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Spedizione in abbonamento postale – poste italiane Spa 70% Roma AUT C/RM/167/2008
GOVERNO CLINICO: SUDDITI O PROTAGONISTI?
Janus n. 2 • estate • 2011
Nel modello tradizionale ippocratico, rimasto in
vigore in Occidente per 25 secoli, il medico esercitava sul malato
un potere esplicito, senza complessi di colpa e senza bisogno di
giustificazioni. Quella dominanza professionale si è andata
progressivamente sfaldando e oggi il passato e il presente sono in
rotta di collisione: il sanitario ha di fronte un altro individuo, con il
quale dovrebbe entrare in un rapporto di responsabilità condivisa.
Tuttavia, se è tramontata la stagione del paternalismo medico,
ancora fatica ad affermarsi un nuovo modello, che non sia né
quello del consumismo sanitario, né quello del potere autoritario.
Se gli attori dello scenario della salute (tutti quanti) non sono più
sudditi, forse ancora troppo raramente riescono ad essere veri
protagonisti.
In copertina: Omaggio a Emanuele Luzzati, rielaborazione da La Gazza Ladra, 1964
Numero 2 estate 2011
Copertina3mmJANUS2OK
scienza, etica, culture
GOVERNO CLINICO:
SUDDITI O PROTAGONISTI?
Zadig editore
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Janus è anche un sito web
www.janusonline.it
direttori
Sandro Spinsanti, Istituto Giano
Alfonso Mele, Istituto Superiore di Sanità
Roberto Satolli, Zadig
coordinamento rivista e web
Davide Coero Borga
progetto grafico rivista e copertina
Corinna Guercini
direttore responsabile
Eva Benelli, Zadig
segreteria di redazione
Antonella Marzolini
web design
Paolo Griselli, Demade Milano
Mattia Reali, grafica
Alessio Piazza, tecnico
coordinatori sedi locali
Roma
Giovanni Baglio, Laziosanità - Agenzia di sanità pubblica
Firenze
Saro Brizzi, Istituto di psicoanalisi Sullivan
Milano
Roberta Villa, Zadig
Napoli
Pietro Greco, giornalista scientifico
Reggio Calabria Franco Pendino, presidente Associazione calabrese di epatologia
comitato scientifico
Luisella Battaglia
Caterina Botti
Domenico Catanzariti
Emilio De Raffele
Gianfranco Domenighetti
Piergiorgio Donatelli
Sergio Manna
Francesco Rosmini
Etica, equità, risorse
Università degli Studi, filosofia morale, Genova
Università La Sapienza, epistemologia, Roma
Azienda provinciale per i servizi sanitari, cardiologia, Rovereto (TN)
Università degli Studi, chirurgia generale, Bologna
Università della Svizzera italiana
Università La Sapienza, filosofia, Roma
Facoltà pentecostale di scienze religiose, Aversa
Centro nazionale di epidemiologia Iss, Roma
Carmelo Caserta
Alberto Oliverio
Luciano Sagliocca
Maria Antonietta Stazi
Giuseppe Traversa
Paolo Vineis
Paola Di Giulio
Ricerca, vita
Associazione calabrese di epatologia
Istituto di neuroscienze Cnr, Roma
Agenzia regionale sanitaria, Campania
Centro nazionale di epidemiologia Iss, Roma
Centro nazionale di epidemiologia Iss, Roma
Imperial College, Londra
Università degli Studi, medicina e chirurgia, Torino
Stefania Aprile
Giorgio Bert
Vito Cagli
Giorgio Cosmacini
Alida Cresti
Storia, storie
Istituto di psicoterapia analitica Harry Stack Sullivan, Firenze
Istituto Change di counselling sistemico, Torino
Università La Sapienza, Roma
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano
Istituto di psicoterapia analitica Harry Stack Sullivan, Firenze
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JANUS,
UNA RIVISTA PARTECIPATA
Eva Benelli
U
n anno fa Janus sospendeva le pubblicazioni dopo dieci anni
di presenza nel mondo delle medical humanities, della
riflessione etica e della medicina basata sull’evidence da
una parte e sulla persona dall’altra. Ai nostri lettori abbiamo
annunciato, però, che stavamo lavorando a un progetto di rilancio.
Ora siamo contenti di poter dire che la rivista ha ripreso le
pubblicazioni.
Nuove forze si sono aggiunte alle nostre: insieme all’Istituto
Giano, da sempre ideatore e promotore dell’idea di Janus, è nata
un’alleanza con Ace, Associazione calabrese di epatologia, una
onlus che affianca all’impegno sul territorio la promozione di una
visione solidale della medicina.
Anche il nostro comitato scientifico si è accresciuto di altre
persone e altri punti di vista.
Abbiamo infatti ripensato il progetto editoriale e abbiamo
allargato l’ambito della nostra riflessione, aprendoci ancora di più
al pluralismo delle esperienze e delle culture, al mondo della
scienza e della ricerca in generale. Questa apertura la trovate
esplicitata nel nuovo sottotitolo della rivista: scienza, etica,
culture. La nostra visione la potete leggere, invece, nel
“manifesto” pubblicato nella pagina accanto.
Concretamente Janus sarà disponibile per i suoi lettori in due
modi: su carta, ogni tre mesi come sempre, e con un nuovo sito:
www.janusonline.it. Sono due modalità di diffusione di un unico
progetto e di uno stesso modo di lavorare. Un’unica rivista
accessibile attraverso due mezzi che si integrano fra loro.
Per questo pensiamo che non sia più il caso di chiedere ai nostri
lettori di sottoscrivere un abbonamento, quanto di scegliere se
vogliono sostenere un progetto.
I lettori di Janus che lo vorranno fare potranno utilizzare il sito per
offrire il proprio sostegno. A chi, affezionato alla carta, volesse
continuare a ricevere anche i numeri trimestrali, chiediamo un
contributo alle spese di spedizione.
La comunicazione partecipata e condivisa è un fenomeno dei
nostri tempi. In qualche modo la visione della medicina che Janus
ha sempre proposto anticipava questa idea. Anche nei fatti il
nostro progetto di rilancio vuole adeguarsi al mondo che cambia
senza perdere il meglio del passato. Janus, come sempre.<<
[email protected]
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RAGIONARE SENZA DOGMI
Roberto Satolli
I
lettori e gli autori di Janus sono molto diversi, per professioni,
conoscenze, culture e credenze. Hanno in comune un metodo
laico, che vorrebbero definire meglio di quello che la parola
comunemente riesce a dire.
Nella prospettiva di Janus, il contrario di laico non è religioso, ma
dogmatico. E l’atteggiamento dogmatico oggi prevale, non
soltanto in chi si schiera in dispute improduttive in base a
ideologie religiose, filosofiche o politiche, ma spesso anche in chi
vuole risolvere le stesse questioni appellandosi all’autorità della
scienza.
È laico chi non pretende di sapere la risposta giusta (e non a caso
un significato originario del termine è quello di illetterato,
analfabeta), ma è disposto a cercare quella più adatta attraverso
la conoscenza, l’interpretazione, la comprensione.
È dogmatica l’illusione di tagliare l’esistente in categorie nette e di
tracciare confini precisi, sui quali magari costruire muri, laddove
ogni classificazione è un’attività arbitraria dell’intelletto umano
che forza una realtà dai confini sempre vaghi e indistinti.
È laico chi non si sottrae alla responsabilità di capire, e far capire,
per scegliere, mentre è dogmatico presentare le scelte non come
un esercizio di libertà, ma come il prodotto necessario di una
verità o di una conoscenza.
Janus non ha la pretesa di rappresentare una posizione al di sopra
delle parti: anzi, ogni volta che sarà necessario esporrà una
posizione chiara, cercando in ogni caso di esplicitare le conoscenze
e gli argomenti che la sostengono.
Pur nel riconoscimento dei diversi punti di vista, Janus eviterà il
relativismo di chi considera equivalenti tutte le teorie e tutti i
paradigmi: essi sono in realtà diversi quanto la forza delle ragioni
che li sostengono.
Janus è e sarà caratterizzata da un pluralismo di esperienze,
culture, conoscenze e credenze, nella consapevolezza di non
essere depositaria di verità o giudizi assoluti, quanto piuttosto di
un metodo laico di conoscenza basato sull’esclusione del
pregiudizio, la libertà della conoscenza, la profondità
dell’interpretazione. La responsabilità di capire sarà premessa a
ogni scelta. La gerarchizzazione della forza delle ragioni è fondata
sull’onestà intellettuale e l’esercizio della libertà.<<
[email protected]
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ALLA BASE C’È UN CONSENSO
(DAVVERO) INFORMATO
Il malato: suddito o cittadino? La contrapposizione è chiara;
evoca intuitivamente scenari opposti, che generano relazioni
molto diverse tra professionisti sanitari e coloro che
ricorrono ai loro servizi. Non altrettanto chiara, in ambito
sanitario, è la differenza tra governo (clinico) e governance.
Sandro Spinsanti
G
overno clinico e governance: una traduzione approssimativa li considera come
sinonimi. Si tratta invece di
due modalità irriducibili l’una
all’altra di prendere delle decisioni.
Il concetto di governance
indica l’interconnessione tra
gruppi di interesse e altri
soggetti informali, da una
parte, e autorità pubbliche,
dall’altra.
Presuppone una nuova idea
di cittadinanza, come risposta alla complessità globale.
Il perseguimento degli obiettivi che ci si propone richiede
una forma di partnership tra
la pubblica amministrazione
e la società civile. Ciò vale per
tutte le politiche sociali, quelle sanitarie in particolare.
PAZIENTI, CONSUMATORI,
CLIENTI
La governance promuove
relazioni alternative al tradizionale governo, così come lo
ha teorizzato Max Weber,
basandolo sulla legittimazione di tipo legale-razionale e
come in ambito medico è
stato praticato dalle professioni sanitarie. Allo stesso
tempo la governance è diversa dall’approccio consumista
ai servizi sanitari. Questo
intende il ruolo dei pazienti
come consumatori e clienti
del sistema sanitario: il compito di decidere è affidato al
paziente-cliente, che con le
sue scelte legittima i consumi (anche per la sanità si
affaccia il modello supermercato, retto dallo slogan: più
potere ai consumatori).
La governance si colloca tra i
due estremi di una sanità
governata dall’alto in modo
autoritario o governata dal
mercato.
Nell’ambito specifico della
sanità, la governance richiede nuove forme di partnership tra la pubblica amministrazione e i soggetti sociali
per produrre insieme le politiche sanitarie.
Seguendo la metafora del
4
supermercato, possiamo dire
che il cittadino non può essere ridotto al ruolo di cliente
che sceglie tra le merci
disposte sugli scaffali. Il cittadino ha qualcosa da dire su
che cosa esporre negli scaffali; su chi ha diritto di accedere al consumo secondo il
principio dell’equità; sul
modo in cui viene presentato
il prodotto.
Per appoggiarci a una definizione più formale, possiamo
riferirci a quella offerta da
Grilli e Tarmi (Il governo clinico, Il pensiero scientifico,
Milano 2004), che definiscono il governo clinico, nel senso della governance, come il
«tentativo di trovare un approccio integrato al problema della qualità dell’assistenza, riconoscendo che non
si tratta solo d’intervenire
sulle singole decisioni cliniche per orientarle verso una
migliore appropriatezza, ma
anche di fare in modo che i sistemi assistenziali nel loro
insieme siano orientati verso
questo obiettivo».
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EDITORIALE
LA QUESTIONE
DEL CONSENSO
In questo ampio contesto
possiamo collocare la questione del consenso informato. Esso è subalterno alla
definizione del potere in
medicina, esercitato secondo
la modalità contrapposta del
governo o della governance.
L’esercizio della medicina
presuppone il riconoscimento al medico del potere di
curare; nel tempo, tuttavia,
questo potere ha cambiato
forma ed espressioni.
Mutuando dalla genetica un
termine che, mentre connota
il potere come patrimonio
ereditario dell’arte medica, rimanda a possibili espressioni
fenotipiche molto diverse le
une dalle altre, si potrebbe dire che questo potere ha subito traslocazioni, nel senso di
ricollocazioni in punti diversi.
Nel modello tradizionale, che
a ragione è chiamato ippocratico, il medico esercita sul
malato un potere esplicito,
senza complessi di colpa e
luglio 2011<
senza bisogno di giustificazioni. Il potere si regge intrinsecamente sulla finalità che
lo ispira: è esercitato per il
bene del malato.
IL MODELLO IPPOCRATICO
Rodrigo De Castro, medico
del diciassettesimo secolo,
nel suo trattato Medicus politicus arriva ad affermare che,
come il sovrano governa lo
Stato e Dio governa il mondo,
il medico governa il corpo
umano. Si tratta di un potere
assoluto, in cui chi sta in
posizione dominante (one
up) determina in modo autoreferenziale che cosa è autorizzato a fare a beneficio di
chi sta in posizione dominata
(one down).
Nel caso specifico della medicina, il medico stabilisce la
diagnosi, indica l’opportuna
terapia e la esegue senza
bisogno di informare il malato e senza necessità di ottenere un serio consenso, se
non quello implicito nell’affi-
5
damento fiduciale. Nessun
dovere esplicito gli richiede
di dar conto al malato né
della diagnosi, né della terapia prescritta. Obblighi di
informazione e di coinvolgimento nelle scelte sussistono invece nei confronti dei
familiari del paziente, che
sono i veri interlocutori del
medico e sottoscrivono con
lui l’alleanza terapeutica.
Questo modello, che costituiva la spina dorsale dell’etica
medica, è stato in vigore in
Occidente ininterrottamente
per venticinque secoli.
LA MEDICINA MODERNA
La buona medicina poteva e
doveva interrogarsi se le decisioni prese in scienza e
coscienza fossero giustificate
dalle conoscenze mediche e
se fossero davvero orientate
al miglior interesse del malato, ma non richiedeva al
medico di includere le preferenze del paziente tra gli elementi che determinavano le
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decisioni. La volontà stessa
del paziente era, al limite, irrilevante, qualora il medico
fosse in grado di far valere il
suo punto di vista, cui veniva
riconosciuto il peso della
competenza professionale. La
modernizzazione della medicina, avvenuta nell’arco temporale di pochi decenni del
ventesimo secolo, ha messo
in crisi il modello tradizionale
del potere medico. Le radici
del cambiamento di paradigma affondano nella rivendicazione di un potere di autodeterminazione da parte dell’individuo sulle decisioni che
riguardano il suo corpo. In
medicina il cambiamento è
stato registrato due secoli
dopo la sua teorizzazione e
con molto ritardo rispetto ad
altri ambiti della vita; ma alla
fine ha avuto luogo.
LA FINE DELLA DOMINANZA
MEDICA
Utilizzando categorie sociologiche, possiamo parlare della
fine della dominanza medica,
traduzione italiana dell’espressione coniata e diffusa
dal sociologo delle professioni sanitarie Eliot Freidson nel
1970 e che presupponeva
l’interazione tra soggetti di
livello culturale diverso resa
possibile dalla partecipazione
allo stesso processo sociale.
In concreto, i medici si rapportano ai pazienti all’interno
dei vincoli posti dal sistema
finanziario e organizzativo in
cui svolgono la loro attività
professionale, mentre le persone che cercano aiuto lo
fanno sulla base delle loro
conoscenze e della loro percezione del problema.
Nell’analisi di Freidson, tutte
le variabili del rapporto medico paziente vanno collocate entro il contesto di interazione sociale garantito dal
professionismo. La professione controlla, direttamente o
indirettamente, le sue istituzioni formative e le certificazioni dei suoi membri, garantendo loro, con il sostegno
dello Stato, il monopolio nel-
6
lo svolgimento di un insieme
specifico di compiti e funzioni. Dal momento che i professionisti controllano il proprio
lavoro, le professioni creano
interazioni sociali diverse da
quelle che sostengono il libero mercato, in cui sono i consumatori a esercitare il controllo, o da un sistema burocratico, dove il lavoro viene
controllato dai manager.
Ora è proprio questa dominanza professionale che si è
andata progressivamente
sfaldando nell’ambito della
medicina. Ciò ha portato alla
crisi del modello di rapporto
medico paziente che avevamo ereditato dal passato.
IL CONFLITTO SI DELINEA
Il passato e il presente sono
in rotta di collisione. Infatti il
modello forte di responsabilità non si può più coniugare
con la cultura moderna.
Il conflitto che si delinea sta
scuotendo equilibri secolari
nell’ambito dell’etica che re-
>Janus n. 2
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EDITORIALE
gola la medicina: i valori etici
che sono stati veicolati dalla
concezione sacrale e da quella libero professionale devono confrontarsi oggi con una
società in cui non c’è più, da
una parte, una persona che
in forza della sua dedizione è
vincolata da obblighi quasi
unilaterali, come l’impegno a
orientarsi a fare il bene del
malato anche contro il proprio interesse, e, dall’altra, un
malato, visto unicamente
sotto l’angolatura del suo
stato fragile e di bisogno.
Il sanitario ha di fronte un
altro individuo, con il quale
entra in un rapporto di
responsabilità condivisa, che
assomiglia sempre di più alla
responsabilità debole, cioè a
quella giuridica.
LONTANI
DA UNA GOVERNANCE
Un documento ufficiale del
Comitato nazionale per la
bioetica (Informazione e consenso all’atto medico, 1992)
luglio 2011<
Janus online
www.janusonline.it
descrive questa transizione
con parole molto appropriate
e pertinenti al tema della
responsabilità: «Il consenso
informato, che si traduce in
una più ampia partecipazione del paziente alle decisioni
che lo riguardano, è sempre
più richiesto nelle nostre
società. Si ritiene tramontata
la stagione del paternalismo
medico, in cui il sanitario si
sentiva, in virtù del mandato
a esplicare nell’esercizio della
professione, legittimato ad
ignorare le scelte e le inclinazioni del paziente e a trasgredirle quando fossero in contrasto con le indicazioni cliniche in senso stretto». Il consenso informato è il luogo
critico dove si traduce in questa nuova modalità di fare
medicina pratica.
In che misura e attraverso
quali modalità il modello
moderno è entrato nella cul-
7
tura sanitaria di oggi?
Dobbiamo riconoscere che la
porta d’ingresso non è stata
l’adesione al modello di rapporto sotteso alla modernità,
ma piuttosto una reazione
difensiva al contenzioso giudiziario e all’aggressione da
parte dei pazienti, diventati
esigenti. L’equazione implicita in tanta pratica quotidiana
di ciò che viene chiamato
consenso informato è riconducibile alla convinzione: paziente informato, medico salvato. Finché sarà questo il
presupposto, saremo ancora
in un regime di governo (autoritario) del paziente, culturalmente lontani dal modello
della governance.<<
[email protected]
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HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Antonio Autiero
Professore ordinario e direttore del
Seminar für Moraltheologie, facoltà
di teologia cattolica dell’Università
di Münster.
Silvia Bencivelli
Medico, giornalista scientifica e
autrice di saggi. Fa parte della redazione di Radio3 Scienza, Rai3.
Saro Brizzi
Docente e supervisore dell’Istituto
di psicoanalisi Sullivan, è stato a
Firenze giudice onorario del tribunale dei minori, consigliere onorario della Corte d’appello.
Paolo G. Casali
Responsabile della struttura semplice di trattamento medico dei sarcomi dell’adulto, fondazione Irccs
Istituto nazionale dei tumori di
Milano.
Gianfranco Domenighetti
Professore titolare presso la facoltà
di scienze della comunicazione,
Università della Svizzera italiana.
Silvia Ferrari
Ricercatrice presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
È membro del consiglio direttivo
della Società italiana di psichiatria
di consultazione.
Paolo Girolami
Medico chirurgo dell’Asl Torino 1. È
specialista in medicina legale e criminologia clinica.
Pietro Greco
Giornalista scientifico e scrittore. È
membro del cda della fondazione
Idis Città della scienza di Napoli.
Giorgio Mattei
Studente della facoltà di psichiatria, Università degli studi di
Modena e Reggio Emilia.
Giulio Mingardi
Responsabile dell’unità operativa di
nefrologia e dialisi, Istituto
Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
Paola Mosconi
Responsabile del laboratorio di ricerca sul coinvolgimento dei cittadini in sanità del dipartimento di
oncologia, Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di
Milano.
Amedeo Santosuosso
Presidente del centro di ricerca interdipartimentale European centre
for law, science and new technologies (Ectl), Università di Pavia.
Gianfranco Tajana
Ordinario di istologia ed embriologia presso la facoltà di medicina,
Università di Salerno.
Andrea Valdambrini
Ricercatore associato del Centro
interdisciplinare di scienze per la
pace dell’Università di Pisa e tutor
didattico del master in Gestione
dei conflitti interculturali e interreligiosi.
Massimo Valsecchi
Direttore del dipartimento di prevenzione della Regione Veneto,
Ulss20 di Verona.
Alessandro Zanetti
Ordinario presso il dipartimento di
sanità pubblica, microbiologia, virologia, Università degli studi di
Milano.
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MANIFESTO
Ragionare senza dogmi
Roberto Satolli
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EDITORIALE
Alla base c’è un consenso (davvero) informato
Sandro Spinsanti
4
L’OBIETTIVO:
Pazienti e personale sanitario
nella clinical governance
Alfonso Mele
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Chiedere un secondo parere si può, anzi si deve
Gianfranco Domenighetti
12
Medicina partecipativa messa alla prova
con la menopausa
Paola Mosconi
14
Il malato, il medico e l’infermiere
Saro Brizzi
18
Il paziente (impaziente) di diabete
Pietro Greco
20
Andare in dialisi consapevoli e informati
Giulio Mingardi
24
Medici alla sbarra. Paura, scontro, buonsenso
Paolo G. Casali
30
Le linee guida portano fuori strada?
Amedeo Santosuosso
34
Una legge che insegni a mediare i conflitti
Andrea Valdambrini
36
16 milioni di volte no all’epatite B
Alfonso Mele e Alessandro Zanetti
42
Le vaccinazioni tra diritto e dovere
Massimo Valsecchi
44
A lezione con il morto
Paolo Girolami
48
Legge di fine vita tra invadenza e discrezione
Antonio Autiero
52
Anche i medici sono cittadini
Silvia Ferrari e Giorgio Mattei
56
Pasqualina Quattroricchezze dice no
al volontariato
Silvia Bencivelli
60
Tra il mare e l’acqua santa
Gianfranco Tajana
62
Governo clinico:
sudditi o protagonisti?
LE RUBRICHE:
Il polso letterario
Grammatiche etiche
Vi racconto la mia professione
Nostalgia dei maestri
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PAZIENTI E PERSONALE SANITARIO
NELLA CLINICAL GOVERNANCE
Ritmi di lavoro e uso estensivo della tecnologia nella
diagnosi e nelle cure hanno tolto e continuano a levare
tempo al rapporto, fondamentale, fra personale sanitario
e pazienti. E allora che parte ha il dialogo nell’iter
diagnostico?
Alfonso Mele
O
liver Sachs, neurologo e scrittore, si frattura una gamba durante una gita sulle
montagne della Norvegia e
viene trasportato in un ospedale di Londra. Deve essere
operato, ma preferirebbe ricevere un’anestesia spinale, in
modo da poter seguire l’intervento.
Ecco come descrive il suo incontro col chirurgo della struttura (O. Sacks, Su una gamba
sola, Adelphi, Milano 1991):
«Il dottor Swan fece la
sua apparizione alle
8.53, e mi trovò che
stavo guardando
l’orologio. La prima,
momentanea
impressione fu quella di
un uomo molto timido,
immediatamente
corretta, però, dal suo
tono forte e deciso.
“Bene” disse ad alta
voce. “Come andiamo
oggi?”
“Sopravvivo” risposi, e la
mia voce suonava
incerta.
“Non c’è da
preoccuparsi” continuò
vivacemente. “Lei ha un
distacco del tendine. Noi
lo ricolleghiamo;
ripristiniamo la
continuità. Tutto qui…
una cosa da nulla!”
“Si, però…” accennai a
replicare debolmente,
ma era già uscito dalla
stanza.
Con grande sforzo,
poiché mi sentivo
prostrato e illanguidito
dalla preanestesia,
suonai il campanello e
chiesi della caposala.
“Che c’è?” disse lei.
“Perché mi ha
chiamato?”.
“Il dottor Swan” risposi,
attento a ogni parola
che pronunciavo “non si
è fermato a lungo. È
entrato e uscito.
Sembrava che avesse
fretta tremenda”.
“Insomma, io non ho
mai…”, sbuffò la
caposala. “Il dottore è
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molto occupato. È già
fortunato che si sia fatto
vedere da lei!”».
Non so se episodi del genere
si verifichino ancora ma certamente anche oggi esistono
una serie di elementi che favoriscono situazioni paradossali. Il numero di pazienti e la
necessità di dover conseguire
determinati obiettivi impone
al personale medico ritmi
sempre più incalzanti. L’uso
invasivo della tecnologia, soprattutto nella diagnosi, porta a contrarre i tempi di ascolto del paziente. In questo contesto diventa sempre più importante il lavoro fatto in termini di consenso informato,
stimolo a ragionare su benefici e rischi di esami diagnostici
e opzioni terapeutiche.
PARLIAMONE
Spesso però anche il momento previsto per il dialogo con
il paziente è assorbito dal
ritmo incalzante con cui
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
avviene l’incontro tra paziente e struttura sanitaria. In
queste condizioni, spesso, il
consenso informato diventa
un foglio da sottoscrivere
senza il sostegno di un messaggio verbale. E le ricadute
negative di questo quadro
sono dietro l’angolo, comprese quelle che portano all’effetto paradosso di allungare i
tempi per la diagnosi.
PESCI FUOR D’ACQUA
Da dove arrivano i pesci che popolano le pagine di questo
secondo numero di Janus?
Sono un dono degli amici di Di.To, il portale dedicato alle
famiglie con bambini disabili in età compresa fra zero e
dieci anni. Nato dalla collaborazione fra gli operatori di
Area Onlus, associazione torinese che da più di 25 anni si
occupa di disabilità, e i genitori che negli anni si sono
rivolti al servizio stesso è un raro esempio di condivisione
di risorse, informazioni ed esperienze.
Di.To nasce dalla necessità di progettare e realizzare strumenti nuovi, in grado di facilitare e migliorare lo scambio
di idee, consigli, percorsi ordinari e straordinari. Per questo
motivo alcuni scrittori e illustratori hanno deciso di regalare un po’ della loro creatività ad Area, lasciando su queste
pagine una traccia preziosa della loro arte.
Pesci fuor d’acqua è un progetto grafico di Franco Giolitti
(www.francogiolitti.blogspot.com). Un invito a colorare,
ritagliare, piegare, costruire e giocare. Una kit da laboratorio per consegnare ai bambini la storia di due pesciolini che
si inventa e si racconta ogni volta in modo diverso.
Per altre informazioni vai su http://dito.areato.org.
CHE FARE?
È importante che i corsi di laurea inizino a enfatizzare il ruolo del rapporto tra personale e
paziente nel percorso assistenziale proponendo adeguati contenuti teorici. In corsia, è necessario definire il carico di lavoro del personale tenendo presente il tempo da
dedicare al dialogo con il paziente. Infine è auspicabile
un’organizzazione degli spazi
di attesa e di degenza volta a
facilitare la tranquillità e la comunicazione tra persone.<<
[email protected]
luglio 2011<
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CHIEDERE UN SECONDO PARERE
SI PUÒ, ANZI SI DEVE
Percepito spesso come atto di sfiducia verso il proprio
medico, il secondo parere è anzitutto un diritto del
paziente che di fatto può contrastare la medicina
difensiva e mettere in discussione quanto proposto e
prescritto dal mercato sanitario.
Gianfranco Domenighetti
P
resupposto a una partecipazione attiva del cittadino alle decisioni
mediche che lo concernono è il consenso informato
condiviso, conclusione di un
processo durante il quale
medico e paziente partecipano
alla decisione clinica utilizzando le migliori prove scientifiche
disponibili. È questo percorso
di condivisione che dovrebbe
permettere all’utenza dei servizi di esprimere le proprie, per
così dire, preferenze.
Ma questo, com’è ovvio, è possibile solo a condizione che un
paziente venga edotto circa le
questioni connesse alle prestazioni proposte per risolvere
e gestire un determinato problema sanitario. Alternative
disponibili, benefici, rischi,
eventi non desiderati e incertezze, devo essere chiariti.
L’integrazione di questo genere di informazioni con valori,
obiettivi e aspettative di vita
del paziente dovrebbe salvaguardare almeno formalmente la sua dignità e libertà individuali.
CONSENSO INFORMATO:
UN’UTOPIA?
È inutile negare che molti sono gli ostacoli a frapporsi tra
la messa in atto di un processo decisionale realmente condiviso e il conseguimento di
un consenso veramente informato. Rimangono entrambi
obiettivi ideali da perseguire.
E la soluzione più pragmatica
a disposizione del cittadinopaziente per ottenere un surplus di informazioni cliniche è
quella di ricorrere a un secondo parere medico.
Secondo un recente sondaggio (BUPA Health Pulse 2010)
l’80per cento dei cittadini italiani con accesso alla rete
ricerca su internet informazioni medico-sanitarie, il 50
per cento allo scopo di farsi
una autodiagnosi.
L’OPINIONE
SUPPLEMENTARE
Il secondo parere trova la sua
giustificazione nel fatto che
12
la medicina non è una scienza esatta, ma è caratterizzata
da complessità, incertezza,
asimmetria informativa, conflitti di interesse e qualità poco, o per nulla, misurabile.
Per non parlare del fatto che
il grado di aggiornamento
delle conoscenze dei medici e
le loro pratiche cliniche sono
variabili, forzatamente incerte ed eterogenee: le proposte
diagnostiche e terapeutiche
ai pazienti per un identico
problema di salute possono
variare in funzione del medico consultato.
Il secondo parere medico è
quindi un’opinione supplementare che ha lo scopo di
aiutare il paziente a prendere
decisioni più informate e
quindi, probabilmente, più
adeguate alle necessità di cura. Esistono anche prestigiose
istituzioni sanitarie, in particolare all’estero, che forniscono secondi pareri on-line e a
pagamento. Un’alternativa,
questa, particolarmente indicata in caso di intervento chirurgico programmato non ur-
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
gente oppure in caso di diagnosi o trattamenti impegnativi (segnatamente nel campo oncologico).
OSTACOLI AL SECONDO
PARERE
I principali ostacoli alla richiesta da parte del paziente di
un secondo parere medico
sono anzitutto di tipo culturale. L’analfabetismo sanitario e la percezione della medicina come scienza esatta, o
quasi tale, induce a pensare
che un medico ne valga un
altro. La relazione medico
paziente è di tipo paternalistico e di norma rappresenta
un ostacolo.
Paradossalmente anche il
buon rapporto di fiducia con
il proprio medico, che non si
vuole incrinare, tende a inibire la richiesta di consultazione di un secondo specialista.
Infine va registrata un’evidente difficoltà organizzativa e
burocratica all’esercizio effettivo da parte del paziente di un
luglio 2011<
diritto al secondo parere nell’ambito dei Sistemi sanitari
nazionali (modello Beveridge)
a differenza di quanto avviene
nei sistemi fondati sulle assicurazioni malattia sociali, dove
il paziente ha una maggiore
libertà di accesso autonomo a
più medici (modello Bismarck).
DATI POSITIVI
Gli studi, essenzialmente
nord americani, che hanno
valutato l’impatto dei programmi di promozione del
secondo parere medico nel
campo della chirurgia elettiva
hanno mostrato come questa
pratica abbia ridotto del 48
per cento il tasso delle operazioni al ginocchio, del 42 per
cento quello delle isterectomie, del 41,5 per cento il tasso delle prostatectomie e tra
il 12 e il 33 per cento quello di
altre procedure elettive.
Nonché del 50 per cento
quello dei bypass coronarici.
Pertanto il secondo parere,
che non deve essere percepi-
13
to come un atto di sfiducia
verso il proprio medico di riferimento, è una opzione da
promuovere come diritto del
paziente. E non meno utile
per i medici, dal momento
che proprio questa pratica
potrebbe contrastare la cosiddetta medicina difensiva –
circa il 75 per cento dei medici italiani dichiara di incoraggiare esami strumentali e
visite specialistiche al solo
scopo di medicina difensiva –
e favorire nella società civile
un principio di sano sospetto
verso efficacia e adeguatezza
di tutto quanto è proposto o
prescritto dal mercato sanitario, senza per questo creare
sfiducia gratuita verso operatori e servizi.<<
gianfranco.
[email protected]
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MEDICINA PARTECIPATIVA MESSA
ALLA PROVA CON LA MENOPAUSA
Un progetto di medicina partecipativa: quale
informazione per la donna in menopausa sulla terapia
ormonale sostitutiva? Il ruolo di PartecipaSalute nel
coinvolgere in modo sempre più rilevante i cittadini nel
dibattito sulla salute.
Paola Mosconi
I
l ruolo dei cittadini nelle
scelte di pubblico interesse sta diventando sempre
più rilevante. Recenti fatti
nella vita politica del Paese
hanno dimostrato come, in
democrazia, è il cittadino che
direziona scelte e opportunità, così come, di conseguenza, è il cittadino cui devono
tener conto e dar di conto
coloro che esercitano poteri
decisionali.
Tutto ciò è altrettanto vero, e
si complica e si arricchisce al
tempo stesso, quando si parla di temi riguardanti le scelte relative alla salute. Infatti,
in questo campo, si sovrappongono tra loro aspetti
esperienziali con variegate
valenze personali e aspetti
tecnici su conoscenza e metodi che rivestono particolare
rilevanza nel contrastare opinioni con dati, il tutto intricato dal difficile passaggio da
una visione personale a una
visione collettiva. Intorno ai
concetti di health literacy ed
empowerment si intravede la
direzione da perseguire sulla
strada di una medicina in cui,
dal singolo alla collettività, le
scelte siano operate in modo
consapevole, partecipativo e
informato. In questo percorso tutti sono coinvolti: pazienti, loro rappresentanze,
operatori sanitari e decisori.
UN ESEMPIO DI MEDICINA
PARTECIPATIVA
Se in teoria un po’ tutti sono
convinti di quanto sopra
detto, un po’ più difficile risulta trovare nel nostro Paese
esempi riconducibili a progetti di ricerca che abbiano coinvolto davvero quanto più possibile tutti gli attori in gioco.
L’occasione che si vuole qui
presentare è quella dell’iniziativa Quale informazione per la
donna in menopausa sulla
terapia ormonale sostitutiva?
che si è articolata, tra il 2006 e
il 2011, in due progetti consequenziali. Il primo una conferenza di consenso, il secondo
uno studio di valutazione
d’impatto di interventi rivolti
14
ai cittadini e agli operatori
sanitari per l’uso appropriato
di farmaci in terapia ormonale sostitutiva. Le due fasi si
sono svolte in collaborazione
tra il progetto PartecipaSalute
(Istituto Mario Negri, Centro
Cochrane italiano e Agenzia di
editoria scientifica Zadig) e
l’Istituto superiore di sanità
(CNESPS, reparto Salute della
donna e dell’età evolutiva). La
prima parte è stata sostenuta
da un finanziamento della
Compagnia di San Paolo, la
seconda da un finanziamento
AIFA per i progetti interregionali di farmacovigilanza.
Quel che ha caratterizzato
l’intero percorso è stata la
multidisciplinarietà che si è
cercato di rispettare in ogni
fase e per ogni gruppo di lavoro e, in particolare, con il coinvolgimento attivo dei rappresentanti della cittadinanza, i
cosiddetti laici. Fondamentale
per la scelta di questi interlocutori è stato il GRAL, un
gruppo di lavoro composto da
rappresentanti di associazioni
e membri laici di comitati eti-
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
STORIA, STORIE
ci che si alimenta con i partecipanti alle diverse edizioni
del percorso di formazione di
PartecipaSalute Orientarsi in
salute & sanità per fare scelte
consapevoli.
PARTECIPARE COME E DOVE
I cittadini, e in particolare i
rappresentanti di associazioni, sono stati coinvolti a più livelli, esprimendo così diverse
potenzialità di partecipazione
correlate alla propria vicenda
singola o collettiva. Possiamo
leggere l’esperienza fatta
dando a questi laici precisi
ruoli: valutatori e decisori nella prima parte del progetto,
fonte di dati nella prima e seconda parte e infine divulgatori nella seconda parte.
VALUTATORI
Uno dei gruppi di lavoro della
conferenza di consenso si è
occupato del materiale divulgativo disponibile sulla
luglio 2011<
menopausa e la terapia ormonale per la popolazione
femminile. A questo gruppo
hanno partecipato tre laici su
cinque componenti, valutando in doppio, con una scheda
standardizzata più di 70 documenti tra opuscoli o pagine web.
Gli stessi hanno partecipato
alle riunioni di programmazione, presentazione e discussione dei dati e alla messa a punto del documento e
della presentazione finale del
lavoro.
Oltre a informazioni sulla
qualità espositiva dei vari
materiali della valutazione, è
emerso un giudizio che ha
evidenziato come il materiale valutato non aiutasse propriamente le donne a prendere decisioni in autonomia.
E questo alla luce della considerazione che benefici e
danni erano trattati in modo
incompleto e parziale, mentre prevalevano apparenti
certezze anche su dati ancora
in discussione da parte della
comunità scientifica.
15
DECISORI
La giuria della conferenza di
consenso era composta da
un totale di 14 persone di cui
7 laici. Rispettando la metodologia consigliata per le
conferenze di consenso, il
presidente stesso era un
laico. Nelle due giornate di
discussione che hanno preceduto la pubblicazione del
documento finale, lo scambio di punti di vista differenti
è stato fondamentale per la
messa a punto di un documento che rispondesse alla
domanda posta senza perdersi in complicati tecnicismi
e valutando con spirito critico
le prove disponibili.
Ricordando sempre di tenere
la donna destinata a un trattamento ormonale in menopausa come unico punto di riferimento, il documento finale ha così coniugato le prove
scientifiche con il pragmatismo di indicazioni d’uso facilmente trasferibili alla pratica.
I laici hanno lavorato in pieno
accordo con i tecnici e non si
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sono rilevati intoppi o difficoltà dovute alla presenza di
diversi tipi di competenza.
FONTE DI DATI
Rispettivamente nel 2007 e
nel 2010 sono state condotte
due indagini su un campione
di donne tra i 45 e i 60 anni
per rilevare le conoscenze, gli
atteggiamenti e i comportamenti rispetto alla menopausa, alla terapia ormonale e
alle sue possibili alternative.
Nella prima indagine la percentuale di adesione del 74
per cento ha dimostrato una
diffusa disponibilità di partecipazione in prima persona
verso temi di salute di sicuro
interesse per le donne, oltre a
consentire la raccolta di dati
rappresentativi della realtà di
riferimento. Il tempo dedicato riveste di per sé un forte
valore di partecipazione consapevole verso le proprie
esperienze e scelte di salute.
Nella seconda parte del progetto una fase era dedicata
alla messa a punto di materiale informativo dedicato
alle donne. Forti dell’analisi
precedentemente fatta, in cui
il materiale e la divulgazione
sulla menopausa e la terapia
ormonale risultavano molto
carenti da un punto di vista di
qualità dell’informazione e
del giudizio sull’utilità per
fare scelte consapevoli e
informate, si è deciso di lavorare in modo congiunto con
gruppi di donne in modo da
focalizzare bene il taglio da
dare al materiale informativo.
DIVULGATORI
Venticinque donne, tra i 42 e i
63 anni, residenti tra Milano,
Pistoia e Palermo hanno attivamente partecipato alla fase
di messa a punto del materiale informativo. Il contributo
fornito ha permesso di rielaborare il documento finale di
consenso sottolineandone gli
aspetti più incisivi, finalizzati
a permettere alle future lettrici di fare scelte consapevoli.
16
CONDIZIONI PER ARRIVARE
A UNA MEDICINA
PARTECIPATIVA
Da questa e altre esperienze,
il cui scopo è quello di integrare punti di vista diversi tra
tecnici e laici, dando spazio e
rilievo al valore delle diverse
competenze e ispirandosi a
un modello informato e partecipativo di discussione e
azione in tema di salute e
sanità, si possono evincere
indicazioni preziose capaci di
facilitare e condurre ad altre
attività analoghe. In particolare su tre aspetti, non in
ordine di importanza, è bene
concentrarsi.
Devono anzitutto essere
superate, in particolare da
operatori sanitari e decisori,
le difficoltà ad accettare i cittadini/pazienti e loro rappresentanze come interlocutori
privilegiati, riconoscendone
esperienza e capacità.
In secondo luogo cittadini/
pazienti e loro rappresentanze devono organizzarsi secondo i principi di evidence
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
STORIA, STORIE
based advocacy, partecipando in modo critico in base alle conoscenze scientifiche disponibili senza essere oggetto di strumentalizzazioni e liberandosi di ogni conflitto di
interessi.
Infine diventa fondamentale
verificare sempre l’impatto
delle iniziative di coinvolgimento per evitare, come purtroppo spesso accade, che risultino solo in presenza formale e non sostanziale al dibattito.
UNA STORIA QUOTIDIANA
Questi punti si riassumono in
una piccola storia, vera e non
rara, qui riportata proprio per
far capire quanto ancora il
modello di medicina partecipativa sia lontano nei fatti:
«Qualche giorno fa mi
ha cercata un dirigente
di un’AUSL per un
consiglio: dovendo
partire con la
discussione di un piano
luglio 2011<
terapeutico assistenziale
per una patologia
cronica si era
interrogato sulla
possibilità di coinvolgere
anche le rappresentanze
dei pazienti.
Poi ha pensato che
sarebbe già stato
difficile gestire i medici;
gli operatori sanitari
sarebbero stati poco
inclini ad avere laici al
tavolo; le prove
scientifiche disponibili
lasciavano incertezze
difficili da gestire; c’era
da decidere chi invitare
fra le associazioni
presenti sul territorio o
gestirne i conflitti
interni.
Morale: le associazioni
sono state informate del
lavoro, ma non
direttamente coinvolte».
Altri metodi di partecipazione
sono al momento allo studio
di PartecipaSalute per coinvolgere in modo sempre più
rilevante i laici nel dibattito
17
sulla salute. Tra questi: i percorsi di formazione ad hoc mirati, finalizzati alla creazione
di gruppi di lavoro specifici da
integrare nelle attività valutative e decisionali in sanità, come pure esperienze di democrazia deliberativa, in particolare nella forma delle giurie di
cittadini.<<
paola.mosconi@
marionegri.it
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IL MALATO, IL MEDICO
E L’INFERMIERE
Non sono i protagonisti di una vecchia barzelletta.
Ma gli attori che possono o meno costruire una buona
relazione e impostare un percorso di guarigione.
Saro Brizzi
P
erché un percorso di
guarigione abbia successo bisogna esaminare ciò che avviene
nella mente del paziente a
partire dalle relazioni che intesse con chi si prende cura di
lui. Le relazioni tra medici, infermieri e pazienti influenzano, in maniera spesso inaspettata, qualità e modi della cura.
NON SOLO TECNICI
Non si deve pensare che il
solo impegno richiesto agli
operatori sanitari sia quello
di acquisire un complesso di
abilità. Bisogna invece mettere in evidenza come sia
essenziale, accanto alla
necessaria acquisizione di
tecniche diagnostiche e terapeutiche, far nascere una
sorta di attenzione alla relazione e alle tecniche di ascolto. Questa attenzione è fondamentale per riconoscere la
condizione emotiva in cui si
trova il paziente. E se queste
modalità sono date per scon-
tate da chi si occupa di psicoterapia, lo sono molto meno
per i medici, abituati a porsi
davanti ai malati rassicurati
solo dalle presunte certezze
della oggettività scientifica.
In primo luogo ritengo basilare sottolineare che la cura
avviene in una relazione
reale tra persone che interagiscono in uno spazio condiviso, che è, in prima istanza,
un rapporto tra individui che
si impegnano ciascuno nel
proprio ruolo e competenza
specifica a operare per un
obiettivo comune: prendersi
cura di una persona.
IL RUOLO DELLE RELAZIONI
UMANE
Accanto alle indispensabili
conoscenze mediche e di
conduzione delle terapie è
necessario quindi sviluppare
capacità relazionali.
Lo sviluppo tecnologico spinge, in questo caso, nella direzione contraria o comunque
verso un’organizzazione sani-
18
taria in cui gli strumenti diagnostici e terapeutici diventano prevalenti. Non possiamo
però correre il rischio di affidarci esclusivamente a queste competenze, stimando la
relazione umana e i livelli empatici che si attivano come secondari.
L’abilità del medico e dell’infermiere di saper dialogare
con il malato deve entrare
nella cornice della terapia in
modo più significativo e questo deve avvenire proprio nel
momento in cui la medicina,
giunta a straordinari traguardi di sviluppo tecnologico,
sembra perdere la sua efficacia e credibilità nel rapporto
diretto con il paziente. Il riconoscimento e la gestione
degli stati di sofferenza del
malato devono essere ancora
strumenti privilegiati.
UNA COMPARTECIPAZIONE
ATTIVA DEL MALATO
Uno degli obiettivi che si
deve raggiungere è far capire
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
che l’esigenza di un approccio relazionale non viene mai
meno. Al contrario dev’essere
accresciuta man mano che
l’evoluzione tecnologica della
medicina si amplia.
In tal senso, l’oggetto da
indagare è comprendere cosa
accade nella relazione interpersonale. Ossia un sapere
che ha per contenuto i legami interattivi nei quali siamo
immersi, prima di tutto come
esseri umani. Questo genere
di rapporti sono ancora più
forti quando si instaurano fra
due soggetti, dove uno si
trova in una situazione di
sofferenza fisica o psichica e
l’altro intende farsene carico.
Per ogni atto medico non occorre solo un consenso libero
e informato, ma ancor più
una compartecipazione attiva del malato.
cura. Deve essere in grado, al
contrario, da una parte di
negoziare con il paziente e
dall’altra di considerare la
spesa sanitaria pubblica.
La tecnologia ha aumentato
la complessità dei trattamenti e delle scelte da compiere e l’aspetto economico è
sempre più importante nelle
decisioni di un’azienda sanitaria. È sempre maggiore la
responsabilità per un uso
appropriato delle risorse,
quindi il medico deve bilanciare il suo impegno nei confronti dell’individuo con i
doveri verso la società intera.
In questa direzione un’attenzione maggiore alle relazioni
di cura, non solo migliora gli
esiti ma è anche fonte di
risparmio economico.
DARE TEMPO, RICEVERE
FIDUCIA
ECONOMIA DELLA CURA
Il medico ha perso l’autorità
di chi assume tutte le decisioni in tutti gli aspetti della
luglio 2011<
Spesso il paziente sente di
non avere a disposizione una
condizione favorevole a porre
domande: il tempo è limita-
19
to, lo studio affollato, il medico interrompe subito. Così
molto spesso ci si rivolge a
internet o a conoscenti per
assumere informazioni , arrivando così ad acquisire semplici dati che nulla hanno a
che fare con la cura.
Una conversazione efficace
vuole che vengano riempiti i
vuoti aperti, affrontando
insieme al medico la specificità soggettiva della malattia. È il primo atto terapeutico. La fiducia si instaura dopo
una esplorazione reciproca,
una condivisione di aspettative e di dubbi.
Credere di perdere tempo nel
costruire una relazione significa non aver colto la potenzialità di questo tempo e
manifestare un atto di fede
nelle sole terapie.<<
[email protected]
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IL PAZIENTE (IMPAZIENTE)
DI DIABETE
Storia di un paziente di diabete nell’era della conoscenza
e delle ristrettezze di bilancio.
Fra bisogni di chiarezza, impazienze accumulate e
situazioni croniche del sistema Italia.
Pietro Greco
N
on è facile, credetemi, essere (tecnicamente) malato di
diabete, lavorare come giornalista scientifico in
giro per l’Italia e risiedere in
Campania. Queste tre condizioni stridono. E, alla fin fine,
inducono a derogare dalle regole del buon paziente.
Iniziamo dalla prima condizione. Sono (tecnicamente)
malato di diabete. Perché da
dieci anni la mia glicemia ha
una dannata tendenza al
rialzo. Tuttavia se mi comporto bene, mi alimento in
maniera corretta, controllo il
tasso glicemico, il colesterolo, l’ago della bilancia e il giro
vita riesco a scendere stabilmente sotto la soglia fatidica
della tranquillità. Come suggeriscono la teoria clinica e i
personali test giornalieri.
QUANDO SI DIVENTA
MALATI?
Certo il tarlo del dubbio (o, se
volete, il reiterato e malde-
stro tentativo di aggrapparmi
allo specchio dei numeri per
poter trasgredire alle regole
del buon malato senza eccessivi sensi di colpa) si insinua,
tuttora irrisolto, nella mia
mente: qual è la fatidica soglia della glicemia, la mattina
a digiuno, al di sotto della
quale si è sani e al di sopra
della quale si è ammalati:
110, 120, 126 o addirittura
140 mg/dl (milligrammi su
decilitro)? Francamente, lo
studio della letteratura scientifica e divulgativa non mi
aiuta. Ovvero, mi offre più di
una tentazione a sciogliere
almeno un po’ le briglie: perché quei valori io li trovo tutti,
sia pure diversamente accreditati.
Questa prima area di incertezza spalanca a un’altra, che
forse ha maggior fondamento e non poche implicazioni
pratiche: per essere definitivamente diabetico basta
superare una e una sola volta
la soglia fatidica, qualsiasi
essa sia, oppure aver superato una sola volta la soglia
20
fatidica indica una mia propensione all’iperglicemia?
Lo so, una risposta abbastanza
esauriente a questa domanda
è contenuta in quel meraviglioso integrale che è il valore
dell’emoglobina glicosilata,
cui ogni trimestre chiedo un
giudizio indipendente sul mio
stato e sulla mia condotta di
paziente. Tuttavia nessuno mi
ha mai spiegato, in maniera
chiara e, appunto, esauriente,
come stanno le cose.
SCIOGLIERE I DUBBI
Ecco, allora, un mio primo suggerimento a chi – come gli
amici del progetto Igea
dell’Istituto superiore di sanità – propone al paziente di
assumere un ruolo da protagonista nella gestione integrata della malattia diabetica:
aumentare il tasso di informazione intorno alla misura della
glicemia e al suo reale significato. Sciogliere i dubbi, per togliere brodo di coltura agli alibi. Ciò presuppone, tuttavia,
>Janus n. 2
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
STORIA, STORIE
una univocità del messaggio
da parte dei medici. Il che –
l’ho verificato – non sempre si
verifica. L’integrazione nella
lotta al diabete, dunque, presuppone – proprio come prevede il progetto Igea – anche
l’integrazione delle diverse articolazioni della struttura sanitaria e, in particolare, della
comunicazione tra sistema sanitario e pazienti.
rale o specialista che sia.
Chi, come me, è un diabetico
con una vita lavorativa piuttosto dinamica e continua a
spostarsi come una trottola
per l’Italia non ha il tempo (e
neanche la voglia) di spendere i suoi (presunti preziosi)
minuti in una coda o in una
sala d’attesa.
IMPAZIENTI PER FORZA
DIABETIC VS DYNAMIC
Tenendo conto che le tipologie di pazienti – ora che
aumenta non solo l’età
media, ma anche l’età pensionabile – sono molte diversificate. Mentre il sistema è
(o, almeno, così risulta dalla
mia singola esperienza) tarato per un singola tipologia:
quella della persona anziana,
ormai fuori dal mondo del
lavoro, che ha molto tempo a
disposizione da trascorrere in
fila all’ospedale per pagare il
ticket e/o nella sale d’attesa
dei medici, di medicina gene-
luglio 2011<
I risultati pratici di questa
estrema rigidità di relazione
tra un paziente che non ha
urgenze e un sistema sanitario che non ha flessibilità sono due: o la semplice fine della relazione (rinuncio al controllo medico, faccio da me,
tanto so tutto) o l’aggiramento dell’ostacolo (mi rivolgo a
strutture private). Nel primo
caso si ha che, per un numero
presumo non irrilevante di
pazienti per forza di cose impazienti, l’integrazione della
gestione della malattia diabetica si dissolve per rinuncia
di una delle parti. Nel secon-
21
Integrazione, gestione e
assistenza per la malattia
diabetica.
www.epicentro.iss.it/igea
do caso l’integrazione si dissolve perché si crea una dimensione parallela (di tipo
privato) che non comunica
con il sistema pubblico.
UN CANALE DI CONTATTO
Come si potrebbe ovviare?
Non ho studiato il problema
né avrei alcun titolo per farlo.
Propongo solo qualche suggerimento da stakeholder: informatizziamo la relazione.
Creiamo anche dei luoghi virtuali, oltre quelli fisici, dove
paziente, medici e sanitari
possano incontrarsi in tempo
reale e in maniera amichevole. Non mi aspetto nulla di
trascendentale. Se devo pagare un ticket o firmare un documento, perché non posso far-
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IL PROGETTO IGEA
classi economicamente e socialmente
svantaggiate. Il diabete è un esempio
paradigmatico di malattia cronica, correlata a stili di vita.
Anche la strategia europea Gaining
health (Guadagnare salute) punta al riorientamento dei servizi sanitari, alla deospedalizzazione, allo sviluppo delle cure
primarie, e all’aumento delle competenze delle persone per l’autogestione della
propria malattia.
Il disease management è oggi considerato lo strumento più indicato per migliorare l’assistenza delle persone con malattie croniche. Secondo l’OMS, per attuare
un intervento di disease management è
fondamentale: disporre di linee guida
basate su prove di efficacia; promuovere
un’assistenza multidisciplinare; disporre
di sistemi informativi sostenibili e ben
integrati sul territorio che incoraggino
non solo la comunicazione tra medici,
ma anche tra medici e pazienti per ottenere un’assistenza coordinata e a lungo
termine; promuovere l’autogestione dei
pazienti quale componente essenziale
dell’assistenza ai malati cronici.
Nato nel 2006 per volontà di Iss e Centro
nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), il progetto Igea
prevede la definizione della strategia
complessiva di intervento, coordinamento e supporto ai progetti regionali sulla
patologia diabete. L’obiettivo generale
del progetto è quello di ottimizzare i percorsi diagnostici e terapeutici, mettendo
il paziente e non il sistema al centro dell’organizzazione assistenziale attraverso
la realizzazione di un modello che garantisca interventi efficaci per la totalità dei
diabetici, attui gli interventi sulla base di
prove scientifiche, assicuri la possibilità
di misurare qualità delle cure e degli
esiti, e attivi un modello di assistenza
capace di tener conto delle diverse realtà
territoriali, garantendo comunque
uniformità negli interventi.
Tra le malattie in crescita, il diabete è
una delle patologie a più larga diffusione
in tutto il mondo e, con le sue complicanze, rappresenta un problema sanitario per le persone di tutte le età e di
tutte le aree geografiche, con un più
grave coinvolgimento, peraltro, delle
22
>Janus n. 2
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
STORIA, STORIE
lo per via telematica risparmiandomi, tra spostamento e
coda, qualche ora di tempo?
Perché il mio medico non può
firmarmi (con firma digitale) e
inviarmi con una semplice email una prescrizione di analisi? Ancora. Perché non rendere immediatamente obbligatorio ciò che è già nello spirito
del progetto Igea: ovvero stabilire un canale di contatto telematico tra il mio medico di
famiglia (lo chiamo ancora così), il medico specialista e me,
paziente impaziente. Io potrei
comunicare loro in tempo
reale i risultati delle mie automisure (il tasso di glicemia al
mattino, il mio peso, la circonferenza della mia pancia) e loro potrebbero sia avere informazioni utili sull’andamento
della mia malattia sia controllare che io non sciolga troppo
le briglie del autocontrollo.
VITA DI CAMPANIA
Questa sarebbe una buona
soluzione per la gestione
luglio 2011<
della malattia diabetica nell’era della conoscenza e dell’elevata età pensionabile.
Già, ma io abito in Campania.
Ovvero in una regione in cui
(anche per problemi legati al
bilancio) è più difficile che in
altre aver fiducia nel fatto
che i Lea (i livelli essenziali di
assistenza) siano in grado di
evitare che il federalismo sanitario non si risolva in una
drammatica divergenza dell’assistenza e nella produzione di inedite health inequalities. Veniamo al pratico.
Mancano i soldi e diminuiscono le prestazioni. Il diabetico pensionato, e non solo il
diabetico itinerante, ha difficoltà a intercettare un medico specialista che abbia tempo per una visita scrupolosa.
Capita sempre che ti diano
un numero limitato di strisce
per la misura giornaliera della glicemia: 40 strisce ogni
tre mesi. Il che significa che
per gli altri 50 giorni devi fare
da te. Ma non è semplice trovare in farmacia la medesima
striscia che il sistema sanita-
23
rio regionale ti fa recapitare a
casa. Morale. O hai una forza
di volontà ferrea o la misura
giornaliera della glicemia salta. O hai una cultura medica
solida o l’affidabilità delle
tue automisure va a farsi benedire. Ancora. Tu pensi che
una diagnosi di diabete sia
per sempre. Non è così. Non
in Campania, almeno. Per
avere il tuo kit devi periodicamente riavviare il processo
che ti obbliga a una nuova visita (e a una nuova coda) dal
medico specialista e a un
nuovo passaggio (con relativa coda) presso gli uffici sanitari locali. La riattivazione deve avvenire, mi pare, ogni sei
mesi. Ecco, mi pare… ho già
dimenticato la procedura
perché non ho tempo per attivarla. Rinuncio.
No, non è facile per noi impazienti pazienti di diabete, in
Campania.<<
pietrogreco011@
gmail.com
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ANDARE IN DIALISI
CONSAPEVOLI E INFORMATI
I pazienti in trattamento dialitico cronico sono circa 50.000
ma costano al Servizio sanitario nazionale almeno 2,5
miliardi di euro ogni anno. Fornire un’assistenza ineccepibile
dal punto di vista tecnico scientifico è bene, ma va risolto
anche un grande problema di comunicazione e di educazione.
Giulio Mingardi
I
l livello di competenze per
la salute e di consapevolezza dei propri problemi
sanitari (la health literacy
del mondo anglosassone che
non è facilmente traducibile
in italiano) incide notevolmente sugli esiti clinici, sul
numero e la lunghezza dei ricoveri, sui costi, sulla sopravvivenza dei pazienti. Su queste competenze pesano sia le
caratteristiche personali dei
pazienti (come età, livello di
istruzione e di reddito, disabilità cognitive, appartenenza a minoranze sociali, supporti famigliari) che le attitudini del personale sanitario,
l’empatia e la comprensione
verso i problemi dei pazienti,
la capacità e l’impegno nell’informare correttamente i
propri pazienti.
UNA VITA IN DIALISI
I pazienti in trattamento dialitico cronico sono in Italia
circa 50.000 (meno dell’uno
per mille sulla popolazione
complessiva) e costano però
al Servizio sanitario nazionale almeno 2,5 miliardi di euro
l’anno, circa il 2,5 per cento
dell’intera spesa. L’emodialisi
è un trattamento cronico
complesso, molto impegnativo per struttura e pazienti.
Deve essere effettuata tre
volte la settimana per quattro ore ogni volta, è accompagnata da una terapia farmacologica domiciliare plurima, numerose prescrizioni
dietetiche, necessità di adeguare lo stile di vita alla terapia e richiede che il soggetto
si sottoponga a numerose visite specialistiche e indagini
strumentali.
Nonostante tutto questo i
dializzati sono gravati da
un’alta mortalità, circa il 1520 per cento annuo, e da una
bassa qualità di vita.
La media dell’età dei pazienti
dializzati è di 70 anni. In
generale oltre il 70 per cento
dei nuovi pazienti ha un’età
superiore ai 60 anni. Almeno
il 60 per cento arriva in dialisi
da malattie come il diabete,
24
patologie cardiovascolari o
sistemiche, che notoriamente compromettono nel tempo
le capacità cognitive. Cosa ci
si può aspettare quindi, date
queste premesse, nel campo
della consapevolezza e delle
competenze per la salute, in
questa
popolazione
di
pazienti che assommano in
sé molte delle caratteristiche
che sono note ridurre la possibilità di raggiungere in
modo soddisfacente questi
obiettivi?
HEALTH LITERACY
La letteratura ci dice che
un’alta percentuale di dializzati, almeno il 30-40 per
cento, non segue le prescrizioni mediche per cause personali o sociali. Se ci spostiamo più in generale nel
campo delle competenze per
la salute la situazione non è
certo migliore.
È stato mostrato (M.A.
Kleinpeter, Adv Perit Dial 19,
2003) che una bassa health
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
literacy, essenzialmente correlata al livello culturale,
riduce gli esiti e la qualità
della dialisi peritoneale – una
terapia dialitica svolta a
domicilio e che richiede pertanto un particolare coinvolgimento del paziente.
Un’altra ricerca ha evidenziato (V. Grubbs et al., Clin J Am
Soc Nephrol 4, 2009) che
almeno un terzo della popolazione dializzata studiata
aveva una inadeguata health
literacy e che questi pazienti
avevano una minore probabilità di essere inseriti nella
lista di attesa per un trapianto renale. Potevano cioè perdere una importante opportunità di risolvere al meglio
la loro condizione di malati.
Nel mese di giugno di quest’anno un altro studio su
una larga popolazione di pazienti emodializzati (J.A.
Green et al., Clin J Am Soc
Nephrol 6, 2011), ha dimostrato che in una percentuale
significativa, circa il 20 per
cento, mostravano una bassa
health literacy correlata a
luglio 2011<
basso livello culturale e appartenenza a minoranze sociali. Un problema ormai presente anche nei nostri centri
dialisi.
Tutti gli autori si chiedono
come il personale sanitario e
l’organizzazione sanitaria più
in generale possa intervenire
per migliorare questa situazione. Essa ha certamente radici culturali e sociali profonde ma può anche essere migliorata e peggiorata dagli
operatori sanitari nella loro
interazione con i pazienti. Se
basse competenze per la salute hanno un impatto importante nel trattamento
delle malattie croniche è proprio in queste condizioni che
sono particolarmente indicati programmi di educazione
terapeutica. In particolare è
un clima e uno stile comunicativo sereno ciò su cui l’organizzazione può e deve
puntare, un clima che coinvolga tutta l’équipe e tutti i
pazienti nel programma di
cura. Facilitare momenti di
incontro con pazienti e fami-
25
gliari, avere semplice materiale illustrativo scritto, mettere a disposizione dei pazienti numeri telefonici dove
rivolgersi in qualunque momento per avere chiarimenti
o consigli, sono accorgimenti
molto utili ed evitano spesso
problemi maggiori.
E NEL BELPAESE?
Purtroppo i dati a disposizione riguardano essenzialmente il mondo anglosassone.
Cosa possiamo dire, in base
alla nostra esperienza, per
l’Italia?
Il primo problema è certamente quello di rendersi
conto che, se è vero che i
pazienti hanno diversi livelli
di health literacy, anche il
personale sanitario ha diverse capacità, attenzioni e abilità nello spiegare in modo
chiaro e produttivo i problemi di salute ai pazienti e al
pubblico in generale. Queste
capacità devono essere coltivate e alimentate, non sono
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un dato di fatto congenito. In
una medicina sempre più
tecnologica e scientifica è
comprensibile e giusto che la
prima preoccupazione sia
quella di fornire una assistenza ineccepibile dal punto
di vista tecnico scientifico,
ma ciò non è sufficiente se si
vogliono davvero raggiungere risultati di eccellenza.
Bisogna che il personale sanitario, e medico in particolare,
e le organizzazioni nel loro
complesso realizzino che esiste anche un grande problema di comunicazione e di
educazione, soprattutto nel
campo delle malattie e terapie croniche.
In un’esperienza fatta all’AUSL
di Reggio Emilia è emerso che
più dell’80 per cento dei professionisti non percepisce il
proprio stile comunicativo
come difficile da comprendere, nonostante tutte le ricerche in questo campo dimostrino ampiamente il contrario. Sempre in questa relazione si ricordava come già
George Bernard Shaw sottoli-
neasse che il problema principale della comunicazione è
l’illusione che sia avvenuta.
L’ESPERIENZA DEI
CAMPISCUOLA
Gli operatori della dialisi, gli
infermieri in particolare, sono forse più sensibili della
media ai problemi dell’informazione, dell’educazione terapeutica e della health literacy dei loro pazienti. Questo
dipende in larga parte dal
fatto che tecniche come l’emodialisi domiciliare o la dialisi peritoneale necessitano
di un periodo formalizzato di
training, anche di più mesi,
perché il paziente possa svolgere autonomamente queste
terapie a domicilio. Anche l’emodialisi ospedaliera e il trapianto creano un rapporto
molto stretto e continuativo
tra operatori e pazienti che
dovrebbe favorire la comunicazione e il miglioramento
della consapevolezza dei pazienti riguardo ai problemi
26
della loro salute. Ma certamente ciò non avviene per
caso o volontà divina.
Bisogna quantomeno dare
una mano, le nostre mani, a
questa volontà
Noi stessi, insieme a molti
operatori del gruppo di
Bergamo, abbiamo organizzato o partecipato a incontri,
corsi, campiscuola, scritto
opuscoli su vari argomenti legati alla dialisi, all’insufficienza renale e più in generale alle problematiche delle
malattie croniche e della
informazione in campo sanitario.
Anche a metà giugno di quest’anno è stata programmata
una intera domenica di informazione e condivisione con i
nostri pazienti dializzati e le
loro famiglie, punteggiato da
momenti artistici e musicali.
L’esperienza dei campiscuola,
di cui la psicologa-infermiera
Valentina Paris, altri infermieri e un gruppo di giovani
trapiantati sono stati l’anima, il cuore e le mani, è una
modalità operativa impegna-
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
tiva ma altrettanto degna di
essere fatta e propagandata.
Si tratta di due, tre, quattro
giorni liberamente scelti e
passati in una località di villeggiatura, durante i quali si
condividono momenti educativi e di svago.
Stare insieme crea un grande
affiatamento e migliora il
clima comunicativo e di comprensione reciproca.
È quindi possibile fare molto
di più al di là del classico rapporto istituzionale e professionale. Il personale infermieristico e l’aiuto di operatori dell’informazione, se
disponibili, sono fondamentali per inventare nuove
modalità di approccio al problema dell’informazione e
formazione sanitaria.
COMUNICARE
LA DIALISI
Per rendere più concreti questi concetti generali vorrei fare alcuni esempi molto rapidi
e semplici di problematiche
luglio 2011<
classiche che si incontrano
con singoli pazienti in dialisi
e di come esse possono diventare motivo di scontro e
di giudizio negativo sul paziente stesso, o al contrario,
se affrontate in modo collaborativo e positivo, diventare
occasioni di crescita del rapporto terapeutico e di soddisfazione professionale per
l’équipe.
La prima riguarda la questione degli stranieri, dove il problema della comunicazione è
anzitutto legato alla non conoscenza di lingue con cui
mediare.
«AB è un paziente
immigrato di colore che
giunge da noi con una
gravissima insufficienza
renale, dopo essere
transitato da un altro
ospedale che non aveva
ritenuto possibile iniziare
la dialisi, per cui è
necessario iniziare subito
il trattamento dialitico.
Parla pochissimo
l’italiano e nessun’altra
27
lingua a parte la sua di
origine. Non abbiamo il
prezioso supporto di
mediatori culturali o di
famigliari. L’inizio del
trattamento dialitico è
gravato da numerosi
problemi che sono molto
amplificati dalla
difficilissima
comunicazione.
Gli infermieri hanno la
buona idea di chiedere a
un altro paziente di
colore che esegue dialisi
su un altro turno se è in
grado di comunicare in
questa lingua e se è
disponibile ad aiutarci in
un percorso di
informazione ed
educazione. Il paziente
accetta e i due vengono
messi vicini sullo stesso
turno di dialisi.
Nel giro di 20-40 giorni
di dialisi intensiva e di
faticoso training la
situazione clinica
migliora nettamente, il
paziente si rende
autonomo con grande
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gioia di tutti e si riescono
a far intervenire la
Caritas diocesana e le
assistenti sociali del
comune di residenza. Ora
il paziente è
completamente
riabilitato e segue
scrupolosamente gli
indirizzi del personale
medico».
La seconda evidenzia la questione del dolore e della paura come condizioni all’immobilismo del paziente.
«BC entra in dialisi in un
altro ospedale e viene da
noi dopo alcuni mesi per
questioni di competenza.
È terrorizzata, sta male a
ogni dialisi, non
sopporta il minimo
dolore, non segue le
terapie, non si fida di
nessuno. Discutiamo in
équipe come affrontare il
caso, sia da un punto di
vista tecnico che
educativo e relazionale.
Decidiamo che un
atteggiamento di
semplificazione tecnica,
terapeutica e di
accoglienza, con
l’impiego di
comprensione, continue
e serene spiegazioni,
possa favorire un lento
miglioramento della
situazione.
Contemporaneamente
abbiamo incontri anche
con il marito che è molto
disponibile e
collaborativo. A poco a
poco l’équipe accoglie le
difficoltà poste dalla
paziente come sintomi
del suo disagio e la
paziente accetta l’équipe,
diventa più consapevole
dei suoi problemi e delle
possibili soluzioni, entra
in lista trapianto, quasi
scompaiono i suoi
sintomi in dialisi, si
normalizza la pressione
che era molto elevata.
È molto fortunata
perché arriva al
trapianto dopo pochi
mesi in condizioni sia
28
fisiche sia psichiche
migliori».
L’ultima tocca la questione
della fiducia reciproca, spesso fonte di complicazioni e
difficoltà.
«CD è un paziente
giovane, in buone
condizioni generali, ha
un buon lavoro, una
famiglia disponibile. È
quello che, al primo
impatto, sembra un
paziente facile con cui
non ci dovrebbero essere
particolari problemi nel
percorso di inserimento e
di comprensione. Invece
non appena inizia l’iter
di esami e visite per
l’inserimento in lista
trapianto renale ci
accorgiamo che ha
grandi limiti nel
ricordarsi gli
appuntamenti, nel capire
dove andare e perché.
Com’è naturale che sia,
questo tipo di
comportamento crea
>Janus n. 2
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
inizialmente numerose
discussioni, anche molto
animate, in équipe, con
scambi di accuse
reciproche.
Dopo rivalutazione del
caso si decide di
accompagnarlo passo
passo in questo percorso,
senza dare più per
scontate la sua
comprensione e
autonomia. In tal modo
si raggiunge l’obiettivo
dell’inserimento in lista
trapianto in tempi
ragionevoli e soprattutto
un rasserenamento
notevole del rapporto
con il paziente e, in
qualche misura, anche
un miglioramento della
consapevolezza dei suoi
problemi di salute».
CREARE LE CONDIZIONI PER
LA RELAZIONE
Possono sembrare storie
semplici e forse ovvie. In fondo si potrebbe dire che abbia-
luglio 2011<
mo solo svolto il nostro lavoro in modo egregio, cercando
di curare il paziente nella sua
interezza, di informarlo ed
educarlo.
Sarebbe stato molto facile
(ed è quello che può succedere spesso) semplicemente
staccarsi dai pazienti invece
di accoglierli, gettando sopra
di loro la colpa della situazione di disagio, incomprensione, rifiuto. Ci si mette a posto
la coscienza dicendoci che
ognuno porta le conseguenze delle sue azioni, che in
fondo il nostro dovere è di
fare una dialisi al meglio
della tecnologia e delle conoscenze scientifiche, che il
resto non ci riguarda, che
non possiamo ripetere cento
volte le stesse cose, che non
possiamo fare da balia ai
pazienti.
Credo invece che tante piccole attenzioni e iniziative siano importanti. Cercare di recepire anche i segnali deboli
che vengono lanciati dai nostri pazienti, creare con un lavoro formativo coordinato e
29
affiatato di tutta l’equipe
medica e infermieristica un
clima favorevole alle relazioni dove scompare la vergogna di domandare e ridomandare (che spesso blocca i
pazienti), mettersi in gioco
per quanto possibile con tutti i nostri limiti è un compito
fondamentale degli operatori di un centro dialisi. Gli infermieri in particolare passano molto tempo con i pazienti, hanno una professionalità
più duttile e giovane. Sono
interfacce di comunicazione
insostituibili e preziose. Forse
non è quello che si dice un
metodo di lavoro tradizionale e codificato, ma è il modo
migliore per ottenere risultati clinici eccellenti per i pazienti e regalare agli operatori maggiori soddisfazioni professionali e un ambiente di
lavoro caldo e stimolante.<<
giulio.mingardi@
gavazzeni.it
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MEDICI ALLA SBARRA.
PAURA, SCONTRO, BUONSENSO
La Cassazione condanna tre medici e sui giornali la vicenda
prende le tinte dell’accanimento terapeutico. Le parole di
Casali descrivono bene un clima teso dove i medici vivono
fra incudine e martello, è venuta meno la relazione medico
paziente ed è il giudice a stabilire cosa va fatto e cosa no.
Paolo G. Casali
M
olti quotidiani hanno riportato la sentenza 13746 emessa dalla Cassazione
enfatizzando la questione dell’accanimento terapeutico. Nel
procedimento sono stati condannati tre medici dell’ospedale San Giovanni di Roma, per
aver operato una donna di 44
anni con tumore al pancreas e
metastasi diffuse, morta poche ore dopo essere uscita dalla sala operatoria a causa di
un’emorragia. Il reato è prescritto (i fatti risalgono al 2001)
ma i medici dovranno risarcire i
danni morali provocati ai familiari della donna.
ALLA RICERCA
DELL’ACCANIMENTO
TERAPEUTICO
La sentenza della Cassazione,
al di là delle considerazioni
sul singolo caso, sembra
implicare che vi possa essere
accanimento
terapeutico
anche in presenza del pieno
consenso del paziente.
Qualcuno, come chi scrive, ha
sostenuto il contrario in occasione di un incontro sull’accanimento terapeutico in oncologia, organizzato non
molto tempo fa dal comitato
etico dell’Istituto Nazionale
Tumori di Milano. L’idea è che
la possibilità di un qualche
accanimento sia ben presente nelle situazioni in cui il paziente è incosciente, come in
terapia intensiva, ma assai
meno laddove, come in oncologia, egli è sempre in linea di
massima capace di decidere
se accettare o meno un determinato trattamento.
In prima approssimazione:
nessuno può accanirsi su di
me, se sono libero di decidere. In effetti, vi sono diversi rischi nel negare questo assunto. Soprattutto se questo
avviene su un piano giuridico
e non su quello clinico.
IL BIAS GIURIDICO
Sono ovvi i motivi per cui
l’ambito del diritto deve esse-
30
re più ristretto di quello clinico, o etico clinico.
Un conto è se il paziente e il
suo medico decidono insieme che qualcosa non va
fatto, perché troppo aggressivo o con insufficienti probabilità di un buon esito.
Altro conto è se lo fa un giudice. Il giudice può farlo a posteriori, e inevitabilmente solo nei casi per così dire andati male, creando così una giurisprudenza che un clinico
definirebbe biased, condizionata da preconcetti e circostanze. È come decidere sui
casi futuri avendo nella testa
solo i casi precedenti a evoluzione sfavorevole. Nessun clinico razionale lo farebbe.
Nel considerare retrospettivamente qualsiasi decisione clinica, il problema è sempre:
quante probabilità vi sono, a
priori, di un qualche esito favorevole? E naturalmente il
fatto interessante, ulteriore
problema, è quale debba essere la soglia probabilistica ritenuta interessante e cosa si
intenda per esito favorevole.
>Janus n. 2
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
Il dieci per cento è poco o
tanto? E l’uno per cento? E
l’uno per cento in probabilità
di guarigione? E il dieci per
cento in palliazione di gravi
sintomi attesi a breve termine? E cosa dire, poi, dell’incertezza su queste stesse
probabilità?
Riguardo a questo, ci si chiede
se sia il giudice a dover decidere per tutti i pazienti, o non
siano i pazienti che devono
decidere con i propri medici,
singolarmente: cioè diversamente, anche molto diversamente, l’uno dall’altro.
NELLA ZONA GRIGIA
In realtà, la sentenza di
appello sembrava assumere
una totale assenza di beneficio, che naturalmente eliminerebbe ogni problema, ma
rappresenterebbe in generale una situazione estrema
per un'indicazione terapeutica. Ora, è ben vero che se io
do il mio consenso a che
qualcuno mi pugnali nella
luglio 2011<
schiena, quel consenso non
ha alcuna validità. Ma è
altrettanto chiaro che la
complessità della clinica non
riguarda esattamente questa
situazione, bensì un’infinità
di casi concreti che si situano
in un’ampia zona grigia.
Quando i gradi di libertà lasciati al medico e al suo paziente venissero, di fatto, ulteriormente ristretti, l’effetto
sarebbe semplicemente di
rendere quella complessità
sempre meno rilevante per la
decisione clinica. Tanto più
nell’attuale evoluzione della
medicina, che propone tecnologie sempre più numerose,
variegate e personalizzabili.
Il tutto nell’attuale contesto
assistenziale, in cui ai possibili reati legati alla colpa
medica si aggiungono quelli
legati alla possibile truffa ai
danni del sistema sanitario.
Nella logica dicotomica del
diritto, un comportamento
clinico, magari discutibile, è
semplicemente o legittimo o
criminale (anche molto criminale, omicida, truffaldino,
31
eccetera). Certo, in medicina
vi sono scelte giuste e sbagliate, o più o meno giuste e
sbagliate. Ma il rischio è che
proprio la zona grigia della
clinica, su cui è vitale poter
discutere liberamente, venga
eliminata, ampliando o restringendo a seconda di dove
va la giurisdizione, quest’ultima in sostituzione della discussione clinica. Quella fra i
medici, e quella fra il medico
e il suo paziente.
E, come spesso accade in
Italia, quando il grigio diventa nero, anche il bianco e il
nero finiscono per non essere
più certi. Cioè anche i comportamenti realmente inappropriati o illeciti diventano
indistinguibili da quelli appena discutibili.
SE VINCE LA TATTICA DEL
CATENACCIO
In linea di massima, viene
premiata la medicina difensiva. E dunque il risultato può
ben essere diminuire gli atti
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La vulgata giornalistica della sentenza 13746 si discosta
molto dal testo della Cassazione. A poche settimane dalla
pubblicazione sono stati gli stessi media a fare un passo
indietro.
http://bioetiche.blogspot.com/2011/04/una-sentenzaimmaginaria.html
terapeutici ad alto rischio,
con probabilità di guarigione
limitate ma non nulle.
Diventa impossibile perseguire un chirurgo che dice di
non saper fare un intervento
complesso e ad alto rischio,
mentre resta sempre possibile addebitargliene l’esito sfavorevole (per definizione probabile) nel caso abbia la sciagurata idea di avventurarcisi.
Questo va tutto sul conto del
paziente, in termini di diminuite opportunità terapeutiche e migrazione sanitaria. La
ricerca clinica, ugualmente,
non ne viene in alcun modo
favorita. Perché in genere la ricerca comporta rischi aggiuntivi, pur se, ovviamente, anche opportunità aggiuntive.
PER UNA BUONA MEDICINA
In effetti, un paziente con
malattia grave è razionale
quando accetta interventi
terapeutici a bassa probabilità di successo, o di entrare
in uno studio clinico dall’esito incerto. Se le mie probabilità sono zero, sarò incline ad
andare dove quelle probabilità sono anche solo un po’
più di zero.
Certamente questa inevitabile propensione al rischio
del paziente con malattia
grave deve trovare dei limiti. I
quali, però, devono essere
appunto flessibili, in rapporto alla complessità della clinica e, verrebbe da dire, della
vita.
32
In effetti, la medicina, la buona medicina, si è data degli
strumenti pragmatici per
questo. È sempre utile, per
esempio, che più persone siano coinvolte in queste decisioni. Può trattarsi di un comitato etico, quando si decida se
un trattamento sperimentale
può essere o meno proposto
ai pazienti. Può essere un
gruppo clinico multidisciplinare. Possono essere società
scientifico-professionali, od
organismi appositi, che emanino per consenso delle linee
guida per la pratica clinica. In
questo modo è più probabile
che vengano esclusi trattamenti che, non a un singolo
ma a un gruppo di persone
con diverse professionalità e
sensibilità, appaiano futili o
gravati da tossicità e sequele
eccessive.
CONDIVIDERE DECISIONI… E
TUTELE
Con queste limitazioni, si va
dal paziente e lo si informa
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
adeguatamente, cercando di
tenere conto anche di una
serie di fattori psicologici. Si
coinvolge la famiglia, per
quanto il paziente lo desideri.
E si arriva a una decisione
condivisa. Che tuttavia, a
quel punto, deve trovare una
qualche tutela giuridica,
dando serenità a chi agisce
professionalmente.
In altri termini, se si tratta di
una decisione condivisa con
un paziente realmente informato, per definizione non vi
potrà essere accanimento terapeutico, perché nessuno, in
grado di intendere e volere,
potrà volere che ci si accanisca su di lui. Semmai si dovrebbe fare in modo che tutte le decisioni cliniche vengano prese in questo modo,
cioè con questo livello di
coinvolgimento del paziente
e di chi sta intorno a lui, a
fronte di una discussione clinica multidisciplinare, coerentemente con le linee guida per la pratica clinica accettate dalla comunità clinicoscientifica.
luglio 2011<
Questa è la vera sfida, organizzativa e culturale. Il magistrato deve vegliare, al massimo, su questo. Anche se, molto meglio, dovrebbero farlo i
sistemi di qualità, da implementare e costantemente migliorare nei sistemi sanitari.
IL VERO RISCHIO PER IL
PAZIENTE
Vi è, peraltro, un ulteriore
genere di limitazioni alla
libertà del paziente e del suo
medico. Sono i costi.
È probabile che, oggi, qui si
giochi il vero rischio del paziente con malattia seria.
Non tanto, cioè, sulla possibilità di restare vittima involontaria di accanimento terapeutico, quanto sul contrario,
cioè sul vedersi rifiutati dei
trattamenti con probabilità
di successo più o meno basse, per l’individuo, ma certamente ad alto costo, per la
società.
Sta accadendo in tutto il
mondo.
33
Su questo occorrerebbe discutere, in profondità. Perché
l’argomento, tutt’altro che
semplice, è urgente, per il paziente e per la società.<<
paolo.casali@
istitutotumori.mi.it
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LE LINEE GUIDA PORTANO
FUORI STRADA?
È corretto, da un punto di vista concettuale e giuridico,
contrapporre le linee guida, cui un medico ha il dovere di
attenersi, al diritto alla salute del paziente? Quali le
soluzioni fra etica ed economia?
Amedeo Santosuosso
U
n paziente viene dimesso dall’ospedale,
come da prassi, il nono giorno dopo infarto e angioplastica delle coronarie, ormai stabilizzato e
asintomatico. Nella notte del
suo ritorno a casa ha però
un’improvvisa e grave aritmia
che ne provoca il decesso.
Il medico che ha firmato la
lettera di dimissione viene
chiamato a rispondere di
omicidio colposo per negligenza, imprudenza e imperizia. A una prima condanna
segue l’assoluzione in appello, mentre la Cassazione finisce con il dare ragione al primo giudice, sostenendo che
l’aderenza alle linee guida
non giustifica le scelte del curante, il quale viene quindi
condannato.
Abbiamo chiesto ad Amedeo
Santosuosso, Consigliere di
corte d’appello presso il
Tribunale di Milano e docente all’Università di Pavia, di
commentare la vicenda.
Nei tre gradi di giudizio le posizioni dei giudici, pur diverse, hanno concordato sul
principio di base, affermato
solennemente nella prima
sentenza, secondo il quale il
diritto alla salute del paziente prevale sull’impegno del
medico ad attenersi alle linee
guida. In realtà è scorretto,
da un punto di vista concettuale e giuridico, contrapporre le linee guida al diritto alla
salute, poiché esse nascono
proprio a tutela di tale diritto. Le indicazioni delle società scientifiche nazionali e
internazionali infatti riflettono lo stato attuale delle conoscenze in un determinato
settore della medicina e servono a ridurre l’arbitrarietà
del singolo medico, basata
solo sulla sua propria esperienza, molto soggettiva e
aleatoria, che in quanto tale
garantisce poco il paziente.
Le sentenze sembrano invece
presupporre che questi documenti siano nati soprattutto
34
come strumenti per il taglio
delle spese.
La componente economica
effettivamente esiste, ma
non è prevalente. Anche questo elemento, insieme a quello organizzativo, ha comunque un suo valore, di cui occorre tener conto nell’interesse generale, soprattutto se la
spesa a carico della collettività e la fruizione di risorse,
per esempio l’occupazione del
posto letto, non è giustificata
da un vantaggio per il malato.
Nel caso specifico, da che
cosa nasce quindi il disaccordo tra i giudici dei tre gradi di
giudizio?
Le diverse interpretazioni nascono da un lato dal diverso
peso attribuito alle linee guida, a cui, come si è detto, viene
attribuito più il ruolo di strumenti finalizzati al taglio delle
spese che di orientamento basato su criteri scientifici. Ma ha
inciso anche una diversa valu-
>Janus n. 2
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
tazione delle condizioni cliniche del malato all’atto della dimissione. Il perito chiamato a
esprimere il suo parere sul caso decretò che nel caso in questione non c’erano indici obiettivamente contrari alla dimissione e che nulla faceva presagire la complicanza fatale.
Allora, quali erano le motivazioni della condanna?
Il giudice di primo grado ritenne che i fattori di rischio generali del malato (obeso, iperteso, fumatore e con alti livelli di
colesterolo e trigliceridi), la
gravità dell’infarto subito e
l’alto tasso di mortalità che
caratterizza i primi mesi successivi all’evento, avrebbero
dovuto spingere il medico a
un atteggiamento più prudente. Se infatti il paziente
fosse stato ancora in ospedale
al momento dell’improvvisa
aritmia, il disturbo avrebbe
potuto essere trattato prontamente e la vita dell’uomo
sarebbe stata salvata.
luglio 2011<
La sentenza d’appello però
capovolse questa interpretazione.
Sì, perché, a mio parere giustamente, il giudice di appello non ravvide nel singolo caso gli elementi tali da giustificare questa scelta. Cosa che
peraltro anche il perito aveva
affermato, sottolineando che
da giorni il malato non dava
segni di possibile scompenso
cardiaco né il suo elettrocardiogramma minacciava possibili aritmie gravi. Alla stregua di tali considerazioni, le
condizioni del paziente non
erano tali da discostarsi da
quelle di altri malati che rientravano nel campo di applicazione delle linee guida e quindi tali da richiedere un diverso trattamento.
I giudici hanno sottolineato
che le linee guida non sono
vincolanti. È vero?
Certo, lo stesso accade in
ambito giuridico, quando in
35
questioni controverse la
Cassazione prende decisioni a
sezioni unite. Anche in questo
caso i giudici, come i medici
davanti alle linee guida, possono anche non attenersi rigorosamente a queste indicazioni, ma devono giustificare le
ragioni di un eventuale discostamento. Se nel caso del
malato di cui si parla, la dimissione fosse stata motivata da
ragioni economiche o gestionali, trascurando segnali clinici di allarme, non c’è dubbio
che la sentenza di condanna
sarebbe più motivata. In questo caso invece, il medico
avrebbe dovuto piuttosto giustificare una scelta diversa da
quella suggerita dalle linee
guida, per esempio qualora il
danno fosse derivato proprio
dal non averne seguito le indicazioni.<<
Intervista raccolta
da Roberta Villa
amedeo.santosuosso@
unipv.it
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UNA LEGGE CHE INSEGNI A
MEDIARE I CONFLITTI
Ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema
Giustizia, offrendo al cittadino uno strumento più
semplice e veloce con tempi e costi certi. È l’obiettivo
della legge sulla mediazione: un approccio nuovo ai temi
della giurisprudenza. Anche in corsia.
Andrea Valdambrini
T
rent’anni fa, nel 1980, il
numero dei processi civili pendenti in Italia
era pari a 394.826 procedimenti. Nel 2010, secondo
i dati presentati in Parlamento
a gennaio 2011, siamo arrivati
alla cifra di 5.602.616. I dati
sulle cause civili sono tratti
dalla relazione del ministro
Angelino Alfano sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2010, presentata al
Parlamento lo scorso gennaio.
Se si tiene conto che la durata
media di un processo può
tranquillamente superare i
dieci anni, con punte di oltre
vent’anni, non è fuori luogo
pensare che il funzionamento
della giustizia in Italia possa
risultare indebolito e che ci si
trovi evidentemente di fronte
a un caso di giustizia negata.
Una possibile via d’uscita, da
affiancare ad altre iniziative
legislative e a interventi di
natura organizzativa, anche
sul piano delle risorse, è rappresentata dalla pratica delle
ADR (Alternative Dispute
Resolution, risoluzione alter-
nativa delle controversie), assai diffusa nel mondo anglosassone, la più conosciuta
delle quali è certamente la
mediazione.
VERSO UNA RISOLUZIONE
ALTERNATIVA
Con il decreto legislativo n. 28
del 4 marzo 2010, il Governo
ha dato attuazione alla delega relativa all’introduzione
della mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e
commerciali, recependo la
direttiva dell’Unione europea
del 2008 e introducendo per
la prima volta, nel nostro
sistema giuridico, un effettivo
strumento generale alternativo alla via giudiziale per
risolvere le controversie dei
cittadini. La riforma legislativa è stata completata con l’emanazione della normativa
di dettaglio contenuta nel
decreto ministeriale n. 180
del 18 ottobre 2010 ed è
diventata pienamente operativa nel marzo 2011 con l’en-
36
trata in vigore delle norme
sulla obbligatorietà della
mediazione in una serie di
materie indicate espressamente dalla legge.
Siamo di fronte a una rivoluzione nel sistema di gestione
delle controversie in Italia o è
solo un bluff, come sostengono alcuni, portato avanti da
operatori senza competenza?
Oppure si tratta di una trappola per i cittadini, come sostengono altri, costretti a una
tassa aggiuntiva per accedere
alla giustizia? Le opinioni, come spesso accade in occasione di grandi innovazioni, sono contrastanti e capita che si
sovrappongano, anche strumentalmente, battaglie culturali e interessi di bottega.
LO STRUMENTO
DELLA MEDIAZIONE
È lo stesso decreto legislativo
a definire nel suo primo articolo il nuovo istituto: la
mediazione è l’attività «svolta da un terzo imparziale e
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
finalizzata ad assistere due o
più soggetti sia nella ricerca
di un accordo amichevole per
la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la
risoluzione della stessa» (art.
1). La mediazione, seppure in
forme anche molto diverse,
in realtà era già presente nel
nostro sistema legislativo in
vari settori (in materia di
lavoro, comunicazioni, materie societarie e commerciali),
ma non con l’organicità e
l’impatto sul sistema di giustizia che ha la recente innovazione legislativa.
Dalla normativa emergono
tre tipologie di mediazione:
quella facoltativa, ossia scelta volontariamente dalle parti; quella demandata, quando il giudice, cui le parti si
siano già rivolte, invita le
stesse a tentare la mediazione; e infine quella obbligatoria, quando per poter procedere davanti al giudice, le
parti debbono aver tentato
senza successo la mediazione. Le parti in lite possono ri-
luglio 2011<
correre alla mediazione in
qualsiasi stadio della controversia, purché la controversia
verta su diritti disponibili.
Riguardo ai tempi della procedura, il procedimento di
conciliazione non può avere
una durata eccedente i quattro mesi e in ogni caso non
preclude l’accesso alla giustizia. Le accuse di ridurre l’accesso alla giustizia, con la
presunta anticostituzionalità
del decreto nella sua parte
relativa all’obbligo di esperire
un tentativo di mediazione
come condizione di procedibilità di una causa civile in alcune materie definite, sono a
opinione di molti giuristi
infondate. Considerati i tempi della convocazione della
prima udienza e la prassi di
richiedere un rinvio, per non
parlare dei tempi generali
per ottenere una sentenza, è
ragionevole ritenere che il
tentativo di conciliazione
non aggravi i tempi della giustizia ordinaria. Su questo comunque pende un ricorso alla Corte costituzionale e ci
37
sarà da attendere almeno un
anno per avere una sentenza
al riguardo.
COSTRETTI A MEDIARE
È soprattutto la mediazione
obbligatoria (ex art. 5, comma 1, del D.Lgs. 28/2010) a
rappresentare l’elemento più
significativo del nuovo sistema normativo e l’oggetto di
una parte delle critiche piovute sul decreto. Dal 21 marzo 2011 la mediazione è diventata infatti condizione di
procedibilità della domanda
giudiziale nelle controversie
in una sfera molto ampia di
materie: diritti reali, divisione, successioni ereditarie,
patti di famiglia, locazione,
comodato, affitto di aziende,
risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o
con altro mezzo di pubblicità,
contratti assicurativi, bancari
e finanziari.
L’obbligatorietà per le numerosissime controversie in
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materia di condominio e
risarcimento del danno derivante dalla circolazione di
veicoli e natanti è stata invece differita al 20 marzo 2012
per consentire un avvio graduale del meccanismo. È
opportuno comunque precisare che anche nei casi di
mediazione obbligatoria è
sempre possibile richiedere
al giudice i provvedimenti
che, secondo la legge, sono
urgenti e indilazionabili.
Si può inoltre distinguere la
mediazione facilitativa, in
base alla quale il conciliatore
si astiene dal prendere posizione su qualsiasi aspetto
sostanziale della controversia, facilitando piuttosto le
parti nell’individuare autonomamente un accordo amichevole, dalla mediazione
valutativa, in base alla quale
il mediatore è disposto anche
a dare suggerimenti e giudizi
nel merito del problema ed
eventualmente a fare pressioni sulle parti per il raggiungimento dell’accordo. Il D.Lgs.
28/2010 apre a questo secon-
do modello di mediazione,
disponendo che nel caso di
mancato accordo il mediatore possa fare una proposta di
risoluzione della lite che le
parti restano comunque libere di accettare o meno, e che
nel caso di richiesta congiunta delle parti diventa un
obbligo del formatore.
CHI SI OCCUPA DEL
PROCEDIMENTO?
Un elemento qualificante il
nuovo impianto normativo,
che lo distingue dalle esperienze di conciliazione già esistenti nel nostro sistema giuridico, è l’aver affidato il procedimento a organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione
del servizio e iscritti in un
Registro degli organismi presso il Ministero della giustizia.
La conduzione del procedimento è invece affidata a
mediatori, professionisti con
requisiti di neutralità, terzietà e indipendenza compe-
38
tenti nelle tecniche di gestione dei conflitti e nella facilitazione comunicativa, privi in
ogni caso del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo.
PREMI E PUNIZIONI
Consapevole della resistenza
culturale che ancora oggi la
mediazione incontra nel nostro paese, per garantirne l’effettivo avvio il legislatore ha
adottato un sistema di premi
e punizioni che dovrebbero
da una parte incentivarne il
ricorso e dall’altra prevenire
eventuali utilizzi non conformi allo spirito della legge.
Tra i primi vi rientrano gli
incentivi economici e fiscali;
la sospensione dei termini di
prescrizione e l’impedimento, per una sola volta, della
decadenza; le garanzie di
riservatezza sulle informazioni riservate emerse durante il procedimento e la loro
inutilizzabilità nell’eventuale
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
Ministero della Giustizia
www.giustizia.it
processo successivo; il valore
di titolo esecutivo dell’accordo raggiunto, dopo che questo è stato omologato dal
giudice; il gratuito patrocinio
nei casi previsti dalla legge.
Tra gli incentivi di carattere
punitivo vi rientrano invece:
la possibilità per il giudice di
desumere argomenti di prova
nel caso di mancata partecipazione senza giustificato
motivo al procedimento di
mediazione precedente il giudizio; il disincentivo, di natura
economica, a rifiutare una ragionevole proposta di accordo
formulata dal mediatore. Nei
casi in cui il provvedimento
che chiude il processo corrisponde interamente al contenuto dell’accordo proposto in
sede di procedimento di conciliazione, il giudice può così
escludere la ripetizione delle
spese sostenute dal vincitore
che ha rifiutato l’accordo suc-
luglio 2011<
cessivamente alla proposta
dello stesso, condannandolo
altresì, e nella stessa misura,
al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, e, inoltre, che possa condannare il
vincitore al pagamento di
un’ulteriore somma a titolo di
contributo unificato.
LUCI, OMBRE E
POTENZIALITÀ DEL NUOVO
ISTITUTO
L’introduzione della mediazione in via generalizzata
nelle controversie civili e
commerciali risponde innanzitutto a un obbligo derivante dalla direttiva europea già
citata, che aveva l’obiettivo di
garantire un migliore accesso
alla giustizia. L’obiettivo specifico del Governo italiano è
invece chiaramente espresso
nelle ripetute prese di posizione e nei documenti pubblici: ridurre il flusso in
ingresso di nuove cause nel
sistema Giustizia, offrendo
al cittadino uno strumento
39
più semplice e veloce con
tempi e costi certi.
A questo più che legittimo
obiettivo materiale se ne affianca poi – più o meno intenzionalmente – uno di natura
qualitativa, ossia l’introduzione nella giustizia civile di un
approccio culturale nuovo,
che cerca di superare la logica
unica del contenzioso affrontato con un approccio avversariale, per introdurre strumenti di gestione dei conflitti
di natura cooperativa, basati
sulla ricerca della complementarietà degli interessi
piuttosto che sulla distribuzione di torti e ragioni, verso
soluzioni alternative di mutuo beneficio.
È questa, a mio giudizio, la
portata più innovativa della
riforma. Si tratta di restituire
alle parti il potere e la competenza di una gestione non
distruttiva bensì trasformativa dei propri conflitti e di riconoscere nella mediazione
uno strumento di cittadinanza attiva e consapevole. I contesti microsociali, come ad
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esempio i condomini o le organizzazioni professionali, ci
hanno abituato sempre più a
narrazioni giornalistiche che
li descrivono più come campi
di battaglia che come spazi di
socialità, pur conflittuale.
Siamo quindi di fronte a una
grande opportunità per la società italiana, quella di far
propria una cultura della
convivenza possibile dove la
risposta al conflitto non sia
l’abbattimento del nemico
ma la ricerca di un buon accordo con l’altro: il conflitto
vissuto non come guerra, ma
come momento di confronto
dinamico/responsabilizzante
e come occasione per ristrutturare le relazione facendole
evolvere in senso costruttivo.
CONTRO(LA)RIFORMA
Quali sono allora le contestazioni alla riforma e da dove
provengono? Il principale portavoce del malcontento contro la legge è una parte del
mondo dell’avvocatura, con in
prima linea l’Organismo unitario dell’avvocatura italiana e
il Consiglio nazionale forense.
Le critiche principali riguardano sia l’obbligatorietà per procedere in giudizio, sia la non
previsione dell’assistenza tecnica obbligatoria dell’avvocato in sede di mediazione, sia
infine i criteri di qualità riguardanti organismi e mediatori.
Alla base di tali critiche stanno, in misura non sempre
chiaramente distinta, questioni culturali (la mediazione
segue una logica non avversariale che è praticamente
assente nella formazione giuridica universitaria), questioni corporative (le controversie
che si concludono in mediazione sono clienti in meno da
assistere in giudizio), questioni sostanziali e di contenuto.
Sulle prime, sarà il tempo a
mostrare auspicabilmente
l’efficacia di questo nuovo
modo di gestione dei conflitti
e a creare anche in Italia una
cultura dell’accordo di mutuo
beneficio; sulle seconde, che
40
sono comunque legittime,
non vale solo il principio del
maggior valore dell’interesse
collettivo sugli interessi di
parte, ma è opportuno prendere in considerazione anche
i nuovi spazi professionali che
si aprono per gli avvocati che
si trovano ad affiancare le
parti con funzione di consulente esperto in questioni
giuridiche.
LA FIGURA DEL MEDIATORE
Riguardo ai contenuti, sono
certamente molti i rilievi che
si possono fare all’attuale sistema normativo, ma credo
non tali da dover bloccare il
nuovo sistema sul nascere.
Tra le varie questioni sollevate, penso valga la pena sottolineare come un punto debole dell’intero sistema sia costituito dalla formazione della figura professionale del
mediatore. La critica non va,
in questo caso, nella direzione delle perplessità dell’avvocatura italiana, che considera
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
necessaria una preparazione
giuridica che invece non è l’aspetto centrale in un lavoro di
esplorazione degli interessi e
di facilitazione della comunicazione (e che potenzialmente potrebbe pure essere disfunzionale, qualora il mediatore con formazione giuridica
non sappia spogliarsi dell’approccio valutativo appreso).
La fragilità formativa va individuata piuttosto nei requisiti del mediatore, al quale
basta un corso breve di almeno 50 ore per completare le
presunte competenze di base
acquisite con una laurea
anche solo triennale (o l’iscrizione a un ordine o collegio
professionale). La necessità di
ricorrere a enti formativi
accreditati presso il Ministero
della giustizia rappresenta un
minimo di garanzie, certo formali e quindi parziali, ma
corsi così brevi difficilmente
possono formare le competenze di gestione dei conflitti
e di comunicazione che costituiscono le abilità basilari del
mediatore.
luglio 2011<
LE POTENZIALITÀ DELLA
MEDIAZIONE
È ancora presto per avanzare
valutazioni sui primi passi
mossi. Dal ministero sono
arrivati i primi parzialissimi
dati relativi al primo mese di
entrata in vigore dell’obbligatorietà, da prendere con le
dovute cautele nella convinzione che le variazioni
potranno essere assai significative anche in tempi molto
brevi.
Il dato più rilevante è quello
degli esiti dei procedimenti
di mediazione, che nel 23 per
cento circa dei casi si sono
conclusi positivamente con
un accordo. Questa percentuale di successi, di per sé significativa ma certamente
sotto alle aspettative, va letta insieme a un altro dato importante: i casi di non accordo sono dovuti per il 70 per
cento alla mancata partecipazione della parte convocata. Quando invece le parti sono tutte presenti, il tasso di
successo sale a quasi il 71 per
41
cento. Sono numeri questi
che hanno bisogno di conferme da parte di analisi più
complete, ma fanno già comprendere l’enorme potenziale della mediazione nella gestione alternativa delle controversie. Agli operatori del
settore spetta fare un lavoro
di qualità, ai cittadini il compito di sperimentare con fiducia questa nuova strada.<<
[email protected]
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16 MILIONI DI VOLTE NO
ALL’EPATITE B
1991-2011. Il vaccino contro l’epatite B compie vent’anni.
Ne raccontano la storia due professionisti della salute. Per
ricordare un’Italia che seppe essere un modello per tutto
il mondo. E non dimenticare la strada che, in un Paese che
cambia, resta ancora da fare.
Alfonso Mele e Alessandro Zanetti
ZANETTI: Le vaccinazioni,
insieme agli antibiotici, rappresentano sicuramente uno
dei maggiori successi della
storia della medicina. Hanno
salvato milioni di vite umane
e sradicato malattie gravissime in molte regioni del
mondo.
Da quando il vaccino per l’epatite B è diventato obbligatorio per legge, il 27 maggio
del 1991, si contano 16 milioni di italiani immuni fin da
piccoli. Un numero impressionante che cresce di anno
in anno. L’Italia allora seppe
essere un modello per tutto il
mondo.
figli e ai famigliari dei portatori di virus, ai tossicodipendenti, agli omosessuali, e al
personale sanitario.
MELE: Un successo che tutti
ci riconoscono. Prima di allora il vaccino veniva somministrato, fin dai primi anni
Ottanta, esclusivamente alle
persone considerate a rischio
per l’infezione. Si trattava di
un vaccino plasmaderivato
(ricavato dal sangue di portatori cronici) e la comunità
scientifica
ritenne che
dovesse essere fornito solo ai
M: Con la fine degli anni
Ottanta, però, arrivò il vaccino sintetico, che eliminava i
possibili rischi di quello derivato dal plasma. Si sviluppò
quindi un dibattito sull’opportunità e le modalità con
cui allargare il target della
vaccinazione, andando a
intervenire in maniera più
estesa sui gruppi a rischio
oppure offrendo il vaccino a
Z: Già nell’Italia degli anni
Settanta si registrava una
prevalenza di portatori cronici del virus piuttosto alta, oltre il 2 per cento della popolazione, un dato che è andato
peggiorando in una decina
d’anni. Le conseguenze più
gravi erano sui bambini, che
avevano maggiori probabilità di aggravarsi perché incapaci di una risposta immunitaria abbastanza pronta e
immediata.
42
tutti i nuovi nati.
Le case farmaceutiche irruppero nel dibattito proponendo che il vaccino dovesse
essere per tutti. La loro presenza tolse serenità alla
discussione e venne vissuta
come un’ingerenza da parte
di operatori e ricercatori della
sanità pubblica.
Z: Le vie di trasmissione più
frequenti del virus erano i
rapporti sessuali e gli aghi
infetti. L’Istituto superiore di
sanità propose perciò di considerare fra i destinatari del
vaccino anche gli adolescenti: l’idea di vaccinare i bambini, alla nascita, e i ragazzi fra
i dodici e i tredici anni si
rivelò una strategia vincente,
perché capace di accorciare i
tempi. È così che in dodici
anni si è ottenuta una copertura di tutti i ragazzi al di
sotto del ventiquattresimo
anno di età.
M: Oggi l’epatite B in Italia
registra una prevalenza di
portatori cronici inferiore
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
STORIA, STORIE
all’1 per cento. Il trend era già
in discesa prima dell’introduzione dell’obbligatorietà del
vaccino. Ma dall’entrata in
vigore della legge la tendenza si è ulteriormente accentuata.
Z: Col tempo, la preparazione
dei vaccini è diventata sempre più sofisticata. Oggi i vaccini disponibili sono molto
diversi da quelli prodotti nei
decenni appena trascorsi. Più
purificati, inducono meno
effetti indesiderati e sempre
più spesso sono disponibili in
commercio in forma associata, contengono cioè più vaccini nella stessa fiala. Un
risparmio di spesa, tempo e
stress, per le mamme e per i
bambini che se la cavano con
meno iniezioni.
M: Oggi come ieri l’infezione
da parte del virus dipende
dai comportamenti a rischio:
rapporti sessuali occasionali,
tossicodipendenza, punture
accidentali con materiale
contaminato in ospedale.
luglio 2011<
Grazie ai controlli effettuati
sulle donazioni è sempre più
rara, invece, la veicolazione
dell’epatite tramite trasfusione di sangue.
Z: Molto resta ancora da fare.
In Italia l’obiettivo è quello di
continuare a vaccinare i bambini e aumentare la copertura
dei soggetti a rischio. Nel resto del mondo, soprattutto
nei Paesi in via di sviluppo, c’è
ancora molto da fare.
Attualmente sono 177 i Paesi
che hanno adottato la vaccinazione neonatale. L’82 per
cento del totale.
M: L’Italia può ancora migliorare l’offerta del vaccino.
Almeno per alcune categorie.
È paradossale che ancora
oggi tossicodipendenti che
frequentano i servizi per le
tossicodipendenze
(SerT)
non siano vaccinati e contraggano l’infezione. La vaccinazione, al contrario di
quanto avviene oggi, dovrebbe essere offerta direttamente dai SerT.
43
Z: Bisogna rafforzare anche
l’informazione e l’offerta
verso le famiglie dei contagiati. Recuperare la popolazione che non è stata interessata dalla vaccinazione di
massa.
M: Particolare attenzione
dovrebbe essere data agli
immigrati. Il 15 percento
delle nuove infezioni riguardano soggetti provenienti da
altri Paesi e di questi tempi,
in cui l’attenzione alla cura è
alta per via degli importanti
successi raggiunti dalla terapia, è importante non perdere di vista la prevenzione.<<
[email protected]
[email protected]
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LE VACCINAZIONI
TRA DIRITTO E DOVERE
Convincere invece che costringere: ecco gli strumenti e i
risultati della Regione Veneto, a tre anni dalla
sospensione dell’obbligatorietà delle vaccinazioni.
Quando la libertà funziona…
Massimo Valsecchi
P
latone, nelle Leggi, sostiene che il medico
che ha a che fare con
uomini liberi, diversamente dal medico degli
schiavi, deve quindi convincere il suo paziente a sottoporsi alla cura, e ragionare
con lui per mezzo di argomenti razionali, cioè persuaderlo, non minacciarlo o costringerlo.
Questa è stata la motivazione
che ci ha spinto, diversi anni
or sono, ad attivare il percorso
di riorganizzazione del sistema vaccinale della Regione
Veneto per giungere, dal primo gennaio 2008, alla sospensione dell’obbligo di vaccinare i nuovi nati contro difterite, tetano, poliomielite ed
epatite B.
Eravamo, in altri termini, ragionevolmente convinti che
l’insieme di interventi programmati e messi in atto a
partire dal 1993 consentivano di proporre alla popolazione, con buone possibilità di
successo, la scelta di fidarsi
della qualità del servizio vac-
cinale che veniva offerto in
maniera attiva e gratuita.
I dati delle coperture vaccinali raccolti negli ultimi due
anni e mezzo non fanno che
confermarci la bontà di quella nostra ipotesi.
MEDICINA PER UOMINI
LIBERI
In seguito all’applicazione
della sospensione dell’obbligo vaccinale nella Regione
Veneto è stata rafforzata l’attività di sorveglianza relativa
alla percentuale di nati che
vengono sottoposti alle vaccinazioni. Tale attività di monitoraggio, effettuata tramite una rilevazione semestrale
con un’apposita scheda, consente di individuare i non
vaccinati contro la poliomielite sulla base della motivazione che ha portato alla
mancata somministrazione
del vaccino. In questo modo
si evidenziano le criticità
maggiori relativamente alla
mancata adesione alle vacci-
44
nazioni una volta obbligatorie. I risultati mostrano che le
percentuali di bambini sottoposti alle vaccinazioni si
mantengono in linea con la
soglia del 95 per cento prevista dal Piano nazionale vaccini. In generale il 50 per cento
delle Aziende Ulss si mantiene su livelli di copertura desiderabili per le vaccinazioni
contro tetano, difterite, poliomielite ed epatite B.
I CARDINI
DELL’OPERAZIONE
Sulla base di questi dati possiamo ora tentare di identificare quali sono stati gli elementi determinanti del percorso che ha condotto a questo risultato.
L’elemento forse più importante è che, fin dal primo programma regionale avviato
nel 1993, l’intervento è stato
progettato, e percepito dagli
operatori, come un programma organico di lunga durata
che ha segnato una cesura
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
www.genitoripiu.it
con l’abitudine precedente di
attivare singole iniziative regionali su singoli vaccini o
singoli problemi.
Questa impostazione di sistema ha contribuito a definire l’identità di una rete fissa di operatori che si sono riconosciuti nel programma
pluriennale. A questa definizione dei termini ha poi anche contribuito l’operazione
di chiarificazione dei ruoli
delle figure chiave del processo vaccinale e in particolare la definizione del ruolo del
pediatra di base e dell’assistente sanitario. Compito del
pediatra non è effettuare la
vaccinazione. Egli piuttosto
ne illustra e ne discute il percorso con i genitori dei suoi
assistiti. La vaccinazione è
materia di specifica competenza del personale infermieristico. Questo ha consentito
di togliere da uno stato di
minorità questa fondamenta-
luglio 2011<
le famiglia del personale ospedaliero facendola diventare
anche formalmente l’asse portante delle attività vaccinali.
FORMAZIONE, VALUTAZIONE,
INFORMAZIONE, MARKETING
Fondamentale è stata poi la
costituzione di procedure
operative, sistemi organizzativi e percorsi di formazione,
tutti elementi che hanno
contribuito a conferire solidità alla rete.
La formazione, in particolare,
è uno strumento potente. La
nostra scelta di addestrare
assieme personale medico e
infermieristico dei nostri servizi vaccinali con i pediatri di
libera scelta è stata inizialmente avversata, ma poi accettata come usuale. I temi di
formazione hanno trattato
sia i problemi tecnici più controversi sia le modalità organizzative di erogazione del
servizio contribuendo,così, a
creare un dibattito e un sapere collettivo.
45
Un altro punto di forza è stata l’attivazione di un sistema
regionale di raccolta, valutazione e diffusione dei dati
sulle reazioni avverse ai vaccini. Il sistema, denominato
Canale verde, è stato attivato
sperimentalmente nel 1992
nella Ulss di Verona e poi
esteso, l’anno seguente, a
tutto il territorio regionale.
Gestito da una struttura universitaria, risponde alla necessità di costruire uno strumento di informazione autorevole e autonomo su quella
che costituisce, da sempre,
una delle maggiori preoccupazioni dei genitori: la possibilità di reazioni avverse ai
vaccini. A questi timori si è risposto con la pubblicizzazione e completa trasparenza
dei dati, cui tramite il canale
viene offerta la massima diffusione possibile.
Canale verde funge inoltre da
centro di riferimento nei casi
in cui occorre una consulenza
di qualità.
Infine, nel momento in cui si
abbandona la falsa sicurezza
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che sono gli utenti obbligati a
venire da te, diventa importante avere un programma
organico di marketing sociale.
Il programma Genitori più è
stato un momento innovativo
nelle nostre modalità di presentarci all’utenza, capace di
ottenere risultati tanto buoni
che il Ministero ci ha chiesto
di diffonderlo a tutto il Paese.
Abbiamo quindi formulato
un possibile modello di interpretazione delle modalità di
risposta della popolazione
alle nostre offerte.
Il modello prevede tre tipi di
risposta e, di conseguenza, la
capacità di individuare a
quale di questi tre gruppi
appartenga l’utente che si
presenta in modo da adottare una politica di approccio
differenziata.
UN NUOVO MODELLO
DI VACCINAZIONE
IL PRIMO GRUPPO
La sospensione dell’obbligo
ha modificato profondamente lo scenario dei rapporti
con gli utenti e, in particolare, con la quota di popolazione che era contraria alle vaccinazioni e che rifiutava di far
vaccinare i propri figli. La
caduta di ogni ipotesi repressiva ha consentito, per la
prima volta, di attivare un
colloquio fra pari con queste
associazioni e con i singoli
gruppi familiari, per progettare e iniziare una specifica
ricerca.
La stragrande maggioranza,
oltre il 90 per cento della popolazione, ha un buon rapporto di fiducia nei confronti
delle indicazioni suggerite dai
pediatri di famiglia e dai servizi vaccinali. Tende a seguirne le indicazioni allineandosi
alle scelte effettuate dalla
maggioranza dei suoi simili.
L’obiettivo è mantenere e
rinforzare questa situazione,
impostando un programma
di comunicazione centrata
sugli aspetti positivi che evi-
46
denzi la riduzione delle malattie infettive, l’esiguità delle reazioni avverse e la trasparenza del sistema di raccolta.
IL SECONDO GRUPPO
Costituito da una sottopopolazione che può fluttuare attorno al 2 per cento, il secondo gruppo è costituto da una
popolazione di reddito e cultura medio alte, largamente
informatizzata, titubante e
parzialmente diffidente rispetto alle vaccinazioni pur
senza avere connotazioni
ideologiche marcate.
È un sottogruppo particolarmente interessante dato che
è l’unico, fra i tre, sui quali è
possibile operare un’operazione di convincimento che
arrivi a modificarne il comportamento.
L’obiettivo è marcare la loro
distanza dal terzo gruppo e
riportarli verso il primo,
tenendo aperto un dialogo
personalizzato
>Janus n. 2
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L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti?
ETICA, EQUITÀ, RISORSE
IL TERZO GRUPPO
Rappresentano l’1-2 per cento
della popolazione. Sono un
gruppo fortemente motivato
ideologicamente, di estrazione sociale medio alta, che manifesta un atteggiamento di
profonda diffidenza , se non di
aperta ostilità, verso gli operatori di sanità pubblica.
Contrariamente a quanto
molti operatori credono, non
sono privi di informazioni ma,
al contrario, sono connessi a
circuiti informativi specializzati e molto orientati.
L’opposizione alle vaccinazioni non costituisce un elemento isolato nel loro schema
ideologico ma una delle sfaccettature di un più complesso rifiuto di diversi aspetti
che potremmo definire tecnologici: l’avversione agli organismi geneticamente modificati, l’apprensione verso
lo smog elettromagnetico, la
tendenza all’uso di medicine
alternative.
L’obiettivo in questo caso è di
aprire un dialogo che possa
luglio 2011<
stemperare l’ostilità iniziale
manifestando un assoluto
rispetto delle loro scelte, fornendo informazioni su vaccinazioni, reazioni avverse, epidemie in atto anche con
modalità continue nel tempo.
Oltre a dare, in ogni caso, la
possibilità di vaccinazioni parziali, è importante che i figli di
queste coppie siano censiti,
attivando una procedura specifica che consenta di contattarli direttamente al raggiungimento della maggiore età.
IL VACCINO COL GPS
L’aumento del livello di
libertà di scelta di cui ora può
usufruire la popolazione in
ambito vaccinale è un valore
aggiunto complessivo, più
vasto del suo specifico ambito di intervento, che il
Servizio sanitario regionale
fornisce al sistema sociale e
politico regionale.
Il sistema vaccinale ha migliorato la propria qualità
complessiva perché ha rinun-
47
ciato alla fasulla rendita di
posizione costituita dall’obbligo vaccinale e si è costretto a confrontarsi alla pari con
i propri utenti.
Credo che la figura del navigatore satellitare sia una buona
metafora di quello che Richard
Thaler e Cass Sunstein hanno
chiamato paternalismo libertario: ti chiede dove vuoi
andare, controlla accuratamente dove sei e dove stai
andando, ti avvisa per tempo
delle scelte che dovrai fare per
andare dove vuoi tu, non ti
reprime (neanche con il tono
della voce) se sbagli scelta
anche ripetutamente e ricalcola pazientemente un nuovo
percorso.
Forse non è un ruolo particolarmente eccitante rispetto alla nostra antica funzione di ufficiali di sanità ma è, probabilmente, molto più efficace.<<
massimo.valsecchi@
ulss20.verona.it
Janus_2
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A LEZIONE
CON IL MORTO
Un libro che raccoglie le impressioni dei giovani medici di
fronte a un cadavere. Le lezioni imparate. Le paure
confessate. La vita vera che un corpo, morto, sa ancora
raccontare.
Paolo Girolami
C
he cosa significa
entrare in contatto
con un cadavere per
gli studenti del primo
anno di una facoltà di medicina? Che insegnamenti ne
possono trarre?
Domande che vogliono risposte per nulla banali. E cui tuttavia riesce a trovare soluzione Sandra Bertman in un
testo non ancora tradotto in
italiano (S.L. Bertman, One
breath apart. Facing dissection, Baywood Publishing
Company, Amityville 2009) e
per cui vale la pena spendere
un po’ del proprio tempo.
PAROLE, IMMAGINI,
PERCEZIONI
Più che un libro è un atlante,
che raccoglie con scritte, frasi, poesie, brani letterari, immagini, disegni, collage, percezioni visive, olfattive, tattili
e i sentimenti che gli studenti hanno provato venendo a
contatto con un corpo umano in sala dissezioni.
Le celle frigorifere, i lettini
che sorreggono i cadaveri
donati da chi desiderava che
il proprio corpo potesse essere utile alla scienza. Corpi di
uomini e donne oggi impiegati nell’insegnamento dell’anatomia e delle tecniche di
dissezione. Una pratica che
in Italia è in disuso, anche a
causa di un sistema legislativo che regola in modo più
restrittivo l’utilizzo dei cadaveri a scopo di studio o di
ricerca, e che invece negli
Stati Uniti è ampiamente diffusa fin dai primi anni di studio della facoltà di medicina.
È evidente che l’importanza
del libro è soprattutto legata
all’esperienza del limite che
gli studenti maturano nel
contatto con il cadavere e che
li segnerà positivamente nella loro storia professionale.
IL PENSIERO DELLA MORTE
Che la morte costituisca l’evento che più di ogni altro
pone l’uomo di fronte al suo
48
limite è un dato incontestabile. Alla domanda su cosa
sia la morte si aggiungono
immancabilmente gli interrogativi sulle ragioni della
fine, perché il percorso della
vita debba per forza di cose
incontrare una conclusione,
perché bisogna affrontare
una cesura così drammatica,
perché si deve soffrire per la
scomparsa del nostro essere
per come lo conosciamo, o di
una persona cara che ci ha
mostrato e regalato affetto e
alla quale siamo stati legati.
Il pensiero della morte è sempre motivo di tristezza e nel
corso dei secoli gli uomini
l’hanno commentato nei testi
sacri e vi si sono ripetutamente cimentati, additando la
morte ora come fine, ora come liberazione, ora come inizio di una nuova esistenza,
non più limitata dalla corporeità ma aperta all’infinita ricchezza della pura spiritualità.
Per chi lavora a contatto con i
malati, la morte costituisce il
momento di passaggio tra
l’uomo e il cadavere. Per chi
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Il polso letterario
STORIA, STORIE
passa le giornate con corpi
umani privi di vita in sala dissezioni, come spesso capita
ai medici legali, forse la
morte è solo un cadavere.
ESSERE
E NON ESSERE PIÙ
Ma vi è differenza tra l’uomo
e il cadavere, sebbene spesso
il discorso sulla dignità della
morte ci induca a camuffare
l’uomo, con le sue caratteristiche vitali, e il cadavere, con
le sue caratteristiche mortali,
dietro un’unica immagine
neutra e confortevole perché
affrancata da ogni riferimento materiale: quella della
persona.
La differenza tra l’uomo e il
cadavere ci viene ricordata in
maniera inequivocabile anche da Severino Boezio nel De
consolatio philosophiae (S.
Boezio, De consolatio philosophiae, IV, 35), dove si legge:
«Come potresti chiamare
cadavere un uomo
luglio 2011<
morto, ma non potresti
chiamarlo
semplicemente uomo».
Questa frase costituisce l’espediente perché Boezio
possa definire il bene come
ciò che mantiene l’ordine,
conserva la natura, e per
opposizione il male come ciò
che si allontana dalla natura
e abbandona l’essere che si
trova nella natura. Il male è
quindi un non essere come,
nel nostro caso, il cadavere è
l’immagine in negativo dell’essere vivente.
Come il male è un non essere
anche il cadavere non è un
uomo: lo è stato, ma non lo è,
e non lo sarà di nuovo. Il
cadavere è perdita, è spoglia,
è distacco dalla vitalità dell’essere contenuto in lui, è un
non essere.
RAPPRESENTAZIONI DELLA
MORTE
Anche se spogliato dell’essere, un cadavere può ancora
49
dirci qualcosa? Può farci da
maestro?
Sappiamo che il cadavere costituisce oggetto di rispetto e
venerazione per i superstiti. Il
rispetto e la venerazione non
sono però rivolti al cadavere
bensì alla persona che quel
cadavere continua a rappresentare.
Ne è prova l’espressione di
sgomento, disgusto e orrore
che si legge sul volto dei
familiari allorquando viene
loro mostrato il cadavere
putrefatto del defunto. Non
vi è più venerazione ma ripulsa, unita alla necessità di
distaccarsi il prima possibile
da quella raffigurazione violenta e dissacratoria che tradisce la verità di un rapporto,di un sentimento di conoscenza, di amicizia e di affetto. Nel cadavere putrefatto
non è più riconoscibile la persona del defunto, cancellata
dalla macabra dissoluzione
della materia.
La persona del defunto va
cercata altrove, non è più nel
cadavere in disfacimento,
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non è più leggibile nel suo
volto, barbaramente defor-
mato dalla degenerazione
dei tessuti.
ONE BREATH APART
Il testo di Bertman è il racconto pittorico e narrativo di un
gruppo di studenti di medicina dell’Università del
Massachusetts a tu per tu con i cadaveri di un’aula di
anatomia. Il libro mette in evidenza l’aspetto educativo,
morale e metafisico dei corsi di anatomia: l’opportunità di
non limitarsi a sezionare un corpo e, al contrario, imparare
dal cadavere tutto il possibile. Educatrice e tanatologa,
con questo lavoro Sandra Bertman ha ampliato la sua
ricerca con gli studenti di medicina riassunta nel suo
primo libro (L. Bertman, Facing Death: Images, Insights,
and Interventions, Hemisphere, New York 1991).
Scritto con esplicito riferimento agli studenti del primo
anno di medicina, One breath apart è una raccolta di
disegni e scritti degli studenti che hanno frequentato la
Medical School fra il 1989 e il 2002, in risposta alle
assegnazioni del corso. Non a caso il libro è dedicato al
professore del corso di anatomia, Marks Sandy, che ha
voluto inserire nel suo progetto didattico un modulo di
medical humanities. Di particolare interesse è la varietà di
contenuti inclusi nel volume. La sensibilità artistica non fa
parte dei criteri di ammissione ai corsi di medicina, ma vi è
nei disegni degli studenti un’innegabile propensione alla
creatività e all’espressività più profonda.
50
Da qui la tradizione millenaria di inumazione precoce del
cadavere che, oltre a rispondere a esigenze di carattere
igienico, preserva chi ci lascia
dallo sguardo impietoso di
quelli che rimangono e ne
colloca l’immagine nella dimensione incorruttibile del
ricordo.
Il mistero del corpo incorrotto dei santi, alcuni dei quali
emananti un soave profumo
al momento della ricognizione della salma, avvenuta a
molti decenni dalla morte,
come nel caso di santa Teresa
d’Avila, ci consegna l’attestazione del processo di degradazione a cui è normalmente
soggetto il cadavere, degradazione che ha una sua consistenza materiale ed è fatta
di immagini, quindi elementi
visivi, profumi, elementi
olfattivi, contatti, elementi
tattili, così come ci vengono
riportati nel libro One breath
apart.
Si dice di solito che il professionista della salute si mostri
distaccato di fronte alla
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Il polso letterario
STORIA, STORIE
Il sito di Sandra Bertman: www.sandrabertman.com/
morte del paziente. In quei
momenti non può lasciarsi
andare a cedimenti emotivi
e, anzi, si trova a reggere la
parte di chi deve incoraggiare: anzitutto se stesso nel difficile percorso della vita che
lo condurrà prima o poi alla
morte, quindi i familiari e i
parenti che cercano di leggere nei suoi occhi indizi di un
eventuale rimprovero per
qualcosa che non è stato
fatto e doveva essere fatto, o
ancora il contrario: la pacata
resa a un nemico la cui forza
è giudicata soverchiante.
Nelle nostre facoltà di medicina il professionista della salute non è stato educato ad
andare incontro alla morte
con lo stesso entusiasmo con
cui si accoglie un amico. In genere non considera la morte
francescanamente (F. d’Assisi,
Cantico delle Creatu-re) come
«nostra sora morte corporale», se non nei casi, fortunatamente oggi assai rari, di
luglio 2011<
morti sopraggiunte dopo lunghe e strazianti agonie.
DEAD MAN SPEAKING
Se la morte è estranea ai nostri professionisti non lo è
certo per gli studenti che
hanno partecipato alla redazione del libro di Sandra
Bertman.
La capacità di questi studenti
di riconoscere, nel cadavere
che hanno sotto le mani, il
frutto di un gesto di generosità nei loro confronti li
educa innanzitutto a rispettare la morte e a non averne
paura. La curiosità nei confronti di quel cadavere che un
tempo è stato corpo vivente
li spinge a pensare alla loro
morte e al loro corpo quando
non sarà più vivente.
Per un futuro professionista
della salute il mettere le
mani dentro un freddo cadavere è senz’altro la migliore
51
lezione di bioetica perché
spiega, senza parole, il senso
del limite che sovrasta la
nostra esistenza e quella
degli altri. Grazie dunque a
Sandra Bertman per questa
bella lezione di bioetica che
gli studenti della Medical
School dell’Università del
Massachusetts hanno saputo impartirci:
«One breath apart: sei
venuto a prendermi per
fare un giro con te,
all’inizio avevo paura di
incontrarti, di prenderti
la mano. Pretendevo che
tu fossi lì per insegnarmi
i dettagli: muscoli,
arterie, nervi, e ti tenni
stretto. Poi scoprii il tuo
volto e seppi che eri
venuto per portarmi in
giro con te, sul limite, tu
su un lato, io sull’altro,
siamo divisi da un
respiro».<<
[email protected]
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LEGGE DI FINE VITA
TRA INVADENZA E DISCREZIONE
Può la presa in carico della volontà del paziente,
relativamente al suo morire, accogliere l’idea di un
riferimento alla dimensione di trascendenza a cui la vita e
la morte si aprono?
Antonio Autiero
L
a discussione su una
legge che regoli i problemi riguardanti la fine della vita non è prerogativa esclusiva dell’Italia.
Negli ultimi anni sono molti i
Paesi che si sono fatti carico
di mettere a tema una simile
problematica, accentuando
di volta in volta angolazioni
particolari e giungendo a
soluzioni talvolta anche contrastanti tra di loro. Ma il
fatto rilevante è proprio questo sentire comune che sdogana il tema della morte e lo
colloca al centro di una
discussione pubblica, sottraendola, così, alla strettoia
del privato che spesso la
nega, la occulta, la adultera.
do anche al proprio morire.
Gli sforzi di legiferare in tale
materia sono da ricondurre,
perciò, principalmente alla
coscienza di un servizio reale
al bene della vita e della sua
dignità; essi devono rispondere al dovere sacrosanto di
chi amministra la cosa pubblica, di consentire a soggetti
che vogliono dare senso al
proprio vivere e al proprio
morire, di poterlo fare in
piena rispondenza alla loro
visione del mondo e nella
consapevole accettazione di
quello che la morte può comportare, anche in termini di
rottura di equilibrio antropologico, quando le sue condizioni reali si fanno pesanti e
insopportabili.
DIRITTI NEL MORIRE
Un Paese deve essere anzitutto consapevole in modo
positivo di questo mutamento culturale e civile, che consiste nella volontà di riappropriazione responsabile e
matura dei cittadini, riguar-
TRA TENTAZIONE DI
INVADENZA E COSCIENZA DI
DISCREZIONE
La funzione di legiferare in
tale materia non viene quindi posta in dubbio o in discredito. È soltanto l’uso stru-
52
mentale che si può fare di
tale funzione che deve essere
smascherato e denunciato.
La volontà di regolamentare
il morire – come più in generale quello di rispondere a
suon di leggi a ogni domanda
riguardante la vita, le sue
stagioni e le sue dinamiche –
domanda una sapiente riflessione previa che ci porta a
chiederci se, anche con lo
strumento del biodiritto o
della biopolitica, prima ancora di perseguire una doverosa
opera di umanizzazione del
vivere e del morire, non si
voglia in realtà affermare
una volontà di potere e mettere in scena un esercizio di
disciplinamento delle persone e di impero sulla vita e
sulla morte.
Al posto del servizio sapiente
al bene della vita, espresso
nei termini di una discrezione che come virtù pubblica
accetta i suoi limiti, si potrebbe instaurare un sistema di
controllo invasivo e declassante. In più: se la formazione di fronti opposti cattura
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Grammatiche etiche
RICERCA, VITA
anche i temi della biopolitica
e del biodiritto, con la stessa
latente o palese intenzione di
contrapporsi e di schierarsi,
allora il sospetto di un problematico uso strumentale di
quello che è più caro all’uomo e più intimamente appartenente alla sua sfera di competenza si fa oltremodo
ingombrante.
Tra tentazione di invadenza e
coscienza di discrezione si
gioca tutto il dramma di autenticazione del dovere e del
diritto di parlare, anche mediante i segni codificati del
linguaggio giuridico e delle
scelte parlamentari, in materia di vita e di morte, di salute
e di malattia, di ricerca scientifica e di responsabilità per il
bene della vita, della sua dignità e della sua qualità.
La competenza in campo di
bioetica, quando la discussione passa attraverso i crinali
della politica, non è più uno
scontato collettore di consenso o la credenziale per
accreditarsi come politico
affidabile, ma mantiene un
luglio 2011<
suo rigoroso spessore di
taglio alto, che mal si addice
ai giochi delle alleanze di
interesse e solo si nutre della
volontà di servire il bene
comune, la cui più nobile
espressione è il bene della
vita e della morte di persone
consapevoli e mature.
PENSARCI PRIMA E MORIRE
BENE
Su questo sfondo va messo
anche il tema delle direttive
anticipate di trattamento. Se
la loro determinazione finisce per essere l’ennesimo
stratagemma per espropriare
la persona del suo dovere di
vivere e morir bene, allora a
patire è la qualità genuinamente bioetica della discussione e dei suoi risultati.
La contrapposizione tra
volontà del paziente e competenza del medico è una
falsa contrapposizione e
serve solo ad acuire il conflitto che, come sopra dicevamo,
serve ad altri scopi.
53
Quello che da diversi decenni
la riflessione bioetica va definendo in termini di alleanza
terapeutica trova proprio qui
un terreno fertile di concretizzazione.
Da una parte c’è la dichiarazione di volontà del paziente,
relativamente al trattamento
che egli desidera avere o vuole che si tralasci. Dall’altra la
consapevolezza del medico si
esprime in termini di interpretazione della scelta migliore che non neghi possibilità di risolvere i problemi
acuti di pericolo di vita per il
paziente, ma neppure si imponga come istanza inappellabile, il cui esito è solo il prolungamento ritardante del
processo di uscita dalla vita.
QUALCOSA
DA DICHIARARE?
Il fatto che il paziente, in
tempi di chiara presenza a se
stesso e nella ricostruzione
prospettica degli scenari possibili, esprima e fissi anticipa-
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tamente la propria volontà è
un elemento indispensabile
per aiutare il medico stesso
in quell’opera di interpretazione della scelta migliore
per il paziente. In questo senso le dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) non
creano l’alternativa, ma sono
un determinante momento
nella costruzione di quella alleanza terapeutica in cui consiste il vero e proprio rappor-
to tra medico e malato.
Il sapere, da parte del paziente, che la sua volontà esplicitata costituisce un vincolo
per il medico e non gioca solo
il ruolo di una allusiva ed eludibile dichiarazione, perché
oggi non è più quell’effimero
ieri in cui egli l’ha formulata,
apporta un valore aggiunto
alla qualità di stima dell’operato del medico e costruisce il
rapporto con lui al di là di
ogni gioco di forza e dinamica di potere. Se poi la cerchia
si allarga anche a figure interagenti, come la famiglia, il
fiduciario, il rappresentate
del paziente, allora si comprendono le dimensioni vere
di quella alleanza terapeutica che tocca sfere diverse, ma
convergenti sul bene del
paziente e della sua ineludibile volontà di morire in
dignità.
FIDUCIA E FEDE
IL TESTO CALABRÒ
A inizio luglio, mentre questo numero di Janus andava in
stampa, la Camera ha ripreso i lavori per l’approvazione del
disegno di legge sul testamento biologico. Il testo Calabrò è
arrivato al rush finale. La partita si gioca nel dibattito
generale sull’insieme degli emendamenti presentati ai nove
articoli del testo Calabrò.
Con tutta probabilità le votazioni si chiuderanno in pochi
giorni, ma il testo già modificato dovrà necessariamente
ripassare per il Senato. Un iter legislativo tanto lungo e
travagliato quanto blindato. Il punto su testo e modifiche
su www.senato.it e www.camera.it.
54
Questa via che non discredita, ma apprezza, non sminuisce, ma incrementa il carattere di alleanza del rapporto
medico-paziente-società, ha
anche un risvolto non accidentale per la visione religiosa della vita e della morte.
Detto in termini più espliciti,
anche se qui solo enunciati:
la presa in carico della volontà del paziente, relativamente al suo morire, anzi, il
suo dovere di maturare una
simile volontà in modo con-
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Grammatiche etiche
RICERCA, VITA
sapevole e autentico, non
contraddice, ma accoglie l’idea di un riferimento alla dimensione di trascendenza a
cui la vita e la morte si aprono, nell’espressione della fede religiosa.
Nella contrapposizione tra
volontà del paziente e competenza del medico si annida
una sostanziale allusione alla
contrapposizione tra autonomia della persona umana e
competenza del Dio trascendente. E viceversa. Ma come
per la prima, così anche per la
seconda di queste contrapposizioni, vale l’idea che esse
sono costruite strumentalmente per motivi ideologici e
di logica di potere. Non a
caso la terminologia risolvente la prima contrapposizione viene riportata al linguaggio dell’alleanza, un termine e un orizzonte di significato strettamente religiosi.
Anche per la seconda presunta contrapposizione, la categoria di alleanza deve essere
implicata nel suo valore risolutivo.
luglio 2011<
L’ESEMPIO TEDESCO
In questo fecondo intreccio
delle due accezioni va ritrovato il senso profondo di un
lavoro di paziente ma efficace mediazione che le chiese
cristiane maggiormente presenti in Germania (la cattolica e la protestante) hanno
saputo mettere in campo,
per accompagnare il cammino di un provvedimento legislativo che lo scorso anno ha
voluto rinnovare la normativa in merito al testamento
biologico.
Le chiese hanno trovato il
punto di equilibrio tra linguaggio religioso e consapevolezza civile, relativamente
al dovere del rispetto dell’autonomia del paziente, vista
sullo sfondo delle sue relazioni intersoggettive e sociali
ed espressa in termini di
coinvolgimento della figura
del fiduciario, del rappresentante legale, del familiare,
del personale sanitario.
Solo la discreta ma reale
disponibilità a scendere dal
55
piedistallo di invadenza di
leggi a forte tenore di controllo della sfera vitale e solo
la saggezza di una biopolitica
a servizio della responsabilità e della libertà della persona a capire e affrontare
l’avventura e il dramma del
suo vivere e del suo morire
potranno definitivamente
umanizzare l’esistenza.<<
[email protected]
Janus_2
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ANCHE I MEDICI SONO
CITTADINI
È necessario affermare il ruolo politico del medico, e la
funzione intellettuale a esso correlata, perché la salute
possa essere promossa non solo in termini psicofisici ma
anche socioeconomici e mediatici.
Silvia Ferrari e Giorgio Mattei
I
l mondo globalizzato in
cui viviamo sembra aver
prodotto un curioso paradosso. Se da un lato infatti
assistiamo, giorno dopo giorno, al progressivo e sistematico azzeramento delle barriere
spazio temporali, dall’altro è il
lavoro ad apparire frammentato, e così pure il professionismo, che assume una dimensione sempre più tecnicizzata
e spersonalizzata.
Il medico non è certo immune da tale processo (d’altronde la parcellizzazione è una
prerogativa necessaria per
esercitare un potere economico e politico su una classe
che dovrebbe rimanere, altrimenti, indipendente).
Tuttavia, alcune voci si sono
levate in tempi recenti, opponendosi alla figura imperante del medico-tecnico, sostenendo al contrario la necessità di affermare, per i professionisti della salute, un ruolo
di orientamento a livello politico, sociale e culturale, in
virtù delle competenze e
conoscenze che per forma-
zione possiedono, in forza
delle quali dovrebbero partecipare attivamente al dibattito pubblico per guidare i processi di cambiamento e di
modernizzazione
della
società (I. Marino, Nelle tue
mani, Einaudi, Torino 2009).
Nelle righe che seguono
intendiamo accogliere questa tesi, partendo dal concetto fondamentale per cui ogni
medico, in quanto uomo, è
per natura, come voleva
Aristotele, un animale politico e, in quanto cittadino, è
chiamato a contribuire al
progresso della società come
vero e proprio dovere costituzionale (come si legge nell’articolo 4), in aggiunta al dovere fondamentale di tutela
della salute dettato dall’articolo 32 della Costituzione.
IL RUOLO POLITICO DEL
MEDICO
Il medico che rifiuta di esercitare il proprio ruolo politico
(o viene messo nelle condi-
56
zioni di non poterlo esercitare) priva la società di un punto di riferimento importantissimo perché non ideologico, il quale dovrebbe agire
unicamente per tutelare la
salute del singolo e della collettività. Quella stessa salute,
è bene ricordarlo, che costituisce la base concretamente
fondante il diritto inviolabile
all’autodeterminazione e alla
libertà personale.
In merito alla necessità di vedere i medici attivi e partecipi nei dibattiti riguardanti la
professione, le politiche sanitarie e gli sviluppi legislativi
nel nostro Paese, vogliamo ricordare le parole di rammarico del presidente dell’Ordine
dei medici di Modena (N.
D’Autilia, , Bollettino dell’Ord.
prov. med. chirurghi e odontoiatri Modena 1, 2010):
«Forse molti colleghi non
si sono accorti del ruolo
sempre più pregnante
che stanno assumendo i
Livelli essenziali di
assistenza e della nostra
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Grammatiche etiche
RICERCA, VITA
assenza nei momenti
decisionali quando le
scelte di
programmazione
sanitaria impongono (o
imporrebbero) riscontri
attendibili da parte dei
professionisti. E in quegli
ambiti strategici sarebbe
importante, per non dire
fondamentale, avere
idee condivise
indipendentemente dalle
nostre appartenenze. Chi
oggi non ha inteso
partecipare a un
dibattito che riguarda la
professione e i suoi
sviluppi nel Paese non
può lamentarsi dopo di
una mancata presenza».
Per migliorare la salute pubblica, mantenendosi in linea
con i progressi compiuti nel
Novecento, è necessaria un’azione politica che promuova
stili di vita sani, tuteli la dignità della persona in ogni
momento della vita, difenda
gli individui più deboli e contrasti non solo la povertà in
luglio 2011<
quanto tale, ma anche il sistema economico che la determina (S. A. Schroeder, N Engl J
Med 357, 2007 e C. Shuftan,
Promot Educ. 15, 2008).
IL MEDICO-INTELLETTUALE,
TRA RUOLO E FUNZIONE
Riconoscere al medico un
ruolo politico significa attribuirgli implicitamente la
funzione di intellettuale.
«Come in qualche modo fece
già notare Antonio Gramsci
nei Quaderni dal carcere,
modernamente è la formazione tecnica a creare la base del
nuovo tipo di intellettuale […].
Siamo diventati specialisti
straordinari ma non siamo
ancora capaci di imprimere ai
cambiamenti in corso quella
direzione che dovrebbe essere
propria del mestiere del medico: l’unione di umanità e tecnica, di compassione ed esperienza, di solidarietà e ambizione scientifica».
Questo breve estratto (Marino,
57
cit.) può essere ulteriormente
approfondito alla luce della
felice distinzione attuata da
Franco Fortini tra ruolo e funzione intellettuale (F. Fortini,
Questioni di frontiera, Einaudi,
Torino 1977), particolarmente
calzante per il medico:
«Credo che la funzione
debba essere opposta al
ruolo: l’intellettuale non
ha da vergognarsi della
sua specializzazione e del
privilegio esplicito
(capacità di fare
qualcosa meglio di chi
non la sa fare) ma solo
dei privilegi impliciti che
ne trae o che la società
gli conferisce
(collocazione
dell’individuo in una
gerarchia di poteri invece
che di una funzione in
una gerarchia di valori)».
Infatti:
«la specializzazione nei
processi intellettuali di
astrazione, di analisi e di
sintesi (che connota
Janus_2
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Pagina 58
l’intellettuale ma non
coincide con la divisione
del lavoro intellettuale!)
rimane necessaria nella
misura in cui serve a
sviluppare analoghi
livelli di funzioni
intellettuali in tutti gli
uomini e, per cominciare,
in quella che
l’associazione fra caste
intellettuali e potere
economico-politico ha
storicamente
condannato a vivere di
sottoprodotti ideologici».
In forza di questo passaggio,
distinguiamo il ruolo intellettuale del medico dalla funzione intellettuale. Nel primo caso, il termine ruolo fa riferimento a una condizione di
stampo corporativo, volta al
mantenimento dello status
quo, fonte di pericoloso servilismo e giustificante privilegi
di casta. Nel secondo caso il
medico, esercitando la propria funzione intellettuale,
può contribuire a quei processi di cambiamento dei quali vi
Medici e politici
www.ordinemedicimodena.it/bollettino/pdf/gen11.pdf
è bisogno oggi per costruire
una società ispirata da una
differente visione del mondo,
improntata in senso antropocentrico e umanistico. Inoltre,
per esercitare tale funzione
intellettuale il medico dovrebbe fare sentire la sua voce in occasione di dibattiti
concernenti tematiche particolarmente rilevanti sotto il
profilo bioetico, a cominciare
da quelle riguardanti i trattamenti di fine vita.
IL DDL CALABRÒ
Proprio in queste settimane è
in discussione in Parlamento
il disegno di legge Calabrò,
primo tentativo di fornire
una risposta al vuoto legislativo drammaticamente evidenziato dai casi Welby ed
Englaro. In merito a tale progetto, a detta di molti non
58
realmente in linea con gli
intenti che si propone, diverse voci autorevoli si sono
levate. Quello che sembra
mancare, in questo dibattito,
è però una funzione intellettuale corale, esercitata da
parte di tutta la classe medica riunita attorno a una posizione comune espressa dagli
ordini, efficacemente veicolata sul piano mediatico ed
effettivamente fruibile da
parte delle la popolazione.
L’ingresso storico nel nuovo
millennio ci impone di ripensare al ruolo del medico all’interno della società, per superare l’attuale crisi di valori
e ridare prestigio e nobiltà all’arte. Ai tradizionali compiti
di diagnosi e cura è necessario oggi affiancare e affermare il ruolo politico del medico
e la funzione intellettuale a
esso correlata, volti a promuovere il bisogno di salute
>Janus n. 2
Janus_2
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RUBRICHE: Grammatiche etiche
RICERCA, VITA
della collettività non solo in
termini psicofisici ma anche
socioeconomici e mediatici.
QUESTIONI DI ETICA,
QUESTIONI DI POLITICA
Abbiamo accennato precedentemente al dibattito in
corso sulle disposizioni in materia di alleanza terapeutica,
di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. Queste tematiche,
insieme alle polemiche cui
viene sottoposta, ciclicamente, la legge 194, ci permettono di introdurre alcune considerazioni inerenti il rapporto
tra medicina, etica e politica.
Fin dai tempi di Ippocrate
l’arte medica è stata fortemente regolata da precetti
etici volti a distinguere l’azione lecita da quella illecita; a
maggior ragione ciò avviene
oggi che l’agire medico deve
sottostare alle norme raccolte nei vari Codici (deontologico, civile e penale).
Ci preme ora sottolineare
luglio 2011<
una fondamentale differenza, che il medico deve tenere
presente nel momento in cui
esercita il suo ruolo politico.
Mentre in medicina non vi è
dubbio alcuno sull’esistenza
di una questione morale, ovvero si dà per scontato che la
pratica medica debba inscriversi in un contesto di regole
comportamentali, a partire
dal principio generale del neminem ledere, in politica, al
contrario, da Machiavelli ai
giorni nostri, la domanda circa il sottostare dell’azione
politica al giudizio morale
sembra non avere trovato ancora risposta, anzi sembra
piuttosto destinata a rimanere un’aporia. Scrive Bobbio
(N. Bobbio, Etica e politica,
Mondadori, Milano 2009):
«A differenza degli altri
campi della condotta
umana, nella sfera della
politica il problema che è
stato posto
tradizionalmente non
riguarda tanto quali
siano le azioni
59
moralmente lecite e
quali illecite, ma se
abbia un qualche senso
porsi il problema della
liceità o illiceità morale
delle azioni politiche».
AGIRE NEL BENE COMUNE
Il medico intellettuale, consapevole del contributo che
può apportare al progresso
della società, non può ignorare il fatto che il suo agire,
eticamente disciplinato, nell’interesse della salute dell’individuo e della collettività, si scontra inevitabilmente con una prassi politica
ancora molto lontana dai
suoi ideali, perché troppo
impantanata con interessi
che nulla hanno a che vedere
con il buon governo, il cui
fine non è tanto il bene proprio, ma il bene comune.<<
[email protected]
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PASQUALINA QUATTRORICCHEZZE
DICE NO AL VOLONTARIATO
Un autoritratto lucido e disincantato di un medico che ha
deciso di fare il giornalista scientifico. E che oggi, su
facebook e internet, dipinge a tinte forti la realtà che la fa
sorridere e innervosire. Fra scienza, lavoro, attualità, Italia
e politica.
Silvia Bencivelli
S
ono cresciuta a Pisa.
Laureata in medicina e
chirurgia. Master in
comunicazione della
scienza. Oggi sono un medico
che vive a Roma e fa il freelance.
Era il 2005 quando ho cominciato a fare la giornalista
scientifica scrivendo lanci di
agenzia, articoli per quotidiani e riviste, alcuni progetti di
editoria scolastica. Oggi lavoro nella redazione di Radio3
Scienza, il quotidiano scientifico di Radio3 Rai, e a volte ne
sono conduttrice. Sono tra le
inviate di Cosmo, la trasmissione scientifica di Rai3 ideata da Gregorio Paolini e condotta da Barbara Serra, andata in onda la domenica sera
fino al giugno scorso.
Collaboro anche con giornali
e riviste, con scuole di comunicazione, case editrici, agenzie di comunicazione.
Partecipo come moderatore a
eventi culturali per il grande
pubblico e per le scuole.
Lavoro ancora nell’editoria
scolastica e sono addetto
stampa. Ho pubblicato due
libri. Insomma, non mi faccio
mancare niente.
FARE CARRIERA NEL
VOLONTARIATO
Lavoro per du’ lire: non ho
paura a dirlo, magari un po’
di vergogna sì. Lavoro per du’
lire e ciononostante non
manca chi vuole per forza
convincermi a lavorare gratis.
In genere è un signore in pensione, colto, elegante, curioso, anche simpatico. E in genere mi manda una mail carina in cui mi invita a un evento intelligente più spesso di
venerdì sera o di sabato pomeriggio, in una città di quelle che lì per lì puoi anche pensare che valgano un viaggio.
Ed è così che mi frega. Il pensionato di buona volontà riesce sempre a farti lavorare
gratis. Mi spiega che tutti i
partecipanti all’evento vengono senza essere pagati perché l’organizzazione è di un
piccolo circolo culturale, mol-
60
to attivo, che ha il patrocinio
del comune ma che lavora solo su base volontaristica e che
quindi purtroppo non ha di
che pagarmi. Io vorrei fargli
notare che lui tutti i mesi
prende una pensione garantita, mentre io tutti i mesi non
prendo un bel niente se non
mi sbatto a recuperare euro
per euro i soldi che mi devono
i miei quaranta clienti, di cui
trentotto morosi. Vorrei farglielo notare. Ma alla fine vince sempre lui.
QUELLI CHE…
Ci sono quelli che ti chiedono
un contributo per un libro.
Gratis, si intende, perché non
ci sono nemmeno i soldi per
pagare l’editore (si chiama tipografo, in quel caso, ma
vabbè) figuriamoci per pagare chi ha scritto cinque paginette TimesNewRoman12.
Figuriamoci. Tanto tu hai già
scritto altre volte di quella
cosa: ti verrà facilissimo farlo
di nuovo.
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Vi racconto la mia professione
STORIA, STORIE
Tutti i post di Silvia su:
www.silviabencivelli.it
Ci sono poi quelli che se si risparmiano un biglietto del
treno è meglio: già che sei da
queste parti, fai un salto da
noi così facciamo riunione? Ci
sono quelli che non ti pagano
e ogni volta ti promettono
che lo faranno, e tu continui a
scrivere per loro perché in fondo è una buona vetrina. Quelli
che ammettono candidamente da subito che non ti pagheranno mai, e tu apprezzi l’onestà. Quelli che ti contattano
loro, però poi ti chiedono di
fare una prova (una prova?!),
ovviamente non pagata, quelli che ti chiamano a un colloquio ma non ti pagano il treno, quelli che ti scrivono chiedendoti consigli o facendoti
proposte di lavoro così confuse e non ti accorgi nemmeno
che non si fa nessuna menzione al vile denaro. Quelli che
hanno avuto un’idea, quelli
che hanno finalmente capito
luglio 2011<
che cosa fare da grandi, quelli
che hanno organizzato il congresso della loro vita. E tutti ti
vogliono coinvolgere perché ti
stimano un sacco, ma non ti
possono pagare.
SOLDI, NON SALDI
Credo che sia arrivato il
momento di dire no al volontariato. No. Per me. Perché
anche se è vero che il mio
lavoro assomiglia a un hobby,
e a volte si tratta di fare cose
divertenti che farei anche per
niente, non posso svendere
quel che faccio. È il mio lavoro: me lo sono praticamente
inventato da me ed è la cosa
più preziosa che ho. Devo
rispettarlo, accidenti.
E poi no per tutti gli altri.
Perché chi lavora gratis rovina il mercato. Se lavori gratis,
chi ti fa lavorare sceglierà
sempre te solo per questa ragione. E quindi tu non migliorerai e produrrai cose sempre
mediocri, la tua professionalità e il lavoro che svolgi sa-
61
ranno svalutati, i tuoi colleghi non riusciranno a farsi
pagare e la qualità del lavoro
si abbasserà. Pensa al giorno
in cui, bravo professionista, ti
preferiranno un pivello che
accetta di fare l’eterno stagista e di lavorare (male e) gratis al posto tuo.
Ti auguro allora di scoprire che
il suddetto pivello è figlio del
pensionato di buona volontà,
il quale, mentre ti accompagnerà con la sua macchina a
prendere un regionale di
seconda classe per le tue tre
ore di viaggio di ritorno, si lancerà in una filippica sui guasti
della precarietà e sul suo
povero figliolo che a trent’anni bisogna ancora passargli i
soldi dell’affitto. E allora capirai che prima di mandare a
quel paese il vecchietto faresti
bene a farti un bel cazziatone
allo specchio. Ma bello, eh.
Ah, dimenticavo, naturalmente questo articolo è gratis.<<
[email protected]
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TRA IL MARE
E L’ACQUA SANTA
Ricercatore, clinico, umanista, politico, credente e filosofo.
Mario Coltorti ha dedicato l’esistenza alla cura dell’uomo
nel suo essere insieme corpo e psiche.
Gianfranco Tajana
accontare Mario Coltorti in queste due pagine: missione impossibile. Come nella eteronimia di Fernando Pessoa,
sono esistiti molteplici Mario
Coltorti con personalità diverse, complesse e a tratti contraddittorie. A ognuno ha svelato e concesso solo una parte
di queste persone. Ha mostrato di volta in volta lo scopritore delle transaminasi, il grande clinico, l’erudito filologo,
l’umanista, il politico disincantato, il credente che recitava il Padre Nostro di Thomas
Moore, l’appassionato della
logica wittgensteiniana e dell’anarchia metodologica di
Feyrabend.
R
vicino Stato Pontificio. «Sono
nato tra il mare e l’acqua santa», diceva sorridendo.
Lo abbiamo conosciuto come
viaggiatore attraverso i suoi
racconti dell’India, come sofisticato buongustaio e conoscitore della cucina popolare
napoletana, come interista
dei gloriosi tempi di Meazza,
Blasevich e Virgilio Maroso. Si
riconosceva nell’anticonformismo pittorico di Lorenzo
Lotto e nella spiritualità di
Vassily Kandinsky.
Un maestro, quello che non
spiega ma fa la lezione. È sotto questa veste che l’ho conosciuto e amato, come studente prima e come co-equiper (così mi chiamava lui) poi.
DALLE MARCHE
ALL’INDIA
L’ANIMA IN REWIND
Nato nelle Marche in un paese di pescatori che amava
profondamente, si sentiva attratto alla stessa maniera dall’immensità del mare e dalla
claustrofobica misticità del
È difficile descrivere Mario.
Quando devi ricordare una
persona che ti ha cambiato la
vita non si trovano mai le
parole giuste. In compenso
trovi periodi lunghissimi e
contorti, dove a volte si apro-
62
no parentesi come voragini
da cui non torni più. Diceva
Ennio Flaiano che le parole
sono necrologi del pensiero.
I detrattori di Mario lo criticavano per l’uso eccessivo delle
citazioni. Ma non si trattava
di semplici esergo, erano geniali illuminazioni. Mario sapeva colpire sfruttando le
scorciatoie del cuore. Nelle discussioni amava i percorsi
trasversali, le vie oblique e le
serpentine dell’intelligenza.
Alla fine sapeva distillare la
rassicurante esattezza di una
teoria convertendo il paradosso in logica e la confusione in strategia del tempo.
Possedeva la capacità di metterti il cervello in pausa e l’anima in rewind.
Ci legava la medesima idea di
come
dovrebbe
essere
l’Accademia, la differenza tra
didattica (che fanno tutti) e
formazione (che sanno fare in
pochi), l’identica indignazione verso tutti quelli che usano l’Università per fini personali, la stessa determinazione
per un cambiamento che
>Janus n. 2
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RUBRICHE: Nostalgia dei maestri
STORIA, STORIE
mettesse veramente lo studente al centro del processo
di apprendimento.
VIA DALL’ACCADEMIA
Farei un grave torto a Mario
se in questo ricordo tacessi la
sua puntuale critica nei confronti del sistema formativo
e delle ottuse e scomposte
reazioni dell’Accademia.
Quando non gli riuscì più di
stare a mo’ degli altri
nell’Accademia si inventò un
luogo dell’anima dove rifugiarsi e mise insieme una tristezza che era dolore, che scivolava per stanchezza, si arrendeva e chinava il capo con
dolcezza, capitolando lentamente, volgendo in serenità.
Lo guardai sconfitto e pensai:
che meraviglioso modo di
perdere.
CON I PAZIENTI
Per Mario Coltorti era centrale il rapporto che si stabilisce
luglio 2011<
tra medico e paziente, senza
indulgere però in una visione
paternalistica contro cui ha
sempre combattuto in nome
del diritto all’autodeterminazione. Aveva superato la vecchia concezione dell’inganno
caritatevole per giungere al
consenso informato inteso
come fase finale di un corretto rapporto che richiede al
medico di comprendere il
paziente, tutti i processi
patologici che caratterizzano
il suo personale approccio
alla malattia, i tempi necessari per accettare la diagnosi.
Per lui la malattia era un
evento esistenziale multifattoriale che a vari livelli di
responsabilità causali e conseguenze coinvolge l’equilibrio somatico psichico, la
capacità di sopravvivenza, le
relazioni interpersonali, in
una visione pluridirezionale
dell’individuo nell’ambiente
e nella società.
Il medico doveva essere in
grado di conoscere e comprendere i meccanismi di
adattamento e di difesa del
63
malato e aiutarlo a estrinsecare la sua volontà, in modo
da poter partecipare consapevolmente alle scelte terapeutiche.
UNA CURA PER IL CORPO E
LA PSICHE
Nella sua lunga carriera,
attraverso il suo essere medico, Mario Coltorti ha regalato
a tutti noi un po’ di vita. Ci ha
insegnato ad amarla, a non
sprecare il tempo, a scoprire
la libertà che si racchiude
nell’impegno e nella disciplina. È stato un uomo con una
incredibile storia che ha dedicato un’esistenza alla cura
dell’uomo nel suo essere
insieme corpo e psiche. Un
approccio che ha superato
difficoltà e ottenuto successi
inimmaginabili, e che anche
oggi è un riferimento per
tutti.<<
[email protected]
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28-07-2011
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Zadig srl
www.zadig.it
Via Calzecchi 10
20133 Milano
t. +39 02 75 26 13 21
Pagina 64
Associazione calabrese di epatologia
www.aceprogettoepatiti.it
Vico Cartisano 1
89134 Pellaro (RC)
t. +39 09 65 35 84 38
Istituto Giano
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Pubblicazione trimestrale
Registrazione del Tribunale di Milano n 579 del 5/11/2010
Spedizione in abbonamento postale: poste italiane Spa 70% Roma AUT C/RM/167/2008
Finito di stampare nel mese di luglio 2011
da Iacobelli, via Catania 8, Pavona (RM)
L’editore Zadig, titolare del trattamento ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 196/2003, dichiara che i dati personali dei clienti non saranno oggetto di comunicazione o diffusione e ricorda che gli interessati possono far valere
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una banca dati personali di uso redazionale presso la sede di Roma, via Ravenna 34. I dati necessari per l’invio
della rivista sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’editore Zadig per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Responsabile trattamento dati: Eva Benelli. IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lettera C del DPR 26/10/1972 n. 633 e successive modificazioni e integrazioni, nonché ai sensi del DM 29/12/1989. Non si rilasciano quindi fatture (art. 1. c. 5 DM 29/12/1989).
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Spedizione in abbonamento postale – poste italiane Spa 70% Roma AUT C/RM/167/2008
GOVERNO CLINICO: SUDDITI O PROTAGONISTI?
Janus n. 2 • estate • 2011
Nel modello tradizionale ippocratico, rimasto in
vigore in Occidente per 25 secoli, il medico esercitava sul malato
un potere esplicito, senza complessi di colpa e senza bisogno di
giustificazioni. Quella dominanza professionale si è andata
progressivamente sfaldando e oggi il passato e il presente sono in
rotta di collisione: il sanitario ha di fronte un altro individuo, con il
quale dovrebbe entrare in un rapporto di responsabilità condivisa.
Tuttavia, se è tramontata la stagione del paternalismo medico,
ancora fatica ad affermarsi un nuovo modello, che non sia né
quello del consumismo sanitario, né quello del potere autoritario.
Se gli attori dello scenario della salute (tutti quanti) non sono più
sudditi, forse ancora troppo raramente riescono ad essere veri
protagonisti.
In copertina: Omaggio a Emanuele Luzzati, rielaborazione da La Gazza Ladra, 1964
Numero 2 estate 2011
Copertina3mmJANUS2OK
scienza, etica, culture
GOVERNO CLINICO:
SUDDITI O PROTAGONISTI?
Zadig editore
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governo clinico: sudditi o protagonisti?