14-07-2011 20:49 Pagina 1 Spedizione in abbonamento postale – poste italiane Spa 70% Roma AUT C/RM/167/2008 GOVERNO CLINICO: SUDDITI O PROTAGONISTI? Janus n. 2 • estate • 2011 Nel modello tradizionale ippocratico, rimasto in vigore in Occidente per 25 secoli, il medico esercitava sul malato un potere esplicito, senza complessi di colpa e senza bisogno di giustificazioni. Quella dominanza professionale si è andata progressivamente sfaldando e oggi il passato e il presente sono in rotta di collisione: il sanitario ha di fronte un altro individuo, con il quale dovrebbe entrare in un rapporto di responsabilità condivisa. Tuttavia, se è tramontata la stagione del paternalismo medico, ancora fatica ad affermarsi un nuovo modello, che non sia né quello del consumismo sanitario, né quello del potere autoritario. Se gli attori dello scenario della salute (tutti quanti) non sono più sudditi, forse ancora troppo raramente riescono ad essere veri protagonisti. In copertina: Omaggio a Emanuele Luzzati, rielaborazione da La Gazza Ladra, 1964 Numero 2 estate 2011 Copertina3mmJANUS2OK scienza, etica, culture GOVERNO CLINICO: SUDDITI O PROTAGONISTI? Zadig editore Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 1 Janus è anche un sito web www.janusonline.it direttori Sandro Spinsanti, Istituto Giano Alfonso Mele, Istituto Superiore di Sanità Roberto Satolli, Zadig coordinamento rivista e web Davide Coero Borga progetto grafico rivista e copertina Corinna Guercini direttore responsabile Eva Benelli, Zadig segreteria di redazione Antonella Marzolini web design Paolo Griselli, Demade Milano Mattia Reali, grafica Alessio Piazza, tecnico coordinatori sedi locali Roma Giovanni Baglio, Laziosanità - Agenzia di sanità pubblica Firenze Saro Brizzi, Istituto di psicoanalisi Sullivan Milano Roberta Villa, Zadig Napoli Pietro Greco, giornalista scientifico Reggio Calabria Franco Pendino, presidente Associazione calabrese di epatologia comitato scientifico Luisella Battaglia Caterina Botti Domenico Catanzariti Emilio De Raffele Gianfranco Domenighetti Piergiorgio Donatelli Sergio Manna Francesco Rosmini Etica, equità, risorse Università degli Studi, filosofia morale, Genova Università La Sapienza, epistemologia, Roma Azienda provinciale per i servizi sanitari, cardiologia, Rovereto (TN) Università degli Studi, chirurgia generale, Bologna Università della Svizzera italiana Università La Sapienza, filosofia, Roma Facoltà pentecostale di scienze religiose, Aversa Centro nazionale di epidemiologia Iss, Roma Carmelo Caserta Alberto Oliverio Luciano Sagliocca Maria Antonietta Stazi Giuseppe Traversa Paolo Vineis Paola Di Giulio Ricerca, vita Associazione calabrese di epatologia Istituto di neuroscienze Cnr, Roma Agenzia regionale sanitaria, Campania Centro nazionale di epidemiologia Iss, Roma Centro nazionale di epidemiologia Iss, Roma Imperial College, Londra Università degli Studi, medicina e chirurgia, Torino Stefania Aprile Giorgio Bert Vito Cagli Giorgio Cosmacini Alida Cresti Storia, storie Istituto di psicoterapia analitica Harry Stack Sullivan, Firenze Istituto Change di counselling sistemico, Torino Università La Sapienza, Roma Università Vita-Salute San Raffaele, Milano Istituto di psicoterapia analitica Harry Stack Sullivan, Firenze Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 2 JANUS, UNA RIVISTA PARTECIPATA Eva Benelli U n anno fa Janus sospendeva le pubblicazioni dopo dieci anni di presenza nel mondo delle medical humanities, della riflessione etica e della medicina basata sull’evidence da una parte e sulla persona dall’altra. Ai nostri lettori abbiamo annunciato, però, che stavamo lavorando a un progetto di rilancio. Ora siamo contenti di poter dire che la rivista ha ripreso le pubblicazioni. Nuove forze si sono aggiunte alle nostre: insieme all’Istituto Giano, da sempre ideatore e promotore dell’idea di Janus, è nata un’alleanza con Ace, Associazione calabrese di epatologia, una onlus che affianca all’impegno sul territorio la promozione di una visione solidale della medicina. Anche il nostro comitato scientifico si è accresciuto di altre persone e altri punti di vista. Abbiamo infatti ripensato il progetto editoriale e abbiamo allargato l’ambito della nostra riflessione, aprendoci ancora di più al pluralismo delle esperienze e delle culture, al mondo della scienza e della ricerca in generale. Questa apertura la trovate esplicitata nel nuovo sottotitolo della rivista: scienza, etica, culture. La nostra visione la potete leggere, invece, nel “manifesto” pubblicato nella pagina accanto. Concretamente Janus sarà disponibile per i suoi lettori in due modi: su carta, ogni tre mesi come sempre, e con un nuovo sito: www.janusonline.it. Sono due modalità di diffusione di un unico progetto e di uno stesso modo di lavorare. Un’unica rivista accessibile attraverso due mezzi che si integrano fra loro. Per questo pensiamo che non sia più il caso di chiedere ai nostri lettori di sottoscrivere un abbonamento, quanto di scegliere se vogliono sostenere un progetto. I lettori di Janus che lo vorranno fare potranno utilizzare il sito per offrire il proprio sostegno. A chi, affezionato alla carta, volesse continuare a ricevere anche i numeri trimestrali, chiediamo un contributo alle spese di spedizione. La comunicazione partecipata e condivisa è un fenomeno dei nostri tempi. In qualche modo la visione della medicina che Janus ha sempre proposto anticipava questa idea. Anche nei fatti il nostro progetto di rilancio vuole adeguarsi al mondo che cambia senza perdere il meglio del passato. Janus, come sempre.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 3 RAGIONARE SENZA DOGMI Roberto Satolli I lettori e gli autori di Janus sono molto diversi, per professioni, conoscenze, culture e credenze. Hanno in comune un metodo laico, che vorrebbero definire meglio di quello che la parola comunemente riesce a dire. Nella prospettiva di Janus, il contrario di laico non è religioso, ma dogmatico. E l’atteggiamento dogmatico oggi prevale, non soltanto in chi si schiera in dispute improduttive in base a ideologie religiose, filosofiche o politiche, ma spesso anche in chi vuole risolvere le stesse questioni appellandosi all’autorità della scienza. È laico chi non pretende di sapere la risposta giusta (e non a caso un significato originario del termine è quello di illetterato, analfabeta), ma è disposto a cercare quella più adatta attraverso la conoscenza, l’interpretazione, la comprensione. È dogmatica l’illusione di tagliare l’esistente in categorie nette e di tracciare confini precisi, sui quali magari costruire muri, laddove ogni classificazione è un’attività arbitraria dell’intelletto umano che forza una realtà dai confini sempre vaghi e indistinti. È laico chi non si sottrae alla responsabilità di capire, e far capire, per scegliere, mentre è dogmatico presentare le scelte non come un esercizio di libertà, ma come il prodotto necessario di una verità o di una conoscenza. Janus non ha la pretesa di rappresentare una posizione al di sopra delle parti: anzi, ogni volta che sarà necessario esporrà una posizione chiara, cercando in ogni caso di esplicitare le conoscenze e gli argomenti che la sostengono. Pur nel riconoscimento dei diversi punti di vista, Janus eviterà il relativismo di chi considera equivalenti tutte le teorie e tutti i paradigmi: essi sono in realtà diversi quanto la forza delle ragioni che li sostengono. Janus è e sarà caratterizzata da un pluralismo di esperienze, culture, conoscenze e credenze, nella consapevolezza di non essere depositaria di verità o giudizi assoluti, quanto piuttosto di un metodo laico di conoscenza basato sull’esclusione del pregiudizio, la libertà della conoscenza, la profondità dell’interpretazione. La responsabilità di capire sarà premessa a ogni scelta. La gerarchizzazione della forza delle ragioni è fondata sull’onestà intellettuale e l’esercizio della libertà.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 4 ALLA BASE C’È UN CONSENSO (DAVVERO) INFORMATO Il malato: suddito o cittadino? La contrapposizione è chiara; evoca intuitivamente scenari opposti, che generano relazioni molto diverse tra professionisti sanitari e coloro che ricorrono ai loro servizi. Non altrettanto chiara, in ambito sanitario, è la differenza tra governo (clinico) e governance. Sandro Spinsanti G overno clinico e governance: una traduzione approssimativa li considera come sinonimi. Si tratta invece di due modalità irriducibili l’una all’altra di prendere delle decisioni. Il concetto di governance indica l’interconnessione tra gruppi di interesse e altri soggetti informali, da una parte, e autorità pubbliche, dall’altra. Presuppone una nuova idea di cittadinanza, come risposta alla complessità globale. Il perseguimento degli obiettivi che ci si propone richiede una forma di partnership tra la pubblica amministrazione e la società civile. Ciò vale per tutte le politiche sociali, quelle sanitarie in particolare. PAZIENTI, CONSUMATORI, CLIENTI La governance promuove relazioni alternative al tradizionale governo, così come lo ha teorizzato Max Weber, basandolo sulla legittimazione di tipo legale-razionale e come in ambito medico è stato praticato dalle professioni sanitarie. Allo stesso tempo la governance è diversa dall’approccio consumista ai servizi sanitari. Questo intende il ruolo dei pazienti come consumatori e clienti del sistema sanitario: il compito di decidere è affidato al paziente-cliente, che con le sue scelte legittima i consumi (anche per la sanità si affaccia il modello supermercato, retto dallo slogan: più potere ai consumatori). La governance si colloca tra i due estremi di una sanità governata dall’alto in modo autoritario o governata dal mercato. Nell’ambito specifico della sanità, la governance richiede nuove forme di partnership tra la pubblica amministrazione e i soggetti sociali per produrre insieme le politiche sanitarie. Seguendo la metafora del 4 supermercato, possiamo dire che il cittadino non può essere ridotto al ruolo di cliente che sceglie tra le merci disposte sugli scaffali. Il cittadino ha qualcosa da dire su che cosa esporre negli scaffali; su chi ha diritto di accedere al consumo secondo il principio dell’equità; sul modo in cui viene presentato il prodotto. Per appoggiarci a una definizione più formale, possiamo riferirci a quella offerta da Grilli e Tarmi (Il governo clinico, Il pensiero scientifico, Milano 2004), che definiscono il governo clinico, nel senso della governance, come il «tentativo di trovare un approccio integrato al problema della qualità dell’assistenza, riconoscendo che non si tratta solo d’intervenire sulle singole decisioni cliniche per orientarle verso una migliore appropriatezza, ma anche di fare in modo che i sistemi assistenziali nel loro insieme siano orientati verso questo obiettivo». >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 5 EDITORIALE LA QUESTIONE DEL CONSENSO In questo ampio contesto possiamo collocare la questione del consenso informato. Esso è subalterno alla definizione del potere in medicina, esercitato secondo la modalità contrapposta del governo o della governance. L’esercizio della medicina presuppone il riconoscimento al medico del potere di curare; nel tempo, tuttavia, questo potere ha cambiato forma ed espressioni. Mutuando dalla genetica un termine che, mentre connota il potere come patrimonio ereditario dell’arte medica, rimanda a possibili espressioni fenotipiche molto diverse le une dalle altre, si potrebbe dire che questo potere ha subito traslocazioni, nel senso di ricollocazioni in punti diversi. Nel modello tradizionale, che a ragione è chiamato ippocratico, il medico esercita sul malato un potere esplicito, senza complessi di colpa e luglio 2011< senza bisogno di giustificazioni. Il potere si regge intrinsecamente sulla finalità che lo ispira: è esercitato per il bene del malato. IL MODELLO IPPOCRATICO Rodrigo De Castro, medico del diciassettesimo secolo, nel suo trattato Medicus politicus arriva ad affermare che, come il sovrano governa lo Stato e Dio governa il mondo, il medico governa il corpo umano. Si tratta di un potere assoluto, in cui chi sta in posizione dominante (one up) determina in modo autoreferenziale che cosa è autorizzato a fare a beneficio di chi sta in posizione dominata (one down). Nel caso specifico della medicina, il medico stabilisce la diagnosi, indica l’opportuna terapia e la esegue senza bisogno di informare il malato e senza necessità di ottenere un serio consenso, se non quello implicito nell’affi- 5 damento fiduciale. Nessun dovere esplicito gli richiede di dar conto al malato né della diagnosi, né della terapia prescritta. Obblighi di informazione e di coinvolgimento nelle scelte sussistono invece nei confronti dei familiari del paziente, che sono i veri interlocutori del medico e sottoscrivono con lui l’alleanza terapeutica. Questo modello, che costituiva la spina dorsale dell’etica medica, è stato in vigore in Occidente ininterrottamente per venticinque secoli. LA MEDICINA MODERNA La buona medicina poteva e doveva interrogarsi se le decisioni prese in scienza e coscienza fossero giustificate dalle conoscenze mediche e se fossero davvero orientate al miglior interesse del malato, ma non richiedeva al medico di includere le preferenze del paziente tra gli elementi che determinavano le Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 6 decisioni. La volontà stessa del paziente era, al limite, irrilevante, qualora il medico fosse in grado di far valere il suo punto di vista, cui veniva riconosciuto il peso della competenza professionale. La modernizzazione della medicina, avvenuta nell’arco temporale di pochi decenni del ventesimo secolo, ha messo in crisi il modello tradizionale del potere medico. Le radici del cambiamento di paradigma affondano nella rivendicazione di un potere di autodeterminazione da parte dell’individuo sulle decisioni che riguardano il suo corpo. In medicina il cambiamento è stato registrato due secoli dopo la sua teorizzazione e con molto ritardo rispetto ad altri ambiti della vita; ma alla fine ha avuto luogo. LA FINE DELLA DOMINANZA MEDICA Utilizzando categorie sociologiche, possiamo parlare della fine della dominanza medica, traduzione italiana dell’espressione coniata e diffusa dal sociologo delle professioni sanitarie Eliot Freidson nel 1970 e che presupponeva l’interazione tra soggetti di livello culturale diverso resa possibile dalla partecipazione allo stesso processo sociale. In concreto, i medici si rapportano ai pazienti all’interno dei vincoli posti dal sistema finanziario e organizzativo in cui svolgono la loro attività professionale, mentre le persone che cercano aiuto lo fanno sulla base delle loro conoscenze e della loro percezione del problema. Nell’analisi di Freidson, tutte le variabili del rapporto medico paziente vanno collocate entro il contesto di interazione sociale garantito dal professionismo. La professione controlla, direttamente o indirettamente, le sue istituzioni formative e le certificazioni dei suoi membri, garantendo loro, con il sostegno dello Stato, il monopolio nel- 6 lo svolgimento di un insieme specifico di compiti e funzioni. Dal momento che i professionisti controllano il proprio lavoro, le professioni creano interazioni sociali diverse da quelle che sostengono il libero mercato, in cui sono i consumatori a esercitare il controllo, o da un sistema burocratico, dove il lavoro viene controllato dai manager. Ora è proprio questa dominanza professionale che si è andata progressivamente sfaldando nell’ambito della medicina. Ciò ha portato alla crisi del modello di rapporto medico paziente che avevamo ereditato dal passato. IL CONFLITTO SI DELINEA Il passato e il presente sono in rotta di collisione. Infatti il modello forte di responsabilità non si può più coniugare con la cultura moderna. Il conflitto che si delinea sta scuotendo equilibri secolari nell’ambito dell’etica che re- >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 7 EDITORIALE gola la medicina: i valori etici che sono stati veicolati dalla concezione sacrale e da quella libero professionale devono confrontarsi oggi con una società in cui non c’è più, da una parte, una persona che in forza della sua dedizione è vincolata da obblighi quasi unilaterali, come l’impegno a orientarsi a fare il bene del malato anche contro il proprio interesse, e, dall’altra, un malato, visto unicamente sotto l’angolatura del suo stato fragile e di bisogno. Il sanitario ha di fronte un altro individuo, con il quale entra in un rapporto di responsabilità condivisa, che assomiglia sempre di più alla responsabilità debole, cioè a quella giuridica. LONTANI DA UNA GOVERNANCE Un documento ufficiale del Comitato nazionale per la bioetica (Informazione e consenso all’atto medico, 1992) luglio 2011< Janus online www.janusonline.it descrive questa transizione con parole molto appropriate e pertinenti al tema della responsabilità: «Il consenso informato, che si traduce in una più ampia partecipazione del paziente alle decisioni che lo riguardano, è sempre più richiesto nelle nostre società. Si ritiene tramontata la stagione del paternalismo medico, in cui il sanitario si sentiva, in virtù del mandato a esplicare nell’esercizio della professione, legittimato ad ignorare le scelte e le inclinazioni del paziente e a trasgredirle quando fossero in contrasto con le indicazioni cliniche in senso stretto». Il consenso informato è il luogo critico dove si traduce in questa nuova modalità di fare medicina pratica. In che misura e attraverso quali modalità il modello moderno è entrato nella cul- 7 tura sanitaria di oggi? Dobbiamo riconoscere che la porta d’ingresso non è stata l’adesione al modello di rapporto sotteso alla modernità, ma piuttosto una reazione difensiva al contenzioso giudiziario e all’aggressione da parte dei pazienti, diventati esigenti. L’equazione implicita in tanta pratica quotidiana di ciò che viene chiamato consenso informato è riconducibile alla convinzione: paziente informato, medico salvato. Finché sarà questo il presupposto, saremo ancora in un regime di governo (autoritario) del paziente, culturalmente lontani dal modello della governance.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 8 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Antonio Autiero Professore ordinario e direttore del Seminar für Moraltheologie, facoltà di teologia cattolica dell’Università di Münster. Silvia Bencivelli Medico, giornalista scientifica e autrice di saggi. Fa parte della redazione di Radio3 Scienza, Rai3. Saro Brizzi Docente e supervisore dell’Istituto di psicoanalisi Sullivan, è stato a Firenze giudice onorario del tribunale dei minori, consigliere onorario della Corte d’appello. Paolo G. Casali Responsabile della struttura semplice di trattamento medico dei sarcomi dell’adulto, fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano. Gianfranco Domenighetti Professore titolare presso la facoltà di scienze della comunicazione, Università della Svizzera italiana. Silvia Ferrari Ricercatrice presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. È membro del consiglio direttivo della Società italiana di psichiatria di consultazione. Paolo Girolami Medico chirurgo dell’Asl Torino 1. È specialista in medicina legale e criminologia clinica. Pietro Greco Giornalista scientifico e scrittore. È membro del cda della fondazione Idis Città della scienza di Napoli. Giorgio Mattei Studente della facoltà di psichiatria, Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Giulio Mingardi Responsabile dell’unità operativa di nefrologia e dialisi, Istituto Humanitas Gavazzeni di Bergamo. Paola Mosconi Responsabile del laboratorio di ricerca sul coinvolgimento dei cittadini in sanità del dipartimento di oncologia, Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. Amedeo Santosuosso Presidente del centro di ricerca interdipartimentale European centre for law, science and new technologies (Ectl), Università di Pavia. Gianfranco Tajana Ordinario di istologia ed embriologia presso la facoltà di medicina, Università di Salerno. Andrea Valdambrini Ricercatore associato del Centro interdisciplinare di scienze per la pace dell’Università di Pisa e tutor didattico del master in Gestione dei conflitti interculturali e interreligiosi. Massimo Valsecchi Direttore del dipartimento di prevenzione della Regione Veneto, Ulss20 di Verona. Alessandro Zanetti Ordinario presso il dipartimento di sanità pubblica, microbiologia, virologia, Università degli studi di Milano. Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 9 MANIFESTO Ragionare senza dogmi Roberto Satolli 3 EDITORIALE Alla base c’è un consenso (davvero) informato Sandro Spinsanti 4 L’OBIETTIVO: Pazienti e personale sanitario nella clinical governance Alfonso Mele 10 Chiedere un secondo parere si può, anzi si deve Gianfranco Domenighetti 12 Medicina partecipativa messa alla prova con la menopausa Paola Mosconi 14 Il malato, il medico e l’infermiere Saro Brizzi 18 Il paziente (impaziente) di diabete Pietro Greco 20 Andare in dialisi consapevoli e informati Giulio Mingardi 24 Medici alla sbarra. Paura, scontro, buonsenso Paolo G. Casali 30 Le linee guida portano fuori strada? Amedeo Santosuosso 34 Una legge che insegni a mediare i conflitti Andrea Valdambrini 36 16 milioni di volte no all’epatite B Alfonso Mele e Alessandro Zanetti 42 Le vaccinazioni tra diritto e dovere Massimo Valsecchi 44 A lezione con il morto Paolo Girolami 48 Legge di fine vita tra invadenza e discrezione Antonio Autiero 52 Anche i medici sono cittadini Silvia Ferrari e Giorgio Mattei 56 Pasqualina Quattroricchezze dice no al volontariato Silvia Bencivelli 60 Tra il mare e l’acqua santa Gianfranco Tajana 62 Governo clinico: sudditi o protagonisti? LE RUBRICHE: Il polso letterario Grammatiche etiche Vi racconto la mia professione Nostalgia dei maestri Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 10 PAZIENTI E PERSONALE SANITARIO NELLA CLINICAL GOVERNANCE Ritmi di lavoro e uso estensivo della tecnologia nella diagnosi e nelle cure hanno tolto e continuano a levare tempo al rapporto, fondamentale, fra personale sanitario e pazienti. E allora che parte ha il dialogo nell’iter diagnostico? Alfonso Mele O liver Sachs, neurologo e scrittore, si frattura una gamba durante una gita sulle montagne della Norvegia e viene trasportato in un ospedale di Londra. Deve essere operato, ma preferirebbe ricevere un’anestesia spinale, in modo da poter seguire l’intervento. Ecco come descrive il suo incontro col chirurgo della struttura (O. Sacks, Su una gamba sola, Adelphi, Milano 1991): «Il dottor Swan fece la sua apparizione alle 8.53, e mi trovò che stavo guardando l’orologio. La prima, momentanea impressione fu quella di un uomo molto timido, immediatamente corretta, però, dal suo tono forte e deciso. “Bene” disse ad alta voce. “Come andiamo oggi?” “Sopravvivo” risposi, e la mia voce suonava incerta. “Non c’è da preoccuparsi” continuò vivacemente. “Lei ha un distacco del tendine. Noi lo ricolleghiamo; ripristiniamo la continuità. Tutto qui… una cosa da nulla!” “Si, però…” accennai a replicare debolmente, ma era già uscito dalla stanza. Con grande sforzo, poiché mi sentivo prostrato e illanguidito dalla preanestesia, suonai il campanello e chiesi della caposala. “Che c’è?” disse lei. “Perché mi ha chiamato?”. “Il dottor Swan” risposi, attento a ogni parola che pronunciavo “non si è fermato a lungo. È entrato e uscito. Sembrava che avesse fretta tremenda”. “Insomma, io non ho mai…”, sbuffò la caposala. “Il dottore è 10 molto occupato. È già fortunato che si sia fatto vedere da lei!”». Non so se episodi del genere si verifichino ancora ma certamente anche oggi esistono una serie di elementi che favoriscono situazioni paradossali. Il numero di pazienti e la necessità di dover conseguire determinati obiettivi impone al personale medico ritmi sempre più incalzanti. L’uso invasivo della tecnologia, soprattutto nella diagnosi, porta a contrarre i tempi di ascolto del paziente. In questo contesto diventa sempre più importante il lavoro fatto in termini di consenso informato, stimolo a ragionare su benefici e rischi di esami diagnostici e opzioni terapeutiche. PARLIAMONE Spesso però anche il momento previsto per il dialogo con il paziente è assorbito dal ritmo incalzante con cui >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 11 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE avviene l’incontro tra paziente e struttura sanitaria. In queste condizioni, spesso, il consenso informato diventa un foglio da sottoscrivere senza il sostegno di un messaggio verbale. E le ricadute negative di questo quadro sono dietro l’angolo, comprese quelle che portano all’effetto paradosso di allungare i tempi per la diagnosi. PESCI FUOR D’ACQUA Da dove arrivano i pesci che popolano le pagine di questo secondo numero di Janus? Sono un dono degli amici di Di.To, il portale dedicato alle famiglie con bambini disabili in età compresa fra zero e dieci anni. Nato dalla collaborazione fra gli operatori di Area Onlus, associazione torinese che da più di 25 anni si occupa di disabilità, e i genitori che negli anni si sono rivolti al servizio stesso è un raro esempio di condivisione di risorse, informazioni ed esperienze. Di.To nasce dalla necessità di progettare e realizzare strumenti nuovi, in grado di facilitare e migliorare lo scambio di idee, consigli, percorsi ordinari e straordinari. Per questo motivo alcuni scrittori e illustratori hanno deciso di regalare un po’ della loro creatività ad Area, lasciando su queste pagine una traccia preziosa della loro arte. Pesci fuor d’acqua è un progetto grafico di Franco Giolitti (www.francogiolitti.blogspot.com). Un invito a colorare, ritagliare, piegare, costruire e giocare. Una kit da laboratorio per consegnare ai bambini la storia di due pesciolini che si inventa e si racconta ogni volta in modo diverso. Per altre informazioni vai su http://dito.areato.org. CHE FARE? È importante che i corsi di laurea inizino a enfatizzare il ruolo del rapporto tra personale e paziente nel percorso assistenziale proponendo adeguati contenuti teorici. In corsia, è necessario definire il carico di lavoro del personale tenendo presente il tempo da dedicare al dialogo con il paziente. Infine è auspicabile un’organizzazione degli spazi di attesa e di degenza volta a facilitare la tranquillità e la comunicazione tra persone.<< [email protected] luglio 2011< 11 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 12 CHIEDERE UN SECONDO PARERE SI PUÒ, ANZI SI DEVE Percepito spesso come atto di sfiducia verso il proprio medico, il secondo parere è anzitutto un diritto del paziente che di fatto può contrastare la medicina difensiva e mettere in discussione quanto proposto e prescritto dal mercato sanitario. Gianfranco Domenighetti P resupposto a una partecipazione attiva del cittadino alle decisioni mediche che lo concernono è il consenso informato condiviso, conclusione di un processo durante il quale medico e paziente partecipano alla decisione clinica utilizzando le migliori prove scientifiche disponibili. È questo percorso di condivisione che dovrebbe permettere all’utenza dei servizi di esprimere le proprie, per così dire, preferenze. Ma questo, com’è ovvio, è possibile solo a condizione che un paziente venga edotto circa le questioni connesse alle prestazioni proposte per risolvere e gestire un determinato problema sanitario. Alternative disponibili, benefici, rischi, eventi non desiderati e incertezze, devo essere chiariti. L’integrazione di questo genere di informazioni con valori, obiettivi e aspettative di vita del paziente dovrebbe salvaguardare almeno formalmente la sua dignità e libertà individuali. CONSENSO INFORMATO: UN’UTOPIA? È inutile negare che molti sono gli ostacoli a frapporsi tra la messa in atto di un processo decisionale realmente condiviso e il conseguimento di un consenso veramente informato. Rimangono entrambi obiettivi ideali da perseguire. E la soluzione più pragmatica a disposizione del cittadinopaziente per ottenere un surplus di informazioni cliniche è quella di ricorrere a un secondo parere medico. Secondo un recente sondaggio (BUPA Health Pulse 2010) l’80per cento dei cittadini italiani con accesso alla rete ricerca su internet informazioni medico-sanitarie, il 50 per cento allo scopo di farsi una autodiagnosi. L’OPINIONE SUPPLEMENTARE Il secondo parere trova la sua giustificazione nel fatto che 12 la medicina non è una scienza esatta, ma è caratterizzata da complessità, incertezza, asimmetria informativa, conflitti di interesse e qualità poco, o per nulla, misurabile. Per non parlare del fatto che il grado di aggiornamento delle conoscenze dei medici e le loro pratiche cliniche sono variabili, forzatamente incerte ed eterogenee: le proposte diagnostiche e terapeutiche ai pazienti per un identico problema di salute possono variare in funzione del medico consultato. Il secondo parere medico è quindi un’opinione supplementare che ha lo scopo di aiutare il paziente a prendere decisioni più informate e quindi, probabilmente, più adeguate alle necessità di cura. Esistono anche prestigiose istituzioni sanitarie, in particolare all’estero, che forniscono secondi pareri on-line e a pagamento. Un’alternativa, questa, particolarmente indicata in caso di intervento chirurgico programmato non ur- >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 13 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE gente oppure in caso di diagnosi o trattamenti impegnativi (segnatamente nel campo oncologico). OSTACOLI AL SECONDO PARERE I principali ostacoli alla richiesta da parte del paziente di un secondo parere medico sono anzitutto di tipo culturale. L’analfabetismo sanitario e la percezione della medicina come scienza esatta, o quasi tale, induce a pensare che un medico ne valga un altro. La relazione medico paziente è di tipo paternalistico e di norma rappresenta un ostacolo. Paradossalmente anche il buon rapporto di fiducia con il proprio medico, che non si vuole incrinare, tende a inibire la richiesta di consultazione di un secondo specialista. Infine va registrata un’evidente difficoltà organizzativa e burocratica all’esercizio effettivo da parte del paziente di un luglio 2011< diritto al secondo parere nell’ambito dei Sistemi sanitari nazionali (modello Beveridge) a differenza di quanto avviene nei sistemi fondati sulle assicurazioni malattia sociali, dove il paziente ha una maggiore libertà di accesso autonomo a più medici (modello Bismarck). DATI POSITIVI Gli studi, essenzialmente nord americani, che hanno valutato l’impatto dei programmi di promozione del secondo parere medico nel campo della chirurgia elettiva hanno mostrato come questa pratica abbia ridotto del 48 per cento il tasso delle operazioni al ginocchio, del 42 per cento quello delle isterectomie, del 41,5 per cento il tasso delle prostatectomie e tra il 12 e il 33 per cento quello di altre procedure elettive. Nonché del 50 per cento quello dei bypass coronarici. Pertanto il secondo parere, che non deve essere percepi- 13 to come un atto di sfiducia verso il proprio medico di riferimento, è una opzione da promuovere come diritto del paziente. E non meno utile per i medici, dal momento che proprio questa pratica potrebbe contrastare la cosiddetta medicina difensiva – circa il 75 per cento dei medici italiani dichiara di incoraggiare esami strumentali e visite specialistiche al solo scopo di medicina difensiva – e favorire nella società civile un principio di sano sospetto verso efficacia e adeguatezza di tutto quanto è proposto o prescritto dal mercato sanitario, senza per questo creare sfiducia gratuita verso operatori e servizi.<< gianfranco. [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 14 MEDICINA PARTECIPATIVA MESSA ALLA PROVA CON LA MENOPAUSA Un progetto di medicina partecipativa: quale informazione per la donna in menopausa sulla terapia ormonale sostitutiva? Il ruolo di PartecipaSalute nel coinvolgere in modo sempre più rilevante i cittadini nel dibattito sulla salute. Paola Mosconi I l ruolo dei cittadini nelle scelte di pubblico interesse sta diventando sempre più rilevante. Recenti fatti nella vita politica del Paese hanno dimostrato come, in democrazia, è il cittadino che direziona scelte e opportunità, così come, di conseguenza, è il cittadino cui devono tener conto e dar di conto coloro che esercitano poteri decisionali. Tutto ciò è altrettanto vero, e si complica e si arricchisce al tempo stesso, quando si parla di temi riguardanti le scelte relative alla salute. Infatti, in questo campo, si sovrappongono tra loro aspetti esperienziali con variegate valenze personali e aspetti tecnici su conoscenza e metodi che rivestono particolare rilevanza nel contrastare opinioni con dati, il tutto intricato dal difficile passaggio da una visione personale a una visione collettiva. Intorno ai concetti di health literacy ed empowerment si intravede la direzione da perseguire sulla strada di una medicina in cui, dal singolo alla collettività, le scelte siano operate in modo consapevole, partecipativo e informato. In questo percorso tutti sono coinvolti: pazienti, loro rappresentanze, operatori sanitari e decisori. UN ESEMPIO DI MEDICINA PARTECIPATIVA Se in teoria un po’ tutti sono convinti di quanto sopra detto, un po’ più difficile risulta trovare nel nostro Paese esempi riconducibili a progetti di ricerca che abbiano coinvolto davvero quanto più possibile tutti gli attori in gioco. L’occasione che si vuole qui presentare è quella dell’iniziativa Quale informazione per la donna in menopausa sulla terapia ormonale sostitutiva? che si è articolata, tra il 2006 e il 2011, in due progetti consequenziali. Il primo una conferenza di consenso, il secondo uno studio di valutazione d’impatto di interventi rivolti 14 ai cittadini e agli operatori sanitari per l’uso appropriato di farmaci in terapia ormonale sostitutiva. Le due fasi si sono svolte in collaborazione tra il progetto PartecipaSalute (Istituto Mario Negri, Centro Cochrane italiano e Agenzia di editoria scientifica Zadig) e l’Istituto superiore di sanità (CNESPS, reparto Salute della donna e dell’età evolutiva). La prima parte è stata sostenuta da un finanziamento della Compagnia di San Paolo, la seconda da un finanziamento AIFA per i progetti interregionali di farmacovigilanza. Quel che ha caratterizzato l’intero percorso è stata la multidisciplinarietà che si è cercato di rispettare in ogni fase e per ogni gruppo di lavoro e, in particolare, con il coinvolgimento attivo dei rappresentanti della cittadinanza, i cosiddetti laici. Fondamentale per la scelta di questi interlocutori è stato il GRAL, un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di associazioni e membri laici di comitati eti- >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 15 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? STORIA, STORIE ci che si alimenta con i partecipanti alle diverse edizioni del percorso di formazione di PartecipaSalute Orientarsi in salute & sanità per fare scelte consapevoli. PARTECIPARE COME E DOVE I cittadini, e in particolare i rappresentanti di associazioni, sono stati coinvolti a più livelli, esprimendo così diverse potenzialità di partecipazione correlate alla propria vicenda singola o collettiva. Possiamo leggere l’esperienza fatta dando a questi laici precisi ruoli: valutatori e decisori nella prima parte del progetto, fonte di dati nella prima e seconda parte e infine divulgatori nella seconda parte. VALUTATORI Uno dei gruppi di lavoro della conferenza di consenso si è occupato del materiale divulgativo disponibile sulla luglio 2011< menopausa e la terapia ormonale per la popolazione femminile. A questo gruppo hanno partecipato tre laici su cinque componenti, valutando in doppio, con una scheda standardizzata più di 70 documenti tra opuscoli o pagine web. Gli stessi hanno partecipato alle riunioni di programmazione, presentazione e discussione dei dati e alla messa a punto del documento e della presentazione finale del lavoro. Oltre a informazioni sulla qualità espositiva dei vari materiali della valutazione, è emerso un giudizio che ha evidenziato come il materiale valutato non aiutasse propriamente le donne a prendere decisioni in autonomia. E questo alla luce della considerazione che benefici e danni erano trattati in modo incompleto e parziale, mentre prevalevano apparenti certezze anche su dati ancora in discussione da parte della comunità scientifica. 15 DECISORI La giuria della conferenza di consenso era composta da un totale di 14 persone di cui 7 laici. Rispettando la metodologia consigliata per le conferenze di consenso, il presidente stesso era un laico. Nelle due giornate di discussione che hanno preceduto la pubblicazione del documento finale, lo scambio di punti di vista differenti è stato fondamentale per la messa a punto di un documento che rispondesse alla domanda posta senza perdersi in complicati tecnicismi e valutando con spirito critico le prove disponibili. Ricordando sempre di tenere la donna destinata a un trattamento ormonale in menopausa come unico punto di riferimento, il documento finale ha così coniugato le prove scientifiche con il pragmatismo di indicazioni d’uso facilmente trasferibili alla pratica. I laici hanno lavorato in pieno accordo con i tecnici e non si Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 16 sono rilevati intoppi o difficoltà dovute alla presenza di diversi tipi di competenza. FONTE DI DATI Rispettivamente nel 2007 e nel 2010 sono state condotte due indagini su un campione di donne tra i 45 e i 60 anni per rilevare le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti rispetto alla menopausa, alla terapia ormonale e alle sue possibili alternative. Nella prima indagine la percentuale di adesione del 74 per cento ha dimostrato una diffusa disponibilità di partecipazione in prima persona verso temi di salute di sicuro interesse per le donne, oltre a consentire la raccolta di dati rappresentativi della realtà di riferimento. Il tempo dedicato riveste di per sé un forte valore di partecipazione consapevole verso le proprie esperienze e scelte di salute. Nella seconda parte del progetto una fase era dedicata alla messa a punto di materiale informativo dedicato alle donne. Forti dell’analisi precedentemente fatta, in cui il materiale e la divulgazione sulla menopausa e la terapia ormonale risultavano molto carenti da un punto di vista di qualità dell’informazione e del giudizio sull’utilità per fare scelte consapevoli e informate, si è deciso di lavorare in modo congiunto con gruppi di donne in modo da focalizzare bene il taglio da dare al materiale informativo. DIVULGATORI Venticinque donne, tra i 42 e i 63 anni, residenti tra Milano, Pistoia e Palermo hanno attivamente partecipato alla fase di messa a punto del materiale informativo. Il contributo fornito ha permesso di rielaborare il documento finale di consenso sottolineandone gli aspetti più incisivi, finalizzati a permettere alle future lettrici di fare scelte consapevoli. 16 CONDIZIONI PER ARRIVARE A UNA MEDICINA PARTECIPATIVA Da questa e altre esperienze, il cui scopo è quello di integrare punti di vista diversi tra tecnici e laici, dando spazio e rilievo al valore delle diverse competenze e ispirandosi a un modello informato e partecipativo di discussione e azione in tema di salute e sanità, si possono evincere indicazioni preziose capaci di facilitare e condurre ad altre attività analoghe. In particolare su tre aspetti, non in ordine di importanza, è bene concentrarsi. Devono anzitutto essere superate, in particolare da operatori sanitari e decisori, le difficoltà ad accettare i cittadini/pazienti e loro rappresentanze come interlocutori privilegiati, riconoscendone esperienza e capacità. In secondo luogo cittadini/ pazienti e loro rappresentanze devono organizzarsi secondo i principi di evidence >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 17 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? STORIA, STORIE based advocacy, partecipando in modo critico in base alle conoscenze scientifiche disponibili senza essere oggetto di strumentalizzazioni e liberandosi di ogni conflitto di interessi. Infine diventa fondamentale verificare sempre l’impatto delle iniziative di coinvolgimento per evitare, come purtroppo spesso accade, che risultino solo in presenza formale e non sostanziale al dibattito. UNA STORIA QUOTIDIANA Questi punti si riassumono in una piccola storia, vera e non rara, qui riportata proprio per far capire quanto ancora il modello di medicina partecipativa sia lontano nei fatti: «Qualche giorno fa mi ha cercata un dirigente di un’AUSL per un consiglio: dovendo partire con la discussione di un piano luglio 2011< terapeutico assistenziale per una patologia cronica si era interrogato sulla possibilità di coinvolgere anche le rappresentanze dei pazienti. Poi ha pensato che sarebbe già stato difficile gestire i medici; gli operatori sanitari sarebbero stati poco inclini ad avere laici al tavolo; le prove scientifiche disponibili lasciavano incertezze difficili da gestire; c’era da decidere chi invitare fra le associazioni presenti sul territorio o gestirne i conflitti interni. Morale: le associazioni sono state informate del lavoro, ma non direttamente coinvolte». Altri metodi di partecipazione sono al momento allo studio di PartecipaSalute per coinvolgere in modo sempre più rilevante i laici nel dibattito 17 sulla salute. Tra questi: i percorsi di formazione ad hoc mirati, finalizzati alla creazione di gruppi di lavoro specifici da integrare nelle attività valutative e decisionali in sanità, come pure esperienze di democrazia deliberativa, in particolare nella forma delle giurie di cittadini.<< paola.mosconi@ marionegri.it Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 18 IL MALATO, IL MEDICO E L’INFERMIERE Non sono i protagonisti di una vecchia barzelletta. Ma gli attori che possono o meno costruire una buona relazione e impostare un percorso di guarigione. Saro Brizzi P erché un percorso di guarigione abbia successo bisogna esaminare ciò che avviene nella mente del paziente a partire dalle relazioni che intesse con chi si prende cura di lui. Le relazioni tra medici, infermieri e pazienti influenzano, in maniera spesso inaspettata, qualità e modi della cura. NON SOLO TECNICI Non si deve pensare che il solo impegno richiesto agli operatori sanitari sia quello di acquisire un complesso di abilità. Bisogna invece mettere in evidenza come sia essenziale, accanto alla necessaria acquisizione di tecniche diagnostiche e terapeutiche, far nascere una sorta di attenzione alla relazione e alle tecniche di ascolto. Questa attenzione è fondamentale per riconoscere la condizione emotiva in cui si trova il paziente. E se queste modalità sono date per scon- tate da chi si occupa di psicoterapia, lo sono molto meno per i medici, abituati a porsi davanti ai malati rassicurati solo dalle presunte certezze della oggettività scientifica. In primo luogo ritengo basilare sottolineare che la cura avviene in una relazione reale tra persone che interagiscono in uno spazio condiviso, che è, in prima istanza, un rapporto tra individui che si impegnano ciascuno nel proprio ruolo e competenza specifica a operare per un obiettivo comune: prendersi cura di una persona. IL RUOLO DELLE RELAZIONI UMANE Accanto alle indispensabili conoscenze mediche e di conduzione delle terapie è necessario quindi sviluppare capacità relazionali. Lo sviluppo tecnologico spinge, in questo caso, nella direzione contraria o comunque verso un’organizzazione sani- 18 taria in cui gli strumenti diagnostici e terapeutici diventano prevalenti. Non possiamo però correre il rischio di affidarci esclusivamente a queste competenze, stimando la relazione umana e i livelli empatici che si attivano come secondari. L’abilità del medico e dell’infermiere di saper dialogare con il malato deve entrare nella cornice della terapia in modo più significativo e questo deve avvenire proprio nel momento in cui la medicina, giunta a straordinari traguardi di sviluppo tecnologico, sembra perdere la sua efficacia e credibilità nel rapporto diretto con il paziente. Il riconoscimento e la gestione degli stati di sofferenza del malato devono essere ancora strumenti privilegiati. UNA COMPARTECIPAZIONE ATTIVA DEL MALATO Uno degli obiettivi che si deve raggiungere è far capire >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 19 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE che l’esigenza di un approccio relazionale non viene mai meno. Al contrario dev’essere accresciuta man mano che l’evoluzione tecnologica della medicina si amplia. In tal senso, l’oggetto da indagare è comprendere cosa accade nella relazione interpersonale. Ossia un sapere che ha per contenuto i legami interattivi nei quali siamo immersi, prima di tutto come esseri umani. Questo genere di rapporti sono ancora più forti quando si instaurano fra due soggetti, dove uno si trova in una situazione di sofferenza fisica o psichica e l’altro intende farsene carico. Per ogni atto medico non occorre solo un consenso libero e informato, ma ancor più una compartecipazione attiva del malato. cura. Deve essere in grado, al contrario, da una parte di negoziare con il paziente e dall’altra di considerare la spesa sanitaria pubblica. La tecnologia ha aumentato la complessità dei trattamenti e delle scelte da compiere e l’aspetto economico è sempre più importante nelle decisioni di un’azienda sanitaria. È sempre maggiore la responsabilità per un uso appropriato delle risorse, quindi il medico deve bilanciare il suo impegno nei confronti dell’individuo con i doveri verso la società intera. In questa direzione un’attenzione maggiore alle relazioni di cura, non solo migliora gli esiti ma è anche fonte di risparmio economico. DARE TEMPO, RICEVERE FIDUCIA ECONOMIA DELLA CURA Il medico ha perso l’autorità di chi assume tutte le decisioni in tutti gli aspetti della luglio 2011< Spesso il paziente sente di non avere a disposizione una condizione favorevole a porre domande: il tempo è limita- 19 to, lo studio affollato, il medico interrompe subito. Così molto spesso ci si rivolge a internet o a conoscenti per assumere informazioni , arrivando così ad acquisire semplici dati che nulla hanno a che fare con la cura. Una conversazione efficace vuole che vengano riempiti i vuoti aperti, affrontando insieme al medico la specificità soggettiva della malattia. È il primo atto terapeutico. La fiducia si instaura dopo una esplorazione reciproca, una condivisione di aspettative e di dubbi. Credere di perdere tempo nel costruire una relazione significa non aver colto la potenzialità di questo tempo e manifestare un atto di fede nelle sole terapie.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 20 IL PAZIENTE (IMPAZIENTE) DI DIABETE Storia di un paziente di diabete nell’era della conoscenza e delle ristrettezze di bilancio. Fra bisogni di chiarezza, impazienze accumulate e situazioni croniche del sistema Italia. Pietro Greco N on è facile, credetemi, essere (tecnicamente) malato di diabete, lavorare come giornalista scientifico in giro per l’Italia e risiedere in Campania. Queste tre condizioni stridono. E, alla fin fine, inducono a derogare dalle regole del buon paziente. Iniziamo dalla prima condizione. Sono (tecnicamente) malato di diabete. Perché da dieci anni la mia glicemia ha una dannata tendenza al rialzo. Tuttavia se mi comporto bene, mi alimento in maniera corretta, controllo il tasso glicemico, il colesterolo, l’ago della bilancia e il giro vita riesco a scendere stabilmente sotto la soglia fatidica della tranquillità. Come suggeriscono la teoria clinica e i personali test giornalieri. QUANDO SI DIVENTA MALATI? Certo il tarlo del dubbio (o, se volete, il reiterato e malde- stro tentativo di aggrapparmi allo specchio dei numeri per poter trasgredire alle regole del buon malato senza eccessivi sensi di colpa) si insinua, tuttora irrisolto, nella mia mente: qual è la fatidica soglia della glicemia, la mattina a digiuno, al di sotto della quale si è sani e al di sopra della quale si è ammalati: 110, 120, 126 o addirittura 140 mg/dl (milligrammi su decilitro)? Francamente, lo studio della letteratura scientifica e divulgativa non mi aiuta. Ovvero, mi offre più di una tentazione a sciogliere almeno un po’ le briglie: perché quei valori io li trovo tutti, sia pure diversamente accreditati. Questa prima area di incertezza spalanca a un’altra, che forse ha maggior fondamento e non poche implicazioni pratiche: per essere definitivamente diabetico basta superare una e una sola volta la soglia fatidica, qualsiasi essa sia, oppure aver superato una sola volta la soglia 20 fatidica indica una mia propensione all’iperglicemia? Lo so, una risposta abbastanza esauriente a questa domanda è contenuta in quel meraviglioso integrale che è il valore dell’emoglobina glicosilata, cui ogni trimestre chiedo un giudizio indipendente sul mio stato e sulla mia condotta di paziente. Tuttavia nessuno mi ha mai spiegato, in maniera chiara e, appunto, esauriente, come stanno le cose. SCIOGLIERE I DUBBI Ecco, allora, un mio primo suggerimento a chi – come gli amici del progetto Igea dell’Istituto superiore di sanità – propone al paziente di assumere un ruolo da protagonista nella gestione integrata della malattia diabetica: aumentare il tasso di informazione intorno alla misura della glicemia e al suo reale significato. Sciogliere i dubbi, per togliere brodo di coltura agli alibi. Ciò presuppone, tuttavia, >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 21 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? STORIA, STORIE una univocità del messaggio da parte dei medici. Il che – l’ho verificato – non sempre si verifica. L’integrazione nella lotta al diabete, dunque, presuppone – proprio come prevede il progetto Igea – anche l’integrazione delle diverse articolazioni della struttura sanitaria e, in particolare, della comunicazione tra sistema sanitario e pazienti. rale o specialista che sia. Chi, come me, è un diabetico con una vita lavorativa piuttosto dinamica e continua a spostarsi come una trottola per l’Italia non ha il tempo (e neanche la voglia) di spendere i suoi (presunti preziosi) minuti in una coda o in una sala d’attesa. IMPAZIENTI PER FORZA DIABETIC VS DYNAMIC Tenendo conto che le tipologie di pazienti – ora che aumenta non solo l’età media, ma anche l’età pensionabile – sono molte diversificate. Mentre il sistema è (o, almeno, così risulta dalla mia singola esperienza) tarato per un singola tipologia: quella della persona anziana, ormai fuori dal mondo del lavoro, che ha molto tempo a disposizione da trascorrere in fila all’ospedale per pagare il ticket e/o nella sale d’attesa dei medici, di medicina gene- luglio 2011< I risultati pratici di questa estrema rigidità di relazione tra un paziente che non ha urgenze e un sistema sanitario che non ha flessibilità sono due: o la semplice fine della relazione (rinuncio al controllo medico, faccio da me, tanto so tutto) o l’aggiramento dell’ostacolo (mi rivolgo a strutture private). Nel primo caso si ha che, per un numero presumo non irrilevante di pazienti per forza di cose impazienti, l’integrazione della gestione della malattia diabetica si dissolve per rinuncia di una delle parti. Nel secon- 21 Integrazione, gestione e assistenza per la malattia diabetica. www.epicentro.iss.it/igea do caso l’integrazione si dissolve perché si crea una dimensione parallela (di tipo privato) che non comunica con il sistema pubblico. UN CANALE DI CONTATTO Come si potrebbe ovviare? Non ho studiato il problema né avrei alcun titolo per farlo. Propongo solo qualche suggerimento da stakeholder: informatizziamo la relazione. Creiamo anche dei luoghi virtuali, oltre quelli fisici, dove paziente, medici e sanitari possano incontrarsi in tempo reale e in maniera amichevole. Non mi aspetto nulla di trascendentale. Se devo pagare un ticket o firmare un documento, perché non posso far- Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 22 IL PROGETTO IGEA classi economicamente e socialmente svantaggiate. Il diabete è un esempio paradigmatico di malattia cronica, correlata a stili di vita. Anche la strategia europea Gaining health (Guadagnare salute) punta al riorientamento dei servizi sanitari, alla deospedalizzazione, allo sviluppo delle cure primarie, e all’aumento delle competenze delle persone per l’autogestione della propria malattia. Il disease management è oggi considerato lo strumento più indicato per migliorare l’assistenza delle persone con malattie croniche. Secondo l’OMS, per attuare un intervento di disease management è fondamentale: disporre di linee guida basate su prove di efficacia; promuovere un’assistenza multidisciplinare; disporre di sistemi informativi sostenibili e ben integrati sul territorio che incoraggino non solo la comunicazione tra medici, ma anche tra medici e pazienti per ottenere un’assistenza coordinata e a lungo termine; promuovere l’autogestione dei pazienti quale componente essenziale dell’assistenza ai malati cronici. Nato nel 2006 per volontà di Iss e Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM), il progetto Igea prevede la definizione della strategia complessiva di intervento, coordinamento e supporto ai progetti regionali sulla patologia diabete. L’obiettivo generale del progetto è quello di ottimizzare i percorsi diagnostici e terapeutici, mettendo il paziente e non il sistema al centro dell’organizzazione assistenziale attraverso la realizzazione di un modello che garantisca interventi efficaci per la totalità dei diabetici, attui gli interventi sulla base di prove scientifiche, assicuri la possibilità di misurare qualità delle cure e degli esiti, e attivi un modello di assistenza capace di tener conto delle diverse realtà territoriali, garantendo comunque uniformità negli interventi. Tra le malattie in crescita, il diabete è una delle patologie a più larga diffusione in tutto il mondo e, con le sue complicanze, rappresenta un problema sanitario per le persone di tutte le età e di tutte le aree geografiche, con un più grave coinvolgimento, peraltro, delle 22 >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 23 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? STORIA, STORIE lo per via telematica risparmiandomi, tra spostamento e coda, qualche ora di tempo? Perché il mio medico non può firmarmi (con firma digitale) e inviarmi con una semplice email una prescrizione di analisi? Ancora. Perché non rendere immediatamente obbligatorio ciò che è già nello spirito del progetto Igea: ovvero stabilire un canale di contatto telematico tra il mio medico di famiglia (lo chiamo ancora così), il medico specialista e me, paziente impaziente. Io potrei comunicare loro in tempo reale i risultati delle mie automisure (il tasso di glicemia al mattino, il mio peso, la circonferenza della mia pancia) e loro potrebbero sia avere informazioni utili sull’andamento della mia malattia sia controllare che io non sciolga troppo le briglie del autocontrollo. VITA DI CAMPANIA Questa sarebbe una buona soluzione per la gestione luglio 2011< della malattia diabetica nell’era della conoscenza e dell’elevata età pensionabile. Già, ma io abito in Campania. Ovvero in una regione in cui (anche per problemi legati al bilancio) è più difficile che in altre aver fiducia nel fatto che i Lea (i livelli essenziali di assistenza) siano in grado di evitare che il federalismo sanitario non si risolva in una drammatica divergenza dell’assistenza e nella produzione di inedite health inequalities. Veniamo al pratico. Mancano i soldi e diminuiscono le prestazioni. Il diabetico pensionato, e non solo il diabetico itinerante, ha difficoltà a intercettare un medico specialista che abbia tempo per una visita scrupolosa. Capita sempre che ti diano un numero limitato di strisce per la misura giornaliera della glicemia: 40 strisce ogni tre mesi. Il che significa che per gli altri 50 giorni devi fare da te. Ma non è semplice trovare in farmacia la medesima striscia che il sistema sanita- 23 rio regionale ti fa recapitare a casa. Morale. O hai una forza di volontà ferrea o la misura giornaliera della glicemia salta. O hai una cultura medica solida o l’affidabilità delle tue automisure va a farsi benedire. Ancora. Tu pensi che una diagnosi di diabete sia per sempre. Non è così. Non in Campania, almeno. Per avere il tuo kit devi periodicamente riavviare il processo che ti obbliga a una nuova visita (e a una nuova coda) dal medico specialista e a un nuovo passaggio (con relativa coda) presso gli uffici sanitari locali. La riattivazione deve avvenire, mi pare, ogni sei mesi. Ecco, mi pare… ho già dimenticato la procedura perché non ho tempo per attivarla. Rinuncio. No, non è facile per noi impazienti pazienti di diabete, in Campania.<< pietrogreco011@ gmail.com Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 24 ANDARE IN DIALISI CONSAPEVOLI E INFORMATI I pazienti in trattamento dialitico cronico sono circa 50.000 ma costano al Servizio sanitario nazionale almeno 2,5 miliardi di euro ogni anno. Fornire un’assistenza ineccepibile dal punto di vista tecnico scientifico è bene, ma va risolto anche un grande problema di comunicazione e di educazione. Giulio Mingardi I l livello di competenze per la salute e di consapevolezza dei propri problemi sanitari (la health literacy del mondo anglosassone che non è facilmente traducibile in italiano) incide notevolmente sugli esiti clinici, sul numero e la lunghezza dei ricoveri, sui costi, sulla sopravvivenza dei pazienti. Su queste competenze pesano sia le caratteristiche personali dei pazienti (come età, livello di istruzione e di reddito, disabilità cognitive, appartenenza a minoranze sociali, supporti famigliari) che le attitudini del personale sanitario, l’empatia e la comprensione verso i problemi dei pazienti, la capacità e l’impegno nell’informare correttamente i propri pazienti. UNA VITA IN DIALISI I pazienti in trattamento dialitico cronico sono in Italia circa 50.000 (meno dell’uno per mille sulla popolazione complessiva) e costano però al Servizio sanitario nazionale almeno 2,5 miliardi di euro l’anno, circa il 2,5 per cento dell’intera spesa. L’emodialisi è un trattamento cronico complesso, molto impegnativo per struttura e pazienti. Deve essere effettuata tre volte la settimana per quattro ore ogni volta, è accompagnata da una terapia farmacologica domiciliare plurima, numerose prescrizioni dietetiche, necessità di adeguare lo stile di vita alla terapia e richiede che il soggetto si sottoponga a numerose visite specialistiche e indagini strumentali. Nonostante tutto questo i dializzati sono gravati da un’alta mortalità, circa il 1520 per cento annuo, e da una bassa qualità di vita. La media dell’età dei pazienti dializzati è di 70 anni. In generale oltre il 70 per cento dei nuovi pazienti ha un’età superiore ai 60 anni. Almeno il 60 per cento arriva in dialisi da malattie come il diabete, 24 patologie cardiovascolari o sistemiche, che notoriamente compromettono nel tempo le capacità cognitive. Cosa ci si può aspettare quindi, date queste premesse, nel campo della consapevolezza e delle competenze per la salute, in questa popolazione di pazienti che assommano in sé molte delle caratteristiche che sono note ridurre la possibilità di raggiungere in modo soddisfacente questi obiettivi? HEALTH LITERACY La letteratura ci dice che un’alta percentuale di dializzati, almeno il 30-40 per cento, non segue le prescrizioni mediche per cause personali o sociali. Se ci spostiamo più in generale nel campo delle competenze per la salute la situazione non è certo migliore. È stato mostrato (M.A. Kleinpeter, Adv Perit Dial 19, 2003) che una bassa health >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 25 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE literacy, essenzialmente correlata al livello culturale, riduce gli esiti e la qualità della dialisi peritoneale – una terapia dialitica svolta a domicilio e che richiede pertanto un particolare coinvolgimento del paziente. Un’altra ricerca ha evidenziato (V. Grubbs et al., Clin J Am Soc Nephrol 4, 2009) che almeno un terzo della popolazione dializzata studiata aveva una inadeguata health literacy e che questi pazienti avevano una minore probabilità di essere inseriti nella lista di attesa per un trapianto renale. Potevano cioè perdere una importante opportunità di risolvere al meglio la loro condizione di malati. Nel mese di giugno di quest’anno un altro studio su una larga popolazione di pazienti emodializzati (J.A. Green et al., Clin J Am Soc Nephrol 6, 2011), ha dimostrato che in una percentuale significativa, circa il 20 per cento, mostravano una bassa health literacy correlata a luglio 2011< basso livello culturale e appartenenza a minoranze sociali. Un problema ormai presente anche nei nostri centri dialisi. Tutti gli autori si chiedono come il personale sanitario e l’organizzazione sanitaria più in generale possa intervenire per migliorare questa situazione. Essa ha certamente radici culturali e sociali profonde ma può anche essere migliorata e peggiorata dagli operatori sanitari nella loro interazione con i pazienti. Se basse competenze per la salute hanno un impatto importante nel trattamento delle malattie croniche è proprio in queste condizioni che sono particolarmente indicati programmi di educazione terapeutica. In particolare è un clima e uno stile comunicativo sereno ciò su cui l’organizzazione può e deve puntare, un clima che coinvolga tutta l’équipe e tutti i pazienti nel programma di cura. Facilitare momenti di incontro con pazienti e fami- 25 gliari, avere semplice materiale illustrativo scritto, mettere a disposizione dei pazienti numeri telefonici dove rivolgersi in qualunque momento per avere chiarimenti o consigli, sono accorgimenti molto utili ed evitano spesso problemi maggiori. E NEL BELPAESE? Purtroppo i dati a disposizione riguardano essenzialmente il mondo anglosassone. Cosa possiamo dire, in base alla nostra esperienza, per l’Italia? Il primo problema è certamente quello di rendersi conto che, se è vero che i pazienti hanno diversi livelli di health literacy, anche il personale sanitario ha diverse capacità, attenzioni e abilità nello spiegare in modo chiaro e produttivo i problemi di salute ai pazienti e al pubblico in generale. Queste capacità devono essere coltivate e alimentate, non sono Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 26 un dato di fatto congenito. In una medicina sempre più tecnologica e scientifica è comprensibile e giusto che la prima preoccupazione sia quella di fornire una assistenza ineccepibile dal punto di vista tecnico scientifico, ma ciò non è sufficiente se si vogliono davvero raggiungere risultati di eccellenza. Bisogna che il personale sanitario, e medico in particolare, e le organizzazioni nel loro complesso realizzino che esiste anche un grande problema di comunicazione e di educazione, soprattutto nel campo delle malattie e terapie croniche. In un’esperienza fatta all’AUSL di Reggio Emilia è emerso che più dell’80 per cento dei professionisti non percepisce il proprio stile comunicativo come difficile da comprendere, nonostante tutte le ricerche in questo campo dimostrino ampiamente il contrario. Sempre in questa relazione si ricordava come già George Bernard Shaw sottoli- neasse che il problema principale della comunicazione è l’illusione che sia avvenuta. L’ESPERIENZA DEI CAMPISCUOLA Gli operatori della dialisi, gli infermieri in particolare, sono forse più sensibili della media ai problemi dell’informazione, dell’educazione terapeutica e della health literacy dei loro pazienti. Questo dipende in larga parte dal fatto che tecniche come l’emodialisi domiciliare o la dialisi peritoneale necessitano di un periodo formalizzato di training, anche di più mesi, perché il paziente possa svolgere autonomamente queste terapie a domicilio. Anche l’emodialisi ospedaliera e il trapianto creano un rapporto molto stretto e continuativo tra operatori e pazienti che dovrebbe favorire la comunicazione e il miglioramento della consapevolezza dei pazienti riguardo ai problemi 26 della loro salute. Ma certamente ciò non avviene per caso o volontà divina. Bisogna quantomeno dare una mano, le nostre mani, a questa volontà Noi stessi, insieme a molti operatori del gruppo di Bergamo, abbiamo organizzato o partecipato a incontri, corsi, campiscuola, scritto opuscoli su vari argomenti legati alla dialisi, all’insufficienza renale e più in generale alle problematiche delle malattie croniche e della informazione in campo sanitario. Anche a metà giugno di quest’anno è stata programmata una intera domenica di informazione e condivisione con i nostri pazienti dializzati e le loro famiglie, punteggiato da momenti artistici e musicali. L’esperienza dei campiscuola, di cui la psicologa-infermiera Valentina Paris, altri infermieri e un gruppo di giovani trapiantati sono stati l’anima, il cuore e le mani, è una modalità operativa impegna- >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 27 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE tiva ma altrettanto degna di essere fatta e propagandata. Si tratta di due, tre, quattro giorni liberamente scelti e passati in una località di villeggiatura, durante i quali si condividono momenti educativi e di svago. Stare insieme crea un grande affiatamento e migliora il clima comunicativo e di comprensione reciproca. È quindi possibile fare molto di più al di là del classico rapporto istituzionale e professionale. Il personale infermieristico e l’aiuto di operatori dell’informazione, se disponibili, sono fondamentali per inventare nuove modalità di approccio al problema dell’informazione e formazione sanitaria. COMUNICARE LA DIALISI Per rendere più concreti questi concetti generali vorrei fare alcuni esempi molto rapidi e semplici di problematiche luglio 2011< classiche che si incontrano con singoli pazienti in dialisi e di come esse possono diventare motivo di scontro e di giudizio negativo sul paziente stesso, o al contrario, se affrontate in modo collaborativo e positivo, diventare occasioni di crescita del rapporto terapeutico e di soddisfazione professionale per l’équipe. La prima riguarda la questione degli stranieri, dove il problema della comunicazione è anzitutto legato alla non conoscenza di lingue con cui mediare. «AB è un paziente immigrato di colore che giunge da noi con una gravissima insufficienza renale, dopo essere transitato da un altro ospedale che non aveva ritenuto possibile iniziare la dialisi, per cui è necessario iniziare subito il trattamento dialitico. Parla pochissimo l’italiano e nessun’altra 27 lingua a parte la sua di origine. Non abbiamo il prezioso supporto di mediatori culturali o di famigliari. L’inizio del trattamento dialitico è gravato da numerosi problemi che sono molto amplificati dalla difficilissima comunicazione. Gli infermieri hanno la buona idea di chiedere a un altro paziente di colore che esegue dialisi su un altro turno se è in grado di comunicare in questa lingua e se è disponibile ad aiutarci in un percorso di informazione ed educazione. Il paziente accetta e i due vengono messi vicini sullo stesso turno di dialisi. Nel giro di 20-40 giorni di dialisi intensiva e di faticoso training la situazione clinica migliora nettamente, il paziente si rende autonomo con grande Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 28 gioia di tutti e si riescono a far intervenire la Caritas diocesana e le assistenti sociali del comune di residenza. Ora il paziente è completamente riabilitato e segue scrupolosamente gli indirizzi del personale medico». La seconda evidenzia la questione del dolore e della paura come condizioni all’immobilismo del paziente. «BC entra in dialisi in un altro ospedale e viene da noi dopo alcuni mesi per questioni di competenza. È terrorizzata, sta male a ogni dialisi, non sopporta il minimo dolore, non segue le terapie, non si fida di nessuno. Discutiamo in équipe come affrontare il caso, sia da un punto di vista tecnico che educativo e relazionale. Decidiamo che un atteggiamento di semplificazione tecnica, terapeutica e di accoglienza, con l’impiego di comprensione, continue e serene spiegazioni, possa favorire un lento miglioramento della situazione. Contemporaneamente abbiamo incontri anche con il marito che è molto disponibile e collaborativo. A poco a poco l’équipe accoglie le difficoltà poste dalla paziente come sintomi del suo disagio e la paziente accetta l’équipe, diventa più consapevole dei suoi problemi e delle possibili soluzioni, entra in lista trapianto, quasi scompaiono i suoi sintomi in dialisi, si normalizza la pressione che era molto elevata. È molto fortunata perché arriva al trapianto dopo pochi mesi in condizioni sia 28 fisiche sia psichiche migliori». L’ultima tocca la questione della fiducia reciproca, spesso fonte di complicazioni e difficoltà. «CD è un paziente giovane, in buone condizioni generali, ha un buon lavoro, una famiglia disponibile. È quello che, al primo impatto, sembra un paziente facile con cui non ci dovrebbero essere particolari problemi nel percorso di inserimento e di comprensione. Invece non appena inizia l’iter di esami e visite per l’inserimento in lista trapianto renale ci accorgiamo che ha grandi limiti nel ricordarsi gli appuntamenti, nel capire dove andare e perché. Com’è naturale che sia, questo tipo di comportamento crea >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 29 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE inizialmente numerose discussioni, anche molto animate, in équipe, con scambi di accuse reciproche. Dopo rivalutazione del caso si decide di accompagnarlo passo passo in questo percorso, senza dare più per scontate la sua comprensione e autonomia. In tal modo si raggiunge l’obiettivo dell’inserimento in lista trapianto in tempi ragionevoli e soprattutto un rasserenamento notevole del rapporto con il paziente e, in qualche misura, anche un miglioramento della consapevolezza dei suoi problemi di salute». CREARE LE CONDIZIONI PER LA RELAZIONE Possono sembrare storie semplici e forse ovvie. In fondo si potrebbe dire che abbia- luglio 2011< mo solo svolto il nostro lavoro in modo egregio, cercando di curare il paziente nella sua interezza, di informarlo ed educarlo. Sarebbe stato molto facile (ed è quello che può succedere spesso) semplicemente staccarsi dai pazienti invece di accoglierli, gettando sopra di loro la colpa della situazione di disagio, incomprensione, rifiuto. Ci si mette a posto la coscienza dicendoci che ognuno porta le conseguenze delle sue azioni, che in fondo il nostro dovere è di fare una dialisi al meglio della tecnologia e delle conoscenze scientifiche, che il resto non ci riguarda, che non possiamo ripetere cento volte le stesse cose, che non possiamo fare da balia ai pazienti. Credo invece che tante piccole attenzioni e iniziative siano importanti. Cercare di recepire anche i segnali deboli che vengono lanciati dai nostri pazienti, creare con un lavoro formativo coordinato e 29 affiatato di tutta l’equipe medica e infermieristica un clima favorevole alle relazioni dove scompare la vergogna di domandare e ridomandare (che spesso blocca i pazienti), mettersi in gioco per quanto possibile con tutti i nostri limiti è un compito fondamentale degli operatori di un centro dialisi. Gli infermieri in particolare passano molto tempo con i pazienti, hanno una professionalità più duttile e giovane. Sono interfacce di comunicazione insostituibili e preziose. Forse non è quello che si dice un metodo di lavoro tradizionale e codificato, ma è il modo migliore per ottenere risultati clinici eccellenti per i pazienti e regalare agli operatori maggiori soddisfazioni professionali e un ambiente di lavoro caldo e stimolante.<< giulio.mingardi@ gavazzeni.it Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 30 MEDICI ALLA SBARRA. PAURA, SCONTRO, BUONSENSO La Cassazione condanna tre medici e sui giornali la vicenda prende le tinte dell’accanimento terapeutico. Le parole di Casali descrivono bene un clima teso dove i medici vivono fra incudine e martello, è venuta meno la relazione medico paziente ed è il giudice a stabilire cosa va fatto e cosa no. Paolo G. Casali M olti quotidiani hanno riportato la sentenza 13746 emessa dalla Cassazione enfatizzando la questione dell’accanimento terapeutico. Nel procedimento sono stati condannati tre medici dell’ospedale San Giovanni di Roma, per aver operato una donna di 44 anni con tumore al pancreas e metastasi diffuse, morta poche ore dopo essere uscita dalla sala operatoria a causa di un’emorragia. Il reato è prescritto (i fatti risalgono al 2001) ma i medici dovranno risarcire i danni morali provocati ai familiari della donna. ALLA RICERCA DELL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO La sentenza della Cassazione, al di là delle considerazioni sul singolo caso, sembra implicare che vi possa essere accanimento terapeutico anche in presenza del pieno consenso del paziente. Qualcuno, come chi scrive, ha sostenuto il contrario in occasione di un incontro sull’accanimento terapeutico in oncologia, organizzato non molto tempo fa dal comitato etico dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano. L’idea è che la possibilità di un qualche accanimento sia ben presente nelle situazioni in cui il paziente è incosciente, come in terapia intensiva, ma assai meno laddove, come in oncologia, egli è sempre in linea di massima capace di decidere se accettare o meno un determinato trattamento. In prima approssimazione: nessuno può accanirsi su di me, se sono libero di decidere. In effetti, vi sono diversi rischi nel negare questo assunto. Soprattutto se questo avviene su un piano giuridico e non su quello clinico. IL BIAS GIURIDICO Sono ovvi i motivi per cui l’ambito del diritto deve esse- 30 re più ristretto di quello clinico, o etico clinico. Un conto è se il paziente e il suo medico decidono insieme che qualcosa non va fatto, perché troppo aggressivo o con insufficienti probabilità di un buon esito. Altro conto è se lo fa un giudice. Il giudice può farlo a posteriori, e inevitabilmente solo nei casi per così dire andati male, creando così una giurisprudenza che un clinico definirebbe biased, condizionata da preconcetti e circostanze. È come decidere sui casi futuri avendo nella testa solo i casi precedenti a evoluzione sfavorevole. Nessun clinico razionale lo farebbe. Nel considerare retrospettivamente qualsiasi decisione clinica, il problema è sempre: quante probabilità vi sono, a priori, di un qualche esito favorevole? E naturalmente il fatto interessante, ulteriore problema, è quale debba essere la soglia probabilistica ritenuta interessante e cosa si intenda per esito favorevole. >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 31 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE Il dieci per cento è poco o tanto? E l’uno per cento? E l’uno per cento in probabilità di guarigione? E il dieci per cento in palliazione di gravi sintomi attesi a breve termine? E cosa dire, poi, dell’incertezza su queste stesse probabilità? Riguardo a questo, ci si chiede se sia il giudice a dover decidere per tutti i pazienti, o non siano i pazienti che devono decidere con i propri medici, singolarmente: cioè diversamente, anche molto diversamente, l’uno dall’altro. NELLA ZONA GRIGIA In realtà, la sentenza di appello sembrava assumere una totale assenza di beneficio, che naturalmente eliminerebbe ogni problema, ma rappresenterebbe in generale una situazione estrema per un'indicazione terapeutica. Ora, è ben vero che se io do il mio consenso a che qualcuno mi pugnali nella luglio 2011< schiena, quel consenso non ha alcuna validità. Ma è altrettanto chiaro che la complessità della clinica non riguarda esattamente questa situazione, bensì un’infinità di casi concreti che si situano in un’ampia zona grigia. Quando i gradi di libertà lasciati al medico e al suo paziente venissero, di fatto, ulteriormente ristretti, l’effetto sarebbe semplicemente di rendere quella complessità sempre meno rilevante per la decisione clinica. Tanto più nell’attuale evoluzione della medicina, che propone tecnologie sempre più numerose, variegate e personalizzabili. Il tutto nell’attuale contesto assistenziale, in cui ai possibili reati legati alla colpa medica si aggiungono quelli legati alla possibile truffa ai danni del sistema sanitario. Nella logica dicotomica del diritto, un comportamento clinico, magari discutibile, è semplicemente o legittimo o criminale (anche molto criminale, omicida, truffaldino, 31 eccetera). Certo, in medicina vi sono scelte giuste e sbagliate, o più o meno giuste e sbagliate. Ma il rischio è che proprio la zona grigia della clinica, su cui è vitale poter discutere liberamente, venga eliminata, ampliando o restringendo a seconda di dove va la giurisdizione, quest’ultima in sostituzione della discussione clinica. Quella fra i medici, e quella fra il medico e il suo paziente. E, come spesso accade in Italia, quando il grigio diventa nero, anche il bianco e il nero finiscono per non essere più certi. Cioè anche i comportamenti realmente inappropriati o illeciti diventano indistinguibili da quelli appena discutibili. SE VINCE LA TATTICA DEL CATENACCIO In linea di massima, viene premiata la medicina difensiva. E dunque il risultato può ben essere diminuire gli atti Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 32 La vulgata giornalistica della sentenza 13746 si discosta molto dal testo della Cassazione. A poche settimane dalla pubblicazione sono stati gli stessi media a fare un passo indietro. http://bioetiche.blogspot.com/2011/04/una-sentenzaimmaginaria.html terapeutici ad alto rischio, con probabilità di guarigione limitate ma non nulle. Diventa impossibile perseguire un chirurgo che dice di non saper fare un intervento complesso e ad alto rischio, mentre resta sempre possibile addebitargliene l’esito sfavorevole (per definizione probabile) nel caso abbia la sciagurata idea di avventurarcisi. Questo va tutto sul conto del paziente, in termini di diminuite opportunità terapeutiche e migrazione sanitaria. La ricerca clinica, ugualmente, non ne viene in alcun modo favorita. Perché in genere la ricerca comporta rischi aggiuntivi, pur se, ovviamente, anche opportunità aggiuntive. PER UNA BUONA MEDICINA In effetti, un paziente con malattia grave è razionale quando accetta interventi terapeutici a bassa probabilità di successo, o di entrare in uno studio clinico dall’esito incerto. Se le mie probabilità sono zero, sarò incline ad andare dove quelle probabilità sono anche solo un po’ più di zero. Certamente questa inevitabile propensione al rischio del paziente con malattia grave deve trovare dei limiti. I quali, però, devono essere appunto flessibili, in rapporto alla complessità della clinica e, verrebbe da dire, della vita. 32 In effetti, la medicina, la buona medicina, si è data degli strumenti pragmatici per questo. È sempre utile, per esempio, che più persone siano coinvolte in queste decisioni. Può trattarsi di un comitato etico, quando si decida se un trattamento sperimentale può essere o meno proposto ai pazienti. Può essere un gruppo clinico multidisciplinare. Possono essere società scientifico-professionali, od organismi appositi, che emanino per consenso delle linee guida per la pratica clinica. In questo modo è più probabile che vengano esclusi trattamenti che, non a un singolo ma a un gruppo di persone con diverse professionalità e sensibilità, appaiano futili o gravati da tossicità e sequele eccessive. CONDIVIDERE DECISIONI… E TUTELE Con queste limitazioni, si va dal paziente e lo si informa >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 33 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE adeguatamente, cercando di tenere conto anche di una serie di fattori psicologici. Si coinvolge la famiglia, per quanto il paziente lo desideri. E si arriva a una decisione condivisa. Che tuttavia, a quel punto, deve trovare una qualche tutela giuridica, dando serenità a chi agisce professionalmente. In altri termini, se si tratta di una decisione condivisa con un paziente realmente informato, per definizione non vi potrà essere accanimento terapeutico, perché nessuno, in grado di intendere e volere, potrà volere che ci si accanisca su di lui. Semmai si dovrebbe fare in modo che tutte le decisioni cliniche vengano prese in questo modo, cioè con questo livello di coinvolgimento del paziente e di chi sta intorno a lui, a fronte di una discussione clinica multidisciplinare, coerentemente con le linee guida per la pratica clinica accettate dalla comunità clinicoscientifica. luglio 2011< Questa è la vera sfida, organizzativa e culturale. Il magistrato deve vegliare, al massimo, su questo. Anche se, molto meglio, dovrebbero farlo i sistemi di qualità, da implementare e costantemente migliorare nei sistemi sanitari. IL VERO RISCHIO PER IL PAZIENTE Vi è, peraltro, un ulteriore genere di limitazioni alla libertà del paziente e del suo medico. Sono i costi. È probabile che, oggi, qui si giochi il vero rischio del paziente con malattia seria. Non tanto, cioè, sulla possibilità di restare vittima involontaria di accanimento terapeutico, quanto sul contrario, cioè sul vedersi rifiutati dei trattamenti con probabilità di successo più o meno basse, per l’individuo, ma certamente ad alto costo, per la società. Sta accadendo in tutto il mondo. 33 Su questo occorrerebbe discutere, in profondità. Perché l’argomento, tutt’altro che semplice, è urgente, per il paziente e per la società.<< paolo.casali@ istitutotumori.mi.it Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 34 LE LINEE GUIDA PORTANO FUORI STRADA? È corretto, da un punto di vista concettuale e giuridico, contrapporre le linee guida, cui un medico ha il dovere di attenersi, al diritto alla salute del paziente? Quali le soluzioni fra etica ed economia? Amedeo Santosuosso U n paziente viene dimesso dall’ospedale, come da prassi, il nono giorno dopo infarto e angioplastica delle coronarie, ormai stabilizzato e asintomatico. Nella notte del suo ritorno a casa ha però un’improvvisa e grave aritmia che ne provoca il decesso. Il medico che ha firmato la lettera di dimissione viene chiamato a rispondere di omicidio colposo per negligenza, imprudenza e imperizia. A una prima condanna segue l’assoluzione in appello, mentre la Cassazione finisce con il dare ragione al primo giudice, sostenendo che l’aderenza alle linee guida non giustifica le scelte del curante, il quale viene quindi condannato. Abbiamo chiesto ad Amedeo Santosuosso, Consigliere di corte d’appello presso il Tribunale di Milano e docente all’Università di Pavia, di commentare la vicenda. Nei tre gradi di giudizio le posizioni dei giudici, pur diverse, hanno concordato sul principio di base, affermato solennemente nella prima sentenza, secondo il quale il diritto alla salute del paziente prevale sull’impegno del medico ad attenersi alle linee guida. In realtà è scorretto, da un punto di vista concettuale e giuridico, contrapporre le linee guida al diritto alla salute, poiché esse nascono proprio a tutela di tale diritto. Le indicazioni delle società scientifiche nazionali e internazionali infatti riflettono lo stato attuale delle conoscenze in un determinato settore della medicina e servono a ridurre l’arbitrarietà del singolo medico, basata solo sulla sua propria esperienza, molto soggettiva e aleatoria, che in quanto tale garantisce poco il paziente. Le sentenze sembrano invece presupporre che questi documenti siano nati soprattutto 34 come strumenti per il taglio delle spese. La componente economica effettivamente esiste, ma non è prevalente. Anche questo elemento, insieme a quello organizzativo, ha comunque un suo valore, di cui occorre tener conto nell’interesse generale, soprattutto se la spesa a carico della collettività e la fruizione di risorse, per esempio l’occupazione del posto letto, non è giustificata da un vantaggio per il malato. Nel caso specifico, da che cosa nasce quindi il disaccordo tra i giudici dei tre gradi di giudizio? Le diverse interpretazioni nascono da un lato dal diverso peso attribuito alle linee guida, a cui, come si è detto, viene attribuito più il ruolo di strumenti finalizzati al taglio delle spese che di orientamento basato su criteri scientifici. Ma ha inciso anche una diversa valu- >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 35 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE tazione delle condizioni cliniche del malato all’atto della dimissione. Il perito chiamato a esprimere il suo parere sul caso decretò che nel caso in questione non c’erano indici obiettivamente contrari alla dimissione e che nulla faceva presagire la complicanza fatale. Allora, quali erano le motivazioni della condanna? Il giudice di primo grado ritenne che i fattori di rischio generali del malato (obeso, iperteso, fumatore e con alti livelli di colesterolo e trigliceridi), la gravità dell’infarto subito e l’alto tasso di mortalità che caratterizza i primi mesi successivi all’evento, avrebbero dovuto spingere il medico a un atteggiamento più prudente. Se infatti il paziente fosse stato ancora in ospedale al momento dell’improvvisa aritmia, il disturbo avrebbe potuto essere trattato prontamente e la vita dell’uomo sarebbe stata salvata. luglio 2011< La sentenza d’appello però capovolse questa interpretazione. Sì, perché, a mio parere giustamente, il giudice di appello non ravvide nel singolo caso gli elementi tali da giustificare questa scelta. Cosa che peraltro anche il perito aveva affermato, sottolineando che da giorni il malato non dava segni di possibile scompenso cardiaco né il suo elettrocardiogramma minacciava possibili aritmie gravi. Alla stregua di tali considerazioni, le condizioni del paziente non erano tali da discostarsi da quelle di altri malati che rientravano nel campo di applicazione delle linee guida e quindi tali da richiedere un diverso trattamento. I giudici hanno sottolineato che le linee guida non sono vincolanti. È vero? Certo, lo stesso accade in ambito giuridico, quando in 35 questioni controverse la Cassazione prende decisioni a sezioni unite. Anche in questo caso i giudici, come i medici davanti alle linee guida, possono anche non attenersi rigorosamente a queste indicazioni, ma devono giustificare le ragioni di un eventuale discostamento. Se nel caso del malato di cui si parla, la dimissione fosse stata motivata da ragioni economiche o gestionali, trascurando segnali clinici di allarme, non c’è dubbio che la sentenza di condanna sarebbe più motivata. In questo caso invece, il medico avrebbe dovuto piuttosto giustificare una scelta diversa da quella suggerita dalle linee guida, per esempio qualora il danno fosse derivato proprio dal non averne seguito le indicazioni.<< Intervista raccolta da Roberta Villa amedeo.santosuosso@ unipv.it Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 36 UNA LEGGE CHE INSEGNI A MEDIARE I CONFLITTI Ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema Giustizia, offrendo al cittadino uno strumento più semplice e veloce con tempi e costi certi. È l’obiettivo della legge sulla mediazione: un approccio nuovo ai temi della giurisprudenza. Anche in corsia. Andrea Valdambrini T rent’anni fa, nel 1980, il numero dei processi civili pendenti in Italia era pari a 394.826 procedimenti. Nel 2010, secondo i dati presentati in Parlamento a gennaio 2011, siamo arrivati alla cifra di 5.602.616. I dati sulle cause civili sono tratti dalla relazione del ministro Angelino Alfano sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2010, presentata al Parlamento lo scorso gennaio. Se si tiene conto che la durata media di un processo può tranquillamente superare i dieci anni, con punte di oltre vent’anni, non è fuori luogo pensare che il funzionamento della giustizia in Italia possa risultare indebolito e che ci si trovi evidentemente di fronte a un caso di giustizia negata. Una possibile via d’uscita, da affiancare ad altre iniziative legislative e a interventi di natura organizzativa, anche sul piano delle risorse, è rappresentata dalla pratica delle ADR (Alternative Dispute Resolution, risoluzione alter- nativa delle controversie), assai diffusa nel mondo anglosassone, la più conosciuta delle quali è certamente la mediazione. VERSO UNA RISOLUZIONE ALTERNATIVA Con il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, il Governo ha dato attuazione alla delega relativa all’introduzione della mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali, recependo la direttiva dell’Unione europea del 2008 e introducendo per la prima volta, nel nostro sistema giuridico, un effettivo strumento generale alternativo alla via giudiziale per risolvere le controversie dei cittadini. La riforma legislativa è stata completata con l’emanazione della normativa di dettaglio contenuta nel decreto ministeriale n. 180 del 18 ottobre 2010 ed è diventata pienamente operativa nel marzo 2011 con l’en- 36 trata in vigore delle norme sulla obbligatorietà della mediazione in una serie di materie indicate espressamente dalla legge. Siamo di fronte a una rivoluzione nel sistema di gestione delle controversie in Italia o è solo un bluff, come sostengono alcuni, portato avanti da operatori senza competenza? Oppure si tratta di una trappola per i cittadini, come sostengono altri, costretti a una tassa aggiuntiva per accedere alla giustizia? Le opinioni, come spesso accade in occasione di grandi innovazioni, sono contrastanti e capita che si sovrappongano, anche strumentalmente, battaglie culturali e interessi di bottega. LO STRUMENTO DELLA MEDIAZIONE È lo stesso decreto legislativo a definire nel suo primo articolo il nuovo istituto: la mediazione è l’attività «svolta da un terzo imparziale e >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 37 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa» (art. 1). La mediazione, seppure in forme anche molto diverse, in realtà era già presente nel nostro sistema legislativo in vari settori (in materia di lavoro, comunicazioni, materie societarie e commerciali), ma non con l’organicità e l’impatto sul sistema di giustizia che ha la recente innovazione legislativa. Dalla normativa emergono tre tipologie di mediazione: quella facoltativa, ossia scelta volontariamente dalle parti; quella demandata, quando il giudice, cui le parti si siano già rivolte, invita le stesse a tentare la mediazione; e infine quella obbligatoria, quando per poter procedere davanti al giudice, le parti debbono aver tentato senza successo la mediazione. Le parti in lite possono ri- luglio 2011< correre alla mediazione in qualsiasi stadio della controversia, purché la controversia verta su diritti disponibili. Riguardo ai tempi della procedura, il procedimento di conciliazione non può avere una durata eccedente i quattro mesi e in ogni caso non preclude l’accesso alla giustizia. Le accuse di ridurre l’accesso alla giustizia, con la presunta anticostituzionalità del decreto nella sua parte relativa all’obbligo di esperire un tentativo di mediazione come condizione di procedibilità di una causa civile in alcune materie definite, sono a opinione di molti giuristi infondate. Considerati i tempi della convocazione della prima udienza e la prassi di richiedere un rinvio, per non parlare dei tempi generali per ottenere una sentenza, è ragionevole ritenere che il tentativo di conciliazione non aggravi i tempi della giustizia ordinaria. Su questo comunque pende un ricorso alla Corte costituzionale e ci 37 sarà da attendere almeno un anno per avere una sentenza al riguardo. COSTRETTI A MEDIARE È soprattutto la mediazione obbligatoria (ex art. 5, comma 1, del D.Lgs. 28/2010) a rappresentare l’elemento più significativo del nuovo sistema normativo e l’oggetto di una parte delle critiche piovute sul decreto. Dal 21 marzo 2011 la mediazione è diventata infatti condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie in una sfera molto ampia di materie: diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. L’obbligatorietà per le numerosissime controversie in Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 38 materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti è stata invece differita al 20 marzo 2012 per consentire un avvio graduale del meccanismo. È opportuno comunque precisare che anche nei casi di mediazione obbligatoria è sempre possibile richiedere al giudice i provvedimenti che, secondo la legge, sono urgenti e indilazionabili. Si può inoltre distinguere la mediazione facilitativa, in base alla quale il conciliatore si astiene dal prendere posizione su qualsiasi aspetto sostanziale della controversia, facilitando piuttosto le parti nell’individuare autonomamente un accordo amichevole, dalla mediazione valutativa, in base alla quale il mediatore è disposto anche a dare suggerimenti e giudizi nel merito del problema ed eventualmente a fare pressioni sulle parti per il raggiungimento dell’accordo. Il D.Lgs. 28/2010 apre a questo secon- do modello di mediazione, disponendo che nel caso di mancato accordo il mediatore possa fare una proposta di risoluzione della lite che le parti restano comunque libere di accettare o meno, e che nel caso di richiesta congiunta delle parti diventa un obbligo del formatore. CHI SI OCCUPA DEL PROCEDIMENTO? Un elemento qualificante il nuovo impianto normativo, che lo distingue dalle esperienze di conciliazione già esistenti nel nostro sistema giuridico, è l’aver affidato il procedimento a organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio e iscritti in un Registro degli organismi presso il Ministero della giustizia. La conduzione del procedimento è invece affidata a mediatori, professionisti con requisiti di neutralità, terzietà e indipendenza compe- 38 tenti nelle tecniche di gestione dei conflitti e nella facilitazione comunicativa, privi in ogni caso del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo. PREMI E PUNIZIONI Consapevole della resistenza culturale che ancora oggi la mediazione incontra nel nostro paese, per garantirne l’effettivo avvio il legislatore ha adottato un sistema di premi e punizioni che dovrebbero da una parte incentivarne il ricorso e dall’altra prevenire eventuali utilizzi non conformi allo spirito della legge. Tra i primi vi rientrano gli incentivi economici e fiscali; la sospensione dei termini di prescrizione e l’impedimento, per una sola volta, della decadenza; le garanzie di riservatezza sulle informazioni riservate emerse durante il procedimento e la loro inutilizzabilità nell’eventuale >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 39 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE Ministero della Giustizia www.giustizia.it processo successivo; il valore di titolo esecutivo dell’accordo raggiunto, dopo che questo è stato omologato dal giudice; il gratuito patrocinio nei casi previsti dalla legge. Tra gli incentivi di carattere punitivo vi rientrano invece: la possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova nel caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione precedente il giudizio; il disincentivo, di natura economica, a rifiutare una ragionevole proposta di accordo formulata dal mediatore. Nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponde interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, il giudice può così escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo suc- luglio 2011< cessivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato. LUCI, OMBRE E POTENZIALITÀ DEL NUOVO ISTITUTO L’introduzione della mediazione in via generalizzata nelle controversie civili e commerciali risponde innanzitutto a un obbligo derivante dalla direttiva europea già citata, che aveva l’obiettivo di garantire un migliore accesso alla giustizia. L’obiettivo specifico del Governo italiano è invece chiaramente espresso nelle ripetute prese di posizione e nei documenti pubblici: ridurre il flusso in ingresso di nuove cause nel sistema Giustizia, offrendo al cittadino uno strumento 39 più semplice e veloce con tempi e costi certi. A questo più che legittimo obiettivo materiale se ne affianca poi – più o meno intenzionalmente – uno di natura qualitativa, ossia l’introduzione nella giustizia civile di un approccio culturale nuovo, che cerca di superare la logica unica del contenzioso affrontato con un approccio avversariale, per introdurre strumenti di gestione dei conflitti di natura cooperativa, basati sulla ricerca della complementarietà degli interessi piuttosto che sulla distribuzione di torti e ragioni, verso soluzioni alternative di mutuo beneficio. È questa, a mio giudizio, la portata più innovativa della riforma. Si tratta di restituire alle parti il potere e la competenza di una gestione non distruttiva bensì trasformativa dei propri conflitti e di riconoscere nella mediazione uno strumento di cittadinanza attiva e consapevole. I contesti microsociali, come ad Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 40 esempio i condomini o le organizzazioni professionali, ci hanno abituato sempre più a narrazioni giornalistiche che li descrivono più come campi di battaglia che come spazi di socialità, pur conflittuale. Siamo quindi di fronte a una grande opportunità per la società italiana, quella di far propria una cultura della convivenza possibile dove la risposta al conflitto non sia l’abbattimento del nemico ma la ricerca di un buon accordo con l’altro: il conflitto vissuto non come guerra, ma come momento di confronto dinamico/responsabilizzante e come occasione per ristrutturare le relazione facendole evolvere in senso costruttivo. CONTRO(LA)RIFORMA Quali sono allora le contestazioni alla riforma e da dove provengono? Il principale portavoce del malcontento contro la legge è una parte del mondo dell’avvocatura, con in prima linea l’Organismo unitario dell’avvocatura italiana e il Consiglio nazionale forense. Le critiche principali riguardano sia l’obbligatorietà per procedere in giudizio, sia la non previsione dell’assistenza tecnica obbligatoria dell’avvocato in sede di mediazione, sia infine i criteri di qualità riguardanti organismi e mediatori. Alla base di tali critiche stanno, in misura non sempre chiaramente distinta, questioni culturali (la mediazione segue una logica non avversariale che è praticamente assente nella formazione giuridica universitaria), questioni corporative (le controversie che si concludono in mediazione sono clienti in meno da assistere in giudizio), questioni sostanziali e di contenuto. Sulle prime, sarà il tempo a mostrare auspicabilmente l’efficacia di questo nuovo modo di gestione dei conflitti e a creare anche in Italia una cultura dell’accordo di mutuo beneficio; sulle seconde, che 40 sono comunque legittime, non vale solo il principio del maggior valore dell’interesse collettivo sugli interessi di parte, ma è opportuno prendere in considerazione anche i nuovi spazi professionali che si aprono per gli avvocati che si trovano ad affiancare le parti con funzione di consulente esperto in questioni giuridiche. LA FIGURA DEL MEDIATORE Riguardo ai contenuti, sono certamente molti i rilievi che si possono fare all’attuale sistema normativo, ma credo non tali da dover bloccare il nuovo sistema sul nascere. Tra le varie questioni sollevate, penso valga la pena sottolineare come un punto debole dell’intero sistema sia costituito dalla formazione della figura professionale del mediatore. La critica non va, in questo caso, nella direzione delle perplessità dell’avvocatura italiana, che considera >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 41 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE necessaria una preparazione giuridica che invece non è l’aspetto centrale in un lavoro di esplorazione degli interessi e di facilitazione della comunicazione (e che potenzialmente potrebbe pure essere disfunzionale, qualora il mediatore con formazione giuridica non sappia spogliarsi dell’approccio valutativo appreso). La fragilità formativa va individuata piuttosto nei requisiti del mediatore, al quale basta un corso breve di almeno 50 ore per completare le presunte competenze di base acquisite con una laurea anche solo triennale (o l’iscrizione a un ordine o collegio professionale). La necessità di ricorrere a enti formativi accreditati presso il Ministero della giustizia rappresenta un minimo di garanzie, certo formali e quindi parziali, ma corsi così brevi difficilmente possono formare le competenze di gestione dei conflitti e di comunicazione che costituiscono le abilità basilari del mediatore. luglio 2011< LE POTENZIALITÀ DELLA MEDIAZIONE È ancora presto per avanzare valutazioni sui primi passi mossi. Dal ministero sono arrivati i primi parzialissimi dati relativi al primo mese di entrata in vigore dell’obbligatorietà, da prendere con le dovute cautele nella convinzione che le variazioni potranno essere assai significative anche in tempi molto brevi. Il dato più rilevante è quello degli esiti dei procedimenti di mediazione, che nel 23 per cento circa dei casi si sono conclusi positivamente con un accordo. Questa percentuale di successi, di per sé significativa ma certamente sotto alle aspettative, va letta insieme a un altro dato importante: i casi di non accordo sono dovuti per il 70 per cento alla mancata partecipazione della parte convocata. Quando invece le parti sono tutte presenti, il tasso di successo sale a quasi il 71 per 41 cento. Sono numeri questi che hanno bisogno di conferme da parte di analisi più complete, ma fanno già comprendere l’enorme potenziale della mediazione nella gestione alternativa delle controversie. Agli operatori del settore spetta fare un lavoro di qualità, ai cittadini il compito di sperimentare con fiducia questa nuova strada.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 42 16 MILIONI DI VOLTE NO ALL’EPATITE B 1991-2011. Il vaccino contro l’epatite B compie vent’anni. Ne raccontano la storia due professionisti della salute. Per ricordare un’Italia che seppe essere un modello per tutto il mondo. E non dimenticare la strada che, in un Paese che cambia, resta ancora da fare. Alfonso Mele e Alessandro Zanetti ZANETTI: Le vaccinazioni, insieme agli antibiotici, rappresentano sicuramente uno dei maggiori successi della storia della medicina. Hanno salvato milioni di vite umane e sradicato malattie gravissime in molte regioni del mondo. Da quando il vaccino per l’epatite B è diventato obbligatorio per legge, il 27 maggio del 1991, si contano 16 milioni di italiani immuni fin da piccoli. Un numero impressionante che cresce di anno in anno. L’Italia allora seppe essere un modello per tutto il mondo. figli e ai famigliari dei portatori di virus, ai tossicodipendenti, agli omosessuali, e al personale sanitario. MELE: Un successo che tutti ci riconoscono. Prima di allora il vaccino veniva somministrato, fin dai primi anni Ottanta, esclusivamente alle persone considerate a rischio per l’infezione. Si trattava di un vaccino plasmaderivato (ricavato dal sangue di portatori cronici) e la comunità scientifica ritenne che dovesse essere fornito solo ai M: Con la fine degli anni Ottanta, però, arrivò il vaccino sintetico, che eliminava i possibili rischi di quello derivato dal plasma. Si sviluppò quindi un dibattito sull’opportunità e le modalità con cui allargare il target della vaccinazione, andando a intervenire in maniera più estesa sui gruppi a rischio oppure offrendo il vaccino a Z: Già nell’Italia degli anni Settanta si registrava una prevalenza di portatori cronici del virus piuttosto alta, oltre il 2 per cento della popolazione, un dato che è andato peggiorando in una decina d’anni. Le conseguenze più gravi erano sui bambini, che avevano maggiori probabilità di aggravarsi perché incapaci di una risposta immunitaria abbastanza pronta e immediata. 42 tutti i nuovi nati. Le case farmaceutiche irruppero nel dibattito proponendo che il vaccino dovesse essere per tutti. La loro presenza tolse serenità alla discussione e venne vissuta come un’ingerenza da parte di operatori e ricercatori della sanità pubblica. Z: Le vie di trasmissione più frequenti del virus erano i rapporti sessuali e gli aghi infetti. L’Istituto superiore di sanità propose perciò di considerare fra i destinatari del vaccino anche gli adolescenti: l’idea di vaccinare i bambini, alla nascita, e i ragazzi fra i dodici e i tredici anni si rivelò una strategia vincente, perché capace di accorciare i tempi. È così che in dodici anni si è ottenuta una copertura di tutti i ragazzi al di sotto del ventiquattresimo anno di età. M: Oggi l’epatite B in Italia registra una prevalenza di portatori cronici inferiore >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 43 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? STORIA, STORIE all’1 per cento. Il trend era già in discesa prima dell’introduzione dell’obbligatorietà del vaccino. Ma dall’entrata in vigore della legge la tendenza si è ulteriormente accentuata. Z: Col tempo, la preparazione dei vaccini è diventata sempre più sofisticata. Oggi i vaccini disponibili sono molto diversi da quelli prodotti nei decenni appena trascorsi. Più purificati, inducono meno effetti indesiderati e sempre più spesso sono disponibili in commercio in forma associata, contengono cioè più vaccini nella stessa fiala. Un risparmio di spesa, tempo e stress, per le mamme e per i bambini che se la cavano con meno iniezioni. M: Oggi come ieri l’infezione da parte del virus dipende dai comportamenti a rischio: rapporti sessuali occasionali, tossicodipendenza, punture accidentali con materiale contaminato in ospedale. luglio 2011< Grazie ai controlli effettuati sulle donazioni è sempre più rara, invece, la veicolazione dell’epatite tramite trasfusione di sangue. Z: Molto resta ancora da fare. In Italia l’obiettivo è quello di continuare a vaccinare i bambini e aumentare la copertura dei soggetti a rischio. Nel resto del mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, c’è ancora molto da fare. Attualmente sono 177 i Paesi che hanno adottato la vaccinazione neonatale. L’82 per cento del totale. M: L’Italia può ancora migliorare l’offerta del vaccino. Almeno per alcune categorie. È paradossale che ancora oggi tossicodipendenti che frequentano i servizi per le tossicodipendenze (SerT) non siano vaccinati e contraggano l’infezione. La vaccinazione, al contrario di quanto avviene oggi, dovrebbe essere offerta direttamente dai SerT. 43 Z: Bisogna rafforzare anche l’informazione e l’offerta verso le famiglie dei contagiati. Recuperare la popolazione che non è stata interessata dalla vaccinazione di massa. M: Particolare attenzione dovrebbe essere data agli immigrati. Il 15 percento delle nuove infezioni riguardano soggetti provenienti da altri Paesi e di questi tempi, in cui l’attenzione alla cura è alta per via degli importanti successi raggiunti dalla terapia, è importante non perdere di vista la prevenzione.<< [email protected] [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 44 LE VACCINAZIONI TRA DIRITTO E DOVERE Convincere invece che costringere: ecco gli strumenti e i risultati della Regione Veneto, a tre anni dalla sospensione dell’obbligatorietà delle vaccinazioni. Quando la libertà funziona… Massimo Valsecchi P latone, nelle Leggi, sostiene che il medico che ha a che fare con uomini liberi, diversamente dal medico degli schiavi, deve quindi convincere il suo paziente a sottoporsi alla cura, e ragionare con lui per mezzo di argomenti razionali, cioè persuaderlo, non minacciarlo o costringerlo. Questa è stata la motivazione che ci ha spinto, diversi anni or sono, ad attivare il percorso di riorganizzazione del sistema vaccinale della Regione Veneto per giungere, dal primo gennaio 2008, alla sospensione dell’obbligo di vaccinare i nuovi nati contro difterite, tetano, poliomielite ed epatite B. Eravamo, in altri termini, ragionevolmente convinti che l’insieme di interventi programmati e messi in atto a partire dal 1993 consentivano di proporre alla popolazione, con buone possibilità di successo, la scelta di fidarsi della qualità del servizio vac- cinale che veniva offerto in maniera attiva e gratuita. I dati delle coperture vaccinali raccolti negli ultimi due anni e mezzo non fanno che confermarci la bontà di quella nostra ipotesi. MEDICINA PER UOMINI LIBERI In seguito all’applicazione della sospensione dell’obbligo vaccinale nella Regione Veneto è stata rafforzata l’attività di sorveglianza relativa alla percentuale di nati che vengono sottoposti alle vaccinazioni. Tale attività di monitoraggio, effettuata tramite una rilevazione semestrale con un’apposita scheda, consente di individuare i non vaccinati contro la poliomielite sulla base della motivazione che ha portato alla mancata somministrazione del vaccino. In questo modo si evidenziano le criticità maggiori relativamente alla mancata adesione alle vacci- 44 nazioni una volta obbligatorie. I risultati mostrano che le percentuali di bambini sottoposti alle vaccinazioni si mantengono in linea con la soglia del 95 per cento prevista dal Piano nazionale vaccini. In generale il 50 per cento delle Aziende Ulss si mantiene su livelli di copertura desiderabili per le vaccinazioni contro tetano, difterite, poliomielite ed epatite B. I CARDINI DELL’OPERAZIONE Sulla base di questi dati possiamo ora tentare di identificare quali sono stati gli elementi determinanti del percorso che ha condotto a questo risultato. L’elemento forse più importante è che, fin dal primo programma regionale avviato nel 1993, l’intervento è stato progettato, e percepito dagli operatori, come un programma organico di lunga durata che ha segnato una cesura >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 45 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE www.genitoripiu.it con l’abitudine precedente di attivare singole iniziative regionali su singoli vaccini o singoli problemi. Questa impostazione di sistema ha contribuito a definire l’identità di una rete fissa di operatori che si sono riconosciuti nel programma pluriennale. A questa definizione dei termini ha poi anche contribuito l’operazione di chiarificazione dei ruoli delle figure chiave del processo vaccinale e in particolare la definizione del ruolo del pediatra di base e dell’assistente sanitario. Compito del pediatra non è effettuare la vaccinazione. Egli piuttosto ne illustra e ne discute il percorso con i genitori dei suoi assistiti. La vaccinazione è materia di specifica competenza del personale infermieristico. Questo ha consentito di togliere da uno stato di minorità questa fondamenta- luglio 2011< le famiglia del personale ospedaliero facendola diventare anche formalmente l’asse portante delle attività vaccinali. FORMAZIONE, VALUTAZIONE, INFORMAZIONE, MARKETING Fondamentale è stata poi la costituzione di procedure operative, sistemi organizzativi e percorsi di formazione, tutti elementi che hanno contribuito a conferire solidità alla rete. La formazione, in particolare, è uno strumento potente. La nostra scelta di addestrare assieme personale medico e infermieristico dei nostri servizi vaccinali con i pediatri di libera scelta è stata inizialmente avversata, ma poi accettata come usuale. I temi di formazione hanno trattato sia i problemi tecnici più controversi sia le modalità organizzative di erogazione del servizio contribuendo,così, a creare un dibattito e un sapere collettivo. 45 Un altro punto di forza è stata l’attivazione di un sistema regionale di raccolta, valutazione e diffusione dei dati sulle reazioni avverse ai vaccini. Il sistema, denominato Canale verde, è stato attivato sperimentalmente nel 1992 nella Ulss di Verona e poi esteso, l’anno seguente, a tutto il territorio regionale. Gestito da una struttura universitaria, risponde alla necessità di costruire uno strumento di informazione autorevole e autonomo su quella che costituisce, da sempre, una delle maggiori preoccupazioni dei genitori: la possibilità di reazioni avverse ai vaccini. A questi timori si è risposto con la pubblicizzazione e completa trasparenza dei dati, cui tramite il canale viene offerta la massima diffusione possibile. Canale verde funge inoltre da centro di riferimento nei casi in cui occorre una consulenza di qualità. Infine, nel momento in cui si abbandona la falsa sicurezza Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 46 che sono gli utenti obbligati a venire da te, diventa importante avere un programma organico di marketing sociale. Il programma Genitori più è stato un momento innovativo nelle nostre modalità di presentarci all’utenza, capace di ottenere risultati tanto buoni che il Ministero ci ha chiesto di diffonderlo a tutto il Paese. Abbiamo quindi formulato un possibile modello di interpretazione delle modalità di risposta della popolazione alle nostre offerte. Il modello prevede tre tipi di risposta e, di conseguenza, la capacità di individuare a quale di questi tre gruppi appartenga l’utente che si presenta in modo da adottare una politica di approccio differenziata. UN NUOVO MODELLO DI VACCINAZIONE IL PRIMO GRUPPO La sospensione dell’obbligo ha modificato profondamente lo scenario dei rapporti con gli utenti e, in particolare, con la quota di popolazione che era contraria alle vaccinazioni e che rifiutava di far vaccinare i propri figli. La caduta di ogni ipotesi repressiva ha consentito, per la prima volta, di attivare un colloquio fra pari con queste associazioni e con i singoli gruppi familiari, per progettare e iniziare una specifica ricerca. La stragrande maggioranza, oltre il 90 per cento della popolazione, ha un buon rapporto di fiducia nei confronti delle indicazioni suggerite dai pediatri di famiglia e dai servizi vaccinali. Tende a seguirne le indicazioni allineandosi alle scelte effettuate dalla maggioranza dei suoi simili. L’obiettivo è mantenere e rinforzare questa situazione, impostando un programma di comunicazione centrata sugli aspetti positivi che evi- 46 denzi la riduzione delle malattie infettive, l’esiguità delle reazioni avverse e la trasparenza del sistema di raccolta. IL SECONDO GRUPPO Costituito da una sottopopolazione che può fluttuare attorno al 2 per cento, il secondo gruppo è costituto da una popolazione di reddito e cultura medio alte, largamente informatizzata, titubante e parzialmente diffidente rispetto alle vaccinazioni pur senza avere connotazioni ideologiche marcate. È un sottogruppo particolarmente interessante dato che è l’unico, fra i tre, sui quali è possibile operare un’operazione di convincimento che arrivi a modificarne il comportamento. L’obiettivo è marcare la loro distanza dal terzo gruppo e riportarli verso il primo, tenendo aperto un dialogo personalizzato >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 47 L’Obiettivo: Governo clinico: sudditi o protagonisti? ETICA, EQUITÀ, RISORSE IL TERZO GRUPPO Rappresentano l’1-2 per cento della popolazione. Sono un gruppo fortemente motivato ideologicamente, di estrazione sociale medio alta, che manifesta un atteggiamento di profonda diffidenza , se non di aperta ostilità, verso gli operatori di sanità pubblica. Contrariamente a quanto molti operatori credono, non sono privi di informazioni ma, al contrario, sono connessi a circuiti informativi specializzati e molto orientati. L’opposizione alle vaccinazioni non costituisce un elemento isolato nel loro schema ideologico ma una delle sfaccettature di un più complesso rifiuto di diversi aspetti che potremmo definire tecnologici: l’avversione agli organismi geneticamente modificati, l’apprensione verso lo smog elettromagnetico, la tendenza all’uso di medicine alternative. L’obiettivo in questo caso è di aprire un dialogo che possa luglio 2011< stemperare l’ostilità iniziale manifestando un assoluto rispetto delle loro scelte, fornendo informazioni su vaccinazioni, reazioni avverse, epidemie in atto anche con modalità continue nel tempo. Oltre a dare, in ogni caso, la possibilità di vaccinazioni parziali, è importante che i figli di queste coppie siano censiti, attivando una procedura specifica che consenta di contattarli direttamente al raggiungimento della maggiore età. IL VACCINO COL GPS L’aumento del livello di libertà di scelta di cui ora può usufruire la popolazione in ambito vaccinale è un valore aggiunto complessivo, più vasto del suo specifico ambito di intervento, che il Servizio sanitario regionale fornisce al sistema sociale e politico regionale. Il sistema vaccinale ha migliorato la propria qualità complessiva perché ha rinun- 47 ciato alla fasulla rendita di posizione costituita dall’obbligo vaccinale e si è costretto a confrontarsi alla pari con i propri utenti. Credo che la figura del navigatore satellitare sia una buona metafora di quello che Richard Thaler e Cass Sunstein hanno chiamato paternalismo libertario: ti chiede dove vuoi andare, controlla accuratamente dove sei e dove stai andando, ti avvisa per tempo delle scelte che dovrai fare per andare dove vuoi tu, non ti reprime (neanche con il tono della voce) se sbagli scelta anche ripetutamente e ricalcola pazientemente un nuovo percorso. Forse non è un ruolo particolarmente eccitante rispetto alla nostra antica funzione di ufficiali di sanità ma è, probabilmente, molto più efficace.<< massimo.valsecchi@ ulss20.verona.it Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 48 A LEZIONE CON IL MORTO Un libro che raccoglie le impressioni dei giovani medici di fronte a un cadavere. Le lezioni imparate. Le paure confessate. La vita vera che un corpo, morto, sa ancora raccontare. Paolo Girolami C he cosa significa entrare in contatto con un cadavere per gli studenti del primo anno di una facoltà di medicina? Che insegnamenti ne possono trarre? Domande che vogliono risposte per nulla banali. E cui tuttavia riesce a trovare soluzione Sandra Bertman in un testo non ancora tradotto in italiano (S.L. Bertman, One breath apart. Facing dissection, Baywood Publishing Company, Amityville 2009) e per cui vale la pena spendere un po’ del proprio tempo. PAROLE, IMMAGINI, PERCEZIONI Più che un libro è un atlante, che raccoglie con scritte, frasi, poesie, brani letterari, immagini, disegni, collage, percezioni visive, olfattive, tattili e i sentimenti che gli studenti hanno provato venendo a contatto con un corpo umano in sala dissezioni. Le celle frigorifere, i lettini che sorreggono i cadaveri donati da chi desiderava che il proprio corpo potesse essere utile alla scienza. Corpi di uomini e donne oggi impiegati nell’insegnamento dell’anatomia e delle tecniche di dissezione. Una pratica che in Italia è in disuso, anche a causa di un sistema legislativo che regola in modo più restrittivo l’utilizzo dei cadaveri a scopo di studio o di ricerca, e che invece negli Stati Uniti è ampiamente diffusa fin dai primi anni di studio della facoltà di medicina. È evidente che l’importanza del libro è soprattutto legata all’esperienza del limite che gli studenti maturano nel contatto con il cadavere e che li segnerà positivamente nella loro storia professionale. IL PENSIERO DELLA MORTE Che la morte costituisca l’evento che più di ogni altro pone l’uomo di fronte al suo 48 limite è un dato incontestabile. Alla domanda su cosa sia la morte si aggiungono immancabilmente gli interrogativi sulle ragioni della fine, perché il percorso della vita debba per forza di cose incontrare una conclusione, perché bisogna affrontare una cesura così drammatica, perché si deve soffrire per la scomparsa del nostro essere per come lo conosciamo, o di una persona cara che ci ha mostrato e regalato affetto e alla quale siamo stati legati. Il pensiero della morte è sempre motivo di tristezza e nel corso dei secoli gli uomini l’hanno commentato nei testi sacri e vi si sono ripetutamente cimentati, additando la morte ora come fine, ora come liberazione, ora come inizio di una nuova esistenza, non più limitata dalla corporeità ma aperta all’infinita ricchezza della pura spiritualità. Per chi lavora a contatto con i malati, la morte costituisce il momento di passaggio tra l’uomo e il cadavere. Per chi >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 49 RUBRICHE: Il polso letterario STORIA, STORIE passa le giornate con corpi umani privi di vita in sala dissezioni, come spesso capita ai medici legali, forse la morte è solo un cadavere. ESSERE E NON ESSERE PIÙ Ma vi è differenza tra l’uomo e il cadavere, sebbene spesso il discorso sulla dignità della morte ci induca a camuffare l’uomo, con le sue caratteristiche vitali, e il cadavere, con le sue caratteristiche mortali, dietro un’unica immagine neutra e confortevole perché affrancata da ogni riferimento materiale: quella della persona. La differenza tra l’uomo e il cadavere ci viene ricordata in maniera inequivocabile anche da Severino Boezio nel De consolatio philosophiae (S. Boezio, De consolatio philosophiae, IV, 35), dove si legge: «Come potresti chiamare cadavere un uomo luglio 2011< morto, ma non potresti chiamarlo semplicemente uomo». Questa frase costituisce l’espediente perché Boezio possa definire il bene come ciò che mantiene l’ordine, conserva la natura, e per opposizione il male come ciò che si allontana dalla natura e abbandona l’essere che si trova nella natura. Il male è quindi un non essere come, nel nostro caso, il cadavere è l’immagine in negativo dell’essere vivente. Come il male è un non essere anche il cadavere non è un uomo: lo è stato, ma non lo è, e non lo sarà di nuovo. Il cadavere è perdita, è spoglia, è distacco dalla vitalità dell’essere contenuto in lui, è un non essere. RAPPRESENTAZIONI DELLA MORTE Anche se spogliato dell’essere, un cadavere può ancora 49 dirci qualcosa? Può farci da maestro? Sappiamo che il cadavere costituisce oggetto di rispetto e venerazione per i superstiti. Il rispetto e la venerazione non sono però rivolti al cadavere bensì alla persona che quel cadavere continua a rappresentare. Ne è prova l’espressione di sgomento, disgusto e orrore che si legge sul volto dei familiari allorquando viene loro mostrato il cadavere putrefatto del defunto. Non vi è più venerazione ma ripulsa, unita alla necessità di distaccarsi il prima possibile da quella raffigurazione violenta e dissacratoria che tradisce la verità di un rapporto,di un sentimento di conoscenza, di amicizia e di affetto. Nel cadavere putrefatto non è più riconoscibile la persona del defunto, cancellata dalla macabra dissoluzione della materia. La persona del defunto va cercata altrove, non è più nel cadavere in disfacimento, Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 50 non è più leggibile nel suo volto, barbaramente defor- mato dalla degenerazione dei tessuti. ONE BREATH APART Il testo di Bertman è il racconto pittorico e narrativo di un gruppo di studenti di medicina dell’Università del Massachusetts a tu per tu con i cadaveri di un’aula di anatomia. Il libro mette in evidenza l’aspetto educativo, morale e metafisico dei corsi di anatomia: l’opportunità di non limitarsi a sezionare un corpo e, al contrario, imparare dal cadavere tutto il possibile. Educatrice e tanatologa, con questo lavoro Sandra Bertman ha ampliato la sua ricerca con gli studenti di medicina riassunta nel suo primo libro (L. Bertman, Facing Death: Images, Insights, and Interventions, Hemisphere, New York 1991). Scritto con esplicito riferimento agli studenti del primo anno di medicina, One breath apart è una raccolta di disegni e scritti degli studenti che hanno frequentato la Medical School fra il 1989 e il 2002, in risposta alle assegnazioni del corso. Non a caso il libro è dedicato al professore del corso di anatomia, Marks Sandy, che ha voluto inserire nel suo progetto didattico un modulo di medical humanities. Di particolare interesse è la varietà di contenuti inclusi nel volume. La sensibilità artistica non fa parte dei criteri di ammissione ai corsi di medicina, ma vi è nei disegni degli studenti un’innegabile propensione alla creatività e all’espressività più profonda. 50 Da qui la tradizione millenaria di inumazione precoce del cadavere che, oltre a rispondere a esigenze di carattere igienico, preserva chi ci lascia dallo sguardo impietoso di quelli che rimangono e ne colloca l’immagine nella dimensione incorruttibile del ricordo. Il mistero del corpo incorrotto dei santi, alcuni dei quali emananti un soave profumo al momento della ricognizione della salma, avvenuta a molti decenni dalla morte, come nel caso di santa Teresa d’Avila, ci consegna l’attestazione del processo di degradazione a cui è normalmente soggetto il cadavere, degradazione che ha una sua consistenza materiale ed è fatta di immagini, quindi elementi visivi, profumi, elementi olfattivi, contatti, elementi tattili, così come ci vengono riportati nel libro One breath apart. Si dice di solito che il professionista della salute si mostri distaccato di fronte alla >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 51 RUBRICHE: Il polso letterario STORIA, STORIE Il sito di Sandra Bertman: www.sandrabertman.com/ morte del paziente. In quei momenti non può lasciarsi andare a cedimenti emotivi e, anzi, si trova a reggere la parte di chi deve incoraggiare: anzitutto se stesso nel difficile percorso della vita che lo condurrà prima o poi alla morte, quindi i familiari e i parenti che cercano di leggere nei suoi occhi indizi di un eventuale rimprovero per qualcosa che non è stato fatto e doveva essere fatto, o ancora il contrario: la pacata resa a un nemico la cui forza è giudicata soverchiante. Nelle nostre facoltà di medicina il professionista della salute non è stato educato ad andare incontro alla morte con lo stesso entusiasmo con cui si accoglie un amico. In genere non considera la morte francescanamente (F. d’Assisi, Cantico delle Creatu-re) come «nostra sora morte corporale», se non nei casi, fortunatamente oggi assai rari, di luglio 2011< morti sopraggiunte dopo lunghe e strazianti agonie. DEAD MAN SPEAKING Se la morte è estranea ai nostri professionisti non lo è certo per gli studenti che hanno partecipato alla redazione del libro di Sandra Bertman. La capacità di questi studenti di riconoscere, nel cadavere che hanno sotto le mani, il frutto di un gesto di generosità nei loro confronti li educa innanzitutto a rispettare la morte e a non averne paura. La curiosità nei confronti di quel cadavere che un tempo è stato corpo vivente li spinge a pensare alla loro morte e al loro corpo quando non sarà più vivente. Per un futuro professionista della salute il mettere le mani dentro un freddo cadavere è senz’altro la migliore 51 lezione di bioetica perché spiega, senza parole, il senso del limite che sovrasta la nostra esistenza e quella degli altri. Grazie dunque a Sandra Bertman per questa bella lezione di bioetica che gli studenti della Medical School dell’Università del Massachusetts hanno saputo impartirci: «One breath apart: sei venuto a prendermi per fare un giro con te, all’inizio avevo paura di incontrarti, di prenderti la mano. Pretendevo che tu fossi lì per insegnarmi i dettagli: muscoli, arterie, nervi, e ti tenni stretto. Poi scoprii il tuo volto e seppi che eri venuto per portarmi in giro con te, sul limite, tu su un lato, io sull’altro, siamo divisi da un respiro».<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 52 LEGGE DI FINE VITA TRA INVADENZA E DISCREZIONE Può la presa in carico della volontà del paziente, relativamente al suo morire, accogliere l’idea di un riferimento alla dimensione di trascendenza a cui la vita e la morte si aprono? Antonio Autiero L a discussione su una legge che regoli i problemi riguardanti la fine della vita non è prerogativa esclusiva dell’Italia. Negli ultimi anni sono molti i Paesi che si sono fatti carico di mettere a tema una simile problematica, accentuando di volta in volta angolazioni particolari e giungendo a soluzioni talvolta anche contrastanti tra di loro. Ma il fatto rilevante è proprio questo sentire comune che sdogana il tema della morte e lo colloca al centro di una discussione pubblica, sottraendola, così, alla strettoia del privato che spesso la nega, la occulta, la adultera. do anche al proprio morire. Gli sforzi di legiferare in tale materia sono da ricondurre, perciò, principalmente alla coscienza di un servizio reale al bene della vita e della sua dignità; essi devono rispondere al dovere sacrosanto di chi amministra la cosa pubblica, di consentire a soggetti che vogliono dare senso al proprio vivere e al proprio morire, di poterlo fare in piena rispondenza alla loro visione del mondo e nella consapevole accettazione di quello che la morte può comportare, anche in termini di rottura di equilibrio antropologico, quando le sue condizioni reali si fanno pesanti e insopportabili. DIRITTI NEL MORIRE Un Paese deve essere anzitutto consapevole in modo positivo di questo mutamento culturale e civile, che consiste nella volontà di riappropriazione responsabile e matura dei cittadini, riguar- TRA TENTAZIONE DI INVADENZA E COSCIENZA DI DISCREZIONE La funzione di legiferare in tale materia non viene quindi posta in dubbio o in discredito. È soltanto l’uso stru- 52 mentale che si può fare di tale funzione che deve essere smascherato e denunciato. La volontà di regolamentare il morire – come più in generale quello di rispondere a suon di leggi a ogni domanda riguardante la vita, le sue stagioni e le sue dinamiche – domanda una sapiente riflessione previa che ci porta a chiederci se, anche con lo strumento del biodiritto o della biopolitica, prima ancora di perseguire una doverosa opera di umanizzazione del vivere e del morire, non si voglia in realtà affermare una volontà di potere e mettere in scena un esercizio di disciplinamento delle persone e di impero sulla vita e sulla morte. Al posto del servizio sapiente al bene della vita, espresso nei termini di una discrezione che come virtù pubblica accetta i suoi limiti, si potrebbe instaurare un sistema di controllo invasivo e declassante. In più: se la formazione di fronti opposti cattura >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 53 RUBRICHE: Grammatiche etiche RICERCA, VITA anche i temi della biopolitica e del biodiritto, con la stessa latente o palese intenzione di contrapporsi e di schierarsi, allora il sospetto di un problematico uso strumentale di quello che è più caro all’uomo e più intimamente appartenente alla sua sfera di competenza si fa oltremodo ingombrante. Tra tentazione di invadenza e coscienza di discrezione si gioca tutto il dramma di autenticazione del dovere e del diritto di parlare, anche mediante i segni codificati del linguaggio giuridico e delle scelte parlamentari, in materia di vita e di morte, di salute e di malattia, di ricerca scientifica e di responsabilità per il bene della vita, della sua dignità e della sua qualità. La competenza in campo di bioetica, quando la discussione passa attraverso i crinali della politica, non è più uno scontato collettore di consenso o la credenziale per accreditarsi come politico affidabile, ma mantiene un luglio 2011< suo rigoroso spessore di taglio alto, che mal si addice ai giochi delle alleanze di interesse e solo si nutre della volontà di servire il bene comune, la cui più nobile espressione è il bene della vita e della morte di persone consapevoli e mature. PENSARCI PRIMA E MORIRE BENE Su questo sfondo va messo anche il tema delle direttive anticipate di trattamento. Se la loro determinazione finisce per essere l’ennesimo stratagemma per espropriare la persona del suo dovere di vivere e morir bene, allora a patire è la qualità genuinamente bioetica della discussione e dei suoi risultati. La contrapposizione tra volontà del paziente e competenza del medico è una falsa contrapposizione e serve solo ad acuire il conflitto che, come sopra dicevamo, serve ad altri scopi. 53 Quello che da diversi decenni la riflessione bioetica va definendo in termini di alleanza terapeutica trova proprio qui un terreno fertile di concretizzazione. Da una parte c’è la dichiarazione di volontà del paziente, relativamente al trattamento che egli desidera avere o vuole che si tralasci. Dall’altra la consapevolezza del medico si esprime in termini di interpretazione della scelta migliore che non neghi possibilità di risolvere i problemi acuti di pericolo di vita per il paziente, ma neppure si imponga come istanza inappellabile, il cui esito è solo il prolungamento ritardante del processo di uscita dalla vita. QUALCOSA DA DICHIARARE? Il fatto che il paziente, in tempi di chiara presenza a se stesso e nella ricostruzione prospettica degli scenari possibili, esprima e fissi anticipa- Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 54 tamente la propria volontà è un elemento indispensabile per aiutare il medico stesso in quell’opera di interpretazione della scelta migliore per il paziente. In questo senso le dat (dichiarazioni anticipate di trattamento) non creano l’alternativa, ma sono un determinante momento nella costruzione di quella alleanza terapeutica in cui consiste il vero e proprio rappor- to tra medico e malato. Il sapere, da parte del paziente, che la sua volontà esplicitata costituisce un vincolo per il medico e non gioca solo il ruolo di una allusiva ed eludibile dichiarazione, perché oggi non è più quell’effimero ieri in cui egli l’ha formulata, apporta un valore aggiunto alla qualità di stima dell’operato del medico e costruisce il rapporto con lui al di là di ogni gioco di forza e dinamica di potere. Se poi la cerchia si allarga anche a figure interagenti, come la famiglia, il fiduciario, il rappresentate del paziente, allora si comprendono le dimensioni vere di quella alleanza terapeutica che tocca sfere diverse, ma convergenti sul bene del paziente e della sua ineludibile volontà di morire in dignità. FIDUCIA E FEDE IL TESTO CALABRÒ A inizio luglio, mentre questo numero di Janus andava in stampa, la Camera ha ripreso i lavori per l’approvazione del disegno di legge sul testamento biologico. Il testo Calabrò è arrivato al rush finale. La partita si gioca nel dibattito generale sull’insieme degli emendamenti presentati ai nove articoli del testo Calabrò. Con tutta probabilità le votazioni si chiuderanno in pochi giorni, ma il testo già modificato dovrà necessariamente ripassare per il Senato. Un iter legislativo tanto lungo e travagliato quanto blindato. Il punto su testo e modifiche su www.senato.it e www.camera.it. 54 Questa via che non discredita, ma apprezza, non sminuisce, ma incrementa il carattere di alleanza del rapporto medico-paziente-società, ha anche un risvolto non accidentale per la visione religiosa della vita e della morte. Detto in termini più espliciti, anche se qui solo enunciati: la presa in carico della volontà del paziente, relativamente al suo morire, anzi, il suo dovere di maturare una simile volontà in modo con- >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 55 RUBRICHE: Grammatiche etiche RICERCA, VITA sapevole e autentico, non contraddice, ma accoglie l’idea di un riferimento alla dimensione di trascendenza a cui la vita e la morte si aprono, nell’espressione della fede religiosa. Nella contrapposizione tra volontà del paziente e competenza del medico si annida una sostanziale allusione alla contrapposizione tra autonomia della persona umana e competenza del Dio trascendente. E viceversa. Ma come per la prima, così anche per la seconda di queste contrapposizioni, vale l’idea che esse sono costruite strumentalmente per motivi ideologici e di logica di potere. Non a caso la terminologia risolvente la prima contrapposizione viene riportata al linguaggio dell’alleanza, un termine e un orizzonte di significato strettamente religiosi. Anche per la seconda presunta contrapposizione, la categoria di alleanza deve essere implicata nel suo valore risolutivo. luglio 2011< L’ESEMPIO TEDESCO In questo fecondo intreccio delle due accezioni va ritrovato il senso profondo di un lavoro di paziente ma efficace mediazione che le chiese cristiane maggiormente presenti in Germania (la cattolica e la protestante) hanno saputo mettere in campo, per accompagnare il cammino di un provvedimento legislativo che lo scorso anno ha voluto rinnovare la normativa in merito al testamento biologico. Le chiese hanno trovato il punto di equilibrio tra linguaggio religioso e consapevolezza civile, relativamente al dovere del rispetto dell’autonomia del paziente, vista sullo sfondo delle sue relazioni intersoggettive e sociali ed espressa in termini di coinvolgimento della figura del fiduciario, del rappresentante legale, del familiare, del personale sanitario. Solo la discreta ma reale disponibilità a scendere dal 55 piedistallo di invadenza di leggi a forte tenore di controllo della sfera vitale e solo la saggezza di una biopolitica a servizio della responsabilità e della libertà della persona a capire e affrontare l’avventura e il dramma del suo vivere e del suo morire potranno definitivamente umanizzare l’esistenza.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 56 ANCHE I MEDICI SONO CITTADINI È necessario affermare il ruolo politico del medico, e la funzione intellettuale a esso correlata, perché la salute possa essere promossa non solo in termini psicofisici ma anche socioeconomici e mediatici. Silvia Ferrari e Giorgio Mattei I l mondo globalizzato in cui viviamo sembra aver prodotto un curioso paradosso. Se da un lato infatti assistiamo, giorno dopo giorno, al progressivo e sistematico azzeramento delle barriere spazio temporali, dall’altro è il lavoro ad apparire frammentato, e così pure il professionismo, che assume una dimensione sempre più tecnicizzata e spersonalizzata. Il medico non è certo immune da tale processo (d’altronde la parcellizzazione è una prerogativa necessaria per esercitare un potere economico e politico su una classe che dovrebbe rimanere, altrimenti, indipendente). Tuttavia, alcune voci si sono levate in tempi recenti, opponendosi alla figura imperante del medico-tecnico, sostenendo al contrario la necessità di affermare, per i professionisti della salute, un ruolo di orientamento a livello politico, sociale e culturale, in virtù delle competenze e conoscenze che per forma- zione possiedono, in forza delle quali dovrebbero partecipare attivamente al dibattito pubblico per guidare i processi di cambiamento e di modernizzazione della società (I. Marino, Nelle tue mani, Einaudi, Torino 2009). Nelle righe che seguono intendiamo accogliere questa tesi, partendo dal concetto fondamentale per cui ogni medico, in quanto uomo, è per natura, come voleva Aristotele, un animale politico e, in quanto cittadino, è chiamato a contribuire al progresso della società come vero e proprio dovere costituzionale (come si legge nell’articolo 4), in aggiunta al dovere fondamentale di tutela della salute dettato dall’articolo 32 della Costituzione. IL RUOLO POLITICO DEL MEDICO Il medico che rifiuta di esercitare il proprio ruolo politico (o viene messo nelle condi- 56 zioni di non poterlo esercitare) priva la società di un punto di riferimento importantissimo perché non ideologico, il quale dovrebbe agire unicamente per tutelare la salute del singolo e della collettività. Quella stessa salute, è bene ricordarlo, che costituisce la base concretamente fondante il diritto inviolabile all’autodeterminazione e alla libertà personale. In merito alla necessità di vedere i medici attivi e partecipi nei dibattiti riguardanti la professione, le politiche sanitarie e gli sviluppi legislativi nel nostro Paese, vogliamo ricordare le parole di rammarico del presidente dell’Ordine dei medici di Modena (N. D’Autilia, , Bollettino dell’Ord. prov. med. chirurghi e odontoiatri Modena 1, 2010): «Forse molti colleghi non si sono accorti del ruolo sempre più pregnante che stanno assumendo i Livelli essenziali di assistenza e della nostra >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 57 RUBRICHE: Grammatiche etiche RICERCA, VITA assenza nei momenti decisionali quando le scelte di programmazione sanitaria impongono (o imporrebbero) riscontri attendibili da parte dei professionisti. E in quegli ambiti strategici sarebbe importante, per non dire fondamentale, avere idee condivise indipendentemente dalle nostre appartenenze. Chi oggi non ha inteso partecipare a un dibattito che riguarda la professione e i suoi sviluppi nel Paese non può lamentarsi dopo di una mancata presenza». Per migliorare la salute pubblica, mantenendosi in linea con i progressi compiuti nel Novecento, è necessaria un’azione politica che promuova stili di vita sani, tuteli la dignità della persona in ogni momento della vita, difenda gli individui più deboli e contrasti non solo la povertà in luglio 2011< quanto tale, ma anche il sistema economico che la determina (S. A. Schroeder, N Engl J Med 357, 2007 e C. Shuftan, Promot Educ. 15, 2008). IL MEDICO-INTELLETTUALE, TRA RUOLO E FUNZIONE Riconoscere al medico un ruolo politico significa attribuirgli implicitamente la funzione di intellettuale. «Come in qualche modo fece già notare Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere, modernamente è la formazione tecnica a creare la base del nuovo tipo di intellettuale […]. Siamo diventati specialisti straordinari ma non siamo ancora capaci di imprimere ai cambiamenti in corso quella direzione che dovrebbe essere propria del mestiere del medico: l’unione di umanità e tecnica, di compassione ed esperienza, di solidarietà e ambizione scientifica». Questo breve estratto (Marino, 57 cit.) può essere ulteriormente approfondito alla luce della felice distinzione attuata da Franco Fortini tra ruolo e funzione intellettuale (F. Fortini, Questioni di frontiera, Einaudi, Torino 1977), particolarmente calzante per il medico: «Credo che la funzione debba essere opposta al ruolo: l’intellettuale non ha da vergognarsi della sua specializzazione e del privilegio esplicito (capacità di fare qualcosa meglio di chi non la sa fare) ma solo dei privilegi impliciti che ne trae o che la società gli conferisce (collocazione dell’individuo in una gerarchia di poteri invece che di una funzione in una gerarchia di valori)». Infatti: «la specializzazione nei processi intellettuali di astrazione, di analisi e di sintesi (che connota Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 58 l’intellettuale ma non coincide con la divisione del lavoro intellettuale!) rimane necessaria nella misura in cui serve a sviluppare analoghi livelli di funzioni intellettuali in tutti gli uomini e, per cominciare, in quella che l’associazione fra caste intellettuali e potere economico-politico ha storicamente condannato a vivere di sottoprodotti ideologici». In forza di questo passaggio, distinguiamo il ruolo intellettuale del medico dalla funzione intellettuale. Nel primo caso, il termine ruolo fa riferimento a una condizione di stampo corporativo, volta al mantenimento dello status quo, fonte di pericoloso servilismo e giustificante privilegi di casta. Nel secondo caso il medico, esercitando la propria funzione intellettuale, può contribuire a quei processi di cambiamento dei quali vi Medici e politici www.ordinemedicimodena.it/bollettino/pdf/gen11.pdf è bisogno oggi per costruire una società ispirata da una differente visione del mondo, improntata in senso antropocentrico e umanistico. Inoltre, per esercitare tale funzione intellettuale il medico dovrebbe fare sentire la sua voce in occasione di dibattiti concernenti tematiche particolarmente rilevanti sotto il profilo bioetico, a cominciare da quelle riguardanti i trattamenti di fine vita. IL DDL CALABRÒ Proprio in queste settimane è in discussione in Parlamento il disegno di legge Calabrò, primo tentativo di fornire una risposta al vuoto legislativo drammaticamente evidenziato dai casi Welby ed Englaro. In merito a tale progetto, a detta di molti non 58 realmente in linea con gli intenti che si propone, diverse voci autorevoli si sono levate. Quello che sembra mancare, in questo dibattito, è però una funzione intellettuale corale, esercitata da parte di tutta la classe medica riunita attorno a una posizione comune espressa dagli ordini, efficacemente veicolata sul piano mediatico ed effettivamente fruibile da parte delle la popolazione. L’ingresso storico nel nuovo millennio ci impone di ripensare al ruolo del medico all’interno della società, per superare l’attuale crisi di valori e ridare prestigio e nobiltà all’arte. Ai tradizionali compiti di diagnosi e cura è necessario oggi affiancare e affermare il ruolo politico del medico e la funzione intellettuale a esso correlata, volti a promuovere il bisogno di salute >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 59 RUBRICHE: Grammatiche etiche RICERCA, VITA della collettività non solo in termini psicofisici ma anche socioeconomici e mediatici. QUESTIONI DI ETICA, QUESTIONI DI POLITICA Abbiamo accennato precedentemente al dibattito in corso sulle disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento. Queste tematiche, insieme alle polemiche cui viene sottoposta, ciclicamente, la legge 194, ci permettono di introdurre alcune considerazioni inerenti il rapporto tra medicina, etica e politica. Fin dai tempi di Ippocrate l’arte medica è stata fortemente regolata da precetti etici volti a distinguere l’azione lecita da quella illecita; a maggior ragione ciò avviene oggi che l’agire medico deve sottostare alle norme raccolte nei vari Codici (deontologico, civile e penale). Ci preme ora sottolineare luglio 2011< una fondamentale differenza, che il medico deve tenere presente nel momento in cui esercita il suo ruolo politico. Mentre in medicina non vi è dubbio alcuno sull’esistenza di una questione morale, ovvero si dà per scontato che la pratica medica debba inscriversi in un contesto di regole comportamentali, a partire dal principio generale del neminem ledere, in politica, al contrario, da Machiavelli ai giorni nostri, la domanda circa il sottostare dell’azione politica al giudizio morale sembra non avere trovato ancora risposta, anzi sembra piuttosto destinata a rimanere un’aporia. Scrive Bobbio (N. Bobbio, Etica e politica, Mondadori, Milano 2009): «A differenza degli altri campi della condotta umana, nella sfera della politica il problema che è stato posto tradizionalmente non riguarda tanto quali siano le azioni 59 moralmente lecite e quali illecite, ma se abbia un qualche senso porsi il problema della liceità o illiceità morale delle azioni politiche». AGIRE NEL BENE COMUNE Il medico intellettuale, consapevole del contributo che può apportare al progresso della società, non può ignorare il fatto che il suo agire, eticamente disciplinato, nell’interesse della salute dell’individuo e della collettività, si scontra inevitabilmente con una prassi politica ancora molto lontana dai suoi ideali, perché troppo impantanata con interessi che nulla hanno a che vedere con il buon governo, il cui fine non è tanto il bene proprio, ma il bene comune.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 60 PASQUALINA QUATTRORICCHEZZE DICE NO AL VOLONTARIATO Un autoritratto lucido e disincantato di un medico che ha deciso di fare il giornalista scientifico. E che oggi, su facebook e internet, dipinge a tinte forti la realtà che la fa sorridere e innervosire. Fra scienza, lavoro, attualità, Italia e politica. Silvia Bencivelli S ono cresciuta a Pisa. Laureata in medicina e chirurgia. Master in comunicazione della scienza. Oggi sono un medico che vive a Roma e fa il freelance. Era il 2005 quando ho cominciato a fare la giornalista scientifica scrivendo lanci di agenzia, articoli per quotidiani e riviste, alcuni progetti di editoria scolastica. Oggi lavoro nella redazione di Radio3 Scienza, il quotidiano scientifico di Radio3 Rai, e a volte ne sono conduttrice. Sono tra le inviate di Cosmo, la trasmissione scientifica di Rai3 ideata da Gregorio Paolini e condotta da Barbara Serra, andata in onda la domenica sera fino al giugno scorso. Collaboro anche con giornali e riviste, con scuole di comunicazione, case editrici, agenzie di comunicazione. Partecipo come moderatore a eventi culturali per il grande pubblico e per le scuole. Lavoro ancora nell’editoria scolastica e sono addetto stampa. Ho pubblicato due libri. Insomma, non mi faccio mancare niente. FARE CARRIERA NEL VOLONTARIATO Lavoro per du’ lire: non ho paura a dirlo, magari un po’ di vergogna sì. Lavoro per du’ lire e ciononostante non manca chi vuole per forza convincermi a lavorare gratis. In genere è un signore in pensione, colto, elegante, curioso, anche simpatico. E in genere mi manda una mail carina in cui mi invita a un evento intelligente più spesso di venerdì sera o di sabato pomeriggio, in una città di quelle che lì per lì puoi anche pensare che valgano un viaggio. Ed è così che mi frega. Il pensionato di buona volontà riesce sempre a farti lavorare gratis. Mi spiega che tutti i partecipanti all’evento vengono senza essere pagati perché l’organizzazione è di un piccolo circolo culturale, mol- 60 to attivo, che ha il patrocinio del comune ma che lavora solo su base volontaristica e che quindi purtroppo non ha di che pagarmi. Io vorrei fargli notare che lui tutti i mesi prende una pensione garantita, mentre io tutti i mesi non prendo un bel niente se non mi sbatto a recuperare euro per euro i soldi che mi devono i miei quaranta clienti, di cui trentotto morosi. Vorrei farglielo notare. Ma alla fine vince sempre lui. QUELLI CHE… Ci sono quelli che ti chiedono un contributo per un libro. Gratis, si intende, perché non ci sono nemmeno i soldi per pagare l’editore (si chiama tipografo, in quel caso, ma vabbè) figuriamoci per pagare chi ha scritto cinque paginette TimesNewRoman12. Figuriamoci. Tanto tu hai già scritto altre volte di quella cosa: ti verrà facilissimo farlo di nuovo. >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 61 RUBRICHE: Vi racconto la mia professione STORIA, STORIE Tutti i post di Silvia su: www.silviabencivelli.it Ci sono poi quelli che se si risparmiano un biglietto del treno è meglio: già che sei da queste parti, fai un salto da noi così facciamo riunione? Ci sono quelli che non ti pagano e ogni volta ti promettono che lo faranno, e tu continui a scrivere per loro perché in fondo è una buona vetrina. Quelli che ammettono candidamente da subito che non ti pagheranno mai, e tu apprezzi l’onestà. Quelli che ti contattano loro, però poi ti chiedono di fare una prova (una prova?!), ovviamente non pagata, quelli che ti chiamano a un colloquio ma non ti pagano il treno, quelli che ti scrivono chiedendoti consigli o facendoti proposte di lavoro così confuse e non ti accorgi nemmeno che non si fa nessuna menzione al vile denaro. Quelli che hanno avuto un’idea, quelli che hanno finalmente capito luglio 2011< che cosa fare da grandi, quelli che hanno organizzato il congresso della loro vita. E tutti ti vogliono coinvolgere perché ti stimano un sacco, ma non ti possono pagare. SOLDI, NON SALDI Credo che sia arrivato il momento di dire no al volontariato. No. Per me. Perché anche se è vero che il mio lavoro assomiglia a un hobby, e a volte si tratta di fare cose divertenti che farei anche per niente, non posso svendere quel che faccio. È il mio lavoro: me lo sono praticamente inventato da me ed è la cosa più preziosa che ho. Devo rispettarlo, accidenti. E poi no per tutti gli altri. Perché chi lavora gratis rovina il mercato. Se lavori gratis, chi ti fa lavorare sceglierà sempre te solo per questa ragione. E quindi tu non migliorerai e produrrai cose sempre mediocri, la tua professionalità e il lavoro che svolgi sa- 61 ranno svalutati, i tuoi colleghi non riusciranno a farsi pagare e la qualità del lavoro si abbasserà. Pensa al giorno in cui, bravo professionista, ti preferiranno un pivello che accetta di fare l’eterno stagista e di lavorare (male e) gratis al posto tuo. Ti auguro allora di scoprire che il suddetto pivello è figlio del pensionato di buona volontà, il quale, mentre ti accompagnerà con la sua macchina a prendere un regionale di seconda classe per le tue tre ore di viaggio di ritorno, si lancerà in una filippica sui guasti della precarietà e sul suo povero figliolo che a trent’anni bisogna ancora passargli i soldi dell’affitto. E allora capirai che prima di mandare a quel paese il vecchietto faresti bene a farti un bel cazziatone allo specchio. Ma bello, eh. Ah, dimenticavo, naturalmente questo articolo è gratis.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 62 TRA IL MARE E L’ACQUA SANTA Ricercatore, clinico, umanista, politico, credente e filosofo. Mario Coltorti ha dedicato l’esistenza alla cura dell’uomo nel suo essere insieme corpo e psiche. Gianfranco Tajana accontare Mario Coltorti in queste due pagine: missione impossibile. Come nella eteronimia di Fernando Pessoa, sono esistiti molteplici Mario Coltorti con personalità diverse, complesse e a tratti contraddittorie. A ognuno ha svelato e concesso solo una parte di queste persone. Ha mostrato di volta in volta lo scopritore delle transaminasi, il grande clinico, l’erudito filologo, l’umanista, il politico disincantato, il credente che recitava il Padre Nostro di Thomas Moore, l’appassionato della logica wittgensteiniana e dell’anarchia metodologica di Feyrabend. R vicino Stato Pontificio. «Sono nato tra il mare e l’acqua santa», diceva sorridendo. Lo abbiamo conosciuto come viaggiatore attraverso i suoi racconti dell’India, come sofisticato buongustaio e conoscitore della cucina popolare napoletana, come interista dei gloriosi tempi di Meazza, Blasevich e Virgilio Maroso. Si riconosceva nell’anticonformismo pittorico di Lorenzo Lotto e nella spiritualità di Vassily Kandinsky. Un maestro, quello che non spiega ma fa la lezione. È sotto questa veste che l’ho conosciuto e amato, come studente prima e come co-equiper (così mi chiamava lui) poi. DALLE MARCHE ALL’INDIA L’ANIMA IN REWIND Nato nelle Marche in un paese di pescatori che amava profondamente, si sentiva attratto alla stessa maniera dall’immensità del mare e dalla claustrofobica misticità del È difficile descrivere Mario. Quando devi ricordare una persona che ti ha cambiato la vita non si trovano mai le parole giuste. In compenso trovi periodi lunghissimi e contorti, dove a volte si apro- 62 no parentesi come voragini da cui non torni più. Diceva Ennio Flaiano che le parole sono necrologi del pensiero. I detrattori di Mario lo criticavano per l’uso eccessivo delle citazioni. Ma non si trattava di semplici esergo, erano geniali illuminazioni. Mario sapeva colpire sfruttando le scorciatoie del cuore. Nelle discussioni amava i percorsi trasversali, le vie oblique e le serpentine dell’intelligenza. Alla fine sapeva distillare la rassicurante esattezza di una teoria convertendo il paradosso in logica e la confusione in strategia del tempo. Possedeva la capacità di metterti il cervello in pausa e l’anima in rewind. Ci legava la medesima idea di come dovrebbe essere l’Accademia, la differenza tra didattica (che fanno tutti) e formazione (che sanno fare in pochi), l’identica indignazione verso tutti quelli che usano l’Università per fini personali, la stessa determinazione per un cambiamento che >Janus n. 2 Janus_2 28-07-2011 13:19 Pagina 63 RUBRICHE: Nostalgia dei maestri STORIA, STORIE mettesse veramente lo studente al centro del processo di apprendimento. VIA DALL’ACCADEMIA Farei un grave torto a Mario se in questo ricordo tacessi la sua puntuale critica nei confronti del sistema formativo e delle ottuse e scomposte reazioni dell’Accademia. Quando non gli riuscì più di stare a mo’ degli altri nell’Accademia si inventò un luogo dell’anima dove rifugiarsi e mise insieme una tristezza che era dolore, che scivolava per stanchezza, si arrendeva e chinava il capo con dolcezza, capitolando lentamente, volgendo in serenità. Lo guardai sconfitto e pensai: che meraviglioso modo di perdere. CON I PAZIENTI Per Mario Coltorti era centrale il rapporto che si stabilisce luglio 2011< tra medico e paziente, senza indulgere però in una visione paternalistica contro cui ha sempre combattuto in nome del diritto all’autodeterminazione. Aveva superato la vecchia concezione dell’inganno caritatevole per giungere al consenso informato inteso come fase finale di un corretto rapporto che richiede al medico di comprendere il paziente, tutti i processi patologici che caratterizzano il suo personale approccio alla malattia, i tempi necessari per accettare la diagnosi. Per lui la malattia era un evento esistenziale multifattoriale che a vari livelli di responsabilità causali e conseguenze coinvolge l’equilibrio somatico psichico, la capacità di sopravvivenza, le relazioni interpersonali, in una visione pluridirezionale dell’individuo nell’ambiente e nella società. Il medico doveva essere in grado di conoscere e comprendere i meccanismi di adattamento e di difesa del 63 malato e aiutarlo a estrinsecare la sua volontà, in modo da poter partecipare consapevolmente alle scelte terapeutiche. UNA CURA PER IL CORPO E LA PSICHE Nella sua lunga carriera, attraverso il suo essere medico, Mario Coltorti ha regalato a tutti noi un po’ di vita. Ci ha insegnato ad amarla, a non sprecare il tempo, a scoprire la libertà che si racchiude nell’impegno e nella disciplina. È stato un uomo con una incredibile storia che ha dedicato un’esistenza alla cura dell’uomo nel suo essere insieme corpo e psiche. Un approccio che ha superato difficoltà e ottenuto successi inimmaginabili, e che anche oggi è un riferimento per tutti.<< [email protected] Janus_2 28-07-2011 13:19 Zadig srl www.zadig.it Via Calzecchi 10 20133 Milano t. +39 02 75 26 13 21 Pagina 64 Associazione calabrese di epatologia www.aceprogettoepatiti.it Vico Cartisano 1 89134 Pellaro (RC) t. +39 09 65 35 84 38 Istituto Giano www.istitutogiano.it Via Buonarroti 7 00185 Roma t. +39 06 77 20 75 73 Il progetto Janus è sostenuto dalla Fondazione Carical www.fondazionecarical.it Corso Telesio 17 87100 Cosenza t. +39 09 84 89 46 13 Chi desidera sostenere il progetto Janus, o versare il contributo di 10 euro per le spese di spedizione per l’invio dei 4 numeri del 2011, può consultare il sito www.janusonline.it oppure effettuare il versamento sull’IBAN: IT 24 O 02008 16303 000110073766 Unicredit Reggio Calabria, corso Garibaldi 331, Associazione Calabrese di Epatologia, indicando nella causale: progetto Janus. Pubblicazione trimestrale Registrazione del Tribunale di Milano n 579 del 5/11/2010 Spedizione in abbonamento postale: poste italiane Spa 70% Roma AUT C/RM/167/2008 Finito di stampare nel mese di luglio 2011 da Iacobelli, via Catania 8, Pavona (RM) L’editore Zadig, titolare del trattamento ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 196/2003, dichiara che i dati personali dei clienti non saranno oggetto di comunicazione o diffusione e ricorda che gli interessati possono far valere i propri diritti ai sensi dell’articolo 7 del suddetto decreto. Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, si rende nota l’esistenza di una banca dati personali di uso redazionale presso la sede di Roma, via Ravenna 34. I dati necessari per l’invio della rivista sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’editore Zadig per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. Responsabile trattamento dati: Eva Benelli. IVA assolta dall’editore ai sensi dell’art. 74 lettera C del DPR 26/10/1972 n. 633 e successive modificazioni e integrazioni, nonché ai sensi del DM 29/12/1989. Non si rilasciano quindi fatture (art. 1. c. 5 DM 29/12/1989). 14-07-2011 20:49 Pagina 1 Spedizione in abbonamento postale – poste italiane Spa 70% Roma AUT C/RM/167/2008 GOVERNO CLINICO: SUDDITI O PROTAGONISTI? Janus n. 2 • estate • 2011 Nel modello tradizionale ippocratico, rimasto in vigore in Occidente per 25 secoli, il medico esercitava sul malato un potere esplicito, senza complessi di colpa e senza bisogno di giustificazioni. Quella dominanza professionale si è andata progressivamente sfaldando e oggi il passato e il presente sono in rotta di collisione: il sanitario ha di fronte un altro individuo, con il quale dovrebbe entrare in un rapporto di responsabilità condivisa. Tuttavia, se è tramontata la stagione del paternalismo medico, ancora fatica ad affermarsi un nuovo modello, che non sia né quello del consumismo sanitario, né quello del potere autoritario. Se gli attori dello scenario della salute (tutti quanti) non sono più sudditi, forse ancora troppo raramente riescono ad essere veri protagonisti. In copertina: Omaggio a Emanuele Luzzati, rielaborazione da La Gazza Ladra, 1964 Numero 2 estate 2011 Copertina3mmJANUS2OK scienza, etica, culture GOVERNO CLINICO: SUDDITI O PROTAGONISTI? Zadig editore