanchezza, il direttore le prese come testimoni e ci sposò. Il nostro certiicato di matrimonio è irmato dal direttore di una prigione della dittatura militare”. Roussef fu condannata a sei anni di prigione. Il tribunale superiore militare ridusse la sua pena a tre anni, che diventarono due anni e dieci mesi. Alla ine del 1972 uscì dal carcere. Aveva 25 anni. Quando tornò in libertà anche Araújo, insieme cominciarono una nuova vita a Porto Alegre. Nel 1976 ebbero la loro unica iglia, Paula, mentre la loro carriera decollava: Carlos forniva assistenza legale alle persone indigenti, Roussef era tirocinante alla Fondazione di economia e statistica (Fee) dello stato di Rio Grande do Sul, ma perse il lavoro quando il suo nome comparve su una lista di proscrizione dei quadri guerriglieri reinseriti nei posti pubblici. Decise quindi di riprendere gli studi di economia. Intanto continuava la militanza da casa: il suo appartamento si trasformò nel ritrovo dei movimenti a favore delle elezioni dirette, dei gruppi sindacali e del Movimento democratico brasiliano (Mdb), un partito di opposizione alla dittatura. Si avvicinava la ine degli anni settanta e la dittatura continuava in una versione sempre più edulcorata. Le elezioni erano rimandate, ma i leader dell’opposizione in esilio potevano rientrare in patria. Tra loro c’era anche lo storico dirigente di sinistra Leonel Brizola. Insieme a lui, Dilma Rousseff e Carlos Araújo parteciparono alla rifondazione del Partito laburista brasiliano, il Ptb. Nel 1980 fondarono il Partito democratico laburista. Dilma faceva 52 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 parte del consiglio comunale e cominciava a tessere i suoi legami politici. Intanto il regime si sgretolava: nel 1985 cominciò la transizione a un governo civile. Roussef ottenne la sua prima carica uiciale come assessora al bilancio e, dal 1988, non abbandonò più l’amministrazione pubblica: fu direttrice generale del consiglio comunale di Porto Alegre, presidente della Fee dal 1990 al 1993 e ministra dell’energia, delle miniere e delle comunicazioni dello stato di Minas Gerais. Quest’incarico fu riconfermato nel 1999, quando si fece notare da Luiz Inácio Lula da Silva. Sul piano personale le cose non andavano bene. Una crisi irreversibile la spinse a mettere alla porta il marito. Poco dopo, Roussef ebbe una relazione con un ingegnere, Luiz Oscar Becker. È l’unico uomo, oltre ai suoi due mariti, a cui si sa che Roussef fu legata. La guerriera Nel frattempo il Brasile stava cambiando. Dopo la ine della dittatura si erano susseguiti governi di centrodestra e Lula si stava facendo conoscere alla guida del Partito dei lavoratori (Pt). Dopo aver perso tre elezioni, il leader del Pt vinse quelle del 2002. S’insediò come presidente nel gennaio del 2003 e nominò ministra federale per le miniere e l’energia una completa sconosciuta per i brasiliani: Dilma Roussef. Nel 2008, quando lei era capo di gabinetto, un politico dell’opposizione la costrinse a ricordare gli anni della dittatura. Il 7 maggio 2008 si riunì la commissione che indagava su presunte irregolarità durante il mandato dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso (1995-2003). Quel giorno Da sapere Andamento dell’economia Variazione annuale del pil brasiliano, % 9 6 3 0 -3 2003 2005 2007 2009 2011 2013 2015* *Stime. Fonte: The Economist Roussef era al centro dell’attenzione. Davanti a lei, il senatore conservatore José Agripino Maia insinuò che Rousseff non stesse dicendo la verità. Il senatore metteva in dubbio la sua parola a causa di un’intervista in cui lei raccontava di aver mentito durante gli interrogatori della dittatura per non consegnare alla polizia i suoi compagni di guerriglia. Roussef ascoltò con attenzione il discorso del senatore. Quando prese la parola, disse a voce alta: “Sono stata tre anni in carcere e sono stata barbaramente torturata, senatore. All’epoca chi veniva interrogato e diceva la verità rischiava di compromettere la vita dei suoi compagni. Sono orgogliosa di aver mentito, perché mentire sotto tortura non è facile. Davanti alla tortura, chi ha coraggio e dignità mente. Questo dialogo è democratico, non è un dialogo tra il mio collo e la forca. Qualsiasi paragone tra la dittatura e la democrazia può arrivare solo da chi non dà valore alla democrazia. Credo che nel 1970 io e lei attraversassimo momenti diversi della nostra vita”. Nei primi anni da presidente Lula aveva girato per il paese inaugurando cantieri e distribuendo abbracci a sindaci e governatori. Roussef era stata al suo ianco, sempre composta e seria. Nel 2005 era scoppiato il caso mensalão, il primo grande scandalo di corruzione dell’era Lula (i deputati di altri partiti avevano ricevuto pagamenti mensili in cambio di voti a sostegno del governo). Molti parlamentari del Pt erano stati coinvolti, ma Roussef ne era uscita raforzata e aveva preso il posto dell’allora capo di gabinetto José Dirceu, che si era dimesso a causa dello scandalo. Era il giugno del 2005 e Roussef sarebbe rimasta in carica fino alla fine del secondo mandato di Lula, nel 2010. Nonostante le accuse di corruzione che pesavano sul governo, infatti, nel 2006 Lula fu rieletto. La situazione economica del paese era buona e i brasiliani riconoscevano all’ex sindacalista di essere riuscito a ridurre la povertà estrema. Il Brasile fu scelto come sede per i Mondiali del 2014 e per le Olimpiadi del 2016. Superò perino la crisi internazionale del 2008, anche grazie a un fattore che sancì il successo deinitivo di Dilma Roussef: il programma di accelerazione della crescita (Pac). Lula voleva che Roussef riunisse in questo programma i grandi progetti infrastrutturali, soprattutto quelli per le reti fognarie e per i complessi abitativi. L’ambizione era investire ino al 2010 più di cento miliardi di dollari in lavori pubblici che lasciassero un’eredità visibile, in particolare nelle aree più povere del paese. VINCENT CATALA (Vu/KARmA PRESS PhoTo) La spiaggia di Macumba a Rio de Janeiro, 2015 Roussef era sulla cresta dell’onda. Lo capì anche Lula, che cominciò a parlare con i suoi collaboratori della possibilità di sceglierla come candidata alla presidenza per il Partito dei lavoratori. Sapendo di dover afrontare una campagna elettorale, Roussef si sottopose ad alcuni interventi chirurgici: si operò agli occhi e fece un lifting per ridurre le rughe e le occhiaie. La sua candidatura fu lanciata uicialmente nel luglio del 2010, con Lula in camicia rossa che alzava il braccio della sua prescelta e un’ovazione travolgente alla convenzione nazionale del Pt. Una democrazia forte Prima che succedesse tutto questo, Roussef aveva incontrato l’ex marito Carlos Araújo e la iglia, per dirgli che aveva una malattia grave: “Ci dette appuntamento e ci confessò di avere un tumore”, ricorda Araújo. Tutto era nato dalla scoperta di un piccolo rigoniamento sotto l’ascella, durante una visita di controllo del dottor Ro- berto Kalil, lo stesso di Lula. Il 3 aprile 2009 Roussef era stata ricoverata per farsi togliere un nodulo di due centimetri. La diagnosi del linfoma era stata confermata e la notizia era stata data ai giornalisti. Roussef si era presentata in tv all’ora di punta, sul canale Rede Globo. “Afronto questa malattia per uscirne più forte”, aveva dichiarato. E così aveva fatto, senza nascondere la chemioterapia, la caduta dei capelli, la parrucca e il gonfiore provocato dai farmaci. All’inizio del 2010, prima di lanciare uicialmente la sua candidatura, la malattia era stata dichiarata in remissione. E lei aveva detto in un’intervista: “Il cancro spaventa perché è associato alla morte. La mia esperienza è stata quasi opposta: per me il tumore è legato alla capacità di superare le diicoltà”. La sua immagine pubblica si raforzò e, in campagna elettorale, fu presentata come la “guerriera” che esce vittoriosa da ogni sida senza mai farsi abbattere. Lula da Silva è stato un elemento fonda- mentale nella campagna elettorale di Dilma Roussef del 2010. Iniammava le masse nei comizi, criticava i rivali e parlava di Roussef come presidente quando non la conosceva quasi nessuno. Le strade erano piene di manifesti dell’ex presidente e leader del Pt in compagnia della sua ministra più potente. Così le percentuali di sostegno a Roussef sono salite ino all’euforica serata del 31 ottobre 2010 nel palazzo di Alvorada a Brasília, quando è stata annunciata la sua vittoria al ballottaggio con il 56 per cento dei voti, contro il 44 per cento ottenuto da José Serra, del Partito socialdemocratico brasiliano (Psdb, di centrodestra). Intorno a mezzanotte Roussef è uscita dalla stanza dove aveva seguito le elezioni per andare al centro congressi. Lì l’aspettavano simpatizzanti, compagni di partito e giornalisti provenienti da tutto il mondo. Nel tragitto dall’ascensore al palco, Roussef ha distribuito baci e abbracci tra stelle, bandiere rosse e slogan sindacali. Quando è arrivata sul palco tutto è diventaInternazionale 1148 | 8 aprile 2016 53 Brasile to molto più neutro. Nel suo primo discorso da presidente, trasmesso in diretta su tutte le tv principali del paese, ha dichiarato: “Lancio un appello alle aziende, ai politici, alle chiese e all’università perché lottino contro la disuguaglianza. Non potremo darci pace ino a quando ci saranno brasiliani che hanno fame o vivono per strada”. Il suo programma prevedeva una lunga lista di proposte sociali, educative e sanitarie: eliminare la povertà estrema, dotare di acqua potabile tutta la popolazione, costruire istituti professionali e migliaia di asili, espandere i centri per l’assistenza sanitaria in tutto il Brasile. E anche una serie di misure macroeconomiche per favorire la crescita senza perdere di vista il controllo dell’inlazione. Un anno dopo il suo arrivo al palazzo del Planalto, la popolarità di Roussef aveva raggiunto indici superiori anche a quelli del suo mentore. L’ombra lunga dell’ex presidente Lula, però, comportava l’accettazione di molti dirigenti che arrivavano dalla sua gestione. Ma è stato subito chiaro che la presidente non era il tipo da fare concessioni. Roussef ha mostrato in dall’inizio la sua faccia più severa: nel primo anno di mandato ha chiesto le dimissioni di sette ministri accusati di corruzione. Tutti avevano ricoperto ruoli importanti durante i governi di Lula. Nonostante i dati incoraggianti dei sondaggi, il governo non è riuscito a far crescere il paese al ritmo dei dieci anni precedenti: il 2,7 per cento nel 2011, lo 0,9 per cento nel 2012. Queste cifre sono state interpretate dal governo come una conseguenza della crisi internazionale del 2008. L’economia brasiliana ha rallentato e gli investimenti sono diminuiti. Nel gennaio del 2013 una protesta contro l’aumento delle tarife dei trasporti pubblici urbani si è estesa in poco tempo a tutto il paese. A São Paulo il rialzo del biglietto era stato del 7 per cento, una percentuale inferiore all’inlazione di quell’anno. Ma, secondo i manifestanti, dover pagare ancora di più per un servizio pubblico di per sé già caro era una cosa inaccettabile. Quel germe di protesta, che aveva come bersaglio sindaci e governatori, è arrivato ino alla presidente. Il culmine è stato raggiunto quando sono venuti a galla gli sprechi per l’organizzazione dei Mondiali e delle Olimpiadi. Secondo i manifestanti, che all’inizio erano soprattutto studenti di sinistra, il paese aveva bisogno di scuole e ospedali, non di stadi. Il 18 giugno più di un milione di persone hanno manifestato in quattrocento città. Le conseguenze sono state immediate: il giorno dopo i governi di undici grandi 54 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 città hanno fatto marcia indietro, rinunciando all’aumento delle tarife per i trasporti pubblici. Il 21 giugno Dilma Roussef ha dato ragione ai manifestanti in un discorso trasmesso dalla tv nazionale: “Le dimensioni delle manifestazioni confermano l’energia della nostra democrazia, la forza della voce delle piazze e la civiltà della nostra popolazione. La mia generazione sa quanto ci sia costato tutto questo. Ora voglio dire che il mio governo sta ascoltando i manifestanti. È bello vedere così tanti giovani e adulti che difendono un paese migliore. Il Brasile è orgoglioso di loro”. Chiunque si sarebbe dato per vinto con la metà dei problemi che ha lei Questo gesto di apertura verso chi protestava non è comunque riuscito a impedire la difusione del malcontento. “Dilma Roussef ha tagliato i ponti con la società, non ascolta i movimenti sociali critici, parla solo con i settori che sono dalla sua parte. Per questo non è nelle condizioni politiche per guidare i cambiamenti chiesti dal Brasile”, aferma Apolo Heringer Lisboa, ex guerrigliero, uno dei fondatori del Pt e oggi ambientalista critico nei confronti della gestione di Roussef. Pelle dura I movimenti ecologisti hanno sempre rimproverato alla presidente di non occuparsi abbastanza delle questioni ambientali. Secondo Roussef il completamento della centrale idroelettrica di Belo Monte, la terza diga più grande del mondo, fornirebbe al Brasile un iume di megawatt puliti e rinnovabili a basso costo. Ma per farlo bisogna distruggere migliaia di ettari di foresta e allontanare decine di comunità indigene che vivono lungo il iume Xingu, senza nessuna garanzia di eicienza. Inoltre nel 2015 Roussef ha nominato ministra dell’agricoltura Kátia Abreu, in prima linea nella difesa dei grandi proprietari terrieri e quindi ostile al movimento dei Sem Terra. Presto è aiorato un altro problema: la corruzione. Prima con la sentenza deinitiva del caso mensalão, nel 2013, che ha confermato la condanna di vari pezzi grossi del Partito dei lavoratori. Poi, nel 2014, con l’avvio dell’inchiesta lava jato, ancora in corso. Le indagini sulla malversazione sistematica di fondi dell’azienda petrolifera statale Petrobras hanno spinto Roussef a smentire di essere mai stata a conoscenza di attività illegali (dal 2003 al 2010 Roussef è stata presidente del consiglio d’amministrazione della Petrobras). Alti dirigenti della compagnia e politici del suo partito ricevevano tangenti dalle maggiori società di appalti del paese in cambio di contratti sostanziosi. “Non credo che la presidente sia coinvolta personalmente ma sapeva quello che faceva il suo partito”, sostiene Apolo Heringer Lisboa. Molti testimoni invece non hanno dubbi circa l’onestà della presidente: “È una donna che ha sempre combattuto, solidale, onesta e sempre preoccupata delle disuguaglianze sociali”, sostiene Eleonora Menicucci de Oliveira, sua amica personale e ministra per le donne ino all’ottobre del 2015. Si sa poco della vita privata attuale della presidente. Oggi Dilma Roussef, vicina ai settant’anni, ha la pelle sempre più dura, anche per le diicoltà che vive il suo governo. Nel 2014 il paese è stato colpito dalla crisi economica e la crescita è stata quasi nulla. La produzione industriale si è ridotta di un terzo, i consumi sono crollati, mentre sono aumentati i prezzi ed è cresciuta la disoccupazione. Quell’anno, in piena crisi internazionale del petrolio, e a due mesi dalle elezioni, il Brasile è entrato in recessione. Sembrava che la rielezione non fosse alla portata di Roussef e in efetti è stata la campagna elettorale più combattuta della storia democratica del paese, con dibattiti accesi tra la stessa Roussef, Aécio Neves e Marina Silva, che aveva preso il posto di Eduardo Campos, morto il 13 agosto in un incidente di elicottero. Ma la strategia dello specialista in campagne elettorali del Pt João Santana (che sarebbe poi stato arrestato alla ine di febbraio del 2016 nell’ambito dello scandalo lava jato) – attaccare per non doversi difendere – ha funzionato. Roussef è stata presentata come una donna coraggiosa, che aveva sidato la dittatura. E al ballottaggio del 26 ottobre ha vinto contro Aécio Neves per tre milioni di voti, che in Brasile sono solo tre punti percentuali. Hanno votato per lei più i brasiliani poveri di quelli ricchi, il nord più del sud. “È impossibile che una persona che ha fatto militanza negli anni sessanta non sia una politica solida”, aferma il ministro della comunicazione sociale Edinho Silva. “Roussef ha ottime capacità gestionali, ma è anche una grande leader. Se è diventata presidente, è stato grazie al suo percorso da VINCENt CAtALA (Vu/KARMA PRESS PhOtO) L’avenida Presidente Vargas a Rio de Janeiro, 2015 militante. Ecco perché in questo momento diicile è lei a guidare le politiche del governo”. Secondo i suoi collaboratori, Roussef non ha un buon carattere: vuole che le cose siano fatte esattamente come dice lei. Come ha detto una volta un deputato del Pt a São Paulo: “È molto democratica, se tu sei d’accordo con lei al cento per cento”. Il 26 ottobre 2014, la sera della vittoria, davanti alla spaccatura evidente dell’elettorato, Roussef si è presentata con un atteggiamento sincero: “Voglio essere una presidente migliore di quanto non lo sia stata inora”. Il giorno della sua investitura ha chiesto un patto contro la corruzione e il sostegno del parlamento. Ma non ha ottenuto nessuna delle due cose. Anzi, i problemi si sono aggravati. Neanche il nuovo gabinetto, in cui spiccava un ministro dell’economia neoliberista, Joaquim Levy, ha fatto cambiare andamento all’economia. Levy ha promosso manovre iscali per correggere gli errori di gestione, ma ha incontrato la resistenza di alcuni set- tori del Pt che l’hanno accusato di accelerare la recessione. E nel dicembre del 2015 si è dimesso. Il 2015 è stato l’anno più diicile per Dilma Roussef da quando è presidente. Si calcola che l’economia brasiliana si sia contratta circa del 3 per cento. Secondo le previsioni fatte a gennaio dalla Banca centrale brasiliana, nel 2016 l’economia del paese si ridurrà del 2,95 per cento. I dati del Fondo monetario internazionale parlano del 3,5 per cento. Oggi il Brasile è in caduta libera per una combinazione di fattori economici e politici che stanno provocando un efetto domino. Scende il pil, aumentano l’inlazione e la disoccupazione. Lo stato interviene, ai mercati non piace, crolla la borsa, diminuisce il rating e sprofonda il dollaro. Si tagliano gli stipendi, gli impieghi pubblici e i bilanci, aumentano le tasse, ne risentono i programmi sociali. Nell’anno delle Olimpiadi, il paese che ha speso dieci miliardi di dollari per preparare l’evento taglia gli investi- menti alle infrastrutture e agli stadi. Il Brasile è passato dalla crescita più grande e sostenuta tra i paesi emergenti alla peggiore crisi dagli anni trenta. Da una stabilità politica inedita, con un partito di sinistra al potere per più di dieci anni, all’ingovernabilità. Ma Roussef resta al suo posto, anche se è sempre più alle strette e aspetta l’esito della procedura di messa in stato di accusa. Chi la conosce dice che è a suo agio nelle situazioni diicili e quando qualcuno la sida la sua testardaggine la spinge a contrattaccare. È più brava di fronte alle avversità e di solito le supera a testa alta. “Sa quello che vuole e non si lascia dominare dagli eventi”, aferma l’ex marito Araújo. “Chiunque si sarebbe dato per vinto con la metà dei problemi che ha lei, ma Dilma non è così. E non lo sarà mai”. u fr L’AUTORE Arturo Lezcano è un giornalista freelance nato a La Coruña, in Spagna, nel 1976. Vive a Rio de Janeiro. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 55 Scienza Cambio di terapia Andy Coghlan, New Scientist, Regno Unito uando nel 2013 le hanno diagnosticato un melanoma maligno in fase avanzata, Vickie Brown è rimasta sconvolta. Anche con le migliori cure disponibili in quel momento, quasi tutte le persone con una diagnosi simile alla sua non sopravvivevano per più di sei mesi. Poi è arrivata la svolta. Attraverso l’ente beneico Melanoma Uk, Brown è stata invitata a partecipare al test clinico di un farmaco sperimentale presso l’ospedale Royal Marsden di Londra. I medici le hanno somministrato tre infusioni endovenose a settimana per diverse settimane. Dopo la seconda, i noduli che sentiva in gola e nel petto erano scomparsi. “Ero emozionatissima”, dice Brown, che è ancora viva a tre anni dalla diagnosi iniziale. “Il medico dice di non aver mai visto un risultato simile in così poco tempo”. I risultati ottenuti da Brown saranno stati anche straordinari, ma il suo non è un caso isolato. Altre persone che hanno partecipato a test clinici simili sono ancora vive, dieci anni dopo aver ricevuto prognosi sconfortanti. A questi nuovi farmaci sono stati dedicati articoli con titoli ottimistici su molti giornali, soprattutto dopo che Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti, ha annunciato che sono state proprio queste medicine a rimuovere le lesioni da melanoma al cervello, potenzialmente letali. Questa nuova generazione di farmaci anticancro, chiamati inibitori dei Q 56 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 checkpoint immunitari, sta ottenendo risultati così spettacolari che gli scienziati la considerano una svolta epocale. “Un tempo il melanoma e il tumore ai polmoni equivalevano a una condanna a morte, ma oggi non è più così”, ha afermato Gordon Freeman del Dana-Farber cancer institute di Boston. “È una vera rivoluzione. E siamo solo all’inizio”. La storia di questa cura è cominciata negli anni sessanta, quando il medico giapponese Tasuku Honjo seppe che un suo compagno di studi era morto per un tumore allo stomaco. “Da quel momento in poi”, racconta oggi, “il mio sogno è sempre stato curare il cancro”. Il sogno cominciò a prendere forma nel 1992, quando Honjo lavorava come immunologo all’università di Kyoto e cercava di capire come e perché i linfociti T – le cellule immunitarie che riconoscono e attaccano le cellule anomale – a volte si autodistruggevano. Aveva scoperto una proteina che si produceva sulla supericie di alcuni linfociti T e sospettava che avesse a che fare con quel processo. Perciò l’aveva chiamata “Programmed cell death-1”, o PD-1. Per capire cosa facesse esattamente la PD-1, Honjo disattivò il gene responsabile di quella proteina nei topi e riscontrò che gli animali sviluppavano malattie autoimmuni come l’artrite, la degenerazione del tessuto cardiaco e l’osteoartrite. Questo faceva pensare che la PD-1 contribuisse a impedire al sistema immunitario di andare fuori con- SCIEnCE PHoTo LIBRARy/ConTRASTo Alcuni farmaci riescono a combattere i tumori stimolando il sistema immunitario. Il metodo non sempre funziona, ma per molti studiosi potrebbe segnare una svolta nella lotta al cancro trollo. “Il sistema immunitario ha bisogno di freni e di acceleratori, e la PD-1 era chiaramente un freno”, dice Honjo. Così si chiese se il sistema immunitario potesse essere scatenato contro il tumore bloccando la PD-1 con un farmaco. Pazienti liberati L’idea che i farmaci possano aumentare la capacità del sistema immunitario di combattere il cancro, la cosiddetta immunoterapia, è oggetto di intense ricerche da decenni. In teoria il nostro sistema immunitario dovrebbe farlo da solo. Ma uno dei motivi per cui il tumore riesce a difondersi in tutto il corpo è la sua capacità di acquietare il sistema immunitario. Perciò nella mag- Un linfocita T (evidenziato in giallo) attacca la cellula di un cancro alla prostata in vita dopo dieci o undici anni”. Superati i tre anni, sembra che il cancro non torni, dice Wolchok. Ma anche se nel 2011 gli Stati Uniti ne hanno approvato l’uso contro il melanoma, l’ipi presenta livelli di tossicità che molte persone trovano intollerabile. Tra i suoi effetti collaterali sono state registrate iniammazioni polmonari ed epatiti. Alcuni pazienti sono morti. Il problema è che l’ipi toglie un freno importante al sistema immunitario, lo fa lavorare freneticamente e fa in modo che anche le cellule sane siano esposte agli attacchi, come succede nella chemioterapia standard. Quindi c’era bisogno di una strategia più mirata. Togliere il freno gior parte dei casi si usa la forza bruta, distruggendo le cellule tumorali con i farmaci o le radiazioni. Questo tipo di cure spesso funziona ma non è mirato, con il risultato che insieme alle cellule tumorali danneggia anche quelle sane. Inoltre, non è in grado di stare al passo con il cancro, che si evolve continuamente in risposta agli attacchi che riceve. Per questo sarebbe meglio trovare un modo per annullare l’efetto che le cellule cancerose hanno sul sistema immunitario, risvegliando quest’ultimo e costringendolo a fare il suo lavoro. È stata tentata la strada di vari vaccini e stimolatori, ma nessuno ha funzionato in modo costante. Poi, nel 2010, sono stati resi noti gli eccezionali risultati del test di un farmaco chiamato ipilimumab, abbreviato in “ipi”, che esercitava efetti mai visti sul melanoma, il tipo più aggressivo di tumore della pelle. A un anno dalla ine del test, circa metà dei soggetti che avevano partecipato allo studio erano ancora in vita, e il 24 per cento lo era anche l’anno successivo, un risultato quattro volte migliore di quello delle chemioterapie standard. Ma soprattutto, alcune persone che avevano partecipato al test sembravano essersi completamente liberate del tumore. “Circa il 20 per cento dei pazienti è vissuto più di tre anni”, dice Jedd Wolchok del Memorial Sloan-Kettering cancer center di New York, uno dei medici più impegnati nei test del farmaco. “Alcuni sono ancora E qui è entrato in scena Honjo. Dato che la PD-1 è un “ricettore” prodotto solo dalle cellule immunitarie, la sua équipe ha pensato che dovesse esserci qualcosa che si legava alla sua molecola e l’attivava. Honjo ha mandato campioni di PD-1 a Freeman e ai suoi colleghi, a Boston, che l’hanno messa a confronto con varie proteine prodotte dalle cellule umane per vedere se si stabiliva un legame. Hanno scoperto così che attirava una molecola oggi nota come PD-L1 (programmed death ligand-1). I ricercatori hanno anche scoperto un’altra cosa importante: le cellule cancerose spesso producono PD-L1. “Le prime in cui abbiamo trovato la proteina sono state le cellule del cancro alle ovaie e al seno”, dice Freeman. “Poi lo abbiamo trovato in molte altre cellule cancerose, e ci siamo resi conto che veniva prodotto per stimolare la PD-1 e attivare il freno immunitario. A quel punto tutto è stato chiaro”. Freeman, Honjo e le loro équipe hanno scoperto che sulla supericie delle cellule tumorali la PD-L1 stabiliva una tregua “stringendo la mano”, cioè legandosi, alla PD-1. In questo modo fermava l’attacco immunitario, permettendo al cancro di proliferare. Bloccando la PD-1 sarebbe stato possibile fermare il cancro? Per veriicare questa ipotesi, Honjo ha provato a impiantare tumori umani senza PD-1 nei topi. E, come immaginava, i tumori non crescevano. Il passo successivo è stato creare gli anticorpi capaci di contrastare la PD-1, per vedere se erano in grado di difendere le cellule dal cancro “rilasciando il freno”. E in effetti funzionavano, anche se non quanto l’eliminazione totale del gene. Ma questo bastava a dimostrare che era possibile stimolare il sistema immunitario. Tuttavia, queste scoperte non hanno suscitato grande interesse, perché tutti eraInternazionale 1148 | 8 aprile 2016 57 Scienza 58 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 PD-1, è già allo studio un secondo tipo di farmaci che bloccano l’altro partner, la molecola di PD-L1 sulle cellule tumorali. Finora quello che ha ottenuto risultati migliori è stato l’atezolizumab, prodotto dalla Genentech e dalla Roche: ha infatti dimostrato di essere in grado, in media, di allungare la vita dei pazienti di quasi otto mesi più del docetaxel, il miglior farmaco attualmente disponibile. Il lato negativo Ma c’è anche un lato negativo: questi farmaci funzionano solo su alcune persone. “Nei casi di tumore ai polmoni, due o tre pazienti su dieci hanno reagito molto bene, sono rimasti stabili per parecchio tempo”, dice Julie Brahmer della facoltà di medicina dell’università Johns Hopkins di Baltimora, nel Maryland, e una delle coordinatrici dei test sulla PD-1. “Ma al momento la maggior parte dei malati di cancro ai polmoni non sta rispondendo a questa terapia”. Esiste anche un altro grande interrogativo: perché i farmaci non sembrano funzionare su alcuni dei tumori più difusi, come quelli alla prostata, al colon e al seno? Un’ipotesi è che più il cancro muta e meglio è, perché dà al sistema immunitario più bersagli “anomali” su cui puntare. Questo potrebbe spiegare perché con il melanoma e con il cancro ai polmoni e ai reni si ottengono risultati migliori. A causa dell’esposizione ai raggi ultravioletti, al fumo o alle tossine, probabilmente questi tumori hanno più mutazioni di quelli che nascono in tessuti più isolati dall’ambiente esterno. Un modo per aumentare l’eicacia dei Da sapere Costi in aumento Spesa annuale pro capite per i farmaci usati nelle terapie oncologiche, in dollari. Fonte: Institute for healthcare Informatics 100 2014 2010 80 60 40 20 0 St at iU ni ti G er m an ia Fr an cia G ia pp on e Ita lia Ca na da Sp ag Re na gn oU Co ni to re ad el Su d no presi dall’ipi. “Ho cercato di convincere l’industria farmaceutica, ma ho incontrato enormi diicoltà”, racconta Honjo. La situazione è cambiata quando si è scoperto che gli efetti nocivi dell’ipi spesso superavano i suoi beneici. Alla ine l’industria farmaceutica si è dedicata al metodo basato sulla PD-1, molto più mirato e fondato sull’interazione tra sistema immunitario e cellule tumorali. Oggi i farmaci che gli oncologi trovano più promettenti sono gli inibitori della PD-1. E in testa a tutti ci sono il nivolumab o “nivo” e il pembrolizumab o “pembro”, il farmaco usato per Jimmy Carter. Questi farmaci costringono il sistema immunitario ad attaccare le cellule cancerose ma non i tessuti sani, quindi sono più eicaci e meno aggressivi dell’ipi. “Hanno pochissimi effetti collaterali”, dice James Larkin, oncologo del Royal Marsden, che ha avuto in cura diverse persone colpite da melanoma e cancro ai reni – compresa Vickie Brown – con nivo, pembro e ipi. “Ma , in generale, l’aspetto più incoraggiante di questi nuovi farmaci è che c’è tra il 30 e il 40 per cento di probabilità in più che gli efetti durino anni e non mesi”, dice. Finora nei test clinici i risultati ottenuti con il nivo e il pembro sono sempre stati migliori di quelli prodotti sia dall’ipi sia dai tipi più avanzati di chemio e radioterapia, e spesso hanno raddoppiato la riduzione del tumore e la sopravvivenza del paziente con efetti collaterali molto meno pesanti. A luglio del 2014 il nivo ha ottenuto l’approvazione ufficiale dal ministero della salute giapponese per il trattamento dei melanomi con metastasi. Poco dopo i due farmaci sono stati approvati anche negli Stati Uniti. Sembrano anche promettenti per il trattamento della forma più comune di cancro ai polmoni, uno dei tumori che causa il maggior numero di decessi. Uno dei motivi per cui questi farmaci si stanno rivelando così eicaci è che mobilitano il sistema immunitario e gli permettono di evolversi continuamente per tenere sotto controllo il tumore, impedendogli di sfuggire alla localizzazione e alla distruzione anche se sviluppa centinaia di mutazioni. “Il sistema immunitario non vede un solo bersaglio sul tumore, ne vede dieci, o forse cinquanta, e spara a raica piuttosto che un colpo alla volta”, dice Freeman. “È molto più diicile sfuggire a una mitragliatrice”. E mentre sia il nivo sia il pembro interrompono “la stretta di mano” bloccando la farmaci potrebbe essere usarli insieme. Finora i risultati migliori sono stati ottenuti considerando il nivo e l’ipi per il trattamento del melanoma. Quasi il 60 per cento dei pazienti ha reagito bene e il tumore si è ridotto di oltre il 30 per cento, più di quando viene usato solo il nivo (44 per cento) o solo l’ipi (19 per cento). Nel 12 per cento delle persone alle quali è stata somministrata la combinazione – 36 pazienti in tutto – il tumore è completamente sparito. I risultati preliminari hanno anche dimostrato che l’80 per cento dei pazienti a cui erano stati somministrati i due farmaci insieme erano ancora vivi due mesi dopo il trattamento. VickyBrown ha partecipato proprio a un test di questo tipo. I farmaci hanno fatto sparire il suo tumore, anche se all’epoca non lo sapeva. Tuttavia, la sua storia conferma che, anche se sono più eicaci di altre terapie, queste combinazioni non funzionano sempre. Due anni dopo il trattamento combinato, Brown ha scoperto che erano comparse nuove masse tumorali nei suoi polmoni. Poco dopo è stata la prima persona al mondo a ricevere la terapia per la seconda volta. Questo è successo nel settembre del 2015, e a febbraio ha ricevuto la bella notizia che il suo cancro si è stabilizzato. “Sono stata molto fortunata per aver avuto un’altra opportunità”, dice. Un sistema ancora migliore sarebbe quello di combinare i nuovi farmaci con altri tipi di terapie, come la radio o i vaccini, e varie aziende farmaceutiche lo stanno sperimentando. Molti trattamenti tradizionali spaccano le cellule bersaglio come se fossero dei martelli, aferma Dan Chen, responsabile della ricerca sui tumori della Genentech. Producendo più detriti, potrebbero aprire la strada agli inibitori PD-1, mettendo a disposizione del sistema immunitario bersagli che altrimenti rimarrebbero nascosti nei tumori. Nessuno ha ancora tutte le risposte, ma molti hanno la sensazione che per la lotta al cancro questa sia una svolta decisiva. “Praticamente abbiamo scoperto l’equivalente per il cancro della penicillina”, sostiene Chen. Anche se non era in grado di curare tutte le infezioni, la penicillina ha aperto la strada a tutta una generazione di antibiotici che ha cambiato la medicina per sempre, consegnando alla storia infezioni che prima erano mortali. Se questo è vero, molti tipi di tumori potrebbero diventare un ricordo. Anche altri ricercatori sono abbastanza ottimisti. “Non vorrei dirlo, ma potrebbe essere veramente un momento decisivo. È un momento molto emozionante”, dice Brahmer. u bt Filippine Elgin Damasco conduce la sua trasmissione del mattino, Puerto Princesa, Filippine, ottobre 2015 Frequenze pericolose Saul Elbein, The California Sunday Magazine, Stati Uniti. Foto di Jes Aznar Le Filippine sono uno dei paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti. Specialmente per quelli che lavorano alla radio A ppena il programma di Elgin Damasco inisce, le guardie del corpo lo accompagnano fuori dal suo studio fortiicato ino alla macchina e lo portano a casa attraverso le strade ombrose di Puerto Princesa, la capitale della provincia occidentale di Palawan. Lui se ne sta nascosto lì ino alla mattina dopo. La polizia 60 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 lo ha avvertito che alcuni uomini si aggirano intorno a casa sua. “Non sono nemmeno libero di andare al centro commerciale”, dice. Ma tra le pareti di cemento del suo studio radiofonico, quest’uomo di 32 anni dal viso di cherubino si sente al sicuro. La sua voce è collegata alla più potente trasmittente dell’isola. Ogni giorno torna alla carica, come dice la sigla del suo programma, “per difendere i deboli e criticare i corrotti”. Dalle 16 alle 17.30 dei giorni feriali, nessuno può metterlo a tacere. Oggi, come per tutto l’inverno, ce l’ha con Edward Hagedorn, che è stato sindaco di Puerto Princesa per quasi vent’anni. Nel 2002 cacciò dall’incarico il suo successore e tornò a guidare la città per altri nove anni. In seguito ha cercato di assegnare l’incarico alla moglie. Ma il vicesindaco – che è anche il cognato della moglie di Hagedorn, come spesso accade nella politica da telenovela delle Filippine – ha deciso che voleva lui quell’incarico, e nel 2013 ha vinto le elezioni. Ora i sostenitori di Hagedorn stanno cercando di ottenere la destituzione del nuovo sindaco. Nelle Filippine nessuna competizione politica è degna di questo nome senza una guerra radiofonica all’ultimo sangue. Per Elgin Damasco, quello di Hagedorn è un chiaro caso di corruzione. “Abbiamo bisogno di un cambiamento”, dice, “e dobbiamo cambiare”. Seduto davanti a un enorme microfono che gli na- sconde quasi completamente il viso, intervalla il suo lungo monologo con statistiche prese dalla pila di documenti che ha davanti. Accusa la famiglia Hagedorn di appropriazione indebita, furto di terre e omicidio. Come se non bastasse ci aggiunge le recenti dichiarazioni di un sacerdote che si è schierato dalla parte del sindaco: “Gli sgherri di Hagedorn vogliono che crediamo al loro capo più che a un servo della chiesa, un servo di Dio!”. Elgin Damasco ha tutte le ragioni per essere spaventato. Dopo la Siria, l’Iraq e la Somalia, le Filippine sono uno dei posti più pericolosi al mondo per i giornalisti. Secondo il Centro per la libertà di stampa ilippino, dal 1986, quando cadde la dittatura di Marcos e fu restaurata la democrazia, ne sono stati uccisi almeno 168. Circa la metà erano giornalisti radiofonici indipendenti come Damasco. Quando lui ha cominciato ad attaccare Hagedorn, gli omicidi dei giornalisti seguivano già lo schema attuale: appena il giornalista lascia lo studio gli si avvicinano due uomini in moto, il passeggero spara, il giornalista cade e la motocicletta sfreccia via. Non si saprà mai chi ha pagato il sicario. Damasco ha preso il posto di “Doc” Gerry Ortega, ucciso nel 2011 perché come lui usava il microfono per attaccare la dinastia che controlla l’isola. Mentre la voce di Damasco si difonde per Puerto Princesa, il fantasma di Ortega si aggira nello studio e gli ricorda quanto è importante e pericoloso questo lavoro. Una volta finito il programma – un’ora e mezza quasi ininterrotta di diretta – Damasco zuppo di sudore nonostante l’aria condizionata al massimo si stravacca sul divano. Le guardie del corpo lo aspettano fuori. “Forse la prossima volta che sentirete parlare di me sarò morto”, dice con cupa fierezza. Poi scoppia in una lunga, sonora risata. Onde in paradiso Per buona parte della sua storia, Palawan è stata considerata dagli abitanti delle isole principali un inferno malarico, un posto dove mandare criminali e lebbrosi. Ma negli ultimi vent’anni le cose sono cambiate, perché grazie alla sua bellezza surreale l’isola è diventata una meta turistica molto popolare. Di recente, sia Condé Nast Traveller sia Travel & Leisure l’hanno dichiarata l’isola più bella del mondo. Per tutto il 2010, sei mattine alla settimana, la voce calda e avvolgente di Ortega è uscita dalle radio di tutta l’isola per ricordare al pubblico che non tutto andava bene a Palawan. Il suo programma cominciava sempre nello stesso modo, con una serie di richiami di animali seguita da una voce che diceva in tagalog: “Palawan, l’ultimo regalo della natura alle Filippine, oggi è al centro di dissensi e polemiche. La più ricca provincia del paese è stata distrutta dai corrotti e dai criminali. Ascoltate Ramatak!”. Il titolo del programma, Ramatak, ha un suono onomatopeico. Dalla torre di trasmissione sopra lo studio di Ortega, la stessa che oggi trasmette la voce di Damasco, usciva un efetto sonoro simile a quelli dei western americani: un colpo di frusta, un cavallo che nitrisce, zoccoli al galoppo. Era Ortega che cavalcava contro i bandidos. Il segnale in modulazione di frequenza sorvolava le foreste vergini e le spiagge di sabbia bianca, le paludi di mangrovie e le rocce Da sapere Verso il voto u Il 9 maggio 2016 le Filippine voteranno per eleggere il nuovo presidente. Dopo sei anni, il mandato di Benigno Noynoy Aquino sta per scadere e non potrà essere rinnovato. Secondo i sondaggi di inizio aprile, i favoriti sono la senatrice Grace Poe e il sindaco di Davao Rodrigo Duerte. Poe, al senato dal 2013, è la iglia adottiva di due star del cinema locale e punta sulla lotta alla povertà e alla corruzione. Duerte, noto per il pugno di ferro contro la criminalità, non ha però esperienza di governo a livello nazionale né in politica estera, mentre una delle questioni che il paese dovrà afrontare nel prossimo futuro è il confronto con Pechino nella contesa sulle isole nel mar Cinese meridionale. L’ex banchiere Mar Roxas, il candidato sostenuto dal Partito liberale di Aquino, per ora ha scarse possibilità di vittoria, come Jejomar Binay, leader dell’opposizione ed ex avvocato difensore dei diritti umani, accusato di corruzione. East Asia Forum carsiche. Una volta arrivato alla costa, veniva ripreso dalle nuove torri di trasmissione che lo trasformavano in onde medie e lo facevano rimbalzare ino ai campi di riso, alle baie dei pescatori e ai pulmini che servivano le località turistiche di El Nido. Ed ecco Doc Gerry, il più grande giornalista radiofonico di Palawan, che si annunciava sulla sigla della serie tv statunitense Hawaii Five-O. Il suo vero nome era Gerardo Ortega, ma nessuno lo chiamava così. Alla radio era Doc Gerry, in onore dei suoi studi di veterinaria. Praticava il bodybuilding, era un convinto ambientalista e un cristiano rinato. A 47 anni aveva la fama di essere un ribelle, uno che denunciava a voce alta la corruzione sull’isola. Negli anni novanta, quando il disboscamento illegale a monte aveva sporcato l’acqua del suo allevamento di coccodrilli, si era messo a perlustrare le colline, con qualsiasi soldato abbastanza sciocco da seguirlo, armato di fucili della seconda guerra mondiale. I taglialegna avevano fucili d’assalto. Morire per Palawan e le Filippine, aveva detto una volta a una delle iglie, era il modo migliore di morire. Feudalesimo moderno Dietro l’apparente democrazia, le Filippine, dai baranggay (la divisione amministrativa più piccola) alla presidenza, sono un regime corrotto e feudale. Ogni atto politico, o quasi, è il risultato di decenni di intricate lotte intestine tra le dinastie che regnano sulle isole. Lo stesso Ortega apparteneva a una famiglia di politici anche se di secondo piano. Suo padre era stato sindaco di un piccolo comune vicino a Puerto Princesa ino a quando era stato ucciso a coltellate per una disputa di gioco durante un combattimento tra galli. Ortega sognava di costruire a Palawan il tipo di democrazia che aveva visto negli Stati Uniti, un paese in cui i politici, nonostante tutti i loro difetti, in genere si assumevano le loro responsabilità senza rubare soldi pubblici per arricchire le famiglie. Buaya, coccodrillo, è il termine che nello slang locale indica un poliziotto o un politico corrotto. La camera dei deputati, per esempio, viene chiamata “la fattoria dei coccodrilli”. Nel suo primo programma radiofonico, quando ancora si occupava dell’allevamento, Ortega diceva sempre, in tono addolorato, che quell’uso della parola era un’ofesa per i poveri buaya. In fondo loro chiedevano da mangiare solo una volta al mese. Nelle Filippine ci sono circa seicento Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 61 Filippine stazioni radio, quasi tutte piccole e tenute insieme con la speranza e lo scotch. Per pagare le spese, molte danno in concessione “blocchi” (blocks, in inglese) di ore ai cosiddetti blocktimer, giornalisti freelance. Nelle campagne, dove la radio è il mezzo d’informazione più difuso, i blocktimer sono le uniche fonti di notizie e di critiche ai politici. Nei casi migliori, le loro trasmissioni sono un mix d’intrattenimento, informazione e pettegolezzi. A volte sono demagoghi. Alcuni sono giornalisti seri che producono programmi simili allo statunitense 60 minutes. Altri sono fanatici che inveiscono contro la corruzione e il degrado ambientale. Altri ancora lavorano per le famiglie che governano le Filippine. Un bravo blocktimer – uno capace di suscitare polemiche, attirare il pubblico e trovare sponsor – può guadagnare un discreto stipendio. Ci si può idare di loro? Diicile dirlo. la dinastia che controllava Coron, un villaggio di pescatori e centro turistico della zona nord dell’isola. Su Reyes circolavano da anni strane voci. Si parlava di un suo amico colpito da una pallottola alla testa durante una battuta di caccia quando erano giovani. Reyes sosteneva che era stato un incidente. Si sospettava che facesse regolarmente uso di cocaina. Di notte, nel bar che frequentava a Puerto Princesa, a volte la sua maschera da uomo afascinante cadeva e rivelava, come mi ha detto un giornalista, “una faccia da assassino”. Le origini della faida Nessuno sa con precisione com’era cominciata la faida tra Ortega e Reyes. Nel 2000 Reyes, che all’epoca era vicegovernatore dell’isola, era stato promosso grazie a un colpo di fortuna perché il governatore era morto in un misterioso incidente aereo. La campagna radiofonica di Ortega terrorizzava la sua famiglia, tutti gli chiedevano di smettere. Stava attaccando troppe persone pericolose Un sistema politico fondato sul doppio gioco e sui complotti crea una società paranoica. Quel rapporto federale che il blocktimer sta leggendo, per dimostrare che un certo politico ha rubato i soldi destinati alla costruzione di una strada, è un documento vero o è stato inventato da uno dei suoi rivali? E il giornalista che denuncia la corruzione da chi è pagato? Spesso da un politico che ha comprato lui come potrebbe comprare un sicario. Per esempio, un politico come José Alvarez, l’uomo più ricco di Palawan. Alvarez, un irascibile uomo d’afari sulla settantina, nel 2008 si lanciò in una campagna per conquistare il posto di governatore e sottrarre l’isola al controllo delle famiglie che, secondo lui e Ortega, la stavano saccheggiando. Dato che non aveva mai fatto politica, strinse un’alleanza con Edward Hagedorn, che era già stato sindaco di Puerto Princesa. Anche Alvarez costruì una sua stazione radio e una serie di torri di trasmissione a onde medie, creando la più potente rete di emittenti che Palawan avesse mai avuto. E nel 2010 ofrì un lavoro a Doc Gerry Ortega, già noto per i suoi princìpi e per il suo odio verso la corruzione. Per capire come mai Ortega lo accettò, bisogna sapere che aveva litigato ferocemente per quasi dieci anni con il famoso e carismatico governatore Joel T. Reyes, del- 62 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Quello stesso anno, Ortega era entrato in politica e aveva conquistato un seggio nel consiglio provinciale. Quello che vide lo disgustò: non solo la piccola corruzione delle note spese goniate ma addirittura un complotto, orchestrato da Reyes, per appropriarsi dei diritti di sfruttamento di un grande pozzo di gas naturale al largo della costa. Nel 2004 Ortega si presentò alle elezioni per il posto di governatore sidando Reyes. Perse e attribuì la sua sconitta alla capacità del suo avversario di comprare voti. Poco dopo, un suo amico giornalista fu assassinato. Ortega si ritirò dalla vita pubblica e convinse sua moglie Patria a iscriversi a un corso di infermieristica con lui. Avrebbero potuto trasferirsi negli Stati Uniti “o in un altro paese del primo mondo” e lasciarsi alle spalle Palawan. Durante quel periodo trascorso lontano dalla vita pubblica, dice la iglia Michaella, Ortega si rese conto che essere un outsider non era suiciente. Se voleva cambiare la politica dell’isola, doveva allearsi con una delle grandi famiglie. Finì il corso ma non sostenne mai l’esame. Quando Patria gli chiese il motivo, le rispose che non avrebbe mai potuto essere felice in un altro posto. “Cosa potevo fare?”, ricorda lei. Rimase a guardarlo mentre avviava una serie di progetti che avrebbero permesso di distribuire in tutta l’isola la nuova ricchezza portata dal turismo. Ma, con l’avvicinarsi delle elezioni del 2010, si era preisso un obiettivo ancora più ambizioso: mettere ine al sistema dinastico di Palawan. Diverso dagli uomini che amano bere e divertirsi, Alvarez sembrava una brava persona. Si era fatto da sé passando dalla povertà a un impero di concessionarie di auto sparse in tutto il sudest asiatico. Perino i suoi rivali politici lo ammiravano perché, si diceva, si faceva le valige da solo, si stirava le camicie e si svegliava all’alba per lucidarsi le scarpe. Come molti miliardari entrati in politica, Alvarez prometteva di governare Palawan con il rigore di un uomo d’afari. Dato che era ricco, non sarebbe stato tentato di rubare. Avrebbe costruito un modello di governo democratico eiciente, dedicando i suoi ultimi anni di vita attiva a Palawan, per scontare il fatto che in passato aveva saccheggiato le sue foreste. Alvarez doveva muoversi rapidamente. Il mandato di Reyes scadeva nel 2010. I membri delle coalizioni politiche ilippine spesso aggirano il problema delle scadenze scambiandosi di posto. Reyes aveva in progetto di presentarsi alle elezioni per un seggio al congresso, mentre la persona che in quel momento lo occupava, Abraham Mitra, avrebbe concorso per la carica di governatore (dettaglio da telenovela: Mitra era iglio del padrino di Ortega). Ortega pensò che la candidatura di Alvarez alla carica di governatore fosse la migliore occasione per sconiggere la fazione di Reyes. “Aveva detto ad Alvarez: ‘Non posso essere il suo portavoce e al tempo stesso sostenerla alla radio. Devo essere neutrale’”, racconta Joey Mirasol, un altro giornalista che Ortega aveva reclutato per la campagna di Alvarez. Spesso gli accordi tra politici e giornalisti possono essere facilmente rinnegati. Secondo Mirasol, il loro non faceva eccezione. “Alvarez versava una somma a una delle sue fondazioni come voce deducibile dalle tasse”, dice. “La fondazione ci assumeva come consulenti, e noi pagavamo le ore di trasmissione alla stazione di Alvarez. Uscivano da una tasca ed entravano dall’altra”. A detta di Mirasol, lui e Ortega ricevevano dalla fondazione 40mila pesos (circa un migliaio di euro) al mese ciascuno. Il programma di Ortega durava tre ore ed era un misto di varietà e notizie scandalistiche. Passava dagli scherzi alle accuse, discutendo e litigando con una serie di caricature interpretate dalla sua spalla, Boy Bonoan. Attaccava i mercanti di riiuti, le Puerto Princesa, ottobre 2015 società minerarie e chiunque altro stesse rovinando le bellezze naturali di Palawan. Ma il suo obiettivo principale erano Reyes e Mitra. Giorno dopo giorno insisteva sui soldi che si erano intascati mentre le strade e le scuole dell’isola cadevano a pezzi e due terzi degli abitanti non avevano l’elettricità. E ripeteva che Alvarez era l’unico uomo in grado di salvare l’isola dalla rovina. Alla ine, pagate tutte le mazzette e contati i voti, Mitra batté per un soio Alvarez e diventò governatore, ma al congresso Reyes non ce la fece. L’alleanza tra Alvarez e Hagedorn si stava delineando. Molti sull’isola ne attribuivano il merito, o la colpa, a Ortega. A maggio Reyes tornò a Coron. Se avesse acceso la radio, avrebbe sentito Ortega che, dalla stazione di Alvarez, chiedeva instancabilmente il suo arresto. “Non sono i soldi di tua madre”, dice Ortega in una trasmissione andata in onda il 17 gennaio 2011. “Non sono i tuoi soldi. Sono i nostri soldi. Perciò non puoi usarli per scommettere sui combattimenti di galli o con le tue amanti”. Poi si rivolge a Boy Bonoan. “Quell’uomo ha delle amanti?”. Sì, risponde Bonoan, ce l’ha. “Ha dei galli da combattimento?”. Sì, dice Bonoan, ha anche quelli. “Ha uno yacht?”. Oh, sì, ce l’ha. “E allora perché non va in prigione?”. E Bonoan risponde: “È quello che si chiedono tutti, Doc. Ma lui continua a rubare sorridendo”. La campagna radiofonica di Ortega terrorizzava la sua famiglia, tutti gli chiedevano di smettere. Stava attaccando troppe persone pericolose, non solo Reyes ma anche gli industriali del legname e le società minerarie. Tutti pensavano che stava rischiando grosso. Un mese dopo le elezioni, due giornalisti furono assassinati nella stessa settimana in posti diversi del paese. L’anno prima, sull’isola di Mindanao, alcuni miliziani privati avevano rapito e ucciso 32 giornalisti. Patria Ortega cominciò a lasciare in giro per casa articoli che parlavano di giornalisti assassinati. “Gli dicevo: ‘Gerry, adesso smettila’, ma lui non mi ascoltava”, racconta. “Lui rispondeva: ‘Questo è il mio momento, è il mio momento’”. Quando lei insisté perché assumesse qualcuno per proteggerlo, lui scelse suo cugino, un buono a nulla, dice Patria, “più un amico che una vera guardia del corpo”. La mattina del 24 gennaio, Ortega entrò in un negozio vicino alla clinica veterinaria della moglie per comprare un vestito a una delle iglie. Non vide il ragazzo che si nascondeva in uno spiazzo vuoto dall’altra parte della strada con una maglietta sulla faccia. Non si girò quando l’uomo cominciò ad attraversare tra i risciò a motore che afollavano la via, alzò la pistola e gli sparò alla nuca. Mentre Ortega cadeva a terra, il sicario scappò lungo la Palawan north highway correndo a zigzag tra le macchine. Stili diversi Quando Ortega fu assassinato, Elgin Damasco viveva sull’isola di Mindanao e dirigeva una stazione della Radio Mindanao Network di proprietà della famiglia Alvarez. Era un uomo dell’azienda. Aveva cominciato come reporter non retribuito quando era ancora alle superiori e aveva fatto carriera ino a diventare prima direttore del notiziario, poi dj in un programma musicale e infine conduttore di un programma tutto suo. Dopo la morte di Ortega, Alvarez gli ofrì la direzione della stazione di Puerto Princesa. Quando Damasco arrivò a Palawan, l’isola era ancora scossa dall’omicidio. La storia avrebbe dovuto concludersi con la fuga del killer, ma questo era andato a imbattersi in due poliziotti. Quando lo avevano interrogato, aveva rivelato il nome del capo della sua squadra di sicari, il quale a sua volta aveva confessato chi li aveva assunti: Reyes. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 63 Filippine attaccare e ha vietato le interviste ai portavoce dei suoi avversari. Così poco dopo le elezioni, Damasco si è inalmente stancato di prendere ordini da Alvarez. Si è scusato e ha presentato le dimissioni per andare a lavorare in un’emittente dall’altra parte della città, dove paga per andare in onda. Da quel momento in poi è diventato un blocktimer come Ortega. Per molto tempo l’immagine di Doc Gerry con la mano sul cuore ha troneggiato su un cartellone sbiadito sulla strada che esce da Puerto Princesa. Una scritta a lettere cubitali chiedeva in tagalog “giustizia per Doc Gerry”. “A volte mi chiedo se valeva la pena di fare tutto quel lavoro”, dice Patria Ortega. “Probabilmente, per lui come persona sì. Ora è in paradiso e tutti lo ricordano come un eroe. Ma anche la sua famiglia ha pagato, non solo lui”. Puerto Princesa, ottobre 2015 Alvarez e Hagedorn fecero di tutto perché il caso non fosse insabbiato. Hagedorn andò addirittura sull’isola di Luzon con gli uomini della polizia nazionale per riportare personalmente a Palawan il capo della squadra di sicari. Alvarez si occupò della famiglia di Ortega ed entrambi pagarono gli avvocati che alla ine convinsero il tribunale regionale a emettere un mandato d’arresto nei confronti di Reyes. Nel 2012, prima che il mandato fosse emesso, Reyes e suo fratello presero un aereo da Manila e sparirono, lasciando in diicoltà la loro fazione. E Damasco riprese il lavoro di Ortega. Per essere sicuro che si capisse, mantenne la sigla di Hawaii Five-O. Ma i due conduttori avevano stili diversi. Mentre Ortega era un incrocio tra un banditore e un predicatore di strada, Damasco sembrava un cronista sportivo, leggeva i rapporti della polizia come se fossero descrizioni di una partita di calcio. Mentre Ortega, nonostante qualche compromesso, cercava di veriicare i fatti, Damasco aveva la fama di essere meno scrupoloso. Non aveva la vena comica di Ortega, era un critico serio, spesso molto duro, e mirava essenzialmente a un pubblico che condivideva già le sue idee. Eppure fu lui a portare Alvarez alla vittoria. Durante la campagna elettorale per la carica di governatore del 2013, mentre il candidato teneva comizi in tutta l’isola per spazzare via gli ultimi resti della fazione di Reyes, Damasco esaltava lui e il suo alleato Hagedorn. Sottolineava tutto quello che avevano fatto per liberare l’isola dalla corruzione e quello che stavano facendo per la famiglia Ortega, e insisteva sull’importanza di inire il lavoro cominciato da Doc Gerry. 64 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Nel vuoto lasciato dalla frettolosa partenza di Reyes, avevano cominciato a circolare delle voci. Era impossibile non accorgersi che a trarre vantaggio dalla morte di Ortega era stata soprattutto una persona: José Alvarez, che aveva perso un giornalista ma guadagnato un martire. Nella cultura politica dell’isola ossessionata dai complotti, molti non hanno resistito alla tentazione di fare il passo successivo e pensare che fosse stato Alvarez, o forse Hagedorn, a ordinare l’assassinio di Ortega, usando il giornalista come “agnello sacriicale”, per sconiggere la dinastia di Reyes e assumere il controllo dell’isola (il fatto che non esistesse nessuna prova di un coinvolgimento di Alvarez o Hagedorn nell’omicidio non ha scoraggiato questa ipotesi). Alla ine Alvarez ha vinto le elezioni sconiggendo Mitra con il 70 per cento dei consensi. Chi aveva visto come Alvarez gestiva le sue società è rimasto un po’ sorpreso quando si è rivelato un dittatore. Dopo aver basato la sua campagna elettorale sull’ambientalismo, ha approvato la costruzione di una centrale a carbone nella città natale di Ortega. Quando gli studenti della vicina università hanno protestato, ha annullato le loro borse di studio. Ha aidato molte delle cariche politiche dell’isola ai suoi parenti. La iglia è sindaca di San Vicente, suo fratello sta cercando di farsi eleggere sindaco di El Nido e suo nipote è diventato deputato. Inoltre, anche se pubblicamente va dicendo il contrario, ha smesso di pagare gli avvocati che si occupano del caso Ortega. Ha cominciato a interferire anche con la gestione della vecchia stazione radio di Ortega. Ha mandato sms ai giornalisti per indicargli chi Interessi stabili Nel settembre del 2015, Patria ha ricevuto una notizia che non sperava quasi più di ricevere. La polizia tailandese ha arrestato Joel Reyes e suo fratello a Phuket. Sono stati estradati e adesso sono in attesa di giudizio nel carcere di Puerto Princesa. Anche se una cosa del genere non ha precedenti – nessun politico ilippino è mai stato condannato per aver ordinato l’omicidio di un giornalista – non si capisce che diferenza potrebbe fare un verdetto di colpevolezza. Dal carcere i fratelli Reyes si sono candidati alle elezioni per le cariche di sindaco e vicesindaco di Coron. I ilippini dicono che in politica non esistono amicizie stabili, solo interessi stabili, e l’alleanza tra Alvarez e Hagedorn non è durata. Alla ine del 2014, quando Hagedorn ha lanciato la campagna elettorale per prendere il posto del sindaco di Puerto Princesa, Alvarez si è schierato dalla parte del primo cittadino in carica. Molti sono convinti che lo abbia fatto per tenere Hagedorn lontano dal potere e consolidare il proprio. L’inverno scorso, quando la campagna elettorale si è riscaldata, Damasco ci si è tufato attaccando Hagedorn e la sua famiglia. Dice che anche Ortega avrebbe fatto così. Ma lui non è altrettanto indipendente. Non lavora più nella stazione radio di Alvarez, ma usa la sua emittente, e Alvarez gli ha assegnato alcuni agenti della polizia provinciale come guardie del corpo. Non può permettersi di contrariarlo. Perciò, ogni giorno va in onda e porta avanti la sua crociata contro gli scagnozzi di Hagedorn e per il cambiamento che Palawan meriterebbe. u bt Portfolio Il sogno e l’incubo Il fotografo Omar Imam ha esplorato, in modo ironico e simbolico, i sentimenti più profondi dei rifugiati siriani che vivono nei campi in Libano on il progetto Live, love, refugee ho esplorato la condizione psicologica dei rifugiati siriani in Libano, che cercano di tirare avanti nonostante la guerra e la lontananza dalle loro case”, spiega Omar Imam. “È un’evocazione visiva del loro dolore, che convive con la speranza di ricostruirsi una vita in un posto nuovo. Le persone che ho incontrato stanno vivendo un incubo, ma non hanno mai rinunciato alla loro dignità di esseri umani”. La visione di Imam ribalta la rappresentazione tipica dei rifugiati siriani, coinvolgendoli in un processo di catarsi che si basa sui loro sogni e sulle loro paure più profonde. Le immagini sono simboliche e surreali, e mostrano uomini e donne che hanno perso le loro radici e lottano ogni giorno per sopravvivere. Più di un milione di rifugiati siriani sono arrivati in Libano dall’inizio della guerra. u “C Omar Imam è un fotografo e regista siriano. Ha lasciato Damasco nel 2012 e oggi vive a Beirut. Dovevamo nutrirci d’erba. Non riuscivo a mandarla giù, ma dovevo sforzarmi per dare il buon esempio ai bambini. Aminah, 40 anni, con uno dei suoi igli. Sirianapalestinese, vive in una tenda nel campo profughi di Bekaa, nel nord del Libano. È scappata con i igli dal campo palestinese di Yarmuk, nella parte sud di Damasco, durante l’assedio del 2013, quando centinaia di persone morirono di fame. Suo marito è rimasto invece bloccato a Damasco perché il governo libanese aveva chiuso la frontiera. Durante l’assedio di Yarmuk e nei due mesi successivi Aminah ha perso 70 chili (passando da 115 a 45). Per la tensione non riusciva più a mangiare. 66 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 67 Portfolio In Libano mi sono ritrovata a vivere in spazi ristretti. Oggi quando sto all’aria aperta provo un senso di ansia. Noi uomini non contiamo più niente. I nostri testicoli sono in pericolo. Hael, 45 anni. Hael era un medico, ma ha lasciato il lavoro dopo la morte del iglio di sette anni. “I miliziani hanno fatto una retata nel nostro quartiere e hanno portato via i miei fratelli. Ho riconosciuto il corpo di uno di loro solo da un tatuaggio. Sarei morto se non fosse stato per la prontezza di mia moglie. Ha mentito ai soldati per salvarmi la vita. Poi qui nel campo è cambiato tutto. Noi uomini abbiamo perso potere. Le nostre mogli non ci obbediscono più perché sono loro a ricevere gli aiuti umanitari. Se provo ad andare io all’Unhcr o dalle ong, si riiutano di darmi lo scatolone con il cibo”. 68 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 69 Portfolio 70 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Ma almeno, prima del divorzio, teneva i molestatori lontano da me e dalle nostre iglie. Sopra: Rawd, 43 anni. Divorziata e madre di cinque iglie, due delle quali sposate. “Il ruolo degli uomini è cambiato durante la rivoluzione. Mio marito aveva paura di uscire a causa dei checkpoint, quindi dovevo fare tutto io. Una volta un uomo mi ha detto che mi avrebbe trovato un lavoro, ma in cambio avrei dovuto passare la notte con lui”. Dato che mia moglie non può vedere, le racconto io la trama delle sue serie tv preferite. A volte cambio un po’ la storia per farla contenta. A sinistra: Bassam, 39 anni. “Sono rimasto ustionato quando avevo due anni. Per questo mio padre ha lasciato mia madre. Alla ine ho sposato una donna che non poteva vedere il mio volto sfregiato. È cieca e anche un po’ sorda. Qui nel campo è stata visitata dai medici delle ong, che hanno studiato il suo caso a fondo. Alla ine ci hanno lasciato questo bastone”. Da sapere La mostra e il festival u Live, love, refugee di Omar Imam è in mostra all’Aria art gallery a Firenze dal 9 al 27 aprile 2016. L’esposizione, realizzata con il sostegno di The arab fund for arts and culture (Afac), fa parte della settima edizione del festival Middle East now, che si è aperto a Firenze il 5 aprile (e si concluderà il 10 aprile). Il festival, che quest’anno ha come tema “Live & love Middle East”, esplora il Medio Oriente contemporaneo attraverso i racconti e le storie personali di chi lo vive e lo ama, tra cinema, documentari, arte, musica, cibo, incontri e altri eventi. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 71 Ritratti Amanda Odendaal Trasporto eccezionale Niels Posthumus, Trouw, Paesi Bassi Foto di Bram Lammers Guidare un camion per settimane dal Sudafrica allo Zambia, attraverso migliaia di chilometri di deserto: una ragazza vuole dimostrare che può farlo meglio degli uomini l parcheggio è un angolo di terra bruciata. È un pomeriggio autunnale di caldo torrido a Petit, quaranta chilometri a est di Johannesburg. Da sotto un camion sporgono tre gambe, due nere e una bianca, e una protesi d’acciaio. “Da qualche parte c’è una perdita d’olio”, si sente. Amanda Odendaal, 26 anni, sbuca da sotto il camion. Ostenta un portamento mascolino: capelli corti crespi e mani nere, imbrattate d’olio. Ride: “Fin da quando ero bambina la gente che non mi conosceva si chiedeva se ero un ragazzo o una ragazza”. Poi spunta anche Joe Odendaal, suo padre. “Sono stata adottata”, dice Amanda per spiegare il colore diverso della loro pelle. “Spesso la gente ci guarda con tanto d’occhi”, dice la ragazza ridendo: “Un bianco senza una gamba, con una iglia nera e chiaramente lesbica”. Joe ha perso la gamba destra quando il suo camion è stato I 72 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 crivellato di proiettili durante la guerra civile in Mozambico nel 1991. “Mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato”, dice con tono pacato. “Ma il lavoro in una zona di guerra era pagato molto bene. Per quello ero lì”. Joe, 63 anni, è la prova vivente di quanto sia pericoloso fare il camionista nell’Africa meridionale. Eppure Amanda ha deciso di seguire le orme del padre. Una scelta inconsueta per una donna cresciuta in un paese conservatore come il Sudafrica. “Ho cominciato un anno fa”, racconta. “Presto mio padre andrà in pensione, e io voglio rilevare la sua attività”. Joe sorride, ma molti amici di Amanda non erano così entusiasti della sua scelta. Tutta sola attraverso l’Africa meridionale, su un veicolo enorme, lontana da casa per settimane e circondata da uomini? Un lavoro troppo pesante per una donna. E soprattutto troppo pericoloso. Amanda sale nell’abitacolo che sarà la sua casa per un mese. Tra una settimana partirà per Lusaka, in Zambia. Si siede al volante e ci mostra l’interno del camion. “Qui è dove dormo”, dice, indicando un materasso alle sue spalle. “Ho tutto a portata di mano: vitamine, antidoloriici, sapone, zanzariera e spray antizanzare”. Dovrà sostare diversi giorni al conine tra il Botswana e lo Zambia, dove il controllo dei documenti è particolarmente lento. “Si parcheggia lungo il iume Zambesi. E lì è pieno di zanzare”. Finora ha sempre percorso la strada da Johannesburg a Lusaka insieme al padre. Sono 1.800 chilometri tra Sudafrica, Botswana e Zambia. “Cerco di insegnarle come rendere questo lavoro il più sicuro possibile”, dice Joe. “Quali strade deve prendere, quanto deve guidare per raggiungere prima del tramonto un posto tranquillo dove dormire, di chi può idarsi e di chi no”. In Africa meridionale le rapine ai camion sono frequenti. “Certo che sono preoccupato”, ammette Joe. “Amanda è la mia unica iglia. Ma sono orgoglioso che si opponga agli stereotipi. Perché una donna non dovrebbe guidare un camion?”. “In Sudafrica la società è dominata dagli uomini”, si lamenta Amanda in tono deciso. “Dicono che una donna deve occuparsi delle faccende domestiche. Ma io non sono d’accordo. Spesso ricevo dei commenti per strada, certo. Mi chiedono cosa ci faccio su un camion o mi dicono che dovrei starmene a casa a cucinare. Gli uomini cercano di passarmi avanti nella ila alla frontiera. In Botswana e in Zambia però incrocio anche uomini che quando passo alzano il pollice in segno di approvazione”. Mentre attende il suo turno alla frontiera Amanda legge. The covenant, un romanzo storico di James A. Michener ambientato in Sudafrica, è appoggiato sul cruscotto. La sera spesso si fa una birra con i colleghi maschi. “È facile fare amicizia sulla strada. La maggior parte degli uomini inisce per accettarmi dopo un po’”, dice. Le è capitato spesso di ricevere proposte di matrimonio, in particolare da uomini zambiani. “Anche se sanno che sono lesbica ci provano comunque”. Stupri correttivi In Botswana e nello Zambia l’omosessualità è un reato. Eppure Amanda non mente quasi mai sul suo orientamento sessuale. “Nello Zambia inirei in prigione se la polizia mi sorprendesse a fare sesso con una donna. Per cui sono costretta all’astinenza”, ride. “Ma non mi nascondo. Gli uomini mi guardano spesso con stupore. È un tabù. Ma più che altro ci scherzano sopra. Al massimo si divertono a stuzzicarmi, ma non ho mai subìto aggressioni”. In Sudafrica è diverso, nonostante sia l’unico paese africano a riconoscere i matrimoni gay. Amanda sospira: “È terribile qui. Mi sento più libera quando sono oltre il conine. Il Sudafrica ha una costituzione progressista, ma questo non vuol dire che an- che la sua cultura lo sia. Non si può imporre per legge alla gente di avere vedute più aperte”. Il problema è che spesso in Sudafrica non ci si limita alle aggressioni verbali. Se si escludono le zone di guerra è il paese con il più alto numero di stupri al mondo e uno di quelli in cui la violenza contro gli omosessuali è più frequente. Gli “stupri correttivi” sono frequenti soprattutto nelle township e nelle aree rurali. Amanda ne fatto le spese in prima persona. “Mi ha assalita con un coltello”, racconta indicando la cicatrice sulla gamba. Come molte vittime, anche lei conosceva il suo aggressore. “Pensavo che fosse un amico. Mi idavo di lui”. Ha sporto denuncia, ma l’uomo è stato liberato quasi subito. In Sudafrica solo il 5 per cento delle denunce per violenze sessuali porta a una condanna. Amanda è stata violentata appena un anno fa, eppure non ha paura di dormire sul camion. Anzi, paradossalmente questo l’ha aiutata a superare la paura. “E poi mi sono completamente liberata del disagio per il mio orientamento sessuale”. Quand’era più giovane Amanda ha avuto una crisi d’identità: nera, ma con un padre bianco. Un padre biologico che se n’era andato dopo aver messo incinta sua ma- dre. Una madre biologica che l’aveva data in adozione quando aveva tre mesi. Una madre adottiva che era morta quando lei aveva quattordici anni. E poi l’omosessualità. Così si è rifugiata nella droga: cocaina ed eroina. Il padre non ha mai avuto problemi con il suo orientamento sessuale. “Mi ha detto solo: ‘L’importante è che tu sia felice’. Sono stata davvero fortunata”. Ma la sua confusione era forte, e le mancava sua madre. A causa del lavoro Joe era sempre lontano e non si è reso conto delle diicoltà della iglia. “Quando inalmente me ne sono accorto, ormai la situazione era irrecuperabile”, racconta. “Rubava tutto quello che c’era “La libertà della strada vuota. Fare nuovi incontri. Vedere posti dove non sono mai stata. Perché dovrebbe essere riservato solo agli uomini?” da rubare per comprare la droga. E l’ho dovuta cacciare di casa”. Amanda ha vissuto per strada, fino a quando è inita in ospedale per overdose. Joe le ha dato una seconda possibilità, e così è tornata a vivere con lui. “Avevo bisogno di un obiettivo nella mia vita”, dice Amanda. Quest’obiettivo è diventato proseguire l’attività del padre. Gli sguardi di disapprovazione, la morte della madre, la droga, lo stupro: ora Amanda porta tutto con sé, come un bagaglio mentale, nei suoi viaggi attraverso il deserto del Kalahari. “Mi piace guidare”, dice. “La libertà della strada vuota, tutta per me. Scrivere e leggere quando devo aspettare . Fare nuovi incontri. Visitare posti dove non sono mai stata prima. Perché dovrebbe essere riservato solo agli uomini?”. Amanda sogna un camion nuovo, più facile da guidare, senza perdite d’olio. E fantastica su come ingrandirà l’azienda e sugli altri autisti che dovrà assumere. Tutte donne, ovviamente. “Non è solo una questione di parità”, spiega ridendo. “Le donne sono migliori. Gli uomini arrivano spesso in ritardo e hanno sempre una scusa pronta. Noi donne siamo disciplinate e puntuali. Sono qualità essenziali in questa professione”. u gn Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 73 Viaggi Sul cratere infuocato Una corsa nel deserto del Karakum, in Turkmenistan, per ammirare le iamme di un giacimento di gas che brucia da quarant’anni S frecciamo nel deserto del Karakum inseguendo il tramonto, lanciati a tutta velocità sulla strada per l’inferno. Secondo il vecchio adagio dovrebbe essere lastricata di buone intenzioni, ma la nostra non è afatto lastricata. La jeep solleva una scia di sabbia. Mi tengo stretto al sedile mentre il nostro autista turcmeno guida a velocità folle, con la radio a tutto volume sintonizzata su un mix di europop e vibranti archi orientali. Mentre aggiriamo le colline vediamo dei tubi in disuso e altri materiali per l’estrazione. Poco dopo avvistiamo un cammello solitario in cima a una montagnola color rame. Entrambi scompaiono nella polvere a mano a mano che ci avviciniamo al cratere infuocato. Alla vista delle iamme, il nostro piccolo gruppo – un misto di viaggiatori inglesi e canadesi – ha un sussulto di emozione. “Inferno, arriviamo!”, dice il mio vicino di sedile. Siamo in Turkmenistan, paese al centro dell’Asia che sfoggia attrazioni dal sublime allo stravagante. Terra di passaggio dell’antica via della seta, un tempo il Turkmenistan era la repubblica più meridionale dell’Unione Sovietica, e Mosca sfruttava senza ritegno le sue ricche riserve di gas naturale. Dopo la caduta del comunismo, il paese è stato governato da una serie di dittatori eccentrici. Il primo, Saparmyrat Ataýewiç Nyýazow, morto nel 2006, si era nominato presidente a vita e aveva deciso di dare ai mesi dell’anno i nomi dei suoi familiari. Ovunque aveva fatto erigere statue d’oro che lo raiguravano. L’attuale presidente Gurbanguly Mälikgulyýewiç Berdimuhamedow ha proseguito nel solco auto- 74 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 ritario del suo predecessore, accontentandosi però di un culto della personalità più moderato e favorendo una maggiore apertura del paese. Questo nuovo atteggiamento sta attirando un inconsueto lusso di turisti. Arrivato dall’Uzbekistan, comincio la mia avventura turcmena a Kunya-Urgench, nell’estremo nord. Era una delle principali tappe della via della seta, una cittadina dove oriente e occidente s’incontravano per gli scambi commerciali e che tra il decimo e il sedicesimo secolo vide iorire mercati, moschee e madrasse. Con la prosperità, però, arriva anche la fama, e non sempre è una buona notizia. Nel 1221 Kunya-Urgench fu distrutta dall’esercito di Ghengis Khan e poi, dopo la ricostruzione, fu nuovamente rasa al suolo nel quattordicesimo secolo dal condottiero e generale turco Tamerlano, che poi partì con le migliori menti della città alla volta della capitale Samarcanda. “Kunya-Urgench non si è mai veramente ripresa”, ci dice Rusty, la nostra guida. “Il tempo, la sabbia e il vento l’hanno trasformata in un cimitero naturale”. Attrazioni insolite Alcuni dei monumenti più belli della città, oggi patrimonio dell’umanità dell’Unesco, sono stati recuperati dai sovietici, che li hanno disseppelliti da metri di sabbia. Passeggiamo tra le moschee e gli antichi mausolei dalle cupole decorate con intricati mosaici. Una donna e i suoi due bambini camminano intorno a una moschea, accarezzando i mattoni mentre concludono il loro giro contemplativo. Arriviamo all’ediicio più alto di Kunya-Urgench, un minareto di sessanta metri leggermente inclinato da una parte che si protende verso il cielo azzurro. Rusty ci spiega che è stato danneggiato dai terremoti. Durante una successiva visita alla capitale Aşgabat, mi accorgo di come la posizione geograica, a cavallo di una grande faglia, abbia segnato il Turkmenistan moderno. Nel 1948 Aşgabat fu distrutta da un NICK HANNES (HOLLANDSE HOOGTE/CONTRASTO) Tim Johnson, The Globe and Mail, Canada gigantesco terremoto in cui morirono più di centomila persone, pari ai due terzi della popolazione. In seguito è stata ricostruita dai sovietici e poi rifatta da Nyýazow a sua immagine e somiglianza. La città è nel Guinness dei primati per la più alta concentrazione mondiale di ediici rivestiti di marmo bianco: 543, la maggior parte costruiti da Nyýazow. È una specie di parco a tema del totalitarismo. Abbondano i ministeri, molti costruiti in modo da rappresentare la loro funzione: quello delle comunicazioni ricorda vagamente un telefono cellulare. Tra le tante attrazioni insolite, c’è la ruota panoramica al chiuso più grande del mondo. Mentre tra i monumenti il più impressionante è il gigantesco Arco della Neutralità (che la guida Lonely Planet deinisce “grande in modo imbarazzante”) sormontato da una statua d’oro di Nyýazow, che si credeva il dio del sole. La statua è stata progettata in modo da ruotare e seguire il percorso del sole nel cielo. La maggiore attrazione del Turkmenistan, però, è ancora lì in mezzo al deserto, Turkmenistan. Il cratere di Derweze Informazioni pratiche u Arrivare ll prezzo di un volo dall’Italia per Aşgabat (Turkish Airlines, Lufthansa) parte da 898 euro a/r. u Escursione L’agenzia di viaggi Intrepid travel (intrepidtravel.com) ofre per 1.575 euro un tour di 15 giorni con partenza da Aşgabat, capitale del Turkmenistan, e arrivo a Taškent, capitale dell’Uzbekistan (o viceversa). Il giro include la visita al cratere di Derweze, un’escursione nella regione di KunyaUrgench e una visita guidata alla capitale turcmena. È un itinerario avventuroso che prevede molti spostamenti con la jeep e pernottamenti in tenda nel deserto. u Leggere Colin Thubron, Il cuore perduto dell’Asia, Tea 2013, 10 euro. u La prossima settimana Viaggio in Gambia e in Senegal. Ci siete stati, avete dei libri da consigliare? Scrivete a [email protected]. più o meno a metà strada tra Aşgabat e Kunya-Urgench. Il cratere di gas naturale di Derweze si trova in prossimità del centro geograico del paese. Nei primi anni settanta i geologi sovietici, convinti di aver trovato un giacimento petrolifero, cominciarono le trivellazioni sul posto. Con loro grande sorpresa, però, colpirono una gigantesca sacca di metano. La terra si squarciò, creando una voragine larga settanta metri e profonda trenta. I geologi fecero poi l’ulteriore errore di dare fuoco al cratere, pensando di riuscire a bruciare tutto il gas nel giro di poche settimane. Più di quarant’anni dopo, il Derweze – soprannominato “la porta dell’inferno” – continua a bruciare. È un’attrazione soprattutto per i nuovi turisti della regione, ma se lo si vuole vedere al tramonto, poi bisogna passare la notte nel deserto. Rusty ferma la jeep in una spianata tra due colline: è uno dei posti più desolati che abbia mai visto e sarà la nostra sistemazione per la notte. Siamo lontani dalla strada e a otto chilometri dal cratere che sputa gas. “È un posto sicuro, da queste parti non ci sono predatori, solo scorpioni, lucertole, serpenti, ghepardi, leoni e draghi”, dice Rusty con un sorriso befardo. Vuole essere spiritoso, ma nessuno ride. Il cratere, in realtà, attira alcune forme di fauna selvatica. Diversi visitatori raccontano di aver visto centinaia o addirittura migliaia di ragni sprofondare negli abissi, probabilmente attirati dalla luce. Ci hanno avvertito di stare a tre metri dall’orlo del cratere (alcune zolle secche possono spaccarsi e precipitare all’interno) ma il sito non è regolamentato: non ci sono percorsi prestabiliti né barriere di sicurezza. Come i ragni, tutti siamo attirati dal bagliore. Appena scendo dalla jeep corro verso il bordo del cratere per scrutare l’interno, ma vengo travolto da una folata di vento e gas talmente rovente che devo toccarmi le sopracciglia per assicurarmi di non essermele bruciate. Mi aspettavo la puzza di uova marce dello zolfo, invece il gas è quasi inodore. E quando il vento cambia direzione e spazza il cratere, sui nostri volti arriva un’ondata di calore intensa, secca, simile a una sauna. Le folate sono calde e sofocanti; il gas naturale non è tossico ma elimina l’ossigeno, rendendo diicile respirare. Il tempo passa in fretta. Faccio diverse volte il giro del cratere tenendomi pericolosamente vicino al bordo e per ammirare meglio il panorama mi metto sopra una piccola sporgenza di terreno, rinforzata con dei vecchi tubi. Il pericolo fa parte dell’emozione: il terreno potrebbe cedere in qualsiasi momento, facendomi precipitare tra le iamme. Mi sento un po’ come Indiana Jones, anche se sto facendo una passeggiata. Torniamo verso la spianata dove passeremo la notte. Ascoltiamo di nuovo quelle strane canzoni alla radio mentre una luna quasi piena illumina il deserto. Ho la sensazione di aver visitato una terra strana o forse un altro pianeta. Probabilmente il gas o l’adrenalina hanno alterato le mie percezioni, ma continuo ad avvertire il bagliore ino al nostro ritorno. u fas Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 75 Cultura Zaha Hadid nel 2006 EwAN BAAN PEtER MARLOw (MAGNUM/CONtRAStO) Architettura Costruire l’impossibile Edwin Heathcote, Financial Times, Regno Unito Zaha Hadid, architetta irachena naturalizzata britannica, è morta il 31 marzo. Rimane la sua arte visionaria “S e fossi stata un uomo”, mi ha detto una volta Zaha Hadid, “secondo voi mi avrebbero chiamato diva? No, avrebbero parlato solo di architettura”. Naturalmente Hadid è stata la più grande diva dell’architettura. Ma è stata anche una creatrice originale e visionaria. Hadid era sempre, inevitabilmente, etichettata come “il più grande architetto donna”, ma pochissimi uomini sono stati in grado di esprimere l’unicità del suo stile, la genialità scultorea delle sue opere o la forza assoluta del suo carattere. 76 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Pochi sono stati in grado di inventare un’architettura completamente nuova. Hadid l’ha fatto. I suoi primi progetti, espressi con tratti vivaci su sfondi neri, erano frammentati e frastagliati, città appuntite sospese che ricordavano l’astrazione pura del suprematismo sovietico. Quando però ha cominciato a costruire in grande, qualcosa è cambiato. Sono sparite le punte acuminate e i volumi frastagliati, ed è emersa un’architettura luida in cui il paesaggio si ritrovava aggrovigliato nella struttura, le pareti si trasformavano in pavimenti e rampe e passerelle giravano all’esterno di volumi eccentrici creando un dinamismo spettacolare. Essere in un ediicio di Zaha Hadid signiicava far parte di un movimento teatrale, diventare parte del lusso della modernità. Zaha Hadid nacque nel 1950 a Baghdad, in una famiglia ricca e politicamente impegnata. Suo padre era un economista ed Pierrevives a Montpellier, in Francia esponente di spicco della sinistra progressista irachena. Zaha frequentò un collegio cattolico e poi l’università americana di Beirut, dove si laureò in matematica. Nel 1972 arrivò a Londra per studiare presso la pionieristica Architectural association. Lì incontrò il suo mentore, Rem Koolhaas, con cui avrebbe lavorato nel primissimo periodo dell’Oma, lo studio, oggi notissimo, di Koolhaas. Già prima di fondare uno studio tutto suo, Zaha Hadid si fece conoscere nel mondo dell’architettura. Il suo primo vero impatto lo provocò sulla carta, in libri e riviste in cui i suoi progetti e i suoi disegni delineavano un nuovo mondo, fatto di forme luttuanti e panorami urbani frammentati e visionari. Ma nonostante una reputazione sempre più forte, il suo studio fece fatica ad aggiudicarsi commissioni. E forse non c’è da stupirsi, visto che i suoi lavori apparivano spesso irreali e diicilmente ediicabili. Il progetto per un hotel dalla bellezza inquietante sul Victoria Peak di Hong Kong è uno dei disegni più inluenti dell’era moderna, un accenno a quella mescolanza tra topograia e interni che avrebbe realizzato in seguito. Una delle sue prime commissioni, una stazione dei pompieri alla periferia di Basilea (1994), inì in un famoso fallimento. Era un ediicio del tutto inadeguato ai suoi scopi e, dopo essere stato assorbito dal Vitra design museum, diventò una famosa attrazione turistica. Quando Hadid vinse la gara EWAN BAAN L’Heydar Aliyev centre a Baku, in Azerbaigian per la progettazione di un teatro dell’opera nella baia di Cardif (1995), le autorità la boicottarono, ritenendo il suo progetto ina datto e irrealizzabile. Fu una grande delu sione per Hadid, ma la sua determinazione ne uscì raforzata. La seppia aerodinamica Le prime commissioni davvero importanti arrivarono nel nuovo millennio. Ci furono il Rosenthal centre for art di Cincinnati (2003), un edificio cubico che sembra un’espressione scultorea della griglia stra dale della città, e una sinuosa seggiovia in cemento a Bergisel, in Austria (2002). Il Bmw central building a Lipsia (2005) pose ine a qualunque critica sull’irrealizzabilità dei suoi progetti: la catena di produzione veniva trattata alla stregua di un’opera tea trale dalla coreograia complessa. La Eve lyn Grace academy (2011), un’impressio nante e rainata scuola di Brixton, a Lon dra, è uno dei rari ediici che Hadid realizzò nella sua città d’adozione. L’architetta si deinì sempre un’outsid er (sebbene disponesse di ricchezze perso nali e fosse la prima donna a essersi aggiu dicata il premio Pritzker e quattro meda glie d’oro del Royal institute of british ar chitects), e si sentiva poco amata a Londra. Forse lamentarsene tanto era solo un mo do per mettere in scena la sua petulanza: in apparenza Zaha Hadid era pungente, in realtà era molto calorosa e spassosa. Il suo momento di gloria a Londra arrivò nel 2012, con l’apertura dell’Aquatics centre per le Olimpiadi. Un ediicio straordinario, con un tetto che somiglia a una sorta di sep pia aerodinamica. Il trampolino, da solo, è più bello della maggior parte degli ediici contemporanei del Regno Unito. Riverita più all’estero che in patria, per lei l’opportunità di costruire in grande giun se dai luoghi più remoti e più improbabili. L’Heydar Aliyev centre in Azerbaigian (2012) sembra una pura curva matematica trasposta in architettura, mentre il teatro dell’opera di Guangzhou (2010) continua a somigliare al set di un ilm di fantascienza ancora oggi, a più di dieci anni dalla sua progettazione. Il suo ediicio più bello rima ne forse il Phaeno science centre di Wolf sburg, in Germania (2005), una struttura in cemento che succhia tutto il paesaggio nel le sue pareti ed emerge dalle strade della città e dal paesaggio industriale. In seguito Zaha Hadid diversiicò la sua attività occupandosi un po’ di tutto, dalle scarpe ai vasi, con disegni sempre ricono scibili e accattivanti, portando un’estetica d’avanguardia nei tavolini da soggiorno e dentro gli armadi. Il suo studio, gestito insieme al collabo ratore di sempre Patrick Schumacher (che forniva una base più teorica al suo talento visuale), aveva la sede principale in un col legio vittoriano a Clerkenwell, Londra. Il metodo dello studio era radicalmente inno vativo nell’uso che faceva della tecnologia e dell’ingegneria, portando forme apparen temente impossibili in città reali. Il lavoro di Zaha Hadid si riconosce all’istante: è sorprendente e quasi sempre stimola discussioni. Nel 2015 l’architetta lasciò a metà un’intervista per un canale radio della Bbc dopo l’insinuazione che lo stadio progettato per i mondiali di calcio in Qatar avesse provocato la morte di alcuni operai (i cantieri sul posto non erano ancora cominciati). E la decisione del governo giapponese di non aidarsi a lei per lo sta dio olimpico di Tokyo e di optare per un pro getto più economico fu per Hadid un duro colpo. Un altro suo ediicio in Cina, le tre torri del Wangjing Soho di Pechino (2014), era stato praticamente copiato da un’altra parte, e la copia era stata completata prima dell’originale. Zaha Hadid era afranta per la distruzio ne di Baghdad, la sua città natale, e aveva ricevuto l’incarico di costruire una nuova banca nazionale e un nuovo parlamento per la capitale irachena. Il suo studio continue rà a costruire in tutto il mondo e le visiona rie strutture che saranno ediicate divente ranno tutte un monumento al suo genio e alla sua originalità. Zaha Hadid è morta d’infarto dopo es sere stata ricoverata per una bronchite in un ospedale di Miami, negli Stati Uniti. Non era sposata e non aveva igli. A parte i suoi ediici. u gim Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 77 Cultura Cinema Dagli Stati Uniti I ilm italiani visti da un corrispondente straniero. Questa settimana Vanja Luksic del settimanale francese L’Express. Crisi ai vertici della Disney 78 Con una mossa che ha sbalordito l’industria del cinema, Thomas Staggs si è licenziato da direttore operativo della Disney, dopo che il consiglio di amministrazione non gli ha garantito che avrebbe preso il posto di Bob Iger come amministratore delegato. Per la prima volta da decenni, infatti, la Disney sceglierà un nuovo amministratore delegato al di fuori dal suo bacino di dirigenti. Staggs, 55 anni, lascerà l’incarico il 6 maggio e abbando- Thomas Staggs nerà l’azienda a settembre. Circola la teoria che un ruolo nella sua decisione lo abbiano avuto anche i ritardi e i costi sbalorditivi del nuovo parco Disneyland di Shanghai, che dovrebbe essere inaugurato a giugno. L’incertezza sulla successione colpisce la Disney in un momento particolarmente delicato. Nonostante il successo di Star Wars: il risveglio della Forza, gli investitori non sono soddisfatti di come l’azienda si sta muovendo sul fronte televisivo. Alla prima del Libro della giungla, l’attuale amministratore delegato Bob Iger si è riiutato di commentare la notizia. Si è limitato a dire ai giornalisti: “Avevo pensato di non venire ma sono talmente fan del ilm che gli avrei fatto un torto non presentandomi”. Alan Horn, presidente della Walt Disney Studios, ha detto solo: “L’ho saputo poco fa. Sto cercando di venirne a capo”. Cynthia Littleton, Variety Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T Re H E gn D o AI U L n Y L E i to T EL Fr F EG an I G ci A R a R A O PH T C HE an G ad L a OB E T A Re H E N D gn G M o UA U A ni R D IL T t o IA Re H E N gn I o ND U n E L I i to P E N Fr BÉ D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST Un bacio Di Ivan Cotroneo Con Rimau Grillo Ritzberger, Valentina Romani , Leonardo Pazzagli. Italia, 2016, 101’ ●●●●● Il terzo ilm di Ivan Cotroneo, uno dei registi e sceneggiatori italiani più interessanti del momento, è tratto da un suo libro omonimo, scritto cinque anni fa, ispirato a un brutto fatto di cronaca statunitense. Siamo in un liceo di Udine che, non a caso, ha l’aspetto di una fabbrica. Arriva un nuovo allievo, Lorenzo (Rimau Grillo Ritzberger), appena adottato da una coppia piena di buone intenzioni. A scuola lui capisce subito di essere sbarcato in un universo ostile e si rifugia in un mondo di fantasia tutto suo. È un ragazzo molto bello e non nasconde agli altri di essere gay. E questo non viene accettato in un ambiente in cui dominano bullismo e omofobia, due sintomi di un fenomeno che sembrava in regressione qualche decennio fa. La schiavitù del conformismo oggi sembra ancora più forte che in passato, in un mondo sempre più omologato e controllato dai social network. Lorenzo diventerà amico di altri due “emarginati” del liceo, Blu (Valentina Romani) e Antonio (Leonardo Pazzagli). Ma la forza dell’amicizia non basterà. O forse sì. Ci sono infatti due inali, perché il cinema è magia. Il bacio è un ilm che rimane nella mente e nel cuore. Anche per la felice scelta dei tre giovani attori. Thomas Staggs, direttore operativo della Disney, si licenzia dopo meno di un anno di lavoro PHELAN M. EBENHACk (AP/ANSA) Italieni Media - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 anomaLISa 11111 - 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 aVe, CeSare! 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 BrookLyn 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 IL CaSo SpoTLIghT 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 kung fu panDa 3 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 room 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 TruTh 11111 - 11111 11111 - - 11111 - 11111 11111 11111 L’uLTIma paroLa 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 LoVe & merCy 11111 - 13 hourS 11111 11111 11111 Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 I consigli della redazione Love & mercy Bill Pohlad (Stati Uniti, 120’) In uscita Il cacciatore e la regina di ghiaccio Di Cedric Nicolas-Troyan Con Chris Hemsworth, Charlize Theron. Stati Uniti, 2016, 114’ ●●●●● Eccolo. Il sequel/prequel meno atteso della stagione. Il cacciatore e la regina di ghiaccio riesce a essere ancora più visivamente elaborato e ancora più noioso del predecessore, Biancaneve e il cacciatore. Già quattro anni fa questa inutile rilettura, tutta efetti speciali e banalità, della favola di Biancaneve è stata un terribile spreco di talento da parte di Charlize Theron. Quest’anno le cose peggiorano perché al talento sprecato di Theron si aggiunge quello dei bravissimi nani (Nick Frost, Rob Brydon, Sheridan Smith e Alexandra Roach). I due protagonisti sembrano essersi laureati alla scuola di eloquio britannico di Russell Crowe e i superpoteri della regina dei ghiacci sono una via di mezzo tra Frozen e Siberius degli Incredibili. Questo ilm è una guerra atomica di noia. Speriamo davvero che i misteri lasciati aperti sul inale restino tali e che ci sia una cessazione delle ostilità. Peter Bradshaw, The Guardian Mister Chocolat Di Roschdy Zem Con Omar Sy, James Thiérrée. Francia, 2016, 110’ ●●●●● Non è più al top. Il suo numero da clown non fa ridere più nessuno. Footit si sente un ferro vecchio. Ma un giorno, in un piccolo circo, ha una visione. Gli appare un eccezionale uomo nero, un ex schiavo arrivato a Parigi da Cuba. Footit pur amando i bei ragazzi (lo scopriamo più tardi in una scena inutilmente esplicita) lo guarda con interesse puramente professionale. E coglie nel segno: in pochi mesi Rafael Padilla, detto Chocolat, diventerà l’idolo della Parigi di ine ottocento. Roschdy Zem cerca di mostrare l’ambiguità della risata che Chocolat suscitava nella società dell’epoca. Il pubblico lo adora ma vuole sempre vederlo malmenato alla ine delle sue scenette. Rafael però si sente un vero attore e quando decide di debuttare sotto la direzione di un vero regista, nell’Otello, il suo sogno naufraga miseramente. La folla lo vuole solo fantoccio, non attore tragico. E da star, Chocolat diventa un esiliato. Un ilm pieno di momenti drammatici, realizzato con cura e passione con un forte messaggio antirazzista. Pierre Murat, Télérama dR dR Mister Chocolat Il condominio dei cuori infranti Samuel Benchetrit (Francia/Regno Unito, 100’) Mister Chocolat Roschdy Zem (Francia, 110’) Una notte con la regina Di Julian Jarrold Con Sarah Gadon, Bel Powley, Jack Reynor, Rupert Everett. Regno Unito, 2015, 97’ ●●●●● Una notte con la regina è una favola pensata per tutti quegli adulti che hanno il batticuore ogni volta che sentono parlare della famiglia reale britannica. È una storia di fantasia ambientata nella giornata della vittoria dell’8 maggio 1945, che segue le principesse Elizabeth e Margaret (19 e 14 anni) in libera uscita serale da Buckingham palace per la prima volta nella loro vita. Il ilm, un discendente scapestrato di Vacanze romane, consolida il cliché popolare di una Elisabetta matura e posata e una Margaret più scavezzacollo. Un aspetto piacevole del ilm è che descrive bene un’epoca, prima dei paparazzi e dei telefonini, in cui le celebrità potevano uscire in incognito e svelarsi solo quando volevano. C’è anche un lato oscuro: le due principessine entrano in contatto con criminali, malfattori e ubriaconi ma ne escono sempre illese. Le performance delle protagoniste rendono gustoso un ilm che, in sé, è solo fuffa per appassionati dei reali. Stephen Holden, The New York Times Ancora in sala La comune Di Thomas Vinterberg Con Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Helene Reingaard Neumann. Danimarca, 2016, 111’ ●●●●● L’amore libero si paga a caro prezzo in questa tragicommedia del candidato all’Oscar Thomas Vinterberg. Il regista prende spunto dalla sua infanzia passata in una comune hippy nella Copenaghen degli anni settanta ma anche da Tempesta di ghiaccio di Ang Lee e Together di Lukas Moodysson. La comune è comunque un ilm molto più gentile, e decisamente leggero per gli standard sia del regista sia del cinema danese in genere. È molto divertente e intrattiene come una sitcom televisiva, ma come ilm serio è stranamente zoppicante. Non c’è nessun contesto sociopolitico, solo qualche vago accenno al Vietnam e al femminismo. I pochi momenti drammatici sono un po’ goi e fuori fase con il tono generale del ilm, che risulta un racconto convenzionale di un’epoca che certamente non lo era. Stephen Dalton, The Hollywood Reporter Una notte con la regina Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 79 Cultura Libri Dal Regno Unito I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Frederika Randall, del settimanale statunitense The Nation. Letture per piccoli ribelli Giordano Meacci Il cinghiale che uccise Liberty Valance Minimum fax, 452 pagine, 16 euro ● ● ●●● Il 99,9 per cento delle specie animali è da sempre tra noi, eppure fa al massimo da comparsa nelle nostre commedie umane. Giordano Meacci invece ha immaginato un altro mondo, un piccolo paese solo apparentemente antico tra Umbria e Toscana, dove uno degli esseri senzienti è un imponente cinghiale rosso che capisce e ragiona con la lingua degli umani. Con Apperbohr, così si chiama l’animale, entriamo nell’anima cinghialese e impariamo anche la sua lingua (awgr = cane) grazie a un glossario in appendice. Conosciamo il suo amore per la bella Llhojoo-wrahh, partecipiamo mentre lui e la sua banda raccolgono provviste per l’inverno, ascoltiamo dalle inestre le conversazioni dei sapiens e scopriamo così anche i segreti umani. Gli Alti sulle Zampe sono ritratti con dovizia di particolari, anche troppi: tra i cento personaggi umani in uno Spoon River di tre generazioni ci sono il diciottenne ossessionato da John Ford (quindi Liberty Valance) e il sessantenne inguaiato dal gioco. Come nel western classico, c’è un conlitto per controllare territorio e risorse, non solo tra umani ma anche tra mammiferi. Inutile dire che, alla ine, è la specie Sus a conquistarsi la simpatia del lettore. 80 I inalisti del premio Little rebels: libri per bambini a contenuto sociale o politico Sono stati annunciati i inalisti della quarta edizione del Little rebels award. Il premio, lanciato dal distributore di libri per l’infanzia Letterbox library, è destinato alla letteratura per bambini da zero a dodici anni che promuove la giustizia sociale e l’uguaglianza. I inalisti sono tre racconti per bambini e tre libri illustrati. I’m a girl! di Yasmeen Ismail parla di una bambina che cresce felice e libera da sterotipi di genere, mentre l’anarchico Uncle Gob and the dread shed di Michael Rosen prende di mira con acuta ironia il sistema scolastico. Kerry Mason di Letterbox library ha detto: “Quest’anno per la prima volta la giuria è dR Italieni I’m a girl di Yasmeen Ismail stata sommersa di proposte. Evidentemente oggi si è sviluppato un gusto per i libri per bambini capaci di comunicare in modo immediato e originale un messaggio sociale anche diicile. I candidati di quest’anno prendono in giro le istituzioni, criticano aspra- mente le grandi aziende e cercano di rispondere a domande profonde del tipo: chi sono io?”. Il vincitore del premio Little rebels sarà annunciato il 7 maggio alla Goldsmith university di Londra. Emma Bowden, The Guardian Il libro Gofredo Foi La pazzia di esistere Simona Vinci La prima verità Einaudi, 398 pagine, 20 euro “Ognuno racconta i suoi mostri, e i sogni, gli incubi, i desideri, la sua versione dei fatti e hanno tutti ragione perché una prima verità non esiste da nessuna parte. È tutto vero, anche quando non lo è”, conclude Simona Vinci nel romanzo con cui torna in libreria dopo anni di assenza, e che forse rimarrà, con quello di Meacci, il più bello di questa stagione. Non si inirebbe di Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 parlarne, perché va oltre la letteratura ma restando alta letteratura. Evoca la storia di un manicomio (fondato nel 1959) che ha dato di che vivere agli abitanti dell’isola greca di Leros, ma che nel 1989, grazie a un articolo dell’Observer, fu oggetto di uno scandalo internazionale e dell’intervento di un gruppo di allievi dell’indimenticabile Franco Basaglia. È attorno al lavoro di una ragazza del gruppo che il romanzo cresce, elaborando storie di adulti e bambini, e non solo di “matti” ma anche di oppositori politici dei colonnelli lì rinchiusi a morire, storie tremende di personaggi inventati ma documentabili. È un grande romanzo di struttura complessa ma chiara, e quasi dostoevskiano nel dire un vero molto vero. Ed è l’occasione per scavare, nei due capitoli inali, sul nostro mondo, sulla sua pazzia di ieri e di oggi. Leros è specchio di un universo in cui i “disturbi” mentali riguardano tutti, sono il nostro modo di esistere, di fare e di farci del male. u I consigli della redazione Aleksander Hemon L’arte della guerra zombi (Einaudi) Il romanzo A Yi E adesso? Metropoli d’Asia, 122 pagine, 10 euro ● ● ● ●● La storia comincia in una piccola città cinese, dove uno studente delle scuole superiori progetta di assassinare una compagna di classe solo per sconiggere la noia e l’indolenza. Adesca nel suo appartamento la graziosa, popolare e gentile Kong Jie – l’unica persona in tutta la scuola che mostri qualche interesse per lui – e la uccide in un modo orribile. L’assassino, che rimane per tutto il libro il narratore senza nome, dice tranquillamente: “L’ho uccisa solamente per ucciderla”. Crede che la società sia malata, che gli esseri umani non siano altro che cadaveri in decomposizione, e si sente impotente davanti a tutto questo. Solo dopo essere fuggito nell’entroterra, si ferma a considerare le conseguenze delle sue azioni; e non per la vittima o per la madre di lei, che ha perso l’unica iglia, ma per la vita che adesso dovrà lasciarsi alle spalle, una vita tutt’altro che piacevole. Per aggiungere un po’ di brivido alla sua nuova esistenza di fuggiasco, lascia indizi alla polizia, sidandola a trovarlo. È un gioco al gatto e al topo, in cui lui si vede nella parte dell’agile roditore che sfugge alla cattura. Ma più che un romanzo su una caccia all’uomo, E adesso? è un’indagine psicologica su una mente malata. A dare al libro la sua energia non sono la suspense dell’inseguimento e i colpi di scena della trama, ma l’ardore pulsante di DR Nichilismo cinese A Yi questo diciannovenne nichilista. A Yi sa ofrire un ritratto completo della Cina, sia della povertà cupa e claustrofobica della vita rurale sia della corruzione dei tutori della legge e dei poliziotti. Il ritmo della narrazione è a tratti insopportabilmente lento, ed è diicile identiicarsi con un protagonista così sgradevole. Ma A Yi è abilissimo a dar voce alla sua creatura mostruosa, che suona autentica nel suo cinismo da monellaccio. L’autore, nato nel 1976, l’anno della morte di Mao Zedong, descrive la nuova generazione cinese cresciuta in una società ormai capitalistica, dove il collettivismo ha ceduto il passo alla ricerca dell’individualità a tutti i costi. Il narratore, ossessionato da sé, confessa di essere l’unica persona a cui si sente veramente legato e porta tutto questo malessere all’estremo. E adesso? è ambientato nella Cina contemporanea, ma la crisi esistenziale di cui parla è universale. Clarissa Sebag-Monteiore, Wall Street Journal Simone Pieranni Settantadue (Alegre) Alicia Giménez Bartlett Uomini nudi Sellerio, 440 pagine, 16 euro ●●●●● Javier, giovane professore di letteratura, è stato licenziato da una scuola di suore. Davanti a lui si apre il mondo della disoccupazione, dei club di spogliarello e dei servizi sessuali per signore. Irene è una miliardaria in crisi lasciata dal marito per una donna più giovane, ma quello che non gli perdona è di aver fatto di lei un’altra donna, che ha scoperto i ragazzi di compagnia. Alicia Giménez Bartlett ha mescolato in provetta il caso del professore licenziato e quello della donna abbandonata, e ha aggiunto un reagente: la crisi economica. Due vite parallele che si rivelano convergenti, unite da due intermediari: un amico di Javier, Iván, con una sensibilità da bassifondi e un umorismo grossolano, convinto che la dignità non sia questione di lavoro ma di denaro; e Genoveva, una cinquantenne regina del divertimento, che ha piantato il marito per un ragazzo giovanissimo. Quattro coscienze che si incrociano e si scontrano in prima persona, mentre l’autrice rimane a margine, spettatrice imparziale e sorridente della commedia che mette in scena. Alicia Giménez Bartlett è già un classico contemporaneo: osserva lucidamente i valori che cambiano e si rivelano risibili, mentre il classismo e il sessismo restano come cicatrici che a forza di vederle diventano invisibili. Justo Navarro, El País Mahi Binebine Il grande salto Rizzoli, 159 pagine, 14 euro ●●●●● Pittore rinomato in tutto il mondo, Mahi Binebine è an- A cura di Malka Marom Joni Mitchell. Both sides (Sur) che uno scrittore di talento dallo stile semplice e limpido. Ha sempre tratto ispirazione dal suo paese natale, il Marocco. E il risultato coglie spesso nel segno, diverte un po’, commuove molto. L’autore è solito gettare uno sguardo introspettivo sulla società che lo circonda e a volte lo assedia. Il suo nuovo romanzo non sfugge a questa regola. È una visione spietata di un universo folle, miserabile e privo di avvenire, che ha partorito una delle pagine più nere della storia marocchina contemporanea, quella degli attentati del 16 maggio 2003. Binebine adotta la voce del kamikaze che si è appena suicidato, che torna dall’aldilà per dare la sua versione della storia. Binebine non perdona e non giustiica, ma neanche colpevolizza; cerca di capire come una società tranquilla sia potuta sprofondare in un tale orrore nello spazio di una sera. Binebine si soferma su una realtà crudele per spiegare l’imperdonabile, descrivendo le condizioni di vita nelle bidonville di periferia come delle polveriere in attesa di una scintilla che le faccia saltare in aria. Un’autentica visione dell’orrore oferta da uno scrittore che sa osservare e trascrivere acutamente il tempo che passa. Amine Rahmouni, Le Temps David Lagercrantz La caduta di un uomo Marsilio, 457 pagine, 19 euro ●●●●● David Lagercrantz è l’autore svedese che ha scritto il quarto libro della trilogia Millennium di Stieg Larsson. Il suo romanzo La caduta di un uomo è un ibrido curioso ma riuscito. È un’amalgama di narrativa poliziesca, psicologia e scienza. Lagercrantz si dedica ad Alan Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 81 Cultura Libri Turing, il matematico che ha aiutato a decifrare il codice segreto Enigma, in un romanzo ambientato nel 1954 che comincia con Turing trovato morto nella sua casa di Wilmslow. A quanto pare lo scienziato ha inventato una sua insolita tecnica di suicidio: una mela avvelenata. Assegnato al caso, il detective Leonard Correll apprende che Turing è stato condannato per violenze omosessuali (in realtà Turing fu costretto dal tribunale alla castrazione chimica a causa della sua sessualità). L’ipotesi del suicidio è complicata dal fatto che sulle attività del matematico in tempo di guerra è stato fatto calare un velo di segretezza e i servizi di sicurezza sono convinti che la sessualità illegale di Turing potrebbe averne fatto un bersaglio per le spie sovietiche. Ma via via che Correll si avvicina a sciogliere il mistero, è preso di mira dalle stesse persone che hanno distrutto Turing. Il tratto più riuscito del libro è l’intelligente mescolanza di due forme narrative: la biograia simpatetica di un personaggio storico realmente esistito, e trattato in modo ingiusto dal sistema, e un’indagine in cui un poliziotto testardo cerca di combattere l’intransigenza più crudele. Barry Forshaw, The Independent Naomi J. Williams Navi perdute Neri Pozza, 394 pagine, 18 euro ●●●●● Nell’agosto del 1785 due navi francesi, la Boussole e l’Astrolabe, salparono da Brest sotto il comando di Jean-François de Galaup de Lapérouse. A bordo c’erano 225 uomini, non solo gli uiciali e l’equipaggio ma anche ingegneri, artisti, preti e uomini di scienza, equipaggiati con gli strumenti più rainati. Il loro viaggio doveva essere una circumnavigazione del pianeta per battere il capitano Cook, una ricerca della conoscenza a maggior gloria della Francia. Il 10 marzo 1789, quasi quattro anni dopo la partenza, la spedizione era diretta alle isole Solomon. Non se ne seppe più niente. Nel 1791 il governo lanciò una missione di ricerca, ma non si trovò traccia né delle navi né degli uomini, scomparsi nel nulla. La storia, o piuttosto le storie, di questa impresa sfortunata sono l’argomento del notevole esordio di Naomi J. Williams. In una serie di narrazioni sovrapposte, una per ciascuno dei luoghi dove le navi gettarono l’ancora, l’autrice descrive il viaggio dai punti di vista di diversi componenti della spedizione e di coloro che incontrarono. È un romanzo che confonde il conine tra storia e inzione narrativa. La struttura a episodi sottolinea le forze centripete che agiscono in ogni impresa di gruppo, e ricorda che il passato non è una narrazione unica. Alcuni capitoli, però, barcollano sotto il peso di un’eccessiva erudizione storica. Clare Clark, The Guardian Non iction Giuliano Milani PhILIPPE MATSAS (OPALE/LEEMAGE/LUzPhOTO) Crescere meno crescere tutti Massimo Livi Bacci Il pianeta stretto Il Mulino, 168 pagine, 14 euro Secondo Massimo Livi Bacci, profondo conoscitore della demograia mondiale, se ino a qualche decennio fa ci si preoccupava troppo delle conseguenze della crescita della popolazione planetaria, oggi forse ci si preoccupa troppo poco. L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato un’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che prevede diciassette obiettivi, in cui l’emergenza 82 demograica di fatto non compare. Si tratta invece di un problema pressante perché le dinamiche demograiche che agiscono in maniera diversa nelle varie parti del mondo inluenzano le disuguaglianze, e dunque i conlitti. In molte regioni esiste ancora il rischio di una “trappola malthusiana”, ovvero di un ciclo perverso in cui l’aumento della fecondità si accompagna alla diminuzione del benessere dovuta a povertà e malattie. È molto probabile che continuerà ad aumentare la Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 popolazione delle grandi metropoli e che andrà ampliandosi il divario tra un nord sempre più vecchio e un sud del mondo sempre più giovane. Eppure, secondo Livi Bacci, abbiamo già le conoscenze per far fronte a queste emergenze, sappiamo quali sono le politiche con cui questi rischi possono essere gestiti e governati. Gli ostacoli sono l’assenza di una vera rilessione, capace di andare al di là degli slogan politici, e lo scarso coordinamento internazionale. u Europa dell’est Aleksandar Gatalica À la guerre comme à la guerre! Belfond La ine della belle époque e la grande guerra raccontati attraverso una narrazione corale. Gatalica è nato a Belgrado nel 1964. Velibor Čolić Manuel d’exil Gallimard Il narratore racconta i suoi primi anni di esilio, dopo aver disertato dall’esercito bosniaco in cui aveva trascorso cinque mesi d’inferno. Čolić è nato nel 1964 in una piccola città della Bosnia ora distrutta e vive in Francia. Dana Grigorcea Das primäre Gefühl der Schuldlosigkeit Dörlemann Verlag Victoria, un’impiegata, assiste a una rapina. Per riprendersi dal trauma si concede una vacanza e approitta per vagabondare per Bucarest e indagare sul passato della città. Grigorcea è nata a Bucarest nel 1979 e vive a zurigo. Andrea Salajova Eastern Gallimard Martin, ballerino e coreografo a Parigi, ritorna al suo villaggio slovacco per vedere il nonno morente. Salajova è uno scrittore e cineasta slovacco che ora vive in Francia. Maria Sepa usalibri.blogspot.com Cultura Libri Ragazzi Ricevuti Un morbido dittatore Fabrizio Piumatto Urlo graico Nerosubianco, 199 pagine 20 euro Il terzo volume di un’antologia che raccoglie le notizie più importanti dell’anno sotto forma di commento graico. Un notiziario originale e, paradossalmente, meno urlato dei notiziari tradizionali. Olivier Tallec Luigi I. Re delle pecore Lapis, 34 pagine, 14,50 euro Non pensiamo troppo spesso alle pecore. Certo le vediamo. Per esempio quando sfrecciamo in autostrada. Sono lì placide, lanose e morbide. Anche loro però non pensano tanto a noi. Per loro è importante brucare l’erba. Devono immagazzinare energia. Ed è così che Olivier Tallec si immagina un gregge, intento a brucare, sguardo in giù, occhi issi sull’erba. Ma cosa succederebbe se una di queste pecore alzasse lo sguardo? Cosa succederebbe se il vento dispettoso mettesse una corona in testa a una pecora? Succederebbe che avremmo una nuova storia da raccontare, esattamente quella di Luigi I, re delle pecore. Visto che la corona ce l’ha già, Luigi si cerca uno scettro. Perché se no come governa? E poi cerca un trono, e inine si trova pure un bel letto. Perché se deve essere ossequiato deve averne uno tanto bello da togliere il iato. Ed è così che Luigi comincia a sognare cose ancora più grandi. Balli faraonici, guerre apocalittiche, dimore immense. E da lì il passo che lo porta a diventare un tiranno, una sorta di Napoleone delle pecore, è breve. Ma quando il suo ego diventa ingestibile il vento rimette (per fortuna!) tutto in discussione. Un albo vivace e rainato che è soprattutto una presa in giro del potere e delle sue derive. Premiato con il Prix Jeunesse nel 2014. Igiaba Scego Emmeline Pankhurst La mia storia Castelvecchi, 238 pagine, 17,50 euro L’autobiograia dell’attivista britannica che ha guidato il movimento delle sufragette all’inizio del novecento. Fumetti Il viaggio degli eterni esuli Naji al-Ali Filastin Eris, 224 pagine, 17 euro Il libro che omaggia il vignettista satirico palestinese Al-Ali, tra i più importanti del mondo arabo e non solo, aiuta certo a capire la questione palestinese nel corso del tempo, ma aiuta anche a capire meglio la condizione degli oppressi. E la condizione umana nel dolore. Esule in da bambino, per molto tempo rifugiato nei terribili campi di accoglienza delle Nazioni Unite (questione più che mai d’attualità), era iglio degli ultimi: a essere ospitati in quei campi erano infatti i contadini. L’immagine-feticcio che ricorre nel libro è quella di Handala, il bambino calvo e scalzo, disegnato di spalle e a braccia conserte: Vauro, nella prefazione, ci ricorda che “Handala è un bambino che non ha sorriso. Per questo non mostra a nessuno il suo viso”, soltanto quando la terra palestinese sarà libera potrà rivelarlo. O rivelarsi. La rivelazione e la igura cristologica e del profeta attraversano le vignette insieme alla sensazione di essere sempre immersi in un limbo nero, plumbeo. Le immagini, un concentrato di simboli da lasciare storditi, accompagnano un senso di predestinazione: come il bambino palestinese della storia, Al-Ali è sempre stato inseguito e sempre ha dovuto andare via, senza pace. Prima in Libano, poi in Kuwait, inine a Londra. Poi, nel 1987, una pallottola sparata con il silenziatore ha messo ine al suo viaggio. Ma non alla sua forte voce (graica). Francesco Boille Rodolfo Walsh Il violento mestiere di scrivere La nuova frontiera, 224 pagine 12,50 euro Articoli, lettere e reportage giornalistici scritti tra il 1953 e il 1977 raccontano le condizioni sociali e politiche che portarono alla grande catastrofe argentina del 1976 . Carlo Cottarelli Il macigno Feltrinelli, 176 pagine 15 euro Guida al debito pubblico in Italia: come si forma, come si accumula e perché è così dificile ridurlo. Michael Pollan Una seconda natura Adelphi, 309 pagine 22 euro Un divertente trattato di giardinaggio empirico-teorico. Alla ricerca di una terza via tra chi intende il giardino come algida perfezione di curatissimi prati suburbani e chi lo vede come selvaggio e romantico ritorno alla natura. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 85 Cultura Musica Dal Regno Unito I Cani Pozzuoli (Na), 8 aprile duelbeat.it Bologna, 15 aprile locomotivclub.it Jeremy Corbyn al festival di Glastonbury Nada Savona, 9 aprile cgilsavona.it Iosonouncane Ravenna, 9 aprile bronsonproduzioni.com Cosmo Napoli, 9 aprile laniicio25.it Micah P. Hinson Segrate (Mi), 10 aprile circolomagnolia.it Torino, 11 aprile cinemamassimotorino.it Ravenna, 12 aprile bronsonproduzioni.com Roma, 13 aprile monkroma.club Foligno (Pg), 14 aprile spaziozut.tumblr.com Ursula Rucker Catania, 10 aprile zoculture.it MAURICIo SANTANA (GETTy IMAGES) Florence & The Machine Casalecchio di Reno (Bo), 13 aprile unipolarena.it Torino, 14 aprile palaalpitour.it Florence & The Machine 86 Il leader del partito laburista britannico salirà sul palco invitato dal musicista e attivista Billy Bragg Jeremy Corbyn parlerà al fe stival musicale che si terrà come ogni estate a Glaston bury, dal 22 al 26 giugno. A in vitarlo è stato il cantautore britannico Billy Bragg. Cor byn, che è stato eletto presi dente del partito laburista il 12 settembre 2015, parlerà per conto della campagna per il disarmo nucleare dal Left Field, uno dei palchi allestiti dal festival. Dando l’annun cio sul sito dell’evento, Billy Bragg ha scritto: “L’elezione di Corbyn a leader del partito IAN FoRSyTh (GETTy IMAGES) Dal vivo Jeremy Corbyn laburista ha galvanizzato una nuova generazione di attivisti e quest’anno lanceremo una piattaforma per discutere te mi di giustizia sociale, di eco nomia, di genere e soprattutto ci apriremo alle possibilità di autentico cambiamento che potrebbero veriicarsi con un governo guidato da Corbyn”. Un portavoce del leader labu rista ha dichiarato al Mirror: “Jeremy è da sempre un fan di Glastonbury e non vede l’ora di partecipare come ospite”. Il fondatore del raduno, Michael Eavis, ha aggiunto: “Il palco Left Field è stato creato da me e da una coope rativa di lavoratori volontari che cura il servizio bar di di versi festival. È lì che abbia mo sostenuto, da subito, le campagne per il disarmo nu cleare e per i lavoratori delle miniere, che sono stati an nientati negli anni ottanta dalle politiche di Margaret Thatcher”. Luke Morgan Britton, NME Playlist Pier Andrea Canei Mostri mediterranei 1 Bebawinigi Cugino Itt “Una sorta di Tom Waits al femminile”: attrice polistru mentista cantante, Virginia Quaranta si cimenta in un ep di avventurosa afabulazione. Film espressionisti ambientati in alveari postindustriali, car toni animati dark dell’est euro peo, membri della famiglia Addams che sacriicano ani mali e corde di violini scordati. E via associando liberamente, inché poi magari viene voglia di Burt Bacharach, o di un mondo normale. Però lei ci sa fare: tenere a mente per even tuali colonne sonore noise di corti giapponesi con tafani meccanici in stop motion. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 2 Lenula Mostri Dai freak show agli X‑Men, la mutazione adole scenziale passa per creature che esprimono il proprio anta gonismo in sembianze orribili, con la stessa energia del rock più duro. Il groove brindisino dei Lenula è di quelli da band rodate (apripista di Diafram ma, Massimo Volume, Nobrai no), massiccio e articolato, muscolare ma non grezzo, con il tastierista che pigia il basso come un allievo di Ray Manza rek. Nell’album Niente di più semplice sono come quelle band di una volta, capaci di ca vare ogni sfumatura di blues da pochi ingredienti. 3 McKenzie Fenice Tre calabresi in saletta a fare il power trio: pestano con perizia, dimentichi del disagio là fuori e s’inventano storie “non troppo leggere”, per for tuna in italiano, per un ep regi strato in casa con una protesi dentaria in copertina. È l’equi valente noise della marmellata di ortiche, sembra di vedere le etichette scritte a mano col pennarello. Artigianato sonoro per 22 minuti dove “si parla di dinamiche relazionali che im provvisamente non funziona no più”. Risorgono dalle ceneri anni novanta, e sembrano i tre draghi della regina bionda di Trono di spade, da piccoli. Classica Scelti da Alberto Notarbartolo Nikolaus Harnoncourt Beethoven: sinfonie n. 4 e 5 (Sony Classical) ria vudù e Pran ka mwen da grandi voci femminili. Il risul tato è un incantesimo potente. Neil Spencer, The Observer Album Pet Shop Boys (dopo due ep e una cassetta che li riproponeva insieme a tracce nuove) ed è una meravi glia. Carr passa con scioltezza da un cantato profondo ed espressivo a un rapping crudo, ed eccelle in entrambi. I brani parlano di rimozione e isola mento, sono dolci e dolenti ma allo stesso tempo forti e solidi. In my neighborhood, Next stop e Dominatrix pullulano di vita; Fire, Live again e Forget that I bruciano come carboni spenti. Kiid lascia senza parole. James Rettig, Stereogum Lakou Mizik Wa di yo (Cumbancha) ●●●●● Lakou Mizik è una band multi forme nata dopo il terremoto che ha devastato Haiti nel 2010. Mentre la piccola repub blica caraibica precipitava nel caos e si difondeva il colera, i musicisti Steeve Valcourt e Jo nas Attis hanno pensato a una band che fosse un antidoto ai tempi duri, quasi un simbolo di rinascita nazionale, e che met tesse insieme varie compo nenti e anime della musica haitiana. Oggi nove musicisti appartenenti a generazioni di verse presentano il loro album di debutto: un’opera allegra, piena di vita, con tante voci e idee che richiamano il sound dei cori di chiesa e del carne vale in strada. Anba siklon è ar ricchita da un tocco di zydeco, Zao pile te da raiche di batte Nisennenmondai #N/A (On U Sound) ●●●●● Una sorta di techno minimale suonata da una formazione di rock classico: il trio chitarra, basso e batteria. Dio solo sa Dr Mal Devisa Kiid (autoproduzione) ●●●●● Mal Devisa è il progetto di Deja Carr, un’artista di Northampton, nel Massachu setts, che ora come ora incarna la musicista: ininitamente brillante, e attiva nel circuito dei concerti più che in quello delle label. Ascoltate dal vivo, le sue canzoni sono una rivela zione. E lei, armata solo di bas so e tastiera, appare imponen te. Kiid è il suo primo disco The Last Shadow Puppets Everything you’ve come to expect (Domino) ●●●●● Il secondo album di The Last Shadow Puppets, il supergrup po di Alex Turner (Arctic Mon keys) e Miles Kane, è proprio quello che ci aspettavamo. So no intelligenti canzoni pop rock con un’atmosfera anni settanta e testi su amori deso lati. Ma nonostante la forza dei singoli elementi, è come se in sieme non funzionassero be ne. Gran parte dell’album sa rebbe perfetto per il prossimo ilm su James Bond, però que sta grandiosità non è abba stanza. I testi sono sorpren dentemente generici per un autore come Turner. Alla ine, Everything you’ve come to expect è prodotto bene e riserva mo menti divertenti, ma chi si aspettava uno degli album dell’anno rimarrà deluso. Mac Gushanas, Earbuddy Dr Pet Shop Boys Super (X2) ●●●●● Se si dovesse immaginare una canzone che rappresenti l’es senza dei Pet Shop Boys, nulla funzionerebbe meglio di The pop kids, il loro ultimo singolo. È la storia di due amici che si conoscono all’università a Londra all’inizio degli anni no vanta, vanno a ballare insieme e sposano il loro amore quasi trascendentale per la musica pop. La canzone è una celebra zione dell’amicizia e della complicità che nascono dall’amore per la stessa musi ca. Ed è la migliore introduzio ne a Super, il secondo album prodotto dal duo con Stuart Price (Madonna, New Order). Anche negli anni ottanta i Pet Shop Boys erano unici, sempre capaci di raccontare storie da quattro minuti con precisione ed empatia. E su Super lo fanno ancora egregiamente. Escapi smo, avventura, reinvenzione e complicità sono le qualità che hanno fatto entrare i Pet Shop Boys nella storia del pop. E loro rimangono, ora e per sempre, i pop kids. Dorian Lynskey, The Guardian Howard Griiths Weber: ouvertures (Cpo) The Last Shadow Puppets Ton Koopman Telemann: Tafelmusik (Erato) perché alcuni gruppi la fanno, ma bisogna ammettere che il risultato non è male. In Giap pone questo genere di musica esiste dal 1999 grazie al trio femminile Nisennenmondai. Accordi ridotti al minimo, bas so e batteria che marciano or dinatamente come in autostra da, mentre la chitarra emette suoni rumorosi. La musica del nuovo album delle Nisennen mondai, #N/A, sembra un in sieme di cerchi concentrici ri petuti meccanicamente. Il di sco è nobilitato dagli interventi del leggendario produttore dub e reggae Adrian Sher wood, anche se la sua inluen za è poco visibile. Der Standard Nicholas Walker Balakirev: l’opera per pianoforte, vol. 2 Nicholas Walker, piano (Grand Piano) ●●●●● Il nome di Milij Balakirev (18371910) è ancora famoso, ma le sue composizioni sono quasi completamente dimenti cate. L’albero che nasconde la foresta è Islamey, che attira an cora i virtuosi in cerca di side. Per fortuna la sfavillante sona ta in si bemolle minore conti nua a interessare qualche pia nista, tra i pochi capaci di veni re a capo della sua immensa diicoltà tecnica. Nicholas Walker l’aveva messa nel pri mo volume di questa integrale, mentre nel secondo si concen tra sui pezzi brevi composti tra il 1898 e il 1906, durante la stu pefacente estate indiana del sessantenne Balakirev. E lo fa sempre con una nostalgia ele gante e slancio energico. Con siderando quanto poco capita di ascoltare questa musica, è un cd molto utile, oltre che pia cevolissimo. Bertrand Boissard, Diapason Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 87 Cultura Arte Giochi da bambini Negli ultimi anni c’è stato un boom dell’arte infantile sul mercato internazionale. Non si tratta dell’elaborazione di esperienze traumatiche legate alla propria infanzia, né di autentici lavori di bambini, ma di una vera narrativa legata ai sogni puerili. Dai iori di Takashi Murakami ai giocattoli di Jef Koons, ino agli scivoli o alle giostre di Carsten Höller, i prezzi sono volati alle stelle e quella che prima era un’eccezione ormai è una tendenza. Per gli artisti è un rifugio in un mondo che evade le regole. Per i collezionisti è un investimento sicuro e un lusso rainato. È interessante notare come sia i collezionisti sia gli artisti, siano prevalentemente uomini. Die Zeit Areej Kaoud, The artist hard at work (2016) DANIEllA BAPTISTA Un genio ritroso David Hammons, Mnuchin Gallery, New York, ino al 27 maggio Una retrospettiva concisa, quasi un campionario, di opere importanti di David Hammons. A 72 anni di età, e quaranta di carriera, l’artista afroamericano ha sempre scelto di esporre poco. Hammons rifugge dal mondo dell’arte ma allo stesso tempo lo ammalia tanto da essere quasi considerato un mondo dell’arte a sé. Sfuggente e unico, è un oracolo satirico e un sottile esteta della scultura postminimalista. Commedia e tragedia si alternano nelle sue opere. In the hood è una foresta di cappucci neri stagliati contro una parete bianca, un’installazione intelligente e minacciosa al tempo stesso. Traveling è una grisaglia ottenuta facendo ripetutamente rimbalzare un palla sporca di “terra di Harlem” su un foglio bianco. The New Yorker Dubai Aria nuova alla iera degli Emirati Art Dubai artdubai.ae In una lettera del 1970, il poeta statunitense George Oppen scriveva alla sorella: “Il problema è la felicità, non c’è nessun altro problema dal punto di vista politico”. Oppen, che era comunista, sarebbe stato sorpreso di scoprire che il primo ministro degli Emirati Arabi Uniti e governatore di Dubai, lo sceicco Rashid al Maktoum, è d’accordo con lui e ha nominato un ministro per la felicità. Chiunque abbia dormito in un letto di Plot, l’installazione di Sreshta Rit Premnath realizzata per l’ultima edizione di Art Dubai, sicuramente non parlerebbe di felicità. Si tratta di un grande pannello che da una parte mostra un cartellone della società di costruzioni Damac, e dall’altra alcune cuccette usate dai migranti che lavorano nei cantieri edili degli Emirati. Plot è una delle otto installazioni di Project, la sezione non proit della iera Art Dubai. Questo lavoro è un atto di denuncia sia delle condizioni dei lavoratori negli Emirati sia una presa d’atto della polemica sollevata dalle dichiarazioni antimusulmane di Donald Trump, in seguito alle quali il suo partner di Dubai Damac, ha temporaneamente tolto il suo nome dai cantieri per salvare la faccia. Giunta alla sua decima edizione, la rassegna si è raforzata. Quest’anno erano presenti non solo gallerie (94 da 40 paesi), ma anche convegni, premi, residenze, ilm e programmi radio. Un gran risultato, anche se ogni opera deve ancora passare l’esame dell’autorità per la cultura e le arti, prima di essere esposta. Financial Times Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 89 Pop L’insostenibile leggerezza della volgarità Slavoj Žižek ochi mesi fa, Donald Trump veniva rego- dubbio queste afermazioni, facendo notare che la conlarmente paragonato senza troppi riguardi versazione tra Al Husseini e Hitler non può essere veria un uomo che defeca rumorosamente icata, e che le uccisioni di massa di ebrei europei per nell’angolo di una stanza dove si sta svol- mano delle unità mobili di sterminio delle Ss erano cogendo una festicciola elegante. Gli altri minciate già da un pezzo quando i due uomini s’inconcandidati repubblicani alla presidenza de- trarono. Non dovremmo farci ingannare sul signiicato gli Stati Uniti sono migliori? Probabilmente ricordiamo di dichiarazioni come quelle di Netanyahu: sono un evitutti la scena del Fantasma della libertà di Buñuel in cui dente segnale della regressione della nostra sfera pubil rapporto tra mangiare e defecare è rovesciato: gli in- blica. Accuse e idee che ino a oggi erano coninate nel vitati sono seduti sulle tazze del gabinetto intorno al mondo oscuro delle oscenità razziste si stanno afertavolo, assorti in una piacevole conversazione, e quan- mando nella narrazione uiciale. Il problema qui è quella che Hegel chiamava Sittlich do vogliono mangiare chiedono a bassa voce alla domestica “dov’è quel posticino?” e si appartano in una keit: l’eticità, l’ampio retroterra di norme (non scritte) stanzetta sul retro. I dibattiti dei candidati repubblica- della vita sociale, la densa sostanza etica che ci dice cosa possiamo e cosa non possiamo fare. ni, per prolungare la metafora, non sono forse come la riunione nel ilm di Buñuel? Qualunque cosa sia, Queste regole oggi si stanno disintegrando: quello che ino a vent’anni fa era semE lo stesso non vale forse per molti im- Trump non è un portanti politici del pianeta? Erdoğan pericoloso outsider. plicemente impossibile dire in un dibattito pubblico oggi può essere detto con non stava forse defecando in pubblico La funzione delle assoluta impunità. Può sembrare che quando, in un attacco di paranoia, ha li- sue “simpatiche” quidato chi critica la sua politica nei con- provocazioni e delle questa disintegrazione sia controbilanciata da una maggiore correttezza politifronti dei curdi come traditore e agente sue uscite volgari è ca, che prescrive esattamente cosa non si straniero? Putin non stava defecando in mascherare la può dire, ma un esame più attento rende pubblico quando (con una volgarità ben normalità del suo evidente come le regole del politically calcolata, che puntava ad accrescere la programma correct partecipino allo stesso processo di sua popolarità in patria) ha minacciato disintegrazione della sostanza etica. Per un oppositore della sua politica in Cecenia di castrazione farmacologica? Sarkozy non stava provare questo punto, basta ricordare l’impasse della defecando in pubblico quando, nel 2008, aggredì un correttezza politica: la necessità di regole appare quanagricoltore che si riiutava di stringergli la mano dicen- do l’eticità non scritta non è più in grado di normare con do “Casse-toi, alors, pauvre con!” (una traduzione eicacia le interazioni quotidiane. Invece di costumi edulcorata potrebbe essere: “Levati di mezzo, povero spontanei rispettati in modo automatico, abbiamo così idiota!”, ma il vero signiicato è molto più vicino a qual- regole esplicite (i neri diventano “afroamericani”, grasso diventa “con problemi di peso”, tortura diventa “teccosa del tipo: “Togliti dalle palle, coglione!”)? L’elenco potrebbe continuare. In un discorso al nica d’interrogatorio raforzata” e, perché no, stupro Congresso sionista mondiale, il 21 ottobre 2015 a Geru- potrebbe diventare “tecnica di seduzione raforzata”). salemme, il primo ministro israeliano Benjamin Netan- Il punto cruciale è che la tortura – la violenza brutale yahu ha lasciato intendere che Hitler voleva solo cac- praticata dallo stato – è diventata pubblicamente accetciare gli ebrei dalla Germania, non sterminarli, e che fu tabile nel momento stesso in cui il linguaggio pubblico Haj Amin al Husseini, gran mufti palestinese di Geru- è stato reso politicamente corretto per proteggere le salemme, a persuaderlo che gli ebrei andavano elimi- vittime dalla violenza simbolica. Questi fenomeni sono nati. Netanyahu ha descritto uno scambio tra i due lea- due facce dello stesso problema. Possiamo individuare fenomeni simili in altri settoder, avvenuto nel novembre 1941, in cui Al Husseini avrebbe detto a Hitler di non espellere gli ebrei dall’Eu- ri della vita pubblica. Quando è stato annunciato che, ropa, altrimenti “verranno tutti qui in Palestina”. Stan- da luglio a settembre 2015, negli Stati Uniti sudoccidendo a Netanyahu, Hitler a quel punto avrebbe chiesto: tali si sarebbe tenuta Jade helm 15, una grande esercita“Allora cosa dovrei farne?”, al che il mufti avrebbe ri- zione militare, la notizia ha sollevato immediatamente sposto: “Bruciarli”. Molti dei maggiori studiosi israelia- il sospetto che si trattasse di un complotto federale per ni dell’Olocausto hanno immediatamente messo in mettere il Texas sotto la legge marziale in diretta viola- P SLAVOJ ŽIŽEK è un ilosofo e studioso di psicoanalisi sloveno. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Problemi in paradiso. Il comunismo dopo la ine della storia (Ponte alle Grazie 2015). Il titolo originale di questo articolo è The simple art of defecating in public. 90 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Manuele FIor zione della costituzione. In questa paranoia complotti sta ritroviamo tutti i soliti sospetti, Chuck norris com preso. Il più folle di tutti è il sito all news Pipeline, che ha collegato le esercitazioni alla chiusura di diversi grandi magazzini Walmart in Texas: “Questi enormi negozi potrebbero presto essere usati come ‘centri di distribuzione di generi alimentari’ e come sede del quartier generale delle truppe d’invasione dalla Cina, che vogliono disarmare gli americani uno a uno prima che obama lasci la Casa Bianca, come Michelle ha pro messo ai cinesi”. Quello che rende sinistra l’intera vi cenda è la reazione ambigua dei più insigni repubblica ni del Texas: il governatore Greg abbott ha ordinato alla guardia di stato di monitorare le esercitazioni, mentre il senatore Ted Cruz ha chiesto più dettagli al Pentagono. Trump è l’espressione più pura di questa tendenza allo svilimento della nostra vita pubblica. Cosa fa per rubare la scena nei dibattiti pubblici e nelle interviste? ofre un cocktail di volgarità politicamente scorrette: attacchi razzisti (contro gli immigrati messicani), so spetti sul luogo di nascita di obama e sulla sua laurea, sortite di pessimo gusto sulle donne, ofese agli eroi di guerra come il senatore John McCain, e via così. Queste rozze battute vogliono indicare che Trump se ne ini schia delle false buone maniere e “dice apertamente quello che pensa” (come molte persone qualunque). In breve, fa chiaramente capire che, nonostante i suoi mi liardi, lui è un uomo volgare come tutti noi comuni mortali. Ma queste volgarità non devono trarci in inganno: qualunque cosa sia, Trump non è un pericoloso out sider. Semmai, il suo programma è perino abbastanza moderato (e riconosce molte conquiste dei democrati ci). la funzione delle sue “simpatiche” provocazioni e delle sue uscite volgari è proprio mascherare la norma lità del suo programma. Il suo segreto è che se per miracolo vincesse non Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 91 Pop Storie vere Una corte d’appello della Florida ha ordinato alla contea di Marion di annullare la sentenza contro Joshua Andrew Chandler e scarcerarlo. L’uomo era stato assolto da un’accusa di detenzione di metanfetamina, ma condannato per possesso di strumenti per il consumo di stupefacenti. Lo strumento in questione era una banconota da un dollaro. La corte ha stabilito che “la dichiarazione dei testimoni, secondo cui la banconota arrotolata viene usata abitualmente per inalare sostanze stupefacenti, non è suiciente per giustiicare una condanna”. cambierebbe niente, a diferenza di Bernie Sanders, il democratico di sinistra il cui vantaggio cruciale sulla sinistra liberale politicamente corretta è che comprende e rispetta i problemi e i timori degli operai e degli agricoltori. Il duello elettorale davvero interessante sarebbe quello tra Trump come candidato repubblicano e Sanders come candidato democratico. Ma perché parlare di buone maniere e comportamenti civili, oggi che ci troviamo di fronte a quelli che sembrano problemi reali molto più pressanti? Perché le buone maniere contano, in situazioni di tensione sono una questione di vita e di morte, una linea sottile che separa la civiltà dalla barbarie. Negli ultimi episodi di volgarità pubblica c’è un elemento su cui vale la pena di sofermarsi. Negli anni sessanta, le sporadiche volgarità erano associate alla sinistra: gli studenti rivoluzionari usavano spesso il linguaggio comune per enfatizzare la loro opposizione alla politica uiciale e al suo eloquio forbito. Oggi il linguaggio volgare è quasi esclusivamente una prerogativa dell’estrema destra, e la sinistra viene a trovarsi nella sorprendente posizione di paladina del decoro e della civiltà. Per questo la destra repubblicana moderata e razionale è nel panico: dopo l’uscita di scena di Jeb Bush, sta disperatamente cercando un volto nuovo. Ma il vero problema non è il candidato: è la debolezza intrinseca della posizione moderata razionale. Il fatto che la maggioranza non si lasci convincere dalla narrazione capitalistica razionale e sia molto più incline ad appoggiare una posizione populista e antielitaria non va liquidato come un esempio della rozzezza delle classi inferiori: i populisti colgono giustamente l’irrazionalità di questo approccio razionale, e la loro rabbia contro istituzioni anonime che decidono della nostra vita in modo non trasparente è pienamente giustiicata. u gc La bellezza triste di Bruxelles Antonio Muñoz Molina ANTONIO MUÑOZ MOLINA è uno scrittore e giornalista spagnolo. Il suo ultimo lavoro pubblicato in Italia è Il vento della luna (Mondadori 2008). Questo articolo è uscito sul País con il titolo Bruselas. 92 i avevano parlato così male di Bruxelles che la prima volta che ci sono andato non l’ho riconosciuta. Era grigia, mi avevano detto, piovosa, noiosa, una roccaforte della burocrazia europea. Sono arrivato di mattina e c’era il sole. Era una giornata fresca di primavera. Alloggiavo all’hotel Metropole, dove ci sono saloni profondi pieni di colonne, un bar con i divani e i tavoli di marmo e inestre enormi per guardare la gente seduta fuori o che passa per strada. Nella hall del Metropole c’è una grande foto in bianco e nero dei partecipanti al primo congresso Solvay di isica, che si tenne qui nel 1911, con la partecipazione di Albert Einstein e Marie Curie tra le tante eminenze M Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 della scienza europea presenti per discutere del conlitto nascente tra isica newtoniana e isica quantistica. Da una camera ai piani alti dell’hotel Metropole si vede una piazza allungata come un boulevard, alberi enormi, cornicioni di ediici che potrebbero essere parigini, mansarde e tetti di ardesia. Gli ediici dell’Unione hanno l’aspetto lussuoso, impersonale e generico di buona parte dell’architettura recente, ma il centro della città è un concentrato dei tratti migliori di una capitale europea: le piazze storiche, i vicoli dei vecchi artigiani e dei negozi, i viali borghesi, gli ediici enfatici dell’ottocento e degli inizi del novecento, le buone librerie, i ristoranti dalla solidità francese o iamminga. Per alcuni giorni ho visitato la città in compagnia di mio iglio maggiore, che in quel periodo stava facendo un tirocinio alla Commissione europea. Ho partecipato a un festival letterario organizzato dalla splendida libreria Passa Porta; quando c’era il sole mi godevo l’aria pulita e mite, e quando si metteva a piovere mi godevo anche la pioggia, che è sempre una novità gradita per uno spagnolo abituato all’asprezza della siccità. Ho bevuto birra, ho mangiato in ristoranti eccelsi, ho passeggiato in gallerie coperte da soitti di vetro traslucido che ospitavano librerie dell’usato e negozi di dischi ben forniti. Come ormai succede in ogni capitale europea, in giro si vedevano molti spagnoli giovani, molto intraprendenti, alcuni lanciati nell’incerta avventura di trovare lavori che da noi non esistono e altri con una posizione all’altezza dei loro meriti: professori, burocrati dell’amministrazione europea, ricercatori. Un giorno dovremo raccontare la storia di questa nuova diaspora spagnola con i suoi dispiaceri e le sue preziose conquiste, una diaspora di gente che va incontro al mondo con una buona formazione, un’ampiezza di vedute ormai quasi congenita, una prospettiva vitale ed europea. A Bruxelles ho visto quadri degli antichi maestri iamminghi e di René Magritte, e ho trovato un negozio straordinario specializzato nei mondi di Tintin. Mi sono tornati in mente due belgi altrettanto degni d’ammirazione, Jacques Brel e Georges Simenon, e l’immagine sepolcrale e deserta della città dipinta da Joseph Conrad nelle prime pagine di Cuore di tenebra: la sede di un’impresa coloniale genocida in Congo, la spoliazione imperialista come sfondo inconfessabile dell’opulenza europea, stazioni di treni e boulevard, teatri dell’opera o palazzi di giustizia e musei eretti sfruttando e uccidendo africani presieduti con dignità regale da re Leopoldo I. Al tramonto, donne musulmane velate dalla testa ai piedi scendevano le scale mobili della metropolitana. Persone che conoscevano bene la città ci parlavano di quartieri poveri e ostili come ghetti. A Bruxelles salta agli occhi l’idea di Europa, il suo artiicio e la sua necessità, la sua fragilità, il rumore sordo, come di placche tettoniche, prodotto dal suo passato di conlitti: le rivoluzioni liberali, le guerre, la lunga vergogna del colonialismo, la chiarezza scientiica del congresso Solvay e la profonda irrazionalità dei movimenti nazionalistici e xenofobi. Nelle belle piazze europee gremite di bar all’aperto furono costruiti patiboli e roghi per gli eretici. Su queste strade acciottolate dove passeggiare è un piacere passarono camion militari tedeschi con gli al toparlanti e i soldati di pattuglia che abbattevano con il calcio della pistola le porte di chi era stato segnalato. Nelle dolci pianure verdi del Plat pays di Brel, che oggi si possono ammirare dal inestrino di un treno perfet to, solo un centinaio d’anni fa c’erano trincee piene di fango e crateri meteoritici lasciati dalle bombe che ca devano nel mezzo del niente. Proprio nella capitale di un sistema votato all’abolizione delle frontiere rispun ta, quasi in supericie, la vecchia diatriba dell’identità. Dovevo parlare a un evento pubblico, e uno degli orga nizzatori mi ha chiesto che lingua avessi intenzione di usare. Spagnolo e inglese andavano bene, mi ha detto, ma non il francese: scegliendo il francese avrei dato l’impressione di prendere parte a favore dell’identità vallone e francofona contro quella iamminga. Quel giorno ho detto che la cosa che mi piace di più dell’idea di Europa è un aspetto che per altri è la sua maggiore debolezza, o il suo difetto: il fatto di essere completamente artiiciale, di non basarsi su mitici legami di sangue, su una lingua primigenia o sulla leg genda di una comunità originaria. Nessuno si porterà la mano al cuore davanti a una bandiera europea, nes suno piangerà commosso ascoltando il suo inno. Gli hooligan ubriachi alla ine di una partita di calcio non si avvolgeranno in bandiere europee. Ma per mol te persone della mia generazione, l’Europa è tangibile quanto una boccata d’aria. Eravamo cresciuti in una dittatura claustrofobica, e l’Europa si spalancò davan ti ai nostri occhi come uno spazio illimitato di cittadi nanza, nel rispetto delle libertà personali e di un prin cipio di equità sociale. Noi spagnoli non eravamo sicu ri della nostra capacità di mantenere la pace, e l’Euro pa è sempre stata per noi garanzia di misura e primato della legge. Adesso alla televisione e sui giornali vedo immagi ni angoscianti di Bruxelles, ascolto grida di paura e di JIM HARRISON Poesia era un romanziere, poeta e sceneggiatore statunitense. Nato l’11 dicembre 1937, è morto il 26 marzo 2016. Questa poesia è tratta dalla sua ultima raccolta, Dead man’s loat (Copper Canyon Press 2016). Traduzione di Francesca Spinelli. Uccelli Gli uccelli volano convulsamente nel temporale appena scoppiato, il primo dopo settimane. Se la stanno spassando. Mi sa che li raggiungo. Jim Harrison dolore, esplosioni, raiche di spari, sirene e allarmi. Per me è diicile immaginare il caos e il panico in una città così tranquilla, così incline alla noia delle dome niche uggiose, alle placide passeggiate all’ombra degli alberi e alle chiacchiere ai tavoli all’aperto. Nelle piaz ze semideserte ci saranno camion blindati della poli zia, e quando arriverà la notte s’imporrà un silenzio da coprifuoco. Le donne velate di nero gireranno l’angolo più furtivamente e scenderanno di corsa le scale della metropolitana. José Ignacio Torreblanca ha denuncia to l’incapacità europea di assumere un atteggiamento chiaro, fermo e comune contro il terrorismo, e la capi tolazione davanti alle iniziative nazionali, che ci inde boliscono invece di renderci più eicaci. Come la democrazia spagnola, anche l’Europa uni ta ha molti più beneiciari che difensori. La furia dei nostri nemici dovrebbe essere un indizio del valore di tutto ciò di cui godiamo senza rendercene conto. L’Eu ropa è passeggiare senza paura per Bruxelles, in un mattino umido di sole e poche nuvole sparse, tra sco nosciuti che sono nostri improbabili compatrioti. L’Europa è anche essere consapevoli di tutta la razio nalità e di tutto il coraggio di cui avremo bisogno per difendere questi doni. u fr Scuole Tullio De Mauro Pigmalione e le tecnologie La bambina che ti regala, a te che insegni, un lampo di luce dei suoi occhi nel momento in cui capisce davvero che 0,21 è molto più gran de di 0,13240, e da quel momento camminerà spedita nel mondo dei decimali e, poi, delle frazioni. Il bambino che viene a chiederti una spiegazione e se tu lo ascolti e lodi il suo dubbio non lo dimenti cherà più. Queste cose una scuola di macchinette non le potrà mai dare, ai maestri, naturalmente, e agli alunni. Come molti ci fanno ricordare, da Ovidio a Bernard Shaw, Pigmalione grazie all’amo re diede vita alla fanciulla marmo rea di una sua scultura. Quello che le scienze dell’educazione chia mano “efetto Pigmalione”, il su scitare la vita dell’intelligenza con un’approvazione, ma anche spe gnerla con la disattenzione o lo spregio (basta uno sguardo, un cenno), una scuola senza inse gnanti non potrà conoscerlo. La newsletter Toile de l’éduca tion di Le Monde ha rilanciato la preoccupazione espressa da Jean Tévelis in un suo blog e nei suoi li bri di successo sull’educazione scolastica e familiare. L’ultimo li bro, A l’école des mômes, alla scuola dei bambinetti, alza il tiro contro tendenze ministeriali che mirano a meccanizzare l’insegnamento e hanno l’efetto di creare una scuo la di cancres, di scansafatiche, ma gari automatizzati. Apprendere e insegnare si sviluppano bene in un ambiente phyrtual, come dice Alfonso Molina, dove il virtual delle tecnologie integra potente mente ma non cancella il rapporto reale, isico, tra le persone. u Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 93 Scienza PAuLINE ASkIN (REuTERS/CONTRASTO) Un pinguino di Adelia in Antartide orientale Se Hansen ha ragione siamo nei guai Story Hinckley, The Christian Science Monitor, Stati Uniti Sta per succedere, avverte il climatologo James Hansen: lo scioglimento dei ghiacci non solo farà salire il livello dei mari, ma modiicherà le correnti oceaniche, stravolgendo il clima ames Hansen è uno dei più grandi climatologi dei nostri tempi? Speriamo di no. L’ex scienziato della Nasa è noto per le sue previsioni accurate e precoci. Nel 1988 annunciò alla commissione del senato statunitense per l’energia e le risorse naturali che il riscaldamento globale era imputabile per il 99 percento alle attività umane. Se oggi nessuno si stupisce, trent’anni fa attribuire con certezza la colpa all’umanità era una novità. Con la sua sicurezza incrollabile, Hansen turbò scienziati e politici. Ora ha turbato di nuovo gli scienziati con uno studio sul cambiamento climatico, uscito su Atmospheric Chemistry and Physics, che va in controtendenza. “I costi economici e sociali della perdita di funzionalità di tutte le città costiere sono incalcolabili”, spiega Hansen insieme a 18 coautori. “A no- J 94 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 stro avviso, una strategia fondata sull’adattamento a simili conseguenze è inaccettabile per la maggior parte dell’umanità, per cui riteniamo fondamentale capire meglio e al più presto l’entità della minaccia”. Secondo gli autori dello studio, limitare l’aumento delle temperature globali entro i due gradi al di sopra del livello preindustriale non basta: l’ultima volta che la Terra si riscaldò così tanto – 120mila anni fa – le conseguenze furono devastanti. In parole povere, Hansen sostiene che le emissioni di gas serra che intrappolano il calore hanno causato un aumento della temperatura che, a sua volta, ha provocato il rapido scioglimento dei ghiacci. L’acqua così prodotta ha accelerato lo scioglimento dell’Antartide e della Groenlandia e, prima o poi, rallenterà o fermerà del tutto le correnti oceaniche responsabili della ridistribuzione del calore nel pianeta. Quando avvenne 120mila anni fa, il livello del mare si alzò tra i sei e i nove metri scatenando cicloni così violenti da provocare una pioggia di macigni sulle Bahamas, dice Hansen. “In primo luogo le nostre conclusioni indicano che l’obiettivo di limitare a due gradi l’aumento del riscaldamento globale, dato a volte già messo in discussione, non garantisce alcuna sicurezza”, spiegano Hansen e i colleghi. “In secondo luogo lo studio suggerisce che la temperatura globale dell’aria in supericie, anche se è un importante strumento diagnostico, è un indicatore imperfetto della ‘salute’ del pianeta perché il veloce scioglimento dei ghiacci ha un efetto refrigerante che dura a lungo”. “In terzo luogo oggi non solo abbiamo le prove dei cambiamenti che cominciano a veriicarsi nel sistema climatico, ma possiamo associare questi cambiamenti all’ampliicazione di alcuni fenomeni”, aggiungono gli autori. “Esiste la possibilità, il pericolo reale, di consegnare ai giovani e alle generazioni future un sistema climatico incontrollabile. Il messaggio dei climatologi alla società, ai politici e all’opinione pubblica è questo: siamo in una situazione di emergenza globale”. Mentre previsioni simili di altri climatologi si riferiscono ai prossimi secoli, quelle di Hansen si riferiscono ai prossimi decenni. Se ha ragione, è davvero un’emergenza globale. L’eventuale riorganizzazione del mondo, però, dipende dalla iducia che stavolta scienziati e politici avranno in lui. Michael Mann, climatologo dell’università della Pennsylvania, ha detto al New York Times: “Se ignoriamo Hansen lo facciamo a nostro rischio e pericolo”. u sdf Da sapere Dai millimetri ai centimetri u uscito in anteprima a luglio del 2015, l’articolo di James Hansen aveva suscitato molte perplessità: perché era stato divulgato prima di passare per il processo di revisione (peer review) ed essere pubblicato su una rivista scientiica, e perché era stato accusato di essere altamente speculativo e di non essere sostenuto dagli altri studi. Ora, però, la versione rivista, uscita su un giornale di settore, è sostanzialmente uguale alla precedente: quasi nessuna delle afermazioni dell’équipe di Hansen è stata modiicata. Inoltre, un nuovo studio, appena uscito su Nature, va nella stessa direzione. Secondo l’équipe di Rob DeConto, dell’università del Massachusetts ad Amherst, il livello dei mari si alzerà di un metro entro il 2100, anche se l’aumento delle temperature rimarrà entro i due gradi. E se farà più caldo, gli oceani potrebbero innalzarsi di due metri. “Oggi si misura l’aumento del livello dei mari in millimetri all’anno in tutto il pianeta”, ha detto DeConto. “Noi invece parliamo di un possibile aumento in centimetri all’anno dovuto al solo scioglimento dei ghiacci antartici”. Psicologia GENETICA Fungicidi sotto controllo La faccia che dice no Un mondo sovrappeso I dati raccolti in 186 paesi tra il 1975 e il 2014 rivelano che l’obesità e il sovrappeso colpiscono nel mondo più persone della denutrizione. Se la tendenza continua, entro il 2025 l’obesità potrebbe riguardare globalmente il 18 per cento degli uomini e più del 21 per cento delle donne. Tuttavia, in asia meridionale circa un quarto della popolazione è sottopeso, una condizione comune anche in africa centrale e orientale, scrive The Lancet. Obesità nel mondo, % 1975 Uomini 2014 Donne 0 3 6 9 12 15 Cognition, Stati Uniti un viso con la fronte aggrottata, le labbra strette e il mento alzato trasmette un messaggio universale di riiuto. L’espressione sarebbe comune a persone di culture diverse, che la userebbero per raforzare il “no” detto a voce. In un esperimento, condotto su 158 studenti dell’università statale dell’Ohio, negli Stati uniti, è stato chiesto a volontari di madre lingua inglese, spagnola, cinese o che comunicavano in lingua dei segni di rispondere a domande costruite per suscitare reazioni negative, come: “uno studio indica che i costi dell’istruzione dovrebbero aumentare del 30 per cento. cosa ne pensi?”. I volontari tendevano a manifestare la loro disapprovazione con un’espressione particolare, simile per tutti, che comunicava un insieme di disgusto, rabbia e disprezzo. Secondo i ricercatori, questa espressione non serve solo per esternare la propria contrarietà, ma diventa una parte della comunicazione verbale. L’espressione è usata come un marcatore, un “no”, reso attraverso i muscoli del viso, che modiica il signiicato di quanto detto a parole, e nel caso della lingua dei segni può sostituire la parola “no”. Secondo i ricercatori, l’espressione del viso potrebbe avere un signiicato evolutivo. u Paleoantropologia IN BREVE Linguistica L’università svedese di Lund recluta gatti domestici e rispettivi proprietari per condurre una ricerca sull’inluenza della cadenza dialettale nella comunicazione dei felini. Oltre a decifrare i signiicati dei miagolii, Susanne Schötz, esperta di fonetica, vuole capire se i gatti li modulano in modo diverso a seconda del tono e dell’accento dei loro padroni. Salute La struttura di zika è molto simile a quella dei virus dello stesso gruppo. Tuttavia, è diversa una regione da cui probabilmente dipende la capacità dello zika di infettare le cellule umane. Questa scoperta potrebbe aiutare a sviluppare un vaccino e terapie. Il ceppo virale studiato è quello isolato nella Polinesia francese nel 20132014, scrive Science. ASTRONOMIA Un sistema con tre soli LIanG Bua Team SALUTE ThOmaS PeTer (reuTerS/cOnTraSTO) I fungicidi della famiglia delle strobilurine, usati in agricoltura da vent’anni, potrebbero far male alla salute. I ricercatori dell’università del north carolina, negli Stati uniti, hanno osservato in cellule nervose di topo coltivate in vitro ed esposte alle strobilurine delle modiicazioni genetiche tipiche dell’autismo e di malattie neurodegenerative come l’alzheimer. Inoltre, hanno riscontrato un eccesso di radicali liberi, molecole molto reattive che danneggiano il dna e i meccanismi cellulari interni. Questi risultati, precisano gli autori su Nature Communications, non dimostrano che questi fungicidi causino l’autismo, ma che possono danneggiare i neuroni. e resta da capire se la quantità di strobilurine assimilata dal corpo umano causa gli stessi danni osservati in provetta sui topi. L’H. loresiensis è più vecchio L’Homo loresiensis potrebbe essere più antico del previsto. una nuova datazione dei fossili trovati nella grotta di Liang Bua (nella foto), sull’isola indonesiana di Flores, ha permesso di stabilire che l’ominide si è estinto già cinquantamila anni fa, probabilmente con l’arrivo nella regione dell’Homo sapiens, e non undicimila anni fa, come inora ipotizzato. Secondo Nature, l’Homo loresiensis non avrebbe quindi convissuto con le popolazioni umane, mentre non è escluso che abbia interagito con i denisoviani, altri ominidi arcaici estinti . u È stato trovato alla distanza di 680 anni luce dalla Terra un sistema solare con tre stelle: una è più luminosa del Sole e le altre due, considerate in precedenza un’unica stella, formano un sistema binario. Del sistema fa parte Kelt-4ab, un pianeta gigante gassoso simile a Giove. Secondo l’Astronomical Journal, sistemi con tre stelle erano già noti, ma lo studio di Kelt-4 potrebbe aiutare a capire meglio la loro dinamica. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 95 Il diario della Terra Ethical living Grecia 5,2M Stati Uniti 6,2M Pakistan Economia circolare Giappone 6,0M Pakistan Guatemala 42,8°C Kolda, Senegal Palau Sudan Indonesia 5,1M 17S Vanuatu 7,2M Australia -72,2°C Vostok, Antartide FAyAz AzIz (REUTERS/CoNTRASTo) guito, in Guatemala, si è risvegliato proiettando cenere a quattromila metri d’altitudine. Cicloni Il ciclone 17S si è formato nell’oceano Indiano centrale. Peshawar, Pakistan Coralli La barriera corallina australiana è a rischio a causa della temperatura troppo alta del mare, che ha provocato lo sbiancamento dei coralli. Il fenomeno ha colpito il 95 per cento della barriera tra Cairns e la Papua Nuova Guinea. Alluvioni Almeno 92 persone sono morte nelle alluvioni e nelle frane causate dalle forti piogge che hanno colpito il nordovest del Pakistan. Circa 1.200 case sono state danneggiate. Siccità L’arcipelago di Palau, nell’oceano Paciico, ha proclamato lo stato d’emergenza per una grave siccità causata dal fenomeno meteorologico del Niño. u Quattrocentomila persone hanno bisogno di aiuti alimentari a causa della siccità che ha colpito il Sudan. Vulcani Il vulcano Santia- 96 Ratti Un’invasione di ratti ha spinto le autorità di Peshawar, in Pakistan, a Uccelli Il gruccione e il luì piccolo sono tra gli uccelli europei che trarranno vantaggio dal cambiamento climatico, mentre la peppola e la cincia alpestre ne saranno danneggiate. Anche negli Stati Uniti sono state individuate alcune specie aviarie favorite dal cambiamento, confermando la validità del modello che prevede la risposta dei diversi tipi di uccelli all’aumento delle temperature, scrive Science. Lady Elliot Island, Australia DAVID GRAy (REUTERS/CoNTRASTo) Terremoti Un sisma di magnitudo 7,2 sulla scala Richter è stato registrato al largo dell’arcipelago di Vanuatu. Non ci sono state vittime. Altre scosse sono state registrate nell’isola indonesiana di Sumatra, in Giappone, in Grecia e in Alaska. ofrire ino a tre euro agli abitanti per ogni animale ucciso. Negli ultimi tre anni cinque neonati sono morti a causa dei morsi dei roditori. Biodiversità Dalle foreste primordiali alle barriere coralline, circa la metà dei siti naturali patrimonio dell’umanità dell’Unesco sono minacciati dalle attività industriali, come l’esplorazione di gas e petrolio e l’estrazione mineraria, dal disboscamento illegale e dalla pesca eccessiva. Secondo il Wwf, 114 siti, sui 229 classiicati per il loro habitat naturale, la lora e la fauna, sono a rischio. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 u Il pensiero di Walter Stahel, architetto e ingegnere svizzero al quale si deve il concetto di “economia circolare”, può essere riassunto così: riusa quello che puoi, ricicla quello che non può essere riusato, ripara quello che può essere aggiustato, rigenera quello che non può essere riparato. Stahel stesso ha deciso di applicare questi principi alla sua auto, che dopo trent’anni di servizio aveva bisogno di attenzioni. Dopo due mesi e cento ore di lavoro la macchina è tornata alla sua “bellezza originaria”, scrive l’architetto su Nature. Il problema è il dominio dell’economia lineare, spiega Stahel. Questo modello è come un iume, che scorre trasformando le risorse naturali in materie prime e in prodotti da vendere al dettaglio. Al termine del processo la proprietà e le responsabilità legate ai rischi e alla produzione dei riiuti sono trasferite al compratore inale. È un modello eiciente per superare la scarsità, ma dissipa risorse in mercati spesso saturi. L’economia circolare è invece come un lago. La rigenerazione dei beni e dei materiali aiuta la creazione di posti di lavoro e fa risparmiare energia, riducendo il consumo di risorse e i riiuti. Pulire una bottiglia di vetro e riusarla è più veloce ed economico che riciclare il vetro o produrre una nuova bottiglia. Un ulteriore passo avanti è l’economia basata sull’aitto, il prestito e la condivisione. Per facilitare la transizione Stahel consiglia misure come l’aumento delle tasse sulla produzione e la riduzione di quelle sulla riparazione. Il pianeta visto dallo spazio 20.03.2016 eArthobservAtory/NAsA Neve di primavera sulle Alpi Monaco Zurigo Berna Ginevra Lubiana Milano Venezia Nord 100 km u A metà marzo le ultime nevicate di primavera hanno imbiancato le Alpi. Nonostante il sole, le temperature sui pendii più alti sono rimaste abbastanza basse da preservare il manto nevoso. Le Alpi si estendono per 1.200 chilometri in otto paesi e sono la catena montuosa più lunga entro i conini europei, con oltre cento vette che superano i quattromila metri. Nell’inverno 2015-2016 la neve è arrivata tardi. Qualche nevicata a novembre – il consueto inizio della stagione – è stata seguita da settimane di temperature al di sopra della media. Molte località non hanno avuto neve ino ai primi giorni dell’anno nuovo. L’andamento climatico si è normalizzato a gennaio e a febbraio, e la consistente nevicata di marzo – in alcune zone tra i quaranta centimetri e il metro – ha riacceso le speranze del turismo invernale. Questo andamento, come quello del 2014-2015, rientra nella tendenza a lungo termine delle Alpi europee. Per buona parte del ventesimo secolo la Lo spettroradiometro Modis, a bordo del satellite Terra della Nasa, ha scattato questa foto delle Alpi quasi senza nuvole il 20 marzo 2016 . u neve è leggermente aumentata o si è mantenuta stabile. Negli anni ottanta e novanta, invece, la copertura nevosa media ha cominciato a ridursi e la piovosità è aumentata alle altitudini minori, tendenza che si è protratta in questo secolo. Anche se la supericie media coperta dalla neve in un qualunque inverno non è cambiata molto, lo spessore e la durata del manto nevoso sono diminuiti soprattutto a sudest e a sudovest e sotto i duemila metri.–Mike Carlowicz (Nasa) Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 97 Economia e lavoro ALkIS koNSTANTINIDIS (REUTERS/CoNTRASTo) Atene, Grecia Atene protesta con il Fondo monetario gio del paese da parte dell’eurozona. La scadenza imminente ofrirebbe all’Fmi un maggior potere contrattuale e gli permette rebbe di strappare concessioni alla Germa nia sulla cancellazione del debito, che il fondo considera essenziale per una ripresa a lungo termine della Grecia. Il 2 aprile l’episodio ha reso necessaria una riunione d’emergenza dei più impor tanti ministri greci e ha spinto Tsipras a scri vere a Lagarde per esprimere la sua “pro fonda preoccupazione”. Nella lettera il premier greco aferma che è in gioco “la possibilità della Grecia di idarsi e di conti nuare a negoziare in buona fede” con l’Fmi. Nella sua risposta, Lagarde avverte che la reazione dei greci alla trascrizione ha incri nato a sua volta la iducia dell’Fmi. “Ma do po aver rilettuto, ho deciso di permettere alla nostra squadra di tornare ad Atene per portare avanti i colloqui”, ha scritto. Poi, con una frecciata al modo in cui la Grecia ha gestito la questione, ha aggiunto che l’Fmi “negozia in buona fede, senza minacce e senza far circolare documenti riservati”. Discutere con Merkel J. Brunsden e K. Hope, Financial Times, Regno Unito Secondo un documento difuso da Wikileaks, il Fondo vuole spingere la Grecia sull’orlo dell’insolvenza per avere più forza nei negoziati sul salvataggio del paese hristine Lagarde, la direttrice del Fondo monetario internaziona le (Fmi), ha respinto deinendo le “assurdità” le accuse della Grecia secondo cui l’Fmi starebbe cercan do di spingere Atene verso l’insolvenza. In una lettera al primo ministro greco Alexis Tsipras, Lagarde ha difeso i collaboratori dell’Fmi al centro di un caso scoppiato in torno a un documento fatto arrivare alla stampa il 2 aprile. Si tratta della trascrizione di una teleconferenza avvenuta a metà marzo in cui due funzionari dell’Fmi discu tono dei negoziati per il salvataggio della Grecia. Tsipras ha dichiarato che la trascrizione della teleconferenza, pubblicata da Wiki leaks, sollevava dei dubbi sul fatto che Ate ne possa continuare a trattare con i due funzionari intercettati: Poul Thomsen, di C 98 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 rettore del dipartimento europeo dell’Fmi, e Delia Velculescu, responsabile del pro gramma greco del fondo monetario. Lagar de ha risposto che la sua squadra “è formata da personale esperto che gode della mia piena iducia e del mio appoggio persona le”. La direttrice dell’Fmi si è ben guardata dall’accusare Atene di aver spiato i suoi fun zionari, ma ha avvertito Tsipras che “è fon damentale che le sue autorità garantiscano un contesto in cui sia rispettata la riserva tezza delle discussioni tra i funzionari”. I contrasti sono stati causati da alcuni commenti contenuti nella trascrizione. I due collaboratori dell’Fmi esprimono fru strazione sulla lentezza del processo con cui l’Unione europea concederà alla Grecia una cancellazione parziale del debito pub blico. Thomsen e Velculescu accennano al fatto che in passato i governi dell’eurozona hanno rimandato decisioni importanti ino a quando il governo greco non si è trovato sull’orlo dell’insolvenza. La Grecia ha interpretato queste osser vazioni come un piano dell’Fmi per far du rare ino a luglio – cioè quando Atene dovrà versare la prossima rata per rimborsare il suo debito – i negoziati in cui l’istituto dovrà decidere se partecipare all’ultimo salvatag Il caso della teleconferenza è il segnale più evidente del fatto che l’Fmi vuole aidare interamente all’Unione europea il salvatag gio da 86 miliardi di euro della Grecia, libe randosi di un piano molto criticato. Secon do il documento, a un certo punto Thomsen ha proposto di discutere con la cancelliera tedesca Angela Merkel, per costringerla ad accettare la cancellazione del debito o a permettere all’Fmi di uscire dal program ma. Nella sua lettera Lagarde ha conferma to che, a suo parere, la Grecia è “ancora molto lontana dalla messa a punto di un programma coerente da presentare al co mitato esecutivo”. “Il vero conlitto è quello tra la Germa nia e l’Fmi”, ha commentato Mujtaba Rah man, analista dell’Eurasia Group. “E dato che senza l’Fmi il salvataggio è impossibile, alla ine la Germania accetterà la riduzione del debito”. Ad Atene diversi osservatori sospettano che Tsipras sia responsabile del la divulgazione del documento. “La reazio ne del governo fa pensare che l’esecutivo stia cercando di creare una crisi a tavolino per costringere l’Fmi a ritirarsi dal program ma, nella speranza di raggiungere un accor do a condizioni più convenienti con l’Unio ne europea”, ha detto Miranda Xafa, ricer catrice del Centre for international gover nance innovation. u fp Stati Uniti L’isola in ripresa YIANNIs koUrtoGLoU (reUters/CoNtrAsto) Cape Greco, Cipro New York, Stati Uniti. La borsa di Wall street LUCAs JACksoN (reUters/CoNtrAsto) Il 31 marzo, a quasi tre anni dal crollo del sistema bancario che ha portato il paese sull’orlo dell’insolvenza, Cipro è uscita uicialmente dal programma di aiuti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale, la cosiddetta troika. L’isola, scrive Le Monde, “ha usato 7,5 miliardi dei dieci concessi”. In cambio il governo di Nicosia ha ristrutturato le banche, facendo partecipare ai costi, per la prima volta nell’eurozona, i clienti degli istituti con depositi superiori ai centomila euro. Non sono mancate le misure d’austerità, come tagli tra il 15 e il 30 per cento agli stipendi dei dipendenti pubblici e una serie di privatizzazioni. Dopo le soferenze iniziali – nel 2013 l’economia si è contratta del 5,4 per cento, mentre il rapporto tra il deicit e il pil è arrivato all’8,9 per cento – l’isola si è ripresa, “dimostrando una straordinaria capacità di resistenza”: nel 2015 il pil di Cipro è aumentato dell’1,5 per cento, il rapporto tra deicit e pil è sceso all’1 per cento e il paese è tornato a inanziarsi sui mercati. Il segreto di questa ripresa, spiega il quotidiano francese, è la capacità dell’isola di puntare su nuovi settori, per esempio quello dei servizi di consulenza alle imprese. A questo bisogna aggiungere le imposte societarie molto basse e la disponibilità di manodopera qualiicata e a basso costo. ARMI Fusione fallita Il 6 aprile la casa farmaceutica statunitense pizer e quella irlandese Allergan hanno abbandonato l’accordo di fusione siglato a febbraio. La decisione, spiega il Financial Times, è arrivata dopo che il dipartimento del tesoro degli stati Uniti ha annunciato nuove regole per rendere più diicili le operazioni con cui le aziende statunitensi si trasferiscono in paesi dove pagano meno tasse: un provvedimento nato proprio in seguito alle polemiche suscitate dalla fusione tra pizer e Allergan. L’obiettivo dell’accordo era far nascere una società con sede in Irlanda, che ha un regime iscale più vantaggioso di quello statunitense. In Irlanda le imposte societarie arrivano al 12,5 per cento, mentre negli stati Uniti sono intorno al 30 per cento. Crescita senza sosta Nel 2015 la vendita di armi a livello globale è cresciuta dell’1 per cento, raggiungendo il valore di 1.700 miliardi di dollari. Lo conferma l’ultimo rapporto dell’ong svedese sipri. “Le vendite sono aumentate soprattutto nell’europa dell’est, in Asia e in Medio oriente”, spiega Die Tageszeitung, “mentre hanno subìto una lessione in America Latina e, per la prima volta in undici anni, in Africa”. Nell’europa dell’est la spesa è cresciuta del 7,5 per cento, “con tassi a doppia cifra nei paesi che coninano con la russia, come l’Ucraina e la polonia”. Gli stati Uniti si confermano prima potenza militare con una spesa di 600 miliardi di dollari. Al secondo posto c’è la Cina, che nel 2015 ha speso 215 miliardi. Variazione delle spese militari, %, per regione, 2014-2015 Media mondiale Nordamerica America Latina e Caraibi Cina Europa centrale e occidentale Scioperi nel settore pubblico Europa orientale Asia e Oceania FoNte: sIprI CIPRO Africa Made In China, Australia -6 Negli ultimi mesi in Cina sono aumentate le proteste dei lavoratori, sia nel settore privato sia in quello pubblico. “Le recenti agitazioni dei dipendenti delle aziende di stato, in particolare, fanno pensare a un’imminente impennata degli scioperi nel settore pubblico cinese”, scrive Made In China, una nuova rivista trimestrale australiana che si occupa di lavoro, società civile e diritti in Cina. “per molti versi gli ultimi scioperi ricordano le dure proteste registrate alla ine degli anni novanta, quando le autorità cinesi stavano attuando una profonda ristrutturazione dell’economia. tra il 1997 e il 2003 pechino chiuse o privatizzò un gran numero di aziende di stato, lasciando a casa tra i 25 e i 40 milioni di lavoratori. e spingendo decine di migliaia di persone a scendere in piazza”. ◆ -4 -2 0 2 4 6 8 IN BREVE Spagna Nel 2015 il governo di Madrid ha registrato un deicit pubblico pari al 5,1 per cento, al di sopra dell’obiettivo del 4,2 per cento concordato con l’Unione europea. In particolare, le spese sono state superiori di dieci miliardi di euro rispetto al limite issato da Bruxelles. Arabia Saudita entro il 2020 l’Arabia saudita raforzerà il suo programma d’austerità aumentando le entrate ino a cento miliardi di dollari. Il paese mediorientale intende triplicare le entrate pubbliche diverse da quelle del greggio e risanare così il bilancio dello stato. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 99 Annunci 100 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 Annunci Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 101 Strisce Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 103 55 euro Vai su internazionale.it/ abbonati Tutte le notizie del mondo a portata di mano Abbonati a un anno di Internazionale solo in digitale Fino al 21 aprile un anno di abbonamento costa 55 euro, anziché 65. Potrai leggere la tua rivista preferita su computer, tablet e smartphone un giorno prima dell’uscita in edicola. Vai su internazionale.it/abbonati L’oroscopo Rob Brezsny Il pittore francese Henri Matisse è considerato uno dei grandi dell’arte moderna. Dopo aver compiuto ottant’anni continuò a creare meraviglie che, per usare le parole di un critico, sembravano “venire dalla primavera del mondo”. Anche se le sue opere erano uniche, ammetteva volentieri di essere stato inluenzato da altri artisti, ma custodiva gelosamente la forza primitiva della sua innocenza e del suo stupore infantile. “Studia, impara, ma conserva la tua ingenuità originaria”, diceva. “Deve rimanere dentro di te, come il desiderio di bere nell’ubriacone e l’amore nell’innamorato”. Tieni a mente questo consiglio nel prossimo futuro. TORO Kurt Gödel, nato sotto il segno del Toro, è stato uno dei più grandi logici della storia. La sua padronanza assoluta del pensiero razionale gli permise di esercitare un’importante inluenza sul pensiero scientiico del novecento. Ma Gödel aveva anche una tale paura di essere avvelenato che non mangiava niente che non fosse stato cucinato dalla moglie. Una delle possibili morali di questa storia è che razionalità e irrazionalità si mescolano facilmente. La prossima settimana sarà il periodo ideale per cercare di capire se questo fenomeno riguarda anche te. Avrai una straordinaria capacità di distinguere tra le due cose e potrai fare i primi passi per liberarti dalle tue paure e dalle tue sciocche superstizioni. ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI GEMELLI Per un periodo Albert Einstein insegnò all’istituto di studi avanzati di Princeton. Una volta uno studente si lamentò del fatto che le domande dell’esame fossero le stesse dell’anno precedente. Einstein ammise che era vero, poi aggiunse: “Ma quest’anno tutte le risposte sono diverse”. C’è una situazione simile nella tua vita. Anche nel tuo caso le domande dell’esame inale sono praticamente le stesse dell’anno scorso, ma tutte le risposte sono cambiate. Divertiti a sciogliere gli enigmi. CANCRO Il tuo oracolo personale per le prossime settimane è una iaba di 2.600 anni fa. Fu scritta dal greco Esopo, ma poi è stata tradotta in tante lingue. All’inizio della storia, un cane trova a terra un pezzo di carne cruda. Stringe trai denti il suo tesoro e corre verso casa per goderselo in pace. Lungo la strada passa su una tavola di legno che attraversa un ruscello. Guardando giù, vede il suo rilesso nell’acqua, pensa che ci sia un altro cane con in bocca un altro pezzo di carne e, nel tentativo di strapparglielo, lascia cadere il suo, che viene portato via dalla corrente. Morale della favola: “Attento a non perdere quello che hai di concreto cercando di aferrare le ombre”. LEONE “Non mi perdo mai perché non so dove sto andando”, diceva il poeta giapponese Ikkyū Sōjun. Non ti consiglierei di assumere questo atteggiamento per sempre, ma penso che per il momento sia perfetto per te. Secondo le mie proiezioni, potrai apprendere proprio quello che ti serve semplicemente vagabondando senza meta, spinto dalla gioiosa curiosità per tutte le belle cose che vedi, senza curarti di quello che signiicano. P.S. Non ti preoccupare se la mappa che consulti non sembra corrispondere al territorio che stai esplorando. VERGINE “Se tutte le azioni che gli esseri umani possono compiere fossero sport olimpici”, ha chiesto Reddit ai suoi utenti, “in quale vinceresti una medaglia?”. Un uomo di nome Hajimotto ha risposto che la sua specialità olimpica è sognare a occhi aperti. “Posso isolarmi dal mondo e fantasticare per ore”, ha detto. “Mi aiuta molto, soprattutto quando devo fare la ila”. Di solito voi Vergini non siete campionesse di sogni a occhi aperti, ma nelle prossime settimane ti invito ad allenarti in questo sport. Sarà un periodo favorevole per lasciar vagare liberamente la tua immaginazione. BILANCIA Nel suo libro Strange medicine, Nathan Belofsky ci racconta alcune curiose pratiche mediche del passato. Nell’antico Egitto, per esempio, la soluzione per il mal di denti era ingoiare un topo morto. E se un paziente aveva la cataratta, il medico gli spruzzava schegge di vetro arroventate negli occhi. Quei rimedi erano peggiori dei mali che avrebbero dovuto curare. Ti consiglio di evitare “cure” di questo genere nei prossimi giorni. Sarà un buon periodo per cercare di guarire, ma dovrai stare molto attenta ai rimedi che sceglierai. SCORPIONE Nella sua poesia The Snowmass cycle, Stephen Dunn aferma che prima di morire ognuno “dovrebbe provare il doppio fuoco di quello che vuole e non dovrebbe avere”. Prevedo che presto avrai un’ottima opportunità per farlo, Scorpione. Ebbene sì, la considero ottima, forse addirittura meravigliosa, anche se all’inizio potrebbe essere dolorosa. Cerca di essere riconoscente per questa rivelazione di un intenso desiderio che non ti farebbe bene soddisfare. SAGITTARIO “Quando ripenso alla mia vita mi rendo conto che gli sbagli che ho commesso, le cose che rimpiango davvero, non sono gli errori di giudizio ma i fallimenti emotivi”. Lo ha detto la scrittrice Jeanette Winterson e io lo ripeto a te in un momento in cui hai bisogno di sentirtelo dire. Ora sei abbastanza forte e coraggioso da riconoscere che forse non stai facendo tutto il possibile per coltivare la tua intelligenza emotiva. Se scoprirai di non tenere abba- stanza alle cose importanti della tua vita, dovrai fare qualche grosso cambiamento. CAPRICORNO La psicanalista Jennifer Welwood sostiene che spesso la causa della rabbia sia la tristezza. La sensazione di perdita, la delusione e l’angoscia sono emozioni primarie, la rabbia è solo una reazione. Ma la tristezza spesso ci fa sentire vulnerabili, mentre la rabbia ci dà almeno l’illusione di essere forti, e quindi molti di noi la preferiscono. Secondo Welwood, prendere atto della tristezza ci permette quasi sempre di comprendere meglio la nostra situazione e spesso ci ofre l’opportunità di avviare una profonda trasformazione di noi stessi. Ti invito ad applicare queste rilessioni alla tua vita. È il momento giusto. ACQUARIO “Di solito le cause delle azioni umane sono immensamente più complesse e varie delle spiegazioni che ne diamo in seguito”, scriveva Fëdor Dostoevskij nel romanzo L’idiota, e voglio ricordartelo giusto in tempo. Nelle prossime settimane per te sarà particolarmente importante non sempliicare troppo quando giudichi le motivazioni degli altri, sia di quelli che rispetti sia di quelli di cui non ti idi completamente. Se vuoi portare avanti i tuoi progetti, la tua empatia deve avere molte sfumature. PESCI “Pensare che l’amore sia una fatica è sicuramente meglio che vederlo come un’eterna beatitudine che non richiede nessuno sforzo”, dice lo scrittore Eric LeMay. Spero che tu ne tenga conto nelle prossime settimane, Pesci. Sarà il momento giusto per fare un tremendo sforzo in favore di tutto quello che ami, per sudare e per lottare in modo da creare una versione più nobile e più profonda dei tuoi rapporti essenziali. Ma ricordati che il carburante di quell’intenso lavoro dev’essere la tua creatività. Mentre sudi e lotti, gioca e sperimenta. Internazionale 1148 | 8 aprile 2016 105 internazionale.it/oroscopo ARIETE COMPITI PER TUTTI Commenta questa frase di Bertrand Russell: “L’universo è pieno di cose magiche in paziente attesa che le nostre facoltà mentali si ainino”. ANDeel, mADA mASR, egITTo L’ultima un cameriere al presidente egiziano Abdel fattah al Sisi. “Scusate ragazzi, chi paga per tutto questo casino?”. DIlem, lIbeRTé, AlgeRIA kRoll, le SoIR, belgIo Panama papers: paradisi iscali e Isole Vergini. “Dove ci si iscrive?”. mAC, DAIly mAIl, RegNo uNITo un mondo ofshore. “Noi fuggiamo dai paesi tassati. e voi?”. “Cerchiamo di andarci”. fINCk Auto senza guidatore. “Non così veloce! occhio al ciclista. un po’ a sinistra. frena… frena idiota! Attento, c’è un cane…”. “Sto cercando di decidere tra acqua e luce del sole”. Le regole Karaoke 1 Se canti Adele come prima canzone, la tua voce e la tua serata iniscono lì. 2 Con un po’ di alcol ti sciogli, con troppo alcol non leggi più i testi delle canzoni. 3 Ti fanno notare che il karaoke si canta in gruppo? Tu fagli notare che in ogni gruppo c’è una Diana Ross. 4 Non farti cogliere impreparato: quando tocca a te scegliere la canzone devi avere subito chiaro qual è il tuo pezzo forte. 5 A interpretare una canzone d’amore sono capaci tutti: il professionista lo fa piangendo. [email protected] 106 Internazionale 1148 | 8 aprile 2016